Grice e Mecenate:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio
Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere
d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da
stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a
Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare
con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di
Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro
Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con
poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e
trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli
deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori
filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del M. in
versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera che
introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di
subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi
epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del
Mecenate. Maecenas wrote
several works, none of which have come down to us. Their loss howerer is not much
to be deplored, siuce, acoording to the testimony of many ancient writers, they
were written in a very artificial and affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen.,
‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of the ‘calamistros Maecenatis. They
consist of poems, tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another
'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium,
in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The few fragmente which remain of
these works have been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana,
sive de C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works
include a Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil,
and Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty
clever dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia
circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos
habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius
interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor
ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit
bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N
unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL
ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn,
"EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai
ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn.
For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see
Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt. Perhaps M.'s Symposium should be added to the
list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//»
ftt.y. !f '8 )>: 9 .éffsuz^ncsÉ -
OtjJ A, «a k.Sm
i STORIA DI CAJO CILNIO M. CAVALIERE
ROMANO SCRITTA, X DEDICATA A S. A. S. il Signor Principe
FEDERICO DI SAXE-GOTH A DaU’Avv. Sante Viola P. T. ROMA i8£Ó. Presso Francesco
Bourlié Con Lic. de' Sup. mm. 9 A spese degli Eredi Raggi
Libra] al Camita«1 ALTEZZA SERENISSIMA Allorché io mi occupava
a racco- gliere le Memorie Istoriche della Vi- ta di Cajo Cilnio
Mecenate 9 pensai ocacciare al mio Libro un Pro- tettore nella
Persona dell’ A. V. S. sapendo quanto sia benemerita della
Letteratura, delle Arti, e de’ loro Coltivatori ; e sebbene la
piccolez- za della mia Offerta dovesse sgomen- tarmi, tuttavia
fatto coraggioso dal- la grandezza del suo magnanimo cuore, restai
fermo nel mio pensie- ro, persuaso, che la Storia delle geste
civili, politiche, e morali di quell’ esimio Cavalier Romano, do-
veva presentarsi ad un Principe i nel quale si ammiravano per
singo- iar modo trasfuse le doti più belle \ di cui era quello
fregiato . E come non dovrà celebrarsi P A. V. S. nel vederla
animata dal genio istesso del gran Cibilo riguar- do al progresso,
ed al miglioramen- to delle Arti > e delle Scienze ? In
Roma, Capitale di un vasto Impero, Mecenate avvalorava i talenti,
pro- teggeva i Dotti, e dava così un im- pulso potente alla
Civilizzazione del Genere umano ; e F A. V. 5. nell* istessa
Capitale, ora Sede, e Maestra del buon Gusto, e delle Arti, acco*
glie con amorevolezza, onora con discernimento, protegge con
costan- za tutti gli Artisti, e Letterati, de’ quali la stima, la
venerazione, e T amore sono ben dovuti all* A. V. per quella
soavità di maniere, ed eminenti virtù, che in tanta copia brillano
i n tutte le di Lei azioni . Se l’A. Y. S. si degna di
accogliere sotto la benefica, e valevole sua Protezione questo mio
qualunque siasi lavoro, andrà esso fastoso ve- dendosi onorato di
qùelNome illu- stre, che ridesta la dolce memoria de*
TI grandi Avi dell’ A. V. S. i quali in ogni epoca recarono
decoro alla Pa- tria, onore, e gloria alle Contrade Alemanne
. Supplico PA.V.S. di aggradire i sentimenti di quella
profonda vene- razione, ed invariabile ossequio, con cui ho,
l’onore di rassegnarmi . .Di V.A.S. Vino Dmo Obbmo Servo
SANTI VIOLA, Nello scrivere la Storia di Caio Cilnio M. ebbi di mira
soltanto la riconoscenza dovuta alla memoria di questo grand' Uomo,
che fù il più zelante promotore delle belle Letter e, l'Amico sincero, il
Protettore liberale di tutti li Letterati suoi contemporanei.
Per lo spazio di circa tredici, o quattordici Secoli il nome di
Mecenate fu sepolto, per dir cosi, nel seno dell' oblio ; effetto della
bar-* borie de' tempi . Giovanni Meibomio fù il pririio a
raccogliere tutte le notizie relative alla Vita di questo esimio
Cavaliere Romano, e nel i6Sj. ne stampò in Leida un Libro avente per
titolo : M., sive de Caji Clini M. Vita, moribus, et rebus ge- stis .
Prima del Meibomio ne aveva scritta una Storia Gio. Paolo Martire Rizzo
in- lingua Ca - stigliarla . Ma quest’Opera non potè procac- ciarsi
un incontro felice per le stravaganze, di cui era ripiena, portando l'
impronta piutto- sto di un Romanzo, che di una Storia, con- forme
osserva il lodato Meibomio (l ) . (l) Praeloq. ad Lect. : Historia
Vitae Mae- cenatis a Jo . Paulo Martire Rizzo Lingua Ca- st igliana
de script a . . Tantum enimabest, ut illa sit historia, ut parum absit ad
fabulas abeat . Digitized by Google
Vili Circa treni' anni dopo l’Opera di questo, cioè nel
1684., Gio. Battista Cernii diede alla luce in Roma con le stampe di
Francesco Laz- zari una Vita di Cajo Mecenate ; ma questa Operetta
per lo stile inelegante, ed uniforme al gusto di quel secolo, sembra che
non ripor • tasse tutta V approvazione de' Letterati, es- sendo
caduta in una quasi totale dimentican- za ; ciò non ostante l' Autore,
con la scorta del sudetto Meibomio, non omise di riunire molte
notizie sulla Storia di Mecenate, estrat- te dagli Autpri antichi .
Altri ancora posteriormente hanno parlato, e scritto sul medesimo
soggetto . Nel 1 j 46. fu publicata in Parigi da M Riclier una Vita
di Mecenate, e successivamente V Abb. Souchay fece una raccolta di
notizie in una Disserta- zione inserita nelle Memorie dell' Accademia
dell’ Iscrizioni, intitolata Ricerche intorno Mecenate (1 ) .
Avendo profittato de' lumi, che questi Au- tori diffusero nelle
loro Opere, e non avendo omesso di esaminare li Scritti di Livio,
Dione Cassio, Appiano, Tanfo, e Vellejo Pater- colo fra li Scorici
antichi, non che quelli dì Seneca, Macrobio, Orazio Flocco,
Virgilio, Properzio, ed altri, ho tessuto questo qua- lunque siasi
lavoro, con aver procurato di non CO Tiratosela Stor. della Lett.
ltal. part. 3. lib.3. ... r j Digitized by Google
IX' deviare nella narrazione de' fatti dà un ordine
regolare, e cronologico . Fra li moderni ho fatto uso delle Storie del
dotto Inglese Lorenzo Echard (1), e degli eruditi Catrou, e Rovil-
lè (2 ), nelle quali oltre a non poche notizie relative al mio assunto,
ho toltili materiali sulla Storia contemporanea, con aver però ri-*
scontrati li fonti, in cui quelli avevano ati tinto,
Lapresente Operetta è divisa in IV Li- bri . N el primo si sono
rintracciate le Notizie sull’ origine, e sulle qualità della Famiglia
de' Cilnj ; si fissa l’epoca, in cui il nostro Mece- nate può
essere entrato nella CorQe di Ottavio Augusto, e si nota tutto ciò che vi
ha di più rimarchevole sulle di lui geste e precedenti al
Triumvirato, e dopo di esso fino alla Cuerra detta di Perugia, cagionata
dagl intrighi di Fulvia Moglie del Triumviro Marcantonio . Contiene
ancora le operazioni del medesimo Mecenate, e prima, e dopo la disfatta
di Bru-> to, e Cassio nelle Campagne di Filippi, (1)
Storia Romana dalla Fondazione di Ro- ma sino alla Traslazione dell’
Impero sotto Co- stantino scritta in idioma Francese dall’ Abb. delle Fontane sopra l’Originale Inglese . Vene- zia
1751. (*) Histoire Romaine depuis laFondation de Rome par les
RR. PP. Catron, et Rovillè . Paris 1735. I X?'
Il secondo Libro comprende la serie de* folti relativi alla Storia
di Mecenate dalla indetta disfatta di Bruto fino alla morte del succe
rinato Marcantonio, c della famosa Cleopatra, Epo- ca, in cui
Ottavio rimase il solo Dominatore della Romana Gran dezza . N
el terzo Libro si vedrà il Congresso tenuto da questo con Agrippa, e
Mecenate per delibe- rare, se, stante V estinzione del Triumvira-
to, dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo il sistema Republicano,
o se dovessero gettar- si le basi di una Monarchia Universale, e
qui si leggeranno li giudiziosi, e politici discorsi, recitati
l’uno da Agrippa, che perorò per la Repuhlica, e l’altro da Mecenate, il
quale fa di opposte sentimento, ed opinò per lo stabili- mento
della Monarchia ; e come Ottavio ante- pose le ragioni di questo alle
riflessioni di quello . ■ N eli’ ultimo Libro si conoscerà
quale fesse l influenza di Mecenate sullo spirito di Otta- vio,
divenuto Imperadore, e quale la defe- renza di questo verso di quello .
Si ravviserà inoltre quanto grahde fosse la protezione, c la
liberalità di Mecenate verso i Letterati, e quale impegno avesse per il
progresso dèlia Letteratura, e delle Scienze . In fine sipar- io
della Morte . . Hò creduto di aggiungere, dopo la Storia,
««Appendice divisa in tre Discussioni, che sonuninistrano de'
schiarimenti, ai altre- me- Digitized by Google
XI morie, che in quella, q erano state omesse, o appena
accennate . Le prime due Discussioni abbracciano Le notizie relative ai
celebri Giar- dini, ed Abitazione, che Mecenate possedeva in Roma,
ed alla magnifica sua Villa situata sulle sponde dell ’ Aniene presso
Tivoli . La terza si aggirerà sulla pretesa Febre perpetua, e
Veglia Triennale, che Plinio il Naturalista attribuisce a Mecenate
« Tutte le volte, che questo grand’Uomo trovò degl' imitatori
nella protezione, e nel favore delle Lettere, e dei Coltivatori delle
medesime si viddero comparire degl ' ingegni prodigiosi, e la
Letteratura fece mirabili progressi, In fatti a questa imitazione siamo
debitori di tante utili scoperte, e di quelle venuste produzioni
dello spirito umano, che viddero la luce sotto i Leoni, sotto gli Alfonsi,
e in tutte le altre epoche, nelle quali le fatiche de' Dotti furono
r.icompcnsate, ed avvalorati li talenti . Se per- tanto questa imitazione
non sarà posta in oblìo, e se il nome di Cajo Cilnio Mecenate non
sarà dimenticato, li Secoli successivi saranno sem- pre più
migliorati, ed illuminati dallo svilup- po delle umane cognizioni .
„ LI Poeta Marziale, che vivgpa in un epoca, in cui la
Letteratura inclinava alla sua deca- denza, si lagna, e fa conoscere, che
allora non esistevano dei Mecenati, che non erano le scienze
protette, e che perciò non si vede- vano comparire ingegni sublimi . „ Ti
meravi - „ gli > 0 Fiacco, che a tempi nostri . . .
man- „ chino ingegni simili a quello di Virgilio,, Marone, c che niuno
sappia cantare le mi-,, litari imprese con una tromba eguale alla „ sua .
Io ti rispondo, che se vi fossero de * „ Mecenati, come quelli, che
vissero sotto „ I Impero di Ottavio Augusto, vedresti svi- „
lapparsi altri Genj niente inferiori a quello,, del Poeta Mantovano . Era stata
a questo „ rapita la sua piccola Possessione presso Crc- „ mona,
implorò la protezione di Mecenate,,, pianse, e sotto il nome diT itiro cantò in,,
stile boschereccio le perdute pecorelle . Rise „ al suo flebile, ma
dilettevole canto il To- „ scavo Cavaliere, e tantosto fugò da esso la,,
maligna povertà . . . Allora Virgilio con- „ copi la grandiosa idea dell
’ Eneide ... Se „ tu dunque, o Fiacco, sarai benefico co- „ me
Mecenate, e mi ricolmerai di doni, ti,, assicuro, che anche io diverrò Virgilio
(l). ( i) Martini. Lib. 8. Epigr. 55. ad Flaccnm.
Temporibus nostris ìngenium sacri miraris abesse Maronis
; Nec quemquam tanta bella sonare tuba . $int M. s, non
deerunt, Flacce, Marones. Jugera perdiderat miserae vicina
Cremonae, y Flebat et adductas T ityrus aeger opes . Jìisit
Tuscus Eques, paupertatemque malignarti Rcpulit, et celeri jussit
abire fuga, Digitized t XIII Nello
scrivere la presente Storia non pre- tendo di aver fatto un lavoro
completo, nè di aver raccolto tutte le Memorie sulle avventure
politiche, morali, e civili di questo esimio Ca- valiere Romano . Se non
vi sono riuscito, non fu colpa della mia volontà, o effetto di
trascu- ratezza . Qualunque mancanza si deve attri- buire alla
ristrettezza delle mie cognizioni, e de’ miei talenti . Può essere però,
che all' im- pulso di quésto mio travaglio altri si scuotano in
seguito, che forniti di migliori materiali, ed ingegno più elevato,
sappiano supplire alli miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore,
e leggendo novelle prbduzio'ni, e nuove scoperte intorno alle geste
del mio Eroe, sarò ben con- tento di apprendere da altri, ciocchi io
aveva tentato di conoscere colle mie fatiche . Protinus
Italiam concepii, et arma virumque . Ergo ero Virgilius si munera
Maecenatis E>es wihi . . v w . v i y* N
A STORIA '
X > DI CAIO CILNIO M. •
_| ràle famigli» le più antiche, e dovizio- se di Arezzo
nell’Etruria meritamente è an- noverata quella de’ Cilnj . Circa la metà
del quinto Secolo dopala fondazione di Roma, e duecento novant’
anni puma dell’Era volgare la medesima figurava luminosamente non
solo nella propria Città:, ma eziandio sopra tutta la Nazione ; se
noti che le grandi ricchezze avendola resa troppo orgogliosa, e
prepo- tente, si procacciò l’odio, e l’ invidia, delle altre
famiglie, e de’ suoi concittadini, e fu sottoposta a disgustiose vicende
. Nell’ epoca succenuata, e precisamente nell’ anno 4S0. di
Roma, fu ordita nel seno stesso della sua Patria contro di quella
una terribile congiura # e quantunque, per mez- zo de’ suoi
rapporti, ne giungesse al disco- primento,, non potè però impedirne
l’esplo- sione . Gli Aretini presero le armi risoluti di
discacciarla dalla Città, e non avrebbe potuto disimpegnarsi dalla
pericolosa situazione, se non avesse trovato un appoggio nelle
forze della Romana Republica., Questa aveva già sperimentato
più volte la A Digitized by Google
* potenza, ed il valóre degli Etrusci, che in quel tempo
costituivano una nazione popolosa, formidabile; e guerrierafi) e se aveva
su di questa riportate delle vittorie, TEtruria non faceva ancora
parte delle provincie Ro- mane ad essa confinanti . In questa
occasione, o fosse realmente per soccorrere li Cilnj » o più
probabilmente per profittare delle interne dissensioni, Roma vi spedi il
Dittatore Marco Valerio Massimo con un’ armata . Sebbene lo
Storico Livio narri il principio, il progresso, ed il termine di questa
insurre- zione degli Etrusci, nutladimeno, secondo il medesimo,
sembra, che riuscisse al Gene- rale Romano di calmare li sediziosi
movimenti degli Aretini, e di riconciliare la Plebe, con la detta
famiglia de' Cilnj i senza alcun fatto d’armi rimarchevole, e
sanguinoso,, Correva,, la voce ( dice Livio ) cbe l’Etruria avesse „
inalberato lo stendardo della rivolta, e che erasidato principio! alla
medesima dalle „ sofnmosse degli abitanti di Arezzo, nella qual
Città la prepotente famiglia de’ Cilnj, invidiata perle ricchezze, voleva
scacciar- „ si colle armi Alcuni Autori, che (l j> Livio
lib.q. Cap.iqi Prodigato Samni- tium bello ; . . . Etrusci belli fama
exorta èst, non erttt ea tempestate gens alia, cujus . ., . arma
terribiliora esscnt cum propin- qui tate agri, tum muli ita din è
hom&nutn, y Digitized by Google — « «— I
3 t) tengo presso eli me, affermano, che per „ iopera del
Dittatore, calmati li sediziosi mo- „ vimenti degli Aretini, e
ricpnciliata Plebe con la famiglia de’ Cilnj, fosse ri- „ condotta
la quiete nell’Etruria, senza alcun „ fatto d’ armi memorabile (i).
Dopo due anni però, cioè nell’anno 453, si accese nuova guerra fra
questa, e laRe- publica Romana . Sene ignora la, cagione, e non si
conosce qual parte vi prendessero i Cilnj, e sebbene l’E trulla fosse
costretta a chiedere la pace, tuttavia dopo breve tempo fu indotta
a novelle ostilità dai Sanniti . Questi popoli guerrieri sempre
inquieti > benché sempre vinti dai Romani, nell anno 557.
tornarono all’ armi, e fecero tptti li sforzi per stringere un'alleanza
offensiva con le popolazioni Toscane „ Etrusci ( cosi par- „ larono
li Deputati de’ Sanniti ) piu d’nna „ volta ci siamo cimentati ne’ campi
di Marte „ con le Coorti Romane ; abbiamo dimandata Lib. io. num.
3. e 5 . Multiplex de in- de exortus terror . Etruriam rebellare ab
Aretinorum scditionibus, mota orto, nuntia- batur, ubi Cilriiurn genus
praepotens, divi- tiarum invidia pelli armis ceptum Ha*
beo Auctores, sine allo praolto pacatam a Di- ttatore Etruriam esse,
seditionibus tantum, Aretinorum compositis, ctCilnio genere cuoi
plebe in gratiam redacto . . L . . v ) » la pace,
quando non potevamo sostenere „ più lungamente il peso della guerra
. Siamo „ tornati ora a' prendere nuovamente le ar- „ mi, perchè la
pace ci era più dura degli or- „ rori di quella L’unica nostra speranza
pe- „ rò, la sola nostra risorsa risiede nella na- „ zione Toscana,
nazione ricca, bellicosa, e „ fertile di guerrieri . Se noi avremo il
vo- „ stro ajuto, e voi risveglierete ne’ vostri „ petti quel
coraggio,. con cui Porsena, e i „ ^vostri Maggiori spaventarono Roma
istessa, „ nulla avremo a desiderare (i) . Li Sanniti
ottennero ciò, che bramavano . Gli Etrusci accedettero alla lega, e la
guerra cominciò con furore . Ma non era ornai più tempo di
resistete alle forze delle Republica Romana già divenuta invincibile
.'Eglino fu- rono superati, e la sorte, che incontrarono in questa,
incontrarono ancora nelle altre guerre posteriori, finché furono
costretti a sottoporsi alle leggi, ed all' impero di quella .
Quantunque la Storia ci abbia occultato le avventure de’ Cilnj,
dopo che l’Etruria fu da’ Romani soggiogata, pure sembra potersi
cre- dere, che continuassero sempre ad occupare un rango distinto
fra le famigliedella Nazione . Imperciocché se deve -prestarsi fede al
Poeta Silio Italico, nella seconda guerra Punica un individuo di essa
famiglia militò contro Anni- • I ., N 1 • Tit. Liv. lib.io. cap.x
i. w . •. baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché restasse
prigioniero, diede argomenti di co- raggio, e di valore .
Avendo Annibaie superato le Alpi, incon- trò nelle vicinanze della
Liguria il Consolo Cornelio Scipione, che con un’ armata Roma- na
voleva contrastargli la marcia ; ma impa- ziente il Generale Africano di
dare esecuzione al già meditato progetto di conquistare l’Italia* e
impadronirsi ancora del Campidoglio, attaccò l’esercito nemico . La
battaglia fn incomincia- ta, e sostenuta con accanimento dalla
Caval- leria Numida, e le truppe di Scipione furono completamente
disfatte. Egli stesso rimase feri- to, e sarebbe caduto frà le mani
de’Cartaginesi, se non avesse combattuto al sno fianco Scipione di
lui figlio denominato posteriormente Afri- cano. Questo giovane
guerriero, benché in età di soli diciotto anni, salvò il padre con
il suo coraggio, e diede in tale occasione li primi saggi de’ suoi
talenti militari . Questa terribile battaglia, e questo disastro dai
Ro- mani sofferto accadde tra il Pò, ed il Ticino nell'anno di Roma
536. (i) . (i) Dion. Cas. lib. 14 . Eutrop. lib.3. Flo- rus
lib.a. Cap. 6 . Ac primi quidem impetus tur- bo inter Padum ac Ticinum
valido statim frago- re delonuit . Tunc Scipione Duce,fusus Exer-
cicus, saucius et ipse venisset in hostium ma - nus Imperator,niii
protectum patrem praetex - «I 6 Frà li
molti prigionieri di distinzione fatti da' Cartaginesi si numera un
Cilnio della Cit- tà di Arezzo nell’ Etruria . Giovanetto anch'
esso, come il figlio del suo Generale, com- batteva nella Cavalleria
Romana. Il suo Ca- vallo ferito cadde nella pugna, ed egli restò
prigioniero. Il surriferito Silio Italico, che narrò in versi tutte le
azioni di questa guer- ra formidabile, cosi si esprime „ Cilnio d’ il-,,
lustre prosapia, e nato nella Città di A- „ rezzo, situata nelle contrade
Toscane, da „ un destino crudele era stato spinto sulle ri- „ ve
del Ticino, benché giovanetto; quivi „ nel furor della mischia, balzato
al suolo,, dal suo Cavallo divenuto furibondo per una,, ferita, era stato
costretto a sottoporre il „ collo alle Libiche catene „(i).
Annibaie bramando di conoscere le geste, e l’origine di Fabio
Massimo Dittatore Roma- tatus admodum filius ab ipsa morte
rapuisset . (i ) Sii. Italie, lib.7. de Bell.Punic. ver.ao.
At Libyae Ductor postquam nova nomina lecto Dìctatore vigent ....•
Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit Progenicm,rituscjue
Ducis,dextr aeque labores; Cilnius Arreti Tyrrhenis ortus in orit
Clarum nomea erat, sed laeva adduxerat fiora Ticini juvenem ripis,
fususque ruentis V ulnere equi, Libycit praebebat colla catenu .
D icjitizert, by Cop ale i no» di cui
tante cosq narrava la fama, ne in- terroga il sudetto Cilnio suo
prigioniero . Questo appaga il Generale Africano, ma gli parla con
franchezza, e coraggi^, e gli fa Conoscere in fine, che piu della
schiavitù, cui era stato per disavventura sottoposto, amala morte .
Offeso .quello dall’ardita risposta di Cilnio, cosi lo rampogna . „
Indarno, q fol- „ le, cerchi di accendere il mio sdegno, è „ di
schivare con morte, che desideri, », la schiavitù . Viyrrai tuo malgrado,
e il tuo collo sarà riservato al peso di catena „ più pesanti
.,,(1) . « Dopo la battaglia del Ticino i Annibaie continuò a
trascorrere l’Italia, riportando segnalate vittorie . La più strepitosa,
e me- morabile fu quella presso Canne piccolo, ed ignobile Borgo
della Puglia nell’anno di Roma $ 38 . La perdita della Romana Republica
in questa fatale giornata fu immensa . Tutte le famiglie furono
ricoperte di lutto, perchè ognuna vi ebbe delle vittime da
compiange- re (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma
(1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq. Qnem ( Cilnium )
cernens avidurn leti post talia Pocnus Nequidguam
nostras, demens, ait, elicis iras, Et captiva paras moriendo evadere
vincla ; yivendurn est, arefa servàntur colla catena. \ ( 2 )
Lucius Fior. Lib. a. Capi 6. Ultimwn 8 soltanto; essa
aveva fatttf leva di frappe dar tntte le Provincie o conquistate, o
collega- te, onde sù di qneste si diffuse non meno l’or- 1 rore
prodottoda quella battaglia sanguinosa * Perciò anche TEtruria dovette
dolersi de’ suoi guerrieri estinti nelle campagne della Paglia, e
frà gli altri di un illustre Pcrsonagf. gio chiamato Mecenate, e dell'
iste.ssa famiglia de’ Cilnj . Il sndetto Siliò Italico dettaglian-
do li soggetti di distinzione, che erano periti a Canne, fa menzione
particolare di questo èon tali espressioni „ Te'ancora trafitto
nelL* „ inguine da Tiri© strale Veggio cadere estin- to, o Mecenate,
nomeMllustre per li scettri „ Toscani, e venerato per la patria, che ti
„ diede i Natali „ (i). Se fosse incontrastabile l’autorità di
questo Poeta potrebbero farsi alcune riflessioni, re- lativamente
all* oggetto della Storia, che si descrive ; Nella battaglia del Ticino è
fatto prigioniero un Cilnio cittadino di Arezzo, di prosapia
illustre ; in quella presso Canne, cioè dne anni dopo, cade estinto altro
soget- to chiamato Mecenate, parimenteToscano, mà bulnus
Imperli, Canna e, ignobili s Apuliae V icus, sed magnitudine c/adii,
emersit ; et quadraginta millium eacdr parta nobilitai ; Ibi in
exitium infelicis exercitus dux, terra, coe- lum, dia, tota denique rerum
natura contentiti ( i) Lib. io. vers. 39. Digitized by
Google li antenati del quale erano stati Monarchi :
Et sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis : Ora l'uno, e
l'altro discendevano dalla stessa fami- glia de’Cilnj, o erano di due
separate famiglie ? Come poi, e quando, e chi delle medesime venne
a stabilirsi in Roma ? La notte del tempo, e la mancanza di
memo- rie ci toglie tuttU lumi necessari, onde ravvi- sare la
verità senza incertezza, e giungere allo scioglimento di tali dubbiezze •
Dall' anno 538. epoca della ìsudetta battaglia presso Can- ne fino
all’anno 66a. dì Roma ci si presenta un vuoto penoso, che nulla ci fa
scorgere sull' oggetto ricercato; in quest’anno però sembra, che
comincino a diradarsi le tenebre, ea presentarcisi un qualche raggio
rischiaratore per conoscere, che allora la famigliar Mecena- te già
erasi stabilita in Roma, leggeudo, che un Cajo Mecenate, aggregato al
corpo de’ Cavalieri, figurava luminosamente in quella. Capitale
. In tal epoca, e precisamente nel detto anno 66a. era
Tribuno della plebe Marco Li- vio Druso . Questo cittadino Romano
fornito di nobiltà, di ricchezze, e di eloquenza attac- cò le
prerogative esistenti nell’antico, e no- Oppetis, et Tyrio
super inguina fixe veruto, Maecenat, cui maeonia venerabile terra,
Et sceptris olirti celebratum nomen Etruscis. IO
bil ceto de’ Cavalieri » e -vedeva, thè » me-/ diante una Legge,'
venissero; questi.' spogliati dei-diritto sulla Giudicatura, dritto
annesso, óna volta, al Senato iifi) j -, ' Per riuscire nel suo
progetto Druso fece ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino»
vimento tutte le risorse della politica, dell' eloquenza, e della
saviezza ± mà oltre ad ave? re incontrato delle forti opposizioni fra li
stes- si Senatori, -Cajo Mecenate,• Flavio Pugione, e Gneo Titinmo,
Cavalieri di specchiata pro- bità si opposero energicamente alle di lui
po- tenti manovre, e con lai loto fermezza, ed influenza* mandarono
a . vuoto il progetto di Legge > che già quello aveva modellato (2)
. ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone nell’O- razione a favor di
Cluenzio, presentandogli I * •
i •• 1; i - Vellej. Patere.
Lib. a. Art.i 3 .De inde f inter jectis paucis annis, TriburuUum
iniiejtf. Livius Drusus, vir nobilissimus, eloguentis - simus,
sanctissimus, qui cum Senatui priscum restituire cuperet dccus, et
judicia ab Equi - ti bus ad eum transfer re Ordinem . . . in its
tpsis, quae prò Senatu moliebatur, Senatum habuit adversarium,
Liv. in supplem. lib. 71. art. ar. Adeo-
que Cajus Flavius Pus io, Gn.Titinius, Cajus Maecenas Principes Equestri
s Ordinis Curiata hit le gibus ingredi aperte ree usar unt . *
re l'occasione di rammentare questo avvenimento de’
fasti Romani, fa un’elogio, e di Cajo Me- cenate, e degli altri due
Cavalieri ne’ termini seguenti „ Allora Cajo Flavio Pugione, Gneo,,
Titinnio, e Cajo M., que’ potenti „ sostegni del popolo Romano non
agirono, „ come ha ora agito Clueuzio, quasi che ri* >, cnsando
pensassero di far ricadere sopra „ di essi un qualche principio di colpa,
ma „ ricusando apertamente, energicamente, ed „ onestamente fecero
conoscere, che eglino „ avrebbero potuto sollevarsi per giudizio „
del Popolo a cariche sublimi, se avessero >, direttele loro cure a
richiederle ... ma,, che, contenti del solo ordine Equestre, „ incui si
trovavano, in cui erano vi»- „ suti ancora li loro Maggiori,
avevano sti- „ mato di seguire una vita quieta, e tran* „ qui Ha
lungi dalle procelle, che sogliono „ suscitare l’invidia, e gl’intrighi
de* giudi- »> zj, simili a quello, di cui.si tratta ( i )- '
i. • .t ( i) Oraf prò Cluentio nnm. 56. 0 Virot fortes,
Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris - simo, oc potentissimo M.
DrusoTribuno pie- bis restiterunt Tane C. Flavius Pusio,
Cn. Titinius, Cajus Maecenas, illa robora papali Romani, ceterigue
hujusmodi Ordinis non fecerunt idem, guod nane Cluen - tius, ut
aliquid culpae susci pere se putarent recusando, *ed apertissime r
spugnar unt, cunt Qigilized by Goo jle i iDa questo
Caio Mecenate, di dui parla Cu cerone,~fiho all’anno della nasci ta dèi
nostra CajoCtlnio' Mecenate non trascorsero, .che so- li anni
ventiquattro-, essendo egli n3to, come fra poco si vedrà /udranno di Roma
686., cosi che se, quando quello si oppose all’ in- trapresa dal
Tribuno Druso nell’Anno 663. non era in età provetta, poteva vivere:
ancora quando ebbe principio resistenza di questo . i E sebbene sia
sembrato irreperibile il suo preciso anuo Natalizio,, tuttavia
riflettendosi sull ’ annoi della nascita * e sù quello della morte
del Poeta Orazio Fiacco, si potrà co- noscere, e forse con qualche
sicurezza, che il nostro Cajo Cilnio Mecenate fu messo al mondo
nell indicato anno 686. dopo la fonda- zione di Roma, ed anni sessantotto
prima dell'Era volgarp . et Lucio Asinio Gallo
Consulibus . Fast. Cons. loc. cit. pag. 107. Digitized
by Google i5 quantasette, qual periodo’ di vita
appunto gli assegnano Eusebio di Cesarea (i ) Pietro Crinto ( oc)
ed altri ., Sembra anche certo egualmente, che il no- stro
Cajo Cilnio Mecenate morisse di anni ses- santa, è nell* anno istesso, in
cui cessò di. vivere Orazio ; anzi non s'ignora, che il primo mori
verso il mese di Settembre, ed il secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[
Dunque Mecenate aveva preceduto di tre anni, resi- stenza di Orazio,
che visse cinquantasette an. ni conforme si è detto, ed essendostata
fissata ; 1 ;!/ (i) InChronich. Horatius
quinquagesimo septimo aetatis siiae anno Romae moritur .In Vit. Horat. Mortuus est autemHo - ratius anno aetatis
suae septimo, et quinqua- gesimo . (i ) Dion. Gas. lib. 55 . Morery Gran. Di-
ction. Histor. art. Maecen. Briet. Ann. Mund. Tom. j.
part. 3 . ad ann. 746. Consulibus Cajo Mario Censorino, et C. Asinio
Gallo fnensi Se- stili indìtum est Augusti nomea .... Obiìt etiam
hoc anno Maecenas Litterarum praesi- dium, et decus Nequc diti suo
Mae- cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta Lyri- cus .
Obiit enim non aetatis anno 60, ut ali - qui, non 5 o, ut alti, sed 5 j,
hisque Consu - li bus . v ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom.
19. 16 la nascita di questa all’ anno 689. il
Natale di quello deve rimontare all’ anno 686. dopo la fondazione
di Roma, ed. all' anno 68. prima dell’Era volgare » Con
maggior certezza poi si conosce il giorno preciso, in cui il sudetto
Cilnio fu re- gistrato nel numero de mortai}, che fu il gior- no
i3. Aprile. La verità di questo punto isto- rico risulta dalle Odi del
surriferito Orazio Fiacco. Volendo quest» Poeta celebrare la ri-
correnza del sudetto giorno Natalizio del suo amico Mecenate, invita
Fillide alla Festa, e cosi si esprime „ Ed affinchè conosca, o
Filli— „ de, a quali esultanze io ti chiami, sappi, „ che dovrai
celebrare con ime il dì, che in „ due divide il mese di Aprile, sacro a
Ci- „ prigna; giorno per me giustamente solenne, e più sacro ancora dj
quello, nel qua- ., le io nacqui; giacché in esso incomincia a,, numerare
gli anni della sua vita il mio M. Od.i 1. Vi tanica noris, quibus
advoceris Gaudiis ; Idus tibi sunt agendac, Qui die* mcnsem
Veneri s marinai Findit-Aprilem . J are sole mais mihi,
sanctiorque Paene Natali proprio, quod ex hac Luce Maecenas
meus ajfluehtes Ordinai annoi, »7 Avendo
procurato di rintracciare alla me- glio l'anno, ed il giorno della
nascita del no- stro Cilnio,, stimo pregio dell'opera di fare al-
cune osservazioni relativamente al suo Padre, ed alla sua Stirpe . Quel
Cajo Mecenate, che nell' anno 66a. faceva in Roma una comparsa
brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cava- lieri ; ciò si è dimostrato
coll' autentica te- stimonianza di Cicerone, ed anche con le au-
torità di Livio testé riferite . Inoltre l’ istesso Cicerone ci fa
conoscere, che il Cajo Mecenate, di cui fa egli gloriosa menzione,
non aveva alcuna ambizione, nè curava di sollevarsi ad impieghi luminosi,
ai quali pur troppo avrebbe potuto giungere per la buona opinione,
che godeva presso il Popo- lo ; ma che contento del semplice titolo
di Cavaliere, amava di passare una vita lieta, e tranquilla ad
imitazione de’ suoi Maggiori. „ Se potuisse ( sono parole di Tullio
sopra-,, enunciate ) Judicio populi Romani in am- „ plissimum locum
pervenire, si sua studia,, ad honores petendos conferre voluissent sed
Ordine suo, Patrumque suo- „ rum contentos fuisse, et vitam illarn
„ tranqnillam, et quietam .... sequi ma-,, luisse . Ora il
carattere, che forma Cicerone di questo Cajo Mecenate, non è similissimo
a quel- lo del nostro Cilnio ? Tal circostanza si cono- scerà nel
decorso della sua Storia, ma intan- B j8
to possiamo accennare, che questo aveva tut- ti li mezzi per inalzarsi
a cariche le più emi- nenti, e decorose, stante la grande amicizia,
di cui era onorato da Augusto, ma che pa- go del suo stato, e del
semplice titolo di Ca- valiere, mai volle, ne dimandò altri onori,
e nuovi impieghi. A ciò si può aggiungere l'epoca del tempo, in cui
quello viveva, ed era celebrato per uno de’ sostegni del popolo
Romano, ed in cui sono fissati i natali di que- sto, e dal tutto insieme
ne risulterà un grado di probabilità non del tutto dispregevole,
per credere, che il sudetto Cajo Mecenate potè essere l’Autore del nostro
Cilnio . Potrebbe la nostra assertiva essere smentita da una
antica Iscrizione riportata da Dionisio Lambino ( i ) nella quale si
parla di Mecenate figlio di Lucio ; poiché se questa avesse rela-
- ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat. £ 7 ni us praeterea
Marnioris antiqui testimo— nium producala, quod Romae visitur in
Aedi- bus Fusco aura e regione aediurn Farnesia- rum, in quo haec
sunt incisa . Lieertorvm et Libertarvm C. Maecenatis .
R. F. Pontif. Posterisq. eorvm Et qvi ad xd tvendvm CONTVLERVNT CONTVLEIUUT «
*9 zione al nostro Mecenate, sarebbe stato figlio di Lucio
Mecenate, non di quel Cajo da Cice- rone accennato . Ciò non ostante pare
che un tal documento non Taiga, nè a somministrare schiarimento
sull'oggetto, di cui si parla, uè a distruggere la detta nostra assertiva,
i. peri hè non costa, che quella Iscrizione seco porti un carattere
di sicura autenticità ; a. perchè non si conosce dal contesto della
me- desima l’epoca del tempo, in cui fa incisa, né a qual Cajo
Mecenate debba riferirsi . Ve- niamo ora alla Stirpe del nostro
Cilnio. Gli Autori antichi, e moderni, tutti li Com-
mentatori di Virgilio, di Orazio, di Proper- zio, ed altri si sono divisi
di opinione nel fis- sare la nobiltà della discendenza di questo
grand’Uomo . Orazio ('i) Properzio (a) ed anche Marziale ( 6 ) chiaramente
hanno scritto, (i) Od.j.Lib.i. Maecetias atavis edite Regibus, O et
praesidium, et dolce decus rneum! Maecenas eques Etrusco de
sanguine Regum, Intra fortunam qui cupis esse tuam . ( 3 )
Lib. la. Epigr. 4. Quod Fiacco, Varioq.fuit,summoque Ma-*
roni Maecenas atavis Regibus ortus eques . B a Od. ug. lib. 3 .
Tyrrliena Regum prò genies, (2) Lib.3.Eìeg.7. 30
che egli era di stirpe reale . IlTorrenzio ( t) Commentatore di
Orazio, descrive una linea genealogica degli Antenati reali di quello,
e crede, che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli Etrusci. Acrone ('a)
altro Commentatore an- tico di Orazio è dallo stesso sentimento, «
fa seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’ Albinovano ^ 3
), e dal Beroaldo Commentato' re di Properzio ; anzi quest’ ultimo
suppone, che discendesse dal famoso Porsena parimente Re de’
Toscani . (4^ Al contrario Dione Cassio, ( 5 j e Vellejo
( 1 ) Comment. ad Od. 1. lib. 1. Horat. An- tiquis Regibus
prognate: cui Menodorus Pater, Menippus Avus, Cecinna li ex
Etruscorum fuit A t avus . (2) Comment. ad Od.i. Lib.r.
Horat. Edite Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab
Etruscis Regibus, et contempsisse Seuatoriam dignitatem .
Eleg. in obit. M.. Rcgis eros genus Etrusci, tu
Caesaris olim Dcxtera, Romanae tu vigli Urbis eros,
(4) Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de sanguine Regum : quia
fuit oriundus a Porse- na Rege Etruscorum . ( 5 ) Lib. 19.
pag. 534. Reliquas res non Ro- mae modo, sed per totani Italiam
Co* Patircelo (t), benché spesso parlino del me- desimo non
gli attribuiscono un origine reale, ma lo caratterizzano soltanto per un
indivi- vuo di ragguardevole e splendida famiglia . Il Dacier (2)
poi, ed il Pallavicini ( 3 ) sono d’avviso $ che dalle indicate
espressioni di Orazio, di Properzio, e di Marziale non può con
certezza dedursi, che frà le vene del nostro Gilnio scorresse un regio sangue ;
giac- ché è noto altronde, che le parole Re, e Re- gina, nel senso
de’ migliori Autori, segna- tamente Poeti, spesso significano Signori
po- tenti, Uomini, e Donne di qualità, e distin- zione ; e cosi
aveva ancora in sostanza pensa- to il Porfirione prima de' sudetti Dacier, e Pallavicini
. Riguardo ai Poeti contempora- nei però non tutti han parlato
sull'oggetto ip questione, come. Properzio, ed Orazio . li Poeta di
Mantova più d’una volta si volge col discorso a Mecenate nelle sue
Georgiche, ep- jus Maecenas, equestris dignitatis vir admi -
nistravit . (1) Lib. 2. art. 83 . Tum Urbis custodiis
praepositus Cajus M. equestri, sed splendido genere natus. (2)
Annot. crit. sopra Oraz. Canzon. di Oraz. pag. i 5 i. (4) Comment.
ad Od.i Horat. M., ait, atavis Regibus editus, quia Nobilibus
Etruscorum ortus sic . lì pure non Io ha mai decorato
di nna reai prò-» sapia• La diversità di queste opinioni
potrebbe ini qualche guisa conciliarsi, se, come si è so- pra
accennato, sussistesse realmente ciò che abbiamo veduto asserirsi dal
Poeta Silio Itali- co nella seconda guerra Punica . Impercioc- ché
si è in quel luogo rimarcato, che quel Cilnio fatto prigioniero nella
battaglia del Ti- cino non è chiamata di stirpe Regia; e che quel
Mecenate, che mori posteriormente presso Canne era celebrato per li
Scettri To- scani . Nella verità di questi fatti potrebbe
(i) Georg lib. i.vers.i. e seq. Quid faciat laetas segete s, quo
sidere terram V ertere, Maecenas, ulmisq. ad/ ungere vites
Conveniat Hinc cane re incip iam . Lib. a. vers. 40. Tuque ades inceptumque una
decurre laborem Maecenas pelago que volens da vela petenti Lib. 3 .
vers. 40. IntereaDryadum sylvas, salt us que scquamur
Intactos, tua, Maecenas, haud rnolliajussa Lib. 4 vers. i-
Protinus aerii melili, coelestia dona Exequar, hanc etiam, Maecenas,
excipe partem . Digitized byGoogle
aà dirsi, che Orazio, Properzio, Marziale, e gli altri,
che danno al nostro Cilnio una Regia discendenza, lo abbiano fatto
derivare dal se- condo ; e che Virgilio, Dione, Vellejo, e gli
altri segnaci dell' opposto parere nbbian fissato per Capo della sua
famiglia, o per uno de’ snoi Antenati il primo . Si è
disputato ancora in qnal’epoca, a qua- le degli Antenati del nostro
Cilnio, e per qual motivo venisse aggiunto il nome di M.. Riguardo
all’ epoca, nell’ anno 450. di Roma la famiglia de’ Cilnj ancora non
portava que- sto nome, conforme si è osservato da Livio .
Ottantotto anni dopo, cioè nel 538. si comin- cia a vedere in quel
Mecenate, che mori pres- so Canne, sempre però sull’autorità
poetica del surriferito Silio Italico * Nell’anno 66a- trovasi in
Roma già celebre, e rinomato in quel Cajo M. encomiato da Cicerone .
MeibomiO (t) riporta un frammento del Libro terzo delle Storie di
Sallustio, estratto da Servio Commentatore di Virgilio, in cui si
fà menzione del famoso Sertorio, e di un Mece- nate Segretario del
medesimo . Sertorio morì (i) Jn Vit. M.. Praeloqi adlect.
Ex-^ tot Sallustii fragmentum apud Servium adLib. X. Eneid. Virg.
ex Histor. illius lib.g „ Igitur, inquit, discubuere Sertorius inferior
in medio, tuper eum Lucia s F alias Hispaniennt S* notar 34,
„ nell’anno di Roma 68a. Terenzio Varrone, che viveva, e
scriveva nell’ epoca istessa, in cui mori Sertorio, fa uso ancora esso
nelle sue opere della parola Maecenas {i) e di cui si tornerà in
appresso a parlare . Da tuttociò sembra chiaro, che nel settimo Secolo di
Ro- ma già fosse commune alla sudetta famiglia il nome di M..
Ma riguardo a conoscere a quale degli Ante- nati di Cilnio, e per
qual motivo fosse aggiun- to quel nome, il Martini ingenuamente
con- fessa, e si protesta, che il tutto è involto nelle tenebre, e
nella incertezza, (a) Ag- giunge però che se fosse lecito di
promuovere sn questa sconosciuta materia qualche rifles- sione, che
possa aver luogo, non già sul ve- ro, o sul verisimile, ma sul possibile,
si po- sa: Proscriptis ; in summo Antonini, et infra Scriba
Sertorii Versius, et alter Scriba Mae- cenas in imo . (i) De Ling. Latin.Lib.7. in fin. (a)
Lexic. Philolog. art. Maecenas. De ori- gine nominis nihil certi, et *'ix
aliquid proba- bile dici potest ; quia certum est, esse nomea
proprium,nec vcrum satis certum mihi qui - dem est, cujus linguae vox sit,
et historia de - stituor cui, et ex qua causa primum juerit im-
posi tum . Addo, quod ctiam de vera scriptum dubitai ur .
Digiti?ed iS trebbe dire, che la voce Mecenate è un
voca- bolo Etrusco derivante dall’ idioma de’ Caldei, dalla qual
nazione gli Etrusci hanno avuta la loro origine ; primieramente, perchè
la fles- sione di detta voce seco porta un non so che di straniero
; in secondo luogo, perchè li nomi de’ Caldei si solevano
ordinariamente prendere dalle forze naturali degli oggetti mo- rali,
dalle facoltà, dalle azzioni, e dalle passioni . Il Catrou è
d’avviso (a) che con Tantorità di Varrone, e di Plinio possa trovarsi
nn qualche schiarimento per sapere, come fosse dato un tal nome
alla famiglia de’ Cilnj . Se- condo quello, si rileva dal succennato
Te- renzio Varrone, li nomi degl’ individui, che finivano in as,
significavano qualche luogo (i^ Loc. cit. Si licei aliquid de
hujusmodì prorsus incognitis dicere, quod ncque inter vera, neque
inter verisimilia, sed tantum in- ter possibilia ponantur, sit nomen
Etruscum, ex Caldaea(inde enim Etruscis est origo ) prae- sertim,
quia forma flexionis peregrinitatem sapit . Nomina autem fere a
naturalibus viri- bus, a ut a moralibus objectis, facultatibus,
actionibus, aut passionibus imponi consueve- runt, tamquam monumenta
quaedam de iis, quae rebus insunt, vel adsunt, vel ab eis sunt
. particolare dell' individuo medesimo (i\ Pli- nio poi ci avverte,
che fra li vini scelti dell* Italia erano celebrati quelli ancora, che
si raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a) : perciò conclude il
detto Storico, che il no- me di Mecenate provenisse a quella
famiglia da qualche terra, o possessione alla medesima spettante .
Ma, ad onta di tali dilucidazioni, sembrando la cosa tuttora incertissima,
se- condo il sullodato Martini, dobbiamo soffrire una tale
ignoranza senza sgomentarci, e con quella docilità, e rassegnazione j con
cui soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di tante altre materie più
interessanti. Potrebbe qui aggiungersi ancora una qual- che
riflessione sulla formamateriale della paro- la Maceenas, ed esaminare se
debba scriversi (i) Loc. cit. Hinc quoque dia nomina Le* nas,
Ufcnas, Lavinas, Maecenat, quae cum essent a loco, ut Vrbinas, et tamen
Urbi - nas ab his debuerunt dici ad nostrorum nomi - num
similitudincm . In Mediterraneo vera Caesenatia, ac M. ( vina ) ;
In Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a Virgilio.
(3) Loc. cit. Qui enim multo potiora pa- tte nter ignorarmi!, edam
et hoc, et similia, •ine pudore possumus nescire . con il dittongo
nella prima, o nella seconda sillaba, se in ambedue, o se debba
leggersi senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo potendo
presentare una discussione, o estranea, onojosa, rimettiamo gli Eruditi al
ci- tato Lambino, il quale ne’Commenti alla pri- ma Ode di Orazio
ne ha parlato con precisio- ne, e dottrina. Il Lamiino nel commentare la
parola M., che leggesi nell’Ode i.del i.lib. di Orazio, tosi
sviluppa il punto da noi succcn- nato, In omnibus fere manuscriptis
Codicibus, quibus usus sum, nomea Moecenas scri- ptum reperi et in prima,
et in.secunda sylla- ba sine diphthongo ; quam scripturam tametsi
non probe m omni ex parte, sequor in eo ta - men, quod secunda per e
vocalem, non ut vulgo per oe diphthongum scribitur . Adjuvat me
Codex Orationum M.Tullii Ciceronis calamo exaratus in Cluentiana, quo
loco scriptum etiam est hoc nomea sine diphthongo in utraque
syllaba . J am vero quod ad primam attinet Graecorum auctoritate moveor,
apud quos M aiKnya( per ai diphthongum scribi solet in va syllaba,
ut in secunda per v quae vocalis Ver ti tur in e longum . Quia JElianus, qui cum Romanus esset graece
scripsit lib.XlI. «/ «f hanc scripturam retinet
. Praeterea apud Publium Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia»
Dopo di aver raccolto le descritte notizie ; e prodotto quelle
poche riflessioni finora ac- cennate sulla stirpe, sulla patria, sull’
au- tore del nostro Cilnio, e su tutt’altro relativo al suo nome,
sembra, che ornai dobbiamo occuparci sulla relazione delle sue geste,
e de’ suoi costumi, e sulla Storia della sua vita ; ed in primo
luogo dovremmo parlare della sua educazione, sotto quali maestri, ed in
quali Accademie venisse istruito ; ma su di ciò man- cando notizie
sicure, qual vantaggio potrebbe ricavarsi da congetture vaghe, ed
inconclu- denti, da riflessioni possibili, o estratte dal fondo di
un immaginario probabilismo ? Ciò non ostante si pnò dire, che
l’educazione di M. fu proporzionata, ed uni- forme al rango, che li suoi
Maggiori occupa- vano nella società, e nella classe de’ cittadini
Romani . Fornito dalla natura di non ordinarli talenti, ebbe tutta la
cura di svilupparli, al- lorquando fu adulto, perchè non erano
stati oziosi, ed incolti nella sua adolescenza . Ma se egli venisse
istruito in Roma, o altrove, e quali fussero li Dotti, cui venne affidata
la sua letteraria educazione, s’ ignora piena- mente .
Crede il Cenni, che Mecenate fosse man- na»! de Accent. in
Exemplaribus Aldinis, sine ulta varietale perpetuo ita scriptum, est
hoc nomen . dato in Apollonia, allora Città
ragguardevole della Macedonia ; suppone inoltre * che men-
tre quivi attendeva alle scienze, vi si trovas- sero ancora per lo stesso
oggetto Marco A- t grippa, ed Ottavio Cesare, e che in tale oc-
casione si stringessero con i dolci legami dell’ amicizia, o almeno
facessero unà reciproca conoscenza. Sembra però, che questa circo-
stanza non sia stata accennata da verunAutore antico ; nè il Meibomio, ed
il capriccioso Caporali, ne’ scritti de quali attinse il Cenni la
sua supposizione, sono forniti di qualche autorità valevole, e
concludente . Quello, che può asserirsi con qualche cer-
tezza, e che risulta dalle opere di Dione, di Appiano, di Orazio, e di
Properzio, si è che il nostro C. Cilnio Mecenate, se non divenne
amico di Ottavio nell’ epoca de’ loro studj, di buon’ ora cominciò la
carriera de’ servigj, e consigli da esso a questo sommi* Bistrati
fino all’ ultimo respiro della sna vita. Ottavio venne in Roma,
dopoché Giulio Ce- sare suo padre adottivo fu dai Republicani pu-
gnalato Egli seppe la disgustosa notizia nella sudetta Città di Apollonia
( i ) . Aveva allora appena oltrepassato il quarto lustro di sna
vi- ta, e correva l’anno di Roma 710. Giunto in » quella Capitale,
diede subito saggi manifesti Sveton. in Octavio art.8 e io Naucler.
Chronog. ad au. 7*0 Tom.j pag. 483. * 3o
di una grande elevatezza d’ ingegno, e benché in età giovanile, di
nn senno maturo • Comin- ciò a procacciarsi la puhlica opinione, la
sti- ma de’ Grandi, l'affetto della Plebe, e dei Soldati . In tale
occasione, ed in tale epoca sembra potersi stabilire, che Mecenate
en- trasse nella Corte di Ottavio, e che questo lo prendesse per
Consiglierò de’ suoi progetti, e delle sue future intraprese .
Dopo la morte di Giulio Cesare, Marco An- tonio governava, per dir
cosi, dispoticamen- te la Republica Romana, conciosiachè egli aveva
tptta 1* influenza, e sul Senato, e sul Popolo, e snU’Armata . Ottavio
fece istanza presso di esso, affinchè, come Erede Testa- mentario
di quello, gli venissero consegnati quegli effetti, che gli erano stati
nel Testa- mento lasciati . f Antonio, poco curando la tenera
età del medesimo, accolse piuttosto con disprezzo la di lui giusta,
e regolare dimanda . M., che allora già trovavasi al fianco di Ottavio,
non maucò di consigliarlo a sopportare con cal- ma, e rassegnazione P
ingiustizia, e T insul- to del prepotente Romano, e nel tempo
stesso gli fece conoscere, che bisognava momenta- neamente
abbracciare la causa del Senato, stantechè da tutte le circostanze
scorgevasi im- minente una guerra Civile . 11 Senato
proteggeva l’attentato commesso dagli uccisori di Giulio Cesare, ed
Antonio 3i ' aveva inalberato lo stendardo
guerriero con- tro di questi . Ottavio, come figlio adottivo del
famoso Dittatore pareva, che dovesse unir- si ad Antonio, e secondare le
mire del mede- simo, ma Mecenate da previdente, ed accor- to
Politico credette, che dovesse per allora uniformarsi ai voleri del primo
. In fatti il Senato, per opporlo all’ambizione del sudetto Antonio,
cominciò a fargli mille buoni uflìcj, ed a colmarlo di onori, e di
carezze . Intanto questo faceva la guerra a Decimo Bruto uno degli
assassini di Giulio Cesare, che assediò in Modena . Allora il Senato
incaricò li Conso- li Panza, ed Irzio a marciare con un’Armata
contro il nemico del sudetto Decimo Bruto, ed Ottavio fu ad essi
associato in tale spedizione . Questa guerra fu fatta con
differente suc- cesso, nè l’impresa di Antonio potè cosi sol-
lecitamente reprimersi; ma lilialmente in una battaglia campale fu egli
completamente di- sfatto, fu levato l’assedio di Modena, e Bru- to
liberato, mercè li talenti militari di Otta- vio, al quale fu attribuita
la maggior gloria di quella giornata ; in essa vi morì il Consolo
Irzio, e Vibio Panza mortalmente ferito eb- be tempo di parlare ad
Ottavio, lasciandogli salutevoli istruzzioni, e consigliandolo
segna- tamente ad unirsi con Antonio . Questo fatto storico
si pone all’anno di Ro- ma 711. epoca, in cui Oitavio correva
nell’an- no vi^esimo primo della sua vita, e Mecenate
3a parimenti nel fiore della sua gioventù, ed in età di circa
venticinque anni, già stava al sho servizio . Abbiamo di ciò ne’scritti
di Proper- zio un argomento di certezza, che pare non possa
incontrare eccezzione . Imperciocché il sndetto Poeta, uno de’più cari
amici di Mece- nate, scrivendogli una robusta, ed elegante Elegia,
gli dice, che se avesse talenti da po- ter cantare gli Eroi, non
canterebbe già li Ti- tani, e la loro guerra contro Giove, allor-
quando ammonticchiarono le montagne di Pe- lio, ed Ossa, non canterebbe
neppure le bat- taglie degl'antichi Tebani, o l’ Incendio di Troja,
il primo Regno di Romolo, l’ardimen- to della superba Cartagine, le
minaccie de’ Cimbri, e le vittorie di Mario ; “ Ma cante-,, rei (
soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece- », nate, le guerre, e le azzioni
illustri del », tuo Cesare, e mostrerei, che in tutte le „ sue
imprese, tu occupi il posto secondo . », Canterei la guerra di Modena, le
tombe „ degli estinti presso la Città de’Filippi, la „ guerra di
Perugia, la battaglia di Azio, e », la conquista dell’Egitto (i).
( t) Lib. a Eleg. i . Quod mihi si tantum, Matcenas,fata
dedissent, V t possem Heroas ducere in arma manus ; Non
ego Titanas canerem, non Ossan Olympo hnpositum, ut Coeli Pelion
esset iter ^ Ora se M. non fosse stato già al fianco, ed al servizio di
Ottavio nella guerra ‘di Modena, il Poeta non avrebbe detto, che
quello nelle imprese di questo occnpavadl pò* sto secondo, e facendo la
serie di tali impre- se, non avrebbe descritta per la prima la su-
detta battaglia di Modena . Properzio voleva fare un elogio al suo
Protettore, al suo Ami- co, al suo Benefattore, ma questo elogio
non sarebbe stato giusto, e veritiero, se realmen- te Mecenate non
avesse avuto il posto secon- do, ossia, se non fosse stato il Consiglierò
di Ottavio fin dall’epoca sudetta della liberazione di Modena. Dal
che sembra potersi dedurre altra valevole congettura, onde credere,
che quello entrasse nella Corte di questo nell’anno Non
veteresThebas,necP er gama nontenHomcri ; Xersiset imperio bina
coiste vada ; Regnane prima Remi, auC animos Carthaginis
altae, Cymbrorumque minas, et benejacta mari . Bellaque,
resque fui memorarem Caesaris, et tu Caesare sub magno cura secunda
jòres . Nam quoties Mutinam, aut civiltà busta Phi - lippos,
A ut canerem Siculae classica bella fugae, Aut canerem Aegyptum, et
Nilum cum tractus in Urbem Septem captivi! debilis ibat aquis
. precedente 710. conforme
abbiamo accennato pocanzi. Ad onta della perdita dei due
Consoli Ir* sio, e Panza, la surriferita vittoria riportata contro
Marco Antonio ricolmò di gioja Roma, ed il Senato . Allora fn, che
Cicerone si sca* tenò contro di quello con tutto 1'entusiasmo della
sua maschia, ed inimitabile eloquenza . Quc* Senatori, e quella porzione
di Popolo, che nutrivano ancora un qualche sentimento per il
Governo Rcpnblicano, ascoltavano con estasi, ed ammirazione li fervidi
discorsi di quell’ Oratore, ed aderivano ciecamente ai suoi voleri
. Infatti Antonio fu proscritto > fu risoluto di continuare la guerra
fino al di lui esterminio, furono destinate le Armate, scel- ti li
Generali ; eppure questa volta, nelle nuove disposizioni marziali, non si
fece men- zione di Ottavio, benché ad esso fosse dovu- to tutto
l’esito vantaggioso della passata Cam- pagna . Il Senato era
già divenuto geloso della glo- ria di quello, col non curarlo voleva
umiliar- lo, ed abbassare l’orgoglio, che le già ese- guite
favorevoli Imprese avevano potuto inspi- rargli . Ottavio, e M. conobbero
in tal .congiuri tura la condotta poco lodevole, e di- sobbligante
del Senato . Allora memore il pri- mo delle istruzioni ricevute dal
moribondo Consolo Panza, e penetrando il secondo nell’artificiosa
politica di quello ± determina* Digitized by Google
H rono di procurare una riconciliazione cqn, il detto Marco
Antonio. Il progetto esigeva una somma precauzio* ne, ed ima
impenetrabile segretezza, ma ni uno poteva maneggiarlo più
vantaggiosamen-* te di Mecenate, che, fra le altre sue virti»
politiche, possedeva in particolar maniera quella del segreto, conforme
narrano Sesto Aurelio Vittore (i), ed Eutropio (a). Ottavio
nella guerra di Modcaa aveva fatto ad Antonio molti prigionieri * Per
dare prin- cipio alla riconciliazione, gli rimandò li pii distinti,
e ragguardevoli . Fra gli altri vi era Decio, brava persona, e molto
affezionata al suo Padrone ; anche a qnesto concesse la li- bertà.
Decio separandosi da Ottavio, gli ri- chiesi, che cosa doveva dire ad
Antonio “ Di- „ te ad Antonio da mia parte ( rispose Otta,. „ vio )
che io credo aver egli tanta penetra- „ zione per interpetrare la mia
condotta . Se,, nulla ha compreso, sarei imprudente 4 » spiegarmi più
diffusamente „ . Intanto Ottavio, e Mecenate fissarono la
loro attenzione sull’indicato Marco Tullio Ci- l (1) In
Epit. de Vit. et Morib.Imper.Romao, Cap. 1 . In amicai fidai extitit (
Augustus ), quorum praecipui erant ob taciturnitatem Mac* cenas, ob
patientiam laborit, modestiamque, 4grippa ... ... (a) Lib. 7
in Augusto. C a *6 cerone, penetrando con
la loro previdenza, che bisognava cattivarsi l’animo di quell'Ora-
tore . Imperciocché egli aveva in quell’epoca un dominio irresistibile e
sullo spirito del Popolo, e sul cuore de’Romani Senatori . Ot-
tavio dunque onde ottenere l’intento gli scris- se una lettera in tali
termini concepita Io,, sono giovane e quasi privo di esperienza „ negli
affari ; sarò occupato tutto il resto £, dell’anno a perseguitare Antonio
nostro nemico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto,, solo in Roma
coll’autorità, che danno li,, Fasci Consolari, avrete il tempo, e l’occa-
„ sione di ristabilire lo Stato Republicano, „ ed uguaglierete la gloria
del vostro secondo „ con quella del primo Consolato ( i ),, .
Tullio benché avesse tutti i lumi del più grande Letterato del suo
Secolo, non aveva quella finezza di politica, di cui era feconda la
testa di Mecenate . Egli cadde nella rete; credè sincera la deferenza, e
la dichiarazio- ne di Ottavio, e cominciò ad encomiarlo, e
proteggerlo in publico Senato ; che anzi ebbe anche il coraggio, o
piuttosto la debolezza di proporre, che gli venisse conferito il
Conso- lato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio), o „ Padri
Coscritti, non ha ricevuti da Voi l’e- », rede del nome, e de'beni di
Giulio Cesa- *•, Dion. lib. 46 Piotare, in Cicer. Catrou Tom.
17IU). 4, £ j/ re ? Poco accorti nelle nostre risoluzioni,
noi non cessiamo d’irritarlo senza riflette- „ re, che egli comanda a
Legioni vittorio- „ se. Perchè non procuriamo di calmarlo? „
Sebbene giovanetto aspira al Consolato, e „ potrà ottenerlo malgrado la
nostra ripu- „ gnanza . Contentate le sue brame per gli „ onori .
Nell’età, in cui sì trova, questa „ brama è più vivace, che in tempo
della >, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa di „ ottenerlo
prima del tempo dalla Legge pre- scritto . In ciò però è necessaria una
limi- si fazione. Date al giovane Ottavio un Colle- » ga di età
matura, che gli sia di guida, e „ maestro . Questo reprimerà il fuoco di
quel* „ lo, e l’amministrazione della Republica sa- „ l à al sicuro
sotto il primo, mediante i con- „ sigli dell'altro (i)„. Non
ostante la potente influenza di Cicero* ne, le sue premure per Ottavio
non ebbero alcun effetto vantaggioso, mercè l’inalterabi- le
fermezza del Senato . Li Padri Coscritti co- noscendo, che una tale
richiesta trovavasi in opposizione con le Leggi fondamentali dello
Stato, stante l’età di Ottavio, non potevano realmente secondarla ; ma
questa ragione pian* sibile poco forse avrebbe operato in un tem-
po, in cui le Leggi Repnblicane erano inope- rose, e senza vigore, ed in
coi l’antica Co- (a) Appian. lib. 3 Catron loc. cit.
ÌLxìob. «api >*>«■ >“ a . in,ln '' ”f "V La ma^eior
parte de’Membn componenti il Se- “no allora, o compiici de»
aa.amo.0 ai celare, o aderenti ai medesimi . Temeva. *0 pertanto,
che, sollevando ad un grado di potenza coli eminente l’Erede di qnelk,, |
P£ irebbe avere i mezzi, e trovarsi m «tato di vendicarne la
morte •, j Ottavio adunque, vedendo, che con le buone non
poteva ottenere il Consolato, cer- có altre risorse più efficaci ;
scrisse diretta mente ad intorno . preveneodolo dell, neon-
ciliazione . Questo, che aveva avuto già qual- che sentore di una tale
disposizione di animo di quello, e mediante il rinvio de pronte- ri
e le parole dette a Decio, accolse con trasporto le lettere del suo
rivale, ed il pro- getto, che gli faceva ; Incontanente si diè
tutta la premura di dargli esecuzione . 11 pri- mo passo che fece, fu
quello di riunirsi con Marco Lepido, Soggetto anche esso poco be-
Questo allorquando ebbe la notizia dell u- nione di Antonio con Lepido,
fremè di rat bia, e deliberò di disfarsi di ambedue . Per lo che,
supponendo che Ottavio fosse reai, mente nemico dell'uno, e dell’altro,
lo inca- ricò di marciare all' istante con le sue Leeoni
contro qne’due ribelli . - . . . « Ottavio mostrò, o
piuttosto finse di uhM*. re, ma li veri suoi disegni erano gd
altrog' Digitize in Roma, e con una Armata bellicosa,
non eb- bero più vigore, costanza, e coraggio di prò* seguirla .
Bruto, Cassio, e tutti i complici degassassimo di Giulio furono
condannati, e proscritti con decreto solenne di quello stesso
Senato, che pocanzi aveva spedite Legioni, Armate, Consoli, ed il
medesimo Ottavio in «)nto di essi . Intanto Antonio, che era
già in una piena corrispondenza con Ottavio, si dxè premura di
prevenirlo, che il partito de’Republicani si andava ingrossando nelle
Provincie della Gre» eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò
era tempo di abbandonare Rema,ed unitamen- te marciare contro di quelli
. Ottavio profittò di questo avviso per poter prendere le
necessarie precauzioni . Egli do- veva ancora occultare al Senato la
seguita ri- conciliazione, e corrispondenza con Antonio, e perciò
ebbe ancora bisogno di circospezione, e di quel segreto impenetrabile, di
cui era capace il solo Mecenate . Per secondare il Collega, e
per imbrogliare al tempo istesso la testa de’Senatori fece spar-
gere la .notizia allarmante, che M. Antonio, e Lepido^meditavano di
marciare alla volta di Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava
cosa urgentissima di uscir contro di essi, e combatterli ; Il Senato
credulo, ed ingannato prestò fede alle voci diffuse, ed alle
rimostran- ze di Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par»
4 * tire da Roma, ed opporsi agli avanzamenti j ed alle
supposte minacele di quelli . .. : Non bastava però tuttociò alla
penetrante politica di Mecenate, e del suo Padrone * Vo- levano,
che il Senato rivocasse, e cassasse il Decreto di proscrizione emanato
contro de’ sudetti Lepido, ed Antonio . Restò in Roma Luogotenente
di Ottavio Quinto Pedio, per- sona totalmente consagrata alli suoi
interessi „ Egli fu incaricato di ottenere la revoca sndet- ta, ed
è probabile, che della medesima ope- razione delicata fosse a parte
ancora Mecena- te . Si fece riflettere al Senato, che, cassan- do
qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di clemenza, e di generosità
capace a spegnere nella sua origine il fuoco di una guerra civile,
ed a calmare la collera, ed il risentimento de' due Colleghi . Il Senato
si fece vincere, ed il sovraindicato Decreto di proscrizione fu an-
nullato . Ricevuta Ottavio questa notizia consolante ne
prevenne con la massima sollecitudine Le- pido, ed Antonio ; allora
questi, e quello si avvicinarono con le loro Armate respettive, e
stabilirono un Congresso . Uua Isolctta for- mata sul piccolo fiume Reno,
che scorre tra Modena, e Bologna, fu scelta per il luogo memorabile,
in cui li tre Guerrieri dovevano unirsi a parlamentare . L’abboccamento
durò più giorni, il di cui risultato fu lo stabilimen r to del
celebre Triumvirato, mediante il quale 4 » yenne
scagliato un colpo mortale alla Costitu- zione Republicana, e venne
immaginata la proscrizione troppo nota, e funesta, nel vor- tice e
negli orrori della quale fu involto anco- ra il riferito Marco Tullio
Cicerone (i) . Dopo qualche tempo Antonio, ed Ottavió
marciarono a grandi giornate contro Bruto, e Cassio, e si trasferirono
con le respettive Le- » gioni nella Macedonia incontro all’Esercito
de’ Repnblicani . È troppo conosciuta la sorte in- felice di questi
nelle Campagne di Filippi per non essere costretto a tesserne la storia
dolen- te, e che sarebbe fuori del mio assunto . La vittoria si
dichiarò a favóre de’Triumviri, e Bruto cadde estinto, non già da ferro
nemi- co, ma con un disperato suicidio si sepelli da se stesso, per
dir cosi, tra le ceneri della spirante libertà Romana. In
questa battaglia si trovò ancora il Poeta Orazio Fiacco, di cui già si è
fatta menzione . (r) Piotare, in Ant. pag. 679. Congressi
tres illi in modica Insula amne circumfluo, triduum in colloquio fuere .
De celeris conve- nie inter eos facile, totumque Imperium intcr se
steut patrimonium suum sunt partiti, sed disceptati dcillis, quos
statuerant interficere, detinuit eos .... Tandem fervore in eos,
qui aderant, et cognatorum rtverentiam, et ami - c orum
benevolentiam postniittentcs, Ciceronem teseti Caesar Antonio, - • - •
1 i Amico di Bruto, e fautore del partito Repu-
blicano, seguì quello nelle Campagne di Filippi in qualità di Tribuno. Afferma
il Porfirione (a), che Orazio restasse prigionie- ro ; che in
seguito non solo fosse liberato per intercessione di Mecenate, ma ancora,
che per mezzo di questo si procacciasse il favore, e l’amicizia di
Ottavio . Lo stesso si legge in una Vita di Orazio d’incerto Autore
prodotta da Giovanni Bon (3) . Altri credono di più, che fatto
prigioniero, per opera dello stesso M., venisse liberato immediatamente,
e sul Campo di battaglia . Ma tali assertive so- ( i ) Sidon. Apoi.
in Paneg. ad Major. Et tibi,
F Iacee, acìes Bruti, Cassique stenta Carminis est auctor, qui fuit et
veniae . Sveton. in Vit. Horat. Sello Philippensi
excilus^Horat\xis)a M. Bruta Imperatore, Tribunus Militum meruit .
(a) Presso il Mancinel. in Vit. Horat. Por- phìrion addit, Horatium
captum fuisse a Cae- «are, sedpostea, beneficia Maecenatis, non
solum servatus, sed etiam Caesari in amici- tiam traditus .
(3) Edi*. deli’Opere di Orazio Lug. Batav. an. i663 . Coluitque
adolescens Bruturn, sub quo Tribunus militum militavit ; captusque
a Caesare post multum tempus, beneficio M. non solum servatus, ted etiam
in amici- tiam acceptus est, I H do
smentite dalf autentica testimonianza dellT- stesso Poeta- >.'• ’-n
ed in questa occasione per mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia,
e la protezione di Mecenate . Dopo questa epo- ca pertanto deve
fissarsi quanto scrive Orazio nella Satira testé riferita ; e siccome la
su- detta battaglia presso Filippi, accaduta verso il mese di
Novembre 71 a, (i)è anteriore di molti mesi alla venuta di Virgilio in
Roma, co- sì sembra evidente, che allora Mecenate, che ancora non
aveva conosciuto il detto Virgilio, non poteva conoscere netampoco Orazio,
nè cooperare alla di lui salvezza sul Campo di battaglia .
Orazio adunque fu in primo luogo debitore del suo futuro benessere
alla tenera amicizia di Virgilio, e di Vario, e quindi al nostro C.
Cilnio Mecenate, il quale mercè li buoni uf- fici di quelli, non solo lo
mise nel numero de’ suoi amici, ma vennto in cognizione da se
stesso del raro di lui ingegno per la lirica Poesia, ne concepì tanta
stima, che impetrò per esso il perdono da Angusto, e successiva- De
la Rue Hist. Virg. ad an.7ia. Circa Novembre ni pugnalar ad Philippos in
Macedo- nia, pereuntque Cassius, et Brutiu . 4 *
mente gli procacciò eziandio la sua amici» zia(i e meritava
la di lui affezione . Ancora giovinetta di una beltà superiore all’altre
Da- me Romane era vedova di C. Clodio Marcello, che era stato
Consolo . Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il su- detto
progetto, che gli presentò Mecenate, chiamò la sorella, e la persuase ad
accettare £ 66 la destra di Antonio . La
virtuosa Ottavia non *i ricusò alle premure del Fratello, ed «al
be- ne, che le sue nozze potevano recare alla Pa- tria, ed Antonio
non rifiutò la sua destra. Il matrimonio in fatti segui con reciproca
sodi- •fazione nell’anno 713 ; e M. ebbe il contento di vedere
effettuato pienamente il suo progetto . La gioja de’Romani fu
grande, ed univer- sale, perchè ognuno credeva, che, median- te
questa alleanza di parentela, e di sangue, anderebbero a cessare per
sempre le guerre civili ; e che li due putenti Rivali avrebbero
vissuto in una pace inalterabile (r). Ma li progetti dell’Uomo sono
sottoposti incessante- mente alli capricci, ed alla volubilità
dell’Uo- mo istesso, ed i matrimonj formati dalla Po- litica, rare
volte seco portano una seguela di felici avvenimenti .
Conchiuso il sopradetto matrimonio,li due Triumviri vivevano con
una intelligenza, che giungeva alla familiarità . Si accordavano
Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae an. i564 . Has nuptias suaserunt
ornncs, quod Oetaviam sperarent, quac excellentiae formae
gravitatela, et prudentiam habebat adjun- ctam, ubi Antonio conjuncta
csset, atque ut talis foemina, haud dubie ab eo adamata, omnium
rerum ipsis saluterà, et concordiam al - Laturam „ 6 ?
scambievolmente ciò che l’uno all’altro propo- neva, sempre però a
discapito del Regime re- publicano . Imperciocché stabili rono fra le
al- tre cose, che iu avvenire essi nominerebbero li Consoli, quando
non vorrebbero esercitare eglino stessi il Consolato, togliendone la
elez- zione alle Centurie ; e che, dopo la loro se- parazione,
Antonio farebbe la guerra ai Par- ti, e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo
nel- la Sicilia, ad onta della buona fede, su cui questo si era da
essi separato . Gli amici di questo, saputo il tradimento, ed
il nuovo progetto de’Triumviri non manca- rono di prevenirlo minutamente
. A tale noti- zia Sesto animato da un risentimento naturale, e non
ingiusto, non aspettò a farsi sorprende- re, e facendo uso di una
straordinaria attivi- tà, prevenne li suoi nemici, e diede princi-
pio alle ostilità . Ricopri delle sue Flotte li mari d’Italia, e ne
bloccò tutti li porti, af- famando in tal guisa la Capitale .
La carestia divenne terribile . Romalangui- va dalla miseria, eoli
Romani conoscendo, che la loro penosa situazione era l'effetto della
cat- tiva politica de’Triumviri, cominciarono a mormorare apertamente,
ed accadevano di- sordini, e sollevazioni . Antonio, ed
Ottavio stretti da queste im- periose circostanze, cercarono la maniera
di calmare Pompeo, e di riconciliarsi con esso . Sebbene quello
fosse profondamente penetrato £ a 68 dal
torto ricevuto, ed avesse l’animo irritato contro li Triumviri, tuttavia,
stante l'inte- resse, che avevano preso per la pace Libonc suo
Suocero, e Muzia sua Madre, condiscese a tenere un congresso a Baja, e
come altri vogliono a Miseno (i) . Le discussioni del
Congresso furono lunghe, e spinose, e più d’una volta venne
disciolto per le condizioni che promoveva Pompeo, piuttosto dure,
ed umilianti per li suoi Avver- sar] ; finalmente furono spianate tutte
le diffi- coltà, e fu sottoscritto un Trattato di pace .
Secondo Appiano Alessandrino (2), dopo qualche tempo dalla
conclusione di questa pa- ce, sembra, che Ottavio trovasse il
pretesto di romperla . Forse 1 ’csistenza del Successore del gran
Pompeo attraversava la vastità delle di lui mire politiche, e perciò
cercava la ma- niera, o di umiliarlo all’atto, o anche distrug-
gerlo ( 3 ) . Pompeo anche in questa circostan- za prevenne il suo
nemico. Mandò subito in corso molte navi corsare, che, scorrendoli
mari d’ Italia, intercettavano li viveri per Roma . Ottavio scrive
ad Antonio, prevenendolo della guerra, che andava ad intraprendere
contro di Sesto, e facendogli conoscere, che Appian. Dion. lib. 48.
Appian. loc. cit. 6 vi era stato costretto l Antonio
sorpreso della novità, e più sincero questa volta nell’adem-
pimento del sagro dovere detrattati, nonap- provò le mosse ostili., e
l’intenzione del suo Gallega, e lo consigliò a desistere dalla
medi- tata intrapresa . • . Non ostante la disapprovazione di
quello, Ottavio continuò gl’ incominciati armamenti, perchè nello
stato in cui si trovavano le cose T credeva, che ne resterebbe leso il
suo deco- ro, e compromessa la sua gloria, se retrocedeva, e se avesse
dovuto proporre un accomo- damento al. suo nemico -, ma egli restò
umilia- to dal valore di questo, che disfece pienamen- te la sua
flotta navale, e ne riportò una com- pleta vittoria . Roma frattanto
già sentiva gli effetti funesti del blocco, che nuovamente avevano posto
al- li Porti d’Italia le Flotte vittoriose di Pompeo, e già la fame
cominciava di bel nuovo a disten- dere la sua mano devastatrice sugli
infelici abitanti . Si mandavano al cielo imprecazioni contro
l’Autore di questi mali, e voci 9orde, e dispiacenti si diffondevano
contro del mede- simo nel publico, che venivano avvalorate dagli
amici, e partitanti di Pompeo . Da questa pericolosa, e critica
situazione forse Ottavio non si sarebbe disimpegnato con onore, e
forse non avrebbe superato que pe- ricoli, da quali era minacciato, senza
l’assi- stenza, li consigli, la destrezza, e la politi-
Digitìzed by Google di cui quello facesse uso presso di
questo iu un affare così importante, e delicato ; nè si sà su quali
basi poggiasse la discolpa del suo Padrone nella guerra attuale da esso
continua- ta, nonostante la manifesta disapprovazione del suo
Collega ; ma sappiamo bensì, chel’efc- ficace eloquenza, li talenti
politici, la de- strezza, e le di lui cognizioni rapporto a ma-
terie diplomatiche prevalsero a tutte le ragio- ni, che fino allora
avevano reso Antonio neu- trale . Che anzi Sesto Pompeo
naturalmente non aveva mancato di profondere dell’oro, e de’
presenti presso li Ministri, e nella Corte di Antonio, non aveva
trascurato d’inviargli De* putati, ed Oratori, architettar cabale, e
pro- fittare di ogni risorsa per indurlo ad unirsi se* co lui
contro il dominatore dell’Occidente, o almeno per ritenerlo costante
nelPabbracciato sistema di neutralità ; ma l’arrivo, e la pre-
senza di Mecenate nella Grecia, in Atene, e nella Corte di Antonio
sconcertò tutte le pre- cauzioni, fece andare a vuoto tutte le
mano- vre, e tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché per- suaso
Antonio, che Ottavio aveva operato giustamente, e che il torto era dalla
parte di Pompeo, fece lega con quello, e si dichiarò eontro di
questo (i). Con si felice succèsso ultimato l’affare, M.
. A ( 1 ) Appian. loc. cit. 7 a ] non
tardò nn momento a ragguagliarne con esattezza il suo Padrone, sapendo,
che doveva esser agitato da una penosa folla di cu- re, e di
pensieri molesti. Ottavio infatti sa- peva, che la salvezza de’suoi
interessi, della sua gloria, ed anche della sua vita, dipende- va
dall’impresa, che M. si era addos- sata, e che tutto sarebbe perduto, se
la fedel- tà di questo Ministro non fosse stata incorrut- tibile;
perciò, in attenzione dell’esito della sua missione, de’suoi progetti, e
delle sue tratta- tive, lo stato del di lui cuore non poteva es-
sere il più felice, perchè scosso quindi, e quinci da tutte quelle
moltiplici impressioni, che sogliono mettere in movimento in simili
circostanze la dubbiezza, il timore, e la spe- ranza ; ma ricevuta la
notizia consolante, pri- mieramente in iscritto, e quiudi a viva
voce dallo stesso Mecenate, che, tornato in Roma, gli presentò il
Trattato con Antonio conchiuso, Ottavio si consolò, bandi ogni
sollecitudine affligente, e conobbe appieno, che l’abilità, li
talenti, e piu la fedeltà di un Ministro vir- tuoso possono alle volte
salvare uno Stato, e recare un bene inestimabile al Principe, ed
alla Nazione . In seguito diede principio a nuovi prepara-
tivi militari, affinchè con questi, e col soc- corso, che Antonio gli
avrebbe recato, po- tesse rimuovere il blocco dai porti d'Italia, ricondurre
l'abbondanza nella Capitale, e mi- surarsi nuovamente col sua rivale
. Antonio intanto, fedele alle promesse fatte a Mecenate, ed
al trattato conchiuso, parti da Atene nella primavera, con una
flotta di trecento Vascelli, ed approdò a Brindisi, ove era
ilquartier generale di Ottavio . Non ostante le premure, e
l’impazienza di questo in avere il bramato soccorso, sembra, che
appena si avvicinarono le due Armate, na- scessero dissapori, e
diffidenze fra li due Triumviri. Il motivo di questa strana muta-
zione resta ascoso sotto il velo di quegli ar- cani, che la politica, e
l’ambizione rendono imperscrutabili, seppure non debba dirsi, che
fu effetto di gelosia di stato. ' Antonio già pensava di ritirarsi,
e forse con sinistri disegni contro il Collega ; già le reci-
proche contestazioni erano giunte a tal segno, che si presagiva una
manifesta rottura, se non fosse divenuta mediatrice Ottavia sposa di
An- tonio, e se non si fossero trovati al campo Mecenate, ed
Agrippa, altro Favorito, e Mi- nistrò di Ottavio . i, .b
Quella donna virtuosa non omise alcun mez- zo per dileguare
dall’animo del fratello qua- lunque sospetto, che potesse nutrire
contro del marito, ma sebbene da qdello venisse ac- colta con ogni
dimostrazione tutte le volte, che andò presso di esso, tuttavia non
ebbo mai alcuna risposta precisa, e consolante . 74
Impaziente però dell’esitck nella intrapresa mediazione, si
rivolse ad Agrippa, e a Mece- nate, conoscendo la grande influenza, che
ave- va, segnatamente il secondo, sullo spirito di Ottavio . Perciò
essendosi portata da essi, animata da quel vivo entusiasmo, che le
veni- va inspirato dal doppio amore, e zelo del ma- rito, e del
fratello, cosi si espresse “ Otta- „ via, che vedete avanti di voi,
benché nel „ più alto rango, a cui possa giungere una „ donna, sarà
per ritrovarsi ben tosto nella „ situazione la più deplorabile, se i
vostri „ consigli non prevengono i mali, che essa „ paventa.
Sorella di Ottavio, e moglie di^ „ Antonio, Roma, l’Italia, e le Armate
aspet- „ tano dalla sua mediazione il loro riposo, e „ credono, che
da essa soltanto dipenda di „ poterlo ottenere, dileguando
que’dissapori „ che intorbidarono l'alleanza recentemente,, fra quelli
conclusa . Ah! quale sarà lamia „ sorte, se non potrò disarmarli ? Senza
pa^ „ ce tutto è a temersi per me; si tratta di „ un fratello, e di
uno sposo. In istato di „ guerra io dovrò piangere l’uno, e l’altro
„ per sempre . La vostra virtù, la publica „ stima, e quella di Ottavio
verso di voi, „ potranno contribuire decisamente alle mie,, premure ; ed
io saprò mostrarvi tutta la,, mia riconoscenza, se la tùia mediazione,,,
avvalorata dalla vostra, influenza, preude- che prima di due
mesi non avrebbe potuto agire nuovamente . ', Questo disastro
di Ottavio risvegliò il co- raggio, e le speranze degli amici segreti
di Sesto, che stavano in Roma, e nelle Provin- cie, e credendo, che
egli volesse profittare de’vantaggi, che gli recavano
inaspettatamen- te gli elementi, già prevedevano la distruzzio- ne
di quello, ed il trionfo del successore del gran Pompeo. >
Ottavio, prevenuto di qneste circostanze da esso presagite per una
conseguenza quasi naturale della sofferta disgrazia, spedi con-
tutta sollecitudine Mecenate nella Capitale ; ove giunto non mancò in
primo luogo di dissi- pare ogni inquietezza dall’animo degli amici
del suo padrone ; quindi seppe prendere mi- sure cosi giuste contro li
malintenzionati, che furono costretti a rientrare nella taciturnità,
e nel silenzio ; e la calma tornò nella Città . Non può non
ravvisarsi, che Pompeo in que- sta occasione non seppe approfittarsi
delle cir- costanze favorevoli, che gli somministrava la mina della
Flotta del suo rivale . Egli si con- tentò di vedere la sua fuga, o
piuttosto la sua ritirata, credendo, che non potesse mole- starlo
ulteriormente ; ma in ciò non agi con tutta quella previdenza, degna di
un bravo Capitano, giusta la riflessione dello storico 7
« Appiano. Se esso avesse assalito Ottavio nel disordine, in
cui lo aveva gettato la tem- pesta, avrebbe senza meno riportata una
vit- toria completa, e forse decisiva, e gl’inte- ressi del suo
partito avrebbero sicuramente migliorato . In fatti Ottavio
rimase talmente sconcerta- to dalla tempesta, e dai torbidi in Roma
acca- dati, che voleva abbandonare l’impresa, e lo avrebbe fatto,
se Mecenate, che conosce- va l’attuale situazione delle cose, e
prevede- va politicamente il futuro, non lo avesse per- suaso
diversamente . Egli gli fece conoscere, che Roma soffriva per la fame;
che la fazione di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta, che le
mormorazioni del popolo non sarebbero cessate, finché non si fosse quello
allontanato dai mari dell’Italia, e scacciato dalla Sicilia ; che
se gli elementi avevano malmenata, e re» sa momentaneamente inservibile
la sua Flotta, quelle di Lepido, di Agrippa, e di Statilio Tauro
trovavansi ancora in buon stato ; che perciò bisognava con costanza
proseguire la spedizione, e profittare segnatamente dell’er- rore
commesso dal nemico dopo la tempe- sta (a) . In vista di
tuttociò Ottavio segui li consigli (1 ) Loc. cit. ( a)
Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou Tom. 18 . 79
del sno Ministro, e mentre questo conteneva in Roma Io spirito
de’faziosi, e sopprimeva le scintille del malcontento, con una
condotta degna del piu grande politico, quello si occu- pò di
rimediare ai disastri della tempesta ; ri- sarcii! vascelli maltrattati,
sostituì degl’aitri a quelli perduti ; ed in tali operazioni agi
con tanta celerità, che nella prossima estate si trovò in istato di
uscire nuovamente in mare con forze eguali, ed anche maggiori di
quelle della scorsa campagna . La sorte però non aveva ancora
rivolto le spalle a Pompeo, e tuttora gli si mostrava be- nigna .
Imperciocché venuto alle mani con Ot- tavio, e datasi una battaglia
campale, que- sto fu totalmente disfatto, e non salvò la vita, che
dandosi ad una fuga precipitosa accompa- gnato da un solo soldato (i)
. Questo novello rovescio tornò ad infiamma' re la testa ai
partitanti di Pompeo, perchè Mecenate si era allontanato da Roma . Ma
egli anche questa volta seppe riparare ed alla per- dita de’
vascelli, ; ed ai disordini, che accade- vano per opera de’Pompejani
. Si spedirono immediatamente degl’ordini a tutti li Generali
di Ottavio, e segnatamente a Marco Agrippa Ammiraglio sperimentato,
per- chè accorressero con le loro Flotte iuajuto . In seguito
Mecenate volò in Roma, ove tro- Appian. loc. cìt. Digitìzed
by Google So vò, che il male era maggiore di
quello, che si era creduto ; ma non per questo si sgomen- tò
l’anima sua intraprendente . Facendo uso di una fermezza senza pari, e di
misure con tut- ta la saviezza applicate, seppe sconcertare an- che
per la seconda volta li progetti sediziosi de’seguaci di Pompeo, alcuni
de’quali più in- quieti, « recidivi condannò all'estremo sup-
plicio, ed in tal guisa ricondusse il buon or- dine, la quiete, e la
sicurezza nella Città (i ). Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta
di Marco Agrippa, che, obbediente agl’ordinl ricevuti, era accorso
in ajuto, e più incorag- gito dalla presenza di questo fedele, ed
intre- pido Ammiraglio, riprese arditamente l’offen- siva,
attaccando replicatamele le Armate di Pompeo ; questo non lasciava di
difendersi, e di schivare gl’incontri, che potevano essere dubbiosi,
e comprometterlo ; ma già si avvi- cinava 1’ estremo periodo della sua
brillante carriera, e la Parca crudele già gli andava preparando
quel destino ferale, cui fu sotto- posto sulle spiagge Africane
l’iufelice suo ge- nitore . Dopo differenti parziali
combattimenti, la Squadra di Ottavio, commandata da Marco A- grippa,
si azzuffò con quella di Pompeo . C’urto fu de'più formidabili, e si
combattè con furore da una, e dall’altra parte ; infine però Appian.
loc. cit. 8i la vittoria si dichiarò a favore di
quello, e la Flotta di questo ebbe una rotta cosi spavento* 6a, che
sarebbe restato egli stesso prigionie- ro, se non fosse fuggito sù di un
piccolo Bri- gantino, ritirandosi in Messina. Quivi appena
giunto gli fu recata la dispia- cevole notizia, che il resto della sua
Armata, sfuggita all'eccidio, era passata sotto le ban- diere
nemiche . Allora riflettendo più seria- mente alla sua salvezza, fuggi
ancora da Mes- sina con poche navi, che gli erano restate fe- deli,
dopo avere imbarcato la figlia, il dana- ro, gli amici, e tutte le cose
preziose ( i ) an- dò errando qua e là per l'Asia, ora con prospe-
ra, ed ora con iufelice fortuna . Finalmente, per ordine segreto di Marco
Antonio fu messo a morte in una Città della Frigia (a^ . La
disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo ri- colmò di gioja il giovane Ottavio,
perchè si vedeva liberato da un pericoloso, ed inquieto rivale, ma
in questa istessa circostanza ebbe 1 * occasione ancora di disfarsi di
Marco Lepido, Collega nel Triumvirato, e quello, che, in privato,
forse più degl' altri aveva abu- sate della potenza usurpata .
Lepido aveva comandata una Flotta nella ( i ) Dion. lib. 49
. (n) Strab. lib. 3 . Vellej. lib. a cap. 790 87 . Oros. lib.
6 cap, 19 . Usser. Annal. pag. 434. i F
pigitized by Google 8a guerra testé riferita, ed anche
egli aveva in parte contribuito all’ esito vantaggioso dell’
impresa . Dopo qnella battaglia campale, in cui Pompeo fu rotto, e fuggi,
nacquero delle contestazioni tra quello, ed Ottavio, o per- chè
Lepido voleva attribuirsi tutto il pregio della vittoria, o per altra
ragione non bene nella Storia conosciuta . Tali contestazioni
avevano anche preso un aspetto serio, e peri- coloso, e si potevano
temerne conseguenze disgustose. Mecenate, cui rincresceva
altamente, che, appena spento il fuoco di una guerra civile *
dovesse accendersene un' altra, cercò di prevenirla con una di quelle
politiche risorse, di cui egli era capace . Nella Flotta di
Lepido vi erano già degli amici, e partigiani di Ottavio, il cui
nume- ro si era aumentato inseguito delle surrife- rite
contestazioni . Si aprirono delle rela- zioni con questi ; delle
giudiziose istruzioni, che vennero loro comunicate, li prevenne- ro
del progetto ., che si meditava . Lepido non era amato dai Soldati, e
perciò lo svi- luppo dell’ intrigo, non incontrò ostacolo al- cuno,
e fu sollecito, e vantaggioso. All’ improvìso l’intiera Flotta di
quello pas- sò ad unirsi alla Flotta, ed agl’ interessi di
Ottavio,. IUrdasto abbandonato, solo, ed inerme, si vide Lepido ridotto
in una si- tuazione incapace affatto a reali zzarp qualche
Digiti;,b)i£,oogIe. «3 idea di civile discordia, che
forse andava machinando . Che anzi, siccome egli era di nn
animo de-» iole, e di carattere vile a fronte delle di- sgrazie,
cosi temendo maggiori sciagure, si portò supplichevole ad implorare la
clemen- za di Ottavio . Alcuni avrebbero voluto la di lui perdita,
ma questo si contentò di spogliarlo di quella autorità, di cui era
rive- stito, e di ridurlo ad una vita privata . „ In tal modo
( secondo l’espressione di,, Appiano ) Marco Lepido, uomo di si gran- „
de impero, ed autorità, che aveva pro- „ nunciata la Sentenza di morte
contro tanti „ Cittadini di nobile, ed illustre lignaggio^, „ fu
balzato dalla volubile, e fallace fortu- „ na ; in guisa che con abito
privato, ed in,, atteggiamento di colpevole al cospetto di al- „ cuni di
quelli stessi da esso condannati, fu „ ridotto a vivere senza riputazione,
ed a „ morire ignominiosamente . ( i ) Ottavio, sistemati gli
affari delle nuove Provincie aggiunte alla sua Dominazione dopo la
fuga di Pompeo, e la destituzione di Lepi- do, fece ritorno in Roma . Il
suo ingresso fu un Trionfo . Fu accolto con entusiasmo, e con
applauso dal Senato, e da tutti gli Ordini de’ Cittadini, perchè
credevano, che ai ton- fi) App.loc. cit. Dion. lib. 49. Sveton. in
Octav.Art. 16. F a I bidi passati sarebbe snccednto l'ordine,
l’ab* bondanza, ed una pace generale ; ed erano cosi persuasi di
questo novello sistema di co- se, e segnatamente della pace, che
inalzarono in onore di Ottavio una colonna con questa Iscrizione
" Il Senato, ed il Popolo Ro- w mano hanno inalzato questo Trofeo a
Cesa-,, re Ottavio, perchè ha stabilita la pace ge- „ nerale per mare, e
per terra, che prima M era bandita da tutto il Mondo . (i)
Roma infatti cominciò subito a respirare . Lo spirito di partito
cominciò a dissiparsi, ed una reciproca confidenza già assicurava
la quiete di ognuno, tanto in quella Città, che .nelle Provincie
. Quello però, che contribui più d’ogn’altro, mediante la sua
incomparabile prudenza, alla tranquillità dell’ Italia, e di Roma, fu il
no- stro Mecenate . Si è già veduto, che Ottavio, allorquando era
occupato nella spedizione con- tro Sesto Pompeo si era più volte servito
de’ talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza di qnesto Ministro
per assicurare gl'interessi del «uo partito nella Capitale . Da ciò si
rileva chiaramente, che già fin d’allora lo aveva nominato Governa
tore, o Prefetto di Roma, e che di questa carica sublime era pur
auco rivestito nell’epoca, che ora si descrive. • . . • • -
.O (i) Appian. loc,. * Queste j ed altre simigliane
contestazioni reciproche diffusero le prime elettriche scin- tille,
foriere del turbine devastatore -, che in breve sarebbe andato a
precipitarsi sull’oriz- zonte politico di Roma, e formarono
l’oggetto, e la materia a que' pretesti^ che aveva già Mecenate
preveduti . Non bastava però ad Antonio di aver offeso in
tante guise Ottavio, ed il Senato, e di aver commesso, per dir cosi, in
Oriente tanti delitti a disonore del nome Romano . Per colmo della
sua sfacciatagine, o piuttosto cecità, volle aggiungerne un altro .
Mentre la virtuosa Ottavia gli dava argomenti li più sinceri della
sua conjugale premura, del suo zelo, e di un tenero affetto y egli la
discacciò bruscamente, e la ripudiò, per immergersi pienamente
negli amori illegìttimi di Cleopa- tra ( l ) • Questo fatto clamoroso, e
degno di tutti li rimproveri, rivoltò contro di esso la publica
opinione ed in Roma, e nel Se- nato, e nell' Italia, ed in tutti que’
luoghi, ove erano conosciuti li pregi, e le virtù' della. Sorella
di Ottavio . Allora si ravvisò appieno, * (r) Plutarc, in
Ant, i . > . che la condotta di Antonia
offèndeva ornai troppo manifestamente la grandezza Romana, il
decoro del Senato, eia purità della Costi» tuzione ; che in consequenza
non era più de* gno di comandare, nè doveva, nè poteva
ulteriormente tollerarsi . s La guerra adunque fu dichiarata contro
di quello, ed i Romani diedero principio ad una operazione
bellicosa, che doveva cagionare la perdita totale del sistema Republicano,
e nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi gli estremi accenti,
e l'ultimo anelito della loro spiraute IjhljrtA . b*;ù»q.**6J«swi
i»y: Ottavio prima di allontanarsi da Roma per portarsi a
combattere Antonio, raccomandò la cura di questa Capitale, e dell'Italia
al suor Mecenate, che tuttavia esercitava la Prefet» tura dell’ una,
e dell’altra . La tante volte sperimentata fedeltà di un cosi abile
Ministro * rassicurava pienamente il di Ini animo, ed era del tutto
persuaso, che nella sua lontananza, e durante questa nuova, e civile
discordia, gl* interessi del suo partito non avrebbero sofferto
alterazione veruna . Con questa fidu- cia parti da Roma, e prese il
camino là dove il supremo Direttore degli umani avvenimenti lo
chiamava per divenire il primo, ed il più potente Monarca del Mondo
. Alcuni hanno creduto, che in qtiestaspedr- sione militare
Mecenate seguisse Ottavio, e che anch’ esso si trovasse presente alla
memo» Digitizèd by Google rablle bavaglia di
Azio . Dedussero questa credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora*
zio Fiacco, nella quale il Poeta si fa a parla** re a Mecenate in tal
guisa “Tu dunque, o ami-,, co Mecenate, andrai sulle agili navi Libnr-,, ne
/disposto ad incontrare tutti i pericoli „ di Ottavio, incontro gl’ alti
bastimenti di,, Antonio? (t) • Il Grammatico Acrone, fondato su
queste parole, sostiene, che Mecenate non so- lo andasse nella
battaglia di Azio, ma inol- tre è d’avviso, che da Ottavio venisse
nomi-* nato Comandante delle navi Liburne \ espri- mendosi, come
siegue “ Orazio parla a Me- j, cenate, che va con Augusto alla battaglia,,
navale contro Antonio, e Cleopatra . . », Mentre Cesare Angusto sta
per andare .> alla spedizione presso Azio, affidò a Me- „ cenate
il comando delle navi Liburne (a)\ che anzi il Continuatore di Tito Livio
suppone •I.- • ?.• ^ V
- (*) Epod. Od.r. - * Ibis LiburnU inter alta naviutn,
Amice, propugnacula, P aratus orane Caesaris perìculun
Subire, Maecenas, tuo. • (2) Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : M.
prosequitur euntem ad bel/urn nasale cura Augusto adversus Antonium, et
Cleopa- tram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar Au~ gustai,
Liburnis praeposuit Muecenatem . t _ 9 * di più,
che dopo la battaglia, e la fuga di Antonio, Ottavio ordinasse a Mecenate
d’ in- seguire li fuggitivi con le sue navi Libur- ne ( 1). Il
Mancinelli sembra essere dello stes- so sentimento, dicendo „ Anche
Mecenate „ segui Augusto contro Marco Antonio, e,, Cleopatra presso Azio,
Promontorio di „ Epiro (a) • Segnaci di Acrone, e del Man- cinelli
sono Stati il Turnebò ( 3 ), il Mcibo- mio (4), il Cenni ( 5 ) ed il
Volpi (6 ) . Il Torrenzio però, sull’autorità di Dione
Cassio, e di Virgilio, è di contrario parere .,, Deggio avvertire, ( dice egli
) che nella „ celebre battaglia presso Azio, non fu pre- ., sente
Mecenate, il quale in quell’ epoca „ era Prefetto di Roma, e dell’Italia,
come », rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ; Di „ più Virgilio,
che fa menzione del solo ( 1) Suppl. in Liv. lib. 73. art. 9. .• At
Cae - sar misso curri Liburnis Maecenate, qui lori- gius
insequeretur fugientes, ad honores Deo - rum, a quibus adjutus credi
volebat, se con- tulit. ». fa) Com. in 1. Epod. Secutus itera
Augu- stum Maecenas est contra M. Antonium, ef Cleopatram apud
Actium Epici Promontórium . _ ( 3 ), Com. in 1 . Epod. Horat. v. .
.. Vit.C. Cilnj M. ( 5 ) Vit. di M. lib.i. Postil.9.
-, Lat.vetus tom.io.part.x.pag.a37. Digiti;
ile,> Agrippa, e che lo eguaglia allo stesso Otta- » vio, non
avrebbe omesse le lodi ancora „ del suo Mecenate, se anch’esso si fosse
tro-,, vato in quell'azione . Laonde Orazio scria» >» se questa Ode
nel supposto della futurapar- „ tenza di quello . ( i ) Su
tale articolo sembra, che il sentimento di questo Comen tato re sia il
più giusto, ed il più fondato „ se si legge con qualche ri-
flessione ciò che narra il suceennato Dione, e prima e dopo la disfatta
di Antonio, e di Cleopatra presso Azio . Imperciocché con tntta
chiarezza rilevasi dagli scritti di que- sto autore che Mecenate era
Prefetto di Ro- ma, e quando Ottavio parti per la spedizione contro
Antonio, e durante 1’ epoca della me- desima, e dopo la riportata
vittoria, come si è anche accennato di sopra . Di più Velie
jo Patercolo (a) descrivendo la ( O Co®- in Epod. : Illud monendum
me existimare, celebri ad Actium pugna non in- terfuisse Maecenatem
tane temporis Romae, et Italiae administrandae Pracfiectum, tjuod
significare videtur Dion. lib.5l. Virgilio» sane solius Agrippae Theminit,
insigni laudatione ipsum Caesari aequiparens, non omisurus
Maecenatem suum, modo adfuisset . Quare carmen hoc sola opinione futurae
profcctionis tcripsit Horatius . (a) Lib.a, art. 85.: Dcxtrum
navium } ur- 9 * sudetta battaglia di Azio *
domina individùak mente l'Ammiraglio, ed i Comandanti subal- terni
della Flotta di Ottavio > e non fa pa-» loia di Mecenate, il quale *
secondo Acro- ne, sarebbe stato il Comandante delle navi Liburne.
Ecco le parole di Vellejo „ L’ala,, destra delle navi di Ottavio fu affidata
a „ Marco Lario, la sinistra ad Arunzio, ed >, il centro ad
Agrippa, Ammiraglio di tutta „ la Squadra . Ottavio f che trovavasi per,,
tutto, era destinato dovunque veniva dal*,, la fortuna chiamato,. Torniamo in
sentiero. Ottavio lasciata la direzione degl’ affari di Roma,
e dell’ Italia a Mecenate, come si è detto, si portò in Brindisi, ove era
ancora-, ta la sua Flotta . Essendosi quivi imbarcato, fece vela
verso l’Epiro, onde avvicinarsi ad Antonio, che già stava nella Città di
Azio, e che aveva adunati li suoi Vascelli nell’ in- gresso del
Golfo di Ambracia . Ottavio entri nello stesso Golfo, e si disponeva a
dare una battaglia; ma avendo osservato, che il suo equipaggio non
era completo, e che non era prudenza azzardare un fatto in luogo si
angu- sto, si tirò in alto mare, lasciando il suo nemico nella
primiera posizione . r :> > 4 . ‘J> i'.i
lianarum corriti M. Lario commitsum, laevum Aruntio, Agrippae omne
classici certamìni s arbitrium ; Caesar ci parti destinatili, in,
quam a fortuna vocaretur, ubique adertiti Intanto giunse ad
Antonio con varie Legio* ni Canidio . Questo Generale Romano, che
seguiva sinceramente il partito di quello, avendo veduto Cleopatra nel
Campo, lo con- sigliò a doverla assolutamente allontanare,
sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in mezzo all’Armata . Lo consigliò
inoltre ad evitare una battaglia navale, ed a portarsi nella
Macedonia, ove con il soccorso del Re de’ Gesti, avrebbe combattuto per
terra, e la vittoria non sarebbe stata dubbiosa . Non ostante la
saviezza di questi consigli prevalse 1’ influenza della Regina di Egitto,
e fu riso- luto di combattere sul mare . Non solo Canidio, ma
ogn 'altro sperimen- tato Militare conosceva, che l’ esporsi ad una
battaglia navale, era un errore . Infatti mentre Antonio trascorreva la
Flotta, e dava gli ordini opportuni > uno de’ suoi vecchi
soldati, ricoperto di ferite gli disse ad alta voce,, Come, o Signore,
andate a confidare » la vostra gloria alla meschina, e pericolosa «
risorsa di una battaglia di Vascelli? La- „ sciate, lasciate il mare alli
Egizj, ed ai „ Fenicj, che sono nati per questo elemen- *' e
mettete a combattere li Romani sul „ Continente . Se allora periremo, la
nostra,» morte sarà da veri Soldati, e sarà com- „ pensata dalla vita
de\nostri Nemici . An- tonio nou rispose al Soldato, e persisti per
94 sua disavventura nel Piano stabilito . (i)
Essendo stato il mare per alcuni giorni furiosamente agitato non si fece
alcun movi» mento nè da una parte, nè dall’altra: Essen- dosi in
fine calmato, ambedue le Flotte po- sero alla vela per dar principio ad
una bat- taglia, che doveva decidere della sorte del Mondo; Il
sudetto Vellejo accennando il gior- no di questa battaglia memorabile,
cosi si esprime 6 dolore, e della sua disperazione .
Lacera le proprie vesti, si percuote il volto, ed il petto, e
chiama replicate volte il suo amante con nomi non meno teneri, che
rispettosi ; Antonio, benché prossimo ad esalare lo spi- rito,
tuttavia non è meno occupato di Cleopa- tra . La esorta a conservarsi,
finché possa vivere con gloria, a non rammentarsi tanto del suo tragico
fine, quanto dello splendore di sua vita, e degli onori, ond’ essa lo
aveva veduto circondato ; Ed a riflettere, che egli non era stato
vinto, che da un Romano, dopo essere stato egli stesso il più illustre
fra i Ro- mani ; quindi spirò, pronunciando queste ulti- me parole
. Antonio ( conchiude il sudetto Storico In* glese ) aveva
passata la sna vita fra i perigli, e fra i piaceri . Era posto in
paragone con Cesare per il valore, e per la capacità mili- tare ;
ma l'amore gli fece perdere il senno, il coraggio, l’onore, la stima,
l’affetto de’ Romani, e l’ Impero, e la vita . Cleopatra con una
morte egualmente spontanea seguì l'ombra di Antonio, ed nn monumento
istesso chiuse le ceneri dell’uno, e dell’altra .fi) (i)
Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton. in Octay. art.i 7 . Echard.
loc. cit. JVlentre Ottavio in tal
guisa trionfava nell’ Egitto del sno rivale, ed ultimava con tanto
successo qnest3 guerra Civile, si atten- tava tacitamente alla sua vita
nel senoistesso della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la
fedeltà, Vattaccamento ? e la vigilanza di Me- cenate . Marco
Lepido il giovane aveva dei risenti- menti particolari contro di Ottavio,
e nutriva nel petto un odio mortale, perchè 1’ ambi- zione, e
prepotenza di lui avevano balzato Marco Lepido il padre da quella
superiorità, e e da quel potere, che gli dava il Triumvirato,© lo
avevano ridotto a menare una vita oscuta, e negletta . Era questo Giovane
Romano figlio di Giunia, sorella di Bruto morto nella bat- taglia
di Filippi : Egli voleva adunque vendi- care nel tempo stesso, e la morte
dello zio, e l’avvilimento del padre . (i) (i) Vellej.
Patere, lib. a. cap. 88. : Dum ultimam bello Actiaco, Alexandrinoque
Cae~ sar im ponti manum, Marcus Lepidus,juvenis forma, quam mente
melior, Lepidi ejus, qui T riumvir fuerat Reipublicae constituendae,
fi- li us, Iunia Bruti torore natus, interficicndi^
io8 Formò a tale effetto una pericolosa congiu- ra per
uccidere Ottavio, qnando dall’Egitto avrebbe fatto ritorno in Roma . La
cospira- zione non focosi segreta, che non giungesse a notizia di M.
Prefetto di Roma . Egli seppe con tanta quiete, e simulazione pene-
trare il nero progetto del traditore, e con tanta celerità impedirne le
consequenze fune- ste, che Lepido venne arrestato, giudicato,
convinto, e condannato all' ultimo supplicio, senza che venisse punto
alterata la tranquillità di Roma . In tal guisa Mecenate, secondo
Vel- iero ( i ), con una sorprendente destrezza seppe spegnere le
perniciose scintille di una nuova, e rinascente guerra Civile.
Servilia moglie di Lepido, forse complice della congiura, non
volendo sopravvivere al marito, nè soggiacere aH’obbrobrio, ed alljt
« timul in Vrbem revertissct, Caesaris Consilia
inierat . ( i ) Loc. cit. Tunc Urbis custodiis praeposi- tus
Cajus Maecenas .... Hic speculatus est per surnmam quieterà, ac
dissimulai ione nt prae cip itis consilia J uvenis, et mira
celerità- te, nullaque cum perturbatione aut hominum, a ut rerum,
oppresso Lepido, immane novi, ac resurrectui i belli civilis restinxit
initium, et ille quidem male consultoruni poenas exsol -
log pena dovuta, si uccise da se stessa con aver*
inghiottiti de* carboni ardenti . Anche Giunia moglie del vecchio Lepido
fu accusata di complicità in questa congiura del Figlio ; ma contro
di essa non esistevano, che semplici sospetti; tuttavia M. la obligò
a dare la cauzione nel Tribunale di Balbino, (i) Liv. in
Snpplero.lib. i 33 . art. 72. Ser- vilia Lepidi Vxor curn superesse viro
non sub- stinerct, et diligenti familiarium custodia ni - hil
adipisci mortiferum posset, pruuis ar- xlentibus deVoratis, vita abiit\:
Vellej. loc. cit. Aequatur praedictae Calpurniac Antistii, Servilia
Lepidi Vxor, quae vivo igne devorato, praematuram mortem immortali
nominis sui pensavit memoria Roberto Riqucz nelle irate a questo
articolo di Vellejo, fa le se- guenti osservazioni relativamente
aCalpnrnia. Ciò che narra Vellejo di Servitia è attribuito comuneme
nte a Porzia moglie di Bruto . In- fatti Valerio Massimo, esatto
Scrittore del Secolo, in cui si suppone accaduto quel fatto, non ne
fa menzione . Di poi la moglie di Lepi- do non fu Ser vilia, ma Antonia
figlia del Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa negare la
verità del fatto a Vellejo, 1. perchè Lepido, ripudiata, o morta Antonia,
potè passare alle seconde nozze con Ser vilia,* 2. perchè Eliano
Var. Histor. lib. 1 4 - cap.45. an- novera fra le illustri D ame Romane
una Ser’» vilia .,!*• uno de’ Consoli . Allora Lepido di lei
marito si presenta a questo, e cosigli parla" Voi „ sapete con
certezza, o Balbino, che io „ non sono stato complice del delitto di
mio „ Figlio, e sapete egualmente, che non ebbi „ parte alcuna il
quell’Editto di proscrizione „ emanato, quando la sorte mi faceva domi-,,
naie, e nella quale foste anche voi com- „ preso . Se rifletterete per un
moménto „ alla mia passata grandezza > io spero, „ che alla vista
di un supplichevole, di cui „ rispettaste altre volte li decreti,
sarete „ per ascoltarmi con cuore placato . Giunia „ mia consorte
non ha che me per adempie-- „ re alFohbligo, che gli è stato ingiunto .
Ri- „ cevetemi adunque per la sua cauzione, o „ permettete, che io
vada fra le prigioni con „ essa,, Balbino sensibile alle preghiere di
un uomo, che prima del cambiamento della sua fortuna, la potenza
aveva reso formidabile ai Romani, e conoscendo ancora del tutto
insus- sisteute l’accusa contro la sudetta Gunia pro- mossa,
dichiarolla innocente ( r ) . Intanto Ottavio avendo posto fine
alla guer- ra di Egitto, al Triumvirato, ed alla esisten- ^ dell’
unico competitore, che gli restava, fece ritorno in Roma ove fu accolto
con in- compreusibile allegrezza; vi trionfò per tre giorni, e
chiuse il Tempio di Giano, che. / (i) Appian. lib.4.
Catrou loc. cit. per il corso di dne secoli, era stato
aperto. Benché rimasto solo padrone della vasta do- minazione
Romana, tuttavia non cercò, che di farsi amare con le maniere popolari,
ed affabili, con le sue liberalità * e con le più sa- vie
disposizioni prese e per il bene publico, e per quello di ciascun
Cittadino in partico- lare . Mecenate, che gli stava al
fianco, e senza il consiglio del quale per cosi dire, Ottavio non
faceva passo, non mancò di fargli pren- dere tutte quelle determinazioni
necessarie per preparare insensibilmente l’esecuzione di quell’
ardito progetto-, che già da gran tem- po andava meditando .
In fatti la condotta di quello, dacché ritor- nò dall'Egitto, fu
tale, che il Senato, il Po- polo, e tutti gli ordini dello Stato già
senti- vano gli effetti di un Governo Monarchico, benché ognuno
fosse persuaso, che la Repu- hlica andasse a momenti a riprendere
l’antico suo lustro, e splendore . Ottavio però mostravasì
indeterminato, e dubbioso* se dovesse salire sul Trono, o se
dovesse rientrare nella classe di semplice Cit- tadino, ristabilendo
laRepnblicà nel suo sta- to primitivo . Da una parte gli si
affacciavano all’ immaginazione agitata li pericoli, a cui la sna
potenza quasi illimitata poteva esporlo ; richiamava al suo pensiero il
crudele destino di Giulio Cesare suo padre, e li rimproveri,
112 che gli aveva fatti Antonio altre volte,» che „ egli
travagliava meno per il publico bene, „ che per la sua propria
grandezza,, dall’al- tra parte si lusingava, che la Republica,
stanca dai furori delle guerre civili, preferi- rebbe un giogo pacifico,
e salutare ad una in- dipendenza funesta, bastante a richiamare
tutti gli orrori passati . Credeva anche di ri- marcare, che il Popolo
Romano avesse perdu- to lo zelo geloso, e l’amore costante per la
libertà ; che il Senato non avesse più P infles- sibile fermezza, che era
scoglio alla Tirannia; e che ad ambedue mancassero Soggetti capaci,
ed intraprendenti per formate una formidabile Fazione . ( i )
Queste riflessioni, e la sua indetermina- zione era un peso, che
Ottavio portava con pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene nel
seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’ab- biamo già osservato, uno
era Agrippa, Uomo tanto sincero ne suoi con sigli, quanto era in-
trepido nelle battaglie . Unito alla Corte di Ottavio fin dall* infanzia,
crasi acquistata la sua stima, e la sua tenerezza più ancora con
l’esatta sua probità, che per gl’importanti eervigj nelle armi ; era un
guerriero de’ tempi antichi paragonabile ai Curj, ed ai Fabri-
( i) Catrou Tom. 19. lib. 5 . Echard. 1 13 cj i fi)
L'altro era Mecenate . Dal fin qui detto abbiamo conosciuto, che egli era
un amico disinteressato di Ottavio, fornito di uno spirito franco,
e leale * il Politico più raffinato del suo tempo, il più destro, ed
il piu giudizioso de’ Cortegiani . Agrippa adun- que, e M. consultò
Ottavio per fissare la sua irrisolnzione, e per decidere sul gran-
de oggetto . Agrippa parlò il primo con una fermezza, conforme alla
rettitudine del suo cuore, all’ amore, che aveva sempre con-
servato per la sua Patria, ed alla riconoscen- za, che doveva al suo
Padrone (a)., „ Se io avessi di mira ( diss’ egli ) li miei,, interessi
soltanto, vi esorterei a profitta- „ re all’ istante delle circostanze
del tempo, „ e a divenire il Padrone assoluto della Ro-,, mana grandezza
; ma, facendo usodiquel- „ la sincerità propria del mio carattere,
e fi) Catrou loc. cit. Dion.lib. 5 a. pag. 61 1. : Hoc
autem anno vere iterum pencs unum Hominem s u /ri- ma rn totius
Reìpublicae esse coepit, quamquam armorum deponendorum, resque omnes
Sena- tus,Populique pot est atit rade ndi consiliumCae- Sar
agitaverit ; ad quam deliberationem, curi Agrippam, Maecenatemque
adhibuissct, nani cum his de omnibus suis arcanis communicara
solebat, prior inhanc sententiam Agrippa lo - cutusest . *
II J‘4 » già da voi altre volte sperimentata,
credo, „ o Cesare, clic bandito ogni privato riguardo „ debba
parlarvi, e manifestare il mio senti- „ mento per il vostro, e per il
publico bene .,, È principio certo in Politica, che il „ sottoporre ad un
governo Monarchico un „ popolo geloso della sua libertà, forma un „
opera dilEcile ed eseguirsi . L’amore della,, indipendenza nasce con noi, ed è
un attri— „ buto quasi necessario dell’umanità. Que- „ sta
inclinazione universale in tutti gli uo- 5, mini aumenta, o s’
inde.bolisce per mezzo,, dell'educazione, ed è più, o meno poten-,, te, secondo
i pregiudizj della Nazione *,, nella quale abbiamo avuto la sorte even- „
tnale di nascere . Perciò la natura, li co- „ sfumi, l’edutazione, e la
lunga abitudine,, dovranno rendere ai Romani insopportabile „ il dominio
di un solo . „ Li popoli assuefatti al giogo di un Padro- „
ne hanno un debole sentimento di quella „ generale pendenza, che la
natura ispira „ per la libertà ; ma quelli al contrario, cui,, per
successione è stata trasfusa la massi- „ ma, vera o falsa che sia,
provarsi cioè,, minor servitù in un Governo formato da „ Magistrati di
loro scelta, si rattristano,, altamente, e fremono al solo pensiero di,, un
Sovrano . Potrà la forza tenerli per qualche tempo soggetti, ma questa
forza „ istessanon sar» giammai capace a distruggere ne’ cuori quel germe
vivifico, che la „ natura v’ infuse, e che dalla educazione,, venne
quindi allentato . „ Finora, o Cesare, le vostre imprese „
sono state legittime, e la gloria da voi „ acquistata, non ha in veruna
guisa scema- „ to lo splendore della vostra virtù . Imper- ciocché
nella guerra di Perugia opprimeste „ degli ambiziosi, che col pretesto di
ven- „ dicare la morte di Giulio Cesare, preten- „ devano
d’inalzare un Trono sulle ruine del- „ la Dittatura . A Filippi purgaste
la terra „ di due assassini di un Zio, che vi aveva „ adottato per
figlio . La Sicilia, invasa da „ un Tiranno, che spacciandosi per
difenso- „ re della Repilblica, ne cagionava la mina, „ fu liberata
dalle vostre armi . De’ due Col- „ leghi, che per mezzo del Triumvirato
sa- „ peste con saviezza associarvi, uno vive „ tuttora nell’
oscurità, enei disprezzo, e,, l’altro ha cancellato con la sua morte il
di- sonore, che recava al nome Romano . Dopo tante vittorie, è
giunto, o Cesare, „ l’istante fatale, incili dovete pronunciare „
sulla sorte dell’ Universo .,, Quale mai, e qaanto grande sarà la vo- }J
stia gloria, se, divenuto abbastanza po-,, tente per assoggettarlo da Monarca,
sapre- „ te in guisa superare gl'impulsi dell’amor „ proprio, che
lo ridoniate a’ suoi veri Pa- „ droni ’ Allora vedreste sollevarvi al di
so- li a 1 16 „ pra de' Camilli, e dc’Scipiorti,
e consa-» „ orarvi Tempj,come a Divinità tutelare dal „ Senato, e
dal Popolo, ristabiliti nell’an- >, tica loro autorità, e nel
primitivo stato di „ eguaglianza. (i^A questa eguaglianza di,, Cittadini
appunto noi siamo debitori della „ conquista del Mondo, e finché li
Romani >, ne furono in possesso pacifico, si viddero „ sortire
dal seno della Republica, e Gene- „ rali scelti con riflessione, e
Soldati premu-,, rosi di rendersi degni di poter un giorno *, anch’ essi
comandare . Ah, Cesare, io >, temo, che se Roma cesserà di esser Repu-,,
blica, cessi ancora per qualche tempo di „ vincere, e di conquistare,,,
Quando il sistema Republicano dovesse,, cangiarsi in Monarchia, a quali timori,
a „ quanti incarichi laboriosi, e pesanti non j, va a sottoporsi il
nuovo Monarca, e sopra-,j tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li,, Comizi
> ed il Senato riuniti affrontarono >, immensi travagli per
regolare 1’ ammini- „ strazione di tante Nazioni comprese nella „
vastità della Republica Romana . Ora po- „ trà un solo nomo supplire
all’esercizio, „ che su di quelli gravitava, e la salute la
più robusta potrà sostenere le fatiche ine- „ renti al governo
dell’ Universo ? Il solo ( 1 ) Dion. lib. 5a. pag. 6i3. :
JEqualitatis et nomen est speciosum > et res j ustissima,
Digttlzedb *»7 dipartimento delle Finanze non presenta,,
una sorgente inesauribile d’imbarazzi, di „ pensieri, e di cure ? Io
convengo, o Ce- „ sare, chele rendite- dello Stato sono gran- >,
di, ma saranno sufficienti a mantenere tante „ Armate esposte su tutte le
frontiere dall’ „ Oriente all’Occaso ? In una amministrazio-,, ne
popolare si concorre agevolmente, e „ con piacere ai bisogni dello Stato,
e l'istes— „ sa avarizia cede alla ragione del bene co- „ mune .
Allora la liberalità de’Cittadini for- >, ma per essi un merito per
inalzarsi agli ono*,, ri, ed agl’ impieghi (i) . Al contrario in „ un
Governo monarchico le publiche intra- „ prese di un Sovrano sono
riguardate come „ suoi affari personali . Ognuno crede, che,, da quello
soltanto si debba supplire del suo „ proprio tesoro a tutte le spese del
Governo, „ Ogni nuova imposta produrrà nuova que-,, rela, nuove satire, e
nuove amarezze per „ il medesimo, e sempre con la forza, o di „
mala voglia si vedrà il Cittadino effettuare » il pagamento delle Tasse
quantunque ordi- „ narie, e regolate dalla Legge . „ Quale
odio poi non si procaccia un Giu- „ dice universale, incaricato di punire
da se l ( i) Dion. loc. cit. : Ubipenes Populum
est Imperium, multi multam pecuniam conje - rune, etiam ut
liberalitatis opinionem conse- qunntur, ac prò Ut ho noia mcritos
adipi- scantur. ti8 >, solo tatti li
colpevoli ’ In un cambiamento i t di Governo, il numero de’ malvagi si
mol- -, tiplica all’ infinito, e li sediziosi, e mal- i, contenti
sortono, per dir cosi, dal seno,, stesso della terra . Non potendosi tutti
ri- „ durre al buon sentiero nè colla dolcezza, „ nè coiresempio
del rigore usato con alcuni, „ sarete dalla necessità costretto a
pronuncia' i, re contro de* medesimi, decreti o d' igno* „
minia, o di bando, o di morte, e sebbe- f, ne sarete nel punire moderato,
ciò non,, ostante si crederà, che gli effetti della vo-,, stra giustizia
necessaria, siano piatto-,, sto il risultato di un particolare risenti-
ci mento . Vedrete inoltre li piò potenti Cittadini, „ e le famiglie
de’ Patrizj accendersi di gelo-,, sia, e d' invidia per il vostro
inalzamento „ al Trono, e perciò non pochi di essi non „ temeranno
di censurare primieramente la >, vostra condotta, e quindi anche
formare,, delle congiure a danno della vostra esisten- „ za, e del
sistema da voi introdotto . Se „ perciò vorrete punirli, ed umiliarli,
si susciterà contro di voi la publira indigna- zione, e se li
lascerete vivere senza oppri-*,, merli, la vostra sicurezza, sarà compro-
j, messa, c sarete circondato incessantemente da mille pericoli . (
i) (r*) Dion. loc, cit. : Hos ncque, si augeri '
Digitized by Google 99 ji 9,, Voi solo non potrete
ultimare alcuni prò» getti, 1 ’ esecuzione de’ quali esige indi—,,
spensabilmente 1 ’ opera, e la confidenza „ di Generali rispettati dal
Soldato per la lo- „ ro nascita . Questi riceveranno da voi il „
comando delle Armate, ma quindi rivolge-,, ranno contro voi stesso quelle forze,
che,, ad essi affidaste . A quale espediente allo-,, ra dovrete appigliarvi ?
Bisognerà, che „ facciate uso d’ individui di vile estrazio- „ ne .
Questo rimedio però potrebbe com« „ promettere la tranquillità dello
Stato, eia 33 vostra gloria ; imperocché, se per caso 3, questi
nomini oscuri riescono nelle impre- „ se, diverranno insolenti, se poi
soccombo*,3 no, a voi solo sant addebitata la perdita .,, Ah ! Cesare,
preferite pure, preferite. „ le dolcezze di una vita tranquilla all’
im- 33 barazzo di una potenza tumultuosa . Un,, momento di piacere puro,
e solido è supc- 33 riore a tutto il fasto della grandezza. „
Che cosa pretendo conchiudere da tatto-,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio
forse 33 violentare il vostro animo a rinunciare per „ sempre a
quella superiorità, che avete „ coll’ armi acquistata ? Nò certamente :
io „ vi darei un consiglio pregiudizievole, se,, vi esortassi a
restituire la Republica al Po- „ polo Romano nella situazione, in cui
si pattare, tutus vivet, neqiie si opprimere ca- ncri},juste
ages . „ ritrova al presente ; essa ha bisogno di ri- j,,
forma, prima che gli antichi Padroni ne „ vengano ripristinati al
possesso . „ Profittate pertanto di quella Sovranità,,, di cui la
vittoria vi ha rivestito per miglio- „ rare quel campo, che avete
acquistato, e,, perseverate nell’ esercizio della medesima,, per tanto tempo,
quanto sarà necessario „ per ristabilire le Leggi, richiamare la
prat- „ tica' delle antiche costumanze, corregere li », abusi del
Comiz'o, reprimere 1’ ambizio-,, ne della Nobiltà, porre de’ limiti alle
pre- „ tenzioni del Senato, moderare il potere de’ „ Tribuni,
regolare l’uso delle Finanze, e », e raffrenare la cupidigia de’
Publicani. Quanto glorioso allora sarà per voi di com- „
parire da semplice Cittadino in uno Stato, / >, di cui foste il
Ristoratore ! Siila autore di », tante proscrizioni, ed il carnefice
della sua », Patria, seppe dimettersi a tempo, e mori », rispettato,
e tranquillo . Giulio Cesare „ vostro Padre, il meno sanguinario
degl’Uo- „ mini, e il più inclinato a perdonare, fece,, perpetua la sua
Dittatura, e trovò degli », assassini frà li suoi amici più cari .
M discorso di Agrippa fece una forte im- pressione sullo spirito di
Ottavio . Egli forse avrebbe abbracciato il sistema da quello pro-
posto, sagrificando le sue vittorie al ristabir limento della Repubbra,
ma Mecenate, es- sendo di contrario sentimento, entrò neH’are-
~Diqitizécl TSyGoogle 121 uà, e parlò con tale
facondia, e vivacità, che ottenne nna completa vittoria sullo
spirito di Augusto . „ Se si trattasse ( rispose egli ) „ di
delineare un Campo, e di prendere del - „ le misure per dare una
battaglia, io non „ oserei di parlare in presenza di Agrippa ;,, ma,
aggirandosi la discussione intorno a „ materie politiche, credo di potere
con sin-,, cerità azzardare il mio giudizio, avendo „ su di quelle
lungamente riflettuto, e trat-,, tato non poehi affari dello Stato in
diffe- „ renti, ed anche difficili occasioni . Com- „ prendo la
solidità de’ dubbj proposti, ma,, conosco ancora, che lo scioglimento di
essi „ non può imbarazzare un Eroe già Padrone,, sovrano, e capace d*
ultimare colla sua,, prudenza ciò, che ha incominciato colla,, forza .
„ La Republica, o Cesare, è caduta in „ uno stato d’ infanzia, ha
bisogno perciò di,, esser messa in tutela . Ora non siamo piq „ in que’
tempi felici, in cui la virtù soste-,, neva questo gran Corpo, ed in cui le
sue „ forze non erano state indebolite dal vizio;,, ma l’avarizia è
succeduta all’amore della „ povertà, l'ambizione agli onori, la
tem- „ peranza alla frugalità, e 1’ incontinenza al,, modesto pudore ; è
impossibile pertanto di,, trovare al presente un numero diMagistra- „ ti
disinteressati, sobri, casti, virtuosi, „ e simili a quelli, che fecero
onore ai primi f aa „ secoli di Roma . Tanti
mali invecchiati vi-» a chieggono una roano capace a poterli gua-
>» lire . f . Si, Cesare, voi dovrete affrontare pe- i,
santi incarichi nel prestare la vostra opera „ ad una cura cosi difficile
; e preveggo, che,, saranno assai grandi li vostri pensieri, la „ vostra
vigilanza, li vostri travagli ; ma „ nell’attuale stato delle cose sono
divenuti i, necessarj ; e sebbene potrebbe sembrarvi „ spaventevole
un tale prospetto, tuttavia „ sono persuaso, che non avrete il
coraggio „ di abbandonare il Governo nel pericolo di,> non ricuperare
giammai la sua perfetta sa-,, Iute, f . Non è possibile di
rimediare ai mali pre*,, senti con una Dominazione passeggierà . U „
ristabilimento del buon ordine in Roma coll’,, ajuto delle leggi, e de’
regolamenti è un idea di speculazione, che non può aver luo- go in
prattica; bisognerebbe, che quelle „ venissero infinitamente moltiplicate
per po- „ ter correggere li disordini, che le passioni „ hanno
introdotti . Come poi potrebbero „ trovarsi de’ Cittadini, ih cuore de’
quali „ fosse abbastanza incorruttibile, e li costu- „ mi
abbastanza puri per mantenerne l’osser-? „ vanza ? „ LaRepublica
è ridotta in tali circostanze, rt che ha bisogno di una Legge vivente,
che f, ordini, e che faccia al tempo stesso ese- 133
„ guire . Appena la maestà di un Padrone per- „ petuo basterà per
imprimere il rispetto;,, ma che cosa accaderà, se Magistrati di un „ anno
saranno incaricati della Riforma f Li „ Cittadini indocili, e pertinaci
spereranno » r impunità nel governo di Successori più de- „ boli,
sostituiti ai più rigorosi . E’ necessa-,, ria una Autorità permanente per
distrugge-,, re inclinazioni perverse, che rinascono „ incessantemente, e
che non è tanto facile 99 di estirpare . „ Voi, o
Cesare, vi dovete alla Patria, „ divenitene Padrone per sempre per sua
com- „ passione. Fate sì, che il Senato sia com- „ posto di Soggetti
di sperimentata saviezza ; „ confidate le vostre Armate ad abili
Gene- „ rali, e scegliete li vostri Legionarj frà le,, Famiglie povere,
le quali porranno som- », ministrare Cittadini eccellenti ; ma conser-,,
vate il dominio, e sulla Nobiltà, che iin- » piegherete nelle cariche, e
suiti Comandan- » ti degli eserciti, e suiti soldati medesimi .
„ Ne con ciò pretendo, che il peso degli affari debba sopra
voi solo gravitare ; Ne #> dividerete la cura con li Cittadini
ptimarj „ delle antiche Famiglie, che renderete i ! 1 u - „ stri,
con renderli laboriosi. Riguardo al,, Popolo, bisogna regolarsi con tal cautela,
„ che sia sempre contenuto nell’ umiliazione . „ Finché li plebei s’
interessarono della sola „ cultura delle terre, Roma fu tranquilla ;
si ridderò però divenire insolenti, allorqnan- », do, associati ai
publici affari col soccorso i, de’ loro Tribuni, rovesciarono più volte
la ’ Costituzione dello Stato ; c necessario per- », tanto, che
rientrino in quella subardina- », zione, dalla quale furono levati dalle
Fazioni. „ Disprezzate le publiclie voci tendenti a »,
denigrare la vostra condotta . Forse si di- „ rà, che avete vinto perii
vostro solo in- „ grandimento ; ma Roma parlerà con altro „
linguaggio, quando sotto l’ombra de’ vo- „ stri auspicj vedrassi al colmo
della feli„ jy Cltil «,, Non dovrete temere alcun attentato alla,,
vostra persona, divenuto Monarca ; al con-,, trario i vostri giorni saranno in
pericolo, y, se, spogliato del supremo potere, rifen- ì, trerete
nella classe di semplice Cittadino ; „ .chi mai in questo caso potrà
garantirvi dal- „ la perfidia di que' scellerati, e malconten* „
ti, che sopravissuti alla distruzione nelle », passate guerre civili, si
aggirano ancora e,, in Roma, e nelle Provincie ? Esistono sicu-,, ramente de’
turbolenti partegiani delle Fa- zioui di Sesto Pompeo, e di Antonio . Que- Dion. loc. pit.: Ilio, enimPlebis lice
ris- tia, qua optimus quisque servire cogitur, et acerbissima est,
utiisque cominunem pcrniciein * ffert . . . . nS
A sti, serbando contro la vostra persona odio, „ risentiraento, e
livore, cercheranno di „ vendicare l’affronto, che loro recaste per,,
averli vinti, ed umiliati, e col vostro as-,, sassinio immolare una vittima
gradita all’ s, ombre de’ loro Amici estinti o sulle cam- f>
paglie di Filippi, o sulle spiagge dell’ Epi- „ ro . Siavi d' esempio
Pompeo il grande, il,, quale, spogliatosi spontaneamente di quel- „ la
potenza, che colla vittoria si era acqui- stata, fu miseramente ucciso,
mentre fa- ceva degl’ inutili sforzi per ricuperarla :,, Alla medesima
dissavventura sarebbero stati „ esposti ancora Mario, ed altri potenti
Cit- „ tadini, ie non l’avessero prevenuta colla morte. (i,) • t
> * Diòn. loc. cit. : Quis enim libi parcet, ubi omnes res, uti
mine ace sunt, P apuli, àlior urn que‘ Potè stati praemitlis, cu/n et
pcr- multi a te sint offensi, et omnes fere summam rerum tentaturi,
quorum alteri et ulcisci te, alteri adversarium te e medio tollera
cupicnt 1 Balsac nel cap.45. del Print. cosi su tal pro- posito
ragiona : Si va incontro ad egual pe- ricolo tanto nell ’ impossessarsi,
che nel dis* farsi del s/lpremo potere . F aiaride era pron-
tissimo a dimettersi dalla potenza usurpata l ma chiedeva- un Nume per
sicurezza della sua vita, se rientrava nella classe di Cittadino
privato, £’ stata sempre comune opinione > 136
„ Sul Trono però la maestà, che imprime „ il rango supremo, e la
guardia d’ ond’ è,1 circondato, spegne ne’ cuori gl’ istessi de* „ siderj
della vendetta . D’altronde, o Cesa- „ re, la vostra gloria, e le vostre
precau* „ zioni sapranno preservarvi da qualunque „ timore . Koma
vi riguarda . come un dono,, ricevuto dai Numi, e voi passate per una,,
Divinità tutelare, che il Cielo volle ser- „ bare iniftezzo a tanti
Nemici per assicurare „ il loro benessere, e la loro felicità .
„ Si è detto, che il peso dell’ Impero è „ troppo grande ; ma
questo è un vano terro- „ re capace a «coraggi re tutt’ altri, che il Fi-,,
glio adottivo di Giulio Cesare . La metà del,, Mondo ha già ubbidito alle
vostre Leggi ; „ finora non foste, che Triumviro, e l’ Im- „ pero
dell’Occidentè non fu per voi un in- »; carico troppo pesante .
Presentemente tut— „ te le Nazioni godono quella pace, che voi,, «apeste
ad esse procurare ; le nostre Fron- che quelli, li quali hanno
preso le armi con- tro la loro patria, o contro il loro legittimo
Sovrano, sono ridotti in certa guisa nella ne- cessità di continuare nel
male, per. La poca si- curezza, che trovano nel fare del bene . Non
osano di divenire innocenti per timore di sotto- porsi alla discussione
delle Leggi, che hanno offese, e persistono ne loro errori, credendo,
che il loro pentimento non trovi compassione . ja? •„
Nere sono difese da Governatori di vostra „ scelta, e gl’ ordini non
derivano, che da „ voi dal Caucaso, ed il Mar rosso fino all’ „
Oceano Brittannico . Non si tratta più di „ cercare, in che guisa potrete
divenire il,, Padrone dell’ Impero ; ma con quali mez- „ zi potrete
sostenere quel peso, che il Cie- „ lo ha voluto addossarvi;. Io spero di
potervi „ somministrare li mezfci ricercati. », Formate Un
Senato, che sia composto di », persone sagge, e tranquille, nè la pover-,,
tà deve essere un motivo, onde escluderne „ li buoni Cittadini ; sarà non
meno cosa van- „ taggiosa, se unirete ai Senatori Romani „
de’Soggetti stranieri scelti ancora Frà nostri „ Alleati. Con questo
temperamento, potrete » ricevere de 1 buoni consigli, sia per il go-,,
verno della Capitale, sia per contenere le » Provincie lontane, e le
cabale saranno meno » frequenti tra Individui di diverse Nazioni .
» L’ordine de' Cavalieri è rispettabile, ma » trovasi circoscritto
da troppo anglisti con- „ fini . Ammettetè ih questo ceto illustre,
sen- i, za fissarne il numero > tutti que’ sudditi >>
delle Provincie Romane, che ne sono de- », gni, e per li natali, e per li
servigj pre*,, stati, e per le ricchezze . >» Li Pretori devono
scegliersi dal Corpo „ de' Senatori dopo cinque anni di servizio*
„ e dell’ età di anni trenta, giacché in avve, gerete iui Giudice
subalterno col nome di „ sotto-Censorc, che prenderà cognizione di
„ que’ leggeri disordini de’ Cittadini, che,, non giungono al delitto, ma, che
sogliono „ cagionare delle inquietezze nelle famiglie, „ e che
tolgono la quiete publica, ed il buon „ ordine della Città . La carica di
questi due,, Magistrati potrà essere a vita, non po* „ tendo concepire
alcun timore di due Uomini „ inermi, che eserciteranno la giustizia
sot- „ lo i vostri occhii „ Io non so, o Cesare, se il mio
discorso „ incontrerà la vostra approvazione, ma ciò,,, che ho detto, mi
sembra troppo necessario „ a rendere il vostio regno pacifico .
Conte- ndete liberamente il diritto di Cittadinanza,, a qualunque
Individuo, che ne sia degno * „ delle Città alleate, e soprattutto delle
Co- „ Ionie, e cosi avvilirete questo titolo di „ Cittadino Romano,
che rende il Popolo „ della Capitale si fiero, e affezzionandovi le
„ Nazioni straniere, ve le renderete fedeli * i. Crescerà poi il loro
affetto, se facendo con „ precauzione una scelta de’ Soggetti li
più Digitized by Google l3i,, ragguardevoli, li
farete partecipi anche y, degli onori del Senato . Che cosa importa,
„ se il numero de’ nostri Senatori oltrepasse- „ rà li trecento ? Più
saranno gl* impieghi, e „ le cariche da conferirsi, e più autorità
vi „ acquisterete, ed anche maggior sollievo . „ E’ giusto,
che sia fissato uno stipendio „ per i Consoli, ed i Pretori, che
mandere- „ te nelle Provincie, giacché è cosa del tutto „
vituperevole, che per mezzo di enormi,, concussioni, si aggiudichino da se
stessi li „ salarj de’ loro travagli, ed impongano tas- „ se
arbitrarie sulle Popolazioni, che go- „ vernano. Se si porteranno delle
lagnanze „ contro l’avarizia di alcuni di quelli, do- „ vranno
richiamarsi all* istante, benché non „ siano finiti li tre anni
dell’esercizio della „ loro carica ^ In generale poi sarà una giu-
yv sta misura di non prolungare ad alcuno il „ tempo della sua
amministrazione oltre a „ cinque anni . „ Ho detto, che
bisognava moltiplicare il » numero de’ Cavalieri ; perchè da questo
» Corpo rispettabile dovrete scegliere levo- „ stre Guardie, a cui
assegnerete de’ Capi- „ tani . Allora la vostra Persona sarà più
si- „ cura, e se P uno di questi Capi diviene so- » spetto, l’altro
per emulazione veglierà con y, zelo salii vostri giorni ; qneU’autorità
poi, >, che loro darete sul resto della vostra Casa, ' « li
affezzionerà maggiormente al servizio,,e I a
i3a „ se si conoscerà, che le loro incombenze „ fossero
troppo moltiplicate, potranno in,, parte discaricarsene su di alcuni
subalterni „ col nome di Luogotenenti -, che parimente „ potrete
nominare . Dallo stesso corpo de’ „ Cavalieri potrete estrarre ancora e
gli Co- j, mandanti della Polizia, che in tempo di not*,, te veglieranno
sulla quiete di Roma, e gl* „ Intendenti de' viveri, e li Presidenti
del „ pnblico Tesoro, e li Ricevitori delle rendi-,, te delle Provincie,
(ij „ Oltracciò oserò dirvi, che sarà bene „ d’ impiegare
ancora de’ Liberti per la ri- „ scossione del pnblico danaro . Questa
qna- „ lità di nomini sarà adattata per sopportare,, l’odio inerente all*
impiego di Esattore . „ Con questo mezzo potrete far uso, e distri—
( i ) L’ ordine de' Cavalieri desume il suo stabilimento parimente
da Romolo, il quale avendo fatta la scelta di trecentpGiovani lipiù
valorosi, c benfatti, ne formò il Corpo di guar- dia della sua Per sona .
Allora erano chiamati Celeri, ma posteriormente furono sottoposti
ad altre variazioni di nome al dire di Plinio lib. 32 presso il
Sigonio de Antiquo Jure Civ. Rom. Jib.t. cap.3. : Equitum nomea saepe
variatum est, in his quoque, qui adequitatum trahe - bantur .
Celerei sub Romulo, Regibusque ap- pellati sunt, deinde Flexumincs,
postea Trotta- li : Fedi il sudetto Sigonio loc. cit.
Digitized by i33 „ buire degl* impieghi, che
serv'irannó di ri-,, compeiiza ai vostri domestici, e popolando- „
rOriente,e l’Occidente d’individui fedeli.»sa- „ rete con esattezza
prevenuto della situazio- „ ne delle Provincie lontane .,, Una delle cure
le più importanti di un „ Sovrano è di vegliare attentamente sulla
„ educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe-,, ro. Vi siano adunque per questa
delle pu- „ bliche Scuole, delle Accademie per formar-,, la nel mestiere
delle armi, e de’ Maestri „ ben pagati per istruirla nell’ esercizio dcl-,,
lo spirito, e del corpo . Da questa dipen- „ de la forza dello Stato, e
questi fiori colti- „ vati con saviezza, produrranno il frutto a „
suo tempo, e luogo . Procurerete però, „ che non venga educata nella
mollezza, e „ nella indolenza, altrimenti se ne risenti- „ ranno in
seguito gli effetti funesti ; Roma,, cesserà di esser feconda di Eroi, e
tntto „ l’obbrobrio ridonderà a carico dell’Autore,, della Monarchia, (i)
"t •• ( i) Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc quoque
te summopcre hortor insticuas, ut Putridi, E- questrisque Ordinis
homines, dum adhuc pueri- tiam agunt,ludos literarios frequentent
Ita e- nim statini apuero discentes, et exercentes omnia ea,
qua e adultis sunt usurpanda, ad omnia ne goda aptiorcs habebis. Optimi
enim, ac egre - gii Principi* est, non modo ipse ut omnia e*
v_ IS4 „ Anche le Truppe esiggono una particola.
„ re attenzione, come quel Corpo, che forse,, costituisce la porzione più
necessaria, e „ interessante dello Stato . Allorquando la „ maggior
parte delle vostre città godrà il di- „ ritto della Cittadinanza Romana,
vi riusci- „ rà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di,, Cittadini
Romani • Fatene la leva in tutte le „ contrade dell’ Impero ; siano
puntualmente „ pagate ; preparate loro de’ buoni quartie-,, ri, e non
permettete, che invecchino sotto „ le armi, poiché da ciò ne derivano le
sedi- „ zioni militari . Ogni Veterauo è ordinaria- „ mente ardito,
e presuntuoso ; perciò è ne- „ cessarlo, che questa porzione di Truppe,,,
facciali suo servizio senza interrompimen- „ to dopo il fiore della
gioventù fino al princi-,, pio della vecchiezza ; le vostre Legioni sia-
„ no sempre sul piede di guerra, ed in nu- „ mero sufficiente per
difendere le Frontiere. „ Siano escluse dal vostro governo quelle
le- „ ve istantanee, e tumultuose, come soleva „ altre volte
praticarsi in caso di estremo,, bisogno . Fate si, che una porzione de'
nostri Contadini eserciti tranquillamente,, l’Agricoltura, nè i loro
rustici lavori sie- „ no turbati dal timore di dover ascoltare ad „
ogni istante il suono della tromba guerric- officio agat, verum, ut
qua rat ione etiam re- liqui omnes quarn optimi fiant, prospiciat.
Dii ^Ciooglc i35 „ ra, che ad essi
annunzi degli arredamenti in- „ volontari .,Le Armate saranno assai
deboli, „ allorquando non sono fonnate, che di suddi- „ ti forzati
a servire. „ Si dirà, come trovare somme considere- „ voli.,
onde mantenere tante Armate conti- », imamente sul piede di guerra, e
pronte „ sempre a marciare a qualunque cenno del „ Sovrano ? Questo
è il punto decisivo, e „ l’oggetto di terrore, che vi è stato pre-
„ sentato,,, Ogni Stato ha le sue rendite, e voi pote- „ te divenir
padrone del Tesoro publico de’,, Romani . Basterà questo per dare esecu*,,
zione al progetto, che io vi propongo ? Nò », certamente; ma con una
prudente, e savia », economia vi si potrà supplire. Vendete le,, spoglie
delle Provincie conquistate, e for- „ matene, col prodotto, un fondo per
libi- 7, sogni straordinarj . Promulgate de’ sa vj re-. „
golainenti, affinchè le campagne siano con „ impegno, e profitto
coltivate dai Proprie- », tarj, ed esigetene un tributo sul loro
pro- „ dotto . Non è forse giusto, che con il sa- „ grifizio di una
tenne porzione delle loro so- „ stanze, si acquistino la sicurezza, che
voi \, procurate ad essi, e a tutto lo Stato ? Vegliate sulle
miniere de’ metalli, che „ si discopriranno nelle diverse contrade
dell' t, Impero . Esiggete puntualità nella riicos- rU
„ sione delle tasse per testa, senza permette- „ re, che li debiti
si moltiplichino.Procurate, che non si rappresentino al- „ tri giuochi
fuori della corsa de’ carri, e de’ „ cavalli, perchè ordinariamente le
Città le „ più opulente, sogliono esaurire le loro rie- •„ chezze
in futili divertimenti * Riguardo alla „ «Capitale dell’Impero, gli
edificj deggiono es~ „ sere in essa sontuosi, è li Spettacoli ma- „
gnifìci; la Capitale è il centro di tutte le „ Nazioni, e la maestà del
Padrone, che gor „ verna, si misura con la Città, ove risiede „
conia sua Corte. Fuori di Ironia proibite „ agli abitanti 1* eccessività
delle spese, e „ quindi con questo provido temperamento „ tutti
saranno in istato di pagare li tributi . „ Si potranno inoltre dispensare
le Provincie „ a fare Deputazioni così frequenti . Li Go- „
vernatoti respettivi ultimeranno gli affari „ sulla faccia del luogo ; e
se fosse necessa- „ rio, che quelli dovessero rimettersi al vo- „
atro Tribunale, li rimanderete al Senato . „ Allora voi detterete le sne
risposte, e sfug-,, girete di prendere sopra voi solo l’odio, „ che
quelle potranno seco portare . „ Fate partecipe il Senato delle
querele, „ che gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei „ Re
stranieri potranno promuovere, ed a voi „ solo riservate la cognizione
delle grazie, » che loro vorrete accordare . „ Non dovrete
mai più permettere al Po- „ polo la decisione de’ delitti capitali
. Qne- *> sta dovrà essere una ispezzione esclusiva „ del Senato,
il quale si crederà onorato di „ un tale imbarazzo, e voi ne resterete
con piacere discaricato . Io però non parlo de’ delitti comuni, la
di cui punizione è stata regolata dalle Leggi . Per li attentati
contro »» la vostra persona (giacché tutto può acca- „ dere )
siatene voi stesso il delatore, ma non „ giudicate giammai nella vostra
causa . Fate, », che altri ne pronuncino la sentenza, e voi,, non dovete
interessarvenc, che per mode* », rare la pena . » Non dovete
fissare la vostra attenzione, », come già ho accennato, nè alle parole
in- »> considerate de’ malintenzionati, nè alle sa- j» tire, che
si diffonderanno, contro di voi,, nel publico, e non curate di venire in
co- », gnizione degli autori ; poiché dovete figli- » rar ?i, come
situato in una sfera superiore, »• in cui siete invulnerabile, come li
Dei . *» La vostra collera non deve accendersi, che » contro li
sediziosi, che, posti alla testa „ di una Armata, avranno rivolte le
vostre,, armi contro di voi stesso . Il giudizio di que „ sti scellerati,
e colpevoli di Stato, Indivi*,, dui ordinariamente di alta considerazione,
„ dev essere rimesso per commissione ai Con* >» soli antichi ; la
qualità di tali Giudici darà », peso alla decisione, che saranno per pronunciare
. Vi saranno delle cause, dall’e- „ game delle quali non potrete
dispensarvi*,, imperciocché pii affari di onore fra gliUfh- „ ciali
delle vostre Armate, e gli Appelli dai „ T ribunali del Prefetto di Roma,
e del sotto*,, Censore devono tornare a voi; allora sce- „ gliete degli
Assessori fra i Patrizio al tri Sog- „ getti qualificati, che possano
figurare con,, voi in una Assemblea giudiziale . „ La grande
saviezza di un Padrone indi- li pendente consiste nell’ ascoltare
volentieri,, gli altrui consigli . Accogliete pertanto gra- ti ziosamcnte
tutti quegli Amici, e Cittadini, „ che saranno per darvene dei
salutevoli;,, ma non discacciate con orgoglio coloro, i „ quali potrebbero
suggerirvcne alcuni non „ sodisfacenti. Quelli, dalla bocca de’qua-,, li
sortono consigli poco utili, possono aver „ avuto retta intenzione :
Accade di que- „ sti, come dei Generali di Armata battuti,, dal nemico ;
Spesso l’errore non è imputa* „ bile nè agl’ uni, nè agl’altri ; e
siccome „ non si può sempre rispondere degli avveni- „ menti della
guerra, cosi non deve riguar- „ darsi con occhio bieco quell’ Uomo, che
di buona fede dà un consiglio poco sensato . „ Li
Filosofi procureranno sovente di gui* „ darvi con le loro speculazioni .
E’ vero,,, che avete sperimentato, quanto erano van- *, taggiosi li
consigli di Areo, e di Atenodo*,, 1-0(1^), ma generalmente parlando, le
opi- nioni di tali Uomini sopo difettose per man- canza di
esperienza nel maneggio degli affari - Le meditazioni del Gabinetto sono
spesso le meno sicure in prattica. Atenodoro Filosofo Stoico era
nativo della Città di Tarso . Fa maestro di Augusto, dal quale Ju
decorato di molti onori . ed anelli di Tiberio . Aveva il talento
particola) c per far apprendere con facilità le scienze a' suoi Di
- scepoli . Le sue cognizioni erano cosi estese, e tanta la forza
della sua eloquenza, clic Sallu- stio lo assomigliava al fuoco, che
accende tutto ciò, che gli si avvicina : Athenodorus Stoicus
Philosophus ( dice Suida f sub Octa - vio Romanorum Imperatore
omni- bus ad Philosophiani subsidiis, tam ab iji ge- nio,
quam recta animi voluntate instructus erat .... idemque dilucido
discipulis suis explicabat . Hunc Sallustius oh studiuni admi-
ratus, igni similem esse dixit, omnia propin- qua incendenti : Secondo
Strabope lib. 1 4 . pag. 463- aveva l' abilità di rispondere
estempora- neamente a qualunque argomento, e fu ono- rato ancora da
Marco Antonio il Triumviro, ììi lode del quale scrisse un Poemetto, dopo
la battaglia presso Filippi . t fa') Dion. loc. cit. : Neque
enìm quia A- reum., et Athenodorum bonos, ac honestos vi- ro s
expertus es, omnes alias idem studium prua- i4o „ Ecco,
o Cesare, alcune massime geuera- „ li per il Governo, clie renderanno la
vostra „ amministrazione Sovrana meno difficile, e „ meno
pericolosa di quello’, che vi è stata,, rappresentata . • .,, Le qualità
personali del Monarca, so- », pratutto quando è 1’ autore
dellaMonarchia, », devono eguagliare la sublimità del rango, », al
quale egli è giunto . Io credo, e so* », no persuaso, che quello non deve
in- difierentemente accettare tutti i titoli, e „ tutte le
distinzioni, che l’adulazione potrà „ deferirgli . La realtà della
Monarchia vi „ deve bastare sotto qualunque nome la rite*-,, niate . Che
importa di esser chiamato Cesa-* » re, o al più Imperadore, quando voi
am- „ ministrate sovranamente lo Stato Romano ? „ Bisogna,
che con una irreprensibile con „ dotta v'innalziate dei monumenti perenni
sul „ cuore de’ Sudditi . Che cosa servono quelle „ Statue d’oro, o
di argento ? Sono stati eret- „ ti nelle Provincie alcuni Templi a
vostro „ onore, ciò poco interessa ; ma non dovrete » giammai
permettere, che ve ne sieno con* „ secrati in Roma, perchè sarebbe un
oggetto „ di disprezzo per le persone sensate, ed una
seferentes, similes eorum indicare debes, curri hac specie usi
multi infinita mala populis, privatisene hominibus adjeraut,
y, spesa inùtile, che pot là essere meglio im- i,
piegata. - „ Fate uso voi stesso di economia nelle vo- * stre
spese particolari, ed in quelle della vo~ „ straGasa.La buona opinion,
e,di un uomo frn- » gale vi farà più onore di un grande numero
»> di tempj, di altari, e di statue . Questo „ culto esteriore, e
materiale diverrà comu- „ ne ai buoni, ed ai malvaggi Principi .
„ D’altronde non si recherebbe insulto ai Numi, con eguagliare i
vostri onori a quel- li, che il Popolo suole ad essi deferire ?
„ Un Sovrano, che cerca di essere onora» to deve sempre mostrare
della pietà verso li „ Dei immortali, perciò nón permetterete, „
che s’ introducano in Roma delle Sette re- ligiose straniere . Una novità
in materia 5, di Culto, ne porta sempre delle altre, e „ e quindi
ne risultano attruppamenti sedi- „ ziosi, e pericolose congiure . Ammetto,
„ che restino frà noi degli Auguri, che con- „ suiti, chi vuole ; ma non
devono assoluta- „ mente tollerarsi gli Astrologi, ed i Maghi ; j)
imperciocché dalle loro predizioni false, o „ vere, che siano » hanno
principio sempre „ le intraprese dei perturbatori del publico „
riposo, ... -fi) Dion. loc. cit. : Deos quoque senipcr, et ubique
ita cole, ut moribus Patriae est recc- ptum,ad eumdemque cultura ahos
compelle. Pc- * 4 * „ Voi avrete indiverse parti
delatori -, e. „ spioni ; questa razza di persone saranno „
necessarie, ma guardatevi di deferir cie- „ eamenre ai loro rapporti .
Spesso l’odio, „ rinteresse, la vendetta, o altre passioni „
sciolgono agl’ uni la lingua, e chiudono agl’altri la bocca . Qui è
dove fa dnopo,, avere continuamente la bilancia in mano, „ e procurar di
farla inclinare piuttosto a „ favore degli Accasati .,, Li vostri antichi
Amici, ed i vostri Do-,, mestici li più familiari devono esser per,, voi non
meno un soggetto di precauzio-,, ne . Disprezzarli, sarebbe, un ingratitu-,,
dine, sollevarli, ed arricchirli soverchia-*,, mente, produrrebbe contro di voi
un ar- „ goinento perenne di rimproveri, e dimor- „ morazioni . Si
giudicherà di voi per mez- „ zo de’ vostri Amici, e i loro difetti
sa- „ ranno a voi attribuiti . Cercate adunque „ di disfarvi dei
meno discreti, e di quelli, „ che sono nelle loro brame insaziabili
» • ‘ ' v • ... \ • 1 • i regrìnarum vero
Religionum auctor esodio, ac Supp liciis prosequere, . qui nova numi
- na introducane, multos ad peregrinis Legibus utendum
pelliciunt ; inde conjurationet, coi- - tioncs, et conciliabula existunt,
minime unius principe fui commodae res ; itaque nequeDeo- rum
contemptorem, ncque praestigiatorem al- lum tolerabi * .
Digitized by G, regolato Governo : L’ingiusta preferenza „ produce del
malcontento, e quindi può „ ancora cagionare il rovescio totale di
quel- „ lo. Siate il protettore dei Grandi fino ad „ un certo
punto, ma l’eterno sostegno dei „ deboli, ed il vendicatore degli
oppressi.,, Proteggete con energia le arte utili, clic „ esercita il
basso Popolo, e bandite gli „ oziosi . Ordinariamente le sommosse
popo- „ lari incominciano da pe rsone disoccupate, *, e sono
fomentate da nomi di partito, che,, si danno reciprocamente per farsi
ingiuria; „ ciò forma la sorgente delle rivolte, che Fa duopo
distruggere nella nascita. „ L’abuso della propria autorità è il
più,, grande dei mali per un Sovrano . Dare ese- „ cuzione a tutto ciò,
che si può, è lo stes« i, so soventi volte, che fare più di quello
è >, permesso . Più utio si conosce potente, o „ più bisogna
> che vegli sopra se stesso per „ non farsi trascinare dai proprj
desiderj. Gli,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri di? : b fatti
> ma segretamente vi biasimeranno . „ Abbiate dunque per massima di
regolare la,, vostra condotta, non tanto su quello, di i, cui siete
stato redarguito, ma sù quello, „ per cui potrete essere rimproverato .
Ri- „ flettete sopra voi stesso, e non già come,, Sovrano, ma come
Suddito responsabile j, di tutti i vostri andamenti al Publico,
il 144 » quale vi osserverà con tnttà 1 attenzione,,,
e vi giudicherà con rigore maggiore di quello, di cui voi userete verso
di esso . „ Ecco, o Cesare, il dettaglio delle qua. „ liti, che voi
dovete acquistare, c de'sco-,, gli, che dovete sfuggire. La sapienza, di
„ cui il Cielo ha voluto decorarvi, vi servi-,, rà di. guida, e 1* esperienza
vi faciliterà „ l’arte di governare . Entrate adunque, „ entrate
con confidenza nella carriera, che „ le vittorie vi hanno aperta ; Roma,
e l’U- „ niverso vi reclamano, come il solo Uomo „ capace di
riparare ai disordini di una „ Repnblica andata in decadenza . Quelli,
„ che vi esortano a consumare la Rivoluzio-, ne, amano sinceramente la Patria .
Che ., dolcezze non gusterete in una amministra- „ zione tranquilla,
in cui voi farete la feli- „ cita di un Mondo intero 1 Ninna cosa è
più „ dolce del dominio, allorquando il Domi- „ natore è capace di
procurare la comune fe- „ licita. Non vogliate discacciare la fortuna,
„ che vi ha scelto fra mille per sostener Ro- „ ma vicina a cadere .
Regnate senza prende- „ re il nome di Re, e siate Sovrano senza „
altro titolo, che quello di Cesare, o d'Im- „ peradore . In una parola,
la regola più si- „ cura onde rendere amabile il vostro Im- „ pero
è quella di governare li popoli a voi,, soggetti, come bramereste di essere
ga- Digitized by 145,* vernato voi stesso, se i Numi
vi avessero,, fatto per ubbidire (i). Il tX scorso di Mecenate
dissipò le dubbiez- ze di Ottavio, gli trasfuse nell'animo maggior
sicurezza, e non esitò ulteriormente per aderire al progetto di quello .
11 bravo Agrip- pa non restò malcontento al vedere posposto il suo
sentimento, perchè comprese anch’es-, che il suo Padrone rischierebbe meno
di quello, che non si era creduto, sul posto eminente > nel
quale veniva consigliato a per- petuarsi > e che l’utilità publica si
trovereb- be unita alla gloria del medesimo . Egli non potè non
ammirare la saviezza, e profondità delle massime politiche di Mecenate,
propo- ste per rendere felice un'Amministrazione Monarchica ; e
perciò l’esperienza ci ha fat- to quindi conoscere > che tutti li Re
vera- mente degni del Trono hanno formato il loro piano sù quello,
che il sudetto Mecenate pre- sentò ad Ottavio . La lettura del suo
discor- so > che per intero ci è stato dallo Storico Dione
trasmesso è un Capo d’opera, che an- che ai nostri giorni, ed in ogni
tempo può istruire li Sovrani a divenir felici, procu- rando la
prosperità de’ loro Sudditi (a). Il laborioso Catrou, da noi tante
volte, citato, suppone, che non ostante l' efficacia ' «. .
( 1 ) Dion. lib. 53 . Catrou Catrou loc. cit. lib. 5 .
K t+6 delle ragioni dettagliate da Mecenate, V
à~ nimo di Ottavio restasse tuttora perplesso, ed irrisolato ; e
che il Poeta Virgilio deter- minasse qnesta sua ir risolutezza, e lo
indu- cesse ad ahbracciare definitivamente il prò* getto della
Monarchia . Il Catrou parla in tal guisa (i,) „ Osare, avendo ripieno lo
spirito „ di tutto ciò, che aveva ascoltato da Me- „ cenate, non
ebbe rossore di consigliarsi,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici i
„ nomo di bassi natali, nato in un villag- „ gio da poveri genitori, ma
li di cui ta-* „ lenti erano sublimi Questo fu il famosò „
Virgilio, Poeta, la memoria del quale si,, conserverà in tutti i secoli . Da
lungo tem-,, po egli era al servizio di Cesare Ottavià- „ no, e per mezzo
di vili principj èraginn- „ to a meritarsi il favore delsno Padrone .,,
Mecenate lo aveva tirato dalla polvere -, „ ed egli aveva già spiegato
quel genio in- „ comparabile, che faceva presagire un al- „ tro
Omero .... Virgilio fissò la irrisointez- „ za dell’ lmpefadore con
queste parole :,, Tutti quelli, che si sono finora impadrb- „ nifi del
Governo non visorio riusciti, fe „ perchè f Perchè po.o giusti verso
degli,, altri, han dovuto, incessantemente paren-,, tare le mani vendicatrici
de 'malcontenti * „ Voi al contrario, o Signore, che il Cielò - -
*1 • - ( i) loc. cit. „ ha fatto nascere giusto,
e moderato, pas- „ serete giorni avventurosi, facendo pro-,, vare ai
Romani un impero amorevole . Sembra però, che il Catrou in questo
luo- go siasi fatto sorprendere da quella Vita di Virgilio, che
viene attribuita a Donato Grammatico, e dì cui si è fatto di sopra
menzione (i). Siccome però questo scritto, (l) Il Succennato Autore
della Vita di V irgilio si spiega nel modo seguente . Postca- quam
Augustus summa rerum omnium poti - tus est, venit in mcntem, an
conduceret Ty- rannidem omittere, et omnem potestatem an- nuii
Consulibus, et Senatui Rempublicam red- dere . In qua.re diversae
sententiae consu/tos habuit Mae cenai eni, et A grippata . Agrippa
enim utile sibi fare, edam si honestum non esset, relinquere Tyrannidem
longa oratione contendit, quod Maccenas dehortari magno- pere
conabatur . Q tiare Augusti animus et hinc
ferebatur, et illinc . Erant enim diversae scn- tentiae, variis ratiombus
firmatae . Rogavit i gi tur Maro ne m, an conferat privato homi -
ni, se in sua Republica Tyrannu/n faccre . Tum ille : Omnibus ferme,
inquit, Rempu- blicam aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis futi, et
Civibus ; quia necesse crat odia sub- ditorum, aut eorum injustitiam,
magna su- spicione, magnoque timore vivere . . . Q uare si
jusCitiam, quod modo facis, omnibus in K a a
sentimento di tuffigli Eruditi, è pie nò di errori, e di favole, cosi non
può fissare la nostra attenzione su quanto narra di Ottavio nel
momento, in cui stava per decidersi sul- la scelta o della Monarchia, o
del ristabili- mento della Republica . Se sussistesse ciò,
che ivi si legge, cioè > che Vi rgilio determinasse il sudetto
Ottavio ad uniformarsi al sentimento di Mecenate, non si sarebbe
certamente omesso da tanti va- lenti Biografi, « he hanno parlato
diffusamen- te, e di Virgilio, e di Ottavio ; e Dione se-
gnatamente, che ha trasmesso alla posterità gli eloquenti, e giudiziosi
ragionamenti di Agrippa, c di Mecenate, e che inoltre af- ferma positivamente,
che Ottavio si attenne al parere del secondo, sembra, che non
avrebbe occultata una notizia cosi interes- sante, e rimarchevole.
11 De la Rue accenna appunto questa ragio- ne per escludere la
verità di quella circo- stanza narrata dal sudetto Donato „ Se non
„ fosse un fatto del tutto assurdo ( dice egli ),, che Virgilio consigliasse
Ottavio ad aderì-,, re al progetto di Mecenate, e che deter-,, minasse l’animo
vacillante di quel Princi- futurum, nulla hominum facta
compositione, distnbues ì dominar i te, et tibi conducet, et orbi *
. . Ejus sentcntiam sequutus Cattar Pria- eipatum tenuit » » pc, non si sarebbe narrato dal solo
pseu- i, do-Donato, ma sarebbe stato ai posteri „ trasmesso dalla
penna ancora di Storici il rispettabilissimi (i). V Ambrosi,
che pensava come de la Rne, nel premettere alla sua magnifica
Edizione dell'Opere del sudetto Virgilio la indicata Vi- ta di
Donato, cosi previene il Lettore infi- ne della medesima e in cui visse
•. „ Imperciocché nveutre Sesto Pompeo, fi-,, gliò del gran Pounpeo,
richiede il Patri- „ monio paterno, sconvolge, e mette sos- „
soprali mari d’Italia, e di Sitilia; men- », tre Ottavio si vendica degli
Uccisori di „ Giulio Cesate ano Padre, si divellano „ scene
sanguinose nelle Campagne della », Tessaglia; mentre il genio incostante,
e,, e volubile di Marco Antonio, o deprezza », Ottavio, corno successo re
di Cesare, o,, acciecato dagli amori di Cleopatra, in- „ dina a divenire
un assoluto padrone del „ Governo, il Popolo Romano no» potè tro-,, vare
il. suo seampo » che gettandosi in brac- • „ ciò alla schiavitù . Ma buon
per noi, che «, in cosi terrihile sconvolgimento di cose» i,
le redini del comando caddero nelle mani,, eli Ottavio Cesare Augusto, il quale
eoa », la sua sapienza, e con la sua sagacitàsep- i5a „ pe riordinare le
membra scomposte dell’ „ immensa mole dell’ Impero, che non
sa- „ rebbero tornate sicuramente al suo luo- » go, se dalla meote,
dal senno, e dalla „ abilità di un solo non fosse stato il Governo
diretto (; ) . Fior. lib. 4 Cap. 3 . Populus Poma- nus, Caesare, et
Pompe\o trucidati, redas- se in statum pristinac libertutis videbatur
; et redierat, nìsi aut Pompcjus Liberos, aut Cassar haeredem
reliquisset ; vel quod utro- qua perniciosius juit, si non collesa quoti
-,tlam, mox acmulus Caesarianae potentiac, fax, et turbo sequentis
saeculi, superfuissec Antonius . Quippe durn Scxtus paterna repe-
tit, trepidatum foto mari ; dum Octavius mor- tevi patris ulciscitur, ite
rum fuit mo venda Thessalia ; dum Antonius, varius ingenio, aut
successorem Cassar i indignai ur Octavium, aut amore Cleopatrae desciscit
in Pegem j nam aliter salvus esse non potuit, visi con- fugisset ad
servitutem . Gratulandum tamen in tanta perturbatione est, quod
potissimum f ad Octavium Caesarern Augustum somma re- rum
rediit, qui snp lentia sua, acque soler - tia, perculsum undique, et
perturbatovi or- dinavi Impcrii corpus,i quod ita haud d ti- bie
nunquam coire, et consentire potuisset, nisi uni us Praesidis nutu, quasi
anima, et mente, regcretur, Il grande progetto della Monarchia
unfc* versale da Mecenate proposto, non era co- nosciuto, che da
esso, da Agrippa, e da Ottavio . Siccome il silenzio è l'anima del-
le imprese delicate, cosi questo dovette esi- gere da Agrippa un segreto
inviolabile, do- vendosi mettere in esecuzione con metodo, con
circospezione, lentamente, e senzacbe i Romani potessero avvedersene,
giusta le istruzzioni dell’Antore del medesimo . Otta- vio segni in
tutte le parti li consigli di que- sto savio Politico, e gli fu debitore
della suar gloria, e della felicità del suo Regno . In fatti
riformò subito il Senato.; ed es» eludendo que’ Soggetti, la di cui
presenza in quel Corpo rispettabile, o non poteva reca- ve alcun
vantaggio, o cagionargli del male, ve ne sostituì degli altri di
sperimentata pru- denza . Usò in questa riforma la precauzio- ne di
far vedere, che da esso era quello in special maniera onorato, per non
cade- «54 re nella stessa disavventura, alla quale
fn sottoposto Giulio Cesare, il di. cui disprez- zo ingiurioso per
un Magistrato composto del- le più illustri Famiglie di Roma, fu più
ve- ramente la cagione della sua morte funesta, che l’interesse
della publira libertà (i). Aboli tutti li debiti dai Cittadini
contratti con lo Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti, che la
necessità del tempo aveva fatti pro- mulgare nell’epoca del Triumvirato,
Abbel- lì Roma di grandiosi Monumenti, e diven- ne ristoratore di
un grande numero di Tem- pli, li quali o le guerre passate avevano
rovinati, o per mancanza,di denaro, erano stati negletti. ?,
Stabili, che la distribuzione gratuita del grano, che, per costume
antico j; soleva far- si .al Popolo sopra li fondi, del publico Te-
soro, fosse più frequente, e che in ogni di- stribuzione se ne dasse alle
povere famiglie una misura quadrupla di quella, che prima era in
usanza . Questi, ed altri regolamenti salutari gli conciliarono una stima
generale, ed era, per dir cosi, idolatrato da tutti. Allora
Mecenate si avvide con la profon- dità delle sue viste politiche, che il
suo Pro- getto era giunto alla maturità, e che il Se- nato, Roma, e
tutti gli Ordini dello Stato erano già disposti a riconoscere l’impero
di ( 1 ) Echard loc. cit, ...... . Diqitized by
Google un solo nella persona del sno Padrone ; per- ciò concepì
un secondo Progetto, per ulti- mare il primo, che sembrava piuttosto
stra- vagante, e pericoloso, ma che doveva inse- guito produrre
tutto il suo effetto . Consigliò pertanto ad Ottavio', che si
pre. sentasse in Senato, e con un discorso politi- co, ed
artificioso rinunciasse al comando assoluto, che allora riteneva,
rimettendolo nelle mani de'snoi antichi Magistrati . Gli fe- ce
riflettere, che con questo mezzo non solo non lo perderebbe, ma anzi
avrebbe ottenu- to, eh’ egli, il quale finallora era stato ar«
bimanamente Padrone del Mondo, per con- senso di tutta la Nazione, sarebbe
divenuto Monarcha legittimo ; inoltre, che, median- te le riforme
già fatte e nel Senato, e nel- le altre Magistrature, erasi procacciato
una quantità di Partegiani, che per le sue libe- ralità, per la sua
giustizia, e per lesile ma- niere obbliganti era sommamente amato
dal Popolo ; che in conseguenza, allorquando questo, ed il Senato
avrebbero inteso pro- nunciarsi da]la bocca del loro benefattore la
rinunzia alla direzione del Governo, o per riconoscenza, o per rispetto,
o per politi- ca, o per non perdere le dolcezze della vita, e del
buon ordine, ch’esso aveva introdotto, non solo non avrebbero accettato
la propo- sizione, ma lo avrebbero pregato a perpetnarsi in quell’impero,
acni finallora aveva preseduto . Ottavio adunque penetrato, e
persuaso dalle ragioni, donde era stato dal suo Mini- stro
istruito, si presenta in Senato, e con un’aria d’ingenuità, e di
franchezza sorpren- dente, in tal gnisa si fece a parlare : La
>, proposizione, che io vengo a farvi, Padri t3 Coscritti, sarà
da pochi approvata, e da molti stimata incredibile . Soventi volte
la j, diffidenza, con cui sogliono riguardarsi le ** persone
costituite in dignità, fa rendere sospette le medesime, anche quando
par- „ lano, ed agiscono sinceramente, Io mi „ esporrei
immancabilmente a questo peri- n colo, se non fossi determinato di dare
una s pronta esecuzione a quanto sono per prò- A porvi . Voi vedete,
Padri Coscritti, a qual » rango sublime mi hanno fatto giugnere la,,
sorte delle armi, ed una condotta modera- „ ta . Capo assoluto, ed
indipendente della „ Repnblica, io sono in istato di far uso del-
»» m i a potenza, e di perpetuarmela . Ap-,, pena uscito dalla fanciullezza,
impugnai la >1 spada, e volai a vendicare l assassimo di „ un
Zio, che mi aveva adottato per figlio,,, Nel momento, in cui entrai in questa
car- n riera, presi la giustizia per guida, e la,, vittoria divenne mia
compagna . Fui co- iì stretto a combattere con nemici di diver-,, so
carattere, e di qualità differenti . Bi*,, sognò dissimulare con alcuni, ed
aprire con „ essi delie relazioni per non soccombere j> sotto il
peso della moltitudine . Mi con- „ venne in seguito perseguitare gli
altri ar- dilaniente, e costringerli a rivolgere con- „ tro essi
stessi quel braccio, che era stato „ funesto a Giulio mio Padre . Mi
associai „ alcuni compagni delle mie vittorie, e divi- „ si con
essi il peso del Governo . Che cosa „ quindi ne accadde ? Lepido in
Africa lasciò decadere con la sua negligenza gli affari di „ Roma ;
Antonio, esposto nell' Egitto, e „ nell’Asia, come su di un teatro,
disonorò „ con la sua turpe condotta il nome Romano, j, e lo rese
abbominevole a tutto l’Oriente . „ Il Cielo secondò quello zelo, che esso
stes- „ so mi aveva trasfuso per riparare a tali di- „ sordini v
Antonio non esiste più, e Lepido,, vive nell’ozio giorni felici per un
uomo del suo carattere . Che cosa vi aspettate, Padri Coscritti,,,
da un Vincitore, padrone del suo, e del vostro destino? Tutte le Fazioni
sono di- „ strutte; ogni corpo di armata sulle Frontie*,, re è comandato
da Geuerali, che godono tut-,, ta la mia confidenza . Li Re nostri Alleati,,
non ricevo.no l’impulso, che da miei cenni, „ ed i loro soccorsi non
marciano, che agli „ ordini miei. Il denaro proveniente dalle „
nostre rendite non è versato, che nel mio i} tesoro, e non ne va nelle
publiche casse, 158 „ che quanto io ne permetto . Fiù
. Io eono- „ sco i vostri cuori, e quello del Popolo Ro-,, mano in
generale . Io potrei rispondere del „ vostro affetto verso di me, e
riposarmi „ sulla publica benevolenza . L’indipendenza „ adunque, e
la Sovranità possono andare „ più oltre? Ma perchè tenervi più
lunga- „ mente sospesi ? Ascoltate con attenzione le „ mie parole,
ed il suono delle medesime „ faccia passaggio alla più lontana posterità
.,, Questo Vincitore, Sovrano assoluto, „ questo Generale Supremo di
tutte le forze „ di Roma, questo linperadore adorato dal „ popolo
sagrifica al bene della Patria gli ono- „ ri, di cui lo avete ricolmato,
li titoli,,, che gli avete Conferiti, in fine tutto il frut- „ to delle
sue vittorie . In questo istesso „ istante io vi restituisco li miei
diritti sulle „ Armate, sulle Leggi, sulle Finanze, sul „ governo
delle Provincie, in una parola sù „ tutto ciò, che voi mi avete accordato,
e „ che la necessità delle circostanze mi haco- „ stretto ad
accettare. Che volete di più? Ora si dica pure, che io non ho
travaglia- „ to, che per il mio ingrandimento, quando „ mi esposi a
tutti li pericoli delle battaglie . ORoma, tu fosti sempre presente
agl’oc-,, chi miei ! A Perugia, nelle Campagne di „ Filippi, in Sicilia,
nel Golfo di Ambracia,,, e nell’Egitto! A te sola io allora immolava
>, li tuoi, e li miei Nemici, e non fui prodi- 1S9
if go del mio sangue, che per assicurare la li- „ berta Romana . Ah
fos'se piaciuto ai Numi, „ che io non avessi impiegato il mio
Ministero „ in guerre civili, che ci hanno esaurito di „ Cittadini,
e spopolato le Provincie . O mia „ cara Patria, perchè non ti trovai
tranquil- „ la, conte al tempo de’ Padri nostri ! Cielo t „ tu non
me lo hai permesso ! Benché giova- •„ netto mi scregliesti per essere il
vendicato- }> re del più perfido assassinio, il riparatore „
degl’insulti recati alla Nazione Romàna, il „ ristoratore della nostra
gloria eclissata, e „ finalmente il pacificatore di tutto il Mondo!,, La
mia opera è compita > ed ho pienamente „ sodisfatto ai miei destini
. „ Permettete > Padri Coscritti, che iomen „ vada nella
solitudine a bearmi di quella fe- >, licità, che io stesso ho
procarata . Ora non „ posso, senza ingiustizia ritenere più lun-,,
gamente un potere, che a voi appartiene ;,, e questa mia volontaria cessione è
dovuta „ alla mia propria sicurezza, per mettermi „ al cotperto
degli assassini . Che anzi non so-,, lo vi rendo le vostre leggi, e tutti li
vostri „ antichi privilegi, ma vi dono eziandio l’o- „ pulento mio
patrimonio, e le prerogative, che io posseggo per diritto della mia
nasci- ta(i). (i) Dion. lih. 53. Catroutom. 19 . » dotta, e
nelle tue operazioni, nè mire am- >» biziose, nè avarizia, nè verun’
altro di,, que vizj, che sogliono albergare ne Cor- „ tigiani, e nelle
Corti . (i) Properzio scrivendo allo stesso Mecenate, ci da à
conoscere, che quel suo disinteresse per gli onori sublimi, ai quali
avrebbe potuto pervenire, prodnceva un’ azione si gloriosa, e
commendevole, che il di lui nome sarebbe dalla fama, e dai posteri
celebrato al pari di quello de’ Camilli . (a)
(1) Apnd Pontan. in Symb. Georg. Virgil. lib. a. pag.aay.
Regis eros genus Etrusci, tu Caesaris olirà D exter a, Romanac tu
vigili] ibis eras . Omnia curri posscs tanto tam carus amico,
T e sensit nemo posse nocere tamen . ( 2 )
Lib. 3 . Eleg.7. Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum,
Intra fortunam qui cupis esse t narri Di più questo suo morigerato
contegno, e Mobile disinteresse serviva anche d’esempio alle
famiglie le più cospicue de’ Romani Cava- lieri, e ne ebbe imitatori, ed
ammiratori. Crispo Sallustio, fri gli altri, nipote di una soìclla
dello Storico di questo nome, seguì perfettamente il tenore di vita di
Mecenate . „ „ Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo-,, rirono due
illustri personaggi Lucio Volu- „ sio, e Sallustio Crispo . * . . Questo,
ni- „ potè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai* „ lustio elegantissimo
Sri ttorc delle Storie Ro*,, mane > da cui fu associato alla sua Famiglia,,,
aveva tutti li mezzi li più potenti per otte* „ nere qualunque dignità ;
tuttavia, emù*,, landò la condotta di Mecenate, senza il ti- „ tolo di
Senatore, Superò in potenza molte „ famiglie,che erano state decorate
delTrion- „ fo, e Consolari » . » . Mentre visse Me- tani libi
romano dominas in honore sccures, Et liceat medio ponere jura foro
. > Et tibi ad effectum vires
dei Caesar, et omni T empore tam faciles insinuentur opes ; Parcis,
et in tenues h umile m le collegi* um- bras, Velorum plerMs
subtrahis ipse sinus . Crede mihi magnos aequabunt
ista Camillos Jndicia, et veniet tu quoque in ora virum, Ì76,)
cenate, Crispo fu il secondo > cui venivano „ affidati li segreti
Imperiali ; fu il primd i, però, quando quello cessò di vivere, (i)
Ciò non ostante Augusto procurava di com- pensare questo
commende’vole distacco dagli onori luminosi del suo Favorito colli tratti
del* la più tenera amicizia, e della più sincera confidenza .
Imperciocché, allorquando il peso, e la serie degli affari del Governo
gli lasciavano qnalche tregua, si portava sovente a visitarlo anche
nella maestosa Villa, che pos- sedeva sulle fertili sponde dell’Aniene.
Quivi Ottaviosi compiaceva di rivedere l’a- mico, di consultarlo, e
di riceveie sempre consigli, istruzzioni, e massime per ben g vernare, e per ben governarsi ; che anzi
vi è chi crede, che il memorabile Congresso frà (1 ) Tacit.
Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni concessere vita insignes Viri L. V
olusius, et Sallustius Crup us . . » . . Crispum equestri crtum
loco, C. Sallustius, rerum Romanarum flore ntissimus auctor, sororis
nepotem in no- mea adscivit ; atque Me, quamquam prompto ad capesse
ndos honores adita, Maecenatem ae- mulatus, sine dignitatc Senatoria
multos Triumphalium, Consulariumque potentia an- teiit ......
Igitur incolumi M. proximus, mox praecipuus, cui secreta Im-
peraiorum inniterentur . (a^ Marquez Dis. sulla Vita di M.
*77 Ottavio, M., ed Agrippa, e le deli- berazioni per
rinunciare, od accettare la So- vranità fossero tenute nella tranquilla
solitu- dine, e nel dilettevole silenzio di questa Vil- la
deliziosa . Ed in vero qual luogo più oppor- tuno per trattare con
riflessione, maturità, e quiete un oggetto cosi grande, che aveva
rela- zione con gl’interessi dell’Universo ? ( 1 ) Di più ;
se Ottavio era sottoposto a qualche infermità, non già restava nella
Corte, in mezzo a suoi domestici, ed agli adulatori . Esso non si
trovava contento, e non sentiva sollievo alle sue fisiche indisposizioni,
che nelle mura dell’abitazione, e fra le braccia Volpi Lat. Vet.
lib.18.Cap.?. Cumvero bis Augustus deliberaverit de su.mma Imperli
abdicando, et inpristinam restituenda Reipu- blicae libertate, et in
gravissima e deliberatiti— nis consultationem Agrippam generum, et
Maecenatem amicissimum arbitros, et consilia- rios assumpserit, quemadmodum
in majoris mo- menti rebus omnibus consueverat .... Agrip- pa ad
illum longissimatn prò abdicando ora - tionem habuerit, prò retinendo ac
optime in - stituendo rerum regimine M., haec in nostra Tiburti
Villa M., ut potè in serhoto à turbis, securoque odo, agitata fuis-
se, vehementer, ut suspicor, inclinat ani- mus . M
del suo M. Svetonio ci dice chia- ramente, che quello in
tempo delle sue malat- tie riposava nella casa di Mecenate . Ma la
stima, la tenera amicizia, la fiducia, il ri- spetto, che dimostrava
Augusto verso Mece- nate, non si limitavano soltanto a queste sem-
plici dimostrazioni, che possono chiamarsi materiali, e passeggere; egli
amava di esse- re istruito incessantemente da quello nelle vie
difficoltose del Governo, e ne riceveva anco- ra con tutta la
rassegnazione li più umilianti rimproveri, quando conosceva, che
erano diretti contro le sue passiotai t- Fra le altre
istruzioni benefiche, e saluta- ri, che MècènAte aVevà suggerite ad
Ottavio, vi era quella, coti la quale gli veniva rac- comandata la
moderazione, perche aveva co- nosciuto, che l’animo di questo inclinava
al- la severità, ed all’ira . A tale effetto pare, che si facesse
seguire da Mecenate in tutti li suoi andamenti, ed in particolare maniera
* quando doveva sedere nel Tribunale, come Giudice supremo .
Allora Mecenate esaminava le sue mosse la sua voce, e li suoi
delineamenti, e se ri- marcava, che T lmperadore agiva con dol-
fi) In Octav. in Art. 77. Aeger autetìi, Augustus, in domo Maeccnatis
cu.ba.bat » *79 eezza, con giastizia, a sangue freddo,
e non si faceva sorprendere dal risentimento, che porta con se la
severità, lasciava, che ope- rasse liberamente, e se ne compiaceva ;
ma se scorgeva, che nel Giudizio Voleva far nso di nn rigore
soverchio, eccessivo, e non giusto, anche sul Tribunale»- in mezzo
alla moltitudine > che lo ascoltava > e dond’ era circondato,
lo redarguiva, lo faceva torna- re in calma, egli faceva rammentare la
sua massima salutare, GTIstorici tutti hanno avuta
l’attenzione di trasmettere alla posterità un esempio memora- bile
del dominio, che Mecenate aveva sullo spirito di Augusto per farlo
marciare con la moderazione > e con la dolcezza al fianco in
ogni sua intrapresa . Sedeva egli una voltata qualità di Giudice alla
presenza di molti Accu- sati, che attendevano la loro sentenza .
Me- cenate si avvide, che stava per pronunciare contro quegl’
infelici la sentenza di morte . Siccome conosceva» che era ingiusta, e
la folla del popolo non permetteva di avvicinarsi al Tribunale, e
nel luogo, sù di cui sedeva, •crisse queste parole ardite nelle sue
tavolet- te incerate > e nello stesso tempo gettolle ad Ottavio
„ Sorgi, o carnefice, ed esci da que- sto luogo „ Ottavio conobbe la mano
di chi le aveva scritte, si rammentò subito di ciò, che forse per
nn momento aveva dimenticato, si i8o levò dal T
risanate, e dimandò assolati quegli Accasati (i) . Che
Mecenate avesse un impero irresistibi- fé suH’ahimo di Angusto, e
particolarmente ne’movirtie'rtti dell’ira, e della severità, lo
fece conoscere lo stésso Angusto, quando quello aveva cessato di vivere,
e di assister- lo . Giulia sua Figlia aveva ricoperto di scandalo
la Corte con le sue dissolutezze . Il Pad re sommamente rammaricato non
poteva rimediare n questo disordine domestico . Tr.v sportato
dall’impeto della collera, rilegò la Figlia, e rese publica la di lei
disonestà . Po- co dopo rientrato in se stesso, si penti de’suoi
trasporti inconsiderati, e di questa publicità, che disonorava la sua
casa . Allora ricordan- ti^) t>!on. lib. 55. pag. ^ 20 . Tarn vero si
- cubi ira impoteutius efferretur, utile m cura sibi habuit, a quo
ab ira ad mansuetiorem animum reduceretur . Unus ejus rei documentarti
prof e-* ram . Praesetite aliquando M., Augu. stus prò Tribunali
stdens, cum multos esset morte damnaiuras, praevidens hoc /ore M
ac- cenni, cum per circumstantium coronam ad ipsum irrumperè, ac
proximc assistere ne qui - rct, haecvcrba in tabella scytpsit : Surge
ve- ro tandem, Carni fex ; vamque Tabellam, qua* si atiud quid
indicantem, in sinum Augusti projecit, qua lecca, is statini suri exit,
nomi * ne morte mulctato . i8l dosi di Agrippa,
e di M., e della sag- gezza de’consigli, che da essi soleva
ricevere quotidianamente, esclamò replicate volte . « Ah, che
questo non mi sarebbe accaduto, „ se o Mecenate, o Agrippa fossero
stati „ ancora al mio fianco fi ). Dal contesto della Storia,
che ha parlato di Angusto, e di Mecenate, si rileva agevolmen- te,
come, dopoché quello si assise, e conso- lidò sul Trono Imperiale, e fu
messo in piena esecuzione il sistema della Monarchia univer- sale,
questo si ritirasse affatto dalla grande amministrazione degli affari
politici . Finché il suo amico lottava co’nemici, che si oppo-
nevano alla di lui grandezza futura, egli com- pariva in mezzo alle
imprese le più rilevanti, e spinose, affrontava delle ambascerie
mala- gevoli, contribuiva a trattati di pace li pia vantaggiosi,
diveniva Prefetto, Amministra- tore, ed Arbitro dell’ Italia, e di Roma ;
quan- do però quello non ebbe più nemici a combat- tere, più rivali
da distruggere, e restò cqn- ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6. Cap.
Di- vus Augu, tus filiam intra pudicitiae male di- ctum impudicam
relegavi!, et flagiti* Pi ilici- palis domus in publicum emisit . . .
deinde cum interposito tempore .... verccundia gemens, quod non
illa silcntio pressisset . ... Saepe ex - clamavit ; Horum mihi nihil
accidisset, ti ani A grippa, autMaecenas vixistet . 1
8a vinto, e persuaso a gettare la base della sudet- ta
Monarchia universale, e che a tale effetto gli fu presentato il Piano,
furono fissati li principj, e le più savie istruzzioni ; in una
parola, dopoché fu sistemato il nuovo Gover- no politico, M., che aveva a
tutto con- tribuito, che aveva collocato il suo Amico, e il suo
Padrone sul Trono deirUniverso, e sul rango il più eminente, a cui
potesse giungere un mortale, abbandonò, per dir cosi, le va- nità
del mondo, ritirandosi fra le dolcezze di una vita privata, e tranquilla
. Continuò a prestare li suoi servigi all'Imperadore, ma lungi
dallo strepito della Corte ; consigliando- lo sempre a farsi amare, e a
fare amare il suo Governo . Dopo questo ritiro però. Mecenate
non già viveva nell’ozio, nell’oscurità, e nell’in- dolenza . 11
genio del grand’Uomo non era ve- nuto sulla terra per desistere, negli
anni mi- gliori della sua vita, dal far del bene ai suoi simili, ed
alla posterità . Coll’aver consiglia- to Ottavio ad accettare l’Impe ro
in quell’epoca, e in quelle circostanze, aveva reso un gran- de
vantaggio all’ umanità, giacché con que- sto mezzo aveva troncato la
testa al mostro spaventoso delle fazioni, sempre famelico di sangue
umano, e di stragi ; aveva ricondot- to la sicurezza, e la concordia
nelle famiglie, la pace nella Capitale, nell’ Italia, e nelle
Provincie le più remote . Egli però voleva, i83 e
doveva fare di più; -una nazione già colta, doveva migliorarla, un secolo
già istruito do- veva perfezionarlo . Protesse in grado emi- nente,
e fece proteggere da Augusto le ar- ti, li letterati, e le scienze, e
nacque su- bito il secolo d’oeo del Fune, c delle altre . Si
; dobbiamo pur confessarlo, e confessarlo con tutta giustiziala posterità
è debitrice all’a- nima benetica di Mecenate di tutto ciò, che di
bello,riguardo alle arti, ed alle scienze risultò in quel secolo
avventuroso, che noi riguardia- mo con ammirazione al presente, e che
non meno dovranno ammirare tutte le colte future generazioni .
Amando quello, e proteggendo, facendo amare, e proteggere dal capo dal
Go- verno li talenti, fece si, che questi si svilup- passero con
energia, e prodigassero opere capaci ad istruire, e migliorare lo spirito,
ma incapaci ad essere eguagliate . Li Poeti migliori di quel serolo
hanno cele- brato questo favore, e questa protezione di Mecenate, e
ci hanno fatto conoscere al tem- po stesso, che egli era un protettore
pieno di discernimento, illuminato, che non conce- deva il suo
affetto, che a soggetti veramente colti, e di talenti forniti, e che fra
quelli, che esso accoglieva, e proteggeva, regnava una concordia
inalterabile „ Nella Casa di M. (dice Orazio) regna la purità, e la,,
schiettezza ; vi sono banditi tutti que’disor- „ dini, che sogliono
eccitare l'invidia 4 la 1S4,, gelosia, e la falsa emul
azione, ed ognuno „ indistintamente occupa il suo posto, nè si „
bada a chi sia più dotto, o più ricco (i) . Mecenate riguardava
negl’uomini il solo me. rito . Ogni dotto veniva da esso con
amorevo- lezza accolto, qualunque fosse la di lui estra- zione.
Secondo li suoi prìncipj saggi, e fonda- ti sulla natura, ognuno era
nobile, quando era virtuoso " Sebbene, o Mecenate, ( sog- „
giunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre „ dite, fra tutti
quelli, che vennero dall’ „ Asia a popolare le Toscane Contrade, e
„ e sebbene un di li tuoi grandi Avi, co- „ mandarono vaste Regioni,
tuttavia sei Horat.Sat. .M. quomodo tecum ? Hinc repetit . Paucorum hominum, et mentis bene
sanae, Nemo dexterius fortuna est usus . Haberes Magnum
adiutorem, posset qui ferrc secundas, ffunc hominem velles si tradere ;
dispeream ni, Summosses omnes . Non isto vìvimus illic, Quo
tu rere modo i Domus hac nec purior ulla est, Nec magis hit
aliena malis ; nilmi officit um~ quarti, Ditior hic, aut est
quia doctior ; est locus uni - Cuique suits . Magnum
narras, vix credibile ; atqul Siehabet . „ tanto buono, e modesto, che non sai
ego- „ mentarti, ne aggrinzare il naso, come fan- „ no li superbi,
nella società di gente ignobile, quale, fra gli altri sono io, figlio di
„ nn padre libertino; Imperciocché taserbi „ la massima degna di tutti
gli elogj, che nul- „ la nuoce ad nn individuo la bassezza de’
03" „ tali, quando egli sia virtuoso (i ) . Ed in fatti,
che cosa egli non fece a vantag- gio di un istesso suo Liberto, chiamato
Melis- so, perchè lo conobbe fornito di talenti, ed erudito? Era
questi della Città di Spoleto, e benché nascesse libero, tuttavia perla
discor»* dia de’ genitori, fu venduto, e sottoposto all’ altrui
dominio ; Avendo avuto la sorte di es- sere educato con ogni cura j ed
attenzione, Lib. i. Sat. 6.
Non, quia, Maecenat, Lydorum quidquid Etruscos Incoluit
fines, nemo geaerosior est te ; N ec, quod Avus tibi maternus fuit,
atque pa » ternus, Olim qui magnis regionibus imperitarunt
/ Ut plerique solent, naso suspendis adunco Ignotos ; ut me
libertino P atre natum. Quum referrc negus, quali sit quisque
parente Natus, dura ingenuus : persuada hoc tibi vere, Ante
potestatcm Tulli, atque ignobile regnum, Multos saepe viros, nullis
majoribus ortas, Et vixisse probo s, amplis et honoribus auctof,
jS6 fece grandi progressi nelle scienze, e fu data
in qualità di Grammatico a Mecenate, il quale avendo subito
conosciuto il merito letterario del suo Liberto, raddolci talmente la sua
si- tuazione, che lo riguardava piuttosto, come tin amico, che come
un servo . Mecenate pe- rò non permise, che lungo tempo continuasse
a portare un tal nome ; lo cancellò subito dal ruolo de’servi, e lo fece
tornare al possesso della sua libertà naturale, col nome di Cajo
Melisso M.; quindi proseguendo a be- neficarlo, e ad avvalorare li suoi
talenti, gli procacciò il favore, la grazia, e la prote- zione
dcH’istesso Sovrano, dal quale fu inca- ricato di ordinare le Biblioteche
esistenti nel Portico di Ottavia (1 ), (i) Sveton. de
illust. Gram. Cap. ai. Co-, jus Melissus, Spoltti uatus, ingenuus,
sedob discordiam Parentum expositus, cura et indu- stria Educatoris
sui altiora studia percepii, ac Maecenati prò grammatico rnunere datus
est . Cui cum se gratum, et acceptum in modum Ami- ci videret ....
permansit in statu servitutis, praeseritemquc conditionem vcrae origini
ante— posuit ; quare cito manumfssus, Augusto et insinuatus est ;
quo delegante, curam ordinan- darum Eibliothccarurn in Octaviae porticu
su - scepit : Vedi Lil. Greg. Girai. Hist. Poet. dialog. Arduino in
Indie. Anct. Plinii 187 La protezione pòi di Mecenate
non era sol- tanto di parole, e di raccomandazioni, non era nna
protezione sterile, ed infeconda . Egli faceva parte ai Letterati delle
sue ric- chezze, e de’suoi beni . Il lodato Orazio te- mendo, come
già si è di sopra accennato, che . il suo Mecenate potesse allontanarsi
da Roma, e andare con Ottavio nelja guerra contro Mar- co Antonio,
e Cleopatra, gli scrive una Ode vaghissima, nella quale ci fa conoscere,
che egli era stato arricchito dalla generosità di quello, e glieue
mostra cop effusione di cuo* re, e con tenero canto la sua ricouoscenza
« », Tu pure adunque, ( dice Orazio ) o mio ca-,, ro Mecenate, marcerai
sulle navi Liburne,, nella guerra contro Marcantonio, disposto „ a
soggiacere a qualunque periglio di Cesa- „ re ? Ed io intanto, che cosa
farò ? Senza,, di te, le ore del viver mio saranno affanno* „ se, e
moleste. Dovrò forse assiso nel doi- „ ce ozio, toccare le corde della
mia cetra, „ e tessere degl’inni ? Ma senza la tua preseti- „ za,
senza l’amabile tua compagnia, lamia », cetra sarà dissonante, e la mia
voce roca, „ e spiacente .... Dovrò coraggiosamente se-,, g, u irti, o
per le alpestri balze delle Alpi, „ o sulle vette dell’inaccessibile Caucaso,
od „ anche fino alle ultime spiaggie dell’Occiden* Art.
Melissus . Catron Tirabo* schi
Stor. della Lett. Itati. Tom. 1. pag. 298. . V
» te? E vero, che essendo di debole tempe- „ ramento la mia
risolnzione non potrà recare „ alcun sollievo alle tue fatiche; ma
trovando-,, mi a tc vicino, saranno meno intensi li miei f, timori, e
meno penosa la mia angoscia .... „ Io dunque affronterò non solo questa,
ma. „ qualunque altra militar spedizione, a solo „ oggetto di
compiacerti, e di mostrarti la mia „ riconoscenza, e non già perchè
divenga- „ no più numerosi li miei aratri, perchè le,, mie agnelle prima
della Canicola faccian „ passaggio dai pascoli della Calabria alle
te- „ nere erbette della Lucania, o perchè giun- f, ga a possedere
sulle Colline deliziose del „ Tuscolo una Villetta, la quale debba
esten- „ dersi fino alle muta della Città . Io, o mio v Mecenate,
null’altro desidero, e sono ap~ „ pieno contento della tua generosa
munificen- „ za, che già mi fece dovizioso abbastanza. Epod. i.
Ibis Liburnis inter alta navium, Amice, propugnacula,
Paratus orane Cacsaris periculum Subire, Maecenas, tuo .
Quid nos ? guibus te vita si superstite, Jucunda ; si contra,
gravi s ? Vtrumne jussipersequemur otium Non dulce, ni tecum
simul ? et te vcl per A Ipium juga, Non solo in questo luogo ; ma
soventi volte Orazio ci avverte de’bene&cj, e delle ricchez- ze,
di cui era stato da Mecenate fornito “ Se „ il crudo Verno ( ripete egli
) ricoprirà di „ neve le campagne Albane, allora il tuoPoe- „ ta
scenderà sulla Marina ; quando poi co- annoieranno a vedersi le prime
rondini, ed a sentirsi il soffio de’primi zeffiri, allora, „ o
dolce amico Mecenate, tornerò, purché,, lo permetterai, a rivederti . Tu mi
face- >, sti ricco, non già come l’ospite Cala-
Inhospitalem et Caucasufn, Vd Occidenti s usque ad ultimimi sinum,
Forti sequemur pectore ? Roget, tuum labore quidjuvem meo,
Imbellii, ac firmai parum ? Comes minore sum futurus in meta,
Qui major aìscntes hab:et ;
è Libenter hoc, et omne militabitur Bellum in tuae
spem gratiae : Non ut juvencit illibata pluribut Aratro
nitahfur me a, Pecusve Calabris ante iidus fervidum Lucana
mutet patcuis . Nec ut tuperni Villa candens Tusculi Circaea
tangat moenia. Satis, superque me òenignitas tua
Ditavit ...... t$0 }, brese, che suole
apprestare allo stanco „ viaggiatore frutta soltanto (i). Che
anzi era tale il di Ini zelo, ed im- pegno nel beneficare i Letterati,
che dopo di averli arricchiti, sarebbe stato prodigo con essi anche
di beni maggiori, se li avessero richiesti, e se ne avessero mostrato
deside- rio . Nell'opere dello stesso Orazio si rinvie- ne il
testimonio di una tal circostanza, e quantunque il Poeta parlidi se
stesso, tut- tavia sembra doversi credere, che lo stesso tenore
serbasse con gli altri “ Sebbene le „ api Calabresi ( soggiunge il Poeta
) non tra- „ vaglino per mio uso, e vantaggio favi do- „ rati ;
sebbene nelle mie botti non invecchi,, il vino proveniente dalle Vigne della
Cam- „ pania, o i pingui pascolali della Gallia non „ mi producano
lane squisite, tuttavia, o „ Mecenate, mercè la grandezza del tuo
ani- „ mo generoso, sta lungi dalla mia Casa la molesta
povertà ; e conosco, che più mi da- ( i) Epist. 7. Lib. 1.
Quotisi bruma nives Albanis illinet agris ; Ad mare descendet
Vates tuus .. te 3 dulcis Amice, reviset Ctim zephiris, si
conccdes, et hiruntline prima : Non quo more pyris vesci Calaber jubet
hospes ■Tu me fecisti locupletem »».»»•• /
I J 9* •„ resti, se fossi petulante a chiederti
altri „ beni ( x ) . Lo stesso Virgilio nelle sne Georgiche,
ope- ra composta ad istanza di Mecenate, dà bene a comprendere di
quante cose egli era a que- sto debitore, e che l’amore, e
l’amicizia, di cui l’onorava davano l’impulso alla sua men- te,
onde produrre idee sublimi “ O Mecena- », te, ( dice Virgilio ) o tu i
che sei il mio i, decoro, che con Cagione posso chiamarti « la
massima parte della mia celebrità, deh », vieni ad avvalorarmi, e meco
trascorri l’in- „ cominciato lavoro ; senza di te la mia men- „ te
non è capace di stendere un volo subli- 'me.(a) Properzio
quell’aureo, ed elegante scritta re della tenera Elegia di sopra
accennata, an- ch’csso godeva la familiarità, e la protezio- ne di
Mecenate, anch’esso era stato benefica- to^ veniva da questo mcoraggito
ad impiegare, ed esercitare li suoi poetici talenti “ O Me-
(i) Lib. 3. Od. 1 6 . Quamquam nec C alabrae mella f erutti ape*,
N ec Laestry gonia Bacchus inamphora Languescit mihi,
necpinguia Gallicis Crcscunt veliera pascuis ; Importuna
tamen pauperies abest ; jNec, siplura velini, tu dare dcneges .
(a) Georg. Jib.i. e lib.a. cit. -cenate, ( cosi pària il Poeta ) o
tu, la-d! t, cui stirpe deriva dal sangue dei Re Toscani, i) perchè
vuoi, che io m’ ingolfi nel vasto pe- n Jago dell’eroica Poesia ? Le vele
grandiose it non sono adattate alla mia piccola navicella Ma io
appresi li precetti della vita )s da te, e perciò sulTorme tne, e col
tuo }} esempio sono spinto a superarti» « . . Tu t, generoso mio
Protettore, prendi le redini „ dell’ incominciata mia giovanile
carrie- ra . ( i ) Il Poeta Lucano, benché posteriore
al seco- lo, in ctii vissero Orazio, Virgilio * e Pro- perzio, e
benché non avesse partecipato delle liberalità di Mecenate, tuttavia egli
pure en- comia altamente la protezione straordinaria, di coi quello
onorava li Poeti . “ Virgilio(dice y> egli ) fu quel Poeta, che cantò
fra li Po* (i) Life. 3. Eleg, y. M aecenas, eques
Etrusco de sanguine R cguitl, Intra fortunata qui cupis esse tuatn,
Quid me scribendi,tam vastum mittis in aequorl Non surit opta mede
grandia vela rati . At tua, Maecenas, vitae pratcepta recepì,
Cogor et exemplis tc superare tuis . Molli* tu coeptae f autor cape
lorajuventae . Pig itized by Google n poli dell’
Atisonia le grand’ imprese del fi. „ glio di Anchise, e che provocò con
il poeti- co stile romano il genio divino del vecchio „ Omero . Ma
quello sarebbe forse restato sepolto sotto le ombre di quelle selve, che fu*,,
rono pur anco oggetto del suo canto ; la sua „ Cetra avrebbe tramandato
uno sterile suono, ed esso stesso sarebbe sconosciuto alle Na- „
«ioni, se Mecenate non lo avesse animato con la sua tenera amicizia, e
con le sue be- „ neficenze . Ma questo non solo protesse, ed „
onorò il Poeta di Mantova ; egli avvalorò „ il genio di Vario a scuotere
il palco teatrale „ con il tragico coturno ; mostrò ai popoli „
della Grecia, che ancora le corde delle Ce- „ tre latine sapevano
risuonaie dell’ augusto „ nome di Giove, ed eccitò, produsse, ed „
arricchì 1’ italica Lira del Poeta Venosino : „ 0 Mecenate, o decoro, ed
onore delPar-,, naso, degno della venerazione di tutte le „ generazioni,
e di tutti i cuori, sotto le ali,, benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta
pa-,, ventò le miserie della cadente, e molesta,, vecchiezza . (1 )
CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8., e seq. Ijtse per
Ausonias jEneia carmina genteis Qui sonat, ingenti qui nomine pulsai
olympum, Maeoniumque senem Romano provocai ore } Fersitan illius
ncmoris latuisset in umbra, N I Questo favore
prestato da Mecenate alle lettere traeva la sua origine dall’esserne
egli stesso coltivatore . Che egli fosse colto, ed istruito,e che
producesse ancora delle Opere in varj generi di Letteratura non mancano
fonda- menti per esserne persuasi . Orazio lo chiama dotto nella
lingua greca, e latina (1) . Seneca ha lasciato scritto, che egli era
fornito di un ingegno grande, e robusto, che avrebbe dato nn
luminoso modello della Romana eloquenza, se non l’avesse snervata con la
soverchia nata* ralezza. Quod canit, et sterili tantum cantasset
avena, Ignotus populis, si Maeccnate carcret . Qui tàmen haud
uni patefecit !im in a Vati, Nec sua Virgilio permisit nomina soli,
Maecenas, tragico quatientem palpita gestu Evexit Varium . Maecenas alta
Thoantis Eruit, et populis ostendit nomina Grajis. Carmina Rornanis
etiarn resonantia chordis, Ausoniamque Chtlyn gradi is patefecit Horatl
s O decus, et toto merito venerabile aevo, Pierii tutela
chori ! quo praeside futi Non umquam Vatés inopi timuere scnectae,
(O Lib.3.0d.8. Docte sermo nes utriusque linguae.
( 2) Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit ( Maecenas ) magnum
cxemplum Romanae elo- quentiae datar us, nisi tllum enervasset
foelici-* * Digitized by Google Sappiamo
ancora dal niedesimo autore, che scrisse un Libro intitolato ilPrómcfeo,,
Voglio narrarti ( dice Seneca ) ad detto di Me- „ cenate, cioè „ L’Uomo,
che è in supremo „ grado, ed in una somma altezza di stato vive,, sempre
in timori, ed in tempèste a guisa del „ tempo, che tuona „ Se mi domandi
in qnai „ libro egli parlò in tal gnisa, ti rispondo, „ che lo ha
detto in quel libro intitolato da esso Prometeo „ Di più secondo lo
stesso Seneca, scrisse altra opera avente per titolo de culto suo
» 11 Cenni afferma, che queste due opere fos- sero scritte da
Mecenate in versi, e che il Prometeo era una Tragedia. Aggiunge
inoltre, che altra Tragedia intitolata Ottavia è pari- menti à
quello attribuita. (2) tas :
Epist.93. : Habuit enìm, M., ingenium et grande, et virile nisi illad
ipse discinxisset . Senec. Epist.i 9. ; Volo Ubi rej erre hoc
loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo at- tonat summa,, Si quaeris,
in quo libro dixerit, in eo, qui Promethcus inscribitur . (a)
Cenni Vita di Mecenate pag. 126- : In questo luogo l’autore si è dato
caricò di trascri - vere tutti li frammenti delle opere, delle qua-
li fu autore Mecenate, estracndoli da varj Bio- grafi. Lo stesso ha fatto
Lilio Gregorio Gt- N a I I
delle altre in prosa, e segnatamente dei Trat- tati concernenti
materie di Storia naturale . Imperciocché si rileva da Plinio, che
quello fuAutoredi un libro sulle differenti specie delle pietre
preziose . (i ) e da Prisciano, che aveva scr tto una Storia in dialoghi
intorno agli Animali, citandosi da quello il dialogo decimo . Di
più, secondo Solinò scrisse anco- ra una Storia delle imprese di Augusto
. ( 2) In fatti si può conoscere dalle Odi di Ora- zio, che
Mecenate aveva tutta la premura, onde fossero celebratele geste gloriose del
suo Sovrano, che perciò venisse quel Poeta viva- mente stimolato ad
occuparsene, che questo si scusasse, dicendo, che non conveniva
alla lirica Poesia di cantare oggetti gravi, e stre- pitosi ; ed
esortando lo stesso Mecenate a scri- raldi nel Dialog.4. hist.
poet. che possono con- sultarsi . Lib.i. Hist. Nat. pag.49.
cumNot.Har- duini . (2) Apud Harduin. in Indie. Auctor.
lib.i» Plin. Art.Maecenas : Maecenas eques romanus, Augusto
gratissimus, cujus res gestas lietcris consignavit, ut ex Solino discimus
cap. 12. pag.gx. ejus Dialogorum lib.10. laudai Pri- seianus lib.i
.pag.61.: Vedi Catrou lib. 7. Tom. 19. nelle Note . 9
6 Oltre le snccennate opere in versi compose *
vere la Storia, che tanto bramava « Cessa di,, stimolarmi, o Mecenate, (
scrive Orazio ) „ a cantare ron le deboli corde della mia Lira,,, oil
lungo assedio di Numanzia, o il fiero,, Annibale, o il mar Siciliano
rosseggiante di,, sangue Cartaginese, o l’ardita impresa de’ „ Giganti,
li quali fecero tremare la fulgida „ Regia del vecchio Saturno, debellati
quindi „ dal valore di Ercole, giacché tu stesso po- „ trai, meglio
di me, trasmettere alla poste- „ rità con unaStoria le battaglie di
Augusto,,, li trionfi, ed il numero dei Re dal medesi- „ rao soggiogati .
( i ) Anche Servio è d’ avviso, che Mecenate scrivesse la
Storia di Angusto, appoggiando ( i) Lib.a. Od. 13.
Nolis longa fcrae bella Numantiae Nec dirum A anibaie m, nec
Siculum mare Poeno purpureum sanguine, mollibus Aptari Cithar ae
modis : N eo saevos Lapithas . . domitosque Hcrculea
manu Telluri s juvencs, unde periculum Fulgens contremuit
domus . Saturni veteris ; tuque pedestribus Dices historiis
proeliaCaesaris Maecenas melius, ductaque per vias Regum colla
minacium i „ Iettato, e molle del tutto riprova, e per
„ ischerzo imitando deride . Macrob. Satur. lib. a. pag. 1 58. : Idem
Augustus, qui Maecenatem suurn noverai esse stilo remisso, molli, et
dissoluto, taltm se in epistolis, quas ad eum scribebat, et contro
casti gationem loquendi, quam aliis ille seri - bendo servabat, in
epistola ad Maecenatem familiari plura in jocos effusa subtexuit :
Vale, inquit, mel gent rum, mclculc, ebur ex He - truria, A da mas
super nas, T iberinum marga— ritum, Cylniorum smaragde, hyaspis
figu- lorum, berylle Porsennae : Vedi il Turnebio Advers. Sveton.
in Octav. Art. : Oenus elo~ quandi secutus est ( Augustus ) elegans, et
tem- perai uni, vitatis s catene iarum ineptiis, atque Tacito
parlando dell’ottimo, e perfetto ge- nere dell' eloquenza, e della forma
del di- scorso, insegna frà le altre cose, doversi sfug- gire r
impeto di Cajo Gracco, e li belletti di Mecenate . (i) Quintiliano ancora
riprova nella di lui maniera di scrivere una certa tra- sposizione
di parole, che rendono il periodo lussureggiante, oscuro, e vizioso . Se
poi si dovesse dare ascolto al surrife- rito Seneca, Mecenate sarebbe
stato 1 * uo- mo il piu immorale, e il più cattivo
inconcinnitate . . . pari fastidio sprevit, et Cacozelos, et
Antiquarios . Exagitabat non - numquam in primis Maecenatem suum,
cujus p«X««, ut ait, cincinnos usquequaque per- scquitur, et
imitando per jocum, irridet . (i) Tacit. Dialog. de Clar. Orat.
cap. 26. Ceterum si omisso opt imo ilio, et perfettissi- mo genere
cloquentiae, eligendo sit forma di - tendi, malim hercule Caji Gracchi
impetum • . . quam Maecenatis ealamistros . (a) Quintil.
Instit. Orat.. : Quaedam vero tranigressiones, et lon - gae sunt nimis
... et interim etiam composi- tione vitiosae, quae in hoc ipsum petuiUur,
ut exultent, atque lasciviant, quales iUae Maecenatis „ Sole, et Aurora
rubent pluri- ma : inter sacra movit aqua fraxinos . Ne exe- quias quidem unus inter miserrimos
viderem meas „ quod inter hacc pessimum est, quia in re tristi
ludit composi ciò . Scrittore frà quanti sono
itati ammessi nella Kepublica letteraria . Con qual fiele non si
scaglia contro di quello nella Lettera 1 15, ed altrove ancora nelle sue
opere il Maestro di Nerone ? Parlando egli di Mecenate ora scrive :
» Tu vedrai adunque l’eloquenza di un Uomo •> ubriaco inviluppata,
errante, e piena di „ lingue „ Ora attaccando anche li di lui co-
stumi soggiunge “ Quando tu leggerai li suoi „ scritti, e le parole cosi
viziosamente orna- „ te, cosi negligentemente buttate, così po- „
ste fuori dello stile di tutti, mostreremo, „ che non meno li suoi
costumi fossero nuovi, „ depravati, p singolari Seneca Epist.iió.Edit.
Lugd.i 5 p*. : Quo modo M. vixerit, notius est, qitam ut narrar i
nunc debeat. Quomodo ambulavetit, quarti delicatus fuerit, quam cupierit
videri, quam vitia sua latere nolut . Quid ergo ? Non oratio ejus
aequerite saluta est, quam ìpse di- scine t us ? Non tam insignita illius
verba sunt, quam cultus, quam comitatus, quam domus, quam uxor .
Magni ingenii vir fucrat, si illud egisset viarectiore, si non vitasset
intelligi, si non etiam in oratione difflueret . Videbis itaque eloquentiam ebrii hominis involutam,
et crrantem, et licentiae plenam : Maecenas in cultu suo .' Quid
turpius ani ne, silvisque ripa comantibus ? Vide ut alveum lyntribus
arcet,vcr * soque vado remittant hortos, .Ma Seneca era troppo invidioso
della fama, della riputazione, e delle doti brillanti di Mecenate,
il di cni splendore ancora traspi* rava chiaro, e vivace nel secolo, nel
quale quello viveva, e come Ministro, e Consiglie* rodi Nerone,
conoscendo, che non aveva po- tuto, ne’poteva eguagliare le sublimi
virtù politiche, di coi andava nobilmente fregiato il Ministro, e
Consiglierò di Augusto, ne di- venne l’nnico, e il più maligno
detrattore. Ter prova di ciò invochiamo 1* autorità di tutti li
Biografi all* uno, e all’ altro contempora- nei 4 Non ostante
però tutto il male, che dice ne’ suoi scritti, di Mecenate, Seneca
sapeva benissimo, che questo nel tempio della gloria Non
statim haec cum legeris, hoc Cibi occurret, hunc esse, qui, solutis
Cunicis, in Urbe sera- per inccsserit ? Nani edam cum absentis
partibus Caesaris funger et ur, signum a di - scindo petebatur .... Hunc
esse qui Uxo- rem millies duxit, cum unam habueritì Haec verba tam
improbe strucca, tam negligenter abjecta, tam extra consuetudinem omnium
po- sila, ostendunt mores quoque non minus novos, et pravos, et
singulares fuissc . Quasi della stesso tenore parla Seneca di Me cenate,
ed in questa, medesima lettera, e nella diecinovesi- ma nella
nonagesimaterza nella ceutoventi e pc/Lib.x. cap.3. de Providentia.] occupa
il posto di un grand’ uomo di Stato, di un eccellente Ministro, di un
Consiglierò illuminato, e di un Favorito nou infetto dai vizj
abominevoli dell’ avarizia, e dell’ inte- resse, H quali al contrario
avevano ad esso procacciato il possesso di più milioni, estrat- ti
con dure estorsioni dal sangue de’ sudditi Romani . Sapeva inoltre, che
quello aveva meriti grandissimi, conforme fu costretto a manifestare
pubicamente, e in faccia allo stes- so Nerone, allorquando, decaduto dal
di lui favore, aveva forse cessato di screditarlo, Imperciocché
sappiamo da Tacito, che do- po la morte diJJurro, mori ancora, pèr
dir cosi, la potenza di Seneca . Allora si accreb- bero a carico
del medesimo le satire, e le mor* morazioni furono universali per le
immense ricchezze, che aveva accumulate, e segnata- mente per la
grandiosità de’ snoi Giardini, che eguagliavano quasi gl* istessi
Giardini Impe- riali . Seneca volendo dileguare, se fosse sta- to
possibile, dall’animo del suo Padrone .ogni sinistra impressione, dimandò
di essere ascol- tato, lo che avendo ottenuto, recitò al suo
Sovrano un discorso artificioso, o pipttosto la sua Apologia, nella quale
fra }e altre cose, ricordandosi di Augusto, di Meceuate, e di
Agrippa, e dei meriti politici di questi, disse cosi : „ Il tuo
antecessore A u 6 ust0 Cesare,,, permise a Marco Agrippa il ritiro di
Mitile- „ ne, e a Cajo Mecenate un ozio pellegrini)
204 „ nella stessa Capitale . 11 primo, come com-,, pagno
d’armi di quel Monarca, ed il secon-,, do come quello, che seppe
disimpegnarsi „ da molti incarichi laboriosi anche in Roma, „
ricevettero dal loro Sovrano ampie ricom- 3, pense in vista de’ meriti
grandi, di cui era- „ no forniti, (i) Si attribuisce ancora
al nostro Mecenate 1 ’ invenzione di scrivere in abbreviatura. Dio-
ne (a) afferma, che egli trovasse alcune note \ Tacit. Annal. llb. 1 4 . art. 5a., et 53. : Mors Burrhi
infregit Senecae potentiam .... variis cr i mi nat io 1 libili Senecam
adoriuntur : tamquam ingentes, et privatum supra modum evectas opes
adhuc augeret .... hortorum quoque amoenitate, et villarum magni ficent
la, quasi Principem super greder et ur . . . At Se- neca
criminantium non ignarus . . . tempus sermoni orat : et accepto, ita
incipit . . . Atavus tuus Augustus Marco Agrippae Mi- tylenense
seeretum, Caio Maecenati in ipsa Urbe velut peregrinum otium permisit ;
quorum, alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~ boribus
jactatus, ampia quidem, sedpro in- gentibus meritis, proemia acceperant
. fa) . : Primusque M. ad celeritatem scribendi notas quasdam
literarum exeogitavit, quam rem, Aquilae Liberti ministerio, multos
doaj.it . *o5 per scrivere con celerità,
e che insegnasse questo metodo a molti per mezzo di Aquila suo
Liberto. 11 Catrou (i) è di sentimento, che tali note costituissero un
Trattato per poter scrivere abbreviando le parole . In fatti è in-
dubitato, che la maniera per scrivere con prontezza, e sollecitamente è
quella, che istruisce a scrivere col soccorso delle abbre- viature,
e siccome nel caso, di cui si parla, Dione dice, che Mecenate prirnus
cxcogitavit, così pare non possa mettersi in questione, che prima
di questo un tal metodo di scrivere era affatto sconosciuto, e che egli
ne fosse il primo inventore . Isidoro di Sicilia dice (a) che
il poeta En- nio fosse 1’ autore di mille e cento note per scrivere
; che il primo, il quale in Roma fa- cesse un commento di queste note,
fosse Tiro- ne Liberto di Marco Tullio Cicerone ; che dopo di
questo Persannio, Filargio, ed Aqui- la Liberto di Mecenate ne
inventassero delle altre, e che Seneca finalmente ne ordinasse un
numero di cinquemila . Riguardo però ad Aquila Liberto di
Mece- nate non sembra giusta l’asserzione delEaccen- nato Isidoro,
attribuendogli E invenzione di alcune note per scrivere, giacché
abbiamo rimarcato da Dione, che il sudetto Liberto di Lih.i.orig. cap.aj.'
l ioó M. non ne fu inventore, ma che fu il
propagatore del ritrovato, e dell* opera del suo Padrone, e che esso
stesso, istruito da questo, ne istruisse degli altri . Dallo
stesso Dione sappiamo (i) ancora, che Mecenate recò ai Romani un altro
rimar- chevole vantaggio, qnale Fu quello dei Bagni delle acque
calde . Dal che si ravvisa, che questo specifico salutare, ed alla umana
salu- te profittevole, non era in Usanza in Roma prima dell’ epOcà
di Mecenate ; cosicché que- sto, il qnale, secondo le osservazioni già
fat* te, era intelligente della Storia naturale, avendone in
prattica sperimentato gli effetti benefici, ne introdusse fra li Romani
l’uso, e l’esercizio . ( a) Mentre Mecenate passava nel
ritiro le ore ( 1) fjOC.eit . Idem primus ( Maecenas ) Ro- maeN atatorium aquis
calidis refertuminstitu.it . P linio attribuisce a Mecenate
V intro- duzione nelle mense de’ figli lattanti dell'Asi- na, li
quali in quell epoca erano preferiti alli Onagri, o Asini selvatici .
Aggiunge inoltre, che il gusto per questa sorte di pietanze svanì
con la sua morte . Ecco il testo di Plinio lib.8. cap.46. ‘ dd mutar um
maxime partus, aurium referre in his et palpebrar umpilos ajunt: Pullos
earum epulari Maecenas insti- tu.it, multum eo tempore praelatos Onagris
. Post eum intcriit authoritas saporis . della snà vita m comporre
delle opere io prosa, ed in versi, in presentare ai Romani, ed alla
società delle tifili invenzioni > in pro- teggere, animare, e arricchì
re li Letterati, ed in promuovere il progresso della Letteratu- ra;
Augusto, che in tutti li suoi bisogni non mancava di consultarlo > gli
diresse una let* tera . Dal contesto di questa si rileva, che
quello era lontano da Roma, e c he se ne stava fra le delizie della
sua Villa Tihurtina con la dolce comitiva dé’ Dotti, e fra il soave
concento del- ie Cetre de’ m gliori Poeti . Augusto aveva bisogno
di un Segretario, e per mezzo di quella lettera richiese il Poeta Orazio,
che stava presso di Mecenate. “Prima poteva da me stesso (
dice Angusto ) scrivere delle lette- „ re ai miei amici,ma ora.o mio
Mecenate, che,, sono occupatissimo, ed infermo, bramo, „ che mi mandi il
nostro Orazio . Io sò qnan- M to vive contento presso di te, ma spero,,,
che lasceràlesue mense squisite, e verrà „ nella mia Regia per ajutarmi
in qualità di » Segretario.fi) (i) Sveton. in Vit. Horat. :
Ante ipse suffi- ciebam scribendis epistolis amicorum ; nunc
occupatissima s, et infirmus, Horatiam no- strum te cupio adduccre .
Vcniet igitur ab ista parasitica mensa ad hanc Regiam, et aos in
epistolis scribendis adjuvabit. Non sappiamo con sicurezza, sé le
brame di Angusto in ciò venissero appagate . Mecenate non avrà
mancato di rappresentare ad Orazio il grande onore, che gli si voleva
compartire con quell’impiego luminoso, ma il Poeta, che amava la
calma, che per lo più, lungi dallo strepito della Capitale, e della Corte
^ desi» derava di ragionare con le Muse, o presso le onde
sussurranti del fonticello di Blandnsia, o sotto le ombre taciturne del
boschetto di Ti- burno, avrà mostrato tutta la renitenza di ac-
cettare un tanto onore, e per disimpegnarsi dalle richieste del suo
Sovrano. Sebbene adunque Mecenate si fosse ritirato
spontaneamente dai grandi affari della Corte, tuttavia Augusto continuava
a rispettarlo, e a deferire in tutto, e per tutto alli suoi consi-
gli . Ma questo rispetto, questa amicizia, questa fiducia, questa
uniformità di pensieri fu sempre eguale fra l’uno, e l’altro ?
Se dobbiamo seguire 1’ autorità di Dione sembra esserci stata
un’epoca di tempo, nella quale un adultero amore sconcertasse
quella bella armonìa, che per tanti anni era stata fra di essi
inalterabile . Terenzia moglie di M. era una donna arricchita dalla
natura (i) Sveton. loc. cit. Vixit plurimum in se -
eessururis sui Sabini, aut Tiburtini, do musane ejus ostenditur circa
Tiburniluculum : V e- di il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio
« a9 tìi tatti li vetti, e di tutte le grazie
seducen- ti, che sogliono distinguere il bel sesso . Si
suppone, che Augusto, il quale aveya occasione di vederla sovente, come
sovente soleva vedere il marito, ne divenisse amante, e che
Terenzia non fosse insensibile alli di lui teneri sentimenti . Si suppone
inoltre, che la fiamma di quello si rendesse cosi vivace, che Roma
ne mormorava ; che per involarsi dalle mormorazioni, e dai rimproveri de’
Romani, se ne andasse nelle Gallie, portando con se la detta
Terenzia . Soggiunge Dione, che da questi amori nascesse il motivo di
quella fred- dezza, che si ravvisò per qualche tempo tra Mecenate,
ed il suo Sovrano, e che per lo stesso motivo non fosse quello lasciato
da que- sto Prefetto di Roma, quando intraprese il sudetto viaggio
. Sentiamo^ come parla lo Storico .,, Vedendo „ Augusto, che
la sua lunga permanenza nel- „ la Capitale riusciva a molti molesta ; che
se,, puniva alcuni colpevoli ; si sarebbe fatti „ altrettanti nemici ;
che se doveva passare,, sotto silenzio i loro delitti, sarebbe stato „
costretto ad offendere esso stesso la nuova i. Costituzione, e a ledere
l’osservanza delle „ sue leggi, stabili, ad esempio di Solone, „ di
andare lungi dalla patria . Vi furono pe- „ io alcuni, li quali
sospettavano, che egli,, si portasse nelle Gallie, a cagione di Te- „
renzia, moglie di Mecenate, affinchè, stan- ti 310
„ ti le voci diverse, che si divulgavano pe* „ Roma, de’ loro amori,
potesse in questo „ viaggio vivere con essa lontano da ogni ru« „
more . ; ; . . Lasciò in qualità di Prefetto,, di Roma, e dell’ Italia Statilio
Tauro, „ giacché Agrippa era stato inviato nella „ Siria, e
Mecenate era già con esso in qual*,, che disgusto per motivo della sua
mo- » glié (0 • Ad onta però dell’autorità di qnesto
Scrit- tore non pare abbastanza provato il fatto, di cui si parla,
e che narra riguardo agli amo- ri di Terenzia, ed Angusto ; al viaggio
nelle Gallie a tale effetto intrapreso; ed ai disgu- sti di quello
con Mecenate . Imperciocché Dion. lib. 54. pag. 697. Cu/n enim diu-
turna ejus in Urbe commoratio molesta multis esset, ac multos, qui contra
leges deliquis- sent plectens offender et, multis parcens,
eogeretur suas ipse leges praevaricari, pere « gre abire, Sblonis exemplo
-, statuii . Fuerunt qui, propter Terentiam Moecenatis Uxorem, eurn
discedere suspicarentur, ut quoniam mul- ti Homae de ipsorum amore
sermones per vul- gus darentur, in peregrinatione sua citra om -
nem rumorem ejus rei cùm ea vivete posset . . ... Deinde Urbis, et
Italiae gubernatione Tauro injuncta, nam statim Agrippam. in Syriam
mite rat ; e rat autem ei Maecenas propter Uxo * rem minus j am gratus
. Dione non parla di questi pretesi
amori, co- me di un fatto sicuro . Asserisce semplicemen- te, che
alcuni sospettavano, che correvano per Roma delle Voci diverse ; ma
questi sospet- ti, e queste voci non valgono ragionevolmen- te a
costituire una prova tale, che non possa, nè debba credersi altrimenti ;
tanto più, che 10 stesso Diohe, premette il motivo positivo,
per cui Augusto volle allontanarsi da Roma. D'altronde Svetonio,
Tacito, Vellejo, ed altri antichi Biografi di vaglia, hanno parla-
to, e scritto chi più, e chi meno della vita publica, e privata di
Augusto, e niuno ha ri- ferito, e neppure accennato li pretesi di
lui amori con la moglie di M. É vero, che 11 detto Svetonio
non omise di narrare, che quello non fu esente da’vizj, e che fra
questi non esclude l’adulterio, ma non ha mancato di aggiungere, e
di prevenire la posterità, che questi Vizj deturparono soltanto i
giorni della sua prima giovinezza, e che se commise degli adulterj,
non già cadeva in questo di- sordine per libidine, ma per discoprire,
per mezzo delle mogli altrui, l’animo, e li segreti de’ suoi nemici,
„ La sua giovinezza ( scrive „ Svetonio di Augusto ) fu sottoposta all’im-
„ famia di vari difetti .... Gli stessi suoi,, amici non negano, che fosse
dedito agli,, adulterj ; ma in ciò lo scusano, dicendo, „ che questa sua
condotta non era l’effetto di „ una passione disordinata, e libidinosa,
ma O 2 aia,, che lo faceva per discoprire più
facilmente „ l'animo de'snoi nemici per mezzo delle loro i, mogli
fi). Ora se Angusto commetteva degli adulterj, non già per
libidine, ma quasi direi, per po- litica, e per quel punto di politica,
che nel- le testé riferite espressioni si è rimarcato, ciò non
poteva aver luogo con Terenzia moglie di Mecenate,, sulla sperimentata
fedeltà del quale non poteva quello, nè giammai aveva potuto
sospettarle i Inoltre Svetonio riferisce, che l’epoca di alcuni vizj del
medesimo Augu- sto fu la prima sua gioventù, inconseguen- za resta
escluso quel tempo, in cui si suppone l’amorosa passione con Terenzia,
ritrovan- dosi egli allora in età di circa anni quaranta- cinque
fa) . Meno prova ancora, che partendo perle Callie, non lasciasse
Prefetto di Roma Mece- nate, perchè era con esso irritato a motivo
degli amori 6 udctti . Imperciocché si è di già osservato, che questo,
elfettuato il novello Sistema politico della Monarchia universale *
( i ) In Octav. Art. 68 . e seg. Prima \uven- ta variar um
dedecorum in/amiam subiit, > . « adulterio guide in exer.cuisse, ne
amici guiderà negant ; excusuntes sane, non libidine, sed ratione
eommissa, guo facilius consilia adver- sariorum per vujusque mulieres
cxquircret . (3) Dion. loc. cit. Digitized by
Google n3 si ritirò dalla Corte, e da’grandi affari,
nè curò impiego veruno . Si è osservato altresì, che nella nuova
Costituzione dal medesimo mo- dellata si era parlato del rimarchevole
im- piego di Prefetto di Roma, e si era stabilito per massima, che
questo doveva essere di più lunga durata, e che dovesse addossarsi a
per- sone di specchiata probità, e consolari . Come dunque può
recar meraviglia, se Augusto al- lontanandosi da Roma, per andare nelle
Gal- lie, non nominasse Prefetto di Roma Mece*« nate ? A llora
quasi tutte le leggi della succen- nata novella Costituzione erano in una
piena osservanza . Di più l’assertiva di Dione sù tal punto
sto- rico, sembra, che venga del tutto smenti- ta da Cornelio
Tacito, il quale a chia- re note dichiara, Ghe Augusto per tutto il
tempo dei torbidi, e delle guerre civili, la- sciò sempre Prefetto di
Roma, e dell'Italia M., e che dopo di essersi sollevato alla
Sovranità impiegò soltanto personeConsolari a coprire questa carica,, Del
restai dice Taci- „ to ) Augusto, in tempo delle Civili discor*,, die,
nominò alla Prefettura di Roma, e „ dell’Italia CajoCilnio Mecenate
dell'Ordinò „ de’Cavalieri . Divenuto però Sovrano asso-, x luto, addossò
questo impiego a Soggetti Con- „ solari .... Il primo, che venne
rivesti- „ tedi questo potere, fu Messala Corvino . * ài4,,
. . il secondo S'tatilio Tauro
quindi „ fu eletto Pisone (O* Dopo ciò, che cosa può
addursi di più con- vinceute per conoscere, che se Augusto, par-
tendo per le Gallie,non lasciò Mecenate Prefet. todi Roma, fu per
tntt'altra cagione di quella immaginata da Dione ? In quell’epoca per
leg- ge, e principio fondamentale della Costituzio- ne, dovevano
rivestirsi di tal carica persone Consolari ; Mecenate era semplice
Cavaliere Romano ; non poteva dunque esercitarla, sen- za ledere
l’ordine, e l’integrità della Costitu- zione medesima ; e siccome esso
stesso era sta* to Fautore della Legge, cosi quantunque Au- gusto
lo avesse voluto decorare della Prefet- tura anche in tali circostanze, T
averehbe francamente ricusata, come incapace di met- tersi in
contradizione co’suoi principi, Co- munque sia però, ed ammessa ancora
laveria tàdel racconto di Dione, li pretesi dissapori fra Mecenate
ed Augusto dovettero essere Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum Au,gu~
stus bellis civilibus Cilnium Maecenatcm eque- stri s Ordinis, cunctis
apud Romani, atque Ita- liani praeposuit . Mox rerum potitus, ob
ma- gnitudinem Populi, ac tarda legum auxilia, sumpsit e
Coruularibus, qui coerceret servi- ti a .... primusque Messala Corvinus
eam potestatem .... accepit .... Tum Tau - rus Statili us . . .
Dein Pis »* 1 et di poco momento,
e passeggeri, sapendo da Plutarco, che quello nel giorno suo
natalizio offriva sempre in dono a questo una Tazza .,, Cesare Augusto (
dice Plutarco ) riceveva „ ogn’anno da Mecenate in dono una Tazza
nel „ giorno suo natalizio. Ma finalmente Mecenate dopo aver
veduto p ratticamente, che le sue fatiche, le sue ve» glie, li suoi
lumi, e la sua politica avevano formata la felicità, di Koma, e dello
Stato ; che il suo Padrone, o piuttosto il suo Amico era divenuto
il più giusto, ed il piu potente de’ Monarchi; che le sue liberalità, ed
il suo zelo,e la protezione accordata alle lettere, ed ai Let-
terati avevano dato un favorevole impulso al progresso dello spirito
umano, del genio della letteratura, e del buon gnsto, Mecenate,
dissi, doveva anch’egli offrire l’ordinario, e indi- spensabile
tributo alla natura. Se è vero, se è possibile ciò che Plinio
il Naturalista suppone, negli nliimi tre anni del- la sua vita, fu
quello sottoposto ad una ma- lattia di tal carattere, che il sonno non
chiu- se mai le sue luci per tutto quel non breve spazio di tempo ;
che ad onta de’mezzi li più efficaci, e potenti, che furono messi in
opera - ( i ) Apopht. Princ. et Reg. Apopht. nltinj. Cattar
qui primus Augustus ett cognomina j*> tus .... a Maecenate, cum quo
vitam agebat, yuotannit in natalieiit dono acoipiebat pateram .
I ài6 per giovargli, fosse costretto a vegliar
sem- pre, ed a soffrire più sensibilmente li no)osi effetti di una
febre continua, dalla quale, secondo lo stesso Autore, sembra, che
fosse attaccato ('i) . ' Per l’esame di questo fatto da
Plinio riferi- to, abbiam creduto di riunire alcune riflessio- ni
in una breve Discussione uell’Appendice dell’Opera, alla quale rimettiamo
il Lettore . Intanto, proseguendo la nostra narrazione, possiamo
asserire, che Mecenate neH’nltimo periodo della sua vita fu sottoposto a
delle fi- siche indisposizioni, delle quali si doleva con li amici
più cari, e segnatamente eoa Orazio . Questo Poeta riconoscente, e
sensibile si ta- pinava all’eccesso della peno6y» situazione del
suo amico, del suo benefattore, del suo tut- to, e procurava di
consolarlo con l’espressio- ni della più tenera amicizia, animato dal
dol- ce, e mellifluo suono della sua Lira „ O Mece- „ nate ( gli
scriveva Orazio ) o mio sublime „ ornamento, e sostegno delle mie
sostanze, „ perchè mi rattristi con le tue querele ? Non >,
piace nè a me, nè agli Dei t che prima „ della mia debba distruggersi la
tua esi- „ stenza . Ah! se la Parca crudele sarà più,, sollecita a
troncare lo stame della tua vita, „ che è porzione della U)ia, come io
potrò y, restare superstite ? Si > o mio caro M., benché tn volessi
precedermi, pure „ insieme entreremo nel cammino dell*éterni-« „
tà; nè mai potranno distaccarmi dal tuo,, fianco nè le vampe dell'ignivoma
Chimera, », nè le cento braccia del mostruoso Gigante»,, se tornasse
sulla terra . È scritto già nel », libro de’destini, che io, il quale
vissi eoa „ te, debba con te trapassare egualmente, c i, che un
istesso giorno debba segnare il ter- », mine della vita di ambedue . i
. Avvicinandosi l’ultima ora della sua mortale carriera.
Mecenate fece il suo testamento, e volendo mostrare al Publico, ed alla
posterir ( i ) Od. 17. Lib. a. •
’ Cur me querelis exanimas tuis ? Nec Dis amicum est t
noe mihi, te priut Obire, Maecenas, mearum Grande decus,
columenque rerum . Ah ! te meae sipartem anitnae rapii
Maturior vis, quid moror altera, Nee carus aeque, nec
superstes Integer ? Ille dies utramque Ducet ruinam . k . \ Utcumque
praecedes, supremum - Carpere iter comites parati . Me
nec Chimaerae spiritile igneae, Nec si resurgat
centimanusGyas • Divellet unquam : sic potenti Justitiae,
placitumque Parcis, r • tg là, .che tra
esso > ed Angusto / vi era passata un'amicizia sempre eguale, e
costante, o che se in qualche occasione venne alterata, non .ebbe
una tale alterazione, che una durata pià piomentanea di una elettrica
scintilla, lo Ì6tir lui Erede de’suoi beni con il peso spontaneo ài
alcuni Legati agl’altri suoi Amici, e Lette- ralir^.i _>, Siccome poi
il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q lo aveva cousolato, ed assistito
ne'giorni del- la sua infermità, cosi a questo volle consagra- xe,
per dir cosi, Teatreme sue voci, e dare l’ultimo pegno della sua
beneficenza, raccom- mandandolo in maniera speciale al suo Monarca,, Ti
raccommando, o Cesare, Orazio Flacco, come un’altro me stesso (a) .
( i) Dion. Lib. $5. Haec in causa fuere cur vehementem lituani M
aecenatis mors Augusto afferret,quo ea e(iam accessit, quoti Maecenas
.... haeredem eum nuncupavit, ac praeter mitiima quaedam, in e)us
pot estate reliquie, si velie! Amicis suis quaedam. dare ._
(a) Svet, in Vif. Ilorat. Maecenas quanto- per è eum. ( Horatium )
flilexerit, satis testa- tur ilio Epigrammate : Ni te
visceri.bus meis, Horati, Plus \am diligo, tu tuum Soclalem
N inaio videas strigosiorem, Sed multo magie extremis judiciis,
tali ad Au- gustum elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto raemor
. l Mori in età di sessantanni, conforme ac- cennammo
ancora nel Libro i., cinque anni prima dell’Era volgare, ventitré dopo la
bat- taglia di Azio, epoca, in cui Dione stabilisce il principio
dell’Impero Romano, e nell’anno 746. della Fondazione di Roma ( i)
. Egli morì senza successori. Risulta ciò chia- ramente, e
dal testamento di sopra accenna- to, e dall’ uniforme testimonianza di
tutti li Biografi, che hanno di esso parlato. È sebbe- ne ne’ tempi
alla sua morte posteriori abbiano vissuto altri Soggetti aventi il nome
diMecena- te, tuttavia non può dirsi . nè costa, che fossero
discendenti di quello, e che avessero col medesimo relazione alcuna di
parentela. Si trova sotto l’Impero di Vespasiano un Publio
Mecenate Olimpico, di cui si conosce il solo nome, inciso in una base
grande, e qua- drata disotterrata nell’ anno 1417. in Roma presso
l’Arco di SettimioSevero ; (a) parimen- te si conosce il solo nome di un
Mecenate Elio ( 3) . Nel Regno dell’Imperatore Gordia- no il
giovane si vede figurare in Roma un per* : b (0 Dion.
Lib. 55, (a ) Meibom. loc. cit. : Sub Vespasiano vi- xit P
ublius Maecenas Olimpicus ; ejus memo— ria super est Romae in basi
marmorea grandi, et quadrata An. 1417. ad Arcum Septimii Se- veri
effossa, v Gruter. Tom. I.par.a. pag. 614. t
920 sonaggio ragguardevole chiamalo Mecenate, conforme
rilevasi da Giulio Capitolino ( O, e da Erodiano ('a) ; ma T origine di
questo è involta nelle tenebre istesse, in cui trovansi e
l’Olimpico, e l’Elio, e non può neppure congetturarsi, che avesse un
qualche rappor- to col nostro Cajo Cilnio Mecenate,.
J/annunzio funesto della di lui morte fu un ;l . i -
Curtia.j.L. Prapis Cui pars dimidiahujus / Moni menti
concessa est ab Ma le sue virtù rifulsero con luce brillante,
allora appunto, quando Ottavio divenne asso- luto Monarca dell’ Universo
. Che coija non poteva pretendere, che cosa non doveva spe- rare,
quali posti luminosi -, quali onori, qua- li distinzioni ? Eppure quello,
che in tutte le sue operazioni aveva per oggetto soltanto il
benèssere della Patria, e la felicità de 5 suoi simili, nulla volle per
sa > nullà curò, e quésto nobile disinteresse, r3ro nella Storia
de’ secoli, lo accompagnò fino alla Tomba . Amò le Lettere, che coltivò
esso stesso, pro- tesse, animò li talenti, e fù prodigo delle sue
liberalità colli Dotti ; Affinchè poi le scienze salissero a qual grado
supremo, in cui si viddero al tempo di Augusto, fece si, che questo
secondasse il suo Genio • Angusto lo secondò in fatti con tutto il
calore, e con zelo, ed iVirgilj,iProperzj,gliOrazj, liTibùllMiLivj,
e tanti altri spiriti sublimi illustrarono la pri- ma epoca del gran’
Impero Romano, arric- chirono il regno della Letteratura, e ferero
tanti vantaggi alla Società ; perciò Cajo Ciluio Mecenate fu amato da
tutto il mondo, la sua riputazione è passata fino alla più lontana
po-* *34 sterità, ed è qaasi estesa, quanto quella
del- lo stesso Augusto . (O
Tillemont. Histojr. des Emper.Tom.i. Catrou Tom.i9.Lib.7. APPENDICE
ALLA STORIA DI CAJO CILN10 M. • t -
GIARDINI IN ROMA AL MEDESIMO SPETTANTI
DISCUSSIONE. Insiste nella Regione Esquilina dell'an- tica Roma un
locale, in cui venivano sepolti li cadaveri delle genti plebee :
Essendosi rico- nosciuto col progresso del tempo, che da que- sto
luogo s’ inalzavano delle putride esalazioni, nocevoli alla salubrità
dell’ atmosfera, ed alla salute de’ Cittadini, Augusto lo fece nettare,
onde depurar P aere, ed adornare insieme la Città di edifizj. >
11 sudetto locale appellavasi Puliculi, o perchè per antica
costumanza le sepolture con- sistevano in pozzi, o perchè ivi si
putrefa- cevano li cadaveri, conforme nota il Pomey “ „ Minutae
vero plebis, mancipiorumque se- „ pulchra extra portam Esquilinam
Viseban- „ tur, quem locum. Puticulos, vel a puteis,
P ti6 „ inquosconjiciebantur, vel a putore
cadè- „ veroni vulgo appellabant . (ij Lo stesso afferma l' erudito
Alessandro Donato sull’au- torità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino (
e- „ gli dice ) extra Urbem plebs humaretur, un- 3, de Populus
Romanus odoris, atìt coeli gra- „ vitate laborabat,Augustus locum
expnrgavit, „ Urbemque aedificis auxit, ornavitque, Pu- „ ticuli
antea locus appellatns, quod vetustis- „ mum genus sepulturae in pnteis
fuerit, et, „ ut ait Festus, dicti P liticali, quod ibi ca- „
davera putrescerent . ('a) Quivi ( scrivé „ Orazio ) poc’anzi solevano
trasportarsi su,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi, e de mi-,, serabili, dopo
esser stati rimossi dalle loro ti anguste, e misere celle, e qui sorgeva
la,, tomba comune alla plebe meschina. Hoc prius angustis ejecta cadavera
cellis,,, Conservo, vili portanda locabat in Arca ; „ Hoc miserae
plebi stabat comune sepul- chrum (3 ). Questo luogo pertanto,
che formava una specie di Cimiterio di Roma, stava fuori della
Città, giacché era generalmente vietato di (i ) De Funeribus.
De Urb. Rom. lib. i. Cap. i3. Vedi il Turnebio AWers. lib. 5. cap.
6. 11 Minutolo Rom. Antiq. Dissert. 6. de Sepulchris, ed H detto
Pomey loc. cit. (3) Satir.8. lib.t. \
Digitizod by GOogli 2*7 seppellire li cadaveri dentro
le mora ; ed era destinato, come si è accennato, per la qilebe
soltanto . Le tombe de’ Re, degl’ nomini illustri, e delle doane di
nascita ragguarde- vole venivano collocate nel Campo Marzo .che
stava parimenti fuori della Città, secondo la testimonianza di Appiano .
e di Strabone pres- so il rife rito Pomey . ( a) Dopo però,
che da quella Regione furono tolte le sepolture plebee . e fu nel recinto
di Roma racchiusa, vi si inalzarono numerose abitazioni, e vi fece
ritorno 1’ amenità, e Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il,, Donato
) quam amota sunt sepulchra, rece-,, ptusque intra Urbis ambitus, loci
amoe- n nitatem, tectorumque frequentiam secuta E’ nota su di ciò
la Legge delle XII. Tavole. Hominem mortuum inUrbe ne sepelito,
neve urito : Può vedersi il lodato Minutolo, il quale nella cit.
Dissertazione ne farla con critica, ed erudizione. C 2 ) Loc.
cit. : Locas ad sepulturam o rna- tissimus extra Urbem fuit Campus
Martius, Appiano teste, qui scribit, selos ibi Regcs, horninesque
illustrissimo* sepelùi consuevisse, non tamen sine Senatus decreto ;
idque Strabo confirmans locurn illum fuisse Romanis maxime sacrum
ac venerabile m, ideoque pracstantissi - morum virorum, ac joeminarum
monumenta ili fuisse collocata . P 2
3*8 i) est nova coeli salubri'tas .( i) .Ora poi ( sog-
li giunge anche Orazio ) che dalla Regione Es- « quiiina sono state
rimossfe le tombe, hè „ più si osservano sii di un infontie
campagna ii le ossa spolpate degli estinti, vi si gode un,, ameno diporto
sotto un cielo salubre . m Nunc licet Esquiliis habitare salubribus,
atque „ Aggere in aprico spatiari, quo modo tristes „
Albisinformem spectabant ossibus agrum(a ) Porzione di quel terreno
fu donato da Au- gusto, mediante anche un decreto del Senato, al
suo Mecenate, il quale vi fece sorgere in se- guito quc* deliziosi
Giardini, la di cui celebri- tà è giunta fino a noi, secondo la
testimonianza del Marliani,del riferito Minatolo,e di Samuele
Pitisco „ Cum igitur ( dice questo ), tem. (a) Abbiamo osservato nella
Storia di Mecena- te ( i ), che esso fu il primo ad introdurre in
Roma.!’ uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo in- contrastabile,che li suoi
Giardini, e la gran- diosa Abitazione in essi esistente, e di cui
si parlerà fra poco, dovessero contenere tutti (i) Loc. cit.
cap.a3. Lib.3. ( a) Loc. cit. Art. Hort. Maecen. (3)
Lib.4. . a3i gliagj, che sa immaginare l'umano
raffinamen- to, e la voluttà, cosi non sembra fuori di pro-
babilità, che quello qnivi stabilisse li nnovi Bagni, eihequivi ne
facesse sperimentare li primi vantaggi, prima}**•?'.'•••• • *
„ Jamdudum apùd me est . Eripe temorae: • • 1 •• p • »
*, Fastidiosam desere copiam, et », Molem prepinquam nubibus arduis
: 0 matte mirali beatae,, F umum,^et opes » strepitnfeque -
Romae . ( i) Il Palazzo, o la Tórre di Mecenate esisteva
tuttora ai tempi di Nerone . Questo folle, ed insensato Monarca, dopo
aver dato l'ordine ferale di metter fuoco alla più bella, e vasta
Città del Mondò*,' alla Sede del suo Impero, non fece in essa ritorno, se
non quando, fu prevenuto, che 1* incendio si avvicinava alla sua Regia,
che era stata dal medesimo ampliata fino al Palatino, ed alti Giardini di
Mecenate . „ Nero ( scrive Tacito }. non ante in Urbetn „ regressus
est, quam domiti ejus, qua Pala- V Eib.3. Od.ao. ♦
' * * r ., a33 » tinnii et Maecenatis hortos
continuaverat, „ ignis appropinqnaret . (i) Rientrato
quel Tiranno in Roma, sen’ cor- re ai Giardini di Mecenate, e sale nel
luogo più eminente della Torre sopradetta . Quivi rimira con occhio
insensibile, e truce’ii vor- tici delle fiamme, .che distruggono la sua
Ca- pitale, ed ascolta a sangue freddo li gemiti, e le strida degl’
infelici abitanti, che perisco- no . Allora compiacendosi dello
spettacolo a- • C l ) Il Pitisco, fondato su di un passo di
Tacito, mette in dubbio il fatto narrato da Svetonio, e dagli altri
riferiti Autori . Egli suppone, ebe, secondo il detto Annalista,
venissero distrutte dalle fiamme e il Palazzo di Nerone, e la Ca-
sa di Mecenate, e li Giardini, e il Palatino, e tutt’altro, che intorno a
questi luoghi esi- steva, cosicché in tal c$so non avrebbe potuto
quel Monarca cantare l’incendio di Troja sulla Torre Mecenaziana. „
Neronem ex Torri Mae- » cenatiana prospectasse,(dice Pitisco^
iisdera „ pene verbis repetunt P.Diaconus &c.„. Taci- „ tus
dubium fecitutrumque. Non Urbem eniiq „ is tantum, sed domum etiam ipsam
M.,, tis, et hortos, et Palatium, et cuncta circum » l°ca eodem momento a
Neronis incendiario,, igne,sed ipso absente,hausta commemorala )
Non sembra però che Tacito accenni la di- (i)
Lib^.cap.^. (*) Loc.cit. Art. Turris Maecenatianae .
•trazione delli Giardini di Mecenate, e suo Palazzo annesso ; racconta
semplicemente, che quando Nerone seppe, che le fiamme dell’ in-
cendio si avvicinavano alla sua Casa fece ri-» torno in Roma ; che non
ostante, la rapidità di quelle non potè ritardarsi, e fu distrutta
anche la sna Casa, e tuttoció, che vi stava in- torno. “ Eo in tempore f
narra Tacito ) Ne- „ ro Antii agens, non aute in Urbem re» „
gressus est, quam domili ejus, qua Pala- „ tium, etMaecenatis hortos
contjuuaverat,,, ignis appropinqua ret ; neque tamen siati „ jjotuit,
quin et Palatium, et Domus, et „ cuncta circuiti haurirentur (i ) .
Qui si parla del Palatino, e del Palazzo di Ne» rone, e con
l’espressioni, cuncta circuru hauri- rentur, pare che si voglia indicare
tuttoció, che stava intorno all’uno, e all’altro. Ora la magni-
fica Abitazione, e li Giardini di Mecenate erano, come si è detto,
nell’Esquilino, e benché confi- nassero con la Casa Neroniana, tuttavia
pare, che non possa con sicurezza dedursi, che con- temporaneamente
all’ incendio di questa venia» serodistrntti ancorali sudetti Giardini
conTan» nesso Palazzo; in tal guisa non si troverà in con-
tradizione l’autorità rispettabile del detto An- nalista con quella egualmente
rispettabile dello Scrittore delle Vite de’ primi dodici Impera-
dori ; tanto più che anche quello accenna il ( i ) Annal lib.i5.
cap.àq. aS6 fatto narrato da questo, come si
vede nel tev sto seguente: “ Sed solatinm Populo exturba-,, to, et
profugo Campum Martis, et monuraeti-,, taAgrippae, hortos qnin etiam suos
pa- „ tefecit . . pretiumque frumenti minutum. Quae quamquam popola ri a
in irritino cade-,, bant, quia pervascrat rumor, ipso tempore,, flagrantis
Urbis inisse enm domesticam sce- „ nam, et cecinisse Trojanum excidium .
Giacomo Lauro ( a) ammettendo, che la Torre, cd il Palazzo di Mecenate
fosse una stessa cosa, ne fa una elegante descrizione, dicendo, che
era un meravglioso lavoro ri- partito in quattro Piani l’nnoall'altro
superio- re, sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ; dico ancora,
che la sommità della Fabbrica termina' va in un Teatro, dal quale non
solo poteva godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini, ma eziandio
l’ampiezza di tutta l'immensa Capitale del mondo . Non piace
però al riferito Pitisco il senti- mento del Lauro, e degl’altri, che
pensano come questo, supponendo, che non vi siano prove confacenti
“ Sunt qui ( dice il Pitisco ) „ inter quos Jacobns Lanrus .... qui
Do- „ munì Maecenatis cum Tnrri uuam, eam- „ demque faciunt . Fuisse
enim, ajunt, Do- Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum loc.
cit. 13?, V„nm Malcerti. admirabili Vtraetorfl ^ spartitam
quatoor ordimbos, et plamt.ebus, ^ una super alte.an. in altum ad
motomTur- ris excrescentibus, c«,us fast,g ; um dearne
„ bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«, - 4 non tantum in
hortorum amoemtatem, „ tonus Urbis amplitudine® . Atqne et.am m, e
am formam aLauro depingitur . Verno un- ’ de illi haec habeant, me
quidemlatet .( i j ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico delle
Romane antichità dubita della realtà d, ciò che asserisce il Lauró relativamente
alla materia struttura dell’abitazione di Mecenate, si pi
forse con esso andare d'accordo, ma se p . de che la Torre, e la
detta Abitazione fos due fabbriche diflerenti,pareche voglia oppor-
si alla comune Opinione, ed ancheall autori a sopra accennata di Orazio .
In fatti nói t tede» 2 i»,»««> Poca, che piando MPAb, a»
De di MecenUe, e facendo uso dell espiessiom, ora di alta doma, ora
di molem F c pinquam nw- *ibu.s arduis ( i), descrive brevemente, e
conoscere, che l’altezza di M»clla era a gntsa di Torre sublime, che si
avvicinava alle nubi 1, Mecenate Tnrris Maecenatiana ("dièc quello)
„ cognominata est, vel maxime halosi Neronis,,, et Urbis incendio celebrata . .
. quaedam ve- „ stigia extare sunt ex Antiquariis Romae, qui „
asserunt . ( i) Questi avanzi, secondo il Piti- sco, sono da alcuni
ravvisati, in qnel monumen- to antico chiamato Torre Mesa, che si
trova scendendo per quella parte del Quirinale, che risguarda il
Foro di Nerva„Hoc scio, descenu- 3, ris hodie a Colle Quirinali, qua is
Forum Ner- », vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et ru- „ dera
etiam none monstrari; quam T*>rre Me- „ ta Romani vocant, et partem
domus, sive i, Turris Maecenatianae fnisse volunt . ( a)
Biondo Flavio scrive, che a tempo, in cui esso viveva, la sudetta
Torre esisteva quasi intiera, e che per sincope era chiamata Mesa
in vece di Mecenaziana » Aggiunge inoltre,che in quella contrada,
in cui si vedeva, era fama co- stante, che quella fosse la Torre
esistente ne’ Giardini di Mecenate, e sulla quale Nerone rimirò l'
incendio di Roma ; Ecco le parole del lodato Biondo : “ Eadem in
Esquiliarum par- u te, qua ex eo monte prospectU6 est in de- „
pressam Urbis partem, Hortorum Maecena- „ tis visuntur reliquide Extatque
pene inte- „ gra Tnrris, ex qua Svetonins Tranquilla Ne- t, ronem
scribit spectasse Urbis incendia in, et . .o •. / t,
in scenico habitn decantasse .Qnam Turrim „ vulgo nnnc vèrbo . . .
syncopato Mesam „ prò Maecenatianàm appellant . . . Nec est,, in ea
Regione foemelia, quae quid fuerint „ il lae ingente* ruinae interrogata,
non di- >, cat, eam fuisse Turrim, ex qua Nero cru~ „ delis
Urbem incendio flagrantem, ridcns, gaudensque spettavi t . (i)
Al contrario il Pitisco, ed il Donato sono di avviso, che il Biondo,
e li suoi seguaci abbiano su di ciò preso un equivoco ; giacché la
sudetta Torre Mesa non esiste nell’ Esqui- lino, ma piuttosto nel
Quirinale . Aggiungono inoltre, che le vestigia di quell’ antico
monu- mento dovevauo e ; 6ere, o di un Tempio dedi- cato al Sole
dall' itrperarore Aureliano, o di una Curia, o piccolo Senato fabbricato
sul Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì egli fece presedere
la sua Ava chiamata Mesa, e la sua Madre Saemi ; conforme risulta
da Lampridio nella vita del detto Monarca ; di- ce di più il Donato,
che nello stesso luogo potevano esservi ancora, e la Curia
succenna- ta, ed il Tempio del Sole in torta delle con* getture, di
cm égli fa uso, ragionando in tal guisa „ In hortis Coiumnensibus
marmorei ae~ „ dificii pars exurgebat vulgo Maesa jam dira* „ ta.
Biondo* Turrim Maecenatis falso nuncu- >, pat.Ubi enim hic
Esquiliae,etNerouiaui& tae- (i) Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo.
A 40 „ dis ardens in conspectù Rotila ? Àlii partem,, templi
Solis pronunriant, qnod ab Amelia- „ no, auctorc Flavio Vopisco,
extructum est „ ad eam formam, quam viderat in Oriente „ Quid
si aedificium illud partera „ Senaculi, seu Curiae dicerem, quam
Ilclio- „ gabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad „ conventus
habendos, quibus avia ipsins,, M lesa nomine > et mater Soaemis
praeside- „ rent ? Quod duplici conjectura elicitur . Al- „ teram
praebet nomen . Maesa enim diceba- „ tur, ut avia Heliogabali . Alteram
ipsius,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus sic „ eain nobis
linea vit, ut domicilii piane figu- „ rara descripserit freqnentibus
scalis, aulis, „ peristylis, ac porticibus . • . Palladius >,
autem . . . practer alias aedificii partes, „ in templi quoque formam
descripsit amplis- „ simi, magnisque columnationibus insiguis. „
Quare eodem fonasse in loco fuit olim Solis,, Templum . ( 1 ) Nell’
ameno diporto de’ sudetti Giardini, e della grandiosa Abitazione Augusto
sovente so- leva portarsi a visitare il suo amico Mecenate, ed ivi
ancora sovente li Poeti dall’uno, e dall’ altro beneficati, e protetti
facevano sentire il dolce suono della loro Cetra „ Celebrati sunt „
("dice il Giraldi jMaecenatishortiinEsqui- „ liis, quo loco cum
Caes.ire versari frequen- / Lee. cit. lib.3. capa
5. Diaitizec I i, ter consnevit; et perindc etiam
illtìc Poe- „ tae conveniebant . ( 1 ) Lo stesso dice Pie- tro
Crinito nella sua opera de’ Poeti Latini al cap.45. “ Hortos Romae habuit
( Mece- »> nate ) pulcherriinos inEsquiltis, ubi ver- „ sari
interdum consnevit, deque liberalibns,> discipliiiis serriionem habere cum
amicis „ suis . Ad hoc persaepe divertit Caesar Octa- »> vius
propter loci amoenitatem, velut qui »> animarti libertini haberet a
cnris in eo quie- „ tis secessi! . Esisteva ancora ne’
Giardini medesimi un Tempietto, o piuttosto uba Cappella dedicata
da Mecenate al Dio Priapo . Li Poeti, che fre- quentavano quel luogo,
come si è accenuato, so- levano scrivere sulle pareti di essó
Tempietto de’ versi scherzevoli, ma poco purgati . La raccolta di
questi diede luogo a quel libro in- titolato la Priapeja dato alla luce
dal Giraldi, e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi-
>» fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio ex- », tructtim, et
dedicatimi . Poetae, qui Mae- t, cenateci suum quotrdie visebant,
versicu- » los aliquot jocosos in Sacelli parietibus no- „ tarunt,
et hosPriapejorum nomine in unum „ collegit libellum, et vulgavit ....
Girai-,, dus, etScioppius. Questo autore ri- .4 - . Priapeja
( dice questo ) carmen obscenum, „ quod nonnulli Virgilio, alii Ovidio
adscri- *» bunt ; quamquam Verosimilius est, mul- „ torum id opus
esse ob argumenti similitu- „ dinem unum in volumen conjunctum .
(2) Su tale articolo potranno aversi maggiori schiarimenti e presso
il lodato Giraldi, e pres« 80 il nominato Pitisco ne’ luoghi
citati. fi) Loc. cit. (2) Lexicon. Ling. lat. art.
Priapeja, VILLA IN TIVOLI DI M.: DISCUSSIONE
IL solo Mecenate possedeva li deliziosi Giardini, e la
magnifica abitazione sull’Esqui- lino, onde sollevarsi dalle cure del
Governi? insieme con il suo Cesare Angusto, e bearsi colla sempre
piacevole comitiva de’ Poeti, é de’ Letterati, ma eziahdio per lo stesso
og- getto egli aveva fatto edificare sulle sponde dell' Aniene una
Villa maestosa, ed elegante . La celebrità di questa è ornai nota a
tutte le colte Nazioni dell' uno, e l'altro Elnisf ero, perché ne
hanno parlato, e scritto infiniti Scrittori, e se ne legge la memoria in
tutti lì Libri, di cui fa uso il Viaggiatore critico*, e pensante .
Infatti Lilio Giraldi, Francesco Marzi, Marc’Antonio Nicoderao, Antonio
del Re, Nicola Orlandini, Fulvio Cardulo, Gio: Zappi, Pirro Ligorio,
Atanasio Kirker, ed a tempi nostri il Volpi (i), Fausto del Re
(2)> e il Marquez f 3 ), non che altri Autori ezian- ( i ) Lat.
vet.Tom.q. part. i. lib. 18.0.7. ( a) Ville di Tivoli Illustrazioni
della Villa di Mecenate ià Tivoli. * 4 et dio di materie antiquarie hanno
costantemen- te asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di
Mecenate in quel luogo, che si accenna, e descrive dai sullodati Volpi,
del Re, e Mar- quez, e sul quale tuttora si scorgono con am-
mirazione le immènse reliquie della medesima. „ Il primo ammirabile
oggetto ( scrive il „ Volpi ) che si presenta allo sguardo del „
Viaggiatore, che va a Tivoli è la Mole su- „ perba di quel CajoCilnio
Mecenate Cavalier,s Romano, il più grande amico, ed il più fi- „ do
consigliere di Augusto, il quale superò t, molti Re in potenza, cd in
ricchezza . Que- >> sta Yilla per concorde testimonianza di
tut- „ ti li Scrittori, che trattarono delle cose,, Tiburtine, s’
inalzava presso la detta Città „ sulla sponda ministra dell’Aniene . . .
così „ costantemente hanno asserito Lilio Giraldi „ . . . e tutti
gl’ altri, che descrissero le „ maestose reliquie di quell’antichissimo
Edi- „ fido ; ciò poi, che deve sorpassare Lauto- >, revole
usiertiva di tanti Autori si è la remotissima tradizione, e fama, per cui si è
in „ ogni tempo creduto fra liTiburtini, che „ presso le mura della
loro Città fp I4 Vili# d» „ M. (1) . \ *. • * • J
! ( 0 L° c - cit. pag.a x j : Prima igitur omni- um sete Tybur
adeuntibus admirandum, ve - jtigandumque offerf ingcntis molis
Villa Macccnatiana, scili cet Caji Cilnii Mqeceqa- Nnlla fu omesso
per rendere questa Vili* vaga insieme, e grandiosa . L’oggetto più
caro il cuore di quel grand’Uomal, i Letterati, non fu preterito, e
però vedeansi jn essa amene passeggiate, e portici deliziosi, ove si
riuni- vano li Dotti, che mercè l’ illimitata prote- zione di
Mecenate, nel seno; del silenzio, del- la calma, e di tutti gl’agj,
travagliavano in- defessamente per il progresso dello spirito umano
nelle arti, e nelle scienze,■ Quivi, co- me in un altro Parnaso, in u*
altra Accademia, in un altro Peripato, in un altro Liceo, Filo-
sofi, Istorici, Poeti, ed Oratori discutendo, perorando, e meditando,
procuravano di compiacere al loro munificentissimo Protetto-
tis Equitis Romani Augusto Ce.es ari ami- cissimi, fidclissimique
consiliarii, quiqìie Re- ges permultos non solum aequavit, sed
etiam. amecelluit opibus, et potcnìia . Haec concordi omnium, qui
de Tiburtinis rebus c gerani, S cri- ptorum testimonio, ad ipsum Tibur
fuit in sinistra Anienis ripa . . . ‘ Ita LiPius Giral- dus . . .
aliique omnes, qui ingentia Aedi - fidi hujus antiquissimi extaritia
adhuc fràg- menta, et rudero niemorapcrunt, a ut descri— pscrunt
unanimitcr, atque constantcr Maece— natis hanc V illam Tibur tem
nominaverunt ; quodquc ipsos etiam Siriptóres auctoritate Vin- cere
debet vetustissima, a majoribus per ma - nus tradita fama id nobis
affirmat . i 4 7 yt, e cosi per impulso del
genio benefico di questo recavano servizj inesplicabili al Gene- re
umano, e travagliavano per la sua civilizza- zione (i) . Il
Cenni dopo aver parlato de’ Giardini di Mecenate in Roma, non manca di
parlare ezian- dio con stupore della’ Villa del medesimo in Tivoli.
“Nè solamente in Roma ( dice quello) „ ebbe Mecenate le sue delizie, ma
per non „ goder sempre mai la Villa negrOrti, che „ egli aveva, le
ampliò fuori di quella anco- „ ra, ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa
.,, Quivi fabbricò egli Una Città più che una Vil- „ la, palesandola tale
fin'oggi le superbe reliquie, e le rovinose grandezze della mede- „ sima,
e quivi parimenti nel ritifo, che fa- „ cevano dallo strepito cittadino,
trovavano 3, il loro riposo le muse romane . (a) Il Pati- sco,
benché ne parla compendiosamente, pu- re la chiama Villa ripiena d’ogni
sorte di de» * > • » . • a (i) Volpi loc. cit. pag.
220. : Atque hue litteratorum homìnum congregatas polissi — • mum
erudita s Catervas sub Maecenatis patro- cinio ac tutela Philosophorum,
inquam, Ora- torum, Historicorum, ac omnium maxime Poetarum turmas,
ad dìssercndum } recitandum, fabulandum, meditandum edam, atque
otianr* dum animi ergo in Parnaso voluti quodam, auC Stoa, aut
Peripato, A ccademia, voi Lyceo. fa) Vit. di Mecenate libra, pag.^
8 . I Digitized by Google a 48
lizie, opera meravigliosa, e che per la vasti- tà della sua mole
non cede ad alcun altra Fab? brica de’ Romani. Ma sarebbe stato
troppo poco per il cuore magnifico di Mecenate il rimunerare li
Dotti coll’uso soltanto di quegl’ agj, che si rinveni- vano o ne’
suoi Giardini di Roma, o nella Vil- la di Tivoli: la sua generosità si
estendeva molto più oltre; soleva bastantemente proveder- li di
tutto il bisognevole (a), come è noto, e conforme abbiamo dimostrato nel
quarto li- bro della Storia, e perciò presso la detta Vil- la di
Tivoli, o nelle sue vicinanze li Poeti ad esso più cari possedevano
Casini di campagna, deliziose Villette, e possessioni ragguardevo-
li ; e queste proprietà si acquistavano da quel- r • : ■ t (l
) Lexic. Antiq. art. Villa i Villa Maece- natis in ultimo T yburtinae
Urbis Clivio, omni- um deliciarum genere conferta, ab ilio est ex-
tructa . . . opus sane admir abile, quod sane vasta sua mole nulli ex
Romanorum fabricis cedit . Pet.Crinit. de Poet. Lat. rap.45. :
Vub- gatum est de Maeccnate quantum Litteris, ac Litteratis omnibus
faverit, cum in Urbe unus hic potissimum haberetur, ad quem Poetae
omnes, atque Oratores, ve/ut ad certam anchoram, per/ugiuni sibi haberent
; itaque ab eo vehementer dilecti sunt, ppcraque, et mu -, nf ribus
amplissimi honestati . li mercè la liberalità del medesimo, onde
av- valorare sempre piòli talenti poetici di Orazio, di Properzio,
e di Virgilio, e perchè ognuno di essi potesse vivere contento anche
quando esso non poteva trattenerli sotto l’ombra de’ porti-t ci
maestosi della sua Villa . Inoltre possedendo que’ Poeti delle proprietà
in Tivoli, mentre M. vi possedeva la Villa grandiosa, più spesso, e
più agevolmente poteva egli vederli, e più volentieri abbandonavano lo
strepito fra- goroso della Capitale per passare giorni quie-i ti, p
delle ore pacifiche nella calma de’ loro deliziosi, e campestri ritiri,
soggiorno per- petuo delle Muse, e di Febo . Che il Poeta
Orazio avesse un Casino di cam- pagna in Tivoli quasi di fronte alla
Villa di Mecenate, non può mettersi in questione, e benché Domenico
de’ Sanctis ( i) ponga in dub- bio l’esistenza.in Tivoli di una Villa
spettante a quel Poeta, tuttavia conviene, che questo Vi avesse una
Casa di Campagna, nella quale egli vagheggiava l’antro muscoso della
risonan- te Albunea, le onde dell’Aniene, che si pre- cipitano
dall’ alto delle rupi . 1 ! ombro- so Boschetto di Tiburno, li Giardini
irri- gati dalla molle attività di scherzevoli ruscel- letti (a ),
nella quale desiderava arden- Dissert. sulla Villa di Orazio Fiacco.
(a ) Ode 7. lib. 1. a5a temente di finire i suoi
giorni (i). Essendo; pertanto dimostrato per confessione ancora
delio stesso Orazio, come si è veduto nella Storia al Libro 4° che esso
era stato arricchir to da Mecenate, sembra del totto chiaro, che la
liberalità di questo gli procacciassero il .. j • . Me
nec tam patiens Lacedacmon, Ncc tam Larìssae percussit campus
opimae, Quam dora us Albuncae resonantis, Et praeeeps Andò,
et T iburni lucus, et uda Mobilibus pomaria riyis . (1) Od. 6 . Lib. a. T ybur, A rgeo positum
colono, Sit mene sedei ut in am. senectae ! Sit modus
lasso marie ì et viarum, Militiaeque ! i lite terrarum mihi praetedomnes
Angulus ridet, ubi non Hymetto Mella decedunt, viridique ccrtat
Bacca Venafro j V er ubi longum, tepidasque praebet > J
upiter brumai ; et amicus Aulon, Fertili s Baccho, minimum Falernis
' InvidetUvis. t Ille te mecum locus, et beatae
Postulant arces ; ibi tu calentem Debita sparger lacryma favillarli
\ Vatis amici. . . * v
a5* possesso del surriferito Casino di Campagna in
Tivoli . Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche una
Possessione al Poeta Properzio, ma niuno de* Scrittori delle Antichità
Tiburtine ne ha fatto menzione ; ciò non ostante si rileva dai
scrit- ti di questo Poeta, che egli ayeva in Tivoli la sua Amorosa,
dalla quale ricevè nella mez- za notte unà Ietterà, in etti lo invitava a
por- tarsi in detta Città 1 “ Quando il carro di Boo- „ te ( dice
Properzio ) era giunto nel mezzo „ della sua carriera ricevo una lettera
dalla » mia Bella, che mi ordinava di portarmi „ all’ istante
presso di essa ; la lettera veni- va daTivoli, ove le biancheggianti
vette » fanno mostra delle sublimi due torri,e l’onda „ dell’Aniene
siprecipita in ampie lagtJne.(i ) In altro luogo poi il Poeta facendo la
de- scrizione patetica di un sogno, finge di vede- re, che Cinzia
sia morta, tal’ era il nome della sua Bella ("a). Fa parlare l'ombra
di (i) Lib.S. Eleg.i 3. Nox media, et Dominac mihi
venit epistole^ mstraej Tybure me mista jussit adesse mora
; Candida qua geminas ostendunt culmina turres, Etcadit
in patulos lympha Anima lacus . (a) Il vero nome della donna Tiburtina
a- mata da Properzio era Ostia, tome rilevasi da'
a5a questa, la quale gli ordina, che nel di lei se-,
polcro sia scolpita una funebre iscrizione, che essa stessagli detta “ La
dove il potnifero A- „,nieue(parla Cinzia ) scorce placidamente per
„ le tqrtuose campagne, e dove,1’ avorio „ giammai impallidisce mercè la
potenza del „ Dio Ercole (i) scrivi nel m ezz P di nna Co-,, lonna,
questa epigrafe degna di me > che „ possa leggere il passeggero “ Qui
giace la „ bella Cinzia sepolta nel suolo Tiburtiuo ^ Apulejo
presso il Crinito nella vita di questo, Poeta :j Sextus Aurelius
Propertius, ( dice il Crinito'). . . Mae cenati, et Cornelio Tacito
maxime acceptus fait . . . . Cum i(i Elegiis, ut inquit Plinius, forct
egre gius . . . Libros quatuor Elcgiarumconiposu.it, in quibus fere
suos calarti, et Mosti ae laude m, et formam celebrai ; nam in pucllam
Hostiam miro qui - dem affectu exars (t, quatn mutato nomine, ut
est auctor L. Apule] us, Cyntiam appellare maluit . Corre la voce a
tempi di Properzio, ed uriche posteriormente, cirriforme si rileva,
da Silio Italico, c da Marziale, che l’uria T ibur- tina
somministrava alle cose ur\a bianchezza potentissima . Properzio ripete
questo privile- gio da Ercole divinità tutelare dal Paese, e che
era in special maniera venerato in quella Città. Il Beroaldo ne' commenti
del! accen- nata Elegia di Properzio alle parole : polle?
I N aì>3 la sùa tomba, o Amene, accrébbe
decoro J, alla tua fertile sponda .(i) Se io volessi ricavare
da queste espressioni di Properzio resistenza di una sua Villa in
Ti* Voli mostrerei forse troppa prevenzione per il Suolo, che mi
diede i natali ; ma essendo cer-« to, che quello aveva la sua Amorosa ih
quella Città, cbé era amicò di Orazio, e di Virgilio, e che godeva
il favore del benefico Mecenate, sembra non 'affatto inverisimile, che
anch'es- so avesse, o qualche cosa di campagna, o qualche altra
possessione presso la Villa del sudetto Mecenate, frutto, e risultato
della beneficenza del medesimo . • ■ ' • i tbur ;
parla in fai guisa i 'Còclum Tyburti~ num dicebatur rebus praestare
candorém pò- tentissimum e bori, unde ait Silius: Tyburit dura
pascit ebur : Et Martialis, T'ybur ih Herculeum migràvit nigra
Tycoris * Omnia dum fieri candida credit ibi . Hoc fieri
Poeta ait, nu mine Herculeo ; T V bur enim Herculi dicatum, et Herculeum
co~ gnohtindtur . Ramosis Ariio qda pòmifér incubai
afvis. Et nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur', Hoc carmen media
dignum me scribe columna, Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe
legar, Hic Tyburtina jacet bure a Cynthia terra -, 'Accessit ripae,
laus, Aniene, tuac. I I a$4
Se è certo, che Orazio, se non è improba- bile, che Properzio
avessero nel Territorio di Tivoli, e nelle vicinanze della Villa di
Me- cenate una qualche possessione, non è fuor di credenza, che il
Principe de’ Poeti Latini vi possedesse anch’ esso un luogo di
delizioso soggiorno . Li Scrittori delle cose Tiburtine hanno
serbato su di ciò un profondo silenzio > ed il solo Volpi accenna, ma
dubitando, una tal circostanza (i ) . Sapendo però quanto Me-
cenate stima sse, proteggesse, e beneficasse non meno quel grande Poeta,
si può, e forse con non debole fondamento asserire, che que- sto
eziandio possedeva presso la Villa del suo Benefattore o qualche
abitazione di piacevo- le permanenza > o qualche altra possessione
. Infatti, se Orazio era stato arricchito da Mece- nate^ se
quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo dalla beneficenza di questo,cbe
cosa dovrà dirsi di Virgilio, che in meriti letterarj non er?
certamente inferiore al Poeta di Venosa, e che ( ij Volpi Latinm Vetuslib. 18.
cap.7. pag. 4S. : Villani in Ty burle habuisse Virgiliani,
suut qui putant, Villae proximam Maecenatis ; eum tamen neque
locum de s igne ni, nec ullus hoc Auctor scripsit, quod quidem
perlegcrim, 1 neque ex ipso Virgilio tei hujus lumen ullum
ef- fulgeat, id asseverare nonausim. ] aveva dedicato a
Mecenate il suo dotto, ed ele- gate poema sulla coltivazione ? ( i
) Di poi non mancano congetture di qualche rilievo per
credere ciò, che finora si è detto riguardo alla Villa di Virgilio .
L’Ughelli ri- porta un Diploma, estratto da un Codice ma- noscritto
della Biblioteca del Card» Francesco Barberini, la di cui antichità non è
stata fino- ra contradetta . Questo Diploma è dell’ anno 945., ed
in esso il Vescovo di Tivoli Uberto è confermato nel possesso di tutti li
suoi beni, che possedeva nel Territorio di quella Città, e frà gli
altri fondi si fa menzione della posses- sione Virgiliana : Fundus
Licerana, Picianus, 'Galliopini, Vicianus, Virgilianus .(a) %
’ì Petrus Crinit. de Poet. Latin. lib. 3 . cap. 45. : Pùblius Virgilius
adhunc Maecena - tetri libros suos misit, qui Georgica inscribun-
tur, absolutissimum omnium opus, quae in eo genere composita unquam ab
alio fuerint . (a) Ughelli Ital.
Sag. Tom. i. pag. 1304. : Hucber,tus Episcopus Tìburtinus vixit
tempori- bus Martini Papae an. 94?. Ab eodem Pontifice omnia
privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac Tyburtinac concessa, hoc diplomate
revocati meruit, cujus exemplar .,, extat in MSS. Cod.
Biblioth. Card. Francisci Barberini N. 130S. .che quella anticamente
spettava al Poeta Virgilio, e che vi era stata qualche Villa di sua
pertinenza 7 Difatti quante contrade del Ter- ritorio di Tivoli sono
anche oggi denominate, Pisone, Cardano, Paterno ec. dai nomi di
quegli antichi Romani, che quivi ebbero del- le Ville, e la verità delle
quali non può recar- si in dubbio dopo lo scoprimento di monumenti
irrefragabili, e. sicuri ? Se la località di quel fondo Virgiliano
non si fosse smarrita nella notte del tempo, forse agl’ indagatori
delle cose Tiburtine non sareb- bero sfuggiti li mezzi, onde verificàre
la sem- plice tradizione •, e coll’ ajuto de' scavi i e coll’ esame
di qualche marmo, iscrizione, o altra reliquia di antichità, si sarebbe
potuto conoscere il sito, ove esisteva, ed anche la qualità del
medesimo ; e non accade così di Nicolai, Jvan.-et Leonis, quae
vetustate con - sumpta renovantur temporibus D. Martini Sum. Pont.
.... Potitific. ejus scilicet an, g., Sugerentc Hucberto Tyburtinae
Eccle- siae peccatore, ethumili Episcopo . Clausura universa . . .
Fundus Li cerata, Pidanus, Calliopi/ti, Vicianus, Virgilianus .
Digitized by Goqgle lion poche altre Ville, la
di cui memoriaper lunga serie di secoli si vedeva soltanto sotto il
velo della tradizione ? Nè la forza delle addotte riflessioni, e
con- getture può essere scemata dal silenzio di tutti li Scrittori
Tiburtini, e segnatamente de' più moderni Cabrai, e del Re ( i);
conciosiachè è certo altronde, che tanto questi, che gl’altri
omisero di accennare -, che Plinio il giovane ebbe in Tivoli una
Villa ; eppure è indubitato, che anche una Villa di quell* esimio
Scrittore abbelli il territorio di questa Città. Egli ne parla
espressamente scrivendo al suo amico A- pollinare,e facendogli il dettaglio
de'pregj dell’ altra Villa, che possedeva in Toscana.,, Ecco „ le
ragioni ( dice Plinio ) perchè io ante- », pongo la mia Villa Toscana alle
altre, che '» posseggo nel Tuscolo, ih Tivoli, ed inPre-,, neste ; perchè
oltre li soprariferiti pregj 5, vi si gode un ozio maggiore, più
abbondan- „ te, e però più sicuro, e con meno distur- bi kl. Non vi
é necessità alcuna di vestir Toga; >, non vi è chi venga a chiamarci,
e a invitar-,, ci dalle vicinanze, ed ogni cosa si fa con „ pace, e
quiete . Torniamo alla Villa di Mecenate . CO Ville di
Tivoli pag.36. (.*) Plin. Epist.6. lib.5. : ffabes causas cur
ego T uscos meos T usculanis, Tyburtinis ; Praenestinisque meis praeponam
; narri super R a 5 S È noto, che il
sullodato Poeta Virgilio credendo, che la sua Eneide fosse un
lavoro imperfetto lasciò per testamento, che venis- se consegnato
alle fiamme, e che Tucca, e Va- rio suoi amici fossero nominati dal
medesimo esecutóri di questa sua ultima volontà, con- forme hanno
lasciato scritto Gellio, Macro- bio, e Plinio presso il Volpi ( i )
. Augusto non permise, che si dasse esecu- zione agl’ ordini
di tal natura, senza prima meditare, e ponderarne la sostanza ;
perciò essendosi ritirato con li sudetti Tucca, e Va-», rio nel silenzio,
e nella calma tranquilla della Villa di Mecenate, quivi, previo un esame
ma- turo sull’oggetto delicato, fu risoluto secondo Il pensiero di
Lilio GiraWi, seguito dal Vol- pi (a), che ad onta nelle disposizioni
testamen- tarie dell’Autore, quell" opera divina dovesse
sopravvivere, e trasmettersi alla posterità; illa, qua e retuli,
altius ibi otium, et pin- guius, eoque securius ; nulla necessitate
togae i nemo arcessitor ex proxima ; placi- da omnia, et quiescentia:
Vedi Marquez Vil- le di Plinio paga 1 3 . (i )
L0c.cit.pag.a4S., (a) Loc. cit pag. a44. : Porro eam delibe-
rai io n em in hac V illa Maecenatis Tyburte su- sceptam ab iis ( Tucca,
e Vario ) cor am Au- gusto putat Lilius Gir aldi . conforme
frà gli altri riferiscono Plinio (1), e Sulpicio Cartaginese.
Non è fuori di probabilità, che Mecenate mo- risse in questa sua
Villa di Tivoli . Egli aveva qui fatto un lungo soggiorno, e si pnò dire
an- cora una permanenza non interrotta negl' an- ni estremi
segnatamente della sua esistenza ; e perciò sembra, che abbia voluto
esalare l’ul- timo respiro, dove aveva trovato le sue deli- zie, la
sua pace, e il suo sollievo nell' ultimo periodo della sua brillante
carriera . Augusto erede di quello, come si è detto, ereditò an-
cora la sua Villa sulle sponde dell'Aniene, per cui posteriormente fu
chiamata Villa di Cesare Augusto, conforme accenna il Kirker ( 3 ),
è dopo di esso il Pitisco „ E' fama ( dice questo,, Scrittore ) che
Mecenate prima di morire i- 3, stitnisse crede della sua Villa di Tivoli
lo,, stesso Augusto,al quale nella medesima aveva „ per tanti anni
esibita la sua ospitalità, per,, cui posteriormente, ed anche fino al
pre- (i) Plin. lib.7. cap. 39. : Divus Augustus carmina
Virgilii cremati con tra testamenti ejus verecundiam vetu.it .
J usserat haec rapidis aboleri carmina flammis
Virgilius, Phrygium quae cecinere ducem . Tucca vetat, Variai
simili, tu, maxime Caesar, Non sinis, et Latiae consulis historiae
. ( 3 ) Lat. vet. et nov. lib. 3 > n.4. §.1. R
2 !* 6 o „ sente
giorno si chiama Villa di Cesare Augna „ sto . (O Potrebbe
ora darsene una descrizione to- pografica, ma su di ciò si farebbe un
lavoro del tutto superfluo, nè potrebbe dirsi di van- taggio i nè
meglio parlare di quello, che h an- no detto, e parlato li succennati
Pitisco, Cabrai, e recentemente Marquez nella sovra- indicata
Dissertazione. Se questo valente Scrit- tore aveva dato saggi
commendevoli delle sue cognizioni, e del suo criterio nelle opere a
quella antecedenti, e segnatamente nel Libro sulle Ville di Plinio il
Giovane, e nell'altro sulle Case di Città degli antichi Romani ;
nel- le Illustrazioni sulla Villa di M. ha fatto conoscere la
penetrante oculatezza del suo 1nge2.no nel discoprire, e disegnare le
noti- zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es- se
Illustrazioni ritaettramo gli eruditi Lettori. Loc cit. Art. Villa :
Maeccnas moritu - rus, cum tot jant annis Augustum hospitem in hac
Villa recepisset, eumdem Villac haeredem constituisse fertur, ut proinde
vel ex hocco - pite non Maecenatis dumtaxat, sed et Augusti C cesar
is in hutic diem appclletur . s'6t FEBRE PERPETUA
» febris est, sicut Cajo M. . Eidem „ triennio supremo nullo horae
momento con- „ tigit somnus . L’Arduino nelle notea questo luogo di
Plinio ci previene, che Giovanni Schenk nel libro- primo delle sue
mediche Osservazioni riporta varii esempj d’ Individui, che non viddero
il sonno per lo spazio di quattordici mesi, .ed anche per un intero
decennio . Lib. 7. cap.Sa. (2} In Not. cap. 5 a. lib: 7: Plin. :
Afjìrt exempla nonnulla eorum, qui mtnsihus quatuOr- “ZT '
7 a 6» Non è mio scopo di esaminare, se cosi
lunghe veglie possano darsi in natura, come ancora se possa un mortale
vivere gran tempo con la compagnia disgustosa di una febre con-
tinua. Questo esame forma 1’ oggetto, e la materia esclusiva di que’
Dotti, che sono nell' arte medica versati, e perciò io mi tratterrò
nel vedere, se quel Cajo Mecenate, di cui par- la Plinio, è il Mecenate,
di cui si è scritta la Storia; e posto che d’esso sia, si osserverà
se sussista la realtà di quella febre perpetua:, e della pretesa
veglia triennale. Pietro Crinito afferma non esser certo, che
il Mecenate allegato da Plinio sia quel Mecena- te Consiglierò, Favorito,
ed Amico di Au- gusto. „ Notatum est a Plinio ( dice quello ) in-
j, ter mirifica Naturae officia eum ( Meceua- „ te ) nnmqnam horae
momento dormisse per „ totum trieimium ante obitum, sed hoc non „
piane compertum est, an referendum sit ad,, alterum Maecenatem . Al contrario
il Cenni è di opposto sentimen- to, ed impugna il Crinito in questi
termini:,, Ma sia detto cou pace del Crinito, questo „ dubbio parmi senza
ragione . Da Plinio si,, parla del nostro, e non di altri Mecenati decim,
qui decennio Coto somnum non viderint Jo.Schenkius Observat. Medie, lib.
i. pag. p3. De Poet. lat.. Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I, Ora è possibile t
che questo soltanto ayes-; se la notizia cosi precisa di questi fatti, e
che ’ o • (i^Lib.a.Art,t>$_. ; ; la medesima
sfuggisse a Vellejo, e a Cornelio Tacito contemporanei di esso Plinio, e
s’igno- rasse da Svetonio, da Appiano, e da Dione, che vissero, e
publicarono le loro Storie nel secolo posteriore all’esistenza di quel
Natura- lista? Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali, opera critica,
ed erudita, non omette di parlare di molte qualità personali di Cajo
Me- cenate, delle quali si è fatto già menzione, e serba un
profondo silenzio sulla febre perpe- tua, e sulla veglia triennale, di
cui si parla . Lo stesso deve dirsi di Seneca ; Egli mormora spesse
volte, aguzza la lingua nelle sue Opere sulla condotta del Consiglierò di
Angusto, ne critica il lusso, le ricche abitazioni, le squisi- te
mense ec., ma benché sia contemporaneo di Plinio nulla dice di preciso
sul fatto contro- verso. Ma si supponga, che il Mecenate
accenna- to da quello sia il Mecenate, che fu T ogget- to delle
nostre storiche ricerche . Sussisterà in questa ipotesi quella febre
continua, e quella veglia triennale ? Pareva incredibile al lodato
Giraldi questa veglia triennale, e peno- sa del nostro Mecenate, e non ne
sarebbe giam« mai restato persuaso, se la sua credulità non fosse
stata sorpresa da un’ altro fatto più stra- vagante s riferito da
Olimpiodoro Alessandri-, no, ij quale suppone, che un Uomo vivesse
senza mai dormire, pascendosi di sola aria, o di luce „ Quindi io giudico
( scrive il ?6q,, raldi ), che proveniése a Mecenate quella è- „
sica indisposizione di non aver potuto dormir »» mai per no intiero
trienoio ; ciò che mi i, sembrava quasi incredibile prima che
leggessi in Olimpiodoro Alessandrina . . . che « nn Uomo visse senza mai
dormire, pascen- „ dosi di solo aere solare, ed in conferma di
>» tale portento cita quello l’autorità di Ari- » statele . (i)
Alcuni,frà quali il sullodato Cenni (assono d avviso, che Seneca
abbia parlato della sudet- ta veglia triennale di Mecenate, allorquando
fauna specie di parallello frà questo, ed il celebre Attilio Regolo „
Veniamo ora ( dice » Seneca ad Attilio Regolo . Perchè la fortn-
»> na gli nocqne quando egli diede quel gran* »» de argomento di
fedeltà, e di pazienza ? j. Trapassano li chiodi la sua cute,
dovun- y, que rivolge, ed inclina le sue membra affa- », ticate
incontra una ferita, e le sue luci so- », no aperte ad una veglia
perpetua . Cre- : Mine illi ( Mece- nate ) existimo cantigisse,
c/uod a Plinio scri- bitur, ut per triennium non dormieril, id quod
ego vix credideram ni ti antiquum apud Olim- piodorurn Alcxandrinum in
Phaedonis Commen- tar io legissem, hominem insomnem vixisse, qui
solo aere solari nutriretur, atque in eo miracolo Aristotelem citai.
>, di tu, che sia più fortunato Mecenate, il », quale divorato
dagli amori, c da replicati », ripudj della ricalcitrante consorte, si
pro-,, caccia il sonno mercé l’armonia de’ musi- si cali istromenti, che
da lungi echeggiano, soavemente ? Ma benché egli prenda sonno colla
forza del vino, scuota, ed inganni „ il suo animo col mormorio dell’acque
caden- „ ti, e con mille altri generi di piaceri, tnt- „ tavia
veglierà nelle piume, come Attilio », Regolo nella croce . (Non si
comprende però come Seneca in que- sto luogo voglia indicare la pretesa
veglia tri- ennale di Mecenate, giacché la sostanza dei suo
discorso si è che questo, essendo vessato dall’ amore sconcio, e dal
carattere inquieto (i) DeProvid. : Veniamus ad Re- gulum :
quid illi fortuna nocuit, quod illud documentimi j Idei, documentimi
patientiae fe- tic ? Figunt cutem davi, et quocumque fati- gatum
corpus reclinai, vulneri incumbit, et in perpetuam vigiliam suspensa sunt
lumina .... F eli ciorem ergo tu Maecenatetn patos, bui amoribus
anxio, et morosae Uxoris quoti- diana repudia deflenti, somnus per
sympho- niarum caritum a longinquo lene resonanlium quaeritur ?
Mero se licei sopiat, et fragori- bus aquarum avocet, et mille
voluptatibus mentem anxiam fallat, tam 'vigilabit in piu- ma, quam
ilio in croce . di Terenzia stia moglie, che egli arnav^
perdutamente (i), procurava di sollevarsi con il vino, con lo strepito
piacevole delle acque cadenti dalle rupi, e con altri mezzi ca-
paci a discacciare, o mitigare la noja dello spirito ; aggiunge inoltre,
che ad onta di tut- to questo, Mecenate non trovava sollievo, co-
me Attilio Regolo tormentato dalla barbarie degli Africani nella botte
guarnita di punte di ferro (2). É’ pur troppo vero, che una
moglie fornita di un Carattere infedele, caparbio, ed inco- stante
potrà tenere in grandi inquietezze un onesto marito, dal quale è amata,
manonpa-» re verisimile, nè credibile, che tali inquie- tezze
possano giungere fino al grado di cagio- nare una veglia non interrotta
di più anni . Perciò si può convenire nella supposiziqne di [Girald.
loc. cit. Porro Terentiam Maccenas miro amore deperiti } .ut Acron, et Por-
phirion tradidere . Cantei, Not. ad Valer. Max. lib.l. de Relig, §
.1 4. Dir is sane suppliciis cru- cactus est Attilius : primum quidem, et
id tantum cibi datum est, un de vitam aegre su- stentaret, et
adductus Ltiphas, a quo territus nec animo, nec corpore conquiesceret :
tum, praecisis palpebris ne connivere posset, solis radiis'objectus
est : in dolio denique inclusus praefixo davi culti, quorum acuti it
misere la,-, cerai us inceriti, Seneca riguardo alla' sùdetta
Terenzia moglie di Mecenate ; si può convenire, che ella sarà stata
di Un umore capriccioso, ed indocile ; che Mecenate ne avrà provati
disgusti, ed amarezze, e che per discacciarle lóntand dal suo
spirito filosofico, avrà profittato di tutte le possibili risorse ; non
si può però ragione- volmente, e giustamente conchiudere, che per
tal motivo non potesse procacciarsi il sonno per il non breve intervallo
di un intero trien- nio; nè si può comprendere^! torna a ripetere,
come Seneca abbia nel citato luogo voluto si- gnificare ciò, che Plinio
ha riferito sulla pre- tesa veglia triennale del nostro Mecenate i
Passiamo alla febre perpetua . La febre è annoverata fra li pallidi
morbi > che affliggono miseramente la specie umana . Quell'
individuo, che da una febre viene mo- lestato, e da febre di tal
carattere, che non abbandona giammai il povero paziente, è impossibile,
che possa agire con energia, e trattare affari di sommo rilievo . Da quanto
si è detto nel decorso della Storia del nostro Me- cenate, risulta
pienamente, che egli fin dall’ età più verde incominciò a prestare i suoi
ser- vigi ad Ottavio Augusto prima del Triumvira- to, fin dopo
inalzato al Trono . Si è rimarca- to, che iu tutto questo tempo affrontò
le imprese le più faticose ; segui qualche volta il suo Monarca anche frà
lo strepito delle Armi } governò lunga stagione Roma, e l’Italia,
dis- sipò congiure pericolose, ed usò in tutte le
i operazioni, che gli furono affidate, eorag». gio, fermezza, e
straordinaria vigilanza . Se pertanto fosse stato sottoposto ad
una malattia di una febre perpetua, come è possibile, che avrebbe egli
potuto agire con tan- ta energica attività per disimpegnare gl’in-
carichi laboriosi, che tutto giorno riceveva da Augusto? Ola febre è una
malattia, o non è malattia . Se non è una malattia tutto è con-
ciliabile, ma siccome non può mettersi in que- stione, 'ch’ella sia un
malore, che sconvolge il sistema fisico deirUomo, cosi sembra
potersi dire, che Plinio in quel luogo, 0 ha parlato di qualche
altro Mecenate, o se ha parlato del nostro le sue assertive non possono
in ve- run conto fissare la fiostra attenzione . Impugnando
però questo passo di Plinio, noi non abbiamo avuto il pensiere di
divenire il censore di quel celeberrimo, e laborioso scrittore della
storia naturale . Egli esige tutto il rispetto de’letterati, li quali
conoscono, che quella sua opera magnifica gli procacfciò meritamente un posto
brillante nel tempio dell’immortalità. Ma in un si grande lavoro, in cui
dovette giovarsi, e profittare degli occhi, e delle mani di molti, non
deve recar meraviglia, se egli avesse inserito una qualche opinione
grossolana, e popólare . Il medesimo dice ancora, che quel Caio Melisso M.,
Liberto del nostro Cil- [TIRABOSCHI (vedasi), Stor. della Lett. Ital., «io
per guarire da uno sputo di sangue, no parlò mai per lo spazio di tre
anni. Questo fatto è pure singolare, meno però di quello della febre
perpetua, e della veglia triennale . Plin. Jamet sermoni porci multis de
causis salutare est. Triennio M. Melissum accepimus silentium sibi
imperavisse a convulsione reddito sanguine . L' Arduino nelle note a
questo luogo di Plinio osserva, che in alcuni Codici invece di
Melissum si legge Messium, conchiude però, che ne Codici più accurati si
trova scritto Melissum. Potrebbe dubitarsi se il Melisso, di cui qui si
parla, sia veramente il Liberto di M., giacche Svetonio de lllust.
Gram. nomina are Melisso Lenèo. Fulgenzio Withol. fà menzione di un Melisso
Euboico. Alberto Magno de Anim. Tract. loda un Melisso autore di un libro
sugl’animali. E Laerzio. rammenta parimenti un Melisso. Ma il lodato
Arduino è d'avviso, che il Melisso accennato da Plinio è il Cajo Melisso
M. Liberto del nostro M. : Meminit Svetonius ( Hard, in Ind. Auct.
Plin. ) Caji etiam Melissi, quem Maecenati gratissimum etiam fuisse
ait, ac Biblidthecarum in Octaviae Por- tico ordinandarum curam accepisse,
a Patrono suo Cajus Melissus M. dictus est . Hic eriim illc est, quem
Maecenatem Melissum scribi oportet, apud Pliriium lib.aS. Sect.i
-V C>. Cajo Melisso Mecenate. Luigi
Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate.
Grice e Medio: la
ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Medio. Porch. A contemporary of
Plotino. He wrote a number of essays. Medio.
Grice e Megistia:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Metaponto).
Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean according to Giamblico
di Calcide. Grice: “Cicero
argued that anything written in Greek is not part of Roman philosophy; I guess
he has a point. Whereas we do consider things written in Latin by Englishmen
PART of English philosophy, we do not consider anything written by the Old
Britons before the Anglo-Saxon Conquest to be a part and parcel of Sorley,
“History of English philosophy’!” -- Megistia.
Grice e Meis: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese – la scuola di
Bucchianico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo italiano. Bucchianico, Chieti, Abruzzo. Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he
proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a
Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di
ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue
presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati
PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti
naturalisti, di cui diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale
degli Incurabili e apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia
naturale. E poi rettore del Collegio di Napoli.
Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne
eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di
Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i
manifestanti e l'accusa di tradimento al re.
E quindi costretto all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si
stabilì a Parigi. Esercita la professione di medico per gli esuli e gli
emigrati italiani. Insegna antropologia filosofica lall'università ed entra in
contatto con il mondo filosofico parigino, diventando assistente di Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico
di insegnare semeiotica. Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra
in Italia, prima a Torino e poi a
Modena, dove insegna. Torna a Napoli e divenne
assistente di SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e
venne eletto membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione. E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo
tra i ministeriali. Busto di M. al
Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo
tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il
suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della
natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega
di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al
positivismo. Venne citato, di passaggio,
nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il
palazzo della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M.. V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,
Erasmo ed., Roma, M. su treccani. Il
protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in
treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della
sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da
"De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia
nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella
città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene
abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del
romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza
legato alla propria libertà. Tessitore, M.
Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. openMLOL, Horizons storia.camera,
Camera dei deputati. M. di Giacomo de
Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari.
L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione
di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si
precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo
abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual,
altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A
meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una
sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si
immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA
in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale
Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo
paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA
forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia
strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a
intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato)
sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete
ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo
pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone
Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo.
Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo
Cristianesimo Oggettivismo ideale
particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac.
Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale
universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla
oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa
Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla
soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto.
Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte
Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia
della medicina .Cosa è lo Stato? Lo Stato è l'uomo grande; è la società
umana individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società che
basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo Stato è il grande
organismo umano, l'individuo gran- de, compiuto in sé stesso,
indipendente ed assoluto. L' uomo piccolo è una scala ascendente di
funzioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui mangia e beve
e si nutre, veste panni, abita un nido e si riproduce: la funzione
riproduttiva è l'apice, e la corona della vita vegetativa. Egli è
questo il sistema dei suoi bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1'
uomo elementare non è soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un
animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità
dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza umana. La
riproduzione è la corona della vita vegetale; la coscienza è la corona della
vita animale; e la coscienza assoluta è la corona e l’apice della
vita spirituale. Come spirito l'uomo è per prima cosa, e
per prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la forma
più naturale dello spirito: essa è il patrimonio dell'individuo, e resta
confinato e chiuso in lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è
l'individuo che si aggiunge una porzione della natura esterna; ed è
una estensione del suo corpo, e della sua anima; ampliazione della sua
natura organica, ed esplicazione della sua natura giuridica spirituale. E
a tutto questo sovrasta l’IO, la libera coscienza, che è come il perno
intorno a cui tutto gira: centro e circonferenza del circolo
umano. L'IO è la conoscenza di se. Nella pura coscienza l'uomo
conosce sé come sé, come semplice forma; ed egli aspira a conoscere anco l’interno
di se, la sua propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come
bello, e per dir così semi-infinito: nella religione, come infinito
sensibile; nella scienza, come infinito di pensiero, e sì come pensiero
infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo, nell’individuo
particolare. Nell’uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si
chiama LO STATO, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica,
agricola, industriale, commerciale: produzione materiale, frumento o
libro; trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;
nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti gl'individui dei
quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa
nell'individuo, ma estesa alla società, manifestata come relazione attuale fra
gì' individui umani. La morale individua diventa dritto comune; materia della
polizia, e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e
usar vie di fatto contro un altro uomo, perchè tutti hanno il dritto che
la loro coscienza morale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro
tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti contro di lui: il
sentimento della comune natura umana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha
il dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto, è il
sentimento della fondamentale unità della natura umana e animale eh' egli
ferisce e maltratta in tutti gli uomini civili e sensibili. La morale
individua è il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione
conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali. Egli è dunque una
relazione psichica, spirituale, poiché spirituale è il suo fine. Ci
è la funzione giuridica, ed è la relazione dell'individuo coi suoi annessi
naturali agli altri individui similmente costituiti di cui la società è
formata. Quello che invade l’altrui, non occupa solo una porzione di
natura; egli occupa e viola l'anima di un uomo, la quale è pur quella di
tutti gli uomini, membri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si levano
contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge, che funziona e si
esercita in forma di Tribunale. La legge penale sta di rincontro alla
barbarie, alla passione violenta ed alla guerra privata; un tribunale criminale
è in realtà una corte marziale. La legge civile è il principio e la
regola della pacifica decisione. Essa è la libera ragione che si leva di
mezzo agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, e
definito in forma di piato, non solo non giunge, ma neppur tende alla
violenza ed alla guerra. La guerra è la barbarie; la civiltà è la pace,
perchè è la legge, e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi
sono tutti giudici di pace. Ci è finalmente l’IO comune, conoscenza
e volere generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui
servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni speciali. Cosa è
dunque lo Stato? Lo Stato è l’insieme di tutte le funzioni
materiali ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono
unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le regola, ed è il punto
a cui mette capo ogni particolar movimento, e da cui parte ogni azione
generale. Lo Stato è adunque l'IO, la coscienza sociale. Tale è la forma: il
contenuto è la virtù pubblica, il dritto civile, il dritto penale, e la
pubblica economia. Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì
certamente; ma il giusto non è che una parte del suo contenuto; è
un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua
forma particolare, e la sua realtà naturale. Ma un principe non è solo un
Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare il Codice Civile.
Giusto io lo piglio in senso di legge: e la legge io la piglio in senso
di relazione umana in genere. Ed io allora la piglio in senso di
relazione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con le idee vaghe
ed astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la
virtti; dice Montesquieu: la virtìi è il suo principio ed il suo
fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte,
indeterminate, piene di confusione e di errori. La virtù, la
morale, non è che un elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò per
se individuale; ma quando esce dall'individuo, e promove o turba e nega
l'ordine sociale inferiore, e per così dire individuale, essa allora di
privata diventa pubblica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima
sfera delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giuridica,
o se anche penetra nella sfera politica, allora essa perde man mano il
suo carattere morale. Un delitto politico è per poco un non-senso, quando non
è che politico: e tale egli è quando l'animo è puro. Omnia mwnda
mundis: puro vuol dir non-individuale, assoluto, generale. E allora non è
a parlar di delitto e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed
imprudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo
Stato ordina i premi e le pene, e le proporziona alla loro natura morale,
giuridica o politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:
essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra, un puro atto di
difesa. La virtù, dirà il Montesquieu, io la piglio in senso di forza, di
energia politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica,
elettrica, nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e fondata
sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla parsimonia e la povertà
del privato cittadino. Roma cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la
voluttà, il lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,
rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete Napoleone III, e con
lui tutti, dal primo all'ultimo, i francesi. — francesi, questa che voi
fate non è la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata,
non è l'idea che la determina e la informa; è il fenomeno, non è il
pensiero della storia. E lo vedrete. Lo Stato è il ben essere, la
prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo è lo
Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni maniera d'industria, e
favorisce il commercio con istituzioni, e leggi, e procedure speciali. Ma
la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato. La
ricchezza è la materia, lo Stato è il pensiero: 1' una è il corpo, l’altro
è l' anima. L' anima fa il corpo, ma non è corpo per questo; e l'Economia
politica non è la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO DELLO STATO
ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia degli Ebrei, dice Aquila di Meaux, e
per quel tempo non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che si
potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno strisciar per le
terre, o come talpa andar per le cieche latebre, odiando la luce e il
puro e libero aere della ragione. E se Dupanloup pure insiste e perfidia,
allora io dico che il principio dello Stato è l'arte, è la Divina
Commedia e il Decamerone, il Barbiere di Siviglia e la Trasfigurazione.
Tanto ci ha che far l'una quanto l'altra, ed io avrò altrettanta
ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì, certamente;
ora finalmente ci siamo. Non è però il Dio della Religione e dell'Arte,
ma il Dio del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che costituisce
i Re, che direttamente o per suoi organi crea tutti i poteri e le
autorità politiche; e questo Dio non abita nel cielo; lassù non v'è che
il Dio della Natura: il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed
è a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle autorità
che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e corpo, è
anima. Anima è sapere e volere, coscienza e azione; e la funzione dello
Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere essere
Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è appunto il vero Stato;
e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui questa
si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua funzione
essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta
necessità prende una esistenza naturale, e spontaneamente si crea il suo
particolare organismo. Essa è l'anima; ed il sistema dei poteri politici
è il corpo che si crea, e in cui si fa reale. È una creazione immediata e
diretta, ovvero indiretta e mediata, come quella d' ogni principio
vitale; ma in definitivo è la coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato
che crea i poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione creatrice è 1'
elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale si traduce e si
concentra, in realtà non è che una pura anima: è il semplice potere
legislativo. Quest'anima effettiva ed attuale creata dall'elezione, si
crea a sua volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l'
esercito amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il
sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per
eseguire o render possibili tutte le funzioni, che compongono la
triplice natura dello Stato: la funzione economica, la morale, e la
giuridica. Un magistrato, un impiegato, il ministro, il Sovrano, è un soldato;
e il suo onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima dello
Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili essenziale. Esso serve
allo Stato per essere, per esistere; gli serve a difendersi dalle potenze
nemiche, esterne o interne, che ne minacciano la vita economica, politica
o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello Stato; il suo
ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto di un altro Stato, e di
reprimere le passioni colpevoli che si sfrenano contro la legge del suo
paese, e le istituzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto
nel primo come nel secondo caso. I due eserciti sono entrambi
assoldati. Sono il corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere
legislativo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il Sovrano ha una lista
civile perchè unisce in sé le due nature: egli è il tratto d' unione fra
il potere legislativo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello
Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo,
potere esecutivo; tutto questo è forma di forma: la forma essenziale, il
vero Stato, è l”IO assoluto, la coscienza e la volontà generale. Ma non
vi è la pura coscienza e l'astratto volere, e non è possibile una
funzione puramente formale. Si è conscii di essere questo o quello, si
vuole e si fa sempre qualche cosa: e lo Stato conosce e fa da un
lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la legge penale, la legge
civile. Il Sovrano, il legislatore, l’impiegato, il soldato, tutti
vogliono che lo Stato sia; vogliono che sia prospero, giusto, savio,
forte di tutte le fotze morali, e che possa tutte liberamente spiegarle,
ed esser felice. L'Io è la forma; la forza economica, la virtù, il dritto, è il
contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e domina il contenuto.
La morale domina l'economia: la produzione non è possibile, e il guadagno
non è realizzabile s'egli è immorale. Il dritto domina la morale: la virtù
pubblica impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione formale,
domina e modifica tutte le funzioni speciali che sono il suo essenziale
contenuto: lo Stato domina e modifica il dritto e la morale. Un assoluto
vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente RELATIVI
(“il relativo hegeliano”). Il volgo riguarda come piti eccellenti gli assoluti
inferiori, perchè piti naturali, e di più immediata e più sensibile idealità.
Il più alto è per lui l'ordine morale; che sovrasta e primeggia
sull'ordine giuridico; 1' ordine politico è subordinato a tutti e
due. In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè più
generale, e più assoluto e divino; e quando l'armonia fra i tre ordini e le tre
funzioni si rompe, è la funzione formale, la funzione assoluta dell'essere,
quella alla quale appartiene il primato, e prende sopra l' altre la mano.
Scoppia la RIVOLUZIONE dal basso o dall'alto: ribellione, COLPO DI STATO.
Slealtà, tradimento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza morale lo
riprova, la coscienza giuridica lo condanna; ma v'è (vi può essere) una
coscienza superiore che l'approva; e se non è la coscienza politica dei
contemporanei, sarà di certo la coscienza politica degli avvenire. La
storia approva IL COLPO DI STATO e LA
RIVOLUZIONE popolare, quando è vera funzion di essere: quando cioè l'
essere apparente dello Stato non corrisponde al suo VERO essere, a quello che
esso è nella coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia
che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d'
un cittadino è ingiusto; ma lo Stato può farlo; ed è una giusta
ingiustizia, ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza
il suo essere, il benessere della comunità, o dell’intiero corpo sociale.
La ragione e il titolo è la pubblica utilità. Questo è un vedere solo il
lato esterno del fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma
non la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma non si
vede il suo interno principio, l'essere generale realizzato. Ma non è
meraviglia. IL CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre
leggi fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua e ne
riflettono le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale: è un
violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo una proprietà che 1'uomo
non ha creata. Ma lo Stato anche questo può fare. Lo Stato è funzion
di essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è
la sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza
generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto resta al di sotto o
supera quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran
lunga il caso dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la
società vede nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di
sicurezza generale, abolirla è un errore: è una fallace utopia, una
velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità,
filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma certo debolezza
di mente, che ad altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così
grande, dello Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla
coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine, ed essere la fedele
espressione. Quando l'opinione sarà progredita; quando la coscienza dei
pochissimi si troverà in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora
lo Stato e forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed inumana
della morte si potrà, e si dovrà senza altro indugio, abolire; perchè
allora il PAESE, divenuto meno incolto e per dir così più spirituale,
avrà cessato di riguardarla come un elemento di esistenza; e non sentirà
il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara e immane. Allora non
saranno soltanto pochi pubblicisti ignoranti e frivoli, ed alcuni
legislatori ridicoli, saranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si
parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori,
ed è l'achille degli oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un
vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion
di essere, egli è in una sfera ideale e assoluta, superiore alla regione
della utilità e del senso. Ma questo sì vergognoso errore era la verità
del Risorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava, anzi l'accettava,
e ne andava giustameute superbo: il senso e l'utilità e tutta la sua
filosofìa, ed egli condanna allora la pena capitale come non utile.
Venuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento respinge l’utilità,
e condanna la pena di morte come utile. Egli scambia per utilità la
necessità ideale; e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua
verità: egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne
vergognerà di certo quando di risorgimento sarà passato a secolo
decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso,
attentare all'esistenza dello Stato, che è quanto dire alla vita delle
sue istituzioni, è immorale ed ingiusto; e sarà assai di più
ammazzare moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e
sia pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo
il cittadino non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta
farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è ingiusta; la
violenza pubblica e la pubblica usurpazione non è giusta; è più e meglio di
questo, è politica; e si chiama guerra e conquista, e non più violenza ed
usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta legittima e
veramente politica, (e dico buona, legittima, giusta per convenzione, ed
in mancanza d'altre parole) quando in esse lo Stato opera in funzione di
essere: quando guerreggia e conquista per vivere per essere, o per
diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente essere. Vi sono
società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la passione, il caso in una
parola, divide in più corpi sociali, per cui DI UNO SI FORMANO PIU STATI.
Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità politica, e della loro
natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente
separate, in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le passioni
umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità naturali, crea una
coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la comunità e la somiglianza
fondamentale dei DIALETTI ITALIANI (non
mai la loro identità, che non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è
una finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile, e
l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata, di quella nuova
coscienza. La comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di
popoli e di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e
vivente con una interna unità e un' anima generale. LA GEOGRAFIA è la
condizione esterna dello sviluppo, e l' occasione più o meno accidentale
di questa formazione ideale. La comune coscienza che si è conservata dopo
lo spartimento dello Stato unico originario, non è più coscienza,
ma tende a ripigliare l'antica forma e la primiera attività; e la
coscienza comune che si è sviluppata in un gruppo di Stati eterogenei non è
che il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso e
nell'altro questo sentimento è la nazionalità, la coscienza nazionale. E nell'
uno come nell' altro caso ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è
un' anima scissa, con due coscienze distinte ; che l' una è la coscienza
propria di Stato, l' altra è la coscienza comune di NAZIONE. Esso è
dunque in realtà due anime, due esseri, uno attuale, e l' altro
possibile; il primo è Stato, l'altro non è che nazione. LA NAZIONE E LA
POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche quest'altra parte di sé
vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser tutto il suo essere, e
irresistibilmente aspira a far della sua coscienza politica effettiva, e
della sua coscienza nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è
perciò che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati connazionali. È
la buona guerra, e la legittima conquista; ma è ancora il processo
barbaro, violento, inconsapevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la
buona soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo è
tempo di coscienza e di ragione, e non ammette che la soluzione
consapevole, volontaria e razionale. Questo succede quando in tutti i
corpi sociali si sviluppa più o meno egualmente di sotto alla loro particolare
e diversa coscienza politica la comune coscienza nazionale. Tutti allora
aspirano, e tutti finiscono per fondersi in un solo corpo di nazione, in
una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale si eleva e si
perde ben presto nella coscienza politica comune. Non è più. la soluzione
forzata, è la soluzione spontanea e razionale. Egli è nel primo
modo che si sono costituite le nazioni moderne; formazioni accidentali,
prodotti di guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu
felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste,
è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società affatto
eterogenee, fra cui non vi è stato che un principio di fusione. Si è formato
senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria, nella Iugo-Slavia, una coscienza
austriaca. Ma la vera coscienza politica è la coscienza boema, ungherese
e slava; e ciò perchè l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è
una possibilità naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la
realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva con lo stesso metodo
delle nozze, delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie, degli Stati
meno inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica LINGUA
COMUNE – FIGLIA DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune
coscienza, di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza di
una potente antica unità; IL FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che
ha finito per essere adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta,
ed aveva finito per essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO. Ed ecco perchè quei corpi insieme posti
finirono per formar le membra di un solo corpo morale: fatte però
le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe l'intenzione di
seguitare in questa via, ed applicare ancora il metodo antico, barbaro,
medieyale. Ma si oppone la natura e la ragione. La ragione è la
coscienza nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la
geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed un mezzo di unione.
La Francia è fuor dei suoi confini naturali e nazionali. La
soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata
al secolo della ragione; ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO,
ed è il suo onore immortale, e il suo vero primato civile e morale.
Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia, si appresta ad
imitarlo. La natura lo richiede. La greca penisola è un tutto geografico
perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato
per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone; lingua, storia,
coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune
alla Grecia; e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la
religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e r unità della Grecia,
tutto vuole che la Nazione Greca diventi lo Stato Greco; ma l'
Inghilterra non vi trova il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e
l'Europa delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa
del Risorgimento, custodisce e protegge con una edi- ficante unanimità il
barbaro e immondo straniero, il musulmano oppressore. L'
Italia è stata piu fortunata. Un grand' uomo uscito dal suo sangue,
pervenuto ad. assidersi sopra un nobile trono straniero, rammenta
l'antica madre per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava
ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una nazione astratta, uno
Statò reale. ITALIANO, IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè
la Storia non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora non
vi è che la morale e il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi,
tutti incompetenti nella quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha
operato per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati tutti
gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto, che
appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale
alla coscienza politica. Ma se quella è forte e potente, questa è ancor
debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali
la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono tutte egualmente
amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve
n'è qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA
PIEMONTESE. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro. La coscienza
nazionale, che in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente
trasformata. Essa è rimasta nazionale, astratta; ed ha solamente
prodotto di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,
incompleta, poco men che astratta, piena di riserve e di eccezioni. Essa
è incompleta e debole di tutta la realtà e la forza che rimane alla VECCHIA
E TENACE CO-SCIENZA PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO
(si veda) lo ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui
una forte coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza
municipale (certo indebolita da quello che era prima) vi trova un
chiaroscuro di coscienza politica italiana, e dice: io sono quanto si può
più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli
è senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere, o quanto
altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e
generoso, illusione che genera in lui la coscienza nazionale, la quale
fa sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e agli
altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo non ha tale abito e tal
forza d'analisi da rendersi conto del proprio essere, per cui diviene il
giuoco della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona fede.
Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno allo stesso modo. Ma il
tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto sviluppare in tutto il mondo
antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara, czeca e jugoslava
ha potuto inserire una coscienza austriaca; se finalmente nella tedesca
Alsazia e nella Lorena punto del mondo francese, ha potuto (incredibile a
dirsi, e mostruoso a pensare) destare una coscienza politica
francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana in quel Piemonte,
che pure è il primo fra tutti i paesi della moderna Italia: in quel
Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del Medio Evo ha
termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva e s'abbandona, e la
nazione intiera scende nella tomba della servitù straniera e papale, egli
solo non s' abbandona; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,
sorge a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava in sua mano il filo e
creava la nuova storia italiana, e per lui ed in lui l'Italia vive ancora.
E quando a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba, e l'Italia
vi scende di nuovo, rimaneva egli solo sulla breccia, e lottava
animosamente, eroicamente, e compiva alla fine il destino della patria:
onore a cui dalla provvidenza della storia era visibilmente riserbato. Ah
non tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo saprà
identificare la coscienza piemontese, che dopo tanta e così grande
storia, fuor di proporzione con la materiale grandezza di quella nobile
provincia, è naturale sia permanente e resista alla grande coscienza politica
italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che
in tutta l'Italia non vi sarà che una sola coscienza politica, allora
non vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero e forte
Stato Italiano. L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e proprio
elemento dello Stato; ed è una funzione puramente formale che domina e modera e
modifica la funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato
toglie la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino; fa la
guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che dev'essere, e toglie la
proprietà, la vita, l’essere indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che
l'uomo privato non può fare, e che gli sono permesse, doverose anche
talvolta y quando, divenuto uomo pubblico, la sua coscienza s' immedesima
e si confonde con la coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e
reo tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse, ma è
lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e
l'amalgama succede sempre in una certa misura, ed è tanto pili
completa quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello
Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si
separano, il tiranno è perduto: egli allora non è piu lo Stato, è un
altro; è un corpo estraneo contro a cui l'intiero organismo si
solleva, e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un processo di
guarigione. Il morbo è la tirannia, l'anarchia: forme dello stesso
disordine; tutte e due passione e sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e
due. U&rche non è né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti,
ne tutti: l’arche è la ragione. Il principio dello Stato, la
sua vita, il suo vero essere, non è il giusto, non è il morale, non è l'
economico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come Stato egli è
l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti
gli organi, di tutte le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui
finisce l'attività politica, la vita pubblica; ma qui non finisce la vita
umana, e non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il
dritto, la morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un
mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo; vi
è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il mondo della religione.
Il mondo della verità è di sopra al mondo della natura e
dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e
la pili perfetta e più generale esistenza delle funzioni a lui
inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale possibilità delle
funzioni a lui superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò
rimane affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non vi è una
società artistica: vi sono soltanto degli artisti e dei poeti ; e la parte
dello Stato è di render possibile lo sviluppo del talento estetico, e
rispettarne la spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto
sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte, ed esce dalla
sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere
immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità
non contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e
fortificare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar l' animo umano.
Ma dal momento che essa esce dalle sue condizioni di Arte, essa non è
pili che immorale ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene
in nome della giustizia offesa, e della morale violata; funzioni
inferiori, che gli sono tutte e due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua
tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta essere empia ed
irreligiosa: ma la sua irreligione è sublime ispiratrice di grandi e puri
pensieri, e di religione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie
sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non è più che semplice
e sguaiata irreligione; in tal caso lo Stato non interviene. Egli dirige
e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non
amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la
Scienza; è in un certo senso il suo contrario: che s' ella esce dalla sua
natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto
peggio per lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la
sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo carattere è di essere
naturalmente universale. Egli è perciò che mentre l'arte rimane nella sua
inconsapevole particolarità, la religione viene a coscienza, e si forma
un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di fuori e di sopra alla
società politica si forma una società religiosa. Il luogo di questa alta
società non è la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo
umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua funzione è tutta celeste;
essa è riflessione e adempimento del destino umano: contemplazione della
infinita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande
fantasia; conseguimento della infinita felicità mediante il possesso dell'
infinito della religione. La funzione religiosa dello Stato è di render
possibile la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della
società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne
morale. Essa può dunque essere a sua posta inestetica e goffa, creare
simboli mostruosi e informi, miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR
TUTTI GLI ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto
meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata e rispettala. Può la
religione professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può
attribuire a Dio tutte le passioni umane, sopratutto le piu
barbare, e pu perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si
rimprovera, e maggiormente arrossisce quando se ne lascia sorprendere e
dominare. Sarà per lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il
terrore religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito
credere ed insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei
padri, come lo insegna e lo crede Mosè, in un tempo ed in un paese in cui
non v'E ANCORA IL DIRITTO ROMANO, e il Codice Civile era di là da venire.
Se questo vi fosse stato, non sarebbe venuto in mente a Mosè una siffatta
idea, e non avrebbe insegnato un così sterminato errore. Quella era
pertanto la verità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due
gradi e due forme non per anco distinte, confuse ancora in una verità
sola. Oggi la distinzione è avvenuta: la verità giuridica del Codice Mosaico,
convinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità giuridica del
Codice Civile, nel modo istesso che all'astronomia di Giosuè e del Santo
Uffizio è sottentrata l'astronomia di Copernico e di GALILEI. Ma come verità
religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo ed il comune che l'
innocente è colpito col reo dalla vendetta divina. E si crede anche oggi
come tre mila anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo
uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è
che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso di tre mila
anni sonò, e quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più credibile
al popolo ed al comune, si è che quella colpa era la curiosità di sapere,
il bisogno di conoscere il vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi
del dogma religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice
Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso morale; ma non è che una
offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non interviene per far
rispettare il Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione
succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende possibile lo sviluppo
e libera la manifestazione, e la rispetta qualunque ella sia. Ma se l'
azione religiosa esce di questo campo, e deposto il proprio carattere,
si spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosamente immorale,
ingiusta ed impolitica, allora lo Stato interviene, e si fa rispettare.
Questo inevitabilmente succede alle religioni che di spirituali si fanno
temporali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la colpa e non
dello Stato: e perciò tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello
Stato, e sì dell'Arte e della Religione, vi è la scienza, LA FILOSOFIA. Ma
qui l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto
universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna forma naturale. Non
vi è quindi una società filosofica, vi è soltanto il mondo della
filosofia, il mondo del pensiero, della verità assoluta. Lo Stato non
interviene in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il dee,
né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò che non è naturale. Lo
Stato non può entrare nella sfera della scienza senza disertare la sua,
senza perdere il suo carattere essenziale, e cessar di essere
Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque insegnare chi
vuole, e checché vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo? Non già; non
mai. Insegnare non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero;
è invece agire, educare e preparare all'azione, ed appartiene quindi allo
Stato; e insegnare un principio repugnante e contraddittorio a quello
dello Stato, è uno scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il
suo conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di
lasciarsi ammazzare, sia di ferro o sia di veleno; e i cattivi principii
sono velenosi allo Stato. Il principio politico dei Gesuiti è la
Religione, la loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette
capo, ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il
principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione; è la coscienza
pubblica, la pubblica opinione; e quello a cui il cittadino ubbidisce, è
lui stesso: in ciò consiste la libertà civile. Il principio del
Demagogo è la libertà sensibile, e l’eguaglianza materiale. Il principio
dello Stato moderno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta,
ideale. Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà del
Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor dello Stato — né
elettore né eleggibile — e fuor della scuola — né maestro pubblico, né
insegnante privato. Il giornale è una scuola, e non può quindi
godere una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella sua
propria natura, e la libertà ha il suo limite nella natura dello Stalo.
Questa è la libertà vera e buona, perchè concreta: la libertà indefinita,
astratta, è la stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò
lungi da noi. La libertà non appartiene che alla libertà. Solo
quella stampa, queir insegnamento, e quella qua- lunque siasi attività
dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne
osserva e professa il principio generale, e vive dello stesso
elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza non sono
assolutamente libere che nel proprio elemento, e nella loro sfera speciale, e
qui lo Stato non può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede.
E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca a un insegnante né
demagogo né prete, ma liberale, perchè professa delle particolari idee
che in un certo mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed
accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa delle sue
facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre- passa la sfera dello
Stato : dico che agisce in nome di un principio particolare, religioso o
scientifico, io non lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha
come Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi scusi, e
mi perdoni il Consiglio Superiore. Lo Stato non è adunque che la
possibilità effettiva e naturale della vita artistica, della società
religiosa, e della pura attività scientifica. La sua funzione con-
siste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istruzione e la Pubblica
Educazione ; ma non ha ufficio, e non può altrimenti intervenire
nell'arte, a pro- mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica
e la poetica mediante decreto: e così non può decretare la verità
religiosa. Non vi è, non vi può essere, una religione dello Stato:
cotesto è un controsenso, un non senso, un errore. Sent from the all
new AOL app for iOS Opere di M. Studi su M. - Opere ed articoli che a lui
accennano - Recensioni di suoi scritti »
La vita e la storia del pensiero di M. . La famiglia e i primi anni Nel
R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli
studi letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua
scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli
Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De
Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: SPAVENTA,
SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di
M. e la sua metempsicosi; M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a
Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La
morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero.
Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il
Dopo la laurea. La storia della filosofia esposta dal M.. L'antichità o il
periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività.
La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M.
Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza
dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di
Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. .Il Dopo la laurea e l’orientamento filosofico. Gli
scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul
sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della
morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle
sue malattie per rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni
anatomiche sul salasso locale Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del
carattere attuale delle scienze naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale
speculativa ed empirica; Del principio vitale; Idea della fisiologia greca; Le opere scientifico-filosofiche; Idea
generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del
secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.
Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione
delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li.
L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla
scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato
oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il
culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione
del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II
giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M. Contro l'abolizione della pena di morte Il
divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor-
porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del
culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione
pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di
ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l'
istituto tecnico inazione dei vasi
sanguigni. I mammiferi. Fisiologia. Prelezione
al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi.
Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere
scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La
medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La
patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La
creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo
trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario
nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La
libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due
discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La
coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla
terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle
lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda
religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica
del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il
suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di
esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo
M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o
cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo
latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il
romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di
tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme
del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e
misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la
sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della
natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero,
Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo
Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. //
Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza
alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica
della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco
voltata in italiano da M., nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze
mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del
Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi
delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio
dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale
degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani -
convocato in Lucca. Na- poli, Coster.
Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta
dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof.
Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso
locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in
Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione,
Napoli, F. Vitale, [Dedicato a Luigi La
Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in
Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione
(v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la
precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali.
Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto
nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M.
deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso
inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio
Medico. Pronunziato e pubblicato dagli
alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di
insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De
Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli,
Vitale, Nuovi elementi di fisiologia
generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto].
Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già
deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale,
Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui
assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione,
To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].
Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali,
Napoli, Fisiologia generale. Evoluzione
logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis
ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici lezioni in
conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino,
Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza medica
in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, Tip.
Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De
Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo
Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di
Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione
dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino,
Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino, [Nella seconda, nella terza e nella quarta
puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella
quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra
la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è
preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De
Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com-
porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il
terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a
ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di
circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova
enciclopedia popolare del Pomba). Gl'ippocratici e gli antippocralici,
nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice,
Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal-
l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data
di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università
« e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra:
Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli
Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel-
l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la
« Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima
contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862].
Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della
medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura
medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze
mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna,
Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel
giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica.
- l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del
Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna
Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti,
Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De
Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella
Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo
semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono
citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.” De Meis
deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi
VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla
contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia
storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano.
Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, Delle prime linee della patologia storica,
Prelezione al corso di storia della medicina per M., Bologna, Monti, Il sovrano, nella Rivista bolognese,
periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini, Fiorentino,
Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti
della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e Fiorentino, da CROCE,
nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia, [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu
pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata
dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|,
nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,
[È una lettera, con la data: Bologna. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte
prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state
pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo
pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La
natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore
Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese,
Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale,
Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella Rivista
bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità
dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista
Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr.
dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti,
Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali. I tipi animali, Lezioni, [parte prima],
Bologna, Monti, [La Prelezione era 3
stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel Giornale
napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e V.
Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni,
Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina,
Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna,
Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze
morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore
Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione
costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data:
Bologna, Il canonico di Campello e la
stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,
[Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella,
nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],
[Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti,
Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi
nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia
in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e
Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di
pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr.
De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta
dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e
Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e
francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona
Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof.
Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di
Bologna nell'anno scolastico, Bologna,
Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi,
Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp.
12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino
quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione
Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri [La pagina d'album e la polemica furono
ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di
storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione
al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, .
[Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi].
Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901,
per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state
pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione
ampliata con pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria
dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati
per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la
gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI,
Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE
nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898;
e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica,
ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli,
Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del
carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte
lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate
a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già
distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo
germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non
illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del
risorgimento, parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del
Dopo la laurea, pur senza esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce
le apparenti contraddizioni notate dal GENTILE, La filosofia in Italia, Le
idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura
smaccata e cinica della religione, succede la drammatica senza
soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia; in Francia
erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione era incolta, e per
questo la riforma potè attecchirvi, come vi attecchì nel secolo XVII il
giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta
centro di coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è
il secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia di Voltaire,
priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione, ed a quella dell'
Alfieri, in cui tutto è umano e naturale, succede la lirica moderna, che
non lascia alcun margine fra sé e l'assoluta riflessione, e giunge
all'ultimo limite della poesia. Anche in Germania, in parte per
riflessione spontanea e in parte per influenza del risorgimento italiano
divenuto sudeuropeo, si è iniziato il risorgimento, che DIFFERISCE DAL LATINO
in quanto non è la semplice rappresentazione del naturale, ma la
negazione del soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue
conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e il germanico,
che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in un solo
risorgimento, un solo mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione,
divenuta indifferente, è appunto per questo perfettamente
tollerata. E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa
spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una sola
Europa giuridica e politica. Il secolo XIX durerà finché duri
l'uomo. S'inizia nel secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo
fin da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se- guito,
e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la opera del
risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con- [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e
religiose.] verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pensiero del
suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del cuore, il vangelo di
Giovanni quello della fantasia, il Discorso del metodo è il vangelo dello
spirito. Tu es Petrus. Il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera
Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo
ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un solo ovile
sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora,
viene Kant, il Socrate moderno, che leva di mezzo la metafìsica e la
natura, e parla dello spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale
egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose
dello spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito,
questo divino, questo assoluto e universale non è che individuale.
Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi FICHTE —, che con
profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si
compenetrino in una sola unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene
Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con
rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non durerà solo
diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo- tele, ma diciottomila, o
meglio finché duri questo attuale genere umano.Hegel, ponendosi nella
posizione di Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e
trova il processo della creazione. Questo grande movimento, che si
compie nel nord, si era iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda)
era stato versato invano ed VICO (si veda) non era stato compreso da nessuno, [Pel
giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro, ; e cfr. Cfr.
qui addietro, V. Dopo la laurea,
Le idee estetiche e religiose.] un po' per colpa del papato e
molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono intuizioni isolate
del genio, più che momenti di uno sviluppo storico ordinato e
necessario. La storia della filosofia moderna è una storia tutta
settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non
giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della grande filosofia.
Cartesio, il padre della filosofia moderna, non procede da BRUNO, non è
inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa
rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a Napoli si fosse
sempre conservato, in mezzo al risorgimento, un fil di tradizione di
BRUNO e di VICO: la quale, così guasta e superficiale come era diventata
nelle mani degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte;
ma crede che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero
germogliato in Germania. SPAVENTA si era molto preoccupato del problema
della filosofia nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo
Bertrando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia, e forse
di tutta l'Europa, la Germania inclusive
Ora che la storia della filosofia moderna sia concentrata tutta
esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto un posto al cogito
cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso Spaventa M.,
accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro che hanno
fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore rassomiglia anche in
questo, che il valore di ogni singolo filosofo è per lui in ragione
diretta della distanza che lo [SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue
relazioni con la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e
Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore
bibliografico di Daelli, Torino, V. Dopo
la laurea, Le idee estetiche e religiose.] separa dalla sua propria concezione.
Caratteristici in questo proposito i giudizi circa SERBATI e la
evoluzione del pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e
poesia cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica.
Nel MONDO LATINO la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto
padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo
non può vivere senza un Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe
distrutta la religione cristiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale
e simbolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova religione. Sforzi
vani, che la religione cristiana, religione di Dio, del vero spirito,
della sua trinità, della sua umanizzazione, è l'ultima di tutte le religioni, e
solo potrà trasformarsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si
compiono nella Germania volgare — non in quella pensante —, nel sud, dove
un elemento pensante manca, la parte più elevata, non però pensante e moderna,
tardivamente inaugura il secolo XIX: è un secolo XIX non filosofico,
perchè non è rischiarato che da un debole raggio di riflessione ; è
pseudo-religioso e pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del
Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da immaginazione. La
riflessione, non avendo piena coscienza di sé come nel mondo germanico,
coesiste nel MONDO LATINO a fianco alla poesia; e dà origine ad una
pseudo-epopea, al romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e la
finzione, tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il
romanzo, genere equivoco, compare per la prima volta nel principio
del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se- [Dopo la
laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] e
rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco, tra la poesia e la
prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero; si sviluppa in
Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua
perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e
mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a
cui somiglia, equivoco: MANZONI. Si osservi che M., una volta
stabilito che il romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci
tutti gl’individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fiorisce,
prendendo — si noti — la parola equivoco nella accezione di misto e complesso,
sì che ad ogni popolo e ad ogni individuo potrebbe indifferentemente
applicarsi. Dopo Scott e MANZONI, il romanzo perde il carattere epico,
e diventa sempre più storico, riflessivo e prosaico con l'Hugo e con la
Sand, finché in Kock e Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la
poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta comincia
antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma, uno scetticismo
che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il deismo, uno scetticismo più
progredito; infine l'ateismo, uno scetticismo assoluto, la pessima delle
filosofie. E non è finita ancora la triplice serie, osserva M.,
fedele sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti protestante;
la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA HA UNA VENTINA
DI MILIONI D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti sono in gran
parte demagoghi. Il risorgimento produce quella filosofia che è la
bestia nera di M., la filosofia positiva. E la filosofia che gli ha
preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hegeliana, un caro amico —
rimasto tale malgrado la irreconci- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] liabile
opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e
amichevoli frecciate sono dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che
accoglieva la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia
opposta alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo.
Mai M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla : trova che
la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la
filosofia nuova, la filosofia positiva o iperscettica, non ne fa neppur
materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una
filosofia antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può
trovare la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura
esterna, e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che
è la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente positiva è
di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e
non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che
nessuno ha mai pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa
come la vera. Il primo atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO
scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena
è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero
induttivo sperimentale, ha due parti: la descrizione e la legge dei
fenomeni. Il terzo atto è il sistema, che ha pure due parti: la
classificazione e la filiazione dei fenomeni. La filosofia positiva
è una terza corrente, che si caccia fra la corrente poetica e la
filosofica, ed è il sangue della [Dopo la laurea, passim; cfr.
VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico di
Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle
critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal
FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia;
l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone
sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la
filosofia, è il cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e
pensiero speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non
avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la natura
divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente,
tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque
col mare della religione, della poesia e della filosofia. La terza
parte del gran dramma della filosofia cristiana è il tempo nuovo. Dopo la
riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni
filosofia, muove alla ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO;
il nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di
BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale
leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo
Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del
mondo, nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il
secondo atto della filosofia moderna si volge al metodo. Nel perfezionare
il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta
natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio,
consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX, che termina poco dopo
la fine del secolo XVIII. L'atto terzo è il sistema, è il principio di
Cartesio e dello Spinoza, del Kant e dello Schelling, corretto e
metodicamente sviluppato. Ed è nella sua essenza, se non nella sua
esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere
in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità
dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti [Cfr.
qui addietro, Le idee estetiche e
religiose. i principi a traverso ai quali la riflessione greca è
passata non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E uno
è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un punto nel quale il
principio contiene in se il tutto % e il metodo si confonde col processo
evolutivo del principio, e il sistema è il tutto spiegato; quando la
filosofìa giunge a comprendere il creante e il creato in un attivo
processo di creazione, non ha più dove andare, a meno che non voglia
indietreggiare, come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo.
E se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si
contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo Aristotele,
perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il perfezionamento
essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo,
di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di
riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia,
è sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima umana.
L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente,
ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero
filosofico, allora l'azione si arresta, e con l'azione è finita la vita.
Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per
l'antichità, lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per
secoli ; e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a
fantasticare. Quando la Germania crea il vero sistema del mondo, e recata
la religione cristiana nella forma di un cristianesimo assoluto, allora
la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato.
Ma presto si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione
hegeliana, trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento
negativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri filosofici ed
aborti strani; col secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee
estetiche e religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la
Germania materialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana.
Come la pura riflessione, così la pura contemplazione è la morte. La vita
è pensiero apparente, è unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica
e di filosofìa positiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è
una sequela di creazioni, identiche fra loro quanto al ritmo e alla
legge, sempre più pure e perfette quanto al contenuto, che comincia dalla
pura forma dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo.
Ogni creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive
di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a cui dà origine,
che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa, senza distruggerla. Così
dalla natura nasce il regno vegetale, da questo l'animale, dall'animale
l'uomo finito e particolare, e da questo l'uomo universale. Tutto questo
è il regno umano inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e
coe- siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano
universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie di sfere, che
l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la religione, poi lo spirito, che
universalizza la natura, e dà valore assoluto e infinito al particolare e
al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto
la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano, natura
anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono due nature
diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico- lare e propria, ma in
fondo è una natura sola, ed una sola legge naturale. Le forme e gli
elementi naturali ed umani sono del pari indistruttibili, e la legge
comune della loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere
e perire è destino comune agl’uomini, agl’animali, alle piante Dopo
la laurea, I tipi animali, Le idee estetiche e religiose. e
ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della natura sono l'uno fuori
dell'altro, e anche quando si combinano non si compenetrano. Quelli dello
spirito sono compenetrati ed intimamente unificati, ne mai si scompagnano nella
realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma
e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La natura è come una
scala a piuoli. Lo spirito come una scala a corda, che raggiunta la meta
si raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono
tutti in uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo
il genio, l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra in attività il
senso. Anche la natura, poiché si muove, deve avere il senso naturale,
nella forma inferiore di senso chimico ed in quella superiore di senso
meccanico. Poi l'uomo di sistema solare si fa pianta. Nella pianta
l'unico elemento spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è
il senso meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui
l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è il
movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in
azione gl’altri elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta
in una sfera tutta animale una piccola induzione, e per poco la famiglia
umana, e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente
nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con questa
gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la
riflessione della riflessione, la scienza; predomina il senso (vegetale,
animale ed umano). Questo è lo stato naturale di cui parla Rousseau. Nel
secondo tempo l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze
fra gl’uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera
della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del sentimento
e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a questo processo di
divisione e di analisi, si compie nella storia un lavoro di unificazione
e di sintesi. La grande ragione avviluppa la piccola, poiché è sempre la
facoltà superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà
inferiore, da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda
coscienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche Aristotele
parla di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro patetico o passivo ;
e nel secolo XVI qualcuno e arso vivo per aver parlato di quel secondo
spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di
individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito si compone di una
successione di grandi unità. Il primo stato embrionale del genere umano è
la natura (M., hegeliano e medico, prende spesso come termine di
confronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e l'animale.
Terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante del genere umano. Egli
con la sua piccola positiva riflessione vede intorno a se un mondo
finito, e si fa un Dio finito e positivo; non soddisfatto di questo breve corso
mortale, senza scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in
essa, ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma a
poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi dalla prima nasce
una seconda coscienza, e l'uomo intuitivo diventa — quarta muda — l'uomo
riflessivo e intellettuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la
coscienza finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni
umane il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella
loro distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvocato,
il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le due coscienze si
unificano, ed il poeta ed il prete rimangono assolutamente identificati
nel pensatore, perchè una volta sviluppata la coscienza intellettiva l'uomo non
può più deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così
come non poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere
[ Dopo la laurea, Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si
trasforma in estetica; la religione in critica e in filosofia. Oggi la
poesia non c'è più al mondo, perchè essa non è una combinazione di
fantasia che afferra e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma
è una sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che
inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima di un solo
uomo, spettatore più che autore della sua propria trasformazione ».
È un fatto di ragione che la vita umana comincia con l'assoluta
barbarie, col puro senso materiale e col semplice istinto naturale; e
termina nella riflessione intellettuale, che è la vera vita e l'assoluta
e definitiva civiltà. È un fatto di osservazione e di ragione che si va
dall'una all'altra passando per la forma intermedia della immaginazione.
La religione e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie
civile ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e
barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva e
civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma intermedia.
Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un elemento di questa; è
epico- religiosa nell'antichità, raggiunge la perfezione nel
risorgimento, e decade nel secolo XIX, nel greco-romano come nel
latino-germanico, per eccesso di riflessione. Analogo arco descrive la
lirica, che sviluppa un elemento della drammatica, e, finita come poesia,
durerà come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia
finché duri il genere umano. La poesia sensibile ed oggettiva
è la barbarie dello spi- rito umano, la filosofia intellettuale e
soggettiva è la sua ci- viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la
forma inter- media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e
sog- gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile
dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale, più
oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile, più umana,
più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica
orientale e la religione lirica occidentale, la religione passa per una
stazione intermedia, la Grecia, e vi prende una forma intermedia, la
forma drammatica. Nella religione indiana troviamo tutti gli elementi e
tutti i caratteri di un sistema religioso completamente sviluppato; il
politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale risorge nel
tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio evo, pone gli elementi
essenziali della religione, che sono quelli stessi del pensiero, nella
vera forma religiosa; l'anti- chità moderna, ossia il risorgimento,
spezza questa forma; il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella
forma di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio
evo è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico; la
Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma- tica; il tempo
moderno è tutto umano e tutto divino ed è tutto lirico e riflessivo. E
del tempo moderno il medio evo è religioso ed epico; ma è un'epica
lirica, ispirata dalla grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il
risorgimento è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel
meraviglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il secolo
XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il principio è epico-lirico; poi
viene la drammatica, che comincia storica e finisce cittadinesca e
domestica; e all'ultimo viene una lirica tutta stravolta per voler essere
ultra-poetica. Ormai la riflessione ha superata l'immaginazione; il
sentimento e la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro
al pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una poesia
lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto di tutte le facoltà
riunite, la filosofia vivente, poetica e religiosa, la filosofia
dell'universo, cioè dell'uomo. 11 secolo XIX, cominciato lirico-poetico,
termina lirico-prosaico- filosofico-poetico-religioso ed assolutamente
cristiano. La poesia non è morta; ha subita una metempsicosi,
uscendo dalla forma di immaginazione per entrare in quella di FILOSOFIA, e
in quella vive ed eternamente vivrà. La forma e l'elemento della
poesia e della religione è, come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando
il risorgimento ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che
prima era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge
la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo
elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La musica è l'ultima
delle arti ; la poesia è la prima. Le arti plastiche usano una materia
più naturale, meno ideale, deb- bono sostenere con questa una lotta più
lunga, e giungono più tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la
pitiura. Certo la musica è nata, come tutto il resto, con
l'uomo; ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-
dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico è bensì
un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul- tura e alla pittura
; nel medio evo moderno la musica è epico- religiosa, e rimane
subordinata alla religione. Solo nel risor- gimento moderno la musica si
sviluppa, mentre le arti pla- stiche decadono: dapprima, nel risorgimento
drammatico, la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma
; acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-
rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e
quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto sentimento si traduce in un
vuoto suono, che diviene arte e poesia. La musica è dunque una lirica
vacua, è un'arte oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto
del risorgi- mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere,
poiché il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il
risor- gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è
il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel
punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da
capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa nuova creazione è il
tempo dell'essere, il secolo XIX, che ha per necessaria preparazione il
risorgimento progressiva- mente negativo e per divisa: negazione di
negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della
musica quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la
dissolve a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia
di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me- lodia e sempre più
all'armonia, e la riduce ad essere una scienza musicale. Questo è già
avvenuto in Germania, dove allato al risorgimento scorre il tempo
moderno; nell'Europa italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico,
e tocca ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la
musica si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero
positivo comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e
l'immaginazione. Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno
della morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo
moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro- mana, mentre il
dramma del risorgimento si era combattuto nell'anima greca, ma il vero
tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del risor- gimento
cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma- nità, che è un
aspetto del sentimento della natura, prenderà la sua vera forma in una
nuova poesia, nella quale la lirica, la drammatica e l'epica saranno
ricomposte in una unità assoluta e definitiva. L'unificazione non è
però avvenuta ancora nel campo della poesia, né in quello della religione
e della filosofia. La poesia primitiva o naturale, invariabile come la
natura, sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia
medio- evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.
Così è delle forme religiose. Analogamente delle forme filosofiche :
esiste presso il popolo apostolico primitivo la filosofia primitiva o
religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la scolastica, e la
filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet-
tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo oggi la
massima complicazione di indirizzi e di forme ; non è però difficile
distinguere le diverse funzioni storiche in atto, né prevedere un
continuo avvicinarsi ad una assoluta unità. A questa teoria di
M. si mossero da Silvio Spaventa e da altri obbiezioni, che possono
ridursi sostanzialmente a questa : Come può lo spirito umano perdere due
delle sue funzioni essenziali, l'arte e la religione? M. risponde
che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla filosofia kantiana, afferma
che lo spirito umano sarà sempre tratto a fare degli assoluti giudizi
religiosi ed estetici, ad unire al concetto della mente la intuizione che
deve dargli corpo e vita; ma ha torto se crede che la intuizione da
accompa- gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e falsa.
Nel principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è
creata dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la
vera, non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di qui
nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati- vamente perfetti
— se son davvero capolavori —, perchè l'ideale dell'arte, come finito
ch'egli è, può accordarsi con una intuizione finita; e ne viene
dall'altra parte una serie di religioni tutte imperfette e però tutte
transitorie, perchè l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa
creare che delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge,
perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di G.
FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo
all'uomo la religione e la poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli
non comprende che M. intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia
religioso-poetica. Le idee estetiche e religiose. hanno un termine : e il
loro termine non può essere che la vera e reale intuizione corrispondente
al concetto dell'arte ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da
un lato una serie di forme estetiche l'una meno perfetta
dell'altra, e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute
dell'arte; e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e
fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali; e sì
l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più trasparente ed
immediata all'ideale. È, dunque una serie regressiva e discendente. La
serie religiosa è al contrario ascendente e progressiva. Ogni forma
religiosa è meno fan- tastica, più razionale, più reale della precedente.
Per cui l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in
essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta- stico quanto
esser può più adeguato e spirituale : il cristianesimo non ha altro difetto che
quello di essere una reli- gione. La religione cristiana si va sempre più
perfezionando; e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre
più storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E così
per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando, la religione e
l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero è l'eguaglianza della
realtà e dell'idea, del pensiero e del- l'intuizione. L'intuizione
estetica, da principio fantastica e non realmente assoluta, diventa a
gradi sempre più somi- gliante al concetto assoluto dell'arte, finché
raggiunge l'asso- luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita
come un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna sua
parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta essa stessa :
giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La intuizione religiosa,
essendo finita, non è adeguata alla sua idea, che è infinita. La verità
religiosa non è mai la vera, perchè è una combinazione di finito e di
infinito, anzi che di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa
si va sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre
più veriforme fino a diventar vera ; il che avviene
quando l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto
e intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-
nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e trasfigurare. Le funzioni
inferiori dello spirito, come la mo- rale, il diritto, lo Stato,
conservano una esistenza separata, perchè partecipano ancora della
qualità della natura; ma la religione e l'arte hanno per oggetto il vero;
sono i gradi e le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero
ac- quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono
unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli- gione è
per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per trasformarsi in
certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte si trasforma nella vera
cognizione naturale ; la religione nella vera cognizione spirituale. In
questa trasformazione consiste la storia; il suo compimento è il fine
della civiltà ed il limite del progresso umano, che è temporalmente
indefinito, ma idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e
sparisce nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica,
della quale il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità
pagana, tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è
l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressi- vamente
diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere, oggi, il pensiero e
la scienza cristiana. L'uomo moderno cerca l'ideale e trova l'idea, cerca
il concetto dell'arte e trova il vero concetto, cerca il divino fuori di
se e trova in se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale.
Il nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal suo
pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo è un'opera d'arte
in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il concetto fatto conscio di se
vince la forma, ed è bello e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è
un capolavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende il
magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee
estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica
ciò ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa
creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così che egli è
più che mai non sia stato religioso e poeta, quando non è più che
scienziato e libero pensatore ». L'uomo parte dalla tenebrosa unità della
natura e del senso, e, a traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione,
giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, avvivata dalla fede
religiosa e poetica, che sole restano della religione e della
poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a sostenere la
sua tesi della « metempsicosi » della religione e dell'arte nella
filosofia hegeliana sono validi solo se si ammette l'esistenza di un
concetto assoluto, universale, defi- nitivamente vero, al quale le
intuizioni estetiche e le reli- giose possano gradatamente adeguarsi;
solo, in una parola, se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio
di storia del genere umano tracciato per convalidare queste
argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non la storia
conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione, se pur non modifica la
storia, certo la coglie nei momenti e negli aspetti a lei giovevoli,
sorvolando sugli altri. E le molte e molte pagine che l'Autore consacra
alla dimostra- zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo :
che egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-
zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la sua
poesia. M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la
contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la
riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide in altre
due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e Tanti
filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, negativo-positiva,
pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza —, dopo aver proceduto
isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze
pseudo-positive, accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e
del pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità del
pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che le due filosofie
astratte si fondano in una sola filosofia con- creta; bisogna che la
corrente religioso-poetica mescoli le sue acque con la corrente unificata
della filosofia. La cor- rente filosofica, scaturita dalla religione e
dalla poesia, tor- bida in principio, si allarga, si purifica, diviene
trasparente sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a
poco, invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione
e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la filosofia
sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della natura : un
pensiero pieno d'amore vivificherà una natura piena di fantasia, l'amerà
come natura umana, e l'adorerà come natura divina. Qui alcuno
potrebbe chiedersi : in questa identificazione della filosofia con la
vita, non subirà la filosofia stessa un assorbimento analogo a quello
subito dall'arte e dalla reli- gione ? La forma superiore non sarà la
vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia
del- l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale
unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena cominciata,
e perchè avviene nella profondità del pensiero, al di sotto della
coscienza. Sono cose tanto lontane — dic'egli — e c'è di mezzo una tal
nebbia di tempo avve- nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna
contentarsi di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa
generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che le cose
passeranno così in generale ; e che tutto anderà a terminare nella
fusione di tutte le forze, di tutte le cono- scenze, e di tutte le
realtà, in una sola vita umana. La sua filosofia sarebbe forse un atto di
fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo, un sistema
animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi quattro sistemi umani
è attivo e si muove; ed ha, come natu- rale, la causa del suo movimento
fuori di se, nella natura. La natura della causa esterna che move è
corrispondente e proporzionata alla natura della sfera interna che è
mossa; mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è
sempre la seconda che move se stessa con la prima natura. Ma se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione- vole cattiva
natura interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio
umano o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita
si comunica alle altre, ed è una successione e una complica- zione
di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro morbi umani
essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani- mali, gli umani o
mentali. La patologia preistorica dice che di questi quattro morbi il
primo è stato il morbo vegetativo. L'uomo primitivo, uscito sano, valido
ed innocente dalle mani del Creatore, rimane sano, finché rimane
innocente; non ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ;
non è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-
tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace di colpa;
egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura: felice colpa,
perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare. Di là dalla natura l'uomo
trova se stesso : trova la sua libertà e la sua propria natura, e fa
della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana,
spirituale e volon- taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non
è più la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è
l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa libero ; e
liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua propria natura. Ma
bentosto egli oltrepassa questo se stesso, supera questa sua natura, e
diviene di nuovo colpevole, e si rifa sempre di nuovo innocente,
finché non abbia raggiunto tutto se stesso e la sua vera natura
spirituale, e non sia com- piuto il fato umano. Così l’uomo naturale
diventa in principio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La
civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel momento del passaggio e
della colpa il morbo si impadronisce dell'uomo, e cresce e si moltiplica
ed imperversa. Allora l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe.
E il morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru-
deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ; le voluttà
naturali e preternaturali generano i morbi riproduttivi. Le cause
psichiche non moltiplicano solo le cause naturali, ma operano anche per
proprio conto, generano per diretta azione le malattie nervose e le
psichiche. D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una
corruzione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet- tuale,
che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto questo avviene con
una certa legge. Tre grandi civiltà si succedono: la prima naturale, la
seconda umana, la terza divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e
la sua par- ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie
e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo primo fiore
e nella sua perfezione originaria è senza morbi, altro che accidentali e
meccanici ; ma la sua corruzione porta seco le cause fìsiche e chimiche,
e genera morbi fisici e morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che
danno origine a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi
nutri- tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il
paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la sua corruzione
porta seco le cause umane, sensuali, passio- nali, e dà origine ai morbi
riproduttivi ed ai morbi animali: ai nervosi prima, e quindi ai psichici.
La civiltà divina — la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza
morbi ; essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la
gua- rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale di
tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno della umana
natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica e tutta entusiasmo e
religioso sentimento, essa reca le cause mistiche, che danno origine alle
malattie psichiche mistiche e religiose. La corruzione cristiana
riproduce la corruzione pagana, e con le cause passionali rinnova le
antiche malattie. Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo
cristia- nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le
cause spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima
civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa- rirà il
male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi, come era in principio
l'uomo animale. Tale è il primo e più generale risultato, la prima legge
della patologia storica : l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha
quattro qua- lità di morbi, che sono le categorie primarie della
patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro
senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la
oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo o negativo,
stenico ovvero astenico. Sono queste le cate- gorie secondarie della
patologia. La categoria primaria, la natura e la qualità fisiologica del
morbo, è l'essenziale, e mai non manca, né può mancare ; invece la
categoria secon- daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e
manca infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-
lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche la quantità
innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ;
nelle grandi applicazioni sto- riche la categoria secondaria trasparisce
sempre dentro alla categoria primaria. Le categorie primarie e
secondarie ci danno la pianta della patologia storica; non l'edilìzio con
tutte le sue parti. Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i
quattro grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli :
apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene- rali non
esistono veramente che nelle anime elementari o cellulari. I fatti sono
complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più
particolari, e queste ricoperte dalla loro buccia innominabile ed
accidentale. A forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si
riempie e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da
M. è veramente originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi
principi e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia
tal- volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-
lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi alle varie
forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della
natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria
darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.
L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo
limitare la sua speculazione entro l'ambito della jatronlosofìa. Dalla
sua stessa concezione di [Delle prime linee della patologia
storica, Prelezione, Bologna, Monti. Della sua patologia storica l'A.
scrive (Delle prime linee della patologia storica): « ...Sarà vera o falsa,
buona o cattiva...; ma sarei curioso, e ben vorrei vedere chi di questa
bazzecola, come d'ogni altra mia piccola cosa infino a una menoma parola,
sarebbe capace di reclamare la priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò
che lo schema generale di questa sua costruzione. Ma svolse poi
l'argomento nel successivo corso di lezioni universitarie, mai dato alle
stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in Italia. Per gli argomenti
trattati in questo paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo
d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e
dall'influenza dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato,
egli doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una
filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è
pensiero, e non vede chiaro il significato di questa identità e non
ne deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le
fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse e cozzanti
fra loro, non può innalzare un edifizio solido e fermo. E la sua
filosofìa della natura è infatti un castello in aria, sebbene edificato
con ingegnosità, pazienza e tenacia ammirevoli. Sono pagine che succedono
a pagine, volumi che succedono a volumi, e rivelano una profonda
conoscenza dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali,
dai tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia,
chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia,
terapia; e sono ipotesi e conquiste scientifiche messe in relazione con
sistemi filosofici e con periodi storici. Sono analisi di animali e di
vegetali, di specie, di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di
organi, di funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere
spiegato dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione
si risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M.
afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si
ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria
creazione, e di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma
poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e e materia, Un
nuovo corpo semplice, I tipi vegetali, Deus creavit, I tipi animali, Filosofia e non filosofia,
Darwin e la scienza moderna, ecc. Deus creavit, Dialogo I, nella
Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad
ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà, perchè
il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque
fedele alla concezione idealistica, secondo la quale la natura è un
momento del pensiero, che si risolve interamente nel pensiero stesso, e
senza la quale lo sviluppo del pensiero non sarebbe né completo, né
possibile. Egli distingue nella natura due gradi e due modi
di creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,
individuale anch' essa. La prima creazione è quella che F idea dell' uomo
fa dell' individuo umano; ma 1' idea del- l'uomo è naturale, e le idee
naturali restano latenti finché l'idea divina, prima causa di sé e della
natura, le renda attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione.
Quando l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella
natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto al suo
principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea spirituale.
Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci- dente, cioè come
individuo. Quindi, come nella natura, così nello spirito accade una
doppia creazione : quella dello spi- rito individuale e quella dello
spirito universale. Il primo ripercorre le forme storiche passate
dell'umanità sino all'at- tuale, l'altro crea le nuove e più perfette
forme storiche. La storia della natura umana, quella della natura vivente
e quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno
stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea- zioni : una
divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale, ma temporale e
finita, universale e particolare insieme; la terza materiale,
individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo
nell'individuo; quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo
fa nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma più
semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme opposte, il
vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del Vecchio-Veneziani
- Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ] forma
completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina passano eternamente
l'una nell'altra, senza annullarsi; e così pure le forme dell'idea
naturale; ma nella materia una forma esclude l'altra, e però
nell'individuo sensibile, pur rimanendo tutte idealmente, spariscono via
via sensibilmente. Come un mammifero passa per le forme animali inferiori
e le proto- vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così
l'in- dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre
forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra- gionatore, e
finalmente pensatore: medio evo, risorgimento, tempo nuovo. L'uomo
ordinario, nel suo sviluppo, si arresta alle forme storiche già create;
l'uomo di genio crea forme nuove, opera come spirito universale, traendo
da Dio l'im- pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre
ai più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,
come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma vera, già
tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari gradi e le varie forme
in cui il tipo divino si squaderna nella natura. Questi gradi
sono una scala di mezzi e fini, in cui la forma inferiore è organo e
mezzo all'esistenza della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto
creativo e produce il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia
la vita; e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito
umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti interamente, cominciano
a produrre i tipi corrispondenti del ciclo superiore. E la creazione
ideale è creazione sensibile ; la creazione di una specie è produzione di
molti individui in cui appare la nuova forma. Il concetto precede
l'esecuzione, e la successione effettiva e naturale presuppone la
succes- sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la
natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia tuttavia
assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa- risce la forma
rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe e domina sempre più la forma,
ma la sua vittoria non è mai completa. L'equilibrio fra la forma e il
contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita
passa come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione
di tempo, altra di idea. La suc- cessione naturale va non da ciclo a
ciclo, ma da tipo a tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione
tutti i tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati.
Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi
prende la sua forma propria, e infine arieggia al tipo che gli deve
succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura, nella
vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità, i corpi
inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa esteriore, e non
hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura
interiorità, la esterna moltiplicità diviene interna e qualitativa.
Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto di esteriorità e di
interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per
una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una moltiplicazione interna e
qualitativa, con prevalenza dell'una o del- l'altra secondo che si tratti
di una forma più o meno pros- sima alla natura. Mai la vita è tanto
esterna che non abbia la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto
molteplice che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel
vege- tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo
elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel- l'animale
deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in- dividuo, semplice e
libero al di fuori, è molteplice e tutto qualificato al di dentro. Le
forme superiori [sono la chiave I tipi animali,, Bologna, Monti; Cfr.
Lettere sulta patologia storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed
interpretare le inferiori, per se stesse oscure, indistinte,
indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui
appariscono nella primitiva semplicità. Ma il riscontro non è utile se
non cade sulle forme fra le quali corre una particolare e più diretta e
più intima relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in
cui l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo
empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti- ficiali,
ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar- winiano, di una
inestricabile confusione. Come Giorgio Hegel aveva combattuto e
denigrato il Newton, così M. lancia in quasi tutte le sue opere
strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista inglese
è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè pone il cieco caso
in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera
serie animale sieno venute l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre
nuove particolarità organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella
selezione naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una
forma nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che
qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la modificazione dell'essere
vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si
compendia la scienza dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi
uomini, il cosmos è il mondo umano primitivo... non è possibile che alla
filosofia della natura: motivo per cui Newton, il divinissimo astronomo,
non la sapeva altrimenti; egli nel cielo ci vedeva Dio, e per questo ci
voleva poco, ma non ci vedeva l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi
animaci, pel giudizio di M. circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea,
Deus creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non
filosofia, Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da
agenti esterni; ma egli non sa comprendere come si possa affermare che
tale modifi- cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra
poi, introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie di
Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è qualcosa di
ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità più ragionevole, sebbene
espressa in modo goffo e materiale, è quella di Mosè: Deus creavit! — la
meno ragionevole è quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e
quella selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate,
hanno di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano
tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega le
forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme è la
variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere integrati
rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo uno stesso animale
; la generazione è creazione ; la variabilità deve essere determinata,
perchè nella natura e nella scienza la potenza sta nella
determinazione. Secondo M., è vero che l'individuo varia
senza legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo
accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra la cieca
necessità della natura e la conscia assoluta libertà dello spirito umano.
Dio è il grande modincatore, il vero e solo creatore dei nuovi organi e
delle nuove funzioni vitali, perchè una funzione è un'idea, e per creare
un'idea ci vuole un'idea. Il non essere non può creare l'essere,
l'irrazionale non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente
non può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe
nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra loro una
differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore dell'organica, e
neppure potrebbero nascere nuove forme, perchè ogni fonma ha un suo
proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo,
secondo il disegno eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa
l'unità delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la
scienza ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza
antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due storie
ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra secondaria, riflesso
della prima, sviluppantesi nel seno della natura e dell'essere vivente;
gli altri, i seguaci della scienza moderna, riflessiva, non riconoscono
che la forma e la storia intrinseca alla natura, all'animale, allo
spirito umano, con- siderando la storia extramondana come un effetto
ottico ope- rato dalla intuizione. Vi sono tre maniere
diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli
elementi comuni a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si
consi- derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di
un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella di Linneo,
di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne Edwars, di Owen. V'è una
seconda maniera, che si riassume tutta nella frase : una forma è simile ad
un'altra perchè il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è
pel I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della
scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con- siste nel
cogliere la forma nel suo movimento, e considerare i vari tipi come i
momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto, il quale è l'unità, la
verità, la ragione, il principio e il ter- mine di tutte; e questo tipo è
il vero animale. È la maniera concreta, quella di Schelling, di Hegel, di
Oken. Dopo di loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta
una applicazione sistematica e conseguente alle varie forme
animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo di questa
specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono idealmente l'una
nell'altra; tutte preesistono in una forma [I tipi animali, Le opere scientifiche e la
filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo,
interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale originaria
di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale, ossia
accidentale. Una forza interna a un dato momento, aiutando le condizioni
esterne da lei stessa preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva
nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di forme l'una
più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi uni- versale. Questa
forza ricevette una prima spinta dalla gene- razione. L'uomo dà l'impulso
prima alle forme semplici e generali, quiescenti l'una nell'altra, che
sono nella natura e pur non sono naturali; le desta, le crea, le
differenzia, le delimita; dei puri e semplici momenti della legge
formale fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia
in- forme a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla serie
delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo intelletto umano, è
dietro al caos ed a tutte le forme, è la forma, l'anima, la forza, la
spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite
indifferente, l'assoluta par- ticolarità esiste, ma nella forma di
principio, di universa- lità, di necessità, ed in questa contraddizione
consiste la sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e
si effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine, e
seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione attuale. La
forma è un principio e una forza indipendente dalla funzione; e questa
forza ha una legge che ne deter- mina lo sviluppo e l'azione, ed è la
stessa*legge dell'uni- verso, è il metodo della natura, del vegetabile,
dell'animale e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè
è quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge,
ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi, sintesi.
Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le
opere scientifiche e la filosofia della natura] movimento concreto della
forma, ai tre momenti ideali corri- spondono tre tipi sensibili : amorfo,
antimorfo, teleomorfo. E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo
nella na- tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano.
La natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è
tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione, senza la forma della
forma. La vita (antipan) è essenzialmente opposizione fra corpo ed anima,
fra molteplicità ed unità, fra vegetale ed animale. Esiste fra vegetale
ed animale una doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione
(antitesi psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan)
è teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,
poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso e
sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e l'uomo. Lo
spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce per riconoscersi in
quelle, e con lo stesso colpo si riconosce nelle cose : sì che egli è
l'unità reale e distinta delle cose e delle idee. L'anima nella natura è
interna, nel vegetale apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale
diventa corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene
assoluta, universale e puramente ideale, e la opposizione è
finalmente risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano
hanno ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico
essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è
per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al labirinto
delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le forme e i tipi più
eterogenei e dissimili sono in realtà uno stesso identico animale in via
di formazione : l'uomo. E dei tipi animali egli vuol tracciare la storia
ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la
descri- zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni
tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione, è il mobile
oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo creativo, cominciando
da sé, creando a mano a mano le pro- prie determinazioni. Invece i
sistematici ordinari, tutti intenti alla diagnosi delle forme, poco si
curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri
qualitativi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli più
materiali, che non significano nulla appunto perchè non passano in altre
forme. Tipo è forma con significato. Questi sistematici hanno una
logica difettiva a forza di astrazione; non pensano che nel quanto è
rinchiuso il quale. Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica,
arti- ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi,
isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e le
transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove
manca quella materiale. Per la vera morfologia il primo è la forma, che
pone i lineamenti gene- rali dell'essere; poi viene la funzione ideale
che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e la
selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo- [I tipi
animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge
che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con un organo
che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei
sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo
(apriti cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà
piccolo, perchè non ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo.
Questo scritto non si fa per stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per
uso e consumo esclusivo, e per supremo divertimento dell'autore, che
quando sarà tutto stampato tirerà tanto di chiavistello sulle pochissime
copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della
natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è una
funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale,
«principiale)), a loro ignota e inconcepibile, Le dottrine materiali non
hanno nulla a che fare con la scienza, perchè questa non è la ragione
dell'uomo che la fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede
crollare come castelli di carta le sue classificazioni più o meno
inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-
sificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che
nel vege- tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è
il centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi-
zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due sfere sono
egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga, prima chimicamente e
poi anatomicamente semplice, indi molteplice, ma tutta disgregata nei
suoi elementi cellulari. 11 vegetale antimorfo è da un lato la felce
vegetativa, dal- l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è
il coti- ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma
riproduttiva sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo
tipico dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nell'antizoo,
punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa l'opposizione fra
corpo e anima, fra sistema vegetativo e sistema riproduttivo ; nel
teleozoo i due opposti sviluppi sono riuniti e in giusta proporzione fra
loro. L'amorfo animale è il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio;
l'antimorfo è il radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il
verte- brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi
di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di vertebrato
ed invertebrato, che esprimono solo la presenza o l'assenza di un
elemento secondario. Finché M. sta fedele al suo programma di
dimo- strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali [I
tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede,
egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni alla scala degli
esseri viventi, alle varie forme della vita, della scienza, della
filosofìa, della storia; particolarmente geniali e nuove le applicazioni
alla patologia. Ma a volte — rare volte, è vero — egli sente il bisogno
di tentare una dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece,
senza avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà,
la nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-
loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus
creavit — già lo abbiamo visto — egli tenta, senza riuscirvi, di
dimostrare che il pensiero è fin dal primo momento essere. Nei Dialoghi
affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui
l'essere ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza
di chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con
lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio, e quasi
la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe studiare un essere da
lui non visto ancora, ma del quale, per descrizione autorevole e per
indizi indiretti e certi, gli fosse nota l'esistenza e i caratteri.] vero
lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui l'uomo della natura, che in
sé ricompendia tutta la natura, si risolve ed unifica perfettamente. Ma
come questo pensiero eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della
natura ? E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ?
Retroce- dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un
muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare: quel muro è la
materia. Certo la materia suppone lo spazio; ma spazio senza materia non
ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà
italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella
Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo
semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, Le opere scientifiche
e la filosofia della natura. dice tempo, e chi dice tutti e due
dice moto; e dir moto è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma —
la materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo.
La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo : da forza
chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza fìsica a forza
meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la materia della forza
inferiore ed il germe della superiore : e così il moto è il tempo
materializzato; il tempo è lo spazio divenuto più materiale. Sempre la
materia è la realtà, il limite di una forza; e la forza è la materia nel
suo spon- taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non
pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza semplice in cui
tutte le forze speciali sono latenti ; e come la più forte, le urta di
sotto e fa uscire la forza chimica, che si comunica a tutta la massa
della forza semplice, sì che tutto diventa forza chimica reale, affinità
e materia puramente chimica ; e fa di questa affinità informe un
imponderabile informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo
sem- plice informe. L'uomo senza influsso di esterno
accidente, mentre egli era da per tutto ed era tutto, non poteva
scegliere un punto del tempo e dello spazio in cui operare la
trasformazione della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un
punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto lo spazio.
Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma- teria reale, naturale,
diventò da spazio ideale spazio reale, interminato, e con esso cominciò
la natura. La forza del pen- siero, come ha trasformato il moto, la forza
semplice, in forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e
la forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo fa
scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si trasforma in
materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo in vera materia, in
corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che
successivamente si modifica e si realizza; è la proprietà chimica, è la
speciale natura Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] fisica,
è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si aggiunge alla
forza chimica imponderabile, ponderabile, e le dà un primo corpo ed una
nuova realità; gli è un corpo incorporeo, una materia immateriale, una
realità non sensi- bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà,
sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla
esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza è molto
pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal valore da fare di uno
spazio-pensiero uno spazio-natura; ma la proprietà è più natura che
pensiero ed è perciò atta ad empire di se lo spazio ; onde appena il
pensiero umano dietro a quelle tre forze fa scaturire quelle tre
semi-materie, subito mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le
tre pro- prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le
dissemi- nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo
spazio è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,
ma non corpo, perchè non è ancora sensibile. 11 primitivo pensiero
umano ha dentro di sé un limite che è esso stesso pensiero, ed è il germe
e l'origine del senso; di questo limite fa lo spazio-pensiero e il
tempo-pensiero, e il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la
materia pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui
stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice pensiero. Ma poi
egli, premendo di più su quel limite, fa dello spazio-pensiero uno
spazio-estensione, e di questo un corpo sensibile prima al corpo, e poi,
per mezzo del corpo, anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un
moto reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà
tutta la natura, e la vita — il vegetale —, e l'anima — l'animale ; e
all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera sua. Di quel suo
limite originario, che era un senso-pensiero, egli ha fatto a poco a poco
un senso-senso. E di questo senso farà nella natura formata vari sensi
distinti, e così farà del- l'anima. Se noi facciamo la storia della
natura, troviamo all'origine della forza e della materia uno stesso
identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano
originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori- ginaria
identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima natura, poi vegetale,
poi animale, e da ultimo uomo; e in ogni grado conserva quelle due cose
opposte, la forza e la materia, sempre distinte e sempre unite in una
perfetta iden- tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità
delle due cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente
corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci fa più
facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle nature inferiori,
la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af- ferrare ciò consiste la
scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è
quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice, omogeneo,
uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà la natura antimorfa, lo
sviluppo delle forze e delle materie, il caos. Infine vedremo sorgere una
nuova forza, che a tutte le forze del caos darà una legge e una norma, a
tutte le materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il
cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza vitale, e la
forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale. E con questo programma
egli termina il secondo dialogo, Forza e materia; ma non pubblica più che
un terzo dia- logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano,
che da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna poi
nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si ritrasforma di
natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad un punto, e questo punto è
l'io. Come in principio il punto originario, così ora il punto
individuale si trasforma tutto; ma la trasformazione non si fa, come
allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è
preceduto da questa nota. Il presente dialogo è indipendente dai precedenti »,
- Sappiamo già che M. lavora spesso frammentariamente. Le
opere scientifiche e la filosofia della natura.] bensì successivamente. L'io è
un animale naturale, individuale; ma gli ii sono molti, e sono come molti
punti, molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio
intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana universale,
come quella dell'individuo umano, si sgomitola nel tempo e si srotola nello
spazio, e intanto si raggo- mitola e torna ad arrotolarsi nella storia. E
perciò la storia umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una
cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della natura,
essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale e universale ;
solamente non appare e non diventa reale che in certi punti di tempo e di
spazio: in certe epoche, in certi luoghi, in certi corpi e in certi
ii. È facile scorgere che M. non è felice quando vuole
risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione. Invero non
si capisce come quel suo pensiero originario, avendo nel senso un limite
interno, possa non avere anche un limite esterno, e tutta la natura, che
invece deve ancora nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di
premere e caricare sul proprio limite, possa fare del
senso-pensiero un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da
forza in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di star
tentando la soluzione di un problema forse insolubile, certo insoluto.
Che forza e materia sieno due cose distinte ed opposte, ma unite ed
identiche è per lui una verità certa, positiva, reale. Egli dichiara che
non ha la pretesa di di- mostrare, ma solo di far presentire la verità,
come la pre- sente egli stesso: e certo di quella verità da lui
pre- sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una
pagina che onora il suo senso poetico più che la sua GENTILE, LA
FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I naturalisti, Dialogo] profondità filosofica,
egli afferma che il corpo è un vegetale, è l'inferno, l'anima è parte
materiale e parte immateriale ma sempre naturale, il pensiero è il
paradiso, e di pensiero noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il
suo paradiso tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco.
Come Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli
stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel- l'uomo; solo
ci dice con slancio lirico che quella è la sua fede. Alla fede in quanto
è davvero tale e solo tale, ed è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe
certo vano, se pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai
principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon- damento
di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si deve chiedere se
sieno suscettibili di avere dall'esperienza una conferma o dalla logica
una dimostrazione. La risposta è negativa. Quanto alla
conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la
sostanza delle forme e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma
il controllo è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed
intatta, ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua
integrità, e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore
ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee, e che solo
con le idee possono venir scoperti nella loro sostanza e seguiti nel loro
movimento, dovrebbe indicare un terzo termine, atto a valutare la
rispondenza fra gli altri due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo
termine non può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte
in causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non poteva
non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non può esistere un
controllo esterno, ne si può senza essere [I tipi animali. Cfr. Dopo la
laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere
l'esistenza di una realtà che non sia l'idea o il pensiero.Quanto alla
dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui
M. la tenta non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come
quando, dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona
come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere come puro
essere e non pensiero ('); o incorre in errori, come quando afferma che
il pensiero originario ha nel senso un limite interno senza avere un
limite esterno; ovvero si appiglia ad ipotesi degne di un alchimista
ostinato alla ri- cerca della pietra filosofale, come è quella della
forza che diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La
sua filosofìa della natura, riposando su principi che possono essere
oggetto di fede, ma non possono avere dal- l'esperienza un controllo né
dal ragionamento una conferma, è una costruzione che può essere, ed è
difatto, ingegnosa e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe
alcun sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,
vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non intendeva di cercare
una soluzione nuova; solo si proponeva di svolgere ed elaborare una
soluzione già da altri raggiunta. La sua opera è fallita perchè aveva
come presupposto e come base quella conciliazione dell'essere e del
pensiero, della forza e della materia, che contrariamente a quanto egli
cre- deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-
teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura, si
ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura stessa o
riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit. Forza e
materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M.
M. non è d'accordo col Berkeley, che «
sopprime la natura»; Del Vecchio Veneziani Una costruzione
speculativa della natura, quale l'idea- lismo assoluto e la riduzione
della natura a pensiero esigono, dev'essere tutta una deduzione
necessaria per considerarsi compiuta e riuscita. E in una deduzione
logica e necessaria l'accidente come tale non può trovar luogo. Non
si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in tutte le assidue e
lunghe meditazioni del M. intorno alla natura, l'idea informativa di
tutti i suoi studi era, come egregiamente la definiva Fiorentino, «
l'idea di con- trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato
debole del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale
delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega la vita
della natura... una ragione superiore, che regola lo sviluppo dei tipi
della vita naturale, finche non si dispieghi, e non si allarghi nell’uomo
e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello scoglio
contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini- smo; di evitare la
trasformazione dell' accidente in Deus ex machina, al quale far ricorso
perchè o dove non soccorra una ragione superiore o una spiegazione più
intima e razionale. M. appunto dice e ridice, anche per quanto
si riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della
necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con questa esigenza
afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della
creazione. Ora l'accidente, che è dichiarato indispensabile, o è
razionalmente necessario, cioè deducibile a priori, e allora deve
rientrare nella costruzione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché
non può più dirsi propriamente accidentale. O è la né col Fichte, nel cui
sistema la natura c'è soltanto quanto basta per far la coscienza, ed è
quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr. Prenozioni, La filosofia
contemporanea in Italia, Dopo la laurea,
negazione della necessità razionale e della deduzione a priori, ed in
questo caso la dichiarazione della sua indispen- sabilità costituisce il
confessato fallimento della costruzione speculativa. M. oscilla fra le
due alternative, senza sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa
non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della
contraddittorietà della sua impresa. Invero l'accidente sembra necessario
per lui a costituire nella catena dello sviluppo creativo l'anello
iniziale e gli anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti
congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non c'era la
natura e quindi l'accidente » era impossibile al- l'uomo (ossia all'idea
di Uomo, che come fine deve prece- dere e determinare lo sviluppo), senza
arbitrio e « senza in- flusso di esterno accidente, di scegliere un punto
del tempo e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della
materia semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda- tura, in quanto
dice che l'accidente, elemento costitutivo della natura, è
necessariamente compreso nel processo della funzion ; che ogni tipo
vivente è già idealmente quello che dee succedergli, ma non basta a
crearlo, a produrlo real- mente nella natura, senza il concorso di cause
accidentali e d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e
lo sviluppo della natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente
interviene e concorre con l'idea alla produzione del risultato. Il fatto
è anche idea, ma l'idea non è reale e non esiste che nel fatto; « il
principio e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche
elemento materiale e meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire
individuale ed accidentale. Forza e materia,
/ mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di
Modena. Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la
filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi
di un tipo ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme
preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e
spontaneo. Ma la creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale
originaria di quegli schemi indeterminatissimi », sì anche nella loro
delimitazione naturale, o sia accidentale. E molte volte ripete che la
natura è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente.
Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo
approfondire il concetto del- l'accidente che M. afferma. Legato
all'idea, intrin- seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in
campo a determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente
dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi esso medesimo
una necessità interiore ; è il momento della antitesi, senza il quale non
potrebbe svolgersi la sintesi crea- tiva. L'uomo eterno, dice appunto M.,
è « la forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui
lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta
particolarità esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di
necessità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività
creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale ci
appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche altrove egli
identifica il puro accidentale col male, non vi sarebbe contraddizione
con la universalità e necessità rico- nosciuta sopra all'accidente; ma
distinzione di due specie di accidenti o di nature: l'interna e
l'esterna; necessaria la prima, accidentale in senso proprio la seconda. M.
difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene Deus
creavit, (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della
natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno ed
accidentale che non era compreso nel processo della natura interna, non
era calcolato nella evoluzione vitale, e oltre a modificare, sia pur solo
superficialmente e quantita- tivamente, le forme, e favorire la
trasformazione, e provocare la nuova interna creazione e lo sviluppo di
germi latenti, « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche
cosa di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,
esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. — nella forma latente
un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un
germe di differenza e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la
disposizione a dividersi in molti e diversi, ed è un accidente
indeterminato e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è,
accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli
dà corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti
esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione.
L'accidente può render conto delle differenze secondarie, non giunge
ai veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia interna,
essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente:
uno necessario ed essenziale, l'altro secondario e individuale: il primo,
l'accidente necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa
ideale, intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni
realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli individui;
l'altro, l'accidente accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo
inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus
creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit,
Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle
quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da cui deriva la formazione
delle varietà, delle specie, dei ge- neri, ma la sua azione non potrebbe
estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana,
una lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da
capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non
che arrivati a questo punto noi possiamo doman- darci : l'obiezione che
abbiam detto potersi muovere al nostro rilievo delle difficoltà inerenti
al pensiero del M., è veramente risolutiva? Questo approfondimento del
concetto di accidente, questa distinzione delle due specie di esso,
interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera- mente la
contraddizione nella quale ci era sembrato che questa filosofia della
natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione
e molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte
afferma che senza il concorso di esterno accidente la possibilità non
passerebbe all'atto, non si farebbe realtà di natura. Tra la potenza e
l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché
l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol- tanto
per l'esistenza degli individui, ma anche per la produzione reale dei tipi
nella natura. E del resto la stessa molteplice possibilità in cui è fatto
consistere l'accidente necessario, del pari che l'intreccio dei processi
dal quale si fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a
loro posto in una concezione puramente causale e meccanica della
natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più a posto in una
dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste
a tutto il processo di sviluppo e lo genera esso medesimo. Voler
dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo teleologico, e non
saper negare che vi sia anche qualche cosa di ciò che il Darwin vi
scorge, ossia che la natura finisce per essere, come la società umana,
una lotteria, è contraddizione non conciliabile tra l'intenzione e il
resultato. E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione
è nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la
patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito dal M.
crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se
l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura
interviene, e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano
o naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta la
relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera umana, questa
si altera e si disordina. Ora si ricordi che per M. la malattia corrisponde al passaggio
dall'in- nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una
forma superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma
superiore, che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che
attraverso a questo processo, il processo è necessario, e necessari,
non accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la
sintesi. Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-
cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e
particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi- mento degli
opposti, il momento negativo non è meno neces- sario che il positivo a
dare con la negazione della negazione la più alta realtà. Come può dunque
in questa concezione filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.?
Come può un accidente siffatto, cioè un accidente estrinseco, che rompe
la necessità e viola la ragione, essere costitutivo della natura quale
dev'essere intesa in un idealismo assoluto, cioè come pensiero o ragione
? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si
collegano con una profonda, in- conciliabile contraddizione interna del
pensiero di M.. È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo
idealista, contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente
e costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia
con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che talvolta
si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la fisiologia. Questo è
il suo conflitto intemo non superata, che si potrebbe estendere ben oltre
il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea
e natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile: il
fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la fisiologia non
può essere costruita se non è costruita prima la metafisica. E costruita
non da altri, ma dal fisiologo stesso, come altrove M. riconosce. Perchè,
secondo il principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà
il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure
derivate conseguenze contrarie alle conclusioni di M. intorno ai rapporti
fra la teoria e la pratica medica. Infatti come può la separazione
della jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi
con l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,
perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima
che criterio del vero è il farlo ? E non sarà quindi contraddittorio il dichiararla
disgiunta dalla pratica, e quindi inutile come tutte le cose eccellenti,
virtù, giustizia, arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della
verità della jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura
delle ma- lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere
fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia
pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della
fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della medicina]
mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen- siero, né la
piena consapevolezza delle esigenze dei suoi principi. Egli, come
ogni naturalista, riconosce la funzione del- l' accidente ; ma il
rapporto e il contrasto fra il necessario e l'accidentale, fra ciò che è
conoscibile e costruibile a priori e ciò che è dato solo
dall'osservazione sperimentale, rimane in lui insoluto. Ed egli non
riesce a vincere le difficoltà che anche Hegel aveva incontrate nel
costruire la sua filosofìa della na- tura, la quale è certo la parte più
debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in
questo : che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della
natura hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che
le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non
consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura compiuta,
razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando per tutta la vita una
soluzione non raggiunta ancora, sempre credendo di lavorare solo alla
dimostrazione e alle applica- zioni di quella, che egli stimava già
scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s
theory resembles my pirotological progression, heavily! I like his
generalisations. I wish we had at Oxford such a freedom to generalise!” -- Camillo
De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature,
citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte
il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli: “Camillo
De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Melandri: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone –
Reale – filosofia ligure – la scuola di Genova -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Genova). Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice:
“One of the ten items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’
itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more seriously than I did – I do
list ‘analogy’ as part of what I call ‘philosophical eschatology – the third
branch of metaphysics, along with ontology and category study.” Grice:
“Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with
two other concepts: proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s
reading of the Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri
also takes Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote
‘contro la comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” -- Grice: “He has studied Buehler; I like that!”
Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel
in Germania. Insegna poi a Lecce, Trieste e Bologna. Parallelamente
all'attività universitaria, collabora con Mulino e alla rivista omonima, per le
quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e curatele, pubblicando
con essa alcuni dei suoi saggi. I suoi saggi vertono sulla fenomenologia di
Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue
curatele, anche presso altre case editrici -- Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte
alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc. -- ci sono studi che vanno dalla scienza
politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla
filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la
storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a
quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica
di Trier alla metaforologia» di Blumenberg ecc.
Ha istituito un gruppo di studi su Leibniz, in seguito affiliato col
nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche
collaborato attivamente alle attività del Centro di studi per la filosofia
mitteleuropea con sede a Trento; partecipando alla realizzazione della rivista Topoi. Da
vita agl’Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna, poi
trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva
e di cui è stato il direttore. Tra i suoi saggi, spicca per centralità di
pensiero “La linea e il circolo,” definito d’Agamben un capolavoro della
filosofia. Il filo conduttore di tutta
la riflessione di M. è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre
la logica tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare,
legato alla discontinuità del principio di non-contraddizione, l’ANALOGIA si
fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della
contrarietà, che ammette una transizione tra gl’opposti. Ora, queste due forme
di ragionamento non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto
fondate, non su una struttura assiomatica, ma su una diversa direzione
costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo
M., nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare
l'empirismo radicale connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della
soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso
si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanza, congiungendo
istanze aristoteliche e husserliane, M. assume una concezione dell'essere
fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si
presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo
analogico. Inoltre, M. espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo
d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto da Besoli,
filosofo a Bologna. A lezione, si può dire che M. non parlas, ma pensas ad alta
voce dando l'illusione, quanto mai benefica ed essenzialmente terapeutica, di
pensare insieme con lui. Si ha l'impressione di assistere, dunque, a un
pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accade e un'esperienza di
pensiero condivisa, giacché la condivisione e appunto la condizione stessa
della buona riuscita di tale esperienza Altri saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte
fenomenologico,” -- introduzione a Bolzano, “I paradossi dell'infinito”,
Cappelli, Bologna; “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,”
“Note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica
– co-predicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come co-predicabili,
la disgiunzione ‘o’ come co-predicabili, l’implicazione ‘se’ come co-predicabile
-- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica” Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli,
Milano; “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia
e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in
«Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? Zoon Politikon.
Bolk e l'antropo-genesi, Che Fare, “La linea e il circol: studio
logico-filosofico sull'analogia, Bologna: Mulino rist. Macerata: Quodlibet, prefazione d’Agamben,
appendice di Besoli e Brigati, Limongi. Nota
in margine all'episteme di Foucault, Lingua e stile, La realtà e l'immagine, in
Barth, Verità e ideologia; Sulla crisi attuale della filosofia, Mulino, L'analogia, la proporzione, la simmetria,
Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, Lingua e stile, Quodlibet,
Macerata, L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, Freud: L'inconscio e
la dialettica, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali,
Bologna: Pitagora; L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet. Bühler. La crisi della psicologia come
introduzione a una nuova teoria linguistica, in Animo ed esattezza. Letteratura
e scienza, Marietti: Casale Monferrato, Variazioni in tema di psicologia e
scienze sociali, Pitagora, Bologna; Matematica e logica in psicologia: applicazione
propria determinante o im-propria analogico-riflettente, L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet, Per una filologia del sublime, in "Studi
di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary
unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La
novità degl’ultimi tremila anni, Mulino", "Faenza" e Marisa
Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il
simbolico. Lezioni di
filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are less important than the
generic remarks he makes about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione,
simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet,
Macerata, postfazione di Guidetti; Sul concetto di descrizione nella psicologia
fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A
good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in
"erri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento, Mulino,
Bologna, Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia, o della principale
equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in Discipline filosofiche,
Il problema della comunicazione, Paradigmi, Tempo e temporalità nell'orizzonte
fenomenologico, Discipline filosofiche, La crisi dei grandi sistemi e l'avvento
della filosofia esistenziale, Questo nostro tempo -- studi e riflessioni
sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); Filosofia come critica della
conoscenza e impegno interdisciplinare, Tratti, Besoli, Il percorso
intellettuale, in Studi su M., Faenza, Agamben, Archeologia di un'archeologia,
in M., La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata:
Quodlibet, Agamben, Al di là dei generi letterari, in M., I generi letterari e
la loro origine, Macerata: Quodlibet,
Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne; Ambrosetti, Una lettura di
Epitteto", in "dianoia", Besoli, "Il percorso
fenomenologico", in La
fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth; Besoli
e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti,
"Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la
dialettica, Macerata: Quodlibet sinistra
in rete.info cultura’ Lagna e Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto
soggetto-oggetto, Philosophy Kitchen, Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti,
Sugli stoici, Roma: Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma
trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La
ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini,
"Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di M. edite da Quodlibet, edizione completa.
Discipline Filosofiche, rivista di filosofia. Enzo Melandri. Melandri.
Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice –
analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical
unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill,
jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach,
newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice,
analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,”
The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice e Melanipide:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Bari. The author of a
number of tragedies. He appears to have practised a relatively ascetic version
of Pythagoreanism. Grice: “Cicerone argues: Melanipide spoke Greek, not Latin;
therefore, he is not an Italian. At Oxford, we are a bit more inclusive:
Gellner spoke French, he is a Jewish philosopher who teaches at some London
red-brick!” -- Melanipide
Grice e Melchiorre: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – il corpo – la filosofia dell’amore – amante ed amato – il
convito di Turolla – la scuola di Chieti -- filosofia abruzzese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Chieti). Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I like
Melchiorre; while I refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has
dedicated a whole treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic
aspects and come up with nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione
simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice: “Melchiorre’s first explorations on the
concept of body is Strawsonian – corpore e persona -. What led Melchiorre to
this reflection is what he calls a meta-critique of love – Socrates did his
critique of love in the Symposium, and Phaedrus – Melchiorre analyses this from
a body-theoretical perspective.” Dopo
essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà
di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea. Terminati gli studi, nel medesimo ateneo
inizia la carriera accademica come assistente volontario di filosofia della
storia, per poi insegnare a Venezia.
Richiamato a Milano, ha ricoperto la cattedra di Filosofia morale, per poi
insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e
Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni
sociali. Altri saggi: Arte ed esistenza, Firenze’ Il metodo di Mounier, Milano;
Il sapere storico, Brescia; La coscienza utopica, Milano; L'immaginazione
simbolica, Bologna, Meta-critica dell'eros, Milano, Ideologia, utopia,
religione, Milano, Essere e parola, Milano, Corpo e persona, Genova, “Studi su
Kierkegaard, Genova, Analogia e analisi trascendentale: linee per una lettura
di Kant, Milano, Figure del sapere, Milano, La via analogica, Milano, Creazione,
creatività, ermeneutica, Brescia, I segni della storia, Ghezzano Fontina, Al di
là dell'ultimo, Milano, Sulla speranza, Brescia, “Ethica,” Genova, Dialettica
del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Milano, “Qohelet, o la
serenità del vivere,” Brescia, Essere persona,” Milano, Breviario di
metafisica, Brescia, Il nome indicibile, Milano, Profilo nel sito
dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere
persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista
internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni,
culture. I diversi volti della verità Relazione di M., Convegno del Centro
Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra SERBATI. M., Rai Educational Enciclopedia
Multimediale delle Scienze Filosofiche. Grice:
“Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian
philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s
beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla
published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre
typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover
of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi,
meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il
riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e
l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Melesia: la
ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto,
Basilcata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicerone complained
that Melesia spoke Greek, not Roman!” – Melesia.
Grice e Melisso: la
ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical
and change is an illusion he attributed to the unreliability of the senses. Luigi Speranza, “Grice e Melisso”, The Swimming-Pool
Library. Melisso
Grice e Melli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- AVRELIO – filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo
di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice:
“I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli
puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is
rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as
furrin; Locke ain’t!”. Altri saggi: La
filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Tocco, Firenze,Commemorazione
di Villari, Firenze, La filosofia greca
da Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra i
filosofi romani e i filosofi greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in
senato dei filosofi e dei retori il senato consulto da incarico al pretore
Marco POMPONIO (si veda) di provvedere “uti Romae NE essent [FILOSOFI greci]”. Semi
della filosofia greca sono sparsi dagl’esuli ACHEI, tra i quali era anche
Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi anni dopo, ci e l'ambasciata
della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come CATONE (si veda)
s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile parlatore puo esercitare
sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e l’infiltrazione
delle idee filosofiche grechi e già cominciata, specialmente dopo la conquista
delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --,
Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone –
e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --, e Leontini,
sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi romani
senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’, filosofia, e degl’amanti di sapienza,
filosofi. Un motto si trova in un frammento di ENNIO (si veda), nel Neottolemo.
Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam.
Col progredire della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il
bisogno di far istruir i romani presso questi pedagogi schiavi ditti amanti di
sapienza. Alcuni grandi personaggi, come SCIPIONE Emiliano (si veda) e il suo
amico LELIO (si veda) divieno protettori dei questi pedagogi detti ‘amanti
della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti trovano
un'utile disciplina nella dialettica, studiata nella lingua strainiera, non in
romano. La riforme di GRACCO (si veda) -- Gracchi -- e ispirata da idee di
questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano a questo
‘amore di sapienza’ e 1'orientazione nelle questioni pratiche e una cultura
necessaria o utile all’oratore, al giureconsulto,
agl’uomini di stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole o sette.
Una delle prime ad essere trattata in latino e la dottrina dell’Orto. Sono
nominati un AMAFINO (si veda) e un RABIRIO
(si veda) come espositori delle idee, dell’Orto, ma con poca arte. Più tardi è
pure ‘edonista’ – sostenitore del piacere -- un certo CAZIO (si veda), “levis
quidem, sed non inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne
sappiamo nulla. Il grande interprete dell'edonismo presso i Romani è LUCREZIO
(si veda), che segue Empedocle. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. BRUTO minore
(si veda), l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il
dottissimo VARRONE (si veda), che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e
in psicologia e in teologia segue più il PORTICO che l'Accademia. Ma tutte
queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gl’altri ed è per
noi il vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è CICERONE
(si veda). I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non fu¬ rono
amichevoli. Abbiamo già accennato al senatocon- sulto del 161, nel quale,
essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori ch’erano in Italia, si
dava incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere uti Romae ne essent. Pare
che i primi semi della filosofia fossero sparsi dagli esuli achei, tra i quali
era anche Polibio, venuti * dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi anni
dopo, nel 156 ci fu l’ambasciata della quale faceva parte Oar- neade, e anche
questa volta vedemmo come il vècchio Catone s’impensierisse dell’efficacia
rovinosa che quegli abili parlatori potevano esercitare sull’educazione nazio¬
nale. Ma ebbero, come sappiamo, un grande successo ; e l’infiltrazione delle
idee greche era già cominciata con la letteratura, specialmente dopo la conquista
delle città della Mago a Grecia. Nelle tragedie tradotte o imitate, e
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) ■ LA FILOSOFIA
PRIMA DI CICERONE 201 anche nelle commedie, i Romani sentivano parlare sul
teatro di filosofìa e di filosofi. (Ricordo il motto che si trova in un
frammento di Ennio, nel Neottolemo di Euri¬ pide: Philosophari mihi necesse
est, sed degustan- dum de ea, non ingurgitandum in eam). Ool progredire della
cultura, con lo svilupparsi dell’elo¬ quenza, nasce il bisogno d’istruirsi
presso i filosofi. Alcuni grandi personaggi, come Scipione Emiliano, il suo
amico Lelio, diventano protettori dei filosofi, li ammettono nella loro
familiarità. I giureconsulti trovano un’utile disci¬ plina nella dialettica
stoica; le riforme dei Gracchi sono ispirate da idee filosofiche: quello che i
Romani domanda¬ vano alla filosofìa era l’orientazione nelle quistioni pratiche
e una cultura necessaria o utile agli oratori, ai giurecon¬ sulti, agli uomini
di Stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad
essere trattata in latino dev’essere stata la dottrina di Epicuro, perchè sono
nominati un Amafinio e un Rabirio come espositori della filosofìa epicurea, ma
pare con poca arte; e più tardi, ai tempi di Cicerone, è pure epicureo un certo
Catius, levis quìdem, sed non ìniueundus tamen auctor, secondo Quintiliano. Ma
non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell’ Epicureismo presso i Ro¬ mani
è Lucrezio. Altri scrittori di filosofìa furono M. Bruto, l’uccisore di Cesare,
che scrisse della virtù e dei doveri, e il dottissimo Varrone, che insieme con
Bruto aveva sen¬ tito Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia se¬
guiva, pare, più gli Stoici che l’Accademia. Ma tutte queste sono semplici
notizie. Il gran nome che oscura tutti gli altri ed è per noi il vero
rappresentante e inter¬ prete della filosofia presso i Romani è M. Tullio
Cicerone. 202 LA FILOSOFIA A ROMA L’uomo politico e l’oratore non ci
appartengono, ma sui filosofo dobbiamo fermarci un momento. 2. - Cicerone
nacque nel 106, fu ucciso dai sicari di An¬ tonio nel 43 a. C. Studiò in Atene
e a Rodi, udì maestri delle varie scuole : Fedro epicureo, Filone di Larissa
acca¬ demico: lo stoico Liodoto divenne suo ospite per più anni, e diventato cieco
morì in casa sua: udì poi ad Atene Antioco di Ascalona, l’epicureo Zenone, e a
Rodi lo stoico Posdonio. Cli uffici pubblici e la vita tempestosa di Roma in
quegli ultimi anni della Repubblica lo avevano distolto dagli studi filosofici,
ch’egli del resto aveva considerato sempre come una preparazione necessaria
all’oratore e poi come una nobile distrazione dello spirito; ma le vi¬ cende
della vita pubblica, l’ozio a cui è condannato dopo la battaglia di Farsaglia,
e sventure domestiche, tra cui specialmente la morte della figlia Tullia
amatissima, lo riconducono alla filosofia, nella quale egli cerca un’occu¬
pazione e una consolazione. Bisogna aggiungere a questi motivi quella che chia¬
mano la vanità letteraria, e ch’è la passione dello scrittore di razza, di uno
scrittore di prim’ordine e che gode di una grandissima autorità presso i suoi
concittadini; egli vuol far parlare in latino la filosofia, toglierne il
monopolio ai Greci, darle il diritto di cittadinanza in Roma rivaleg¬ giando
con loro, e si rivolge ai giovani ut huius quo¬ que generis laudem iam
languenti Graeciae eri- piant; ed egli si dà come l’iniziatore di quest’opera,
di conquistare alla letteratura latina questa vastissima pro¬ vincia del
sapere. Già prima, (lai 54 al 52, egli aveva scrìtto i suoi trattati politici
De repuìflicci e De legibus, e prima ancora, nel De ora¬ tore, era proclamata
con molta energia 1’unione della filo- sofia con l’eloquenza : Cicerone in un
luogo del De nat. deor. si vanta di aver sempre filosofato: cum minime videbamur,
tum maxime philosophabamur ; ma i suoi libri propriamente d’argomento
filosofico li ha scritti negli ultimi anni della sua vita, dal 45 al 43. E
quali siano questi scrìtti filosofici ce lo dice egli stesso in un passo del De
divinalione, IX, 1. Egli comincia con un trattato dal titolo Consolatio, com¬
posto dopo la battaglia di Earsaglia e la morte della figlia, indicando nel
titolo i servizi ch’egli si aspetta dalla filo¬ sofìa: era fatto a imitazione
di un libro simile di Orantore accademico raspi, raévOoo;, eh’ è detto altrove
un libro d’oro, da imparare a memoria. Poi scrive VHortensìus, introduzione ed
esortazione allo studio della filosofia, difendendola dai pregiudizi romani.
Ortensio, ch’era un grande oratore suo contemporaneo, vi combatteva lo studio
della filosofìa, Cicerone la difendeva calorosamente. Il libro era molto
ammirato. S. Agostino lo ha conosciuto, e la lettura di esso contribuì alla sua
conversione. Questi due libri sono perduti. Le opere che ci riman¬ gono sono :
Academica > in due libri, importantissimi per le contro¬ versie dibattute
fra Stoici e Accademici intorno al pro¬ blema della conoscenza e specialmente
per le opinioni degli Accademici più recenti fino ad Antioco. Ce n’ora una
prima redazione in due libri; poi l’opera fu rifatta, in quattro libri, e
dedicata a Varrone che vi entra come interlocutore. Il caso ha voluto che noi
possediamo il 1° libro della seconda edizione, e il 2° libro, il così detto
Lncullus, della prima (che si sogliono citare Ac. post. I, e Ac. pr. II). È
deplorevole che non ci sia, e sarebbe deside¬ ratissima, un’edizione italiana
commentata di questi libri. De Finibus honorum et malorum, in cinque libri. Vi
sono esposte e criticate le teorie delle diverse scuole greche sul problema
fondamentale dell’Etica, il sommo bene o il fine delle azioni. Nel 1° libro
Torquato espone la dottrina di Epicuro, nel 2° Cicerone ne fa la critica; nel
3° è in¬ trodotto Catone, quello di Utica, a esporre la filosofìa stoica, nel
4° se ne fa la critica ; il 5° libro espone la teoria accademica e
peripatetica. È una delle opere più istruttive e forse meglio composte di
Cicerone. Le Tttsculanae disputationes, in cinque libri, dalla villa
ciceroniana di Tusculo, in cui si suppone tenuto il dialogo, pure d’argomento
morale: il 1° tratta de eontemnenda morte, il 2° de tolerando dolore, il 3° de
aegritudine lenienda, il 4° de reliquis animi perturbationibus, il 5°, continua
Cicerone, eum locum complexus est qui totam phil osophiam maxime inlustrat,
docet enim ad beate vivendum virtutem se ipsa esse contentam. Seguono i tre
libri De natura deorum, importanti per le teorie metafisiche e teologiche degli
Epicurei e degli Stoici. Un epicureo, Velloio, espone la teoria di Epicuro;
Lucilio Balbo stoico la teologia degli Stoici; Aurelio Cotta acca¬ demico
combatte gli uni e gli altri dal punto di vista delle dottrine probabiliste
della nuova Accademia. Si connettono col De natura deorum i libri De divina-
tione, nel 1° dei quali il fratello di Cicerone, Quinto, di¬ fende dal punto di
vista stoico la verità della divinazione, e nel 2° F augure Marco Tullio
Cicerone la combatte con una gragnuola di argomenti vivacissimi ; e così pure
si connette agli stessi argomenti il libro De fato, che ci è pervenuto
disgraziatamente con molte lacune, nel quale sono esposte molto sottilmente le
quistioni intorno al de¬ stino e il modo confesso possa conciliarsi con la
libertà umana: anche questa una delle controversie dibattute fra Stoici e
Accademici. Ci sono poi degli scritti minori, Oato maior de senectute, Laelius
de amicitia; anche i Paradoxa, scritti prima, nei quali Cicerone si diverte a
sostenere in linguaggio ora¬ torio, come un avvocato, sei dei piu famosi
paradossi stoici; e infine il grande trattato di morale pratica De officìis, in
tre libri. La filosofia sociale e la teoria del diritto erano state trattate
prima nei libri De republiea e in quelli De Legibus. Questi sono gli scritti
filosofici di Cicerone, dei quali egli stesso dice in ima lettera ad Attico:
àT:óypacpa sunt; minore labore fiunt; verba tantum afferò, quibus abundo: sono
riproduzioni, derivano da fonti greche: le quali parole sono state prese da
alcuni molto alla lettera, senza tener conto di quello che Cicerone ci ha messo
di suo, oltre le parole latine, e senza badare a quest 7 altre parole sue (De
fin. I, fi): non interpretum fungimnr munere, sed tuemur ea quae dieta sunt ab
iis quos probamus, eisque nostrum iudicium et no¬ strum scribendi ordinem
adiungimus. È noto il giudizio del Mommsen e di altri-: giornalista,
dilettante, compilatore frettoloso e confusionario. Un altro tedesco, lo
Ziegler, ha detto : il solo suo merito è di aver trovato parole e frasi latine
per rivestirne i pensieri greci, un merito che può essere stato utile più che
ai suoi con¬ temporanei, agli scolastici del medio evo e ai latinisti moderni.
Questi giudizi non sono giusti, non corrispondono alla realtà. Cicerone non è
un filosofo di professione: è un spirito colto, agile, curioso, che ha il gusto
delle idee generali, e considera la filosofìa come una parte essenziale della
cultura umana, importante soprattutto per la vita pratica. L’opera sua si può
considerare o come contributo alla storia della filosofia anteriore, o per le
dottrine e i risultati a cui egli è giunto. Come storico, Cicerone ha conosciuto
direttamente e sin da giovane le dottrine più recenti: lo stoicismo,
l’epicureismo, i nuovi Accademici fino a Filone ed Antioco : oltre a questi, ha
letto certamente scritti di Aristotile (probabilmente quelli che si dissero
essoterici, di carattere popolare) e di Teofrasto, conosce anche alcuni
dialoghi di Platone, si è provato a tradurre il Timeo, co¬ nosce Senofonte, gli
è familiare la figura di Socrate. Ora è un fatto che per tutto il periodo
postaristotelico, Cicerone è una delle fonti secondarie più importanti per le
preziose informazioni ch’egli ci dà sulle dottrine e le controversie di quel
tempo : egli ha letto libri che noi non conosciamo più; e non sono nemmeno
senza valore le indicazioni e notizie ch’egli ci dà, perchè le trova nei suoi
libri, sulla filosofia anteriore ad Aristotile, anche sui presocratici.
Cosicché, coi soli libri di Cicerone si può ricostruire, ed è stato fatto più
volte, tutta una storia della filosofia antica fino a lui. Si dirà: non è una
storia attendibile, non è una storia del tutto esatta: ha bisogno di essere
controllata, commentata e corretta. Ma si può doman¬ dare: qual’è lo scrittore
o doxografo antico di cui non si debba dire lo stesso, a cominciare da
Aristotile e da Teofrasto, che pure erano filosofi di protessione, e scri¬
vendo di storia della filosofia ci hanno dato notizie e in¬ terpretazioni del
pensiero altrui molte volte discutibili. Sarà sempre uno studio interessante il
cercare le fonti di cui può essersi servito Cicerone e come se n’ è ser¬ vito:
si potrà trovare che in qualche punto s’inganna, che può aver lavorato in
fretta, che parafrasando o ac¬ corciando gli è accaduto di fraintendere in
qualche punto la dottrina che espone: tutte cose su cui si può discu¬ tere caso
per caso ; ma dal dire questo al dire sommaria¬ mente che non capiva niente di
filosofia e non sapeva leggere i libri che aveva davanti, c’è una grande
distanza. Come ha detto benissimo il Giussani, è diventata una specie di moda o
di mania quella di parecchi critici di scoprire a ogni momento prove
dell’ignoranza o della irriflessione di Cicerone. Piò volte invece accade che
una più attenta considerazione può provare che chi non ha capito è il critico.
Ma questa non è nemmeno la cosa più importante. Anche ammessi tutti gli errori
parziali o di fatto che si attribuiscono a Cicerone, quello che non bisogna
dimen¬ ticare è che le idee e le dottrine della filosofia antica andavano
ripensate per poter essere dette in latino, e sono state ripensate e
rielaborate da un cervello non sco¬ lastico, coltissimo, aperto, ch’era anche
un grande scrit¬ tore, un maestro della parola, e si rivolgeva a un gran
pubblico, non fatto per le disquisizioni sottili o le finezze di scuola. Questo
ripensamento e questa trascrizione delle idee greche in un altro linguaggio non
è il primo venuto che poteva farla. Non solo ai suoi concittadini e
contemporanei, ma du¬ rante il Medio Evo, per quanto poteva essere conosciuto,
e più specialmente dalla Rinascenza in poi, le opere di Cice¬ rone hanno reso
all’umanità tutta quanta, alla cultura umana, un servizio immenso. « Le
esposizioni delle dottrine antiche che noi possiamo ora trovare superficiali o
anche in qualche punto inesatte, erano fatte con una grande chiarezza e in una
forma at¬ traente. Per uomini che non potevano leggere, e che anche potendo non
avrebbero capito Platone e Aristotile, che pure tutti citavano, Cicerone fu una
guida preziosa. Lo stesso carattere eclettico della sua opera era un pregio di
più : vi si trovava quello che gli antichi avevano pen¬ sato di più nobile, di
più grande e di più accessibile. Si di¬ rebbe che Cicerone avesse preparato per
gli uomini a cui la barbarie aveva impedito per più secoli di pensare, un
nutrimento intellettuale eh’essi potessero assimilarsi, a dir così il succo
della filosofìa antica; che li preparasse a com¬ prendere i filosofi greci
quando fossero stati loro accessi¬ bili, e li preparasse infine a pensare da sè
» ] ). Questo servizio, come interprete vivo, facile, eloquente, del pensiero
antico, egli ha continuato a renderlo anche dopo il Rinascimento, continua a
renderlo tutti i giorni, in tutte le scuole, dovunque s’impara a leggere e a
pen¬ sare leggendo le sue opere. - Rimane a sapere qual’è il valore di Cicerone
come filosofo, che cosa ha pensato lui, *) Queste parole sono del Picavet,
nell’ Introduzione alla sua edizione, con note, del II libro De Natura deorum
(Paris, Alcan)] ( qual’è e se c’è un contributo suo personale alla storia delle
idee. 3. - Cicerone non è e non pretende di essere un filo¬ sofo originale. Sa
di essere scolaro dei Greci e si trova davanti a dottrine discordanti, quando
già nelle scuole greche stesse è cominciato quel processo di ravvicina¬ mento e
di fusione che le porta a diventare eclettiche, ciascuna a modo suo. Qual’è
l’atteggiamento ch’egli prende? Cicerone si professa accademico, dice di
aderire alla teoria della conoscenza della nuova Accademia. Non già ch’egli
creda suo compito il trattare ex professo di questi problemi, riflettendo per
conto suo sulle condi¬ zioni e i limiti della conoscenza umana, come ha fatto
Cameade; no, egli non ha di queste ambizioni; ma tro¬ vandosi davanti al
contrasto delle sètte e delle opinioni su quistioni spesso sottili, su problemi
difficili a decidere, l’attitudine più savia gli pare quella del dubbio pru¬ dente,
raccomandato, com’egli crede coi suoi maestri, da Socrate e da Platone: egli
non è scettico ma probabilista: è la dottrina o meglio la disposizione di
spirito ch’egli chiama, meno arrogante, la più aliena dalle arroganze
dogmatiche; ed è anche conforme alla sua abitudine di sostenere il prò e il
contro di ciascuna causa, richiede agilità e versatilità di spirito, e si
presta agli sviluppi ora¬ tori, mentre nello stesso tempo lo tiene in guardia
dai paradossi stravaganti, e lo mantiene in contatto con le opinioni popolari.
E infine diciamo pure eh’è un’attitu¬ dine conforme alla sua natura ondeggiante
e diversa, al suo carattere spesso indeciso anche nella vita pratica. Ma
intanto quest’adesione al probabilismo accademico gli ha giovato a mantenere lo
spirito libero, a non farsi seguace di Una setta, a non giurare nelle parole di
un maestro: Vipse dixit dei Pitagorici non gli piace: nos in diem vivimus :
vuol conservare l’indipendenza del suo spi- rrito: la disciplina accademica non
solo gli pare la meno arrogante, ma la più elegante e la più coerente, non nel
senso eh’essa importi un sistema chiuso di dottrine che non si contradicono, ma
nel senso eh’essa suppone una disposizione di spirito che, dando la sua
adesione a ciò eh’è più verisimile, rimane sempre conseguente con se stessa: il
che gli ha permesso di prendere quello che gli pareva buono in ciascun sistema,
di libare tutte le dot¬ trine, di essere insomma l’interprete e il
volgarizzatore dei grandi pensieri di tutte le scuole antiche. Questa disposizione
di spirito, piuttosto che scettica, si potrebbe dire liberalo e non settaria,
senza partito preso, e Cicerone la descrive con parole che meritano di essere
ritenute : (De nat. deor. J, 12): « Noi non diciamo che non ci sia niente di
vero, ma al vero è mescolato il falso, bisogna essere canti nel giudicare e
nell’affermare : diciamo che ci sono molte cose probabili, le quali se pure non
dànno scienza certa, generano una convinzione che basta a gui¬ dare l’uomo
savio ». E in un luogo molto bello del libro II dei primi Accar- demici, al
cap. 3° è detto: « Fra noi e coloro che credono di sapere la verità delle cose
passa questo divario, ch’essi tengono per verissime le loro opinioni, mentre
noi ab¬ biamo sì molte cose probabili da seguire, ma non ci atten¬ tiamo di
spacciarle per certe. Così rimanendo assai più liberi e sciolti nel giudicare
{inteff tu nobis est iiidicandi potestas ), nessuna necessità ci costringe a
difendere delle dottrine prescritte e a dir così comandate ; mentre che gli
altri si trovano incatenati ad alcune dottrine prima che sappiano quale sia la
migliore: l e trascinati sin da giovinetti, nell’età più debole, da un amico
autorevole* o . presi dal discorso di un maestro eloquente, giudicano di cose
che non conoscono, e quasi fossero sbalzati dalla tempesta, s’attaccano come ad
uno scoglio al primo si¬ stema di cui hanno sentito parlare : ad quameumque
sant disciplinavi quasi tempestate delati, ad eam y tanquam ad saxum,
adhaerescunt ». O come dice altrove (De nat. deor. I, 5): obesi plerumque iis
qui discere volani, auctoritas eorum, qui se decere profitentur.
Quest’attitudine di riserva prudente egli mantiene spe¬ cialmente nelle
quistioni di fìsica, che del resto non sono di sua competenza, e sulle quali le
opinioni sono tante e così discordanti. Latent ista omnia. Noi non conosciamo
abbastanza nè il nostro corpo nè che cosa è l’anima, se è fuoco, aria o sangue,
se è mortale o eterna: nam in utramque partem multa dicuntur. Non possiamo
penetrare nè nel cielo nè dentro la terra. Tuttavia non crede che lo studio
della fìsica debba essere messo da parte. L’esame e la.considerazione della
natura sono una specie di nutri¬ mento (pabulum) per lo spirito. Diventiamo più
grandi, ci solleviamo al di sopra di noi stessi, sdegniamo le cose umane
tenendo l’occhio e la mente rivolti alle cose di¬ vine e celesti. La ricerca,
anche nelle cose più oscure, ha una grande attrattiva e procura una voluttà
umanissima. Ma da buon romano, nonostante quest’elevazione dello spirito, egli
ha poco gusto per la speculazione pura: apprezza di più la scienza eli* è utile
alla vita. E quanto più si avvicina allo studio dell’ uomo e ai problemi
pratici della vita morale e sociale, egli sente il bisogno di affer¬ mazioni
più decise. E tra il contrasto delle opinioni una sorgente o criterio di
verità, o vogliamo dire di probabilità massima, gli si apre, ed è la coscienza
naturale, quello che la coscienza comune e non falsificata di tutti gli uomini
rivela a cia¬ scuno, e che trova la sua conferma nel comensus gentium. Egli
ricorda il ‘conosci te stesso’ dell’oracolo e lo inter¬ preta in questo senso:
tutta quanta la filosofìa è un com¬ mento, uno sviluppo della conoscenza di se
stessi, di quello che la coscienza ci rivela. Gli Stoici e in un certo senso
anche gli Epicurei avevano parlato di nozioni comuni, che si formano
naturalmente in ogni coscienza. E Filone di Larissa deve avergli insegnato che
ci sono delle nozioni evidenti, perspicue, impresse dalla natura nella mente e
nell’animo di ciascun uomo. Egli trova che fra gli uomini nessuna gente è così
fiera, così selvaggia che non abbia il concetto della divinità, anche se non
sappia quale ne è la natura. Egli non ignora che anche qui le opinioni sono
discordi, e conosce pure le difficoltà del problema; e se gli domandate, quid
aut quale sit Deus, egli vi risponderà come Simonide, il quale interrogato su
questa quistione dal tiranno Jerone, do¬ mandò un giorno per rifletterci su, e
poi due e poi quattro, e finì col rispondere: quanto più ci penso, tanto mihi
res videtur obscurior. Ma ciò nonostante non è una credenza arbitraria: Omni
autem in re consensio omnium gentium lex na- turae putanda est. E oltre il
consenso delle genti, è anche molto plausibile, il più plausibile fra tutti,
1’argomento delle cause finali, ricavato dall’ordine e dalla bellezza del
mondo, ch’egli espone con molta eloquenza, quantunque non trovi sem¬ pre
concludenti o del tutto convincenti le argomenta¬ zioni degli Stoici per
provare la provvidenza e l’ottimismo, e che sono fatte più per rendere dubbia
la cosa che per chiarirla. Ma insomma egli crede agli Dei, anzi a una divinità
unica: è un’idea alla quale la mente degli uomini è naturalmente condotta. E lo
stesso si può dire dell’anima umana, che dev’es¬ sere una natura singolare,
diversa dagli altri elementi ter¬ restri che ci’sono più noti. i^Toi non
possiamo vantarci di conoscere la natura dell’anima; ma gli elementi dei corpi
che noi conosciamo, l’acqua, l’aria o il fuoco non potreb¬ bero spiegare la
conoscenza, la memoria, la previsione dell’avvenire, le altre funzioni
psichiche: e dalle opere di Cicerone si può ricavare un piccolo trattato di
psico¬ logia, che non sarà quello degli scienziati moderni, ma che contiene
delle descrizioni eccellenti, e sempre vere, dei principali fatti della coscienza,
compresi gli affetti e le passioni umane, ricavate dall’osservazione interiore
e dall’ esperienza della vita, seguendo anche in questo na¬ turalmente i suoi
maestri, Platone e Panezio e Posidonio. Egli difende la libertà umana contro il
fato degli Stoici, e crede anche nell’immortalità come una cosa infinita¬ mente
probabile. Quod si in hoc erro, libenter erro. E nel Sogno di Scipione, dove
sono descritte le sfere ce¬ lesti e la loro armonia, e la sede dei beati, è
affermata con gli argomenti platonici l’immortalità delle anime umane.
Soprattutto quello che la coscienza ci rivela è la legge morale, eh’ è una
legge della ragione, la quale ragione è il privilegio dell’uomo sui bruti,
l’attributo divino nel- l’uomo, e il legame che lo congiunge ai suoi simili.
Così Cicerone crede di avere scoperto nella coscienza stessa del genere umano i
fondamenti di cui ha bisogno per la sua dottrina morale. Opinionum enim
commenta delet dies, naturae iudìcia confirmat. E ricordandosi dei dubbi
accademici, egli scrive, avendo appunto in mente i pro¬ blemi morali, quelle
parole così caratteristiche: perturba- tricem miteni harum omniam rerum
Academiam liane reeentem exoremus ut sileat. È la dottrina ch’è stata chiamata
del senso comune, ch’è riapparsa più volte nella storia della filosofìa. Ma
l’interesse storico dell’eclettismo ciceroniano sta appunto in questo: che noi
vediamo com’esso è nato. Quello che Cicerone presenta come rivelazione della
coscienza comune è il pre¬ cipitato di tutta la speculazione greca anteriore,
risultato di quella fusione che s’era venuta operando tra le ten¬ denze affini
delle tre scuole derivate da Socrate: plato¬ nica, aristotelica e stoica, e che
hanno per base la con¬ cezione teleologica, il valore cosmico e antropologico
che attribuiscono alla ragione, e il pregio eminente in cui ten¬ gono la virtù
come il massimo dei beni o la condizione essenziale della felicità. Rimane
esclusa, come ho già avvertito, da questo pro¬ cesso di fusione la scuola
epicurea con la sua concezione meccanica e con la sua formula pericolosa della
voluttà, che si presta ai malintesi e agli eccessi. E nel fatto Cice¬ rone,
indulgente e tollerante con tutte le scuole, combatte aspramente, fino all 1
ingiustizia, l’Epicureismo, trovandolo inconseguente in quello che può avere di
buono, e pur avendo la più grande stima del carattere di Epicuro stesso e di
alcuni degli Epicurei ch’egli ha personalmente co¬ nosciuto: io combatte anche,
oltre che per tutte le altre ragioni, perchè l’Epicureismo non possiede secondo
lui una base su cui fondare i doveri civili, che a lui stanno tanto a cuore. Ma
tra tutte le altre scuole egli trova che le affinità sono maggiori e più
importanti che le diffe¬ renze, e sceglie e adatta quello che gli pare più
utile e più conveniente. E lo guida, oltre il talento straordinario dello
scrittore e dell’oratore, un grande buon senso, una grande rettitudine, e un
certo istinto generoso che lo porta verso ciò eh’ è nobile e grande. 1 _ E una
volta eh’è sul terreno della morale, egli non si \ tiene sulle generali, ma
costruisce in tutti i particolari un trattato di morale eh’è fino al giorno
d’oggi un perfetto manuale dell’onest’uomo e del buon cittadino: il De of -
Jiciis. Nel quale segue, come abbiamo detto, lo stoico Pa- / nezio, e inclina
egli stesso verso lo stoicismo nel proda- ^ mare il pregio incomparabile della
virtù : ma i paradossi stoici urtano il suo buon senso; ed egli tempera la dot¬
trina morale con la misura dei peripatetici, ricollegandola anche ad alcune
delle speculazioni e delle speranze del Platonismo, come quella
dell’immortalità. Proclama la virtù gratuita, disinteressata, e illustra la
dottrina con esempi presi dalla storia romana, esempi di disinteresse, di forza
d’animo, di disprezzo della morte, di fedeltà al dovere, di amore alla patria.
Traduce il xaXóv dei Greci con l’honestum, e considera come parti dell’onesto
le quattro virtù cardinali, su ciascuna delle quali dice cose sapienti, non
dimenticando la beneficenza accanto alla giustizia, la charitas generis Immani,
e non dimenti¬ cando i doveri del deco rum, di ciò eh’ è conveniente e della
cortesia, il che rivela il buon gusto oltre che la coscienza delicata. È un
trattato compiuto di morale individuale e sociale; e soprattutto le tesi
sociali dello stoicismo egli si assimila esponendole con la magia e col fascino
della sua eloquenza. Già nel De republica aveva esposto la teoria del go¬ verno
misto, come il migliore dei governi, trovandone la conferma e l’applicazione
nella vecchia costituzione ro¬ mana. E nel De legibus aveva esposto le basi
lìlosofiche del diritto: su queste idee, attinte ai suoi maestri stoici, egli
ritorna sempre. La vera legge è la diritta ragione, conforme alla natura,
dappertutto diffusa, costante, eterna. £Ton ò altra in Atene e altra a Itoma.
Ohi la rinnega rinnega la natura umana, rinnega se stesso. Questa legge eterna
e immutabile è il fondamento di ogni diritto, la regola e la misura delle
legislazioni umane. Essa stabi¬ lisce fra tutti gli uomini, che partecipano
della ragione, una società naturale, una società di giustizia e di amore.
Espressa da quest’oratore e uomo di Stato, la grande idea dell’umanità e del
diritto umano esce dall’angustia delle scuole per entrare nel mondo della vita
e della cul¬ tura, e agisce nei secoli a traverso tutta la storia T ). Ho
accennato ai giudizi di alcuni tedeschi. Giustizia vuole che si dica che non
tutti i tedeschi la pensano allo stesso modo. Uno di essi, 1’ Hiibner (Deutsche
Rundschau, 1899), citato dal prof. Pasdèra nella Prelazione alla sua edizione
del Sogno di Scipione, parlando dell’azione eser- *) Jankt et Séaillks, nini,
de la Philosophie (Paris, Del agrave).] citata da Cicerone sulla cultura dei
popoli dell’ Europa, dice: Pure ammettendo che la grande maggioranza delle
persone colte non legga più gli scritti di Cicerone nè prenda esempio dalla
bellezza della loro forma, certo non è perduta per l’umanità la profonda
influenza eh’essi hanno esercitata sul pensiero e sulla parola di tanti spiriti
illuminati, non è perduto il sentimento di nobilissima umanità che in essi
vive. Il che vuol dire che Cicerone è stato e sarà sempre un grande educatore,
del quale bisogna parlare con rispetto e con gratitudine. SENECA 1. La scuola
dei Sestii - 2. Seneca, le sue qualità di mora¬ lista e di scrittore - 3. Le
sue idee su la società, Dio e Tanima umana - 4. Seneca e S. Paolo. 1. - Dopo
Cicerone, la filosofìa acquista a Roma una grande importanza tra le persone
colte, diventando sempre più pratica e popolare. Cicerone scriveva alla vigilia
delle ultime proscrizioni delle quali egli stesso doveva essere vittima, e nei
suoi trattati c’era ancora l’eco delle dispute agitate nelle scuole greche;
dopo di lui, terminate le lotte della vita pubblica, stabilito l’impero, la
filosofìa risponde al bisogno di tutti quelli che vi cercavano un rifugio, una
consolazione, dei principi salutari, una regola di con¬ dotta. Sotto Augusto
cresce il numero dei suoi adepti: poeti e storici, giureconsulti e uomini di
Stato se ne oc¬ cupano; Orazio stesso, che qualche volta deride i filosofi per
i loro paradossi, è filosofo a modo suo, molto savio e di molto buon gusto, ora
stoico ora epicureo, e fa spesso il suo esame di coscienza, ha delle
preoccupazioni morali, maestro nell’arte di vivere. Nelle grandi famiglie i
filosofi entrano come precettori, consiglieri e consolatori, hanno cura
d’anime. Seneca ci parla di un condannato a_morte, che andando al luogo del
supplizio, è accompagnato dal suo filosofo, prose- quebatur illum philosophus
suus, col quale s’intrat¬ tiene dell J immortalità dell’anima. Quando Livia, la
moglie di Augusto, perde il figlio Druso, essa si rimette per es¬ sere.
consolata nelle mani di Areos, il filosofo di suo ma¬ rito: era il confessore,
il confidente dell’uno e dell’altra. E c’è pure un insegnamento pubblico di
filosofia, che da Cicerone a Seneca è rappresentato da un gruppo di uo¬ mini, i
quali fecero l’educazione della gioventù d’allora. Sono innanzi tutto i due
Sestii padre e tìglio. Quinto Sestio era un romano di buona famiglia, che al
tempo della dittatura di Cesare andò a studiare filosofìa in Atene, e poi venne
a professarla a Roma. Attorno a lui e a suo figlio si formò una scuola, la
cosiddetta scuola dei Sestii, che ebbe un certo splendore, esercitò molta
efficacia: essi lot¬ tano con energia contro i vizi del secolo, e mettono in
uso certe pratiche inorali come l’esame di coscienza, una pratica già
raccomandata dai pitagorici, i quali pare che i Sestii seguissero anche
nell’astenersi dalle carni di animali. Altri professori illustri della stessa
scuola furono So- zione di Alessandria, che s’avvicina ancora più al pita¬
gorismo insegnando la metempsicosi, Attalo stoico e Fa¬ biano Papirio, un
declamatore del tempo di Augusto, che s’era fatta una grande riputazione nelle
scuole, trattando quelle cause immaginarie su cui si esercitava allora' l’elo¬
quenza dei retori. Fu convertito da Quinto Sestio alla filo¬ sofìa, e continuò
a declamare, a parlare pubblicamente di argomenti filosofici. L’insegnamento
così non fu più limi¬ tato a un gruppo d’iniziati o di adepti, ma diventò una vera
predicazione: la filosofia s ? indirizza alla folla, diventa eloquente, cerca
di essere persuasiva ed efficace. Fabiano Papirio specialmente ebbe un grande
successo: aveva una fìsonomia dolce, una maniera di parlare semplice e sobria:
10 ascoltavano con un’attenzione rispettosa; ma a volte V uditorio, colpito
dalla grandezza delle idee, non poteva trattenere delle grida di ammirazione.
Un altro che attirò l’attenzione della gioventù romana fu il cinico Demetrio,
ille semimidus, cencioso, come lo chiama Seneca, con la stranezza delle sue
maniere e la foga della sua parola, tutto energia e disprezzo del do¬ lore e
della morte: riappariscono i Cinici, che sono come ' sempre l’esagerazione
degli Stoici. Del resto, qualunque sia il nome che portino, tutti questi
filosofi erano più o meno stoici. Non si trattava per loro di scoprire verità
nuove, ma di applicare le grandi verità morali e le massime di condotta già
fissate dagli antichi saggi. Come dice ancora Seneca, i rimedi dell’anima sono
stati trovati prima di noi: non ci resta che cercare in che maniera e quando
bisogna applicarli. La tristezza dei tempi e il dispotismo imperiale che di¬
venta sempre più pazzo e violento dànno, come ha detto 11 Boissier, un
terribile, a propon allo stoicismo, il quale diventa una fede ardente, la
religione delle anime libere: l’anima ha bisogno d’irrigidirsi nel sentimento
della sua forza e della sua dignità in mezzo a quelle sventure e a quei
pericoli che a ogni momento la minacciano. Per questo la filosofia ebbe l’onore
di essere odiata da¬ gl’ imperatori : essa e la Storia erano, come dice Tacito,
ingrata principiòus nomina. La filosofia ebbe i suoi devoti e ì suoi martiri, a
cominciare da Catone, che rifiuta la vita cercando libertà, e venendo alle
vittime di Nerone illustrate da Tacito, come tra gli altri, Trasea Peto, assi¬
stito negli ultimi suoi momenti dal cinico Demetrio; e poi lo stesso Seneca,
sul quale dobbiamo fermarci ] ). 2. - L. Anneo Seneca, figlio di Seneca il
retore e di Elvia, nacque a Cordova nell 7 anno 3 o 4 dell 7 e. v. Venuto a
Roma col padre che non amava la filosofia, e avrebbe voluto farne un oratore,
fu scolaro di quei moralisti della scuola dei Sestii, Sozione, Attalo, Fabiano
Papirio, la cui maschia e severa dottrina fece sopra di lui la più viva
impressione. Si fece conóscere per la sua eloquenza, entrò nella via degli
onori, fu accolto e apprezzato nella più alta società di Roma. Sotto
l’imperatore Claudio fu esi¬ liato in Corsica per gl’intrighi di Messalina;
dopo otto anni è richiamato per opera di Agrippina che gli affida l’educazione
del giovane Nerone. Del quale dunque fu precettore e poi ministro: caduto in
disgrazia nel 62, morì nel 65 per ordine dell’imperatore. Mescolato
agl’intrighi e ai delitti della corte imperiale che non seppe o non potè
impedire, il suo carattere è Stato molto discusso, special- mente per le
immense ricchezze eh’ egli possedeva, in gran parte donategli dall’imperatore,
e per la parte che può avere avuto nell’assassinio ! di Agrippina per opera di
Ne¬ rone, in nome del quale Seneca scrisse una lettera giu¬ stificativa al
Senato, presentando la morte di Agrippina come un suicidio. Ma quali che
possano essere state le J ) Cfr. Martha, Les moralistes souti l’empire romaìn;
Boissier, La religion romaine d’Auguste aux Antonina; Havet, Le Cliristianisme
et ses origines, * 2° voi.; il capitolo su Seneca del Pichon nella sua Hist. de
la Lìti, latine (Hachette) ; o uno studio del prof. Pascal nel voi. Figure e
caratteri (Sandron). sue debolezze, egli le riscattò da filosofo con una bella
morte, eh’è raccontata da Tacito. Impeditogli di far te¬ stamento, diceva di
lasciare agli amici l’immagine della sua vita. Non fu senza ambizione e senza
vanità, e non uscì immacolato dalla vita, in quei tempi e in quella corte; ma
non gii si può negare un certo entusiasmo sin¬ cero e l’aspirazione verso il
bene. Le opere di Seneca che si riferiscono alla filosofìa sono i trattati
morali: de provìdentia, de comtantia sapienti», de ira, de vita beata, de olio,
de tranquillitate animi, de bre- vitate vitae, de elementia, de beneficiis; le
Consolazioni ad Marciavi, ad Polybium, ad JSelviam matrem; le Lettere morali a
Lucilio che sono 124, l’ultima, la più matura e la più importante delle opere
di Seneca; e infine le Qui- stioni naturali, che trattano di argomenti di
fisica, fecero testo e godettero di molta autorità durante il Medio Evo; ma vi
si tratta anche di argomenti morali., Seneca si prolessa stoico, e degli
scrittori latini è l’in¬ terprete più compiuto della dottrina stoica, di cui
ripro¬ duce i dogmi con una certa enfasi, non scevra di decla¬ mazione e di
retorica. Ma è eclettico anche lui e impara da tutte le scuole: Cita spesso
anche Epicuro, verso il quale è più giusto degli nitri Stoici. Egli stesso
confessa: Solco in aliena castra transire, non tanquam transfuga, sed tanquam
explorator. La sua specialità è il genere monitorio e precettivo; e il suo
capolavoro ò una raccolta di consigli e precetti morali a Lucilio, suo amico,
un cavaliere romano ch’era procuratore in Sicilia, amministratore finanziario
della provincia, e ch’egli guida e dirige da lontano coi suoi consigli. * E' 1
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA 223
Seneca non ama la folla, non pensa al gran pubblico: Satis sunt mifii patiti,
satis est unns, satis est nullws. La sua opera non è di un predicatore, ma di
un di¬ rettore delle coscienze. Ed egli sa adattare il suo inse¬ gnamento
secondo le persone e le circostanze. Aliter cum alio agendum: egli consola
quelli che hanno bisogno di essere consolati, spinge all’azione le nature
fiacche e molli, ridesta la forza di quelli che s’annoiano, predica il ritiro e
la solitudine a quelli che amano troppo la vita mondana. E in quest’opera di
moralista pratico egli porta una grande conoscenza della vita, l’esperienza di
un uomo che conosce il mondo, la corte, le passioni, le inquietu¬ dini e i
bisogni del cuore umano: sicché i suoi trattati e specialmente le sue lettere
sono importanti non solo per le verità morali che contengono, ma anche come studio
dei caratteri e delle passioni del suo tempo e di tutti i tempi. La sua
psicologia è molto più raffinata di quella di Ci¬ cerone, e c’è in Ini una
preoccupazione della vita inte¬ riore e della perfezione morale, in ciò che ha
di più in¬ timo, che non c’è in Cicerone. Egli propone come un ideale di
perfezione la virtù stoica, ma sa adattarsi alle circostanze, e consente quando
occorre alle debolezze della natura umana: di qui le con¬ tradizioni che gli
rimproverano, e che derivano dalle con¬ dizioni speciali in cui si esercita il
suo insegnamento. S’aggiunga, per spiegare l’impressione che fa Seneca,
l’efficacia di uno stile non senza artifizio, ma concettoso, sentenzioso,
energico, a frasi spezzate e serrate, con qual¬ che cosa di brusco e di
veemente. La grande frase, il periodo ciceroniano si spezza: ne prendono il
posto dei periodi brevi, a scatti, con frequenti antitesi, e sentenze aguzzate
e raffinate, piene di energia: anche questo un carattere che lo ravvicina al
gusto di noi moderni. La morale di Seneca, guardata nel suo insieme, è, come .
quella di tutti gli Stoici, un’àpologìà perpetua della vo¬ lontà morale di
fronte a tutto ciò che tende a limitarla e asservirla. La fortezza dì fronte
agli attacchi della for¬ tuna, il disprezzo dei beni esterni, la serenità
davanti alla morte, questi e gli altri temi abituali della predicazione stoica
sono anche i suoi : egli ne rinfresca l’espressione col suo accento passionato
e concitato, che dà a quelle massime forza e rilievo.Soprattutto non bisogna
dimenticare quel sapore di at¬ tualità che, come abbiamo accennato, avevano le
idee stoiche in quella condizione dei tempi e in bocca di Se¬ neca. Già questa
attualità o riscontro nella realtà co¬ mincia ad essere un fatto anche con
Cicerone. Il quale, quando scrive nelle Tusculane de eontemnenda morte o de
tolerando dolore, non scrive di temi astratti e retorici, ma di pericoli
imminenti, in tempi già diventati iniqui e tristissimi, tra gli orrori delle
guerre civili e delle pro¬ scrizioni. Con l’impero, dopo Augusto, la situazione
si aggrava, diventa intollerabile. In mezzo a quell’orgia, a quei delitti, a
quella tirannide che non ha più niente di umano, la sola cosa che l’anima umana
può salvare è la sua libertà e il sentimento della sua dignità. La filosofia
compie l’ufficio suo predicando la forza della volontà, la purezza interiore,
il disprezzo di tutto ciò che non di¬ pende da noi, il disprezzo della vita. He
nasce una situa¬ zione violenta, che si riflette anche nello stile di questi
scrittori, come ha osservato con molta finezza l’Havet. Biblioteca Comunale
“Giuseppe Melfi” - San Pietro Vernotico (BrSENECQuando noi leggiamo in Seneca e
negli altri stoici che la povertà, V esilio, le torture, la morte stessa non
sono nulla, noi diciamo eh’ essi declamano; e in un certo senso è vero; ma la
loro declamazione è come imposta dalla situazione, è l’espressione esagerata di
un sentimento legittimo e naturale. Essi declamano perchè sentono il bisogno di
sii dare la forza brutale che dispone di tutte le maniere per far soffrire. In
quella declamazione non tutto è effetto dei vizi letterari del secolo, c J è
anche qualche cosa di sincero. Il filosofo è portato a prendere un tono
veemente: la sua enfasi, le sue ripetizioni insi¬ stenti, il gesto concitato
che sembra accompagnare la pa¬ rola, sono altrettante proteste di una coscienza
che la forza vorrebbe far tacere, e che non tace, ma ha bisogno di gridare per
farsi ascoltare. 3. - È di Seneca la sentenza che dice : Non scftolae sed vitae
diwimus. Salvo che questo motto non va inteso nel senso ' utilitario in cui
oggi è così spesso ripetuto. Nemmeno Epicuro lo avrebbe inteso in questo senso.
Quando i moralisti antichi dicono di voler insegnare a vivere, hanno in mira la
salute e la perfezione dell’anima, non gli agi, le comodità, l’apprendi mento
delle arti utili alla vita: la sola arte eh 7 essi insegnano è l’arte stessa di
vivere: artifex rivendi, come dice Seneca del saggio. Un’altra conseguenza di
quella situazione che abbiamo detto è che le differenze esterne fra gli uomini
spariscono. Nella servitù comune, nella quale tutti gemono e temono in quelle
vicende inopinate della fortuna, i grandi non hanno più ragione di disprezzare
le miserie dei piccoli, nè gli uomini liberi quelle degli schiavi. In Seneca le
grandi tesi sociali e umanitarie dello stoi¬ cismo sono riprese con un nuovo
accento, più forte e più intimo. Egli vede negli schiavi degli amici di
condizione inferiore, humiles amici; sono degli schiavi, ma sono degli uomini:
imo homines. Egli condanna i giochi dei gladiatori, che Cicerone, quantunque
non li amasse, giustificava ancora come una scuola di coraggio per fortificare
l’animo degli spettatori contro il dolore e la morte, quando quelli che si
vede¬ vano combattere erano dei malfattori. Seneca non li può soffrire sotto
alcun pretesto, non vuole che s’insegni al popolo la crudeltà: quest’uomo è un
brigante, merita di essere punito; ma tu, disgraziato, che hai fatto per es¬
sere condannato a questo spettacolo? E in quest’ordine d’idee trova la
meravigliosa espres¬ sione: homo res sacra homini; e condanna pure la guerra,
dicendo che la natura ha fatto l’uomo per la dolcezza (mitissinutm genus),
dimenticando forse che ci sono delle guerre giuste e anche pietose, quando
bisogna difendersi dai briganti e dagli assassini. E celebra con parole che
hanno del mistico la solida¬ rietà umana e i suoi dovevi: nell’ep. 95: membra
sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit: di qui l’amore reciproco e
ciò che ci rende socievoli: la giustizia e il diritto non hanno altro
fondamento : è più miserabile il nuocere altrui che l’essere offeso: siano
sempre pronte le mani a giovare, e abbiamo sempre nel cuore e nella bocca quel
verso: Homo sum, nihil Immani a me alienum puto. E aggiunge: la società umana è
come una vòlta che cadrebbe se le singole pietre non si sostenessero a vi¬
cenda. Esorta alla bontà, alla clemenza, al beneficare, al per¬ dono delle
offese. Ubieumque homo est, ibi benefica locus est. Non desinemus opem ferve
etiam inimicis. Alteri vivas oportet si vis Ubi vivere. Questa morale, che con
la sua umanità e la sua mitezza si stacca sul fondo di quella tristezza di
tempi crudeli e violenti, ha già un carattere e un’ispirazione religiosa.
Questo caràttere religioso si accentua ancora di più in alcune delle idee che
Seneca esprime intorno alla divi¬ nità, alle relazioni dell’uomo con Dio, e al
destino del¬ l’anima umana. Anche per lui, come per tutti gli Stoici, il
concetto di Dio oscilla tra il panteismo e il teismo. Quid est Deus? Mens universi.
Quid est Deus ? quod vides totum et quod non vides totum. Ma nella sua opera di moralista consolatore e
direttore delle cosciente egli non può a meno di met¬ tere in evidenza gli
attributi personali della divinità, con¬ cepita non solo come ragione
universale, ma coi suoi attributi morali di bontà, di clemenza, di
sollecitudine per gli uomini. Nulla è nascosto a Dio, egli è presente agli
animi nostri, vicino a noi: prope est a te Deus, tecum est, intus est. Sì, o
Lucilio, egli continua^ nella lettera 4P, saeer intra nos spiritus sedei,
malorum bonorumque nostr orimi ohservator et custos. Dio non si onora coi
templi nè si rende propizio sol¬ levando in alto le mani supplichevoli, ma con
la purezza del cuore e della vita : vis deos propiUare ? bonus esto. Satis
illos coluit, quisquis imitatus est (Lett. 95). È dunque sulla virtù che si
fonda questa relazione tra l’uomo e Dio, del quale è detto: patrium Deus habet
adversus bonos viros animum, et illos fortiter amai. Un Dio cosiffatto non è
una pura astrazione filosofica, ma è oggetto di adorazione religiosa : il
rapporto religioso è un 1 rapporto intimo tra due persone, l’una delle quali si
sente dipendente dall’ altra. Dio comunica con noi, ri¬ siede in noi, ci ama ed
è amato da noi: colitur et amatur; e noi P invochiamo perchè, com’è detto
altrove, da lui ci vengono le risoluzioni grandi e forti: ille dat constila ma¬
gnìfica et creda: c’ispira e ci sostiene: si direbbe che in que¬ ste parole è
toccata o intraveduta la dottrina della grazia. Notevoli pure sono i concetti
intorno all’uomo, alla natura e al destino dell’anima. L’uomo non ha ragione di
vantarsi, di essere orgoglioso: idem semper de nobis pronuntiare débébvmus,
malos esse nos, malos fuisse, invitus adieiam et fiutar os esse . Peccavimus
omnes. E solo a traverso gli errori noi giungiamo alla virtù: anche il migliore
fra noi ad innocentiam tamenpec¬ cando pervenit. E l’inìzio della salvazione è
la conoscenza del peccato. Initium est salutis notitia peccati } una sentenza
di Epicuro, che Seneca si appropria. La vita è una lotta, una milizia: c’è
dentro dell’uomo una lotta continua tra la carne e lo spirito, tra il corpo,
eh’è come un peso o una prigione, e lo spirito sacer et aeternus che aspira
alla sua liberazione: gravi terrenoque detineor carcere. 1 Ohi mi libererà da questo
corpo di morte?’ griderà S. Paolo. Nell’anima stessa c’è qualche cosa
d’irrazionale: quel dualismo platonico che Posidonio aveva introdotto nella
dottrina stoica, è conservato da Seneca, e n’è resa più acuta, più accentuata
l’espressione: diventa il contrasto tra la carne e lo spirito, eh’è tanta parte
della conce¬ zione cristiana. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) SENECA La vita è dunque una guerra continua. Nóbis militan- dum
est, ed è un genere di milizia che non consente ri¬ poso. Bisogna essere
vigilanti con se stessi, bisogna com¬ battere con le passioni, col dolore, col
piacere, con la fortuna, con la povertà, col nostro proprio cuore: Proiice
quaecumque cor tuiim laniant ; quae si aliter estrahi nequi- rent, cor ipsum
cimi illis revellendum crai, parole energiche die ricordano quelle
dell’Evangelo: se il tuo occhio de¬ stro ti scandalizza, strappalo e gettalo da
te. Seneca ha il sentimento più vivace della miseria umana: Omnis vita
supplicmm est. Per questo la morte è una li¬ berazione, e come il porto nel
quale troviamo il rifugio dal mare agitato della vita. Dell’ immortalità Seneca
non parla sempre allo stesso modo. Ipotesi, speranze, le opinioni diverse
s’avvicendano nei suoi scritti. MS, non di rado, specialmente quando si rivolge
ai suoi corrispondenti per consolarli della morte dei loro cari, egli prende un
tono più affermativo. La morte è l’inizio, il giorno natale di una nuova
esistenza. IMes iste quem tanquam extremum reformidas, aeterni na- talis est.
Il corpo è un breve ospizio dell’anima: si dissi¬ peranno le caligini che
circondano la nostra esistenza, la luce divina ci apparirà nella sua sorgente,
e con essa la grande eterna pace. Si potrebbero moltiplicare le citazioni, ma
basteranno. Sono queste idee che hanno fatto credere a una ispira¬ zione
cristiana degli scritti di Seneca. Seneca saepe noster, diceva già Tertulliano.
4. - Qui bisogna sapere una cosa. Kel 61 d. 0., quattro anni prima della morte
di Seneca, giungeva a Roma un piccolo ebreo, Paolo di Tarso in Ciiicia, il
quale accusato e perseguitato da altri ebrei, si appellava, nella sua qua¬ lità
di cittadino romano, dal giudizio delle autorità im¬ periali in Giudea, a
quello dell’imperatore. Fu condotto davanti al prefetto del pretorio eli’era
Burrus, amico e collega di Seneca come ministro di Nerone. Giudicato
favorevolmente, l’apostolo fu lasciato libero o quasi libero durante due anni,
dei quali profittò per diffondere la sua dottrina, e pare che facesse dei
proseliti anche nel palazzo imperiale, fra gli schiavi o i liberti della casa
di Nerone. Si disse per esempio che Atte, la gio¬ vane eh’ era stata amata da
Nerone, e che poi abbando¬ nata fu la sola che ne cercasse il cadavere, quando
egli fu obbligato ad uccidersi, per dargli sepoltura, fosse stata convertita al
Cristianesimo. Atte, come sappiamo da Ta¬ cito, era personalmente conosciuta da
Seneca. Bisogna aggiungere che anche prima della venuta a Poma, Paolo, accusato
dagli ebrei di Corinto, s’era tro¬ vato a contatto con un proconsole romano, ch’era
quel Gallione di cui parlano gli Atti degli Apostoli, e che si rifiutò di dare
ascolto ai suoi accusatori, trattandosi di cose die non lo riguardavano
(polemiche religiose tra Ebrei). Ora si dà il caso che questo Gallione era
fratello di Seneca, e si chiamava così perchè adottato da un Gallio, di cui
portava il nome: il suo nome di famiglia era Anneo Novatus, ed era fratello
maggiore di Seneca. Fatto sta che a poco a poco si formò la leggenda che Seneca
e S. Paolo si fossero conosciuti, anzi fossero diven¬ tati amici, e che
l’apostolo avesse convertito il filosofo, e si fossero scambiate anche delle
lettere, 14 delle quali sono giunte fino a noi: e in base a queste lettere S.
Girolatno, nel quarto secolo, enumerando gli scrittori eccle¬ siastici dei
primi secoli, vi mette anche Seneca. È una leggenda che ha avuto corso per
tutto il Medio Evo, e anche alcuni moderni vi hanno creduto. I^a qui- stione è
stata agitata più volte l ). Le conclusioni sono queste: La corrispondenza è
certamente apocrifa, scritta in un latino che non è nè classico nè argenteo; e
del resto è insignificante, e qualche volta buffa. Per es. c’ è una let¬ tera,
la 7% nella quale Seneca informa il carissimo amico Paolo che l’imperatore è
stato molto colpito dalla sua dottrina, e che sentendo leggere un certo esordio
di Paolo sulla virtù, avrebbe detto: mi meraviglio come un uomo che ha ricevuto
un’istruzione regolare possa avere di tali sentimenti. E nella stessa lettera
gli scrive: lo Spi¬ rito Santo ti fa dire delle cose sublimi, ma appunto jier
questo mi piacerebbe che avessi un po’ più cura della forma, ut maiestati earum
rerum cuìtus sermonis non desti. E in un’altra lettera, da uomo soccorrevole,
gli manda un libro de copia verborum. E non parliamo delle risposte di Paolo.
Sono inezie da una parte e dall’altra. La cor¬ rispondenza è certamente una
falsificazione, e anche poco abile. Rimane la quistione se Seneca e S. Paolo si
sono co¬ nosciuti. E se per conoscersi s’intende il semplice fatto di vedersi,
incontrarsi, scambiare qualche parola più o ] ) Si possono consultare un libro
dolLAutìERTiN, Sénèque et S. Paul f e un articolo magistrale di Ferd. Bat.tr
nella Zeitschr. f. wias. Tipologie, t. 1°, 1858, ristampato da Zeller in un
voi. dì Abhandlungen del Baur (1875); e più brevemente quello che ne dice il
Boissier nel libro che ho citato : La religion ro inaine.] meno insignificante
o per ragioni di affari, non possiamo dire nè sì nè no, non ne sappiamo nulla.
Quello che importa è che, anche dato e niente affatto concesso che Seneca abbia
conosciuto o avvicinato l’apo¬ stolo, certamente non gli deve nulla nè per
quello che riguarda le idee, nè le espressioni. E questo per le seguenti
ragioni: ! 1° ed è la ragione più ovvia, le idee di Seneca sulla provvidenza,
sulla natura dell’uomo, sulla vita morale si trovano già nelle opere sue
anteriori a questa pretesa co¬ noscenza con S. Paolo ; 2° quando si leggono
quelle idee, non come frasi staccate ma al loro luogo, in connessione con tutto
il resto, fanno parte di un discorso nel quale Seneca con¬ tinua a professare
le dottrine stoiche, alle quali ha sem¬ pre aderito; e non c’è nulla in quelle
idee stesse di sapore cristiano o che sembrino tali, che non trovi il suo
riscontro non solo nei vecchi stoici, ma in tutta la tradizione filo¬ sofica
anteriore, in Platone, in Epicuro, in Cicerone; 3° e soprattutto, se Seneca e
S. Paolo si fossero co¬ nosciuti e si fossero messi a discorrere di filosofia e
di religione, non si sarebbero intesi affatto, in nessun modo, per la
differenza radicale e insanabile che c’è tra i due modi di considerare il mondo
e la vita. Già Seneca non avrebbe potuto comprendere nulla di tutta la parte
storica e dogmatica del pensiero di Paolo, voglio dire di quei fatti e di quei
dogmi che sono come i cardini del suo apostolato: il peccato di Adamo, la ve¬
nuta del Messia, la morte e la risurrezione di Cristo, la redenzione di tutti
gli uomini fondata sulla fede in questo fatto della risurrezione: sono fatti
così miracolosi, e interprelazioni di questi fatti così lontane, così aliene da
una mente educata nel razionalismo greco-romano, che Seneca, quando pure non
avesse sbarrato tanto d’occhi per la me¬ raviglia, non avrebbe potuto
comprenderne nulla. Ma a parte questo, anche sul terreno limitato dell’Etica, j
le due concezioni, quella di Paolo e quella di Seneca sono, .= nonostante le
frasi analoghe, lontanissime 1’ una dall’altra. Seneca si riconnette a tutta la
tradizione classica e pa¬ gana, che considera la virtù come una perfezione
della natura, una conquista e un trionfo della ragione sugl’im-1 pulsi
inferiori dell’uomo; e tiene fermo alla formula stoica: seguire la natura, che
egli concepisce come qualche cosa di essenzialmente razionale. S. Paolo e con
lui il Cristianesimo insegna la corruzione originaria, radicale, della volontà
naturale dell’uomo, e in- . segna la rigenerazione possibile solamente per
opera della ; grazia divina, che redime e rinnova la creatura, ricrean- dola a
dir così dalla vita della carne alla vita dello spirito. Per Seneca come per
gli altri Stoici la legge morale è % una semplice legge della ragione che
s’identifica con la \ legge cosmica; per S. Paolo la legge è nel senso preciso
della parola un comando, un imperativo, espressione della volontà divina; e il
peccato non è la semplice distanza che separa la realtà empirica dall’ ideale
morale, ma è sin dall’origine una ribellione al comando di Dio, della sola
volontà che sia santa. L’autonomia e l’autarchia del saggio stoico non sono
parole cristiane. La conseguenza è che il saggio stoico, l’ideale di Se¬ neca,
manca della qualità propriamente cristiana, non è umile; può sentire più o meno
la sua imperfezione finche quell’ideale non è raggiunto, ma non c’è
propriamente abnegazione in lui, anzi egli pone il suo orgoglio nell’af¬
fermazione della sua volontà razionale, e in questo senso egli si sente simile
a Dio. Il santo cristiano invece sa che nulla gli appartiene, non ha orgoglio,
nega la sua volontà, la sente spezzata e ri-generata da una forza onnipotente,
e si umilia pregando: fiat voluntas tua, eh’è qualche cosa di più della
semplice rassegnazione stoica a quello che vuole o porta il fato. Ohi vuole
misurare con un’occhiata sola tutto il con¬ trasto, guardi a queste parole di
Seneca: non video, in- quam, quid hàbeat in terris Jupiter pulchrius, si
convertere animum velit, quam ut spectet Catonem, iani partibus non se¬ mel
fractis, stantem nihilominus inter ruinas publicas recium. Il saggio stoico con
la sua forza d’ animo e la sua virtù eroica è glorificato in modo eh 7 è lo
spettacolo più degno e più bello che Dio possa ammirare. E badiamo che Ca¬ tone
è un suicida: perchè, come dice Seneca, ogni vena del tuo corpo è una via
aperta alla libertà. Il suicidio, per un cristiano, è la ribellione più aperta
alla volontà santa di Dio, e non c’è altra gloria che la gloria di Dio, e il
fare la sua volontà si chiama dovere, obbedienza, morire a se stessi per essere
partecipi della gloria di Dio e della vita eterna. Sono due concezioni diverse.
Seneca non deve nulla a S. Paolo. Quello che c’è di vero è che l’accento
religioso che prendono in lui le dottrine antiche è un indizio che segna*
l’avvicinarsi dei tempi cristiani. Dopo Seneca, contemporaneo più giovane di
lui, è da nominare Musonio Rufo, eli e nato a Volsinia (Bol- sena) nell’
Etruria, visse sotto Nerone e poi ancora sotto gl’imperatori Vespasiano e Tito.
Dell’ ordine equestre, coltivò e insegnò la filosofia se¬ guendo le dottrine
stoiche, come dice Tacito clie lo no¬ mina più volte. Fu un maestro tutto
pratico, stimando inutile ogni scienza che non giovasse alla vita. Esortava
alla filosofia uomini e donne, poiché la filosofìa non è altro per lui che la
ricerca della xaXoxàyala pratica di ciò eh’è onesto, e senza la filosofia non
si può conseguire la virtù. Anche il contadino dietro il suo aratro può filoso¬
fare in questo senso, e dare lezioni ed esempi di saggezza: faceva un elogio
dell’agricoltura come un genere di vita più acconcio alla filosofia dei costumi
corrotti della città. Il suo insegnamento e la vita intemerata gli dettero
nome, e dovette esercitare una grande efficacia, se dobbiamo giudicare
specialmente dal modo come lo ricorda Epitfeto clie fu suo scolaro; e basterà
averlo ricordato anche noi, senza insistere sui frammenti e precetti
particolari che ci sono stati conservati di lui. 2. - Il grande e più celebre
rappresentante dello stoi¬ cismo nell’ epoca imperiale è Epitteto. Epitteto
nacque a Hierapoli, nella Frigia, verso il 50 dell’e. v. Venne a Roma, dove
passò la sua giovinezza, come schiavo di un Epafrodito, che fu probabilmente il
liberto e favorito di Nerone dello stesso nome. Lo stesso nome di Epitteto non
è in origine un nome proprio, ma vuol dire schiavo (!tuxt7]tq£). Era zoppo e,
secondo un aned¬ doto celebre, per effetto dei maltrattamenti del suo pa¬
drone. Un giorno questi gli avrebbe messo la gamba in uno strumento di tortura.
Bada, gli disse Epitteto, che finirai col rompermela. E siccome l’altro
continuava e la gamba si ruppe di fatto, Epitteto si contentò di aggiun¬ gere:
Te l’avevo detto. Questo tratto d’insensibilità stoica fu tanto ammirato, che
più tardi Celso, l’avversario del Cristianesimo, apostrofava i cristiani :
Forse che il vostro Cristo, nel suo supplizio, ha mai detto niente di così
bello? Al che Origene, lo scrittore ecclesiastico che scrisse contro Celso, rispose:
Nostro Signore non ha detto niente, e questo è anche più bello. Il giovane
Epitteto, ancora schiavo, potè istruirsi e se¬ guire le lezioni di Musonio
Rufo. Fatto libero, rimase a. Roma, tentando anche lui l’insegnamento o la
predica¬ zione morale, finché non fu obbligato a lasciare la città quando
l’imperatore Domiziano con un senatoconsulto del 94 d. C. fece cacciare i
filosofi da Roma e dall’Italia. Epitteto allora si ritirò nell’Epiro, a
Nicopoli, dove visse fin verso il 125, povero e senza famiglia, ma circondato
da molti discepoli, e venerato per la santità della vita, come maximus più
losophorum, secondo Aulo Geli io. Uno di quelli che lo udirono, e per più anni,
fu Ar- riano di Nicomedia, lo storico, che fu il più attento e il più
entusiasta dei discepoli. Arriano aveva scoperto di avere dei gusti e uno
spirito affine a quello di Senofonte, volle essere un Senofonte redivivo, e,
come l’altro, scrisse la sua Anabasi (di Alessandro), e i suoi Memoràbili:
Epit- teto diventò il suo Socrate, e nei Discorsi o Dissertazioni di lui
(Storpipoi o Xóyot) raccolti molto fedelmente da Ar¬ riano (in 8 libri, dei
quali ce ne rimangono 4 e frammenti degli altri), la figura di Epitteto già
vecchio rivive con. la vivacità del suo spirito e l’energia del suo carattere e
del suo insegnamento. Più tardi, visto il successo delle lezioni di Epitteto,
Arriano le condensò in un piccolo volume: è il famoso 1 Manuale di Epitteto ’,
che nei tempi moderni comparve dapprima nella traduzione latina di Angelo
Poliziano, nel 1493; il testo originale fu pubbli¬ cato nel 1528, a Venezia.
Non ho bisogno di ricordare eh’ è stato tradotto in italiano dal Leopardi.
Epitteto è anche lui un maestro tutto pratico: non è un pensatore che ricerchi
o discuta i fondamenti teorici della dottrina che insegna: le ricerche
sistematiche, le discussioni di scuola non sono il fatto suo. Egli vuole agire
sulle coscienze, rinnovarle ed educarle. Seneca è uno spirito curioso e un
letterato, che pure mirando a un fine pratico, ha coscienza della sua abilità
di scrittore, e si compiace di aguzzare in forme ingegnose le sue mas¬ sime, le
sue osservazioni, i suoi consigli. Epitteto non mira a brillare, non vuole
applausi, non ha mai pensato TO'*, C 1 1
" L 1 ^ y h t,. :'yY £VsE S,
àtàeXcpol Un primo documento di
quest’attività greco-ebraica è la traduzione greca della Bibbia, che si disse
dei Settanta, perchè secondo una leggenda sarebbe stata fatta da 72 dotti
mandati dal Sacerdote di Gerusalemme a Tolomeo Filadelfo, che voleva avere
nella sua grande biblioteca i libri di Mosè tradotti in greco, e questi 72
traduttori, chiusi in tante camerette separate, senza po¬ ter comunicare fra
loro, avrebbero tradotta da capo a fondo, come per un’ispirazione divina, tutta
quanta la Bibbia. Il vero è che la traduzione rispondeva al bisogno della
comunità ebrea di Alessandria di leggere il libro suo na¬ zionale nella lingua
diventata oramai comune nella co¬ lonia. La maggior parte non leggevano nemmeno
più l’ebraico. Questo libro si può considerare come il primo travasa- mento di
idee giudaiche in un contenente ellenico 1 ), ed ebbe una grande efficacia
sulla propagazione posteriore dell’Ebraismo e poi del Cristianesimo. Un ebreo
di Ales¬ sandria, che in filosofia era peripatetico, Aristobulo, vis¬ suto tra
il 181 e il 145 a. C., è ritenuto da molti il primo scrittore in cui
apparirebbe una vera connessione di filo¬ sofemi greci con le idee e le
tradizioni ebraiche. E influsso d’idee greche è stato pure notato in uno dei
libri apocrifi del Vecchio Testamento, nel Libro della Sapienza di Saio- mone,
che si crede composto da un ebreo alessandrino verso il 100 a. C. Ma il
principale rappresentante di questa filosofia greco¬ ebraica è Filone ebreo.0
Castelli, Storia degli Ebrei (Firenze, Barbèra). ti.: Biblioteca Comunale “Giuseppe
Melli" - San Pietro Vernotico (Br) \ FILONE EBREO 265 2. - riione nacque
in Alessandria fra il 30 e il 20 a. C. da una famiglia sacerdotale ch’era delle
più ricche e rag¬ guardevoli fra gli Ebrei di quella città. Ebbe un’istruzione
compiuta ellenica ed ebraica: consacrò tutta la vita agli studi teologici e
filosofici, dedito alla vita contemplativa, ma senza trascurare i legami col
suo popolo e i doveri che la sua posizione gl’imponeva. Doveva godere di una
grande riputazione per la sua pietà, per la sua scienza e per la sua eloquenza.
Verso il 40, già vecchio, fu messo a capo di un’ambasceria presso l’imperatore
Caligola per chiedere la liberazione dei suoi correligionari di Ales¬ sandria
dalle persecuzioni a cui erano fatti segno. Tornato ad Alessandria, scrisse
egli stesso la relazione di questa ambasceria, e morì forse verso il 50.
Scrisse in greco molte opere che ci rimangono. Alcuni degli scritti di Filone
sono d’argomento storico e ci fanno conoscere quale fosse io stato della
colonia giu¬ daica di Alessandria: gli altri sono per la maggior parte un
commento filosofico ai libri mosaici. Filone dunque sta tra la scienza greca e
la rivelazione. Per lui non si tratta di ricercare e scoprire la verità con la
semplice attività della ragione: la verità è quella ri velata da Dio nei libri
santi. D’altra parte Filone è anche uno spirito esercitato alla meditazione,
grande studioso e ammiratore della scienza greca : ha un culto per Pla¬ tone:
egli ritrova nei filosofi greci le verità rivelate dalla Bibbia, e legge la
Bibbia a traverso i concetti della filo¬ sofìa, la vede in quella gran luce di
verità creata dal pensiero greco. È naturale che la fusione di elementi così
disparati e d’idee di così diversa provenienza non fosse possibile senza un
certo sforzo, il quale importava due cose: una finzione e un metodo particolare
2 ). La finzione (in buona fede, s T intende) è che i filosofi greci come
Pitagora, Eraclito, Platone, e anche i poeti più antichi come Omero, Esiodo,
avessero avuto notizia dei libri di Mosè e attinto dunque alla sapienza
ebraica: una finzione che si trova già in Aristobulo; ed era av¬ valorata da
alcune falsificazioni: si attribuivano ai poeti mitici come Lino, Orfeo, dei
versi di fattura posteriore. Il metodo è quello dell’interpretazione
allegorica, non inventato da Pilone, applicato già prima di lui fra gli Ebrei
alessandrini, e del quale anche gli Stoici gli davano l’esempio. Pilone
distingue dapertutto un senso letterale e un senso spirituale o intelligibile,
e ritiene il primo come simbolo del secondo; la relazione tra i due è quella
che c’ è tra il corpo e V anima. Per esempio, Adamo è lo spirito (il vouc), e
il Paradiso è 1’^epovtxòv xfjc; 4^/jA nel quale egli è messo per coltivare gli
alberi, che sono le virtù; la creazione di Èva significa il nascere della sen¬
sibilità, e così via: quel metodo d’interpretazione alle¬ gorica che si può
dire fantastico e non critico quanto si vuole, ma che ha contribuito a
spiritualizzare le credenze e le idee. L’uomo ha cominciato col concepire Dio a
sua imma¬ gine e somiglianza, attribuendogli occhi e mani e voce e passioni
umane. A poco a poco il concetto del divino si spiritualizza. Per Filone, Dio
non solo non ha forma nè attributi umani, ma è al di là di ogni determinazione,
una realtà, ! ) Dkussen, Die Philo sophie der Griechen.] assolatamente
trascendente, sia rispetto al mondo da cni è separato, sia rispetto alla nostra
intelligenza alla quale è inaccessibile. Noi siamo certi della sua esistenza,
ma non possiamo comprendere la sua essenza. Filone lo designa con la parola di
cui si servivano gli Eleati e Platone: tò £v, l’Essere, o con l’espressione
aristotelica: l’Essere in quanto essere; e trova il riscontro di questa
denominazione in quello ch’egli stesso, Dio, dice di sè nell’-Z&odo; J5V/o
sum qui sum: èyw eijxt Ó wv. Dio dunque è l’Essere universale, eterno,
immutabile, semplice, libero, pago di se stesso, assolutamente trascen¬ dente e
separato dal mondo. Ma d’altra parte egli rac¬ coglie in sè tutte lo
perfezioni, e tutte le perfezioni delle cose create derivano unicamente da lui.
Egli è la causa prima di tutte le cose create: riempie e comprende tutto. C’è
una doppia esigenza in questa concezione: l’idea dell’assoluta trascendenza di
Dio, e quella dell’assoluta dipendenza delle cose finite da Dio. Dio è uno, ma
possiede forze infinite, mediante le quali crea e governa il mondo: le due
principali di queste forze sono la bontà e la potenza, e l’ima e l’altra si
uniscono nel Xóy oc, o ragione divina, eh’è come il pensiero di Dio prima della
creazione, e che si manifesta poi in questa come la parola di Dio. Il lòyo- o
la ragione cosmica di Eraclito e degli Stoici non è per Filone il primo
principio del mondo, ma è a dir così il figlio primogenito di Dio, il suo
verbo, l’intelli¬ genza divina stessa iu quanto personificata, qualche cosa che
sta in mezzo tra la pura essenza di Dio e il mondo eh’ è creato da lui. Filone
ha bisogno di potenze inter¬ mediarie per colmare l’abisso tra l’assoluta
trascendenza di Dio e il mondo delle cose finite, e queste potenze in¬
termediarie sono rappresentate dal Logos, dalla parola di Dio. Quando un
architetto costruisce una casa, ha in sè il suo piano, la sua idea. Il Logos di
Filone comprende insè le idee, i modelli ideali delle cose, e insieme le forze
generatrici e formatrici degli esseri: le idee platoniche e le ragioni seminali
degli Stoici. È il Logos che divide in parti la massa di cui si compone il
mondo, dà alle cose le proprietà che le costituiscono, determina i mari, le
isole, i continenti, fìssa le specie dei viventi, stabilisce bordine nella
diversità: compie l’ufficio o gli uffici della ragione come rivelazione di Dio
e della sua provvidenza nel mondo. Filone tiene fermo al dogma della creazione,
ma for¬ mula la sua fede servendosi dei concetti della filosofia greca: in
questa mescolanza, in questo ripensamento delle idee greche in una nuova
atmosfera spirituale sta l’in¬ teresse e l’importanza storica di Filone. E che
cosa è l’uomo in questo sistema? Secondo la Scrittura Dio disse: Facciamo
l’uomo a nostra immagine e somiglianza; e poi aggiunge che Dio formò l’uomo
prendendo un pugno di terra, e soffiandovi sopra un soffio di vita, l’uomo fu
fatto in anima vivente. Filone si domanda in quale misura e in che senso l’uomo
è la creatura di Dio, e conclude dai due luoghi biblici che bisogna distinguere
l’uomo celeste, ideale, creato da Dio a sua immagine, e l’uomo terrestre e
sensibile. Il primo è un essere intelligibile, senza materia, nè uomo nè donna,
è l’idea dell’uomo in quanto uomo, di natura incorrut¬ tibile; invece l’uomo
terrestre, plasmato dal fango della terra, e non da Dio direttamente, ma dalle
sue potenze o ministri, è di natura sensibile, materiale, naturalmente mortale,
capace del bene, ma anche del male. L’uomo intelligibile è un riflesso diretto
del Logos divino, quindi possiede tutte le virtù che lo fanno simile a Dio.
L’uomo terrestre realizza solo in parte quest’idea, perchè l’ani¬ ma, partecipe
dello spirito divino, si trova ad abitare in un corpo mortale, fatto di forze
inferiori. Di qui la doppia natura dell’uomo: egli si trova come al confine dei
due mondi, del mondo sensibile e del mondo intel¬ ligibile. Per esprimere
questo concètto Pilone riproduce a modo suo la distinzione aristotelica
dell’anima vegetativa, sen¬ sitiva e razionale; oppure la teoria stoica dello
rnsOpa, che pure conservando nell’espressione la reminiscenza del suo
significato materialista, si viene sempre più spi¬ ritualizzando: è lo spirito,
il soffio divino nell’uomo; so¬ prattutto, si ricorda delle immagini platoniche
che il corpo è come una prigione dell’anima. Quello che più importa a Filone è
l’opposizione tra la parte irrazionale e quella razionale dell’uomo. Che cosa è
l’uomo? Tutto per la sua origine divinò e il suo carattere razionale, nulla per
la sua natura mortale e finita. Api>arisce come un’incomprensibile
mescolanza di grandezza e di piccolezza, il più vicino a Dio, ma an¬ che capace
di male, miserabile, mortale. Mentre tutte le piante rivolgono o dirizzano le
loro corolle verso il sole, l’uomo può, pianta celeste nudrita di elementi
divini, ele¬ varsi verso il cielo, ma questa sua libertà è come appe¬ santita
dal peso del corpo. E qual’è dunque il compito e il destino dell’uomo? Il
restaurare in sè l’immagine di Dio, il somigliare a lui, il seguire la natura,
clie sono frasi platoniche e stoiche, ma con un nuovo significato. Pilone
combatte gli Epicurei, e considera il piacere come il massimo impedimento alla
vita divina; accetta la for¬ mula stoica del seguire la natura, e distingue le
quattro virtù cardinali, che trova simboleggiate nei quattro fiumi del
Paradiso; insegna non la sola metropatia ma l’apa¬ tia, è insomma l’ideale del
saggio stoico, salvo che il seguire la natura diventa per lui obbedire alla
volontà di¬ vina. La morale è aneli’essa rivelata: essa si trova tutta quanta
nelle leggi generali è particolari che emanano da Dio. La virtù dell’uomo è
un’ombra della volontà divina; e lungi dall’essere un Dio, il saggio riceve la
virtù come un dono della grazia divina, e un dono sem¬ pre rinnovato. In quest’
Etica teologica le quattro virtù cardinali ri¬ cevono il loro compimento nelle
virtù religiose, che sono la fede e la pietà; e la vita contemplativa, di cui
fanno parte le virtù religiose, è superiore alla vita attiva, che consiste
nella pratica delle virtù cardinali. E come l’anima, allontanandosi da Dio, s’è
legata in questa vita dei sensi, così essa può ritornare a Dio ; e l’ultimo
grado della perfezione umana è l’unione conDio, la deificatio, la visione
estatica. L’ uomo può solle¬ varsi al di sopra dei sensi, al di sopra delle
idee; e-poichè l’essenza di Dio è inconoscibile, così quest’unificazione con
Dio non è possibile mediante la conoscenza razio¬ nale, ma avviene per la
grazia di Dio che si comunica a noi, in una specie di rapimento eh’è in noi
come il furore dei coribanti, dice Filone con frase platonica; e i limite della
felicità, la più alta aspirazione dell’uomo è, mediante quest’estasi, il
riposare in Dio: sv jaóvcj) Osm axf;vai. Questa è nei suoi tratti fondamentali
la filosofìa di Fi¬ lone ebreo, eh’è in fondo anch’essa una filosofia
eclettica, in quanto profitta di tutte le filosofie anteriori; ma è ca¬
ratterizzata specialmente dal suo carattere religioso e dalla mescolanza d’idee
greche con idee o credenze ebraiche. Le stesse tendenze religiose e mistiche,
che abbiamo visto in Filone ebreo, ritroviamo sul terreno greco in quel gruppo
di filosofi che si sogliono denominare Neopitago¬ rici e Platonici eclettici
più o meno pitagorizzanti, che si possono considerare anch’essi come precursori
e prepara¬ tori del Neoplatonismo propriamente detto. L’antica scuola
pitagorica, come un complesso di dot¬ trine, era estinta sin dal quarto secolo,
al tempo di Ari¬ stotile; ma come forma e metodo di vita, che si diceva appunto
vita pitagorica, come disciplina di pratiche morali pure e austere sanzionate
da credenze religiose, il Pita¬ gorismo doveva aver conservato dei fedeli, tra
i quali abbiamo già nominato i due Sestii ed altri. A cominciare dagli ultimi
cinquantanni che precedono Péra cristiana e poi nei due o tre secoli che
seguono, il Pi¬ tagorismo rinasce e si diffonde: non solo si cercano i libri
degli antichi pitagorici, ma se ne scrivono anche degli altri,-che si
attribuiscono a Pitagora stesso o ai suoi se-Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i”
- San Pietro Vernotico (Br) guaci: tutta una letteratura apocrifa, come i Versi
d'oro di Pitagora, che sono una serie di precetti morali, il trattato di Timeo
di Locri a\\WAnima del mondo, quello di Ocello Lucano sulla Natura del tutto,
in parte, se non interamente, i libri attribuiti a Filolao e ad Archita di
Taranto, anche ad alcune donne pitagoriche, come la famosa Theano e altre,
perchè una delle specialità dei Pitagorici era di avere un grande rispetto
della donna. Sono opere dovute a falsari di buona fede, i quali ri- spondendo
ai bisogni del tempo, senza nessuno scrupolo critico, e attingendo a tutte le
filosofie contemporanee o anteriori, davano una filosofìa completa, delle idee
intorno a Dio, il mondo, 1’ uomo, la società, la virtù, mettendo queste idee
sotto il patrocinio di un nome illustre e au¬ torevole: il bisogno di
appoggiarsi a un’autorità vene¬ rata era uno dei bisogni del tempo. La stessa
leggenda di Pitagora si compie in questo tempo, si arricchisce di nuovi tratti
meravigliosi: la sua vita diventa un mito. JB oltre poi alle opere apocrife, ce
ne furono delle altre pubblicate dai loro autori coi loro veri nomi, e che sono
appunto i Neopitagorici. Si possono e si sogliono citare come rappresentanti di
questo indirizzo un Nigidio Fi- gulo, eh’è nominato da Cicerone come
rinnovatore del Pitagorismo in Alessandria verso il 50 a. C., Sozione, sco¬
laro dei Sestii, che abbiamo pure nominato, poi più spe¬ cialmente Apollonio di
Tiana, Moderato di Gades, e M- comaco di Gerasa sotto gli Antonini. La figura
più importante e caratteristica che possiamo prendere come rappresentante di
tutto questo indirizzo è Apollonio di Tiana, nella Cappadocia, il quale nacque
sotto Augusto e visse fino agli ultimi anni del primo secolo dell’e. v., e la
cui efficacia si estende molto al di là del tempo in cui visse. Più di un
secolo dopo la sua morte, nei primi decenni del 200, ne scrisse la vita un
sofista di quel tempo, Fi¬ lostrato di Lemno, in una specie di romanzo che
vorrebbe essere storico, a richiesta dell’imperatrice Giulia Doinna, moglie di
Settimio Severo, la quale era una bella donna, originaria della Siria,
ambiziosa e colta, che non solo fa¬ ceva, occorrendo, della politica, ma aveva
il gusto delle lettere e della filosofìa, e raccoglieva alla sua corte un
circolo di persone istruite più o meno illustri. In questo libro Apollonio è
presentato come un tipo di perfezione morale e religiosa, secondo i precetti
della filosofìa pitagorica, come un essere più che umano, non filosofo
solamente, ma qualche cosa di mezzo tra la na¬ tura umana e la natura divina.
Ha una nascita meravi¬ gliosa e fa anche dei miracoli. Cosicché è difficile, da
questa vita dì Filostrato, sceverare la parte storica dalla leggenda, quello
eh’è stato realmente Apollonio da quello ch’è diventato nell’immaginazione dei
suoi ammiratori. Ce lo possiamo raffigurare come una specie di riforma¬ tore
morale e religioso che, dopo essersi istruito nella filo¬ sofia e avere
accettato quella di Pitagora o che passava per pitagorica, esercita un apostolato
predicando la co¬ noscenza del vero Dio e il culto che gli è dovuto. In un
frammento di lui che ci è conservato da Eusebio, egli dice: « Per onorare
degnamente la divinità e render¬ sela propizia e benevola, non giova, al Dio
che diciamo primo e ch’è uno e separato da tutte le cose, offrir sacrifizi nè
accendere fuoco nè in generale consacrare alcuna cosa sensibile; giacché egli
non ha bisogno di nulla, e non c’è pianta che la terra produce nè animale
eh’essa o l’aria alimenta, che non sia inquinato di qualche macchia. Quelloche
dobbiamo offrirgli è il meglio di noi, il discorso della mente, non le parole
che escono dalla bocca, ma invocare da lui, eh’è il migliore degli esseri, il
nostro bene con quello che abbiamo di meglio in noi, lo spirito, il pen¬ siero
(il vo0$), che non ha bisogno di un organo con cui rivelarsi Al di sotto di
questo Dio primo ve n’ ha degl’ inferiori o secondari, primo dei quali è il
sole, la più pura mani¬ festazione visibile del divino. L’uomo è d’essenza
divina e può per la saggezza elevarsi fino a Dio. La sua anima è immortale,
anzi eterna: essa passa da un corpo in un altro, ma in ogni corpo è in
prigione, incatenata ai sensi e agl’impulsi disordinati, da cui la filosofìa ha
per oggetto di liberarlo. Bisogna conoscere moralmente se stessi per arrivare
alla virtù e alla saggezza. Colui che pratica tutte le virtù, che conserva la
sua vita interamente pura, e sa adorare Dio con adorazione vera, s’avvicina
sempre più a Dio, diventa partecipe del divino. Ora è qui che comincia a
lavorare la leggenda: questa dottrina non è solamente insegnata, ma è vissuta
da Apol¬ lonio, nella biografia che ne scrive Filostrato: egli stesso è l’uomo
divino, la personificazione vivente della perfe¬ zione spirituale e della
potenza a cui può giungere l’uomo. Gli abitanti del paese di Tiana, dov’egli è
nato, pre¬ tendono ch’egli è figlio di Giove; Filostrato non lo crede, ma
afferma che venne al mondo in condizioni straordi¬ narie, dopo che sua madre
ebbe appreso in sogno che portava il dio Proteo, il dio dellà divinazione, in
persona. Dopo avere abbracciata la vita pitagorica ed essersi formato nel
silenzio per cinque anni, viaggia per il mondo, in Oriente, in Grecia, a Roma,
in Egitto, in tutti i paesi allora conosciuti, conversa coi sapienti di tutti i
paesi, istruendosi e ammaestrando gli altri, preceduto da una gran fama e
facendo delle cose maravigliose. A Efeso ferma la peste facendo lapidare un
vecchio mendicante, il quale difatti non è altro che un demone camuffato, nel
quale s’era incarnato il flagello. Ad Ales¬ sandria riconosce istantaneamente
in un corteo di con¬ dannati a morte un innocente. A Efeso pure egli sa e
annunzia la morte di Domiziano nel momento in cui que¬ sto è colpito a Roma: un
bel caso di telepatia. Non solo sa delle cose sconosciute a tutti gii altri uo¬
mini, ma dispone di un vero potere sugli elementi della natura: sulle rive
dell’Ellesponto ferma i terremoti. Parla tutte le lingue senza averle imparate,
scaccia i demoni, si trasporta istantaneamente a grandi distanze, s’intrat¬
tiene con le ombre degli eroi, fa cadere i suoi ferri in prigione col solo
prestigio della sua volontà, richiama in vita una ragazza che passava per
morta. A Corinto, apre gli occhi di uno dei suoi discepoli perdutamente innamo¬
rato di una donna molto bella e ricca in apparenza, ma ch’era in realtà una
lamia, uno di quei cattivi demoni femminili che si fanno amare dai giovani per
poterli di¬ vorare a loro piacere. E non già ch’egli sia un mago, uno stregone,
che operi prodigi grazie all’intervento di spiriti maligni; no, Filo¬ strato si
dà una gran pena per escludere questa interpre¬ tazione. Apollonio fa dei
miracoli in virtù della sua scienza superiore e della sua cola unione con gli
Dei; e per ar¬ rivare fino a questo punto quello che occorre è una virtù
austera, un’estrema purezza di costumi e l’osservazione di una disciplina
rigorosa. Così egli ha la conoscenza delle cose più nascoste all’uomo, predice
l’avvenire, e opera dei miracoli. La sua carriera si termina aneli’essa in modo
meravi¬ glioso. La leggenda più diffusa intorno alla sua morte racconta che,
essendo andato a Creta vecchissimo, entrò nel tempio di Diana e non ne uscì
più. Si sentirono come delle voci di fanciulle che cantavano nell’aria: lasciò
la terra, salì al cielo. Dopo la sua morte, la città di Tiana gli rese onori
divini, e la venerazione di tutto il mondo pagano attestò l’impressione
lasciata negli spiriti dal pas¬ saggio di quest’essere soprannaturale, che
faceva dire ai suoi contemporanei: Un Dio abita fra noi J ). Questo carattere
meraviglioso della vita di Apollonio ha fatto credere che fosse intenzione di
Filostrato e della sua ispiratrice di opporre una specie di Cristo pagano a
quello della Chiesa nascente, che guadagnava sempre più adoratori. Per
combattere il prestigio che la storia e l’in¬ segnamento di Gesù esercitavano
di giorno in giorno non solo sulla folla, ma in tutte le classi della società,
avreb¬ bero pensato di suscitargli contro un rivale in un saggiopagano, che non
solo operava miracoli come l’altro, ma che professava una dottrina attinta alle
più pure fonti della scienza ellenica. Ora la più parte dei critici non credono
a questa in¬ tenzione o tendenza del romanzo, nel quale non si allude affatto e
non si può dire che ci sia uno spirito ostile al Cristianesimo. Il romanzo è
piuttosto interessante innanzi q Cfr. .1. Réville, La veli gioii (ì Home som
ìes Sé vèr eh, Paris, Levous.] tatto per il fatto stésso che, alla distanza di
poco più di un secolo, la vita di un filosofo neopitagorico come Apol¬ lonio
sia potuta diventare materia di una leggenda co¬ siffatta: è un documento
interessante non solo di quel- V atmosfera meravigliosa e della credulità in
cui si svolgeva la lotta delle religioni; ma soprattutto di quella religiosità
spirituale che tendeva a purificare e moralizzare il pa¬ ganesimo, e del
bisogno che si sente di presentare l’ideale \ religioso come incarnato in una
figura concreta, santa e beila di quell’ideale stesso, e operatrice di
miracoli, per¬ chè avesse più presa sulle coscienze e la forza di comu¬
nicarsi. Il saggio stoico o quello di Epicuro sono costru¬ zioni razionali che
non bastano più: occorre la figura vivente e reale dell’ uomo che s’india, che
rappresenta la natura umana divinizzata. A questo bisogno, a quest’aspirazione
religiosa delle anime, rispondono ora le figure di Pitagora e di Apol¬ lonio.
Del quale sappiamo anche che scrisse una Vita di Pitagora. L’uno e l’altro sono
uomini divini, modelli di vita pura e santa, nei quali la verità si è rivelata,
i Quando poi questi Neopitagorici cercano di formulare filosoficamente le loro
credenze e le loro massime etico religiose, essi mescolano alle idee
pitagoriche concetti ela¬ borati dalla filosofia posteriore, platonici,
aristotelici, stoici : di qui il carattere eclettico e recente della loro
specula¬ zione, e per cui è facile riconoscere quelle falsificazioni della
letteratura apocrifa che abbiamo detto. L’idea fondamentale è l’opposizione tra
Dio e il mondo: Dio è l’uno, la monade primitiva: il mondo è rappresen¬ tato
dal due, dalla dualità indeterminata, è il molteplice. Ma siccome nel mondo
tutto è ordinato con numero e mitilira, esso si può dire l’attuazione d’idee,
che sono pen¬ sieri della mente divina, che s’identificano aneli’esse coi
numeri; e poiché Dio non può venire in contatto diretto col mondo, sorto
realizzate da un essere intermedio, dal- l’anima del mondo in una materia
preesistente, la quale pure talvolta resiste a questa penetrazione delle forme
divine; ed è nella materia che bisogna cercare la causa delle imperfezioni e
del male nel mondo. Questo dualismo si ripete, si ripercuote nell’uomo: l’anima
ha bisogno di purificarsi con la vita santa, con le espiazioni, per ridiventare
divina. È stato osservato che in/queste speculazioni ora è ac¬ centuato il
concetto monistico del principio unico da cui tutto il resto sarebbe derivato;
ora invece, e più spesso, prevale la concezione dualistica del principio divino
e di una materia originaria. Il problema del male s’.è posto davanti alla
coscienza religiosa e alla riflessione filosofica, e l’una e l’altra
s’affaticano a risolverlo cercando di su¬ perare l’antitesi tra il divino e il
suo contrario, tra il corpo o la materia e le aspirazioni superiori dell’anima.
2. - Il problema in fondo era nato con la distinzione pla¬ tonica tra il mondo
sensibile e il mondo intelligibile. E di tutte le autiche scuole nessuna doveva
sentirsi più vicina all’ indirizzo neopitagorico della scuola platonica, per la
ragione eccellente che Platone stesso aveva accolto nella sua dottrina elementi
pitagorici, aveva finito col pitago- reggiare identificando le sue idee coi*
numeri, e speculando su Dio e l’anima e la formazione del mondo materiale alla
maniera dei pitagorici nel Timeo, il quale Timeo era quel Timeo di Locri
pitagorico, da cui Platone fa esporre appunto la sua filosofia della natura nel
dialogo che porta quel nome. Così è che V indirizzo dei Neopitagorici si può
dire con¬ tinuato nel secondo secolo d. 0. da un gruppo di Platonici eclettici,
tra i quali, senza citare altri nomi, possiamo ri¬ cordare due scrittori
notissimi, Plutarco e Apuleio; e poi, per la sua importanza caratteristica,
Numenio di Apamea, che ora è detto pitagorico ed ora platonico. Plutarco di
Cheronea, che visse tra il 48 o 50 e il 120 o 24 dell’e. v., è Fautore celebre
delle Vite parallele, che hanno educato tanta gente all* amore della virtù e
del- l l eroismo, e poi di una quantità di opuscoli che si so¬ gliono designare
col titolo complessivo di Opere morali. Egli è un poligrafo, moralista
principalmente, anche nelle Vite, ma è curioso di tutto, erudito, istruttivo e
piacevole: le sue opere sono una specie di enciclopedia, un reper¬ torio di
notizie e d’idee su tutta l’antichità classica, che egli, venuto tardi, ammira
in tutte le sue forme; e come ha celebrato nelle sue Vite la storia dei suo
popolo e degli eroi antichi, così si assimila la scienza, la religione, la mo¬
rale dei padri, e se ne fa l’interprete ai contemporanei e ai secoli futuri.
Uomo religiosissimo, ha nella sua patria e a Delfo fun¬ zioni sacerdotali. Ama
la filosofia, e l’ha anche insegnata. Si dice platonico, e ammira Platone come
il più grande dei filosofi, ma ha imparato anche da tutti gli altri; e da quel¬
l’uomo istruito che è, e non nella filosofia solamente, ha qualche volta la
riserva prudente dei nuovi Accademici. Il che non gl’impedisce di avere non
precisamente un sistema, ma una dottrina eh’è come il risultato di tutte le
dottrine anteriori. La sua filosofia ha un intento essenzialmente morale e
religioso: egli vuole mantenere e difendere la tradizione religiosa anche nei
suoi miti e nelle sue pratiche, inter¬ pretandola secondo principi filosofici,
in modo cioè che non faccia ostacolo a una concezione pura e degna della di¬
vinità. La filosofia è la rivelatrice e l’interprete del segreto sacro e divino
che i miti contengono, togliendo le conce¬ zioni false e le menzogne che
talvolta i poeti raccontano. Plutarco combatte l’ateismo, ma combatte pure la
su¬ perstizione, quella ch’egli chiama 5esoi8ac|xovfa, la paura ser¬ vile degli
Dei: invece la fiducia e la gioia accompagnano il vero culto eh’ è loro dovuto.
Combatte gli Epicurei per il loro materialismo, ma com¬ batte anche gli Stoici,
che col loro principio unico non possono rendere ragione del male nel mondo. E
qui apparisce il platonico. Non è possibile, egli dice, porre il principio
delle cose nè nei corpi senz’anima (ne¬ gli atomi) come fanno Democrito ed
Epicuro, nè nella ragione formatrice di una materia senza qualità. Nel pri¬ mo
caso non si capisce come vi possa essere bene, ordine, ragione nel mondo; nel
secondo caso non si capisce come ci possa essere il male, il disordine. D’onde
viene il male? Non dal bene, non da Dio cer¬ tamente. E nemmeno dalla materia,
come molti pensano, perchè la materia per se stessa è assolutamente passiva, il
sostrato indifferente di tutte le forme, non è nè buona nè cattiva. Per
spiegare dunque la cosa, bisogna ammet¬ tere che come c’ è un’ anima del mondo
che realizza le idee divine, ci sia anche una cattiva anima del mondo, un
principio o potenza del male che esiste da tutta eter¬ nità col bene, il quale,
benché superiore, non può mai annientare quella potenza eh’ è Y origine e la
causa di tutto ciò clie v’ lia di disordine nel mondo, e rende conto della
generazione del male. Il motivo di questa speculazione è eliminare, di fronte
alla realtà del male, tutto ciò che può compromettere la purezza e la bontà di
Dio, a costo di compromettere la sua onnipotenza. Di qui im J altra idea affine
e connessa con questa. Dio è il principio del bene e governa il mondo con la
sua provvidenza; ma questa provvidenza non si esercita di¬ lettamente da lui,
ma per mezzo di esseri intermediari che sono tra Dio e il mondo. Al di sotto
del Dio primo e supremo, realtà trascendente e inaccessibile, ci sono gli Dei
celesti o visibili, e al di sotto di questi i demoni o genii o spiriti che
vigilano e governano direttamente le azioni e le sorti degli uomini; e come ce
ne sono dei buoni, ce ne sono anche dei cattivi, nei quali la natura divina
apparisce inquinata e commista al male. Questa demonologia, clPè insegnata
anche da Apuleio, ed è una delle credenze più diffuse in quest’età, serviva non
solo a mantenere puro nella sua sublimità trascen¬ dente il concetto di Dio, ma
anche a giustificare in qualche modo tutte le divinità pagane, e le funzioni
loro attri¬ buite, e i riti e gli oracoli e tutte le altre parti del culto che
vi erano connesse. E infine un’altra idea domina la speculazione religiosa di
Plutarco, quella di trovare a traverso la diversità dei miti e delle credenze
dei diversi popoli una verità fon¬ damentale. A quello eh’ è stato detto il
sincretismo reli¬ gioso, il mescolarsi di tutte le religioni, ch’è caratteri¬
stico di questi secoli, corrisponde il sincretismo eclettico Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NUMENIO 283 dei filosofi,
i quali aspirano a formulare la verità religiosa comune ai diversi .sistemi e
alle diverse civiltà. Non ci sono, dice Plutarco, diversi Dei per diversi po¬
poli, non ci sono Dei barbari e Dei greci, Dei del nord e Dei del sud. Ma come
il sole e la luna illuminano tutti gli uomini, come il cielo, la terra e il
mare esistono per tutti, nonostante la diversità dei nomi con cui si desi¬
gnano, così vi ha una sola Intelligenza che regna nel mondo, una sola
Provvidenza che lo governa, e sono le stesse potenze che agiscono dapertuttó;
solo i nomi can¬ giano come le forme del culto; e i simboli che elevano lo
spirito verso ciò eh’ è divino sono ora chiari ora oscuri. Idee affini e
tendenze mistiche anche più pronunziate si ritrovano in Apuleio di Madaura, che
anch’egli pro¬ fessa ed espone il platonismo, adattandolo ai bisogni teo¬
sofici del tempo. 3. - Ma di tutti questi filosofi eclettici del secondo se¬
colo quello che segna più nettamente il passaggio al Neo- platonismo è Numenio
di Apamea: gli stessi Neoplato¬ nici lo considerano come il loro precursore
immediato: lo leggono e lo commentano nella loro scuola. Secondo Numenio, che
visse verso il IfiO, la vera dot¬ trina di Platone era identica a quella di
Pitagora; e questa filosofia egli la trova d’accordo con quella dei saggi dei-
fi Oriente, Bramani, Magi, Egiziani, Ebrei. Egli aveva in particolare la più
viva ammirazione per Mose, nel quale trovava tutte le idee di Platone; di qui
quel motto che ci è riferito di lui : Che cosa è altro Platone se non un Mosè
che parla attico (atticizzante) ?, a quel modo come di Filone ebreo si diceva:
o Filone platonizza o Platone fìlonizza. Numenio conosce certamente Filone e
adopera lo stesso metodo d’interpretazione allegorica, e ha tendenze affini
nella sua speculazione : cosicché qui il sincretismo è com¬ pleto: la
tradizione orientale e occidentale si congiungono a produrre la nuova
filosofìa. Dei libri di Numenio, uno dei quali s’intitolava intorno al Bene, ci
rimangono dei frammenti interessanti conser¬ vatici da Eusebio, e che si
possono vedere nel 3° volume del Mullach, Frammenta pliilosopliorum graecorum.
Numenio si domanda: che cosa è l’essere, la vera realtà? Non i quattro
elementi, nè i corpi composti da essi, che sono realtà mutevoli, cangianti, si
trasformano, divengono sempre e non sono mai, come diceva Platone; e nemmeno la
vera realtà si può cercarla nel sustrato materiale di tutti questi fenomeni
sensibili, nella materia, la quale è qualche cosa d’indefinibile e d’irragionevole
(àXoyo?). Per conoscere la vera realtà bisogna rivolgersi non al- 1’ esperienza
sensibile, ma alla ragione. Per Numenio la realtà è ciò che è assolutamente, l’
Essere increato e che non sarà distrutto, l’Essere semplice e invariabile. Que¬
st’essere è incorporeo (cèawpaiov), ed è intelligibile (voyj-cóv), si può
cogliere con la ragione solamente, non con la sen¬ sazione o con l’opinione,
come le cose periture e finite. Con questo Numenio esprime la tendenza di tutto
questo movimento d’idee: l’opposizione a ogni materialismo, non solo a quello
degli Epicurei, ma anche a quello degli Stoici: il bisogno di concepire la
realtà ultima come una realtà spirituale diversa e opposta a tutto ciò eh’ è
cor¬ poreo. Da queste considerazioni metafisiche Numenio ricava la sua dottrina
teologica. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico
(Br) NUMENIOLa quale, per dire la cosa con tutta brevità, consiste in questo:
nell’ammettere un Dio supremo inaccessibile, puro essere spirituale, senza
connessione col mondo, eh’è pura agione ed è il Bene in se stesso; poi un Dio
se¬ condo, il Demiurgo, eh’è l’ordinatore o l’architetto del mondo; e per
ultimo un terzo Dio, eh’è il mondo stesso. Dato il concetto trascendente del
puro Essere come 10 abbiamo definito, e eh’è il primo Dio, nasce la solita
difficoltà: com’è possibile l’azione di Dio sul mondo. Come Filone unificava le
idee e le potenze divine nel concetto del Logos, come gli altri platonici
ponevano degli Dei o demoni intermediari tra Dio e il mondo, così Nn- menio
statuisce al disotto del primo Dio un secondo eh’è 11 Demiurgo, distinguendo in
certo modo quello che Pla¬ tone identificava: il Demiurgo era per Platone, a
dir così, la funzione divina per rispetto al mondo. hTumenio ne fa un secondo
essere divino, il quale partecipa della bontà del primo, e ne riceve i semi di
tutte le cose che sono le Idee, ma trapianta questi semi nel mondo sensibile
formando e ordinando il mondo. Sicché il Demiurgo ha una posizione intermedia :
è come un pilota che, assiso al governo del mondo, ha sempre gli occhi fissi
sul cielo e 1 gli astri, per assicurare l’armonia dell’ordine del mondo, che
dirige mediante le Idee, ossia dunque ha sempre gli occhi fissi al primo Dio;
ma d’altra parte, e appunto per la sua fuuzione causale e formatrice sul mondo,
il suo sguardo e la sua azione è rivolta verso le cose sensibili, che ricevono
da lui la loro persistenza, la loro vita, il loro ordine, le leggi dell’essere
loro. E in quanto il mondo è fattura del Demiurgo, si può dire esso stesso un
Dio. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br
.TTJfcV^VF.286 NE OPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI Cosicché avremmo: il primo
Dio eh’è il padre (icaxrjp), il secondo Dio eli’è il Demiurgo, l’artefice
(mr]T%), e il terzo clP è il 7ioùj|i«, la fattura di Dio, il mondo in quanto
formato da Dio. Questo è il cosiddetto triteismo che in¬ segna Numenio. ' Del
quale un’altra dottrina caratteristica è che l’anima umana è duplice: un’anima
razionale e un’anima non ra¬ zionale: queste due nature sono in lotta fra loro,
come il bene e il male, e il male viene all’anima dalla materia,o dal suo
contatto con la materia, e tutte le incorpora¬ zioni dell’anima sono
considerate come un male. Si suppone la preesistenza e la trasmigrazione delle
anime; 1’ unione dell’anima con un corpo terrestre è come la punizione di una
colpa commessa in una vita ante¬ riore, prima della nascita in quel dato corpo.
E l’aspira¬ zione suprema dell’anima razionale è la sua unione con Dio, la
contemplazione o l’intuizione del vero Bene, Uno stato di beatitudine di cui
possono godere solo quelli che allontanano la loro anima da ogni comunicazione
col corpo e coi sensi. Cosicché avremmo qui, e con maggiore nettezza, for¬
mulate le idee e le esigenze di tutta questa speculazione da Filone in poi: la
trascendenza del divino, un termino o più termini intermediari tra Dio e il
mondo, la doppia natura dell’uomo o dell’anima, che da una parte è di Ori¬ gine
divina, e dall’altra è rivolta verso la materia e le cose terrene; quindi il
bisogno della purificazione e della liberazione per avvicinarsi a Dio e unirsi
con Dio: idee e esigenze che troveranno la loro espressione più com¬ piuta
nella filosofia dei Neoplatonici. La Filosofia greca finisce col sistema e la
scuola (lei Neoplatonici. Fondatore del Neopfatonismo è ritenuto dagli antichi
e dagli stessi Neo pi atonici Ammonio Sacca > alessandrino, che visse tra il
175 e il 240 d. C.; nato ed educato da genitori cristiani, sarebbe passato alla
religione antica; e insegnò filosofìa in Alessandria. Non scrisse nulla, e non
sappiamo niente di preciso sulle dottrine che pro¬ fessava: ci è riferito che
secondo lui le dottrine di Platone e di Aristotile, nelle cose essenziali,
concordavano, si po¬ tevano ridurre o fondere in una sola dottrina. La tendenza
religiosa dell 7 uomo, oltre che l’ammirazione che ispirava, si può concludere
dall’epiteto di 0£o5iBaxToc, a Deo doctus, che scrittori posteriori gli danno.
Ebbe, molti scolari: si citano tra gli altri un Erennio, un Origene pagano che
non è da confondere col teologo cristiano dello stesso nome, quantunque anche
di questo è detto che passò per la scuola di Ammonio; poi il critico Biblioteca
Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO e retore
Longino a cui è stato attribuito (falsamente) il trattato Del sublime; ma
sopraffatti importante fra gli scolari di Ammonio Sacca è Plotino. Questi tre
scolari principali, Erennio, Origene e Plotino s’erano messi d’accordo di non
pubblicare nulla degl’ in¬ segnamenti di Ammonio, probabilmente per non profa¬
narli divulgandoli; ma non essendo stati ai patti prima Erennio e poi Origene,
anche Plotino si ritenne sciolto dalla sua parola, e così insomma egli è
diventato per noi il rappresentante letterario, il vero organizzatore ed espo¬
sitore di quel sistema d’idee eh’è il Neoplatonismo. Quali che siano stati
gl’insegnamenti di Ammonio, la filosofia neoplatonica è la filosofia di Plotino
e poi dei suoi suc¬ cessori. 2. - Plotino era di Licopoli, nell’Egitto, e visse
dal 204 (o 205) al 270. A 28 anni si diede alla filosofìa e udì più d’uno dei
maestri eh’erano allora in Alessandria, senza rimanerne contento; ma quando un
amico, al quale s’era confidato, lo condusse a sentire Ammonio, disse : è
quello che cercavo; e rimase suo scolaro per 11 anni. Nel 243, desiderando
conoscere nelle sue fonti la sag¬ gezza orientale dei Persiani e degl’indiani,
accompagnò l’imperatore Gordiano nella sua spedizione contro la Persia; ma
questa spedizione riuscì male; lo stesso impe¬ ratore vi fu ucciso ; Plotino
potè appena salvarsi in An¬ tiochia, poi venne a stabilirsi a Poma nel 244 e vi
rimase quasi fino all’ultimo della sua vita. Aperse una' scuola ' che Ìventò
sempre più numerosa. Non tanto il talento della parola, quanto la profondità
dei pensieri, la bontà del carattere, la purezza e semplicità della vita gli
attiravano la simpatia e la venerazione. Era una natura mite e gentile,
meditativo, tutto dedito all’insegnamento e allo studio. Diventava bello quando
parlava, e specialmente quando disputava, con grande dolcezza: la sua intelli¬
genza sembrava brillare sul suo viso e illuminarlo. Do¬ vette esercitare una
potente efficacia. Tra i sxioi ascolta¬ tori furono persone di riguardo, dei
senatori e alcune donne distinte. Ci furono uomini e donne, che, vicino a
morire, gli affidarono i loro figli d’ambo i sessi, con tutti i loro beni, come
a un depositario o un tutore di cui si poteva avere fiducia: onde la sua casa
era piena di gio¬ vanetti e di giovanotte. Egli guardava a tutto, adempiva a
tutti i suoi obblighi, il che non lo distraeva punto dalle cose intellettuali,
ch’erano la passione della sua vita. L’im¬ peratore Gallieno e sua moglie,
l’imperatrice Saloniua, lo ebbero in grande favore, 27egli ultimi anni del
filosofo fu ventilata pef un momento tra lui e l’imperatore l’idea di fondare
nella Campania una città filosofica sul modello di quella di Platone, e che si
sarebbe chiamata Platono- poli ; ma non se ne fece nulla. Le condizioni della
sua salute peggiorata (soffriva di un’affezione cronica dello stomaco) lo
decisero ad abbandonare Roma e a ritirarsi in una villa della Campania che fu
messa a sua disposi¬ zione. Morì nel 270, a 66 anni, presso Minturno. Al me¬
dico, suo amico e discepolo, che venne a vederlo, Plotino morente avrebbe detto
: Ti aspettavo, prima di riunire quello che v’ha di divino in noi al divino che
è nell' uni¬ verso. Tutte queste cose si leggono nella Vita che ne scrisse il
suo scolaro Porfirio, il quale comincia la sua biografia con queste parole: Il
filosofo Plotino, vissuto ai nostri giorni, pareva si vergognasse di avere un
corpo. Così pure egli non parlava mai della sua famiglia e della sua patria; e
gli ripugnava di farsi fare un ritratto o un busto. Un giorno che Amelio (un
altro degli scolari) lo pregava di lasciarsi ritrarre, Plotino gli disse: Non
basta di portare quest’immagine nella quale la natura ci ba chiusi? Bi¬ sogna
proprio trasmettere alla posterità l’immagine di questa immagine come un
oggetto che valga la pena di essere guardato? Dobbiamo soprattutto a Porfirio
se possiamo leggere Plotino. Il quale s’era contentato per molti anni
dell’inse¬ gnamento orale, e solo a cinquantanni aveva cominciato a mettere, in
iscritto le sue idee. Scriveva rapidamente, tutto assorbito dal suo pensiero,
lungamente e intensa¬ mente meditato, senza curarsi molto dello stile e nemmeno
dell’ortografia: non si rileggeva, anche per la vista debole che aveva. Verso
la fine della sua vita affidò a Porfirio i suoi manoscritti con l’incarico di
rivederli e ordinarli. Porfirio trovò eh’essi contenevano o se ne potevano
rica¬ vare 54 trattati o capitoli, li distribuì in sei gruppi ciascuno di nove
libri, e chiamò questa raccolta Enneadi, come chi dicesse Novene, sei Enneadi
di nove libri ciascuna. Questa è l’origine dell 1 Enneadi di Plotino, il libro
fon¬ damentale della speculazione neoplatonica, e uno dei te¬ sori della
letteratura mistica di tutti i tempi. Fu tradotto in latino da FICINO (si
veda). Il neo-platonismo è una filosofia essenzialmente reli¬ giosa; il motivo
da cui è nata si può dire anzi mistico: l’aspirazione verso il divino, il
bisogno dell’ anima di sol¬ levarsi dai limiti dell’esistenza finita, e di
sentirsi una con l’essenza universale di tutte le cose. L’idea fonda- mentale e
dominante della filosofia di Plotino è che tutte le cose esistono in Dio,
emanano da lui e ritornano a lui; e questo non come una cosa solamente pensata,
ma sen¬ tita e vissuta in tutte le fibre dell’anima, con uno sforzo persistente
del pensiero di penetrare nei misteri di questa vita divina di se stessi e del
mondo. Il punto di partenza e il presupposto di questa specu¬ lazione è la
distinzione platonica tra le cose sensibili e la realtà intelligibile, la
realtà delle idee. È una distinzione che può essere pensata in una ma¬ niera
sobria, senza nulla di mistico. Tutti in fondo vi¬ viamo in un mondo ideale,
nel mondo delle idee, quando parliamo di verità, di giustizia, di virtù, di
bellezza; e il mondo tutto quanto, anche il mondo naturale, si può con¬
siderare come una realizzazione d’idee. Questo insegnava Platone e questo
insegnava Aristotile. Ebbene, secondo Plotino, bisogna elevarsi ancora più in
su. Le Idee sono una realtà derivata, non sono la prima realtà. Il principio di
tutto ciò ch’esiste è l’Unità assoluta, ch’è al di là di ogni molteplicità e di
ogni determinazione. Le cose che noi vediamo e che possiamo pensare sono molte,
ma tutte queste cose non potrebbero esistere se non avessero la loro radice
prima nell’Uno da cui pro¬ cedono e che le tiene insieme. L’unità è la
condizione di ogni molteplicità non solo nei numeri, ma anche nel mondo
dell’essere; senza un’unità suprema incondizio¬ nata nessuna cosa esisterebbe,
e il mondo si risolverebbe in un caos senza consistenza e senz’ordine. Plotino
chiama questo primo principio l’Uno, zb gv, nel senso che esclude ogni
molteplicità, e gli nega pure ogni determinazione o attributo, perchè*
definirlo in qualche modo sarebbe un limitarlo, farne una cosa piuttosto che
un’ altra. Si può dire quello che non è, non quello che è: senza limiti,
infinito, senza forma nè qualità. È una realtà asso¬ lutamente trascendente,
rcàvawv, al di là di tutte le cose : una realtà a cui nessun concetto e nessuna
pa¬ rola è adeguata. Questo lo diceva anche Filone ebreo, il quale però, edu¬
cato sulla Bibbia, non poteva a meno di concepire Dio come persona. Secondo
Plotino, non si può attribuire a Dio, alla realtà prima e assoluta, nessuna
delle proprietà della persona: nè il pensiero nè la volontà: il pensiero
suppone la dua¬ lità di soggetto e oggetto e la molteplicità delle idee pen¬
sate; la volontà suppone un’attività rivolta a un fine: saremmo sempre nel
campo delle realtà derivate, della molteplicità, della differenziazione. Ogni
attributo dunque,) personale o non personale che sia, bisogna negarlo di lui.^
Ma insieme con questo esso è ciò che v’ha di supre¬ mamente reale e di
supremamente positivo, giacche se noi affermiamo la sua trascendenza assoluta
al di là di tutte le cose finite e di tutte le cose pensabili, non è per di¬
minuirne la realtà, ma unicamente perchè la pienezza del¬ l’essere non sarebbe
compatibile con una limitazione o de¬ terminazione qualsiasi. / Si può dire
solo di lui eh’è l’Uno, il Primo, potenza c (prima e causalità assoluta di
tutte le cose; e anche si può ì \ dire eh’è il Bene, non come un attributo
intrinseco a lui ' (come se fosse un essere buono), ma come il fine ultimo a
cui tutte le cose tendono. È insomma l’Ineffabile. Un filosofo italiano *)
(liceva: * : l’Innominabile Reale. E voleva dire: la vita, il mondo è j un
grande mistero: tutte le cose elle noi vediamo e che I pensiamo accennano, sono
l’indizio di una realtà suprema che ci supera, ci trascende : possiamo
affermarla, non no¬ minarla. Questo è l’Uno di Plotino. Rimane a sapere come
procedono gli effetti di questa causalità originaria. Bisogna escludere innanzi
tutto ogni idea di divenire nel tempo, come se prima esistesse l’Uno e poi le
altre cose ; no, non si tratta di raccontare una storia di eventi che si
succedono ; e più specialmente non si può ammet¬ tere che le cose procedano dall’
Uno in seguito a un atto di volontà, a una decisione intenzionale, come se
l’Uno fosse una persona che pensa e delibera : dunque niente creazione, nel
senso ebraico e cristiano. E Plotino non ammette nemmeno con gli Stoici che la
sostanza divina, come un fuoco sottilissimo, si comu¬ nichi alle cose derivate,
permeandole come il miele che riempie di sò le celle dell’alveare : Dio non è
una sostanza che si possa disperdere e spartire. Per esprimere la sua idea
Plotino è obbligato a servirsi d’immagini.^ È per la sola necessità della sua
natura che il primo juincipio dà origine alle cose derivate, si comunica ad
esse. Come ogni essere vivente, giunto al suo punto di perfezione, ne genera un
altro simile a sè, così la realtà suprema ne fa nascere delle altre simili
benché inferiori. Dalla pienezza dell’ Uno si diffonde, straripa il flusso
delle q Antonio Tari, professore di Estetica nell’ Università di Napoli.
esistenze derivate. Esse procedono da lui, come la pianta germina dalla radice,
come dal sole la sua luce. Questa è l’immagine più frequente e in un certo
senso la più chiara. L’universo è la fulgurazione (TcepiXajjL^) dell’Uuo, della
luce divina. Non è dunque nè creazione nè spartizione della so¬ stanza divina,
ma emanazione, intendendo per emana¬ zione non una diffusione che diminuisca la
sorgente da cui essa deriva, ma un comunicarsi di forza che pure ri¬ manendo
integra in se stessa si comunica alle esistenze derivate. Le quali perciò sono
pure manifestazioni dell’Infinito, emanazioni di lui, sono immanenti in lui,
mai separate da esso, il quale ciò nonostante non si confonde con le cose, ma
le trascende, è al di là di tutte le cose. Dio è dapertutto ed è l’attualità di
tutto, senza essere in nessun posto e senza confondersi nè con ciascuna cosa
finita nè con la loro totalità. Quando si parla di Panteismo, ordinariamente
s’intende quella concezione che confonde o identifica Dio col mondo. Per
Plotino Dio, l’Uno, rimane eternamente distinto dal mondo, e ciò nonostante il
mondo è tutto pieno di Dio, è un’emanazione della sua luce, della forza divina
da cui deriva: si potrebbe chiamare questo un Panteismo dina¬ mico o
emanatistico. Prodotto dall’efficacia dell’Uno, il derivato ne è come la
riproduzione indebolita, a dir così un’immagine o una copia, una luce più
debole, un’ombra. E come l’immagine che riflette uno specchio sparisce quando
s’allontana l’oggetto che la produce, così, senza l’efficacia persistente e
continuata dell’Uno, le esistenze, derivate si dileguerebbero. Esse hanno in
lui la loro con¬ sistenza, ma ogni nuova emanazione, pur partecipando del-
l’Uno, è meno perfetta di lui ; le cose diventano via via meno perfette a
misura che s’allontanano dalla causa prima e aumentano i termini intermediari:
la luce proiet¬ tata dall’ Uno impallidisce via via fino a sembrare come
dileguarsi nelle tenebre del non essere, della materia bruta. Si direbbe
un’evoluzione a rovescio, non dalle forme meno perfette alle più perfette, ma
al contrario, una de¬ gradazione progressiva del divino, un allontanarsi sempre
più della luce dalla sua sorgente. E quali sono i gradi di questa emanazione 1
? Prima e immediata emanazione dell’Uno è l’intelli¬ genza o il vou?, s’intende
l’Intelligenza universale,, la Mente divina con le sue idee (il Logos che
diceva Filone, e che anche per lui era il primogenito di Dio) : il mondo delle
Idee dunque, le quali contengono le ragioni semi¬ nali di tutte le cose, terre,
mari, fiumi, animali, piante, individui, cosi come possono esistere nella loro
essenza, ab eterno: l’Uno, senza cessare di essere l’Uno, si è come enucleato
in questa molteplicità delle Idee, che costitui¬ scono il mondo intelligibile
insieme con la Mente che le pensa. E come dall’Uno emana l’Intelligenza o il
voOg, così da questo emana il principio della Aita cosmica, l’Anima universale,
l’Anima del mondo, che da una parte guarda alle Idee, e dall’altra come Natura
le attua nello spazio e nel tempo generati da essa, le attua nel mondo sensi¬
bile; sicché l’Anima, come il secondo Dio di Numenio, è, si può dire, al confine
dei due mondi, del mondo intelli¬ gibile di cni essa è l’ultima emanazione, e
del mondo dei corpi che emana e eh’è formato da essa; e l’ultimo ter¬ mine di
questa processione è la materia o il sustrato ma¬ teriale dei corpi, la materia
senza forma, in cui la luce divina si estingue in qualche cosa di opaco e di
oscuro. Cosicché avremmo come una gerarchia di esistenze che, in ordine inverso
a quello che abbiamo detto, andrebbe dalla materia ai corpi che costituiscono
la fantasmagoria del mondo sensibile, dai corpi all’Anima, dall’Anima al-
l’Intelligenza o Ragione universale, dall’Intelligenza a Dio. Il mondo corporeo
riceve la luce dall’Anima, l’Anima dall’Intelligenza o Ragione, questa
dall’Uno: così tre sfere concentriche illuminate da un punto al centro, esso
stesso invisibile agli occhi mortali, ma eh’è la sorgente prima e il focolare
perenne della luce che illumina il mondo. 4. - L’Uno, l’Intelligenza e l’Anima
costituiscono in¬ sieme il mondo intelligibile, da cui dipende il mondo sen¬
sibile; e sono dette con parola tecnica le tre ipostasi, le tre sostanze che
nominate a una a una sembrano tre personificazioni: una trinità di principi che
sono stati paragonati alle tre persone del dogma cristiano. C’è la differenza
essenziale che nel mistero cristiano le tre per¬ sone sono uguali in perfezione
e costituiscono tutte in¬ sieme l’unità di Dio: e in questa triplicità di un
solo Essere sta appunto il mistero. In Plotino, i tre principi non sono
persone, ma gradi della realtà: il mondo pro¬ cede direttamente dall’Anima e
mediatamente dall’Intel¬ ligenza e dall’Uno. Ho già avvertito che bisogna
esclu¬ dere da questo processo ogni idea di divenire nel tempo ; e così pure
bisogna escludere ogni idea di spazio, come se si trattasse di un edifizio a
tre piani, di cui il mondo Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 297 sensibile sarebbe come
il pian terreno. No, sono tutte rap¬ presentazioni in adeguate. Si tratta
invece di comprendere V universo, nella sua unità, come la manifestazione di un
principio divino unico che si manifesta come Intelligenza e come Anima, come
Intelligenza in quanto il mondo lia un contenuto razionale che sono le Idee che
vi sono rea¬ lizzate, come Anima in quanto il mondo è il risultato di una forza
generatrice e formatrice che distribuisce l’essere e la vita a tutte le cose
che esistono; e così l’Intelligenza come l’Anima sono da considerare come
l’irradiazione o l’efflorescenza di quell’Uno originario nel quale vivono e
sussistono esse stesse e tutte le cose; e l’ultimo ter¬ mine di questa
produzione, il polo estremo, a dir così, di questa degradazione progressiva
dell’Uno è la materia, che non è più luce, ma ombra, oscurità, ma in quanto è
materia animata e formata dalle potenze divine, è ombra di luce, ombra
dell’Anima e della Mente di cui porta in sè impresse le tracce. Dopo questa
veduta sommaria, fissiamo più particolar¬ mente la nostra attenzione su
l’Anima, che, come dice¬ vamo, si trova al confine dei due mondi, del mondo in¬
telligibile e del mondo sensibile: li separa e li unisce partecipando di
entrambi. In quanto emanazione o espressione dell’Intelligenza, l’Anima
contempla in essa le-Idee, e sono queste Idee eh’essa attua, realizza nel mondo
dei corpi. Si potrebbedire che ha una doppia funzione, una rispetto all’Intel¬
ligenza da cui riceve o riflette o rispecchia le Idee, l’altra rispetto al
mondo dei fenomeni che si genera da essa, e nel quale essa imprime le Idee, che
diventano così le forme o ragioni seminali delle cose. Per esprimere questa
doppia funzione Plotino ne parla talvolta come fossero due anime, una superiore
e l’altra inferiore, 1’Afrodite celeste e PAfrodite terrena, e quest’ultima è
insomma la filatura (cpuaic;), eli’è dunque la stessa Anima cosmica come j
principio della vita universale, come forza creatrice, la cui \ attività non
rimane nella sua semplicità originaria : pur [essendo semplice e indivisibile
in se stessa, la sua att¬ ività si moltiplica, si partisce, si unisce al mondo
corporeo, allo stesso modo come l’anima umana al corpo umano ]ch’ essa vivifica
in tutte le sue parti. Con questo però, ^che il corpo non è qualche cosa di
estraneo, di diverso essenzialmente dall’Anima, ma è una sua produzione, si
potrebbe dire una sua esteriorizzazione. Già è essa l’Anima (l’anima cosmica)
che con la sua espansione genera lo spa¬ zio, e con l’azione successiva delle
sue potenze genera il tempo ; e il corpo stesso è una produzione dell’Anima,
un’emanazione umbratile di essa, ma è essa che lo illu¬ mina della sua luce. Di
qui quell’espressione così carat¬ teristica in Plotino, che non è l’anima ch’è
nel corpo, ma il corpo è nell’anima, il corpo è l’organo, lo strumento
dell’anima, ed è tenuto insieme, animato, unificato dal¬ l’anima che lo produce
e lo avviva tutto. Questo è vero non del corpo singolo solamente, ma di tutto
l’universo. Tutto quanto l’Universo è spiritualizzato in questa veduta: il
mondo dei corpi è un’ombra o ri¬ flesso dello Spirito, non è fuori dell’Anima,
ma un pro¬ dotto dell’Anima e quindi dell’Intelligenza e dell’Uno divino di cui
essa è ministra. Per questa, a dir cosi, inci¬ denza del mondo corporeo nelle
potenze spirituali da cui si genera, tutto nella natura è animato: tutto è
pene¬ trato d’intelligenza e delle idee realizzate dall’Anima. PLOTINO: l’anima
e il mondo sensibile 299 materia pura, senza forma, senza vita e senz’ anima è
più un’astrazione del pensiero che una realtà. Già nella pietra c’è una vita
latente: negli elementi stessi c’è qualche cosa di vivido, nella fiamma, nell’acqua
che scorre, nell’aria. Ed è sempre l’Anima che in virtù della sua fecondità
ine¬ sauribile produce l’immensa serie degli esseri, i corpi ce¬ lesti, i corpi
degli animali e delle piante, fino alla più gros¬ solana materia delle cose
terrestri. È una vita infinita dif¬ fusa per tutto l’universo: lo spirito
animatore vi apparisce in gradi diversi : nei suoi generi e nelle sue specie e
nelle diverse forme individuali c’è come un passaggio continuo dal più perfetto
al meno perfetto; e nelle creature infe¬ riori c’è come la traccia o il ricordo
e quindi l’aspira¬ zione e il presentimento delle forme superiori; e tutte
queste vite singole, distinte, non confuse tra loro, si unifi¬ cano pnre nel
juincipio unico da cui emanano. Come l’In¬ telligenza, pure essendo una,
contiene in sè tutte le Idee, cosi l’Anima universale contiene in sè le singole
anime, tutte le forme di vita che popolano il mondo, le quali, benché distinte
individualmente, si unificano pure nella loro essenza, sono manifestazioni
diverse della stessa Anima del mondo, come raggi che partono da un centro
comune, o come la scienza è una nelle diverse sue parti, e una stessa luce può
illuminare i luoghi più diversi. Nel mondo sensibile l’unità diventa
molteplicità e l’armonia può diventare opposizione e lotta; ma ciò nonostante
l’unità originaria non è annientata: tutti gli esseri rea¬ lizzano la stessa
vita, e sono come le voci diverse che celebrano o riecheggiano la stessa
armonia. Dato questo concetto dell’animazione universale e della vita unica che
ricircola rimanendo identica a se stessa in tutte le parti e forme del mondo,
Plotino si trova in una situazione non dissimile da quella in cui s’ era
trovato Platone, di fronte alla realtà della nostra esperienza. Da una parte la
tendenza religiosa del suo spirito e i concetti platonici con cui lavora,
l’opposizione tra realtà sensibile e realtà intelligibile, lo portano a
considerare il mondo sensibile, eh’è nato dalla mescolanza dell’anima con la
materia, come un peggioramento, come un’ombra della vera realtà; quindi la
realtà empirica e sensibile non è la vera patria dell’anima, la quale anzi
aspira a libe¬ rarsi da essa. E questa tendenza troverà la sua espres¬ sione
nell’Etica. Ma d’altra parte questa fantasmagoria dei sensi è pure un riflesso
del mondo ideale, è una manifestazione del¬ l’Anima, penetrata d’intelligenza e
d’idee; deve avere tutta la perfezione e la bellezza di cui è capace. Plotino
combatte espressamente quelli che considerano il mondo dei sensi come il regno
del male, di un male originario e insanabile, quasi fosse l’opera di un
demiurgo cattivo. Egli è ancora troppo greco per accettare questa condanna. Il
mondo sensibile è inferiore al mondo ideale perchè se ne distingue ed è fatto
di materia; ma rappresenta pure il suo modello, esprime la vita e la saggezza
infi¬ nita, è un riflesso del Bene, le cui emanazioni finiscono in lui. Tenendo
dall’Anima V essere suo, è un tutto organico in cui l’opposizione e la lotta
dei contrari sono subordi¬ nati all’unità del tutto. Non solo c’è ordine e
armonia, ma connessione, solidarietà fra le diverse parti, non per azione
fìsica o meccanica che vi sia fra loro, ma per l’unità del¬ l’Anima e
dell’Intelligenza che lo vivifica, e quindi per la simpatia e affinità di
natura di tutti gli esseri fra loro. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli"
- San Pietro Vernotico (Br) Plotino proclama con gli Stoici l’ordine e
l’armonia del mondo, e scrive una Teodicea per difendere il con¬ cetto della
Provvidenza. Tutto è bene, anche per lui : la distruzione perpetua degli esseri
anche quando si divo¬ rano gli uni gli altri, non l’offende, è la condizione
del rinnovarsi perpetuo della scena della vita. - Sì, è neces¬ sario eh’essi si
divorino: è come sulla scena; un attore eh’è stato ucciso, che s’è visto
morire, va a cangiare di vestito e ritorna sotto un altro aspetto : vuol dire
che non era morto realmente. A traverso questa vicenda la vita permane, morire
è cangiare di corpo come l’attore cangia di vestito e riprende la sua parte:
che cosa c’è di spaventoso in questa permutazione degli animali gli uni negli
altri? E così, morire nella guerra, nella bat¬ taglia, è anticipare di ben poco
i colpi della vecchiaia e la morte naturale: è un partire per ritornare sotto
altra forma. Questi massacri che noi vediamo, questi saccheggi di città, queste
violenze, pianti e gemiti degli attori, in tutte queste .vicissitudini della
vita, non è l’anima del di dentro che cambia, ma è l’ombra dell’uomo esteriore
che geme e si lamenta. - L’ottimista, che crede nella Provvidenza, e guarda le
cose dal punto di vista del¬ l’eternità, si consola facilmente di questo
spettacolo, ch’è così doloroso a chi ci vive dentro e n’è vittima. Kon solo
Plotino afferma che tutto è bene, ma ammira soprattutto la bellezza del mondo,
e scrive del Bello, e dopo i primi accenni che si trovano in Platone, pone al¬
cuni dei concetti fondamentali della scienza dell’Estetica. Perchè in verità
tutta la concezione della natura che abbiamo veduto è una concezione che si può
dire reli¬ giosa e estetica insieme. Data quell’animazione e spiritualizzazione
dell’universo, la realtà o fenomeno sensibile non è altro che un riflesso
dell’Idea eh’esso esprime. E il lampeggiare dell’Idea nel fenomeno è appunto la
bellezza. Il bello ha carattere spirituale. ISTon è bella la forma sen¬ sibile
come tale, nella sua esteriorità, non la simmetria, non la proporzione, ma la
vita o l’Idea che la forma esprime, quel certo che di spirituale,
d’impalpabile, che risplende in essa. E il bello così inteso noia è un oggetto
fuori dell’anima, non c’è nulla al di fuori dell’anima, tanto meno gli og¬
getti belli. È intanto l’Anima, come potenza generatrice, che realizzando le
Idee produce le forme belle; ed è un’anima, un’anima individuale, che ha il
sentimento della bellezza, contemplando quelle forme. L’anima coglie e sente la
bellezza perchè sente e scopre se stessa nelle cose belle; ma questa visione e
questo sentimento non sa¬ rebbe possibile, l’anima non potrebbe vedere la
bellezza, se essa stessa non è diventata bella. È una delle grandi parole di
Plotino, che vuol dire: solo le anime pure hanno veramente il sentimento della
bellezza, quelle che si solle¬ vano sulle cupidigie e i desiderii inferiori,
che sanno guar¬ dare con occhi sereni, con una contemplazione disinteres¬ sata,
le cose belle. Di qui quest’altra parola sua: se tu non trovi ancora la
bellezza nella tua anima, fa’come l’artista ‘ che non cessa di lavorare alla
sua statua, finché non le ab- . bia dato tutta la sua bellezza. Cosi tu
scolpisci e cesella la tua anima, e purifica e illumina tutto ciò che v’ha in
essa di torbido, perchè essa diventi degna di sentire la bellezza. La bellezza
è un mistero che non solo ci piace ma ci attira, non c’ispira ammirazione
solamente, ma amore. plotino: l’anima umana Il che vuol dire che al di là di
essa c’è qualche altra cosa. Al di là della forma bella, o per meglio dire a
tra¬ verso di essa, traluce qualche cosa di cui essa è lo splen¬ dore: ed è il
Bene a cui l’anima aspira. Solo il Bene può far nascere l’amore, ed è col Bene
che l’anima aspira ad unirsi. . 5. - Come tutte le cose che esistono, anche
l’uomo ha la ragione della sua esistenza nel mondo intelligibile, non solo ne
deriva, ma ci vive dentro, non ne è separato, anche durante la sua esistenza
terrena. Ogni anima deve considerare eh’essa è parte dell’Anima universale, di
quell’Anima che ha prodotto tutte le cose del mondo sensibile, gli astri
divini, il sole e il cielo im¬ menso : è essa che ha dato al cielo la sua forma
e che presiede alle sue rivoluzioni regolari: è da essa che si generano tutti i
viventi, le piante e gli animali che sono sulla terra, nell’aria e nel mare.
Tutte le anime indivi¬ duali sono immanenti in quest’Anima cosmica ; ed è in¬
somma lo stesso principio animatore del mondo che vive anche in noi, e che noi
diciamo la nostra anima. Sicché ciascun’anima, per questa sua provenienza, è,,
come quella che le contiene tutte, di natura spirituale^ ed eterna; la sua
esistenza non comincia nè finisce col \ corpo con cui è congiunta. Essa non è
un aggregato di atomi, come pensavano gli Epicurei, non è corpo sotti¬ lissimo
igneo o etereo, come credevano gli Stoici, non è nemmeno funzione del corpo,
entelechia o forma di esso, come insegnava Aristotile, e nemmeno armonia
risultante dalle relazioni fra le parti del corpo, come opinavano i Pitagorici.
Plotino discute e rifiuta tutte queste ipotesi, per con¬ cludere die fiamma non
Ita bisogno del corpo per esistere: la sua vera essenza è di essere semplice e
separabile dal corpo : è di natura spirituale e quindi immortale ; tutte le sue
facoltà, la sensazione, la memoria, il pensiero, le * x'-l T qualità morali non
sarebbero possibili se fi uomo e la sua -, anima fossero un semplice aggregato
di molecole rnate^ riali : tutte quelle funzioni e facoltà suppongono un sog¬
getto semplice, identico a se stesso, non sottomesso alle _ Vicende delle cose
corporee: la critica del materialismo che j si trova in Plotino è fra le più
compiute che ci abbia lasciato fi antichità, e contiene argomenti che sono
stati poi sempre utilizzati. Questa natura spirituale delfi anima importa elfi
essa è vicinissima alla sorgente di tutte le cose. Giacché i tre principi che
sono nelfiuniverso, l’Anima, fi Intelligenza e l’Uno, debbono essere .anche in
noi: essi costituiscono l’uomo interiore, la vera essenza dei- fi uomo. Il
quale è un’anima e possiede fi intelligenza, non solo l’intelligenza
discorsiva, che procede per via di ragiona¬ menti, ma anche quella forma
superiore di essa che in¬ tuisce le Idee, la ragione intuitiva. Bisogna dunque
che risieda in noi anche quel principio divino da cui emana l’Intelligenza,
l’Uno ineffabile, che non esiste in nessun luogo, ma eh’è come il centro e* il
cuore più intimo del mondo. L’uomo è un microcosmo, un piccolo mondo, jl
compendio dell’universo. È così che noi uomini, nella nostra intima essenza,
siamo in contatto con Dio, siamo in certo modo sospesi a lui, respiriamo e
sussistiamo in lui l’ anima umanaSe non che, quest’uomo interiore esìste in un
corpo, j ha pure un’esistenza terrena e sensibile. Coni’è avvenuta | questa specie
di caduta o discesa? \ Qui Plotino bisogna che si aiuti con l’immaginazione, ;
come del resto faceva anche Platone, quando parlava di una caduta delle anime
che hanno perduto le loro ali. Ci sono delle anime celesti che rimangono pure
da ogni - contatto corporeo e beate nella contemplazione delle Idee' eterne. Ma
ce ne sono delle altre, che siamo noi, le vere anime umane, le quali si sono
rivestite di un corpo, e sono discese in un grado di esistenza inferiore. Come
l’Anima universale procedendo nelle sue emanazioni avviva il corpo intero
dell’universo, così alle anime particolari è devoluta una parte determinata del
mondo corporeo ; il che si può anche intendere come una legge provviden¬ ziale,
perchè il mondo intelligibile da cui le anime derivano manifesti ed esplichi
tutte le potenze eh’esso pos¬ siede. L’anima particolare, sviluppando le sue
potenze sensitiva e vegetativa, entra in un corpo, o a dir meglio, se ne
riveste, se lo forma vivificandolo e governandolo. {Si potrebbe forse
rappresentarsi la cosa ài modo che dice Dante quando nel XXV del Purgatorio
descrive il formarsi delle ombre: la virtù informativa raggia intorno e
suggella di sè la materia corporea che le si condeusa intorno o eh’essa irradia
da sè). Ma comunque si voglia immaginare la cosa, e a parte qualunque
mitologia, l’idea e la verità profonda eh’è espressa qui, in questa discesa
delle anime nel mondo corporeo, è il distaccarsi dell’anima individuale dalla
sor¬ gente di ogni vita, la volontà dell’esistenza individuale, che finisce col
diventare un’esistenza separata, e dimentica della sua origine e dei legami che
la congiungono col tutto. — Com’è — dice Plotino in un luogo magnifico (il
prin¬ cipio della V a Enneade) — come accade che le anime di¬ mentichino Dio,
il loro padre? Come accade che avendo una natura divina, ed essendo uscite da
Dio, esse lo di¬ sconoscano e disconoscano se stesse ? L’origine del lomale è
l’audacia o l’orgoglio (xóX[xa), il desiderio di non appartenere che a se
stesse. Da quando hanno gustato il piacere di possedere una vita indipendente,
usando lar¬ gamente del potere ch’esse avevano di muoversi da sè, si sono
avanzate nella strada che le deviava dal loro principio, e sono giunte ora a un
tale allontanamento da lui (apostasia, àTzòa-a,ai % vita a cui l’uomo può e
deve aspirare; non costituiscono propriamente questa vita. Non solo la vera
virtù consiste non nelle azioni esterne, f sibbene nella disposizione interna
dell 7 anima; ma questa disposizione virtuosa è soprattutto una purificazione,
una catarsi, una liberazione dell’anima dalla sensibilità e daisuoi legami col
corpo. Quest’idea della purificazione è il significato più pro¬ fondo della
dottrina della metempsicosi, che anche Pio¬ tino accetta come Platone e i
Pitagorici. L’anima che figura nel dramma di cui il mondo è il teatro, e che vi
recita la sua parte, vi porta una disposizione a recitar bene o male, ed è
punita o ricompensata in conseguenza, secondo quello che fa e secondo
giustizia. Salvo che per riconoscere questa giustizia, non bisogna fermarsi
alla vita presente, ma bisogna tener conto drtutti i periodi passati e futuri
dell’anima, la quale non muore col corpo che momentaneamente la riveste, ma è
di sua natura immor¬ tale. Chi è stato padrone in una vita anteriore, se ha
abu¬ sato del suo potere, rinasce schiavo; chi ha impiegato male le sue
ricchezze, rinasce povero ; quelli che hanno commesso violenza, saranno a loro
volta maltrattati ; chi ha ucciso la madre, sarà ucciso dal figlio suo: l’anima
è destinata a incorporarsi in questo o quel corpo, a ridiven¬ tare uomo o
animale o anche pianta, secondo i suoi me¬ riti e gli atti che ha compiuti in
una vita anteriore; e a traverso queste rinascite successive ciascuna anima si
purifica, espia, finché non ridiventi degna di ritornare alla regione celeste
da cui è discesa. Questa purificazione non si ottiene mediante pratiche
ascetiche o mortificazioni, ma facendo si che l’anima non diventi prigioniera
delle passioni del corpo, non s’abban¬ doni ai fantasmi dell’immaginazione, non
si estranii dalla ragione, cerchi di sollevarsi sempre più verso quella realtà
intelligibile ch’ò la sua vera patria. E da questo punto di vista anche le
virtù cardinali o civili acquistano un nuovo significato : diventano virtù
purificative, orientano l’anima verso quella realtà supe¬ riore, facendo che
l’intelligenza domini nell’uomo e regoli tutte le sue azioni e i suoi
sentimenti. Ossia insomma più delle virtù civili e pratiche vale la virtù
contemplativa, la virtù dello spirito puro. f E lo stesso mondo sensibile può
avere valore per il no¬ stro perfezionamento quando sia appunto oggetto dì con-
« templazione: qui vengono a confluire quelle due correnti d’idee che dicevamo:
l’inferiorità della realtà sensibile rispetto al mondo ideale, e la perfezione
e la bellezza di questo stesso mondo sensibile in quanto riflesso delle Idee.
L’anima aspira in fondo al bene supremo, e non vi può pervenire se non mediante
la conoscenza del vero e del bello. Ma anche le apparenze del mondo sensibile
possono servire di gradini, di scala per sollevarsi fino a quel mondo
superiore. Tre vie conducono a questo mondo, che sono per Plo¬ tino la musica,
l’amore e la filosofia. La musica ha per oggetto l’armonia, l’amore ha per
oggetto la bellezza, la filosofìa ha per oggetto la verità. Il musicista si
lascia facilmente commuovere da alcuno forme del bello ; ma bisogna che delle
impressioni esterne vengano a stimolarlo. Come l’essere timido è risvegliato al
più piccolo rumore, cosi il musicista è sensibile alla bellezza delle voci e
degli accordi ; egli rifugge da tutto ciò che gli sembra contrario alle leggi
dell’armonia, e ri¬ cerca il numero e la melodia nei ritmi e nei canti. Ma
bisogna che dopo queste intonazioni, questi ritmi e queste arie puramente
sensibili, egli impari a conoscere le pro¬ porzioni e i rapporti intelligibili
che sono l’idea e il prin¬ cipio stesso dell’armonia delle cose ch’egli ammira,
e ammirando le quali egli possiede come istintivamente delle verità che solo
una scienza più alta potrà rivelargli. L’amore è rivolto verso la bellezza, e
dicemmo già come l’anima diventa bella, si purifica, contemplando il bello, il
lampeggiare delle Idee nella forma sensibile. Ma i anche qui ci sono dei
gradini da salire, e bisogna che l’amante si sollevi dalle belle forme corporee
alle Idee ch’esse esprimono, e riconosca il Bello anche nelle cose incorporee,
nelle scienze, nei prodotti spirituali dell’atti¬ vità umana, nella virtù,
finché non giunga a quel pelago ampio del Bello di cui parlava Diotima nel
Convito pla¬ tonico. Perché la stessa commozione profonda e trepida che noi
proviamo di fronte alle belle forme e a tutte le cose belle, ci dice che al
disopra di esse tutte c’ è una Bellezza superiore, di natura puramente ideale,
quella del Bene che le illumina e le colora della sua luce. Quanto al filosofo,
dice Plotino, egli è naturalmente disposto ad elevarsi al mondo intelligibile.
Vi si slancia portato da ali leggiere, senza aver bisogno, come i pre¬ cedenti,
d’imparare a liberarsi dagli oggetti sensibili. La filosofia non è ridotta a
intravedere la verità a traverso i suoi simboli, ma la coglie direttamente e
nella sua essenza, senza che la passione o l’immaginazione vengano a tur¬ barne
o oscurarne la tranquilla e pura contemplazione. La filosofia rivela e spiega e
commenta quelle verità che il musicista e ramante intravedono solo confusamente
e come per istinto : ci svela la realtà e la natura (lei mondo intelli¬ gibile,
concesso è costituito e come procedono i suoi effetti. % Qui si direbbe che
siamo giunti all 7 ultimo termine della nostra ascensione. Ebbene no. Al
disopra di ogni rifles¬ sione e di ogni conoscenza, al disopra di ogni
distinzione di pensante e di pensato, di soggetto e di oggetto, e 7 è uno stato
veramente incitabile, nel quale l’anima indivi¬ duale si annega e si perde,
come illuminata dalla luce divina, con la quale essa s’identifica. ISon si può
chiamare nemmeno visione, ma piuttosto un’estasi, una semplificazione, un
abbandono di sè, una perfetta quietudine, infine un confondersi con ciò che si
contempla. Come l’amore non si contenta della visione, ma aspira
all’unificazione intera delle anime, così l’anima umana aspira a congiungersi
con l’Uno, col Bene, col principio di ogni realtà, e vi riesce qualche volta
quando nel più profondo raccoglimento dalle cose esterne, al di là di ogni
pensiero, nella più profonda pace, aspetta di essere illu¬ minata dalla luce
divina, nega la sua finitudine, e come rapita e fuori di sè, essa stessa
s’india. Questa Divina Commedia finisce non con una visione beatifica, ma con
l’estasi. Porfirio ci dice che Plotino, durante il tempo che furono insieme,
aveva provato questo stato di suprema beatitu¬ dine solo quattro volte, ed egli
stesso, Porfirio, una sola volta, all’età di 68 anni 1 ). 1) Cfr. YachehoTj
Histoire oritique de Vécole d ? Alexandrìe, Il bisogno metafìsico ;
trasformazione del Neoplatonismo - 2. Porfirio, Giamblico, Giuliano l’Apostata:
Neoplatonismo e Cristianesimo - 3. Ipazia d’Alessandria - 4. La scuola d’Atene,
Proclo. Fine della Filosofìa antica. 1. - La filosofia di Plotino, per i
concetti con cui opera, si può considerare come il risultato di tutta la
specula¬ zione anteriore. Plotino fia imparato non solo da Platone, ma da Ari¬
stotile, dagli Stoici, dai presocratici, specialmente dagli Eleati: ha imparato
anche dalle filosofie ch’egli com¬ batte; e mentre riassume il passato,
contiene idee, in¬ tuizioni e suggestioni che valgono per tutti i tempi: il
motivo religioso, da cui questa filosofìa è nata, ne ha fatto una delle
concezioni tipiche e caratteristiche di quello eh’è stato chiamato il bisogno
metafìsico. Ci sono dei tempi in cui la filosofìa si sforza e non conosce altro
com¬ pito se non di comprendere la realtà dell’esperienza, la struttura e le
leggi di questo nostro mondo sensibile: diventa, come dicono, positiva; ce ne
sono degli altri in cui non si contenta di questo, e nemmeno di quella saggezza
pratica, che basta a condurci nella vita ; ma cerca di esprimere e di appagare
i bisogni più profondi dello spirito o di alcuni spiriti che non mancano mai in
nessun tempo; il bisogno di liberarsi dalle inquietudini e dalle limitazioni di
questo oscuro viaggio della vita, di trovare la pace e la beatitudine in una
realtà superiore. Di questo slancio, di quest’aspirazione verso il divino,
Plotino è ri¬ masto uno degl’interpreti più eloquenti; e la sua efficacia è
stata grande a traverso i secoli, in S. Agostino e negli altri Padri della
Chiesa, nei mistici del Medio Evo, poi massimamente nei nostri filosofi del
Rinascimento, in Ma¬ lebranche e Spinoza, più tardi nei poeti e filosofi del
Romanticismo tedesco, fino ai nostri giorni. Intanto non bisogna dimenticare
che questa filosofia neoplatonica si produceva in un’età di fermentazione re¬
ligiosa, tra spiriti sitibondi del soprannaturale, in un’atmo¬ sfera satura di
superstizióni, in mezzo a quel sincretismo di tutte le credenze e di tutti i
culti del mondo antico, fra cui si preparava la fede dell’avvenire: bisogna
tener conto di questo fondo storico, in cui il Neoplatonismo s’è formato, per
intendere la sua storia posteriore e le sue trasformazioni. Nel tempo stesso in
cui il Neoplatonismo era insegnato e si diffondeva nell’impero romano, la
Chiesa cristiana, che s’era già cominciata a organizzare, cercava essa pure di
definire i suoi dogmi, superando i contrasti che si pro¬ ducevano nel suo seno;
creava un corpo di dottrine, le quali fissavano, di fronte alle opinioni
dichiarate eretiche, il contenuto della nuova coscienza religiosa: nasceva così
la teologia cristiana, una filosofìa del Cristianesimo, la quale utilizzava anch’essa
a modo suo i concetti della filosofìa greca, specialmente quello del Logos, che
finisce con V identificarsi col Messia come il mediatore vivente tra Dio e
l’uomo; si assimilava questi concetti modifi¬ candoli e incorporandoli nel
sistema delle sue credenze. Ora di fronte ai progressi sempre crescenti del
Cristia¬ nesimo, clie ai principi del quarto secolo trionfa con Co¬ stantino, e
finisce col diventare la religione dello Stato, il Neoplatonismo, per gli
spiriti non persuasi della nuova religione ft rimasti fedeli alla tradizione
pagana, diventa 1 o è utilizzato come la base di una teologia del politeismo :
si tenta per mezzo delle idee neoplatoniclie di ristaurare, legittimare e
ridurre a sistema tutte le divinità e i culti dell’antica religione. Il
Neoplatonismo diventa l’ultima filosofìa del paganesimo, e non solo come un
sistema di dottrine destinate a spiegare o risolvere come che sia i problemi di
Dio, del mondo e dell’anima umana, ma come il puntello dell’antica religione
pagana, con tutti i suoi Dei e le sue pratiche. 2. - Non vogliamo entrare nei
particolari di quest’ul¬ tima parte della nostra storia; basterà ricordare i
nomi principali. Fra gli scolari diretti di Plotino il più importante è
Porfirio (232-304), al quale dobbiamo la redazione e la pubblicazione delle
Enneadi, e che continua la dottrina del maestro esponendola con chiarezza e
brevità in quelle Sentenze d’introduzione al mondo intelligibile (’Acpoppori
Ttp&s Tic vorjTa), che si trovano molto utilmente premesse all 'Enneadi
nell’edizione Didot. Scrisse molte altre opere, tra cui una in 15 libri contro
i Cristiani, andata natural¬ mente perduta. È anche studioso e commentatore di
Aristotile; e un passo diventato celebre della sua Isagoge o Introduzione alle
Categorie di Aristotile, che tratta delle cinque voci (il genere, la specie, la
differenza, il proprio, l’accidente), sarà il punto di partenza delle
controversie medievali sugli universali. Porfirio è uno spirito colto, erudito,
che vorrebbe riformare la religione tradizionale ; combatte le superstizioni
più grossolane, predica un culto puro, senza sacrifizi sanguinosi: raccomanda
anche delle pratiche ascetiche. Ea consistere il fine della filosofìa nella
salute dell’anima; ma pure accentuando le tendenze pra¬ tiche e religiose della
scuola, e facendo delle concessioni alle credenze'popolari, si può dire che in
lui è vivo an- ’i _ cora l’interesse filosofico. Egli è il continuatore
immediato della tradizione plotiniana. Invece con Giamblico, che fu scolaro di
Porfirio, avviene decisamente quella trasformazione del Neoplatonismo in un
sistema di credenze religiose: l’interesse teosofico pre¬ vale: la filosofia
diventa ancella della teologia, e della teologia pagana. Giamblico nacque in
Calcide nella Gelesiria, non si sa precisamente in quale anno, visse ai tempi
di Costantino, e morì intorno al 330. È riguardato come il fondatore di una
nuova scuola, della scuola siria del Neoplatonismo: ebbe molti discepoli,
entusiasti di lui, che lo riguardavano •come un uomo straordinario e divino,
dotato di potenza occulta e miracolosa. Giamblico intraprende una ricostruzione
filosofica del Panteon pagano, nella quale entrano gli Dei greci e ro¬ mani e
le divinità orientali, tutte all’infuori del Dio cri¬ stiano. E alla credenza
in tutta questa moltitudine di Dei si aggiungono le pratiche del culto : alla
virtù e alla contemplazione, ck’erano per Plotino i mezzi con cui l’uomo si
solleva al divino, si aggiunge o piuttosto si sostituisce la teurgia, cioè
l’arte di esercitare un’azione sulla volontà degli Dei per renderseli
favorevoli, di far discendere in sè il divino per mezzo di pratiche esterne,
riti, preghiere, con la virtù di formule simboliche, che ci riedificano nel¬
l’unità primitiva da cui siamo usciti. Le formule filosofiche diventano pretesto
à stravaganze magiche e spiritiche. Com’è stata possibile la degenerazione di
una così no¬ bile filosofìa, concepita con tanta energia speculativa e animata
da una così pura fede e aspirazione al divino? Pur troppo il Neoplatonismo
portava in se stesso, e già in Plotino, i germi di questa degenerazione:
innanzi tutto il metodo delle ipostasi, e poi la tendenza a trovare, con
interpretazioni allegoriche, nei nomi o nelle figure tradi¬ zionali degli Dei
il simbolo dei diversi momenti dell’ema¬ nazione del divino. Plotino stesso
nomina Uranos, Kronos e Zeus come simboli dell’Uno, del vou* e dell’Anima; e
sim¬ boleggia pure le due anime con l’Afrodite celeste e quella terrena. Se si
prendono alla lettera questi riferimenti, e soprattutto i termini si moltiplicano,
si arriva al sistema fantastico di Giamblico. Il quale non si contenta delle
tre ipostasi plotiniane, ma al di sopra dell’Uno che s’identifica col Bene, am¬
mette un altro Uno assolutamente incomprensibile, dal* quale deriverebbe il
secondo Uno ch’è quello di Plotino; e da questo non deriva semplicemente il
vou^, ma prima il mondo intelligibile o pensabile votjtó?) e poi il mondo
intellettuale o pensante vosp6?) ; e la divi¬ sione continua quando si passa
all’Anima: dalla prima Anima ne derivano altre due; e ciascuno di questi
termiai poi si tripartisce e si moltiplica in diversi momenti, a ognuno dei
quali corrisx>onde una persona divina. Così, abusando del metodo delle
ipostasi e dell’interpretazione allegorica, Giamblico trova da collocare una
quantità di divinità sopramondane, celesti e terrestri, genii e demoni d’ogni
specie, che sarebbero i termini intermediari tra Dio e l’uomo. S’aggiunga poi
quell’idea dell’animazione universale, e della simpatia o affinità fra tutte le
cose, che contiene una verità profonda, ma che per menti non disciplinate da
nessuna critica, apriva facile l’accesso alle credenze magiche e alle pratiche
teurgiche. In fondo, anche a traverso a queste esagerazioni superstiziose, non
è possibile disconoscere l’antica fede elle¬ nica che tutto è pieno degli Dei,
eh’è il motto attribuito a Talete, il primo filosofo. Così il Neoplatonismo
uscì dalla scuola e volle agire sulle coscienze, quasi contrastandone il
dominio alle nuove credenze. Non fu solamente una dottrina, ma fu l’ul¬ timo
tentativo dell’Ellenismo per difendersi da quella religione di barbari, che col
suo Dio unico negava tutti gli altri Dei. E si fece campione di questa
restaurazione dell’antica religione dei padri, in nome della filosofia,
Giuliano l’Apo¬ stata, imperatore dal 361 al 363, morto a 32 anni, che, educato
da maestri greci, s’era nutrito dell’antica cultura ellenica, e poi aveva
dovuto subire la disciplina e l’edu¬ cazione cristiana; e contro il
Cristianesimo si ribellò prima secretamente,' poi, diventato imperatore,
apertamente, at¬ taccandosi sempre più all’Ellenismo. Giuliano era uno sco¬
laro degli scolari di Giamblico. Giuliano, da vero greco, adorava il sole,
principio di Vita per tutta la natura : ma nel sole materiale e visibile egli
vedeva V immagine e come il riflesso di un altro sole, che i nostri occhi non
possono cogliere, e che illumina le razze invisibili e divine degli Gei
intelligenti. Cosi, alla maniera dei Neoplatonici e col loro linguaggio, egli
costruiva il mondo delle Idee e dell’Uno, da cui tutte le cose di- -pendono.
Giuliano è stato dqtto un romantico sul trono dei Cesari, perchè aveva gli
occhi rivolti indietro, e consumò miseramente i suoi sforzi nella restaurazione
di un passato diventato impossibile. Era difficile che il Neoplatonismo potesse
fare seria¬ mente concorrenza al Cristianesimo. C’era innanzi tutto questa
differenza: che il Neoplatonismo, per quanto tentasse di mettersi in contatto
con l’anima popolare, era semplicemente una scuola di dotti più o meno solitari
; il Cristianesimo invece era una Chiesa, una comunione di fedeli potentemente
organizzata, e la cui fede si basava su certi fatti positivi, di natura
storica, la vita e la morte del Cristo, fatti creduti con una fede ardente,
ardente fino al martirio; e intorno a questi fatti si andavano elaborando i
dogmi che saranno presto fìssati dai Concilii. Ma la scarsa efficacia pratica
del Neoplatonismo si com¬ prende anche meglio se si guarda un momento alle
diffe¬ renze dottrinali tra i due sistemi. Una prima e fondamentale differenza
è che l’intuizione cristiana tiene fermo al concetto ebraico della personalità
divina, e concepisce il mondo non come un’emanazione di Dio, derivante da esso
per un processo fìsico o logico o metafìsico, ma come un atto della sua
volontà, quindi come creato nel tempo. Dio creò il cielo e la terra: questa • è
la base della dottrina cristiana. E a questo primo fatto ne succede un altro :
la caduta del primo uomo e quindi di tutti gli uomini, il peccato, che risolve
il problema del male; il quale dunque non è da cercare nella materia o
nell’ultima emanazione della divinità, ma è aneli’esso un atto di volontà,
della volontà umana ribelle al comando di Dio. Di qui il bisogno della ' 1
redenzione o liberazione dal peccato, a cui l’anima aspira; la quale redenzione
è resa possibile da un terzo fatto, l’in¬ carnazione del Verbo, del Logos, del
figlio di Dio fatto uomo, che prende sopra di sè le colpe e i dolori di tutti t
gli uomini, e li redime, per un miracolo di amore, col suo sangue- innocente.
Tutta la storia del destino umano è qui drammatizzata in un dramma potente di
efficacia. Il ISTeoplatonico, col suo concetto spiritualissimo della divinità,
combatterà fino all’ultimo questo concetto dell’Incarnazione, di un Dio fatto
uomo, e la considererà come la superstizione più assurda; ma è appunto questo
concetto di un Dio redentore che ha una virtù di sim¬ patia e di consolazione
per milioni di anime; e apre la via della liberazione non ai sapienti
solamente, ma a tutti, agl’ignoranti, agli umili, agl’infelici soprattutto,
purché credano nella virtù redentrice del sangue sparso di Gesù crocifisso. Qui
si ha veramente un Dio che si può pre¬ gare, invocare, domandargli perdono,
ritornare in pace fcon lui, acquistare la vita eterna. Se si paragona questa
liberazione con quella che si potrebbe dire aristocratica e filosofica di
Plotino, mediante la dialettica e l’amore delle cose belio e l’unione estatica
con Dio, si vedrà la differenza. Si direbbe che il Neoplatonismo suscitava
bisogni che non poteva appa- < gare. S. Agostino nel libro VII delle
Confessioni dice: Ho letto nei libri dei Neoplatonici la dottrina del Verbo, ma
non ci ho letto ch’egli è diventato uomo, e ha abitato fra noi, ed è morto pei
peccatori, perchè tutti quelli che gemono e soffrono venissero a lui e ne
fossero consolati. 3. - Tuttavia il Neoplatonismo, nelle sue parti migliori,
rappresentava pure una grande tradizione di scienza e di cultura; e si capisce
come spiriti non volgari se ne lascias- sero attrarre. t E una pura,
nobilissima e innocente vittima delle lotte * religiose, nelle quali la
filosofìa antica finirà con l’essere vinta e con l’estinguersi, è una donna :
Ipazia di Alessandria. . Ipazia era nata ad Alessandria verso il 370 da Teone,
ch’era celebre matematico e astronomo. Eu educata e istruita dal padre nelle
scienze in cui egli era maestro, ma il vivido ingegno della giovinetta cercava
altro ali¬ mento, e studiò con passione la filosofìa. Dicono anche che andasse
a perfezionarsi in Atene. Quello eh’è certo è che nella sua città essa diventò
celebre, ammirata, e rispettata da tutti. La natura le aveva largito tutti i
doni, quelli dello spirito e una bellezza non comune. Fu messa a capo della
scuola neoplatonica di Alessandria, ed essa v’insegnava Platone e Aristotile,
tutte le discipline filo¬ sofiche. I titoli di alcune sue opere sono
d’argomento scientifico, il che nella penuria di altre notizie ci permette di
supporre che con la sua forte cultura essa si tenne lontana dalle stravaganze
degli altri Neoplatonici, Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" -
San'Pietro Vernotico (Br) e che s’erano raccolte in lei le migliori tradizioni
del- V Ellenismo. Ebbe un grande successo. Per le strade di Alessandria tutti
si voltavano a guardare la bella persona quando passava con semplicità e
sicurezza, vestita del pallio dei filosofi, e conversando con quelli che fi ac¬
compagnavano. Alle sue lezioni affluivano gli ascoltatori, non tutti
probabilmente per imparare la filosofia. Della sua eloquenza ci è detto eh 7
era dolce e persuasiva, e ci è riferito pure che un suo scolaro s 7 innamorò di
lei, e osò confessarle i suoi patimenti. La nobile donna cercò di calmarlo,
sollevando il suo spirito e distogliendolo da desi- derii non degni. Pur troppo
noi non la conosciamo altrimenti che da quello che ne dicono i suoi
contemporanei. Il vescovo Si¬ li esio, ch’era stato suo scolaro, e le rimase
amico anche dopo che fu passato al Cristianesimo, nelle lettere che le scrive e
che ancora ci rimangono, la chiama sorella e madre e maestra, e le manda i suoi
libri prima di pubbli¬ carli per averne consigli. E nVN Antologia c’è un
epigramma {il n. 400 del libro IX) entusiastico e gentile, che fìssa
quest’apparizione luminosa, e non pare un’esagerazione. « "Oxav pXénto as,
Trpoaxuvco. Quando io ti vedo, io ti adoro, e così quando ascolto la tua
parola; come contemplando il segno celeste della Vergine) perchè tu sei cosa
tutta di cielo, o nobile Ipazia, con la bellezza dei tuoi discorsi, astro
purissimo di scienza e di cultura ». Disgraziatamente, questa storia finisce
con una tragedia orribile. Erano frequenti in Alessandria i tumulti per le
discordie fra ebrei, cristiani e pagani. 11 prefetto o go¬ vernatore della
città, Oreste, non andava d’accordo col vescovo Cirillo, e ognuno aveva il suo
partito: spesso scendevano in città delle compagnie di monaci, che di monaco
non avevano altro che'l’abito: erano dei mal¬ fattori che venivano a pescare
nel torbido. Oreste era uno degli ammiratori ed amici d’Ipazia, e spesso le do¬
mandava consiglio. Essa, tutta intesa alla sua scienza e, alla sua scuola,
rimaneva estranea a tutte queste con¬ tese, e nessuno degli storici nemmeno
ecclesiastici for¬ mula un’accusa contro di lei; ma nel partito di Cirillo
dovette formarsi l’opinione che Ipazia influisse sul go¬ vernatore, impedendogli
di vivere d’accordo col vescovo; e del resto per la sua posizione e il suo
insegnamento doveva essere ritenuta come un sostegno o fautrice del m partito
dei pagani, e odiata a morte dagli zelanti che non mancano in nessun partito.
Fatto sta che un giorno di quaresima del 415, in un tumulto, mentre Ipazia
tornava in città in vettura, vide accorrere contro di sè una folla furiosa, e,
come racconta Io storico Niceforo, la strappa¬ rono dal carro, la portarono in
una chiesa, e ivi spoglia¬ tala delle vesti l’uccisero, la fecero in pezzi e
andarono a bruciarla in un luogo detto Cinaron 1 ). 4. - Col martirio della
vergine pagana si estingue la scuola neoplatonica di Alessandria. Ma
riapparisce nel quinto secolo in Atene, e sarà l’ultima scuola. La Filosofia ritorna
per morire nella sua patria antica, alla città di Socrate e di Platone; e allo
studio di Platone congiunge quello di Aristotile, come già s’è visto in
Plotino, in Por¬ firio, in Ipazia. i) Si può vedere su Ipazia uno studio del
prof. Faggi nella Rivinta d’Italia del 1905, e un altro del prof. Pascal nel
voi. Figure e caratteri . Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro
Vernotico (Br) 323 -,”;js-w v ; \ PROCLO Fondatore di questa scuola ateniese è
Plutarco detto il grande dai suoi scolari, a cui succede Siriano, e poi Proclo,
eh’è il più celebre e il più importante. Proclo era nato nel 410 a
Costantinopoli e visse fino al 485. Era un dialettico sottilissimo, ebe al
bisogno di sapere congiunge quello di credere; e crede ai presagi dei sogni, alla
potenza degl’ incanti e degli scongiuri. Passò la sua vita scrivendo e
insegnando. I suoi discepoli crede¬ vano sentire in lui la presenza di un Dio.
Un giorno, uno .che aveva udito una sua lezione, affermò che aveva visto
attorno al suo capo un’aureola divina. Scrisse fra l’altro dei commenti a
Platone e un ’Istituzione teologica } che si può vedere nell’edizione Didot di
Plotino 1 ). La sua opera consiste essenzialmente nel ridurre a si¬ stema tutta
la sapienza anteriore. La filosofia di Aristo¬ tile è considerata come
l’introduzione a quella di Platone, i piccoli misteri che precedono i grandi; e
il fondo della dottrina è quello neoplatonico, Proclo dimostra metodicamente
come bisogna partire dall’Uno, e come dall’Uno derivano i molti, mediante un processo
dialettico che comprende tre momenti : ogni pro¬ dotto, da una parte somiglia
alla causa che lo produce, e dall’altra se ne distingue, e pure
distinguendosene, ritorna ad essa: dunque jjlov'/j o immanenza, TipóoSoc o
progresso, iTUKjrpo'f/) o conversione sono i tre momenti di questo pro¬ cesso.
Questo ritmo si riproduce a ogni fase dell’emana¬ zione o sviluppo
dell’Assoluto, che procede dunque per triadi successive in tutte le sfere
dell’Essere, dall’Uno 4 q Cfr. ProCI.O, Elementi di teologia con im’ introduzione
del prof. M. Lo¬ ia a eco (Lanciano, Carabba). fino alla materia, triadi che si
moìtiplicario, perchè ogni momento di ciascuna triade dà luogo a sua volta a
triadi (e poi a ebdomadi) subordinate. Ne nasce una costruzione eh’è insieme un
7 architetto¬ nica di concetti e una gerarchia di divinità mitologiche, alla
maniera di Giamblico : una filosofia compiutamente messa in ordine, coi suoi
scompartimenti e le sue formule tecniche, che ha pure trovato i suoi
ammiratori. Vit¬ torio Cousin ha pubblicato le opere di Proclo, e Giorgio Hegel
ha riconosciuto in lui uno spirito sistematico e. sistematizzatore come il suo.
Quello che si può dire in generale è che il pensiero greco vive oramai del suo
passato: per parlare con Pio¬ tino (e col Windelband), lo spirito greco, a
traverso le sue emanazioni, finisce col perdersi in questa scolastica. E la
morte naturale della filosofìa antica, per esauri¬ mento, è suggellata da un
atto di violenza, da un editto dell’Imperatore Giustiniano, del 529, nel quale
si ordi¬ nava che nessuno insegnasse più filosofìa in Atene. Così si chiudeva
per ordine superiore quest 7 ultima scuola, della ([naie furono confiscate le
rendite, e i filosofi dispersi. L’ultimo scolarca fu Hamascio, il quale col suo
scolaro Simplicio, il celebre commentatore di Aristotile, e altri cinque
neoplatonici, ripararono in Persia, dove speravano protezione dal re Cosroe,
amico della cultura greca. Poi rimpatriarono, ma la scuola rimase chiusa per
sempre. Una filosofia non cristiana era diventata impossibile nel mondo greco.
Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)Giuseppe Melli.
Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Memmio: la
ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia lazia -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. A bit of an enigmatic character. LUCREZIO dedicates his great Garden
poem to him. He acquires the ruins of the house in Athens where Epicuro starts
his Garden. Gaio Memmio.
Grice e Menecrate:
la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil
of Senocrate. Menecrate
Grice e Menestore:
la ragione conversazionale ela scuola di Sibari -- Roma – filosofia calabrese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Sibari, Cazzano
all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean. Giamblico. Menestore.
Grice e Menone:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – gl’ottimati di
Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A
Pythagorian and son-in-law of Pythagoras, according to Giamblico di Calcide.
Grice e Mercuriale: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia emiliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Forli).
Filosofo italiano.
Forli, Emilia Romagna. Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton, cricket
featured as my priority, -- philosophy came second!” Celebre per avere per primo teorizzato l'uso della
ginnastica nella filosofia. Suoi sono anche il primo saggio sulle malattie
cutanee e un'importante saggio, forse la prima mai scritta, di pediatria. Ritratto raffigurato in "De arte
gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la laurea a Padova,
dove ha modo di conoscere TRINCAVELLA, segue a Roma Farnese. A causa della sua
fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso Pio IV. Pare aver
composto il suo celeberrimo saggio sulla ginnastica. E professore in entrambe le università dove
studia. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto fecondo, in cui
scrive saggi, alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti
durante le lezioni. Si reca poi a Pisa, dove divenne tutore di Ferdinando I de'
Medici e poté godere di una certa fama. Cura anche altre importanti personalità
del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo nomina cavaliere e conte
palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che lo vede convocato a
Venezia insieme a molti altri filosofi illustri, consultati per decifrare una
misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse fin dall'inizio un caso di
peste, in quanto solo una minima percentuale della popolazione si era ammalata
e il contagio resta comunque molto limitato. Dopo una settimana però la
malattia ha un decorso impressionante, colpendo un terzo della popolazione
veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente
però tale evento non ha gravi conseguenze sulla sua carriera che, anzi, durante
lezioni che tenne a proposito della peste, continua a difendere la sua
posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fa restaurare una cappella
dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di
famiglia, da allora nota come cappella M, dove egli stesso venne sepolto. Ai
monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca, purché essi si
impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia. Ricevuti i saggi, i
monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una biblioteca
pubblica. A celebrazione ed a ricordo di M., e murata nella cappella una lapide
con le seguenti parole. Questo marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando
presso la sua tomba riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza
e la fede. Saggi: “De morbis muliebribus”,
Cultore dell'opera ippocratica, “Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in
cui discusse in modo critico le opere del medico, “De arte gymnastica,” la prima opera moderna che consideri
scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un
testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento
scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di
tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin. Alcuni altri suoi saggi sono: “De morbis
cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,”
“De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus, Venezia; De venenis et
morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus
seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina
e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum, Citato in Landi, Credere, dubitare,
conoscere. De M. vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum
in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della
Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum. “De arte gymnastica” Pediatria
Dermatologia, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. M. DE ARTE GYMNASTICA Libri Sex, IN '^VIBVS EXERCITATIONVM OMNIVM
\\cii(hii um scncra.Ioca.modi, facultatcs, &: quidquid dcniqucad corporis
humani cxcrcitationcs pcrtinct, diligentcr cxplicarur . ^uru cditione
comSIiores 3 ^ 4uSItoreJ faEfi. Ojuis 11011 nu\i,) nu\1ki$, vcnim ctiam
omnibiis antiqiiarum rermn cosnolccndariim,^ et v.ilcnidinis coiiUrna;u)ac
ftuJioias .idir.Oilum vtilc. AD MAXIMILIANVM II. 4 IMPERATOKE VENrETII.S, ATVD
IVNTAS. MAXIMILIANO II IMPERATORI INVICTISSIMO. HT ERONYMVS MERCVRIALIS
pcrpctuam FclicitatcitL- D. I quando mccum^ diliircTirius confidcro,
MAXiMIlJANE Jnuidjllimcquot, quanraquc Impcratorts, /ummique Princi pcs
prohominuui laIutc,,6C tranquillirarc tam bcllo.quam pacc gcfTcrint, in cam
facilcdcfccndo fcnicn- tiam, mcrito, arquc oprimoiurc omncsfcrc gcntcs, 6C
nationcs fccilTc, quodcos dignos cxjfhmaruntjquiin Dcoiumimmorralium nu- mcrum
rcfcrrcnrur . inrcr ca ucro, quac in hu- manum gcnus innumcracontulcrunt
bcncfi- cia,magnajn partcm fibi vcndicanrarrcs p(oic omncs Iibcralcs,quas
maximis propofitis prac- mijsnoncxcitaruntmodo.atquc cxtulcruntali quando
iaccntcs, fcd ita ctiam carum dignita- tcampljficarunt.vt ipfi (oli illarum
au(5loics,ct inrtauratorcs propcmodum vidcanrur. Jd faci- lc pcripiccrc
quiuisporcft,qui militaris difcipli- 2 nac. n&c,leg(nTi
fcientiaevcafitekmrncju^fine qui-' bus ta baec noil^fi ferc u icalisiipn effe t
Jau- dandarum artium ortus, &C increriicnta mc- tnorta velitrepetere : fed
ne Imperatorifapien- tiflimojquaeomnibuspaflim notafunt,reccn-r 1 fcndo fim
moIelUts, vnum' mcdicae artis om- nium vtiliffimac exemplum proponam, quac
proculdubio aut nulla cflct, aut-ccrto cuhl» qucm hoc tempore pracfcfcrt
fplcndorcm, 6C cicgantiam non habcrct, nifi Principum beni- ghitasjfinequa
omnis plerumque languefcit induftria,famniisviris illius au(fboribus aflul-
fiflct. Etcnim quantum a primisillis tempOr ribus quafinafcenti medicinae
attulerint auxi Iij Cadmus, Salombn, Alexander, poftcrio- ribus vero Attalus,
Ptolemaeus, Nero, Ha- drianus, Cortftahtinus luftinus, alij per- multi,
compluriura Dodorum hominum^ monumenta tefteintur. Verumtamcn vt aha '»'1,
omittam in praefentia, non cxigui momcn- Kfc^ ti putandum id cft, quod
magnificentiftima, comii atque^ ampliflima Gymriafia^ cxftruxcrunt., ttmpJ
inquoijsartenL, GymnafticaiTL inftituentes,. pcrlic^ ipfiui magiftros ac prifed:os
alucrint, qui H,i homincs excrcitationibus, fi^ ad corporis, (DiaJ 6C ad animi
fanitatem. confcrcntibus in^- biis ftrucntes ad behe, bcatcque viucndum viam
opti eommunircnr » Haec cnini. ars illa. cft, ' Inc ob quani. olaiL, PerfaruiTL
reges, Lacedae- tarct, monij. Dfllll 3CC( m ii ni [DSti i\m fcosi torcs, monij,
Athenienfcs, Romani icain bcllisgc- rendisvalucrunt, vtfaepe non maximamanu
incredibiics hoftium vires frcs;crint, mnumc- rabiles copias fudcrint, tot
dcnique rcgna.tot- quenationes fuis ditionibusfiibicccrint, utnc recenfcri
quidcm numcrando facilc quednr. . Hac eadem inftrudi, non dcfucrunt rrincipes,
quiaducrfusqucmlibct Athlctamroborclimt. aufi contcndcrc, qualcs fuilVcCyrum,
Nero- ncm, Traianum, Antoninum, 6C Seucrum acccpimus, quos praetcrquanL quod
hac fola^ arte fanitatcm conlcruaflc, fortilTimosquc cua- fiflcmcmoriae
proditumelt, obhancquoquc cauflani. idcosfcciflc vcrifimiiecfl, vtcactc- rosfuo
excmplo ad eafdcm cxercitationcsin- uitarcnt. Huiufmctartis opcquisignoratpri-
fcos rcgnorum, 6C prouinciarum gubcrna- tores Athlctaruni., (SCgladiatoruuL-
fpcdacu- laadfubditosin oflicio continendos prudcn- ter cxcogitata
iiitroduxiflc ? nc plurima alia commoda rcccnfcam, quacg)'mnaflica,quot tempore
floruit, ad humanam fclicitatem^ perficicndani. fcmpcr vbcrrimc pracflitit .
Scd, qtioplurcs fcimusabhac artc vtihtatcs cmanafle, comagisdolcndumnobis cfl,
qui- bus ncfcio quo mifero fato cummultis alijs optimarum artium fludijs perijt,
atquc cx- ftinda prorfiiscft^undc fit vtvctusilludmili- carcrobur,
(SCvcramfanitatcm pcrpauci fint * 3 hoc hoc temporc, quiconfequantar,
tbtquemof" borum gcncra quotidie nos infcftent, quot ob cxcrccndorum
corporum confuctudincm non cxpertos efTc vetcrcs rationi confcnta- neumcft .
IIaccautemctfiitafint,dcfpcran- dum. tamen non cft, lapicntiffime Jmperator,
quincorum fcriptorum bcneficio, apudquos rudis atque adumbrata quaedam ilhus
deli- ncatio remanfit, ab intcritu poffitvindicari, ac iterum in hominum.
adfpcdum, luccm- quc proferri, fi dC Trincipum ad hanc rem propenfio adfit,
6Chomincs do(fli, &C anti- quitatis periti reperiantur, qui in hoc ftu-
dium incumbere, omncsque ingcnij ncruos contcnderc non recufcn r. Caeterum cur
nemo noftris faeculis huiufmodi prouinciam fufcepc rit, fanc pronunciarc non
audcorid unum fcio, rcm ficut maximaevtihtatis, ita immenfi cfCe laboris.
Etcgo, licetmulta cflcnr, quaeabca detcrrere me poflcnt, aliquando tamen fum
aggrcflljs, quaeque Jnter legcndos au nuncperfe(5lius,IocupIetius,(3C pulchrius
redi- tum tuaeMaieftatiipfius nomineadferrem . Quamobrcm oro, vt,qua loles
incomparabili animi magnitudine,hoc hcet Maieftati tuae imparmunus, qualecumque
tamen tenuitas noftra oflferre poteft, accipere, meque inter tuosnumerare,
protegere, acfouere digneris. nam, quamquam me ijs, qui omni difciplina-
rumatqueartium genere cxcellentes M.T. in- feruiunt, comparandum non effe non
igno- rem : Ci tamen animus Ipeiletur meus,non du- bito,quin,ficutnuIIius
ftudia in M. T. funt ar- dentiora,auf nbfcruantia maior, ita aliquo in-
terahosgratiae tuae loconon indignus uidcri pollim. Deus Optimus Max.M.T. pro
Chriftia ni orbis (aluce dm incolumem, 6C fdicem conferuct.
Patauij,KaI.Sexc.Cl3 13 L XXI II. LAVRENTIIGAMBARAE BRIXIANI CARMEN. tAuxiUo
ftctit Phochtgemtoris^ c^ arte y %Artc Coromdcs wcdtdt cclchcrrtmtis oltm
vMcmbra, minutAttm patrios dtficfla pcr agros Htppo/yti 3 tAndcm mn72tbus
collcgit, Crr' artus Arttibtis aptatitt ?ittcns ^ iutiC7tcmq,carc?jtcm yam lucc
acthcria, iam tartara ntgra tc72cntcm Ad fuperas fcdcs ^crcbtreuccauit ab
vmbnss Et mcmbrtJ lactos, ocultsq. tnfudit honorcs : ^ucts felttum lumcn
fumpfrunt mcmbra tuucntae: (fonffus ttanuncope Mcrcurialts y C^aura Farncfj
afptrantts hcrt collcgtt tn Vnum Gjmnada : qua quo?jdam fc fc cxcrccre rcltSIo
(jvrccre maiores y populo fpc&ante y Jolebant . Haec pars ad ludos fpcflat
y pars altera tantum Commcmurat \ tum quts ^tclts fc oHcntat tn armts, Fortts
rt euadat mtlcs ^ pars tertta narrat, Stnteay quaetncolumes fruent morboq.
Vacantes Mortales ^dumytta manet^ docct tvfpcr hatcpxrsy Ordtncquo pofjint
homtnes extcndcrc longum Intempus dubtam actatem ^ tardamquc fcmiJam Ducere
tnuxpcrtamq. ma/tj curaq. carmtcm; Omnta quac Utuere dtu dtfpcrja, tcnebrtsq,
tAbdtta Ctmmerpjs: quae nttnc dtjitnfla labore ^ Et multo Sludto y tamquam noua
fidcra fulgcnt, Scrtptores tnter Cratosy parttcrq. Lattnos . Matth. Dcuari;,
avg-ot(7iv ^coov (Tclo^ctTot; npuo^rctiv, Z JiTrOTQi^^y}^ zoiAct X&i^^ctf
cc/uvJ)>c^7rip tfx^ot rix^fiC yv/uvctcnfig vvuj ctictX^(ct>C ^TTtTIOV
Aov(nTctvov. VvfAVcicnov Tro^vncfig ayoM Trovicov (twv {yfiptc UctVTOioic
csropcLSlw UMzJV (Jfii/2xioic OilviTtet T^m arxpSv l\pcavv/ultntus Clcmcns
Alcxandrinus Codttis Aurcltanus Columclla Cornelttis (jlfts D.Cyprianus Dtocles
Dton Dionyfus iyireopaj^ita Dtonyjius Haltcarnafctis Eptphanius Erafslratus
Erottanus Eurtptdes Etifebtus Eujiathtus Galenus Hcliodorus Hcrodottis
HerodianuT Hcfodus D.Hteronymus Htppocratcs Homcrus Horatttis loanncs fajjianus
D. Inanncs Chryffomtts fof^phus IJtdortiS lultus CapttolifUiS lultus Ftrmtcus
lultus Fol/ux lujitutis Martyr Juuenatis Laertius Laitus Lampridius Ltbanius
Lucanus Lucianus Lucilius Lucretius Mar. Aure.CaJJtodorus Marcus Tullius
Martiatis Meletius Oribajtus Ouidius n^acuuius D. PauUus Pauilus Qy4eginetA
Vaufanias Perfius Petronius arbiter Philofiratus Plato Plautus Plinius
T^lutarchus IPolybius ^orphyrius Po/idonms Propertius Pub.Pelleius Pub. VittoT
Paterculus ^intilianus T{azes ^fus Sphefius Saluianus Scribomus Largus Senecd
Sex. Empiricus Sex.Pompeius Fefus Sidonius A^ollinarts Soranus Ephefus Sophocles
Spartianus Statius . Strabo Suetonius Tranquillus Suidas Terentius Tertullianus
Themfon ThemiHtus Theodoretus Theodorus TPrtfcianus Theophraflus Valertus
Flaccus ValeriusMax. Varro Vegetius Vttruuius Vopifcus Xenophon. INDEX EORVM
QVAE HAC ADITIONE quarta (iintaddita ab aiKftorc. ^ Ccubitus in mcfifa
toflcrio-' ribus l{omanisyC^ Graecis prarfrrtirri nobiiioribus ufi"
tatiljimus.j i.z.^. B. jiccumbendi modus llebraeo- rum poft liberationc ab ji
egypto.y i.i.D. ^ccumbendi modus Hierofolymus vtrttm ef fct qdAiis B^ruanorum
in triclinio t\ib is li^isAltioribus.j^y.i.ji. jtccumbcndi uai ia genera, et tex.j
z. 2. D. ^ccumbcntcs Vetcres epularifoUtos fuijfe. 67.2.^. Mdiutmcntum de
truUnio.jo.^.D* ^tklttae dtnudabaiAur toticxceptis fubii- gacuiis.i-j.B.&
C. jiti lct^^^^ iudi qualcs forcnt Cafsiodorus dmjcrte docuit. in ^ilhletica qd
magis ualeat r^bur ars. C CEromaaUas aiiprerium iocusubiur.»gchaiv.itrryCh'
:!ii acc: bitus lut aitquibus non flaceat» 66.t.E. Chriftus prius quam menfae
accuwberet laua baturyiocufque reponebat.-J^i.V. Chnfiui in mcrfa taceret ne,
an jederet . 68.1.D. Conuiui .rurn apud veteres He- bratost&alios genera
dmcrja.jo 2. F. toronabantur aiiqui,iicet non pugnajscnt. Crucis tituluscur
llcbraicefiracce^atque U tine infcriptus fuerit.j i.i.F. Curfiim milit.bus
Diogenes damnauit^ D Emocritus curpcnt^thiis uocarctur. DifctinMndi modus ftpra
tciram 7i.l.B. Difcumbir.di mos ?iktn apud yiehraec^s ttm^ pore Chnflijuerit
;& ritalis Medicaci fententia hac dc re expcnditur. yo.i.E* Fnpa qmd effet.
Fraucifci Toiedi Cardinalis, et aliorum circa Mariam Magd.iU ii*^m Qhnftipedif
lauantemlcntentia.6^ z.t\ Fuiuius rrjhius accepit dgymnafticae iibris fua dc
triciinio C6.1.E. GEntcs J{omanis feruientcs ipforum wt- rcs
imitabantur.6j.^*P^' deCtnatione Sinecae Jentcntia- Ci^diatorum nos nephandus a
principibus q oque abuiif ts.l^^.B. Cymnafta in omr.ib^a ferh Cr.iecorum oppi^
dis :.d^r,if.t,jic l\pmaeante '\eroras quo- quetewpora \().^.& 29. C.
Cymnafia num tcmporibus lullns apcri» rentur. in Cymnaftisqui ludiprimum
cxcrcerentur^ 224. £. Cymnaflae an toto femper corpore dcnudu" rtntur. n
HEhraci num aciuberent potius quemad modum i\omani,t] Jederent.jl.LX. llcOia^
}{omJnorum rnjn s Jcqucbanturtni- Ji patrvfs i^^ihus ( ontrar la) entur .j i
.Z.C licrophiii medid liat ia cum ii Jii umcntis gy mnafUcat.Sfum
origoyrrtusyet cur a ludam ai^c fret tur.-j^. i.t, S£dt ndi ad mer,Ja:s
cunjuetudo f{p>7^anorum, et aliorum quando ccefta, et ufurfata fiteHtyi.z.^^
Serni,& tibertiin quibus agonibus conten^ derent^ Siteuis ueneris vfus
prohibebatnr ante vigi fimum annuw^ Syharitu ornm jo rdidi mo rcs^y U2^C.
THcmifiif locusi;orrc^^i4S.y^,c^ Tridinijcur rarae figurae in marmoribus
inueniatur,6j.z.Cn Triilirii\m i^ncrdum Fro^omophrcs: USos capicHtc 6j 2,^. Tridi^
I N D E X. TricHniapeief aUos iabelmUeofqui aut /i- g»rosyaut argcntQS,aut
aurcos.-ji .lU. rricUimnqnidapHdferuium.Sj.z.B. 7 rictifuum q^tid fucrit non
Admodum notum TripcdJS nnejsc tru Hnia.67. z.C. rrcchusud mliitartm qu^i^^c
artmpeni* Wibat.l^?*^* Vlrtutum quae fit prindpMlifsimi. rngendi morrm
antiqi4ura pofl bat^ ncum, &ante c$enam Maria MdgdaltfU in Cbrijlo feruduit
Ji.i.P. Erophagia quid efscU F I N r s ARTIS. GYMNASTICA. V AMDlv Homincs
paucirtlmis rebiiscontcn- ri lauras mcnfas, &: opipara conuiuia non co-
gnoucrunt, propinarionisciuc poft indudam paullarim confucrudincmpcnirus
ignorarunt, (idquod primis illis lacculis cxtitilsc mcmo- riac proditum cft )
morbi ncquc apparuc- runr, ncquc ctiam corum nomina innorucrunr, fjcurvlquc ad
rempora Socratis diftillarioijum,quasGrac- ci Ktcriggovi
dicunt,nomcn,c]uonilhodic Ircqucnriuscft, igno- ratumc/setradiditPIato.-quadc
rctunc temporis mcdicinacaur paucos omnino,autnuIlosvfus, nullaqucpnncipia
cxtitif^c cer- rum cft: etii Homcrus anriquilliiniis ausTtor fcripfcrir Ac^yprum
multashcrbas, multaquc mcdicamcnrahabuifsc. Poftquam vc-
rointcmpcranriaencfandalucs,coquorumcxqui(itacartcs, dc- licatiinma cpularum
condimcnra, vinorumquc pcrc^rinac tcm- pcraruracintcrhominesiiTcpfcrc, morborum
limul varia conri- nuo gcncra fuccrcfccntia ad im:cnicndam mcdicinam cos coc-
Cgcrunt : cjua fcmpcr carcrc proH^to licuifsct, nili humana, vcl
ponusfcrinaingluuies omnium uiriorum fobolcs cius ufum om-
niummaximencccfsarium cfrccifstr. Mcdicina vcro tamcrfi pri- mo illo orru rudis
admodum, inculraquc fucrit, quando priici illi ( ut Hcrodotus, &: Gaknus
rcfcrunt ) ac^roros palam cxponcbanr ^"^'^* 'i'"
vrvnafquifq.quodutilc,arquccxpciimcnriscomprobarumhabc-r£^^ bat,
alrcrumcdoccrcr, poftcrioni)us ramcnfacculis abAcfcula- pioKpidauriocognomcnro
apud (yrcnaeos mcdicomiriricc ex ornara fuir, &: quafi cx rultica urbana,
concinna rcddira : quam tamcn omnino pcrHccrc is ncquaquam potuit, quippc
quiVolis morbolJs, ac languenribus opcram nauans id vnum fcmpc r curan- di
ftudium habuir: fanorum curam aut vllam dsc ignorauit, aut eam prorfus
contempfir : quod poftca fucccfsorcs illi us inrclligcn- tC5 adco cxiftioucionc
dignam rcputarunc, vt medicmam fine hac Qijmnastua. A totam imiicam,
nulloqnemodopcrfcaam cflcpoflepcrrpexcnnr. D Arq. hi fucre primi Hcrodicus
Seiymbrianus, Hippocrarcs cius difcipulus,cjui curariuac morborum mcdicinae
cofcruaroriam va- lerudinis paf rcm fcrc circa fana dunraxar corporc fatagcnrc
adde- rc uifi funr, arbirrantes non minus praeclarum, arque artiificiofum opus
cfse fanos homines a morbispraecauerc, quam iJlos ia impli- ciros Iibcrare :
vndc medicina, quae antca femper quafi virgofue-
rar,praegnansabillisrcddirafuir, quandoquidem prius foliscu-
randisaegrirudinibuSjtumfaniseriamconferuandispraefeda ert:. An toram cam
medicinae partcm, quae &:ad fanos, &c ad uiclus ra- tionemperrinct
cxrabellulis, ahjsuc donaris, Aefculapij tcmplo dicatis Hippocrates
conflauerit: an vero folamincurandis mor- bis vcrfmrcm clinicem uocaram,
quemadmodum Varro, Strabo, atque Plinius credidifle uidcnrur, mihi plane
compcrrum non E eft:ni/iquodfuirmoslibcraros morbisin tcmplocius Dci, quid
auxihatum efscr,fcribere:]fqucaprimisillis rcmporibusvfquc ad Antonini
imperaroris acrarcm non modoin Graecia,uerum ctiam inltaliapcrdurauit: vri
pracccrcriscxrabella marmorca Romae itiAefcuIapijrcmpIoin
infuIaTibcrinainucnra,& vfqueadhanc diemapudMaphaeos conferuara
inrclligcrel^cct, inquagraece haecleguntur. S^ctKTuAovg i7rctico7S/3ri/^ct7vc:,
y^' xpcif rlvj^flpct, K^iTflSHvctfjHc iJiovg d^- ^^\uod^, op^ov iui,eM^i,
Ji[Smov ^ctpi^Sivc, K^^v7X^pC/Le{^ov '611 n ro^sctj cipiTcu iyz^ovTO 'fhilS
Ji/2ci KMj i^^c^y chuoaia YWj-^^a^tqi^CTaf iuTCOcJzf ^uov . Sdnguwcm reuomtntt
JulUno deJfCTAto Abomnihushomimlt4S €x oraculo rejpondtt Dcus y n.^entrct ^ cx
ara caperct nuclcospt^ my comcdcreta;na cum melle per tres dics : conualuit ^ ^
rtuens ptibliccgrattas egit praefente populo. ajuxi^ oLAixfvovoc; \6iK0v utToi
/uiAtrz^;, Ko^^^vpiov aujb^fivaf, KSH^ f&t^ iuipa^ i7np^i(7af ^ 73
JfAi/3"Cf, j^j ivKA ^ W^aiv ShujoaicL m^ici . i J cft: qua i]uicum(|ue occupabantur, ll^ domcllicos
mui cs dilij^cntcr oblt riiabant, ac profcqucbantur. fic ubui. Cratcri mcdici
rcruus,rcfcrcntc Porphyrio^nouoquodam morbo caprusfuit Jtautcarncs eius ab
ollibus abfccdcrcnrrlic tcmpori- busnoftriscxfccranda illa gallica pacnc
cxitialis lucsuniucrfas rcgiones ucxarc cocpir : ut nullo pado illud, quod ucl
podciiorum hominum culpa, uel torruna auc Dco ira uolcnrc contigir, Hippo-
craci crimcn artcrrc dcbcar, a quo cum duac iam pracdiclac mcdi j;cinacparrcsad
lummampcrrcchoncinproucctacfucrint, diuinis cius manibus immorralcs fcmpcr
habcndac funt gratiac . Am- pliusq. illud actcrnac memoriac mandandum, quod
ambac medi- cinacpaitcslicutidiueifac rc ucra fiint,paritcruarianomina ha-
bucrunt, altcraquc 7r^o^,\ccKTPLH, (iuc vyt^ti^m, altcra S%g^wriKH nun-
cuparafuit, uocabul.s quidcm his tum abopcrc, rumarccirci quam
ucrsdntur,acccpt;s, quac quouiam fapicnrcr, arquc ucrc dc- promptac tucrunt,
nullamumquam apud ullos mutarioncmfufcc- pcrunr: qucmadmodum ctiaui ufquc ail
pollcriora tcmporahacc inucrcrata pcrmanlit inrer inedicos coniucrudo, ur omncs
duas niedicinacparres prinuirias cfticianr,a!tcramcurariuam, alreram
confcruatiuam nuncupantcs, quas ob id communi incdicinac no- minc plci umquc
comprehcndunr ; quoniam curatiua, quac primo C ob maiorcm ncceiriratcm inixnia
fuir, id nomcn adepta ell, quod confcruarjua quoquc ei poltrcino adumcla non
modo obrmuit, ucrumctiam apud nonnullcs tantam auctorirarem acquiliuir, ut iudicaucrint
hanc folam medicinam ucram appcllari debere:illam inccrram,falfam,mcramuc
hominum alios deciperc itudentiuiu impofluram cxfiilerc, nempc quac nudis
coniectuiis, infirmisq. ar- gumcntis primo ad cognolcendos morbos urarur :
dcindc in co f c- rc omncsfbrtuira remcdia,incogniraquc medicamenra,ur pluri-
mumadhibeant,i^ dcmum ram in iudicando,qi;;im in curando non raro fallantur,
quos raincn in grauillimo crroi c vcrfari faciili- mc cognofccnr, quicumq.
humanas calamirarcs, morborumq. in- commoditarcs, qualcs fbrcnr, ni curatrix
medicina fuccurrcret » acquo animo aclhinarc uoiucunr : ut non abfq. lumina
rarionc iu- lianus impcrator hanc pro mcdicislcgempromuigaflc uidcarur.
Otfmnasiua, A 3 IHN ^»pu,mcty.iAiovoi^v, if /2ovMb-nzm e^r^py,,uciTcv oi^oyXi^rHg
vu^gcv roig XoiTTOic: ;^^ovotc s abomnibuscurialibusminiltcrijsimmunesuiucre. '
c De confiruMkcicfmihus,c Galcno crebro fcriprum reperi- tur, exercitationcs,
tot atquc tanta ad uitam fanam traducendam bona praeftare, quot et quanta uix
vlla alia medicinae initrumcr i praeftant . Quod fi Hippocrates in lib. de
Locis in hominc fcripfit Gymnafticani,& medi cinam cotrarias efre,quoniam
altera permu- tatione opus habet,altera non de fola ea medicinae part e fcrmone
habmt, quac i n medendis decumben tibus clinicc a pofterionbus yocata,folum
uerfatur.Plato ctiam,atquc Plutarchus q uando dixc- runc r K I Ai V s. 9 A r.
nr cUiascflc c.u.i corpuslu.inaniini vcrfuitcsaitc-s, nicdicinain, &:
gymnafticani, non ob id, qncmadniodum Era(iftratus 6c Scdta- torcs> illasfciunxcruncfcd
communcm hominum loqucndi vfum fccuti funr, qui, quoniam pollcrius i:\mnaftica
mcdicina inticnra, ciq. adncxa clt, cas diucrlas nulla alia rationc diiCti
dfiwicbanr.Cc- tcrum quid fithacc ars cxcrciratoria pymnaftica gracco nominc
nuncupara, ab cius dcfinitionc, fiuc dclcriprionc pcrcrc dcbcmus, quam crli
luculcntcr cxplicatam apud Piaroncm habcamus,a nul- lotamcnaho, quam a(^.aIcno
nortro cam 6^ brcuius, &:iucidm^s ^^^.^ dcclaratam crcdo, ubi iradixit:»
Tfc;^Kii y\Jiiy(tstKH Uut Intsni/M rn^iv -^i •TTiiTiyvyL^WTmJ^iti^fi^
hoccftgymnaiLic a cllquac omnium cxcrci- tationumfaculrarcs nouit, aut porius,
gymnallicaarscflfcicnria potcntiacomniumcxcrcirationum. Qu )in loco
animaducrtcn- B dum cft, Galcnum fcicntiam non propric, fcd cf>mmuni:cr, ut
plcrumquc auftorcs folcnt, acccpillc, proptcrca quod gymna-
Uicacumprofincopushabcat, &:fcicntiac nullum opusconlidc- rcnt, nccclfario
a vcra fcicntia cxcludirur i quamuis alioqui caulfas cxcrcitationis virium
facpilfimc contcmplctur : clt mlupcr ani- maducrtcndum, Galcnum hac dcfinirionc
gymnaflicam a pac- dotribicadiltinxiifc, quoniam illa ramquam impcratrix&:
cxcrci- tationum qualirarcsomncs, &:carum cauflasfpccularur, impcrat- quc,
hacc vcluri minillra ilhus cxliflit, pcrindc ac gymnalla crar, quiomnium
cxcrcirationum potcnriasprobcnofccbat, casqiiC, prourfanitaxi,&:
bonohabitui cxpcdirc iudicabat, diucrfis homi-nibusimpcrabat : pacdotri ba ucro,
qui cas, quomudv:» fi-^rc dcbc- rcnt,*&:pofscnt, rcipfa dcmonllrabar:arqi:c
hoc acni':!maricc cx- C plicauit I^olybus fiib his ucrbis: TreuJ^oT^lRxi
roU^J^tJ^iaKovciTretix- ^ ttffctok Kxri f^tiop, iJiK^uf JtKxlt^y ifcrrcrrt.
KMTTuy i^oc^up Bii^i^fz^cUy jc u. ca- riKiA/usxyKetliKr^^tsx: idcft: Pacdotr
bac h( c cui ccnt pracuan- can (ccundum lcgcSjiniuriam fKcrc iuftc,dccipcrc .
furari,rapcrc, viminfcrrchoncftiflimc, &: turpiffimc. Nam ii quisluw
irorum, &: ahorum, quia pacdoiribiscdoccbanri:r,adtioncsacftimcr, li-
quidoconfpicicr ualdcijsaflimilari, quac aPolybo fcripra funr, ficquc gymnaftam,
&: pacdorribam noii parum dilfiniilcs faifsc:vc- rumramcn, cum intcrdum
unus vtriufquc munus implcrct, noii immcrirocxiftimaucrunt aliqui has duas
ancsunam, atqr.c can- dcm cfsc, uduti nonnumquamidcm&:miliris lir.pcraroris
ofli- cio pcrfungitur; arramcn (ialcnus cascfscdilbnCias voluit,dum gymnafticam
uocarircfpcituhabitoad folam cxcrcitationis qua- hrarcm ' « L i u E R.
litatumnotitiam, quae opmtione ipfa nobilior cd; pacdotribi-D cam clici ob
aitum ipfum cxcrcendi, vtpote /gnobiliorcm contcn- dif, haud ahter ac ii
dixifscraltcram harum fpeculatiuam, acarbi- tram,&:iudiccm;altcram pradlicam
efse, quae omnesinterdum vna gymnafticae appellationc a matcria, circa quam
ucrfantur, utpnarmaccurica,fufccptauocarentur;ficutifpccuIatiua,&:praaica
mcdicinaepartes unoircdicinac nominefacpenumcroappellan- tur led quod
ucrcficuti dcclarauimus,eymnartica talis efse: gym- naflaq.&pacdotriba
difl-crrenr,AriIloteIis tcftimonio quoq. copra
Darelicef,(^nipnncipioquaniPoIiticoruhoc fcrip:u rehquit: eV fiftnir" ^ a
"""r 'i"'^' P'''^ ^us aliqd' pcrfcdc cx- Munt
vniuseftconfidcrarcquid cuiq. conuenia: g^ncrSeu e^ cac ^ft '^"'''^P^^
omnibus.Etcnim hoc gymnafti- tarcs opere ipZdoc^"aric- uandae^elSptim
co^oo ifM "^ ci. Dixi huiusartirtX?/r^ '"'f^'^ pcrfeaam, qiltum? . oo
tcft "r"".'
ctKuiiutl.ancfciSfnV.bai^f' "1"^ uerfan- I Bfit 2(ifl liOQ iit
nimi licoj niin, . II A iJCrfantiir > circa quas gymnaftica mcdica,ut in
fcqucntihiis fum cicmonftrarurns, quando in iingulis cxcrcitarionum gcneribus
cicclarandisquomv)do in vnaquaquc gymnaltica locuin habuc- rint fcparatim
planuni laciam: nihilominus magnopcrc intcr fc dilcrcpanr,caunaqucraliscliffcrcntiacnullaaliacx(i(litpractcrll-
ncmfingu]arum,quoHncomncs lacultatcs diftingui fcripfit Ari- ftotclcsrNain
ludorum hnis crat rcligioquacdam,qua Anri(^ui opi- nabantur fcfc Di)S rcm
gratam illis^Iudis tamquam. promiflam fa- ^uros -crar quoquc populi uoluptas,
cui maximc &c rcfpub.&: Rcgcs, ac impcratorcs lUidcbant, quo homincs u
)luptarc dcmul- 11 in ofticio contincrcntur: undcludoiumcxcrcitatoribustantum
honorcmtributumcflbfcribitPhnius, ut, dum cos inircnt,fcm- pcr aflurgi, ctiam
ab Scnatu, in morc cfl^ct, nccnon fcdcndi ius in J Bproximo Scnatui, atcjuc
uacario muncrum omnium ip(is, patri- bufcjuc &:auis patcrnis, quod tamcn
fcruis, quando illi (imilcs lu- dosinibant, conccfliimfui^rc minimc crcdo . I)c
his ucroludis quicumquc aliquid cognofccrc optaucrir,librum Onuphri j Panui-
niA croncnfishabcbit,qui omnium diligcntiflimcut cflipfcom- nium facculi noari
in hiltorijs longc ucrfatiflimus, hanc matcriam tradau:t . Arhk tica lincm
habuit robur, ut illius ui pofifct athlcta aducr(aiium*fupcrarc,&:coronampracmiaqucpr)polita
confcqui: quamuisctiamapud Graccos,&:I.atinos nonnunquam arhlctac uocati
funt, tam illi qui in ludis, quam qui cxtra ludospracmij gratia ccrtabant, quos
omncs fub nominc uitiofnc i:yinna(ticac ( dcquainfcruisloqucmur ) Galcnus
complcxus cftV C:ac:crum qui gratia bclli cxcrcitationcs pracdiclis obibant, id
non ob aliud Cagcbant,ni(iquoagiIitarcm, ac pcritiam compararcnt, quibus
pollca,cuinopoitcbat,hoftcsin pugna uinccrc pollcnt : atquclia- rum
cxccitarionum difciplina vfquc adco fcucra apud maiorcs
fcruabatur,utciusdo^torcsduplicibus,quod(cribit Vcgctius,rc-, muncrarcntur
annonis ; &:qui pr.rum inilla piofccia-ni militcs,iml profrumcnto hordcum
cogcrcntur acci^ crc, ncc antc cisin rri- ticoreddcrcturannona, cjuam fub
pracfcntia pracfccti rnbuno- rum, ucl print ipum cxpcrimcntis datis
oftcndiflcnt fc omncs mili- tiac cxcrcitationcs complcflc . Kx quibus omnibus
manilw flu ii cft gymnafticamnollram a pracdictis dillcrcnicm clks^cidcolinnma
cumrationcanobisinilhus dcfinitionc politum fincmluilVc,qui
cftgratiafaniratistucndac,&:boni corporis habituscomparandi .
QiKjducrocxcrcirationum omnium trcs pracd^Cii fiiics,a quibus tria
gyninafticacgcncraortafunt,apuductcrcscxftncrint,atquc omnes fn^inumpubIicaefeIicitatisfinemrcIatifint,abuncIe
Jecla- A rauitSoIonapud Lucianumin Anacharfi cfia!ogo-qua una iJIius
oratione,tota hacc fententia noftra haberi rata mcrcrctur,nifi Pla-
tonis&alioruminfcriusexplicanda teftimoniaacccderent. Degymnafiicae
fubieSIo y icd nonnullas iScpcrcurinas picrrini ad cxcitandani lirini
quaciitasefsc pdicat.ltaq. valdc hallucniatum fuifsc Budacu puto, quinifuisad
Pandcctas adnorationibus Komanosgymnafioru,&: palacllracexcrLitamcnris
minunc vfus, nulla flrma rarioncprobat. De gymfujis Antiqu0rum. Cdp. Vl.
'^'mnaltica.liuc cxcrcirarona in ccrtislocis Hcri foliram^qin iupra
Ibtumnisaarioni modo conlcntancum cll,quid,loca ipfa,&: qualia lorcncplanu
faccrc . Nam ioca illa nil aliud fuifscq gymnalia nuncupata,cx mulris,&:
pfcrrim cx vcrbis Galcni infccundo dc tu.va.fcriprismanifc llo c6probaf,ubi
narrat gymna- B llum fuilsc publicum in lcparara vrbis rcgionc locum cxllrudum,
in quo ungcbantur,tncabanfur,Iu(flabanf Tdifcum iadabant, aut talc
quippiamhiL^itabanr,q loca ira nuncupara fucrunt,qm cxcrcirato- rcs ibi, vt
pluriuu"i dcnudabantur.^^fo^flf^K^it^ jnim antiquifTima vox ctiamdcnudari
li^nihcarc vidctur,vndc Marnalis librotcrtio. 0}
iocfma£jUJiMmeithiCp4rte,recc.ie i /, mdos pjrce videre viros. EtBardcfcncsapud
Eufcbiu li.vj.dc pracparat.Euang.c.viij Crac- cos ait no poiuiflc vlla vi
fidcru prohibcn, quin i gymn afijs nudis cxcrccrcnf corporibus. Vc ru an
ocs,&: toti sepcr dcnud arcnf q fini ratis tm gra cxcrccrcnf no cft ita
copcrruifufpicor rn,Iu(ftarorcs, pu- gilcs^tq. alios qu(jsda potuiflc dcnudari
qucmadmodfi Athlctis in rfu crat,quos rni fubligacula pudcdis tcgcdis ra in
publicis, in C priuarisccrtaminibus habuilic- cr ufq. ad Homcri tcpora,a quoco-
ru fit mctio,ojs r6dccoriscxigir,&: hilloria Orlippi ab Euftarhio, &:
Paufania relata,cui fubligacula dclapfauidoriadcpfcrunt.ut indc poft modu
indultr:,(ir ncc ca gcilarc ira accipicda cil ranc| non ma- gnis,&:
impcdictib^ /cd paruis,&: nulli'unpcdimcri uri liccrct,quc inorc vfq. ad
fua tcpora Komac ^pduraflc fcribir raufanias. Ad h-ec qnq. fub nomine gymna/i;
omncm locu,vbi cxcrcerenf, coprehcn- fum fuifserepcritur : lic ut poika hacc
vox ad alia quoq. traflata cft, qucadmodu apud Iolcp!i^'i vidcrc licct,qui in
libris dc bcllo ludai- cobalneaaliqngymna/ia nucupata cfsc dcm61lrat,vbi dc Hciodc
ita loquif.Naq. apud Tripolim,&: Damafcum,&: Prolcmaidc publi cas
balncas,c] gjmnnfia ciKUiu,Ijil>Iidc aut cxhcdras porticus c6di dir.Hacc
loca a Virruuio,C clfo,Plinio,atqucalijs Larinac linguae audtonbus palacftras
nucup.ai i inucniorVndc ct coijcio Vitrumj rc- Cymmfi!^ ^ jj peftate in
Italia.vbl raras admodu,veI nullas extiti/Te palaeftras,/luc D
gymnafia,qnquit]cis libroarchiteflurae earumaedificationcsfra- diruruslralicae
conluetudinis nofuiflepraedicit.-Naqui primi gy- mnafiaexaedificaflrc crt dunf,fucrunt
Graeci,licrcdendum cft So- DaZt ^^"^ ^P"^* Lucianu, et M. ^TuIIio
Ciceroni,qui in fecundo dc Oratorcfcribit.gymnafia
deIcdationis,&:cxcrcitationisgratiaab ipfis pnnuiminftituta fiiifTe. Intcr
Craecosautcmprimi cxftitcrfitLace daemones,ficur Athenacus ex
Ippafifententia,&PIatoin Theact. Sc primo de
Iegibusincmoriaeprodiderur,quosctiain illa ipfa om-
niumpraeftantilfiina,atqucfpcciofiftimaconftruxiflccx MartialisU bro I
.intelligcre Iicct,vbi ho§ vcrfus habct. ^rgiuasgenetatus inter vrhes Thibas
larmine caiitft,aut Mycenas^ p ^ntclarami{l)udon,aHtlibidinofaet Ledaeas
Lacedacmonispalaeflras ^ QuovcroPhuoinCritia du Atlanticam
illai-egiadcfcribit.q^no- uc milliu annoru mteruallo ab actatc fua ante
floruifle narrat,ibi gy mnafiaexftaOc fci-ibir,qui LacedaemonQinuctuillafacit,
cxade di fcerncre nequeo.nifi totaillaCritiae narrationefabulosa credam*.
PoftLaccdacmoniosAthenienfcsquoq.fuagymnafia crexcrunr,in quoru vrbe tria
extitilfe tcftant Paufinias,&: Suidas,altcrfi «W»^/w vocatu,in quo Plato
philofophiam fua jpfefllis eft;alteru Avxwa^vbi Anftoteles cdocuit,q(f
Apollinis Lycij teplu fuiflc icgitur apud Lu In Anach. cianuiah erfi Kiwttgyis
ubi nothi,fpurij,ac ignobiliores oes excrccba tur.fi quidcapud Craecos tanto
odio,tataqueinfamiaviles,acfpu- rij notabant,vt qui vcre lcgitimi.ac nobiles
efscnt,cfi ijs cofuetudi- nc,aut cocm fefc cxcrccdiIocuhabererecufarcr.Pr.actcr
haectria F mctioncfacit aItcrius,quod Canopu uocat Philoftratus in vita He-
rodis Attici.Dixi in vrbc Athenicnfium tria fuifsc gymnafia, quod hcet extra
vrbcm efsent,erantiiihaud longcacdificata,utqproxi- ma efsct urbi, m ea fuifse
dici potucrit.ln his etenim mortuos quo que fcpeliendi confuctudincm Graecos
habuifsc fcriptfieftapud -i.Epift.ft Ciccronccui Scruiusfc Marcelluinterfcdum
in AcadcmiaAthe- m».epj;,. nienfiimobilnfimo totiusorbis gymnafio
fcpeliuiflefcribit Quae 1^'' antiqmtatis totius pcritiflin-ius inuenifse
fcribit in ue tt.gijs Hadriam impcratoris Tibmtinae viUae rcpracfenrara.Athe
naeu,Hcrn,cu,Pan.'ithenaicu, minime gymnafia, vbi corpora exer- cercnt, tu.fsc
puto:fcd loca,in cibus aut difciplinarfi. &c aliaru artiu ftudus opera
dabatur,ucl fefta aliqua celebr5.bantur.vt in Panathe naicofcfta Panathcnaica.
Corinthum quoque gyranafiu habuifse, Craneum vocatiim,auclor cft Lacrrius libro
tcrrio. eaadcm nulliim pcnc oppidum fuit ( iraccorum, quod gymnafium non
habcrct, uf Anachar/is diccrc folebat.Komani poftrcmiomniumgymnafiapa- lacftras
vocata in vrbcad Craccorumacmularioncm Varronc au- rtorcacdificarc
cocpcrunttquostamcn cacrcros quofcumquc tum magnihccntia opcrum, tum
inacftimabih pulchrirudinc in hoc gc- ncrcanrccclTillc, cx illis I hcrmarum
ruinis, quar ad hanc vfquc dicm non finc omnium Ihiporc pcrdurantcs,
conrpiciunrnr,facilc conuincirur . nc liicam i!!ud ^ quod dc Ncronis gymnalio
fcripdt Marriahs lib.vij^ Qnid \frone peius ^ Qitid Thcrmis mtlius ^ctom^jiis ^
atramcp anrc Kcronis quoquctcmporafuiflc Komac gymnafia cx 1'Iauti Racchidibus,
B cuiuslocum apponam infcrius,col!igcrc hccr. Nam gvnmafia tora ahquando
Thcrmas ob aquae calidac vfum ibi frcqucntcm nuncu piri,apud audorcs
Latinaclinguacncmodubitat,ficutctiamin- tcrdum Thcrmac fignificantcamgymnalij
parrcm,in qua lauaban tur,ubi propnigcu,laconicu,calda lauatiolitac crant,ut
cxmulrisau ^torum tt ftimonijs pracfcrrim cx Mai tialis vcrfibus nupcr ci ta-
risclarc pcrfpicitur.Ciymnafium^thcrmacftadiu cfthac partc. His omnibu* po:c ft
iam vnicuiquc pcrfuafum cflc, (juanrum in criorc vcrfatus fit(inuitus
farcor)Blondus loroliuicnfis conciuis mcu.squi in fccundo Komac inftaurarac
commcnrario rhcrmas folum ad la - oandi vfus inftitutas tuiflc lcriplic. Voiio
nc quis forfan admirario- nc capiarur,quod dixcrim PIatoncm,arquc Ariftorclcm
in gymna- tijsphilofophari confucuiflc ;[circdcbct in huiufccmodi locis va- C
ria hominum gcncra conucnircfolita fuiflc,quacomnia in fcnucn- ti capircanobis
ligillarim dcmonftrabunrur.ranta c nimcrat huiu- fccmodi locorumcapaciras,tamq.
fpatiofa ampIitudo,vrabfquc ul- lo impcdimcto diucrfac, ac fcrc iiinumcrac
cxcrcitationcs, &: cor- porum&canim^^rum pcragi pofscnr,qucadmodum cx
Vitruuij al- laradcfcriprionc pcrfpiccrc quiuis mcdiocrircr Iiac in rcvcrfa-
rus potcrit ; quam cum in rcbus plurimis diucrfim cx Odaui; Pan- lagathi viri
tcmpcftarc noftra fummi iudicio in prima cdirioncrra- didcrimus,nur ipfa diligcntiusconlidcrara
(vt icmpcrcuracpoftc- riorcs cfse mcliorcsfolcnr)caftigatiorcm,&:omnibus
Virruuij ucr- bis cxaiXQ corrcfpondcnrcm cxhibcmus.ad quod agcndum clarif- lim
is Aloyfius Moccnicus, Prancifci hlius, loanncs Vinccnrius Pi- ncllus, Mclchior
Guillandinus, uiri tum ob acrc in cunvtis iudiciu, cum ub lingularcm
cruditioncm apud omncs fpcctatiifimi, nccnon B 2 Andreas Palladius prifcae
totiusarchiteduracpcntiifiiriusnon pa D rum adiumciuo nobisfuerunt.ita utnon
vcrear.quin hoc pado do- ^is,Vitruuijquefc]entiacftudio/isprobataeucniat,&qucmadmo-
dum ad hanc fcrc diem palaeftrae ratio fuit incognita, fic in pofte-
rumclara,afquemanifcfta futurafir,Immo vcro,fi Odlauiusipfcrc- uiuifcerct,non
dubitarc,uterat homofanfliiftimus^arq. dodilTimus, quin ctiam ipfe huic
defcriptioni, Sc Vitruuij contcxtui non muta- to.fcd in aliquibus tantum
raelius ordinato Jibentiflimefubfcribe- ret.Placuif autem
duaseiusichnographiasproponcre, quiaaudor &: cmadratas,& obJongas ficri
pofse docet. De paUeHramm aedifiuttone^fs' xyftis^ex VitruuioLib.V. Cap. XI Vnc
mihi videtur ( ramerfinon fint italicae con-
fuctudinis)paIacftrarumacdificationestradere explicate,&: quemadmodu apud
Graecos con- ftituaturmonftrare.lnpaIaeftrispcriftyJia,qua- drata.fiue
obJogaita funt facicnda,uti duorum ftadiorumliabcantambulationiscircuitioncm,
quod Graxi uocnmJ^uuajUv.cx quibustrespor .
"'^"^fif"I^'iccsdifponanrur,quartaqucquaead mendianas regioncs
cft conuerfa dupJex.ut cum tcmpcftates uento iac Junt, non
poftitafpergoinintcriorcmpartcmperuenire Con- ftituunturauicmintribusporricibus
cxhcdrae fpatiofaenabentes lcdcs,in quibus pliilofophi, rhctorcs, reJiquique
qui ftudijs deJe- ftantur,lcdcnrcs d.fputare p*flint. Jn dupl.ci autcm porticum
F colloccnrur Jiaccmcmbra,Lphcbacum in mcdio (hocluuem eft
exhcdraamplil],macumfcdibus.quactcrtiaparteI6g^ lata ) lub dextro conccum,
dcinde proximc coniftcrium,a conifte nomvcrfuraporticus frigidalauatio, quam
Graeci aovW: itafa- cla,ut in partibua, quac lucrint circa paricrcs, &c
quac crunt ad co- lumnas,nurgmc&habcantuti lcmitasnon minuspcdum dcnum,mc
diumq. cxcauarum,un gradusbini (int in dcfccnfu fcfquipcdalia
marginibusadplanicicm,quac planiticslit ncminus lata pcdum du(K^ccim: Ita qui
ucftiti ambulaucrint circum in margmibus noa impcdictur ab cun^^tis fc cxcrccntibiis.
Haccaurcm porticusapud Graccc^ jyoii 'lociutur,quod athk tacpcrhibcrna tcmpora
jn tc- di$ rtadi js cxcrccniur. Proximc autcm xyllum, et dupliccm porti- cum
deilgncfnrtrhyp^icttirac ambuIationcs^qitasGracc/irtfi/ftf/j^i. /flff^noftri
xylb appcHanr,!n quas pcr hicmcm cx xy(h>fcrcno cuc- lo arhlcrac prodcunrcs
cxcrccnti:r.I-ac iunda aurcm xylta lic uidcn tur,ut lint intcr duas porticus
(iluae, aui platanoncs, U in his pcrii- ciantur intcr arborcs
ambulationcs,ibiquc cx opcrc fignino lUrio ncs. Port xyllumautcm Ibdium ira
fiuurafum,ut poflint hominum copiac cum laxamcnto arhlctas ccrtantcs
Ipcvflarc.Quac in ntocni buincccflariaujdcbanturclfc.ui aptc djlpoiuntui,pcrkrjpil
21 tigura paJacltrae cumpcnilylioqinidrato Occafus g a B s II a • •• •[?• # • • • 0• D • • 90 Orrus Early European Books,
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.7.429 24 A Pcriftylium in palaeftra
quadratum&: oblongum habcnsam-D . B Trcsporticusfimpliccs. C
Portiaisquartaad meridianas Cacli regiones conuerfa, quae duplcx eft. D Excdrac
in tribus porticibus fpatiofae,in quibus phiiofophi, rhctorcsdifputabant. E
Ephoebeum,ideft cxedra tertia partc longior quam lata. F Coriceum a parte
dextcra. G Conifterium. ^ H Frigidalauatio in verfura porticus. I Elacothefium
adfiniftram ephoebci. K Frigidarium. L Iter in propnigeum in verfura porticus.
E M Propnigeum. N Concamcratafudatiointrorfuseregione frigidarij ion^itudi- ne
duplcx quam latitudinc habens ex vna parte Placo- ^ . 3 nicum
QJxituseperiftylio ^ Exaltcra Ocalidam iauationem R Porticusextra
palaeftramprima exeuntiLus. S Pm-ticusfecunda fpedansadfcptcntrionem
duplcxamplifllma iatitudinc&ftadiata. T Porticus
tertiafimplexitafadauthabcar. V Margines circa parietes. X Marginesadcolumnas.
Z Mediuexcauatumuti gradusbinifintindcfcenfufcfquipedali F «
Hypethracambulationcs proximcxyftum, &: duplicemporti-'
cum,quacaLatinisxyfta,aGraccisiirt^;/f,^i^uocabantur. D J>iluac ucl
platanones intcr diftas duas porticus. y Stationes ex opcre fignino. Stadium
itafiguratumutpofsethominumcopiaccumlaxamcn - to athletas cerrantes fpeaarc. %
Locadequibusl etfinon meminerit Vitruuius^ fiufst tamen in palaeftrancccfse ut
lignarium,iiquarium, uafarium, latri- Btc naimihwum ctil«, &: finailk. P R
l M V S. Dt '^itrijs Imninum generibns, quae itj gymtiaJiA comonebAnt. Cap. VIL
25 metli. B Aiua, adcoquc varia hominum in gvinnarijs conucrfan- tium crat
multituao,vr,rcfcrcntc4nihifaf nBrtffn y pJtrijwfj. 7\0kercar, Et ficuti ctiam
Galcni tcilmionio comprobatur^qui Tl.cagcnis cu- iufdamphilofophi Cynici in
Traiani gymnal'H)quoridicpublicc difputantismcntioncmfacit : Triacnim fuidc
Komnc h)caJii qui- in in lib. bus lirtcrariac cxci citationcs obircntur, cx
varijs Ga!cni !il ris co- libru C gnofcitur,tcniplum pacisantcquamconflagiarct,
gymralia pu- blica, cW^fK. Intcr-quac fcholam mcdicorum appcllatam (i- quis
rcccnicat mcafentcntiaa vcronon crrabit. fuit autcm ca iii hfquilijsacdificata,
multLsq. imat;inibus, atquc rriarm(>fitK>ncs, 5c aliaincdicinac
Itudioforum cxcrcijia liimlcquid trad.in folituin iiiiflcatquc nunc incollcgijs
vocatisfir, qiiandoficfcholam eiuf- modi propnos rai>uUrios habuiife,
oftcndit marmor cnm hac in- fcnptionc Romae ad D.Scbaftiani rcpcrium. M. LIVIO.
CELSO. TABVLARiO SCHOLAE. MEDICOKVM M. L 1 £ R M. LIVIVS. EVTYCHVS E
ARCHIATROS. OLL.D.I/. IN. FR. PED. IIIL Alterum genus crar,Adolcfcentcs,qui vr
cxcr. itationu obferuatio- nes,atq. modos addifcerct,ad gymna/ia acccdcbar,vbi
a gymnallis ipfisquafcumq. cupiebatexcrcirationes, edocebarurj Adole/ceres
hbcros palaeftra cdifcere folitos fuiiTc facile couincirur ex iJIis Par
InEunu-menonisapudTerenriiiverbis, quibusiileCherea fub formaEu- nuchi Thaidi
oflfercs air,Fac periculumin lirferis,fac in palaeftra,in „ muficis.q hbcru
fcire aequu eft adolefcentc,foJiertc dabo.id q^ cJa,, riusmfra
demoUrabo.Tertiugenuserat Athlerae qui ibi feexercc- bar, vt in publicis Uidis,
fcu in facris certaminibuspoflent&popu- lu dele(aarc,nccn6 vidoria ac
praemijs potiri.&: qj-hoc fuerit,pre- rerVirruuijauaorirareSueronius
clariilime demonftrat du refcit E Ncronc qiiandoq. gymnafiu ingredi foIitu,vt
cerrares arhJcras fpe- ctai ct.Quartu genus crat ocs iUi fiuc nobiJes,fiue
ignobiJes, qui ue! miliraris difciplinac,&: forrirudinis,veI
tuedaefaniratis,&: boni
habituscopamndigratiavarijscxcrcitationugcncribusinciibcbanr de prionbus elt
locus apud Cafliodoru Jib.v.epift.2 ^ maJc a Pamc- lio m adnor. ad Tcrrulliani
lib. dc fpe«ft. inrelJeau, vbi ita fcribir Oflenriuucncsnoiha in bellis,qd in
gymnafio didiccre virturis.ln Inic' l.^n '^' poflumus, cum fcribat -.c. e anno
aetatis fu? tr gefimo quindlo pafllim fuifle luxarione fummi humcn,n
paJacflra.Quindtum genus erar corum.qui fricabaruX cer n.fndbones ficrcnr a mu
Jris ante rcJiquas cxcrcitationes,nihiJo- ^irr^smnln quoquc fine vJJa
excrcitatione feorfum ab aH;, ut dc C.alcnofridione
adexcrcitationcspracpaKuoriaareliqufs diftin S;;Hn^ bihorcs.Hoc tamen
intcrerat,qct diuitcs,arq. primarcs Jabra et co lymbuhras^prias in cellis
alioVjui comunibiis habcba ^bjf^^ ucrfis tcporibus lauabaru r, mulri crar qui
ct folia ucl J.enca vej ar gctcaCqd-rcctat PJinius) fecu ferrcr,nc pcdcs nudos
cXc S nJi viJifnmi qu.q. poncbanr, quauis ctia rcftranr nonnuJjXh-hnnm
Impcratorc lauan loJitu, vbi plcbs lauabatur quoT& -n^S cX fccifTc cribit
Sucronius. Qui vero duntaxatunge7cm?rnuJ^^ gymnafi;s rcpericbantur, quonu uej
cxcrcirationTn3l K^^^ grariaungcbanrur. Abhiipoftrcmoonin Cn^ res ( ne
nuniflros,dc quibusinfra loq«cmt,r nuncC, cam^ gymnafia conuena banr,qux non ob
^nliud, nifiarvidendos eTe^.;/: . tarores P R 1 M V S 27 A tatorcs ut porc
otion,&: nuUis ncgotijs occupati eo ncccdcbar.Qiio in loco id ctiam
animaducrtcndum ccfco,dicbus f clhiiis gymnalia
ma-islixqucnt:U:ituiirc.qu;UKlc)artificcs,autaIi)sfcrmcijsdctcnti otiantcs in
illis ob rcmittcndos Iaborcs,&: uoluptatcm capiundam ucrfabantur. An in
Komanorum Thcrmis mulicrcs quoq. ucrlarci> tur,qucmadmodumuiri,nil ccrti
aftirimrc auiim,niiiquod Koma- na maicftatC- illud dcdccuilTc vidctur, tacilcq.
ficri potcMt impu. rac aliquae et (peaandi,& ludcdi graria^quod
luucnalis.&: Marna- lis innuucpublice vcrfarcntur in ^ymnalijs, nccnon in
locis lcpara- tis,quac ibi lauadis tcminis folis cxlli uc^la
cn"cnt,pcrindc ac in priua tis balncis honcftac mulicrcs lauarcntur tam
ignobilcs et mcdiocri loco natacqua illuftriorcs, cu dc l>oppaca Domiri j
Ncronis uxorc LU.c.4.1. referat Plinius, quod ad au^cndu cutis candorO
quingcntas aimas B tctasper omniafccum trahcbat, cV balncarum cnam foliototum ^
corpus illo la^c macerabat: quod intcllcxi t luucnalis dum lcriplit. .niir p
nguia Poppacana. Saty.^, Spirat et lr:cipit agmfciyitq. Hb laciefonetur
Troptcrc^uod/ecumcomiteseducitafelUs. in qucm dcalbandl corpo- ris nfum ihas
mulicrcs farinam fiibaccam, alios ninum,aphroni trumuc in balncis vfurpatrc mc
minit Galenus. Atqui Spartanorum Primo dc mulicrcs una cum uiris in palacfiris
cxcrccri fc confucuillc, practcr aIio5,fatis
tcitatumfacitPropcrriushbrotcrtioMultatuaeSpartemiramuriurapalaeHrae Scdmaj^e
vir^inei tct bona^ym^afii^ Quod non infames txetcet lorpore ludos Jntcr
luilafjtrs nuda putllas uiros, Cumpii i ueloccs fjUu pcr braihia i^^l.iS^
Jncrepat et ve fnlauis ad tnca trocht, TkluerulChtaq. ad extrtmas fiat ftmina
mctas, Et patitur duro vulncrapancratio, 7\(^unc ligax ai cifium gaudentia
br,nhia loiis, MiiliUnunc dijcipondus in orbc rotat. Keq. deHoc Spartanoru
morequifquam minMi dcbct,quando&: Plato in quindo dc repub.grauiHimis
arj:un.cntKs probaiiir ad flli- €cm rcrum publicarum ftarum maximopcrc
conduccrcfi mulicrcs tamiuuenes,quam fcniorc* una cum viris nudac in pahu (Iris,at-
quc gymnafijs cxcrceantur, qucd an fapicnrcr dccrc. um f ucrit, ^ an ad
conrincnriam tcmpcrantiamnc ex confuctudinc conlequcn- dam,ut Platoni m animo
crat>confcrrci,uon dl iocus cxaminandi.
^"'m qui Augufti Cacfansacrace floruir,folum pnlac %
nrasgraccastradiaiflcexipfiusucrbisconftar, quando I' nmidiim Rcrant,
c}U;ispoftca cxftru^aas licuii in raulris Gniccorum gy- mnafijs .'jsnircs
fuiiic probabile cft,ita pai-irer veririiiiilc fit Roma- nos (, vc /olcf cfse
poltcriorum in cxcokndis rebus mos) plurafuis addidr(Tc\tj6jac ucl
Graccoslatuerant, vclparum ab illis acftimara fu( f>ti>;:tiUOcjixa pai
tes gymnailorum magis principalcs cxplicata ftts baudquafjwam folas a Vitruuio
fignificatas in mcdium afftram, fcd lihis ni.llo {ku^ ordinefcruato cnarrabo,
quai difpedlm ab Au- aorilnis tF.uIiras inuenio, quasut rei ipdus rario
expoftulare uidc- ttirio Gruecis,aEq, Uomanis palacftris extitiCe : quaquam
Vitruuij E au^icrjtasEim nunqua multifacicndam cxiftimaui.nempe quc ■na^ct-
J^oiixcyov &i fua actate minimcaeftimatum puto, quod enim ab Au- gufto i.uliis
egrcgijs l-abricis, niflfolis Baliftis pnicfectusfuerit, quandofcilicetin vrbc
&extra Hrbemmagnifica aedificia cxftruc- banti!r,quod
ctanfrFroferc-pofteriorcauaorc nominatus inucnia- tur,practcrqiia in capituni
Plinij libroru caralogo.qui ab aliquibus minimcPIuiianus,ucI fattcm
adulrcratusputatur,magnam certe ip Ijuscxiftirnationisfufpicioncm meritGparir.
Ergoprimac symna- liorupartcsfucruntporticusexcdris fiuc cubilibus
apcrtisplenae inquibusphilofopiu.&ihctorcs.mathcmatici, et omnis dcniq di-
lciplinarumamarores difputando,lcgendo,ac doccdo cxcrcc-ban- tunatq. has non
longc ab alijs admodum litas fuifsc conijccrc pof- lumus tum cxipfa figura,tum
cxproucrbio indc nato(Difcfi quam F philolophu audire malut^quod in cos
diccbatur, qui in codc aym nafio intcr philofophos fcdcntes.atq. inde difcoru
crcpirus audicn- tcsrcliita fapictiac fchola ad proximum ccrtaminum locum (rum-
pebanr.ln cxedris philofophorum adolefccntcs arq. pucros illos a difciplinarum
ftud ijs opcra nauabant, vcrfaros cfsc rarioni confcn- tancum cft: quod
cfsentillac ucluti icholae quacda.ubi pofscnt fa- eillimc poft animoru exercirationcs
corpora ad fanirate, uel fortira
dincmiuiK:nes&pucricxcrcere/ubindcci.lauari.cmtcr»imLa.ffl-
pridi.jauetorrras. AlexandruSeucru poft Icaionemope raml^ pahuitrac modo
fphacnftirio.modo curfni.mocto lemL ludTs dc- diircmoxbalncummtromifse .
JntCKhasadnnmerocmJ mcdl corv.m /choIas.Secunda parscrar Ephcbaccm, quo mih.
vJdfi^- c apparet cos conuemrc.atq. dcpracrt,ij^ ^ c^icrccd. gcncrc padio! ncs
: 29A nes facerc (oVxtos, qiii hiTiLiI cxcrcn-i, ac ccrtare uolcbant : qiiam-
quamfciam Philandrum cius opinionis fuiOc, quod iu hphcbaco pubcrcs cxcrccrcnf.
qua in rc ipfum ualdc mchus fcnliflc cxiftnno, quam Guliclmum Chouhim, qui in
fuo dc antiquoru cxcrciratio^ nibusUbro in Ephcbaco iuucncs ftudcndi gratia
lcdillc lcriptis madauit. Vtrum ucro apud Romanos,qui cum uiris antc dccununi
fextumannumpucroscommcrcium uHum habercuctabant, hoc ucru tucrit affirmarc
noaudercm . Ncq. itcm ncgarc poiUnnus,Ga- Li.dc i.c. lcni tcmporc. pucros
cxcrccri in palaclba confucuiflc, cu rs cumf- P^^^'- damacgritudinis,quamCommoduspucr,atq.lmpcratoristiHu$in
palacflraacquiliucrat,mennoncmfaciariSipracrcrcainfccudo dc tu.ua.lic icribat:
oCn Kxiou^ ivporis moribus ita loquitur. l^tgo tihi cjims yigimi fui\}c prtmn
cop am DiiitHm longc a pdtd^ipio pc.iim vt effcrres ex acdibus ^ntc folcm
cxoruntt m mjt in pMdcliram vcncras Cymnafii Tracfccty haud mcdiQcns pocnas
pcndcrcs : Idq. vbi obtigcrat, hoc ctum ad malnm arccjfcb.itur malum Et
dilcipulus, magislcr pcrhtbebantur imprubi. Jbi curfu, luctando, hajia, difco.
pugiUtn, pila Salicndo fc exencbant maps, q ^am icorto, aut fauifs, C
Vndcmihicoijcicndu uidctur pucrissumo mancpalacftraadcudi pracccptu fuiflc,ut
uiroru,qui tuc noadcrat,c6mcrciu uitarat,atq.
cthttcraruftudijsiucubcndioMumfupcrcirct.etcnim non dcfuifl^i-, qui pucros
nudos uidcrc,&: ncfandum coru amorcm libi conciliarc cx palaeftns
ftudcrcnt,facilc cx ainatorio Pkirarchi iib.colligitur.
habcturautcxcitatoPlautiloco gymnadapublica Romac cc fuilfc antc
Ncroni5principatu,licut&:cxCatullo,acalijs.Tcrfiaparscrat Coriccu,qui
locus(ut mca fcrt fnia),p dcnudadis hominibus,^ ucl cxerccnaicl lauari,ucl ut
ruquc agcrc uolcbant,infcruicbat,alias a Graccis iTroJ^urift^.Sc a Calcno
yvtJHfccsHgiOP uocatus.Nili cnim Cori- ceuapud
Vitruuiumtalcmloculii^niHcatpalacllrasabipfo dcfcri- ptas abfq. hac parte omniu
maximc ncccfsaria cxtitifsc diccnduin
cf5Ct,quanonfoluminpublicisgymna(ijs,ucructiaminpriuatisaf- ^.^^^ tUifsc
crcdo,fiquidcmPliniusCacciliusindcfcriptionibusuillac fuac Laurctinae ac
Tiifcoru apodyteriCinteralia adnumerafrunde D illoru fcntcrias jpbarc
ncquco.qui Coryceu in Vitruui; textu legc- du putarfita
corycopilaefpecic,quafiibi ludui talis agcrefaut cou riceii pro tortrina, aut
corycefi tam^in eopueIIe,&: virgines««f«//« Graecis uocatac
exerccrentur.Quarta parserateleothcfium a lulio cpi. Pollucc
«AujrT/IfMc^aCaecilio Plinio unauarium uocatum, atq. in ifto ludaturi, &c
alias exercirationes, uel balneas inituri ungeban- tur,redungebanrurq.
Sed,quoniaopportunirasrci poftulare vide- tur,ut dc hoc gymnaftico vngcdi
munere ucrba facia, neq. Metro- dori Scepiij 'sngt T«j«At/7rT««{.ideft,de
ungcndi rationc ciratus ab Arhcnaeo Iibcr hodie extar,quatuor cgo
dica:primij,quado, et qui ungerenrur: fecundu,quae cfscr undionis
materia:rertiu,cuius finis gratia ungcrcntur: quarrum.quo modo, &: a quibus
undio admini- ftrarerur. llliquivclloturiuelfefecxcrciraturi in gymnafiuucnic-
bar,maiori exparrefpoliabaturin apodyrerio:poftea horu nonulli, &:
praefertim qui uel lucla, vcl pacrarium inire intcndcbat, (na pu-
giIatorcs,curforcs5ac alij multi undione no egebant) alipteriu in-
gredientesungebatur,atq.iraunaiadIocu,ubierarpuIuis,dequo loquar mfcrius,
trafcunres pulucrc cofpcrgcbantur, ficq. dcinceps m cxcrcitationes diucrfas
diucrfi prodibat^poftqufi ucro fele,qnan- tum Iibuerar,excrcuifscnr,itcruad
undUianiireucrrcnrcs ibi a Me- diaftinis,& Reundoribus
ftrigilibusferrcis,de quibus Martialis, Tergamus basmfii curuo difling^mre
ferro, T^ontam faefe toet lit.tea fitUotibi, detergcbantur, in qua dererfione
olcum, puluis,& fudor, quae de radcbanrur.fimul mixtain ufum mcdicum
adfcruabarur, &:ab At- !:h4ci ^'i^
aba!ijsueroWTtffuocabarur,urcxDiofcoridcPli- F ii.defim.
nio,Gakno,&:AcriofaciIliiueconfirmaripotcft: ramerfi Auiccn- me.8..& 4
na libr&-fccundo faciat mctionem eriam fudoris ficci arhlerarum Tib";
et quemputofmfscillum, cui nequcoleum,ncqucpuluisincrat ^,o 3 fim. quamuis
Galcni acrarc ftrigilcs adhiberenrur ad balnci vfum ni jT' c. 17. ^'''S''"
Plerumquc fponeiac crant, uel li- nci, nequccommunitcrfempcradminiltrabantiTr.fcd
quifq pro- priumfecum gerebar,& pracfcrrim quicumquc communii cum alijs
mihumenra habcre f ugicbar, vr infinuar Pcrfius Sar.v lp»er,7i,ur
corporaforriorarcddcrcntur.De Hcrculc nanu|uc,& Antco fcrauncm faciens ait,
^uxillum mrmbtis calidas infunditarenas, Plurarchus in libcllodcprimofrigido
huius fcnrentiaefu ifseuidc tur,quod athlcrac in uni^iionibus puluerc urcren
tur ru ad rcfrigera da calcfaifta corpora,rum ad cohibcndum fudorc,nc ranropcre
dc- lafsarcnrur. Egoaut cum Lucianocxiftimopotillimuufumpulucris cxflirifse, ne
olco manus labcrcntur, fcd facilius cxcrciratorcs fcfc comprchcndcrc ual
crcr,neue fudore difflucrcnt, aur ucnri corpora apcrta ingrcdercnrur. atq. hac
dc caufsa a Marrialc puluis ilk icfi uocarusfuir,ut ibi(flaucfc]t aphc)undc fi
qui aducrfariospcructos, &:lincpulucrc cerranrcs uinccbanr, maiori gloria
digni habcban- ^ tur,qualis fuir apud Plinium Dioxippus,&: Diorcus apud
Paufa- niamjacxtfw/nomenpromcrirus. cuiusrci menrioncm fecit Hora- tirvira,\d
Macccnarcm fcribcns. Ul^.x.cfiJ Quis circum p^^go^, et circum ccmpita pugna x.
Magna coroniri conumnat olympia, cui fpes, Cui fit cond tio duli is fire
pulucrc pahuae ^ ^ ^ Ex quo fatis mirari ncquco Budacu,uiru fane doaifnmu, q I
fuis ad Padcdasadnorationib. hoc nouidcrir^malucrirq.flfWm.i.aWflr^^ii wc>
(cu finc ccrtaminc limplicircr diHu cfsc qq, &: hoc quoquc non abnuo
inrcrdu aliquos cfsc coronaros (inc certaminc, ucl qd* aducr
fariusrcmporeconftiruto non comparuifsct, ucl,quod ob robur, &:uinccndi
confucrudincm a cuncris uitarcrur, cuiufmodi fuilsc complurcs Paufanias,
Diodorus, Hcliodoru#s atqucSuidascom- mcmorant ««ic^wti proprcrca nominatos.
Alijfunr,quicrcdantoIco Oymn^O^ca^ C cxcrci- 34 L l B E K ( dc vii.
cxerciratoresunftoi ad arcedafrigora.&leuandasIaffifudincs.Ga- D
lenusfentit oleum ram ad exoluenda ptcrita lafTirudincm, &: futura
niitiganda.quam ad pparandum ad morus conduxinc. quibus cera addita cum GaJeno
opinor,quo oleum aIio u'i^'tuariu,&: couiftcrium cxpJica- uimus: nuc
ccrcras partiin ab codc prcnnifsas,6i: ab alijs indicatas, parrim ab ipfomct
cxplicaras prorcqucmur. hrar iraq. fcxra pars lo cus quida palacllra
uocari:s,ubi (Jiccbat I.ydus illc PIai:ti^) curfu, ludado,halla,difc(),p
yilaru,piia,(aIicdo fc cNcri.cbar magis,qfcor ro,aut lauijs, 6:ubi k ribir
Gal.hascxcrcirarioncspcragi folitas lu- da,pui;ilacij,appcn(ionc manib.ad
runcs,cxcrcitarionc,qua ftabant pcdib. 6c manib. in pugnu uinCtis,casq. alrcri
apcricndas porrigc- bat,qua podcra manib, aftollcbant,6L ua
pciiiftcbanr,c}igcnus hal- tcres uocarucft,fchiamachia,&:armoru pugna:(
»alcno ucro afscn- ricns Oribalius Pcrgamcnus fafsus clk no modo has, fcd
&: alias fcx- ccnras fuifsc palacllrac cxcrcirarioncs. \'ndcanimaducrrcndu
cft, palacftia apud urriufq. linguac auvflorcs nuilta (ignihcarcprimo ro
ruipsii gymnalifi,ut cituidcrcpencs Virruuiu;fc(to,locuquccumq. cxcrccdis
corporib. idonc u, quopaclo locu uscft ( jceroin f.pift. tcrrij li.ad QJ
.prima, &: 2.dc lcgibus,du uilia (iia Arpinatc de (c ri- bcns,palacftram
ibi nominat,nccnon \'irgiliusquinclo Acncidos, Td'S in^^am nns exerctt t
ttumbra pulac/ttis^ &c Gcta apud Tcrcriu in Phormioncubi dixir, Ecc fi a
iua palacftra cxittbras.Tcrtioccitagymnalij paricin qua cxfnia Plauri,Ga!cnr,
6c Oibalij tot cxcrcirationcs facbs pracdiximus,&: cuiusparu tum
fordcscollcihas in panno applicatas furunculosmarurarcfcripfc- C
runrPlinius,&:T!icodorusPrilci.Hni*^'. iniUM f!VMi:h\ arionc accc- ^ifse
Catullum puro,ubi dixit. Abero foro, palntsira, flddio, et ^^vm asi^s ^ Mtfer
ah rr^ijvr . et Atranius lCi ibcns. Efcam '•epelUs tf i'ri mannw pei pj!j(
lincos, idcft, Palacftrac ufum (ut air Nonius) callcntcs. Quod auca Palacftrac
nuiris^llatui^^atqicolunis ftrigiiKnCi quac- da a pulucrc,&: lucianriu
corporu concictu il)i f •utac abradcrcnrur, &:in uarios
mcdicinacufusfcruarcntur,abiidc tcftati funt Diofcuri dcSjPlini^ &: Gal.q
ftrignicnra quadoq; a Judoru m^^ilb arib. ortin gc:is icftcnijsucdira fiiifsc
irudir Plini^ Inucnioquoq.cxcrcirario j;c* ipsapalacftraru intcrdu palacllra
uocari,rdinarc,&: vcniiltc f'actvsinciapnoi;n;ci4Urlligc rc.iMs^c
;ui^ttorir.uc Lucilij*, cm'^hic ucrs"'' l/cyif .ipud Porphyriouc, iiiUuis
iioitt/sji cll uuiurn tcffi n^ij j l- fli\i, ucciujn Plato iu Cliarinic^t C 2
pro In Bacchi dibus. 2 cue. Udl. C2p.
$ 6. coUc c, 14- Dc Bere- cinchi .a ) li. i.c. ii.T ^Cwcx. incd. Ii.i.dcle
glliUS. li. i\c cla- ris Orat. i 3«
fto"^?* pi^o Taurcipalaenra locu{Tgnificauir,quo uiri doaiad
colIoqucii-T) '^** dum difputanduiTiq.conucniebanr. Ad haec Plutarchus in
/ecudo fympos.palaeftra uocarufcribit locu,ubi athletac cxerccrentiir, &:
in quo lolu luda,&: pancratiu non curfus, non pugilatus agerenrur.
queadmodu,&: Gal. quandoq. palaeftra nuncupauit, ubi athletac f
folum,&: craffitudini corporis ftudenres exerccretur, quo padto ac-
cipiedureorapudHipp.quuinprincipio primi Epid.narrat tuber- cula ijs efse
oborta^qui in palaeftra,&: gymnafijs exercebanrur.For ml\lp^9 ^^^^^
dubirauit aliq uis,an in palac ftra hac puhiis ftrarus efsef, qm Gal.ipfam a
loco,ubi puluis crat/'«fAA> dcquoqjacilc conijcitur m fphac: illirio ncdu
pilacludos,ucrum 51 ctiam alias excrcitationcs ficri confucuifle, quado et in
ipfo.Vcfpa- fianus fauces,ccrcraq. mcmbra(ut tradit Suctonius)(ibimct adnu-
>• mt rum dcfricabat. C):taua pars fucrunt uiac illac,quae inrer porci-
cus,ac muros,ur cgo puio, litac crant,ab omnibus acdificijs nudac,
necnontotapcrillybjareaquac&: ad fubminiftradamporricibus, ac ccllis lucc
fadac erant,&: ad fpatiandum, aliasvc cxcrcirationcs obcundas, quac ncc in
palacllra, ncc in alro pulu^rc, ncc in xyllis. ^ alijsuc locis ficri poilcnt.Has
locum coculcatum paulloante cx Ga Icno a nobis nominarum fuiflcopinv^r ira
uocatas,quod nullis lapi- dibus, latcnbu.vuc ftratac,fcd rudcs&iaciuato
tantumfolo forcnt. In his curlum fach'i cxillimo,atquc ad id :um diauli, tum
dolichi, a quibus dolichodromi, 6c diaulodromi lormas, atquc tcrminos ibi
conltituros, tameriiapud Vi:ruuu'i nil aliud lucrir diauIos,quampe r\'ftilioru
quadratcrum circunurio duubus lladijs dcfinita. In ipiis ctiam faltus,&:
difci cxcrcitarioncs, quas palacllrac ncijauit Galc- nus(ut mea fcrt
fcntcntia)intcrdum habcbantur. Nona pars crant xyfti,&:xyfta,na vrraq.apud
L'raccos& Larinosnr) parum difcrimi- nis obrinenr, fi quidcm \yftv>i>
hi uocat porticus tcCtas ubi athlctac ^ pcr hiemem &: acftarc,tcmporc
ludationibus alicno cxcrccbantur: xyfta autcmfubdialcs ambulationcs,ubi hicmc
tcinpcftatc lcnic porticu prodcunrcs,&: acltatc fcrc fcmpcr cxcrccbantur,
ac ambu- labanti atquc has wif i/f ofti/tff a draccis n(>minatasfcribir
Vjrru- uius,quac dupliccscraiit,aiiacnudac,a]iacplatanisalijsucarbori-
busconlitacad pracftanduamocnirarcm,atq. illis,qi.i a folcoHcn-
dcbanrur,umbram.dchis loquebatur Miniu.s,dum pl aran(js Arhc- M> xx. nisin
Acadcmiacambularionccclcbratas fuillc /cribir:i)cijfdcm quoq.Miniusfccunduskrmoncm
habuit qiiando in dcpinycndisi.rOean 1 ufcisac Laurcntinauillisfuisxyftostotics
dccantar.Ncc ahum lo cum inrcllcxir ifchomacus apud Xcnophonrcm, quandvj
ambiila- tioncminxyftofadam noniinauit,(icuti ncc Phacdius apudPla- toncm, ubi
cx Acumcnifcnrcnria fahjLrioiumfacirambularionc inuijs,quam in curlibus (ub
hi(cc ucrl)is- lti#r,frigidarium,rcpidarium,fuda. ^^QJ tioncm calidam,&:
calidd lauarioncm : Qu,ic ucro balncis infcruic- bancfu.-runi
hypocauftu:n,aquariuai,iSido vapore, Ctuda yirgine, Menijq.mirgi. Scio quoque
nonnullos, quod laconicum rorundum,ac ueluti tur- ricula in hcmifphacrium
camcrata forct, idcm ctm Iphacrillirioi nobisfupcrius cxplicatocffccifsc.quibus
plane .-ifscntiri ncqueo. qiioniam mihijrrationabile videtur,utin loco calido
fudatfonibus D vE ift li
atci;aliasexcrcitariones,quasinrphacriftirio "^' •
''ficric6fueuiflctraditPIinius,exerccrct:fuirsctnamq.(uteftinpro^ uerbio)camino
oleu addere, fi excrcitationesper fc corpora ualdc calefacientes in
calidillimis locis cgifscnt.De laconico pofsunt ucr
baluuenal,intc:hgi,fiucrfusita rcftituatun quidquid dixcrintali;:
QuiLacedarmotiium proptyfmate h.bricat orbem: namraxatquendaqd^inLaconici
foliocopiofc cxfpucdo efficcret, quo minus in ipfo pcdes ambulantiu firmari uak
rcnr.Poft Laconi- cufequebaturccllacalida labris aquaecotincndacpofitisrcferra.
in qua qt^apud Alcxim fuifsc balncoruin par- tcm, nullo modo probarc ualco :
cum idc alias ipfum intcr ^vmna-
fiorumpartcsadnumcraucrif.nifiuchmuspcncsAnriquojitAWi? F fignificafsc totum
gymnafium ipfum . Atquc hacc fL.lIi:ianr cc pu- bhcorumingymnalijs
balncorumpartibus. Fucrunr&iinnumcra fcre priuatoru balnea, quac, &c
aliquibus cx pracdidis partibus ca- ruifse,&:alias habuifse uenllmilc
cft;;cd dc huiufmodi non cft mfti- tuti noftri ucrba facerc . Quae autcm loca
non cfscnt in tra balncas. fcd ipfis
tantuminferuircnt,primohypocauftumconrincbat,quod fccundum Vitruuij
dcfcripiionccratfornaxfcu caminataftrudura fubterranea calidario,calidac
lauationi,atquc uafario fuppollta, iii qua ad calcfacicndu tum aqua,tu praedida
loca ignis fucccndcba- tur, ^ ne exftingucrctur a fcruis fornacatori bus ob id
in Pandcvilis a Papiniano uocatis,frequenter cum pihs,& glomis picc iUitis
cxci- tabatur,de Iignis autc in hunc ufum adhibitis narrat PIu tarchus x prob.li
b.ijj.fympof.aediles cauifse,ne ignis balncarum cx olea fudcenderrtur neq. in
cum conijccrmir lolium, quod horum nidorcs
araucdincmcapiris,6^vcrtigincslauantibusinuclKinrpracdicU^ pilarumapud
Virruuiumlib.v.cap.x.mcntioclara habcrur,ubi do^^ cctfolumcaldariorumitaftcrnendum
cfTc inclinatum ad h> pocau fim,vti pila cum mitratur non poflit inrro
rcfillcrc, fcd rurfus rcdirc ad pracfurnium^atq.fic facilius flamma
pcruagari.fub fufpcniionc. Dc his loqucbatur Statius in dcfcriptionc balncorum
Etrufci. Crcpantis i^uditura piUs, ubi hniuidus igms imrrat ^4€dibus, et tenuem
^oluunt hypocaufia uaporcm^ Vndc cuiuis manifcrtum cflc potcft j n quam graui
errore ucrfentur ilii,quiHypocauftum,&:Laconicuidcm fuiflccrcdidcrunr.
Auftor ert Scncca iij.nar.quacft.cap.xxiiij.ncc no epift.xc}.;tcmpcftatc fua
inucntos eflc paricribus imprcflbs tubos, pcr quos circumfundcrc-
turcalor,qi'iima(imul, &:fummafoucrctacqualitcr:illumucroca- lorcm immitri
confucuiflc cx Hypocaufto,«d a lurifconfultis mcmo riac mandatum cft,&: ab
Aufonio in MofcIIa fic cxprcflUm: Quid quacfulfurcafubnru^a crepidinc fumant
Bjlnedyferncnti cum Mulcibcr haullns opcrto rduit auhcht^s tcctoria prr ca:u
fijmmas, Inclufumglomnans acfiuixpifante uaporem. Horum autc tuborum veftigia
adhuc quamplurima Romae confpi ciunrurin DiocIctiani^atq.Caracallac gymnafijs .
Antchypocau- ftum via quacda crat propnigcu, quah dixcris pracfurniu a Virru-
uio uocata.Aquariu cclla crat calidac Iauationi,arq. calidario ad- ^
ncxa,inquaalucus magnusacdificaruscraradcontmcndaaquacx " aquacduLtibus,autaliundcinucc^am,arq.indcmfrigidamIauatio
nc,iS:calidapcrfiftuIascorriuanda.Nonlongcabhocfirum fuitva (arium,vbi vafa
confcruabantur balncoru fcruitijs ncccfl"aria,&: vbi aqua pro ipfis
calcf^cbat.dc hoc ita rradidir Vitruuuis:Alicnca vafa nb.j « fupra hypocauftum
tria copofita fuifTc,u!uim calidarium, alrcrum tcpidarium,tcrtium
frigidarium,&: ita c()llocata,uti cx tcpidarioia
calidarium,quatumaquaccalidxcxilfcr,influcrct,dc frigidaiioin tcpidarium ad
cundc modum. l)c acrc balncoru m,qui cxtrinfccus
admitrcbarur,(vrVirruuiusinnuit)caincaliciiflimolocoaucrfo a ^^^, Scptcmtrionc
&: Aquilonc fita crant, tum caldaria arquc tcpi daria Cap.io. ab occidcntc
hibcrno lumcn habcbar.Quod Oribafium fignificaflc puto, ubi cx Galcni fcntenria
Architcftos optimos balncorum do- mos ad oftauam horam vcrfas conftruxiflc
fcribir.Sin autcm natura loci impcdiuifser,utiq. a mcridic,lumcn ucroita
capicbatur, ut in mcdio camerdc forame laturclinqueremr^fubquolabrum exftruc D
baturxirca labru eratfpatioljquiclamargines,aurporticus,a Vitru uiofcolae
uocati,in ^. ftatu a Seneca, &: l^lurarcho auftoribus i rauillimis fcriptu
re} erio, antiqiiioresmoIlibus,acmoderate calidis balneis ufos, ita ut Alex. in
lauacro et febrics,Galataruq. mulieres puJtis ollas in balnea fere tes
unacupuerislauarctur,&: maducaret; ateoru fcpeftare maxime calidas in
pretio habiras f uilsc, adeo q. tarint> qualis Tucca a Martialc fub his
vcrfibus dcrifus. 7s(ow fdice duro,flru^ili ve caemento^
7iiuucnrusRomanaexercclxit«rJybcriprop|nquuc^ftirucriV^^ ne longius ad
dcponcndas mrrr cxcrxendifm c*)jirTaar;rs(tirdcs jrc Lih.i. dA
cogercnrur,qucadipodum fcnbir Vcgctius:ira,poftqgyninafia ob rc iiiiiit.
cxcrcirationes1nftitutarucrunf;:ic(^ij^lim adrriun-
dandacorporaconftrucrc.Abhoc autcufu ctiamfcmcl tanrumin dic coenandi,&:in
Itraris du cocnarcnt accumbcndi, ut infcrius co- piofc demonftrabo,con{ucrudo
inrrodudra fuir.Poftcriori rcmpoic maiorcmhominum partcm balncis ob dclicias,
arquc molhricm ufam efleclai-ecoa(l.it',& pracfcrtim tcpidisquibas cxficatas,
Sc ab cxcratationibus, Vdfolcvcl Frigorc aracrcscorponspartcsat-
temperabant.Ncc folu dulcibus aquis,fcd 6c mcdicatis ob dchcias yfos homincs
tcltatur Galcnus in principio tcrti/ dc medicamcntis
localibus.Jialneisaliquosvti confucuiikMpiod non poflcnt .ncquc
fcrrcnrciboscapcrcnili loti.auciorcil Plutarchus.qui T.tumlmpc ratoreiuic dc
cauirainrcri)tl"c,cxrclationibuscoru,qui acgrotanti tu. va.
miniftrarinK,prodidit.Ouod ct qui inualidum ad concoqucndasci bosvcntriculQ
habcbant.cius corroborandi, &:cibos conficicndi ^^^.^^.^
cratialauarcntur,aPolidoniomcd»corclatumcft,vtnorcmcrc I li „p. nius in medicos
inucctus lit, quod pcrfualiflcnr balncis ardcntibus u.i^.c. i cibos in
corporibus coqui,a quibus ncmo no minus ualidus cxn ct, obcdicntiilimi ucro
ctlcrrcntur.Summatim ob quatuorciufas bal- B ncain vfuexftirilVcfcribit Clcmcns
AIcxandrinu.MlM^afwWojm x^fKt^«« vocarunt.Cahdis&tcpidis ad conciliandum
Li.j.pne- fomnu;lngida Luubant,&: ob vohiptatc,&: ut robulVorcs
rcddcrc- d^i.ci,. tur,calorq. naturalis intro repuUus maior cuadcrctiidcoq. krc
poft calidas balineas ca adhibcbat.quc vfum primos ouim Huphorbuin
lubacrcgi$,&;Antonium.\Iulam.Auguftimcdicos,rratrcs,yK')ftral-
fcrcfcrtPlinius lib.xxv.c.vij.Channis quoq. mcdicus Malhlicnlis, damnato
calidoi um balncorum vfu, hibcrno t pc ct frigida lauari hortabaf,atquc in
lacus aegros mcrgebat,qua dc rc cxtat .Scnccie adllipulatio,;(cfc pfychr )lu r:
u')C.ari.s.ptcri";qd ct( vtrclcruntPh- C nius,&; Agathinusapud
()ribali&)ad jprogada vita, multaq.alia p- ftada.fi igida lauationc cofcrre
opinati sut; haec.n. dc (cipfo rctcrt « 4. Agathinus. Equidc racpcnumcroa cacna
cuacgrcin foinuu dcla- bor.pp acftum,in trigidam dcfccndcrc coiucur. &C
mirabilc cft qua iuciidam noacm tra^iiligaiu.Qu.i
balncasingrcdicbanrurpublicas,^ ancc dccimum quartum annum niiiil
foluillc.tcftatur luuciuhs., T>{ec pActt criJiu.t,nl's . Sjt », Alij quadrantcmbalncatori
dabant.&ol) id baincu rcmquadrau- tariam uocauit Scnec.i,dc quo riacci; .
Dum tn qHadrantclau.itum l^cx ibis. ->t. 6. Cacdt:reSiluanop9*cim,q'adrantelauaii.
Qucritur tn .Martialis.quod plurisiibibalnca coftarcntubi fcribir, LiVio.
jSulrKapuJtdtcimaiiilajjo ficniHmqucpdutitHr,
Qudirantts. Q^od forfan uel ob diuturniorcm moram.vel alrerius rei
graria, &: ipcontingerepoterar. Sar eft,quadrantem coe pretium fuifse:quin
et Antoninum Pium balneum finc merccde po pulo coftuuirre, tradit lulius
CapitoIinus,& Athenaeus viij.dipnos. lcribitapud Phafelitasfuifse
legem.utpcrcgrini cariuslauarcnt.p- pterea cum ita uili pretio licerct, nulUim
genus hominum a publi- co balneo arcebatunpucri iuuencs,uiri fenes, decrepiri,
nobiIes,&: ignobileslauabantunfed prac caeteris,phonafchos, cytharocdos,
'''lrlE-r^T*'I^=e"farebalneafolitosrefert »ed.i.e. (^al.quod
noccmoblaefam,&a/Tiduis vocibusexafperatam aqua-
rumduIciumhumedlationecurabanr integramq.feriiabar.Hocfi- miJiter uidetur
Martialis in his de Menophilo uerfibus fignificafle. Iiib. 7. Mcnophilipenemtam
grandis fibula veflit, ^ ft ftt comoedis ommbus vna/atis . Hmcego credideram {
nam faepe lauamur in uno ) Soluitum vociparcere FLicce fuae . Dum ludii
mediapopulofpeaantepalaeflra, Delapfa efl miferofibula, verpus erat . Qiii
Mcnophilus comocdus crar,& ficut cacteri.Iicet recutitus, in- Sll'nT ''k
'^f cum Martiale in communi therma 1 ba neo auabatur. Muhercs Lacedaemoniorum
in balneis gymna ' ^vnT T- ^ Perfpedum eft, &: nedum in his, uerum et vna
cum v,nsprom,fcue:quod tamcn non in cundtis euenifse cre tZl^^r.fn'^''"f^^
balnci mulie! orjs mcntioncm ibi facit. «UMis eas ingrcdi ob ralubriiatem
uciitum apparetrquod ptcr tur-
ptudmemetacorporibusmuIiebribus.acracnllruncremcmL " SSm- A ''''''•T/'^'
'"Sr.^fcum ftarim coru molrm m cT "uii -f 1"", " 'f''
cuin unis h non cudemlauacro, codein falccm P R I M V 49/ A faltcm loco ctlam
antiquirus lauilTc comprobat,qui libro dc analo gia fccundo tradit in balnco
coniunda fuiifc acdiHcia bina, ununi ubiuiri,altcrum vbi mulicrcs
lauarcntur:practcrca,C.(jracchus in orationcdcpromulgatislcgibus idcm
confirmarc uidctur, cuius vcrbaapud Gcllium italcguntur. Tudorcnim noparicbatur
vtru- ii.,o. quc fcxum iimul lauari,fcd commoditasconiungi dc(idcrabat. Ni-
fidicamusilla omnianon dc publicis balncis,quac tunc ucl nulla, ucl
angullillima, &: vilifli iia cxllitcrc,fcd dc priuatis cflc inrclligcn da :
qiTcmadmodum forfan Vitruuius intcllcxir, vbi vtriulquc fcxus j- lauacra
coniungcnda monftrauit. ucrum cnim ucro pollcrioribus facculis mulicrcs
promifcuis balncis yfas cflc, quamplurimaru pro- batifTimorum auctorum
tcftimonijs comprobari porcll, intcr quos primo fcfc orfcrt Iuucnalis,qui
diflblutos Romanarum focminarum ^ morcs carpcns hacc fcribit. Cramf
occurfu.tactcrrima Vkltu Balnca ncBcfubit, conchss et caftramoueti T^lBc iubct,
m^gno g^uiet fudare tumultu, Cum lafTatagraui ccctdcrunt brachia maffa Caltidas
et tnliae ii':*itos impreffit Aliptcs, ^4cftimm4m dominae femur excUnure cocgit,
cx quibus ncmincm cflc cxiftimo,qui non uidcat mulicrcs tcmpo- rc
luucnalispublicas balncas adiuillc, ibiquc ^S: cxcrccndo, &: la- uandolinc
pudcrc ullofc virrs immifcuifrc.(]nod (imilitcr ciiis tcm- pcftatc
Martialisconfirmauit. Omnia fotmincis quarc dileda cateruis Lib.ii. B-ilnea
dcuitat Blatara ^ 6c Cum tc lucerna balneator exfitn{}4 li. 3 in Vc ^dmittat
intcr bufluariasmoechar, tuftinauu Clcmcns Alcxandrinus, qui fub Antonino
&: Scucro floruit, in co, ^ qucm Pacdagogum infcripfit commcntario non
modofocminas communcsuiris
balncas,atq.publicas in ufu habuiflc tcftarur,fcd omni
pudorcdcpofitocxtcrnisquibu/quc libidinisgratiafcfc nu- das in ipfis
fpc(ftandas pracbuifsc. Quos morcspoftca dctcftans Gaccilius Cyprianus hacc in
libro dc uirginum habitufcripta rcli quit . Quid ucro quac promifcuas balncas
adcunt : quac oculisad libidincm curiofis pud(Ti,ac pudicitiac dicata corpora
proftituut, " quac cum uiros,ac a uiris nudac uidcnt turpitcr, ac
uidcntur, non- " nc ipfac illcccbram uitijs pracftant. Cui fcntcntiac
multa ctiam fi- " millimaa D. Hicronymoin I:pitt. ad
Lactamdcfiliacinftitutionc " fucrc prodita .
Hisitaqucomnibuscuiuispcrfpcdum cfscpotcft, non pauco icmporccum morcm&:
Romac,&: ahbipcrduralfc,tu Cymnaflica. D focmi- 50 L I B E R fcminae atquc
uiri in promifcuis baineis Jauarcntunquando etiam D non dcfuerunt qui intcrdum
hanc mulierumimpuramprocacira- tem coerccrc tcntarint: qualis fuit Hadrianus
princcps, quera fcri- bitDioCaflius viros
difcretosafcminisJauariuo]uifle:ficut&:Mar cum Aurelium Antoninum balaea
promifcua fuftulifle, eadcm-
qucabHeliogabalorenouaraAlcxandriimSeuerumprohibuifle, refert CapitoIinus,&:
Lampridius.Ob quod item aliquando cenfo- ria lex Jata traditur,ut mu lieres a
promifcuis balneis abfl:inerct,ncc commune lauacrum cum uiris libidinis caufsa
intrarenr, fub repu- dij,&: dotis amiflionispoena : quod poftea in
I.fin.titul.dc rcpud. &: inaurhcntico dc
nuptijsprofancitorcccpttmfuit.Quarationcfie- ripotcft,utbalneaeaIiquae
muliebres in foeminarumdumtaxat: ufumfucnntcxftrudtae,quaIesAgrippinae
AuguftacNcronisma- tns:nccnon Olympiadisin Saburra,& quas Ampclidem,ac
Prifcil E lam trans Tybcrim ad euitandum forfan hominum confpedtum ha buiffc
refcrt Viaor. Tcmpuslauandi poenesvetcres,quemadmo- Epift> 87.
dumnarratScnccafuir, quod quotidie brachia, &: crura ablue- bant:tou
nundinisfolum lauabantur, Caetcrum poftM.Pompeij aetatcm coepcrunt fingulis
diebus toto corpore lauari. Hora uero vfque a temporibus Homeri fcre a pluribus
obfcruata f uit paullo li de tre. antcquam cibus fumerctur.non dcerant tamcn
Galeni tcmpeftate, "fQh ^^ ualetudinis habita ratione lauarentur. ob q^
jpfe ngorem fine febrc uifum tempore fuo narrat,quem aetate an- tiquiorum
medicorum,cumraripoftcibumlauarcntur,non elseui- fumfcnbit,
Vtplurimumautemmaiorpars liberorum hominum prms exercebat.deindc
baIneaingrediebantur,nonnulIi fine exer Iniib. de
ciratiombuslauabantur.AdnotauitGalenus,antiquospoftpilaeIu F KL*"
^"" b'^'"eis lauari confucuifle : quod fimiliter ante illutn
Lib.4. innunifse Marrialcm co uerfu vidcri poteft. l\eddepilam,jo:iataes
thcrtnarum, luderefergis ? yirgine visjola lotus abire domum,
NamdumhorabaInearumappropinquaret,tinrinnabuloquodatn figmficabatur,quo
pilaelufores.atqucalij exercitatorcsftatim ac- currercnt:aIioqui in gclidiflima
Virginc, qu am &: tadu iucundilli- ii.3i.c.3. mam,ficuthauftu
Marciam,rcfcrtPIinius,&: fic diftam quod nullis fordibus pollucrctur
traditCafliodorus 7, Var.iam claufis thcrmis lauabatur.fcribit enim
Capitolinus,antc Alexandri Seueri tempo- ra numqua thcrmas ante auroram apcrtas
fuifse, &fcmpcr antefo- lis occafum claudi confucuifse, ipfumq.
Imperarorcni publicarum thcrmarumluminibus oleum
addidifIe,quo&innoftepatercnt. 1 BHi bfl m Phi opi inli culi W col isfc obi
crai Cp:)& igd cisl bui iiitii iieii hai aq : n A qiiodctla fcciflc I
yconcm philofophiim imicniri gMCCnc fcrihit Lacrtius in ciiis vira, Non mc
larct qiiofdaalijs horislauifTc/cd ucl cxrra gymnaiia,ucl in
gymna(i)sgratian!icuiusafrcdionis,autaItc- rius rci ucl
confuctudjnis,utfcribitMartiaIisdc Fabiano. iii>.^. LaJJus ut in thcrmjs
dccima jcfius, Ima Te Jn]"ar ippjc yCkfn lat(Cr ipjr Tiu Hoc CCrruin
eft,quod \'irruuius loco cirato mcmr riac mandauir,tcmpus Jauan- di maximc a
mcridianci ad ucfj>crum fuiffc conftirutum. t um cnim fcmcl dumtaxar in dic
(aturaiciitur Maiorc\b, nulhiin tcmpushoc ipfoopporrunius habcharur,qu()d
circat^dtauam dici hcrampaul- loantccocnam crar,ut Martialistclla:umrcliquit.
Suffiiit in ». I rtm rrifiiiis cctiUta p/tlaenris, et j^;^ ^ Octauam pctf'i5
jcutaic ^laycbim'*r vna, Iib.ir. B Hadrianus Cacf. rcfcrcnrc Spartiano antc
Osftauam horam neminc niii ac^^rum huari voluit, quam horam criam lulium Cacf
priori- bus facculis (cruafTc, conijccrc pofsunuis c\ Kpiflol. Ciccr. ad Arri-
Lf.i^.Ep. cu,ubi dc Cacfarc loqucns, hacc ait : lllc rcrrijs Saruriiahbus apud
"^"^"^ Philippum ad horam fcptimam > nec qucmquam admilit,
rationcs „ opinor cum Balbo ; indc ambulauir in littorc, poll horam ocbuam „ in
balncum,tumaudiuit dc Mamurra,non muranir ; uuctus cit, ac- „ cuhim,\yLvriKU¥
agcbar, iraquc &. cdir, &: I>ibit «Acic, iS: iucundc. „ Scd an
pLrpctuo ilhim uirac rationcm (cruarct Cad.haud clarc cx „ co loco habcrur ;
quando ci us folius dici rationcm c\p :>nir, in qua isfccundum
mulroramconlucrudincm u jmcrc ddtinaucrar, atq. obid «A»ff i.finc
timorc,&:iucundccdcrar,bibcratquc,ur ( quod crat mcdicorum pracc cprum)
uarij gcncris poru,ciboquc rcplcrus . C pof>cr,dumircrdorm;tLim,uomcrc.iranunqLic
locusillc ( iib.d^fai? agcbat) mrcllii;iiudiciomcodcbct:quod licuri AiCiTHT/ic«
a C.rac- 'j'^"-* * cislimphci uocabul > dicirur camcdicinac
rari(>,quac in rcbusad * ' humanum uichim fpcclanribus fira cft^iSL:
K^i^^iKn. quac ad cxina- nitioncs pcrrinct; haud fccius J-utTixil > clt illa
iyoayk y liuc rario, quac in rcbus,(Si: modis uomitum paranribus collocara cft.
Tot ira- quc dc balncis ^^ymnafiorum, ac prmaris brcuircr didta fuHiciant,
quorum ufus cum apud anriquiorcs rarior cfscr, Afc lcpiadcs Pru- (icnlisactatc
Pompcij orator habituscx ilfa artc nullumquacftum irahcns, cum ad mcdicinam fc
contulifsct, in caquc magnam ^Io- riam,&:au(5toritarcm brcui comparafscr,
ob blandimcnta^qulbus acgroscurabar,ob pcrpctuam finitaris rirmiratcm, 6i:quf)d
Romac lib.i.c^. qucndampromortuoad fcpulturam clarum miro gcnrium ihipo-
"a. rCjUt CcI/us^Plinius,^: Appulcius tradidcrunr, uiucrc cognoucrat,
IJIfio?' D 2 cum fiiii
eumfrequcntiorcmreddidit. Vndccima,ac omnium poftrcmain D
gymnafijsparsfuit Sradium, ubi populus cum uoluprateathlctas certantes:
fpedabat: nilq.aliud erat,quam hcmifphoerium quod- dam, multis gradibus
conftru6lum, unde poterant commode fpe- datorcs^qui fcmperplurimi eoconflucbant,
certatorcs intueri. an autcm intcr ipfum &c xyftu, fcu peridromidasmurus
intcrcederet ; atqueindcpcr oftiumex platanonibus gymnafiorum arhletacin
arcnamftadijprodircnt, etfi a Vitruuionilcxplicatumhabcatur,
rationitamcnconfcntaneumuidctur, uniucrftim acdificium, nc cuiuispareret(quod
eriam fupracirati Capitolini reftimonio com- probari porcft) muro
conclufum,&:proptcrea agymnafio ftadium murifcptodiujfumfuifTe. De
alijsgymnafiofereneccftarijslocis, reluti lignario, uafario, latrinis,
triclinijs, atque eius gencris muL tisnonloquor, quodhorumin palacftrarum
dcfcriptione mentio E non habcatur, ad noftrumque inftitutum minus pertineat;
ficut nec qiiomodo ambulationesillae fubftratis carbonibus,atque cloa cis
proximisexftruercntur. Quaeomnia^tamquamclara,autalibi commodius explicata,a
Vitruuio in defcribendisxyftispraeter- milTaputo. luxra publicas thcrmasinuenio
exftrudas fuifTepopi- nas,quas Ifidorus lib. etymolog. xv. cap. ij. tradit huic
inferuiife, iir,quiob cxercirarioncs, autlauacraelfcnt admodumexinaniti,
diflblutiuc,habercnt,ubi ftatfrnrcfici poflent. atque hasforfan Plinius
intellexit Epift. iij. lib. j. quando poft balneum, &c triclinia popinarum
meminit . Hadenus dc antiquorum gymnafijs. De AccubitHs m coena antiquorum:, ^
femel dumtaxat in die ceenandtconfuetudims •rigme. L F V O N 1 A M balncorum
explicatorum occafio iam fua- det, nosquc fupra polliciti fumus de coenandi
fcmel in die,& in coena accumbendi antiquorum confuetudi-
nisorigincfermoncmhabere; fi cxtraremnoftram videatur,atquc a Galcno de
accubitu nihil explicatum habeamus: haudpraetcrmirrcndumeft,quin lcntcntiam
noftramin medium proponamus, alias eam libcntiflime mutaruri, fiquis meliori
ludi- cio,ac eruditionepracdirus, ucriorcm aliquam,&:magisrationi
confcntancamdcmonftrauerit. Quod etenim maiorcsnoftrima- nccxiguumquid
comedcrcnr, quodprandiumuocabant, &:ue. fpcrc tanrum (arurarcnrur, dum
coanarc dicebanrur, (exceptis ijs, quicoituufuri erancquibus amedicis
vcfpcrecocnarcinterdiaQ fuifle A fulfse fcrlpfic Ariftotcles,& cxccptis
SyracufanIs,qiios bis in dic ci- ^^nlc. bis implcri,quifi rcs noiM cfscr,tradir
Plato ) fLuis ab Horatio, Mar- j;^^,,^ ^ j tialc, Plururcho, atquc Galcno ( nc
mulcos alios nomincm ) com- Dioncm. probatum ell: fcd dc bis tulius mclius in
uarijs lcdionibus nollris tradarum cft quod fimilircr tcrcomncs cium cocnabantm
flraris accumbcrcnt, pracrcr lapidcs Romanos id clarc ortcndcntcs, do-
AiflimusPhilandcr infuis in Vitruuium commcnrarijs audorurn antiquorum
tcftimonijs clarum fccit, vt id amplius dcmonftrandi laborcmmihiomncmdcmplcrir.
Cctcium vndc nam hac duac confuctudincsprincipiumacccpcrinr&quomodo
vercaccumbc- rcnr, ncmo, qiicm cgo vidc rim, (luc cx anriquis, fiuc cx
rcccntiori-bus, ira appolirc &: dihgcntcr dcclarauir, quin poftcris
dubirandi, &:plura dcfidcrandi occafioticm rcHqucrir. Quod an ob rci ohfcu-
B rirarcm,an ob ncglcdum cucncrir,ignc)ro. Ego fanc urra(quc illas,
&:accubirusl(:ihccfAupii^.indic cocnac cofucrudincsa balnco- rum ufu
manafsc c\ntimo.& primo ur ita dc accubitu fcntiam, plii- ribus, ijfquc non
fpcrncdi.s conicilurisadducor, quarum prima cft, quod Homcri tempqrc „ qyando
nofn adco frcqucnrcr bahicis vrc- barr^ur, coenaruri fc^cbanr,vt m conuiuio
Procorum apparct. tfjft^i^otr^ Kcci^. . ^ -it*. id cft, cyJt proci ingrcJjL
/urit^ qui mox mdc /upcrhi OrdincfedcYunt lc^tmms, (5" ordmc throms &:
ubi Tclcmachus,ciulquc focjU5 a Mcnclao holpitio acccpti poft lotioncmcocnant
fcdcntcs. i^ovwi l^oyro wimmorralcs gratias agcrcHtcnim ei qj' Plurarchus dc lo
co c6fulari,nec no dc tnbus triclinioru lccVis diifcruir>iam non ob-
fcurucft,quam mirihcc quadrcr propoiira triclinij Rhamuufrani fi-
gura.Simiiitcr,&:qab Horario dc conuiuaru liru varijs inlocisnai^ C
rantur,n6ahundcmchusintclligi pollunr,p(crrim quandofcnbir. Sacpe tribiis lc^is
videjs CQcnarc quaieiraQs : Efabi44Vf.: ' "is jfpcrf^crc cnm ijs Tfdctcr
cu) ^ . .iqujLm. Qucm locu dum Lambinus exponcrct, cur anriquos cofucuiflc in
quolibct Icifto niagoa cx partc quarcrnos cacnarc pala aflcrucrir, f^nc miror,
quafj non (ir cuiq. pcrfpcc^iflinuim, vr narrar Varro. lc- g^s cxftitiflc quac
numcnun conuiuarum nouc cxc cdcrc,ncc pau- ciorcsrribusclfc vcrabanr,hcut
&:adagium illud vulgatiflimum, fcptcm conuiuiu,nouc
conuicium,atrc(brur.(^mimmo lulius Ca- p/roUnus rcfcrr L. Vcrum Impcrator:-
pracrcr cxcmpla maiorum, cupi duodccim folcmni conuuiio prinumi accubui(ic,ira
vt prion- Ihis facculis porius fcrnos,atquc pauciorcs adhuc (ingulo 1 ccto con
uj^asdifcgmbcrc fo|itosfuifl'cconuiacatur:ni/icpula pjblica ' ' 1) 4 nuptialcs
S4 i. i iS h K nuptiaTcs caenas cxcipiamus.in quas cu magna hominu copia con- D
• uenircr,nequaqua accumbcntiunutficrusfcruari poterar,vrcx PJu tarcKo, ac
Rhamnufiano lapide colhgirur,quo vcl epulu pubhcu,
velnuptial^cocnamrepraefentari non eftdubirandum,urob hoc Chacrephon apud
Athenaeu in vj. vidcatur admitrcrc couiuas rri- ginra dunraxar innuptijs, in
quibus vcriiimilc eftnecefTarium fuine uocatorcmiIIum,cuius meminit Senecalib.
ii/.de ira cap. xxxvi;. &: qui fecundum cuiufque dignirarem conuiuaS ad
loca dcbita vb-' cabar. Quodaurem Turnebus,&Lambinusidem dcpuero aquam
pr.aebcnrc funt in tcrpretati, cquidcm non i mprobo.at forfan ncc abfurdum
hicrir,fi Flacci vcrba dc eo puero cxponarur, qucm tana. omncsfcre
mcnfarumfculprurae antlquacquam poeraru reftim nia conuuujs femper
frigidam,& calidapraebuifrc oftendunr,qUe- que cundos, ne ab ipfo male
rra(Sarenrur, reucriros eifc, et a quo E mordendo abftmuifre vcrifimilc fit.
Jam fcfo M.iria Magdalena u t ftansrctropcdcs Chrifti coenantislauerit, atq.
loannesfupra ciuf-- dcmChnfttpcaus recubuerit,cxhaccademRhamnufiani triclin,j
figura,fecus quam pidorcs antiquarum rcru ignari faciat, 6c quam, Gaierarms
Gardmahs murilirer commenratus cft,fadlec6iicitur
ctenimhebraeos,acaKiftumaccun,bendiRomanort,mconS^^ dmem.obferua/le practer
Architriclini accubitufq.: nomen • gehjs faepe vfurpatu etiam id tcftari
poteft, quod Laei freqic^tcJ Rom.ac conuerfarcntur,fimiiiterq. Romani L
Iudaca,ac in vfu no Xuo£r"! ^'^^ Marriahsfigt^ificare hoc dV •, ) -.J ;
Omi^ia cim retro pueris obfonia tradas, F 1 1 Cur riM ntenfa tibl ponitur a
pedibus i -'Siquidc.n coen anribus alrc iaccnribus fpacia rfetro rcjinquebarur
in qu.bus fcru.s uana miniftranribus mulra offcrrc, et ab?ata rcci pcrc faclc
crar,feruos namqucad pedcs caenanriunrftareac ob?d a^edibus vcl ad pedes vocari
/oluos ex mulrorum fc^Sci r ■ gcre hcct.Sencca hb.ii;.dc bcncfici;s. Scruus (j
cocnain id ocde; ftcrerat_,narrat quod mter cocnam ebrius dixiit.MarSs Mixta
lagaenaad pedesreplct uino.Suetoniusin Galbi r,, . namverovfq.coabundantcm
vrrnnl.i V ' "-'"fercoe- circumfcrri mbcrcs Lraia n^^
paraacr.bushurctS d^ndrefmt^l^Spt^'"^^-"
buitimpudcnti.dequoctiaAthen-ir^ncinV I u P^"^^"- Sed practer alia
mox di autfuturam laflitudincuirandampoftmodicum tcporis inreruallu lcdos
intrarcntjatq. ibi modo nudi,modo laccr- nis,aljjsuc in id paratis uclUbus
induti caenarct, atq. inde mox au- fta baincorum cofuctudmc vfq. adco accumbcdi
morcm crcuifse, ut nobiliores in dclicijs maximis cum habcres,lcd:os nunc
marmO- reos,nuncargcnteos (quod dcHcliogabaloferunt) inidfcparatim exftrui
curannr,neq.inijs,inquibustamenqua plures, (utdc Lu- cio Vcro
ImperatoretraditCapitoiinus,&pfcrrimpauperesdor- mire conAieuifse puto) fcd
in cubicuiarijs uocatis dormire uolue- H rinr.quc morcm accumbendi poftca
uiiiorcs, &: paupcres ad dirio- lib ii.de ^""^l^^yi^^^^f^^ifn ^
balncisquaiiiori, itafrcqucnriflimum efTe- teruiV.c.i ccrur,ur^Coiumclla
praccipcrc coacfrus fit,ne uiilicus nifi facris dic- bus accubcns cocnarer;in
qua rc no fecus corigir, ac cuenifsc cofpi citur in baincis,arq. piurimis aiijs
rcbus,quae in honcftum ufum, et quafincccftitatc
quadaprimurcpcrtac,dcinccpsadluxu, iafciuia, Uolupratc,aliosq. ufus rradudac
fucrunr. Quis eft, qui ncfciar ucre- rcs in couiuijs ocs propc cxcogitafse
uoiuprares, nihiiq. rcliquifsc, quodaddclinicndos animosfaccrcrrfic
enimfermoncscouiuales ad animi inrelligcntias afficicndas magno ftudio
inuencrut, ad au- dirum oblcdandu muficac uaria gcnera adhibuerut, ungucra pre-
Prob'^!^^ tiofiflima odoraruidicarunr, ficut,&:coronasexfoIijs,floribusquc
6.cr fimp.c6rcxras,quas modo manibus,modo coilo, modo capirc u r iapidcs F c.de
anj. Romani,Pluiarchus,GaIcnus, iSd Clcmcns AIcx. teftantur,tcncbati Rieda.
^i'^gi'5ria, colorc naribus, atq. oculis arridercnt,fomnu con- cap.8.
«^^l^iii^cnt^cbrictarcuirarcnt.quantuporrocibis^&potibusdclica-
tiflimisc6quircndisftudiuadhibucnnt,nonmodofidcfaciuntfcx- ii.7.c.ir.
decmiillacduliorumgcncra, utcxVarroncrcfcrtGcilius alon- ginquisrcgiombus
Romaaducda, atq. alia quamplurimaa iulio Poiluce nominaras, ucru ctia mulra, et
prope innumera AuAorum de rc coqumaria comcnraria ab Arhcnaco cirara.De
antiquoru io dic fcmcl ranru fcfc cibis implcndi c6fucrudine,cius ctia
opinionis fum,utcuad cmundanda corpora quotidie anre cibo5,urfnperiori
CapircdixnTius,ucrcrcslauaricogcrcnrur,6^aIotioneIcdlosin-rc- dercntur,uixfcmcl
comcdcndi iii dicotiuipfisfuppcrcrct: quo^liia fi priuata cuuifq. negotia
fpcdcmus, li 6c cxcrcitationii. et bainco- rum, P R I M V S. s9 A
rum.accubituscj. apparatum c6fidercmus,magna tcporisparsipfi? infumirur, ut li
ois in dic fiiturari uoluifscnt, aut ncgocia omi ttcrc, aut balnca intcrdum
ucntrc plcno adirc, aliosq. multos errorcs, &c in ualctudinc,&: in alia
uitac rationc committcrc fuilscnt coa^fli . Comcdcndi uero horam,& modum
balncorum tcmporcatq. com moditatcmctiri inftiturum fiiifsc pofsumusa
Galcnointclligcrc, ^ qui liintcrdum obacgrotantium infpcclioncstardiusfc
lauandum ciubitabat,pancm manc fumcbat,quo ccanac tcmpori fufticcrc ualc
ret,quadoaIijllmili dc caufsa,pancm,uinum,oliuas,aut quid aliud capiebant,uti
non modo Galcnus f ilsus clt,fcd ctiam Horatius,vbi defcfcribir. Tranjus non
auide ^ quantum intcrpclUtinani ymtre diem durare, B Quod porro vefpcrtinam
horam caenae dcdicarint,in caufsa fuifsc praecipue uitae commoditatcm
cxiftimo;fiquidem difticiie fuifsct poft excrcitationcs,balnca, &:
cibum,agcdis rcbus opcram nauarc; practerea cum accumbcntes cacnarcnt,alij
ftatim fomno capicbaa tur, a!i j modico temporis fpatio uigilantcs dormitum
ibantrcx quo adhaccomnia nuUa opportunior hora quam ucfpcrrina inucnic- batur,
quamquam ctiam nonnullos, &: pracfcrtim mcdicos in hoc ualctudinis quoquc
rationcm fpcclafsc opinor, quando in noAc melius, quam intcrdiu, cibi conficiuntur,
tuncque pcrfpicuum eft plus cdendum,quando plus coquitur . Hacc funt quac dc
accubi- tus,A:cacnac antiquorumorigincmihi w^ftfj^is diccnda uolui. 6$ A quc corpori afrcftiim parcrcnt
hi,nofccbat.Aclcrant fcriii fricandis corporibusdefl:inati,qui ad pracfcriptum
gymnaftacautpacdotri- bac,modo nudis manibus, modo vndis, modo cum lintcis
alias du- ri5,alias molhbus,alias afperis,aliasmcdiocribus,uario,ac diucrfo
modo,proutopuscrat,corpora fncabant. Poft hoscrant&rcundo rcs itaa Phnio,ac
Cdfo nuncupati,quod corpora ia cxcrcitara vn- li.j. c.^y.
gcrcnt,reungercntuc.hos,fucrc qui crcdidcrint,a Paulo Acgineta iirrfOAu7rT«c
vocatos:fcd dcccpti funt, cum alium lUiflc ab his iicr^- ^wTTwoilcndcrimus.
McdialHni quoquc uyumafijs miniflrabant paumicta cuerrcnrcs,nccnon multa aha
pro lcruitijs gymnaliorum obcuntcs.Pyrrhus Ligorius intcr alia antiquitatis
cius praeclarilli- ma monumCta hanc infcriptionchct,mqua Mcdiadmorufit mctio.
DIIS. MANir>VS. S. B TITO. PLAVIO. OLENO SERVO. ET. PROCV R AT BALNEL T.FLA
VI AVG VCf. MEDIASTINO VIX .
ANN. XC. MEN "VTID. VIIIL T. FLAVI VS. T. L. POLVMNESTV S MEDIAS TINV S
AVG. N. FAC. CVR Adcrant ferui balnearcs,Iotos in balncis primo cum fpongijs,
mo- do purpura tinctis,vr rcfcrt Plini us,modo candcfacli^, dcindc cvm C
lintcis cxiiccantcs.hos quoque arbitror cgo confucuiflc flrigihbus corpora
cxercitatorum diftringcre, atquc a ftrigmcntis dcpurarc. Adcrantpilicrcpi,qui
fpliacris piccobh'tiscurabanr,nc ignis bal- ncorum cxftingucrctur. quidquid
alij dicanr,qui pro piiicrcpis lu- ; fcrcspilac,
vtpotcobftrcpcntcsinrclIigcndospuranr,maIc fc nrcn-.tias Matrialis &c Stati
j,dc qui bus nos locis fuis loqucmur,inrcrprc- tantcs. Alipili,qui(ut rcfcrr
Scneca)ad vcllcndos ab aliquibus cor- Epift. poris parribus, et pracfcrrim alis
pilos adhibcbanrur: nili uclimus, vrdo(tti uiri ccnfucrunt,pcdicrcpos,&
alipcdosapud Scnccamlc- gercqualiin gymnafijs cflrcnr,qui a pcdiculishomincs
purgarcnr, &: inrcr occidcndum ipfos magna vocc fingulos cnumc rarcnr,i(a
vt Scnccaab huiufccmodi vocibusoffcndcrcrnr.quornm tamcfcntc tia non probo,quod
luucnalis ccrro rcflaru faciar,fuiflc' in thcrmis, qui ab alis pilos aucUcrenr,
ubi fcruos fuos dcfcribcnj Pcrfico ait: T^ec pu^iUarcs dcfcrt\in balnca raucHS
TcHi^ulos^nK, yelUndas iam praebuit alas. 5«t. is« F Atque U 11 B E R Acquehos
mo do volfcllkrfdirf ob(?unrfumvfo5eflc:nuncre/ina, D (hanc enim m eueilendi^
vrronim corporibus pilis maximum ho- Ii.i4 c.io. |ukcioncscKpliccn;,uc- rumcciam
illamaba!i)s, quAclimilcm naturampcrin- dc,acnmcn obtincrc uidcnrur, ira
diftinguanr,nc lcctorcs acqiri- C uocarionc dcccpti, ucl circa rcs ipfas
iiilignitcr dccipiatur.(^ idc® cum nos izymnafticam ucram tractarc
prf>fM>{ucrimus, quac racdi- CiJiac pars clfc dchnita iam a nobis
tuir,ahacq. lint gymnafticac cir ca cadcm fci c ucrfaurcs . ncccflum arbkror dc
his tplis fcrmoncra liiccrc,quohabiro pofsit diucrliras ounuum 'faciUnnc
inrcrnolLi. jcj^ctcnt^sigiturquic fupcriusdiicimMs, ircs llatu i mu s gyiniuJii-
c;>c4:oriiisfpccics gymiiifticain ucram fcu lcgirinum ( urcanr, nihiloininas
tinibas, -quor um graria fiivgulac infti tur-»c fuiu. m:i;;nopciX', licut
ctiarci fu- pra monlha-tiimui^ diflcrunr . Num gy.iauuftica JmiplcNj^i:
mcdic>- nac pars i«l folum ourar, ur bomincs cwpcitawontim modcraraiam
©pc,&:fani* arcmacquiraiu,rucanturuc;&: bonumhabinnn adi- pifcantur;
c^cAo>« ( diccoat Plat )) rtc wAAcc, (cAA« t^^-rgut^^^^^ll^^ yj(xH'.€i
aiS^iTiotz, idcft, 1 arc jr haud r 2 multas. L l B E K multas, fcd modcratas
cxercitationcshominibus bonum habitiim D inkrcrc . Hoc ua eire quoniam Gale nus
tu in libclJo ad Thrafvbu-, lum, tumin libris dc tuendauaJctudinc non minus
copiofc, quam JucuJenter demonftrauit,&: nosquoq. fuperius aJiqua ad hanc
fpc- ciem pcrtnicntia dccJarauimus,haud ampJius in ca celebrada vcr- bis
immcrabor.fed ad BcIIica tranfibo : cuius unu ftudium erat ho-
mmcs,pueros,atqueetiaapud nonnuJIos muJieres carundem cxer-
citationumadiumentoita difponere,atqueaptarc,ut et inbello lck fortiter gcrcre,
et hoftcs propulfarc, &patrias tucri, et omnem
deniquemilitarcmperitiamtenere ualcrent.quamuis cnimhaec quoqueficut
&:f«perior bonum corporis habitum con.pararet, &: lanitatem quodammodo
tuerctur, quia tamen proprius illiusfi.- nis erat homincs beJIis gcrendisidoncos
atque fortcs cfficere,pro- ptc^r^a eandem no cfsc fatis apcrte conftat.quod
uero bclli ca gvm- E nafticanuIJam aliam naturam habcatpraetcra
meexpIicatam,lo- cupleti/nmum teftcmPIatoncmin mcdium affcram, quiinfepti-
modeIcgibus(poftquamdecIarauitiuucnum, &c puercrumedu- cationem maiorcm
partcm in rcbus pub.obtinere) dcccrnit publi-
cosmagiftroshabcndos,quigymnafticampucros,atquepuelIas. &c uirsmcs edoccar,
quod ad afscquendam miJitarem pcritiam nil mclius paJacftnca &:/aJtatoria
gymnafticae partibus inueniatur id quod etiam cJegantillimc in tertio de rcpub.
&aJibi Aiepe profecu tus fuit Polt Platonem Ariftotcleslimiliter
gymnafticam belli" cam modauo Politicorumcxprcfseindicauitrubi tameas,quac
athlerarum habitudinibus corpora iuuenum deformare, et corum augmentationcm
impedire ftudent Ciuitatcs, quam Lacones effe ratos labonbus adolefcentes
cfficientes reprehendit, eamq. pueris ^
gymnafticamtradendamconfuht,quaemitioribusJaboribus &: magismanfuetis excrcitationibusiIIosrobuftos,&:inbellicisneao-
tijs uerc fortes reddere qucat. de hacgymnaftica clare locutSm Galcnum non
rcpcno, nifi velimus ipfum dum Jcgitimam cclZ brat fub ea iftani comprchcndere
. qu^d et ipfa bono habitui com-
parandoincumbat,hcetadbeIlicamperitiam,&aptitudine^^ dtafuaftudia dingat;
atqucilli qui medicinae gymnaftkaTope- ram nauant, etiam dum oportct,beIIica
uti ualcan^.VetetiSs in^er ZZr'"T ^^""^fti^^ niilit ae,1iTomodo!
LsapudGr^^l"^" huiufcemodi ars apuci oraccas,&: Latinas nationes
in pretio habita fuerit Pr-i£> ter has duas eft etiam gymnaftica aJia
uidofa,& atlilct ca a nuncupata,quae hominibus robuftis efficicndis(talis
enintf.ft Mi! lo Crotomara, et «hktailk, qucm OJympiodorus quarto m te^ rolog.
V ^ \ M V S. aut ludarivaut
isTctyKgitrtccfmcogcbzmur, iccirco cibo indigebantcorruptu &:.euaporatu
dJthcili,cuiufmodi eftcibusex fuilliscarnibus,quibus foli veri athletae
uefcebantur, atquc ta- reserant> qui inludis,. in amphithcafris, &:etiaminalijslocisob
pracmium,&gloriamcertabanr, in hoc acetcris diuerfi, quod folum
uincere,&:coronam affequi ftuderent, cum alij ucl bono ha- bi tui c orporis
acquirendo, &: fani tati tuendae ; uel militari forti- t:udini,&:
peritiae acquirendae intenderent,quos /impliciter gym- nafticos,&:
exercitatos,vel athlctas bellicos nuncupari inuenio, ex. quo conignuraliumefie:
(Tmpliciter athletam^^ alium fimpliciter gymnafticum, necnon tres fuiffe artcs
in exercitationibus uerlan- tcs communinomine gymnafticae vocatas, quarum
medicaom- nibus magis proprieita di£ta fuit,alteranempe beHica (apud mc-
dicosloquor, quod alijforfanhancprimariamefTecerint ) minus; tertia omnium mini
me nimirum, quae a pracdi£l:is degenerans,. uitibfaiappellata lit' quacue
robori, non fanitatioperam daret : ro- burenim diuerfum habitum afanitate
cxigere, teftis eft Ariftotc- lcs viij. fed» problcm. vj. quo in loco pinguem
habitum robori ^for- nitati ucro rarum conucnire fcribir«. /01 tiSl fe, rah t5|
TfcT^itio/a Gymna Htca^ Jfut Athretica:, CTa^. Xllir-- Oftquam dc bellica
gymnaftica, atquc etia dc gymna- ^ fticalimplici,quantuad praefens
negotium:fpcdabar, fatisdifscruimus,iamopporrunum critde athleticafer ' mone
habere;.quae quonia tcporibus Galcni, atq. etia fuperioribusmaxima audloritatem
fibi uendicaucratjideoeiopus IKfnas.ad fuit,uteam
longiffimaorationcatqucimpuriflimiscontumeliofilli- mifq. uerbis
infectaretur..quod qua fapienter fimulac iufte feccrit,
exhis,qdeilliusprofefsorumoribus,alijfq..conditionibus di£Vurus fum,facillime
clarum futurum /pcro.&ur aprincipio exordiar,Pli-^ lih.7.c.j lib, ad
K07i}(vi(€$, qua artis nomen ei conuenifse dixerit Galcnus, fi quidcm
"^**'^^* illius cxercitatores dum fge uidtoriae, Sc praemij ( quorii
gratia qui certa.- nu Cpro prii aut v:ni (cti effc val niii doi tat tai ca bi
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courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 !> R I M V S. vf IffXyi'^
J^utdh^os r« crxt ginrw 7r*j,»t«» KOtii' ret}^ Ktti,, n-flf 'f * J^iOfUKot 6
/fc Kcti KKriX^* 'J'«A«/i«f) fcribcndum dubitan polTctob vcrba fcqucntia,quibus
inuit robur cflcfuaptcnatura coniunctum cum pcrnicitatc ; vciumtamcn,ut non
inficior ctiam uocem Tfc;(f»«7.i. artis quadrarc, cum ars inaxiinc valcat in
athlctica,in qua cam robori iSc inagnirudini primum om- niumaddidiflcThcfcum
tcllatur Paufanias in .'^cticis, lic non ui- dcocuraroborc qu.)quc cclcriras
fcpaiari.iicqucat cum rcs ipfa doccarplcrofqucviribusmagnopcrc valci c,qiii
tamcn inagciulo tardi potius.quam cclcrcs funt..Scd ut cumquc lit chirc patct
athlc t'aruomniuinltitutioncm,atq, dikiplinam huc rantum lpc>.'tallc,ut
corporismagnitudincm,iobur,atq. cclcritatcmcompararcnr,qui- busfoli
cctcrosantagoniltas lupciarc,&: pracmio,honorcq. potiri ualercnt. id
c^uodlicctpluribus cti-caminum gcncnbus conicnde- 70 L i B E R Jcnr,qulnq.
tamcnpi-accipuaeranr,in quibusvcl femper.velplc- D iimq. ram in facris
cerraminib.quain Iudis,amphithcarris,&:publi cis lpcaaculis,fed pracfertim
in ftadio,quod fere folis arhietis pro- pnc deftinaru
erat,cerrabant,lu6la,pugilarus,curfus,falrus,& dilcus.
vndcludarores,pugiles,curforcs,falratorcs, difcoboli nuncupaban tur,qui
feparatimin fingulispollerent,ficuri Pacrariafta diccbarur, qui in luaa,&
pugilatu valebarrq vero in cudis quinqucperarhlus, &:vocabulo
Romanoquinquerriusvocabarur,urdoccr Fcftus;erfi Qilinquertioncs apud Liuiu
Andronicu athlctas fignificare fcribat idc Fcftus, apud quc ct peiiodon vicifsc
diccbatur is, qui Py thia,
lfthmia,Ncmea,01ympiavicinct,nomineacircuitueorrifpc6tacu lorfi
accepto.narrarLacrtius Democritum Philofophum efse uoca tum pentarhlum,forfin
quod in iuucnrute vicifsct.Erantpoftmodu Haltcres,iacula,arq.
n6nullaalia,qucruquoq. certamina athlctae E obibar,ar in pu blicis ludoru,
&: ficroru ccrraminu cclcbratiombus
raroillapcragebanrur,vnacxccptamonomachia,q.Graecosfaccr« dotes aeftatis rcpore
in pergamo excrcere cofueuifle memoriac ^o- 3.3 ar. 13 didir Galenus.Quamquam
monomachos,fiue gladiatorcs apud ve rcresabAthlerisdiucrfosfuinbfcia,quod
M.Ciceroreftarumfecit Epift.fam.hb.vij.Epift.j.his vcrbis,N.a quid ego re
athleras pure de- fidcrarcqui gladiarorcscorcmpfcris ? Nifi dicamus
qu^^memoriae prodituhaberura Dionyfio Halic.anriq. Rom. lib.x.arhlcrasalios
Imffc leuioru,alios gr.iuioru cerraminfi.arquc hospoftcriorcs fuiife
gladiarorcs.Deijsin DigcftoiTiIi. 9. t.l.Aquiliaab Vlpianofcripru rcpcrio: Si
in colluAarione vel in pacrario,vcl pugilcs dum intcr fe excrcctur alius aliu
occidcrir,cefllit Aquilia, quia gloriae caufsa et „
v]rruris,noinuinae,vidcturdamnfidaru.vndcpaterearbitror.'ipud Maiorcs,hac
athlctica 1 maxima exiftimationc habira.cuius ea erat ratio,qd' homincsfempcrillasrcsextollerc
.ac honore dign.is cf- hcercfolct,aquibusvoluptares,acdcIcdarioncsobtinerc
ftudenr. ob quod cum arhlerica in publicis Iudis,cctcrisq. fpcdaculis maxi mas
voluprarcs publiccafferrcr^in honorc habira arq. a multis ex- li.i*.c,4.
P^f'^^f"^'7q"'in^oathIetisludos ingredictibus vrrefcrt Plinius oes
a(rurgcbanr,cr,am fcnatus,ijq. fcnatui proximc fedcbat, necno cu parnbus,auis
parernis,a quibusuis muncribus uacabanr,&: ui6to resin
patnastriumphanrcsinuehcbarur,immo Athletis ingenuos caedercatciue
occidcrc,qd^ilijs vctabanrlcges, non modo licuif- fcvcrum er.am hononficum
fu.fle audcr clt in lij.hypor. Pyrrhon. Sexrus Empincus Nc dicam, qd^ Eufebius
in v.de Pracp.ararion; cuangelica mulro fermone damnat vcteres,f.eo
fuperliitionis, arq. mfan..ie,nterdumdcucnifse,vtpugiIes,atqucathIetas,nDcorum
numerumiefenent. Quibus ommbusracionibusfatisclarumcfse poteft..uhlctlc.im
.uu.quitiis magn.ic auiVoritatis fuifrc : et proptc- Vca non tcmcrc illam
Calcnum mfcaatum cfsc.dum an.maducrfe rct.quantudani exca artis athlcticac
reputitionc hununo i^cncu acccclcretiliquidcno mo cuchianimi.vcruC-tcorpons
bona;ita ccv rupebatur,ut nihilinucniri pofsct.qcK maius hominib.q. gloriac, 6C
pmioru rationc lUa vndiq. ambicbant.dctrnncntu afla rcr, quc ul- modu
Euripidcsipoq.clcgcintiirimetcltatushutlubhilccucrbis. O / ^ch^v 0 IxfJv ovcfi
utLJviip "^^^^ * OiiT ai S^wuAfv^ro^^S^ y^o-lg W ^*ip ^ rvxSn T%
S^AoCyVfiSvo^ d^nijnf^^o^y KriiTUfT ULt oA.Sor f . . Msdtuverjati Mortbus y
nonfacHe mutantur in mclius. Quibusnihil cftmco iudicio,quod magisatli.ciKMC
ftatil prod.if. Ncq. tamcn dctucrut, qui hac pniciofam arcc comcrarijs cckbra-
C rc mtcrCtur, qualcs tUcruc Tryph6,ac Thcon Alcxandrinus,qui ab athlctica,in
qua cxccllcbat, cognita cius prauiratc ad gymnaftica tadc dcfc iuit.Nc racca
Platonc,quc Scrums,&: Lacrtius ^pdidcrunt athlcta fuifsc,&: ca dimiisa
ad philofophiam (c contuhfsc.Scd quia athlctas pracmi) gratia ccrtarc,arquc
vitam millc nccis gcncribus cxponcrc conlucuifsc no fcmcl dixi,id hoc in loco
ncqnaqua prac- tcrirc uolo,athlctisnon cadcquocumq. tcporc fuifsc {Smiv>i um
gc- ncra propolira,vcrum,vt Clcmcns Alcxan. ij.Pacdag.c.viij.mcmo- riac
prodidit,primo fuir J^iaic fcu donnm,fccundo plaufusacrrio h liorum
conicaio,poftrcmo cc rona. . f,1 ^ citatcm, et ob fcoenos mores delcnbcTs ait
Inter catellas cnferum extalambeutet Tmitur aprigkttduks palae/iritis, Attamen
1« rd le «!• am ith Btflf /lii ilifl 101 prt lin cap i|iii m cik : 1' pre lii
Hij n h bu Ci n ni p B. . 75 A Atf imen iUos in frequcntiorc ufu habuific carncs
tu bubulas, tum mcnto o'^^ dur" ic, ac alimcntorum cralTitic no modoubcnos
nut.u c.itur. (cd f ri^utiusla.ur. pc,mancrc,u,,uo gcnc.x v.dusanv^^^^ nunil
WiJofcj i.nmodicc «tcrctur.cosmorbosm«*?«>.'.t ficcac faginat.on,s athlcta,
u, quac ut hc, ct ab ahqu,- bus dubitatur, cgoucrofcmpcrputau. xc rophag.a.n
.llam apud Cachum &c loanncm Cafr.anum comemoratam.qua.f.hcus ar.d.is,
nuccs &nil coctum,n.lhumidufumcbanr,no., placc,itas,uta,r Ar- rianus in
Epiftcto, non frigidum potum, et dc qua Plautus m Mo- ftc'I ma ubi adokfccns
quidaita loquitur,(iuo ncquc,ndullr,or dc iuucntutc crat artc
symnaftica,d,fco.halb,pila,curlu armis, cquo, uictitabam uolupc parfimonia.S^
duritia. Ordinc h,n,Iitcr nullum . aut pcrpulillum athlctas in comcdOdo
(cruafsc,m6c ccmpons nul- lam rationc habiufsc, fatis cxfuperiorib. clorum cfsc
potcft.nil, qd: 4/ i B E R refcrt Gulenus eos non aeqiie mane, ac uefpere cibos
ualidifnmos ij ^ ' accipcre cofueuifTc/cd dfiraxarin coena,nomodo
rarione.Meruni- [ etiaexpcnentia dodi cibosin fomno.quando calor magis vigerm-
" tus, facjhus cofJci.alioqui coco-au difficiliimosipfis, cu ob q,ualira-
^ tem eoru ualde calori rcliftcntc.tum ob im;r,cnsa quadrate. quauis f
H.i^c.r,'^^"S"ifl^'-itiirfenIinbPJiniiis,quifcnbitut;i'crasmaloi(refcmper
ij eosubiq.fomnoIcntosappelIans.Inmotuquoque&:quiefe cM nullam mcnfuram
feruare folitos athlctas teftatur Galenus,qui cos tw. modo tota dic
laborare,quando.f exercitium rUutf^fiuc KXTccanciiim,pueros quoquc cofueui/Tcin
palaeftrisexercen,et prncrcrD tim Plato S.dclcg.qui tria
gcncrafccitpalacftritarum,pucros,im- berbcs,& uiros.Non modo cnim fc arhk
rac ad inhibcnda ucncrcm frigidalauabant,vcrumctiam laminas
plumbcasrcnum,&:Iumbo- rum rcgionibus ad arccndas ncdurnas
poIIutioncs,&: libidinis im- Ii.34.c.i8 pctusfrangcdosadhibcbacuttcftati funt
Plinius, Galcnus,& loan- ua. c.uic.' '"^^^ CaflianusJib.vj.c.vij.quam
rcm ct inTC^Iligerc voluifse D. Paulu arbitror,dum dixit . Qui in lladio
currunt,ab o-mnibus abftinent,&: hi quide vt mortnl^' ooronam,nos vcro
utimmortalcm accipiamus. lib adfflar Qil^,^cnaiTfis Tcrtullian^ hacc
diccbatrNcpe cu&: Athlc tyrcs. ^^^^ icgrcgctur ad Itrldiorc difciplina,ut
robori acdiiicado vacer,c6 ^ ^ tinctur a Iuxuria,a cibislactioribus,a potu
iticundicirc:cogLitur,cru- Ciatur,fatigantur,^ D. Chryfollomus i.ad Corint.c.9.
atq. Aclia- nus :Idc(Sy:Clcmcs Alcxan. lib.^.Stromaru^&SimpIicius in comcn-
^ li. is.c.6. tariofupi\iEpi:l:ctuintcIlcxir,quiRudio coronacathkcasauencre
ablbncre fcriplit,ianyh'us H.a:^ca^-foi>i iii, Rom. b^^^v^ HamcrO'Colligi,apud
prifcosailos tu.rpc.ha:birum cfecnudos -ccrtarc^rimum aut omnifi
Olymp.vv.KcaihumLa^cdacmonixim Olympiacoftadi'0 dccurrcntcm
totunvcorpusdcnudafsc,pudcdi$ tancifltiifuWigarib us campcftribus obtcCtis. 77
ilnidjit exercitAtlo, tlf quomodo diffcrAt a lahorc (tj motu. OSTQ V A M dc
Gymnaftica, quid fic>cius origincnvicc non vcrac,6aquacq. fin-
gulatimcxplancrur. hoc ctcnim fac'to,cum ars(diccbai Ariftotc- ^.Ethk. lcs,)(it
rcda opcrandi ratio,vidcbimus,qu:ic (ir in obcundis cxcrci- tatiombus hacc
rccla ritio, quomodo iUarum unaquacquc, ucl ad parandumbonum habirum,vcl
fanirarcm dcfcndcndamconfcrat. P Excrcirarioncm iraquc dcfiniuir (
iaIcnus,fccundo dc tu. val.& ip- fumfccurus Actius, tfscmorum vchcmcntcm,anhclitumalrcran-
rcm,ub: yvtaict^ K/nw^v.&in-oW^fuic cxcrcirarioncm,morum,arq. la- borc
in:cr lc diricrrc dcmonltrarrproptcrca qd' morus clt rcs quac- dam magis
communis,arq. pluribus conucnicns quam cxcrcitatio, cumfacpcmulri
moucanrur,ncq. cxcrjcri dicantur,cxcrcirario ue ro non fit, niil vchcmcns morus
: fnnilircr labor liccr lit vchcmcns motus.ramcn non omnis labor propric
uocarur cxcrciratio, fi qui- dcm fodicntcs, arq. mctcnrcs laborarc,fcd non
propric cxcrccri dicutur; tamcrficriamaliquandocommuniquadam appcllarionc
labor,cxcrcitAtio uocarur rqiicmadmodiim (jalcnusab Hippocra- tcuocatumcfsc
ccnfcr,quandoisdixit,Laborcscibumpracccdat> icx. 3 1. ' &:,ubi
famcs,Iaborandum non cfiibi cnim vocchanc 7roVoj,quac,&: [^]^^ dolcrcm
&: laborcm,liuc damnum,ut Itroriano placui.6Lcxci cira- „na,cu7 tioncm
fmnificarc folcr,pro cxcrcirarionc dumraxar accipi dcbcre l i tuiva^.
iudicar.c^jo cxcrcitaiio iiihil aliudcriccxfcntaiaGaicni,&: Aetij ^
nili nifimomsvehemcns anhelitum
alterans, yviivitrm^ Graecisappel-D latus,quod p!ci uq.nudi,aur fliltem cum
paucioribus ucftibus cxer- cerctur;quemadmodum etiamlociiin,ubi
ficbat>'t///^(cW appella- tum fupcriore libro abundc monftrauimus.Sed
quoniam poflct ali quisetiamin gymnafijsab alreropcruim vehcmentcrmoueri,qui
tamen nullo padio excrcc i i diccicLur,iccirco haec Galcnica cxer- citationis(paccciusdicam)definit:o
haud quaquamintegra eft.&: proinde Auiccnna Arabi m omnium dosftiflimus cum
animaduer- tidethaud plcne cxcrcitationemaGa-eno dcfinitam fuifle,a!iam
definitionemin medium arrulit, uid( iicct quod cxercitatio eftmo tus uoIunrarius,proptcr
qucm anhc!iti.s magnus, &:frcquens eft ne ceflarius.Quo m loco eos quoq.
mcrito damnar,qui leuem quamli bet ambulationem cxcrcitij nomire compcllant :
non enim appo- fuit(vchcmcns)quod,vbi magruSj&LfrcqucnsiitanhelituSjfcmper
^ necefll^riofcqui ur motumiilum vchcmentcmcxfiflere. fed neque haec definirio
Auicennae mihi plene fatisfacit : quoniam,etfi con- ueniatomnibus
triplicisgymnafticae excrcitationibus, cas tamcn propricnon
complccl:itur:dequibusadmcdicum tradtare fpedtar, &: nos etiam loqui
inftituimus : fiquidcm omnia quatuor cauflarum genera haud quaquam
compleftitur, cum ncq. materialis explice- tur, neque caufla cuius gratia.
Accedit item illud, quod multi uo- luntarie uehementer,&: cii anhclitu
au6to mouentur, qui nullo pa- dio dicentur proprie exerceri,ficuti ferui cum
celeritate dominoru mandata exfequcntcs,&: ficuti illi, qui vel inimicoru
impetum, uel quid aliud trifte cflugicntcs,&: vehcmenter mouentur, 6c
frequen- ter,ac magnopereanhelant : ex quo Auicennae definitio haud pcr- .
fcfte totam exercitationis natura copleditur s ficut neq. illa Auer- F rois,qua
dixit in libro coIIedaneorum,exercitationem efle mcbro- rum motum aliqua
uoluntate fadlum. Ideo nos alitcr definictes di- camus,quod exercitatio,de qua
medici intereft tradare, jpprie eft moms corporis humani
uehemcns,uoIuntarius,cum anhelitu alte- rato ucl fanitatis tuendae,uel habitus
boni comparandi gratia fa- 6tus. ita namq. definitio omnes cauflas comprchendit,
atq. foli de- finito conuenit : uerum enimucro poflTet aliquis merito a me
fcifci- tari, numquid motus equi tando, vel nauigando peraftus exercita- onis
nomen mercatur, eo quod non libere a uoluntate hominis, fed ab alio dcpendere
uideatur ? cui rcfpondeo, non minus equi- tantes,&:nauigantes alijs
cxerccri dici debere,fi n6proprie,faItcm communitcr,dum modo
gratiafanitatis,uel etiam militarisftu- dij illud cfficiant : quandoquidem
propric exerccri dicuntur, qui exercitationcm nuper a nobis definitam
fufcipiunt.quibus vero aliqua tx comlraohibiu neccflarijs dccft,illi potius
communitcr, quii .propriccxcrceridiccntur,riue i fcipiis, llucab alijs
moucanrur, • tafidcm facere inerito lcripferunr &: Flaro, &c Gatexius
:fiqtuidem ^illaftatim ac in mundanahanc lucem ueniunt, f efe mouerie, agi ta-
rc, ac faltare confpiciuntur : veluti quoque pueri faititant, qui ta- met/iin
hoc brufisimbellioresad fruendum hac uita excant,nihi- lominus &ip/i,
quantum conceditur, fcfc mouere nituntur iiitque exmotibus non parum voluptatis
accipiunt. qui motus poflmo^ dum crefcentibus annis dum codicionesfupra
defcriptasrecipiut, nil aliud planefunt, nHi iplilTima facultatisgymnafticae
opera: vt omninodicere cogamur ipfiim,fi aon a naturafa£tam,faitem fecun dum
naturae propenfionem efsc Huiufce facultatis cum Plato duasprimarias,atc[ue
uniuerfalespartes effecerit;proinde allatani ab ipfo gymnaflicae diuifionemin
medifi proponemus, nou quod fub ipfaomniumexercitationum fpccies appofitc contineantur,
E fed quodanuUoalioartem hanc mehus diuifiun hucufqueuidcrc contigcrit.nGque
nos quifquam rcprehendere dcbet,quod in plu- ribusPIatonis,quemmedicumncmofanus
reputat,au£toritatem in tradanda re mcdicatantifaciamusiquandoGalenus ille, cui
no jninusmedici 3,quam Pythagorae eius difcipuli credere tenentur, fcriptum
reliquit, Platonem Hippocratis imitatorem fuifse, nec vfquamabiUius placitis
receirifseinam Galenum hoc inlocofe- ;/>cdtuocauitLucianus; et in gloflario
habeturjccrnulat ;6t;,5W, quS uocem et ufurpauit Sc neca Epift.8.etfi cernuat
plurcs codiccs habeant. Secunda {^QCiQ%
eftfphaeriftica,(iuepilaeludus.naq(fludentes pila faltarent,prae-
terHomeritcftimoniu,qui fcxto OdyOeae dcNauficaahaec tradit: TTiaich
Hcw(jiKoict?^dj}tcaAQMoc iipX^'^ MoAttw^. idcft: Ludebantpilayvittisvcllisque
remotis y Utqne his ^auficaa ob niucas Jpe^abilis vlnas TrincipiiHn ludo dabat.
tcftaturquoque Athcnaeusex auaoritate Demoxeni,ficutiinfe- rius indicabimus .
Tertiafpecies eft opx>i(ng fimpliciter dida, nos limphciccrfaltationem
diccrc polTumus. Totahacorcheftica qua- u is maiores noftri ut plurimum ad
uoluptates, ac lafciuiam poti us, quam ad aliud utcrcntur,qui mos etiam ufque
ad haec tcpora pcr- durat, nihilominus gymnafticam bellicam,athlcticam, atque
mc- dicamilla quoque prorfus non caruilTe conftat, /icutnec ccteraf
cxcrcitationes abuUa fereharum triumomifli fuifsc dcmonftra- bo, ubi in finguHs
cxcrcitationum fpeciebus dcclarandis, quo mo- dounaquacque gymnafticae illis
feparatim ufa fit, indicarecona- bor . Bcllicam cnim abfque faltatoria non
fuifle, locuplctifli- mumteftemPlatoncmhabemus, quiin feptimodclegibus falta-
tioncm in tres diuifit, militarem, paci aptam, atque mediam; mili- rarcmque
vocauit corum, qui modo exfilitionibus inaltum,mo- dodcprcflSonibus,
modoinclinationibus hoftilium incurfuumin uafio- SECVNDVS A
uafioncs^euirationcfq., imirabanturjquiq. figuris uarijsiaculatorcs, &c
pcrculTorcs fimulabant ; atq. hanc tanti fccit, ut uoliicrit in Rc-
publicamaginroshabcri, qui mcrccdc publicacondiicti uiros fi- mu!,ac mulicrcs
hanc cdoccrcnr,arbirratus hac una non paruadiu- mcnti accclVurum ad
adipifccndamihtarcpcritia.&:nobihsauthor Quintihanus hb.
i.inft.c.z.tcllarur Laccdacmoniosfalrationcquan dam tamq, ad bclhi utilcm intcr
cxcrci rarioncs rcccpifsc.QiuJd uc roathlctica
gymnallicaintcrcctcrascxcrcirarioncshabucritaliqfi faltationcs,c6probari potcft
cx Plini o,qui Stcphanionc togarac fal ^^''^* tationisprimuinucnrorcm vrrifq.
faccularibusludis,(!s: D.Augufti, &: Claudij Caclaris (altalsc mcmoriac
prodidit : qucniadmodu 6c Plato loco nupcr citato laltationc a nobis mcdia, ab
ipfo d^^icfifi" THjL^lw nucupara in facrihcijs, atq. expiarionib. ficri
fohra,q a Ma B rincnfibus,&: Arcadibus cora Cyro fiicta rcfcrr Xcnophon,
rnidcns, libro i.dt apcrtc infinuarc uidctur, arhlcrica, cuius 6c ludos &:
furificioru cc- ^y'-^^^' lebrirarcs cfic ia dccrcui mus,falratoria habuifsc.(
lal.porro ncc mc dicinac Liymnartica falrarioncs a fc rcfpuifsc rainq fanitari,
et bono habitui mudlcsplanc conhrctur,quandoquidc in fccundoTrtei vy-
cap.vltim. Hvm' multos imbccillcs ualerudini rcfii tutos a fc ludis,
pacrarijs,ial- tationibus, arq. alijshuiufccmodi cxcrcirationib, rcfcrr.id qd
An- Orib.r. ryllusparircr tcllatum fccit,ubi inicr cctcras cxcrcirarioncs homi-
nibus ad (anitatc conkrcntcs hanc ponit, mcdiamq. intcr chorca, &:
umbratilcm pugnam naturam rctincrc, &: ob i d puc ris, mulicri-
bus,atq.fcnibus,quorum corpus mirum in modfi inibccillum,&: gra cilc
cft,conduccrcfcribir. An ucro hacc cafir /alrario, quam Plaro up**yixLuu,i\\XQ
paci apram nuncupauit,(]uamq. animi in profpcritari- C
bus,&:inmodcrarisuoluptatibustcmpcraticxfiftcrefcripfir, haud tuto
affirmare audco, fat (ir nobis hactcnus oftcndifsc nullum gym- nallicacgcnushac
laltarionc caruifsc,inquam, &:in palacftncam cxcrcitationum arrcm a Plaronc
dmifani cisc iam diximus. De Sph.t€riliica. Cap. /K Altationem incubifticam,
fphacrifiicam, &: or- chcfticam,fiuccommuni nomincuocaramfaltationcm
diuifimus,quarum unaqiiacq. iam nobis fufius dcclaia da lorct. Scd quoniam dc
cubiltica ab auctoiib. pauca admodum tradita rcpcrjuntur,omi(sa illa,rcliquas
duas prolcquc- mur. Atquc primofphacrillica fcfc oflcrt, quac ramctfiHomcri
tcmporibusfimplicior cfscr,atramcnpollcrioribusfacculis mirain OymnajtUa. G 3
uaric- «4 aeratcm acqiiifiuit, m&c
ipfa in gyrrKraii/s. t-am locumcSoLf- D «5:^0^5 quani pracfcdum awotdpn^/Koif
voaitum haberc mcruerit. I.7.C. Jjr. 1« uar pn^HV.op:, quxm pracfcctum
arpotfp^i^^Kou. Qiiis vcro primus fphaeritticamhanc,fiuepilacladuminucncrit,
fcripcores diiic/a fcntiunt. Plinius inter Larinos Pytho cuidam hunc
acccprumrcferc. A^alisCorcyreagrammatica Nauficaam ludipihiejnuenrriccm, fcd
ignoroquararionc,apud Athcnacum facir.-HippafusLacedacmonijs,
DicacarchusSicyonijsinuentum iftud artribuerunt . Ex quo fir, vr ccrri quidquam
fcntirc nequca- mus,-&:co magis quod TimocratisLaconis,aIiorumuc dehoclu-
do commcnraria non habcmus, quibus forrafiis &:ranracuaricta- tis rarioncm
intclligere,&: incognira prope ludcdi pila gcncra ccr- tius cognofccrc poffcmus.in
quibus cxplicandis cum huc ufq. fcri- prorcs non parum confufi fucrinr, arquc
intcrdum a ucriratelonge receffcrinr^nos, quantum ficri potcrit, tradarioncm
hac clariorcm, minufq. antiquorum fcripris repugnantem cfficcrc ftudebimus.Pi-
Liiraqucludendi gencnlquaruor duntaxat apud graccoscxftiriffe rcpcrio, uiyct^w
T^pajjpcLV, fjLiTtfKVj^pajpoM, yiivbju o-(poijpcJUf, ^ yicopvKOV, fiue paruam
pilam, magnam, atquc pilam inancm, et corycum,rcpono corycum inrcr pilac
gcncra,quod licct GaIcnus,Oribafius,&: Paul- lusab illisfccrcucrint,
inftrumcntumillud, ut demonftrabimus, nel pila crar,ucl pilac aflimilc . Paruac
lufus fccundum Anryllum trcsfpecics diuerfashabuir.prima crar,pila
ualdcparua,in quaqui cxerccbanti.r, corpore maximc claro ludcbant,&:
colludcnrcs ma- nus manibus proxime admoucbat. fccQda crar pila maiufcula, qua
cuhiros cubiris ludcndo immifccbar, ncc corporibus mutuo hacre bant, ncc
annucbanr,fcd uarijs modis moucbantur,&:proptcr ua- rios pilae iaitus
huc,atque illuc digrcdicbantunterria erat pila ad- huc maiorfccunda,in quahomincsintcr
fc diftanrcsludcbant, &: in qua cum itararia, ac motoria pars cflct, qui
manebant,pila cmit- tcbanr cumuchcmcnria,&:concinniratc. inrcr has
fpecicsadnu- mcraridebcregcnusilludiudico, quodpcncs Athcnacum ifc^r^t- 901/
&: (poivi^ uocarur, rumquiaa Galcnoin libcllo deparuaepilae ludo fimul cum
alijs id quoquc cxplicarum habcrur,tum quia Cle- S.facilag. mcns Alcxandrinus,
fcripror grauiflimus, ubi dcmonftrarct ludum paruae pilae.&: praefcrtnii
(puMct, cxcrcitarioncm cflc uiris ualdc accommodatam,cam paruac pilac fpccicm
fuiflc hac oratione cla- rum facit:oV/ inucnTorc . aur>.-n. ^ «.rxx/C.r *
^^^f^»x«,K«^? ^xnzo* - /.cuf twsitx» rotwirlt^ yy^zy . K.«xw «■n.ut tAaCt, f/
^W . X- . ;,x*^r.^cr«x-;uoit>>,^ .-^-'J^«« i^lmptc,&: com;mn.tcr
ludcrc folitos pcfpicuum clhcitur.Hac ir.iq. I:.nr p.Iac- par..ac Ipc- cics
dcquib.isa Gracc.s .ncnt.oncmhabiralcio. .nqu.bus hp.- ccncspli.lofophus.ncc
non Ocfib.us Clialc.dcnl.s ph.lolophus, nuo cum muhi cx Anrigoni rcgis
ra.mliaribus hukd. yrar..i cxluc- bantur.mulrum cxcclluilfc dicuntur. Arqiu
follux al.ap.lac par- U.1C ludorum £;cncra proponit, Aporraxun \ ra.i.am,..!
quo (c- licctfcrcrccl.na.itcspi!a.n incoclu pro.jc.cbant,& a.itcquarcr- ' G
4 r-im, -L I B E R ram attingerct, excipicbant. Coctcrum pilam magna duos quoo.
D ludcndi modosnon folum exipfiuspilacmagnitudinc,ueru ctiam ex manuu hgura a
fuperioribus diucrfos cfl"ccifrc,Oribafius cx An- tyilo rcftatiir, qucrum
unuscratludcntium magna,aJiusmaiore, lioc tamcn anibo communc poflidcbant, vt
/icuti in cccteris prae- diCusJuiorcs fummasmanusscpcrhumcris humiliorcs,ita in
hac lcmpcr capiteahiorcs tenerenr, quandoq. ctiam fummispedibus ambuJabant ut
manus altius cxtoIlcrcnt,quandoq. falrabant, cum lcihcet pila fupcr cos fercbatur,in
qua proijcicnda vchemcrcr bra chia agirabanr Inanisporr6,fiuc vacua,quod
tcrtium pilacgenus fecmius,quahs fucnt haud farisexphcaium habetun/iquid rame.i
con.cauracxAntyllivcrbisaircquilicct,crcdohancpila,qucmad modum S^coctcras cx
corio cofutam fuinc,in hoc ab alijs diffcrcn tam,quod illae ucl
pluma.^uclaliamatcriaihaecfolo venro,/iue E aere plcna forcr,arq. rantac
magnirudinis, ur ipfa difficulrcr lude. rerur Corycus uero quis cflct,
quomodoue ludus illc perageretur, cumAn yllus apud Oribaiium clariflime
exprcfl-erit, e?us ora- tionem huc -duccre ftatui, quae ita i„ V^aticLo coc^ceT
habct . K«,o.x^^ aSzvir(pcoP i,U7Ay^ccru^ yAy^af^^cy, -Hw^^. ^oyrL., .fo^i-npo.,
i-.^,.e^,^^oJ.oZv:,,n robumonbus arena implcuncins ucrS magnitudo a d 2e cor
Pons,&ndacta,cmaccommod«ur,rurrcndrturau7cmin« SXnt it u iS l","!™
'""'"' ^ itcrum rc- Ircijcicntcscmit
nt.urc rr^, '/if,""';:^^ ' ucntu ruooccunat,adcxt«mnm 1' ? r™';'''
"/P°" »,,.;„r,;tr ™.r*,r^ot:'ald[&i^re! troccdat. SECVNDVS. 17 A
troccdat, c\- quo fir,ur quandoq. manibus occurranr, chim propin- „
quar,quandoquc ucro pcctorc manibiis pallis,quandoquc vcro ijs^ ad
tcrgarcvolut.s. Hadcnus Antyllus.qui ramctii hguram Coryci luporcomnibus tunc
remporis nocam non cxprimar^conicdura ta mcnalTcqui polTumus j^ipfum iphacricum
^aucfaltcm rotunduni cx matcria ccriacca cxllitillc, alioqui ii angularc
fliifsctin occur- fu, &c manus, &: pechis non finc laclio.nc
pcrculTifsct . Hacc autcm li uidifsct Fuchfius, (anc inrellixiikt, Valcriolam
non finc racionc aducrfus ipfum contcndifsc, follcm,^: corycum paullo minus,
quamcoclum,&:rcrramdiflafsc. Ncquc ctiam fatisn.irari folco anriquilTimum
lcriprorcm Caclium Aurclianum,qui lib. v. tard. pafl* cap. vlr. dicit variam
uolurationcm in palacftra cfsc uocatam a Graccisccladian, atq.
coricomachian,nililirin codiccdcpra- uatilTmo crror,vt puro . Dc hoc
intclligcndum crt adagium illud, TTfi^KigvKOpyviJu^d^yrlrKt quo gcncrc
ccrtamins Apulcioin Thcfsalia ccrratum cll.Dc hac quoq. cxcrcitationc vcrba
tccir Hrppocrarc^ fiucPoIybus,ubijiL(';^/flfy,faI(o a Clornario follcm
intcrprcra- tam,ad artcnuandum corpus prohauitrqucmadmodum &:candcm
inrcllcxit Arctacus, ubi pro clcphanr icorum cxcrcitationibus xefv*. KoRox'(ti
probnuir,quas bonus i!lc intcrpr^cs,ucfc^io qno fpiritu, pc- rac,aurfaccu!i
iaauSjincprcfatisrranftulir.Eandcmquoq.nucllc- xifsc Coclium Aurdianum
cxi(b*mo,cuin ad polyfirci am diminuc damcorycomachiam(fic cnim
lcccndumcll)comnicndauit ijfdc propc rcmcdijs vfusqfa' ^b 1 lippocrarc loco
cifaro propollta funr. vndcargumcntatusfum,Auctorcficuti cetcra,ita
«ccorycomachia C ab Hippocratc mutuatii efse. qtiamufs textus ludicio mco
dcpraua ' rusfit. Locum vbi ludcbarur,Cor)'ceumapud Vitruuium appclla-
ri,ccnfucrunraliqui;quorumfcntcnriamp(>Itquam in fupcrionlnis
rcfurauimus,nilaliud diccndum cll.Arq. hacc dequatuorpilac lu di graccorum
gencribus,vidchcc t pila parua, pila magna,pila ina- ni, &: coryco. quac
omnia diuerfa inrc r fc cxditifVc, non modo cx dcfcriptionibus nupcr allaris
nuinik rto conftar, ucrum criam cx Galcni vcrbisinfccundodc tucnda
ualcrudincfcripris : vbiintcr cacccras gymnafiorum cxc rcirationcs corycum,
pilam parua,&: pi- lam magna,fcpararim rccenfcr,ficut &: Paulus
Aegincta iplum imi tatus. quod profcdo non lccifscnr,nili quacda iurcr lc
diucrla cxfti tifscnt pilarum gciu ra,&: diucrfac ctiam cum ijs fadac
cxcrciratio nes. Quac nunquidomncs in Graccorum gymnalijs cxcrccrcnrur,
parumfcHcrcfcrt.farfirinfcUigcrc,mcdicamgymnafticam,atquc bcllicam,&
pracfcrtini pi.cris cdoccndis incumbctcm pihu u cxcr- ciratiorcs if
citationcsvfiirpafrcsncque ad valctiiclinem,acngilitatcm compa- D
randa,augendamiie cas cercris inferiorcs exiftimnfrc. atquead hoc
idmaxinrcfacit (]uod Knftathuislcripfit ad Xodyfs, Hcrophilomc
dicopolitamfuiflc ftatuam ac propceaintcr alia gymnalticac in- ftrumcta ct
pilam. Admirari aut nemo dcbct, fi nos in fuperioribus
fudosintcrathleticasexcrcitationes rcpofuimus,&: fubindc mul- tas quoq.
bcllicas,mcdicasq. exercirationesludosvocamus,vtnu- pcrrime dc pila dictu ci\.
a nobis ; quonia et vetcru, &: recentioru tfi Oracc()ru,cjlatinoruloqucndi
mos obtinuir,vt multasexcrcitatio* ne5 natJ^iK^^Sc iudos vocarcnt,autquod a
pueris g.7r«rA5 Gracce di cunrur,vt plurimil h\TCiit,aut qcf illi.q.
exerccntur,non fcrio,(cd io vidcantur,{iucgratiafanitatis,{iucalteriusreiid
efficiant. ludi vcro,quos athlcticae efTc nos dicimus, ita propric uocabatur,
quoniam foIatij,&: voluptatis folius gratia in otijs fcftiuis agebfuur. E
Dc PiUe ludo fecundum Latinos. Cap. V OSTQVAM pilaludendiGraecis
ufitatagencrafa- tis cxplanauimusjfupcrcfl: &: ea quae aLatinis ; &: in
vlu habita,&:fcriptistraditarepcriuntur,explicarc:vnde,in
quibusamboconuencrint,&:inquibus diucrlifucrint^ perfpicuum futurum fpera
Quatuor igitur fuillc pilae genera ctia apu(i
Larinos,quibusludebant5inuenio,follcm,trigonaIcm, paga- nicam, &: harpaftum,
quae omnia fub nomine Jtalicac fphacrae a Coclio Aurcliano medico complexa
nonnulli crcdunt. Folhs erat pihimagnaexaluta confcda,(oloq. uentoxeplera, quae
/imaior eratjbrachijs impellebatur, &: fimpliciter piJa interdum nuncupa- F
batur,ut apud Nonium ex Varronc,Purgatum fcito,quoniam uide- bis Romae inforo
antc ianuas pucros pila expuJlim ludere \ &c apud Propertium lib.3. Cum fUa
vcloces faltitper Irachia ui^us. illtcrdum quoq.,pila vclox,ut apudHoratium
Sac.Iib.2.Sat.2. scupiU vdox M olllter auflcrum fludiofalkntc labvrefn, Seute
difcus agit* Hufufmodictcnimpilaecxcrcitationem licct uidcrein Gordiani tcrtij
Imp. Rom. nummis, quos hic dcpirtos adpofuimus,&: ex qui- bus conijccrc
licct,unumquciuqae iufcxmm nropriam pilam ha- buifle^atq-ueeum
luduminfacriticijs Pytlrij^ apud AipoUoniaras adhibitum cir]e,uttumex uoctr
ns-ei Atum ex^aima,-atquc facri- ficatorijs uafis colligere non eft difticilc Si vcrominorerat,pugnis cijciebatur^atq.
piigilJarisfoJIis, vt apudD PJautu in Rud. cxtemplo HercJe cgo tc foJJcm
pugiJIatoriu facia ; uocabatur.lntcrdu quoq. hanc cadcm pilam Folliculum
appellari crcdojlicuti a Suetonio in uita Augufti, quem hoc pilae ludo ualdc
deletVatum narrat.Quomodo ucro JVIanialisIib.^.dixcrit. Tlumeayfcu laxi
partiris pondtra follisy ' cum ex corio ucnto replcto pila hacc
confucretur^&non pluma.ut omncsfcrcLatini audtorcs uno orc fitcntiir,
quidquid alij rcfpon- dcantjOpinoregooblcuitatcmfoIIisponderapJumca
dixiflc.cuius lcuitatisgraiiancque.pucri, ncque fcncs aJioquiimbecillcsintcr
ludcndum vcl nimiuiii quid dcfatigabantur, &:propterca idc IVIar-
tial.alibi fcriptum rcliquir. iib.j^.. Itc froLul muriLS tis mibi connenit
aetas, Fotlc dtcct puercs ludere, folle fenes, £ Namuthocgcncrcludicorpora
imbccilliora cxcrccri ualcrcnt, nonmodoIcuispilacHicicbatur, ucrum etiamdicarus
lufuilocus nullis lapidjbus aut latcribusltcrncbatur, nclabercnturpcdibus
ludcntcs,&, fi fortc lapfi eflcnt, cx cafu damnum non patcrentur i &:
proptcrca,cum folum minimcpauimcntatum forct,cx cotinuo tcr- rac attritu puluis
cxcitabatur: quamq, ctia ficri potcft,ut pauimcnta ludcrcnt,fcd pulucre humili
&c cxiguo illud adfpergcrcrur,ita ut pi lam rcfilirc non impcdirctur, atq.
ludcntiQ pcdes magis firmarcn-^ tur.Nam in pulucrulcnto folo licri hanc
cxercitationcm confucuif- fe,innuitJVI.irtiaIis lib. i2.ubi Mcnogcncm quendam
cx Thcrmis ob dcIcAationem exire ncfcicntem in hunc modum carpit. Ifjugere e
Thcrmis, circa balnea non eft, Menogenen, omni tu licet arte v^lis, p Captabit
tcpidum dextra lacuaque trigoncm, imputet ex^eptas ut tibi faepe pilas,
Colliget^, et rcferet lapfum de puluere follem, Et ft iam lotus, iam foleatus
erit . Numquid autc ludus ifte fucrit unus cx ijs, quos fupcrius fccundunl
Graccosauftorcscnarrauimus,uariacfcntcntiac fucrunt.Ahj cnin^ crcdidcrunt pilam
magna Graccoru>&: follc Latinorii idc fuiflV, m
tcrquosfuitThomasLinaccr,quicumin2.dctu. val.corycufollj traduxifsf't,in fcxto
poftuuidum liJ^:o magiiam pilam itcrum folj 2. Jtu.ua. tranftuht, quafi corycus,
&: pila magna non diftcrrct apud Galcnu, qui cxprcfsc ^ pila paruam,&:
magna,& cory cu diftinxit . Alij ma- luerunt corycum Graccorum,foIlc
Latinoru fuifsc : atq. hanc opi- monc maior pars rcccmiorum fcriptorum habuit,
intcr quos fucre quidam, qui apud Onbafiu caput Cory ci, de foilc pugillatorio
in- fcribcu- d di Oi cd hfl dd pah W COiI( liisa con pim bj cai m\ ki Sicn Doni
ierl( !crc A kribcadum iudicarunr. fcd hi oC-s m.ignopcrc hiillucinantur:^ pri-
mo,qui crcciidcrut follcj^Sc maenam pilam idc fuiirc,duabus ratio- nibus
rcdar^uuiuur,quarum ahcra c(l, q Jludctcs magn*i pilafcm- pcr fummas manus
capitc ahiorcs tcncbant, quandoq. criam fum- mis pcdibus ambulabant.ut manus
ahiorcs tcflcrct : ahcra cft,quo J Oribafigs hidu pihic may:nac no modo
acgrotis, fcd cti am coualc- fccntibus, atqr bcnc ualcntibus inuiile iudicaui
t, quorum ticutrum habuilk folkm,facilc cft cx fupcrioribus iudicarc.Qui ucro
iollcm corvcu!nfui(Tccxillimarunt,muhisrationibus&:ipficrralTc dcprc-
hcnduntur.Primo,quoniacorycusc cuhninc gymnahoruinfufpcn- dcbatur,folhs h bcre
emittcbatur . Secudo corycus ficulnco grano^ aut farina,aut arcna implcbacur,
follis folo vcnro . Tcrtio loUis in pulucrc cxcrccbatur,cOTycus ucro no. Fuerur
itc qui tollc pila i na- B nemfupcriusa nobis cx
AncyllodcfcripramfuiiTccrcdidcrur. qui- bu^ cgo libcnter a(Tcntirc,ni(i
MartiaJis dixifict, fbllc mitiori actari couenire, &: Antyllus pilae inanis
cxcrcitarionc non admodu faci- lc,ncq.aptam,&:idaoomirtcndamcfsc ccnfuiset.
Colligoigicur cx his omnibus, quod cu follis,ncq. inanis pila Graccoru,
ncq.magna corundc,neq. corycus fucrit, eum illos ignorafsc. ncmo cnim c(l,
paruampilam follcm rcpuraucrit. Porro Trigonalis pila,qua hidc- batur,parua
crar,ita nuncupara uel a loco,ur uoluerur nonnuUi, ubi ca excrccbatur, qui
locus triangularis crar; ucl potius a ludctiu ( qj magis crcdibilc
cft)numcro,figura, Sc liru.hanc cfsc aliquando pili £mphci nominc appcllaram
inucnio, ut aDud Marrialcm lib.vij. TipnpiU^ non foliis^ non tc paganica
Tbermis ^ vj Tracparat, aut nndi liipltis icius bcbcs : Vara nec iniiHo
crromatc brjcbia tendis, Klonharpalla uagus pulnerulenta rar.is. Si enim fola
quatuor pi lac gcnera facimus,ncccfsario cum ceterac nomincntur, Trigonalis fub
pila fimplici coplciflctundc hac fimih- tcr locutum credo Cclfum, quado
dixir,ab aluo cirara ucxaris pila, &:rcliqua fupcriorcsparrc s cxcrccnria
conucnirc, quoniam in hu- jufccmodi ludo parrcs infcriores fcrc fcmpcr fimue
mancbanr, fu- pcriorcs perpcruo agirabanrur . Quomodo ucro pcragcrcri:r cxcr-
citatioifta,facilcconijCcrc pofsumuscx Martialis ucrbis,in quibus
dem6ftrar,luforcs ita triagulari fitus figura colludcrc foliros,ur ma- nibus
urrifque modo fini ftra, modo dcxrra pilam uiciflim cxpcllc- rc,&: cxcipcrc
ualcrcnr, nc unquam cadcrcr. in quo fumma ludcn-
tiumlaudcfuifseucrifimilcficfitur inlib. 7. ubi Polybum qucnda Uudat ob
agiliutcm finiftrac manus in iacicnda,cxcipicndaq.pila. 5)2 &:libro.i2. &libro.i4. Slc palmamtihideTYigone
nudo FnHae det fauor arbiter coronae, T^fC laudet Volybi magis finiflras .
Captabit tepidum dextra, laeuaque trigonem. Si memibiiibus Jcis expulfare
ftniflris Sum tua ift nelcis, rufiice rcdde pilam. Ex his mcherclc patet
confiicuifsc trigone liidcntes a fc inuice mo do niittere,modoexcipcrc pilam,
modo finiftris, modo dexteris,eo propemodo, quo nollratespila paruafupra
funiculum ludunt,&: quo etiam Antyllus tertium paruac pilae lufum
dcfcripfinGur-vero Mart. tcpidum trigona dixcrit tum loco fupra citato,tum
lib.4. ■ Seu lentumcefoma teris, tepidimi4C trignna : haud fatis mihi
conftat.artamen,fi quid diuinare conceditur,dice- rem proptcrca trigona tepidum
dixifsc, dft quod homines ludcn- do^ob uchcmentcm utriufquc manus laborem,
&c afliduo rootus pi- ^ Jae tenore magis incalefccrent: uel quod locus,vbi
ludebatur tepi- darioin gymnadjs uicinus forct, &: proptcrca ludcntes
tamloci, quam pilac tcporcm qucndam percipcrcnt. itiucro fuifse, ucrifi- mile
uideri potcft : cum fupra tum ex Galeni, tum ex Martialis fei;!-, tentia
demonftraucrimus, poft pilac ludum ftatim confueuifse bal- nea calida ingrcdi .
Nifi malimus di cerc, poctam trigona tcpidum dixifse,quia ex continuo motu
pilac in manibus ipfa tcpida euade- bat,eomodo,quoPropertiuslib. i.in
Elcgialanuae conquercntis, dixit Tepidum limc,quod ex cotinuo fupra ipfum ftatu
tepcfceret, 7{ulU ne finis erit noflro conce/fa dolori, i^^urpis y in tep^
limint fomnus erit ? Excplum trigonalis pilacmihi uidcturillud,quodin nummis M.
Aurclij Antoniniapud Byzantios excuffis hucinmodum apparet. F Quem itc ludum in
liicrificijs ApoUinis Pythij Aftiaci adhiberi fo- litu,mcmoriac proditu eft. dc
hac pila quae dicit Seneca 2. de ten. f.c.ip.efse intcIIigendaputantaliqui.Eundemprope
autfimilepa- ganicae pilac lufum dcfcribi cxiftimo a Pctronio arbitro in
fatyri- cis,ubi huc in modum fcribit.Vidcmus (cnem caluum tunica uefti- tum
rufsca inter pueros capillatos ludctcs pila .Ncc tam pueri nos,
quamquamcratopcraeprcciumadfpcvflaculum duxcrant, quam ipfc paterfamilias,qui
folcatuspilafparfiua cxercebatur,nec ea am plius repctebat,q terra cotingcret,
fcd foUc plcnu*habebat feruus, fufficiebatq. ludctibus.Notauimus ct rcs
nouas.Nam duo fpadones in diucrfa parte circuli ftabant,quorum altcr matellam
tcncbat ar genteam, altcr numerabat pilas, non quidcm eas,quae inter manus lufu
expcUcntcs uibrabantur, fcd cas,cj[uac in tcrram dccidcbant.
Siiccedltpagcinicapilaficappcllatn, quodcflet vuIgari5acfmocfu,D et in uillis
pagis uocatis;ucI in pagis urbis ut plurimum in ufu habe retur. Nam Dionyfius
anriquiratumlib. 4. rcfcrt, Romam in qua? tuor tribus olim partitam
fi.iiiTc,quae &c pagi,ficut earum habitato- res Paganijnominabantur. fiuc
igitur ab ifi:is pagis, fiue a uiHis pa- ganica pila dcnommata fir,pari]m
rcfi:rre credo.fat efl:,pilam fuifTe ex coriopluma rcp!cto,trigonali latiorcm,non
ita tamen ut cfi:foI- Iis,laxam, fcd duriorcm ; fiquidcm follis, qui uento
replebatur^ctfi quantodUriorcrat,tantofaciIiuscoIudcbatur,quanto laxior,tanto
difficilius,ut ctiam tcmpeftatc noftra quotidiana expericntia com- probaf,ramcn
paganica pila quo ctiam durior elTcr, et pluma rcple batur,&: non i ta
rep!ebatur,ut laxa ufquam foret, fed vndequaque dur!flima,&: proprcrca
difficulrcr ea Iudcbatur,qucmadmodum uc
nuftiflimcMarrialishocdiftichooftcndicIibro 14. ' ' ^ H^ic (iuae diffii ilis
turget paganica plumay Folle minus Laxa efl, ^ minus arcta pila ., - Sub nomine
enim fimplici pilae intclligi aliquando foIIc,aIiquan- do trigonalcm, paullo
antc fignificauimus . Itcrum illud ignorari hoc in loco nolo, ctiam in
gymnafijs paganicae pilae exerci tatio^ ncm in vfu exftitifl^CjUt idcm
Martialis Iib. y.tcftatum rcliquit. Tipn pila, nonfoUis, non te paganica
thermis Traeparat, aut nudiftipitis ictus hebes, Namcumfacpiusa nobis indicatum
fit,confucuifle fcre omncs» quifefein
gymnafijspilacxcrcebant,priuspilaluda|c,& dcinccps tatim balnea
ingrcdi,Martialis illis uerfibus demoimrat, inter ce- teros pilae ludos in
gymnafijs fe exercentium ad balnca praepara-
toriospaganicamquoq.adnumeratamcfle. VItimum&:quartun| ^ Latinorum pilae
genus harpaftum fecimus. quod ob nominis fimil litudincmidcprorfusuidctur
quod^V^d^oVGraecorumrcratenint pila,quamludcntcsalter alteri eripiebat cuius
ucromagnitudif nis,^ cx qua materia forct,haud quaquam ab ullo audorc cxplic:^
tumhabemus,nifiquod Athcnacus his ucrbis manifcftum facit, harpaftum rotundum
fuiflb. cA^x^ (panvScL 4;eaAf^TD, 0 otucrir,tum quia ciufmodi accubitus fibi
ualde in- dccorus,atq. a Chrifti vita,^^: moribus alicnus,fimulq. edcndo,&
ibi bcndo non parum incommodus vi derctur,tum quia a cuncftis prac
fcrnmanriquioribus Euangclij interprc tibus fir penitusignora- tus, aut /altcm
omiffus, minimeq. coufidcratus, tum quia a piftori- busnumciuamnec fomnioquidcm
aut cogitatus, aur ullomodo cxprcflusinuenitur-quafi vcro haud fit
verifimilcpotuiflc tato tem- porc,totq. pcritos artificcs, atq- doftifrmios
inrcrprctes iatcrc rcm non ita cxigui ad pcrcipicndam Euangelij vcritatcm
momcnti.Pe iriis Cja.conus,6^ Fuluius Vrfinusrcrum antiquaru peritiflimi,quiq.
muitis annis poft nicam gymnafticam de triclinio fcripfcrunt,pro- culdubio ad
vcricarem accubitus acccflcrunt,atq. fi acquus Icdor Gollras
cogirationesillorumfcriptiscompararc vclir, ccrtc fl:arim. animaducrtct,fcrequicquidhac
dcre boni dixcrunt,cnoIlroli- bro acccpiiTe, practcrita ramcn memoria, kcus
quam fccit crudi- tiiTimus Galliac occllus Pctrus Fabcr, qui non modo fumma
inge- nuitae in libris fuis agonifticis incredibiIidodrinarcfcrris,non: erubuit
profitcri fcfc magnopcre cx Iibris-dc re gymnalticanoftris profcciflc,vcrum
cciam fcgctcm,quam cgo pi imus illius pcne obli- teratac artis rcnouaui,ira
fingulari fludio, &c vberratc pt-opagauit, cxonKiuirq. ut ab omnibu^ pro
tanxo bcmcficio fibi gratias immor talcsagimcrcatur. Iraquc ut omncm cxanimis
dubitantum exi^ mam fcrupulum, &: aliquid maioris lucis tantac rei
obfcurirari af- fcram,acompluribus quoquc rogarus,nonnuIla hocinlocotani deipfo
accubendi ritu,quam dc ipfiiis Magdalcnac firu^&: opcran- di modo adijcere
dcliberaui, ratus mc hoc laborc id cflfcdairum 9. ut gentcs tyindcm rcipfa
melius confidcrata pauliatim rncipiant uctuftum errorem exucrc, arque
fimplicibusanimis pidluraue- ram cius favfli h iftoriam pijs, &: vcritaris
amantibus repraefentare . Qir :)d iraquc Vctcrcs tam Graeci,c[uanT Latini,arque
Hacbici cpa tanrcs accubercnr;, nomcn ipsu apud hafce cun£las gentcs recepti-
ffimum facile pcrfuadere poteft, qucmadmodum a paucis dubita- tum iaucniojcpin
uiclmiopro commode, &c faciluer edcndo,at- Aqucbibcndcpairim aliquot
fcculisufi fint . Quid autcmpropric antiquis clTct triclinium non ita abomnibus
confcflum habctur; Eccnim qui nupcr ad Athcnacum crnditiflimas animaducrfioncs
haudlincnugna laudcin luccm mifir CaufKibonus monftrairc fi^ bipcrfu.ilir^triclinium
inrcrdum fuilTc acccprum \ jpfo I)..bi- faculc\ubi kzY\ (lcrncbanti r,proptcrca(]uc
is^uTciK^wcv,J^iKxrsiK^i- J^jiMxrfy ^i^op inucniri nominara, prout pauciorcs
plurc!>uc c- w js c.ipicbat; ncquc ipfc ui alvnio apud aliquos fuiflc fic
appclla' xum, fcd quia in iH j Athcnad conuruio unufquifquc in mcdium 4d
proponcrc conabntur, quod infrcqucntius crat, atquc ali- qmm Icitu dignam
raritatcm habcbat : iccirco cxilbmandum &ianQminAndo inurcndorriclinio
cundcm cffc fcnluni fccutos, qrxm&: Kcginaurbium Roma fcqucbatur • Atqucdc
Jiocipfo cuni l(;qi.crctur antiquus, &: grjuis icriptor Scruiusiu Comm.adprimumVirgiHanac
Acncidos diwt Vctcrcsftibadia .non habuifscfcd Itratis tribus lciftis
cpuIaircCundc triclmiurn Itcr- ni di'tum ) arc]uc eos crrarcqui u Kant tnclinium
ipfambalili- cam,ucl cocnarioncm . Ncquc minus fatlunrur, qui puiarunt rri-
podas iilos, dc quibus mcnno cft npud A:1k nacum cx Eubolo co- mico, a^inquibus
duo ucl rrcs cdcntcsrcpracfcntantur inmar- moribusuctulUs fuifsc triclinia,
quandoquidcm nulla ibi rruini lciftorum imago, nccucaccubirus confpiciiur,
fcdfunt dumta- >at fcpulclu-aliiimcocnarum dligies,dc quibus rrafam non
rcrro,fcd antc, req. ftantc m,rcd genibus humi pro- cumLcntcm vfquc ad hacc
tcmpcra depinx,crunt>& feipfos,& alios (fiita loqrilicct)
dcccpcrunr^pracrcrquam cnim quod vix imaginari porcft huiufmodi omnia
pcrficiamuIicrcpotuifse,cer- tumcft etiam,ncqueaminiftrantibus
illudpcrmi/sumiri dcbuif- fcfimulque indecorum ualdc fururum fuifse,fi mulier
fubtus men- fam gcnibusfefchumiproabluendis, &:cxiccandisC HRl S TI pcdibus
ftrauiffer &, quac omnia incommoda cuni euitenrur tri- clinio, et accubiiu
noftri^. ^ haud inrcHigere pofliim, eur de- bcanta quoquam ingcnio guftii
praediro rcpudiari, eo ma- ximc qnod nuHarurpirudinis Ipccics in ijs fpc£larur,
quae de- bcar ab ca rc crcdcnda qucmpiam pium dcrcrrcre, quinimo fi accuratc
ingrcifus mylieris expcndarur, miniftros, dc accum- difc bcntcs 2« tcm^s latereponm, haud fccus, atqucubi
fcfe iii cxteriorc trichnij partc iuxta pcdcs CHRISTI locauit: quod fi ali-
qiiid in illoaceumbcndimodo non ita laudabilcfortc npparc- bacquifquc fibi
illiid pcrfuadcrc dcbctctiam quacindccora funtob populi confuctudincmfacpc
omncm foeditatcm amit- tcrc,nam mulicrum aliquibus non cirra noram fpontc
conuiiiij publici loci:madirc,ibiqi:c audcrc uiro adlucrcic, eumquc conrrc Aarc
vngcrc proculdubio rurpc,& indignum caftita- tc CHR1ST1 poruiffet vidcri,
nill mo5 propc omniumorien- talium caminuitaffcr, Certc Maldonarus inrclliycrc
nonpo- tuir, quomodo dicatur rtctilVc mulicr cicda, qua(i non cntnc
lciti-fupcrquos difcumbebanr ira alri,urip:i hcucrirfic ftarc, SC pcdcs cius
lachrymis lauarc, inrc rprcrans ftarc pro con/iftc- re, Scd
lunufmodiofcitantiam conimilirob vcri triclinij igno- rantiam,quod pcdcsaltos
habuilVcnon cft dubiranduin,ut faci^ Jccxiplapidurac!uccr>&:Virgilius dc
Acnca loqucns accum- bcntcdixir iniciofccundi libru jrJe toro f^^^^ ^cntas fn
orfts jtlto. Arqui Tolcdus Cardinalis ob longam, quam Romae tra- xir,moram,
uidcndi, audicndi rcium vctultarum pcrirosubc- reaioccafioncmhabuit, forfanque
noftram fcnrcnriam, &:pi. duram compcrtam habuit, quod cam iampridcm cum
do- (ftiiriinis lcfuiris, quorum conluctudinc dclcdor magnopcrc „
communicalVcm, priufquam publicarem.undc facile confcn- C rirtoros
triclinioruin ira alros cxtiriflc, utmulicr nullolaborc pofscr ftans rctro
pcdcs cpulantis conrrcCtarc, lachrymifquc abiucrc : &:ccrrc liccr uir
doctiflimus noncxplicatc docucrit difcumbcndi modum artamcn ex cius vcrbis
vcrirarcm libi raaximc omnium inno,ruifsc parct. Jraquc hoc iam conftiru- tum
fir tricliniuni dictumcfsc, quod rrcslccti ftcrncrcnrur, in quibus ira iaccrcnt,
ut vcrlus menfam cubitis finiftris inni- xi dextcra manu urcrcntur,pcdcfquc in
cxtcricrcm partcm pro- tcndcrcnr, ubi miniftri cranr, &:ubi ftctit crcchi
MAKlA, qucadmodum difcrtc faris, &:copiofc alil)! cx uarijsfciiprori- bus
declarauimus, &: ficur cx imaginc antcpoiita clari/Time cluccr . Supra quid
ucro ftcrncrcnrur lccli, non cftirapro- ditum, arramcn licct conijccrc facpius
fupra tabulata alriu- fcula clsc c.xrcnios, quac nonnumquam criam apud Hc^
J& 3 bracos cx argento, aurouc conflata fiiifsc colligitur ex pri-D mo
capitc Hcfter in illius magnifici conuiuij dcfcriptione, quod paritcr a Romanis
hivftum teftatur prae caetcris Pli- nius lILro xxxi i r. capi.vndccimo, fuifsc
ucro fa£l:a Icftifter- nia primum lignca conijcere licct ab co quodnarrat cxSe-
nccaAgcliuslibro duodccimo, capi.fccundo, nempcSotcri- chum lignarium fabrum
cxritifsc, qui Icdos tricliniarcs li- gncos faciebat, cb idquc data cftoccafio
Adagij, vt cum iicllcnt rcm cxigui prccij, ncc multi artifici; frgnificare So-
terichi lcdis aflimilarcnt . Nunc ucro fccundumpropofitun^ aggrcdior,fcilicct
an apud Hcbraeos, quotcniporc CHRISTVS aflTuit cocnae Pharifaci, mos fucrit
djfcumbendiirr triclinijs, quemadmodum Romac, qua de re cum conful- ucrim
Vitalcm Mcdicaeum Florentiae, artemmcdicam fan- E (ftac,ac feliciter
cxcrccntcm,rcrumque Hcbraicarum longc pc- ritillimum, ismihiadco dofte,&:
diferte rcfpondit, iit in hci- iufmodi graui difceptatione uix quicquam doftius,&:eli-
niatiusdcfidcrari queat : quia tamcn ab fcntcntianoftra noa nihil difccififse
vifus cft, pro mca confirmanda ncccfsc pu- toaliquid in mediumaffcrrc . Etenim
dubitare minime opor- tct, quinapud ucniftilTimos Hebraeos uarius conuiuiaagen-
di mosfuerit, fiquidcm libro Gcncf in cclebri illo conui- uio, quod lofcphus
Fratribus, alijfque Magnifice, dcdit, omncs fcdifsc mcmorantur, fimilisquoquc
morislibroludith, libroprimo, Rcgum, atque ahbi facpius mcniio clariffima
habetur:atquifiThobiac,qui uixit ante captiuitatcm Babylo- ^ niae Iibcr Icgatur,
ibi accubirus non obfcuram mentioncm fieri cognofcctur, quamquam fortafsc
diccrc licerct tunc illun^ apud AlTyrios vixifsc,
apudquosinufueratcocnantesaccuni- bcre. lam vcro dc Troianis,atque Tyrijs
fimihtcr exiftima- r€ dcbcmus, cum apud ^'rrgilrum primo, &: fccundo
Iibn> difcumbendi confucrudinis commcmoratio fiat, ficuti libro' fcptimo,non
dubiamcmoria rcperiturfcdendi ad mcnfas vfus fubillis ucrbis Jlae SacYis
SedcsepuUs: hic arteteiaefa Terpetuisfolwpams coufidere maifis. Vbiquamquam
inaliquibus eontcxtibus kgatur Ioco(confi. dpe}accumberc, attamcn Seruius
cumlocumintcrpraetans dixit 71 A Jixlt
Malorft epulari confueuifsc fcdenfcs, .trqrc ilftim habuif- fcmorcma Laconibus,
&Crcrcnfibus, utVarro docuit infi- bris dc gcntc Pop. Rom.in quibus
dixitquid a quaqncrra- xcritgcutcpcr imitationcm. Hacc aurcui fcdcndiad menfav
conluctudoRomanisccrtcillisuctuftillimisdiu. &:in aliquibus oi:c.ilionibus
ufurpata fuit, ficur ctiam monun;cntis rclatwni jnucnitur Alcxandrum Magnum
aliquando fcxccntos ut aic Athcnacus, vcl fcxmillc ut cllapud
Kulbrhiumduccsconui- uiocxccpif5C,cofquc omncs fcdilibus argcntcis fcdcrcfccif-
fc. Atqui poftcrioribustcmporibv.s t.iui florcnris Rcipub.qunm IMPERATOR VNI
noncddubium nobiliorcs ialrcmac- cumbcrcconfucuifsc,
idqucpractcrinnumcroslarinac linguac auctorc^ marmora quoquc tclhntur, ur
locuplctiflimc alias B dcmonflraui, arqixalij quoqucdocucrunt. (iraccos parircr
conftatcundcm accumbcndi morcm cf^c fcdatos, &:quod tur- pius cll, narrat
Athcnacus raatulas pro cxcipicndo a ucfica rxcuntc uino gcil.vrc confucuifsc in
triclinia,quas facpc ubi ui- no incalucraut ad capita frangcbanr, inrrodudo hoc
morc a Sybariticis populis fordibus omnigcnis olim dcdiriirimis .Vcrumdc
Hcbracis dubirarur an fimilitcr illi ad Romanorum imirarioncm accumbcrcpotius,
quam k\\irc loliri fucrinr, ut Jiacrarioncliccat cxiftim.u^c CHRISTVM iri
fuifsc loca. tum, ac proptcrcaMagdalcnam potuifsc (l.intcm rcrro pcdcs illius
lauarc, cxiccarc, ungcrc. lam ncro complura funr» quac cxfcriptoribus confrat
cos a Romanisfuif c muruaros,& lofcphusinlibroantiquir. narrat Hcbracos fcmpcr
cfsc fccu- C tosrirus Romanorum poftquam fub connn djtioncm dcucnc- xunr, modo
non con-rariarcnrurparrijs lcgibus ur diccbam antca, manifcftum cflcx lacris
Iibris anrc captiuiratcm Baby- loniaccam gcntcminconuiuijs tam publicisquam
priuatisfcm- pcrfcdilsc. Vcrupoftquani in Habyloniam duCti fucruntcaptiui
vu^oquc modocdcrcconfucucrunr, fcncs fcilicctfcdc; ucs,iuuc- nes
ucroaccumbcnrcs, utmos crat Habyloniac, vcluri Habbini tradidcrunt,apud
quosctiam lcgirur accubitumfcrif litum, ucl (Iragulislupra rcrram cxrciis,vcl
tapctibusprcciofis«:s: pului naribus, ita utcubitis innixi lirnunn corpus
uniucrfum f( rua- rcntifacta autcmfuit dcindclcx, vt tcmporc Pafchatisin durac
fub Pharaoncfcruitutis, Iibcrntionisq. commcmorationcquif- quc accunibcndo
cpularcrur ^cr.crcns ucrodicbus liccrct uni-
cuiqucproutlibcrctlcdcndojvclaccumbcndo cocnarc: cx ouo 1: 4 pacct 72
2"patct apudludaeos parircr accubitum gloriofum qxiandoque fuifschabitum.
Porr6modus,qi!0 Hicrofolymis infecundado- mofcilicctpoftlibcrationcm ab
Acgypto,atqucpotiflrimumte- porc Chrifti conuiuia ficrent, non ita compcrtus
eftjillud uero conftat, in vrbc fempcr quinque hnguarum extitifle ufum He-
breae,chaldeac,Syiiacae, Graccae, et Latinae.quarum Syria-
cainfrequcntiorivfucrac. Hcbracavcro nonnifi adoiais,&:in
difcipIiniscomparandi.vvfurpaEa,{icutiolimRomae Graeca,& nunc paflim
Latina.Fuit autem in ludacam Syriaca lingua intro dudta,quandodecemtribubusa
SalmazaroAflyriorumregc ca ptisinearumlocummiflaefuntinSammariam,partesqueci
cir cumuicinasAfl"yriorumcoIoniae,utlcgiturxvij.cap.quarti libri Rcg.qui
ob id ab Hebraeis dcinde fcmper funt Samaritani uo- cati,atque idco
aucrfati,quod Idolatrae eflent, mofaicosquc ri- 1 tus minimcut par
crat,obfcruarcnt, ctiam fi a Saccrdoteilluc in idmi/rQinftrudlifuifscnt.
Huncergoin modumSyriacalingua apud Hchraeos tnduda.propagata, et conleruata
cft, qucmad- modum ChaldacamSyriacae valdc fimilcmipfimctludaeiex BabyIonia, ubi
i!la vfurpabafur,fponte tranftulerunt. Pofthoc vcro Graccisrcrum potitis, Rabbini
dodiorcs ipforum lineuam ita apprchcnderunt.eiufquc copia,&fuauitate funt
deicdtati, ut Hcbraicacipflimacquarcnr. Vndcpariterfucccfljt,utplerique
eruditiorcsnonfolumGracccIoqucrentur,fedetiam fatiselc-gantcrfcribcrcnt, qualcsfucrunt
PaulIus,lofcphus,Philo,afque alijplurimi.
KomanipoftrcmocumIudaeariifubiugalk'nf,ne- ecffefuit,illc pnpulus ipforum
linguam latinam addifccrct, ea- que pro ncgocijs agendis utcrcturiquac ctiam
fuit ratio,quamo brcmtituluscrucisChnftiHcbraiccGracccatqucLatincfcri-
ptusfucruilludtamcn dchikelinguis, &:potiflimumdeSyria- ca ucic conftat
ipfani fuifsc omniuniHierofoIymisufurpatiiri- mam, atque muhis Graccoruui
uocibus pcimixram,fiue id fue- ritob graccae dclcdhuioncm, qua ludaei
afficiebantur, fiue aliadccaufsa:folcntcnimquipercgrinisIinguisgaudcnr,ficpc
illarum uocabula proprijs commifccrc. Ergo hifce conftitu- tis,cumludaei
linguam Romanorum Graecorum, &: Afsyrio- rum,apudquosin ufu
crataccubitus,utcrcntur, vcrifimilceft quoquecofdcmaccumbendimorcmab ijs
acccpifse.quodfor- fan .1 pcruicacibus ncgari potuifset,nifi compuircs
Euangclij lo ci,ubi c.iicubitr,s,&:uccubitusfir mcntio,aucrre teftarcntur
Vtruip autcm accumbcndi modus Hicroluiymiscfsct, qualis apud Romdnos in
triclinio fcilicet Ic6tistribusa(rioribnscirca nv ' ■^ flratis ucl ligneis ncl
arijcnrcis,aut:iurcis qu.ilcsha- bii . -lUosnarranrPhnius,
Arhcnacus,&:alij,hauJ itacla- rum clh Scd ut omittam ludaeos ucrcrcs, apud
quos forfan uox triclinij vfitara in facris libriscubiculumdumta\\it,in quococ-
nabarur,fignihcarc potcft,dcquo Vitruuiuslib.Archircv^turac
quarrotra>:tauir,ccrrc cum in Huangclio nomincrur Archirri- clinus,ncgari
ncquit ludacosimiratosefsc Romanos,& Grae- cos,in quorum conuiiiijs crant
lstoc^)(ecl, idclt,conuiuij princi pcs. Cacrcrum dodtifllmi uiri,qui
accubirumquidcm incon- uiuijsPharifacorum conccfscrunt, fcd morc Hebracorum
ftra- tis fupra rerram lclimplicitcraccubirum,nonauremmodum lignihcer,&quod
Pharilaci iuxtapracccptum leuitici can. xviij. coua ctur lu
cl!sfcfciritibusquibusuispcrcgrinoiuma!icnarc,maxime Ro- nunorunviuosquoridic
inrucbanrur idolisfcruirc vfquc adca aiegedamnaris, Quantum ucroad Magdalcnaca
lonce difscnrire, (im ilquc oftcndcrc figuranfi tr*c!inij,.\: accubirus
isdefcripram, atquerunc rcmporis pallima Romanisufi- taram. v^^isciiimignorat
cam fcmper uiguilscconfucrudincm, «t popuii principum morcs,quanrum ficri
porcft, imitenrur?ma- ximc uiri n(jbilcs6J in cxilliiuarionc habin, qualcs
cranr Pliari- faei ;quos finon ob ahud falrcm uf Hcrodi &:Pilaro runcpro
Imperarore Tibcriogubcrnantibus,fimuIquc Romanorummo- rcs, ut ait
Iofcphusinrroduccrcfaragentibus,rcmgratam facc- rcnt,ucrofimiIc
cftconatosinaccubiru^qui nillcgi rcpugnabar, ficur &:in mulris ilijs forfan
minoris momcnri Homanosimita- ri,quod Chrifti tcmporc omncs Oricnris narionesfaciebant.
Quqdporro ilcbraci inalijs plcrisquc Romanorum fcqucrcn- tur rirus^abfquc multJ
laborc indicabo; tumidcju >J imagi- nanturdcMahahaud qaaquam
conliJtcrcpofscmonftrabo . Itaque noneftnegandum poft redadum aPompeiom Roma*D
norum potcftatem ludacam, &: poft ArcheJaum iu/Tu Augufti in cxilium
expulfum eam nationempcr procuratoresfuifseguber natan^5 qua occafionc
Hicrofolymis^atque in orani ludaea innu^ mcrimilitcs, ciucs, atque cquitcs
Romani omni tcmporc h^xhi" tabant,quosacquum cftcxiftimarcfccundum
Vrbjsritusuixif^ fc atqiicipfis Iudaeis,ut contingcre ubiquc foIct,eoscommuni-
cafse,ncque id Hcbraeos potuifsc afpcrnari, nc muJto magisodiumprincipisfibi
adfcifccrcnr. Er fi rcdc expendantur quae dc Ronunorummoribiisin
couiuijsfcriprcrunc Varro, Ciccro, Scrxca,
PIinius,PIutarchus,Su^tonius,Galenus, Arhcnaquod /iaiiJitcr fc- cifsc Chrillum
in cocna difcipulorum mcmoriac mandatum eft. quodctiam dixi in primo
de.gymnaftica Romanos/crcfcm pcrIauari,rQCcofqucrcponcrcfolitosprius quam
menfaeaccuia bcrent,idcmfa(ftitafsc Saluatcircm ncmoinficias irc ualct. lam dc
ungendi ufu polt balncum,
pfitpracrcrClcmentcm Alcxandrmum Athcnacus quin^tode- cirao lib.
Dipnofophift. apud qu.emproprium,& odoratum un- gucntum finuulis corpori
partibus dicatum Icgitur, utob id Mariaquoquc Roman(),&: Gracco
moi*curcns,uolucrir,6v: caput &: pedesChrifti, tamuiucntisquammortui
ungcix, qui quafi incrcpans Pharifacum quod fimilircr non fccjlsct, ccrtum
indi- ciumacfulicfibi placuifsc Romanorum, &: Graccorum ungcndi
confuctudincmuWcruari . Et quod di\itChi'iftus dc illo,qui acccdcnsad conuiuium
nuptialc, laccrn.a adhuc indutus uc- ftcm nup>i.rk'nvnon induifscr, dubio
procui cx.ri^bus Romanis torum fuit capium, Dc loc,i nobiliuirc rum m
pontificali, tum iu ciuili,rumin confulari conuiuioluib^banjL Romani,ut lurrat
jf^iutarchusin Sympofiacis,atq. Macro.bius.,non cxiguum difcri- mcn, m inrcrdum
mcdiusmcdij Icv^lj, intcrdum imus ciufdcm, arq. primiaobilio.rcsrcpurarcnrur,
cuius rci lUuftrccxcmplum eftid^quoddixjtChriftusaducrfusiIlos, qui primos
accubitus ambic- 2^ 7&: ccruicalibus
fuperterramconrtratis,nonautcm alrc pofiris. C^i ucroSy- riacc EuangcUum
fcriplit, ucl rranfumpllt,cum torLxn nomcn li- bi haud fuppctcrct proprium, quo
explicarc pofsct ucrum Ro- manorum triclinium/naluir ouod habebar
uli:rparc,quam rcm pcnrtusindeclaratam rclinqr.crc . At mhil hcc dl, prac ipfi
Magdalenae ingrcdicntir ilanti rctro iecu^ pedcs cius, quac omniauti
accommodari nullopacto queunt fifupra tcrram fi ut immcdiatepofiti Iccti, fic
trichnit) nofiro iudicandumunicui- quc pcrmitto,quamaptc congruant . Ncquc enim
crcdibilc cfl,fifefc mulicrgcnibusin tcrraminclinaflct fuifle idEuangc- liftam
taciturum poftqiiam mmimc filcndum putaLit,quod Ita- rct rcrro,&:fccus
pcdcsjacl rymifquc cos rigarcrrnamqui tan- ta diligen[iarctulit,quaccumque
ibiconrigcrunr,non dcbcbat ctiam genuflcxioncm omirrcrc,&: mulromiiuis
pofi(|uam iam di- xcrat jpfam ftcrifsc. Quarc iamlarismonllratumarbitrorChri-
ftoaccumbcnrccumitaaItefuifvclocaruin,ut M A R l A, quac necparuacftaturac crat,potucr?t
(lans creftarigarc ipfiiispc- des lac.irymis,nec non manibus cos contrcihirc,
6c c apillis lic- carc, d^ r jmquc ungcicQuod toruRiluculcnri/rnnc cxpnmi in
aucc|> ^^..A uiviiiiij .iQiui fisura^ueiniacaincgarurumconfido, Cum 7ii L 1
i> r R . Ciin; huaifo/ontioncpcruenifrei:j,iarno.ea j^^^c^^m fnfflic- 0 ne
accelcrarer, oWata eft occafio AJphou Salaieroiii^ oUl^ iclui ta? dottiilimi
prolcgomcna in Sacroflmdam Euangeiicaln hifto- riamfingulari eriiditionc refcrtalcgere:atq,interlcgcndum
cu mihi Canon quadrjgcflimus fcxtus prolegomeni undecfmi oc-
currinct,ubidircrtilIiniedeuniucrfiiaccubitusrationc, dequo Magdalcne in
lauadis atq. ungcndis Chrifri pcdib. GtUynec nou dcloannisin ciufdcm Chrifti
hnum recubitu difpuiar,incrcdibi lcm quandam lactiiiam fimiil,& admirationc
mihi pcperit, cte- nim lactatusfum,quod mcas cogirarioncs,qiKis fcmper
nouas5&: forfananeminc alio propofiras cxifrimaui,auirofapientiilimo
&:raradodrinapraedito iraclare confirmaras,quafiquc incon-
cuflasrcddita.sinucncrimjAdmirarioncm vero cacpi non exigua quomodo ricri
porucrit, ut in rc ufq. adco obfcura ncc uetufta il E muJ nos conuenire, ac in
nulla re difcrepare licuerit; Et li enim quotemporc gymnaftica mca in lucem
exiuit^is adhuc uiuerer, quippequemfaepius concionantem RomaeaufcuItauerim,ubi
cos libros dum Cardinalis Faraefij medicum agcbam, &c com- pofui,& in
Juccm ccjidi, attamcn vtrum eos uidcrit haud quam* quc afiirmare audco, Ncquc
uero credibile eft me ab eius fcri- ptis, quac diflcrui dc accubitu
accepifse,cum ea ha£ienus latue- rint,ncq.ipfumeadem dcreita
dihgcnrerfcripfifse,nefomniarc quidcm ualucrim. Vndcqua^foler
efleuerirarisingensuis,puro eodcm fpiriru ambos nos ad ca fcribenda fuiflc
impuJfos, &c pro- pterea quicquid ea d^ rc di Antc folcm cxoricnrcm nifi in
palacllram ucncras: (jymna-,> fijpracfcclo haud mcdiocrcs pocnas pcndcrcs.
Lx quo loco » gymnafiarchum colligitur in adolcfccnrcs^licjuid pcccafscnt,
animaducrtcrc magno Impcrio confucuific : ut ctiamclarius,> in amatorio
Phitarchus docuif. dc hoc &: Ciccroinfcxta Ver- „ riuarum : Dcmolicndiim
curaiiir DcuKrriii^ ..iliarchus, cj.iod LLC. zionale Cenlrale di F»
quodislocoilli pracciat. Secundum locum habebaf xyftar- D cha. hic ambobus
xyftis, ftadio, $c dcnique cundis athlctarum cxcrcitationibuspraccrat, ut
kriptum rchquitTcrtullianus m hbro ad martyres.&ut cx infcripcionc
conijcitur, quae Komac in foroTraiani in hafiftatuae Graecis littcris
notata,a,not)isiic lauac r.edditacft.
DEMF. TRIVM. HE R MAPOLITAM. ALEXAN I) R1NV M. PANCKATIA STEM. P E R I
O- DL VICTOKEM. P ALAEST R I F AM . ADMIRABILEM. ALIPTAM. PONTlFICEM. TO- TiVS
XYSTI. PERPETVVM. .\YSTARCHAM. BALNEIS. AVGVSTl. PKA-EFECTVM. PA- .£ T R F M M.^AVREL,.
ASCLEPIADES. QVL ET. HER"
MODORVS. ALEXANDRINVS. HERMOPOLITA. MAGNI. SERAPIDIS. AEDITVVS- PANCRA riASTES.
PERIODJ. VICTOR. ALJPTA. (VS^EM. NEMO. DETRVDERE. PO- TERAJ. INCVLPATVS.
XYSTARCHA. FI- LIVS. PONTIFEX. tOTIVS. XYSTL PER PE- TVVS. XYSTARCHA. ET.
BALNEIS.. AyGV- STJ. .praefectvs. Alvhoc, fcnfcnria uiea,diucrrus fuit
Pracfcaus luftaca Galeno lWT«7r«A«w«Tfl5UOcatiis,qui pcrinde,ac Pacdotrib a
qui- damliid.intuimdimitaxat magilkr erat, cum xyftarchiisplu- rium
cxcrcitationum raodcrat()r,viPacdi'tribam nominauir,6:in Protagora irafcriptum
r cl i q u r : t Ti Tolfw tt^c: to Ctoi^ Trct^o^o r^tHccs TTkykTtwcto hcctcc
cwijlx - mRi^ri^t ''cXP^T^i fjTTn^iTMJi TH ardos,accx r^narisho^ minibuss
clcdosfuif^c rcmporc/iio,iMdit.Prorogymnaliosuide- tur Scncca cp1il.83.cos
uocafscquiiimul cxcrccmur uocabulo (quod cquidcm fciam)nulli alrcri vlurpato,
quamquam Mure- W.v pr^:'vnmallas kgciidum malucrit in/u sad cumlocumno- tis.
.AuVwouoquc ab Ariftotclc 2.Ethic.cap.6.a Paulo Ac-li.3.i5,aItcr medicr
dumraxarmandara cxfcquirur,parircrPaedoiribaexm-iiit:onfi cmniu faculr.Kcm
ignorabar, ^ymnaftacque pracccpra foium fa cicbat,vrpotc qui
vfum,&:difocnrias,&:modum cxcrciratio- num cxpcricntia quadam
callcrcr,fcd ob ignoranriamfacpcnu-. mcroabcrrarct, vtinnucre voluit Galenus in
libcllodc pucra Ep!!cptico,ubi dixit,difiiciIcfuifseprudcntcmpacdotiibam in-
iicniic.Manc ^ymnaftac, &:pacdotnbae dilicrcciam Arifrotclcs quoquc
philofophus cognouifsc vf,dum S.PoIiticorum conclu- dir, Adokfccn-.es
gymnafiicac atqucpaedotribicac tradendos forcrquarum altcraqualcm qucndamf
icircorporis habirnm, al.;-: tcraopcrationcsjcSdquartoPolitx.locoanrcacirarordicir:
rrot^ roC tsc^iJ^ot^ i&jv kccI rov yviAVxsiKOv woc^acrKW icwlcti, kcc\
rayrm Isirwcf^vixiay. (iymnalrcs itaquc erar pfcctiis excrcirarionu,pae-
dotribauerominificr.&: panific:,coquo, acacdificaroripropor-
tionercfpondcns/accrepanes,obfonia,acdcsfcicntibus quidc, minimc ramen,quid
inipfis optimum fit,quid no optimum,inrcl Jigcnribus,quamucfaculrarcmipforum
unumouodquc ad ftuii tatcm babcrcr,non dignofccnribu^. Hacc duo nomina apud Ho
ji ci unon exfiftcre narrat Galenus:quod,vranrca declarauimus, UA\i\v.:\
dumraxararris gymnafticac tunc rcmporisapparcbant, jxquc arsad rcgulas ac
formam rcdasfta,&:prui nde nco, arrifcx, ^,aiirafccrtranc.Adcrat6^
SphacnTricus,cGru,quip;la hidcbr.t, ». qtianim alias rwdens dxuerfis gcneribus
jmifari ut vel harmo- D nia,uel ry thmo, uel nudofermone ; alias diuerfas res,
vt vel mclio- resjvel fimiles,ucl detcrioresialias diuerfb modo,vt vcl agcntes,
vel introducentes, vel narrantes,atque aut alienam pcrfonam indutos, autnon
mutaros;de faltationehaec concludit: ccCrc^J^lrc^svStKa ^^oOvTTcti Xoogis
i^ixouicicsyoi rSu Sgyhswp, Kcci 'y^ ovroi rm ct^yLxri^o^ (cit
pv^iAmi4i^evt/r(ci:^Kcei TrccSH^KcciHkKcci TTgccfu^. i. Numcro ucro iplofinc
harmonia,imitantur faltatores:ifti cnim numerofa gefticulatio- nis uarietatc,
morcs, palTioneSx& aitioncs imitanuir. Ex qua ora- tione apparct,
og^^Hctiu^, Huefaltarioncm^ nihil aliud fuifse,quam fa- cultatemquandam
motibus„ac gcftibus corporis^artificio quo- dam,numero, &c ratione fadis
imitandi hominum mores,affea:us^ &:aciioncs. qui cnim in /.ciuilium
dixcrat,nihil cfsc in rerum na- tL]ra,quodmagisexprimat
rerum.fnTulitudincs^quam numcrum, E &:cantum,.fapi€ntereriamfcrip/it,
filtatoresin imitandisadioni- busnumcro uri . Quomodohacc per numcrofos morus
efficere- tur imitario,unus omnium clariffimc poft Ariftotclem expreflir PIu
Prob^i. tarchus, qui in ix^Conuiuialium faltationem rrespartcs habuifse
fcriplir, iatioucm y figui-am, &:indicationem ; eo quia tora ipfa cx
motibus,&: habitudinibus >&: quieribus conftarct, perinde ac
harmonia ex tonis,atq. inrerualIis:Iationem dicir ipfc uil aliud fuif fe,quam
motionem affcdtus alicuius, vcl adionis, ucl potenriae re- praefenrariuam :
figuram uerofuifie habitudinem, difpofirionem- que, in quam motio fiue lario
rcrminabatur, nempe quando falra- tores quiefccnres fecundum Apollinis, uel
Panis, uel alicuius Bac- 7>«fcl«& chae( ureftapud Platonem) figuram
difpofiri in corporis fimili- bus formis graphice aliquantiilum perfiftebanr,
indicationem au- ^ temfuifse non propric imirarionem,fcd alicuius rci, ncmpe
rerrac, caeli,vicinorumnumerofe,arqueordinarismoribusfadamdecla'-
rarionem.quemadmodum namque poetae, dumimiranrur,alias
nomintbusfi(ftis,aIiasrranflarisuruntur;dum ucro indicant,pro- pria nomina
ufurpant ifimiliter faltatores imitantes, figuris, &: ha- bitudinibus;
dcGlarantcs aurem, resipfaspraedidis indicarioni- busutunrur: adeo ut, fecundum
Platoncm, Ariftotelem, arque eriam Plutarchum, tora haec falratoria facultas in
imitatione folo motu fada conliftcrct.iphq.faltarores nil aliud aOirarcnt^nifi
quod fefe mouentes numero,&: ordine gcfticulanres,aur lationibus, &:
fi- gurismores&: aflcsaus imirabantur,aut indicationibus declara- banr, aut
omnibus fimul morcs,perrurbationes,atque adiones ho- minum rcpraefentabant.unde
non abfque fumma rationc Simoni- dcs r4 toi k DIU dd api m m m k m P7 A dcspoeta faltarioncmpocnm taccnrcm,
ficurl pocfimfaltntionem loaucntcm uocarc folcbatiquamquam rcfcrt
Plurarchus,rcmpcfta ^-o^^»"»- rcluaucramfalrationcmamufica, cui
aflfociabatur > dcprauatam fuif^ci atqucacacicfti illa dccidcntcm in
tumultuofisacindoc^^iis Thcatris inllar tyranni cuiufdam impcrium tenuifsc,idq.
poftrao- dumufquc ad rcmpora noftra pcimanafsc, in quibus omnisfalra* tio
corrupta cft,omncs cordari uiri cognofcunr. 'i^uihus aurem prj- nnishuiufccmodi
falrationcm hominibusdcmonftrauerir, iatis co- pcr:umnon habcrur, nifi quod
Thcophraftus apud Athcnaeum rcfcrt, Androna Carancum ribicinem, dum fonarct,
morioncs ar- ^•pno'* quc numcros corporc crtccifsc, Sc ob id apud ucrcrcs
falrarc uoca- tum hiifsc ficclifsarc ; poft qucm Clcophanrus Thcbanus, &:
Acfchylus mulras fataroriac riguras iniicntrunt, quas i^wiciiovt B Sicula uocc
appcllatas Epicharmi audorirarc infinuar Arhcnacus. undc hodic apud multas
Iraliac narioncs Balli nomc adhuc pcr- durar.Fuitporrohaccfaltario
rantacc\iftimarionis,arquc honoris apudantiquioi-cs,ut Apollincm
faItatorcmuocarcnt,qucmadmo- dumPmdarus: O sj^Hscc AyXjaxs i>cij dc quibu^
lic luucnalis» Torfttan exfpecirs ut Gjditana canoro Sat. x i. Inciptat prurire
chorOy plaufuq, probatae icrram tnmulodcfcendat clunc pucllae, Irritamtntum
veneris langtientis, et aird piuitis vrticae &! huiufcemodi aliae . Ab
inucntorc autcm modo uocarac fuc- runr aliac Pyrrhichiac a Pyrrhicho quodam
Laconcfcu^ur alij ma- Iunr,*a Pyrrho Achillisfilioinucnrac, in quibus arman
falrabant cuni canru, &: llnc cantu. ur uidcrc licct c\ i conc ab antiquis
lapi- dibu5Cxccpto, qucm hic poncndum curai.imus. H 1 A (Pyrrhichias autcm
noftris tcmporibus acmulantur illa pugnarum
gcncra,quasMorcfcaspopularfuoc'ai3uloai^pclIant.) Atquchac
uarianominaobrinucrunt, utOrfitis, et Epichcdios pcncsCrc- tcnfcs, Carpaca apud
Acmancfcs 6c Magncrcs, dc qua Xcnoplion. 6. de cxp. Cyri. libro, apochinosliue
madrilmos, quam mulicrcs faltabant,&obidMartypiae uocabanrur quac
Ibbihorcs,^: uarictarcmaiorc pracditac crant, ut dartyli,iambici, molnfiica,
cmmcJia,chorda\,ricmnis,pcrfica,phryi;ia,nicariimus,thracius,ca- labrifmus.
Tclclias aquodam uiro TcIclio,qui primus camarma- tas falrauir,fic uocara, qua
utcntcs Ptolcmaci milircs Alcxandrinn Philippi fratrcm fullalcrunt,aliac
rornarilcs liuc ucrforiac, quod lc in circum ucrtcntcs falrarcnt .
Erorianus,qui Andr.)macho Ncro-
nis,quodfcribirGalcnus,archiatrocontcmporancuse.\lhtir,has B faltationc5
/ir#t/c uocatas fcnbit.ahac infanac, ut caudifcr, mongas,
Thcrmaultris,nccnonanthcma,quamfaltanrcsobibanr,ita diccn- tes, vbi mihi rofic,
ubi mihi lilia, ubi mihi apia : ahac ridiculac, uc igdis,madrifmus, apochinos,&:fobas,morphafmus,C
.laux,6dlco: ahacfccnicacqualcs tragica,comic.v,&:lat\ ncaraliac
lyricacqua- kspyrrhichia, gymnopacdica hyporchacmarica. quac omncs quomodo
ficrcut, non cft praefcntis tradarionis dcclai arc ; fatis iit inrelligcrchanc
rcrriamlalrarioncm rotatqucplurc^adl.uc diucr (as fpccics, quibus libcllum
proprium dicauit Lucianus, habuiflc ficut ctiam diucrlis motibus tam pcdum,
quam manuum utcbatur. cumcniiujnotusomniscxfcnrenria Ariftotdis cximpullu,
arquc 7..Phyr. traducoponafur,falrantcsaurimpcllcbantcorpus,auttrahcbant;,
&: hoc furium, ucl dcorfuin, ucl prorliim, \cl rerroifum, ucl dcxr C
trorfum, ucl fmillrorlum : a quibus poftca motibus componcbatur
limplcxambulatio,flcxus,procurfus,raltus,diuaricatio,claudicatio,
ingcniculatio,clatio,iactatiopcdum,pcTmuratio:quil)Hsto:a fal-
tariopcrficicbarur. De finc faltationis^ ^ deloco. Cap. yil- V M antiqui
inccrraminibus,atq.ucnationibus,pcduni cxcrcirationibusfcrc lcmpcr Itudcrcnt,
manibusq.mo- ucndisnullamcuram adhibcrcnr,ucnlj-uilc hr, ut prius
faltatoriapancs intcriorcs dumiaxar cxcrccns inucuta
iit^dcinccpsj^iifot^c^ft/icquacordinarasmanuum motioucs cdoccbar, ci
adiunctaiic, ut una cuin ccrcris pracdiCtis motionil^us mannum conncxioncm,
confcrtioncm, coinpcdnnationcm, diilcntio— H ncin ico ncm, complexum,
altrmationem falrarores pcragerent : arqucita D vniuerfa faltatio ex motibus
tam manuum,quam pedum ad rcprae fentandasresformatisconflata fir. quod autem
faitantcspraecipue brachia moucrent, figni£cauit et Ouidius ubi dixit: » . et i
de Sivoxefl, canta, fi mollia brachia, falta.arte auia. Brachia faltantis,
vocem mirare canentts. HuiusfinisprimariuslicetCvtdixiraus)imitatio foret,
nihilomi- nus alios eriam fincs eam habuiffe compcrio ; nam ad rhcatra, &:
ad ludosvoluptatisgratia,necnonob rcligionemquandamadfacrifi loc.cit«.s cia in
ufu fui nfe practcr Platonem atque Plutarchum teftatur Gale- nus, qui in
principio curatiuac artis uchcmenter contra ful tcmpo- ris homincs inuchitur,,
quod faltatoriae nimis opcram darcnt, qua-
fifolisuoIuptatibus,&ludisdeditibonasartesnegligerent. Qupd p
paritcradquacrendamcorporisfonitudincmmilitaremqucpcri- tiameadem filtatione
maiores noftri uterentur, tametli fupra ex Platone comprobatum fuerit, tamen
addendum eftillud, quod omnisannata faltatiopyrrhichiauocitatano ob aliud
inucta fuit, niliquouirtuteilIius;tampucri,quam uiri,&:mulicrcs modo ho-
Hcs cffugerc, modoinuadcrc.aliosq. gcftus bellis gercndis necefla- rios
pcrdifcerent. unde apud Xenophontcm Paphlagoncs Mimam filtatriculam a Myfo
pyrrhicham filtare iulfam confpicati,admira tes graecos interrogarunt, numquid
mulicribus ctiam in pugna uterentur.inhocquidemfaltationis gencrecum Phrynicus
fe ex- cellenter in fabula gcthifct, illumfibilmperatorem Adienienfcs
delegcrunt. Nequcctiamdifficilccftindicarchanc candcmfalta- tionem, et bono
habitui comparando, et fanitati conferuandac no p parum conduxiffc.
quandoquidem de nianuum gefticulationc, dc- ^^^'''''^•'Ptumicpcritur&ab
Hippocra cur.aon^ ^ ab Arctaco, atqueaIijs,procxcrcendis&:lanis,&:
inrerdum «ap 1. aegris corporibus ufurpatam cffc . Temporibus uero
nofttisfalta- tiones alias temporc, ordine,&: ccrto modo fadias talcm
utilitatcmpraeftarc ncmonegaret, qucmadmodum Galenusfe plurimosfa-
nitatircftituiilcaliofqueincafoliusfiltationisauxilio confcruaf- feconfitetur:
quifimiliter et faltatorum excrcitationes intcr ce- teraa medico petita
recenfuit. dum dixit: isx^^&v ctUnCrovciKtvk- ciis ivttiSK^^ivrxt itlytsx,
KCti tSi^tJ^mvvTxt s^icponwvoi ri^isa, Kcet ok^«- »> CflecTij IfxvisxvTtu,
Kxi nygoofvgtvat, Kxi i/g.c)(i{ov(fiv \m Trrltsov rKCKt- i>A«. idcft
faltatorum uehementcs motus, m quibus maxime fal-
>>tant,&vclociflriiTicuoIutati circumcirca uertuntur,necnon ge- nua
fleaentes furlum exfurgunt, atcpc crura plurimum atrra* hunt £ . loi A
hiint>diuAncantquc. ut dubirarc ncmo dcbcat, quln Orclicfticam ingymnalY^ca
mcdicinac iurc collocaucrimus; praccipuc quod Socrarcs in conuiuio Xcnophontis
fc falratoriam tum ad ualctudi- >confcruandamquc,tauTad corporisr)hurcompa
randum cxcrcuifsc palam profitctur, cuius quoquc gratia cum fibi amplam
domumoptallc tcrunt.Qui uero hanc orchcllicam cxcrcc rcnt,uariosfuiIsc rcpcrio.
Cinacdosmaximc omniimilaltandi ar- ti opcramnauafsch^nihciuitPlaifrus : apud
qucm Pcriplcdomc- nus fcncx lic ait. Tum ad faltandum : non Cinacdus vfquam
magis faltat,quamcgo.quamquam Nonius Marccllus Luciiij tcftimo- nio,atq.
ctiamPlaut:,valt, cinacdos didvisa uc crib. faltatorcsip- Ios,atqucpanromimos,
6c totisuiribuscontcndcbant, utnonrarolic ludantibus ofsa aWqua frangcrcntur,
^Sc luxarcntur, quac illis palaclbico quo- B dam paclo ab alijs diucrfo fc
rcmirrcrc cofucuilsc rcllarur Galcnus . Hoctamcnanimaducrrcnducfsc duco,
C^alcnunon modoluchim arhlctica,qua rclpub.bcnc inlliruras odifsc fcribir,
improbafscuc- iu&:lanirariftudcri: inrcrduparcc laudafscur porc qua
roburqui- dem auecrur, at luxarioni s, ac fractionis ofliu, nccnon
lufTocarionis pcriculumimmincat. fmiilircr&:Clcmcns Alexandrinusqui tcm-
pore Galcni Romac floruit,in iij. Pacdag. lib. ubi cxcrcitarionum traclationcm
habct, lu uo- lutatoriu nuncupabatur, fpcciesq. lucbc erat, na in luda
ccrtantcs fefc dcijccrc ftudcbant,rccUq. mancbanr; in pancrario aurcm noUi rarorio
humi proltcrncbatur;atq. ibi inuiccm c6plicati,fcq. mutuo conuolucntcs, altcr
altcru libi fupponcrc nitcbatur rqucmadmodu clariflTimc moftrant dcpicli hic
nummi cuiufdam Salulbj Audoris,, quifubValcntiniani,&: Placidiac Augultac
principatu Africac rc- gno ui occupato ludos fimilcs, atq. alios ob uiaoriam
cdidir. tor A Dc hac cxercirarionc uerifimile mihi fit, AriRorelcm vcrha
rccifie, lib. S M ubiiiulhim crcftum,& ftantcm continentcr,&: tuto
uiccdcrc po^c '^demonftrar,quia pcrindc fe moucrcr,ut palacrtrirac, qui pcr
puliic rcmin gcnua fubfidcntcs procurrunt.Dc hoc itcm ahcui probabi- Ic
uidcrctur,Iocutumcnc Martialcm,ubi dixir. 7>{on diho qui vtncit, / q'a fnci
nmherr fiouit Et didt mclius thv ivccKKivoTrd^wj. nihpotius cxponcndu cllct
«WAiFOTraAw, rcficxioncsquapalacftrlta rcduii^opcdorc aducrfariurctrahcbat,ac
i(!iuilhus dcuitabat,aut potius ( vt crat Pocta fcmpcr obfcoenitaru amator) ca
lcdi luclain- tcrprctcmur,(4. K?u^07ri?jiv Domitianum vocaflc tradit
Suctonius.&: quaafpurcilVimistam uuisq. foeminis cxcrccri confuclTc narrant
e^.colle.'?. Spartianus,Lapri dius &: Capi tolinus . Dc codc itc loqucbatur
An- B tyllusapud (^ribafiu,du dupliccluCtactrccit,altcracrcLlam,aItcrri fupcr
pauimcnto; pro luda lupcr pauimcnto nil aliud intclligcsni- li PancratiQ
uolutatorium,quod tamen ualdc diucrfum crat ab alfc ra uolutationc,ab
Hippocratc ihts^J^Hirm nominc lignihcata,qua ho- ^ ^j^^: mincs in palacftra
humi prolh ati ucl loli, ucl cum alijs circumuol- ta. ucbantur,&:dc qua
Coclius Aurclianws ucrba fccit^ubi uolutatio- ^.Jdiact. ncmin palacftra pro
diminucnda carnc laudauit; fiquidcm inca ncc certabant,ncquc comphcabantur,fcd
folum cclcritcr fupra pa uimcntumnitidum, aut pulucrc confpcrftimfcfcrorabant.
undc Galcnus cam intcr cclcrcs motus non linc ratione poluir. 2. dc tue. De
Pugilatu,^ Pamratio, c> CefiiLus. Cap. I X. ^c^Kjr^^f X yilatoriam
'm/yiJUKH¥ a ( iraccis uocatam antc Troiano- m?\ rum tcmporam uiu
tuiilcjtcftati funr Hmius,&: antc Vli C «j Kjf^ nium Homcrus,qucm ctiam
Plurarchus m i.Symp.ob- Prob.u §P--£^if fcruauit, continuo pugilatuml
uCtac,&: curfui iccirco pracponcrc, quoniam hoc cxcrcitarionis gcnus pii us
iUis origincm accepit,ficuti quoq.Lucr.hoc ucrfu innucrc uidciur. ^fjnaantiq ta
manus, yngues.diTitcsquc fmYUvt. Libj. Quid vcro clTct haec
cxcrciratio,quomodoquc pcragcrctur, pauci (quod cgo fciam) diligcntcr
cxplicarunt, &: minus cctcris hac rcni intcllcxcruntilli,qui
pugnaccftuu,&: pugilatum idcpcnitus cxftitif fc uolucrunt . ex auctorum
tamcn (cnptis conicLtura cofcqui pollu- mus in hac cxcrcitationc homincs nudos
conccrtarc cofucuillc, pu gnisq. ftrictisuclnudis, ucl acnca,ucl
Iapidcafphacraplcnis,undc ^^fCf«t;^t^, uel loris,laminauc circumlcpti fcfc
inuiccm pcrcutere, modocaput,mododoihim,modobrachiapetcnres,ncque vnqua fcfe
mutuo c oniplicantcsi in qua pugnafupcrabat qui ucl aduerfarium pugnorum idibus
in terra profternebar,vcl grauius &: damno- D a. ^ymp. fius
fcricbat;quamquam non defunt qui ct calcibus huiufmodi pu- Pf«b. gnamfavfliratamtradant,obidq.
apud Senecam cpift.Si. non o-qui hanc rcdiligctiflimc tra(flauit,nullum poc* E
ncucrbu de hac exercitatione habi]i.t,/icuti ncc vllus alius fidc di-
gnusmcdicus exccpto Arctaeo, qui in ucrtiginofis pugilatu come- uarus. Qupd
fipugilatus mcdicae gymnafticac excrcitationis gc- nus cxftitifset,aequii ccrte
crat,non adeo ab oibus filcntio practcri- ri.Altera ratio eft,quod,fi natura
pugilarus exa*5te fpeftemus ^ cii p- cuflioncs, &: euitationes bellum
gcrentib s necefsarias acmulctur, ut diccbatPIutarchus,cdocearq.quin militarem
pcritiamagnope re adiuuet,infitiari non pofsumus; at cu iolum brachia,atq.
pugnos cxerceatjinterdumq. potius plagis,ac grauibuspcrcufl^onibuscor
pusofTcndat^quomodo ualctudinis conferuationi,bonique habitus acquifitioni
cofcrrc poflir,no uidco : ut tuto diccndu fir,pugilarum in gymnaftica mcdica
exiguu ufum habuifse, in militari ucro mul- ^ tum,in athlctica plurimumrcuius
principes,&: au(5lorcs fuifsc Amy- cum,atque Hpcum,prodidcrunt
PIaro,&:Galcnusi ncc noninqua adeo Glaucus Caryftius cxcclluit, ut quinta
&: vigefima Olympia- decoronatus pi(flae,i. pugilatoris nominc pcr
excellentiamme- rucrit uocari . Pugilatorcs iftos pinguedini comparadac opcra
de- \a f"|^c.^^S*^P^'d Tcrcntifi.quod agcbat, utgrauiuspcrcutere ua- 3, *
lerent,&:plagasip(isillarasminusfcntirent:cftcnimcxpcrientia&: ratione
coprobarij, obcfos minus ex carnibusiniurias fentire . Cur autcTcfprio illc
Plaurinus,ab Epidicointcrrogatus,quomodohc- ri lis filius
ualcrct,rcfpodcat>pugilice atq. athlcticc, no cft admodu j.dealim. dilficilc
conic(flura cofcqui.quod eria Galcnus fcripru reliquit, Lu- facc.i. £tatorcs
potiiriinu athlctas ueros cfse uocatos,led pauUo antc ipfius 'tcmpora etid-codc
noininc appcUacos fuilse pugilesA pacrariaftes, qua dc rc ficri por ut Plauri
acrate pugiles ab athletis (liiicrfi cfTcnt, ^'J^u i e- vtriq. tamcn robori,
&: corporis crallitiuiludcrct^iSd iccircorcruus
illcmcritopugilatum,&:athlcticam fcparaucrit,hcriimquc fuum robuilum, tSc
pinguiucntrccflc llgnihcarit. Exluvla (5^pugilatu tertiumquoddam cxcitationis
gcnus componcbatur, quod pan- cratium communitcr gynmaflici omncs appcUabanr,in
hoc( ut tc- llatur Arillorclcsprimo Rhcroricorum)qui cxcrccbanrur,aducrfa-^^^*
rios,&:pugnis rcrirc,&: comprimcre,&:contincrc,&: dcijccic
(hidc- bantrnam pugilcs lolis pugnis conrcndcbanr,ncc umquam compli
cabanrur>ut commcndanda iit urbanitas Horatij,qui ^.SaryrJi.x.
ucnuitcadmodumphrcniticos, quod pugnisminiilros,&:adilarcs fcrirent
pugilesvocauit.luclatorcs comphcabantur,&:comprimc- bant,ut dcijccrcnt,fcd
pugnis minimc pcrcuriebant, pancratiaflae ^ tumurroqucutcbantur,&:tumcriamquacumquc
aliararionc, ut dcnribus,gcnibus,calcibus,rahrris, dcniquc toto corporc ( ur
dixit Paufania5)aduerfarium uincere contcndcbanr,arquc in eo a pugi- li^^-i
clu, libus dirfcrcbanr. quod iUi pugnis llrivftis, hi digirisfohimmodo in
flexisccrrabanr. atquc hoc iiiznihcarc voluir Oalcnusvbi fcrinfit: ^-^J^^^^ %i
A iKXso: TJu:- in pancrario
protcndcrinr. tahs ctcnim manuum hgura prchcnfan- '> dis aducrfarij.scui
maxime ftudcbant pancratia(bc,ut nomen quo- » que lignihcarc uidctur,ualdc
accommodata crar,his dc caufis cxcr citatio hacc Trcmioiyav uocara
cflquandoquc,(icuti iMato Eurhydc- mum 5rflrftfat;^0Kdixit,nccnon ambobus
ditHcihus ccrramcn habcba C tur,ob quod C lalenus in 6.Hpid.vbi renibus atfcdis
cxerci tationeni commcndar Hippocrares, fub tali cxcrcitarionc non dcbcre pan-
cratium ob magnirudincm laboiis intclhgi crcdit. qua itcm rario- ne pcrmotum
opinor Plaroncm, dum dc lcgibus lua ilhi paru al> ahquibus approbata fcminas
excrcendi rationcdudus, mulicrcs folummodo pofl nubilcm acrarcm pancratio
cxcrccri confulir. de Pancrarij fpccic quapia loqucbarur mcafcnrcnria
Galcnus,quan- doincommcnrarijsfupcrhbcllum defalubri diactadixit,gymna- ftas
fere,quos impinguarc uolcbant con(liruil]c,inrcrcxcrccndum TT^ ouis ncfcif,maiorcs
noftros intcr alias cxercitationes,utdVputatPIu:archusij. Sympof. v. ad
fpcchiculat, ad miIirarcscxcrcitationcs,adianos habirus acquircndos inflirutas
curfum quoquc habuifsc? cui locum pcculiarcm in gymnalijs alli- gnatum nullum
uiderc licet, quod hacc cxcrcitario m uijs ipforum communibus, dum ab alijs non
occuparcntur, ficri pofscr, atquc ctiam quandoquc in loco, ubi alrus puluis
llrarus erar, (i crcdimus ^ Luciano,aiZcrciur.ncquccnim pcridromidasad
curfum,crfino-InHbioga mcn innuat" fcd ad deambularionis ufum inftiruras
fcimus cx fupc- rioribus.Athlctacqui ludorum &: ccrraminum gynmicorum cclc-
britatcsrcpracfcnrabanr,ufqi:eadcocurrcndi uimintcrdum acfti- mabant,ut (quod
rcfcrt Plinius) licncm (ibi iplis inurcndum cura- li.i i c.57 rcnt,quominus
illc currcdi cclcritatc,(icuti folcr,impcdircr. Huiu- fcc curfus ccrramcn,
(icur 5c luctac primos Elcos linc ullo uctcris iDCmoriae cxcplo infli ruifsc
audor cft I^aufanias : apud quc fimili- y.&^.Eiu ter legitur,Endymionc
filijs dc impcrio ralc ccrtamcn in Olympia .E|»ai. fe,quado et
Senecaintercxcrcitationes eorporis,quarurationeha- bcndacenfuit^primu locum
curfui dedit, etfi non admodum perci- pio,quidcpift.3. indicarcuolucritdumfc
Hieram fecifscquod ra- ro euenit curforibus, aiirnam fi (vt eruditilGrausMurctus
putat) pro Hiera mcdiaftadij lineam cocipiamus,. quomodo curfores cx raro
ficcrc dicat,non fatisafscquor.Huius trcs tantumfpccies cflre-^ cifse AnrylJum
rcpcrio, altera in anteriora currcdi, aJtera m pofte- rioras, SECVNDVS 117 B
riora,altcrain orbcm.quauisitcapud Galcnu,&: (loIichu,&:diauIu i
do!icliusdup!cx unocurfu ftadiui diaulusdu- plcx, ic ipfc ftadium, fcd rcflcxo
curfu.ut ficri poflc cr^da pcryftiljj intcnonsambituiiuqucm diaulum,ob duorum
ftadioru mcnfnrani uocatum tradit Vifrimius,huiulccmodi curfui infcruific .
Quapro- ptcrfalfum illud cflc dcprchcndirur,quod apud Suidamfcgiriir,
ftadiodromus longiorcm tradumctiri curfu dolichodromis,cum huius conlrariu
manifcfto intclligar cx Parmcnioniscpigrammatc> M'i>.d
moucro&:2rauiorapondcrainrcrdumfupracapiir,nonnunqnam fupra
humcros,aliquando in pcdibus gcftafsc. qucmadmodmn ui- dcrc cft cx hac ucruftac
tabulae pi^ura, in qua faltanrcs appofirif- fimc repracfcnraniur : quamquc ur
anriquain,&: ucram a Ligorio acccpiixius.. i2t A dccorarcnt. Erar quoq. q,
fupra vircs oleo un£tos &: ui no plenos pc- dib.falrarct;inrcr quos uidores
ij ccfcbanr, q. ita fcfc dcxtcrc gcre- bar,vt plubricitarc humi no
cadcrct.atq.hijp uic^toriac pmio vtrc cfi vino tcrebatiq. vcro rcrra
narib.pcuticbar,n6 linc magna uolupratc fpcAatorib. risiimoucbat.Ici
auranriquirus obfcruatuinludisiiac- cho dicatis,quos«\ioc(iurccvSx TTfof
TwKflCi^f «F.i.hic fub dio fupra vtrcfalra,& Eubulusapud Arifto- phanis
intcrprctc Kcti7r§oarq.iI- los ipfos ne torpcfccrct i marislitrorc (clc
difcis,atq.iaculis,taq mili tib.apris,cxcrcuifsc:quafi fi no lacdcdis
hoftibJaltC- u.niac agilirari jpforu c6paradac hiuoi cx:crcirafio accomodata
cfscr. Athlcras uc- roi cofc
cxcrcuifsc,nccn6ipublicisccrtaminib.c6rcdifsc,manitc (IQ faccrc pot coisaudtorum
liua,qui intcrarhlcraru ccrra.minadi- fcumocsuno orcadnumcrar,&:pracrcr
hospic^luni/iuahic damus. SECVNDVS. 122 ficiit ctiam Galcnus,Acrius,
Paullus>&: Auiccnna inrcr cxcrcirariones fanitari &c bono corporis
habitui confcrcntes difcum reccnfcnt . Scd, priufquam longius progrediar,
rarioni confenrancum puto admone- rCjDifcum pcncs fcriptorcs uaria fignificafse,
na ccftarur Suidas, discum fuifle inftrumcntum quoddam rotundu,quod aliqn adco
gra- uc crar,ut uix ab uno holc elcuari pofTctiucl uri a D. Hicronymo dc fcipfo
fcriptu cll. Dc hoc cquidc locurum opinor Solonc apud Lu- cianum, ubi
intcrrogans Anacharfin, nunquid in gymnafio globQ qucndamiaccntcmacncum,atq.
tcrctc,in paruifcuti figura forma- tum,ncq.lorum,neq. balthcum habcntcm
uidiflct,qui grauis,&: c6- prchcnfu dilficilis crat, cum manu furfum
cxtortum in acrc ahquos iaculari confucuiflc,fubiugit:Aliqnct
inucnio,inflrumcntLi illud fi- gura foHs corpori fimilcm habuiflc,quod ab
Aicxandro in ij. probl.
(rfucisAphrodificnfis,fiucTrallianus,qctmagisfufpicor,cxftiterit) foliscorpus
/loxdj uocctur. Vocatus fimilitcrluir difcusquadra ro- tunJa,quaepulacin
mcnfasfcrcbantur. V ndc (/^i^K0cu fcrrcus, crat,mafsam uocabir.Huic artcftari
uifus cft Manialis his ucrfibus, Spicndida cum rolii mt Sp^kmni pondera difci,
isif procul pueri, ftt fi mcl ille nocrns, ' Alij.quibus cgo afscntior,credidcr
jnt difcum fuifsc laminam qua- dam trium ud quatuor digitoru cralfitudinc,
logiorcm paullo phis C pcde,alias lapidca,alias fcrrcam,Cacncam quoq. ex
fcpulcro Marci Mannij Philopatris Athlcrac in via Salaria pofi:o fc
uidifsc.tcftatus cft nobis peritiirimus Ligorius) cuiufmodi maiorcm parrem, nc,
du cx alto rucrct, fragcretur,fuifse puto, planam, quafi lcnris fpccic rc
fcrcntem,quam in acrcm proijciebant,fcd modo a iaculorfi milTio- nc
diucrfo,fiquidcm inmitrcndisiaculisbrachiapandcbant,mox prorfum impcUcbant
contra in difco manu adpedus adduda, atq, cxtrorfum U dcorfum rcdu£la,
rorationis inftar illum in acrcm cia- culabantur, ut pcrbellc cxplicauit
Piopcrrius hoc ucrficulo. M jffi^c nunc dtjci pondus in orbc rotat . Quod cnim
difcus figuram,quam diximus, lcnti fimilem habucrir, practcr Diofcoridcm
Icnticulam J^icn/ov nuncupantcm,cxprcfsa hic comprobar Difcoboli marmorea
ftarua, quae hodic Romac ia acdibus loannis Bapriftae Viftorij fcruaiur, in
cuius manu difcum figura a nobis cxprcfsapofitum uidcrc licet. qj* itc oftcclit altcniis difcoboli brachiu
Lapidcu hodie in mangi Tu- fciac duc is acdibus Pitris u ocatis fcruatu, cx
quib. fimihtcr difcu eia- cuhidi modu inieUigere licet, ut prudctcr nos monuit
dodiflimus Pe- irus Vittorius aetatis noftrae ornamctu,quibrachij figura ad nos
miiit. . nj^ H.-irum fbtuarufimilcsaliasdiK-isdifcobc^Iorfifuiflt ucrifimilc
cfl. qrarumunacxacrc Myroncm pracclarilfimiim (btuanufinxifle. a Quinftiliano
cclcbratam,alii 1 aurifcum pictorc illuftrcm cxccl- lcntcr 1215 Icnter pinxjflc,refcrt Plinius-Hanc forma
difcl una cu praediO:is te
fUnrionijsriuidiflctjacmaturecxaminafrc^^GulielmusillcChoulus, nuqua ccne
affirmarc aufus cflet>difcii pila rotunda in mcdio pcrfo rata fuiflcjnifi
bonus illc vir nomine pilae qualibet re orbiculatara practcrl atinaclinguae
vsuintellcxerit. Atq. hoc dicojqifi D. Cy- prianus in lib.dc fpcftaculis difcu
uocat orbe acneum, &: in Marci Aurclij Imp.numis quibufda Apolloniae lllirij
cxcuflTis, quoru cxe- plarfupra pofiiu cft,hLiufmcdi
Difcobolorulufusrepracfcntatur, in quo difcu quadra quanda orbicuIata,& in
mcdio perforata fuif feapparcr.Vt hinc conijcia,n6
vnadifcoruformacxftiriflc,qua fi- uc in facrificijs,fiuc in gymnafijs vtcrcnf.lllud
attamc praetereudu no eft,in difco iaculado artc quada,vt Pindari interpres
oftcdit,ne- ccflaria cxftitiflcjalioqui lacularorcs laudcfruftrati
deridcbarur,&: facpe damna infignia fpeftatoribus afl^c rcbat, quod a
Phoebo adiu fuit,quc difco HyacinrhuinrcrfccilTe fabularur. Difco fi^milc erar
al rcru excrcirationis genus,^AT/Jf»«; a Graecis appellaru, qd*" in palac-
ftra aditari folirufcribir Galcnus.hoc ab halrcribusfupra nomina-
tis,quosfaltatorcs,vt vehemcntiusfiltarcnt,manibus coprehcdcrc c6fucuiff^e,dem6ftrauimus,diuersufuifsc
aperte declarauit Antyl- luscuius, verbaapud Oribafiuita fcriprarcperiurur in
capite TFtfi iiKTUvo ^u^coi/r%, Koci av yKocyiTrrQ u^oou, h Kgctrovyrxi ^iivov
\\/ 7rgcrccfecundum dorfi aflenfum manibus uiciflim fe fleacbat. Ex qui bus
vcrbis plane indicari vr,quod,Iicet halteres huiufccmodi ex eadcmatcria,atq.
eadc forma,quafaItatorum pon dera eflc poflcnt,nihiIominus ab illis diftcrebat,quod
n6 modo ma nibus,ut laIrarores,renerenf; uerum eria uarijs modis emitrerentur,
pcrindc ac rcporibusnoftrisapud multosin vfu habef,quifefe excf ccr,aur
pila,autlapidc vel fcrrcu,vcl plumbeumanibus,ac brachijs extcfis,&:
circumadis in alru mirtcntes, de quibus locurus fuit Are- tacus,aua:or no minus
probatus,qua antiquusuibi in dolore capitis •f •cAT(/f(i)vi3 tum pro
modoprofcdusgrauiores.Exquibusuerbis elicitur Halteres fuifse maffulas quafdam,
fiue manipulos ex uari js materijs
modolcuioribus,modograuioribusconfedl:os,eamagni* tudine,utmanu quilibet
caperetur. qui mcafenrentianedumfo- lis manibus, uerum etiam funiculis
halteribus ipfis circumfufis,de- indeinter-proijcicdum
explicatis,emirrebatur,perindeac faciunt hifce rcmporibus mulri, qui fic aut
rotulas ferrcas, aur cafeos, aut quid aliudfimilcproijciendo certant An uero
^ATwftsaPlarone interccterasadforrirudinemmilirarcm comparadam excogitaras
cxercitationcsnominenrur,nihil cerre explicatumhaberur: opi- nor
tamenegOjipfumubi 8.dclcgibus>haec dcmulicrum propri js ^
CKcrcimionibusknbit,KaUiktsl(X)^ug(!Q nilaIiudanimoconcepifle,nifi quod jllae tumlapidibusamani-
bus, tum a fundis emillis inter fe cerrare dcbercnr. nam, et «Arwftfi aliquando
lapides erant, quos a manibus excrcitatores cijccre confucuiflc indicauimus ;
undc fub nomine lapidis a manibus «m Hi^AT«^ I30 tes,ac primo tendcntcs,deindc remittentcs
illas eiaculabantur^atq. hi coramuni appcllarionc rojwTxi^ucl rofhcci
uocahantun vndc ue- ncnum quoddimrofiKov nominari fcribit Paullus Acginctamcdi-
c-us,quod Barbari fagitras ad fcriendum lethali us illo inficcrcnt:la- culatio
ucro non modo finc amcnro, arcu,ba!iftaue efficicbatur,ue rum etiam grandiorcs
fagittas, craffiorcfquc virgas,& plcrumque graucs palos rcquircbatjquinimmo
fagittarij folis brachijs fcfc mo ucbanr, dKOvrilc.riQ aurcm fiue iaculatores
iniadu brachia contor-
quebant,cxrendcbanrq.&:practcreadorfum,necnofifemorapedi- busimmotis
flcdcbanr,agitabantq.qucmadmodum tcporibus no- ftris, quos pali iaculatorcs
appcllant,fasftirare confpicimus:utrique tamc in huiufccmodi excrcirationibus
obcundis no paucis viribus ll.deaercj indigcbant, unde non fine rarionc
Hippocratcs, multos ex Scythis locls^' ^ pracimporcnria humidirarishumcrum,neq.
arcum intendcrc,nc- quctelumcontorqucre poruilfe mcmoriae mandauit,quiparirer
in initio libri dc fradiuris diccbar brachij figuram aliam eflc Iukkou' rKTyiZ
K(crcccfvjtu,cc^^oJ^t ivotqrkuJ^oPHiriv.KAMj^l \v M6o£iO\imv,%Kko\v7rvytAn.
idcft,in iaculationc f undarum, S>c lapidum cmiflionc,nccnon pugi-
hitu.Habcbantucro,quific excrcebantur,terminos,&:fcoposfibi propofitos,
quos modo praeterirc,modo attingcrc, uiaoriae gratia quifque conabatur.quod
explicauit Horatius hoc ucrfu. Saepe difco, Lib. i.car. ^^t^pf trans finem iaculo
nobilis expedito. ' Ccrerum hoc in loco id praercrirc nolo,quod balifta fuit
tormcnti Iib. de re quoq. gcnus,quo fccundum Vcgctium Iapidcs,&: fagittac
eiacula- iTic^c 1 ^^^f^^ &:quodfimilitcrfagittas catapultis,
&:fcorpionibusanti- ^ ^^' quos cijccrc confucflc fcripfit Vitruuius,dc
quibu^ tractare ad infti- tutum nolhum minimc pcrtinct: quas ucro nos
fagirtationcs, &: ia- culationcs travftamus,illac funt,quas gymnaftica
ficultas tamquam propriasfibicxcrcitationcs complcctitur, Quod cnimmcdicinae
gymnafticaiaculationcs, atqiagittationcs prolanitatis adminicu- lisin vfuhabucrit,
(licctapudauclorcs rarofcriptuinucniatur) in- infuaf. dciamcn conijccrc
poflumus, quod antiqui, refcrcnte Galeno, ad bo.ar. cofdcm mcdicinac &:
fagittationis, iaculationisuc DcosApolIinc ncmpc,atq. Acfculapium cffcccrunt.
At iaculationis vtriufquc tam cum arcu quam finc, praccipuum in bcllica
gymnaftica vfum apud prifcos fuifse, locuplctiflimum tcftcm Platonem
habcmus,qui mu- licrcs,& virosfururos bcllisaptos hifcc in primis
cxercendos cura- uit, id quod mulicrcs Scytharum antca faccre folitas fciebat,
quas Loco cit. Hippocra,&:pcdibus,
&:cxequisarcubusuti,&:lagittasciaculari con- SECVNDVS. A
confacuifscfcriprum reliquit; ur filcam Homcrum, qui Myrmido- nas Achillis
militcs, dum a bcllo uacarcnt, fcfc iaculado excrccrc, nc pcririam milirarcm
amittcrcnr, finxir.quam pcritia quanropcrc iaculandi,
&:fagirrandicxercirario,adii:uct,quanrumq.cadcm ro- boris laccrris
affcrat,clarc indicauit Vcgcrius in i.dc cxcrcirarionc militari lib.Arhlericam
ncq. iaculandi cxerciratione caruifsc,Hcr culcsilliusaudor rtdcm faccrc porcft,
qucm faLMttadi pcririirimum ca tacultare ccnraurum Kcf^um quamuis rcmorum 6l cc
ruam acri pidcm transfixifscharpyasq.uolucrcs m mcdio acrc confccifsc,rra dit
Scncca; atquc cum co alij . Ad hacc criam diucrfac illac,atquc mulripliccsbclluac,quas
in publicisfpcdaculis,acludisathlctae modoljgirris,modoalijs armis intcrimcbant,
clariflimum argu- mcnrum pracbcnt, ccrtatorcs illos athleticos iaculationcm
quoq. B cxcrcuifsc, ncc modo ignobilcs, ucrum ctiam maximc illuftrcs ui- ros,
arquc ctiam Impcratorcs ipfos, inrcr quos duo adnumcranrur, Commodusuidcliccr
raullinacrij &c prioris Taullinacfiliac, &: Marciprincipisfilius;
nccnon Domirianus,quorum hunc ccntc- «as uarij gcncris feras in Albano fcccfsu
fagirris plcrumquc mulris idcnnbusconfodilsc,fcril)jt Tranquillus;iIIum ccnrum
ictibusin arcnatoiidem fcras Ihauifsc, ram ualidis niribus, urmultasuno
conficereri6u,tradir Hcrodianus: qui fimilitcr fc ribiradco illi ccr ^*^*** ram
n^wnum fbilsc, ur, quidquid oculo dclbnafscr, iaculo 6c fagirra contingcrer .
hrgo iacuIarioncm,& in bcllica,6c in arhlctica, &:iii medicinae
gymnaflica locum habuifse, compcrrum cft; cuius qui- dcm iaculationcs duo pori
llimum mftrumcnra fuifsc, diximus, ar- cum,&:fagittas, quosalij Scyrhcn
louisrihum, alij Pcr(cnPcrfci C filiuminucnifse dicunr . lamucro
fagitrarummulraslpccicsfeci- Piinius. mus,alias lubriles,&: cxnlcs^^quae
arcubus,^^ balilbs ciaculabanrur, ^ quafquc plumbaras fuifsc cxiltimamus:quamplurimorum,quin
manifclic apparcar nos dc gymnafticaarrc nKdicinacfubiccta,&:non dc
ullaalia rra6c cxcrcirarionum,^: in viucnd6,ac conucr fando arhlcricorum morum
prauitatcm cognofccrc,co£niram dc- Kftari,arquccuirarc liccrcr* VANTVM commodi
humanac huic uirac dcambula* tio pracftcr,faris apcrtc (apicntillima natura
dcmonftrl uit,quac mirihco quoda arriricio,iini;uIariquc^&: prope diuma
prouidcntia nobis pcdcsnonob aliud fabrica- uit,mli ut dcambularc, arquc
dcambulanrcs avftioncs illas, ad quas nari fumus,pcrficcrcuaIcrcmus.quod cum
Pracdo illc circaCo- raccfium Pamphiliac animaducrrifscr^ ne homincs,qui m cum
in- cidcbanr,ambularc amplius>&:rcliquauirac munia plcnc,honc- ftcq.
obirc ualcrcnr, pcdcs illis> ficur rcfcrt Cklcnus > mcmorabili partmm.
quodamcrudclirariscxcmploampurabar.l)cambuIariocrgo,qu5 vclurinccc(sariam,arquc
in primis comittodam fiuc natura Jiuc Dcus nobis rribUcrunr,quanro ftudio
cuftodicnda,arquc adiuuan da fir, nullus non uidcr, co pracfcrtim, quod fi
ullac cxcrcirarioncs corporisinucniunrur,quacvalcrudincmconfcruarc,imbccillira-
urmamorbocontraaampcIlcrc,&:bonum corpori habirumcom- pararc ualcant,
quacq. apud omncs homincs>omncsq. narioncsirt licqucnriori ufu iinr> una
profcdo cxfillir dcambulario > quam non K -f modomedlclpraecipuam
corumgymnafticaepartemefleceriinf', D tjerum ctiam antiqui omnes ufque adco
acftimarunr,ut intcr cete- ra priuatis excrcitationibus dcftinata,&: in
gymnafijs, et extra loca, nullius maiorcAn curam gcffifrc, nulliq. magis
ftuduifse uidcantur. quam utaccommodataomnitcmporc deambulantibus Joca cxae-,
dificarcnt. Nam(vt ccteros audtores fide digniflimosomirtam) Vi- truuius
quantopcrc in deambulacris fabricandis inuigilandum cc- fuerit, unufquifq. cx
eius fcriptis facile comprehendct ; cgo ccrtc ante, et poft Vitruuij tcmpora
i»numcra in urbibus dcambulatio- nibus loca magnifice extru6l:a lcio. quac
omnia apud me tribus ge- neribus compleduntur, quia uel porticus crant, uel
fubdialcs loci, ucl fubterranci. Porticus enim quandoq. theatris,quandoque tem
pIis,^a. liter fuifleporticusambulationi dicatas,fcribit GaIenus3quando- E
quefolac&feparatae exftruebantur,qualcsplurimae Romae olim fucrunt, quarum
ueftigia nunc admirationc Ipcdatoribus pariunt, et qualis tiiit Pumpciana,de
qua &c Ouid. Tt4 mado Tompeia lentus (patiMre fub ymbra.
&propcrtiuslibro 2. Scilicet vmbrofts Jordet Tompeia columnisy Torticus
aulaeis nobilis ^ttalicis &lib.4. Tu nequeTompeia fpatiabere cuUus im ymhra,
7^c cum lafciuumllernet arena forum. et Mattial.li. I r . €ur nec Tompeia kntus
fpatiatur in ymbra. Exquibus triumpoetarumuerbiscIarepatet,Pompeianam porti-
cum ad deambulationes cxaedificatam fuiffe, quemadmodum, &: quampluresalias
iwid conftrudasefTe, apudCiceronemtcrtiode F oratore libro difputatur. Quod
porro lubdiales quoq. iocos ad de ambulatium tam commoditarcm,quam iucundiratem
maiorcs no- ftri cxtruerent,atqueiIlosmodoarboribus confererent,modo nu-
dosrelinquerenL,praetcr,Vitruuium,qui cosin gymnafijs, &: extra gymnafia
quomodo ficri deberent^copiofifTime edocuit,argumen- to quoq, sLit xyfta illa a
nobis fuperius declarata,&: praecipue de- ambulatorium illud Arhenicnfium
in Acadcmia, quod pulcherri- mis plaranis confitum ad id fuilse fcribir
Plinius,& ad cuius imita- tioncmAlcxandrum Seuerum nemora in publicis
rhcrmis,atque infuisaluifse cxiftimo.Subtcrrancosucrolocos quofdam ambula
tionibus deftinarosfuifse,quosob id hypogaeos Hegefippus,&: Pctronius
uocarint, haud uero dilfimile uidetur rquoniam tempo- ribus,quibus mirum in
modum luxus creuerat,ficripoteft, ut una cum
cuminnumfrisalijsblandimcntisexcogirari finr achiitanda^aent wi caloi is
molcftias. nifi cos porius creda^mus fiiifTc crypro porticus vndiq. paricribus
redas, iccirco in eam tormam fabricatas,ne am- buhir.tcs a ucnris,&: a
rcliquis aeris iniurijs lacdcrcnrur, qualis ho^ dic Romac in uiridario Varicano
uifirur,^: quales fuii^e illos ucri- fimile eft, quos fc i nrer rui nas
uillarum LucuUi ram in agro Tufcu- lano, quaminmonrc PaufilippouidifTt',
tcftarus cftnobisLigo- riusi quosue Plinius (ccundus in uillac fiiac
Laurenrini, &c Tu- 1 lcorum dcfcriptionibus plunbus ucrbis dcpinxit. Dchis
Varro apud Nonium,Non uidcs inmagnis pcriftylis,qui cryprasdomi non
habcnr,fabulum laccre a parierc,aut Huripis,ubi ambularc poirinr^ Qui cnim
ambularionibus fcfc cxcrccbanr, omncs fcrc fa- g nitatis gratia illucl
agcbant,ur neccflario cogerenrur fecundum tcmporuin murarioncs uarios locos
habcre,quibus cirra ualetudi- nis oftcnfioncm ambulationcs pcrficcrcnr.
Softrarum Gnidium ar- chitc^ftumcelebratinimum ambulationcmctiam pcfilem
primuin omniumGnidifccin'c,rcfcrrriiniuslib.xx xv i.cap. x i i. Nam
athlctasambularionibusnumquam uri folitosexeo crcdcre dcbc- mus,quod ncquc in
ludis, ncquc in amphithcatris, ncquc in facris cerraminibus, quibus omnibus
infcruicbanr, vmquani tos ambu- landoconrendifle legitur. Quod filocusin
gyranafijs arhJctarum cxcrcirationibus,a^ Iocusambularionibusdcftinarus,qucm
Xcno- phon,& Vitruuius Xyftum uocarum fcribunt,uicini crant,non idco
inferre dcbcmus, arhlctas dcambulando cxerceri folitos,(ed alios in Xyftis
ambularcarhlcrasfcorlumexerccri confucuilfctnifi Q dicamus arhlcras quoquc poft
uehcmcntcs cxcrcirarioncs ambu- JafTe, atquc illam ambulationcm apud mcdicos
aVfl^tfflrTrwVuo- catamcflc, &:nonpropriccxercirationem :quid autcmapuchera-
piaforct, infcrius dcclarabimus. Milirari limilircrpcririac ftuden-
tcsambulationem parum curafle credcndum cflcr,|>oltquam ncc Plato ullam eius
mcntionem fccit, nec in ullo bcllorum »;cnerc ad iumcnruin cffatu dignum
pracftarc uidcrnr, nifi Vcgctius cdocuif- fct ualdc militibusfururis cx u(u
cfscurafliduo cxcrcitati ambula- m fe celerircr,&: acqualircr difcanr,arquc
(^b id uctcrcm confuctudi- nem permanfiflc,ncc non I).Auguftini,arquc Hadriani
conftuutio nibuspraccaurum >fur(Tc,ur!nmen(c ram pcdircs,quam cquircs
cduccrcnturamI?uIarum,&:non(oIumin campis,fcd cciam incii-
iiofis^arduislocisdc(ccnderc,arqucadfcendcrecogcrcnrur,quo nulla rcs ucl cafus
pugnanribus accidcrc pofscr,qua non antc boni militcs aflidua cxcrcirationc
didiciflbnt.Habuit ucro hacc cxcrci- ratio ratio multas fpecl es lum a narura
ilJius, tum a loco, rum a /ine dr- D fumptas ;a natuia qui Jcm, quoniam, cum
ambulationcm dcfinic- ^ de ufu rit Galcnus cx crurum moru, ac quiere conftare,
motus ilie, &: per vaitmm. confequcns ambulatio, autcrar magna, uel parua ;
aut uelox, ucl tarda,aut uchcmcnis, ucl rcmifsa : a loco autem uariabantur
paritcr ambuIationumfpecics,quandoquidcm modo inurbefiebant,&: in
gymhafijs,modo cxtra urbcm, qucmadmodum Phaedrus,&: In Oeco.
ProdicusapudPlatoncmfacicbant,ncc nonlfcomachusapud Xc- * nophontcm, qui dum in
agrum pedibus fcruum fuum equum du- ccntcm fcquereriir>mcIiori
fecxcrcitatione uti diccbar.quam fiin xyftoambulaflcr j modo in
iocispIanis,modoafperis,modoare- Coclius j^^jj^^ ^^^^^ paralyricis Afclcpiadcs,
Eraliftratus, ac Themifon Chran.2. malc commendabant,modo
aequahbus,modoinacqualibus, mo- c.j.lib.dc dolongis,modobiTuibus\dc
quibusomnibus copiolillime difser- c amCis 5.probI.parti. A fine dcmum
accipicbantur deambu- lationes, nempe quando velut auxilia (anitatis,ac boni
habitUs ad- hibebatur, vcl ad corporisrecrcarioncm peragebantur.poftquani enim
grauiorcscxcrcitationcs confcccrant,nc ftatim ad quierem tamquam a contrario ad
conrrarium rranljtus ficrct,ambularioncs paucas,&: remiftiores
adhibcbanr,ficut et poft medicamenra,ac uo miriones>arq. uniucrfum hoc
cxcrcitationisgenus iTro&^tar/^riKof appcllabantrquamquam ctiam gymnaftae
in mcdijs laboribus, porirtimumq* in ijs,qui graucs uocarascxercitationes
obijfscr,apo- 3.*tu.va. fherapiainrerdum urebantur,quodGaIenus fummoperelaudan-
' dum iudicauir. Apud Varroncm quoque, ur mcminit Nonius, ha- bctur> aliquos
ad cxcirandam (icim ambulatione ufos efse. nam in lcgc Macnia ira fcriptum
crat:Excrcebam ambuIando,ut liti capa- cior ad caenam uenirer gUttuK An Erettum
fhre Jit e^ceratath. tap. 111. VI rcrum ipfarum naruras Icuiter perfcrutati funt,
iii- hilambulationi ip quampe- dibuscredum ftarc iudicaruni. At quoniam profun-
^ dius quacrentcs in hajic fcntcntiam eunt ^ ereilosj.pe- dlbuTi^antes fi non
ambulSt, fLiltcm aliquo pado moucrijproptcr- caquc ftarum huiufccmodi ab
cxercirarionum ccnfu cxcludi mini- mc dcbcrc i idco eriam dc hoc fcrmoncm
faccro dccf cui ; co prae- fcrtimquod multi faUis rationibus duCt^ hanc
opinionem ira ani- mis imbibcrunt> ut pcrtinaciter circdant> ftantes
pcdibus nullo modo madofcfccxcrccre,fcntcntiam fuam hunc in modum probanrcf»
uidclicct quod dcHnitum apud omncs audorcs rcpcritur,cxcrcita
tioncmmotumcxlirtcrc, cui motui (hitum planc contrarium cfse: practcr cctcros
Plaro ubiq. pracdicat,dum inrcr prima rcrum prin laSopK* cipiaftatum&:
motumuclutiduo contraria collocar, quostamcn apcrtilllmc allucinan facilc
conuinciruriquandoquidcmomntsil li,qui pcdibus crccli ftanr, licct moucri
icnlibilitcr nullo modo ui- dcantur, attamcn ratio ipfa,quod aliquo pado
moucantur, ccttilfi- mc pcrfuadet . Nam &c multorum uctcrum fcntcntia
tuif,non quac moucri uidcantur, camoucri fola, fcd multa immobilia apparcre
unum eundcm locum obtincnria, quac nihilominu^ mcucri ctfica-
ciHimisrationibus,ac fcrcfcnfu ip(odcmonllrantur . Aucscrcnim non tam quando
modofurfum, modo dcorfum uolitant,in motu B efscccnfcntur,quamdum in acrc locum
unum fcrc immobilircr occupant . id quod iic probatur, quia li auis quac IKirc
in acrc im- mobilitcr uidcbatur, in co ipfo inllanti moriarur, protinus in tcr-
ramdccidit (utdcapodc illaauc manucondiata, quamniiimor- tuam in tcrris uidcri,
6c uiuam lcmpcr in acrc mancrc fcrunt ) non obaliam profcdo caufsam. nili
quoniamcorpus illud in fublimi inotusalicuiusabanimaincorporc faCti auxilio
confiftcbat, quo moru poftca priuatum corpus,arqucnaturacfuacdimifsumad ccn
trum dcclinat,licuti dum cotra narurac fuac inclmationcm furfuni fuftmctur,
haudquaquam cadit, ncquc itcm pcrfcCtc quicfcit, fed quali duobus motibus
contrarijs ai;irarur, alrcro corporis dcorfum a narura a(fti,altcro animac
furfum conrra naturam corpus moucn- ris. Idcm fcrmc cucnit in hominibus
crcctisllantibus,quorum Ccorporibnsnaruraad rcrram inclinantibus, Sc anima
contrafur- fumilla fuftincrc obnitcnrc, morus quidam lcnfui immanifbftus
fuborirur, cuius indicium illud habcrur, quod li aninui a corporc crcilo ftantc
cxcat, illico ipfum in tcrram dclabitur,quia motus il- ledcficit,cuius
bcncficioanimacorpus oaturalitcr ad tcrram incli narum, furfum clcuatum
contincbat: ur his rationibus omnino cuiuis pcrfuafum cfsc dcbcar,cos,qui
pcdibus crcCti IhuUjob conti nuos,&:conrrarios animac,corporisqucobnixus
aliquo pa:tomo- ueri,arqucipforum mufculos omncscorpusgclhnrcs, &c a ccrra
atrolcntcs,crigcnrcfquc uchcmcntcr intcndi :cuiusinrcnlionis,ar- ouccriam
ipliusocculri morus racriro poftca cfficirur, ut ftarcma^ iorcm laborcm,ac
lallitudincm molcltiorcm pariat, quam ambu- larc,licuti pracclarillimc a Galcno
fcriptis mandatumcft. Ncque ri.aetre.. Plato ubiintcrprincjpia rcrum Itatuin
pcrmdc;ac motuicontra- et riwm Lrium
colTocauif^ucraprorfus locutuscft, cum Ariftotcles. 5. Phyfi^ corumlibro
longaorarione ncn ftatummorui, fcd motum motui contrarium eflTe
demonftraucrltiniti potius aliquis dicar,Plaronem aliud gcnusmotusacftacus
myftice (ut fo!er) inrellexifle, cumex ipfisnaturas quoque diuinas ccnftare
aHerar. Siigiturtot rarioni- bus fatis comprobarur ; eredos ftantes aliquo
pztito moueri, atquc intc rdu non modicc laborarc, confenraneum uiderur,ut non
ob id ftatus ab cxercirationu ordme remoucdus (it, quod cxerciratio defi m'aiur
cfTcmorus, &:ipfcminime motus appcllationcm mereatur, quinimmo ficuri
quaplures morus,qui fanitari, &: bono habitui co- fcrre iudicanrur,ct(i
uerc ac proprie exercirarioncs non ftnr,c6mu- nirer ramen efTca nobis fupra
abunde oftcnfum fuir : fimiliter &c fta- re eredum communi notione
exercirationem cfTc cenfemus. Vn- de fapienrijTimus Hippocratcs, qui vlccra
curanda quicte indigere alias praedicauir, ftarc&fcdere ipfis inimica efsc
fcripiit : quafi in- nuereuoluerir, dum corpusfurfumueUedendo, uel ftandodeti-
netur, mufculos magnopcre conrendi, atque etiam motum quen- dam interanimam
&:corporis naturam generari, qui ulccra ipfain
cicatricemcoalcfcereminimepermittat.atquchoc efTepnro^quod
aCoelioinEpilepfiaccurarione rtans exercitium uocatur. Num ucro antiqui
gymnaftae inrcr alias corporu cxcrcirariones huiufce modi ftatum rccepcrint,
nil ccrri affirmare audco . Athlcrac enim cumnullumferc ufum in ftando
haberent, nifi quando Milonis imitatoresrcdi ftantcs fefe ceterisaloco
dimoucndos oftcnrandi roboris gratia pracbebanr, vel ftaru non pcr fe, fed ob
alium ure- banrurrideohaudquaquamfeipfos in hoc gcncrc excrcuifse mihi
iierifimilereddirur. Qupdquaefo cerrameninftandofolumefre- 6lum
ccrnipotcrar,quod autfpcdtaroribus delcdarionem afrerrer, aur facrificijs, ucl
alio modo amphithcatris, aut ftadijs infcruiret, uthorumgratiaathlctasfefe
exercercuclcertarc ftantcsfohtosdi camusfftabant tamea qui athletas ccrtantcs
fpe amphithcarris,atq. alijs pu bli- cis ( c C ri 10 ra idi do ad ao Ddc m OQI
nok tili ttiu tc bt fc( H .,4, A
cisccrtaminibus,fpcdaculisq.coronasuiclomcconfcqucmur,pa pulumq.
obledarcnt;uclutoptimum corporis lKibitum,atq.f;inira lcm ipfam
acquircrcnt,tucrcturq. Hos apud Kufcb.viij, Hift. EccL
cap.xviij.M«;(«Tpiom.ichia,hoc cft armorum fi^ta confrixio ^ ^j^^.^ B
uocata,necnonad diminucndam7roAic/us anim.aris&iinanimis carcjmas nuquid
nosob corum,qui ^> nobifcum cxcrccanrur,ino;Mam,aducrfui. n )fmctipfos verc
vmbra- tili puena certarcaudcbii>uis.&:poltipfum Plurar.in 7. Prob. con-
„ . Uiuiahum :«AA(7fc»,u;Ttt^ vfiKQotovsiot^rccr Hd'Hquafiaeremnoticaedcns. lam
ucrononminustelJs^quapugniSj ] et brachijs nudi^ huiufcemodi cxercirationem
ufurpata cfse ratio- ni cft confentaneum . Hac itaq. fucrunt duae pugnae
fpecies^quaf maiores noftri cxercitationu loco in ufii habuifse rcperitrita ut
nul- la gymnaftica cxftarct,q inter alias excrcitationcs hanc no rccepe-
rit.quod cnim athlctica uctuftilTimis vfq. temporibus pugnandi ar- mis
incidcntibiis exercitationc urcretur, locuplctiftimu teftcm Plu z.VtQb, tarchu
habemus,qui in 5. Sympof. fcriptu rcliquit, antiquitus mo- nomachiam.f.aut
fingulare certamen in Pifa ciuitate,&in Elide Pcloponnefiregionc iuxta
AIphacumfluuium,circa quam quinfto quolibet anno^hoc cft,ut Pindari intcrprcs
tcftatur, alternis olym- piadibus,fiuemenfibusquadragintaodo,autquinquaginta,
cerra- mina olympica loui facra celebrabatur, vfq. ad mortcm dcuidoru,
cadcntiumq. iugulationcm proccdcre cofueuifrc.Practcrea narrat
GaIcnus,facerdotes in Pergamo prifcum morc retjnuifsc, ut aefta- tis teporc
monomachias uocatas cxercercnt,quas ne quis credat fo li Gracccrri nationi
proprias exftitifsc, adcudus cft Athenacus,qui in quarto dipnofophifton
auftoritate Nicolai Damafceni Philolo- phi pcriparetici referr,Romanos
monomachoru fpr£>ncula no mo- do in feftis,arque amphithcarris,ucrum ct in
conuiuijs a Tyrrhcnis confuerudinc muruaros adhibuiffc; quamuis Romani no
monoma- chosjfed gIadiatorcshosocsnuncuparemaIuerint,quos lulij Cae- faris
aerate in foro nouifsimc pugnafse,quofq. pugnarcs Smaragdo lib.
NeroncfpcftaffcfcribitPIinius.Hi quoniam arrcplurimisabfurdis 18. et lib. plena
excrcebat,ut a ceteris pugnanrium cxcrcitationibus integre 37.C.J. dignofci
poirinr,nonnulla dc ipfis brcuirer cxpona, Nam illud pri- mum dcreftandii plane
habcbanr, quod ccrtantes qua grauius po- terant,fcfe fcrire ftudcbanr,&:
non iolum( quod fcripfir Scribonius Largus,qui*'Tibcrij Cacfaris,&:
Mcflalinac aetate medicina Romae cxcrcuir)c6rufioncsin
lu(ftarionibuspaticbantur,fed crianon raro vfq. ad altcrius, ucl eriam amboru
pugnanrium inreriru ccrtamea protcdcbarur: quemadmodu,pracrer Athenacumjarq,
Plurarchfi, 3.decr>p. Calcnusquoq.rcftarur,quifcgIadiarorcsgi-auircr
vulneraroscu- mc.pgcri. rafle, &: ob id a fuac ciuitatis potificc in eoru
mcdicum coopratutn Li.7.ca.3. fuiflefcribir. Quin auctor cftGcl!!us,gIadiatori
compofiroad pu- gnadupugnac hanc propoficaforrc fuifse, aur occidcrc fi occupa
uiflcr,autocciabcrc,ficcfsafsct.vtid ucrumpurarc dc bcamus,quod M.Tullius.2,
Tufculanaruquacftionumcmoriac mandauir,athle- tas ctia vulncribus confcdos ad
dominosmittcrcfoIitoSjqui quae- rcrcnt,quid ucllent,(i fatis^a^^lu ijs cfsctjfc
ucllc dccubcrc. nam ufq. adeo A
AdcomojTem.acviilncrA inrrcpidc obibanr,utncc inscmffccrcnt . ncc multu
mutarent.humfmodi ucro ncfandas hominfi cacdcs cum' fiiftmere ocuhs no poflcr
optimus Impcraror Anronin», nanar Di6 cu cdu^o cau.flc,ut glad.arores no
acutofcrro . fcd obrufis gladijs. et tcrcnbus d.m.carcnr quod hodic fadirant,
qui pu.nadi art d ^ fcendaeopcranaiKi„t.Sccundaturpit.Kiinisfpcc.cLuamo,,o^ mor
ac prod.d.r glad.arorcs hordcarios vocaros quia antiqu.tus ''• 'r.c... hordco
u.d.tabant, ucut l>oft Plini.,m Galcnus cofdcm 6, da, &: nandun
.nft.tutum crat, .n ipfo ccrtaminc fangu.nc cx vulncrc ad- ucrfar. j
b.bcrc.ra.nquam,;s ad confi. mandf,animu, et uircs cffica- Tn A T"'''^
'"^- l^'s,pracclarc admodum fic a Cvp,ia- « nodcclamatucfl
Pnr.>turglad..itoriusludus,utl.b.dinccri,dcl.ul^^^^^ pus, &: a ru.nac
horismcbroru .nolcs robulb pi.,gucfcit,ut fa-.na- tus,n pocna canus pcrcat .
Homo occiditur in homin.s LoIupur!s " et ut qu.s po(r,t occdcrcpcritia
cfl.u fus cft.ars cft,fcclus no,i ar„m " gcnri,r/cd doccr:qu.d potcft
.nbuman.us.quid acabius d.ci T " Jud.oro tcqualccft ub.
fcfcrisobi;c.ur,quos ncmo damnau.^Jcra- "
tcmtcgra,honcftarat.sfurma.ucftcprcr,ofa v.ucnrcsin vhro^eum " funus
ornantur.mal.s fuis m,fcri slonanf, pugnanr ad bcft.as nc, cr " ni.nc fcd
ruxorc:ipcdanr hlios fuospatrcs, rn^ ^ pracfto cft,&:fpcCUcul. hcctprcriu
largior muncr,s.xppa,-:tusam! "
plj^hcer,urmacror.busfuismarcrinrc./fr:hoc.prohdoIor,,mtcr&"
rcd,m.t,&: .n tom,mp,;sfpcftaculis,raq. d.nscffcfc non purantocu "
l.sparr.c,d.as.Hadcnusuir.IlcC:hnflia,ius, cuiusorariinchiccx- "
fcnbcrcpIacu,t,qdadgIad.aro.-,accxcrcirariou,sp,au,rarcollc,;-" dendam,n,l
luculcnt.ushabcri poflir. Quat,-, prauiratc illud,nihi ualdc turpms cx,ft,mare
in mcntc ucnit,qd et Kcipub.Iibc-ratis &: Impcraroru tcmpon bus rar,
fucrinr fiuc nubilcs,fiuc ignob,lcs,f,uc coluIa.cs.f,uclmpcratorcs,quifpcdacuIaadcoinh.inK.na,acomni
flas.r.o,&:facu.r.a plcna l.bcnrc.-, atq. maxima cu,n uuluptatc non
inrucrcntur . Numqu,d autcm cuiufuisgcncris homincs.an i^no.b,l,H,m.
dumtaxat.glad.aror.a cxc. cc. c„r,anccps ualdcfum.quod cn.m LcntuIusCapu.-icut
rcrunr,g!ad.arorcs alucr, quud C Tc " ir-cr. rcnt.us Lucanus, auctorc
Plinio,gladiatorum quadrag.nra paria in furo pcr triduum auo fuo,a quo
adopratus fucrat,dcdcrit,quod uc- oymr.jUca. L nales cflent,&: tria illa
ncfanda a nobis praedida profirerentunmi- 1 hi ccrtc perfuadcnte
exomniumhominumignobiliflimo fimui, ac impunllimo gcnere,ueluti feruis
exftitiflc.Ex altera parte cu Gale- de frac nus rcferar,f:icerdotes
monomachiamcxerccrc fohtos,cum Athe- klhhu nacus fcribar iUuftres uiros, atq.
Duces monomachiam cxercuiflc, cum Herodianus, arq. lulius Capitolinus Commodum
hnpcratore Spartia- gladiatorcm eximiumfuiflc,&:inpublicisrhearris,fpreta
hnpera- 7eno" ^& ^ dignirarcgladiaroris parres adimplcfsc
fcribanr,ciim tradant AibmL alij Impcrarorcs ad bellum profedturos munus gIadiatorium,ac
uc- nationes ederc confueuiflc,ut ciuiufanguine fic effiifo pugnae qua- dam
imagine Ncmefis fe,idcfl: Forrunae uis quaedam explcrer, uel ut infuefcerent
milires vulnera,atq. cacdcs in/pedare. qua item ra tione SolonapudLucianum
narratlcgem Arhenienfibusfuifle,ut faAaach. iuucncs cothurnicibus fiuc qualeis,
ac gallis pugnantibus fpettadis fliudium impcdcrent,quo illi uolucrcs vfq. ad
extremam uiriudc- feaioncmroftriscertantcs intuentcs,ad fortiterfubcundapcricu-
la,&:contcmnenda vulncra ^neauibusingencroliorcs apparerent,
inflammarentur,cuius ftudij mentionem quoq, fccit Aefchines c6-
tra'Timarchum,&:CoIumcllaIibri o6bui cap.2.Cuminquam hacc omnia
mentecontemplor,quaficrcdere cogor,tum nobiles aliqn^ tumignofciles
utplurimumathleticamhanc atq. gladiaroriam pd gnandifpcciem excrcuilfc iquando
criam apud Athenaeumrepe- ricnonnullos teftamenro cauifle, utr pulcherrimae
eriam puellac monomachorum inftar dccertarent, aut qui in delicijs fuiflent im-
puberes.ScdgratiaeDcalmmortahfunthabcndae quiad abolen dum huiufmodi nephaadum
morem quoq. principes impulerit,q(f primumabHonorio Impcrarore fadu ertc perhiber
Theodorerus ca.26.hb. quintihiftoriae ccclcfiafticac .Atque exhisclare patct,
armorumacutorumpugiiam inter athlerarum exercitationesad- numerandamcfle.quos
fciamachiamquoqueinterdum,fiue um- brarilempugnamexcrcuifse,inde faris
conijcercpoflumus>quod Glaucus Caryftius arhlera ftixnuusnon minus ob
pugilatoriam, quaminumbra pugnandi cxceilentiam celcbratus fir, ciquefta- tua
habiru, formaque in umbra pugnanris erefta, ut Paufanias ^*^^^^* narrat,
tradarur : nifi cerrius comprobarent illud haec Dionyfij in cap. libro de
diuinis nominibus ucrba : oVe/) 0 cro^o^ bx. z^vovriaraA /uj^fiTa^^ TTid^'
r^^TS)VoiOAyj7iivol7rCipovUou;,04c:!ro?^M^^ d^ofek ^ja^ rii^ airctyomg-a^
vdf^ticvc tjyroQi/i^uOi, % cLTcl 70 Jb^coLtS € nv^oc; ^-toi/to^;, axiTOvq aiq
(nncLixa.')$iuj- » nc;, oiovTOJ^ tHv airiTroLAcov ojutwv jcwtpa.T/;tcvaf :
ideft. Quod fapicns minime intcUigcns incxpertos uinccndi. athletas imitatur,
qui faepe T E R T I V S. Afacpe antagonlftis imbecillas cflTc fupponentcs,
prout Ipfis vi- dcriir, nccno aduerfus cos abfenres fbi tircr vmbratili pugna
ccrta- rcs,aduerfariosipfosuiciflcpurar» Habuir6in ipfisq. mulicrcs &c
uiros claborarc uolucrir. Hanc rudi- bus armis faCtam milirarc monomachiam
illam fui fsc, quam Hcr- mippus Manti nacos inucnifsc,&: Cyrcnaeos
acmularos efse fcribir, Athcnac» cgofcrmccrcdo.iicuri
limiIircrcxirtimo,quamfcrimiam uulgusdi ^^^-^* cir,cam ipfam,&: non
umbratilcm pugnam, ur Kudacus in Com. ad C Pandcdas, Guliclmus
Choulus,&:aIij nonnullifalfoautumarunr, cfse,dc qua locurus PJaro mea
fcnrcnria uidcrur, quando in Lachc- rc fcripfir,iuuenibus coduccrc, ur armis
pugnarc difcanr, quoniam lic habitus corporis robullus acquirirur, ncc ulla
cxcrcitarionc in- fcriorhaeceft,aurminuslaboriofa. In hac haudquaquam ccrtato-
rcs,qacmadmodum gladiarorcsfc ufquc ad ncccm fcricbanr, fcd rudibuS reljs
quafilcfcpctcre iiUiiccmfunuIanrcs,quandoque cria rc uera
fcricnrcs,&:plagarum inflidlioncs,&:aucrfioncs rdifccbant. Aliquando
ramcn cum umbra armis ct pugnabarcquod Cdtas pofl coenam fach*tafsc,Poflidonius
audor clhl^im ucro omnium frcquc- tiirimc pugnam aducriuspalum cxcrccbanr,qui
milirarcm difc ipli nam compararcoptabanr,quam cxcrcirarioncm ita faditaramfcri
^ fe bir Vci:crius,quod a lingulis ryronibus finguli pali dcfigcbaiuurin
"^'''^*^-"* tciram,iru ur inic.-r" iDn pr/vr, &- rooo-ip ol
r£jg7retXai- ^piijC ^etUiurig 7raj(^ovT^CyO rcaf i^zir oiiu(poripa>v
?\y^(p6(z^Tig 'i^zcovTcif eig tcI cvavTict.i. Paullatim enimproccdcntcsin
mcdiumamborum igno- ranter cecidimus,& nifi aliquo modo nofmctipfos
defcndctcs eua- mcmoriacproditum cft. 1
m 1 li.i.fer.^. li.i.fen.^ iioc 2.C.2. j.de bclJo ciuili. DeVociferatione y ^
ri/u. Cap. VIL N T E R cereros,quos plurimos,atquc neceflTarios in hu- mana
vira vfus habcr fpiratio, non infimum locum obri- nuirvociferario. quaccum
nilaliudfiti quamacrisue- hcmcnspercufl^o,rammatcriam, quam cflcdorcm,&:
lormam,ueI a refpiratione foIa,vcl faltcm non abfquc ipfa fuppcdi-
tari,|AriftoteIes, &: Galenus pracclariirimis in i d cdiris commenra- rijs
probarunt. &: iccirco non ab re fururum cflc duxi, fi, poftquam
defpiritusretentioneuerbafcci, ftarim uocifcrarionis rraftario- ncm
fubiungerem. Neque enim ab hac me remouere dchuir, quod
Galenusmcdicorumprincepsaurnulla, aurquam pauciflfi- ma dc
vocifcrarioncfcriprisiradiderit, quafiquceam intcrexcrci- tarionesnumerari
dcbere non cenfucrir: quandoquidcm Anryl- Oribafium mcdicus cclcbrariflimus non
modo camex- ercirationcmcfleuoIuit,ucrumctiam cumad morborum diuerfo- rum
curarioncm,rum ad uocis ipfius culrum ualde aeftimatam fuif- fcfcripfit.
qucmadmodum itcm Aetius Amidcnus, &: Auiccnna Arabs uno orc poftcdoribus
facculis comprobai unr. Nunquid uc- ro athIcticacprofeflorcs,aurmiliraris
dilciplinacftudiolihoccxcr cirationis gcnus in ufu habcrcnt, U li^apud nuUum
audoi cm nora- tumaducrtcrim:pcrfuafumtamcnmihi cft, ncurros horumuoci-
fcrationcm taniquam propriac ipforum profcflioni aut conuc- nicntcm aur filtcm
rtcccfliiriam cxcrcuifle . Qupd fidicatquis, &:arhlctasinccrtaminibus,
&:milircs in pugnis confcrcndis cla- moribusnonfincutilirare vfos, quando
Cacfarhaudfruftra anri- quirusinftirurumfuilfcfcribir, utinbcllo committendo
fignaun- dique concinercnr, clamorcmquc vniucrfi roUcrcnt, quibus rebus, &:
hoftcs rcrrcri,&: fuos incitari exiftimaucrur: proptcr hoc mi- nimc
fcquitur, uocifcrarionis cxcrcimtioncm, dc qua nos agimu^>
miliraridifciplinacadttifccndac confcrrc. Duofolum humiiul gc- ncra uocis
cxcrcirationi fcdulo opcram dcdifsc rcpcrio, hirtrioni- cae
uideIicetprofclTorcs,&: mcdicorum gymnafticos.Hillrionicam enim
profitcnrcs,fubquibuspracconcs,choriftas,rragocdiarum,&:
aharumfabularumlimilium rcciracorcs, ncc non uocibus ccrritcs
CoUoccqocifcrarioaibuscxcrccri foliros.locuplctiifimus tcftiscll Platoin lonc^
Anllotclcsinproblcmatum libris,in quibuskgi- p^^;^^/^' tur,Phiynici, ncc
noncriamantiquionbusrcmporibus tragocdias, comocdias,dithyrambos,arquc lcgcs
ipfas cantu rccitari^:onfucuif fe.ob quod uocis cxcrcitatio tantae
cxiftimarionis fuit,ur,(icuri de athlctica monftrauimus,pubHcae
uocifcrationiscerraminaaCoc- ''•^•^^^j^'"^- B lio Aurclianofiib
modulationis agonillicac nominc intcllcaa, j> " pofuis uidori
pracmijs,inftirucrcntur.qucm morcm ufquc ad Galc ni rcmpora pcrdurafse,ex eo
conijcerc pofsumus,quod 7.dc mcdi- camentorum compod. fccundum locoshb.
muhamcdicamctarc- ccnfct^uibus antiqui mcdici in ijs,qui uocc contcndcrc
dcbcbat, tum antc,rum poll ccrramcn urcbantur,ubi fimihrer narrat, tempo-
refuophonafcosomncs,cirharacdos,f.pracconcs,ncc non rragoc- diam,ac comocdiam
pcrfonatos rcpracfcnrantcs,qui magno uocis excrcitio utebantur, li quando uuccm
contcndcndo oblaefilTcnt, balneismultis,&:cibislcuibus,atquelaxantibusuti
fohtos.Exqui- bus ucrbis cuiuis intclligerc licet, non modo hillrionicae
profcflb- res uocc,&:cantu(quod dixit Plaro)limpIicitcr in rccitandis dram-
^^"«^- maribus,rhapfodijs,aIijsuc imitationibus fuis, uerum etiam alra uo
^ ce ufos,atq. ijs intcrdum uniformibus,i nrcrdu uarijs,&: muraris,uc-
luriin rra^ocdiaad macroris,calamiratisq. magnitudincmaugcn-
dafav^uniohm,(cribit Arillotclcs.Qiiarcmirari dcbctncmo,quod ^^^Pa«i ^oc
aZ^ncnv y^^ivira^ •rfsyou ri- vci yu/uvoLcnoL rolc a-raiuoLcnv -i 1? 7^ rov
vrv/uuoLroc KaL^i^tc^TrOieiiiwl^tJLU rolc TTOvovaiv, ocrv/u/SoLfvc-i (t rolc
TroLf^iofc ^ravo/u^oic • idcft : Pucrorum uerodiltcnfioncs arquc ploratus,quiin
Icgibusprohibent,haud rede faciunt, confcrunrcnim ad incrementum, cum fint quo-
dammodo cxercirationes corponmi,lpirirus nanquc cohibirio la- bcranribus robur
parit, quod etiam pueri^ inter plorandum di- ftenfis T E R T I V S.
iTrecho,Pctawo,^riUmJleo. Cap. IIX. 1 ca omnia,quae antiquis tcmporibus
vlirat.i,ac,vt fic di- 1 cam,pcruulgatacrant, autad nos pcrmanus tradita,
ficutdcanatomicaarrc narrat (ialciuis, pcrucnilfcnt, i.jennat. ... . .lutab
au«ftoribusfcriptismandara no intcrijncnt.mul-admini.ia C tos profccto labores,
qiios homiiics qiioridic m oblciiris, ac anri- quarisrebusadliiccm rciiocandis
fuftincnr, cirra vUam iaeturani crtiigiflfcnr . fed quoniamalia rcmporis di
ururnirarc, afpcrirarcquc obfoleucrunt, alia difficiliobfcurirarc
dcprauarafunr,aliafcripro. ruminrcriru dcfeccrunr, alia communi quadam
lacculorum nc- gligcnria numquam proprium nitorcm rccupcrarunt, hinc fa- dum
cil,ur in d ics coganrur homincs obfolcra rcnouare, dcpraua- ta rcformare,
abolira rcficcre, randcmquc ncglcctis 6l dcturpatis fplcndorcmicftitucrcncc non
inranra obfcurirarc coadi, (om- niantes quandoquca ucrirarcprocul
abcrrarc.iiucr quos cum cgo quoque limilcm prouinciam fufccpcrim, qui arrcm
gymnafticam elim iii magno prctio habiram,nunc pcnirus obfcuraram, &: cmor-
ruam ad luccm rcduccrc ftudco, mihi ranromaiorcexcularionc di gnus vidcor,
quantopauciorcs^aurfcrdnuliifcriptorcsfupcrfunr, M 2 aquibus inftitutum mcura
dirigi qucat.ne flleamplurima exercita D tionum gencra, quae quod temporibus
noftrisdefueucrinr, ucte- rumq. pcragcndi casrationon habcatur, quomodoficrcnr,
qua- Jesueefsent,diiiinandumcftporius,quam ccrtiquidquamaffirman dum.
Qucmadmodum deCricilafiaatque trochocontingit. Nam icfwA,«ra)?s;t«aM o'4^?o?
o>Vo^o? '^cWTuyjj^x^^aiyipyct^irc^yjcyj^ShvlwT^ ^'^vx»,, idcft, Habcatuero
circulus diamctrum hominis lon- gitudine minorcm, ita ut ipfius altitudo ufque
ad mammas pcrtingat, neque fccundum longitudinem, fcd in tranfuerfum
jmpcllatur,fit aurem impulfor fcrrcus ligneam aufam habens. Non- nulli rcnucs
annulos rorae circumpofitos fuperuacaneos efse pura- runt : at hoc minimc i ra
fe habct, quinimmo fonus ab ipfis gcnitus reIaxationem,atque uoluptarem
animoparir.Exquibus ucrbis cla- re patct, in hac excrcirarione homincs circulum
quendam ma- gnum,cuiuscircumfcrcntiaeannuliparuiinfixi crant,quadamfer- ^ rca
uirga anfam habcnte in tranfucrfum latus impellere confueuif- fc,a quo duda
mctaphora M.Ciccro ij. epift. ad Atti.ix.fcripfir. fe- ftiuc mihi crede, &:
minorc fonitu quaputaram orbis hic in rcpub. eft conuerfus.fcd cum hac actate
in ufu non habcarur^pofTumus fa- ne aliquid diuinarc, ar cius formam,&:
condirioncs pcni tus cogno- fccre minimc liccr.quod cnim trochus graccus
fucrir,de quo Hora tiusiibHuscnt. et Curinliis ia /.J.tn cnr annulus mbe
vagathr . ibidem. C(dn Jtarg.itit obnii turba trocb^s. et l y tii tJtn /.I.V.'
'I?, C iiiitif quam culus ahen i, jib 1 1.
0,,jmteU'rar^iitO(iulfonatiUreirotbus. in rroch ) namq. primocrat
circulus,&: in circulo anulus,qui fono fpcctatonbusuoluptatcm
atfcrcbat.adcrat Cx: impulfor cumanfaa rropcrtioclauisuocatus.ubidixit,
Inirenat et ver i cUu s adu.bina M 4 Curuitis 7.ACueiil. Curuatis fcYmfpatijs,flupet
infcia turba, D Impubisque manus mirata uolubile buxum Dant animos plagae,
minime trochum cfTcur uolucrimt nonnuIli,ficuti,& excrcitatio il- hviuae
hodic fupra ligneas tabulas pannis contcdas una cum li- gncis pilis
efficitur,& truchus nuncupatur,trochi antiquorum apud mefimilirudincmparuam
gerir.Nam rrochusprimoin publicisgy mnafijs,alijsue locis peragcbatur.Secudo is
annulufcu annuios ha- bcbatftrepitumcdcnrcs, ur homines pcrviamambulantcsfonitu
audiro longius ab incurfu trochi cauerenr. Poftremo ex aere con- flabarur,atque
clauem aduncam habebat.quae omnia nec fepara- tim,nec fimul in rurbine/eu
rrucho noftrisrcperirisefusipfe docer. urmcriro crcdcre debcamus,ab hislonge
diucrsuantiquorumtro- p chu exflirifrc,quem(vtcgoputo,apprime repraefenrarhaec
figura. a Ligorio ad nos mi ffa^quam fc cx forma in vctuftiirimo,atq.'ampIif
fimocuiufdamComici vcl Saryricipoctac monumcnro cxprdrain uia Tiburtina.ppe
Romaaccepifreretulir.nifi quodpraerer annu- los denresquofda
circuIoinfixos,&: mobilcs monftrat. quos adftre pitumaioremedendumappofirosfuifrc
uero confonar. Trochum aute cu Horatius inrer excrcitariones connumerer in arre
poerica, Jndoctusq. pilae ydifciuCy trochiue quicfcit, 'HS ipiff^^ rifum
tolLant impune coronae : Cumque Propertiusinter gymnafiorum cxcrcirariones
rccenfeat: procuiaubio ad gymnafticam aliquam pcrtinuifrcconfcntancu ra-
tioniuidctur.&: ob id cum ncquc milirari,ncqucathlcricac iurcat tnbui
qucar, fupcrcft nicdicinac ^ymnafticac cxcrcitarioncfuiflc, et illiuspracfcrtim^Cipucriscxcrccndisopcra
nauabar.IWscrtamc cxillimarictiamadmilirarcmaliquopadopcrrinuifscquod rcfc- rat
Ammianus MarccUinus li. 2i.iulianQ Cacf. apud Parifios uai ijs fcfc cxcrcuifsc
motibus in campo, ^ inrcr alios quodam qucm du faccrct axiculis quis orbis crar
compaiiinatus in uanam cxcuds an- famrcmanlilsc illam,quamrcrincnsualida manu
ftringcbarrcxquo loco Turncbus fummi ludicij, &: crudirionis iurc ccnfuit
ciufmodi cxcrcitarioncfuifsctrochum.Hisdillimilcmformahabctcxcrcita- tionis
illud gcnus,quod,non multis ab hinc annis in Rcgno Ncapo g litano
inucntum,hodicq. in uniucrfa fcrc Europa ufitatu, apud Ira- los Pilam &:
mallcum uocanr.in hoc crcnim primo brachia, &: dor- fum cxcrccnf,qn mallcis
ligncis pila ligncam longc pcllcrc cogun- tundcmum cx ambularionc,quac rali
cxcrcirarioni pcrpctuo afso- ciatur,ca commoda fcrc rrahunrur,quac anbulantcs
homincs pcr- cipiunr.urhisrationibus, licct antiquum non ht,minimc contcmni
mcrcarur. quamquamaliquisanriquoscriamhaccxcrcirarionc no caruifsc forfan
contcdat,cum apud Auiccnnam inrcr cercras cxcr- locckxdt cirationcsunumnomincrur,quod
uirgis rcrortis divflis alfulcgiaa
cumpilamagna,aurparualigncacflicicbatur,quasconditioncsap primc noftra
pilamallco conucnirc unufquifquc uidct, nili alias ta- cucrit Auiccnna,quod fuo
rcmporcnotilfimaccf^cnr. C Dc Equitatione. Cap. IX. ACTENVS cas cxcr^ irarioncs
profccud fumus,quas homi- nesafcipfis cirra alrcrius rei adiumcntumobibant.
Supc- ^ ''^•ft modo fcrmoncm habcrc,in quibus homincsqui- dem fponrc,^ quodam
modo libcic moucbantur,ar coru morus al tcrius moucnrisopepcrficicbantur.quod
cnim Galcnusiftis duo- ^.dtuva. bus addidir gcnus cxcrciiarionis a mcdicamcntis
favTtum, minimc adinftirutum noftrumpcrtinctridcoilludfempcrdimifsumhacra
tioncintclligatur.lntcr haccpoftrcma primum locumiurc fi')i uiii dicat
cquiratio a Graccis mcdicis iTTTrccaU uocara, ncpc quac cctc
risdignior/ir,&:Iibcrumhomincm,urfcriprir in Lachctc Plaro,ma ximc
dcccat,nccnon vrriufq. cxcrcitationis naturam, illius fciliccr, quae
anobisipfis,&:iIlius,quacab alijs in nobispcragirur,fccundu
Galenifcntcntiamfapiar. Equitationisprimuminucntorc Jicllorophontcm
exftitifse,auaor eft Plinius.poft Bellorophontem Thefsa- D li.xc. y^. |- j j
Centauri nuncupati cquitationc in bcllis uti coepcrunt, q lib.^ acre paullatim
ufq. adeo creuit, ut Hippocratis tcpore ocs fcrc Scythae aquis&io
cquisucherentur.quicumob afliduas equitationescoxarum dolo ribus cruciarentur,
per uenarum poft aures incifionem ab ilhs cu- rati,ad coitum ualdc impotcntcs
cuadcbant; quamqua multi erant infaccunditatcm eam a Dijsproficifci
fufpicaics,quos Hippocrates redarguit, quod diuitcsfcmpcr dijs amici, pauperes
uero minime fint,(ut etiam Ariftoteles id ab Hippocrate mutuatus confirnuuit,)
i.Rheto. g^pi.optereaacquumfuifsepotiusinopes,quam opulentos eouitio corripi,
cuius tamcn contrarium cucnicbat.Poft Hippocratis tem- pora cquitatio fempcr,
quemadmodum in Hippia a Phitone tradi- tur,in maxima exiftimatione habita
fuit,^ iccirco omnes gymnafti caefpecicseam inter
rehquasfuascxcrcirationcsrecepcrQt. Nam ^ quod in circis 6c ludis maiores
noftri equitationis cerramina adhi- berent,praeter01ympicosIudos,inquosuicefima
quinta Olym- piade equorum curfus certamen mdudum iradunt;tcftatum face-
repofsuntquatuor illac Romanac faCtioncs.AIbatifciiicct, Rufsa-
ti,Vcneri,&:Prafini,quae tum in circis,rum in ludis,ac alijs cqucftri
buscertaminibusadhibirisequisjfiuc ad equitationem,fiueauriga
tionemfemperccrcabant^tantumq. ftudiuequis oprimis eligendis, ac parandis
cxhibebant,ut Galcnus dixcrit,Vcnctae,ac Prafinae fa 7. Metho. ^^iQj^i^ homincs
ctiam ftercora cquorum odorare folitos,quo cx il- lisanimaliuhabirus,atq,
tcmpcraruras internofcere,&:cognitisin- de mclioribus uti ualcrcnt, fi
quidcm harum fadionum conrentio- ncs potiundi uidoriae cayfla talcs crant,quae
ncc uUis fumptibus, p ncc vllis laboribus ac ftudijs parccrc qucmqua
pcrmittcrcrreo ma- gis qd' totaurbsquafiquadripartita crat,alijsuni,alijsaltcrifa(ftio
nifaucntibus^nec ullapnrs ciuiratis repcricbatur,aur ullushominu conucnrus,in
quibus ccrraminum temporc dc huiufcemodi fadio- nibusaur ftudiofiflime non
difccptarctur,autfaltcmfermonon ha- beretur,quemadmodum *ex Plinij lexta noni
libri Epiftola,atq. his Marrialis ucrfibus quifque conicfti.ra afscqui potcft.
lib.n. Saepius ad palmam Vrafinns pGjl fata l^cronis VtruLnit,& viitor
pracrnia phira nfert, I nunc liuor cdax, dic tu ceffiffe T^crom . ficit nimirum
non l^ero, jcd Trafmus, Dc Vrafvio co/iun^a meas, enetoqiic lonuetUY ^ 1S{€V
fadcht-qucmciuam pocula no^lrateum . quamquamluuenalis maiorcm Romanae
ciuitatis partem Prafi- nacfadio- 16* B A naefacrionifuifsctcmporcfuo, quando
Maitialis quoque flomit, teftari uidcatur hisucrfibus. Touvi hodie l\omam CircHs
capit, et fr-ignr aurem TercutityCMcntum viridisquo colbgo pMin. T^am
fideficcret, maeftjni,attvnuamrjue vtderes Hanc v)b(tn, veluti Cunnarum in
fulucre vMiS Confulibus. Has ucro in f aucndo diucrfis fa(ftionibus hommum
acerrunas con- tcntioncs indc ortas fcmpcr cxiltimaui, quoniam Romanorum
quorumhbctucftimcntaqu.ituordumtaxatcoloribus tcxcbantur,
vclrubco,vclalbo,ucluindi,uclucncto,icdpraccipucrubc()ma- gis fufco, ut
Martialis hifcc ucrlibusindicat, dc Canudna lana ru- bca tufca fcrmoncm habcns,
I{pma magis fufcis veRitur, Cj//m ruHs, lib- M. EtplaccthicpHcris,
miittbiisivicculor. &:obhocquicumqucci ta^ioni taucrc cogcbarur.quacfibi
fimi- lcm colorcm profitcbatur . Etfi huic fcntcntiac rcclamarc uidcan-
tureaOuidijucrba. Cuius equi venicnt,fai.'.toftudiufc requiras,,. je jrte XVf
mora,quifiuis etic, cns fauet illa,fau'. auundi. Scd dc equitationc ludorum,&:fpcaaculorum,quam
et arhlctica uocarc licct,plura non dicam : quoniam cruditillimus Painiinus lu-
culcntirtlmc fimul,& copioliilime iu libris dc ludis ^iuos iam cdcre
parat.uniucrfamhancmatcri.im pcrtradauit. Ad bcllicam gymiu- fticam acccdo.quam
ad acquirCdam cqucltrcm pro bcll-s difcipli-
nacquitationiscxcrcitioulamtuifclocupIctilhmctclbtuscflPIa- y.Jdcg. to-ubi non
modo uiroscquis armatos,acq. incrmcscxcrccri fiatuit, r ucrum pucllis quoq.
talcs cxcrcitationcs iniic concclTif, cafq. intcr cctcras
bdUcacgymnafticacfpccics, fiuc partcscuidcntcr collo- cauit ficuti Xcnophon
paritcrfcntiieuidctiir.apudquc ilchoma- chusuitac fuac rarioncm Socrati cxponcs
fic loc|Ufnr:;/tTa A t« iuoarxrw rxts ^ r£ w»Ai/Aii «fxyKxicM iTTTTXirixts o
vTt TcxxyiDV ovTt kxtko - rm,^rrr.rx £ R Trai-T*,^o; JJ,x«^.Tr^. lioc cft .
Pcrlunoncm olfchomachc fic agcndo ni.h. placcs,quandoqi,idem uno tempore
coJlcdim fanita ti, atq. robon acquircndo opcram nauas, nec non ad bclla te
exerces, diumj/quc accumulandis inuigilas, quae omnia admirarione digna nnhi
plancuidcnrur. Exhiscnim,&:Ifchomachi, &:Socra-
tisfcrmonibusclarillImumargumcinumcIicirur,antiquosadbcl- Jicas dilciplinas
comparandas cquirarionibus ufos.Quod uero me- dicorum gymnalhc cquitarioncs ad
nmiratem rccupcrandam tuendamuc, nec non ad oprimum corpori bus habirum
ingeneran- ^^'^"' fcdimonium fufficcre dcbeicr:qui inrcr rdiquas gymnaftr
E cac exercirationcs minime infimum locum eam obrincre, cum nc- dum corpus fcd
etiamfcnfuscxcrcear,fcribit:ni/Iquoquc Anrvlli LoccKac. Act«j,&poftremo
Auiccnnae comprobatio acccderct, qui tam n'rrr "''^'- opportunas
cxcrcirarioncs rcpo- luir.nam&GermanicumTiberij hnpcraroris ncpotcm,
cumcru- rum renuirate dcturparcrur, cquirationc a medicis impcrariHam curafsc
mcmonae prodidir Suctonius:ut hoc excmplo pcrfuafi cre derc debeamus,
cquirarioncm ramquam utililllmam a mcdicis fcm pcr magnopcrc cxiftimaram
fuifsc:quamuis et apud ipfos ualdc re- .ZllZT,"^ r V""
"^l"^ "chcrcnrur, et iJlis an gradarijs, aa afturconibus,an
fuccufsatarijs,an concurrcnribus:quorum omuiurn diuerfas operarioncs fuo loco
explanabimus. F DeCumliruefjiatione. C I X I M V S duo cfsc cxcrcitarionum
gcnera, alterum in quo homincs a fc ipfis folum moucnrur, alrcrum ab alijs,
hiic, ut Anftordis morc loquar,alrcrumin quofuapte natura,a!rerum in quo alio
moucnrc fcfc cxcrccntcs mo ucnrur Dc primo fupcriustradauimus, dcalrcroquod
geftatir a Cocho Aurchano: &: Plinio communi nominc, ab Antyllo, Herodoto,
GaIcno,aIijfqucantiquioribus mcdicis Graccis diiex » de tfie
^^•^"'^'^»^"^ "«^rl^-i ^^accrc polhc.ti fumus : atquc iam de
^^:^- cq"'^^"'0"c,quamGaIcnus mixtum motum fccir,fc.-moncmex. •
phcau.mus. adal.a.gitur rranfcuntibus primakfcoircrrin curri- bus ue^tutio,quam
antiquillimam fuifsc, ncmo inficiatur.fi quidem ut 171 A vt Ar^ti uetuftiis intcrprcs
tcftatur,primu5, ciui equos curribus iun- xerit fuit Ericluhonius, quem ob id
intcr caclirum imagincs rclatu fcribit Maniliusprimoallronomicorum.
Porroforma,&: modus curruumdiucrfusexftitit.Nam Pliniusmatcriam cunibus
faciun- dis idoncam abietem probat, rotarum ucro axibus Ilicc, fraxi num, atque
vlmum . Vnde elicitur uetcrcs cx huiufccmodi lignis currus fabrica(Tc,qui
prioribus illis facculis duabus tantum rotis conllrue- bantur.alias duas
audtore Plinio addidcrunt Phrygcs. Scythas po-^^-^-cj^ ftca ct fcx rotis currus
conftruxilTc mcmoriac tradidit uctuftilfimus j-^^ ^^^^ auctor Hippocratcs.quae
rotac Homeri tcporibus ftanno ornaban- aqui$ et tur,at porterioribus facculis
no modo rotas,fcd tota uchicula cborc ||'^*^*^ ornatafuilVe,legimusapud
Plautumin Aulularia,ficuti Plmij tcpc- ftate tota efTeda atq. uehicula auro,ac
argcnto indgnita confpicie- B bantur. Varijs
practercarcbuscoopcrtafuilTcucrifimilcuidctur, plcrumq. autcm
pcllibus,qucmadmodum in probl. Romanis fcri-* ptum reliquit Plutarchus : licuti
aliquando equis,aIiquando mulis, aliquadobobusintcrdum uirisagifolita
lcgitur.Quin Hcliogaba- jnu^J^j^^g lum non modo uaria,3i: moftruofa
animalia,(cd ctiam fbcminas nu- liogab, das curribus iunxinc,ijfquc ipfura
ucdum c(fc,tradunt.Hacc porro geftatio in currib. facta olim Romac inter mulicrcs
in maximis de- licijs habcbatunad tantumq. luxum aliquando pcri!cnif,ut cas
ipfa vtifenatufconfultouctarc,coacii finr Romani. cuius rci gratia cum muliercs
ira percitac inter fcfc confpirallcnr, nc qua eorum conci- pcrct,ncue parerct,
atq. ita uiros ulcifccrcnrur, Romanos muraffc fcntcntiam,a:q. itcrum illis
curribus uti permilifsc,fcrip:is manda- uit Piurarchus . In quibus dcinccps nc
fcdcrcnr, ncuc cquis pcr ur- C besuchcrentur. M. Aurclius
Anroninusphi[ofophus,matronarum confulcns modcftiacdcnuo prohibuit. Ncq. minus
apud gymnafti cos haec ipfa geftatio acftimaia n pcrirur:quado,fiuc
]udos,&:facra ccrtammafpcdtcs, fiuemcdicorum librospcrfcrutcris,inomnibus
ca uhrata apparcbi t.Quis quacfo nefcit nona 6c nonagclima Qlym- piadc curruum
ccrramcn in Olympicos ludos inucCtum. Quis igno ratSynoridas,quibusanimas
nollras Platoin Phacdroclcgannin- mc alfimilauitjncc non bigos, quadrigasuc
curruum gcncra in pu- blicisfacrisfrequcntcrcerrafsc?quodpoftea ftudium ira
apud Ro- manosexcultum,arqucau6tumfuir,utpauca,ucl nuUafcrcpubli- cafpcdacula
edcrcnrur, quin curruum certaminibus honorifica praemiapropofita (pcctarcnrur .
OJb quac rcfcrr Plinius in quadri- ^'^-^^.c.t garumcertamine,quod Larinarum
fcrijsin Capirolio cclcbraba- rur,pro pracmio uiftorcm abfmchium
bibcrcconfucuilfc, quafi fanira- fanltatem inpraemium dari ualde honorificum
arhitrarenturma- D iores. An
vcro gratia bellicae difciplinae adjpifccndae ucaatione in curribus utercntur
ueteres, nil certi affirmare audeo . Exiftima ^ paed. tamen cum ab Homeri aetate
vfque ad Xenophontis tempora, at-
queetiapoftenoribusfaecuIisperduraueritmos,utinbeIlisecur- ribus quoq.
dimicarcnt,quemadmodum in equitatione exerceba- tur,quofierent
bcllisgcrcndisaptiores: fimiliter&incurribusfe exercerc ucteres confucuifle,
ne, cum pugnandum erat, tamquam inexercitati J&: diuerforumagendi
currusmodorum expertesfu- perarentur. Cctcrumquod medici
gymnafticifimilemuedtatio- nem tam pro fanis conferuandis, quam pro aliquibus
aegris curan- disinufumrcceperint, clarillimc tcftatifunt Galenus, Antyllus,
h^Yil ^^q^Auicenna : qui non modo eam
inter gymnafticae uerac exercitationes reponendam volueriinr, immo et febrici-
E tantibus (quod paucillimis exercitarionibusattributuminuenitur) tamquam
maxime commodamcclebrarunt. huius etenim quaii vafrn^altcru,inquahomincsueai
va.cii. fcdcbant.alreruinquoiaccbanr.atqueutraquchaccraroinurbe, frequcntiflime
per uias, &: extra urbem pcragcbanrur. iccirco fcri- In probl.ptum
eftaPIutarcho, Romanoscoaaosfuiflcin Scptimontij fefto ^o^- prohibcre, ne ea
die vchiculo uti liccret, ut vrbs,&: fcfti celebratio non relinqueretur.
Nunquidautemfanifimul,&:ualerudinarij in ijfdemuehiculisexercerentur,
indicafle mihiuidctur Herodotus apudqucmlcgirur, febricitantescurribus, qui
manu ducuntur, ' ncc non bigis geftari foli tos, atque illos a pi-incipio pcr
triginta fta diamoucri, deindeca conduplicare; hos a ftadijs triginta, aut
quadraginta initium duccre, &: ufque ad fpatium altcro tanto P maius
progrcdi confucuifle . Sanos ucro omnibus curribus, &: te- ais, &:
apcrtis fine ullo difcrimine ufos cfsc, ucrifimile fit : etfi for-
tafscprincipcstcdispotius, quam dctcdis ucdtoscredere pofsu- mus, quadorcfcrt
Dion hiftoricus, Claudium Caefare du profpera ualctudine utcrctur,caputq.
trcmulu,&: manus,ac linguatitubantes habcrct,primu olum Romanorfi vehiculo
undiq. obrccto gcftatfi ef fcficuti Pliniusiunior ob oculoruinfirmitatc fc
aliqn vsu illo tcfta^ tur Epiftolarum lib.7. ita kribcns ad Cornuru fuum: Pareo
collcga,,clariflimc,&:infirmitatioculorum,utiubcs,confulo.Na&:huc tct\o,,
uchiculo undiq. occlufus, quafi m cubiculo pcrucni . £x his igitur oibus cuiq.
cognofcci-c licct,talcm cxcrcitationcm no minus ccte- ris gymnafticis probara
fiiifs?, quippc quos, &c non aurigas moruu ommum cxhac gcftacionc
contingentiufaculcares, &: conditiones probe intcUcxifrcfcribir Galcnu
Je//a. Cap. X U ECTiCAM, atq. fcllam ob commoditatem potius eorum, qui vcl
fcncviutc, vcl morbo impcditi ambularc pcdibus non potcrant,ucl ob dclicias,
quibus fcmper homincs llu- ducrunt,inucntam fuilTc^t^ob aliud,non dcfunt qui
opincntur: ncc forsa finc ratione;qnquidcm nuUa apparct probabilior caufla, qua
indudi uctercs huiufcemodi inllrumcnta cxcogitaucrint, \ quod cquitarc,^
pcdibus ire ncqucuntcs,aliqua rcm optaueriiif, qua do mo cxirc.p vrbcs
uagari>iter faccre quam commodc ualcrcnt : nifi
dicamus,impcratorcs,Rcgcs,atq. Principcs nc in facicndis itineri- bus a folcui
ucnto, pluuia tcmpcrtatc, atq. fimilibus oflcndcrcntur, lccticas,&: fcllas
vndiq. obtcgi,6c rctcgi aptas inucniflc,quas alij po ^ ftcadiuitesluxus,ac
uoluptatis,fiuecommoditatisgratia,&:pollre- mo mcdici,gymnaftacq. ad
vfumhominufibiipfisconcrcdirorum traduxcrint.vtcumq. fit,conftat,quosnupcrrimc
diximcdicos,atq. gvmnallas illas ad cxerccnda fiicpc ualctudinariorum,rarius
fano- riim quoq. corpora vfurpafle.Scncca cnim Epilt 5 6.ita dc gcllatio- nc
loquitur. Agcftationc cum maximc ucnio non minus farigatus,q,
fitatumamI>ulaflcm,quantufcdi:laborcftcniin diu fcrri,ac ncfcio, an co maior,
quia contra naturam cit; quac pcdcs dcdit ut pcr eos ambularemus,ocuIos, vtp
cos vidcrcmus. Dcbilitatc nobis induxe rc dclitiac&quod diu noluimus,poflc
dciiuimus,mihi tamcn ncccf fariumerat concutcrccorpus,utfiuc bilisinfcdcrat
faucibus difcu terctrfiuc ipfe cx aliqua cauflii fpiritus delior
erat,extenuarct illum iaftatio, quam profuifsc mihi fcnfi.Quac ucro tam
lcdticac,qua fcN laeforma fucrit,nil itaccrtuhabcf,quin dubitarccuiuis liccat,
at« lamcn vcrilimilc cft,in capulumar,&:lcdulum ftratum fuiflc,quo &:
iaccrc. 174 JL i B £ k iacere,&fcdere,&:prout
Iibebar,quigeftarentur,pofIenr.anm cete D ris fucrit noftrae diflimilis, uel
potius fimilis jcredo non admodum diflimilem exftiriflc^nifi quod noftras a
mulis,uel equis ferc fcmpcr geftatur, illa antiquorum ut plurimum afcruis kx
portabatur, atq. ob id Hexaphoros nuncupabatur, uri ex his ucr/ibus Martialis
Lib.s, pcrfpicuum fit,inquibus Afrumquendainpauperem,&:iuueneiu
deridet,quod Icftica gcftari uellct. Cum jis tam pauptr quam nec mijerabilis
Irus, Tam iuums, qnam nec Varthenopaeus erat, Tam fortis, quam nec cum uinceret
Artemidorus, Quid te Cappadocum jex onus effe iuuat ? f^deris, multoque magis
traduceris ^fer, Quam nudus medio ft fpatiercforo, 2{pn aliter monftratur ^tlas
cum compare mulo » Quaeque vehit fimilem hellua nigra Lybin, £ Jnuidiofa tibi
quam fit ledica requiris ^ T^on debesferri mortuus Hexaphoro : fimilitcr &:
ubi Zoilum carpit, quod lc£kicam fandapilac fiue fere- tro mortuorum fimilem
habcrct. tlh,!, Laxior hexaphoris tua fit le^ica licebit, Cum tamen haec tua
ftt T^oile fandapila . Lib.^. Nam exhisliquido
intclJigerequifq.poteft,le(flicamferefempcr rcmfulm!^qucm vlum Cappadoces
Marrialis, Gcrmanos TerruIIianusadhibirosfcribunt)fiqueinterdumaliquis
lcdicariorum numcrum augcre uoluifset, prorinus fuifse norarum, qucmadmodum
idem Marrialis indicauir, ubi Philippum qucnda infanum uocat, quod ab odo
fcruis Icdica eius ob quandam diui- tiarum inanem oftcntationem pcr urbcm
geftaretur, OBaphoro fanus portatur ^uite Vhilippus, F Hunc tu ft fanum credis
^uite,furis . Cumitaquclcdica antiquorum itafchaberet,nonmodoprofedc commoda,
uerum ctiam conciliando fomno,dum claudebarur in- fcruicbar,ur luuenalis
reftatur his ucrbis. Tslamque facit fomnum claufa lcHica jenejira. tamq.
frequcnsillius crat ufus,ur caftra Ie£bicariorum,qui folum gc rendislcdticis,
ucl criam marronis in eis dcponcndis,ac gcftandis, ur eft apud lurcconfulros
mcntio, dcftinabanrur, pluribus in locis habcrcnrur,in quibus&:iuraipfisdabanrur,&:
aliaincaftris ficrifo- litaagcbantur,quamquamlibcrtis omnibus Icsftica
perurbemge ftariuerirum crcdam, Sucronij audorirareinduilus, quiClaudiu
Impcrarorcm Harpocratilibcrro ledica per urbcm uchcndi fpefta culaq.
publiccedcndiius rribuiflcfcribir. ArquifcIIam duplicem fuiffc . J7$ A
finffctradidit Antyllus,fiucpotiusciusintcrprcs;aItcrani,Hi qua fc^»'- i-chro.
cicbant,c]uac ucl coopcricbatur, ucl apcrta lincbatur,&: a nonnul-
lis,ucluti a Coclio Aurcliano,porratoria fclla,ac fcrtorium diccba- turuilrcram
in qua iaccbant.primam quoq. tcmporibus noftris ui- dcrc licct,cum
podagrici,diuitcs, atq. alij principcs dclicijs nimis
dcditiillaquotidicuchantur,quaitcm uiros magiftrarum gcrcn- tcs olim gcftari
confucuiflc,atq. indc currulis fdlac, in qua ranrum fcdcbatur,nomcn cmanaflc
arbirror:fccundam,in qua iaccbar,non habcmus^quod cgo fciam,nili dicamus lc€
17:6 Dc Agitdtione per lcCios fenfdes, Gr* ^er cunas faCta de ^ Scimpodio^ Ca^.
Xlh VOD agitationcm pcr ciinas, &: Icftulos pcnfilcs, quos d uos fub KhivH^
vocabulo a Graecis complexos fcntio,fo dtam inter gymnadicae excrcitationes
recenfere velim, lorfan aliquis mirabitur^cum hac tempertatc cunae io- lis
pueris cblandiendis inferuiant,p aucilTimiq. finc, quibus medici
pcnfiieslcftulos parari iubcant rucrumtamcn ismirari definet,{i
Galenum,Hcrodotummedicum,Actium, &: Auicennamdiligen- tcr icgcrc placucnt :
qui cum hui ufccmodi agitationcs inter alias corporumhumanorum exercitationcs
adnumerarint, cur amefi- Icntiopraeteriridcbcant,nonuidco. Nam cunas ob pueros
po- tius,quam adultos excogitaras fuiflenon equidcm diffitcor,fcdpu-^ to talem
motioncm interdum ui ris cum ad lcnicndos dolores, tum adconciliandumfomnum non
parum adiumenti pracftarepofse, Oriba lib. u t pracclarc fcriptum eft ab
AntyIlo,&: Aetio, apud quos lc6tus fiil^ h^fte. cramobiliaiuxtaangularcs
pedcs habensnilaliud meafemcntix fignificat,quam cuna^s ipfas,quas etiam
intellcxit Cclfus,vbi dixit,(i „ ne id quidcm eft,uni lcdi pedi certe funiculus
fubijcitdus eft, atq. „italea:ushuc,&:illucimpellendus.&:fi Oribafij
interpresnomen jtAiF^spro Icdtica transferre maluerit, et iccirco omnes
illosprorfus falli crcdo, qui in gymnaftica medicorum eas nullum ufum habe- re
cenfear. Quibus fimilis quoq. eft exercitatio illa puerorum,duni in vlnis a
nutricibus geftantur, quae ic a medicis, &: a Platone pro ^
ipforumualetudine miruminmodum probatur. Eadempropeeft U.'2.^.ca.3.
tamlcquiavulgatae,&:omnibus manifeftae clsent . Quaetemporibus noftris cum
a plerisque ignorcntur» opcr^e opcrnepretlum me fadurum fpcro, ii bi cuiicr,
qujd fcnrio, in mc- dium artcram . Kam ck* lcchilispcnlilibL.sqi-ev piiinum ab
Afcle- piadc cxcogiiatos rradit Plinius, opinor cosruiflclcctos quofdam^ !
paruosmodo c\'ligni:>,modocx acrc, modocxar^^cnro (maiorcs nollros criam
argcnrcos lcrtcs babuifle A ripfir Plinius) conftru-^*^-^^^-^ (ftos,qui quatuor
angulis runibiisadcubitium Inqucaiiaalligaban tur,ita ui rcrra fubla'^i
aliquantulum,qua{i in acrc.pcndcrc uidcrcn tur.Balncafimihtcr^f^enhlia a Scrgio
Orata,tc(lc plmio^primum in- lib.^.c.r^ iicnra,non quac
fuprauClAtkbanr^ai^rconcamcrata l(>ca, ut uoluc runr aliqui;,lcd
nuIlaa!iat"uin*ecrcdo, qiiani labra illa ucl marmo- rea, uclacnca>ucl
Ifgnca^ad lcc>ulorum imirarioncmlaqucaribus appcnfa, quo mmimo qucliber
manunm impii!fu,a!ias!enitcr,a!ias uchcmcnriusagirari ualcrcnr. quod Scnccaad
LuciIIum fcribcns B nobis manifcrtauit hisvcrbis. Jjalncarum fnpcnfura
inncntacft: nequid ad lautitiam dccflcr . His igirur moribus quolcumque
cxcrccri mcdici praccipicbanr, huic uni porifTimiMn iludcbanr, yr morum citra
Jaborcm, Jalfirudmcmic ullam aflcrrcnr: dcin- cepscurabanc.nciniexcrcirationc
iliaiucundiras dcliderarcrur, quac profcLlomaglia in lcflulis, armaximain
l.alncis rcpcricba- tur, ncmpe quac pracfcr luauillimum iHum morum,aquac dclc-
diaiioncm addcbanr, dum ca molliiTMic, blandaquc ntillarione quadam (ingula
corporis mcmbra rangcbanr. fi namq. balnca pcn- filia eafuiflcinrclliganrur,
qunc fupratcifta ficrcnr, quomodo in illis maior illa uolupras, ob quamlccundum
Scnccam&: Plinium excogirata tucrunt, rcpcrircrur,quam in alij5>,non
uidco . Dc pcn- lili lccto dixir Hcrodorus, gcftarioncm in illo t.imdiu facicndam
C cfsc, quadiu quifpiam in fclla gcitaius quadraeinra Itadiorum ircr
conficjcbar.alrcri ramcn ciufdcmaucttorisfcnrcnriac hbcnrius ac-
quicfco>vidclicct huiufccmodi cxcrcirarioncm,quatacfse debcat, facile numcro
dcriniri non pofsc. quod non rantum in his, fcd &: in omnibus alijs fcnrio
obvarias, acdiucrfas acgroranrium affe- itioncs, quibus non cadcm vJlo modo
conucnirc* pofsc, oinncs vel mcdio critcr in mcdica arrc pcriri uno orc
pracdicanr . Lcftulo pcnlili fimilcaliud inflrumcnrum uctcrcs habuilsc iiuicnio,quoJ
QKitiTriJ^m Gracci, fcimpodmm Larini codcm vocabuloappclla- runt. huc
licctnufquamappcndcrcnr, crar tamcn vcl lcdtuspar- uus, vcl quidinformam lccti
pcnfilis conftrudum : arquc ipfopcr Yrbcs,& pcruias ram uiri quam muhcrcs
gclbbantur,ur Dion hi- ftoricus dcmonftrar,fcribcns,primo Aug'iliu,ac Tibcrium
in fcim- podijsquandoq. uchi folit05,cuiufmodimuIicrcs rcmporcfuo gc- N 2
Itabanrur, 178 L 1 £ R ftabantur, fecundoquod Seuerus,
dumBritanniamobirer,fcimpo- D dio undiq.obtcdoferebatur. Ceterum
quahshuiusinftrumcnti figura exftiterit,haud fatis conftat: putandum cft tamen
fellam f uf- fe ita fabricatam, ut ledum plumcum paruum caperet,ita ui nxftum,
utpenderc viderctur, inquofinonpenitusfaltim exaliquaparte, qui
ferebantur,iacebant, &c vndique^ ne ab aeris iniurijs laederen- tur,
coopcriri poterant. hoc intcllexiffe meo iu dicio uidctur luue- nalis,cum
Crifpinum quendam mordcns diccbat. Sat. I. dedit crgo tribus patruis aconita,
vehatur Venftlibus plumis, atque iliinc defpiciet nos ? dc eodcminterpretanda
efthaec infcriptio quam mihideditAl- dus Manuiius Paulli dodiffimi, &:
eloquetiflimi filius cruditiflimus, quamquc Parma ad Andream Naugcrium olim
allatam retulit. E D. M L. AEMILI. ViCTORI. QVI. PRI DIE. NATALEM. SVVM
VICESIMVM. ET. SECVNDVM. PRVNA. I N. PENSILI POSITA. VRGENTE. FATO. SANVM.
IPSE. NECA- VIT. SE. L.AEMILIVS. VICTOR. PRINCIPALIS.ET AELIA. VENERIA. FILIO.
PIENTISSIMO E T. S 1 B 1 Mcth. neque aliud fignificauit Galcnus, quando balnea
ingrediendi mo-dumhedicispracfcribens haccfcriptismandauit:
ccggCfjsoOt/rccSQu-^ TioiAcci Ko^i^^ai ^iv \ial rov
cmiiATroJ^o^ltsriHcchccniou, idelt, aegrotan- temuolo portariin
fcimpodioadbalneum. nequealiudLibanius Li.j^.c.io rhetorin librodefuaipfiusvitaintellexir,
dumdixit:cLidomi fum, F in le^to iaccoivbi vero in fchola,in fcimpodio.ficut
etiam idem in- tellexi t GcIIius,ubi fcribit, fe Frontonem Cornelium pedibus
gra- uitcracgrum infcimpodioGraecienficubanteminuenifle. Patet itaque non modo
ob delicias,atque uoluptates a maioribus noftris iedlulos, ac balneas penfilcs,
nccnon fcimpodia ; uerum ctiam, &a medicis gymnafticis ad cxercenda
valetudinariorum corpora vfur pata fuiflc . Quale porro fuerit inftrumentum
illud machinamentu li.3.c.^.& raptorium,&: macron fparton a Coelio
Aureliano uocatum,quaIii- 11. y.c. yJt. apud eundem rccufsabilis fera Italica
nominata, quibus duo- bus geitabantur, nonduii) mihi plene compcrtum eft, cum a
nullo alioau(5loreipforum mentionem hucufque faitaminuenerim. nifi tucrit.
utfupra diximus,petauruii>, uclpotiusfic Coelij contextus deprauatus. De
O^AUigiitiotiey Ti/cAtione. . NTER gcftarionisfpccics,quacplurcscxerccndis cor-
poribus cxftitcrunt, nauigationcm quoq. rcpofuit An- tyllus, quem fccurus
Aerius, 6i poft cum Auiccnna ma- nifcftccampro cxcrcirationc habitam
dcmonftrat; id quod utriqucnon ramabcxpcricnriamcoiudicio dclumpfcrunr, cjuam
ab antiqua diuini Hippocraris fentcntia, qui nauigationcm &: moiicrc
corpus, pcrrurbarc dixir. ni(i quod Auiccnna nauiga- 4.Aph.i4 tioncm inrcr
dcbilcs cxcrcitarioncs adnumcrauir, Hippocratcs ue ro eam corpus magnopcrc
pcrturbarc afscrir, id quod potius uche menris quam rcmilli motus argumcntum
vidcrur . Hac nauigatio- nis excrcitarionc duas pracfcrtim gvmnafticas, fcd non
admodum B ufasinucnio, mcdicam fcihccr,&: bclhcam . Mcdici ca utcbanrur ucl
ad ahquorum fanorum habitus confcruandos, ucl ad nonnul- lorum acgroranrium
fanirarcm comparandam, ad (anos urcbanrur nauigationc,quod(i!t ab Ariftorclc
fcripnim cft) marcob placidas i partjV. afpirarioncsfalubriratcm inligncm
facit,undc nauiganrcs fcmper ^^^^' ^^* coloratiores exliftunt,qu;im m paludibus
dcgctes.Ad acgroros uc- ro,quoniam idcm humorcsputridos, ac nocuos rum
uomitu,qucm frequentiftinxinfucris praefcrrim parir, rumucnris,ac vaponbus
ficcisex/iccare narum cft.quare dicebar Auiccnna nauigarioncm 3'''^oc.i,
leprae,hydrop](i,apoplcxiac, ftomachi frigidiratibus,nec nonin-
flarionibusciufdem magnopcrc prodcfsc. Plinius ucro&phrhifi-Jj^P '* ^
cis,&:fanguincm excrcantibusadiumcnrum afTcrrc Annaci Gallio *
nisportconfulatum iracurati exemplo rcfta^us cft . qu: ircmab hu- C iufccmodi
affcclis Acgyprum peri non ob rcrram ipfam,fcd pro- prer nauigandi
longinquirarcm ccnfuit ; utcriamcius NcposPli- nius fccundus ZofJmum libcrrum
fanguincm rciCLtanrcm co fc mi- ^ ^ ^pi^* fifse,&: confirmarum a
ualerudineredijfsc narrar. quamquam au- dor illc nomine Plinij
falfoinfcriptusin libro i.dcrc mcd. Icnfc-^-*^'^- rir phrhilicis utiiius c(sc
in faltibus m( rari, ubi pix nafcitur,qua in marinauigarc&cmarinaloca
uifirarc. quod etiam tradirumcfta Marccllo mcdico. nam &: Galcnus ix.dc
linipl.mcdic.ubi dc rcrra Samialoquirur, mcmorar, multospulmonc vlccraros Koma
obid in Libyam profcclos, annis aliquot inculpatos uixifsc, poftca ucro morbum
recruduifse, ubi non pari cura uuicbant . Modus in naui- gationc ualcrudinarijs
obfcruatus /ic ab Hcrodoro dcfcribirur, ^ .^, quod
afcxagintaftadijsincipicbanr, i?cin duplum Iiorum dclinc- banr.Porro
luuiijationis plurcs fucrunt durcrcntiac, quando aliac Oynwtilica^ N J in iso
in mari,aHaeinfluminibus, aliaeinmagnis-, aliac rnpaf uisnaui-a bus,aliae
remis,aliae remulco, aliae uento, aut uchementi,aut pla- in lib. de
cidiorefiebant. De nauigationcperflumina traditumefta Plutar- ^^aufliiua» cho,
cam minus naufeam producere, quam mare, quod tam odor, quam timor c maris
adfpcdu proficifcenres corpora pcrturbant,ar- qucfic uomirumcicnt, quae resa
fluminibus minime contin^it. conrra Coclius Aurclianus in inueteratis capitis
doloribus cctcris practulit longam pcr marianauigationcm> quoniam (vtipfe
in- quit) fluminalcs, ucl portuoliic nauigationes, ncc non ftagnorum,
incongruac iudicantur, nimirum quae caput terrcna exhalatione
humcclantcsinh*igidant,maritimacuerolatenter,atq.fcnfimcor- pus apcriunr,&:
falfac proprictatis caufsa corpus adurunt, atq. eius
habirumquadammutationercficiuat.Hicigitur fuitapud gymna-
fticosmcdicosnauigarionis vfus, quam paritcr bclUcacftudiofos E amplcxos fuifse
diximus. quandoquidcm Naumachiac illac, quae a Romanis in circo,uelaIiquoterrae
finuprope Tibcrimmanufa- &io tali cxcrcitarioni dcfignato rcpraefentabantur,
fuerunt qui- dcm ad populum obIc(Sandum (ccundum aliquos praccipue infti^
tutac, qualcs ilhicquas ab impurilfimo Hcli ogabalo in Euripis vi £.Y vrbe ad
marc huc prodimus pjbuiituyyt, procxcrcitio Gymna(lico,&: Palacftrico hoc
habcmus.quacta- mcn pifcario cum a Plaronc improbara (ir,quod ncquc animus.ne-
In fopnift quc corpus in ipfa cxcrccarur, lurcmcriro cam ramquam nulli uri- Jcm
omncs fcrc gymnaftici rcicccrunr,nili quod ^jalcnusipfam in- i.itu $5.
tcrcxcrcirationcs,quac limul opcrafunr,rcpofuifsc uidcrur, iicut ^P-'« et Auiccnnaingrcdicnrcm
pifcaroriasnaucs dcbilircr cxcrccri cc- fuir. quorum fcntcntias duabus dc
caullls infinnas rcputarc debc- mus,rum quia ncurcr corum cxplicatc, quid boni
affcrac pifcario, Q declarauir,quali excrcirationcm huiufccmodi non admodum
pro- barcnt > fcd communcm porius quandam fcrmonis confucrudincm
fcqucrcnruri tum quia ipfcmcr Galcnus pifcatorum habitus du- ^ ros,arquc
aridoscflc dixic.cuiusaridiratis rarionc Ariftordc pifca- mcd^mL tores marinos
pilis ruris pracdiros cfse anrca fcripfcrac.unde mcdi- 3» p^rtic ci,qui bonum
habirumcorpori cxcrcirarionibusacquircrcftudit, - quomodo durum,
([^aridumcfticcrcpifcarioncuclint,non uidco ; pracccrquam quod cunctac propc
pi(carioncsfub(olc,&:inlocis facpe maloacrc plcnis pcraguntur, una cxrcpra
maricima : ut his omnibus crcdcrc cogamur, pilcationis laborcm mcdicos parui
aelhmafsc. Ncq. ramcn dcfucrunt Jnipcrarorcs,qui cxcrciratioius cuiufdamgratia
inrcrdumpifcarcntur,ccu dc Cacf, Auguftofcri- prum cft a^Sucronio,6«: dc
Alcxandi o Scucro a Lampridio, dc (luo ira fcribitrVfus uuicadi cidcm hic fuir.
piimum, i;t /i faculLis cfsc r,idc/lli cumuxorc non cubuifscr.marurinishorisin
hu i'; fuo,in quo N A &:d:uos «2 et diuos
pnncipes,fed optimos eledos,&: animassadiores,;m qucis et Apollonium,&:,c[uantumfcriprorfuorum
temporum dicir, Chri- ftum,Abraham,&: Orpheum,&: huiufcemodi
dcoshabcbar,ad Ma- iorum effigiesfacrafacicbar. Si idnonpoteratproloci
qualitarc, vel vcd:abarur,vcl pifcabat,ucl deambulabat,uel uenabarur. Haec
Lampridius.Quid aurem fucrinr pifcatorij ludi,qui quotannis mcn fe iunio rrans
Tyberim a praetore urbano pro pifcaroribus Tyberi- nis,au(5tore
Fcfto,agebanrur, nonduin ira cerrus fam,ur turo affirma re queam,arhlericam
gymnafticam, cuius ludos fui(se,diximus,pi- fcationis exercitium habuifse. De
Natatione. V. AGNA,&:fereincredibilis apud ueterefuitfemperna- tationis
exiftimario, tanrumque per plura faecula illius vfus uiguit,utnonminus pucri
narandi arrcm, quam primalirrerarum elcmenta edocerentur. quotempore cum
nullamaior ignorantiae nota inuripofset,quamdum aliquis nec lirteras,nec natare
fcire diccbatur, fadum fuit,ut pofteriores il lud in prouerbium conrra bardos,
&: prorfus inerres continuo recc perint,
adhucq.iraloquediconfuerudopermaneat,quando naran di peritia,fi non eofdem
honoresobriner,quibus anteadtisfaeculis afficiebarur,falrem nec penirus
neglefta, nec inurilis iacet . Ratio enim, qua impulfi maiores noftri narandi
fcienriam ranti fecerunt, haecunaiudiciomeoexftirir,quodprimis illis
remporibusapud 5c£^^^ rcfpub.quafcunq. viri fortesprac caeteris,ut fcribit
Ariftoreles, ho Prob.y.& norabanrur,qua(i ab hisloIis,&ciuitatum
filus,&: imperij propaga 2.Rhc.c:.4 ticpendc rer:&: ob id quifq. uel
faltem maior nobilium, arq. eriam aliorumparscomparandaeforrirudiniufque
aprimis incunabulis incumbcbat . Quocirca,ut in naualibus quoque pugnis,quae
runc frequcnriuscommitrcbanrur,in rranfeundis uadis,ac fluminibus homincs nandi
arti confiii pcricula magis euadcre pofsent,mi- nusucformidarcnt, (quando
facpcnumero milites mare ingrcdi coadi ob nandi ignoranriam fuffocabanrur,
qucmadmodum exer- Dc Cyri cit^-^i ^yi*i cucnifsc memoriae prodidir Xenophon )
ficq. forricres minons jntcraquarum pcricula ficrenr,natarionispcritiam
exrulerunr;qua «^pc^i^- ctiam rarione Komani uerercs,ut Vegerius fcribit,quos
ror bclla,&: continuapericula miliraremdifciplinam docucrant,campum Mar
llb.i dcrc tium Tybcri vicinum dclegcmnr,in quorum alreroarmorumexer miii.cio.
citationcs inirenr,inalterofudorcm,p-uIueicmq.diIuerent, acfi- mul if, A mul natarepcrdifccrent
>uthisrarionibus,ac VcgcrijauAoritate facilc lit iudicatu,militarcm
gymuafticam nat.mdi cxcrcjtacione noncaruifse. Cctcrumpoflcnori tcmpore non
modonaranoob difusrationcsufurpatarcpcntnniicrum etiamob ualctudinis con
fcruarioncm,nonnullarumquc adcdionum curationcm mcdicis gy mnallicisipfiim
probatam hiific Antyllus tcftatum rclic|uit. q:i". J itcmfcnfillc uidctur
Galcnus inprimo ad Glauconcm,ubi Libo- ranribustcrtianafcbrc
conccdit,utungantur,&: balncum ingre- diantur, ibiq. madcfiant,&: li
uclint, ctiam natcnt . Qiiod cnim na- tatiocxcrcitationisloco habita tucrit,practcr
Oribalij ^uidorita- temdccaintcrcctcrasexcrcirationcstradantis,
&:alauationc,dc: qua libro pollca dccimo fudirunc fcripiit fcparantis, ipfa
qnoquc ra tio pcrfuadct, ncmpc quia in huiufccmodi morionc infignitcr uiii- B
ucrfum corpus,&: mouctur,uc duobusmo- disnatabant, ucl inpifcina,qLiam m
frigidario luifsc /upcrius dc- monftrauimus: (tamctfipifcinasapud Varroncm,&:aIios
La:inae C linguacauvftorcspropriclocapifcibusalcndis, ^faginandis dica- ta
fignificarc crcdatur)ucl in labris illis amplis,quac adhuc Rouiae uifuiitur .
Qu^od in pilcinis, quac in frigidario tlicrmarum acdifi- catae erant,quafquc
thafio lapide aliquando circundiitasfuifTc tra dit Scncca,iiatarcnt,omnium
clarilfiaic ollcndit Ciccilius Plinius, Epm. 7,9^ qui in Epi(t.li.2.viilamiuam
cxacliifimc dcpingcns,dc balnciscius itafcribit. indc balnci cclla frigidaria
fpariofa,&: cf}afc,cuiusin contrari js parictibus duo baptiftcna ucluri
cieda linuantur, abun- de capacja fi innarc in proximo cogitcs, adiacct
undormm, hypo- cauftum, adiacct propnigcum ; balnci mox duac ccliac magis clc-
ganrcsquamfumptuofac.Scdhoc clarius explicat li.^.ubi Tufcos luos defcnbcns
iiitcr ccicra hacc habet . Indc apodyrcrium balnci „ Iaxuin,(5(: hilarc cxcipit
cclla frigidaria,in qua baptirtcrifi aniplum, natare Iatius,aut tcpidius udis.
Ex quibusomnibusfatisapcrtum cft, tdyin
gymnafijs fiue balneisueteres nare folitos,atque in higidan} D baptifterio
alias pifcina uocata>de qua menrioncm kcit TertuUia- nus in lib.de baptifmo,
et dc qua exiftimo locutum Galenum dum in y.Merhodi ficcitatcuentriculi
laborantescurandiratione edo- ces,magis laudat lotionem in balneo fada Iv
rocgHoXviJiHSg^is . ideft, inpifcinisnatando inftitutis,quam
h70i\i4iKgotQm/tMig,c[[iamquam etiam pifcinaminterdum in area gymnaliorum
acdiricatam credo, ut teftatur Plinius loconunccitat Ojinquopoftdidaucrbaait. In
areapifcinaeft:&: ante Plinium Maitialis, quili. 5. Liguhnicuiuf* dam
infuUi importunitatem dcfcribcns dixit) In tht ftncjs fu^io Jonasai aurent >
Vifcinam peto, non licet natare . ni uelimus Martialempotius de publica
pilcinalocutum cflc,quam fuilfe RomaCjCx multis, &maximecx Regionum
fragmcntofub E porticuCapitoIina intclligcrc poflUmus,vbi Vici publicac pifci*
nac clara mentio habetur,de qua ita Feftus Pompeius.Pifcinae pu blicac hodicq.
nomen manet,ipfa non exftat, ad quam &: natatum, cxercitationis alioqui
caulTaueniebatpopulus: unde Luciliusait, Pro obtufo ore pugilc, pifcinenfis res
eft. L)e huiufccmodi pifcinis fcriptum efta Dione Maccenatemomniumprimumm
urbeaqua- rum calidarum naratoria inftituiflc . Quod ucro in labris illis fimi-
liter natarcnt,ucl faltem natantium inftar mouerentur,conijcio, cQ ex
magnitudinc labrorum,tum exuerbisGalcniin i. adGlauco- nem,quandoin
tcrtianaecuratione natationemin aqua commen- dat:quoddc pifcinis gymnafiorum
nequaquam intelligi dcbet ; tum cx Coclij Au rcliani uerbis, qui in capitis
dolorc, atquc etia in p arrhriticis curandis, natationem minimc fub dio fad:am
> nec non fcruentcm, atq. ctiamfrigidam probans,duo demonftrat;primum in
locis claufis, &: ctiam apcrtis, qualis crat arca pifcinac, altcru ta in
aqua calida,quam frigida natari folitum, unde clicio natatione feruentem folum
in labris faditatam.cf fi Plinius in locis paulo an- te citatis pifcinae
calidac mcntionc fccit,fub hifcc uerbis,Cohae- retpifcinacalida mirificcj exqua
narates mare afpiciunt,dc calcfa ^ta ui foIis,&r maritimo fituporius^quam
de fcruclac>aab igne,ut intcIIigitCocIiuSjUerbafcciflc uidetur. Quac extra
gymnafia,fiue priuata balnca cfficicbatur natatio, modoin fonfibus
latifl]mis> modoinlacubus,modo in fluminibus, modo in ipfo mari agcba- tur.
dequibusfcrmoncm habens Ariftotcks,dixii,nichi?s ir mari, '
quan\influuionitari,diutiusqucibi moramrrahi,quoniam ucluti mare aquaefuae
corpulcria,cra(Tnieq. maiora>quam dulccs aquae fLlii- A fuftinct oncra,ita
facilius corpora hominum cleuata tcn'cr,& confe qucntcr minusilla
pcnctrarepotcft, cuin dulcesaquaco!) rcnuira- le luam citius,&: lcnius illabatur
. Hxrra balnca quoq. apud aliquas nationcs loci pcculiares nando confti
ucbantur, et idc(. KoXvitSHd^xL uocabarur,ftcuri legirur npud
loanncHuaniZcliftamdc Jcfu ('accocap/p.. dicctc,«Tflc)/t,wcTiiy
icMvfcJ};I^fflw/ TQ\/ ciMixiJL K(c$ w^itijubi nacaroriam Si- locanriquus
intcrprcs iranlluli:. lraq.na:aLioncarccdismorbis,fa- nifq. corporibus
cxcrccndis,&: confcruadis vfitaram fuKTciam Luis parcr: quando itc
Ariftotcles fcripfit naranrcs in maii filubritcr cxi naniri . vcrumramcn illud
animaducrri uolo, plcrumq. ob dclcsfla- tionc,6i: ad ardorcs,&:liccirares
rcmpcrandas,h()mincs nararc con- lucuilfc,cuiU5 graria in acftarc dumraxat
natan folitum luir. DcVcnatione. (ap. XF. RAECLAR IS SIMA cxrat
GaIcnifcnreria,cxom- nibus corporum cxcrcitarionibuscaproculdubio vti- liffimam
vidcri, quacncdum corpusfarigarc, verum criamanimam oblciflarc ualeac, 6c
iccirco fapichtif- In lib. dc- ludo par- luc pilac. iimos illos haberi dcberc,
qui in ucnationc cam cxcrccndi corpo- ra formam inucncrunt, in qua mirifico
quodam modo laborcs uo* Iuprarc,quafiq. laudis cupidirarc ira rcmpcrantur, ur
tacilc iudica- ri non podir, maior nc fit corporis, an animi motus . Acccdit
huic^ quod natura ipfa, quac animalia cuncta hominis caulla produxit,
ueaarioncm quafi praccipcrc, &: acccptam habcre, ut lcripfir Ari- i. PoJiu
Q ftoteIcs,uidc'ur,quumin ipfa propriaspoflcllioncsacquircrcconc^
tur,fpcLtacuiumq. nullo fcclcrc conraminarum cxhibcatur, fcd fi-
mul,&:corporisrobur,&:animi uigoraugcarur . Exquoncmonoa uider,quam j
rudcnrcrfcccrintmcdici,(]ui pro cxcrccndiscorpo-* ribus,ijfq. ualidis,&:
lanis conferuandis, ucnationc ranroperc acfti- manmr,cuius nimiruftudio antiqui
illi mcdicinac parcntcs Ciii- ron,Machaon,PodaIirius,
AcfcuIapiusufqucadeo,ficut rcfcrtXc- nophon, arferunr, ut non minus in ea
laboris, quam in arcibus, in qLibusualde cxccllcbant, (ibi impcndcndumquoridic
purarcnr, Ncq. ucrofolam medicinac gymnalticamhuiufccmodi cxcrcira- tioncm,fcd
bcllicam quoq. &: achlcticam rcccpifsc,proba(scq. cre- dcndum cfti fi
quidcm uel dclcvflationcm, &: gloriamAiuarum gra- tia arhletac
Iaborabanr,ueI milirarcm pcririam,&: f(.rrirud:nc,qui-
buibeilicacgymnafticac cxercirarorciinuigilabant/ifpcAcmuSj^ cumu.- Early
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cumuhti/Iime omnes in ucnationis cxercirio reperiuntur, atqueD
ineopraefertim^cf noninauibus dccipicndis, fed in terrcftribus animalibus fiiie
dolo capiundis Jaboriofe uerfatur,dcquomagis noftramhanctraftarionemintelligi
dcbcreuolumus. Etncfineil- li .ftrii:mau£lorum teftimonijs hancfcntctiamaudad(
ri.in:ispro- ferrcuidcar,quomcdounaquacq. gymnaftica uenandi excrcita- tionc
ufafic, iaminccptam uiaminfcqi.ensdcmonftrarc conabor. Qupdenimilla
bellicacfortitudini affcqucndac maximumadiu- mcntum pracbcrc putarerur,
locuplcf /fime teftarum fecitPIato, quipoftquam in Thaceteto^&y. dc lc^ibus
/cnandi difciplinam in trcs fpccics, aquatilium fcili( et, uoIatiJ «um, Sc
terieftrium ani- malium diftinxiflct, improbaiisaijjsduabusproiLuenumeduca-
tionc,detcrret'iuinucnatione in h le 7. dclcgibusita concludir. J^' w -mv
^TTcwuzLTcL ^cW^ \x^cr^^ci^^v(TiTc^ii^] Trdiyumq^iT^ i (piKoTTOVH 4t/ „ viv.v\
;:^fv CtTlCCVniV jyjtpA^cn J):>6^uo/Cy (t TiXnya^c: y(t
/SoXajqcwTix^^Hpi^OrpXov-ngofjOi^aiJ^ieicxA yy ^ OeioA ^^;weA^c.idcft,Solum
itaque tcrreftrium ucnatio,capturaue, „ athletis noftris rcliqua cft,atque
harum,quae dormientia animalia yy peculiari uocabulo nodurna uocata pcrfequitur,
fcgnibus conue- 5, nit,nulJamq.mcrcturhiudc,ficuti ncc iIJa,quae laborum
intcrmif- „ fioncs habens, rctibus, &: laqueis non laboriofi animi uiftoria
fera- 5, rum robur cujnccrc conarur.unde folam ilJam optimam eflc rclin- 5,
quitur,in quahomincs quadrupedia equis,canibus,&:proprijscor
„poribu$i]cnatur,quosomnesfuperantini,qui fortitudinisdiuinae F 5,
poifcliilonem curantcs proprijs manibus currendo,fcriendo,&: iacu yy lundo
ucnaiioni opci-a nauant. Ex qui bus uerbis clarc pater,quan- „ tum 1-Jato in
comparanda fortitudine bcllica diuina ab ipfo nun- cupata, vcnationem dixcrit
cxcrcitatoribusinilitaribus confcrre. quosqnomodoipfcfub dOXY^iiiV nominc
comprchendat, fuperius indicauirnus. Euidentius,quam Plato,locumhunc
cxpJicafleui- dctur Xonophon, qui dc Cyro in eius pacdia ita fcriprum reliquit:
T?^ TToXiM^-ihg Ji lv}}ca dcniY\or to; OY\pav [f^yof, bWtp icryteiv rctZrct
fivn yy ;!^^^^' rcw^rl^v n^^bf/^iJO^ € jAce^c a^ic^lw icTTtYKTiy ttoMuixZv
^tvcLf, iW/- jcTicJidAnCv/.Wlw. idcft, Excrcitationisautcmbellicacgratiaeos ^
ad ucnacioiiem cduccbat, quos haec cxercere oporterc cxiftima- bar,hanc ratus
&:omnino bcJlicarum cxercitarionum optimam, ' &: cqucftns ucrifiimam.
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Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429.,S7 A apertcucnarioncm ad exercitationcm
bcllicamomniiun nuximc conducerc ccnfucrit . undc poftca in lib. dc vcnarionc
iuucnc.s ad capclTcndamhanc cxcrcirarioncm duabus praccipuis rationibus
adhorrarur;tum cf corporibus bonam ualcrudincm comparat : tum cf cosad bellum
maximcinltituit^drcnuofqucmilitcs^&cctcrisrc- bus agcndis idoncos rcddit .
At Arillotclcsnon tantum bcllicac iib r exercuarioniucnandi lludium conduccrc
uoluit, quinimo illud ^ ipfiuspartemmanifcltaorarionefccir : ut nullaamplius
dubitat io fuperfit, quin intcr cctcras nulitari gymnafticac infcruicntcs cxcr-
citarionesuenatio quoquc locum obtinuilVc dicatur. Quod vcr« . nec athlctica
profcflio huiufcc gcncris cxcrcitiocarucrir, vcjk-: nes in amphithcatris ab
Imperatoribus facpcnumero rcpraefcnra - tac,&:apud Latinosfcriptorcs miru
in modum cclcbratac dcir.ou- B ftrant: quac liccrab hac noftra nuilrum diucrfic
fuilTcanpai canr; illius ramcn fpcciem praefcfcrcbanr, nt mpc cum bcftianj,arq.
alij mortisfupplicio condcmnari co prorfus modo aducrfus fcras, vfq. ad
alcerius intcritum (ur rcfcrt Suctonius)contcndc:cnr,quo vcna- tores contraminus
immancs bclluaspugnarc confucucnir.t . Dc medicorum gymnaftica, quod fcilicct
ucnaiioncm ualerudini, Sc bono corporis habitui comparandis, tucndifq. probarc
u, ncmini non conftarc arbitror, quando,practcr Xcnophonris lcnrentiam i
Jctnfiu citaram, practcr Galeni aucloritaxm, qui inrer cxcrcirationes cor-
porisfaniratiinfcruicnrcscamrcpofuit, ludoq paruac pilacin hoc ludo par-
foluminfcriorcm fe':ir,quod maiori appararu indigcar,proptcrca " nec
arrificibus,nec ciuilibus ncgotijs implicitis conucniat; practcr
iuniorcmPlinium, quiuenationc corpus fanum confcruaflc inii-li y.cpift, ^ nuar,
practcr aliorum argumcnra, unum Ra/is Arabis mcdici cru-
ditiirunitcftimoniumfufHcercporcft, apud qucui icgirur, conti- giflVin quadam
pcftc, ut, dum omncs fcrc pcrircnr,foli vcnarorcs, in jo.coa. obfummam
ualctudinem airiduisexcrcitationibusparram^incohi-
meseuafcrint.ncfilcntiopractcrcaLaccdacmonios, a quibusolim ad coenam Dionyfius
Syracufanus acccptus, fc cibis appoliris dde Aari negauir. cui flarim rcfpondir
coquus idco illud cucnifsc,quia nec in ucnaru,ncc in curfu laboraucrat, &:
idco fiti, &:famc carc- bar,quibusLaccdacmoniorum cpulac condicbantur.
Itaq. mirari nullopado debcmus,fi Mithridatcm,qucm ufq. adcofanitaiis,&:
uitac ftudiofum fujfsc fcimus,vcnationi ita auidc opcram dcdifse lc gimus,ut
fcptcm annis, neque vrbis,ncquc ruris rcdo vfus (it . Ergo nianifeftuna cuiuis
iam cfsc potcft, quantum in cxerccndis pro ua- icrudinc corporibus ucnatio apud
uctcrcs acftimar^i fucrit. cuius cum multac cflent fpecies, quanim aliae
rctibus, aliac laqueis, ui- fco,& aucupijs,
aliaecarniuoris,&:rapacibusauibus,aliaecanibus, fagitfis, uel puris, vel
rindis ; quas ideo Gallos uenatorcs hellebo^
roinficereconfucuiiretraditPlinius, quia circumcifo vulnere ca- n.xy.c. y.
rotencriorfcntitur : aliac armismodo in uolarilia : modoin rcrrc- ftrcs belluas
peragebatunilias ucnationcs aptiorcs cxiftimaras arbl tror,
inquibushominestampcdibuseunres, vcl currcntcs, quam equis vcdi fcras canibus,
&c armis infcdabantur ; nempc quas tum corporamagisexercere,tumfenfusomncsacucrc,
tummaiorcm animisuoluprarcmafrcrrcncmoncgarit . Eam enimuenarioncm,
quaccumaccipitribus&afturibusaducrfusaucshifcc temporibus exercetur, an
commendarint antiqui mcdici, affirmarenequco, 7.de his.
quod,IicetAriftotcI.memoriacprodidcrit,incaThraciac partc» ' quae olim
Ccdropolis uocabarur, homincs focietarc accipirrum perpaludes aucupari
confucuiiTc ; nihilominus gcnus illud vena- tionis noftrae ualdc diflimilc
fuiffe uidetuv; quandoquidem illi ip- lilignis, quacmanibustcnebant,
arundines&:fruteramoucbant, undc aues ob ftrepitum cxciratas, euolaresq.
accipitrcs dcfuper in- fecLabantur,quorummetu aucspcrculfae terram repercbanr,ibir.
quc pcrcufTae baculis a vcnaroribus capiebanrur, &c earum parres'
accipitribus diftribuebantunnoftrum ueroaccipitribus,atque aftu
ribusedodtispcragirur • quodantiquos ignoraflc, et Conftantini Imperatoris
actaie inuentum eflc, infinuat lulius Firmicus :_ ficutr etiam ignorarunt cam
uenarionem, quac canibus arte quadam m-^ ftrudis, &: rctibus aduerfus
cjualeas,pcrdices, &. faiianos cxercctur. Sed dchisfatis. Exflicit Liher
Tertinj* .0 - m H?9 "De ratione agendorum ^ ^ dc exercitatiom ryS. Cap. L
VM gymnafticae origincm^ciufque fnccics» &: fpccicrum(ut (ic dicam) fpccics
ab anti- quis traditas,ac inufu habiras,iam clara,quan- tum conccditur,
cfTcccrimus, ad pcrficiendum tradationis noltrac inftituru rclinquitur, prius
U!iiucifa!cs,communcsuc cxcrcitarionumom- niumrcgulas tradcre,quarum dudlunon
mo- do li '•gula cognofccrcs Ycrumctiam vti unufquifq. pofTit : dcinceps ad
parr\-n!.:ria,&: magis propria rranfcudum c rir,ur in llngulis cxcr
citationibus,quid boni>&:quid malirclkicat, flicilitcr pcrnofccrc,
&: cogp.itum partim amplcdijpartim cflligcrc valcamus.luiflct pro-
fcctoinanispropcIabor,acuanum ftudium cxcrcitarioncs vfquc adcoapud vetcrcs
cclcbraras pcriicftigaflc-,niiictiarautiliratcs,&: commv>da,quori:m gratia
totam gymnalticam,&: c6didcrunt,&: in
quotidianuaimcdicorumufumcduxcrunt,pcrfpc^ta,&:cIarahabe rcnt
iIli,qiiibushaccnoftralcvttirarc,ijsquc ad faniMtis profcCtum non ofciranrcr
uti placucrit.Arq. in hoc idc ) magis inihi clabciran dum efle cenfco,quoniam
Galcnus Hippocratis arque Plaronis pla ^ citafccutus^in omnibusquidcm
artibus,lcd pracfcrrim in mcdici- na, uniuerfalcsmcrhodos parurn iuuarc
clamar,nifi particulanum tractationcs,ac indiuiduorum fpcculationcs accelTcrint,
quibus rii r€s communi mcrhodo inucntac ccrrius contirmcntur, tum carum
fimilitudincsac diflimilifudincs,unde omnis iiumana deccptio,ut in
Phacdrofcripfir Plato,principiumfumir,probc difccrnantur . Hanc igitur ab
anriquis philofophis, atquc mcdicislaudatam uiam incedcntcs,tractandorumomnium
ab iplius cxcrcitationis narura initium capicinusrquam cum dcfinicnmus morum
qucndam corpo ris clfc, atquc omncnrmotum ncccllai io diffcrcntiac nonnullac
fc- quantur,nimirum vchcmcntia,rcmiflio,ccIcritas,tarditas,&: limilia:
&: proptcrca in quouis motus localis gcnrrc corpus quod moucn- dum
cft,Iocus ubi moucri dcbcf,tcmpus in quo moncarur,ac iplius morus mcnfura,atquc
modus cx nccclHtatc rcquirantur, confutaris corum,quidccxcrcitarionibu5
maIcfcnfcrunt,opinionibus,primo diffcrcntias illas excrcitatione confequentcs
dcclarabimusrfecun- D do,quae fint corpora excrcitationibus apta,& quac
inepta, dcmon- ftrabimuiittc rtio, qualis efle dcbcat locus,ubi jJli
excrcitationibus operam nauare dcbent, qui uel confirmandac, vel conferuandae
ualetu dmi ftudent: quarto, quodnam tcmpus cxercendis corpori- bus opportunum
habeatur; ficuti namque corpora omnia non om- nem
excrcitationisfpccicmpcrferunt, ita fimiliter non quiuislo- cus,nec quodlibct
tcinpus cuicunquc aptanrur.Sed,quia jmpcrfe- dahaectraaatiorcmancrct,nifimcnfuracxercitationispracfcribcretur,ideo
qujnfto fubiungam,quantum cxcrcendum fit.Addam &: fexto modum,quo
exercitatio adiri debeaf,atque fic ad particula- rium cxcrcitationum qualitates
examinandas dcfcendcns nihil re- linqucre conabor,q^ in hac materia iurc
dcfiderari qucat,&quod l aedieca. ab Hippocrate,fiue Polybo pro
laboribus,aut cxcrcitationibus tra E dandis cognitu necellarium pofitum fucrit.
Scd hoc antequam ag- grediar,illud prius hoc in loco praefandum efTc, iudico,
ea omnia, quae in hoc quarto volumine tradituri fumus,tati in vniucrfo exer-
citationum negotio mojnenti cxfiftercut, ijs uel ignoratis, vel ne- gledis,
excrcitationesdetrimcntapotius,quamcommoditatcsuI-
lasinferant.-innumeraequandoquidemcxcrcitationes, utpraecla- 1. J tu.va. re
fcriptum eft a Galeno opportune ac prudentcr adminiftratae,er ^ liSo. ^^^^^
naturae in corporis tcmperie fadtos, tum hominum in ui- &mac.ruc!
procuIdubioefsentilli, quinatu- ra corporis imbccillimi funt, qui cum ab
exercitationibus utilita- rcmcapiant, ceterosquofcumqucabijfdemiuuari,
&:iccircoillis uti dcbere confequens cft.His crgo rationibus pcrfuaii
cundispaf- fimhominibusantecibumfaltem iniungendas excrcitationes ef- 'fe
praedicabant: fed&ipfiapcrtiirime hallucinati deprehendun- tur, Qiioniam
cumhominumnaturae,&:conditioncsufqueadeo pcl^'^^"'* «^lHicrlac fint,ut
neminem inucnire (fiturfcripfic Galenus) alteri fi- E milem prorfus liceat,
fintque quibus medicamcnta noceant, quib. 5^. Epid. profint,quosimmodicuscoitus,fiucAc
illos,qui hoc al- fcucrarunt,toto caclo abcrrafsc^quamuiscxcrcitarioncm commu
nitcr acccpram, prourquaflibct ucl minimas corporis agitariones
compIcdirur,ncmini fano ncgari pofsc farcamur, quando nihil fa- nitati tam
hominum,quam brurorum acqucperniciofum, &:lcrale, ^ im:cniri:r, arqcc
cuiufli iK-r motus cclsario, confumatumue orium, quibusnon tanrumuniucrius
corporis habitus mfignircr rcfrigcra tur,calor natiuus
hcberatur,humiditatcsfupcruacuaecrcfcunt,mo Icftusquc quidamomnium uirium
torpor connurritur,ucrumcria, lib.dcdb. utdiccbat (;alcnus,cunctamcmbratcnuia,dcbilia,atquef1accida
^^^^ «"^- cuadunr,& fubindc nonrarocxiriaIcsmorbinafcuntur,qui,abhu-
i"'^c-cau, moribus frigidis plcrumq. origincm duccntcs,ucl ad mortcm, ucl
ndpcrpctuamualctudinis offenlioncmpcrducunr. N 4 K^' I9S a.Aph. T^darguu7itur^qui ajfueto Jolum
exerceri uolebant. Caf. III ESTAT falfa eorum opinio condcmnanda, qui af-
fuetos folum cxcrceri debcre,inafluctos minimc cxcrcendosefrc iudicabanr.
quorum fcnrentiata- metfifpecicm ucrirarisquandam praefeferat, cerc- risque
duabus iure anrcponi mercarur,haud tamen prorfuscrrorcuacar,dum alTuerudini
nimium rri- bucre, quafique fupra narurac condicioncs illam ftatucrc uidcrur.
Ccrerum ne honimplacitainiuftcrcfcllerc crcdamur, &rariones,
quibusadducliin eam fcntentiam iucrunt,&:crrata,quae commife runtjin medium
proponcmus,vt vcritas facilius cluccre acquo iudi ci pofl^t.Iftiitaq. cum
legiffcntapud mcdicoium principcmHippo cratcm,eos,qui confuctifuntfolitos
Iaboresfcrrc,etfifucrintimbc- cilles, et fencs non confuetis, fortibus, &c
iuucnibus facilius ferre ; quacq. cxlongo rcmporc
confuerafunt,erfidctcriorafinr,inaflue- tis minus incommodare,affeueranrer
pronunriarunt, ncminem iaaf fuctum cxcrcirationibus,&: laboribus committi
dcbcrc,aIioqui ma ximopcre offcndi^fcd dumtaxat aflueros, ncmpc quos partcs
cxcrci tatas robuftiores habere,& proptcrea laboribus finc damno refifte-
re experientia demonftrat. addcbant his rationcs, primo quod om- nes illi,qui
cuilibetrci infucfcunt, raagna ex partenaturaefuaeco- uenientem confuerudincm
deligunr;quoniam laedentia expcrri, il la rcpudianr,&: iuuantibus
adhacrcnr.unde excrcitationibus vafl^iic ti in illis tamqua fibi familiaribus
confcruari debennqui ucro quie fccndi confuctudincm contraxcrunr,ab
illanullopadofunrremo- uendi,quafi tales expcrri fint ab cxcrcirationibus fc
ipfos ofrcndi,&: aquierc utilitarcm
capcrc.Sccundo,quodiuxtaphiIofophorum,&: mcdicorum placitaconfuerudo in
naruram rranfit, &:iccirconon fccusconfuerudincm
pcrmuranrcsobIacduntur,atquciIIi, quina- turam pcrucrterc, &: aducrfus
illius impctus obrcnderc conantur . Tcrrio quod fi confucti quicfccrc longo
rcmporc fani ira uixerunt, ucrifimilefir,in eadem quictc rcliquum uitae curfum
ipfos fanospe ra£luros;exaducrfo ucrendum cflc, nc ijdcm aegritudines diucrfas
incurrant; fiquidcm pcrmutantes in contrarium uiucndi rationem, &c alia
ipfi confcquentia in contrarium ftarum pcrmurari, nccefTa- rium vid etur .
Huiufcemodi crgo rationibus indudi, ifti conftan- tcr affirmarunt,
confuctudincm non debcrc murari, &: ideo folitos cxcrceri cxcrccndos cflc,
&:foIitos quiefcerc in quiete permancre dcbcrc. Scd,urdixi,
liccthiinifuisculpantiam fcntcntlanifcciiti fmr,att.uncnncqiicipricrroril)us
carucrunt,c]uia Hippocratcsin i-Apluytf omnibus ad inallucta tranfcunduin cllc
iudicauir,nc quando ad il- la dcfccndcrc coaocra- tiscitataaudtoritasineofcnfuaccipi
dcbcr,ut uolucrit,qucmad^ modum&:nos,vclimus,nolimus,aircntiii
cogimur,afluetainfolitis minusturbarc, ncquc proptcrhoc interdixcrit, quin ad
infolita quandoquctranfcundurnfir,6jpracfcrtim cumafsucta ualdcpra- ua
funt,&: inafsuera mulro mcliora.Piinlacitaquc raiioni rcfpondc
mus,a{TumptumfaIfumcfscuniucrfahtcrintclIcdum,quoi;iamli- cuti multi
coniuctudincm naturac corum conucnicnrcm induunr, ita quamplurcs ucl dulccdinc
allcdi, ucl ncghgcntia, aut alijs de- tcnti ftudijs,ucl prac nimia ftupiditatc
fcfc lacdi non fcnticntcs,iii malis confuctudinibus, &c naturac ipforum
inimicis pcrfflunt; qucmadmodumfaciuntquicfcendo, &:afsuctJ,6d dcdiri,qui
quic- tisuoluptarc dclibuti non fcnticntcs ofrcniioncm cialfucucrunt ; non
aurcm quod cam tamquam fibiipfisconucnicnrcm clcgcrinr, nimirum quam iam antc
hominibus cundis inimicam probaui- mus. Adfccundamucrorationcm dicinius,
narurainprofcdo,& confuefucrudjncm parum diflcrrc ;haudtimcn fcqui cx
hoc,quod numquamconfuctudo mutari dcbcat: quandoquidem fi mcdici naturas prauas,
idcll naturalcs intcinpcrics cincndarc, in mcliusq. permurare omni aite
contcndunr,ur faniratcm,&: habitum bonum Q corpori ingenercnr,cur itcm
pclfimac confuctudincs ab illis in ho- nclliorcs, &: falubriorcs pcrmu tari
ncqucant, i gnoro ; co pracfcr- timquodfacilius cxfuuntur,quac confuctudinc
fucrunt conrra- £ta,quaraquac aprincipio orcus anatura tradita. acccdit huc,
quod otiandi confuctudo pcrniciofa cll, quia ( vr diccbat CcHus ) I ib. r.
poteftincidcrc laboris ncccflitas. Tcrriacpracrcrca larioni oppo- ^^i' ^
nimuseos,qui inprauisconfucrudinibus pcriiftunr,tamctliob iu- .cunditatem non
aducrrant,pcrturbari, ur mnucrc uoluit Hippocra tcs,dum haudquaquam inalsucta
dctcriora non rurbarc, fcd minus tiirbarc dixir ;ncqucproprcr hoc
Iaudari,45^probari dcbcrc,quod multo tcmporein fimihbus confuctudinibus
uitamfanam traduxc rint : quoniam ficnti diccbat Galcnus,illi,qui cibis mali
lucci uicb- * tant,longo tcmporc maligniratcm intus alcntcs,tandcm quali- bet
uel minima occafionc pcflimos morbos incurrunr, fimiiitcr iquoquc in pcirimis
confuctudinibus pcrfcucrantcs facpcnumero .dealini. mtus 2CO intusmaloshabitnsconcipiunt, quos pcraliquod
teinpusnonper- cipiunr,quoufqiic humores praui orionuiriti, &fupra niodumau-
di incurabilcs^&molcfblfimas acgrirudincsinducunt. Qiiarnobr^
claborandumclt,uniucrfJsfiinam uitam optantibus,utmalaccon-
fuerudiniinnutritiminimcfe uoluprare, atque damni ignoranria decipi
linant,immoquamprimum ab earecedcrc, paullatim tamc, et ut dixit Hippocratcs
iKTr^odxyooyHt ftudeanr,illud procompcrto habentespotiuscumaliqua molellia
pcrmurandas cfse pcrnicio- fa^ confuctudincs,quaminiIliscum delcftationc
pcrfiftendunK Atque haec pro male de Cikcrcitarionibus fentientium refutationc
diifcafufficiant. Tcmpus modo cft, qude corporaexercitationibus
accommodentur,quod tcmpus,&vjUilocus, dcmonftrare: fcd an- tcquam hoc aggre
Jiamur,diffcrentias,ut fupra promifimus, ipfius- quc tradatioiiis ordo
expoftulat, cxercitationum breuitcrpcr- curremus. exercitationHm differentijs.
Ca^. V. ViCVMQVE cxantiquis excrcitationum faculta- tem fpecul ari)&:
fcriptis tradere aggrclfi fuerfir,tres primarias illarum diffcrentias effcccrunt^
quarum aliamTraf«(rxw/«si;cflV;j4//xf/poft ^/TxJ^ maerores infcruiebat; &c
proindc hic motus a Galeno cxtrcma fO| A
cxcrcicatlonis pMrs nominatus rcpericnr, quoniam fcrc fempcr po;l
magnascxcrcitaciones.ncad concrariamquictcm illico tran(gre-
dcr"cntur,ipfamadhibcbant,ucporc qui ol) carditatcm,6^ trcqucn- tcm
intcrpolitamquictcm mcdium inrcr cxcrcirationcm validam, ^ &: conlummatam
quictcm tcncrcr. Porro cxcrcitatio limplcx apud ^;i.cVp"g.
inedicosgvmnaflas multasdiricrcntiashabui(fclcgirur,alias ab cx-
trinfecis,aliasab vtcndi rationibus,aliasa motusipfiiistum quan- ritaicrum
qualicatibus dcfumptas: quac ab cxtrinfccis accipicbaa tur,plcrumqucalocononicn
f^rticbaiKLr, quando uc! lubdio,. vel (ttb tccto, ucl in mixta umbra, quam
CTroavi^iiyn Gracci uocant, cxercitatio pcragebatur : itcm quando aut locus
crac calcns» ^^utfrigidus, aut^mcdia tempcric, &: practcrca auc planc
ficcus^ aut humidus, auc mcdio modo atcempcracus . Diifcrcntiac ab B
uccndiracionibusacccptac huiufccmodi cxllitcnint,quoniam aut continuus erat
motus, aut inrermiflus.ct li concinuus, aequalis, ucl inaequalis;fin intcrmifsus,aucccrroordine,aut
cirra ordincm,prac^ terea vcl linc puluere ficbat, ucl cum pulucrc, acquc co
alias mul- lo, alias modicoi finuliccr agcbatur ucl linc olco, ucl cum ulco,
at- queipfoaliasexiguo, aliasmulto. Quac autcm ab ipliusmotus quantitacibus
acccptac inucniunrur dirtcrcntiac, talcs func, quod cxerciracioncsucl mulco
ccmporcdurabanr, 6c multac diccban- tur,vclbreui, mcdiocri, arqucpaucae, &:
mcdiocrcs uocaban- tur. Diffcrentiac amocus quancicatibusdcfumpcacillacquoque
fueruncquacauimorricc accipiebancur: nam li uismagnacrat, magnacxercicacioilin
parua,parua ; lin mcdiocris,mcdiocrisap- pellabatur. Porro a qualicacibus ica
dirtcrctias a Galcno captas in- ^'^|.^* g"^" r ucnio, quod aut in
breui tcmporc mulcum fpatij mcticbatur cxcr- «p.io . cicacione, liuc brcuc
(parium lacpiusinmodicoccmporctcrcba^ tur,atquehaec cxcrcitaciocclcr,acuta,
&: vcIoxnuncupab:uur, qualis curfus,umbrarilis pus:na,achrochiri(mus, lufus
paruac pihc, fi^coryci^kicTAt^fi^uk^-BrrrvA/^w^, &:quacin paladkis
ai^tirabancur humi rircumuoiucarioncs i auc multum tcmporis in brcui fpatio
infumebatur, tardaque &:lcnta cxcrdcatio talis motus nomina- batur, ut
lcnta ambulatio, ucdatio in Icctica; aut in mcdiocri tcm- porc mcdiocrc
fpatium, iiuc brcuc plurics moucndo pcragcbatur, licqucmcdiocriscxcrcitacio
cuadcbacrpraetcreamagnai-umalia praeccr uim, cclcricatcm quoq. adncxam
^QVQh:ixUc2 racelerirer agirari; al/a fine velocirate fiebar, et Ivr^,;^,,!>
idcltva!cnsexeraratiouocabatur,ficurfodere,peraccliuiaanibu. lare.quatuor equos
habenis llmul coercere, funem manibus apprc- heniam fcanderc,haIteres,omnefque
Milonis exercirationes.quod emm uchcmens,& ualens cxercitatio communi
nomine magna di- aph/"^-^ mtclligcrc liccr, quae Galcnus fcxto popularium
morborumlcnptarciiquir, vbiinter cnumcraras exercitariones, &: equirationem
magnam uocauir . Similitcr Sc paruarum alia cum ahquauelociratchcbar,
&:rcmifni,fiucixA«T«f /ocabarur, alia fi- neullacelcritatc, 6c «V/^(lf,'iue
Ianguida,aur imbecillis diceba- tur,cxquibusduobiisgcneribus eranr uec curam
habcndam cllc iuGcrunt, ut quod morbofum corpus, quaexerciratIonc, &:qua
quiete indigeat,ne ullasperturba- D tiones,motioncsq. fuftinear, optime
pernokatur. Quocirca fccun- dum iftos corpora, quae immodica intempcrie calida
Iaborant,nuI lisuehemcnribus,rcmiirisue exercitationibus accommodantur, quod calor,
qui diminui debet, ab jllis potius augmentum fufci- Lp^iu^' pit, quemadmodum
Galen.de Primigene fumma caliditate labo- rante narrat, qui ncdum,a
uchcmentioribus cxcrcitationibus, im- mo,& ab exiguis dcambulationibus in
porticu ante balneum fadis magnopcrclaedcbatur. undc mcrito condcmnandus eft
Afclepia- LK2.C.14. des Pruficnhs,quiin ardcntibus fcbribus;refcrcnte
Ccl/o;gcftatio- nibus utcbatur, in alijs uero fcbribus, &c raorbis
mcdicamcuta, ac uomitioncs tollcns, inedia, fiti, uigilia, luce primis dicbus
aegro- tantcs inftar tortoris, cxcruciabar,alijs autcm diebus ambulationi-
bus,geftationibus,baIneis,Ica:ulisquepenfilibuscxercebat. Inhis E ctenim Galeni,
&: Antylli fcntentia cxftat, acuta fcbrc laborantes ab omni motu
rcmoucndos,in longisfcbribus,atquemorbis(quos omncs nonnulli ex antiquis
mcdicis aliptarum officio tranfmitten- In prooc. dos, ut rcfcrt Coclius
Aurclianus, falfo credidci unt ) ubi acccfno lib^hron. urget,nullo paifto
cxerccndos, at in interuallis decubitum non • fcmpcr confcrrc,imino aliquando
utilcs cHe inotiones,exercitatio- ncsciue ; quod innuifle Hippocratcm arbirror,
dum in feptimo cpi- demiorum diccbat,aliquos inueniri infirmos,qui nepenitus
tor- peant, a lcfto expellendi funt. quod item innuere uoluit Ariftotc- Ci.i6.
leslibromoraliumNicomachiorumdecimo,ubi fcripfit febrici- tantibus in uniucrfum
diaetam,atque inediam confcrre, ahcui ta- mcn forte non ita conducere. Qui
praeterea corpus aridum,ac in- fignitercxficcatumhabent, ficxerccantur,
aridioreseuadunt, &: F ideo illis quics apprime congruit, quam humcvflandi
uim pofnde- Loc. cltat. rc ncino ignorat,quamquc Hippocrates dum cahdis naturis
conue nircfcribit,necimmodicccalidasimtemperiesintclligit,necjau(ao j c
GaIeno;quamlibct motus,fed uehementioris tantum ceffatione, ficuti nos hic
deficcis corporibus intelligimus,quae geftationibus, &c ueCtationibus
aliquibus, atno magnis motibuscxcrceri poffunt, dummodo uires
permittant,cxcrcitationesq. modcrataefint; alio- qui ficur ex modcrato motu
calor cxfurgit,cxcitaturq.,nec non hu- inorcspaularim cuancfcutiparitcr
eximmodico calorinfirmus ex- ftinguitiir,humiditatcsq. magis diffunduntur .
Corporaitcm cali- da, &:ficcaimmoderatc nullis exercitationibus aptanrur,minus
quoquc caIida,&:humida,ncmpcquaegrauiori quam cctcra mor- bo fubi
jciantur,maioriq. curaopus habcant,Frigida porro,fimulq. ficca corpora ucl
nullis cxcrcitationfbus, ucl minimls, Sc naldc rc^ miiTis cxcrccri clcbcnt»cum
fcmpcr practcr morbi pcculiarcm affli-,
€lioncmimbccillcsuircshabcanr,ExcrcirationibiTs non iraofrcn- duntur corpora H
igida, licutj ncq* himiiila. At frigida&:humida aliorum omnium maximc
cxercitarioncs fuftincnr; quod morus cx liccando, 6c calcfacicndo ucluri
quoddam rcmcdium /ir,modo ta- mcn non cxrra modum adhibcatur. Arquc hacc omnia
diCta inrcl- liganrur dc illisacgroris dunra\ar,qui uniucrfum corpiis imrcmpc^
ratumhabcnr,quoniamfiqui$infolacorporis partc mcmbrouc, autinplunbusintcmpcriem
patiatur,rcpcririq. pojrumodus, qua parrcs fanac citra acgrarum offcnlionem
cxcrccanrur,procu]dubio huicacgrotoexcrcitariomagis.accommodatacririquippcquac
fa narum parrium habitum bonum confirmans, infiriuis criam confc- B qucnria
quadam auxilium pracftct.ColJjgcnrcs igitur dici nuis,nul lum corpus intcinpcrie
quauis laborans magna,(5c uchcmcnti excr cirationcgaudcr.cjfcdahq(f
rcpcriri,cui cxcrcirationcs cxiguac, et ualdc modcrarac auxilium arierant
inrcrdum. qualcs ucro cxcr- citariones linrillac, &: qualibus in morbis,arquc
corporibus una- quacque congruat,in fcqucnribus libris dcclarabjmus,ubi parncu
larcs fingulaxium excrcirationum faculcarcs ubcrius cnarrabimus..
Dcmorbolisobmalam formationcm corporibus fimili propcuia) dcrcrminari
dcbet,modo illi nona gcntrarionisprincipjjs,lcd nu-> per,&: cafu(ut ira
dicam)ortum duxcrinr . Hacc ctenim fiuc totam corporisfiguram deprauatam.ut in
lcucQphlcgmaria,fiuc parrcm aliquam.deformaram habcanr, niii aHTcdus alij
impcdicnrcs aflb- ^ cientur, ab excrcirarionibns utiluarcm. capmnr, ncnipc
quac&: ^ contrjrra dirigcrc,&:a(peralenirc,OS&: toto corporc, et cruribus
extcnua- D fn ^.obid. tos curafle, gloriatur GalenuSy Ccutitem Germanicum, a
tenuita- com.j. iQ crurum^equitarionis bencficio,liberatumaIias diximus .
Corpo- Secudodc raiubinde, amorhoin numero corrcpta> fmc isfuperfluus, fiue
iTtu vf fit, excrcitationes cx fe
rainime recufant, et tunc praefer- "'^^*"tim,.quandofimilismorbushaud
eft innatus,ueluti inlapilhsre- num, quiexuehementi motu^concuffioneque ab
anguftisrcnum tiijs ad latiores, tandemq.ad ipfam ueficam defcendentesmagnas
aegrotis moleftias adimunt. Corpora uero aegritudine in fitu laba fantia,modo
nou ab ortu, nullum fereexercitationis genusadmit- tunt, quod membra dum
proprium locum, atque fitum amiferunt» non modo rcponendafuntin propria fede,
uerumetiampoftquani repofitafuerunt,tandiu ab omni motus gencre arcenda, quoad
optimeconfirmata priftinum habitum repararinr, alioqui fimo- *J ueremur, maiori
nocumento: afficerentur. quo fit, ut hac infirmi- tate captimajoriex parte
exercitari non debeant. Atque haecde lecundo morborum genere,mala formatione
fcilicet laborantibus corporibus divflafufiiciant. Remanent corpora
tertio.genere mor- borumcontinuatisuidelicet folutione correpta,quae folutiouel
in cute,uel ia carne, uel in oflibus, uel iiineruis,ac huiufcegeneris
fimihbuscontingere folet, atque modo>lbla,modofebribusaflo- ciata i ubi
corpusaliquam exhis folutionemfebri alTociatahabet,
nulIomodoexerceridebet,quandoquidem, firaro febricitanti*
busexercitationesconueniunt, quantominus coauenieru:,abi a- lijsmorbis
turbabuntur? Qiipdfi citra fcbrem fola: contiauifo-, lutio adfit,eaq Jit
iaparte nobiU,atqueuitae maximencceflaria, ue p luti cerebro,uentriculo,
iecore, acfimihhus,proculduhiaexerci~ tationcsquaeuis
maximeaocent,nempequae,&:fpirituspartiafre- ftae necefl-arios. ualde
diftrahaat, &: humoresomncs tuncagiteat, quando firmos,&:quictoscfle
conucniret,neob eorum atHuxuni morbus
magisincrudefceretj^liamcmbraigaobiliorafipatiantur coatiauitatis
diuifionem,poteruntaegri mediofcriterexerceri,.mo- do ncc infignis lit
affeftus,nec pars laborans excrceatur.. Suntnon- nullihac acgritudinc capti,
qui noaparnamutilitatemamodera- tis, immoderatisque exercitatiombus
pcrcipiunt^quales fcabioh,,
quorumcutiscumabhumoribusfaIfis,&:acutisdi{ciadatur,ex ma tuuehemeati
efficitur, ut humores illi tam per fudorcm, quaav pcroccuJtam tranfpirationem
euacueatur,atque ipfiscuacuatisa morbo libereatur. (^amobrcmacri iudicio
diligeatique aaimad- ijcrfioneiahisomnibusopuseftjquo optime cogaofcatur
iaqtiibus morbofis corporibus congrua!KCxercirationcs,& in quibus mi nus
lubita fempcr prac oculis uniuerfali hac rarionccuiusduvftu rarillimc
contingunr errata, pofsuntquc parricularia ira dirigi, ut
numquamlocoauxiliorumdamnafuccedant>
n^cc9r^orihHtUAlctuMndrtjS^(^/enihhus€xerc€nclis^ C^p. IIX. \' AMV IS
apudmcdicos(urfiipradiximus)inrcrcor- pora acgra,arqiic fana rcponanrur ncutra,
iilaq. in mul tiplicrsdiflcrcntias parriantur, quia ramcnparumad noftram
rradationcm pcrtincnr, corum loco ualerudi- naria Itatucmus, cum quibus
comprchcndi uoliimus tum omncs il- B los^qui rcccnrcr amorbis,ac dccubitu
cuafcrunr^ncc dumpcrfc- tfle antiquumhabirum recupcrarunr; tum fencs plerolquc,
ncm- pe quos Galcnuscodcm modo,quo ualerudinarios, curari dcbcrc Jctue.
pracccpir; nec abfquc rarionc,fiquidem fenc(flus,auLtorc Ariftotc-
"nirieme lc,eft quidamnaturalis morbus. undc.qui funt acratc graucs, cam
c. uk. viucndi rationcm fuftinere nequcunt,quam fani pcrfcrunt. E^^-ncr'*^^^
goualctudinarijsillis,qui moxa morbiscuafcrunr> intcr cctcra rc- cap.4.
iwedia pro intcgra ualcrudinc ipfis accomodara praccipua cft cor- poris
cxcrciratio,aquamcmbraeorumlninanrur, humorumrcli- quiac inaniunrur, calor
cxciratur, et dcnique torus corporis habi- lus reftituirur . Elt ramcn omnc
ftudium adhibendum, ut a princi- pio lcncs, brcues, tardi, ac remilfi morus
cxfjftant, dcinccps, prout uircs magisinualcicunr>fimilitcr,&:magnirudo,
ac longirudocxcr Ccitationisaugcacur,randcmque inmcnrcillud XKTrgo^Ttty^yi^
ran- ropere abHippocrarc dccanrarum fcmpcr habcndLui crit,ncob imporrunumabcxrremo,
ad cxtrcmum rranfitum maiora crrata eommirtantur, &: prouirium rcftirurionc
imbecillitasmaior,fiuC profh-ario fucccdar. proindc mcrirodamnandusucnit
Aucrrocs,^.coiied. qui morbofa corpora quoridic cxcrccnda cfsc ufquc ad fudoris
^^P'^- inirium,arquc anhclitusclcuationcm nimis libcrc confuluit: ita
tnimuchcmcns cxcrcitatio tantumabdU ut ualctudinarijs, fiuc morbofis
(qucmadmodum ipfc uocar) ullum clTatu dignum be- ncficium pracftct,
utpotiusuircsadhuc dcbilcsmagisconftcrnet, caloremquc natiuumcxmorbo uixrcuiurfccntcm
fcrcexftinguar, aut faltcm infignitcrhcbcrcr ; /iqiiidcm bonuscftin
conualciccn- iibus,fcd cxiguus ( ut fcribit dalcnus) ianguis^atquc unacum ip-
Inartc io fpiritus uitaliSjCii: animalis ; ipfac ucro particuiac folidac
ficcio- ' P 2 rcs, aio^
resj&confcquentcr corumuiresfunt imbec^iHiores, atque earum- D dcm
rationc corpus vniucrfum frigidius. unde ad cmendandam huiufccmodi
indifpofitioncm neceflaria funt quaecumque pro- bumatquefccurumexhibent
alimentumi &c praeter haec mode- ratimotus,qualcsvehicula,
amibulationeslenes ; non uchcmentes raotus,qui ficuii folidaspartes
arcfa^ftasficcioresreddunt, ita calo- rcm diminuunt, &:liircs imbccillas
confufnurit. Cetcrum fcncs, quorumactasplurimamob caloris
dcfcdum,cxcrcmentorumco- piam coaccruat,cxcrcitationibus magnopcfc
gaudent,'tumad ex- f urganda huiufcemodi rccrcmcnta, tum ctiam ad confcruandum,
atq.plAcidi cuiufdam ucnti inftar cxcitandum,acccdendumueca- loirem^ qui
fccusnimio torporeexftinguipericlitarctur . Attamefl, in praefcribcdis fcnum
exercitationibus quatuor animaducrti de- bcnt, uircs, corporisafTedlus,
confucrudo, &:iiitia particularia, E quacplcrumquefenumcorpora infeftare
folent. ratione uiriura^ quas fcncs fcmpcr imbecilliorcs habent, acutas
cxcrcitationcsjue- c n^.v. . hcmcntes, &: mukas, quae corpus ftccant,
extenuant, &: infirmant,,itu itmaximoperccaucredebent/equi
veromitiores,quaIesfuntgcfta- ;.^.^':,^!trojac
intralairitudineminambulatio.Prodicusenim qui ualetudi-' utlicx^S nis
ftudiolidimus^exftitit, &:ob id ( Ariftoteleau»5iore ) ea omniai
quibuscctcri cum voluptateutunturirecufauit.,iamingraucfccn- tcactatc(ut rcfert
PlatoinPhaedro)Athenisad Megaraemoenia ibat, indeque domum reuertcbamr . quae
excrcitajtionis menfura. haudquaquam.ommbus fenibus accommodari polTct, cum
Plato ipfc cum,&:fibi,&:alijs nimio oiercendi ftudiomolcftiampepe- ride
dicat. Antiochusparitermcdicus^annosnatusplufquamoiio- ginta, quotidie fcrc, ut
fcribit Galenus, domoad forum ftadiorum F trium fpatio, atque intcrim ad
uifendos acgrotos pedibusambula- re folcbat.quod fi ci longius ire neceffe
crat,fclla,aut uehiculo ute- batur. Ad hacc narrat Plinius fecundus, Spurinam
urrum in uiuen- .MUr. do maximeprouidum, quique,aurium, &:oculorum uigore
inte- • ' ' gro,nccnonagili ac viuido corporc,feptuagdimurafeptimuman-
nuniattigitjhanc regulam conftantiflimcfcruaffe, utmane ledu- lo continerctur,
hora fecuda inducrctur, ambularerque millia paf- fuum tria, mox lcgcret, ucl colloqueretur,
dcinde confideret, tum uchiculum adfcendcrct,pera£bifq. itafeptem
millibuspalfuumite- rumambularetmille, iterumrcfideret, uclfccubiculo, autftylo
rcddcret ; ubi hora balinei nunciata foret, quae erat liyeme nona, j)it ni
aeftate odaua, in Solc, fi caruiflet ucnto, ambularet nudus, deinde pi la
mouerctur^uchemcntcrA diu poft modumlotus accumberer, Jii A&paulifpercibum diftcrrcr, Ob rorius
corporisafTcflum cxcrciM- tioncsfeiiumin hunc modum dctcrminari dcbcnt, quoniam
cor- pus optimi rtatus, ficutin iunentutc ad vchemcntifTimos quofque laborcs
idoncum maxime cll, ita in fencdla fc habct ad omncs nie- diocrcs,
quiucrofcnesaut cralusfuntcruribus, authitopcdtore, aut cruribus, ulrra quod
par cft, gracilibus,aut quorum corpus cxi- guo clt thoracc, aut admodum angufto,
aut valgum cft, uarumue, aut alio quouis pado a mcdiocri tate rccedens, id ad
eas omnes ex- crcitationcs incprum rcddirur, quac uitiofa mcmbra maijis ofTcn-
dcre, quamiuuarc polTunr, ut vocifcratio thoraccm, ambulatio crura.dLiimiiitcr.
lam vcroconfuctudo maximamlibi ucndicat partenidd excrcitationisfpccicm
dchgcndam,quando Hippocra tcs dixit,cos,qui foliti (unt laborcs fcrrc, etfi
fucrint imbccillcs,uel B fencs, non confuctis, forribus, atquc iuucnibus
foliros facilius fcr- re. nam (icuti confueta minimc lalTant, quos cxcrccnr,
immo criam delcctanr, parircr infucta tum moleftiam adf crunr,tum lafTant . Se-
nes igitur omncs confueris laboribus cxcrci rari dcbcnr, (c d tamcn uehcmcntia
corum rcmifl-i,quia, (i corpora fcnilia vigorcm, calo- rcm,. robur, et omnia
denique diminuta habcnt,iuuentutisrc- fpcvfcuexcrcitationcsquoquc minorcs
rcquirerc, rarioni confcn- tancum cft. Vltimo uiria corporum fcnilium propria
cxcrcira- tionum ipiis ncquaquam conucnienrium gcnus dcmonftrabunt. quac cnim
ex lcui caulfa, a vertigine, comiriali morbo, graui ophthalmia, auditus
imbccillitate capiunrur,cxcrcirarioncs caput oricndcntcs cuirarc nccclTc eft :
fimiliter &: in omnibus alijs affccti^ bus, non folum fenes, ucrum &c
cuiufq. aetaris homincs ita fc gcre- Cre dcbcnt, vt ijs cxcrcitationibus fcdulo
abftincan t, quac paticn- tcs parrcs magis cxcrccrc,&: pcrrurbarc natac
funt . Si c itaq. dc va- lcrudmarijs, ac fcnilibus corporibus cxcrccndis
itatucndum crit. T)e corportLus pims exercendis. Qtp. I X. V I C V M QV E
corporis cxcrcitationcs fanitati inuti- lcs minimc rcputarunt,in fanis cas prac
cetcris comcn- dandascfTcdixcrunt,tamquam nccclTarium propc cx- /iftat, /i
cxcrciracioncsad bonum habirum comparan- dum, atqucualcrudincm confcruandam non
ignobilc auxilium pracftanr, ut in {anis maximc adiumcnrum oftcndcre polfint.
Hoc tamcn ucrum cft, antiquos mcdicosmulras fanorum corpo- rum
diffcrcnriascflcci(sc, intcr quasprimum locumobtinct cor- Cymn^ifiica. P 3 pus
2»» X I B E R PusiIIiidperrc(aafaniratcpracdituiTi,quodmenfura,®ul^
tcris pofitum fuit,potiufquc mente defignari, quam in ulla rcgione i.dctue.
^^^pf^l^^u^niri potcft: ctfi Galenus multa corpora temperata in Mal.cap.7,
regionc inueniri memoriae prodiderit.De tali namquc corpo- r^cnuUibicxiifteatcfcrmonemnon
fum habiturus, feddeillistan- tum agam,
quacirapracfcntefanitatefruunrur,utvalcantline la molcftia cuuvftas illas
aftiones obire,quac communitcr ab omni^* busexercentur. cum enim medicus
arrifcxfenfiliumrerumexfi-. llat,quacfcnfuifefc produnr,&: non quacfola
cogiratione com- prchcnduntur, tradtarc debct . Haecitaquc corpora fana,quoniam
quotidiecomedunr,atquenutriuntur,nccclTariomuIta cxcrcmcn- tagcnerant,
quacnificontinuoacorporcperexercirationcs edu- cantur,tandcmprauas
difpofitionesingenerant : undeprudcnrcr ^.aph.zs, fcripfir Galenus, homincm, fi
vraturmcdiocri cxcrcirationc,&be- E ne concoquat,corpus a fupcrfluitdtibus
mundum rcdderc . Vcrum enimvero infanisquoqucplurima confidcrationedignafcfc
offe-* runt, tam cx partc exercitationum, quam ex partc cxercitandorum. Ex
parte excrcitationum fciri dcbet, nullam exercitationcm, nec vrolentam,neque
immodicam cfreideberc, utinlibro i^^gi lUKgcc^ c^)«/f«2adnotauit Galen.
&:propterea excrcitationcs.foflorum mcllorum ncminifcrc eorum conucnrunt,
qui profpcra valetudi- nefruuntur;ccleresmotus,&:
vehcmcnresinrobuftiscommendan^ tur, qualis lufta, difcus, pila, &:
huiufccmodi, co magis fi confueti fuerintj moderati omnes quibus vis fcre
aptantur . Porro cx parte corporum exercitandorumhismenrcm adhibcri oportet,
confue- tudini, aetari, habirui vniuerfali corporis, parriculari rationi ui*
uendi,necnon temperaturac . Dc confuetudinefacpius diximus F ctiam in omnibus
obfcruari dcbcre, fiquidem quae confuetac funt cxercitationcs, licct fint aut
nimis vchementes, aut nimis rcmiflae, inaffuetis maiorcmutilitatcm,atque
dclcdationcmpariunt;atfi quis vcl minus,ucl plus quamconfueuit^intcrdum
excrccatur, pro- tinus molcftia cuidcntcr afficitur,ita ut non raro fcbrcs hac
ratione ll.decauf- confingere, fcripferit Galaius,dum excccicatioacs confuctae
di- mittuntur. Quod vcroadactatcmpertinet, iam diximus, proue- rcb.cz?^^
(flos,&:fencsremifliorcs quam ceteros,&:pauciorcs excrcitationes
pofccre ; pueri, iuuencs, atque uiri motibus fcrc omnibus pro fua
quifqueactatefufficiunt,modoaliud quid nonprohibcat, autmo- dum corporibus
priuatorum, &: non athletarum conuenientem minime exercitationes
tranfcendant. luuenes cnim ( diccbat Hip-^ pocrates,fiuc
Polybusinprimodemorbis) fiplusconfucto labo- rcnr» iti A rcnt jConuuIiionibus
fortibus, &: rupruris uarijs carnium, uena- rumque ftarim.i?^ magis,quam
fcncs tcnranrur ; quod corpusrobu- rtum,t^ liccum habenr,carncmdcnfam,ualidam,onibustcnacitcr
adhacientcni,cui circundata cutis uoJdc tcnditur. quac omnia mi nus fcnibus
inlunr, &c propterca illi rarius huiufccmodi mahs capiQ rur. Dcuniucrfali
aurcmcorporishabirullcdcrcrminandumccn- ieo,quod pingues,6i: obcli^quanromagis
cxcrccanrur,ranro profpe l^pirth -riorefaniratc utuntur,quandodiccbat
Ari(torcIc$,moru pingucdi- iicm cliquaruquodfi criamcxcrcitationcslinc
uchcmcnrcs,arquc acurac,nihil omninonoccbunt. Nam Hippocrarcs corpulcntorum
irincrauclcKia dcbcrecfl*cuohiir;quinctiam(}alcnusinrcr cttcra, M-Mcth. quac ad
cxtcnuandum uii um illum obcfum quadraginra annos na *^ '^' tumadminiftrauir.fccurfum
udocem adhibuillcrcfhitur . Conrra Cjracilcs in confummara fcrcquictc dctuuri
poftuhmt, quia licuri ^«.^- ^cQlL corpulcnti cralii contrarias habitudmes cx
conrrarij^ortas ha- ^J,'*" bcntvitdconrraria proipforum
falurcexpolccrcuidcnrur,ahoqui i.icuua. niagoopcrckcdun Mjcahqui funr,quibus cxcrcirarioprodcf* k
mdicctur,ij pro^ ^ -lu pauca,0^: ualde rcmilla opus habcnt.un defapientitliinus
Hippocratcs iummarationciulHr,urgracilcsiter ^CJ. diae faCturi lenns
pal]ibusincedar,quosircm Mangoncs,& Mcdici craf- " j^
(efaccreuoJcnres,uirgis ucrbcrabanr,ur carock'uarctur,&:ad cam ;ihinentum
rrahcrerur.Qui ucrointcrpingucs,v!s:gracilcs,ucI lv(rjg- fii,iiuei]uadrati,uel
parumadalteramparrcmdecUnantcs exillur, mcdiocrircr,aut criam uchcmcnrcr, modo
nr^n immodicc cxer- ccantur,utilitatcm inligncm pcrcipiunt ; nimirum cum corum
ca- . lor iramagisconfcrucrur/upcrfluiratcsquequotidianaccxhaurian ^
tur.Deparncularimcmbrorum habitu idcdiccndum, craflas,fcili- cet partcs magis
excrccndas, renucs minus, nili carum renuiras ex nurnmcnti dillriburione
impcdita,ucl dcfcctu proricifcatunquo in cafu, 6c exerciratio conuenit, 6c
gcnus illud ungucnti, ctiam pilis aucllcndis a mcdicis cxcogiratum,Dropax
uocatum, dc quo Mar- Ualisiib.j. V/llothro i^^LUuKjuc 1.1'iJs y C dropace
calu^m . ' I' Jsjunquidto/Jurcm GJtrgiliar^etimcs > et lib.2. Laettts
dropjce ta qHoUdmno, Hirfktisegtitrurtbyr fgetiisif. Paritcr,&:partcsomncs
corporismcdiac inter graciles, &: craflas cxcrccndacfunr, In ratione
uiucndi hoo infupcr animaducrri dcr bvtrUr qui parum ct>nK'dunt, parum
cxcrccantur,iuxra Hippo- cratwic^cnijubi tunulaboraudupiaont-Uj uui itcm
uigilanr,a]j I I
cxercitationibusarccndi, ncmagis cxficccntur, neue molcftfacD molcftia
maiorfupcraddatur,contra qui multum comcdunt, mul- tumcxerccri dcbent,quoniam
diccbat Hippocratcs,non potcft homo comcdcns fanus uiucre,nifi laboret : in
talibus cnim opus cft mult o calorcut niultum concoquant, multus calor ab
exercitatio- i.^tu.va. nc,diccbatGaIenus,facilefuppcditatur,practercamuItum
mandu cantcs magnam cxcremcntorum copiam aggcncrant,quac nifi ma-
gnis,&:muItisIaboribus diminuatur,in prauas difpofitioncs cof-
pusdcducunt.qui fimilitcr multum, et profundc dormiunt,mul-
tisquoqucexcrcitationibus indigent,quandoquidcm in iftispcr- fpirationes
rctincntur, atque adco fanguinis copia partcs extcrio- rcs
dcfcrir,lubitqucinteriora, utadaftocultcllonon acque cfflue- 3.5hifto.
rcuaIcat,qucmadmodumfcribitAriftoteIcs,& obidfomnolcnti ^^ omncsdecolorati
cuadunt,unde hos faris cxcrcirari nccclTeeft, quo pcrfpirarionibus aditus
parefiat, fanguisue ad extcriora fcruan daarqucnutrienda rcuocctur. Dcmum ob
tcmperaturae ratio- ncm fic dc cxercitationibusiudicium fercndum credo,ut
ficciucl nihil omnino, ucl lcnte fatis, et minimum laboriofe excrceantur. nam
cxcrcitationes,quas fuaptc natura exficcare conftat,fi in ficcis corporibus
adhibcantur, quin intempcricm augcant, ncmo fanae mcntis dubitarit.
CaIidiquoquc,&pracfcrtimacri,acmordaci calorepraediti
exercitationcsmodicasrequirunt, ne a motu pius 4.Aph.i3 aequoincalefcant,ipfisquc,utfcribit
Galcnusfolacin necelfarijs ^.epid.co. adionibus obcundis motioncs fattac
fufticiunt . Vndc Ariftotelcs, ^'^^anic' quacrcns, cur ali j fcdcndo
pingucfiant, alij macrefcant, ideo eue- Prob.i. nirc dicit, quoniam alij
frigidi funt, alij calidi, ali j cxcrcmcntofi, p ali j non ; et qui calidi funt,
pingucfiunt fcdcndo, cum corum calor fine motu cibi concononimmerito dubitari
poflct; co quod Ariftotclcs fcriptum rcliquit,corpora humida a laborc
fi]flbcari,qiiia a calidi- tatc motushumidum in uaporcs conucrritur,qui mox
copiori,&: lcruidicflcdi calorcm nariuumfuffocanc: atramcn ratio fccuspcr-
fuadcrc ui derur, quae dcraonftrar humida corpora cxcrcmcntis a- bundare, et propterea
iplls laboics ualidos congrucrc, tum ad cx- ubcrantcm humiditatcm
confumcndam,tum ad fupcrfluirarum co~ piam adimcndam . Quaproprer, ficuri notat
Pcrrus Apponcnlis, icntenriamAriftotclis dc illis inrcUigcrc oportct,inquibusqua-
tuor concurrunr, ut fint humidi, &c calidi, ut humidi tas lir irulra,
cuaporabihs,atquc circa puImoncm:talcs cnim filaborcnr, &: mul-
tumexcrccntur,pcriculum cft,ne humidiras a calorcinrrinfcco acutoin uaporcs
conucrfa pulmonis,&:cordis rcgioncmoccupan- ^ dofuffocarioncminducat .
Quiab his humidam corporisrcmpc- ricmpoiridcnr,nullum nocumcnrum,quinimmo
cgrcgiamurili- tatcmabcxercitationibus,&: laboribus
percipiunt;arq.hacratio- ne cx mulieribus humida tempcric in uniucrfum
pracdiris illac fa- niorem, &: minus molcftam uitam dcgun r, quac diurius,
6c ualcn- tius elaborant, &c cxcrccnrur, ficut &: cacdcm apud quas
gcntcs,&: in quibus locis laborarc confucuerunt,facilius pariunt, ut kribit
Ariftotclcs ; neque utcrum ditHcuItcr gcrunt, cum labor ca rccrc- mcnta
confumar,quacinmuIicribusotiofis,&:fcllulanjs augcntur. Quaccunquc
ucrocorpora calida(imul,6^ficcafunt, nullopa^to cxcrccriconucnit;quae
calida,&: humida, cxcrcitationcm admit-
tunt,atmodcratam,nonuehcmcntcm,noncitatam : frigida,&:/ic- ca rationc
frigiditatis cxcrccnda lunt, rationc autcm ficcitatis ne- C
quccelacs,ncqueuaIidosmotusrcquirent, fcd modcratos,&:po- tius lcntos:
fngida atquc humida omnium maximc ab cxcrcitatio- nibus uchemcntibus, &c
uclocibus iuuaniur, quippc quac fupa -a.- cancam humidiratcmabfumunt,&:calorcm
natiuum cxcir.inc.au- gcntquc. Sicigifurdccorponbuscxcrcendisinuniuerfuui
dctci- minatum lit. Dc locfj In quil^HJ excrcitationes ficri debent. Cap.
^^y^.ffK A N T A cft locorum uis,atquc proprictas,quibus rcs ia
iplisfaciacuarijsmodisdilponuntur,utnon modoplan tarumnaturac,ficuri
Thcophraftusfcribit,non modo ^^c.-
brutorumfacultatcs,qucmadmodumaudorcftArifto- tclcs,ucrum et ipforum hominum
corpora,atquc animi, fccunduin Hippocratis,&:Platoni5fcntcntum,prout
indiucrlislocisucl na- fcuntur, 2il.mai;ishvpcrhron conimcdarunr,
quampordcus,(S^hypogacum,licut,6c Phacdrusapud Plaroncm in diaiogo iplius
nonunc infcripro cx fcntcncia Acumcni mcdici, cu- ius ctiam a Xcnophoncc
cclcbris hc mcntio, dcambulationcm, cx- [l^ ti-a ciuitaccm iaLhun ci, quac in
ciuiraribus ctH. i iir, pracrulit hifce tt^* ^ ^ " VCrbis '.ti \,yu£ mI
cSTruiiyiW^ AKOVtAivui KcciccTccs oJ^Jx/^ TTcioOyLCti ToOi Tr^rrccTOv^^cfHffi
yxg iKOTroort^STotiv Ivtoi^ J^^ot^n^ iivcti, jdcli:, McO auccm, 6c tuo
obcdicnslodali Acumcno, m vi)s ambulationcs fa- cio : has cnim dixic minorcm
lafruudmcm parc rc, quam illas quae hn curribusagancur, Dc hoc cnim Placoms
loCo cum luprapromi- fcrimus, nv"^s plura diduros, iam occafio poliicira
fcruandi opporru na fclcurtcrr, cosmagisquod Marlilius Fic!nus,uiralioqui
doctilli- B mus,dum Phacdrilcnccnriamcnecrcdidit, uc hiciiiorcs linram-
bulacioncs, quamcurfus, dupliccm errorcm rurpiccr commific; rum quia rcxtiis
(Sracci lirceram,ai]t non inrcllcxir, aur linc ncccf- licatc cranlnuitauic, dum
loco t»v IvToi^J^^iyiOi^, pcrindc cranrtu- lit, ac(i ccxcus habuilVcc
TivJ^^itmy ciim quia Phaedro Acu- mcno ridiculam propc rcinlc adlcripfiirc
nonanimaducnit :quis cfuaeloadcomruHus,(&:ignarus cll, quin cognofcac
ambularcfa- cibus clVc, quam currcrc ? Mchus igicur lanus Cornarius, qui nu-
pcrPlatoncm Latinum iccit, fentcntiam illam inccrprctatus cft, cum Phacdrum
tcccrit diccntcm falubriorcs cllc ambuhirioncs in uijs,quam in curlibusfactas.
quod uc accipicndum,atqucintclli- gcndum (ir,uarias inucni doclorum hominum
opinioncs; alij nam- qucarbicratifunr, «/^fo/nwj fiue curfuii apud
vetcrcsGraccos fuific Qin urbib. uiasplanas,lcdoblapidcsftrarosafperiufcuIas,
&:brcucs ita appellatas ob frequcntiam hominum pcr cas ambulantium i co
padito, quoctiam hodicrnadicapudmultosciuirarum uiacmagis irequcntarac
Curfusnuncupanrur. cui fcntcntiacopitulari uiderur Hippocratcs 5. Epid.-.ibi
mcntioncm ciiiufdam facif,qu' propc cur fum habitabat his vcrbis: 0 7roc§i tov
J^giiJLov opcioQVyTHS wktoqcchjuic li^i' daf. idcft, quidc propc curlum
habitans nocte languincm euomuit, ucro liue uias dixcrunt fuiflTc quafcunquc
uiascxrra ciuita- tcm nulla artc fabricatas,nullis lcgibus llratas,(cd
inacqualcs,mini mc planas,&: dcniq. talcs,qualcs ud narura,ucl cafu fadac
rcpcriu- tur : atque ideo Acumcnum magis ambulationcm in uijs, quam in curfibus
probaffe : quoniam ficuri fccundum Cclfum, 6c ipfo anri- lib.i.ca quiorcm
Ariftotclcm forraffc Acumcnum in hoc fcciirum, Tfl2t^ jV/yJ"^
TF^iTriroovoi KWfdCiiJ^Qy^iKOTrii^ioi wii/oiivi^Mi rHv irjSuHv. Idclt ambulationum
lllacminusdelafsant, quae fiunt inuijsinaequali. bus, quam re(ftis, cum
ambulantes pcr loca plana, &c aequalia fem- pcr ijfdem membris laborcnt,
ambulanres u cro per inaequalia ro- ticorpori laboremmagis diftribuant,
&:iccircominusdefatigcn- tunitaambulationcsper uias fadac, ut potc
inaequales fadtisin curlibusnimirum acqualibus exli^eiTtibus
facilioreseadcmratio- ne cxliftunt. Alij dixerunt rot/ffc/^fJ/iovc
r^xftitilTelocaquaedam tra- £l:u brcui ambulationibus dicara, limilia ijs, quae
in palneftra anti-» qui ob ambulandi commodita.em acdificabar, quacquc
IniJ^goiAi- c^ajuocatas rradit Virruuius, &c quorum clarifrinam menri ;ncm
fecit Eupolis, apud Laertium m Platon Iv IvjkIoi; J^goptcurt akccJ^H''
lAOvSiov^ ideft, inambulacrisAcademi Dei umbrom. uiasuero ex- ftuif e dlas,
quas paullo anre ex praedi(5l:)rum opinione indicaui- mus, et ob id Acumcniim
rede fcniifsc, dum ambulationes in vijsminus, quam incurlibus defatigarc
ccnfuit; quandoquidem . Ariftoteles fcriprum rcliquit, eos ambulando magis
defatigari, quipcruiasbrcueseuntcs faepe, ac facpius repeccre coguncur, quam
illi, qui longas uias pcrambulantes numquam repetuat, cum illi priorcs modo
quiefcentes, modo euntes ab inaequali mo- ' tione pcrturbentur, quod minus
iftis euenire perfpicuum eft . Hos poftrcmos melius cctcris fenfifse, femper
ego putaui, non tam quod ambulano in uijs perada eligibiliorfit, quam in
curfibus, tum ob rationcs praedidas,tum ob liberiorem, et puriorem aerem, qui
non in locis breuibus,&: occlufis, fed in vijs apertis crebrius in-
funditurrquamquodcurfum ita Platonemin Phaedro intcllige- re,uerifimihus cft,
quando &: in principio Thcaeteti fimili uoce in cadem prorfus
fignificatione uti uidctur fub hisverbis: tegnyxg ltf rS^ooJ^gcfieo
HMl(povroW£tgoir\rmgovroi ttCroO^ KxiccCrity vvv&: loca fccundum mare ad
mcridicm,aut occidcntc fpc^ftan- tia tiigicnda crunr, c]uoniam, Virriiuio
auctorc, caclum mcridia- ^^^^ ^•^ '^* num pcr acftarem folc cxoricnrc calcfcir,
mcridic arder,undc cxcr citarihne magnoincommodoncmoibi poteft. Quodfi
fupcrbilfi mac,arqueinnumcrae illae porticus ob dcambularioncs, &: alias
cxercitationes, ut fupra rctulimus, crcftac, fi ampliirima illa gym- nafiaad
hoc a maioribusnoftris magniricc exacdificata babcrcn- tur,nuIlusprofcdo locus
aptiorinucniri polTct, qui omnibus fc- rcexercirarionum gcneribus magis
futficcrct :fcd,quoniam illo- rum ruinas uix nobis intucri liccr, danda opcra
crir, ut unufquifq. locum fccundum condicioncs iam cxplicaras cligar, illud
icmpcr nicnre rcuolucns, tametfi multae fint exercitationes, quac loca
angufta,&:occIufa expofccreuidcntur, inijsramcn haudparuni B delc(ftum
quoquc habcri dcbcre : ut, fi non omncs qualitatcs, ali- quasfaltcmcarum, Sc
mclioresex ijs, quas inmcdiumpropofui- mus, habcant . Quamobrcm fcitiflimc
confuhiit Galcnus, ut do- ^i^- mus, in qua cxcrcirandi funr homincs, h\ cme
calida, acftate frigi- "^'"P-^- da, uel fcmpcr tcmpcrara cligarur ;
fin mmus, procurctur, ne ipfo pracfcrtim die calidior,frigjdiorucfir,
quampublicus totuisur- bisaer. Quasomncs pracdidas condirioncs unoucrbo complc-
xuseffc uidcrur Acrius Amidcnus, ubi gcftarioncm, nauigario- lib. j.c.7.
nem,&: omncm dcnique cxcrcirarioncm in falubri loco,&:puro
acreficridcberefcriplit . Aliac fimilircr poflcnr indicari iocorum condiciones,ncmpe
inaequaljras litus, planirics,&: huiufmodi: ied,quia parrim
cxplicaracfucrunt,parrimfupcruacanca&: teporcmferuarc non poteft. amplius
corpo-. ramotupcrfpiratiora,&: folutioracffcda, meatufquc pcrfudatio- ncm
patefasfti frigusintima maiore ui penctrarc permittunt, ac* ccditctiamquod fcfc
cxcrcentes acrcm continuo permutant, ac ^r. partiu pcrmoucntj&iccirco^uti
diccbatAriftotcIes,currcntcs hycmc,ma P prob. 12. gisrigcntltantibus.quod ucr
noftra ambiens corpora, cumftamus, ubi lcmel concalcfadus cft,nulla amplius
molclliam inkrt; cum au tcmcurrimus, alius atquc aliusfubindcfrigidus*occurrit,iraquc
fit, ut magis rigeamus • Paritcr qui in cxtrcmis frigoribus cxcrccn-.
tur,uchcmcntius arigorcpcrcutiuntur: nimiuspractcrcacalorcx- crccri
uctat,nccnonficcitas immodica,quoniamaltcr calorcmna- tiuum, et vniucrfum
corpus immodcratc refoluit, altera magis> quamparfit>humiditatcscxficcat.
Tcmpusitcm excrcitationibus fcrenum,atquc lucidum cligcndumcnt, fugicndum ucro
nubi- lum, obfcurum, craflum; quando licaer dcprauatus ctiamabf- quc
cxcrcitationc apcrtos corporis mcatusfacilc,fubit, humorcf- qucfccum inuchcns
mcmbris non finenoxa afligir, et pcr con- fcqucns grauiora non Imc rationc
corpora rcddit, animumquc de- inceps gnuat ;qiiodinfcfcno
nufquamanimaducrtitur,quln po- tius al> illo corpora ad morum
adiuuari,fpiritusq. fuaptc natura lu- ciditati amicosconfirmari',&: animum
rccrcari pci fpicuum cft. id ^.^ ^^^^^ quod Hippocr:itcm (ignifi^ alfe puto,ubi
dixit,(?/4«ritrc &:incoctos humorcsconficicnre cxcremcnra paucif-
(imagcnerantur,atqiic indc minus iIIacducincce(Tariumcft,nc- quc
cxcrciratioconucnit>quaccxiguam urilitarcm aficrenspencu lum magnum adncxum
habetine fcilicet aer hyeme madore opple tus coi-pora moru reclufa illabcns
nvignopcrc laedat.Kx altera par teuctuiliirrnus audor Hippocrarcs, iiue Polybus
tria cxcrcitandos ^.dctlict» hommcs admonitos u )!uit,ut lallitudincm omni
temporc caucrcr, ^utdcambulationibusmaruriniscorpus exercercnr,
urhyemc&:fri gido tcmporc magis ac diurius cxcrccrenrur,ccflanrcs tamcn
priuf quamlaatq. ctiamaurumno cor[x)raabambicn Li.i.c n- teacrc faris
exficcata,fqualcntiaquc rcddita haud amplius pcr mo- tumarcficri
dcbcrc,ncqueitemcalorcm alioqui languidum,&:im- bccillem magis rctundcndum
minucndumuc.Galcnus ucro,muIra ^ ^^-^ rumrcrum,quasmcdicifcquunrur,auLtor bonus
ccnfuifTcuidetur, ual.ca.z- quod ficuri corpora rcmpcrata in rcmpcraro
rcmporc,ncmpc ucrc> cxerceri poftulanr,(imili pavflo corpora frigida in
calido, calida inc frigido,humidain (icco,(icca
inhumidocxcrccndafinr:qu;ififcm- per illud obfcruari dcbeat, utcorporibus
adaliquamintcmp^-rie' dccliiumibus tcmpus,atquc locu5 coiurariaiucxerccndo
chgati^ tttu 222 L I B E R .9. epm. tur.Neque hoc in locopraetermitrendum
ccnfeo.quod PIin?us iu- T> S Fulcc: '''"'■'^''^ exercitatione aeftaris
tempore a fc ficri fc>!ita, ubi a Fufco mterrogatus,quomodo diem acftate in
Tufcis difpennirer,in huncmodumrcfponditde cxcrcitationibus.-iibihoraquarta uel
quiMta.ncquc cnim certum dimcnfumo. tempus.utdiesfua/itin xy ftummcvcl
cryptoporticum confcro.rcJiqua meditor,& didojVc hiculumadfccndo. Ibi
quoqucidcm quod anibulans.autiaccns* Duratintentio mutationc ipfa icfeda,
Paullum rcdormio,dcmde ambuIo,mox orationem ^ iraecam,! atinamue clarc,&:
intcntc non tam uocis cau la, quam ftomachi lcgo, paricer tamcn &: illa
firma- turitcrum ambuIo,ungor,exercecr,lauor.& paullo poft. Nonnum- qiiam
cx hocordmcaliquamutantur. nam (i dm iacui,uel ambula- ui,
poftfomnumden.umlcaioncmq.nonuchiculo.fcd quodbre- ums,quod velocius,equo
gcftor, ucnor aliquado.ln particuJari por E ro tcmporc excrcitationis
dcfcribendo Ariftotdcs aliquando mo- Pk,..nhb.,um cum(vt ipfi ctiam imputat
Plutarclius) quipoftfumptum cibu •iit,commcndauit,coquod tunc caloramotu
auduscibum mox in- ot ftumfaciliusconcoquat,cuiustamen contrarium eucnit, quan-
do pcr motum calor a uentriculo ad uniuerfum corporis ambitum
rctraausnonfolumnonadiuuat concodioncm .quinimmoimpe- locclt '^i'^'^»'"«;
r(ii^oMW(tKAvvrM.f,iivH(Cisis ci(m tua cura dapes, Et bomts MCthcrio Uxatur
ntBatc Catjjfr > lngcntiq. tcncl pocula plcna manu, Tunc admitte iocos
^^rcjju timct ire licenti, w/f aut
fphacrillirio, aur curfui,aur hidarioni- „ busmoHioribus incumbcbar, arqucindc
undus Iauabatur,ira ut „ caldarijs ucl numquam', uel raro,pifcinisfcmpcr
utcrctur, in caq. „ ^ una horapropc mancrcr:bibcrcr ctiam frigidamclaudiam
iciunus „ ad unum propcfcNrariii. Egrcflusbahicism i.lrumladiSiSjpanis fu- „
mcbar,oua dcindc, mulfum,arq.his rctcdusaHquando prandium „ inibar,aIiquando
ufq. ad cocnam diflTcrcbar, pranfus cft ramcn fac- pius. Horariusquoq.paullodiucrfius,
&:fcipfum, Sc ahos hbcrc Lib,i,fcr. uiucnrcs in cxcrcitationibus
cfficcrcfohros> arrcftari uidctur, ubi Sat.t^. pollmultahaccfcribit. quartam
iaceo ; poH hanc ragor, aut e^o Uclo, v>f wf fcripto, quod me tacitum iuuet,
ungor oliuo, 'hlon quo fraudatis immundus V^atta lnccrnis, ^sl vbi me fcffum
Jol acrior ire lauatum ^dmonuiry fagio rabiofi temporafigni ^ Tranfus non atude,
quantum interpcllet inani, P^entre diem durarr, domcflicus ocior, hacc eQ ^ita
jolutorum mijcra ambitione,grauiq. His mt confolor uitlurum fuauius,ac ji
QuaeHor auusypatcr atque meus ypatruusq. fuiffcta. Illud ramen hoc in loco
ncquaquam pracrercundum exiftimo, quod maiorcsnoftri, quorum maiorparsucl
cxiguumquid>uel nihii omnino manc manducabanr, fcmclq. tanrum in dic farura-
banrur, horaodtiuadici, ucl nona commodc cxcrccri porcrant, aut criam occidcnrc
(olc. Cctcrum aerarc no(lra,c]uando uix vnii, aurahcrumcft inucnire, cui non lir
in morc pofirum, 8c vcfpe- re,&manecibisfarurari ; nulla inomni
rcmporcopporrunior ap- parct horii, quam marurina ^paulloanre cibi fumprioncm ;
nimi- rum cum corpora lciwora ySc ub cxcrcmcncis magfshbcra, niagis ob i26 I B
R obpraeuiiimfomnumualida, magis dcniquc a quibufuisimpcdi-D
mcntisfollitafunt^&practei^a minus imminct pcriculum, quin extcrnuscibus
probc confcdtus (it: ficut contra in vcfpcrc, cum nondum cibus concoftiontm
affccutuseftjcorpufquc fupcrfluita- tibus magis redundat,magisq. grauatur, potius
quicfcendum, qua li.i.fen 3. cxcrcendumcfTe, quifqueuidct: uti quoquc
animadutrtifle Aui- Joc.2,c.3 cennam arbitror, ubi dixit:"In hycmc vcro
ratioiii conucnicns erat, ut fcrc ufque ad vefperam tardarctur, fcd alia
prohibctia hoc uetant. Erit iraquefcre pcrpctuonoftrishilcetcmporibusmane
antecibum quibushbet fanisadcundacxcrcitatio,iique vllus au- ftorinucnictur,
quipoftcibum cxercitarioncmcommcndct,mo- . do prudentcr confulat, non gratia
fanitatis, aut habitus boni com- parandi illud faccrc, fcd potius gratia
alicuius particularis aficjlio- nis curandaccognbfcctur. E/t Sc aliud hocinloco
magnopere E confiderandum, ueter^s tam Romanos^ quamalios multos fcrn- pcrdics,
atquenoftes fcparatim in duodccim horaspartitos eflb.; atquc alias dici
maximias,ut in acftatc, alias minimas, ut in hycme, Udecit-
aliasacquinovflialesuocafl^c: numerumautcmhunc fcribit Gale- mfpcc.no "^'^
ranquam ommium utjIiflTimum ab ipfis deledum eflb, quo^ titia atq. niam
dimidium continct, &:duplum, &: quartum &: fcxtum, 8c «pfj!^* usincredibilia
crra- ta jjT A ta committi folenr,&:
plerumque ( urar Plinij vcrbls) infcitia capi- ^M.n talis cuadit. cumquc nos
cxcrcirarionis toram arrcm rradcrc profi- tcamur, iamquantum vnufquifq.
cxcrccri debcat, monftrarcco- nabimur . Et nc lingula cxplicantibus nimis
diuagctur oratio,uni- ucrlaquantitatiscxcrcitationum tradatio cx hisconftabit,
Quis cflc dcbcatcxcrcitationis communis tc rminus: Quantum fortcs, quantum
dcbilcs, quantumlcncs,quantum uiri,quantum pucri,excrccri debcant;quantum
hycmc,aclbtc,ucrc,&: autumno;quan- lum tcmpcratc uiucntcs, quantum humidi,
caHdi, frigidi, &: ficci ; quantumualctudinarij ; quantum non alfueti . his
ctcnim cognitis nihil,quatcnusad praclcns caput attinct, dciidcrarciurcpotcrir.
Sed antcquam rcm aggrediar, adnotandum duco, dc corporibus acgris non hiturum
lcrmoncm; tum quia paucas cxcrcitationes B rcquirunt; tum quia fccundum
morborum uarictatcs uariantur cx* ercitationum lpccics,atquc mcnfurac;&:
iccirco ccrta rationc dcfi- niri nequcuiK. Tcrminusigitur cxcrcitationum
communis,qucm Galcnus,Oribalius, Auiccnna,&: Actius Hippocrarcm fccuti do-
cucrunr,duplcx cll,U!ms,quandofciIicct uapor fudori aliquanti- r.dcloclf
fperpcrmixtusfcntitur, vcnae intumcfcunt, atquc anhchtuspcr- mutatur:cum cnimab
cxcrcitaiionc duorcquirantur, mcmbro^ Ji.i.fcn.ij rum robur, &: caloris
au(ftio, qui fuccos concoquat, concodos nu- tricndis mcmbris diflribuat, atquc
dcmum inutilia dillipct, nifi^.cpia.^' cxercitatio tanta fit, &: ad limilem
tcrminum pcrucniat: ncque^°»«*« bcnc,ncquc pcrfcdc illaomniaobtincripoifunt,
altcr tcrminus c(l, ut tamdiu cxcrccatur vnufquifquc, quamdiu color floridus
ciusfaciei,&:corporiingeneratur; motufquc acritcr, acquabili- C ter, &:
concinnc edit ; ncc ullamcflaru dignamlalTitudincm per- cipit . quod li calor
cuancfccrc incipiat ;vcl corporis moles paullo contractior vidcatur,vcl
lalTicudoiamimmincat: illicodcliltcndu cft; ne, fi ultcrius progrediatur,
corpus plus iufto gracilefcat : boni fucci unacij
maliscxhauriantur:&:tandcm calornaturalisdcbilior reddatur; &: idco
loco roboris acquircndi uircspotiusdcftruan- tur, (imilitcr ubi motuum
alacritas,acquabiliras ; ud concinniras rcmitri quippiam, collabiq. ccrnitur;
utiquc llatim delincrc opor tcr; itidcm (i infudorcaccidar ulla
qualitatiscius,qua!uitati.suc mutatio, quippc qucm, &: copioliorcm (cmpcr,
&: fcruuiiorcm cdi parcft,prout motus vchcmcntiorcsfiunt.cum igituris
autminor, aut frigidior rcdditur : tum fcito corpus cxhaunri, rcfrigcrariquc,
&:ficcari plus iufto. &:proindc corpori cxcrcitando diligcnrcrat-
tendcrc conuc 01% ur, quando pracdittoruni lignorum aliquod ap- Cyn.n.iiiica* 3
parere lam incipiat, protinus cxcrcitatio dimittatur. Atque hi !> funt
communcs quidum tcrmini, quos magna fc/e cxerccntium pars continerc dcbct .
Succcdunt poftca particularcs, pro quibus ita dccrctum uolo, quod ualidi
diutius ccteris (nifi quid aliud ob- ftct) cxcrccripolTunt, quamuisctiamuircs
aliquantifpcr fatifce- rcnt ; nimirum quae facillime rcfurgcre poffunt. dcbilcs
parum ccrte cxerccri oportct, alioqui i\ in his uircs ucl tanrillum parian-
tur,difficulter, et longo tcmporereparantur ; et iccirco fatipfis crit
incalefcere citra fudoris principium.Scncs du fe cxcrcent om- ni cura fudorcm
ctfugere dcbent; ncmpe iicci,&:aridiexfiftcntes, ita maiorem ficcitarem
conrrahunt; pracrcrea c um iam dixcrimus, exercitationesiniuucnrutcconfuetasinfcncLtute
congrucrc, hoc in loco fciendum cft, fcmper fcncs minus quam iuucnes
(oIcbant> excrcendos cffc, omninoque lalfirudinis fcnfum cflugicndum, ter- E
minumq. excrcitationis eorumfamisexcirarioncmponcndum, fi- cuti Socrarem iam
fcnem fe exercirare, donec cfurirer, folirum le- gimus. Viri, fub quibus
comprehcndunrur omnc^ inrra adole- fccntiam, et fencfturem exfiftentes,
moderatas exercitationes po- ftulanr: uel enim ofFendunrur, fi
plusiuftocxcrceantur, uclpau- cum omnino frudum capiunt, fiminus, uel utroque
modopra- uum aliqucm habitum conrrahunr: quocirca tcrminus commu-
nisiamexpofirushisomnibus mirificc aprabirur. Pucri a primo ufque ad tcrrium
aeraris feptenarium mulris laboribusprobefuf- ficcre poflUnr . quocirca &:
incalcfcere, &c anhclarc, &: ludare &: aliquantifpcr defarigari
ipfis impune concedirur : excrcmenris enim plurimis ob viucndi imprudentiam
cxubcrantcs afudoribus, &: laboribus multis iuuanrur ; uiribus autem
ualidis pollentesa F leuibusdcfatigarionibus minimc oflfcndunrur: haud ramcn
rao- duminlabore pucros umquam exccdcre conuenit, &:tanto mi- nus,
quantoprimo fcptenario uiciniorcs exfiftunt^ fiquidem in-
icmpeftiuaexcrcitationisduritiecorporis pueri,ad auftum, ana- tura quam maximc
comparari inhibcrur auclio, ob quod pae- i.Jtu.fa. dorribas nonnullos fui
temporis damnauir Galenus; quod plus c^x.7.pol. ^equo pucrosexcrcerent
.fimilitcr, &: Ariftotclcs improbandos iudicauit
Laconas,quinimijsIaboribus, &: exercitationibuspue- ros cfTcratos rcddebant,
ficut &: illas nationcs, quac athlctarum ha bitumlaboribusinpueris gencrare
ftudentes corumcorpora de- formabant,augumcntumq. impcdicbant. Nainter eos,qui
Olym* piavicerunt,duo, uel tres tantum exftitcrunt,quiijdcmadoIclcen- tes>
fi^ uiri fint ui inaniun- tur, calor naturalis excitarur,&: pcrbclle
conco^liones omnes pcr- ficiuntur. Dcmum uaIctudinarios,qui mox a
morbisrefurgunt, cxigua admodum cxcrcitatione utidebcrc, ncmoignorat; quo-
niamhorumuircsinfirmae ualde exfiftcntcs,caIorquc debilis, &:
membracxficcata,fimulta cxcrcitationc agitcntur, nonpoflunt non fummum
dctrimentum fcntire:proinde ifti i ntra anhclitus mu- ationcm,intra caloris
aduentum,intra dcniqiie dcfatigationem ^
quamIibetexcrccndifunt:prouttameniftireficiuntur,uircsq. cre-
fcunt,&:mcIiufcuIieflecoeperunt,adijceredebentexcrcitationes. Poftrcmo qui
exercitationibus inafl^ucti funt, cum prauam illa con- fuctudincm dcponi
deberc,iam oftenderimus, prius cxpurgari ab
humonbus,&:fuperfluitatibusexfcgnitie ortis fecundum Galeni confilium
dcbent,alioqui periculum imminet, ne a fluxionum per- niciofis morbis protinus
tcntcntundcinccps primo parciflTimc exer- cendi funt pcr aliquot dics, poftea
cxcrcitationis modus paulla- tim augendus, quoufque ad tcrminum illum pcrucntum
fit, qucm inafl"uetis fufficcre,&: citra ullam molcftiam calefacere
experientia docuerit:cofemper(quod fupra quoque dcmonftrauimus) ani- maduerfo,
omnibus immodicam excrcitationcm noccre, nempe quae pucris incrcmcntum
adimit,&: mcmbra colliquat, uiris inae- p qualcs intempcrics gignit, atque
febrem interdum, ficuti de illo Calc.^.dcimmodice excrccricoaclo narrat Galenus
in libro de cauifis prae i/mp.cau. inchoantrbusjfenibusimmodicabiles
Iaflitudines,atq. ficcitatcs pa rit;omnibusque tandcm aliquid fcmper boni
cffluere lacit. Quam- quam Ariftoteles ij. ethic. ad Eudemum libro, vbi virtute
medium eflc probatjCxceflum in excrccndo defcdu magis laudat,licut in ci- bo
cont rariu mjo/^c^t/^inqu lOKoci Tngi to (raipix Iv /u^ rots Tromg vytui/ongoy
i VTns^ '^^^ lA^u^liQnsKcci iyyuTigov roi ykaov \v J^i r7i rgoq^n « fcAAu4^2
vTnsSo^HQ &c quac lcquuntur. Immodicac autcm cxercitationis haec
fignafunto,dumarticuIicaIidiore cff"ecli fentiutun dumuniuerfum
corpusaridum,&: inacqualeapparct ;dumin motu/enfus doloris
cuiufdamulcerofifuboritundum labor coade,&:nonfpontc dimit titur;dum
poftfudorcm pallor fuccedit,ficut in athletisimmodice
cxercitatiseuenireconfucuiflc au6tor eftAriftoteles;duminfolita denique, prob.
Si Q V A R T V S. f ji A clcnlqncacualdcmolcftalafririido pcrcipitur. Tota
itaquc quan- titatis cxcrcirationum ra:io liis omnibus nobis pracfcripta
fit.Quod limulta particularia a quoquam rcpcricnriavi'iac a nobis aui i^^no
rata,aut praetcrmi(rauiJcantur,iIludfciat,nihilquod ad un ucr-
iamartcmncccflariopcrrincat,circ,quia uclcxplicitcuclimplici- tc a nobis
comprchcnfum habcatur^.juamquam ctiam mulrac cxcr citationcsfunt, quarum
quanritaris tcrminum non cxprcllimus, quod a tcrmino illo communi pracfcripto
corum mcnfuram accipi uolumus, Dc modo exercer^di. Cap. XllL p
'^'-^^^♦'-'-—•RAETER locum, tcmpus,&:quan:ita:cm, quae
inobcundiscxcrcitationibusfununa curaobfcruari ^
d^t)crcdcmonllrauimus,adcft& modus,qui urin illisipfis, fic in plcrifquc alijs
rcbus rc(ftc pcragcn- dis tantum potcft, ur, nili is adhibcarur, cctcra om-
niafupcruacancarcddamur, inrinitisquc propc cr- roiibusiam uia latilfimcpatcat
. Qua dc rcmaximead huiustra- ftationis abfolutionem pcrtinct, ut modum,qucm
anriqui in cxcr- ccndis corporibus tcnucrunt, quoquc tcmponbus noftris unus
quifque fanitatis ftudiofus uti non linc fru(ttu potcft, &: dcbct, apcrtum
brcui fcrmonc faciamus. Modus igiriir,quo uctcrcs ad fa- nitatcmufoslcgimus,
fuitis, qucm Oribalius Pcrgamcnus lulia- ^.coiic. ni Impcra. mcdicus, Actius
Ainidcnus, &: Arabum doc^^tillinius Q Auiccn. inmcdiumattulerunt.
Virinamque,&:iuuencsexercen- Li.i.for.j di ubi
Iotiopfcctaconcodioapparcbat,faccibusqucaluum
cxoncraucranr,maiorparsfcfccxfucbanr, mox fricabanrur mcdiocritcr, ^'ufqucquofloribuscolorin
fumma cutc refidcns, &c arruumflexi- bilitas, arquc ad omncm motum agiliras
pcrfuadc bant ; pcrfiicati olco dulci mungcbantur ;quod urmagis ariusquoslibcr
pcnctra- rct,manibus undccjuaquc prcmcnribus,&:cxplananribus apponc- batur;
abundtioncqui luctatione cxcrceri uolcbant,autpancra- tio, pulucre
conlpcrgcbantur, alij protinus in cxcrcitationcm, proutcuiquc alt^rraalrcri
uiilior,atquc grariorapparcbac,dcfccn- dcbanr,pcra(fta cxcrcitarioncpaullum
quicfccbant,dcindc fh-igili bus, ucl afpcriufculispannisltrigmcnta a corpore
cradcbant,quo fado aliquando rurfum fricabantur, iTroi^gctnwTiKH didta fridio-
nc,nmilirerqucungebanturaliasinfoIc,aljasadigncm,utCornc-- liU5 Cclfus tcfUtum
facit; ficq. fcrc fcmpcr balneum ingrcdicban- tur Lib i.Sci bis bon.&
ina.ruc. 2iS JL 1 ii £ R tur conclaui quam niaxinic alto, lucido, et fpatiofo,
rariiisfcip/bs D inducntcs ad capicndum cibum accedebant. Atque hic totus erat
modus,quouelin gymnafijspublicis, uel inpriuatis locismaior pars liberorum
hominum,&: eorum qui valetudini curandae, et bono habitui comparando
folemniter incumbebant, frequentcr utc- batur- Necquifquammiretur,quomodo
liberi hominesfingulis diebustotcorporiscurisoccuparentur, quando omneshomincs,
ncdumclarioresquotidie defricarifolitos, multi audores,& prac- fertimCoIumella
memoriaemandarunt.de quo defricandi mo- rc,&modo,fiDeopIacuerit,aIiquando
tradationem huic adij- ciemus. Cecerumuerifimile fit quamplurimos
ahosexftitifTcqui uel negotijspublicis,priuatisque impcditi juelnecefllirijs
uaria- rumartiumoperibusdetenti ;uel aliqua ualetudinis ratione coa- €ci hoc
pa£lo minime excrcerentur, fed fridionibuSj&undlionibus ^
dimiffis^quafcumquc poterant exercitationes ample£lerentur;ficu- ti &:
multi reperiebantur,qui pracdidarum cauffarum aliqua nullo modo
exercitationibus uacandi otium habebant; quibus omnibus exadiore uiclu,^: fanismedicamentis
opus cflb tradit Galcnus. Verumenimvcro cu actare noftra gymnafia illa ob
exerccndi com moditatcs ab antiquis fabricata in vfu dcficrint cflc%neque
gymna- ftas,&: paedotribas,ncque aliptas,&: reundores habcamus,a quibus
fricandi, ungendi, tandemque quomodouiscxercendi modos,at- que commoditates
quaeramus, fat erit illis,qui aliqua neceflaria oc cafionc impediti
Iibcrefcfeexcrcendiocium ncquaquam habcnt, ut potius quomodocumque poflunt,
excrc eantur, quam fcmper in confummataquietedegant; modo tamen hoc
unumobferuent,ne ftatim a cibo excrcitationes cas, quas gratia fimitatis facerc
uolunt, ^ folicitcnimis adcant,fcdfalrcm aliquot horas intcrponanr, quo quam
minimum ficri potcft nocumentum inde fcquatur . Porro quifuaefpontisfunt,&:maioriocio
propriorum corporum curae Iibere uacare queunt,haec omnia diligenter obfcruarc
dcbcnt.pri mo u t corpus tum a faecibus,&: urinis, tum a mucis, &:
fpuris accu- rateemundarc,caputpcaerc,manus,&:facicm ablucre ftudeat, ne
excrementa in uarijs corporu cauiratibus,atq. in ipfo ambitu laten tia,a motu
cxcitata uaporarionib.oflcndantjftridisq. mcatibus no- nunquam infarclxi,aut
exercitarionis calore cliquata obftruftiones, fluxionesq, diuerfas
pariant.Sccundo ut corpus ijs indumcntis ob- tcgant,quaelaborcm ipfi
fupcraddcrc nequcant, quacuc interim a uentis,fiqui erunt,ucl afrigorc
tucantunautctiam fiacftus urgear, feruurenullopadoaugerc,fiucfoucrequcantinam
indumcnramfi cxercrcitandLs prudctcracc6modcntur,pracrcrimpcdi'mcntri,quocl
laboraruris in motu pracftarc folcntiniigncjfaciunt quoquc, &ut motusdchita
mcnfura ludcrj6j alia iucomoda rulHiicant;(iqui dcm fudor ita indutoru finc
motu multo cucnics, vcluti Arillotclcs i.par.^fb. dirpurat,dctcrior cft co,qui
a laborc cmanat.&huiusargumcntum p°t?o pl eft,quod ita fudatcs dccoloratiorcscuadunt,
cu humor pcr fumma blc.j. ' corporis pairus,arq. incalcfccns ab
cxtcrnoacrcrcfrigcrari nopof. lit,& indc pallorcm tacilc contrahat,(i
mulquc corporis pcrfpiratio» a qua graruscaloremanarcconfucuit a ucllimctis
inhibcatur. Tcr tioobicruanducrit,ut rcmiflc,ac lcnitcr unufquifq. cxcrccri
inci- piat,dcinccpsciusintcntionc augcatpaullatim,ufqucquoad tcrmi nu, qui fibi
conucnicns uidcbi tur,pcr ucniar, atq. vchcmcntia rur- fum pcdctcntim rcmittcrc
catcnus conctur, quatcnus fibi iam fitis B fclc cxcrcuilTc dodus cxpcricntia
fcntict: na fiibito ab intcnfis cxcr citationibus incipcrc,non folum
imbccillibus,fcd ctia robullis cor poribus fummc pcrniciofum iudicauit (lalcnus
. Quarto ijs,qui in- pu!cp"iicpl ter excrccndum
fiidant,curandumcrit,iitpcrada cxcrcitationc ue ftcsludorc madcfaclas
cxfuant,&: ficcasrciumat,idqucli ficri potc- rit in loco tcpido, aut
tcmpcrato, aut faltcm ncquc frigido, ncquc ucnris pcrflatojl ctcnim humcctailla
indumcntarctincantur,faci- le cft carnibus a calorc rclaxaris itcru fudorcs
imbibi, ficq. dcnuo corporismcarus ob ftruitiir ; practcrquam quod pannimadidi
mox frigcfafti horrorcs,factorcs ac alias molcftias inducunr,atquc inde fcbrcs
mtcrdum oriri folcnt. Quindoobfcruandum ciit,nc(ficut criamfupra admonuimus)
poftcxcrcitationcm quam primu quicri fele dcdar,aut cibumfumat,fcd bIando,iSc:
valdc remiflo potius ali- C quo motu utatur,tantumq. a capicndis cibis
abftincat,quoad per- turbatio illa, quafiquccorporisfiudTtuatioacftuatiouc, ab
cxercita- rione gcnita proilus ccffaucrit, ciq. tranquillitas quacda, &:
icuatia fuccclTcrit. 1 otusitaquc critcxcrcitadi modus^ordo,primocor- pusa
fupcrfluitatibus quibus vis cmundarc, caputpcctcrc,manus &:facicm
ablucrc/caccommodatc inducrc,rardos,&: rcmi(Tos mo- tusincipcrc,ad
cclcriorcs,&: uchcmcntiorcs proccdcrc,itcrumquc paullatim rcmitterc,
madcfada fudorc indumcnta cxfucrc, blande pollrcmo moucri,&: fcdara cxcrcitationis
pcrturbationc cibum ca pcrc . Atquchacc dc uniucrfalicxcrcitationum
Ipcculationc mcthodo difputatafufiiciant.RcftatmodoparticuIarcs fingularum
cxercitationum naruras, arquc cffct'tus cnarrarc. quod infcquen- libus libris,
quanrum ficri potcrit,plcnc pracftarc conabimur. ExpUcit Libcr QHams. AR~
rDeordine agendorum\(^ den(mnHlhsfcituclignis. Qap. L Iciiti nullus ab
excrcitationii particularium co- gnitionc fru(fius cxpcdtandus cfler, nifi rcda
arq. vniucrfalis methodiis, quafupcriori Iibro
abundefaiis(nifal!or)tradidimus,optimcpof- fidcreturi Ita proR do illa
infruduofa,ac prope modu uana cuadcret, nifi haec parricularium fcreomnium
exercitationum tradatio, quam g aggrelsuri fumus, illi conne£lcretur ; fiquidcm
incerta, ac fallax ea cogniriouidcri potcft, qua cxcrcitatio vniucrfali quodam
padto accepra iauareintclJigitur.fed /i qualis cxercitatio,quod nocume-
tum,quamucconunoditatcpracftareidoncafit,cognofcatur,pro- culdubio nihil
amplius rclinqui conftat, quod exercitationura quarumuis fcicntiam opcantis
animum expJere iure debeat . £ t ic- circoncinchoataanobis gymnafticae
tradtatio impcrfc(flarelin- quatur,infcquentibusfingulos exercitationum
iamenarratarum effcftus profequcmur ; atq. hos cum ex antiquoru audoru compro-
batis experictia rcftimonijs, tum ex rei ipfius narura infpeda, quam 12. Meth.
ef e ueracodiriones rcru mueniendi rarioncfcripfit Galenus,dice- re conabimur.
Et ne citra ordinem totus futurus fermo uagetur,ita
matcriahuiufccmodidcclarareinftituimus,utprimocommodain F corpora humana cx unaquaq.
exercitationisfpecie emanatia,dein- dc mcomoda figillarim explicctunna illud,
quod quaplurnnis mc- dicametis eucnirc ufu c6probatur,ut fi alicui corporis
parti,&: affe- ftui profunt,alijs noccar, in cxercitationib. item
contingere, nemo ignorat.lnexplicadis praeterca utiliratibus,atq.
danisamcbrisfu- pcrioribusprincipiufumentcs, utplurimu in ultima,atq. infimafe-
riatim terminabimus,prius tn iHis enarratis, quae nullum corporis particularc
mcmbrurcfpiccrc vidcbuntur.His autcm fic pertrada- tis,duo me faltcm pcradurum
cfsc fpcro:Altcrum cp maiori facilita- tc,firmioreq.cognitione quicumq.
hacclcgent,animiscorum in- fidcbunt : Altcrimi 9 habito a ualctudinis ftudiofis
excrcitationum alfiduo dclcau, uel nulli crrores, ucl quam pauciffimi
committcn- tur,ficquedemummulticorum pcrnicioforummorborum euitabuntur,c[uos
dcCdia, laborum abftinenria,ac cxercitarionis ignora tio non conrcmnendos,
quofq. inrcmpclliuus cxcrccndi vfus con- tinuoparcrc foletiillud namquca narura
compararum cffc norunt omnCvV,urilla,quaccorporibus nuftrisadmorainliynitcr
conducc- rcanimaducnunrur, cxdem plcruq. magnum dcrrimcntuintcrat, li ucl nullo
paclo,ucl prauo ordinc, arq. omnino importunc adhi- bcanrur . quod ctiam m
cxcrcirarionibus iplis fcrc conringcrc, iu- dicauit Galcmis,ubi lcriprum
rcliquir,cos,quianrccibos,arqucop ^cd porruncfcfcc.xcrccnt,haud exquidra
vidusrationc opushabcrc, ^;',5°".^ quin inrcrdum Naturac in ualcrudine
commillos dcfcduscorrigc rc,qucmadmodum cxaducrlo
iIIos,&:accurariorcuic'tu,(!!;caliiduis mcdicamcntisindigcrcinfupcrquc
natiuamfanirarcm corrumpc- rc, qui ncquc ante cibos aliquo pado,ncq. ordinc,ac
tcmporc fcr- B uariscxcrcitarioncsadcunt. Cumiraquc taliordincquacad nni-
ucrf-ira ^'vmnadicam [>crh\icndam fupcrlunr, pracdfclrs adiungc- repropoLtum
mihifit, id anrccetcrapracfariopcraeprcriumcllc duco, nos in
fupcrioribusgymnafticamfaculrarcmnonincurati- ua,fcd in confcruariua mcdicinac
parte collocafsc. Hr tauK"- omncs uctcrummcdicorum(cs.^tas, acpracfcrrim
Mcrhodicos, quormn principcsAfcJcpiadas, Thcmiion,&Soranuscxftireruht,incun6tis
fcrc diururnismorbis cunndi^ cxcixitarioncsaliquas magnopcrc commcndafscut
cxlibrxs Oirncli j Cclii, qui A/clcpiadcm in mul- tis fecurus tuit, nccnon
Coclij Aurcliani mcrhodici, atquc Arctaci c^^ro- clarillimc iQrclhgcrc liccr.quod
fimilircr Galcnus,(S^ qui Galcnum in dogmatncorum fcetafuntimirati,magnacx
parrc confirmarunr. cd ac ud mc, vcl ilJcrs omncs cTrahc quis putct, ira
fcnrcntias no- C ftras accfpi dcbcit uolo,qj.f;gyrTTnafticam principaliter
circa fani- tarisconfcruarioncm ucrlari, ccinfcqucnrcrcirca curariuamrnuUa
ctenim cxcrcirationcm,quaIifcumquc lir, u(l]uam rcpcrics,quin iii
/aniscorporibus abfqucnoxaadminifti\ uiqucar,atpaucisquibuf.
damcxccpris,nimirumambuIationc,gcftationc,uc^tion9,ac limili- bus, ulx uha,
aiiraltcra inuehihir, quc aegroratibus impune con- ccdi qucatiimmo
illa^quacadhibcnrur^porius ut rcmcdia,quam ut cxercitarioncs commcndantur,cum
in fanisonincscxcrcitationcs folum fiant,quo bonani ualcrudincm rucanrur, optimumquc
cor- porishabirum inducanr: macgrotis vcroiccircocacdcnuidmini- ftrenrur, ur
morbo cxpcllcndo aiiorummcdicamcnrorum inftar
coopcrcnrur.Quandoigiruranriquorumirl varijsmorbiscxcrcir^^
tionibusaliquibusurcndi confucrudincm inmcdium adduccmus, noD
crir,^ullusadmirationccapiarur,uofq. icprchcndar,ra(|tiam' gymnafticam foli
conferuaroriae inferuire ftatuerimu5, quoniam,D &:nosrei ipfiusnaturamprae
oculishabentcs,ita dcterminandum cenfuimus,quemadmodum ueteres alias experienti
js alliduis,alias morborum coditionibus permotipaullo diuerfiusfentirequidcm
uirifunt,fedreucra afententianoftranonrecefrerunt* Aliudinfu- perhocinlocofummaconfiderationedignumexiftimo,
quod li- cetinmulcis excrcitationibus diucrfus exftirerit antiquorum mos ab eo,
qui hodiein ufucftfere apud omnes, ucluti pilae exercita- tio, luda, difcus,
pugnae, atque fimilia ; nihilominus cu m parum noftra confuctudo ab antiqua
recedat,folifq. accidentibus quibuf dam,& non in rei natura differat/crc
eofdem eflfcdus, quos illi fuis atrribuunt, nos noftris dare potcrimus,modo vnu,
aut altcrum ob- ferucmus, antiquos undiones, ac pulucrcs in multis
excrcitationi- busadhibere confueuifTcquas nulli hodie,aurquampauciflimifa- E
ciunt; aique hoc multi momcnti efle ad uariandas utroriique qua- 2. S dtae-
litates,quando dc his Hippocrates verba faciens fcripfrt, cxercita- ta. iuxta
tioncs in pulucrc, atque oleomagnas diflcrentias fufcipere,cum puluis frigidus
fit, olcum ucro calidum, atquc inde oriatur, 9 hye- me oleum corpus magis augct
frigus prohibens, ne quid a corporc demat : Aeftate uer.o caliditatis exceflum
facicns, carnem liquar, cum, 6c a temporc,&:/.ole6,ac laborc corpus
calefiat;qucmadmodu exaduerfopuluisinaeftatemagis augct
feruoremaeris,&:corpo^ ris rcmittens,in hyeme autem f rigus,&: algorcm
inducit.praeterea maiorparshominumfcmel duntaxat in vcfperefaturabatur, no-
ftratesbiscibosfumunt, quoditcm non parum refcrradiuariandas cxerci tationum
condicioncs • Vnde c^ui de noftri temporis exercr- rationibus aequum iudicium
fcrre optauerits: dcbebit quid un^ J aiones,& quid uiia dici faturatio
importent^exaae penfitare >ro^ tumque illud noftris adimcntes,in reliquis
eofdcm,ucl parum di- uerfoseffcdusexiftimare. De Jingulomm exercttationis
diff^eremiArum eff^e^ihus* Cap. IL RES praecipuas cxcrcitationum
difreretiasabantiquis Mcdicis excogitatas fuifle fatis conftat, quarum prima
excrcitium Trr^fpc^rxwfl^ixif, fiue pracparatorium, altcra (ic7ro6i§ctmvriKh y
icrtia fimphcitcr exercitatio nuncupa- ta . Excrc itationcm pracparatoriam,
fiKultatem cogendi, meatus corporis denfandi,
eorumquclaxitatemcorrigcndiobtinere. fcri- ptit pfit Galcnus. quadc
caufla;ulilctae,qui Jcfirarc corporumfudo- 3 ^ta.va, ics
impcdirc.&iconfcqucntcr robur confcruarc fludcbanr,antc "^jetuc.
jrcrcras cxcrcitationcs pracparatoiia utcbantur.quam ircm ufurpa- ual.c.3. *
bant quaplurcs homincs poil coitum,ut laxirarcm corporis in mo- tu ucncrco
gcnitam cmcndarcnr. dc mcridiano coiruloquor, cum cx nodurno oborra laxiras
/aris a fomno curarctur. cuius rci yraria magnopc^ftfSocIarum laudarcfolco,c|ui
apud Plurarchumnodu ^.Cymp. coirum ob hoc excrccri dcbcrc aducrlus Epicurum
mcdicum gra- pf^^-^- uilllmc difpurar.ficuri quoquc Paulli
fcntcntiam,Galcni,ar^ lij opinionibuspracfcrrc confucui,dum is conrra ipforum
placira Li.i.fcr.i tcmpusconcumbcndi fccundum cibum inucfpcrc antcquamfo- ^*^*
mnus muadar,opp()rtunucxfillcrc credidir: quod lalTitudo cxcoi- tu
contraCtaobdormicnri ftatim rcmitratur. Excrcirationcmapo- B thcrapcuruam ram
pro cxcrcirationis partcquam pro fpccic ncce pramcorpora ab iramodicis
laboribuscxfuita cmollircmcatusq.
corporisrclaxandocxcrcmcnrapurgarctraditumcfta Galcno: un j.detuc. dciure
mcritopoft uchcmc*riorcscxcrcitationcs,poll uigilias,poft "^^-^ nucrorcs,
a quibus corporum mcatus clauduntur, uircsq. non pa- rumdcprimunrur,urplurnnum
adhibcbarunin ijs quoquc com- mcndabarur,qui palacdrac laboribus alfucri, ob
uirac negotia co- gcbantur illos dimirtcrc, Excrcirationis fimplicitcr acceptac
dif- fcrcnriac,quac ab cxtiinfccis dcfumcbantur, cos ctic(ftus pariunr, quos
locorumipforum,aquibus fumunrur, condicionesproducc- rc pofl*un::& idco,qui
in calidis locis cxcrccntur, magis cxurunrur, cfui in humidishumidiratcm
conrrahunr,ficque dc fingulis. corpo- ^ ra namquc ab cxercitationc rarclacta
facillimc difponuntur ad im bibendas quaflibct acns,&: locorum quaJiratcs .
De diffcrcntijs ab utcndi modis acccptis in hunc niodum dcccrncndum crir,cj)
cxcr- cirariones pcrpctuac, fiuc continuatac, &: acquabilcs magis dclaf-
fanr,quam inacquabilcs. rariocftcadcm, quam atrulit Ariftorclcs bic.r&fx
inprobleiaaubus,uidclicct mcmbraa mulro moturcfrangi,atquc
inulruineflcmotum,qui unus,&:continuuscft,ac acquabilis.inac- quabiicTTi
ucrononidco fic dclaflarc,quiacxmutationc nafcitur requics^ Jaborq, oinnibus
partibus dillriburus a lingulis minus fcn- titur : quairidcin rarioncmotus
inrcrcifus, acordinatusminorcm defarigationcmparir, nin.irum cum inrcrruptio
quicrcm,quics laflirudinisminus inducat. txcrcitarioncs cumolcopcradac non
inodo pracfeatcm laflitudincm mitigar,ucrumctiamfururampro- hibcnr,ficcitatcmq.
arcct, acad morusprompritudincmmaiorcni gcjacrant: cuiusrcigratia
Polliononagcnariusactatcmfuamolca cxtiia- 23« 1. 1 i3 £ R extrinfccusadhibito
acceptam rcferebcit, QuaecumpuIucrefiLirit D excrcitationespracterquamquod
frigidiora conferualit corpora^, efficiunt quoque,ne ludor itafacilitercff?uat
j neucilla tantopcre i^tuva ma apud
antiquos fuerunt gencra, quae fere omnia hodie abolita, uel faltem non uHrata
efle cum conftet, fuperuacancum foretfingu- lorum eflfedlus percenfcre.proinde
fateritillaadnotafTcin quibus a,dc difta pracftandis,&: cun£la illa
conueniffe, atque etiam noftram conueni propter ii rc ucriftmile
uidetun;^tifow/4/flf(/ etcnim fiue manuum gefticulatione ^^^* attcnuare
humores,atque furfum carnes trahcre,placuit Hippocra- ti fiuc Poly bo.quam
fimilitcr in inuetcrato capitis dolore,ubi P^ul- Liba.cun latim
malumfoluitur,commendauit Aretacus,ueluti, &:in uertigi- ^^''^'
nofis,epilepticis,cocliacis.Saltariodemum,quae motu uniucrfum corpus
calcfacit,arcendis rigoribus, atquc etiam nonnullis trcmoC- ribus ualde
accommodatunpriuatim ubi ftomachus in concoquen do laborat, crudosuc humorcs
aggrcgat, utile remcdium exfiftit . praetcrca labantcscoxas,infirma crura,malc
tutospedcs,vfq. adeo confirmat,corroboratquc,utpaucainuenianrur,q fimilc
auxilium pracftare queant. nequc itidcm altcri ccdit huiufcctnodi excrcita- tio
in cxtrudcndis a rcnibus,fiue ucfica lapillis. Caeterum quod p- -gnatibus mirum
in modum noceat, tcftatum rcHquit Hippocrates, in li.de na ^jj^j cantatrici
mulicri,quacne calumnias fubiret,utcri foctum abij cere cupicbat.confuluit, ut
faltarer,pollicitus ea faltationc conce- pjtum corruprum iri,vcluti poftea
contigit. Quicunque vcro caput debile, ac vcrtiginofis aficaibus obnoxium
habcnt, proculdubio ab illis circuitionibus,uerfuris,motibusq. continuis
ofTenduntunfi- militcr oblaeduntur quibus oculi illacrymantur,aut in uidendo hc
betem acicm habet,perindc namq. in tripudiationibus alicui euc- nir,
acinrotationibus,in quibuslacpeoculitantumdctrimentum p patiuntur,vt nihil
omnino vidcant,atquc interdum cadant . Rcnes languidos,&; fupcrcalefados
habcntes,fcminisq. Ruxum, y>voggoitt» aGraccisuocatum,qualibctdc
cauflaincurrcntcs afaltariotiibus abftinere conuenir:ahoquieorum
affca:ionescxmotu calcfacicnte magisrccrudcfcunr.Arquc hacc omnia a mc difta
intclligantur de ea faltationis fpccie, quam antiqui fine armis obibanr.quod h
quis armatae,quarn vocarunr,falrarionis condicioncs pcrnofccre aueat, inhunc
modumucrcarq. brcuitcr ftarucrc rc porcrir,uidclicet om iiia quae ab iUa
gignuntur ucl bona, ucl mala, cadem ab hac eftici, nifi quod armara uchcmenrius
membra cxcrcct, magisque illa in- %.itvi.u. calefccrc,&:fudarc facit. ob
quod Galcnus intcr uchcmcntcs cxer- * ' citationcs non in poftrcmo loco
pofuit,dum quis graui armatura te ausceleritcragitatur.. J41 DtluJorum ptUe
effe&ibus^ Cap. IV* Vdorum pilac antiquitiis complurcs cum npud Latinos, tu
apud Graecos cxilitiflc fpccics, abundc in fccundo li Ca.4. et i ^ bro indicaui
mustcx quo nullum opcrac pretium cu hoc in loco,vbi folas cxcrcitationu
qualirarcs cxplicarc pro pofuimus,cadcm rcpctcrc :illud duntaxatanimaducrti
volo,quod &: li noftra hidorumpilac gcncra vctcram gcncribus undcquaque non
rcfpondcant: funt tamcn magna ex partc ualdc (imilia : &: ideo corum
commoditatcs,atq. nocumcnta lingulatim cnan arc ftudcbi mus,ut fada noIlrorun\
cu illis coparationc, quid confcrant, quid- uc noceant, utraquc fimul cognofci
poillr.fcd nc tratfiatio ifta con- fundatur, iicut alias fccimus, primo graccos
ludos, dcindc larinos 3 profequcmur codcm ordincquo (upra ufifuimus.In co
ctcnim c6- ucnirccunclaharumcxcrcitationumgcncraccnfuit Auiccnna, q»
Li.r.rcn.ifortcscxliftut. Hoc pracrcrcacommunccxomnibushuiufccmodi ^*^^-*-^ **
ludis comodum pcrcipi*ur, quod qui in iplis, ud ipforu aliquo fcfc
cxcrccnt,promptiorcs ad motumrcddantur,ijsquc uitalcs adioncs
roborctunpcculiariter ucro paruac pilac cxcrcitatio intcr ucloccs citra
uiolcntiam,(S: robur collocant Galcnus atq. i^aulhis,cuius me ^^:
ritocorporacra(Ta,ut limilcs cxercitationcs faccrc didtum fuit,atre nuat.
ideoq. apud Noniuin a Lucilio iLriptum inucnitur, Cum ftu- » dio in gymnalio
duplici corpus iiccalTcm pila.Primaautcm paruae graccorum pilac
fpccics,fccundum Antylh fcnrcntiam, carncfoli- ^^iidl!"
damrcddit,brachijs,dorfoatq pullulantibus coftis magnfi vtilitatc cjp.j». pracftat,
cumquc in ca cxcrcitationc crura magnopcrc laborct,ad Q acquircndumroburnon
parum proficiunt.Sccunda cxcrcitationis paruac pilae fpccics pracftantiliima
rcputabatur olim, q> corpus fa- num, &c promptum ad motus cum roborc
coiundo pracftat, adfpc- chim hrmat,ncquc caput rcplct.Tcrtia
vcrofpecicsoculos, atque brachia iuuat, fpinac proptcr inflcxiones, quac
currcndo fiunt, co- modum aflcrr,crura proptcr curlum mirum in modum firmat .
His poro omnibus paruac pilac Ipccicbus cun(ita illa coucnirc cc/co, quac
(jalcnus in libcllo fuoillisdicato, paucisucrbiscoplcxuscft, uidcliccttp
tumanimoruin virtutcm pariant, tum omncs corporis partcs accommodatccxciccndo
bonam corporis ualctudincm,ac nicmbrorum concinnitatcm cfficiant. Pihic magnac
fpecics prima fccundum Antyllum totumcorpusfirmat, cumq.ad dcduccndam infra
matcriam uclicmcntcr coopcrctur, capiti in primis, cunclisq. fupcrionbus
partibus, non ignobiJc luuamcntum aficrr. dc hoc lu- R 2 do 242 Llb.^.
dofermonettthabuineputo Alexaodrum Trallianum, quandoinD "P-vlti. curationc
priapifmi fphaerae exercitium comcdauit, quo mareria i n diucrfum
retrahatur,& fpirirus flatulcrus digerarur. Secunda fpc cies,quae plus
iufto magna pila pcragitur dum proi jcirur,&: urraq. manu proprer
magnirudinc cmitritur,brachia firmar,fccl nimis du- ras plagas infert, ob idq.
non modoaegroris, aut conualcfcenribus eftinutilis,ucrum
eriabcneualenresimmodicadefatigarione affi- cit. Inanis pila,quam rerria
effccimusjacquc exerccr,ac mororia,in qua curritur,atramcn non admodum facilis
cft,ncq. apta,arq. ideo li.i>.c.vlt. omirrendaeameffcconfuhr Oribafius ex
Anryllifcntcnria. Pilae, &magnae&: paruae cxcrcirationcm
vertiginofisobcffeiudicauic hsc vlti Areraeus,quonia capiris,&: oculorum
circumuolurioncs, arq. inte- ' tioncs uerrigincs afferunt.Coryci excrcirarioncm
inrcr vcloccs ad- numcrauitPauIIus, quascum didum anobisfit corporacrafliora E
lib. V chr. aricnuarc,fumma rarione Cochus Aurehanus ad diminuenda po- •culf.
lyfarchia hanc exercirationc, qua a Graccis corycomachia uocari i.dediae.
fcribir,adco probauirpfccurus in hoc (opinor) Hippocratc,qui co-
rvcomachia,&: chironomiamidcm pracftarCjquodjuda^rradidir. Hoc
excrcirationisgenus iudicauit Antyllus mufculofum corpus rcddere, roburq.
afferre, et praetcrca uniucrfo corpori aptari, ncc non ob pIagas,quasinfHgit,
omnibus vifccribusidoncum cxfiftcre. Arcracusitem in elaphanricis KogvKoSoKm
laudauit. firamen quis plagas in pedtore a coryco ficri foliras coniidcrcr,
facilc fcnriet,eos, qui pedore debih ucxatur,fimili cxcrcitationc
periclicari,& quan doq. contingcrcpo(fe,utinthoraceuafarumpantur.Arq.
rot,siir q dc pilac Graccorum ludorum qualitatibus dici poflunt . Succedut
lufus Larinorum gcnera,quae &c ab ipfis quaruor fpecicbus comple ^ xa omnia
in ufum fanitatis rcccpta fupcrius dcmonftrauimus . Ho- rum primum locum
obtinct cxcrciratio f ollc acla, quac uniucrfum corpus cxcrcct,fcd dum brachijs
impcllitur, dorlum in primis atq. li.i.chro. brachia firmat . ob quod Coclium
Aurclianum de hoc pilac ludo ^^•^* ucrbafecifscexiftimo,quadoin cpilcpticishumcros
fphacrac lufu excrccri mandauit:dumucropugniscmirritur,manibusmaior uti- litas
contingit: ambo tamcn uifccra adiuuanr, calcuhsq. a rcnibus, &: velica
cxrrudcndis mi rificc confcrunt,coxaf3&: crura imbccilHa In ciusui
confirmant . Nam Auguftum, qui huiufccmodi affcdibus corporis ta.c.8o.&
fQii^;itabatur,corumgratiafolliculicxercitiu(vtrefcrtSuctonius) adamafse
opinonqcf cum praecipue fupcriores partes exerceat,ijs, qui citatam aluum
habcnt,(Sm- qucinprimis laboriofamclTc,magnusphilofophus Ariftorclespro- y. partlc
bauit, vbi currcntem ambulanti comparans, illummagi.slabo! j;e P^^^b- 38-
pcrfuadcrc conatur, quoniam elatus, atquc pendcns corpu.^ fupra lc totum
fuftinet, ambulansvcro partc inliftcntcuiciffimfuftcnta- tur,qua(iquc paricti
admotus rcqui cfcit. qua rationc itcm coringc- rc dixitait currentcs poti us
qua ambulantcs cadamus.Curfus prae- P^"i autcni, licct humorcs ad infima
la- bantur, illico tamcn ad fupcnora rc/iliunt, ucluti cotingcrc i n pila fuper
pauimcntu iac^a ccrnitur, quac fi blandc iaciatur, inibi quic- knifm
uiolcntcr,ftatim fupra rcfilir. I)c thoraccauickgiturapud Galcnum, currcntium
fpiii :um anhdum, arquc afthmaticum rcd- ^P^- di,necnon intcrdum aliqund ipfis
uas in pulmone,aur pedorc rum ^^rMcVho. pi. quodnon tantuminrdligidcbctdciliis,
qui ad cum aflVdum prius difpo/iti eranr, vcru dc a^ijs uchcnu ntcrcurrcribus.
Achan- rhioenimillc Plaurinus cum ad ChaririUm uclocinimc cucurrif-ln Mcih.
fcr, dicit cx curfu rupiffc ramiccm, &: iamdudum fanguincm fputa- re.
fubramicisnominc (ut fufius dixmuis primo Variarumlcd.
cap.2.)pcdlori5ucnaslariorcsinftar uaricisfignificas. Ahoquifcri- ptum 2j2 L 1
B E R ^ Pfob. pf eft ab Ariftorele, eos, qui non concitate admodum currunt, D
numcrofcfpirare,quod ipforum motus proportionatus cfficitur, modumq, refpirandi
fenfibilcm praeftanscxplicare numerum ua- let. iUis, qui uel in bubonibus, ucl
alibi rupturas patientur, curfum cauendum praecipit PaulIus.Ad haec ardorem
urinae ex curfu au-, &c hominesteftaripofrunt,&cerui,quiintercurrendum
vf- que adeo huiufccmodi ardorc ftimulantur, ut, nifi mingant, facilc capiantun
quam rem animaduertentes fagaces uenatores,eos pro- fequuntur, necmingendi
iplisporeftatem faciunt. Curfumitem hepatelaborantibus, nccnon renibusmale
afledisinimicum efte, lib»4.c.«* tfaditumeftaCornelioCeIfo,&:abEphefio
Rufo.Atque haecom- niadecurfureclainanteriorafadto a me explicata fciantur. pro
}bidcm qu^'^ idfilentionoefTepraetereundum duco, quodi^riftctelesfcri- pro.jtf.
ptumnobis reliquiti videIicet,eos,quicurfumconcitare agunt, g conuulfionibus
maxime corripi, ubi quis inrer currendum eis ob- ftircrir : quandoquidem ea
potiflimum conuelluntur, quae in par- tem contrariam vehementer trahimus,
atquemouemus . unde Ci homini currenti,vehemeiiterq. membra ultrapropellenti
quisob uiamfactusobftirerit, accidicut in partcm contrariam earetor- queantur,
quae adhuc ante pertendunt, atque proripiunt . itaquc conuulfio tanto
vehementior incidit, quanro curfus conrenre ma- gisagitur. Curfus infuperreila
ad anreriorafadtus, atquelongus i.ldiact. abHippocrare nuncupatus, fecundum
eius fenrcntiam fi fenfim fiatjcalefacit, &c carnem dirfundit, ucrum
corpora rardiora, arquc craffiorareddir,multaq. comedentibus urilirarem
praeftar. At re- Onb^Ciui curfusinpofteriorafecuadum Antyllum non celerirer
mitus,capi- Lococita. ti^ocuIis,tendinibus,ftomacho,&:Iumbisaccommodarus,
arque p utiliseft; iccirco nonrepletcapur. Circularisuero curfusfccun-
i.dcdiae. dumHippocratemcarnemminimediffundir, arrenuar aurem, di- ftendit
carnem, 6c ventrem maxime : proprercaq. acuriflimo fpiri- tu utenres humiditare
in fe iplos cclerrime trahunt. qua ratione ab Irt lib. ic ipfo in ijs commendatur,
qui nigra aftra in infomnijs uident, nem- pe
quibusmorbusforinfecusimmmeat.Capur valde oftendit, ver- li.de Vcr figincsq.
utTheophraftusfcribir, abundcmggerit;thoracem y&c crura uitiar;ideoque
rcpudiari omnino dcbct. Sunt curfus per ac- cliuia magis laboriofi, magisq.
thoraci, &c crurihus inimici; fimili- ter, &c pcr montcs : pcr decliuia
ucro caput uchcmcntius afticiunt, uifccraomniaqualVant, coxasdcbiles pcrrurbant
; perplanacur- fus illa omnia praeftanr,quae iam dcclarauimus . Ccrcrum qui rc-
tliocorporc obeunrur, &c fudorem moucado magis humcctant,. 25J tc carncm
calcfaciunt .idcoq, Coclius Aurelianus capitis dolore la borantcs,utuc{litos
currcrcfaciamus,magnopcrc curandum prad- cepit;qucmadmodum Thcodorus Prifcianus
lcriptis mandauit,ci;r L' i aJTi fum cum ucllibus lancis pcrao: um althmaticis
prodcflc; hunc tamt 'l'^^;^^^^ dccoloratiora corpora cfticcrc ; quoniam
finccrus fpiriius ailabeiis ipfanon depurgar,fcdin codcm
fpiritucxcrcentur;audorcftHip- pocratcs.qui tamcn cundcm in illis probauit,qui
ftcUas dcficicntcs \^;'' in infomni)s,vidcnt, quod fccrctionem in corpore
humidam ac pi- tuitofam factam,&: in cxternam circumfcrentiam illapfamcflc
figni ficctur.Qui pono nudis corporlbus efficiuntur,ficuti magnam (udo rum
copiam clicmnt,ira gcncrofc pcr occultos halitus cuocant hu morcs,corporaq.
magis deurut.quocirca Ariftotelcs ludorcm,qui i.partl«. corporcnudocurrcnti
prodicrit, criam fi mmorlit,magis laudat,^^^- 3^« • quam qui fub ucftc lc
prompfcrir,argumcnro illorum,qui nudi cur fum aclhuo tcmporc achrant,quiq.
colorariorcs rcdduntur.indutis currcntibus non ob aUud ccrtc,mfiquod,vtomnesqui
locahbcra, &:adfpiratiora
incolunr,mc;iuscoloranturijs,quiimpcdita,&:filcn tiatencnr,fic ctiam fcipfo
quilque colorariarcft, cum uclurifpiri- tuiafflanti placide patcr,quam cum
pcrftrictus,obduc'tufqueacaIo rc nimio angitur.quod certe ijs accidit magis,qui
vcftiri pcrcurrut. &: qui nimis dorm!unt,quippc qui vcluti adftridi, 6^
propcmodum ftrangulati,minus rcliquis lc fc modico fomno rccrcaniibus colore
florenr.Curfum vniucrfim acccptum magis hycmcquam aeftare ex vfu cflc crcdidir
Hippocratcs,liuc Polybus in fccundo dc diacta li- bro.cx aduerfo Oribafius tnm
hycme, tum acftarc mcdia conucni- - re fcnfir. cuius forfan fcntcntia ucrior
mdicabitur, ii fudorcm quis " aeftate magis, hycme minus procurandum cum
Ariftotele arbitra- tusfucrir.fcd dc hoc iam fupra abundc difpurauimus,ncc
quid- quamampliusrcmanet, quod ad finicndum hanc curfus tradtatio-
nempcrcincat, ^icipraefit t filtns. Cup. I IX. ALTVM inrcr vchcmcntcscxcrcitationes,
quacexro- buftaatquc cdcri componuntur,collocandum iudica- uit Galcnus,&:
pracfcrtim illum, qui (inc ulla intcrmif- fionc iugitcrcontinuatur; qua dc
rcipfum calorcm na- tiuumaugcrc,&: cocoqucndiscibis, crudisuc
humoribusconferre apud omnes pcfpcctum cft,licctpoftca capiti,arqucpc6tori
nocc- re 2^4 re cx eo conftet;quod in
huiufcemodi cxercitationibusalrerum ve D hemenrcrconcuatur, alierumin
inclinationibus, atquedor/iin. flexionibus comprimitur, et ex comprcfflonibus
mox uafa ram pe- doris, quam pulmonis franguntur: ut eueniffe interdum nairat
rMeth.a Gaknus, Hocpraetcn afalrui communeincft,utgrauidasmulie- In prin.dc rcs
abortiri facillime faciatrncqiic iftud ab Hippocratc folum,cetc
'"'•^'""'•risq.vetuftilftmisaudoribus^ubiqueconfirmaxum
cft;verum etiam ipfa rerum pareiis,optiraaq. magiftra natura nos vberrime
edocuit, nimirum quac capreas,& cctcra brutorum gencra faJtantia firma-
'^|J^"Tuentisquibufdam ut indicrat GaJenus, muniu t, ne ligamenta,
partium. quibusfoctus in utcro condnctur, d iim illafaltarccoguntur,faci- liter
difrumpercntur j quod munimen cum humani generis foemi- nis ncquaquam
conceHbrit, opinor cam co confilio id efTccifle,ut cognolcGrenthomines,dum
nmlicrcsin uterogcrunt,quaflibetfaI E tandi occafiones ipfiseffugicdas eflc.
Multac funt faltus fpecies,qua rumduas OribafiusAntyllum fecutusnominauit,
exfilitionem ui- delicet,atquc faltum ita propric uocatum.dc cxfilitione,quae
quo- dammodocuriuiadlimilatur, hanc fcntcnriam tulit,illam diutur- nis capiris
raorbis accommodari,fhoracem adiuuare,cum inflcxio- nibus ualcntibus careat \
materiam,quae ad partes fupcriores rapi-- tur,ad inferiorareclinare,
cruribusimbccillis, fcfenon alcnribus, excarnibiis,ftupidis,atque
trcmulispraefidiuraafrerre.hanc eriani ineij^iiitaintelkxiflcopinor Suetonium,ubi
Auguftum ambularefolitum, "^" ka,utin exrrcmisfpatijs fubfultim
decurreret,fcribit, quafi fic in- firmitati coxendicum femoris, et cruris
/iniftri, necnon ucficae calculis,quibusafflidabarur/acpeoccuTreret* De faltu
ucropro- prie (kappcllato dixit,cummatcriaminfraexa(fliusdeduccrc,fed F quia
thoraccm nimis, et uiolcntia motus, et magnis inflexionibus coneutit,
ciusafrcdionibusminime conucnire; ucrumtamcn, &: nd motum, et ad adlrioncs
promptum corpus ualdc rcddcre ; quod Li.i.c.ii. fi ad natcs ( thciatiir
faltus,qualem Lacaenarum mulicrum fuifle iam diximubvcaputjCxeiuCdem
Antyllifcntcnria,peculiariterpur- Ii. T.cur. aat,&: pur2,andb ficcat. atquc
dc hoc mcntioncm fcciflc Arctacum clir.c. I. o ^ r ^ 1 ^ ^ puto,
ubimuctcrccapins dolorclaltum, et fimTrcttAvTou cc;wA«- riy laudauit, licut,
&: asomncs,atq. ncruos,uaIi- dillinic inccndi confcfliis cfi.qua i\aione
cfHcitur ^utafTatin; cor- Oymna/lica. S pus 2j6 L pus calcfliccrchacc
excrcitatio iclonca/ir,&: pndcrtim dorfi m, quod maximc iniadtandis
haircribiisfarisfaccre uidciur;practcrca canicm crcar; priuatim ucro fupcriorcs
parrcsab ilia cxcrceri mc- ^.^tiKva. ^^^^iiic mandauir Galcnusicuius
rarioncantc ipfum Areraeushu- cap.14. iufccmodi cxcrcirarionc in antiquo
capiris dolorc,qui paullatim finiatur,ufuprobauir,ucluri ctiamin
cocliacis&: ucrriginofis . Sccl Oribafuis Antylli aucloriratc humcros ipfam
cxercirarc,fl:oma- choquc,qucm diffluxio infcrtar, quiq. imbccillus cft, &:
in quo ci- bus acclcit,fiuc cumhiborc concoquirur,accommodari fcribit^Iau
Li.j.chr. darin arthriricis Cochus Aurchanus,urprimo manibus ccra cmol
licndadcrur,aur manipuh tcncanrur,quos palacttriraehalrcrasap- pclianr,tum primo
ccrci,fiuciignci cum paruoplumboinrcrclufo moucndi porriganrur, dcindc
grauiorcspro modo profcdus: Ga- ^.^tnen. lcnus cuidam, qui mordax,
praccalidumquc fcmcn inrcr cmirten- va.c.14. dumfcntirc non ranrum fe,fcd criam
muiicrcSjCi mquibusrcmha bcrct,rcfercbat, inter cetcra auxilia,fcfc haltcribus
excrcerct,fua- K.p. cult. fir: quem poftca fccutus Aicxandcr Trallianusin
priapifmo curan- do huiulcemodi cxcrcirationcm commcndauit,quod animaducr-
terct ipfam non modo ad rcrundcndum, infirmandum.quc fcirxn, ucrumctiam ad
matcriamin diucrfum rrahcndam,fpiritu5q. flatu- dc comp. I^ntos digcrcndos
conduccrc.fimilitcr qucquc Galen.in ulccrum me.pcrge crurum curarionc,nili quid
aliud impcdiar,haltcribus pcradam ntn.c2,x. cxcrcitationcmprobauit,proptercaquod
fic impcditur, quo mi- epi. cg. humores viccribus noxijs ad parrcs infcriorcs
delabanrur.ldcm eriam,ubi purgatio,aur phicbotomia rcquirirur, ncc eas aeras,
aut aegrotantis uoiunras pcrmirtir jlocoipfarum fupplcrc iudicauir . Verum enim
uero,ncq. capiri,ncq. thoraci fimiicin cxercitirioncm congrucrc uilus
affirmarer,quorum aitcrum nimis, arq. inacquali- ter agitatur,aircrius autem
uafi,nc ob maximam,qua brachia urun- rur,uimaIiquo pado labcla(ftcntur,
pcricuium imminer. Quain rem fortaffe colidcrans Marriaiis,fo{rionem,quam
Galenus,&:exer- cirarioncm iimul,&: opus fccit,ficur fupra
oftcndimu6,huic excrcira tioni propofuir fub hifcc ucrfi bus. lib. X4. Qlfi^
percurjt flulto fortes hattere lacerti i Exercct nicl us uinca foffa vros,
Huiuscumfccundolibro rria fcccrimus gcnera,Primum caom- nia pracftarc crcditur,
quae iam cnarrauimus : Aitcrum ucro par- ttculari quadam facultarc
crura,neruosq. confirmare35 cuin tamcn Uco coruin apiid alios nndulac plunv
bcac,tcrrcacuc,ipiid ahosiarcrcs ac lapidcs jipc /phacrici,6c i;ra-
ucsvfurpcnrur,uihiltiguraillarcfcrtad uariaiid )s cdcftus,ctficic- dumuc, nc
cadciu faculras ram in ufu nolb-(Tum, CjUam in prifcoru inucniariir,co
mai:isquod haud fciusqui h.odic fcfc ocrccnrin la pidibus,ucl
mallulisproijcicndis, brachia,d )rfu:n, omiu fq. fupc-
riorcsparicsmoucnr^coniorqucnriicac f;u ichanranriqin halrcru excrjitarorcs. ur
hac una rarionc omncscrtc dus a nobis fupra cxpo :n iu)ftr:s criam
cxcrcitationibus cxpcctari dcbcanc. ^ Dcdtfci:, atquc tACtilationts cjfcciil
us. C^p. X. ^yr^ quamuis apud mcdicinac probaros auch rc5, y \ P^u^^^^Ji^
omnino mcntioncm tac^tmi inucniam,ob idq. W ^^ fl forralTch^cusiftc dimirti
pollularct i quoniam tau:cna ^ (ialcnoprodirumfuir, diici iachim, ncdum
cxcrcita- tioncm apud anriquos cxftirilfc, in jymnafijfquc ric ri T(;]iram, uc-
rumcriam inrcr uchcmcntcs cxcrcitarioncs haud poflrcmumlo* cumobrinuillc, arquc
hodic quoq. apud mulras narioncs in iifum excrccndorum corporum ucnirc, proindc
ilccis ( utaiunr) pcdi* bus practcrirc iUum omnino nolui . Quo circa in priinis
fcicnduni erit, hanc cxcrcitationcm, modoin ccrcrisnon dclinquarur,ac-
comraodacccalclhccre, &:proptcrcah-igidis corponbus,arquc il- lis, quibus
ucloccs excrcitationcs ncganrur, pcrfci^tc conucnirc, C nccnonimbccillos, ^
infcrioribus mcmbrisinualidos modcrntc corroborarc. cum ctcnim magni, atquc
vchcmcnrcs obnixus in 16- gius difcum proijcicndo rcquiranrur, fir ur
uch.cmcnria motus, ac mufculoruminrcnfioncartus ma^is folidcfcant, 6c
abcxcrcmcn- tis purgcnrur . cuius purgarionis mcriro confuluir quandoquc Ga-
^'^P'^* lcnus,uf, ii quando purgario, Sc phlcbotoniia rcqui rcrcrur, ncc ip-
iph!*// facaliquibus impcdimcnrisadhibcripofscnr, earumuiccpcr di- fcum IdCtj,
cxcrcirario admittcrcrur, quac nimirum id pracllarcr, quod in plilcboromia, 6c
mcdicamcnrorum purgationc, cxopta- rcrur: pcculiarircr autcmcxcrciratio iila
brachia, lumbos,ac dc- niquc uniucrfum dorfum corroborarc idonca cll, quac
fciliccrpar tcsin ipfo maximcoinnium agiranrur; in vcrriginofis quoqucab
Arcracocommcndarur. AI)illisucro magnopcrc cuirari dcbcr, quicuinqucautrcncs,
aut choraccin inalc aHcCtoshabcnr mamil- 2 li
liferuidiores, atqueflaccidioresredditiincredibilcquandam dif- D
lolutionemcontrahunt; huiusinterna aliquauafa, uttcftatumfe- citGalenus,
nonraro difiumpuntur . Etnequiscredat,candcm cxercitationcm
cxftitiflchaltcrum,atquc difci, fciendumpraetcr li.i.c. t i. u^riam utriulque
figuram iam a nobis in fuperioribus libris dccla- ' ' ratam, hoc quoque
difcrimen habuiflre,quodhaltercsuarijs con- tordonibusaltiusagcbantur,
difcusuero, etfiinaltum proijcerc- tur, tamenlongitudofpatijiadationeperadti
potiusmetiebatureo fcrmc pado, quo hac tcmpcftatc faciunt, qui fcfc in
latcribus ob- longis proijcicndis cxerccnt, in quibus ijdem effcaus uidentur,
qui ohm in difcobolis uifcbatur . laculatio porro ficuti a difci iadlu par rum
in ipfa proicdtione difTerrc uidetur, ita quoque uires fimilcs,&:
adnocendum,&adiuuandumobtincrecredendum eft. quofit,ut pauca dc hac
cxcrcitatione nobis diccnda rclinquantur . lllud mi- E nimefilcntio obuolui
debcrefcntio, uctcres fcilicct nonfincmy- ftcrio Acfculapium,atque Apollincm,
ambos mcdicinac audlores, ambos fanitatis magiftros arti iacujadi tamquam Deos
praefecifse; nimirum hac fcntcntia innuentcs,huiufcemodi exercitationem bo nae
ualctudinis confcruationi, bonique habitus acquifitioni ftre-
nuamopcmaflcrre.cuius exercitationispoftquam plurcs fpecies cffccimus, alias a
iaculorum, fiue fagittarum uarietate defumptas, alias ab arcubus fcu
baliftis,quibus illae emittuntur, acccptas, om- ncscandcm planc facultatem
polfidere autumo, nifi quod cos. qui in fcrrcis uocatis palis iaciendis
cxercentur,hoc admonitos uc- hm,ut magnam curam adhibeant ; quoniam faepe
numcro perito- nacumdifrumpi,inteftinaqucinfcrotum defcendcre,&:per confe-
qucnshcrniasin fimihbus excrcitationibus generari experientia F compertumcft:
cumquein emittendo maximauis, arqucmtenfa fpiruusrctentioadhibcatur, pedori
adftrido, atqueinfirmo hu- iufccmodi iaculationem aduerlari puto.Non eft quoq.
illud igno. M randum,quodMarcusTulIiusmcmoriaeprodidit,PhiIoaetem, lo ScS. dum
cruciarctur, non fercndis doloribus propagafse tamen uitam aucupiofagittarumiaculationefaiiOt
Dc Df deanjhuUtiomim qualitatiLus. [^ap. X L I vHumcft cxcrcirarionisgcniis,
quod illis, e]ui fanirati opcramnauanr,maximcquacrcndum, arquc cogno- fccndum
(it,quodq. ceccris quibufcumquc frcqucnrius a cunctis fcrc hominihus, omniq.
rcmpoi e cxcrccarur, un-im proculdubio dcambulationcm cfsc ncmo ncgabir :
fiquidc nulluscll,iiuc pucr, (iucadultus, fiuc fcrcx, qiii non modocam
pracftantiirimam, fcd folam cxcrci tarioncm non crcdat . pauci ra- mcn
rcpcnunrur, qui ucl rarionc,ucl longo vfu, quibusqiiacquc corpons
parribus,&: prolic^u noccar, pcrfc(^tc animaducrttrint :id quod cucnifsc
cxillimo, cum ob uarias iHius fpcci cs, rum ob poftc- riorum hominumincuriam,
qui &c in huiufccmodi rcbus, &: in B quampluribusahjs anriquioribus
ncghgcntius, atquc ofcirantius fcfc gc fscrunt . Quamobrcm opcracprctium
faclurum mc cfsc fpe- ro, ii, dcambulationum fpccics praccipu as rcccnfcns,
confcqucn- tcr quid unaquacquc tam boni,quam ma!i cfticcrc valcar,dcnion-
Itraucro. fcd duoantc cctcraab omnibus coniidcrari cupio. Pri-
mumciuodfacpcmucnirccft apudau(5torcsmcdiunac (jraccos, &: Latinos,
praccipi fimul ambulationcs, &c cxcrcitationcs ; quafi illac ab his
fcpararacncc cxcrcitationcs linr.quorum fcnrcntias fic intcrprcrari uolo,ut
lempcr,dum iplas lciungunt, fub nominccxcr- citationum, cas, quac propric ita
appcllantur, fignificcnr; cum ambulationes.communitcr, dc non propric
c:ula!ioi1c cxcrccrcrur, i.chronlc. primo tarda, dchinc mcdio tcmporc fortiori,
arq. paullo crcdiori at,3/itisnocct ^qu.-^ndoquidcm ol) mmias dcambuKitioncs
non ra- ifchiadicosdolorcs 6c podagram gcncrari, fcribir Galcnus ;H- cii:i cx
adacrfo icmiJfa n arthrincis, (S^p ^d.^t^n^- ^S &: ulccribus in- i> 4
ternis conucnirc,mfinuarunt Coeliusj et Celfus, ubi deambulatio- ] nc molli
rtramine,coaequato folo pera£tam iplis commendauit.de- bcnt cnim(vt fcriptu cft
a Tralliano)qui podagra, et articuloru af- fedionibusturbantur^fitTf/fiyc,
kottov Trohhoti moueri, potilfi- mumqucante,&:non poit cibos. Nam lallitudo
hismaximcad- uerfatur,utquac articulosplusiufto
calcfaciat,&:inflammct,ipfiq. aliam rurfus matcriam cx longinquioribus
particulis ad fe attrahe tes,arripicntcsq. fluxibus iugitcr caufllim fuggcrant.
Multa deam- bulario lccundum Antylli fcntcntiani iuuat cos,qui caput,ucl tho-
racem male afTe^ttum habcnt, &: a quibus infcrnac corporis partcs non
nutriuntur,quiue in excrcirationibus uehcmctiori motu egct; pauca ucro prodcll
ijs, qui poll exercitationcs non lauantur, qui- busacibo dcambuIationibusopuscfl^jUt
isin fundum ftomachi de- kendatj&quibus grauicasin corporcfcntitur.
Longa,&:reda am- buIatiominorcm,quambrcuis, molcftiam parit, capiti prodcft
:ut Oribarius j^^j^ immcrito Coclius,atquc Cornclius Celfus cpilcpticis
curandis Jii>^.i.ca.4. ^^ni ex vlu cflc' uidicauenntiat nmiiscxlugit
humiditates,atquc ex- CeU b^^ ficcat.ob idq. mcrito accufandus cft Thcmifon,
qui atrophia labo- chronic/7 rantes duodecim ftadiorum fpatiu grcflfu conficerc
fuadcbat. Lon- ga,5d concitata fingultui comprimendo,fccundum Actij fcntcntia,
rtrcnuc prodcfl:brcuis ficuti magis fatigar, cum ( vt diccbat Arifto- teles )
cx motu, &: quictc intcr rcflectcndum orra conftans diucrfi- tatis illius
opcra laborem inferat,ita quoque reucrfionibus illis c6-. tinuis caput
labcfadbt : &: proptcrca ab codem Coelio non fine ra- tionc cpilcpticis
damnatur;cuiusrci cauflliambulatio quoq. circu Jaris mcrito improbanda eltjUt
pote quae caput ucrtiginofum red- Probl.38. dar,&: oculis uehemctcr
noccat.Nam CafTuis mcdicus antiquus in liDelloproblcmatri,qucm graccalingua
confcripfit, caulfam inda- gans, ob qua motus rcfto tramitc fafti ucrtiginc non
generent, fcd folum circuIarcs,ob id accidcrc dicit,quia motus rccti minimc
dif- llationem matcriae impediunt, circularcsucroea ficri nonfinunt, quod aer
vchcmctius illifus prohibcat;ad hacc matcriac intus agi-
iantur,qucmadmodii,8^foris.ubicircumlatae,neque forasprodire ualcntcs motu in
capitc uertiginofum cfiiciut.ficuti namquc iileri- ci omncs externos fapores
amaros fcntiunt, &: qui fuflufioncs in ocu lis patiuntur,quofcumquc colorcs
rubcus iudicanr,fimilitcr in cir- cularibus motibus,cu in oculis humorcs in
orbcm aganrur, omma cxtcrna circumfcrri uidentur,ficque vcrriginofa paflio
oboritur.Ex ambulationibus,quac cum intcnfionc crurum calcibus incumbcn-
dofiunt,qucmadmodumfcriptum cftab Antyllo, capiti malc aftecto
conucniunt,itcmquc thoraci humidiori,utf ro conuuIfo,purga- lioni lupprcflac,
parribus infcrnis ab aHmcnto fruclum non capicn tibus,6c oninino quibusmatcria
furfum rcpit. Quac ucrocxtrcmis digitisobcuntur,easobfcruatumfuit,propric
lippicntibus, &:aluo fupprcflac utilcs clTc.Quac vcro totis pcdibus riunt,
cum fub aliqua fcmpcr pracdivitarum diffcrentiarum comprchcndanrur, ipfarum
cciamfaculrarcsobtincrcrationi confcntancum dl, Arq.hacc dc fpccicbusabipfo
motu dcfumptis. Iterum dc deambuUtiomm qUAlitdtihus.. * NTER
dcambulationumfpccies,quac a loco accipiun tur,illac,quae fiunt in montibus,
aur adfccndcndo,aut dcfccndcndo excrccnt.li fianr adfccndcndo,ualdc pro- fccto
uniucrfum corpus fatigat ur,quoniam rcfcrctc Ga ^^^^y* icno ar rollunrur co
motus gcncrc,&: pcrindc ac onus quoddam fu- fiinenrur ab i)s,quacprnnum
moucntur inftrumcnris,rcliquacor- porismcmbrauniucrfa. fcribu Ariitotcl.
ambulationcs pcr accli- » ra^tfc uia,tamctfiCnt
hcbctiorcsmotus,magisfudorcmprouocarc,quam^^°^ ^ pcrdccliuia,ncc non fpiritum
pro(illcrc;quoniam graui cuiquc, ut deorfum lcrri fccundum naturam cll, fic
fcrri (urlum conti a natu- ram,itaq. caloris narura,quac nollra prouchit
corpora, ut nihil pcr dccliuelaborat,li(- pcr accliucprcfsaoncrc
nirirur,acriusq. ob ciuf modi motumincakfcjt, &: fudorcm mouct, &:
fpiritum proliltit, cum ctiamcorporisuariusuitlcxusnon nihil atfcrrc
caullacpofTit, Q utdircda fpirandireciprocatioaufcratur. qua rationc fccundum
Antylli fentcnriam ralis ambulatio ctiam thoraci, qui fpirirum cxi- guum
ducar,&: pracfcrtim antc cibum confcrt, maiorumq. cxcrci- tationum uice
nonnumquam fupplcr.Lcgitur dc Dcmollhcnccoa fueuiffe iplum adfccndcndo
dcambularcarqucintcrambuhldum orarioncspr()nunciarc,qu() lic productac fpirirus
c(MUcntioni,qua oratorcs in diccndo opus habcnt^aduclccrct. Vcrimi cnmi ucro
i:c nibusinfirmis eadcm ualdc aducrfatur;proptcrca quod diccbat
Ariflotclcs,duadfccndimus,non corpus lurfum iaCtarc, diltcntio- ncmquc
corporis,&: gcnuum moucrc; ad hacc gcnua ipfa, quac fc- cundum naturam in
antcriorcm parrcm llcdi nata lunt,quali coii- tra narura f kfti rctro,ob idq.
magnopcrc dolcrc atq. laborarc. Ex altcra
partcambulatiodccliuis,quacdcfccdcndoobirur,magisak tcraa cnpirc adinfcriorcs
parrcsirahir; atfcmora inualida nc') parii lacdil,*nimirum c^uac, ex ciuldcm
Ariaorclis fcntcntia in hoc mo- ^;P|J«^C' tu 2«4 JL i b 2 K tti contra Naturac
inclinationcm ante aguntur, quafiq. moucndo D crura uniuerficorporispondus
fullincnt, &: proinde uchcmcnrcr fatigantur, Ambularioncs,quac tum
adfccndendo,tum dcfccndcn lib.i.ca.i. do pcraguntuf,a Cornclio Celfo
comprobanrur,eo quod ita uarie* tare quadam corpus uniucrfum moueatur ;ni/i
tamcnid pcrquam imbecillum fir.Quac ucro fiunr inuijsplanis, &:acqualibuscx
fcn- tenria Ariftotelisob motus,quamferuant ( utfic dicam) uniformi-
tatem^,magis corpuslaboreafficiunt,&: obnaturac,quam tcnent
fimilitudincm,ciriuslaborcsfiniunr,necnonad fpiritum,&: ad cor- pus
acqualitcr conltiruendum magis accommodatac funr, quam fa (Sae in acqualibus .
Ar dcambularioncs pcr inacqualcs uias fadac non modo minus fatiganriucrum criam
utiles ijs funr, qui cito dc- ambulando defiitigantur. arquc hoc Anryllus
inrclhgcbat, cum ambtilationcs,quae in vijs pcragu:Ur,minori cumlaborc fieri
fcri^ ^ Oribaflus P^^'^^^'^"^ cas,quasin locis deambularionibus
dicatisobimus.Hoc Jococitat. id^n^ iilnuereuoluit AcumGnusmedicusapud
Platoncmin Phae- dro,ubi ambularioncm in Vijs, ambularioni in curfibus praepo-
fuir, dcquofupra larius difputauimusjieque aliud intcllcxir Ifcho In Occo.
ixiachusapud Xcnophonrem,quandoambularionem, qua ipfe ia agrumferuum cum
equofcquebarur,ambuhirioni in Xyftisfadae: praeruiir. in his ramcn
difterniinandis Ualde rcfcrr, numquid in praris, inlocisafpchs, an in
arenofisefficianrur ; quoniam fi fiant in
pratis,bIandifiima€proculdubiofunt,nihiI omnirto knfus tcn- tanr i
nihilcommoucnr, ar eas caputimplcrc, tum proptcr odoriy luauitarem, rum proprcr
humiditatcm, quac illis inhacrct, auctor cft Anryllus.Fadac in locis afpcris
caput rcplcnt . Quando aurem inarcna,&: maxime profunda (quod genus cft
vchemcnrilTimae ^ t^crciratioiu*s ) aguntur, magna cfficacia pollent ad omnes
corpo- Inviu Au risparres firmandas,corroborandasque,cuius gratia Auguftus dum
guih.c 80 coxendice,&:femore, &:crurefinilh"o, non fatis bcne
ualcrct,im* moficpe ca parte claudicarcr^hac dcambularione confirmabarur. fic
enim locum Suetonij inrcrprcrari dcbcrc ccnfco. ubi cum are- narum,&:
arundinum rcmcdio ufum rradir,arcnarum quidcm runi ad deficcandasfluxionesjtum
ad confirmadam,ur iudicauijcoxam, arundinum ad contincndum,&:
claudicationem impcdicndum. quodquomodoficri debcr, cdocuir Cato lib.dc rcruft.
cap. 160. Ad maicriam fubmdc,e fupcrnis ad infcrnas parrcs dcduccndum, camque
difTipandam potcnrilfimae cxliftunt, &: idco malc fcrfiin a li.i.chro.
Coelioraxatur Erafiftratus,quod dcambulatiohcin arcnofis locis wp.t.
paralytieosexercendosfuadiiret.fub porricu fattac ambulationcs, aut. 2. s.c^
fcrrim fi uiridia adiint, quod ralcs magnam fakibritarcm habcant : &:primum
oculorum, quod cx uiridibusfubrihs, i^nc cxrcnuatus acr, proprcr morioncm
corporis mflucns, pcrhmar Ipccicm, ^ ita autcrcns cxocuHs humorcm cra(Tum,acicm
tcnucm, &: acutam fpccicm ichnquit . Practcrca cum corpus in ambularionc
calcfcar, humorcmcx mcmbris acr cxuucndo imminuir plcniratcs, cxtc- nuatquc
dillipando, quod plus incll, quam corpus porc(Hullinc- rccxquo, ut
inhypacthrislocisabacrc humorcscxcorporibus cxugcrcnrur
molc(iiorcs,qucmadmodumcx rcrra pcrnchulas vi-
dcnrurrconfuluitarchircCK^rumprinccpsampItllima, &:ornarifli- ma fub dio,
hypacrhrifquc ambulando collocari in ciuitaribus acdihcia. Vcrumcnim ucro apud
mcdicos fubdialcs hac dcambu- C lationcs plunmas diflcrcntias obrinucrunr. nam
quando propc mare hunt, &c liccandi, Sc craifos liumorcs attcnuandi uim ha-
Orihaflus bcnt; quandocirca flumina, et ftagna, humcdarc poffunt: fcd
utraqucnoccnt, U pracfcrtmi llaizna, idcoquc non rcmcrc has omncsin Hpilcpricis
damnauir Arciaeus,quando in mcditcrrancis partihus a^untur,
qucmadmodum(upradictis(unrpracltantiorcs, ira quoquc tac^is circamarc ccdunt.
quando in rorchumcdtanr no finc damno:fcd liin locisauium uolaru
Frcqucnrarisambulcs,c:li^ cacifnmusismoruscrir ad cuocandum pcr halirum,
adlcuan- dum, haud fccus,arquc li in fublimibus locis ambulcs . (iuac dc-
indcfub Dioin locisucntominuspcrflatisambulatio c thcirur,va- lcrfccundum
Anrylli fcntcnriam ad cuocandumpcr halitum, 6,^ ad cxcrcmcnra difpcr^^cnda
:itcmqucrcmirtir,ncc fcrir. hanc Ac- tiusincohcisdoloribus a trigida caufla
ortiscommcndauir, fcd quac 2^^humqucdi(Tolurum roborat.atque dehacfor^rafsc lo-
€ip,z. ' quebaturCoclius Aurclianus, dum ftomachicis deambularioncs fub Dio
promodo viriumadhibendasconfulcbat, fi fub Auftro, caput rcplet.fenfuum inflrumenta
hcberar,a!uum moJlir,atque addifloJuendum ualctrfi
7Gphyrisfpirantibus,talisambuIariocc- rcris omnibus, quac in uento
funr,praertar: non enim habctin- fuauirares boreac, quin potius manfucrudo
fimul, arque iucundi- tasfunt coniundae. Quac in Apeliote fir, mala cft, &:
fciir, atque irafchabentambulationcsfuL dialesinuerisperadacSequuntur, libi
1^>"el inumbrarquainre audoresdiucrfafcn- • tire repcrio.Cornclius
Cclfus, fi capur fcrar, meliorcm ambulatio- nem in fole, quam in vmbra cfsc
dixir, &: mcliorcm in umbra, qua E parietes,aur
uiridariacfficiunr,quamquaerea:ofubcft. Exalrera parre Oribafius au^florirare
Anryili dudusimprobat illam, ueluri quae cffundar, capur implear, arquc
inaequalirares gignat . quam fententiamnon auderem alteri pracponere,
nifi&rario, &:uere. rummedicorum, praclcrtimq. Hippocratis, &:
Galeni audorira- tes tcftatum fecifscnr, folis radios humanis capitibus maximas
no- xas infcrre. ncmpc quac fi calida,&: humida, magis calcfiant &c
cli- quenrur ; fi ficca, ficciora rcddanrur, &: dcmum quaecumque fint,
femper offcndanrur, modo vcl ruftici, ucl alij fub fole viuere afsue- morb'^-
Qi^^^P^obecognofcensHippocrarcsfiucPolybusad • euiranda capiris dcrrimenra non
quamliber dcambulationem, fcd folaminfrigore, aur in fole peradam uerat. Atqui
nonillud ta- cendumefseduco,fempcrcligi porius debere infolc ambulare, F quam
ftare, 8c ambulare uelociter, quam fegniter, ficuri prae-
ceprumfuirabHippocrateinlibro defalubri diaera. cuiusreihac Prob"^^^ quod
cumftamus, calor pcrmanet, ficquc ampliuscalefacir.
corpuserenimnoftrum(diccbaris)uapo^ rcmqucndamrepidumdcfe conrinuo mirtit, qui
proximum,&: ambientemaeremtcpefacit, undc aer pofteaillc corpus calidius
rcddit, cum aurcm quis in folc mouerur, flatus excirarur, qui refri- gerare
nospotcft,quandomorusquifqucfrigidushabetur. Am- bulandum potius in
vmbra(diccbar Cclfus) quam paricrcs,aur ui- ridaria cfficiunr, quam quae rcdo
fubcft : quoniam aer aflidua qua- dam,&:bIandauenriIarionefaIiibriorrcdditur.
qui aer quoniam interdum ab arboribus noxijs infici, &: corpora deinde
coramina- re confueuir,ut dc nucc arbore, arq. Narcifso mcmoriae prodidit A
PlutarchuSjproptcrca hiiiufccmodi umhrasintcrdc.imbulandum s Sympo. fugcrc
cxpcdict . Ncquc ifcm curam adhibcrc minorcm oportcr, ^^^^*
vtarb()rcsrorcfui]u(;ic vitcntiir,qiioniam, fi pcr ipfas fi-cqHcnrcr qi.ib
ambiilct,mcmbra tacilitcr lcpra rcnranrur,atqiichumscam Laitus apud Phirarchum
in nat. quacft. attuh t rationcm, quod ros corporibus illabcns ipfa mordcar,
arquc cxcorict, ucl potius^quod arorc colliquatis arborum
iupcrhcicbusafpcr^oquacdam noxia inde corporibus aflufa inhacrcat,quac parrcs
cxtimas ipforum mor dcat, arquc difcindat : ctcnim rori uim colliquatiuam
(mKriKovy non J^kKriKQf, &c rc ipfa, &: ucrufto codicc pcrmorus
lcgcndum puto) incilc pcrfpcctum faris illud tacir, quod ros bibuus gracilita-
tcminducit, ut mulicrcscac manifefto dcclarant, quacalioquin obcfac dum
tcnuibusucftimcntis,autlancis rori collii^cndo opc- B ram nauanr, co in
cxcrcitio carncs confumunt . In oinnibus aurcm fcrcprodcritfubijsumbris
ambularc, quas cpilcpricis probauit Arctacus vertiginofis, ncmpc /ub arboribus
myrro, aur lauro, aut intcracrcsC^ bcnc olcntcs hcrbas
calamcnrum,pulcizium,thy- mum, mentam, maximc quidcm agrcftcs, 6c (pontc nafc
cnrcs : lin harumcopiadclidcrcrur,intcrhumanocuItu procrcaras.Hftin hac
quoquenon cxiguumdilcrimcn rcfpcctu cadi, quod, dum fcrc* num cft, tunc
ambulatio lcuar, pcr halirum cuocar, arrcnuar, bo- — namrcfpirationem,i^moucndi
faciliratcm parat : dum ucronu- bibusobtcgitur, grauiratcmaflcTt, pcr
halitumnon euocat, tan- dcmquc caput implct.Dc ambulationibus facicdis,ucl
hycmc,ucl acftarc,ucl alio rcmporc,di\imus in libro quarto, ubi tcn^^pus cxcr-
Cjp.n. citationibus accommodarum dc/iniuimus : fupcreft ranrum illud Q adncvftcrc,
ambulationcs quaslibcr anrc cibLm ficri dcbcrc, ruin manc, rum
ucfpcrc:quandoquidcm matutina aluum cmollir,licrc- dimus Antyllo/cgniticm
afomnocontr.iotam dilfoluir, fpirirufquc attenuat, caiorem augcr, &c appcti
tum excitar : quinimmo Hippo- i.dcdiac crates hanc candcm humidioribus
tcmpcramcnris cc)ucniiv, quod humorisrranlicuscxinaiiiaiuur, ncquc animac
mca*tus occludan- tur,fcribit:licut,&attcnuarc,ncc non partcscirca
captitlcucs,agi- lcs,ac promptas reddcrc, 6c aluum tolucre conlirmat,
ucfpcrtina ucro ad fomnum homincm pracparar, acinflarioncs difpcrgir, ca- put
ramcndcbilcmale afficit,ob idqiic iurc accufarur Scrapion a Coelio,quod
cpilcpricos impcraret circa ucfperam amhi larc, ac jjj, ^ ^^^^ rurfum
conquiefccrc, &: dcambularioncm rcpcrcre. Pollcibum cap. 4. diximus cxiguam
ambularioncm afl^ucris conucnirc, arque illis, 4juibus non fmc laborc in fundum
ucntriculi dcfcendit cibus : illis paritcr, i6t i E R ^ ^ warirer,
quibuscapiTtrepIcrum cft, lcmam poft cibnm dcamhu- D cV.l*! dc ^commcnaauit,
Galcnus, fccutus fcrrafsc in hoc Arc- «op.mcel. tacum, qui in uctufto capitis
dolorc candcm in ufu habcndam uoluit.quamquam lccundo dccomp.mcd.ubi dc
dolorccapiris €xcbrictatcagit,ucJir, ncqucmuhum comcdcndum,ncqucfta- tim a cibo
dcambulandum . In rchquis quo modo conucniar,non uidco, 6c proptcrea Dioclcm
medicum anriquiflimum, &: cLirifli- mumfatismirari n6pofsum,quod phthificos
dcambularionc pofl Ccl.lib.i.prandiaucxandoscfscuoJucnt, quac licuti
concoAionem cibo- ruminrcrrurbat, ita muJtosadcaputuaporcscftcrri, arqucibi in
humidirarcm conucrfos ad pcc^tus, &: puJmoncm difflucrcliicir,
quonihiJphthilicis conringcrcpcrniciofiusporcft:comagis,quod i.dcdiaf.Iicct
I-lippocratcshuiufccmodi dcambu/ationcs in humidioribus tcmpcraturis approbct :
aluum ramcn, corpus, &c ucntrcm liccarc E confitctur:
nciIlaomniainmcdiumadducam,quacdchuiulccgc- ncrisambuJatione fcripta funt in
Jibrodc infomnijs Hippocraii adfcripto . qui Jiber cum muJra fupcrftitiofLi
conrincar, forfan ali- quis ijs > quac ibi dc ambularionc poft prandium in
pJuribus com- mendata dicunrur,paucam fidcm adliibcar . Hadtcnus dc ambuJa^
tionc, iam cetcra aggrediamur. ^uos ereClum slare ejfefius partat. 'i^^:^^^'^ O
S, qui pcdibus crcvfti permancnt, cxcrccri, quonum alniiidc in fupcriorilnis
dcmonftraui mu5,hanc rcm amplius in dilputarioncm rcuo- carc prorfus ridiculum
forcr. proinde, quot modis luicc cxcrcitatio uarictur,quosq,quac- quc pariat
ctfcdus, dcclarabo . Quod ctcnim ' hacc cxcrciratiopriuatim dorlipartcsalTiciat,
Aucrrocs, intcr Arabas non inhmuSjfarisapcr- 6 collca. rcdixit . Qiii
igirurtllud dcbilca narura, ucl cafulbrriori funt,"P-*- fummo ftudio id
cxcrcitationis jzcnus cuirarc dcbcntjicmpc quod ( ut (acpius dixinnis )
maiorcm, ciuam ipfa ambulatio^dcf-uigario- ncm pariat : quibus etiam in rcnibus
inflammatio, ud ulccra orta funr, ncftcnt, magnopcrc caucndum cflc, ccnfuit
Rufus Ephcfius. Lidc paf. dtbcntquoq. huiufccmodi cNcrcitationcm aucrfari,quos
ucl hcr- niac labor lolIicitat,uel i n cruri bus, aut fcroto, uarices
dilatantur, ucl ulccra in infcrioribus part ibus orta funt, aut qualibet de
cauf- faoriunrur,quam fcntcnriam nilimcdicorumauctoritasconfirmaf- fetiucram
tamcn cHc ipfa ratio pcrfuadcrctrquac fcilicctoftcndir, in ftantibus graucs
humorcs citra difticulratcm prorucrc,cosq. mo ^ do hcrnias,modouariccs,modo
ulccra gencrarc,foucre,&: augcrc: nam quod varices gcncrcntur,ctiam
luucnalis pocta cognouit,qui Saty.^. cum quandam mulicrcmlanumrogantem dcamici
victoria furura deridcrct,uolcnsfignificareob importunas mulicrupctitioncs ha-
ru(piccm,ficunctis !nfcrui(rcr,ftando,((icquifqueharulpcx proalijs rocabat
I)cu)non parumlaboraturum,aifVaricofus fict harufpcx, Maruim quoquc fcmiu^
omncs,laboriofum uirucxftirillc,ob quod ^^"^-^ci* fi quis dicat, ei uari
ces, quibus afilis.'tabaf ur, in ambobus crun bus ^*"' ortas ob nimios in
llando laborcs, cum minus crraturum cxiltima rem. Vcrum cnim ucro,&: in hac
cxcrcitationc non paucac diucrfi- rates rcpcriuntunproptcrca quod tcmpus,
Iocus,atquc firus uarias quafi fpccies cfficcrc uidcntur. A tcmporc nafcuntur
duac fpccies, quando aut antc cibum,aut a cil)o,quis ftando,is: vcl pauco
tcporc, ucl multo cxcrcctur. A
locofuinuntur diffcrcntiac^quoniam vcl in ' folc, i7o folc,uel In uml)ra,&:
hac aut claura,aut aperta ftatur. A fitu dcmum D euariantur ftandigencra,quando
uelunopede,uel ambobus,& uelijs totis,&:planis,uelextremitatibuseorum,
calcibusfcilicet,&: fummisdigirisltamus. Ante cibumftare uentriculi
cxcrementis inaniendisauxiliatur,afthmaticos,&difficiliterfpirantesadiuuat,
ucntrem cmollicurinam prouocat, crura, &c pedes corroborat, &: fiquando
deambulationi uacare non concedatur, illius uices fup- plerepoteft.
Vertiginofistamcn,&:c]uibusad fuperiora rapiuntur uapores,
nullopadlioconducit, cum extalierCw1afta:ionefacilius caput
afumispetaturrnamtantamad hoccrifiicicndum potcntiam Pctr>A
fi^^il^^i^^^^^i^habct,utnonnulIi boues,&:caetcra animantia poncnfis
(quodfcripfit Ariftotcles) minus homines tuffirc, minusquccatar- y.partic.
rhisuexari crcdiderint.quoniam ipfis mininie crcdtisftatibus haud ita
uaporcsnaturafurfumicndentesin eorum capita fcrri pofllint. E QiKi item ratione
eo$ omncs damnare uehcmcnter foleo, qui,fi al- to capite dormiant,minus a
catarrhis fe vcxarum iri putant,cum po ' tius contrarium eueniat,vt fcihcct qui
humiliori,&: fcre cctcris me bris aequali capitis fitu dormiunt, uel aliter
iacent, minus a uapo- ribus capitc tentcnt,minusq. a capite ad pcvflus humorcs
defluant. Quamuisfccusiudicadum fit,vbiquisvcntriculi in conficicndo ci- bum
dcbilitate uexatur.Quoin cafu Pofidonius apud Actium ma- gnopcre ftudendum efte
iulfit, vt in dccumbendo caput altiori fitu contineatur, quo cibus magis in
ventriculi fundo accommodctur, &: ob id nutrimcntum minori molcftia
coquatur.Atquc hoc intclli gi debctdeijs, quimultum ftant:ftare etenim pauco
tcmporc cxi- guumquidprodcfl*e,nequcmultumobeffepotcft. Qui porro com- muni
illo effato,Prandia poft flabis, indufti poft fumptos cibos fta- F r
dclc61:antur,ij fcire debent,fi mediocri quodam rempore ftctur, defcenfui ci
borum in uentriculi fundum id infigniter coopcrari,&:
confcqucntcrilloruconcodionemperbelleadiuuarc, nec alioqui ullam cffatu dignam
iaefionem afferre: uerum fi multo tcmpore ita qui5pcrmanfcrit,praetermolcftiam,quaob
ciborum intcrdupon- dus,praetcrla(fitudinem,qua exlaborc afficitur,variasitcm
offcn- fioncs fubirc cogitur.Primo namque maior vaporum copia fuperio rem
corporisrcgioncmimpctif,maiorhumorummuItitudoad in- fcriora praccipitat, atq.
indc vlccra in cruribus,gonagras, &: poda gras gcncrat,cicindc
thoraccm,atquc fpirationc vniucrfiim non pa- rum Iabcfa&: totam mingendi
athoncm uitiant, quando vidclicct crudi humorcs ex fimili fiti ad S E X T V S.
J7I A cas partcs dcfcrutunrcncsq.&lumbi uchcmenterincalcfcunr>dc-
bilitdturq. ut non tcmcrc vidcatur pracccpiflc- Rufus Ephcfius, ne quis
vlccribus rcnum Iaborans,ctiam fi morl^us inchnarc cocpiffcr, ftarct. Statio in
vmbra (cmpcr aliquibus cx pracdidis difTcrctijs ad ncctitur,ut fit multa,vcl
pauca.ucl a cibo,ucl ante cibum, et proin- dc qualicumquc adncxa rcpciiccjllius
cflTcdus continuo cxprimct, modo umbrac ratione aliquid fccus non acccdar.hoc
autcm dico, quia facpcnumcro umbra, vd cft locorum concluforum frigido^ rum,
atq. humidorum; ucl noxiarum arboram, ucl alrcrius p"erni- ciofae rei,quas
omncs corpiis macularc, &: faniratcm dcftrucrc ne- mo ncgabit.c:actcrum de
llantibus fub folc in hunc modum dcter minandum eflc, iudico, quod fcilicet
Itare fub folc in aeltarc fum- g moperc calcfacir.immo fcnrcntia eft
Ariftotelis, cum llamusin fo- ^f^
lenosmagisdcuri,quamdummvOucmur,ctlipcrfcmotus ipfc quo- ^'"^ * quc
calcfaccrcuaIcat,quodaIiasfuliuscxplK aunnus. Si iijiturita clt,rationi
confentancum crticitur,iuuamcnrum infigncualdcfri- gcfadis corporibus indc
accedcrc,vcluti h\ dropicis,caccdicis, quibusidaCoclio,&();n
iibusfcrcmcdici's laudatur. InickTicis Lib.j.ci iteincurandis tali infolationc
vfum Archigcncm rcpcrio. ncinte- ^'v^^f' rimlilcntiopractcrmirranrur ca,quac
apud Acrium cx Antylli fcn mcdTu* tcntia lcgu:ur,infolarioncfcilicctvarijsmodis
anriquos vfosfuiflc, "P-'' alias cum unJlionc,aIias iinc unctionc,modo
fcdcndo,modo iaccn do, modo Itando, inrcrdum ambulando, inrcrdum currcndo : dc
^ quibusomnibusinhunc modum dccretum elt, quod /i infolatio *
adminiftrcrurnonpurgatoprius corporc,max:inum capirinocu- C menrumaftcrr:
undcfacpcnumcro mirari mihi conringit,quogc- nio ductus Plinius maior,non modo
purgato corporc,ucrum ctiam
polUibuminacltarcfubfoIcmancrct,acdcindcinfngidalauare-rcpift tundchac ctcnimlocurosfuilfcmcdicinacaiictorcs
arbirror,quan dodixcrunt,ab illacorporaplufquam par lirincalcfccrc,fcbrcs,at-
quc capitisdolorcsgignirNamliantcaquamcorporafolicxpona- '"'''^* tur,opporrunc
cxinanianrur, aut /inc unctionc, aut cum unctionc ricripotclt:hatcura unctioncm,capiri
diuturna frigidirarclabo- ranti fuccurnt,quod illud durius,arquc impallibilius
reddar, Sc ob idmcriroinEpilcpiiacuranda a Mcthouicis nonnulliscommcn- Ccciu.x.
datur, modofit inlolatiomodcrata./icutitcm in ca in/aniacfpccie i:iuarccrcdirur,quacafrigidaintcmpcricorrum
ducir:pracrcrca occultas difflarioncs augct, ludorrs clicit, carncm
confcruat^pin- gucdincm tollir, ocdcmata oinnia, 6cpracfcrtiin hydropicadc-
primit:ncquc tamcn iplu noxis fuiscarct, quandoquidcm mr)ra Cymn^flica. X
quacuis 272 L I B E R quaeuis fiibfole bilcm augct,&: confcqucnter ijs,
quibus calorna- cc^^apk. ^^^^ mordaxcft,valdeaduerfatur, ut a Galcno fcriptum
cft,/piri- lo. tumque crafliorcmjdenlioremue efficicns, afthma, &:
orrhopncam i.^tu.va. exacerbat. Cactcrumftabfquc un^ftione
infoIatioadhibcatur,in cactcriseofdem efredtusparit,nifi quod corpusexficcat
magis.tan- quampingui illoadufto,&fubindcmaiori nigrcdine fupcrficicm
totaminficit, nccnon carncm inftar caurcrij cuiufdam dcnfasmi- nuspcr
infenfibilem rranfpirarioncm cxcrcmcnra diuaporari facit. Li I fcr ^^'^
i*arionc huiufcemodi infolationcm ad minucndam polyfar- cap!^*^^ chiam ab Aerio
laudaram ccnfco, Vcrumramcn duo hic animad- ucrfionc digna cfle cxiftimo,
alrcrum, quod medicos, ubi fub fole moram probarunt, praercgi pannis capira
uoluifle opinor,quo- niam,practcr Coelij audorirarcm,&
ratio,&:cxpcricnriademon- ftranr,capita derc(5ia,fi foli cxponantur, ualdc
ofTcndi, ncmpe quae fupra modum calefa£la vaporcs a toro corporis ambitu ad
fcfe at- trahuntjficqiic omncm malorumiliadem, &:prae caereris carar-
rhosibi gcncranr : quod minimc,ubicapira teguntur, euenire fu- a.partlc.
fpicandum cft, proptcrca quod,utfcripfit Ariftotclcs, indura cor- rdccauf'
P^^^^f^l^^"•^^^4"^"^ nuda,cum ab illiusradijsminus fis ^i^rb. icrianrur.atquc
hoc torum a Galcno fignificatum crcdo, ubi dixit, eos,qui nudi fub fole mancnr
^uniucrfum corpus calcfaccre, qui uero induti, caput folum • nam dcmonftratum
cft a nobis libro tcr- tiOjMaiorcsnoftros numquam ferc caput
tcgcrcfolitos:nemire' murGalenum,dumindutosfcripfit fub folc, capitctantumualde
incalcfccrc dixit. Alrcrumanimaducrfionc dignum cft,quod, fi- curi fedenres,
&:ftanrcs fub folc uchcmcnrius incalcfcerc, fiuepo- rius deuri expeiientia
conftat,quam ambulantcs,&: currcntesipari- rer,& caeteras pracdiftas
affcdiones, tam bonas,qua malas facilius recipiunt. Atque haec vniucrfa a nobis
dida dc ftantibus planis, ac totispedibus intclliganrur.ftarc namque calcibus
innixos non mo dolaborcm acmolcftiam inducir,uerumetiam nuUumiuuamcnrO cfTaru
dignum pracftarc crcdirunquemadmodum fimilitrr cos,qui fummis digiris
ftarcconantur, practer farigationcm illico fucccdS tcm,parrcs illas callis
molcftiflimis aflicerc compertum eft, &c prac- fcrtimquandoquis co
frcqucntcr vratur j hi fiquidcir 'Mudunum commodu nonnumquam rccipcre uidcntur,
ut longins multis alijs profpciaare ualcanr, cuius gratiaab antiquis fpcculator,
fiuc Apho.^ nia dcillis,qui non armari
ccrtant accipicnda purcquandoarma- ^*^^^'*^** B tum ccrrarc inrcrcxcrcirariones
limul,atqi:c opcra ma ifdl • rcpo- fuir Galcnus,qui limilircr ccrrarc aducrfus
u nbram {ctKtctiicc^^ip t-^tu.^u cunt Gracci,) cclcrcm cirra robur
cxercirationem cilc ludicauit, |;'^; ut Auicenna quoquc,cV Paullus pollipfum
ccnfcrc uili funr. Cum doc.rcii itaquc rcs icafcfc liabcar, pugna non armarorum
rim aduc rfuslio- mincs,quam aducrfus columnam adminillrata in primis magnope
rc calcfacir,cxcrcmcnra cducit/udorcscicr,cxr.bcranrcm larncin fupprimit
proindca Coclio incuranda polyfarchia adhibcrur, l; ^^^^^ dcinceps
brachia,atquchumcrosconfirmat,ciura(5»:pcdcs mirum cjp.Tiu
inmoduinexcrcet,cctcrum capitadcbilia,6«:ucrtigini obnoxia no parum labcfa^tat
.rcnibus ircm laboranrcs huiufccinodi cxcrcita- t»oneinfugcrcpracccpir
Galcnus. magis cxcrccrc, l 2 &:unn
274 1- et uim maioi em corporibus
infcrrcquam iftam: quonia,nt ab Alc D Prcb - pcrbcllc fignificaium cft,athlera,
fi obnitatur antagoniftac, tortitudmcm ci us augct ; Un ccdat, ncquc rcJudctur,
robur ciufdc refoluit. Atquicapugna, quac corporibuspugnanrium armatis
cxcrcctur, inrcr vchcmcntcs cxercitationcs collocada eft,quac cu robufta,
&c uahda corpora cfficcrc dcbcant, iurc meritoNicias apudPlatoncmin
eodialogo, qui Lachcsinfcribirur,dixit,quod Iv STTMi^yi^^wi&r,fiue armatum
pugnarc corpora robuftiora, li quod ahud cxcrcitationis genus, rcd^dit, ncq.
vllo aho minorem Loco cit. laborcmparit. Dehac quoque exercitationeab
Antylloproditu ^ rcperitur,corpus ab ipfo ad morum aptius, et ad carnem
fufcipicn- dam rcddi, uerumramen propriam atquc maximam cius pollicira-
tioncmcxliftcrc,utcorporisfirmitarcm,&:longam rcfpirationcm gignat,
cumilli, quifcfe pugnis fimihbusdcdunr^omncmaHam
£fpiruuscxpulfionemferrcpoflint: facitautem huiufccmodipugna carncm laxam,
&: mollcm, nccnon capiti admodum noxia ert,prae- fcrrim quando galca
plusaequo obtcgitur, cuius pondere preffum nonparumlaborat . illudhicnon
ignorari uolo: cTrhoyxtxlav, fiue armarac pugnac exercirationem, nc quis
dccipiatur eandem effe cxiftimans cum armata ludatione, oTrhm-miKn ab Acfchylo
vo- cata,quandoquidcmhacramquam ludtac fpecics armisin mani- bus nullo modo
utebatur, fcd dumraxat ccrranres totis corporibus armabantur, ficque armati
inuicem ludabanrur, cuius ludationis arbitrcr uolurarionem illam armaram,
fiuccelcrcmagir aioncm, t.dc tue. quamGalenusin numero vchcmcntium
excrcirationum repofuit, * ^^' fpecicm quandam exftitiffe . An vcro dc hac
armata pugnae fpecie intcllcxcrit Coclius Aurclianus, quando in curanda
polyfarchia F poft plurima alia cxcrcitationum gcncra comprobata dixit . Tum „
hoplomachia, hoc cftarmorum fiifta conflixio: apudmcdubium nullum,ut
exfuperioribuspatct, relinquirur: quoniam, et fino- menGraccum hanc ipfam
lignificare uidearur, nihilominus, &: nominis ab ipfo illata explicatio,
&c ufus demonftratus manifcftum argumcnrum faciunt,cum
dcpujTnaillafcrmoncmtaccre.quae nu- dato ab armis corporc excrcetur,quaeq. ad
diminucndam carnem a nobis laudata fuir, cum hanc poftrcmam carnem, fed mollcm,
SC Jaxampotius augcre Antyllusiudicaucrit. Dc gladiatoria pugna
nouidcturhiclocuscxpofcerc, ut fcrmo ulIushabearur,proprcrea quod cum armis
incidctibus,ac pungcnribus anriquirus agcrctur,
uclinlctaliavulnera,uclinaltcrius pugnaroris, aut eria vrriulquc
ncccm,plcrumquc terminabatur . VnUe ncminem non uiderc ar- bitror qiiantnm
ahfit, ut fimilis ^onccrtatio iillam pronigandis morlns, tucndacuc fanitati
opcm afTcrrc ualcat : ca cnim cft,quae liodic apud miiltas Chriftianorum
nationcs fub Duclli nominc no fincmagna ciuitatum aliquandocladc cxcrcctur,
quamq. &:anti- quis, Su noftris tcmporibus ab uno hominum inimicilTimo
Sathana rcpcrtam ad pcrdcndas animas fuiflr fcmpcr crcdidi . quod naquc non
monachiam antiquorum, ut falfo probarc conari funr, qui huculquc ducllum
trailarunt, fcd potius gladiarorium ducllum huiufcc tcmporis rcfcrat, pracrcr
multa in qnarro libroa nobis dc- clarata,hoc itcm at cftari vidctur,
fciliccrijfdcmarmis,atquc co- dcm propcfincducllarorcsconccrrairc, quilnis ohm
gladiatorcs pngnabanr: illud unum inrcrccdit difcrimcn,quod illi tum gloriac
cuiufdam inanis gratia, tum praemiorum fpc, fcd fcrc fcmpcr ui B quadam,utpotc
ud ad fupplicium condcmnari,ucI in id cmpri,at- €juc cdodi ad ccrtamcn
duccbantur : ifti ucro fpontc,&: nuUisco- gcnribus,nifi folius honoris uana
quadam, &: faila dcfcnHonc pro- lcdantcaguntur: ut hac rationc minus
cxcufationc digni habcan- tur,cum fpontc in propriam ruant pcrnicicm . Vrinam
rcllpifcanC randcm homincs, uidcanrquc idquod Haibari krc nulliagunt, ranto
minus Chriftianos dccerc rfic profcdo &c multac urhcs, quac ob hoc
inrcftinis, &: facuillimis di(Tcn(ionihus cxagiranrur, ad mc- Irorcm ftatum
rcuocarcnrur, &: mulrorum anim.iSus,corporibusq. mcliusconfulcrcrur. At nc
longius a propoiiro noftra diuagctur ©ratio, hacc fufficicnt, fi illud
addidcro, quod Cclfus, Scribo- jii,^ ^ nius, Plinius, Arcracus,atquc alij
plurimi rcfcrunt, ab Antiquis li. decop. fciliccrcrcditum fuiffc,gIadiatoris
iugulari fani^uincm cpotum lu- "''^i*; ^^ C uareepilcpricos. quam rcm
poriusad prodcndam iplorum fcri- nam fupcrftitioncm, quam ut ullam fidcm
adhibcndam ccnfcam, li^nificare uohii. 2)e qudTunJxtn altarum exercitatiomm
qualitatihus* l II. VLTA apud antiquos
cxftltcrunt excrcitati onum gcne- 1 a, quac quoniam non ita frcqucntcr
vfurpabantur,ab aucloribus cclcbrata non iiuicniuntur :inrcr haccau- rcin primo
fcfc offc rt ri iK^6)^u^il%:ccci, ucl manibus fum- fliis conccrrarc, quod, /iue
hituc jpccics aliqua forct, utnon- nuUi crcdidcrunt,fiucicparara quacdam
cxcrciratio, urCalcnus ^^^jl^gp^ccnfuifsc uidctur,u ui poft luclam alias
quafdam cxcrcitarioncs ad- OymnaHica, T 3 numcrans nummn^acrochinTmum nominaf,
facirqiicrnam7cftealii conftar ipfam apud Galcnum, Actium, Paulum, et Aui-.
l.ib.3. c j cennam i nrer ucloccs finc roborc exerciraiioncs locum obrinuifle,
lill.fen 3*cicndijcorpora tcnuandi,carncs,fuccosq. dctra- doc. i^c.i
hcndifacultatcmpolHderc, ut appofircinfinuarc uifuscft Hippo- fitf^cftato
P"^^ qucmlcgirLiracrochirifmumatrcnuare,&: carnes /ur-. cap.Ti^^^
^umtrahcrcproprie ucromanus,atquebrachiafccundi;m Gale- Lib.4.c.4 num in
ipfaexercitanrur. cxquorir,utilIisconueniat, qi ibushas- locQcitac,
parrcscorroborarcin animocft,ficurijs ualdenoccr,quorum chi- nigra,uel
aliusmorbus,&manus, &: brachiainfeftare folct. dchoc locutu e(Tc
CeIfumquiscrcdcrcpoteft,ubi in ijsqui ab arida luHi
exagitanrur,exercirarioriesmanibusperadasprobar. PorroUTrA^-
^f/^^ij^jideftecplerhrizare, a Galcno inrercxercirarionescitraro- *oco cit.
bur,6^crccntium,quamCraccihatcro. copiam, vcltrachc! ilmumuocanr,cxcrccri,vcrumramcniIlisma\i-
mc vcrcnda clUalis cxcrciratio,qu! vcl pc^orcvcl dorfo,vcl capi- tcnoadmodum
valcnt.Parictiam paclofi quis(vr Milo factirabar) g conucficrcfc, ojcrcq. dc
loco volcnti pcrmirtar,cnira maximc corrob.>rarcpotcrir,qucmadinodum manus
maximopcrccxcrcc- bir,cisq.fortirudincmacqLirer,lipuynum alicui apcncndum, ucl
malum punicum, aur talc quippiam manil)us complcxus aufc rcn- dbmpracbcar:quod
ramcn arthriridi,aur chirajiracobnoxijsmini- mccongruct.Roburaurcm partium rum
cxcrccr.rum hrmat,fiquis a!tcrumcomp!cxusmcd;um,aut ctiamipfc
mcdiocomprchcnlus, manibusdigirisq. pcdinatim iundis,aur qucm complcciirur
abfol- ucrc fc iubcar,aur ipfc lc a complcctcnrc loh,ar:nih quod in hoc pc
riculum immincr,nc vifccra labcfadcnrur c\ nixibus illi5,qui adhi- bcntur,dum
dillolurio quacrirur.lra criam (i quis alrcrijm,(|ui vcr- fus ipfum lc inclinct
t larcrc aggrcflu5,ilia manibus compIcxus,ccu onusaliquod fublarum inuiccm
prorcndar, rcducarq. acinagis,fi C dumgcltar,ipfcnixu, rcnixuq. corporis
vrarurnic narnquc fpinam vniucrfam corroborabir,lumbos tamcn,arquc rcncs
dcbilcs habc- ribus noccbir. Acquc vcro qui pcOtoribus cx aducrfo innixi magno
fc conaru inuiccm rcrri^ilunr,;;^ qui a ccruicibiis pcndcntcs dcorsu trahunr,vchcmcnrcrquidcm
cxcrccnn^r, &: pcrconicqucns robur corpori vniucrfo comparanr:at pcriculum
fubcunr, nc thoracis va- fa aliqua rumpanrur iplis,ncuc aur capur,aiit collum
malc aihcianr. Hacc iraquc oinnia ramcrfi apud vcrcrcs inrcr
ccrcrascxcrcirario- ncs habcrcnrur, nihilominus haud ira in frcqiicnri vfu
fucrunr, 8c pracfcrrim nobilibus,ac illisqui non fincluauirarcquadam fanira- ti
opcram dabanr. h;ic ircm rcmpcfiarc non dcfunr, qui ipfis vran- lur,qn
)v.jn')d' ' rario,iflhibcarur,pcni:us aiicrrcrc nolo. T 4 De D Def^mtuscohibitiomsfacultatibus^ ^(^df. I
V* I #n K-K^ ETENTIONEM fpiritusfpecicmquadam cxcrcitatio- ' * nisefTccumabundc
inlibrotcrtiodemonftraucrimus, idampliusrcpetcrenoneftopus:il]uddumtaxat adiuii
C gamnonfacilerepcriri,in qua nam difTcrcnda locata fucrit.nifi quod
animaducrtcntes nos in huiufccmodi cxcrcita- tionemufculosabdominis,aque
thoracis ualentcrintcndi, &:fu- ^.partic. binde inpartibus interioribus
calorcm augeri,ut Ariftctclcs,&: Prob. Galcnusmcmoriae prodidcrunt,eam non
riciiiinc uchcmcntia 1. dc diac i^^^icare poflTumus : &: propter hoc iure
ab Hippocrate didum fuit, ^ fpiritus dctentionc meatus difparare, cutcm
attenuarc,nccnon ^ 3. dctuehuniiditatcmfubcutcm extruderc poffc. A
Galcnofimilitcr,&: ia^bartii^bAuiccnnafcriptumcft, rctcnrioncm fpiritus
mcmbrafpiritua- mcd.c. 87 lia calefaccre,corroborarc,&: cmundare,necnon
anguftas cauita- doc 1 c \ ampliorcsrcddcrc. Quod
etenimfpirituscohibituscxpurgarc thoraccm ualcat, clare conftat : quippe qui
in.ipHi rctcntione un- diquccompulfus inanguftosfe rccipcre meatus cogitur,
cosq.li ampliustrufus, propulfusq. fucrir, ctiam pcnitus tranfirc, atque
extcnuati iam agitationc cxcrcmenti nonnihil fccum arripcre, eo propemodo,quo
intucmur opificcs angufta inftrumentorumfo-
raminauchcmcntiorefpiritusinflatucxpurgare:quandoquidemis quanto ulterius pcr
uim coadus impcUitur, tantum ab ipfo quaeda impelluntur, qiiacdam trahuntur,
nam truduntur quac antc occur- runr,attrahuntur quac ad latus funt pofita,
impetu ipfo motus vtra- quc coada. Qupd ucro ex retcnto fpiriru cauitatcs
cuadant latio- res,hinc probatur,quoniam fi thorax in medio corporc locatur,
fa- nc illo magna afiqua infpiratione acrc impleto, et dcipccps fuprc- mo
laryngis ofculo Imgulac opera claufo, nccno mufculis toto tho race
prcllo,necclium cft aercm comprcfTum vndique mcatibus cor poris uniucrli^^
infcri,ficq. inirufum cos undcqnaqiie dilararc,mo- doinfcriorcs dum iUuc
impcllirur, modofuperiores. ficergoper fpiritus retcntioncm cauitatcs corporis
amplificantur,pedoris par- tes cmundantur, ipfaeq. atque etiam aliac intcriorcs
calorem ici O^nip. ^^j^^ipi^ri^^cuiusmcritofrigidacaflrcdioncs,
&:prac{crcim infla- Pr^?*^* tioncsrcmoucntur. ut non tcmcre Plato
fubpcrfona Eryfimachi li.d mcd. ixicdici,nccnon
Ariftotclcsmcmoriacprodidcrmt,fpiritumcohi- ifbroT.d^birumafmgultulibcrarc.
quorum placira fccutusGalcnusabco- ^mp.cau.icm uoiifolumlingulcumjvcrun^ctiain
tuffim afrigida inftrumcntorum rcfpirationis intcmpcric conrraiftam cxftlngui
tcftatumrc- liquit: ciuodaucla in pcvftorc caliditarc cx tali cohibitionc angu-
ftos quoslibct mcarus fpirirus coprcffus pcncrrcr,cun &: ab auribus
cxpcllunt : limilircr obftcrri- ccsiftud rcftantur,quacad
parruscxpuIlioncmfaciliorcm,&:ccIc- riorcmrcddciidam partiincntcs fpirirum
contincrcpraccipiunt . in quoltamcn ipfas facpc crrarc fcnbit Acrius,quando cx
nimia hu ytr^h, 4. iulccmodi fpirituscohibirioncancunfinata,liucartcriarumincu-
i[Lli\c. ribilcsdilararioncs incurrur.t in faucibus, nccnon pupillarumin prob.
48. oculis,ut Aucnzoar tcftatus clLDiccbar Ariftotclcs fpiritu rcicnto
mdiusaudirc nos, quoniam rcfpirario ftrcpitum qiiCndain mo- ucr, quocum
careanrrctmcnxcsiUam, mclius uoccspcrcipiuntrti.ij. c.i C quanuiis CalTius
Mcdicus alitcr fcntirc uidcarur. Exftar ircm Plinij aucronras,quod cucrfos,fc
anclcnrcsq. ac iaccnrcs, fi quid ingruar, conrraq. i(ftus,fpiritum cohibcrc
fingularispracfidij cft. Si igirur afpiritusrcrcntione rot commoda xjriri
conftat, prudcnrcrfanc Coclius Anrclianus ipfam allhmaticis, ftomachicis,arquc
licis'^|^^J"^*y curandis cgrcgum opcm pracftarc lcriprum rcliquir.Ncquc
ramcn ub. ^.c. huic ranrum tnbucrc dcbcmus,quiii ctiam ipfam aliquacx parrc
obcflc credamus,quandoquidcm Afclcpiadcs capur opplcrc rcfta lus
cft,cuiusfcnrcntia a Gak no ccrre cxplofa fuit . Ego vcro illam prorfus non
cfTc rcpcllcndam puto, quoniam manifcftoconfpici- mus, dum fpiritus rcrinctur,
ucnas,atquc artcrias colli intumcfcc- re, oculos ampliiicari, gcnas ac
uniucrfum vuhum contrahcre ma» iorcm ruborcjn, tandcinq. caput totum compati :
quacomniail- Jius rcpktionijs cUra inditu clTc, ncmodubiiat . txquohr,ul
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tota uia abcraflTc pro ccrto tcncam, dum fpiritum rctcn- D tk.i.«a.4. tumin
epilcpfia curanda praclidium afifcrrc dixir:/icut Coclium laudo,qui in ciufdem
aflfcdus curationc fpiritus rctcntioncm uita- ri debcrcuoluitjCumccrrum
pcriculumimmincar,nctuncfangui- ncad caputrccurrcnrcmorbusmagis exaccrbctur. In
fanguinis CgcUi.a. quoq. rcic£lationc talcm cxcrcicationcm a Mcthodicisdamnaram
inucnio,quibus aiTcntiri cogor^propterca quod rum a calore in pe- (floris cauea
gcnito,tum cx uaforum inflationc,diftenfioncq. facilii mc
debilia,&:rclaxata vafafranguntur, frad:aq. iterum relcrantur. Ampliusqui
veliierniasjvel crcpaturaspatiuntur,autpcritonacum,
atquemteftmaexrilia,&:fragilia ab ortuobtinuerunt,nullo pacto in rctinendo
fpiritu cxcrccri debcnr, quoniam hae partcs in aclio- neifta uchcmcntcr
contenduniur,& pcr confcquens, nifirobuftae fint,citra mulrum laborem
diuellunrur,qucniadmodum apcrtifii- ^ mam fidcm pucri faccre poflunr,qui fi
interdum nimis quam par iit flcndOi aut aliquomodofpiritum contineanr, protinus
ijsperito- naeum, fcrotumuc difrumpicur, 6c dcinccps intcftina dclabcntia, aut
flatus intercluii,uix fLUiabiieshcrnias pariunt: quod fimilitcr tu bicinibus,
&c cantoribus, dum nimis fpirirum retinerc conanrur, facpenumcrofolet
cucnirc,&: praefcrtim quando illi wiJ^ctlguuy ( quod Galcnus ait lib. de
mot. mufc. fccundo in finc, ac 6. h\nd. com* 4, tex.24.&:dcquonosin
varijslcct.cgimus^ac pluraadhuc dicemus, cum itcrum librum cum rccognitum,
atque auclum pro- pediem dabimus) fiue edidum ficere uolunt . Vna feruata ra-
tio ab huiufccmodi pcriculis tucbitur, fi modcratc, aur potius infra
mediocritatem (imilisrctentio peragatur, ubiagcnda crir: alioqui pcrfici
nequaquam poterit,quin praedida incommoda fc- ^ quantun De ^octs exercitAtiomm
fAcultAtibus 3 tsf primo de rvocifcr^itione^ OCIS multas,fcd unam praecipuam
excrcitationemcf feccruntantiqui mcdici,quam gracci t«i^
(cVflf.quoruomniunaturapcrfpcv^ta nihU rcmarc mancbif,quod luiiufcc
cxcrcitationis cognitioni arfdi valcat.Er P «l^^jtu^^^ go prima
uocitcrarionibus,qnaccumquc (int illac,adfcripta ab An j| ^^.^„6'.
tyllo,Plutarcho,Paullo, Actio, et Auiccnna codiciocft,quod tho- Un, raccm,arquc
uocalia inltrumcnta pcrbcllc rxcrccr. diccbat Aucr- \-^V'c.s rocs pulmoncm
propric a uociscxcrcitio rcfpici . (ubindc naturalc iiki.f.s.d. calorcm
augct,purgat,hrmat,arqucarrcnuar,folidas corporispar- * "J,';j^* tcs,
robultas,puras,&:ort"cnfac mmimcobnoxiasrcddir. addcbarcap.i, '
Auiccnnna hanc cxcrcitationcm colorcm dccorarciquod cnim ca loraugumcntum
fufcipiar>indcoritur ;quia fpirrrusalliduomoru, taai actraCtus, quam
cxfufflatus collidirur, artcriturquc, licq. cx ca collilionc, 6c atrritionc
calorcxcitarur i puriiarucro huiufccmodi cxcrciratio itum quiacarncs
raiiorcs,magisquc rraiftabiics cfficir: tumquia cxmoru uocalium inflrumctorum
humiditatcsinrcrnac B confumunrur,quod cuidcnriflimc dcciarat dcnfus uapor cx
orc v v cifcrantium urodicns, 6c fupcrlluitatcs uctullioruhumoruunicui-
qucmcatiii adhacrcntium,quaccxccrnunturnonfolumin pracdi- £tis
uocifcrarionibus, fed ctiam alijs pkn ibus modis. lam vcro fir- marur calor, 6c
artcnuacur, quv)niam uafa abftcr^^uncur, nuilti hu- morcSjUt
fputa,muci,(^pitiiitac conlumuncur,quac licut antcaca- lorcmobfcurabant,dcbihrabanr,&:incra(Vabanr,
iracduda cun- dcm puriorcm,uaIid!orcmq. rc linquunr, &c hinc pollca lolidis
par- tibus maius robur,maiorq. impallibiliras fuccrcKic.Si icaquc hacc ica fc
habcnt, racioni confciuancum clt, ijs, qui humidirarc occu- patas inrcriorcs
parres,quiq. uniucrfum corporis habicum frigcfa- ^tum habcnr,uociicraciorH*ni
gcncrofum praclidium cxliftcrc.quc- admodum.illisprcdictis racionibus cam ab
Anc) llo, CoclioAu- rc!ianp,&: Actio commcndaramfcimusltomachicis,
uomcncibus, acidum ru:tancibus,acgrccoiKoqucntibus, cibos faltidicntibus,
atrophia Iaboranrjbus.languidis,cachccticis.hydrC'picis,althmari- cis,orchopnoicis,phchilicis,diuturnopcctorisauclcpti
dolorc uexa tis.apoftemara in choracc rupra habcntibus, mulicribus pracgnan-
tibus,picaobfcllis, autlccundum Alcxandruinctiam parcurienci- ^/j^^g^'^ busad
parcum tacihus cduccndum,non minus n,.chro, affi.iunt,quamcorporis
immodicacgcftationes, luuatmfupcr cla- cap.i. ralcf Q crir,fi rifu fcfc
cxcrccrc uolcntcs alas fibi ipiis litillari facicnt ; pro- bi^ «!'^^^
ptcrcaqnod magnusinillispartibns ucnnlarum,atquc arteriarum concurlus cxllat,
quac tuillatac concalcfiunt,^: fpirirum fu[)indc cxcalcfadiioncgcnirum
pcrunincrfumcorpus diflundunr. Ncqnc ucrolatcic qucmqnam dcbct,ualidnm
rifum,(icuti dixir Plaro, ma gnam mnrarioncmparcrc, ncmpc dc quo cclcbratnrapud
Grac- cos hicfcnarins. j t Ato; HKccigo^ tyjigcrois (Niviy KccKiv, i d c ft
Rifusinrcmpcltinusintcrmortaksgraucmalum. Siquidcmtalis,practcr immodcraram
fpiriruum ctiulioncm,pnicrcr nimiam agirationcm,calcf'achoncmuc, nonraro,fccunduiii
Ariftotclis,&: Jococftat. Alcxandri fcntcntiam,uchcmcntcm rcfolurioncm
indncir:qno. p|^^*|;^^^^ niam uiralis uis,&:inlitus calorimmodicc foras
prodit,ac indcfir, ur /ic ridcntcs fudcnr, ac rubcantfangninis adncntu :
calorcm crc- iiimnatiuum,igncmqucipfnm,ficuti pcr loci appctitioncmfur-
Gymnajiica. V fuiu 288 L I B E R fum cffcrri, fic pcr alimcnti dcfidcrium ima
patcrc ncccfTc cftjgi- D turutralibctmoucndi
rationcpcrcmpta,calorinfitusinterir5& uis omnis vitalis cuancfcit.ut non
abfquc rationc Homcrusfinxcrit oayff. ^ Procos rifu cmori, Arcrf ixmSges
dyccvoi X%$S0Cs ivetct^otiwot p/tAo) \kSccvou, idcft, tum Troci illuflrts Mams
extollentcs rifu cmoYiebantur ; lU.^pao Nccnon Aglaitidas apud
Xcnophontcdixerit,rifum huiufccmodi ^ ^y"- moucntcs ^ncquccorporibusjncque
animis prodeffc. Porro ca- put,ac thoraccm pcculiaritcrab huiufccgcncrisrifii
offcndi ncmoncgauerit,qucmadmodum interdum laxata maxillarum ofla, dor-
fumq.oblaefum animaducrtimus. Flctum tamctfi Ariftotclcs in pucris laudaucrit,
quaficorumcorporaflcndocontrafta, &:con- E a.Tufcul tenfa robuftioracuadant,Ciccroq.
fcriprum rcJiqucrit, athlctas, cum cxcrccbantur, ingcmifccrc confucuiffc, ut fc
intendcrent ad firmitaremscxiguum tamcn ufum in tucnda bona ualctudine habe
rceno fcimusrpucri namqucfortafreaploratuminusofrendutur, quoniam ci a primo
ortu infucfcunt, quippc qui ftatim ac ex utcro parenris in luccm uencrunt,
plorarc incipiant: cuius caufTam So- Inlfa og fimusephcfius cxplicauit cfle ;
tum quiatenuis fpiritusaluce con- cap.17. cutitur :tum quia infuctam tcrram
attingant,quandomulieresin Prob. 61.
nauibusparicnresmutumcdunt.quamfcntcntiamfecutus Alexan- dcrmcdicus
addidit,iIIos minime audiendos cfse,qui animum di- cant, quod amifso caclcfli
domicilio corpus inhabitarc tcrrenum occocpit,iccirco infantcm cogcre
doIere,atque plorare.Caeterum adultiores qucm nam cx fletu capcre frudtum
qucant, nufquam ui- ^ deo. quod cnim is corpora frigidiora intenta, ac debilia
rcddat, \qco citat. pr^ictcr Ariftotclcm ob pracdiita ficntcs acutiorcm uoccm
rcdde- j.Aph.y4 re narrantcm, Galcnusquoque atteftari uidctur,ubipucros,dum
**^^8**^^' plorant, intcrruptofpiritu ob uircsdcfatigaras refpirarcfentit.qui *
itcma flcrunonriumquafcbrcsacccndi pcrfpicuctcftatuscft. qua-
tumfubindeoculisipfis dctrimentum atfcrat,mdc conijccrc faci- Inprok.
literpoffumuSjquodlacrymis ab humoribus oculorum (fiCalfio medico credimus)
dcflucntibus eos confumi ncccfllirium cft.ut Ilb^ fummacumratione
eloquentilfimusauitor Carnclius Cclfuscon- tfcur.ocu. tinuos fletus oculos
imminuere fcriptum reliqucrit ; ne fileam quantum damnum uox recipiat, dum
fauccs,ac uocalia inftrumen- ta intcr flendum madefadla, exa fperataue, cam
raucam cfficiunt, tuflcsq.ac noxios catarrhos iatentcr concipiunt.nam, &c
apud Coclium Aurclianumlrgitur, ploratum poft cibumuaMcftomci- clium
labcfactaic. Kx quibusomiiibus colligitur, aut nullum^aut cxiguficmolumcntum a
llcru corporibusacccdcrc,(S nes illas cxcitant;in altcris humorcs ad infima
dclabentcs eos mor- bosfoucnt,ac incrcdibilitcraugent. Inde eft,quod Aretacusin
cu- ratione epilcpfiacfolam cius vcrtiginis infpcdioncm,quamfacit
inftrumentumillud, quod RiptBiKX dicunt, &: dequo fuprafumus locuti
epilcpfiam induccrc monuit.Hoc fortaffc exercitationis gc- ^bro^ I
nusintcllcxit Auicenna,quandodixiti Etludcrecum uirgisretor- €3^*2^** tis
didtisalfulcgiam cum pila magna,autparua lignca, nifi quod il- lud intcrfortcs
excrcitationcsrcponcns, 6c pilam magnam nomi- nansanoftrodiffcrrcdcmonftrat,
ncmpc quodfitdcbiIe,foIifquc paruis fphacrulis agatur . Habcmus Sc aliud motus
corporis gcnus, quod piHs ligncis cxcrcctur humi dupliciter, uel pilas in circu
fcr- reum humi dcfixum manibus impcllcndo, ucl cubo lignco cas ap- proximando,
quod quidc genus dorfum ob inclinationcs cotinuas E exercct, attamen caput
ofFcndit, atque rencs; in quorum ulceribus Inlib. ae IfxTrmkvsiTriKv^^s uitari
mandauit Rufusmcdicus,nequeadmo- Metue! dum pro ualctudinc probatur. legitur
cnim apud Gal.cxcrcitatio- ual.cap.5 ncsinchnato capite,
dorfoueperadlasncquaquaminisconucnire, qui occafionc qualibet Icui ucrtigine,
cpilepfia, ophthaImia,auriQ dolorc, guttuns, aut altcrius, capitis, &:
colli inflammationibus oc- cupantur . Praedidis omnibus tum notior,tum
trcquctior cft pila- mallci uocati cxcrcitatio, qua uetcrcs gymnaftas caruiflc
nemo nd fatctur ; fcd quanto magis tcporibus noftris pencs cundlas nationcs
ipfa inolcuit, tanto magis ncccflarium uidctur illius flicultatcs de- clarare.
Nam quod ex magnis fitcxcrcitationibus,ac uchemctibus facilc cft,&: a
laborc,qui fuftinctur in ipfo,&: ab eius natura conijce re; a laborc,
quonia fu quam pcr fccrcram difflarionc cxinanirc inrendunt . Cctcrum ncmo,ucl
mcdiocritcr rci mcdicacpcritus, lgnorat,valctudmarijs,ac dcbilibus,quorum
uircslcui dc caufladc ftruunrur, excrcitationcmilhm minimcaccommodari: tantomi-
ftus illis, quibus capita ma!c aticda funt,aut aliquo padlo imbccil- Iia. nam,&:
qui dorfononadmodum valcnt, quiqucrcncscaIido5, urinasq. acrcs habcnt, cx
talibus moribusfummopcrc offcndfitur, licuti quoq. nocct cxcrcitario bacc,vbi
parfcsinfcri( rcsinflamma- tioncm,aut abum tumorcm pati folcnr . Summarim
poflimt, qui fanitarc fruunrur, ad cam rucndam,oprimumq. habirumgcncran- du
pilamallco fcfc cxcrccrc : qui vcro aliquo pafto ab acgritudine
occupantur,omnini>abftincrc dcbcnt.illudq.fcmpcr mcmoria tc- B ncrc
opcracprctium cihcjuac dc cxcrcitationibus bona a nobis pro mittunrur, ucrarcpcriri,modocaratio
tcmporis, ]oci,quantiraris, modi, arquc corporumfcructur,quam in
^.libroncccflarramcfle monftrauimus. alioqui fi ncgligatur, mirum non fitjoco
bonorum incmcndabilia mala iucccdcrc : qucmadmodum lacpcnumcro in propolita
cxcrcitationc cucnirc ccrto fcio,quac cum fcrc polt pran dium a plurimis agarur,
nullo falubritatis loci, ac rcmporis habito dclcctu, no fua
culpa,lcdcxcrccntium incuria pcrniciofasaflcLtio- ncs,ac prauos habirus
inducit. quo magis omncs admonco,ut dili- gcntiam, a Maioribus nollris in
cxcrccdis corporibus obfcruatam, quaxitum conccdifur,imitantcs,mcIius
valcrudini, atquc mcmbro- rum robori confulant, ncquc commitrant, u t proprij.s
ci roribus, &c fanitatcm /imul dcpcrdant,&:honorcm, dicctc GalcnonoUro
ma- r.dctac C pnum dcdccus illis aXc, qui a narura fanam corporis conftitutionc
lortiti cam ob cxcrcitationum,ac rcttc uiucndi ncgligcntiam cor. rumpunr,arquc
morhofam rcddunt. Erquoniam hoc in capitcduo diximus,altcrumquod
pilamaIIcus,cxcrcctdorfum,aItcrum,quod illis cuitandum crt, quibus
dorfumcftnnbccillum, fcicndum crir, Galcnum voluilfc^inlcnibus
dcbilcspartcsnumquam cxcrccri,in r.dctuc. alijsfcmpcr dcbcrc.rarioncm, qua
indu^^us illud dixir, hanc fuifle ^ cxiftimo ; quoniam
dcl)ilitasfcnumcmcndarinonpotcft,cumcx uirtutismotricisdcfcctu
proficifcatur,alioruinucrorcparabiIiscft. undc, quandonos aliquas partcs
imbccillas minimccxcrccndas confulimus,fcmpcr dc imbccilHtatc confirmata, ac
incmcndabili, non autcm dc rcccnri,arquc dc curabili,dida noftra inrclligi
uolu- BU]s:nca Galcni placiris,(]ucmomnc5mcdicifcqui tcncnturjinhac lcntcntia
rcccdcrcuidcamur. (jymfiiiiiica. V 5 DC 291 I T)e equitationibHTfacuttdtibus.
CaP. II X. ^ Quifationcm,qua Galenusaliquadointer ca,quae exer- cirationcs
fimul,&: opcra nucupar,adnumcrauir, ex eiuf dcfcntcnriamagnam
cxcrcitarionccfl'e,aperte conftaf# Quo circa,quanru fit cx fc, potcrit natiuu
calorcm auge rc,&: cxcrcnicntoru inanitioni opitulari.Efl:
aurnoparuadiflrcrcri- tia,an cquus(fic appellocquLi,mulu,&: aliud qif
uisporrandishomi nibusaccomodatum animal)lcnrc,cclerircrucgradiatunanfuccuf
Oribadiis fcr;an afl:urco fir,ac ro]urarius,an currat . Dcplacida,&:lcnra
equi- Aet^iib* ratione fcriptLi inucniturab Antyllo,atquc Actio,fiplacidc equus
cap.7! ^ gradiatur,nihilmagis, qua lafTitudinc, &:pracfcrtiminguinibusaf-
fcrrc.dc hac inqua ucrba facics Hippoc.mcmoriac prodidir,conti- nua cquitationc
laflitudinc magna parerc, homincsq. infoccundos E &: cocundi impotcrcs
rcddcrc,n€C no dolorcs diuturnos,&: claudi- Prob. ij. carioncs
gcncrarc.ncqJccircofcntctiaHipp.danandauiderur,qcf aqu*&!oc! Ariftorclcs
cotrario plane fenfu fcripru reliquerit, cquiranres affi- cap 1 1. Jjje
libidinofiorcs cuadcrc; quonia gcniralia continua arrrcdatio- probifii
ne,motioncq. incalcfccria fpiritu cocipiunt, ficq. cociidi cupiditas
inducitunfiquidc Hipp.dcplacida,&:nimisfrcquctiloquirur,vtpo te q lcni motu
no ita calcfaciar, &: pcndctcs coxas,arq. pcdcs oblac tlattAriftotclcs ucro
dc ca,q cquo ccleritcr gradicre,&: inrcrdu fuc- cuflTanrc^fcd
noadmodutrcqucrcr cxerccrurjUcrbafacirjUnde par- ticula(afliduc)qua larini
intcrprcrcs apponut,cu in Gracco Arif.co dice no inucniatur aufcrcda planc
erir.Hacc erenim equirando fa- U69 cita. io dctcrior cJi, nimirumquacuniucrfiim
corpusmoldlc quaflcr, &dolorcscxcircr,auiZcarq. Sicut in Niprns
illcfapictiirunus Grac- ciacfauciusintclligcbat,ubi diccrct. Tedetcntim ite, ^
lcddto vijh nefucceffn Cic. 2. Quo itcm Lucilius pocta antiquusinnuit,dum cquum
fuccufllm- tcmtactrum nuncupauirhoc ucrfu. Noaius SuL i ii[iatorii t.ie:ri,
tariiq, c tballt .Ad hacc fuccuirationcuchcmcntcrcaputoflrcndcrc,coI!um,&:
dor fum,&: narcSjCxpcriunturilli, qui aliquadoin hunc modu cquitarc
cbguntur. Dcniqucli vlla cflcquita:io,quac uifccrapraccipuc( id. Q n.farcrur
Ga!c.)agirarc apra iit, proculdubio nfic propofita ralrs cft, ijtu.yi. aqua
nofolu intcriora omnia concuti,ucrum criafiifpcndi,qua/iq.cA?-»'» arripi
uidcntur.illud unuhabcrciuuamcporcll, ur cibis,atc]Lc cru dis humoribus
concoqucndis,aIuoq. cicndac,ac vrinac prolicic4i- dacnccno a rcnu(q J Auiccnnac
placuit)loco lapillis arquc arenu ^.^ lis ad infcnora dcduccclis adiuuarc
qucat.Scd,quonja maicribus riamnis comoda hacc c6pcnlantur,ocs ab
cxcrcirationclimili ablli cip.vk. ncant cofulo.ln aflurconibus cquirario(ca4n
lic appcIIo,quam uul- gari nominc portanru,aut trainauocant Itali,&: dcqua
itaMartia. Hic breuis ad nioncrHm rjpidos qui coUigit unones j^-^^^ yenit db
aunleris gcnt bns aHnr cqu^^s ) qucmadmodummagis corpus, &:mcmbra gradarij
cquiucctionc cxcrcct,ita mmorcm molcltiam parir, liquidcm mollis illaalrcrno
cruru cxplicaru glomcrario minimum larigat,pcculiantcrq. aluum citarc ufu
probatur . Dc cquitatiqnc i;urrcntibus cquis(;i(tta,licct V 4 ' apud 294 L I B
B R apud Arift.icgatur, ita cquitantcs, quod magis caueant,mlnus ca- D In hb.
dc dercjtamen eam improbarc uidctur Galcnus hac rationcquia fae- l«c indo . pe
contingit cquitantes in terram deciderc,& nonnumquam ex ca fu emori*fed
praeter hanc multae exftant caudae aliac>ob quas a fa nicatis ftudiofis
huiufmodi cquiratio omni diligentia euitaride- a ^dixta corpus(vtfcribit
Hippo.)nimium calcfacir^exficcat^atquc * extenuat,ob id ad minuendam carnis
multitudincm a Coelio Au- li. T.c.vir. reliano probara, caput male afficit,
fcnfus hebctat, oculos non pa* Sca. ^pb. nmioflcndit:quandoquidcm Ariftor.
cauflam indagans, cur, qui cquo uehunrur, quo longius equus dccurrcrit, co
magis cmitrcrc lacrymasfolcnr, fignificaridco illud eucnirc,ucl quoniam morus
calcfacics valde humorcs oculorum eliquat,&: lacrymas indc cict, ucl
quiaficutiuentiaducrfi oculos pcrrurbanr, fic acroccurfans
tanromagisfcrircporcft,quanro cquus uclociiis agitatur.Iacdit E practcrcahacc
equiratiotam thoraccm,&pulmonem,quam uifcc rauniucrfa. Quod criam rencs
maximo dctrimcnto afficiantur, fidcm Hiccrc poflunr multi, quorum alij vrinac
ardore,aIij lapillis, alij vlccribus modo rcnum, modo vcficac, modo pcritonaci
vfquc ndcoob hanc excrcirarioncm follicitaii fuerunt,ut fereijsaffcctio- ni bus
mortcm obicrintrnc dicam quor luxarioncs, quor ofiium fra- ^T:urac,quor
mcmbrorum diftorfioncs facpcnumcro indcnafcan- rur,dum brachia,dorfum,coxac, et
crura fupra modum laborant . Vidcant igiturquos currcnribus jatquc mutaris
cquisitinera fua obirc dclc(ftar,quot,ijsci. gnuifiimispcriculis^ncdum
ualcrudine, ucium eriam falurem ipfam fubijciant, quomodoc]. non inge-
nuorum,autfanirarcm curanriumac uiram,(cdpotiuspcrditorum
hominum,athlcrarum,nihiIq. uitam,qua nobiscarius,aut opta- tius nil
rcpcritur,acftimantium opus cxcrccant. Hadcnus de cqui- laiionis fpccicbus,
quarum nullam aegrotanribus admodum con- fcrrcfcripfcrunr Antyllus, arquc
Aerius, quasq.necijs, quimc- dicinam fumpfcrunr, uUo padto congrucrc mcmoriac
tradidit So- lodscltat. i-;inus Ephefius, ncquc illis, qui rcnum morbis malc
afticiuntur, cap.^i^!^' ucl carum inflanuTiation conucnirc ccnfuit Galcnus.
6,cy\d! Sunt qui in equo fedcntes gcftari dclcdcntur, quac cxcrcitatio pa- Tlll
rummalcualcntibus ufui cflc mea fcnrcnriaporcft, nam,utmol- liflimc ucharis,
tamcn laflfirudo inguinum, Iumborumq.&: du- rafufpcnfio,cxpIicarioq.
percipirur, quando fubpcdancis corpus fijftentare,pcrarduum eft, ne dicam
nnpoflibilc. acccclit &:ma- la,ac dolorificailla
concuftio,fiquomodoincitatiusfcraris. Va- knabus m^igis 4onkrrc eadcm porcft,
corpus, animum, &c ftoma- chu^i S S. 2«5 A chum hrmandorfenfus cxpurgando,acucndoq.
fcd pcftus.tirquc pc dcsdcbilirar. ^ ^ ^ DegeSldtiontim inHnitierJimnjinbus.
Qaf. 1 X. j NTEQV AM gcftationu fcrmoncm aggrcdiamur, illud prius adnotandu
lcvfloribus uolumus, nos minimc igno- rarc, multos cquitationcm inrcr
gcftarionis fpccics rc-, intcr quos fuit Actius Amidcnus ; fcd ncqua- liu.j.c.
ir. quamhorumopinionemfcquiuoluiflc; tum quia Cornchus CcL antiquus fimul, &: cclebris au(flor, ubi
gcftarionis fpccics adima^c- rauit, nc ucrbum quidcm dc cquitationc faccrc
uoluit, qua(i alic- a gcllationc iudicaucrit, id quod nmltos ahos opinaros
fuifle conijcitur cx Antyllo ; t um quia cxprcflc Gal.gclLitioncm, 6c cqui
tationc diucrfas cflc dcclarauit in 2.de tu.val.ubi ahas cxcrcitatio-
ncsanobisficri tradiditiahas ab cxrrinfcco, ut gcftationcs:ahas mixtasclfc,
quahs cquiratio cfl ; tum quia, (i gc(titio, ur dcfiniunt omncsauLlorcs,mixta
cft cx motu,&: quictc, phiribus corporis partibusnonmoucri^
apparcntibus^uniucrfo autcm corporc ala- lionc moto, hacc condicio ab
cquirationc longc abcftjn qua fcih- cctmanifclhrtimcomncs fcrc corporis partcs
moucri confpiciun- tur.fcd ifla parum rcfcrunt, quando criam Antyhus, atquc
Actius fcparatim dc cquitationc ipfa ucrba fcccrunr.Hanc inquam gcfta- tioncm
ab cquirarionc fcpararam,nccnonagraccis4/»f^ uoca- tam, mulras quid-jm habuiiic
fpccics, in fupcrioribus dcclaraui- Q mus: at quacomnibusuniucrfah
gcftarionisnominc comprehcn- fis facuharcs attribuunrur, pr.us cxplicabuntur,
dcmum parricula- rcscftcsftus finguhi adlcripros pcrfcqucmur, fcd prius id
ignorari nolo,facpcnumcro apud auclorcs rcpcriri gcflationcs, &: cxcrcita-
tioncslimul nominaras,quafi utracqucinrcr fc difrcranr,quorufca- tctiae dc
cxcrcitationibus proprijs,quac vchcmcntiorcs morus gc- ftationibus cxiifhmt,
non autcm dc communircr acccptis inrcrprc- randae fcmpcr crunt. hlt igirur
geftario fccundum Antyhi, Actij, atquc Auicjcnrcntiam,inrcrplacidiffimas,atquc
dcbilcs cxcrcira- locrsciti. tionc5,&: proptcrca non folum fanis, &c
ualcrudinaijs, ucrum criam 16gis,ac inciinatis morbis,&: dcniquc ijs,
quibus lenrac morboruin rchquiae rcmanenr,ncc alircr cliduntur,acc6modatac
funr. In acu toru nonnuUiSjUt ab Aretaco in Lcchargicis, ncphriticis probatur.
quinimmo tradit Cclfus Afclepiadc ctiam in reccnti, uchcmcnriq. locodj^t, fcbrc
>praccipucq. ardcntc ad difcuticndam cam gcftationis ufum comprobaflc. qiiod
prof cclo pcriciilofc cfficitur, mcliusq. quicte elufmodi impctusfuftinctur.
Infanisctcnim,ac ualctudinariisgc- ftatiOjCumnccIafTirudincm corporibus
ingcncrct,immo caferc magnis cxcrcitationibus /imilitcr moucat, poreft
calorcmnatura- lcm augcrc,matcriac multitudincm difcutcrchabitum corporis fir
marc,actionesrtupidasexcitare,fcgniticm di(ToIucrc,corporis turbationcm
fcdarc,ijs,quos uigiliac cxcrccnt,fomnum conciliarc,& contra ctia
vctcrnolis,ac diflolutis rcdimm adfc, vigiliasq.pararc* nam fomnum conciliat,
cxcremcnta, quac a capitc ad ftomachu«i delabuntur,pcr halitum digcrcndo, quac
nhiiirum parrcsfunt uigi liarum praccipuac cauflac : fcd vigilias poftca
inducit corporis tc- norcmadfcrcuocando,&:corroborado.&:, quamgua
Scnccacpift. L V l.vidcatur gcftationcm faccrc magis hiboriof;mi,quam ambu-
lationcm;ciustamcn oratio intcrprc tanda cft dc co folo, qui ualc-
tudincoftcnfusab omnibusfcrc turbarur. In quibusmorbis dcgC^
ftationcpcriculumfaccrcpIaccbit,fic cxpcriundum cfsc confuluit lo^o cita.
Cclfus,{ilingua non crit afpcra,finuIlustumor,nulla duritics,nuU to- lus dolor
uifccribus, aut capiti, aurpraccordijs fubcrit,&:cx toto numquam geftari
corpus dolcns uoluit, fiuc id in toto,(iuc in par- tecftjnifi tamcn lolis
ncruis dolcntibus; ncquc umquam in rcccn- ti fcbrcfcd in rcmillionc
eius.Nihilominus,citra multasobfcruatio ncs,abaucloribus probatasenc inuarijs
affcftionibus gcftationcs rcpcrirur.Coclius Aurcl.in libris, quos dc morbis
diururnis infcri* pfir,cas in incubonc(quo morbo plurimos Romac quali cx
cotagio nc quadam aliquando pcrijirc, rcfcrt Silimachus Hippo. fcdhitor)
commcdauir,fimilitcr&:inuocisamputationc, inhacmoproicis,in
quibuscandcmdamnauirAfclcpiadeSjinafthmatCjin ftomachicis, in clcphantiafi,in
colicis,in arthriditc. Thcodorus Prifcianus quo- quc,
&:antcipfumArctacusgcftationcsadhibcndasuoluitinme- anchoIia,inatrophia,
infplcncricis,necnon in ftomachi dolori- bus.lifdcm cxcrcitationibus in
illis,qui valdc cxficcati funt,arq. re- 7.Mcth. fcdioncopus habcnr,Galcnum
vfum,aIiquandolcgirur.Quin &:ip fcmctCcIfusprofacroigne curando gcftationem
laudauir, utnoit fempcr condicioncs ab ipfo dcmonftraras obfcruatu ncccflarias
fo re hifce auAoriratibus conuinccrc ualcamus.Non cft tamcn igno* rb % cur randum>magnopcrc
rcfcrrcquonam in loco quis gcftationi bus vtd ciiron.c.7 tur. quod Arctacus
cocliacorum cxcrcitntioncs dcmonftransv eim caetcritpractulit, quac inrcr
Iauros,myrtos,arque thymunref ficitur. Dc gejiationum inn/thiadoi USlicA^dtqut
fellapaYtt^ cularibusymbus. X. Xplicatis ijs,quac ab aii£toribus dc gcftationu
flic^ltati* businvniuerfumtraditatucrunt, iam ad parcicularcs dcfccndcrc
opportunu cll,iiprius illud in mcmoriarc=w^ uocaucrimus, fcriptorcs.f.mcdicinac,qn
finc additione gcflationis ulum in fanis,atq, ualctudinarijs nominant,dc
qualibcc cius fpccic intclliycrc : qni nuUa fcrc inucnitur,quac ipfis utilitcr
accomodari nopolluiquando ucroin acgrotis loquutur,iiucrdum ocs,fcd in
rcmiilionibus morboru,intcrduplacidiorcsl]gnificarc, Vchiculoru multa fucrc
apud maiorcs nollros gcncra, quoru luxu- ria vfq.adco intcrdii Romac
crcuit,ut,rcf'crcntc Plinio,aurca,ac ar li.^^.cir B gctca taccrc
nolintucriti.fcd hoc practcrinftiiutunoftrucft.Nam, quac pro fanis,aut acgris
in ufu habi ta funt a mcdicis uchicula,alia ab anmialibus,
mulis.f.autcquisagcbantur,aliaab hominibus, U utraq. ucl tardmfculc,ucl
cclcritcr.Gcllationc vchiculofa^taquis cctcris acriorc clTc dixcrit
Ccllus,njhilominus,fccundu Galcni fcn ii.i.c. i tcntia,intcr dcbilcs cxcrcitationcsrcccnfcrimcrctur.quofit,utfa-
^^^j" nis,ni(ialitcrcxcrccri impcdiantur,minimcomniucoucniat.Va!c-
^^d/iuci rudinarijs,atq. fcnibus nugis, qucadmodu Antiochii fcfc cxcrcuif-
fc,&: CacciiiuPliniuacccpimus:maximcucroaegrotatibus,dcqui- bus fcrmonc facicns
Antyllus dixit,gcftationcm in uchiculo fadam uimquandaamolicdi,c6moucndiq.
morbosftabiIcs,&: pcrmancn- tcs habcrc.Qua proptcr Scncca cpilij 6.ad bilc
taucibus infixa di* fcuticnda,&:ad
fpintusdcnliratccxtcnuandafibimirificcprofuifTc C fcribir,qui, fi aliqui
fimplici permanenti, &: diuturna fcbre iadentur, tu i.cht. modo uircs
fcrant,gcftari pluhmum debet,ut Coelius phthificis co of/bSus
fuIuit.quandoquidC geftatio,minus mouens corpora,quandoq. fe- brcm magis
cxcitat, Ergo in fcbricitatibus,qui ad integritatc pcr- ueniunt, uel quorum
longa admodum remiffio eft, uel qui fcbribus tenentur longis, etiani fi non
magna intcrualla habeant, conuenit haec gcftatio.quam fimiliter in multis alijs
aficftibus, nempe in do- lore capitis;in cpilcpfia,fi fcrri qucar, in mania, in
paralyfi a Coelio Aurel. commcndari, ex eius dc chronicispaOionibus
inkriptisli- bris clare habctur. ut ctiam nos tuto, ubi rcs poftulat, fimilibus
ge- ftationibus acgrotanrescxcrccrc valcamus, dum tamcn maturo morbo,atquc iam
inclinantc illud agarunalioqui, fi,adhuc faeuicn te,aut incipicnrc
affc6tionc,gcftatio adminiftrcrur,accidentia acer biora, &: pcriculofiora
confcquunrur, quoniam morus, ut diftiparc urilircr concodos humores,ac
cxcrcmcnrorum rcliquias potcft, fic Calorcm augcrc, fpirirusquc &: humorcs
nondum quieros, &: rcpur- garosexagirare natuscft* ex quo fummumftudium
adhibendum cft,ne crefcctibus crudisuc morbis, pracfcrtim calidis gcftario, aut
aliaquaeuiscxcrcirarioadminiftrerur, fcd in narurisfolummodo, frigidis,atquc
illis,qui manfcfte inclinarc animaduertuntur. De leSit penjtlis ^ cunamm, ac
Hauis gefiationumfx^ cultatibus. (^ap. XL Vi primuslcaulos pcfilcsexcogitauit
Afclepiadcs,dua- bus rarionibus(utrcfcrt Plinius)illud cfrecifsc uifus eft; tum
ut blado eorum iadatu fomnos alliccrct : tum eria,
urmorbosextenuarer.quibusrarionibus addudipofte- riorcsin curandis acgris corum
ufum frcqucnriorem reddidcrunti totfo cic. quamqua grauis auAor Cornclius
Cel.cxcrcitationc hanc tantum- * modo adminiftranda aliquado iudicauir,ubi ncq.
nauis,ncq. ledi- cac,ncq.fclIaccopiadarur:liccrpoftcaJinapoplcxiacuaegcrrefur-
git,ipfum Icai moru cocuricndu pracccpifsc inucniarur* Vcrum.n. ucro
AnryIlus,Actius,atq. Coclius, ctia li nil aliud deficiat,^p mul- tis
afrcdionib.dcbclhldis^lcaispcnfilibusinfirmos excrceri uolue-
runt,quinimmo(quod paucis coccdirur) hanc gcftarionc tam antc cibu^qua a cibo
prodcfsc dixit Anryllus.na pri mo fcbricitantcs,aut diuturno morbo dccubctcs,
in quo corp.ora columpta fefe crigere non ira valct, autEllcborufumcrcsatali
gcftationcutilitatcrccipe Aetms U. reiudicaru eft:dcindc in his,qui vircsa
lcbrili aflrcdlioncrccolligere incipiiir,nccn6 in lcthargicis,&: in
appctctia ciboru dcicda can- dc prodcflc cxpcrimctisinucntu fiiit.ncquc
dcfucrut,q ipfam in fu- riolis,ac phthificis laudaucrint . Qucmadmodu,&:
Actius,&: Prifcia nus Thcodorus phrcniticisadhibcdaccfucrunt, quo blada
illaagi locomat, rationc fpirituu pcrrurbatio lcnircrur,&: fomnus
alliccrctur. Ex gc- YmQ^i:^^^ nerepcfilislcclilcympodiu quoq. circ,m6lbauimus:&:iccircoubi
a Coelio,arquc alijs gcibtioncs I pcfili lcdo ^pbatas uidcrimus, idc ic dc hac
i ntclligcrc poterimus.Lcdtulo pclili non diflimilc alia 1 c- ilofaCta
gcilationis (pccic inucnio,quam primus(quod cgofciam) intcr mcdicos Cclfus
monftrauir,vbi dcficicnribus cacrcris gcihrio ni dicatisinllruincris, voluir
vni pcdi lcdi funiculucflcfubijcicdu, ^ arquc ita Icdu huc, &: illuc manu
impcllcndu.id quod criam Amy- dacnu Actium fignihcarc uoluiircarbitror,quand(j
fcriplir,duascf- l^cocitac. fc lccti gcftationes, aut pendlcs, aut fulcra mobi
lia iuxta angularcs pcdcs habctis. Hoc cquidc illud cxcrcitationis gcnus
cxiftimo,qd^ ab Auic.fub cunaru rcuolurionc dcfcripru fuit,arquc idc nomcn uf
li.i.ren.j. quc ad rcpora noftra rctinuit: crli. n. ab ipfo inrcr dcbilcs
cxcrcira- tiones rcccfcat,dcmulccdisq. pucris potius cx Galcni fnla,n6
fanis, aut infirmis cxcrcitadis aptu
viilc.iturmihilominus ijs c6ucnirc cre dirur,quos febrcs dcbilirarunr, licur ct
illi,qui ncc duin fc moucre, nequc federc valcr,quiq.ab hcllcbori potionc valde^pflrarifuerut,
aut fccundu Cclfum alicuius mcbri rcfolutionc patiutur.quin,fi ta-
lisgcfbtiofuauircr adminiilrcrur,prcr fomni iucudiratcqaffcrt, fla Q tus quoq.
difl"oluit,rcliquijsmorboru capiris,vcluri (hipori,&: obli- uioni
prorfus cxflingucdis,c6ducit,appctitri mouct,&: naruram fopi
taexfufcitat.Auic.i.4.trac.2.c.i5.ad c6pcfccdum niiniij iudorcpci pit,ut acgri
ponarur fupcr illud inilrumcntri,quo pucri,vcl iuucncs foict in acrc cocuti,
atque ita in acrc frigido c6cuti,q J quidc puro eflc genusillud
inflrumcri,cuiusfadacflmcriofuprali,^fub Ofccl laru nominc. Inrcr gcftarionum
fpccics vlrimo loco pofucruiu fcrc ocsnauigationc,cj; cacrcraru omniu Icni/lima
fccir C:orn.Ccl.fcd.&: Jq^^^-^^^ huius quaplurimainucniuntur
difcrimina:fiquidcn6parri interclt, anquisin llagno,anin flumincan in mari nauc
gcratur: &: in nuri, an in portu,an in litorc,an in alto,an turbato,an
tranquillo . Naui- gatio fadtain ftagnis,lacubus,autpaludibuscactcris in
falubritatc poftponiturquonia ut plurimum cx aquis ftagnantibus,nifi fint ma-
ris alicuius inlhir,purridi vaporcs clcuarur,qui acrc inficicrcs naui- gationc
magis fufpcdam rcddunt, Tt non immcritofcriprum lit ab ^ Anlt, ioi L I B E R
l4;pirt;c. Arift.paluftrla loca incolcntcs fubpallidos, ac fomnolcntiom cua D
probleiti. dcre.minus noxia cxfittit io fluminibus nauigatio, nempe q au^torc
in probh PJ^^^^i^^ho timoribus carcns naufcam ullo pafto non commoueat. wt.
uerumtamcn ta hacc,^; illa,quac cxercetur in ftagnis,in capite ma* lib.i. C.I,
le affcfto incogruac a Cocl.Aurel.iu dicatur, g> humcdantcs caput
tcrrcnaexhalationeinfrigidant.Duabuspracdiciis maritimanaui gatio valde
pracftatior crcdif,quonia mari fcmpcr uaporcs ficci, Sc calidi educuntur,qui
Iatcnter,ac fenfim nauigantiu corpora rcclu- dunt,necn6falfaeproprietatiscaunacxcrcmctaabfumut,atquc
ho minu habitus quada facili muratione reficiut,&: i ccirco huiufcemo di
excrcitatioincun6tisferc morbishumidis,ac frigidisamedicis
probaf,&:priuatim a Celfoin tufliomni,aCoelioac Arctaeoindo lorc capitis,!
cpilcpfia,fi ferri quc it,in fanguinis fputo,in phthifi, in kl:critia,in
hydropifi a Tralliano in frigida vctriculi intcmpcrie co- E
medatur.Inphthifinamquc praoftantifiimuremcdiumnauigatione Ii.28.c.4
fcmperaMaioribus habita tui(le,tcrtatusfuiiPiinius,quihac ratio- lib.3i.c.6 nc
phthificos Acgyptupctcre cofucuiffercfcrt, quo cuni Annaeus crplV/.'^' Gallio
poft cofulatu lam fcre phthificus, &: ZofimusPIini js nepotis
libcrtusfiuiguinis rcicftatione laboras profcdli c{renr,ad fanitatc rc
ftitutifucrunt:qqbarbarusilleau6tor Plinij Sccundinomincfalfo infcriptus h.dc
rc mcdica lib. dicatphthilicismagis cofcrreinfal tibus,vbi
pixnafcitur,habitarc,q in marinauigari.Porrocx mariti-
misnauigationibusIcnifiimadixitCelfuscam,quaeinportu effici- tur ^q tamcnin
capitisaftcctionibus una cuflLiuiali,&: (tagnali im- probauit Aurclianus.
Quac uero in litoribuscxcrccrur nauigatio iucundifiima
habctur,dcquacclcbratuhoc proucrbiQ narratPlu- i.Sympo. tar,
7rAoOsiJilvi7rctso!yuvy7a%gi7rxTogitis,oculoru,pcdo ris,&: denique
omnibus,jpptcr quac bibitur cllcboru,mcdctur. Vc rum gcftatioin alto mari
pcrada rcliquaru uchcmentifiimacxfiftit, &: mutationcsplurimas, atq.
maximasfacit,nimirum, cum animus mixtos affedus habcat,&: triftitia,&:
/pc,timorc,atquc periculoano do gaudcntibus,&: lactis,modo in
anguftijs,&: pcriculis ucrsatibus, lib.^ cau. nauigatibus,quac fimul omnia
magna uim habcnt,vt quoq. Plutar. cognouirjngentcs uomirusconciMndi,ac
confcquenteromnc ve- tcrcm morbum prof ligidi : &: proindc iurc dixit
Auic.nauigationc hanc adcxllingucndas pracdictas acgritudincs cfficaciorcm
cflc. quin&mixrioilla motus,&:quictis, quapracdita cft,fiquid aliud,
probc corpus nutrirc idonca cil.Quac tranquillo mari pcragiturin nauigcftatio
nonadmodii(diccbat Antyllus)magnam rurbarionc,Oribafiw ncquc coculfioncm atTcrtrcx
quo Kr,urt*crmcacc6modata (it ijs,qui-^*^'^'*^ bus ctiam gcftatio in cui ri bus
c6ucnir:ni(i 9 hoc nugis habct, iti purgato acrc,ubi n6humidi uaporcs,fcd
ficci,6 halitii euocarcfirmarccalefaccrc attcnuarchomuu mq. tandcm niuriae
minus obnoxiu faccrc p6t:a Plinio fcriptii cft kixata homi- ^ nucorpora,&
quadrupedunatado in cuiuflibctgencris aquafaciU
rmciL«sredux^NatatiocaUdaemoiIircindurata,c;to^^ ios A fngcnta crcdlra cft.&ob id a CocHo
Aur.in curadis arrhrlricisco- nicndaca,ab Actio cx uiciitc Gal. in i)s,qui
cutcm corporis dcnfLita liabcnt^at
abca'caputoiTcndi,uircs(]Uodapattocncruari,ncmo nc- garct : alio ctia non
carerc uirio dixit Coclius.uidclicct Inimorcs lundcrcncc ipfos rcfolucrc.
Fri^ida ^ intns calorcnariiium rcpc!- Icnsiplitm ualidiorcm cfli iatciborumoprimam,iS^cita
cocodio- ncmpracltat: cxubcranrcs humorcsdilHp.it, et intus rcfrigcratas
parccscalctacit. undc iurcctia ipf-im in arthritici.slandauit Aure- lianus
car.itionc mo:us,oua Hippoc. frii;idam rc ranoaflfcaislargc artuiam rcmcdium
cfTc rcgio morbo labo-
rantib^sinacftatc,(S(: Hcrodutusapud Actium ad euitandumacftu frigidam
natationcfn commcndauit. cxpcricnria ramen confl:at,(i quis ca frcqucntcr
utarur ncruos lacdi, 6c inrcrdum furdirarcm c6- B trahi, quod Agarhinus apud
Oribadum confclTus cft . Atquchacc omnia a nobis dida accipianrur dc illis
narationibus,quac ad gym nallicam quidcm mcdicapcrrincbanr,fcd m inimcfcmpcr in
i^viti- nafijs cxcrccbantur.illac ucro, quas in gymnalijs iplis ficri confuc-
uiffcin 3, lib. probauimus, (iuc in pifcinis, (iucin ampIilHmislabris
agcrcnrur, duos praccipuos fincs fccundum opiniorcm noftram ha bucrunr,alrcrum
ut motuillo blando^quo narantcsagitatur,aqua magis corpora pcrmcarcr, licq.
mcmbra copiolius huincC"tarcnrur: alrerumutmaiorcuoluptatcin moucndofcfcfrucrcnturquando-
quidcm aqua mota, pracfcrtim balncorum fuaui illa artrcdatio- nc fingularcm
quandam dclcctationcm artcrt.Dc pifcatoria cxcrci tationc,quam diximus cx
Platonis fcntcntia ncc animo,ncc corpo- Ii.jTm^ ri prodcflc, &: proindc ab
illo optari, nc iuucncs huic incumbanr, Q pauca ucrba faciam, tum quia fcrc fub
nauigationcm rcducirur, ut cadcm rcpctcrc non lit opus : rum quia a mcdicis
propc nullis cam tnufu habitacflc coftarnificf
Auic.intcrdcbilcscxorcitationesad-^^^® ^*"- numcrauir, quando quis in
nauicula pifcaroria moucarnr,&:ob hoc g pi fcationc nullam calorc natiuu
augcrc crcdcndu clt,cum &: Arifl. pr^ob.x! * icrip(crit,pifcatorcs
marinos,idco rufo colorc cxillcrc,quoniam in- tus frigcnf,cxrra
ucroquafiadururur:habcnr.n.qui in maripifcan- turhanc praccipuam c6moditatc,q»
coru corporaualdccxiccatur, &c proptcrca
minimcomniucorruptionibu.s/ubijciutur: quin fipu- trcdo aliqua intus larear,protinus
cxugitur, cofumiturq. ut magna cu rationc fcripfcrit Gal. pifcatoru habirus
duros, ac ficcos cflt, co- i-dc dmp rumquc vlccrapcrindc cxiccata cotinuo
apparcrc,ac /ifilitaforcr. "'^"^^*^- i}upd ucro (cripfit
Sucr.Auguftij intcrduhamo pifcari confucuiflb,mcj^. r7' id poti' animi laxadi
caufa, qua ualctudinis gratia ab co a^cbatur X 2 nc De yenaiiomr conditionibus.
Cap. xni. D libro i.dc paruae pi tae ludo. .ENATIONIS cxercitationcm
comparansludopariiae pilac Gal. illudfoliiminteripfasdifcrimenpofiiifse ui-
dctur,9 altcr modico apparatu indigerct, et ob id cuius ^
excrcitatufaciliscfsct:a!tcra vcropluribusinftrumentis opus haberer,neq. ab
omnib.fcd ab ingcnuis dumtaxat,atque diui- tibus cxcrccri poffct.hoc aiit hcct
Galcni forfan tcpcftarcatque ct in ahqua ucnationis fpecic tcporib» noftris
ucru forct,nihilominus in maiore cius partc fccus rc fcfc habcrc compcrru cft,
qn facpenu- mcrounOjUciduobuscanib.aurpauUo plurib. inftrumcntisrufti- cos,
atq.paupcrcsucnadicxcrcirationcfrcqucrarcconfpicimus.ut hac rarionc ipfa
minores laudcs pilac ludo n6-mercarur,neque pau \fT^^' eicrib.ucrbis cius
facultarcs a nobis cxphcari dcbcant.Cum.n.Gal. ^^^' '
ucnationcintcrca,quaeipfecxcrcirationcs&:opcranuncupauit, rcccnfucritxumq.
illiuspcrfpcaanaruramanifefte monftret,n6ab. fque uchcmcntia,magnitudine,arquc
celeritate ipsa cffici,nimiru in qua mulrac ahae cxercitationes,curfus
uidchcet, ambularioncs, fahus,iaculatio,uocifcrario,& aliae ncccflario
rcquirantur, rationi confcqucns cft cam his faculrarib.pracdira cflc, g>
corpora uchcme tcr calcfaciar,cxcremcra dirtipcr,carncs,&: fuccos
exubcrnanrcs mi nuar,fomnosprofundosgcncrer,&:proinde concoqucdis
cibis,crudisuc.humonb.magnoperc conferar:quodq. ait Xcnophon,auditu ac vifum
acuat,fimulq. fenedutc rctardcr.ob quas cgrcgias faculta tcs illud cflc ucrum
cxiltimarc dcbcmus,cf Razes Arabs audor gra In vcon. uiffimus cx Gal.fcntctia
memoriac mandauit,uidcHcet in quadam ^ tin. irac/ pcftc contigi flc,ut omncs
fcrc pcricrint,&: foli ucnatores o b afliidua Li '5^^*
cxcrcitatroncincolumcs cuafcrint.Caetcrum quoduchemcnribus *' ^ excrcirationi
bus a mcdicis attributum repcrirur,neque Tcnancii la- bor carcre viderur, vt
fcilicer caput offcndcndi ui poUcat maximc, fi importunc cfficiatur,quemadmodum
in 4. dc acutoru vi£lu apud illum audtorcm lcgitur. Quantum ucro ad
parricularium ucnatio- nisfpccicrum qualirarcs arrinet,de duabusfoluucrbafaciam,tam-
quam i n his folis rora ucnadi ad fanitatcviut acgritudinc pertmens faculras
confiftatiillae funt,cc|ucftris,ac pcdcftrismam fciut omncs, qualibct
ucnarionc,fiuc canibus, fiuc rctib. fiuc auib.fiue arcubus, fiiic ali js
inftrumcnris excrccatur,ab hominibus agi, cpi aut pcdib. proprijs cant,aut
cquisinfideant.Equeftrcm igitur(italiccar mihi appcU irc)vcnarionecxcrcctcs,cum
modo currcntib. equis,modo radicntiL>.agant,modo uocifcrarc,modo quiefcere
cogantur^om- ^ nib. cpil S E X T V S. 307 ^ njb. partlb.labonre uidcrur,&:
iccirco multi hac exerciratione crc
didcruntcorroboraripeftiis,ftomachum,inrcftina,dorrum,atc]ue crura: cgo vcro ca
cuirarc iUis praccipio, quibus capur facil.tcr of- lcnditur : quibus fradionis
ucnarum in pcdorc pcriculu immincr, quibus lapilli in rcnibus
aggrcganrur,quibuspcritonacum dcbi'e, aut uUahcrniac fufpiciocft, i4id tc frcna
iuuant temcrana f Jacpius illis Trifcedatum ef} cquitcm rumpere, quam Uporem.
Porro vcnario pcdcftris cadcm fcrc c6moda,3i: incomoda in cque- ftri repcrra
contincr, nifi s», dum curfibus, ac faltib. fcras inicdatur uenator,per
montes,per uallcs, pcr deuia, pcr filuas, pcr filtus, mi- nori cerrc pcriculo,
quam in cqucftri, fubijcirur : ar maiori labore Q afficirur,magis incalclcir,
magis pcdes, &: crura corroborar :pracrcr haec lihidinis ftimuIos,cocrcct,
quando Hippo!\ tum ftudiouirgi- Sencca m nitatis hoc ucnarionis gcnus
cxercuiflcfcrunr.Excirar quoq. ucna- "^S^* tio appetirum,(icur coquus illc
Dionj lio dapcsaucrfanti rcfpodir, ipfidcfuinl' laborcmin iicnatu, qui
appctirum gcncraficr. Ncurra tamen,g» uchcmcnrior cxfiftar,lcnibus,aur
dcbilibusaccomodata inucnirur, fcdillis ranrum,qui
robuftasomncscorporispartcsfor- titi finr,quiq.oprimc ualcar.urnon abfquc
iudiciofuramoCorncl. u. i.c i. Ccl. dixcrir,fanum hominc, lic bcncualcnrc modo
nauigarc, modo cpiihiib. > ucnari dcbcrc . quod li Plinius ncpos
fanitarcfuam uenarioni, qua ruri in Tufcis objbar,aliquandoacccptani rcruiifsc
uidcrur,iudi- candum eft, aur iJla modcraiilTimc ufumfujfsc,autporiuscorporc
robulto,ac fano ita ualuifsc,ur nullo padlo a tanti laboris uchcmcn-
tialacdcrerur.Eritiraq. ommb.hanc cxercitationcmmirc cupicn- tibus 308 L I B E
R tibus duo neceffanum diligentcr confiderare, prlmum an corporis D roborc
polleant,inculpataq.fanitate fruantur:fecus,ne grauiflima
t3ericulafuftineant,iuredubitandumuidetunfccundum,numquid modcftia quadam,&
iucunditate, aut potius citra dcleaumuUu, 8c cafuquodam,ut plcrumquc
fit,vcnationi opcranauct.Qaicuquc.n. fuarum uirium, aeris, temporis,
quantitatis, loci, &c modi rationem aliquam habere uolimt, multa profcao
corum malorum uitarc poffunt, quibus cctcri cafu fcfe excrcentcs fubijc.untur :
eo magts. quod u^natio Ulud praecipuum in fc habct, quod nulla aha cxcra
?atioineummodumobtimufl-eapparct, utfc.hcct totum fcrcd e nonrarof.birequirat.
vnde aut vcnatorcs mter excrcendum ci- bum capcre, &c a cibo magnos laborcs
aggrcd. coguntur,quo ua- lctudini nihil pcrniciof.us effc poteft ; aut tota
d.eic.unant, quod tamctfi fortafleminusoiTcndat, ncquc tamcn ipfum noxapenitus
b circt,quando practer confuctudincm illud efficitur.nccnopoftca ufquc adco
prac fo.nccxfaturantur, ut uentriculum concoqucndo mirum in ./odum fatigcnt,
f.cquc &c cruditates, &c aha mnumcra malafubcant. Artis Gymnafticae
finis. HIERONYMI MERCVRIALIS fcx artisGymnaftica:Jibroriim clcnchus, cjuorum
primus libcr continct . r: E prwc pijs Mcdicina. Capiit prifnum, \ De t
Ofi/eruatiua Vartihus, et (jtiid tr.iBjfuiuni . Cilp. X. ^t}dfitgyr)ifia§U(a
(^r.otiipUx. f.3. Dt ^ymrajttcx ftbu^o, et tius laHdi- bi*s cap 4, SiHr
ttmpore,et quo pa^o caperit Cym- naHica c^P*')' Dc Cyn:n.iS 'S annqui rum cap.
6. Dc V. 1 Ps hiniinum j^t nerilus y qux in gyn.na/iaconurnicb^nt ^^P^J*
De^yfnnalioTHdiucrfis partlbus. f.8. DepuU^ra, et alVjS gymnasi» part.bus
cjp.^. Dc h^b eis ^ymnafiorum, atque etiam dejiadto cap. 10. De accuf iius in
ccma antiquori m, CT Itmd dimtnxjt in die cpundi cor^ fuc'udinii origine De
au^oribus gymnaflicjt, fjr ^ymna" ftorum mth:fiiis cap.li. De t*ium
^^yvihuflicdt ffefie*urn d.jfi' tcniui.beUicaJtji^iuma fiue mediia^ CT vitiofa
feu athlt tica cap. 1 3 Dc vitiola gymf.aslica, ftue ^thlctna- caf.l^. Dc
riuendi ^thlctarum ratione. c.15. 11BE\ SECr\Df^S. Qf^id fit excrcitatiQ,Cf q^o
differat ^ a Ubore,& r/iottt. cap. l. Dt vyonMitic^ mcdi^je dhificne cap.i.
Defaltatoria car.]. Defphxnflica c^p.^. De piU ludo fccundum l^thos dp.y
GymnafticA, De orchifiica, fiue ttrtia faltatottapar te cap,6. Dt
finefaltationisyC^ de loco cap.j. DeluSatoria cap.9. De pugilatu,&
Tancratio, et Caiiibus cap.^. DcLurfis cap.io. Dc faltu cap.11. Dc difcOy&
halteribus cap. i De lAcuiatione. cap.i^, LIBEI^TEI{TirS. Dt agendis, et dc rationc
prufentis trati^tionis cap.i. De drary.bulatione cap.2. ^ncrcclum slate fit
exercitatio cap, ^, Dc pu^narhmgeueribus cap.j^ De nofinuliis a.tjs
e.xtrcitationum ipe^ citbits cap,^. De Ipiritus cohibitione cap,6. De
vociftratiot.c, et alijs vocis cxerci'* tatioribus cap,j. De Cric ljj:a,
Trocljo, et Vilamailco cap.S. Dc eqmta tione cap.g^ De curruii vcctatione cap,
i o# Dcgffiatio^'C in ititica,& flla . c,i i. De agjtatn nc per ia tos
ptnfilcs, C^ per cunxs facta,^de sciv.podio. ca.tt. De nauigationc,&
pifcationc. cap. i j . Dc natatione cap. 1 4. Dcvcnatione capij» D LIBE !{
Qr^riTffs. E rationc agrndorum, et deexer* iUaiionis vfu cap.t, r €on*
Confutatio opiniows eoritm, qui exeni^ tationem in fanis damnabant; et de
exercendi necelfitate^ atquc commo^ ditate ^ cap»2, Jmprobatio eorum quiomnes
homines cxerceri debere ftntiehant cap. 3 • J{edarguuntur qui affuetos folum
exer- ceri voUbant cap.^ De exercitationum differentijs ctrp. 5 . De corpdrum
morborum, et fanuatis generibus cap.6. ^n corpora agra vllo paUo exemrt co
ueniat cap.j. Decorporibus valetudinarijst&fenili' hus exercendis cap.S.
T>e corporibus fanisexercendis cap.c). De locis in quibus excrcitationes
fieri debent cap.io. De tempore cxercitationibus apio, cap. 11 Qumta fieri
debet excrcitatio cap,\ 2. Demodoexercendi cap.12* DEordineagendorum y &de
non- nullis fcitu dignis cap. i. De ftngularum exercitationis differen' tiarum
effcciibus cap>2. De faltaiorui: effcHibus cap. l . De ludorum pilx
cjfeBibus cap.^. De luH^ commoditatibus,& incommo' ditatibtts cap.^.
Depu^ilatus,Vancratij^& Cafluum fa cultatibHs cap.6. Dc curfus natura ^^pl'
Quid praflet faltus ' cap.i» De halterum conditionibus cap.pta 1712 Abrnhi vt
Dc* jb Aicx. Sc fo cbjtur lii d Aiaci;nua Pljtonisi».c Av nbitus con.uttudn
viidcnunant 5 3 b AvCubitUN viroi u fomw S > et dcmccps Accombcnimm numcrus
quis tflci. 54.oribus palam cxjhjhc- baniurA qiia dc cauf» I c Ac^yptus, Homcro
aatorc,mu!ta$ hcrbjs ic mcdicjmcntj habuit » b Actcct rxiri'.rcs.uscorp^iri
.iccidcntib.6. f Ac:as i cxcrcitationc cit c6;idcradj i ' i.t.
Asbii^dcscrrauii.rifum dicca$nct)i o po ri,ncqucanim" prodcfTc. i.b.i«8 d
AKoniiTjrib-. Ab-ti crant vna faCtto Rcmana i6d c Aldus
M inuii* luncnis cruditiflim». . 7« d Alcx ndcrScuc. us Impcrat. cxcrcitjtionis
Ciula aliquando pirc-b.uur 181. ciuos Dcos colcrci 1 iii d ad maiorum cmgics
facrafacicbac 'b.d. Akxandri Scucri Imp cxcrcitia port lcctio ncsquxfucrint . 1
^ (- >Jtm balnca viro rum JcmulicrumicHrauit jo.d Alcxan.Sci«cri.s Impcr
fcrc fcmpcr frigida Ijuaiioncvicbatur,rurocalida jy c Alcxan-Scucrus Imp-
noluit mijcnuos cur- (ucxcrccri '^^*^ AlcxandtrScucrusImpcrat. ncmora pub.
ihcrmisiunxit ^^^l Alcxandcr S.ucru^ Imp.qiu viAns rarmnc 1. jfDpndio auihorc,
vccrctur 2 1 Alcxandcr Maccdonum Rcxqnid ante cibi (un^pticncm agcrct 214. C A
k x.mdcr prop' cr cruris vul nus lcdica m mtlitari txpc»mionc vtcbatut 197-^
Alipiiu^ in gy mnalTjs quis circt,& quid •^gc rtt io fjtta, anibulationi m
portKU fjdx a Ccllo przfcnur 16 ^.a Ambuijuo lubdiahsinuitas habcc fpccies
ibidcm Anibul..tio fub Solc, vcl in vmbra faAa ab authoribus Jiucrh^ diucrnmodc
acccipi- tur ibid. Amoubtio fub Solc minus Ijrdit, quam fta tio,& qua dc
cjula cx Ariliot. fcntcncu 266f.i7l.J. 17*.C AmbuUuo m vmbrj Tafta, quxnam
fitbo- aa ibi. Ainbu?atio pcr jrboics rorc fufFufjs fafta Icprjti* fjciic
inducit,& cur 167.2 AnibuIat:o cpiIcptiCiS,& vcrtiginofis conuc nicnsquarfit
ifj.i» A.itbuljdo antccibum ficri dcbct, et qua dc cjufa ibid. Ambuljtio pcft
n.i qb conucniat. i67-C Ambulationis matutina;,& vcrpcrtinac cifc
Aust]ui(int ibid. A-niciis Bibriciorum Rcx ccftu claruit, 8C fuit a Polliicc
intcrfcftiis iio. f Ammon apud Ouuccltu vahiic ii/.a Andrc.Ts B iuiius vir
multar dodtrinar. 34 Andr Pjlljdius Architc pcrii (Ti iius. 19 C Ani;iiiJ
Ijborjntcs lin^a cffngunt. 145. C AnimuN H^k^ corporis aux ijo nihil laiidc di
pniim clficcrc potcll ij.a Afincus^-illio fanguincm cxpucns nauiga- tKJHC fanus
f .^usclt i7y.b Antlicus lccundum platoncm fuit lu^Jtio- nisarusauftor ioj.a V
X Antio- l N D E X AiKiochiis lucdicirs quo cx;rcicio vtcretur 2rf>.e f
Aiitioch^ mcdic* vehiciilo geft.ibat.2«?7.h Antiq: bis indiean femcl f
iturarent. 5 2.f Antiquoru inos viuciedi rpa iucgna. 57 a Antiqui in rtratfs
coenab:inc 53. a Antiquiomnes voluptates in couiuijscx- cogitarunt ^g.e
Antiquoru ftudiu in cibis ac potibus dclica tilTiniis coquircadis inignuni
fuit. 58.6 Antiquorum fcripta quonam modo interic ' runt 161.C Antiquorum maior
pars raane vel nihiJ,cxt guum quid fumebat 225. c Antiquorum maior parsin
vefperc folum faturabatur ij^.e Antonius Pius Impe. balneiimpopulo fine mcrcede
conrticuit 48. d Aphorifmi Hippocratis txplanatio 13 i Apodytcrium in palacilra
quid fucrit. 291.C Apodyterium in balrieo quid elTet 40. f Apollini cur
Athcnicnrcs gymiiafium con • fecrarunt g.d Apollo iacubtionis, et medicinae
Dcus ab antiquis indicatus 130. f Apollo iaculationiab antiquis eft pr.^poG •
tus,& qaare 258.6 Apollonius vt Dcusab Alcx.Seue. colcba- tur iSid
Apoplciaici Tral. fententia le^ica vti pof- runt,& qua dc caufa 229
Aponaxisquid Sj.c Apoltemata in pedore rupta habentes vo- cifcrationc iuuantur
281.C Apricari quid faciat i4o.d Apuleius Ccifus in Sicilia qucndam a canc
rabido motfum curauit 4 0 Aquas fornudo,Pompeio viucnte, primo fe nobis
manifeftauit 4 c Aquis mcdicatis etiam vtcbantur in laua- tione ad voluptdtem
47.3 Aqua c cx extrmfecus cor^i accidctib. 6.{ Aqujc omnes Ipontc nafcentes
caJidae funt Ariftot.authorc S^yc Aquarium quid cifct 4^.^ Archigencs fuit
Had.Imp. archiater. 1 9 i.f Archimcdcs facpc figuras mathcmaticas in corporc
vnfto dcfignabat ^i.d Ariftotelis fcntcntia dc gymnaftica Sc p.T- dotribica,
10. d Ariftfentcntia Jcartc gymnnftica. i^.a Ariftot.fcntcnti.idc motupoftcibG.
2 2i.a Ars gymnaftica,GaIc.fcntcntia,cft maxima BUs £jcult^^s confcru;itrici$
y.b Ars gimnafticn qb. na rebns pficiatur. ib^ Ars gymnuftica quouiodo fcicntia
aGalc?' no vocctur 10. d Ars gymrtaftica quid nam circa corpus hu- manuoa
operctur 12 f Arsgymnaftica ad boniJ corporis habitum a cquirendura, ac
finitatem conltruanda maximc j^dcft muitorum tcftimonio.i^ Ars gymnattica
homini cft naturalis. 13.C Ars gyninaftica quo tempore inccpcrit i r*
b.c.d.& quomodo ord/ncm ac regulas ac ccpcrit i5.c. c Sis vtcrcntur 6^,c
Athlctx quo n lc a Pbto voctntur. 6'j.b Aihlctaruni vii^ns ratio.qu.c c^ct 7iC
Athlct» cur pjllidi fiant poft bborcs cx Arift rcntcntia 74 c Aihlctar a Vcncrc
pfu^ ahftinucrunt. 7 5 b Aihlcrjru xgrjruJincs fccundii G.il. 7^ J
AtMct.cymn.^njca raltationcs habuit. 85. a Athlci.v amlnil :tionjb. no
vicbjniur 13 rb Aihlctr sducrfus palu fc cxcrtcbani -a AthlctT c« fpiritus
cohibitionc nonpaiu auxil j capicbant M4 J Athlctacftatim po{\ cxcrcitationcm
potuin vi?abjnt,& qua dc CJufa 124 d AthJctx frcqucni.rrmc vtcbantur putil-
btu,luc1a,& Pjncratio i4^ d Athlctar olkntationis ctiam gratia fpiritu
rctincbjnt u^f Atrophia bborantcs vocifcrationc libcrun Tur *Sic Atrophiam
gcftationc curabant Thcodo- rus Prifcianu>,& ArcixuN ay^.d Attoniios
aliquo ftuporc Actius oca.itiunc curabat Author huiusoperis cur dcgymnafijs
fcri- bc c fibi propofucrit 7 * /uditus f .iriiu rctcnto mclior fit 179 b Aucs
in acrc fiarc apparcntcf an aliquo mo do moucantur 1 ^ 7.3 b Aucrrois fcntcniia
dci;squi cxcrciiationc dinntiunt iP4C Aucrroisrcprchcnditur, qui ccnfuitmor-
bofa corpora quoudicad fudorn initiu cffpcxcrccnda ^^9.c Aug
Imp.lci;cfjnciuit,Tr militcs cduccrcn tur ambuljtum in mcnfc ^ i^T C Auc.Imp.
fimpodl" qnq; vchcbat. I77 C AuKufius Impcr.foUcfccxcrccbat, et qua
dccaufa .^y^ Au^.Imp. in finc dcambubrionis fubfultim currcrc vldcbatur et qua
dc caufj.i W c Aup Imp. coxcndicc,fcmorc,&crurcfini- /tro bboras ambubtionc
in li.ircnama «invc pfuudafccxcrccbat,&quo. z6^.f (jymnAlitcA, Aup.Impc.
poft coenamlcaica lucubrato- ria vtcbatur Z99.^ Aurcli.inus Impcrat. thcrmas
hycmalcs in tranllybcrina rcgionc fccit lo^.f Aurium dolorc p.iticntcs lufta
Ixdit.a^^.C Aunumdolorcvcxaios gciUtionc Galcn. Tral. et Actiui curabant i.b
Bjlucoru fitus fcJm Vitruuij Inlam . 43-f> B.ilncoru acr cxtrinfccus et intrinfccus.ibi.
Bjlnca multum calida Gal.icmporc in dc- fuctndincm abicrunt 44»C Balncorum
magnitudo,mobilius,imroobi~ liias.figura ibid. Bjlnca non cundcm fincm habcnt.
4Cf.e Bjlncis calidis .tcpidis,& fngidis antiqui diucr fa rJtionc vtcbantur
47. b B.dncum rcs qujdr.'itjrij cur vocctur. 47. c B jlnco-um hora qux fucrit y
o f balncj fcmp antc folis occafum claudcban tur,ncc vnqujm anrc.iurora
apcricban- tur jntc AKx.Scucri Iinp tcmporj 5o.f Bjlncis ;'cnfi]ibus Afclcpudcs
in xgris cu- randis utcb.uur. i^^.f.d.a ScrgioOrata funt inucnta 177.*
Bjptilkrium jn balnco qiiid cffct, 33?. C Bcll'iro; hron fuit cqtatiouis
inuctor 167. c Bigis PlJio animjs airimibuit 1 7 1 .C Bi^ix in pub facris
frcqucntilli ncccriauc- runt ibid. Blandi Forliuicnfis crror dc thcrmis ly.b
Botubrij I gymiufijs botulos vcdcbat.^4 c Braclua,dum quis manibus vjcuis
currit, quodjmnu>di dt didi -wccul us loi.a Cyrws rcifurumRtx ct oris
laborcs ma- gnopcrc xllii: juit K.d Ciliuscrai vchiculi fpccics 208. c Cbudius
C.tl.vcliJtulo vrdiquctcdo pri- mus.fc i|u..iido cinfus 172 f Clauduslnipc
H.npt>cii lil cjio fuo con- ccflit,vt |> vil c JtN n iPi i ni pt
ftjculatic nc cur;bat Arxictus 24C.d et \t cifcr; iicnc. 281. c et cxcrciiatK
i:c jmcr n ) rios,Iaiiros, et ih)nun>f-6a Coitu VI tri vcfpcic rcn bi nam
cr-i io.f C6tc6ioncm In-p cdit cxcrciiatio cx Fra- fiflraiifcnftrtia J5>i
b.c Conct Aio^ a ijuictc, et ab cxcrciiaiicnc mtdcratt f-^a multum iuuitur.
192. f Ccnccciucics c.fliculicr vocifcrai:onc iu- u:;niur 281.C Cf niflcriu i
pal^flra vbi ra crat 20.f 34. c C61ctuai.u.i n (d:cjrxpaiJ aqbufda lola digna
tidttjVt ncic mcdicjr» ncUt 5.C Ccnfcrujijua n cdicii ap pais a cjuibufJam in
trcs paritstfl diuifa 6c Confciu.niiua tcf fiiiucnti.-. quatuor nomi- nibus a n
cdicis cc mprchcnduniur. 6,( Conflartini Impc icmporcaccipi irtscdo
ccric^pciiint ifcSc Ccnluciudo nopra cx paiic conucnit na- lur.T txcrcitati
corpc ris i>8 c f Cofuctrdirt pn.uiiic'» valdc Ixdutur.ib:d. Ccnluciudo n
.2d Coipori» hibiiusab cxcrcitaiioiic coniipr- uaiur ^ i^ic Corpcris virtuic*
pcr cxcrcitaiioncm for- ticrcj fitri et opcdititrcs i^2.f C( rporis n ( n l la
pcr cxcrcitationcm fir* mitatcm &i robur accjuirunt. ibid.ii^^.cl Ccipons
hjbiiusab ot:o dcflruitur.i>2.C H7C Corporiim tria gcncra a mcdicis confidc-
rantur,& tjux 2*4 d Corpora argra an aliquo pafto dcbcat cxcr ccri 105-^
Cotpora Gcc2 motibus lcuibus et raodcra- ns vti pt flunt io6'( Corporib. c-hdiN
et ficcis null.T imodcratat (xcicitaiiocscoucnjut 2c6.f 2 i 5 b 22p.C Corf
oribus fripidis et ficcis cxcrciiationci icmjfia-corucniunr. ibid 115.C x^od
Corpora, t]uoru vnu mcmbi u intcpcricm paiicur,(]uomodo lunt cxcrccnda. 207 a
Co;pu* nulJu tjuauismtcpcric laboraNdct vthcmcti cxcrcitationctxcfccri. 207.b
Corpcracb malam formationcni morbofa, qu(.modo luni cxcrccnda . ^^]^* Ccrpcra
in nun cro n.oibofa cxcrcitatio- nibus vti pofluut 208. d Corpcra zpriiudinc in
fitu laborantia nul- It. ocrcjtationis gcncrc vii dcbct,& cjua (ic caufa
/^'^' Corpoia valctudinaria ^ n3 fub fc/m hu- V 4 itts t ^ O I N i) £ X. Hi>
au^oris fnhm pfit: coiuiiicre. ioy.a Cor^ora rciiiun ciir niuica cxcrcaiciita
ge- ncrcnc iio.d corpbra femim t]iiibi!s exercicacionibus vti debeanc zio.e
corporum f.inorum differencias multasancitjui medici conditucrunt 2 1 i.c
corpus perfeda fanitate prxditum potius mente confiderari poceft,> quam re
ipla inueniri ziz.d corpora multa temperaca in ftia regione in- ueniri dixit
Gal. ibid. corpora cominuniter fana difta excrcmcn ta quotidie gcneranr,fe ob
id excrcitatio nibus indigenc ibid. corpora frigida, vehcmenter, &multum
exerceri debcnt zi^.f corpora humida excremencis abundanc, et ob hoc mulca
cxercitatione indigent,ibi. zzy.c corpora humida .1 labore fufFocari^haec Ari-
Itocel. fencentia quomodo ficincelligen- daconciliator exponit ibid. corpora in
aeftatc potms, quam in hyeme funcexercendaex Anft.fententia.izo.f corpora
quibus temponbus finc cxercenda &locis zzi.e corpora calida et humida
moderatis exerci tacionibu» indigenc ibid.& z z corpora fngida et humida
mulcis, et vche- mentibus exercitationibus mdigcnt ibid. et zjo.d
corporaabijrde,c]uadoq, lacdutur, qhdoq,' iuuantur,proucinisapplicancur. zj 5.a
corporis carno/itas mulcis cxcrcicationibus remouctur Z38.C corporainduto
minusa fole calefiuntfccu duin Arilt.rnlam,& qui dc cnufa z/z.e Cttrpora
luxara tum hominum tum quadru pedum nocando in arcus fjcillimc rcfti • tuuncur
3^54^ coriceum in paL^ftra vhiham crdc.zo. f. et quidclicc zp.c.87.b corycus
quid cfTct cx Antilli fementia. 8^. e. ioi C.Z4Z. d cornarius corycum malc
follcm intcrprcta- tus eftm Hip.conuerfione 33. c cornarius malearguit Budxu.
1/ 8.& i ij) coxas debilcs faltatio coufirmat 1^0,6 coxis cx
Hippocfenccntia equicacio eft ini mica 25^. a craneu gymnafio apud Corinthios.
1 8.f craffi luando cibu dcbcncrumere. ZZ3 c cmcn mediareruus hornbili q^uod^
uioi- bi genCre captusfiiit,quo carncs ab oftl- buscadcbant J.a cracin*' poeca
cur faJtator fic vocatus. loi.b crepacuras patietes faJtu dent vitare.zjy-a
&dircun. Z5:8.c. et /piricum recentum. zBo.d quomodo fiant Z84 e. f
criptoportids antiqui ad deambulandum vtcbantur,& qua dc caufa z^^j.a
crifijafii forma ex Oribafio, quasnata fue- rit. KJ^z.d.eius vciJicas zc9. h
crico mcdicus Komar fub Traiano floruit • Z4f.c crudos piJae Jufus Jardit 243.
b crura infirma fdtatio corroborat 240.0 crurum vlcera haJccre Gahcurabac. z 5
^.e cruftuJari; in gymnafijs cruftra vcndcbanr. 64 c cunisquomodo in aegris
curandis anciqui mcdici vccftntirr jyS.e.^oi.b curatiua mcdicinae pars ob
neceftitate prius eft inuenta, et a quibufdani impcftura quedam dicitur J.b.c
curz fjnnm corpus conferuanc ^.f currendifaculcas a natura daca cft aninvali-
bns ijya curfus ccrcamcn Elciinfticuerunt iiy.c currcns ab ambulaiitc quo
diftcrac. z y i. a currcntcs hycmemigis rigienc ftautibus, &quadccjura
zzo.f currentium fpiritus anheJat zjz.d curribus faciedis marcria apta e
abies.iyi.a curribus manu dudis rebricitantes, vt in- quit Herodotus, vtebantur
et quancuni fpaci; pci ficerenc 171. e curribus ois gcneris fani vtebantur.
ibidi" curribus tcais principes vtcbantur potius, quaHi npcrtisantiquitus
ibid, curru tcfio Plinius iunior propter oculo- rum infirmitatem vtcbatur ibid.
currus niulta apud antiquos crant gcncra, et q et quo rimilia,& djftimiha
erac. 1 73.^ curruhs vedatio ab Eiichthonio cft inuen- . i7i-a currulis
vedatio.ipud mulieres Romanas in maximo honorc h ibcbaLur J^i .b currulcm
ve»ftationcn) R' m.mi mulicnbus abftuIerunt,ob nimium luxum, poUca il lis
rcftiiuci uiu,& qua dc cauia ibi. cwrulis vcdatio jpud gymnaftiLosacftimata
erat 171.^ currus duarum rocarmn antiquitus erat in v^^i» 171.» currus quacuoi:
rourum Phryges muene- (uat ibid; Curcus. I N D £ X Currus fcx rotjrG Scythac
inucncrunt ibid. Curiustoimacl^ vuiia ibid. Cui uu ccrtamC- m ludos oly mnios
quando htinucaum i^ic Curfor i]ui lic cx Ariftot.fcntcntia. 70. d CurluN G^l.
rcntcntia no parQ cofcrt ad i\ nitatc,& bonum habitum. i i5.c.245>.b
Curfus t|uis motus lit.io i.ccius vtiiita',& i4y.c.&infra. Curlus trcs
funt fpccics cx Antylli fcntcn- Ii6.f Curfus apud vetcrcs Grrcos cjd fit. .b
Curfus omnis fcbritntibus nocct. 149. c Corlum pro vcrtiginofis curandis atqi
cpi- Icpticis Arctacuslaudauit ijo.d Curlus circulariscrtcctus cjuifint&
omni- no rcpudiari dcbct ibid. Curlus co$,t|ui fungos comcdcrunt, et qui a
rcriptionibusnfti iunt,iuuac iso.f Curlus quo rcncs ixdjt,& luucc. ibiJ.
Curlu non in pulucrc fa«fto faucium intcrio run: cxulccratiocuratu. ibid.
Curluspcdcs et crura luuac ibid. Curfu^ qua dc caula cx Anfto.fcntcntia ca
putUdac zT*'dCurfus a quibus vitari dcbcc lyi.d Curfus inpoltcriorafjclus
quarnain auxi- lia cx Aniylli lcntcntia corporis parti- busprxUcc iji.c Dutius pcracdiuia,
et dccliuia difiircnuac Cu! fu^ corporc nudo faftus quid c/Hciac . Curlus nuo
tpc magis Gtfacicndus. D DArcs apuJ
Vcrg.ccftu valuit. irr.a Ocaaijulationis vtilitas. 1 3 3 c.i^y. pcr totum
capur. Dcambulationib.loci apii qui fint. 16 3. b Dcainbulatio multa^ habuit
(pcs c et infra. Mi^.c Dcambulaiionc qh vti dcHcmus. xtfc.d Dcainbulationis
ctfc ftiis qui fint. ibi. Dcambulauo mcdiocriscit magis in vfu,& quxfic
Jbid. Di amtiu!ationc pro inrjnij,& afthimatc cu randis C^l Aurcl.vicbaiur
itfo.f Dcambulationc proidcricis curandis Ar- chigcncs vtcbutur ibi. DcamboLtio
pauca quibus nam conucniat Ui d Dcambulatio cxtrcmis digiiis fafta lippicn
nbusconfcrc 26 3. a DcdnibuLuoDUin dificrcntir, a loco liiin- pt.r qux fint
z(ondcrit. 187.C 307. b D;orcu.s aducrfarium vn^uni et finc pulue rc lupcrJUit
33.^ Dioxippus aducrfarium un^ura, et finc puliicrc fuj)pcrjuit ibid. Dilius
quot ngn:ficjt.& quae 123. a Difci cxcrciuciu fuit antiqua. 1 1 1 .b.cius
vti litas xj7. b Difci figura qualis fucrit 125. c Difcus tobuftjs corporibus
conucnit. f Dilci cxcrcitationc loco pcrg itioni.s,& plilc botomii, fi quid
impcdut, vti pofrtimus cx Gal auihoritatc 257.C Difcobjli I2Z Dilcus a
ijcuhtiouc tum in iuuado tum in Ijt Jcndo p.irum diftcrt ibid. Difcus ab
haltcrc dirtcrt 25 8. d D(»ictibus vjrius lcrmo fiibucnit. 283 b.c DoIichu>cui(us quis
fit ii^.e Domitianus Inipcr. laculationc cxcclluit. 13 i.b Domitianus fmp.
locum pro vocis cxcrci- tJtionc inltituit 1 5 8 c Do: fun) dilcus . o: tobor.n
25 7 0 Dorfumdcbik- h. bcntcs crc^ti fiarc noii dcbcnt,& (juadc caufa i69.b
Dracunculi cu ca ci tira et br.uhia multis cir ca marc rubium Jpparucrunc,&
quid fa- ccrciic 4.t* Dropax I N D £ X. Dropax qind fit 213.C Dubiiaricncs duac
circa cxcrcitationes or- ta? foluuntur 102. f Duellum a quo (itinuentf:,&
cuipugngan tiquorum generi refpondcat i/f^a E ELxothefium in palcftra vbi nam
eifet Il.d. 2C.f Illeborum qui fumpferunt geftationc inle ftica fada iuuantur.
2^^.a et in lcdis pen filibus. 301. a JElcphantiafjs Acgypto famiharis quo tcm-
porc Itahs innoiuit 4 Blcphanticos vfu coryci Argtcuscurabat. C.& vociferationc.282 c. Cclfus de
ambulationc.26 j.c. Afclepiades gcftatio nc 2^6. f Elcphaticos natatio maritima
iuuat. ^o4.d Entelkis apud Verg.ceftu v.duit. i j i.a Ephcbus Athcnis lcrpcntem
pufillum, et Ibtim ambulante cfi feniinc cmifit. f.a EphiEbuminpalcltra ybi nam
crat,& quan- tum 2o.f.24.e Epilcpfia jnfolationc modcrata fccundum
meihodicos cuiaiur 271. c Fpilcpfii gladiatoris lugulati fanguinc cpo- to
recDiicirm quofdani curaiur 275 b Epilcpfia /pirmi rctento C^l.Aurel.autho- re
non curatur. 280. d Epilcpfia quo pafto vociferationc curciur 282 e EpilepfiiE
vthiculo pcr lonf^a via vehi non conducit C^I.Aur-cli .luthorc 2^7 c
cpilepticos gclUtibnc Gal.Tral. et Aet.cu- rabant ibid. epilepti.curfus
vchcmcns ex Thco Prifcia- ni li ia Iibcr.n. 2So.e et loga et rcdaam- buiatio tx
Cxl.& Ccl.authurit 2>)2.c cpilept. A £ius curabat n^ancu gcfticulatio
ne.24 o.d i.Tdit de ambulatio. ifi.a.e cpilcpticis Aiu)]Io auihorc nataiio
omnis obcft 304. c Cpifcyrus lufus quis 8j cquitaiio on fit cx rcitatio 79 a
cft motus Uiix us fctundunj Gu c. i^o.f ipi.d equitatio q.d cfficiat et ciu.s
inuctor. 167. c lcnip in h(jnorc tll hab:ta ibi. et 170, d cius
vtilitaic.v,& dan na. i^i.c.f cquitutio (ucculfantc cquo fafta qu dcffi-
ctat 2i?5.b cquitntio pcr afiurconcs cquos fuda qiiid ctfici.it ibid.
cquitationis pcr gradarios ccjuos L&x cfic dus 1^3- c cquitantcs
curaliquando lacrhymas em/t- tant 2^4.d cquitatio an fit geftatio ibi.
erafiftratus mifiione fanguinis e mcdicina aufcicnda,atq.- ctiam oem
cxcrcitatione inutilem ad fanitatcm iudicauit i^i.b crafiftrati r6ncs,quaiuor
qLus cxcrcitatio- ncm inutilcm cffc ad fanitatcm dixit.ibi. crafiftrntus per
inedia trium aut quatuor dieruin nniltos affcftus curab..t 15 3. c crafiftraius
eft damnandus,qui multos ^gro tos dcambulationibus poft cibum cxcr- cebat 2
2j.a crafiftrati loncs foluuntur. 'bid. et infra. c erafiftratus malc a C^Iio
reprchcditur . paralyticos de, mbuhtionc in locis harc nofis f.(^a cxcrcendcs
ludicabat. 26^ £ Err.fmicrror 154 f crcftum Ifarcan fit cxcrcitatio.i^^.f.
vtih- tas et nocumenta 16$ crcdi liatcs quodamcdo mouenrur. 1 3 7.C
ercftumftare antecibi fumptjoncm quo- modoiuuat ^. c crcdum ft:arc multas
habctdiffercntias, et vndc capiantur i6p c creftuni ftarc poft cibos fumptos
quid fa- ciat i35>.c.207.e crichthonius currulcm vcdationem inuenit i7ia
cryfimachus mcdicusad fingultnm curan- du fpiriius cohibitione vtcbaiur. 1 j
^.e cfculcnta lu cibi tum rcmcdij caufa a:grotis txhibcntur ^.f curhorbus lubas
regis medicus,& Antonius Mufa fratrcs vfum aqux fngidx poft bal nca caiida
nionftrarunc 47 b curipidis fcntentia dc athktis 7 i.b c cxcrcmcnta diucrfis
modis e corporibus au fcruntur ipo.f&infra cxcrementa in corporihus detcnca
multas morborum fpccics gcncrant. I5>2.c. i >.b Cxcrccntcs fc fuK Cdc
m.igis incaLlcunt ciaicffcntcUjqu^ n qui luoucntur, fs: ijiu dccaufa ibiJcin
cxcrcmcnca in Iiycmc cur paucagcncrcn- tur 21 i.b cxcrcitatio cx mcdicorum
fcucntia fcm- pcr ancc cibu n a lanis fic-ri dcbjc. 222 d 2 i6,d.i67.c
cxcrcitjtioancc cibum dupliccm vtihracc aftcrt 2i2.f excrcitjiidi tria dcbcnt
obfcruarc 1 cxcrciiationis fadx poll cibum nncnmcn- ta,qu.t fint 222 f 26 8.ii
excrcitacio non dcbct ficri vbi Itomachns cil valdc vacuus,ir(ium hoaunu n
quant.i clfc dcbcat,& dcoilium ibid. Excrcitatio fcnum minc^r cfTc dcnct
quim, cum luucncs clfcnc ibidcni Excrciiatio hycmc fada'citra fudorcm ficri
dcbct Excrcitario ucre fafta vfque ad fudorcm fic.idcbct ibid. Excrcit.it o
Autumno fafta minor cffc de- bct ra.quar xlbic fit ibid. ExcrcitJtio
iiulfuccorum qu.T, et quanta c(fc dcbct 2jo.e txcrcitatio immodicj oibns nocct.
2 3 o.c Excrcitaiionis jmmodicjc fun.i. ibid. ExcrcitJtioncm luucncJ quando
dcbcant incipcrc 231 c ExcrcicJtioni pcragcndx qui modus cft adlitbcndus ibid.
Excrcicationcm viri quandodcbcant inci- pcrc ibid. Excrci- Excrcitationem
antequam incipercnt anti- quiquidnam fjceient ibid. Exercitationem Ifatim poft
cibum nemo dcbetmfjpcrc 232 f Excrcitatio prius remiflTe ac debiliterincipi
dcbet,dtmde paulatim jugeri. ij^ a Exercicatjonis particularis cognitio, fiue
vniuerrjlicoonitione,null.im aftert vtili tatem,& conira a34.e BxercitJti
ibtmi poft excrcitationem ve- Iks niadcfjdas debcnt dcponere, &in loco
tcpido et temperato *33 «b Exercitationcm anctijiiam quis [incjpiat, quid nam
faccrc debcat ^33*3 Exerciiati non ftatim poft cxercitationcm debenc quiefccre,
ncc cibuni aut potum lumcre z^^.b.c Excrcitationis modus Sc ordo totus .itK)nc
incjuibus morbis cunndis A • (clcpiadcs vicrciur 295 c.& infra Gclbtio ui
nuripcrcurbato ofTinino fu- gicnda,bid. GclUito ia iTiari traquillo fada quid
cifi • ciJt ibide.n Gclhtiofine additionc acccpta quomodo ab authonbui capinur
i^T-a GclhtK) vchiculo f.K^ i qtiibui conucnut, 5c quibusnon conucniat ibi.
Gclhdone in qutbu^ mor bis curardis G.il. vrcrctur 297 c et infra GclUtio
morbif diuturnis prodcll ibid. Gc ihiionc lcllj,5c lci5^ica fj {gfli yti pof
(unt morbu iam inclinjntc jco.c Gcliationi^ in aJto auri fadar cflfcctus .
Gymnafta nuHut antiqucrum fcriptorum fulficicntcr tradiuit 7.a GymnaGa qur
njiii fucris : 17 b Gymnafia quare » et a quibus pnmum fint inucota ibid c
GymnaliJ dicbus feftiuis magis frequcnta- ta crant,& quarc 2 7 a Gymn:r:iim
cui jntiqui Tibcri propinquu ctfcccnnt 4oC.ri.nLcntia dc houmie
co.iicUcntc,& nonlaboiaate i^i^ Hipp.patn.i cemperata fuit 2 1 6 e
Hippo.iudicat, Ibhs r.idios capitibus huma- nts m i^nasnoxjsalFcrrc 26 6 e
Hippo.Hcrodici Scly^nb: lani difcipulus ar- icm mcdicjm illultrauic 2.d.4'i.c
Lsboribiis ir.:ifluctos aliquando cxcrccrc dcbcmus,& qua dccaufu
i^^-^-^yO.S Laborc^ mcdcrati quibus nm- corponbus conucniant 21 5.b laborcs
vchcmentescjuibus nam corpori- bu^ conucniant ibidcm Laccdcmonjj vcnationc fc
cxcrcebat 187. c Laccdimona? djmn.at Ariftot. cjuod puc- ros niirijs liboribus affligtbant.
2 28.f Laccdzmonuno Jcxcrat, ne in balnca pix inferictur /^4.rbu Ijbor.intibus
ohlic 261 d Lcdi apud anti(]Uos varij crant 5 8 b LcC^lus fulcra mobilia habcns
quiJ fit. 1 76. e.joi.b Lc^lis pcnfilibiK pro ari^mium cxcrcitip antiijui
mcdici vich.intur. 17. .d.quid c(rcnt,& quomodoficrcnt joo.f
LcdispcnniibusjCelfoauLhoie, quando vii dcbcmus ibidctu Lcftis pcnfilibus
gcftiiio f.jifta tam antc cibum,i)u.Tm a cibo prodcll ibid. Lcftici qujrc ci\
inucnia. 175. b. 17^ . a. &• quot numero /crui ca portarcnt. 1 73. c et inf
cius vfus. lyS.f et 2y9.b Lcc^ica pcr vfbcin gcftari lilcrtis crat vc- titum
174. f LcOica noftra cui anticjuorum fcllccorrc- fpondcat I7y.3 Lci^ica in
languciibus aniiqui mcdici vic- hjntur i7^-b.2yj?.b Lcclicaa fclla diffcrcbat
i7J.c.& 2yp.b LcCtica muhi vfus apud antiquos firit. 2^8 Lcfticj,in cj
(cdttcs.cjn.i vii polfiiit ^j^^^.b Lcd^uh pcnfili) agitatio quaudiu ficri dc-
bcat I77.b Ledionis fpecies,& caruni ad fanit;tcni vlus .285.2 Lcftio
quomodo ficri dcbeat 2 8y.c Lcclionc rcmilfa polt cjborum fun.prionc vti
poifiiirtis ibid et inf. Lcnti laborcs quibuldam corporibus ron- ucniant 2if.b
Lcilurgica fcbrc I horjnies in Ic(flica dc- cuml cntcs vchcbjniur 2^p.a
Lcucophlcgmaiia corpus totum dcturpat. 107. b Libcrat .i morbo, ijuid
/ibiauxflio fucrit,' tabcUuI s notabaiit, ac tcmpiu Apoiiinis dit.Tl)ant 2 d
Libarij in Gy mnafijs liba vcndchant. 64 c Libcrtis c.it intcrdi^^um quominus
pcr vrbcU' ItftJCj vchcrtniur i74 f Libcrdc ji)l€2 prope paludcs& rtagna,
et huiuiuiodi .nlia funtuula 2i8.r X-oca pro|)e marc ad Mcridicm,velOcciden tcm
fpcftantia lunt mala ibidciii )Loci ad cxcrccndum apti funt tres condi-
tionc.s& (\i\x ibid.& 2 i6.f Locorum vis cjuantumpoflit 215. c iofus,
Tbi uocis cxcrcitatio ficb:^t, Luduii)
cur intcr nthlcac.is exerciiationes cnnmeraucrit hniiis opcri^ anthor 88. d
Ludi B.iCiho dicnti ctc7xo'A/A di^i I2i.a Ludi matutinj qui cfunt, et qui magui
64. c.&^5«a Ludoru victoresr,uo honorarentur irb.c Ludajpraefcdus,&
eiusonus ^o.f L^^d fincs trcihabuit lof .a.quatuor modis fieri potcU ^ 24*.e f
Lud^fjriaearcis au^orCs,quifuerint loj.a 115 c Lud^im G.ilcn.artis gymnafticae
minimam partcm c^ic ludicauit . 102. f.cius jpud antii)U()s matnus vlus fuit
244 d Ludam noltro lempore cx^rcent rullici, quoinodo apud auticjuos aihktx
excr- tcbant i44.c Lufta vchemcnter, et corporc crcdo fafta quid corpori pr«lK
t 244. f Liida habentib.crura d( bilianoccc i4^.c LuCta cjui rationc pefton
uocet 2 4^.c Lu non vencfic.i,& quomodo 8.e Medicina! cjuando opus non
cr.it i.b Mcdicinx jurtes, cum Imt duicrfap,diucrfa cti.Mn nomina fcrtii.T lunt
j b Mcdicus quomodocorpus hununum co«- fidcicc li.C Mcdicus I « M I w w Mi M W
u I I N D E } McdioKcft artifcx trcs fcnfaias iraftans 2X1 d Mcdtcumcnta
«luofdani luuant, quofiljm Kxdunc iif6.c >1cdi.jltini in balncis c^d faccrct
30. c 6^.2 MchncholicosiuCta 1 hcodorus Pulcianus curabjt i45'3 ^lclaniholici,
dtim lcgcrcincipiunt, ^ur lomno capuncur t^6.d MdanJiulian» I I» odcrui
Piifciai.us, et Arccjtu^ gclbucnc curnbant i96.t Miichior Cuilanpe baincu cr^nt
lici%& i]ua rjiK iic j*d Jdc nfa \ Icdi lin.ui a-)ud antiijuos para- baniur
56. ( Menlhua ranicatcm corrunipunc 48^ Mcnftrua fdliixs cuocat. 2 M* ^ dcambu-
Ucto * 26or.t^3.a Mcntagra x^riiudo Plinij .xuic noU^ mno- tuit 4- f Mctforcs
ciuayccaufaa uiAu iaordinato 5: prauonon la.djncur 225' b Mcthodi vniucrfalcs
cx Gai. fcntcncia nifi { .iiticubribus fpcculationibus lungan tur parum luuant
i8y b Militaris diidphnx cupidi gymn.i/ia ingrc- dicbaoiur 2tf.c Milo
Crotoniata f ir robu(li(Iimus. 67 2
NatJtionis locui c^uid fit i^i^- c et 184 ^ cius f^Cviti S^i. N.tacio
ijuibu-da argritudinibus cx Aniylll lcuttntiJ,&: O-i.o nucnit ib^.a.ib^.C
Nataiuri i)uid agcrc dtbcot,antC4uam na- tcnc Nacatio inicr cxcriitationcs
numcrai 18 j.a Nacationcm cur anutjui addifccrcnt ibid* iSj.a.^f 3.b N:.t:uo i
l^uuio f-^a fomnu inducit So}.c Nacatjoncm in ai^uis fpontc nalccnubus fa dani
Aniyilus iipprobac 3®3«c Nat.tio pcrnicioliil ma i]uz fit jc^.d Njiariolub Dio
fjCta cjuid c pcictur 304.C N..CJC10 fjcihus in mon cjuam in iluuip iic
Aniijuihorc ibidcin Nacacio cahda indurata cmoiht, et frit,cfa- aa calcf-CiC
&: tius nocuincnca 304 f Nacacio (rigida caiorcm nacurjlc validum
(Hlicir,& conicdiou( n) adiuu.t ibidcm Njtaiionc frtc]ucnti, ii ^uis
viatur, ncrui ixduntur .3?^»* Naiuiar caijdac fircundum Hipp. cjuiciccrc dcbcnt
i96.( Naturar hon.inum adco diuci fx funt,vt oc mo .Jtci I j^iorfu^ iit limiiis
ly^.e Narura coijoribus lioliiis mcatus muitos curdcdcnt 152. c Naiun» calidis
cjuics cmucnit 206. t N. u luatio an (it cxcrcjtatio 78 f Nauigaiio «juibus
nioibis autliorc Auiccu* X fiotit I N D E X. proGt ^ 3oa.f.i7P.b N.iuigitionis
modus valctudinanjs conuc- nieris qui fic cx Herodoti lentetia 179 c
N.iuigitionis fpcciesliinc mulcae, et qune& 175? C.301.C Nauigacio pc^ flu
nen fact i minns pertur- bacquam qu^ per ni ire, Sc quare, qui- bufdam murbis
conueriiac i8o.d Nauigjtio incer cxercitationcs ab Antyllo numeratur I7y.a
Nauigacio corpus raouct,& pcrturbac ibi. et quare i8o.d Nauigjtioncquinam
vtintur jbid. Njuigantes Ciwn mjgiscolorati ijs, qui m paludibus dcgunr,&
qua de caula 1 8 i.e Nauig jtioneranii> fjiftjs cfl Anneu Gal- lio fangainem
exoucns 17^ b et ^oi.e Naumjchia: cur a Po^.Rom.iint inftitut e. 180eNe)iei
ludiapud Cleonasagebmtur ly.b Ncphretici Trdl. rencentia icdtica vii pol-
lunt,& qua de caula . 29-^ a Nepiiriticis njuigatio maritima prodeit .
303,3 Ncrolmp. gymnafiaquindo; ingrediebi- tur,vtathierasccrtantes videret 26 c
Nero Imp.muficu cercame mftituit. i/S.c Nerolmp. ia lcvftica cum macrc
quandoq'^ vehcbatur 299 c Ncro Jamina pe Aori iuipofita fubea canii-
cacxclamabjc ^60. d Nicomjchus Smyrn.^cus uilde crafTus qua vu ab Aeiculapio
fic curacus a mmii il- la crafiicie 207.C Nitro,& aphronitro fricabanrur 3
4.C Numa fccudum Plutar. voluitadorationes fcdendoficri X59.b Numeruscxprimit
rcru fimilicudincs. 96. d O OCuIi lachrymantcs Irduntur falta- tionc i4o.e
Ocuii lippictcs, et lachr-ymofi d quantum- uis mimmo motu l£duncur,quiete vero
rccreantur. a.b Oculorum
circumuolutioncs vertigine lari^untur lio.d Pcrljp v;rtu\ rationcm, cxcrcitationc.n
il'Iigcntcr proti:cbintur i^S.a Pcrfis bborct lOr^Hiris Cyrus inditUiUnrc abi
luin.)tioncm.'»riu^nf c «tatis nrnimcntu 1x4 PotuLiicj (u ciui tu ii rciucJij
CiUia xgro iiscxh:bcntur 4.f PhcnmJa vjuiJ V vnJc diratur S^-f Phcrous d lco
Hyjctnc'iu intci fecit in^ c Philagnus nudicus pofluuium lcininis cicrcit
.iionc partiu * lupcriuruin cui a bat 147 c curluk Aiuyllus 190 f PhiUiiiv)ua
Pilx tMgonalis figura 9^ Tila p.igjnica iju.e nam cffct. ^4 d tudjtlt nauigations fpc- cics,«ia Pilcjiorcsroanrini
cur pilos rutfos habcac 181.C Pilcina pub.Romr vbi mm fucnt 1S4.C Py.h.igoras
c|uidain athleci» primui carncm cxlubuir 7x.f Pythagoras voluit aj jratiuncs
fcJcnJo ticri i b
Pyrh"Chiacfjltat'oi t im- »,i Put.ichuv M ylc.i^* PhrV'»i)nc Arhcnicna d
uc 5c p.r-r.uij'tc cxccll.v.cit, b c)ujm fc itJtu i i {*')' jnc »ci ercda luit.
1 o.d Py hici InJi Dwlphis j^cb iKur i^.b Pjiuaufi vc citcrjtion> luuantur
181 c I'1'roni lcnt. ntia dc aitc jvmnaflicj. 12 f P aio Ijudjr in v.Jcrcp. vt
mujicrcs nuJx cnm vins in pjl^lha cxcrccantur C Pl iio f .11 oiMfdjni Jthlcta
fuiC 7 1 .c l'lato .*uit Hip fcdacor 80 c Piato buJauir vc et pucri et virgincs,&
niu lic cs, et ho iiincs tam nuJo cor|>orc quainannitocx-rccrcntur . 116. d
P.aro knbcns llitum motui contrariu n n6 prorlus vcrj locurus cll 13H d Pijco
diCic njcurjs diuinjs cx motu et ijuic cc c onftjrc ibid. Pi.iuti vcrlus dc
ariticjuorum pucrorum nio nbus in p.iiaftra 29 b Plimuv fciibjt aihlctas
alitjuando coitu vti iolitj iuniori-i ctercitatio ^ fiicrit. zii.d Pilinms
miior diim vocc ik it >m^clio Ubo- raret,lc«ftione chra liberjciis cft zSf.b
Plini us Co^cilius vchiculo gcU.ibac. zyo.b Plinius Romac Sclla vtebatur, vt
intcr cun- dum rtudijs vjciret i99.c Plmius lunior corporis (anicatem ven.itio-
ni rcfc-rebat 1 8 7. c. 3 07 c PoJalirius vcnationc deleft.ibatur i Sj.a
Podji»nci faltum dv^benr fugere. i n»3 tro- chum 289.C Pidagrico. Icnes et rcmifT*
iuuat deambula tio,5t vehemens I«.iit z^^i.c PodjgriciTral. fentcntia Icdtica
vti poflfunt et tiu.i de caufa ^99.\ Pofis fecundum Simonidcm eft faltatio lo-
qucns 96. f Pompeij magni exercltia i i^r.c Ponb nau.nachiarius quarc fic
vocatus flt . Poppca Domitij Nero. vxor, quid faccrer, vt cutis candorem
acquircret 1 7 . A Porphyrius philofophus carnis vfum cur prohibuit lyj.c
Porticus tres extra palacflra quomodo di* fponerentur zo.i Porticns erant
partes gymnafiorum piincipa les,& quomodo fe habcrcnt 2 8.e Porticus Pompeiana
ad deambulationem aedificata i34-c Porticus in viridario Vaticano qualis fit .
135. A Potabant veteres cornibus boum $$.h Pr«edo quidam in Pamphilia homincs
pcdi bus priuabat 1 3 3 c Prandium apnd antiquos quij c^fet r i-f Prafinae
fa£tioni maxima ciuitatispars faue- bat i68e Prafini crant una faftio Romana
ibid. Pratinas pocta cur fi vocatus faltator.ioi.b Praxagoras rcprchnditur, qui
cpilepticos deambulationibus plurimis,& vehemen cibus curare nitcbatur 26 i
c Pracmia ccrtatoribus cur fucrint mftituta. 14 c M.A PriapifiTJum p'\\x magnr
Itifu Tralianuscu rabat.242 d.atquc •tem halterc |i5^.e Prodicusacgra corpora
cxerccri iudicabat. loj.b.propter quod ab Hippo.rcpr chcn diiur 2 4T.b Prodicus
valctudinis ftudiofifid nus fuit . iio.e Propn^geulpalaeftra vbina crat.
xo.f.^J.A Propinatio iuxra veterem nrum', m cohni* uio f^ftj cx Rh minufiano
lapide $ Pronerbium in harcnani dcfcendeie vnde fit ortum i6.d Prouerbium illud
difcum ( fljuani philofo- phu audirc malunt) vnde fitortum.z». C Proucrbiu Ne
qras in ftadto dolic hu. 1 1 7-a Pjouerbium trjnfiremeram ii^.b Prouerbium
contra eo$,qui nec litcras, nec natarc fcicbant idz.c Proucrbiu a mari et terra
fumptum. 302.6 Pueraquam prxbcns ^6.b Pueroru geftatio in vlnis nutricutn eft
qiix dam ipforuin cxcrcitatio 176. d Pucn poft H;ppocr. aecatcm podraga labo-
r.irc incc^crunc propter ingiuuiem. 4 e Pucri frcqucntifli.nc faltationi opera
dabac loi.b Pueri muficam Pbtonis, et Ariftot. fcnten- tia dcbcntaddjfccfe 1^0.
d Pucri a ploratu ex Ariftot. fcnrcntia proht beri no deber,& qiia dc ca.
i/^o.f .6 Pucri Gal tempore in aquispueriles ludos exerceb-int 183 b Pueri
vfque ad vigefimum primum aetaiis annum labores muJtoi indiffercntcr fer^
repolfunt 228. c Pucris perironf um aut fcrotum fpiritu rc- tento rumpitur
28o.e Puellaj funt ex Piatonis fentcntia gymna- ftica bcUica cxercendae 66.£
VucWx pulcherrim^ fingulari ccrtamine cer tabant 144.C Pulmonc
vlcerati,inculpati viucbantin Ly bia i73,,c Pugil quifitcx Arift.fententia 70.
d Pugilatusante bellum Troianum fuit in vfii iu7 b.fanitati parum confert. 247
A pugilatorcs quomodo certabant 1 07 c pugilatusin gymnaftica mcdica exi?uuin
vfum habet "loS.e pugilcs vocabac veri nthlc f fm Gal. loS.f pugilcs,&
athlctT aliquand j in Deoru nu- mcrum relati 7 1 /\ pugihuu imago i02.b
pulueribusin multis cxcitationibus anti- qui vtebantur,& qua de caufa 236^4
puluis uim habet cmplafticam cx Galeni fententia 23 8. d ^u^ilatus
nocumenta,qua; fint 247 c pu^ilarus fuit paruui LulUs in gymnaftica mcdica 248.
d pugn.B nomcn plura fi.^nificat i4'>.f pugna, dcqiuhicaudoragit, quidcflcj
et quoc I N D E X. Qot eiuj fpcclcj cxOubafij fcnicntia ibidciv.&: X73.a
Fuona > mbracilu cjuomodo ficbat . ibidcm lOI. c Pugna tcK.rum quomodo
ficret ibid. Pugna firgului is tjm n t d«- ficrct ibid. Puiinas fingul.ucs t
xcrccbant Ijccrdoics in Fcrp mo G.il.iemporc 14» c Fugna jdiicrfus pjluni ^uinam
>tcicniur. 14 >.c.X7J.a Yiigna vmbrjtilit ubi i Cjleno budctur .
i4'.C27?b Fugns arm.)tj a Dcmea inucnta. 1 ^6 c Fu^nis fingularcs eiiani Romani
cxc.cc bant 14^5 d ibid. Fngna fingutarit rudibus armis fMi a NLn tu^^t^ crt
inucnta I4rb Pu!u:s in vn^^ionc quid prapftarct
j.a et 1 > 8.d. vnJc portantur 3 f.e Pyrrhus Ligoriu^ annquitatis
pcrrtifs c Fyrrhrchix U!talionc$ tjux fucrint,&^ S"^ laucntx QVatUans
crat mcrccs baJncacori data. 47C Quadrata corpora abcxcrcitationc quomoiio
iuu..ntur ^i^^ Q^ad. igx m pup. faais ficpc ccitaucrunr. 171 c Qii:^rtana
bborantcs, vocifcratio iuuat . 181.C Qumqucrtio qui fit cx Ariflo. fcnicntia.
7o.d.c Quotidiana fcbrc laborantcs in lcAicadc- cumbcntcs vchcbjntur a^y a R
RAucnnj Strabonis authoritate acrem fjlubrcm habcbat 7^.2 Kjiis fcntcntia dc
vcnationc 187.C.506.C Rcncsdcbilcs I.Tdii faliatio 240.^ Rcit.cd.oruii omnium
njtura eft, vt pro- fint,& abquid cnam c^ftcndant 1 51 a Rcnibus
malc-ttcaisIuOa nocct 14 rc Rcnum lapiili optimcialiatione otrudun- rur 240
Ci54f Rcru imbefillitate, vcl feruore, vcl \Kcrc artcC^i liliu vitcnt 25 5 J et
dilcu. 2^7.c Rcnu.n jnfl.imni tionc laborantcs crc^i ftjrc noo dcbcnt 169 b
Rhjmnufi nu^ lapis, in quo fculpta cl\ fbr- m.jTrKhni),3nti(]U!friinus 56
Khcforcs in palacitras ad difputandum con ucn:cbant 20.c28c Res i6nc finis
raria noU Cirrire funt 203 a Rcfoluti Tral. fentcntia lcAica vti pofujir, et qua
de caula 19^ a Rdpirjtio ctcbraium ofcitationuin cft rc- mcd.um a7P.a
Ilcurdurcs in balncis qui clTent 50.^.63.« Kigorcs f.iltatio atcct 240. d Kilu^
qCo fiji,& quid cfificiat 16 i.a 287.6 Konuni { ('liicmi oimhO ^yn n^ifia
ad GiaB corum inntJiionrm ihuxctunt 18. £ Kcmjni in bulncis mulio graecis
lafciuiorct Romani fuos miliies et mari et tcrra cxcr- ccbant iSo.f Konunorum
n^uliercs Varronis tcnimonio in cc dcni loco cum viris lauabaniur. 48 f
oppofi:ioncm J3 c Ros vim habct colliquatiuam, et idco bibi- tus gracilitJtcm
inducit 2^7 a Rot^ curruum Homcri icmporc ftanno or^ njbantur i7i.a RuHus
tphcfius Romac fub Traiano floruit 145. c Ru.tati eraot voa fj^io Romana l^S e
S SAItantes pondera aliqua habcbant quorluiii 1x8.4 bjita^oria: cxcicitationis
fpecicS|& cius di- uiiio 81 Saltatoria facultas in imitatione foio mrtu
fjda confiliit fi6,£ Saltatio fccundum Simonidcm eli pf>efis tjccns 96 f et inf,
Saltatio vcra i mufica fccunduui Plutar- chum dcprjuata cli 97't S. Itjtioiiis
inucntor quis fucrit 97.2 Sj/tationum diuerfa nomina vndc fitoria» 97.C
Sjltationis finis 100 d Saltjtioncs vbi nam ficrcnt loi.b Saltationcm antiqui
in conuiuijs exerccbic 10 I c SaltJtio qurqi antiqiiorum ordine, ronc, et proportn
nc indigcbjt ijy.b Saltaiio opportunc fjdU inultas affcrt vtili. tatcs, cadcm
inoppoitunc jdminifirat^ multa dctrimcnta iionum prriiat 239. c SjIius
viilitjs,»ntingunt, (]Ui Ic cxc:cucrunt,5c ijua Jccaula 19 r A Somni pr«.tundi
concodioncn» mcliorcm efficiunr.S: quj dc ciufa ibi. Soao capiutur Irpc mtctc
fpcculatcs. i ^^. Somnolciiii ciir fiiu dccolor.jti i44-5i.c SpiMtus cohibmo
»'jciat • } • a. cius rpcc:cs.i5} b.cim
vtiliiJS.X78 d suibus conucniat 17 9.3 cius nocumcnia.ib d b Spiriius cc
hibiuoncintcr c £tcras cxcrcita iioncs Athlcix d«abus dc caufis vicba t«r,
Snlcnis xgtitudinibus cx Aciij kiucntia curlus clt vtilis no.d.f
Splcnctu-oNgcf^..tioncThccdoius Prilcu- nus,& Arctruscurabant ^9^^ Spuni
apud antujuos m.igna infamia noca- bantur et a nobiLum commcrno cxtru- dcbantur, Spurma qua vi^us rationc Spurini nnJiOi fanitnrc cofcruaJa. 113^ c
Spura corpuscxinaniunt StadiumgymnjfDspars 5*. Stanscxcfcttium ' Starc maio:
ci. corpori bborcm affcrt^.iua ambidarc,& quarc Starcc.lcib.s3ut;..m.n.,d.gitis innitcn. do
nihitn.li molcitumattcrt »71.» StclUsdcfic.cntcsminromn,svidctcs.,uo
„.odoabHippoc.c»ircntur ^n-A Sccphaiuofuuinucntor togatx (altation.i
StcVcoracorpascxInaaiunt Scomichaccxgritudo Plinij rtaic aoftro orbi not.i
f.iCta cik ^-^ Stomachusin coqncndo dcbili» i falta. 10- nc corroboratur
Sio.nachu n frigidis morbis opprcnum cu- latcurfus ^^^-f Scomachicos fpiticB
rctcnto Cxl. A'»r. cu- rabat.i79.c.& vocifcratiotic i8i.c.Arcle pij
gcftaiionc \ ^^^1 Stomach 1 dulorc Thcodnrus Pr .fcianus, « ArctJTUs gcduionc
curab.mt »bid. Scomachi .itK a;ombui curandis gcftntionc Actius vtcb.itur X98.C
Scomacho l.>borancibus vnftiones cxcrcita tioncs,S£ vocifcrationci commcndat
Oa lcnus . . »8'' Stomachicos n.itatio maritima iuuatjo^ c Strii;ilcs balncorum
quid cUcnt, et cx qua inatcria hcrcnt 3'^' Siudia corpus confcruant fanum 7 A
Sudorcs corpus cx luniunt Sudor cft motu piouocandus,5c q»a dccatt Ta . Sudor
finc motu proucnicnf dctcrior co dt quj a laborcproucnit »53^ Sudor ijua dc
caufa manus cxcrccniibus cx Arift fcntcntia cffluat »47 c Sudor liccus
qnisfucrit ^ 3«*} Suc omjlocusdcrcincdioh.ncnaru et aru dinii.Aiigu :ti,qu.j
fit mtciligcdus. 264 t Suftii(i o'1's co.o ts fubcos ludicant a^i.i
SurdtcatccaptosGjj.Tral. 6c Actius gciU- tionc curabant ^973 a Theon Alcxan
deathlccica fcripfic 70. c Th' rpiui pocta riltator cur /ic vocatusioi. b Thv
/Tcilus mcdicus Ncronis actatc floruit . is^.a Theffali qna dc caiifa ccntauri
fint Tocati. 167 c Tjbcrius Impcr. fcimpodio quandoq; re- hcbatur 177 c Timonis
a v.\i Juobus nicnfibus, finouiis annis in cufC-nis IiticabJt " y.a
Tyrrhcni lub eodei» regmncnto cum mu- lieribus jccumbcbanc f^.c Tjrrheni nd
tibiam pugnis certabant 107. c Titus Imp.hujbatur,vbi et plcbs 16 f Titus
In.p.qua dc ciuIj /it mortuus 47 a Tonfillas pjtjcntibus iuda noccc 246. c
Thoraccm hJtcre lardit . 25^. f& difcus. Thorax humidus ambuKirione fada
cilci- bus incunibcndo fauatur 2^3.3 Thorax difficultcr fpiras deamhulati' ne p
accliue fada luu it cx Antvili /iua 2^^3 .5 Ti i.; erant Kt mx Joca,vbi
licterarix cxci ci tatioi:rs h.banr,& t|n« z^.b Tricliniuin marm orcum
vetufti/fimu Pa tauij in nedibus Khaniniifijnis ^6 Tryphon dc atbleiica
fcripfic 71 c Tripudia nfa faltationibus antiquoru cor- rcfp6det& in quo
.ib illisd fferar 239. b Trochus graecus (|uomodo fiftus cflct no- bis cft
ignotus i62.f.& iatinus ibj.& qui- bus conucniat 2op.c Tubi perquos
circufundcrctur calorpro- diens ex bypocaurto 4^.3 Tubicinibus ipiricu rctcnro
pcritona:um runipitur 280. c Tumorcs laxos gcftatione Actius curabat 298.e
Tuflfis (icca, fpiritu reteto,curfu no in pul uerc fa{ko curatur ex Celfi fnia
2/o.e Tuflis i frigidacnufi orta fpniius cohibi- tionccuratur 278.^ Tiifli^ a
filcntio cxtinguiiur i^^.f Tybcrius Impcrator omnium primuscolis d'.vIorcm
cxpcrtus 4 f V ^TAIerius apcr milcs caecus quo rcmc- dio, oraculo
pra?nunciante, fucnt a cicit..tc libcraius f.c Vjlcriob rc^cpniar contra
Fuchfiuin, fol- Icm et Corycum diffcrre 87.3 Valcrudin.jnj quomodo Cwt
C/fcrcendi . 20p.b.23o.d Vjljrium quid cfret 43.^ Varices pjticntes fjltum
erftjoianr: 25 f.i Vjricibus Ijborantes cre£li ftare non dc- bcnt 16^ b
V.iriccs quomodo gcnercntur ibid. Variar lc Romana if^.c Ventres fngidos luda
curac 2 4y.a.& curfus 2JO.f Vertiginofos manuu gcfticulationc curabat
Arct;tus 240. d VerriginolosI.Trditfaltatio 24o.c.&pilv lu- fus 242. d
Vcrtiginofi luftam vitarc dcbent 1^6. c et curfum ciicularcm. 2j:2.f. 2^2
f& trochum. 201; c Vcrtit;inof?js m.^Ic curabat Aret.rus pugi- Jjtn 247 c.
cuiabat c:iam difci cxcrcit.-i- tionc 25 7. c Vcrci- I N D E X ^cmginora
p.ifllo vndc omtur i^Ti.f Vci tioinofos ycajiione Gal.Tral.& Aci.cu rubant
^ ^ VcrcJuN cr.u vchiculi fpccics i Vcrus I npC: priinuscuin duodccim (olcni
conuiuio .iccubuic 54«a Vcficx lupiUi optime,rjltattonc cxtrudun tur ^ ^^'^-^
VixapuH vctcrcs grarcos qux hnt 2i7'C Vitjili.r l"«nuin corptis conlcrujnt
7 or.inccs lcdica vti potTuni. I9f a ViJ»cr.iriiin morlibus tibt.iruin moduli
pro- lunt.vt Gtllius rcfcrt lc jpud Thtnphra itum inucniirc i^^.c Virgo lons ladu
crat iucundtlTima y o.f VirgmcN lccundu m 1'btoncm lunt in gym- n^ifticabcllica
t xcrccnJx 66S Viri tJnrum apud aiuiijuo accuinbcb.it,non muhcTcs y?c Viri
apudantiquosquoium niodo accum- bcrcnt H-^ Virinoic quid intcliigat hic auftor.
iiS.c Viri funt tcrc omuibus iuor>l>us apti. z i i.r Vilus dcbdicati . Jt
oOicuritjti gelbtiorc- tio icrla facic tjcla, Auicen.autho.^c.con tcrt 298 d
Vitruuiosfl iruitxtatcCjf.Aug.iS.d cius auihorituv apud jntiquos parua
luir.iKid. VlccribuN quictc curandis llarc et lcdcrc ad ucrfantur 13^ Vlccribus
intc. nisjCf 1 et Cel. auihonbus, dcambulauo rcnv^a, et molLtcr f-^da prodcft
i6\.c Vnftione qui nam vtcrentur 30 d Vrd onts mJtcr.aqux fucrit Ji.d Vnaionis
finif 3 3 c Vndio poft balnca quid prxftabJt 3 1 .f Vnd 10 ab aotiquis quomodo
ticrct, cii !n- ccnum ^d VnAionibus in miiltis cxcrcirarif»nil us jn- iKiui
vtcb.«nrur,& qua dc caula x 3 icic^asna- ui-Jiionc lihcratusclt
lyj^.c.joi.C a>T4rvf qu;d iii 64 f.5>4. f- cius vtihtas. AKnSnp mcndicum,&
crroncum ligniticat 1 i8 d * *f ^ifdflU quid fignificct.i 4y courtesy of the
Bibli REGISTRVM * ABCDEFGHIKLMNOPQJ^STVX. Omnes/untquaternionespr.Ttcr * &X
qui funttcrnioncs, ac Dquintcrnionenu. VENETIIS, APVD IVNTAS. M D C i Grice: “Mussolini
said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the
word!” -- Geronimo Mercuriale. Mercuriali.
Girolamo Mercuriale. Mercuriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica, bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the
demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice.
Mercuriale.
Grice e Meriggi –
il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo italiano. Como, Lombardia. Citato da
VAILATI (vedasi), “SCRITTI” – “un appasionato”. Progetto di lingua a priori, il
blaia zimondal è elaborato da M., professore dell'istituto tecnico di Como. Il
blaia zimondal parte da un principio fono-simbolico. Ciascun *suono* possede un
significato naturale (Grice) o *senso* generale corrispondente al suo modo naturale
di formazione fisiologico – fisi, NATURA -- luogo e modo di articolazione dei
foni. Così ad esempio -- a, vocale aperta, esprime ciò che è grande, alto,
forte, bianco, evidente. -- i, vocale ANTERIORE alta, per il fatto che è
prodotta serrando quasi completamente la bocca, esprime ciò che è piccolo,
basso, leggero, interiore -- u, vocale POSTERIORE alta, esprime ciò che è
basso, scuro, pesante, lontano, futuro -- p, consonante occlusiva bi-labiale
sorda, suggerisce idee di forza, pressione, pesantezza, caduta, blocco
repentino -- k, consonante occlusiva velare sorda, simboleggia l'idea di
solidità, di siccità -- l, consonante laterale, esprime le idee di fluidità, di
morbidezza, d'elasticità -- r, consonante vibrante, esprime le idee di
rotazione, rapidità, rumore. L'udito dei vertebrati si è evoluto principalmente
con questo scopo: identificare la natura degl’eventi a partire dal suono che
emettono. Solo più tardi l'udito è stato ri-ciclato dalla nostra specie per
servire all'apprezzamento di parole o musica. Ma il ri-ciclaggio è stato solo
parziale. NOBILE (vedasi), VALLAURI (vedasi), Onomatopea e fono-simbolismo,
Roma, Carocci, Bussole. La capacità di associare dei suoni della propria lingua
a suoni naturali è, a detta di VALLAURI (vedasi), professore a Roma, propria
degl’esseri vertebrati. In sostanza, cioè l'uomo è in grado di produrre suoni
che ri-producono avvenimenti della realtà e di associare a questi - più o meno
consciamente - determinate idee. Così,malgrado l'alto grado di formalizzazione
che i suoni del latino deve possedere per funzionare da supporto del sistema
morfo-sintattico e lessicale, esso conserva dunque una prossimità sufficiente
ai suoni naturali – nel senso da H. P. Grice, ‘fisiologia razionale’ – natura
-- per surrogarne l'originaria funzione biologica di indizi percettivi degl’eventi
rumorosi. Sul fenomeno del fono-simbolismo è comunque consigliabile una certa
cautela. Ad esempio, sebbene il suono vocalico [i] puo ri-condurre alle idee di
piccolo, carino, soave (cfr. it. 'gattino', 'micio'), e il suono vocalico [o] a
idee di grandezza, mascolinità, robustezza (cfr. it. 'colosso'), non possiamo
ignorare i numerosissimi alegati contro-esempi, sia latini o italiani (cfr. it.
'massiccio') che non (cfr. ing. big 'grande' e small 'piccolo'). «fl» esprime
il senso di fluidità e liquidità insieme (cfr. lat. FLUMEN, it. 'fiume'. L'associazione
di significati – SEGNATI -- a singoli fonemi e nessi consonantici è un tema
ricorrente nella filosofia a partire dal Cratilo di Platone, che riconosce ad
esempio alla lettera greca lábda |! un valore di scivolamento, come dimostrano
le parole greche léia 'cose lisce', olisthánein 'scivolare' o liparón 'unto'. Anche
il matematico e crittografo inglese Wallis nel De etymologia sostiene che il
nesso consonantico [sl] veicola l'idea di scivolamento -- cfr. ing. slide,
slip, slime, slow. Ne discorre ampiamente, in tempi più vicini al filosofo,
anche Brosses nel suo Traité de la formation mécanique des langues et des
principes PHYSIQUES [fisi: natura] de l'étymologie, in cui sostiene che il
nesso [fl] evochi l'idea di fluidità - cfr. lat. fluere 'fluire', fr. souffler
'soffio', ing. to fly 'volare') e l'italiano CESAROTTI (vedasi) nel suo Saggio
sulla filosofia delle lingue nel quale, traendo proprio da Brosses la maggior
parte degli esempi, riporta proprio il caso del nesso [fl] della parola latina
FLUMEN come espressione di liquidità -- Per approfondimenti sull'ideologia
linguistica di CESAROTTI (vedasi) vedasi BAGLIONI, L'etimologia nel pensiero
linguistico di Cesarotti, in Cesarotti. Linguistica e antropologia nell'età dei
Lumi, cur. Roggia, Bari, Carocci] «bl» esprime il senso della parola; «kr»
ricorda le armi e le macchine; e così di
seguito, con l'abbinamento di ogni suono a una determinata capacità espressiva.
Se il singolo suono contiene gia da sé un significato [NATURALE, o megliore,
FISICO, O FISIOLOGICO], combinando i suoni a due a due è possibile costruire
dei significati più complessi, risultati dalla somma dei singoli significati. A
questo modo :«pr» la pressione rumorosa. Con questi elementi è possibile
formare delle radici monosillabiche corrispondenti a delle idee precise. Ad
esempio congiungendo le sillabe «kl» (composizione delle idee di solidità e
fluidità insieme che corrisponde praticamente all'idea della costruzione,
artificiale e naturale -- e «am», che esprime l'idea dell'amore. La sequenza
«klam» INDICA il concetto di 'casa'. Ma «klim», che rende l'idea del piccolo e
della costruzione, significa 'stanza da bagno'. È evidente che tutte le radici
di sensi vicini si formano tramite la combinazione e la variazione delle vocali
e delle consonanti. Sebbene si tratti di
una lingua a priori, cioè non derivata da altre lingue storico naturali, vi è
un caso in questi due sistemi linguistici si incontrano, ed è, ovviamente,
nelle onomatopee. Essendo il blaia zimondal una lingua di tipo filosofico –
alla J. L. Austin, “Sound Symbolism,” Bodlein, consultato da H. P. Grice -- che
vuole dimostrare la vicinanza dei suoni della lingua ai REFERENTI extra-linguistici,
le espressioni linguistiche di suoni già presenti in NATURA non possono che
essere modellate su questi stessi. Così ad esempio si ha «uul» per 'ululare',
«meua» per 'miagolare, ecc. Non mancano comunque casi di somiglianze con
altre lingue realmente parlate, e in particolare con le lingue romanze e
germaniche, forse retaggio della provenienza linguistica e della formazione
dell'autore: «bank» per 'banca', «ordo» per 'ordine’. Cesare Meriggi. Meriggi.
Keywords: deutero-esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Meriggi”.
Grice e Merker: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – il filo d’Arianna – Arianna abbandonata a Nasso – la scuola
di Trento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo italiano. Trento, Trentino. Grice: “My
favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The
fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei
costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has
philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was
born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il
filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of
context.’ --Si laurea a Messina. Trascorse
un periodo di ricerche in Germania. Allievo di VOLPE, insegna a Messina e Roma.
Cura edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e
dell'idealismo, nonché di Marx, Engels e del marxismo. Dopo essersi occupato
dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si occupa dell'idea
di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del fenomeno populista. Da
ricordare la sua opera di divulgazione della storia della filosofia. Inoltre
egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani,
fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Altri saggi: Le origini
della logica, Milano, Feltrinelli; L'illuminismo, (Bari, Laterza – la metafora
della luce della ragione ; Lessing e il
suo tempo, Cremona, Convegno; Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti, Storia della filosofia, La filosofia moderna.
Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e
utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti);
STORIA DELLA FILOSOFIA: L’ETA ANTICA -- Storia delle filosofie, Firenze, Giunti
Marzocco; Marx, Roma, Riuniti; Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le
interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi; La Germania.
Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti; Lessing, Roma, Laterza;
Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky ai marxisti” (Roma,
Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il
sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue
lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della
filosofia, Roma, Riuniti, Europa oltre i
mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del
populismo, Roma, Laterza, Marx. Vita e
opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma,
Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma,
Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel,
Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi, Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My
favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con
la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács,
Scritti politici Bari, Laterza, Herder,
James Burnett, Lord Monboddo, Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing,
Religione, storia e società, Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma,
Riuniti,Forster, Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt,
Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma,
Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il
popolo, Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La
scimmia e le stelle, Roma, Riuniti, Maj,
Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società
civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un
secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma,
Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti, Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma,
Riuniti, Marx, Engels, La concezione
materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?,
Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster,
Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza, Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli,
Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della
filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.
La discreta classe delle idee. E’ Merker,
asul sito di Rifondazione Comunista Il
contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di M., S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo,
Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le
riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra
storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su
uniurb. Curriculum vitae. Nato nel circondario di la scuola materna e le elementari, nonché al Wilhelms-Gymnasium la
prima classe ginnasiale. Trasferitosi a
Trento, continua ivi la scuola media e il ginnasio-liceo fino alla maturità classica conseguita al
Liceo "Prati" di Trento.
Iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Messina,
si laurea ivi con 110 e lode in
filosofia e una tesi su "Hegel e lo scetticismo". Con una borsa di
studio è a Napoli all'Istituto italiano per gli studi storici ("Istituto
Croce"), e poi in Germania un periodo di ricerche. Alla Facoltà di Magistero di Messina è presso
la cattedra del filosofo Galvano della Volpe assistente volontario, poi straordinario,
incaricato e infine ordinario. Nella medesima Facoltà, conseguita la libera
docenza in Storia della filosofia, è stato professore incaricato di Storia
delle dottrine politiche,
temporaneamente anche di Estetica, e, a concorso vinto, professore
straordinario di Storia della Filosofia. Vi ha diretto l'Istituto di filosofia
e per incarico temporaneo anche quello di Letteratura francese. Chiamato alla cattedra di Storia della filosofia
moderna e contemporanea della Facoltà di Lettcre e Filosofia dell'università di
Roma "La Sapienza", vi ha
conseguito l'ordinariato ed ha poi continuato la sua attività Facoltà di Filosofia di quell'ateneo seguito per
l'insegnamento di Storia della filosofia moderna. Uscito dai ruoli, è
professore emerito dell'università "La Sapienza" con decreto
ministeriale. Nella Facoltà di Lettere e
Filosofia ha presieduto per un paio di anni la
Commissione di Facoltà per l'ammissione degli studenti stranieri, nella
Facoltà di Filosofia è stato per un lungo periodo presidente della Commissione
scientifica del "Centro di servizi
interdipartimentali Biblioteca di Filosofia". Nella Facoltà di Filosofia
ha fätto parte di un collegio di Dottorato. E stato più volte in commissioni
universitarie di concorso per docenti universitari di prima e seconda fascia,
nonché in vari atenei per concorsi di ricercatore. Ha partecipato con relazioni
a congressi internazionali di filosofia e storia delle idee, a iniziative
culturali di università europee (Innsbruck, Zagabria), all'attività didattica
di vari Dottorati in Filosofia, a conferenze e dibattiti con studenti dei
licei. Ha tenuto un seminario di lezioni presso l'Istituto italiano per gli
studi filosofici di Napoli. Per
formazione e storia personale è bilingue (italiano e tedesco) riguardo a
lettura, scrittura ed espressione orale. Ha buona lettura dell'inglese,
francese e spagnolo, familiarità con il
francese e inglese orale. Adopera il computer per uso personale di lavoro, non
ha capacità e competenze artistiche.
Studi e ricerche Iniziali
attenzioni per la logica e dialettica di Hegel si sono concretate nella
monografia Le origini della logica di Hegel. Hegel a Jena. Successivi interessi
per periodi fondamentali della cultura in Germania, - dall'epoca della Riforma
(ad es. con un'edizione italiana di testi politici di Paracelso) fino al secolo
illuministico - hanno condotto alle monografie L'illuminismo tedesco. Età di
Lessing e Introduzione a Lessing. Un percorso parallelo e ulteriore - intramezzato in Dialettica e storia da un tentativo di
bilancio dei problemi - ha collocato via via le vicende della filosofia dentro
un più ampio quadro di storia della cultura nel quale assumono particolare
rilievo le idee e dottrine politiche dell'età moderna. Ne è un esempio la
monografia La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar. Studi specifici sono stati dedicati al
pensiero politico liberale di Kant, Fichte e Humboldt, poi ai giacobini
tedeschi in edizioni di testi e nella monografia Alle origini dell'ideologia
tedesca. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo.
Con un'appendice di testi e
documenti. La linea d'indagine di storia delle idee si è estesa verso Marx e il
marxismo, con i libri Marxismo e storia delle idee, Marx e Il socialismo
vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, nonché con la cura
di parecchie edizioni italiane di opere di Marx ed Engels. L'interesse per i problemi rimasti aperti
nell'epoca della Seconda Internazionale ha poi stimolato ricerche sull'idea di
nazione, sulle ideologie del colonialismo e sul fenomeno politico-culturale del
populismo (con, rispettivamente, le monografie Il sangue e la terra. Due sécoli
di idee sulla nazione; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà;
Filosofie del populismo. Vi si è aggiunta una ricostruzione storico-critica
della vita e delle opere di Marx e delle sue incidenze (Karl Marx. Vita e opere.
Monografia Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia che ha collegamenti
con le ricerche precedenti sul populismo.
L'analisi delle tendenze e dei nessi che emergono dalla storia delle
idee si è accompagnata anche a riflessioni sul metodo della storiografia
filosofica e a tentativi di renderla fruibile per la didattica. Di questo
filone hanno fatto parte un manuale di Storia della filosofia e più volte
riedito, e un Atlante storico della filosofia. Bibliografia Complessivamente le pubblicazioni - tra monografie, articoli vari, saggi, recensioni, voci di enciclopedie, relazioni a
convegni, testi in opere collettive -
ammontano finora a molti. Di cui
sono monografie: Il nazionalsocialismo,
Storia di un'ideologia, Roma; Karl Marx. Vita e opere, Roma; Filosofie del
populismo, Roma 2009; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà,
Roma; Atlante storico della filosofia (Roma; Il sangue e la terra. Due secoli
di idee sulla nazione, Roma; Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli
austromarxisti, Roma; Introduzione a Lessing, Roma; La Germania. Storia di una
cultura da Lutero a Weimar, Roma; L'illuminismo in Germania. L'età di Lessing, ediz.
rinnovata e accresciuta, Roma; Marx, Roma; Alle origini dell'ideologia
tedesca. Rivoluzione e utopia nel
giacobinismo. Con un'appendice di testi e documenti, Roma-Bari, Marxismo e
storia delle idee, Roma; Dialettica e storia, Messina; L'illuminismo tedesco.
L'età di Lessing, Roma; Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Milano.
Nicolao Merker. Keywords: storia della filosofia – l’eta antica --. il filo
d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata,
giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek
ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Messalla:
la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Garden. Friend of Orazio. They study
philosophy together. He opposea GIULIO (si veda) Cesare but eventually makes
his peace with Ottaviano. He writes philosophical treatises. Allow me to address
briefly the L’ORTO philosophy within the context of the difficult tines
covering the years which witness the downfall of the republic and the birth of
the principate. In 'L’ORTO in Revolt'
(J.R.S.) Momigliano takes as a starting point the conversion to L’ORTO of CASSIO
who rapidly comes to the conclusion that GIULIO Caesar has to be eliminated
because of what appear to be his tyrannical tendencies. The author emphasises
that during this crucial period the adherents of the L’ORTO philosophy did not
maintain a passive political aloofness. While some followers of L’ORTO actively
support GIULIO in a noderate way, a mumber oppose him, among whom are I. Manlio
Torquato, Trebiano, L. Papirio Paeto, M. Fadio Gallo, and, as the evidence
suggests, L. Saufeio and Statilio. Monigliano concludes with the statement that
on the whole, the events prove that Cassio is not an exceptional case among the
contemporary L’ORTO. The majority stand for the Republic against
Caosarisa." Horace seens to have felt an antipathy tovarda Mbullus and his
patron M. which may be explained to sone extent by political factors, in
particular the strong republican sympathies which the latter still professs
under the principate. Of M., Monigliano notes that ORAZIO writes of him,
'quanquan Socraticis madet sermonibus', a dubious expression, but the Ciris
(whatever its date and author) shows him well acquainted with the L’ORTO circle,
and his leader is, as he proudly proolaimed, Cassio (Tac.Ann.; Dio; Plut,Brut.).
I suspect then that he is a definite member of L’ORTO. It is, then, I think
possible that M.'s political persuasions are coloured by his philosophical
thinking and that his intellectual interest in L’ORTO is not nerely of an
ethical nature. Monigliano, arguing along the lines of Diels, maintains that in
a passage of his treatise on the gods FILODEMO of L’ORTO is expressing a
political viev: "the words reflect the indignation of a man who sees the
defenders of the Republic play into the hands of the tyrant. Similarly in his
treatise on death the same philosopher recoends that sen should be ready to
face death in the event of political persecution. Followers of L’ORTO are
capable of reacting decisively to political circumstances, this being a major
point advanced by Monigliano who maintains for instance that the sane Saufeio is
not outside politics absorbed in the 'interrundia' but that he mingles
philosophy and political action which probably acoount for his being exiled and
falliag riotin to the proscriptione, and that Cicerone’s friendship with a
number of L’ORTO is based on the faot that adherents of the philosophy
possessed political feelings with which he sympathised. Both democracy and the
non-tyrannical state find approval in the L’ORTO theory of the social contract,
though the adherent of the philosophy is generally advised to renain outside
politios. When ve consider M.’s resignation fron the office of 'praefectara
urbis' on the grounds that the pover with which he vas invested was
unconstitutional (incivilis; see Putnam, C.A.H) I suspect that republican
scruples combine with his adherence to a philosophical mode of thought which
preached political aloofness, affected hio decision. His is a detached
involvement" comments Putnam on M.'s republican sympathies and resignation
from office, and suggests political as vell as stylistic sympathy between M.
and Tibullus. The philosophical overtones in Mbullus' work in uy opinion
reflect this sympathy and remind us that both poet and patron have reservations
about contributing wholeheartedly to the advancement of the new regime and its
ideals. In the programme elegy it is a detachment from the sort of life which
would contribute to the welfare and strength of the state which the poet
manifests. Disambiguazione – Se stai cercando
l'omonimo, si veda M. console. Console della Repubblica romana Scultura che
probabilmente ornava la parte superiore di un piedistallo marmoreo contenente
l'urna cineraria di M., rinvenuta nella villa di quest'ultimo ed ora conservata
nel Museo del Prado. Figli Marco Valerio M. Messallino. GensValeria PadreMarco
Valerio M. Corvino Consolato. Proconsolatoin Gallia Comata. Militare e filosofo
romano, patrono della letteratura e delle arti. Membro dell'antica gens
Valeria, di ideali repubblicani, nella battaglia di Filippi combatté al fianco
di Bruto e Cassio. Passa poi dalla parte di Antonio ed infine entra nelle file
di Ottaviano. Trionfo di M. -- rappresentazione sul frontone del Palazzo
Krasiński a Varsavia, opera di Schlüter Si trovava nell'Illyricum a combattere
gl’Iapidi a fianco di Ottaviano come tribunus militum. Consul suffectus assieme
ad Ottaviano, e prese parte alla Battaglia di Azio a fianco di quest'ultimo. In
seguito ha il comando di una missione in Asia Minore. Combatté contro il popolo
alpino dei Salassi, come proconsole della Gallia, dove soppresse anche una
rivolta tra gl’Aquitani. Per queste imprese celebra un trionfo. Tacito
riferisce che e nominato praefectus urbi, ma M. rinuncia alla carica dopo pochi
giorni adducendo motivazioni legate alla sua incapacità di esercitare l'incarico.
In quanto princeps senatus, autorevole esponente dell'aristocrazia romana,
avanza la proposta dell'attribuzione a Ottaviano del titolo di pater patriae. M.,
letterato Alla partecipazione alla vita pubblica, accompagna l'interesse per la
filosofia. Influenza considerabilmente la filosofia che incoraggia sull'esempio
di Mecenate. Il gruppo che lo circonda e noto come il circolo di M.. Tra gli
altri comprende Tibullo e Ligdamo. Amico di ORAZIO (si veda) ed OVIDIO (si
veda). Elogiato da Tibullo per le sue vittorie in una elegia nel Corpus
Tibullianum e in un poemetto -- il Panegirico di M. Suoi omonimi sono il padre,
console, il figlio Valerio Messallino, e un discendente M., console come
collega dell'imperatore Nerone. Una sua parente, forse una sorella, sarebbe la
Valeria, sposa di Quinto Pedio, console
insieme ad Augusto, che aveva proposto la lex Pedia contro i
Cesaricidi. Syme Wilkes Velleio Patercolo, Tibullo, Tacito, Annales:
quasi nescius exercendi. Svetonio, Augustus. Fonti antiche, Appiano di
Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά) Dione Cassio, Storia romana. (testo
greco e traduzione inglese). Svetonio, De vita Caesarum libri VIII.
(testo latino e traduzione italiana). Tacito, Annales. (testo latino,
traduzione italiana e traduzione inglese). Tibullo, Corpus Tibullianum. Velleio
Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo. Fonti
storiografiche moderne Cantarella, «M., Ovidio e il circolo dei poeti»,
Corriere della Sera, Syme, L'aristocrazia augustea, Milano, BUR, Wilkes,
Dalmatia, in History of the provinces of the Roman Empire, Londra, Routledge Voci
correlate Casal Rotondo. M. Corvino, Marco Valerio, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Olivetti e
Lenchantin De Gubernatis -, M., in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, Marco Valerio, in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, su sapere.it, De Agostini.
Marcus Valerius M. Corvinus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia
Britannica, Inc. Opere di Marco Valerio Messalla Corvino, su PHI Latin Texts,
Packard Humanities Institute. Opere di Marco Valerio M. Corvino, su Open
Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Gneo Domizio
Enobarbo, Gaio Sosio con Gaio Giulio Cesare Ottaviano III Gaio Giulio Cesare
Ottaviano IV, Marco Licinio Crasso. Circolo di M. V D M Guerra civile romana
VDM Conquista romana dell'Illirico. Portale Antica Roma Portale
Biografie Portale Età augustea Categorie: Militari romani Scrittori
romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Romani Consoli
repubblicani romaniValeriiGovernatori romani della SiriaAuguriGovernatori
romani della Gallia Mecenati romani[altre] Marco Valerio M. Corvino, console. Marco
Valerio M. Corvino Console della Repubblica romana Nome originaleMarcus
Valerius Messalla Corvinus FigliMarco
Valerio Messalla Corvino GensValeria Pretura Consolato Censura Marco Valerio M.
Corvino (in latino Marcus Valerius M. Corvinus
o anche Marcus Valerius M. Niger; ... filosofo
romano. Pretore quando Cicerone e console e, console quando Publio Clodio viola
i misteri della Bona Dea. Censore assieme a Vatia Isaurico, e sempre in carica,
tentarono di regolare lo straripamento del Tevere. Non tennero il lustrum. Smith,
Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown
and Company, Robert S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic, II,
New York, Predecessore Console romano Successore Decimo Giunio Silano e Lucio
Licinio Murena con Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano Lucio Afranio e Quinto
Cecilio Metello Celere Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politiciromani
Consolirepubblicani romani Valerii [altre] Consul. Roman Senator who lived in
the Roman Empire. He might have been the brother of empress Messalina. A
member of the Republican gens Valeria. The namesake of the Senator and Augustan
literary patron. He may have been a son of the Senator and consul Marco Aurelio
Cotta Massimo Messalino, who was a son of M. or possibly the son of the consul
Marco Valerio Messalla Barbato, thus making him the brother of Valeria
Messalina, the third wife of the emperor Claudio. A member of the Arval
Brethren. Served as an ordinary consul with the emperor Nerone and then as a
suffect consul with Gaio Fonteo Agrippa. Starting with his consulship, he is
granted an annual half a million sesterces to maintain his senatorial
qualifications. Biographischer Index der Antike, Lucan, Civil War
Paterculus, The Roman History, Lucan, Civil War Shotter, Nero Der
Neue Pauly, Stuttgart, Tacitus, Annales, Tacitus, Annals of Imperial Rome D.
Shotter, Nero, Routledge, Lucan, Civil War, Penguin, Velleius Paterculus, Yardley
e Barrett, The Roman History, Hackett Publishing, Biographischer Index der Antike,
Gruyter, Political offices Preceded by Nero II, and Lucius Caesius Martialis as
Suffect consulsConsul of the Roman Empire with Nero III, followed by Gaius
Fonteius Agrippa. Succeeded by Aulus Petronius Lurco, and Aulus Paconius
Sabinus as Suffect consuls Categories: Valerii MessallaeAncient Roman
patricians1st-century Roman consuls1st-century clergy Marcus Valerius
Messalla Corvinus Article Talk Read Edit View history. Not to be confused
with Marcus Valerius M. Corvinus, consul. Marcus Valerius M. Corvinus. A Roman general, author, and patron of
literature and art. The triumph of Corvinus in the pediment of the
Krasiński Palace in Warsaw Print of the Roman General, made by Hendrick
Goltzius. Corvinus was the son of a consul, Marcus Valerius M. Niger, and his
wife, Palla. Some dispute his parentage and claim another descendant of Marcus
Valerius Corvus to be his father. Valeria, one of his sisters, married Quintus
Pedius, a maternal cousin to the Roman emperor Augustus. His great-grandnephew
from this marriage is the deaf painter Quintus Pedius. Another sister, also
named Valeria married Servius Sulpicius Rufus, a moneyer. Corvinus marries
twice. His first wife is Calpurnia, the daughter of Marco Calpurnio Bibulo.
Corvino had two children with Calpurnia: a daughter, Valeria Messalina, who
married Titus Statilius Taurus; and a son called Marcus Valerius M.
Messallinus, consul. His second son was Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino,
consul, who is believed to have been born to a second unknown wife on the basis
of the 22-year gap between the consulship of the elder son and the consulship
of the second son. The writings of the poet OVIDIO (Ex Ponto) reveal that the
second wife of Corvino is a woman called Aurelia Cotta. Another fact supporting
the theory that Aurelia Cotta is the mother of Marcus Aurelius Cotta Massimo
Messalino is that he was later adopted into the Aurelii Cottae. Corvino is
educated partly at Athens, together with ORAZIO and CICERONE. He becomes
attached to republican principles, which he never abandones, although he avoids
offending GIULIO Cesare or OTTAVIANO by not mentioning them too openly. He
is proscribed, but manages to escape to the camp of BRUTO il giovane and CASSIO.
After the Battle of Philippi, he goes over to MARC’ANTONIO, but subsequently
transfers his support to OTTAVIANO. Corvino is appointed consul in place of
MARC’ANTONIO and takes part in the Battle of Actium. He subsequently holds
commands in the East and suppresses the revolt in Gallia Aquitania. For this
latter feat, he celebrates a triumph. Corvino restores the road between
Tusculum and Alba, and many handsome buildings are due to his initiative. He
moves that the title of “pater patriae” be bestowed upon OTTAVIANO. Yet he also
resigns from the post of prefect of the city after six days of holding this
office because it conflicts with his ideas of constitutionalism. It may have
been on this occasion that he utters the phrase (but in Latin) "I am
ashamed of my power". His influence on literature, which he encouraged
after the manner of Gaius Maecenas, is considerable, and the group of literary
personalities whom he gathered around him — including Tibullus, Lygdamus and
the poet Sulpicia — has been called "the M. circle". With ORAZIO and TIBULLO
he is on intimate terms, and OVIDIO expresses his gratitude to him as the first
to notice and encourage his work. The two panegyrics by unknown authors (one
printed among the poems of Tibullus as iv. 1; the other included in the
Catalepton, the collection of small poems attributed to VIRGILIO) indicate the
esteem in which he was held. Corvino IS HIMSELF THE AUTHOR OF VARIOUS WORKS –
ALL OF WHICH ARE LOST. They include memoirs of the civil wars after the death
of GIULIO CESARE, used by Svetonio and Plutarco; bucolic poems in Greek;
translations of Greek speeches; occasional satirical and erotic verses; and
essays on the minutiæ of grammar. As an orator, he follows CICERONE instead of
the Atticizing school, but his style is affected and artificial. Critics
consider him superior to CICERONE, and Tiberio adopts him as a model. He writes
a work on the great Roman families, wrongly identified with an extant poem De
progenie Augusti Caesaris which bears the name of Corvino, but in fact is a much
later production. Places associated with Corvinus The so-called
Apotheosis of Claudius, the top part of an Augustan-era funerary monument that
may once have contained Corvinus' funerary urn. Found in a country villa at
Marino once owned by C. Valerius Paulinus, a descendant of Corvinus, it is now
in the Museo del Prado in Madrid. Corvinus had a house on the Palatine Hill in
Rome that used to belong to Mark Antony before Augustus presented it to
Corvinus and Marcus Vipsanius Agrippa. An inscription (CIL = ILS) records
Corvinus as the owner of the famed Gardens of Lucullus (Horti Luculliani)
located on the Pincian Hill where the Villa Borghese gardens are today.
The Casale Rotondo, a cylindrical tomb near the sixth milestone on the Appian
Way, is often identified as being the tomb of Corvinus, but this is debatable. Corvinus
is also recorded in an inscription as being one of the three friends of Gaius
Cestius responsible for erecting statues that once stood at the site of the
famous Pyramid of Cestius which is located close to the Porta San Paolo in
Rome. In 2012, a luxurious villa of Corvinus was found on the via dei
Laghi near Ciampino. The finds included seven colossal statues of Niobids that
had toppled into the piscina apparently due to an earthquake. Another luxurious
villa of Corvinus on the island of Elba was identified as his. It was burnt
down. Since its original excavation it was believed to belong to his family
since he was a patron of OVIDIO who wrote of his visit to Corvinus's son on
Elba before his exile on the Black Sea. Recent excavations below the collapsed
building reveal five dolia for wine which are stamped with the Latin
inscription "Hermia Va(leri) (M)arci s(ervus)fecit, made by Hermias, slave
of Marcus Valerius. Legendary ancestor of Hungarian royalty The
triumph of Marcus Valerius Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in
Warsaw The Wallachian-Hungarian family of Corvin, which came to prominence with
Janos Hunyadi and his son, Matthias Corvinus Hunyadi, King of Hungary and
Bohemia, claimed to be descended from Corvinus. This was based on the assertion
that he became a big landowner on the Pannonian-Dacian frontiers, the future
Hungary and part of Romania, that his descendants continued to live there for
the following 1400 years, and that the Hunyadis were his ultimate descendants –
for which there is scant if any historical evidence. The connection seems to
have been made by Matthias' biographer, the Italian Antonio Bonfini, who was
well-versed with the classical Latin authors. Bonfini also provided the
Hunyadis with the epithet Corvinus. This was supposedly due to a case in which
the tribune, Marcus Valerius Corvus, while on the battlefield, accepted a
challenge to single combat issued to the Romans by a barbarian warrior of great
size and strength. Suddenly, a raven flew from a trunk, perched upon his
helmet, and began to attack his foe's eyes with its beak so fiercely that the
barbarian was blinded and the Roman beat him easily. In memory of this event,
Valerius' agnomen Corvinus (from Corvus, "Raven") was interpreted as
derived from this event. The Hunyadis called themselves "Corvinus"
and had their coins minted displaying a "raven with a ring". This was
later taken up in the coat of arms of Polish aristocratic families connected
with the Hunyadis, and also led to Marcus Valerius Messalla Corvinus' triumph
over the Aquitanians being commemorated in the pediment of the Krasiński Palace
in Warsaw. See also Korwin coat of arms Ślepowron coat of arms
References Jeffreys, Roland. "The date of M.'s death". The
Classical Quarterly "Valerius Corvinus". lib.ugent.be.Syme, R.,
Augustan Aristocracy, Syme, Augustan Aristocracy, Skidmore, Practical Ethics
for Roman Gentlemen: The Works of Valerius Maximus, p. Sullivan,
Apocolocyntosis, Penguin, Anonymous Panegyric of M.: translation by
Postgate. Schröder, Katalog der antiken Skulpturen des Museo del Prado in
Madrid. Vol. 2: Idealplastik. Mainz: von Zabern, Cassius Dio The excavator Canina,
deduced from a small piece of inscription with the name "Cotta" that
the monument had been built by Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus for his
father, Marcus Valerius Messalla Corvinus, but this inscription and other
architectural fragments are now assumed to have come from a smaller monument at
the site, and they may have nothing to do with Corvinus, cf. Grifi, "Sopra
la iscrizione antica dell auriga scirto", Diss. del. Acc. Rom., Rome
Marcelli, "IV MIGLIO, 14. Casal Rotondo", in: Susanna Le Pera
Buranelli et Rita Turchetti, edd., Sulla Via Appia da Roma a Brindisi: le
fotografie di Thomas Ashby: Rome: L'Erma di Bretschneider, Papers of the
British School at Rome Seven Statues Linked to Ovid Recovered from Roman Pool –
Archaeology Magazine". archaeology.org. Retrieved 28 June 2023.
"Ben-Hur villa at risk of demolition in Rome". The Daily Telegraph.
London. Lorenzi, "Excavating an
Ancient Villa: Photos". Seeker. This article incorporates text from a
publication now in the public domain: Chisholm, Hugh, ed. M. Corvinus, Marcus
Valerius". Encyclopædia Britannica. Cambridge Wiese, Berlin, Valeton, Groningen,
Fontaine, Versailles, Schulz, De MV aetate; M. in Aquitania, Postgate in
Classical Review, Sellar, Roman Poets of the Augustan Age. Horace and the
Elegiac Poets, Oxford; the spurious poem ed. by R. Mecenatë. Syme, The Augustan
Aristocracy, Clarendon, Political offices Preceded by Gnaeus Domitius
Ahenobarbus Gaius Sosius Roman consul with Octavian III Succeeded by Marcus
Titius (suffect) Biographie Other IdRef Categories: Roman governors of
Syria Roman augurs Romans Ancient Roman generals Patrons of literature Ancient
Roman patricians Urban prefects of Rome Valerii Messallae People of the War of
Actium. Luigi Speranza, “Grice e Mesalla: L’Orto”
– The Swimming-Pool Library. Marco Valerio Messalla Corvino.
Grice e Mesarco:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del figlio di
Pitagora – Roma – filosofia calabrese --
filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo
italiano. Crotone, Calabria The son of Pythagoras. He leads the sect after the
death of Aristeo. Mesarco.
Grice e Mesibolo:
la ragione conversazionale e la scuola di Reggio -- Roma – filosofia calabrese
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio Calabria,
Calabria. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo.
Grice e Messere: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – l’implicatura di
Sileno – la scuola di Torre Santa Susanna -- filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torre
Santa Susanna). Filosofo italiano. Torre Santa Sussana, Brindisi, Puglia. Ricevuti
i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro
Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare
il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere
la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per
lo studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un
maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della
filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche
alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu
messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per
sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi,
procuratosi alcuni libri, M. si applicò allo studio della lingua greca, per la
quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto
processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da qualsiasi
reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo,
dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che M. partì per
Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di
affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un personaggio di rilievo nel
mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande conoscenza della lingua
greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura Greca, che
mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università degli studi di Napoli.
Tale cattedra era stata nuovamente
istituita a spese di Giuseppe Valletta,
filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico di M.. Valletta aveva
una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo frequentatore della sua
casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti, ma anche perché
divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del tempo. Fra i suoi
molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe alcuni divenuti
celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina, Valletta, Capasso,
Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò
un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo Caraconasio.Il mondo
culturale napoletano fu caratterizzato da importanti innovazioni a livello
filosofico, scientifico, civile e politico. Tale fervore culturale aprì la
strada alla nascita di un numero notevole di accademie, che divennero luoghi di
discussione aperta e di diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A
Napoli le principali accademie del tempo furono soprattutto quella degli
Investiganti e quella di Medinaceli. Che sia stato memM. bro autorevole di
entrambe le accademie e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani
è testimoniato da non pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa
conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così
folto seguito di giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati
fanatici dell'erudizione i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia,
diffusero in Napoli addirittura la moda letteraria della macchietta dello
pseudogrecista, satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu
anche tra i primi membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina,
ove gli fu attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle
campagne dell'isola Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia
e anche qui il Messere e tra i primi iscritti.
L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al
M. non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma contribuì
alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero poetico e
filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla formazione
del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di Gregorio Messere
fu anche l'amicizia con Valletta, suo allievo. La conoscenza che M ha della
filosofia fu ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “Socrate” e
quando si riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri
tempi”. Non fu solo un insigne grecista,
ma anche un poeta. Compose infatti varij componimenti, tra distici, tetrastici,
serenate, sonetti, madrigali ed epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno
stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di carattere
pastorale. Un suo epigramma è contenuto in una lettera che Canale inviò al
Magliabechi. Non mancò di scrivere componimenti di carattere burlesco e
giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza della satira e del dialetto alla
ricercatezza esasperata della poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto
nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con
la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano
importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti
nel volume scritto in occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare
sono anche gl’emblemata contenuti nel volume scritto per i funerali di D.
Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Vico in occasione dei funerali di due
uomini illustri Tra le tante
collaborazioni con letterati del suo tempo, degna di nota è quella che ha con VICO
per la pubblicazione di un volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre
sono i componimenti contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una
Miscellanea dal titolo Vari componimenti in lode dell'eccellentissimo Benavides
conte di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in
Miscellanee poetico-celebrative, di M. non esistono opere a stampa. E a ciò ne
dà spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto
dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi
la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti. Le lezioni accademiche di cui si dispone sono
quelle che tenne nell'Accademia
istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni
sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste
lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia,
dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia
stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla
vita di NERVA e una sulla vita di DECIO. Il codice napoletano contiene anche un
Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione
sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e,
nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò
ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale
napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri
dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia
napoletana “Sebezia”. Storia della
litteratura italiana Biografia degli
uomini illustri del regno di Napoli Le
vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine
delle generale adunanza da Crescimbeni, pRoma,
(biografia scritta da Lombardo). Cantillo,
Filosofia, poesia e vita civile in M.: un contributo alla storia del pensiero
meridionale, Morano, Napoli, Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa
Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei
documenti, Edizioni scientifiche
italiane, Napoli; Lomonaco, M., la poesia e l'impegno civile tra Gravina e VICO,
in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di
Medinaceli: Napoli, Rak, Napoli,
Istituto italiano per gli studi filosofici. (regio esim liepiera preso Niccola
Gjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filologo Filosofo Namquein Tore diliuramnemlá
iTera d Ohrante nel mio Mori in Nlapoli. Ebbe per convincenti indizj, co di
Gregorio la sospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di, laddove
impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio, stessolostndio
non conosceva neppur lo avanti, che inbreve con tanta sollecitudine però,e sn
tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde
cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche
lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza, l'erudizione esi
renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla
alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli
seçe meritamente occupare. la catte be i
suoi natali in un mediocre luogo della Regione de' Salentini, oggi Terra
d'Otranto, detto la Torre di S. Susanna, discosta da Brindisi intorno a miglia
dodici.Suoi genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta
e civil condizione. M., comechè non proveduto nella sua primiera età di
sufficienti maestri, seppe col proprio suo ingegno, e colla sua mente, velocis
sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a somigliante
difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della filosofia delle
mattemati che in buona parte, della Teologia, della Storia Ecclesiastica e
Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline l'onesto diletto
della poesia e della musica, e tanto in questa ando avanti, che giunse a cantar
con lode la parte di basso. M., tutto che si fosse dedicato al Sacerdozio,
gl'intervenne una disgrazia, la quale fieramente l o travaglio. S'invaghi un
compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e nobilpersonag-:
gio,enefudipariamorericambiato. Il padre di lei, avutone sentore, lo fece
assalir da due sgherri, I quali si accompagnavano con M., ilquale go dea il
favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase trucidato
I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo
Caraconessin,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degl’Arcadi illustri
P. 1Scrive a richiesta degli amici sonetti, madrigali ed epigrammi nell'una e
nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude.
Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste
poesie furon da lui recitate nella dotta adunanza che CERDA, allora vice-rè di
Napoli, tenenel Regal Palazzo. E certamentefuscia gura, dra di greco linguaggio
nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù correre
a folla alle sue lezioni, e zione,che non solamente I giovanetti,ma puranche
crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di letteraria coltura,
a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della greca sapienza
congiungeva M. quello delle scienze più sublimi ; perciò i più doiti scienziati
che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava egli fra i suoi amici. Tra
quelli si annoverano Lionardo di Capoa, Francesco d'Andrea, Buragna e tanti
altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il quale par la di lui con somina
laude nella sua opera Iter Ita licum ;e moltissimi presso de'quali e il suo
nome in somma estimazione. Il suo verseggiar burlesco e maccaronico era un
dotto poetare, e sempre ridondante di greca e di la tina erudizione, sicchè
isuoi versi in questo genere tranne lamateria ridevole,erano molto colti egenti
li, sì che avrebbe poluto egli dire con ALIGHIERI: O voice avete gl’ntelletti sani.
Il suo modo di comporre era quello che da' maestri vien detto mezzano e
semplice, e varie poesie dettò in istile boschereccio e pastorale. Molto però
egli valse nel verseggiare giocoso, ed in quella spezie di poesia, già
inventata da Folengio, il quale si dice Coccai, che volgarmente maccheronica
vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e generoso Si gnore, seco
portate avesse, con le altre cose i c o m ponimenti di quella dotta brigata, e
che Gregorio non ne avesse gl’originali serbati, e non ne rima nesser che pochi
in mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual novello Socrate ad
istruire la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e la scienza della
greca favella, la quale è detto brac cio destro della buona letteratura, poco cura
le sue cose, e poco ambi di rendersi per le stampe famoso. Dilettavasi egli
infatti più della sostanza che dell و, e
più d'istruire la gioventù S!11 renza della dottrina erudizione. diosa, che di
far pompa di lussureggiante арра Le virtù cristiane e socievoli di M. pareg giarono la sua erudizione e la sua
dottrina. Era el FILOSOFO e religioso al tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed
affabile senza ombra di bassezza o di poca digni tà,sprezzatore
grandissimodellericchezze, tal che pel noto fallimento del banco
dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate fatiche
erasi acquistato, uimase in una fredda in differenza, motteggiando giocosamente
come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli nella
morte di tre nipoti per sorella Biagio, Giovan Batista e Capozzeli, giovinetti
di grandi speranze i due primi nella medicina,ed il terzo nella legalfacoltà, da
lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle lettere. Poco curante
egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto, dimostrò e di ogni civile
onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza, talche i suoi costumi
pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine dell'uomo, e narrasi,
che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno aperto, per alcun bisogno
di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano, ritrovan dosi ogli con un
amico, lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti discesovi, sudettesi in una
delle nicchie da riporvi i morti intorno alle pareti, e narrasi che mosso da
involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase questo è il luogo che dee a me
toccare? Somme lodi son queste certamente per M., il quale nato essendo nel mezzo
della magna Grecia, nell'antica patria degl’Architi, degl’Aristosseni,degl’Ennj,
de'Pacuvj, e intendentissimo non meno della grea, della latina e della Italiana
poesia, che della più saggia FILOSOFIA, la quale insegna non pur colle parole,
ma col sobrio onorato Con grandissimocordoglio di tutti gliamatori delle buone
lettere, preso di ac cidente apopletico passò a miglior vita,e fu sepellito
nella detta Cappella del Pontano, siccome in vita avea desideralo. La sua morte
fu onorata dal pianto di afflitte vedove Ο Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων
ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI. Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e
virtuoso suo contegno di vita. Fu per Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη
εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι il Socrate de’suoi tempi, e datuttiriguar
chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e con ammirazione perfetta in lui
la notizia delle lettere greche, che mosse invidia e stupore in parecchi sapientissimi
Greci na zionali,iquali,passando per Napoli,vollero vederlo ed ascoliarlo. Siccome
abbiamo accennato,aluisideve in buona parte il risorgimento delle buore lettere
della greca dottrina, per tanti ragguar spezialmente che si formarono sotto la
sua di. devolissimi letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale eprecipuaragio ne
ai nostri elogj ed alla nostra riconoscenza. Nel no vero de’suoi discepoli
furono i Biscardi, Gennaro d'Andrea, i Calopresi, i Gravina, i Majelli, i Cirilli,
i Capassi, gl’Egizi, e tanti altri lumi della n o stra letteratura iqua’i
malagevole sarebbe qui no minare . tal ragione e di miserevoli bisognosi, a
quali questo uomo incomparabile in ogni maniera di virtù distribuiya tutto ciò
che al puro uopo della sua vita soperchia. va. Intervennero ai suoi funerali
tutti i professo ri della R. U. non che ragguarde volissimi personaggi. Uno di
costoro già suo scolaredi nobilissimo tegnaggio, insigne per lettere e per la
scienza della pittura e dell'architettura,innalzò a tanto maestro la see guente
iscrizione in greco ed in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. SALENTINO IN GRAECA
LINGVA AD SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO)
FERDINANDVS SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA
CERRETO. Quantunque non abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti. pe di
M. Torre di S. Susanna, luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli ha buon
diritto che di lui si parli in Gregorio Messo nella ro edaltriGreci st'opera.
La disgrazia avvenutagli que di dover soffri re,sebbene innocente una lunga
prigionia to di omicidio, lo determinò Greca, e così felicemente venir
riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di Napoli, e il Mabillon nel
suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra
di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido,
che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepoli non poche persone per coltura
e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano
Gennaro di Andrea, il Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito, il Gravina,
il perciò della Greca Letteratura congiunse na del poetare, e conobbe le altre
scienze con gran vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca della
sua morte accaduta ordine di persone il compianse . ogni funerali i Professori
ai suoi, ed, ed ebbe onorata s e per sospet a studiare la lingua vi riuscì, che
meritò di poi anche alla erudizione lave dei giovani che con zelo ed istruiva
ed educava alle lettere ed alla insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le
sue cristiane virtù, m a specialmente una carità generosa giunsero a tale,che
appellavasi novello S o . Intervennero tutti della R. Università altri
ragguardevoli poltura nella cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo
con iscrizione Greca e Latina da un del suo composta (2). personaggi della
Greca e r u Fu egli ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran
conessio. Biografia degli Uom. ill. del Regno di Napoli. Allorchè si aprì il
concorso per la cattedra di lingua greca. Grice: “When they called Messere ‘Socrate’ I hope they
don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” – Gregorio Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates,
Socrate Sileno, Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”.
Grice e Messimeri: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale – la scuola di Seminara -- filosofia calabrese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Seminara). Filosofo italiano.
Seminara, Reggio Calabria, Calabria. Grice: “He was of a noble family – he was
into the free market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi (Seminara), filosofo. Esponente
dell'illuminismo napoletano. Francesco Mario Pagano. Nato in una famiglia
aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di
Genova, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un
uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi
nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto estese, di Seminara. Non
essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici, in previsione di
una possibile professione forense, all'Napoli. Nella capitale napoletana M. fu
raggiunto dal fratello minore Francescantonio, fece parte con il fratello
dell'Accademia dell'Arboscello, frequenta le lezioni di economia di Genovesi.
Si trasferì a Genova, dove ottenne la riammissione nel patriziato della
Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare alcune
magistrature. In Liguria, tuttavia, M. ha modo di approfondire gli aspetti
tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio lo spinse a
viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò
in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi
da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò
una memoria, nella Società economica di Berna, un centro di cultura
fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi. Saggio di
economia campestre per la Calabria Ultra François Quesnay, maggior
rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio di
economia campestre per la Calabria Ultra, esposizione di un piano che, partendo
dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese, secondo la dottrina
fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la trasformare situazione economica
della Calabria. All'epoca il settore produttivo più importante era
l'agricoltura in quanto i posti nell'industria erano pochi, le alternative
limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al settore terziario; l'agricoltura
era tuttavia quasi esclusivamente di sussistenza, e lo scarso reddito
determinava un esodo massivo dalle campagne. Per Grimaldi l'ammodernamento
dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura e allevamento erano le
condizioni prime per avviare la produzione industriale e il commercio. il
successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere reinvestito
nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e olearia. La
presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in quanto avrebbe
potuto richiamare un afflusso di capitali per la ristrutturazione fondiaria e
l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole, con successiva formazione e
sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere, specialmente alimentari,
con impiego di mano d'opera locale. L'imprenditore Vecchio frantojo
ligure dismesso M. si impegna a tradurre in pratica questi progetti, con
l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione
degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara
nuovi frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i
risultati delle sue innovazioni con un'opera
edita con una dedica a Beccadelli, marchese della Sambuca. Si
dedicò più tardi alla produzione della seta. M., che inizialmente intendeva
assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese
conto che l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia
(in questo caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla
"piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della
seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla
seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei
controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle
manifatture e del commercio. Il politico Sir John Acton La
riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al
dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in
particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza
dopo la carestia. Una delle proposte più importanti di M. fu la costituzione,
nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il
miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario
sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo
dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva
sulla struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di
visite alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con
proposte di azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza,
principalmente la mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle
Puglie, per le quali suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto.
Filangieri Grazie alla notorietà raggiunta con i suoi saggi M. fu
nominato dal primo ministro Acton assessore al neocostituito Supremo Consiglio
delle Finanze assieme a Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto
che causò gravi danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole
all'istituzione della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita
secondo un piano pubblico che prevedesse iniziative strutturali per
l'ammodernamento della produzione agricola e industriale. Si adoperò per
l'apertura a Reggio Calabria di un istituto professionale nel quale si
insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese"; la scuola, diretta
da M., ebbe un certo successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni
novanta dell'attività riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla
crisi collegata alla rivoluzione francese comportò un atteggiamento di
sospetto, da parte del governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità
progressista. A Grimaldi venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di
presidente della costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto
massone. Fu addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una
cinquantina circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Pinelli
e trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della
Repubblica Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana.
Saggi: “Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata
sulla” (Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura
dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche
sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle
provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare
utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte
del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria
olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di
Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da
olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore
Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia”
(Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani, V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi,
Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo, Cosenza:
LPE, Istruzioni sulla nuova manifattura
dell'olio introdotta nel Regno di Napoli da M. patrizio genovese, socio
ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della
Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Orsini, a spese
di Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle
sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico
Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli:
Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune
osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli);
“Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli,
e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto da M., Napoli: Porcelli); Piano
per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed
accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del
Regno scritto da M., patrizio genovese”
(Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese
stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione di M., e
l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli”
(Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera apparve anonima ed è attribuita a M.
da Melzi, Note bibliografiche del fu Melzi, edite per cura di un bibliofilo
milanese con altre notizie, H-R, Milano:
Bernardoni) Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca
Addante, Soveria Mannelli: Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di M.
e Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno,
Facoltà di Magistero. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma:
Istituto dell'Enciclopedia, Basile, «Un illuminista calabrese: M. da Seminara,
in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Cingari, Giacobini e
Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Morisani,
Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,
Reggio Cal., Morello, Romeo,
Alcune precisazioni su M. un riformatore Calabrese, in "Historica",
Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico
Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Luciano, M. e la Calabria, Salerno, Carucci. M.
la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily
enough?” -- -- Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo
tra il XVI e il XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia
della città e Regno di Napoli, inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di
Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo
scritto l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di
Messina viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV
investì Carlo I d'Angiò del Regno di Napoli: «Papa Clemente IV, il quale
investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il
Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice,
Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo
eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si
servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo
successero che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono,
chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi, ritrovandosi
Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo padre, e
avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di Napoli da
mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due Sicilie,
Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire all'autorità de'
Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re i quali furono Signori solo del
Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di Sicilia Citra. Ma
Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo Vimperadore e Filippo
nostro re, e Signore, i quali anno sic avuto il dominio d'amendue i Regni, si
sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e Ultra: la verità
dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, i quali cominciarono ad
introdurre, che 'l Regno di Napoli si chiamasse Sicilia.» La stessa tesi
è sostenuta da Giannone nella sua Istoria civile del Regno di Napoli, in cui si
citano vari stralci della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse
l'investitura a Carlo d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est
citra Pharum, usque ad confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana». In un
altro passo la bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra,
et ultra Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex
utriusque Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti
ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi. Marchese
Domenico Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature,
economia olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Metello: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia
lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A Roman general and politician. A
pupil of Carneade. Quinto Cecilio
Metello Numidico. Metello.
Grice e Metopo:
la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. Cited by
Stobeo – He writes a treatise on virtue [VIRTUS, ANDREIA] which survives. Giamblico lists him as a Pythagorean.
Grice e Metrodoro:
la ragione conversazionale degl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia
calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean
and son of Epicharmo, cited by Giamblico.
Grice e Metronace:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella scuola di
Napoli – Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Metronace.
Porch.A popular teacher of philosophy at Napoli, where Seneca attended some of
his lectures.
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