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Monday, December 30, 2024

GRICE ITALO A-Z M ME

 

Grice e Mecenate: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del M. in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come down to us. Their loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of many ancient writers, they were written in a very artificial and affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of the ‘calamistros Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium, in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The few fragmente which remain of these works have been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty clever dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn. For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt. Perhaps M.'s Symposium should be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//» ftt.y.     !f '8 )>:   9 .éffsuz^ncsÉ -   OtjJ  A,   «a   k.Sm    i STORIA   DI   CAJO CILNIO M. CAVALIERE ROMANO SCRITTA, X DEDICATA  A  S. A. S. il Signor Principe   FEDERICO DI SAXE-GOTH A   DaU’Avv. Sante Viola P. T.    ROMA i8£Ó.  Presso Francesco Bourlié Con Lic. de' Sup. mm. 9   A spese degli Eredi Raggi Libra]  al Camita«1 ALTEZZA SERENISSIMA  Allorché io mi occupava a racco-  gliere le Memorie Istoriche della Vi-  ta di Cajo Cilnio Mecenate 9 pensai ocacciare al mio Libro un Pro-  tettore nella Persona dell’ A. V. S.  sapendo quanto sia benemerita della  Letteratura, delle Arti, e de’ loro  Coltivatori ; e sebbene la piccolez-  za della mia Offerta dovesse sgomen-  tarmi, tuttavia fatto coraggioso dal-  la grandezza del suo magnanimo  cuore, restai fermo nel mio pensie-  ro, persuaso, che la Storia delle  geste civili, politiche, e morali di  quell’ esimio Cavalier Romano, do-  veva presentarsi ad un Principe i  nel quale si ammiravano per singo-  iar modo trasfuse le doti più belle \  di cui era quello fregiato .   E come non dovrà celebrarsi  P A. V. S. nel vederla animata dal  genio istesso del gran Cibilo riguar-  do al progresso, ed al miglioramen-  to delle Arti > e delle Scienze ? In    Roma, Capitale di un vasto Impero,  Mecenate avvalorava i talenti, pro-  teggeva i Dotti, e dava così un im-  pulso potente alla Civilizzazione del  Genere umano ; e F A. V. 5. nell*  istessa Capitale, ora Sede, e Maestra  del buon Gusto, e delle Arti, acco*  glie con amorevolezza, onora con  discernimento, protegge con costan-  za tutti gli Artisti, e Letterati, de’  quali la stima, la venerazione, e  T amore sono ben dovuti all* A. V.  per quella soavità di maniere, ed  eminenti virtù, che in tanta copia  brillano i n tutte le di Lei azioni .   Se l’A. Y. S. si degna di accogliere  sotto la benefica, e valevole sua  Protezione questo mio qualunque  siasi lavoro, andrà esso fastoso ve-  dendosi onorato di qùelNome illu-  stre, che ridesta la dolce memoria de*    TI   grandi Avi dell’ A. V. S. i quali in  ogni epoca recarono decoro alla Pa-  tria, onore, e gloria alle Contrade  Alemanne .   Supplico PA.V.S. di aggradire i  sentimenti di quella profonda vene-  razione, ed invariabile ossequio,  con cui ho, l’onore di rassegnarmi .   .Di V.A.S. Vino Dmo Obbmo Servo  SANTI VIOLA, Nello scrivere la Storia di Caio Cilnio  M. ebbi di mira soltanto la riconoscenza  dovuta alla memoria di questo grand' Uomo,  che fù il più zelante promotore delle belle Letter e, l'Amico sincero, il Protettore liberale  di tutti li Letterati suoi contemporanei.   Per lo spazio di circa tredici, o quattordici  Secoli il nome di Mecenate fu sepolto, per dir  cosi, nel seno dell' oblio ; effetto della bar-*  borie de' tempi . Giovanni Meibomio fù il  pririio a raccogliere tutte le notizie relative  alla Vita di questo esimio Cavaliere Romano, e nel i6Sj. ne stampò in Leida un Libro  avente per titolo : M., sive de Caji Clini M. Vita, moribus, et rebus ge-  stis . Prima del Meibomio ne aveva scritta una  Storia Gio. Paolo Martire Rizzo in- lingua Ca -  stigliarla . Ma quest’Opera non potè procac-  ciarsi un incontro felice per le stravaganze, di  cui era ripiena, portando l' impronta piutto-  sto di un Romanzo, che di una Storia, con-  forme osserva il lodato Meibomio (l ) .   (l) Praeloq. ad Lect. : Historia Vitae Mae-  cenatis a Jo . Paulo Martire Rizzo Lingua Ca-  st igliana de script a . . Tantum enimabest, ut  illa sit historia, ut parum absit ad fabulas  abeat .    Digitized by Google     Vili   Circa treni' anni dopo l’Opera di questo,  cioè nel 1684., Gio. Battista Cernii diede alla  luce in Roma con le stampe di Francesco Laz-  zari una Vita di Cajo Mecenate ; ma questa  Operetta per lo stile inelegante, ed uniforme  al gusto di quel secolo, sembra che non ripor •  tasse tutta V approvazione de' Letterati, es-  sendo caduta in una quasi totale dimentican-  za ; ciò non ostante l' Autore, con la scorta  del sudetto Meibomio, non omise di riunire  molte notizie sulla Storia di Mecenate, estrat-  te dagli Autpri antichi .   Altri ancora posteriormente hanno parlato,  e scritto sul medesimo soggetto . Nel 1 j 46. fu  publicata in Parigi da M Riclier una Vita di  Mecenate, e successivamente V Abb. Souchay  fece una raccolta di notizie in una Disserta-  zione inserita nelle Memorie dell' Accademia  dell’ Iscrizioni, intitolata Ricerche intorno  Mecenate (1 ) .   Avendo profittato de' lumi, che questi Au-  tori diffusero nelle loro Opere, e non avendo  omesso di esaminare li Scritti di Livio, Dione  Cassio, Appiano, Tanfo, e Vellejo Pater-  colo fra li Scorici antichi, non che quelli dì  Seneca, Macrobio, Orazio Flocco, Virgilio,  Properzio, ed altri, ho tessuto questo qua-  lunque siasi lavoro, con aver procurato di non   CO Tiratosela Stor. della Lett. ltal. part.  3. lib.3. ... r j    Digitized by Google    IX'   deviare nella narrazione de' fatti dà un ordine  regolare, e cronologico . Fra li moderni ho  fatto uso delle Storie del dotto Inglese Lorenzo  Echard (1), e degli eruditi Catrou, e Rovil-  lè (2 ), nelle quali oltre a non poche notizie  relative al mio assunto, ho toltili materiali  sulla Storia contemporanea, con aver però ri-*  scontrati li fonti, in cui quelli avevano ati  tinto,   Lapresente Operetta è divisa in IV Li-  bri . N el primo si sono rintracciate le Notizie  sull’ origine, e sulle qualità della Famiglia de'  Cilnj ; si fissa l’epoca, in cui il nostro Mece-  nate può essere entrato nella CorQe di Ottavio  Augusto, e si nota tutto ciò che vi ha di più  rimarchevole sulle di lui geste e precedenti al  Triumvirato, e dopo di esso fino alla Cuerra  detta di Perugia, cagionata dagl intrighi di  Fulvia Moglie del Triumviro Marcantonio .  Contiene ancora le operazioni del medesimo  Mecenate, e prima, e dopo la disfatta di Bru->  to, e Cassio nelle Campagne di Filippi,   (1) Storia Romana dalla Fondazione di Ro-  ma sino alla Traslazione dell’ Impero sotto Co-  stantino scritta in idioma Francese dall’ Abb.  delle Fontane sopra l’Originale Inglese . Vene-  zia 1751.   (*) Histoire Romaine depuis laFondation  de Rome par les RR. PP. Catron, et Rovillè .  Paris 1735.    I X?'    Il secondo Libro comprende la serie de* folti  relativi alla Storia di Mecenate dalla indetta  disfatta di Bruto fino alla morte del succe rinato  Marcantonio, c della famosa Cleopatra, Epo-  ca, in cui Ottavio rimase il solo Dominatore  della Romana Gran dezza .   N el terzo Libro si vedrà il Congresso tenuto  da questo con Agrippa, e Mecenate per delibe-  rare, se, stante V estinzione del Triumvira-  to, dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo  il sistema Republicano, o se dovessero gettar-  si le basi di una Monarchia Universale, e qui  si leggeranno li giudiziosi, e politici discorsi,  recitati l’uno da Agrippa, che perorò per la  Repuhlica, e l’altro da Mecenate, il quale fa  di opposte sentimento, ed opinò per lo stabili-  mento della Monarchia ; e come Ottavio ante-  pose le ragioni di questo alle riflessioni di  quello .   ■ N eli’ ultimo Libro si conoscerà quale fesse  l influenza di Mecenate sullo spirito di Otta-  vio, divenuto Imperadore, e quale la defe-  renza di questo verso di quello . Si ravviserà  inoltre quanto grahde fosse la protezione, c la  liberalità di Mecenate verso i Letterati, e  quale impegno avesse per il progresso dèlia  Letteratura, e delle Scienze . In fine sipar-  io della Morte .   . Hò creduto di aggiungere, dopo la Storia,  ««Appendice divisa in tre Discussioni, che  sonuninistrano de' schiarimenti, ai altre- me-    Digitized by Google    XI    morie, che in quella, q erano state omesse, o  appena accennate . Le prime due Discussioni  abbracciano Le notizie relative ai celebri Giar-  dini, ed Abitazione, che Mecenate possedeva  in Roma, ed alla magnifica sua Villa situata  sulle sponde dell ’ Aniene presso Tivoli . La  terza si aggirerà sulla pretesa Febre perpetua,  e Veglia Triennale, che Plinio il Naturalista  attribuisce a Mecenate «   Tutte le volte, che questo grand’Uomo trovò  degl' imitatori nella protezione, e nel favore  delle Lettere, e dei Coltivatori delle medesime  si viddero comparire degl ' ingegni prodigiosi,  e la Letteratura fece mirabili progressi, In  fatti a questa imitazione siamo debitori di tante  utili scoperte, e di quelle venuste produzioni  dello spirito umano, che viddero la luce sotto  i Leoni, sotto gli Alfonsi, e in tutte le altre  epoche, nelle quali le fatiche de' Dotti furono  r.icompcnsate, ed avvalorati li talenti . Se per-  tanto questa imitazione non sarà posta in oblìo,  e se il nome di Cajo Cilnio Mecenate non sarà  dimenticato, li Secoli successivi saranno sem-  pre più migliorati, ed illuminati dallo svilup-  po delle umane cognizioni . „   LI Poeta Marziale, che vivgpa in un epoca,  in cui la Letteratura inclinava alla sua deca-  denza, si lagna, e fa conoscere, che allora  non esistevano dei Mecenati, che non erano  le scienze protette, e che perciò non si vede-  vano comparire ingegni sublimi . „ Ti meravi -     „ gli > 0 Fiacco, che a tempi nostri . . . man-  „ chino ingegni simili a quello di Virgilio,, Marone, c che niuno sappia cantare le mi-,, litari imprese con una tromba eguale alla  „ sua . Io ti rispondo, che se vi fossero de *  „ Mecenati, come quelli, che vissero sotto  „ I Impero di Ottavio Augusto, vedresti svi-  „ lapparsi altri Genj niente inferiori a quello,, del Poeta Mantovano . Era stata a questo  „ rapita la sua piccola Possessione presso Crc-  „ mona, implorò la protezione di Mecenate,,, pianse, e sotto il nome diT itiro cantò in,, stile boschereccio le perdute pecorelle . Rise  „ al suo flebile, ma dilettevole canto il To-  „ scavo Cavaliere, e tantosto fugò da esso la,, maligna povertà . . . Allora Virgilio con-  „ copi la grandiosa idea dell ’ Eneide ... Se  „ tu dunque, o Fiacco, sarai benefico co-  „ me Mecenate, e mi ricolmerai di doni, ti,, assicuro, che anche io diverrò Virgilio (l).   ( i) Martini. Lib. 8. Epigr. 55. ad Flaccnm.   Temporibus nostris   ìngenium sacri miraris abesse Maronis ;   Nec quemquam tanta bella sonare tuba .  $int M. s, non deerunt, Flacce, Marones.   Jugera perdiderat miserae vicina Cremonae,  y Flebat et adductas T ityrus aeger opes .   Jìisit Tuscus Eques, paupertatemque malignarti   Rcpulit, et celeri jussit abire fuga,    Digitized t    XIII   Nello scrivere la presente Storia non pre-  tendo di aver fatto un lavoro completo, nè di  aver raccolto tutte le Memorie sulle avventure  politiche, morali, e civili di questo esimio Ca-  valiere Romano . Se non vi sono riuscito, non  fu colpa della mia volontà, o effetto di trascu-  ratezza . Qualunque mancanza si deve attri-  buire alla ristrettezza delle mie cognizioni, e  de’ miei talenti . Può essere però, che all' im-  pulso di quésto mio travaglio altri si scuotano  in seguito, che forniti di migliori materiali,  ed ingegno più elevato, sappiano supplire alli  miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore, e  leggendo novelle prbduzio'ni, e nuove scoperte  intorno alle geste del mio Eroe, sarò ben con-  tento di apprendere da altri, ciocchi io aveva  tentato di conoscere colle mie fatiche .    Protinus Italiam concepii, et arma virumque .   Ergo ero Virgilius si munera Maecenatis  E>es wihi . . v w . v i     y*   N A    STORIA   '   X   >    DI CAIO CILNIO M.  •   _| ràle famigli» le più antiche, e dovizio-  se di Arezzo nell’Etruria meritamente è an-  noverata quella de’ Cilnj . Circa la metà del  quinto Secolo dopala fondazione di Roma, e  duecento novant’ anni puma dell’Era volgare  la medesima figurava luminosamente non solo  nella propria Città:, ma eziandio sopra tutta  la Nazione ; se noti che le grandi ricchezze  avendola resa troppo orgogliosa, e prepo-  tente, si procacciò l’odio, e l’ invidia, delle  altre famiglie, e de’ suoi concittadini, e fu  sottoposta a disgustiose vicende .   Nell’ epoca succenuata, e precisamente  nell’ anno 4S0. di Roma, fu ordita nel seno  stesso della sua Patria contro di quella una  terribile congiura # e quantunque, per mez-  zo de’ suoi rapporti, ne giungesse al disco-  primento,, non potè però impedirne l’esplo-  sione . Gli Aretini presero le armi risoluti di  discacciarla dalla Città, e non avrebbe potuto  disimpegnarsi dalla pericolosa situazione,  se non avesse trovato un appoggio nelle forze  della Romana Republica.,   Questa aveva già sperimentato più volte la   A    Digitized by Google    *   potenza, ed il valóre degli Etrusci, che in  quel tempo costituivano una nazione popolosa,  formidabile; e guerrierafi) e se aveva su  di questa riportate delle vittorie, TEtruria  non faceva ancora parte delle provincie Ro-  mane ad essa confinanti . In questa occasione,  o fosse realmente per soccorrere li Cilnj » o  più probabilmente per profittare delle interne  dissensioni, Roma vi spedi il Dittatore Marco  Valerio Massimo con un’ armata .   Sebbene lo Storico Livio narri il principio,  il progresso, ed il termine di questa insurre-  zione degli Etrusci, nutladimeno, secondo  il medesimo, sembra, che riuscisse al Gene-  rale Romano di calmare li sediziosi movimenti  degli Aretini, e di riconciliare la Plebe, con  la detta famiglia de' Cilnj i senza alcun fatto  d’armi rimarchevole, e sanguinoso,, Correva,, la voce ( dice Livio ) cbe l’Etruria avesse  „ inalberato lo stendardo della rivolta, e  che erasidato principio! alla medesima dalle  „ sofnmosse degli abitanti di Arezzo, nella  qual Città la prepotente famiglia de’ Cilnj,  invidiata perle ricchezze, voleva scacciar-  „ si colle armi Alcuni Autori, che   (l j> Livio lib.q. Cap.iqi Prodigato Samni-  tium bello ; . . . Etrusci belli fama exorta  èst, non erttt ea tempestate gens alia, cujus  . ., . arma terribiliora esscnt cum propin-  qui tate agri, tum muli ita din è hom&nutn, y    Digitized by Google    — « «— I    3   t) tengo presso eli me, affermano, che per  „ iopera del Dittatore, calmati li sediziosi mo-  „ vimenti degli Aretini, e ricpnciliata  Plebe con la famiglia de’ Cilnj, fosse ri-  „ condotta la quiete nell’Etruria, senza alcun  „ fatto d’ armi memorabile (i).   Dopo due anni però, cioè nell’anno 453,  si accese nuova guerra fra questa, e laRe-  publica Romana . Sene ignora la, cagione, e  non si conosce qual parte vi prendessero i  Cilnj, e sebbene l’E trulla fosse costretta a  chiedere la pace, tuttavia dopo breve tempo  fu indotta a novelle ostilità dai Sanniti .   Questi popoli guerrieri sempre inquieti >  benché sempre vinti dai Romani, nell anno  557. tornarono all’ armi, e fecero tptti li  sforzi per stringere un'alleanza offensiva con  le popolazioni Toscane „ Etrusci ( cosi par-  „ larono li Deputati de’ Sanniti ) piu d’nna  „ volta ci siamo cimentati ne’ campi di Marte  „ con le Coorti Romane ; abbiamo dimandata  Lib. io. num. 3. e 5 . Multiplex de in-  de exortus terror . Etruriam rebellare ab  Aretinorum scditionibus, mota orto, nuntia-  batur, ubi Cilriiurn genus praepotens, divi-   tiarum invidia pelli armis ceptum Ha*   beo Auctores, sine allo praolto pacatam a Di-  ttatore Etruriam esse, seditionibus tantum,  Aretinorum compositis, ctCilnio genere cuoi  plebe in gratiam redacto . . L . . v )      » la pace, quando non potevamo sostenere   „ più lungamente il peso della guerra . Siamo  „ tornati ora a' prendere nuovamente le ar-  „ mi, perchè la pace ci era più dura degli or-  „ rori di quella L’unica nostra speranza pe-  „ rò, la sola nostra risorsa risiede nella na-  „ zione Toscana, nazione ricca, bellicosa, e  „ fertile di guerrieri . Se noi avremo il vo-  „ stro ajuto, e voi risveglierete ne’ vostri  „ petti quel coraggio,. con cui Porsena, e i  „ ^vostri Maggiori spaventarono Roma istessa,  „ nulla avremo a desiderare (i) .   Li Sanniti ottennero ciò, che bramavano .  Gli Etrusci accedettero alla lega, e la guerra  cominciò con furore . Ma non era ornai più  tempo di resistete alle forze delle Republica  Romana già divenuta invincibile .'Eglino fu-  rono superati, e la sorte, che incontrarono  in questa, incontrarono ancora nelle altre  guerre posteriori, finché furono costretti a  sottoporsi alle leggi, ed all' impero di quella .   Quantunque la Storia ci abbia occultato le  avventure de’ Cilnj, dopo che l’Etruria fu da’  Romani soggiogata, pure sembra potersi cre-  dere, che continuassero sempre ad occupare  un rango distinto fra le famigliedella Nazione .  Imperciocché se deve -prestarsi fede al Poeta  Silio Italico, nella seconda guerra Punica un  individuo di essa famiglia militò contro Anni-   • I ., N 1 • Tit. Liv. lib.io. cap.x i. w . •.    baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché  restasse prigioniero, diede argomenti di co-  raggio, e di valore .   Avendo Annibaie superato le Alpi, incon-  trò nelle vicinanze della Liguria il Consolo  Cornelio Scipione, che con un’ armata Roma-  na voleva contrastargli la marcia ; ma impa-  ziente il Generale Africano di dare esecuzione  al già meditato progetto di conquistare l’Italia*  e impadronirsi ancora del Campidoglio, attaccò  l’esercito nemico . La battaglia fn incomincia-  ta, e sostenuta con accanimento dalla Caval-  leria Numida, e le truppe di Scipione furono  completamente disfatte. Egli stesso rimase feri-  to, e sarebbe caduto frà le mani de’Cartaginesi,  se non avesse combattuto al sno fianco Scipione  di lui figlio denominato posteriormente Afri-  cano. Questo giovane guerriero, benché in  età di soli diciotto anni, salvò il padre con  il suo coraggio, e diede in tale occasione li  primi saggi de’ suoi talenti militari . Questa  terribile battaglia, e questo disastro dai Ro-  mani sofferto accadde tra il Pò, ed il Ticino  nell'anno di Roma 536. (i) .   (i) Dion. Cas. lib. 14 . Eutrop. lib.3. Flo-  rus lib.a. Cap. 6 . Ac primi quidem impetus tur-  bo inter Padum ac Ticinum valido statim frago-  re delonuit . Tunc Scipione Duce,fusus Exer-  cicus, saucius et ipse venisset in hostium ma -  nus Imperator,niii protectum patrem praetex -    «I    6   Frà li molti prigionieri di distinzione fatti  da' Cartaginesi si numera un Cilnio della Cit-  tà di Arezzo nell’ Etruria . Giovanetto anch'  esso, come il figlio del suo Generale, com-  batteva nella Cavalleria Romana. Il suo Ca-  vallo ferito cadde nella pugna, ed egli restò  prigioniero. Il surriferito Silio Italico, che  narrò in versi tutte le azioni di questa guer-  ra formidabile, cosi si esprime „ Cilnio d’ il-,, lustre prosapia, e nato nella Città di A-  „ rezzo, situata nelle contrade Toscane, da  „ un destino crudele era stato spinto sulle ri-  „ ve del Ticino, benché giovanetto; quivi  „ nel furor della mischia, balzato al suolo,, dal suo Cavallo divenuto furibondo per una,, ferita, era stato costretto a sottoporre il  „ collo alle Libiche catene „(i).   Annibaie bramando di conoscere le geste,  e l’origine di Fabio Massimo Dittatore Roma-   tatus admodum filius ab ipsa morte rapuisset .   (i ) Sii. Italie, lib.7. de Bell.Punic. ver.ao.  At Libyae Ductor postquam nova nomina lecto  Dìctatore vigent ....•   Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit  Progenicm,rituscjue Ducis,dextr aeque labores;  Cilnius Arreti Tyrrhenis ortus in orit  Clarum nomea erat, sed laeva adduxerat fiora  Ticini juvenem ripis, fususque ruentis  V ulnere equi, Libycit praebebat colla catenu .      D icjitizert, by Cop ale    i   no» di cui tante cosq narrava la fama, ne in-  terroga il sudetto Cilnio suo prigioniero .  Questo appaga il Generale Africano, ma gli  parla con franchezza, e coraggi^, e gli fa  Conoscere in fine, che piu della schiavitù, cui  era stato per disavventura sottoposto, amala  morte . Offeso .quello dall’ardita risposta di  Cilnio, cosi lo rampogna . „ Indarno, q fol-  „ le, cerchi di accendere il mio sdegno, è  „ di schivare con morte, che desideri,  », la schiavitù . Viyrrai tuo malgrado, e il  tuo collo sarà riservato al peso di catena  „ più pesanti .,,(1) .   « Dopo la battaglia del Ticino i Annibaie  continuò a trascorrere l’Italia, riportando  segnalate vittorie . La più strepitosa, e me-  morabile fu quella presso Canne piccolo, ed  ignobile Borgo della Puglia nell’anno di Roma  $ 38 . La perdita della Romana Republica in  questa fatale giornata fu immensa . Tutte le  famiglie furono ricoperte di lutto, perchè  ognuna vi ebbe delle vittime da compiange-  re (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma   (1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq.   Qnem ( Cilnium ) cernens avidurn leti post   talia Pocnus   Nequidguam nostras, demens, ait, elicis iras,  Et captiva paras moriendo evadere vincla ;  yivendurn est, arefa servàntur colla catena. \   ( 2 ) Lucius Fior. Lib. a. Capi 6. Ultimwn    8   soltanto; essa aveva fatttf leva di frappe dar  tntte le Provincie o conquistate, o collega-  te, onde sù di qneste si diffuse non meno l’or- 1  rore prodottoda quella battaglia sanguinosa *  Perciò anche TEtruria dovette dolersi de’  suoi guerrieri estinti nelle campagne della  Paglia, e frà gli altri di un illustre Pcrsonagf.  gio chiamato Mecenate, e dell' iste.ssa famiglia  de’ Cilnj . Il sndetto Siliò Italico dettaglian-  do li soggetti di distinzione, che erano periti  a Canne, fa menzione particolare di questo  èon tali espressioni „ Te'ancora trafitto nelL*  „ inguine da Tiri© strale Veggio cadere estin-  to, o Mecenate, nomeMllustre per li scettri  „ Toscani, e venerato per la patria, che ti  „ diede i Natali „ (i).   Se fosse incontrastabile l’autorità di questo  Poeta potrebbero farsi alcune riflessioni, re-  lativamente all* oggetto della Storia, che si  descrive ; Nella battaglia del Ticino è fatto  prigioniero un Cilnio cittadino di Arezzo, di  prosapia illustre ; in quella presso Canne,  cioè dne anni dopo, cade estinto altro soget-  to chiamato Mecenate, parimenteToscano, mà   bulnus Imperli, Canna e, ignobili s Apuliae  V icus, sed magnitudine c/adii, emersit ; et  quadraginta millium eacdr parta nobilitai ; Ibi  in exitium infelicis exercitus dux, terra, coe-  lum, dia, tota denique rerum natura contentiti  ( i) Lib. io. vers. 39.    Digitized by Google      li antenati del quale erano stati Monarchi : Et  sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis : Ora  l'uno, e l'altro discendevano dalla stessa fami-  glia de’Cilnj, o erano di due separate famiglie ?  Come poi, e quando, e chi delle medesime  venne a stabilirsi in Roma ?   La notte del tempo, e la mancanza di memo-  rie ci toglie tuttU lumi necessari, onde ravvi-  sare la verità senza incertezza, e giungere allo  scioglimento di tali dubbiezze • Dall' anno  538. epoca della ìsudetta battaglia presso Can-  ne fino all’anno 66a. dì Roma ci si presenta un  vuoto penoso, che nulla ci fa scorgere sull'  oggetto ricercato; in quest’anno però sembra,  che comincino a diradarsi le tenebre, ea  presentarcisi un qualche raggio rischiaratore  per conoscere, che allora la famigliar Mecena-  te già erasi stabilita in Roma, leggeudo, che  un Cajo Mecenate, aggregato al corpo de’  Cavalieri, figurava luminosamente in quella.  Capitale .   In tal epoca, e precisamente nel detto  anno 66a. era Tribuno della plebe Marco Li-  vio Druso . Questo cittadino Romano fornito  di nobiltà, di ricchezze, e di eloquenza attac-  cò le prerogative esistenti nell’antico, e no-     Oppetis, et Tyrio super inguina fixe veruto,  Maecenat, cui maeonia venerabile terra,   Et sceptris olirti celebratum nomen Etruscis.    IO   bil ceto de’ Cavalieri » e -vedeva, thè » me-/  diante una Legge,' venissero; questi.' spogliati  dei-diritto sulla Giudicatura, dritto annesso,  óna volta, al Senato iifi) j -,  ' Per riuscire nel suo progetto Druso fece  ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino»  vimento tutte le risorse della politica, dell'  eloquenza, e della saviezza ± mà oltre ad ave?  re incontrato delle forti opposizioni fra li stes-  si Senatori, -Cajo Mecenate,• Flavio Pugione,  e Gneo Titinmo, Cavalieri di specchiata pro-  bità si opposero energicamente alle di lui po-  tenti manovre, e con lai loto fermezza, ed  influenza* mandarono a . vuoto il progetto di  Legge > che già quello aveva modellato (2) .  ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone nell’O-  razione a favor di Cluenzio, presentandogli   I * •  i •• 1; i   - Vellej. Patere. Lib. a. Art.i 3 .De inde f  inter jectis paucis annis, TriburuUum iniiejtf.  Livius Drusus, vir nobilissimus, eloguentis -  simus, sanctissimus, qui cum Senatui priscum  restituire cuperet dccus, et judicia ab Equi -  ti bus ad eum transfer re Ordinem . . . in its  tpsis, quae prò Senatu moliebatur, Senatum  habuit adversarium,   Liv. in supplem. lib. 71. art. ar. Adeo-  que Cajus Flavius Pus io, Gn.Titinius, Cajus  Maecenas Principes Equestri s Ordinis Curiata  hit le gibus ingredi aperte ree usar unt . *    re   l'occasione di rammentare questo avvenimento  de’ fasti Romani, fa un’elogio, e di Cajo Me-  cenate, e degli altri due Cavalieri ne’ termini  seguenti „ Allora Cajo Flavio Pugione, Gneo,, Titinnio, e Cajo M., que’ potenti  „ sostegni del popolo Romano non agirono,  „ come ha ora agito Clueuzio, quasi che ri*  >, cnsando pensassero di far ricadere sopra  „ di essi un qualche principio di colpa, ma  „ ricusando apertamente, energicamente, ed  „ onestamente fecero conoscere, che eglino  „ avrebbero potuto sollevarsi per giudizio  „ del Popolo a cariche sublimi, se avessero  >, direttele loro cure a richiederle ... ma,, che, contenti del solo ordine Equestre,  „ incui si trovavano, in cui erano vi»-   „ suti ancora li loro Maggiori, avevano sti-  „ mato di seguire una vita quieta, e tran*  „ qui Ha lungi dalle procelle, che sogliono  „ suscitare l’invidia, e gl’intrighi de* giudi-  »> zj, simili a quello, di cui.si tratta ( i )- '   i. • .t   ( i) Oraf prò Cluentio nnm. 56. 0 Virot  fortes, Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris -  simo, oc potentissimo M. DrusoTribuno pie-   bis restiterunt Tane C. Flavius   Pusio, Cn. Titinius, Cajus Maecenas, illa  robora papali Romani, ceterigue hujusmodi  Ordinis non fecerunt idem, guod nane Cluen -  tius, ut aliquid culpae susci pere se putarent  recusando, *ed apertissime r spugnar unt, cunt    Qigilized by Goo jle    i iDa questo Caio Mecenate, di dui parla Cu  cerone,~fiho all’anno della nasci ta dèi nostra  CajoCtlnio' Mecenate non trascorsero, .che so-  li anni ventiquattro-, essendo egli n3to, come  fra poco si vedrà /udranno di Roma 686.,  cosi che se, quando quello si oppose all’ in-  trapresa dal Tribuno Druso nell’Anno 663.  non era in età provetta, poteva vivere: ancora  quando ebbe principio resistenza di questo .  i E sebbene sia sembrato irreperibile il suo  preciso anuo Natalizio,, tuttavia riflettendosi  sull ’ annoi della nascita * e sù quello della  morte del Poeta Orazio Fiacco, si potrà co-  noscere, e forse con qualche sicurezza, che  il nostro Cajo Cilnio Mecenate fu messo al  mondo nell indicato anno 686. dopo la fonda-  zione di Roma, ed anni sessantotto prima  dell'Era volgarp .  et Lucio   Asinio Gallo Consulibus .   Fast. Cons. loc. cit. pag. 107.    Digitized by Google    i5   quantasette, qual periodo’ di vita appunto  gli assegnano Eusebio di Cesarea (i ) Pietro  Crinto ( oc) ed altri .,   Sembra anche certo egualmente, che il no-  stro Cajo Cilnio Mecenate morisse di anni ses-  santa, è nell* anno istesso, in cui cessò di.  vivere Orazio ; anzi non s'ignora, che  il primo mori verso il mese di Settembre, ed il  secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[ Dunque  Mecenate aveva preceduto di tre anni, resi-  stenza di Orazio, che visse cinquantasette an.  ni conforme si è detto, ed essendostata fissata   ; 1 ;!/   (i) InChronich. Horatius quinquagesimo  septimo aetatis siiae anno Romae moritur .In Vit. Horat. Mortuus est autemHo -  ratius anno aetatis suae septimo, et quinqua-  gesimo .   (i ) Dion. Gas. lib. 55 . Morery Gran. Di-  ction. Histor. art. Maecen. Briet. Ann. Mund.  Tom. j. part. 3 . ad ann. 746. Consulibus Cajo  Mario Censorino, et C. Asinio Gallo fnensi Se-  stili indìtum est Augusti nomea .... Obiìt  etiam hoc anno Maecenas Litterarum praesi-  dium, et decus Nequc diti suo Mae-   cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta Lyri-  cus . Obiit enim non aetatis anno 60, ut ali -  qui, non 5 o, ut alti, sed 5 j, hisque Consu -  li bus . v   ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom. 19.    16   la nascita di questa all’ anno 689. il Natale  di quello deve rimontare all’ anno 686. dopo  la fondazione di Roma, ed. all' anno 68. prima  dell’Era volgare »   Con maggior certezza poi si conosce il  giorno preciso, in cui il sudetto Cilnio fu re-  gistrato nel numero de mortai}, che fu il gior-  no i3. Aprile. La verità di questo punto isto-  rico risulta dalle Odi del surriferito Orazio  Fiacco. Volendo quest» Poeta celebrare la ri-  correnza del sudetto giorno Natalizio del suo  amico Mecenate, invita Fillide alla Festa, e  cosi si esprime „ Ed affinchè conosca, o Filli—  „ de, a quali esultanze io ti chiami, sappi,  „ che dovrai celebrare con ime il dì, che in  „ due divide il mese di Aprile, sacro a Ci-  „ prigna; giorno per me giustamente solenne, e più sacro ancora dj quello, nel qua-  ., le io nacqui; giacché in esso incomincia a,, numerare gli anni della sua vita il mio M. Od.i 1.   Vi tanica noris, quibus advoceris  Gaudiis ; Idus tibi sunt agendac,   Qui die* mcnsem Veneri s marinai  Findit-Aprilem .   J are sole mais mihi, sanctiorque   Paene Natali proprio, quod ex hac  Luce Maecenas meus ajfluehtes  Ordinai annoi,    »7   Avendo procurato di rintracciare alla me-  glio l'anno, ed il giorno della nascita del no-  stro Cilnio,, stimo pregio dell'opera di fare al-  cune osservazioni relativamente al suo Padre,  ed alla sua Stirpe . Quel Cajo Mecenate, che  nell' anno 66a. faceva in Roma una comparsa  brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cava-  lieri ; ciò si è dimostrato coll' autentica te-  stimonianza di Cicerone, ed anche con le au-  torità di Livio testé riferite .   Inoltre l’ istesso Cicerone ci fa conoscere,  che il Cajo Mecenate, di cui fa egli gloriosa  menzione, non aveva alcuna ambizione, nè  curava di sollevarsi ad impieghi luminosi, ai  quali pur troppo avrebbe potuto giungere per  la buona opinione, che godeva presso il Popo-  lo ; ma che contento del semplice titolo di  Cavaliere, amava di passare una vita lieta,  e tranquilla ad imitazione de’ suoi Maggiori.  „ Se potuisse ( sono parole di Tullio sopra-,, enunciate ) Judicio populi Romani in am-  „ plissimum locum pervenire, si sua studia,, ad honores petendos conferre voluissent  sed Ordine suo, Patrumque suo-  „ rum contentos fuisse, et vitam illarn  „ tranqnillam, et quietam .... sequi ma-,, luisse .   Ora il carattere, che forma Cicerone di  questo Cajo Mecenate, non è similissimo a quel-  lo del nostro Cilnio ? Tal circostanza si cono-  scerà nel decorso della sua Storia, ma intan-   B    j8   to possiamo accennare, che questo aveva tut-  ti li mezzi per inalzarsi a cariche le più emi-  nenti, e decorose, stante la grande amicizia,   di cui era onorato da Augusto, ma che pa-  go del suo stato, e del semplice titolo di Ca-  valiere, mai volle, ne dimandò altri onori,  e nuovi impieghi. A ciò si può aggiungere  l'epoca del tempo, in cui quello viveva, ed  era celebrato per uno de’ sostegni del popolo  Romano, ed in cui sono fissati i natali di que-  sto, e dal tutto insieme ne risulterà un grado  di probabilità non del tutto dispregevole,  per credere, che il sudetto Cajo Mecenate  potè essere l’Autore del nostro Cilnio .   Potrebbe la nostra assertiva essere smentita  da una antica Iscrizione riportata da Dionisio  Lambino ( i ) nella quale si parla di Mecenate  figlio di Lucio ; poiché se questa avesse rela-    - ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat.  £ 7 ni us praeterea Marnioris antiqui testimo—  nium producala, quod Romae visitur in Aedi-  bus Fusco aura e regione aediurn Farnesia-  rum, in quo haec sunt incisa .   Lieertorvm et Libertarvm  C. Maecenatis .   R. F. Pontif. Posterisq. eorvm  Et qvi ad xd tvendvm   CONTVLERVNT CONTVLEIUUT «    *9   zione al nostro Mecenate, sarebbe stato figlio  di Lucio Mecenate, non di quel Cajo da Cice-  rone accennato . Ciò non ostante pare che un  tal documento non Taiga, nè a somministrare  schiarimento sull'oggetto, di cui si parla, uè  a distruggere la detta nostra assertiva, i.  peri hè non costa, che quella Iscrizione seco  porti un carattere di sicura autenticità ; a.  perchè non si conosce dal contesto della me-  desima l’epoca del tempo, in cui fa incisa,  né a qual Cajo Mecenate debba riferirsi . Ve-  niamo ora alla Stirpe del nostro Cilnio.   Gli Autori antichi, e moderni, tutti li Com-  mentatori di Virgilio, di Orazio, di Proper-  zio, ed altri si sono divisi di opinione nel fis-  sare la nobiltà della discendenza di questo  grand’Uomo . Orazio ('i) Properzio (a) ed  anche Marziale ( 6 ) chiaramente hanno scritto,   (i) Od.j.Lib.i.   Maecetias atavis edite Regibus,   O et praesidium, et dolce decus rneum!    Maecenas eques Etrusco de sanguine Regum,  Intra fortunam qui cupis esse tuam .   ( 3 ) Lib. la. Epigr. 4.   Quod Fiacco, Varioq.fuit,summoque Ma-*  roni   Maecenas atavis Regibus ortus eques .   B a    Od. ug. lib. 3 .   Tyrrliena Regum prò genies,  (2) Lib.3.Eìeg.7.    30   che egli era di stirpe reale . IlTorrenzio ( t)  Commentatore di Orazio, descrive una linea  genealogica degli Antenati reali di quello, e  crede, che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli  Etrusci. Acrone ('a) altro Commentatore an-  tico di Orazio è dallo stesso sentimento, « fa  seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’  Albinovano ^ 3 ), e dal Beroaldo Commentato'  re di Properzio ; anzi quest’ ultimo suppone,  che discendesse dal famoso Porsena parimente  Re de’ Toscani . (4^   Al contrario Dione Cassio, ( 5 j e Vellejo   ( 1 ) Comment. ad Od. 1. lib. 1. Horat. An-  tiquis Regibus prognate: cui Menodorus Pater,  Menippus Avus, Cecinna li ex Etruscorum  fuit A t avus .   (2) Comment. ad Od.i. Lib.r. Horat. Edite  Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab  Etruscis Regibus, et contempsisse Seuatoriam  dignitatem .   Eleg. in obit. M..   Rcgis eros genus Etrusci, tu Caesaris  olim   Dcxtera, Romanae tu vigli Urbis eros,   (4) Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de  sanguine Regum : quia fuit oriundus a Porse-  na Rege Etruscorum .   ( 5 ) Lib. 19. pag. 534. Reliquas res non Ro-   mae modo, sed per totani Italiam Co*    Patircelo (t), benché spesso parlino del me-  desimo non gli attribuiscono un origine reale,  ma lo caratterizzano soltanto per un indivi-  vuo di ragguardevole e splendida famiglia . Il  Dacier (2) poi, ed il Pallavicini ( 3 ) sono  d’avviso $ che dalle indicate espressioni di  Orazio, di Properzio, e di Marziale non può  con certezza dedursi, che frà le vene del nostro Gilnio scorresse un regio sangue ; giac-  ché è noto altronde, che le parole Re, e Re-  gina, nel senso de’ migliori Autori, segna-  tamente Poeti, spesso significano Signori po-  tenti, Uomini, e Donne di qualità, e distin-  zione ; e cosi aveva ancora in sostanza pensa-  to il Porfirione  prima de' sudetti Dacier,  e Pallavicini . Riguardo ai Poeti contempora-  nei però non tutti han parlato sull'oggetto ip  questione, come. Properzio, ed Orazio . li  Poeta di Mantova più d’una volta si volge col  discorso a Mecenate nelle sue Georgiche, ep-   jus Maecenas, equestris dignitatis vir admi -  nistravit .   (1) Lib. 2. art. 83 . Tum Urbis custodiis  praepositus Cajus M. equestri, sed  splendido genere natus.   (2) Annot. crit. sopra Oraz. Canzon. di Oraz. pag. i 5 i.   (4) Comment. ad Od.i Horat. M.,  ait, atavis Regibus editus, quia Nobilibus  Etruscorum ortus sic .    lì   pure non Io ha mai decorato di nna reai prò-»  sapia•   La diversità di queste opinioni potrebbe ini  qualche guisa conciliarsi, se, come si è so-  pra accennato, sussistesse realmente ciò che  abbiamo veduto asserirsi dal Poeta Silio Itali-  co nella seconda guerra Punica . Impercioc-  ché si è in quel luogo rimarcato, che quel  Cilnio fatto prigioniero nella battaglia del Ti-  cino non è chiamata di stirpe Regia; e che  quel Mecenate, che mori posteriormente  presso Canne era celebrato per li Scettri To-  scani . Nella verità di questi fatti potrebbe    (i) Georg lib. i.vers.i. e seq.   Quid faciat laetas segete s, quo sidere terram  V ertere, Maecenas, ulmisq. ad/ ungere vites  Conveniat    Hinc cane re incip iam .   Lib. a. vers. 40.   Tuque ades inceptumque una decurre laborem  Maecenas pelago que volens da vela petenti  Lib. 3 . vers. 40.   IntereaDryadum sylvas, salt us que scquamur  Intactos, tua, Maecenas, haud rnolliajussa  Lib. 4 vers. i-   Protinus aerii melili, coelestia dona  Exequar, hanc etiam, Maecenas, excipe  partem .    Digitized byGoogle    aà   dirsi, che Orazio, Properzio, Marziale, e  gli altri, che danno al nostro Cilnio una Regia  discendenza, lo abbiano fatto derivare dal se-  condo ; e che Virgilio, Dione, Vellejo, e  gli altri segnaci dell' opposto parere nbbian  fissato per Capo della sua famiglia, o per uno  de’ snoi Antenati il primo .   Si è disputato ancora in qnal’epoca, a qua-  le degli Antenati del nostro Cilnio, e per qual  motivo venisse aggiunto il nome di M..  Riguardo all’ epoca, nell’ anno 450. di Roma  la famiglia de’ Cilnj ancora non portava que-  sto nome, conforme si è osservato da Livio .  Ottantotto anni dopo, cioè nel 538. si comin-  cia a vedere in quel Mecenate, che mori pres-  so Canne, sempre però sull’autorità poetica  del surriferito Silio Italico * Nell’anno 66a-  trovasi in Roma già celebre, e rinomato in  quel Cajo M. encomiato da Cicerone . MeibomiO (t) riporta un frammento del Libro  terzo delle Storie di Sallustio, estratto da  Servio Commentatore di Virgilio, in cui si fà  menzione del famoso Sertorio, e di un Mece-  nate Segretario del medesimo . Sertorio morì    (i) Jn Vit. M.. Praeloqi adlect. Ex-^  tot Sallustii fragmentum apud Servium adLib.  X. Eneid. Virg. ex Histor. illius lib.g „ Igitur,  inquit, discubuere Sertorius inferior in medio,  tuper eum Lucia s F alias Hispaniennt S* notar    34, „   nell’anno di Roma 68a. Terenzio Varrone,  che viveva, e scriveva nell’ epoca istessa,  in cui mori Sertorio, fa uso ancora esso nelle  sue opere della parola Maecenas {i) e di cui si  tornerà in appresso a parlare . Da tuttociò  sembra chiaro, che nel settimo Secolo di Ro-  ma già fosse commune alla sudetta famiglia  il nome di M..   Ma riguardo a conoscere a quale degli Ante-  nati di Cilnio, e per qual motivo fosse aggiun-  to quel nome, il Martini ingenuamente con-  fessa, e si protesta, che il tutto è involto  nelle tenebre, e nella incertezza, (a) Ag-  giunge però che se fosse lecito di promuovere  sn questa sconosciuta materia qualche rifles-  sione, che possa aver luogo, non già sul ve-  ro, o sul verisimile, ma sul possibile, si po-    sa: Proscriptis ; in summo Antonini, et infra  Scriba Sertorii Versius, et alter Scriba Mae-  cenas in imo .   (i) De Ling. Latin.Lib.7. in fin.   (a) Lexic. Philolog. art. Maecenas. De ori-  gine nominis nihil certi, et *'ix aliquid proba-  bile dici potest ; quia certum est, esse nomea  proprium,nec vcrum satis certum mihi qui -  dem est, cujus linguae vox sit, et historia de -  stituor cui, et ex qua causa primum juerit im-  posi tum . Addo, quod ctiam de vera scriptum  dubitai ur .    Digiti?ed    iS   trebbe dire, che la voce Mecenate è un voca-  bolo Etrusco derivante dall’ idioma de’ Caldei,  dalla qual nazione gli Etrusci hanno avuta la  loro origine ; primieramente, perchè la fles-  sione di detta voce seco porta un non so che  di straniero ; in secondo luogo, perchè li  nomi de’ Caldei si solevano ordinariamente  prendere dalle forze naturali degli oggetti mo-  rali, dalle facoltà, dalle azzioni, e dalle  passioni .   Il Catrou è d’avviso (a) che con Tantorità  di Varrone, e di Plinio possa trovarsi nn  qualche schiarimento per sapere, come fosse  dato un tal nome alla famiglia de’ Cilnj . Se-  condo quello, si rileva dal succennato Te-  renzio Varrone, li nomi degl’ individui, che  finivano in as, significavano qualche luogo    (i^ Loc. cit. Si licei aliquid de hujusmodì  prorsus incognitis dicere, quod ncque inter  vera, neque inter verisimilia, sed tantum in-  ter possibilia ponantur, sit nomen Etruscum,  ex Caldaea(inde enim Etruscis est origo ) prae-  sertim, quia forma flexionis peregrinitatem  sapit . Nomina autem fere a naturalibus viri-  bus, a ut a moralibus objectis, facultatibus,  actionibus, aut passionibus imponi consueve-  runt, tamquam monumenta quaedam de iis,  quae rebus insunt, vel adsunt, vel ab eis sunt . particolare dell' individuo medesimo (i\ Pli-  nio poi ci avverte, che fra li vini scelti dell*  Italia erano celebrati quelli ancora, che si  raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a) :  perciò conclude il detto Storico, che il no-  me di Mecenate provenisse a quella famiglia  da qualche terra, o possessione alla medesima  spettante . Ma, ad onta di tali dilucidazioni,  sembrando la cosa tuttora incertissima, se-  condo il sullodato Martini, dobbiamo soffrire  una tale ignoranza senza sgomentarci, e  con quella docilità, e rassegnazione j con cui  soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di tante  altre materie più interessanti.   Potrebbe qui aggiungersi ancora una qual-  che riflessione sulla formamateriale della paro-  la Maceenas, ed esaminare se debba scriversi    (i) Loc. cit. Hinc quoque dia nomina Le*  nas, Ufcnas, Lavinas, Maecenat, quae  cum essent a loco, ut Vrbinas, et tamen Urbi -  nas ab his debuerunt dici ad nostrorum nomi -  num similitudincm .  In Mediterraneo vera  Caesenatia, ac M. ( vina ) ; In  Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a  Virgilio.   (3) Loc. cit. Qui enim multo potiora pa-  tte nter ignorarmi!, edam et hoc, et similia,  •ine pudore possumus nescire . con il dittongo nella prima, o nella seconda  sillaba, se in ambedue, o se debba leggersi  senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo  potendo presentare una discussione, o estranea, onojosa, rimettiamo gli Eruditi al ci-  tato Lambino, il quale ne’Commenti alla pri-  ma Ode di Orazio ne ha parlato con precisio-  ne, e dottrina. Il Lamiino nel commentare la parola  M., che leggesi nell’Ode i.del i.lib.  di Orazio, tosi sviluppa il punto da noi succcn-  nato, In omnibus fere manuscriptis Codicibus, quibus usus sum, nomea Moecenas scri-  ptum reperi et in prima, et in.secunda sylla-  ba sine diphthongo ; quam scripturam tametsi  non probe m omni ex parte, sequor in eo ta -  men, quod secunda per e vocalem, non ut  vulgo per oe diphthongum scribitur . Adjuvat  me Codex Orationum M.Tullii Ciceronis calamo  exaratus in Cluentiana, quo loco scriptum  etiam est hoc nomea sine diphthongo in utraque  syllaba . J am vero quod ad primam attinet  Graecorum auctoritate moveor, apud quos  M aiKnya( per ai diphthongum scribi solet in  va syllaba, ut in secunda per v quae vocalis  Ver ti tur in e longum . Quia JElianus, qui cum  Romanus esset graece scripsit lib.XlI.   «/ «f hanc scripturam retinet . Praeterea apud  Publium Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia»    Dopo di aver raccolto le descritte notizie ;  e prodotto quelle poche riflessioni finora ac-  cennate sulla stirpe, sulla patria, sull’ au-  tore del nostro Cilnio, e su tutt’altro relativo  al suo nome, sembra, che ornai dobbiamo  occuparci sulla relazione delle sue geste, e  de’ suoi costumi, e sulla Storia della sua vita ;  ed in primo luogo dovremmo parlare della sua  educazione, sotto quali maestri, ed in quali  Accademie venisse istruito ; ma su di ciò man-  cando notizie sicure, qual vantaggio potrebbe  ricavarsi da congetture vaghe, ed inconclu-  denti, da riflessioni possibili, o estratte dal  fondo di un immaginario probabilismo ?   Ciò non ostante si pnò dire, che l’educazione di M. fu proporzionata, ed uni-  forme al rango, che li suoi Maggiori occupa-  vano nella società, e nella classe de’ cittadini  Romani . Fornito dalla natura di non ordinarli  talenti, ebbe tutta la cura di svilupparli, al-  lorquando fu adulto, perchè non erano stati  oziosi, ed incolti nella sua adolescenza . Ma  se egli venisse istruito in Roma, o altrove,  e quali fussero li Dotti, cui venne affidata la  sua letteraria educazione, s’ ignora piena-  mente .   Crede il Cenni, che Mecenate fosse man-  na»! de Accent. in Exemplaribus Aldinis, sine  ulta varietale perpetuo ita scriptum, est hoc  nomen .   dato in Apollonia, allora Città ragguardevole   della Macedonia ; suppone inoltre * che men-  tre quivi attendeva alle scienze, vi si trovas-  sero ancora per lo stesso oggetto Marco A-  t grippa, ed Ottavio Cesare, e che in tale oc-   casione si stringessero con i dolci legami dell’  amicizia, o almeno facessero unà reciproca  conoscenza. Sembra però, che questa circo-  stanza non sia stata accennata da verunAutore  antico ; nè il Meibomio, ed il capriccioso  Caporali, ne’ scritti de quali attinse il Cenni  la sua supposizione, sono forniti di qualche  autorità valevole, e concludente .   Quello, che può asserirsi con qualche cer-  tezza, e che risulta dalle opere di Dione,  di Appiano, di Orazio, e di Properzio, si  è che il nostro C. Cilnio Mecenate, se  non divenne amico di Ottavio nell’ epoca de’  loro studj, di buon’ ora cominciò la carriera  de’ servigj, e consigli da esso a questo sommi*  Bistrati fino all’ ultimo respiro della sna vita.   Ottavio venne in Roma, dopoché Giulio Ce-  sare suo padre adottivo fu dai Republicani pu-  gnalato Egli seppe la disgustosa notizia nella  sudetta Città di Apollonia ( i ) . Aveva allora  appena oltrepassato il quarto lustro di sna vi-  ta, e correva l’anno di Roma 710. Giunto in  » quella Capitale, diede subito saggi manifesti  Sveton. in Octavio art.8 e io Naucler.  Chronog. ad au. 7*0 Tom.j pag. 483.     *    3o   di una grande elevatezza d’ ingegno, e benché  in età giovanile, di nn senno maturo • Comin-  ciò a procacciarsi la puhlica opinione, la sti-  ma de’ Grandi, l'affetto della Plebe, e dei  Soldati . In tale occasione, ed in tale epoca  sembra potersi stabilire, che Mecenate en-  trasse nella Corte di Ottavio, e che questo lo  prendesse per Consiglierò de’ suoi progetti, e  delle sue future intraprese .   Dopo la morte di Giulio Cesare, Marco An-  tonio governava, per dir cosi, dispoticamen-  te la Republica Romana, conciosiachè egli  aveva tptta 1* influenza, e sul Senato, e sul  Popolo, e snU’Armata . Ottavio fece istanza  presso di esso, affinchè, come Erede Testa-  mentario di quello, gli venissero consegnati  quegli effetti, che gli erano stati nel Testa-  mento lasciati .   f Antonio, poco curando la tenera età del  medesimo, accolse piuttosto con disprezzo la  di lui giusta, e regolare dimanda . M.,  che allora già trovavasi al fianco di Ottavio,  non maucò di consigliarlo a sopportare con cal-  ma, e rassegnazione P ingiustizia, e T insul-  to del prepotente Romano, e nel tempo stesso  gli fece conoscere, che bisognava momenta-  neamente abbracciare la causa del Senato,  stantechè da tutte le circostanze scorgevasi im-  minente una guerra Civile .   11 Senato proteggeva l’attentato commesso  dagli uccisori di Giulio Cesare, ed Antonio     3i '   aveva inalberato lo stendardo guerriero con-  tro di questi . Ottavio, come figlio adottivo  del famoso Dittatore pareva, che dovesse unir-  si ad Antonio, e secondare le mire del mede-  simo, ma Mecenate da previdente, ed accor-  to Politico credette, che dovesse per allora  uniformarsi ai voleri del primo . In fatti il  Senato, per opporlo all’ambizione del sudetto  Antonio, cominciò a fargli mille buoni uflìcj,  ed a colmarlo di onori, e di carezze . Intanto  questo faceva la guerra a Decimo Bruto uno  degli assassini di Giulio Cesare, che assediò  in Modena . Allora il Senato incaricò li Conso-  li Panza, ed Irzio a marciare con un’Armata  contro il nemico del sudetto Decimo Bruto, ed  Ottavio fu ad essi associato in tale spedizione .   Questa guerra fu fatta con differente suc-  cesso, nè l’impresa di Antonio potè cosi sol-  lecitamente reprimersi; ma lilialmente in una  battaglia campale fu egli completamente di-  sfatto, fu levato l’assedio di Modena, e Bru-  to liberato, mercè li talenti militari di Otta-  vio, al quale fu attribuita la maggior gloria  di quella giornata ; in essa vi morì il Consolo  Irzio, e Vibio Panza mortalmente ferito eb-  be tempo di parlare ad Ottavio, lasciandogli  salutevoli istruzzioni, e consigliandolo segna-  tamente ad unirsi con Antonio .   Questo fatto storico si pone all’anno di Ro-  ma 711. epoca, in cui Oitavio correva nell’an-  no vi^esimo primo della sua vita, e Mecenate    3a   parimenti nel fiore della sua gioventù, ed in  età di circa venticinque anni, già stava al sho  servizio . Abbiamo di ciò ne’scritti di Proper-  zio un argomento di certezza, che pare non  possa incontrare eccezzione . Imperciocché il  sndetto Poeta, uno de’più cari amici di Mece-  nate, scrivendogli una robusta, ed elegante  Elegia, gli dice, che se avesse talenti da po-  ter cantare gli Eroi, non canterebbe già li Ti-  tani, e la loro guerra contro Giove, allor-  quando ammonticchiarono le montagne di Pe-  lio, ed Ossa, non canterebbe neppure le bat-  taglie degl'antichi Tebani, o l’ Incendio di  Troja, il primo Regno di Romolo, l’ardimen-  to della superba Cartagine, le minaccie de’  Cimbri, e le vittorie di Mario ; “ Ma cante-,, rei ( soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece-  », nate, le guerre, e le azzioni illustri del  », tuo Cesare, e mostrerei, che in tutte le  „ sue imprese, tu occupi il posto secondo .  », Canterei la guerra di Modena, le tombe  „ degli estinti presso la Città de’Filippi, la  „ guerra di Perugia, la battaglia di Azio, e  », la conquista dell’Egitto (i).   ( t) Lib. a Eleg. i .   Quod mihi si tantum, Matcenas,fata dedissent,   V t possem Heroas ducere in arma manus ;   Non ego Titanas canerem, non Ossan Olympo   hnpositum, ut Coeli Pelion esset iter ^ Ora se M. non fosse stato già al fianco, ed al servizio di Ottavio nella guerra ‘di  Modena, il Poeta non avrebbe detto, che  quello nelle imprese di questo occnpavadl pò*  sto secondo, e facendo la serie di tali impre-  se, non avrebbe descritta per la prima la su-  detta battaglia di Modena . Properzio voleva  fare un elogio al suo Protettore, al suo Ami-  co, al suo Benefattore, ma questo elogio non  sarebbe stato giusto, e veritiero, se realmen-  te Mecenate non avesse avuto il posto secon-  do, ossia, se non fosse stato il Consiglierò di  Ottavio fin dall’epoca sudetta della liberazione  di Modena. Dal che sembra potersi dedurre  altra valevole congettura, onde credere, che  quello entrasse nella Corte di questo nell’anno    Non veteresThebas,necP er gama nontenHomcri ;   Xersiset imperio bina coiste vada ;   Regnane prima Remi, auC animos Carthaginis  altae,   Cymbrorumque minas, et benejacta mari .  Bellaque, resque fui memorarem Caesaris, et tu   Caesare sub magno cura secunda jòres .   Nam quoties Mutinam, aut civiltà busta Phi -  lippos,   A ut canerem Siculae classica bella fugae, Aut canerem Aegyptum, et Nilum cum tractus in Urbem   Septem captivi! debilis ibat aquis .    precedente 710. conforme abbiamo accennato  pocanzi.   Ad onta della perdita dei due Consoli Ir*  sio, e Panza, la surriferita vittoria riportata  contro Marco Antonio ricolmò di gioja Roma,  ed il Senato . Allora fn, che Cicerone si sca*  tenò contro di quello con tutto 1'entusiasmo  della sua maschia, ed inimitabile eloquenza .  Quc* Senatori, e quella porzione di Popolo,  che nutrivano ancora un qualche sentimento  per il Governo Rcpnblicano, ascoltavano con  estasi, ed ammirazione li fervidi discorsi di  quell’ Oratore, ed aderivano ciecamente ai  suoi voleri . Infatti Antonio fu proscritto > fu  risoluto di continuare la guerra fino al di lui  esterminio, furono destinate le Armate, scel-  ti li Generali ; eppure questa volta, nelle  nuove disposizioni marziali, non si fece men-  zione di Ottavio, benché ad esso fosse dovu-  to tutto l’esito vantaggioso della passata Cam-  pagna .   Il Senato era già divenuto geloso della glo-  ria di quello, col non curarlo voleva umiliar-  lo, ed abbassare l’orgoglio, che le già ese-  guite favorevoli Imprese avevano potuto inspi-  rargli . Ottavio, e M. conobbero in tal  .congiuri tura la condotta poco lodevole, e di-  sobbligante del Senato . Allora memore il pri-  mo delle istruzioni ricevute dal moribondo  Consolo Panza, e penetrando il secondo  nell’artificiosa politica di quello ± determina*    Digitized by Google    H   rono di procurare una riconciliazione cqn, il  detto Marco Antonio.   Il progetto esigeva una somma precauzio*  ne, ed ima impenetrabile segretezza, ma  ni uno poteva maneggiarlo più vantaggiosamen-*  te di Mecenate, che, fra le altre sue virti»  politiche, possedeva in particolar maniera  quella del segreto, conforme narrano Sesto  Aurelio Vittore (i), ed Eutropio (a).   Ottavio nella guerra di Modcaa aveva fatto  ad Antonio molti prigionieri * Per dare prin-  cipio alla riconciliazione, gli rimandò li pii  distinti, e ragguardevoli . Fra gli altri vi era  Decio, brava persona, e molto affezionata  al suo Padrone ; anche a qnesto concesse la li-  bertà. Decio separandosi da Ottavio, gli ri-  chiesi, che cosa doveva dire ad Antonio “ Di-  „ te ad Antonio da mia parte ( rispose Otta,.  „ vio ) che io credo aver egli tanta penetra-  „ zione per interpetrare la mia condotta . Se,, nulla ha compreso, sarei imprudente 4  » spiegarmi più diffusamente „ .   Intanto Ottavio, e Mecenate fissarono la  loro attenzione sull’indicato Marco Tullio Ci-   l   (1) In Epit. de Vit. et Morib.Imper.Romao,  Cap. 1 . In amicai fidai extitit ( Augustus ),  quorum praecipui erant ob taciturnitatem Mac*  cenas, ob patientiam laborit, modestiamque,  4grippa ... ...   (a) Lib. 7 in Augusto.   C a    *6   cerone, penetrando con la loro previdenza,  che bisognava cattivarsi l’animo di quell'Ora-  tore . Imperciocché egli aveva in quell’epoca  un dominio irresistibile e sullo spirito del  Popolo, e sul cuore de’Romani Senatori . Ot-  tavio dunque onde ottenere l’intento gli scris-  se una lettera in tali termini concepita Io,, sono giovane e quasi privo di esperienza  „ negli affari ; sarò occupato tutto il resto  £, dell’anno a perseguitare Antonio nostro nemico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto,, solo in Roma coll’autorità, che danno li,, Fasci Consolari, avrete il tempo, e l’occa-  „ sione di ristabilire lo Stato Republicano,  „ ed uguaglierete la gloria del vostro secondo  „ con quella del primo Consolato ( i ),, .   Tullio benché avesse tutti i lumi del più  grande Letterato del suo Secolo, non aveva  quella finezza di politica, di cui era feconda  la testa di Mecenate . Egli cadde nella rete;  credè sincera la deferenza, e la dichiarazio-  ne di Ottavio, e cominciò ad encomiarlo, e  proteggerlo in publico Senato ; che anzi ebbe  anche il coraggio, o piuttosto la debolezza di  proporre, che gli venisse conferito il Conso-  lato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio), o  „ Padri Coscritti, non ha ricevuti da Voi l’e-  », rede del nome, e de'beni di Giulio Cesa-  *•, Dion. lib. 46 Piotare, in Cicer. Catrou  Tom. 17IU). 4, £    j/ re ? Poco accorti nelle nostre risoluzioni,  noi non cessiamo d’irritarlo senza riflette-  „ re, che egli comanda a Legioni vittorio-  „ se. Perchè non procuriamo di calmarlo?  „ Sebbene giovanetto aspira al Consolato, e  „ potrà ottenerlo malgrado la nostra ripu-  „ gnanza . Contentate le sue brame per gli  „ onori . Nell’età, in cui sì trova, questa  „ brama è più vivace, che in tempo della  >, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa di  „ ottenerlo prima del tempo dalla Legge pre-  scritto . In ciò però è necessaria una limi-  si fazione. Date al giovane Ottavio un Colle-  » ga di età matura, che gli sia di guida, e  „ maestro . Questo reprimerà il fuoco di quel*  „ lo, e l’amministrazione della Republica sa-  „ l à al sicuro sotto il primo, mediante i con-  „ sigli dell'altro (i)„.   Non ostante la potente influenza di Cicero*  ne, le sue premure per Ottavio non ebbero  alcun effetto vantaggioso, mercè l’inalterabi-  le fermezza del Senato . Li Padri Coscritti co-  noscendo, che una tale richiesta trovavasi in  opposizione con le Leggi fondamentali dello  Stato, stante l’età di Ottavio, non potevano  realmente secondarla ; ma questa ragione pian*  sibile poco forse avrebbe operato in un tem-  po, in cui le Leggi Repnblicane erano inope-  rose, e senza vigore, ed in coi l’antica Co-    (a) Appian. lib. 3 Catron loc. cit.    ÌLxìob. «api >*>«■ >“ a . in,ln '' ”f "V   La ma^eior parte de’Membn componenti il Se-  “no allora, o compiici de» aa.amo.0  ai celare, o aderenti ai medesimi . Temeva.  *0 pertanto, che, sollevando ad un grado di  potenza coli eminente l’Erede di qnelk,, | P£  irebbe avere i mezzi, e trovarsi m «tato di   vendicarne la morte •, j   Ottavio adunque, vedendo, che con le  buone non poteva ottenere il Consolato, cer-  có altre risorse più efficaci ; scrisse diretta  mente ad intorno . preveneodolo dell, neon-  ciliazione . Questo, che aveva avuto già qual-  che sentore di una tale disposizione di animo  di quello, e mediante il rinvio de pronte-  ri e le parole dette a Decio, accolse con  trasporto le lettere del suo rivale, ed il pro-  getto, che gli faceva ; Incontanente si diè  tutta la premura di dargli esecuzione . 11 pri-  mo passo che fece, fu quello di riunirsi con  Marco Lepido, Soggetto anche esso poco be-  Questo allorquando ebbe la notizia dell u-  nione di Antonio con Lepido, fremè di rat  bia, e deliberò di disfarsi di ambedue . Per  lo che, supponendo che Ottavio fosse reai,  mente nemico dell'uno, e dell’altro, lo inca-  ricò di marciare all' istante con le sue Leeoni   contro qne’due ribelli . - . . . «   Ottavio mostrò, o piuttosto finse di uhM*.  re, ma li veri suoi disegni erano gd altrog'    Digitize   in Roma, e con una Armata bellicosa, non eb-  bero più vigore, costanza, e coraggio di prò*  seguirla . Bruto, Cassio, e tutti i complici  degassassimo di Giulio furono condannati, e  proscritti con decreto solenne di quello stesso  Senato, che pocanzi aveva spedite Legioni,  Armate, Consoli, ed il medesimo Ottavio in  «)nto di essi .   Intanto Antonio, che era già in una piena  corrispondenza con Ottavio, si dxè premura  di prevenirlo, che il partito de’Republicani si  andava ingrossando nelle Provincie della Gre»  eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò  era tempo di abbandonare Rema,ed unitamen-  te marciare contro di quelli .   Ottavio profittò di questo avviso per poter  prendere le necessarie precauzioni . Egli do-  veva ancora occultare al Senato la seguita ri-  conciliazione, e corrispondenza con Antonio,  e perciò ebbe ancora bisogno di circospezione,  e di quel segreto impenetrabile, di cui era  capace il solo Mecenate .   Per secondare il Collega, e per imbrogliare  al tempo istesso la testa de’Senatori fece spar-  gere la .notizia allarmante, che M. Antonio,  e Lepido^meditavano di marciare alla volta di  Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava  cosa urgentissima di uscir contro di essi, e  combatterli ; Il Senato credulo, ed ingannato  prestò fede alle voci diffuse, ed alle rimostran-  ze di Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par»    4 *   tire da Roma, ed opporsi agli avanzamenti j  ed alle supposte minacele di quelli . .. :   Non bastava però tuttociò alla penetrante  politica di Mecenate, e del suo Padrone * Vo-  levano, che il Senato rivocasse, e cassasse il  Decreto di proscrizione emanato contro de’  sudetti Lepido, ed Antonio . Restò in Roma  Luogotenente di Ottavio Quinto Pedio, per-  sona totalmente consagrata alli suoi interessi „  Egli fu incaricato di ottenere la revoca sndet-  ta, ed è probabile, che della medesima ope-  razione delicata fosse a parte ancora Mecena-  te . Si fece riflettere al Senato, che, cassan-  do qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di  clemenza, e di generosità capace a spegnere  nella sua origine il fuoco di una guerra civile,  ed a calmare la collera, ed il risentimento de'  due Colleghi . Il Senato si fece vincere, ed il  sovraindicato Decreto di proscrizione fu an-  nullato .   Ricevuta Ottavio questa notizia consolante  ne prevenne con la massima sollecitudine Le-  pido, ed Antonio ; allora questi, e quello si  avvicinarono con le loro Armate respettive,  e stabilirono un Congresso . Uua Isolctta for-  mata sul piccolo fiume Reno, che scorre tra  Modena, e Bologna, fu scelta per il luogo  memorabile, in cui li tre Guerrieri dovevano  unirsi a parlamentare . L’abboccamento durò  più giorni, il di cui risultato fu lo stabilimen r  to del celebre Triumvirato, mediante il quale    4 »   yenne scagliato un colpo mortale alla Costitu-  zione Republicana, e venne immaginata la  proscrizione troppo nota, e funesta, nel vor-  tice e negli orrori della quale fu involto anco-  ra il riferito Marco Tullio Cicerone (i) .   Dopo qualche tempo Antonio, ed Ottavió  marciarono a grandi giornate contro Bruto, e  Cassio, e si trasferirono con le respettive Le-  » gioni nella Macedonia incontro all’Esercito de’  Repnblicani . È troppo conosciuta la sorte in-  felice di questi nelle Campagne di Filippi per  non essere costretto a tesserne la storia dolen-  te, e che sarebbe fuori del mio assunto . La  vittoria si dichiarò a favóre de’Triumviri, e  Bruto cadde estinto, non già da ferro nemi-  co, ma con un disperato suicidio si sepelli  da se stesso, per dir cosi, tra le ceneri della  spirante libertà Romana.   In questa battaglia si trovò ancora il Poeta  Orazio Fiacco, di cui già si è fatta menzione .   (r) Piotare, in Ant. pag. 679. Congressi  tres illi in modica Insula amne circumfluo,  triduum in colloquio fuere . De celeris conve-  nie inter eos facile, totumque Imperium intcr  se steut patrimonium suum sunt partiti, sed  disceptati dcillis, quos statuerant interficere,  detinuit eos .... Tandem fervore in eos, qui  aderant, et cognatorum rtverentiam, et ami -  c orum benevolentiam postniittentcs, Ciceronem  teseti Caesar Antonio, - • - • 1    i   Amico di Bruto, e fautore del partito Repu-  blicano, seguì quello nelle Campagne di Filippi in qualità di Tribuno. Afferma il  Porfirione (a), che Orazio restasse prigionie-  ro ; che in seguito non solo fosse liberato per  intercessione di Mecenate, ma ancora, che  per mezzo di questo si procacciasse il favore,  e l’amicizia di Ottavio . Lo stesso si legge in  una Vita di Orazio d’incerto Autore prodotta  da Giovanni Bon (3) . Altri credono di più,  che fatto prigioniero, per opera dello stesso  M., venisse liberato immediatamente,  e sul Campo di battaglia . Ma tali assertive so-   ( i ) Sidon. Apoi. in Paneg. ad Major.   Et tibi, F Iacee, acìes Bruti, Cassique stenta  Carminis est auctor, qui fuit et veniae .   Sveton. in Vit. Horat.   Sello Philippensi excilus^Horat\xis)a M. Bruta  Imperatore, Tribunus Militum meruit .   (a) Presso il Mancinel. in Vit. Horat. Por-  phìrion addit, Horatium captum fuisse a Cae-  «are, sedpostea, beneficia Maecenatis, non  solum servatus, sed etiam Caesari in amici-  tiam traditus .   (3) Edi*. deli’Opere di Orazio Lug. Batav.  an. i663 . Coluitque adolescens Bruturn, sub  quo Tribunus militum militavit ; captusque a  Caesare post multum tempus, beneficio M. non solum servatus, ted etiam in amici-  tiam acceptus est,    I    H   do smentite dalf autentica testimonianza dellT-  stesso Poeta- >.'• ’-n  ed in questa occasione per  mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia, e  la protezione di Mecenate . Dopo questa epo-  ca pertanto deve fissarsi quanto scrive Orazio  nella Satira testé riferita ; e siccome la su-  detta battaglia presso Filippi, accaduta verso  il mese di Novembre 71 a, (i)è anteriore di  molti mesi alla venuta di Virgilio in Roma, co-  sì sembra evidente, che allora Mecenate, che  ancora non aveva conosciuto il detto Virgilio,  non poteva conoscere netampoco Orazio, nè  cooperare alla di lui salvezza sul Campo di  battaglia .   Orazio adunque fu in primo luogo debitore  del suo futuro benessere alla tenera amicizia  di Virgilio, e di Vario, e quindi al nostro C.  Cilnio Mecenate, il quale mercè li buoni uf-  fici di quelli, non solo lo mise nel numero de’  suoi amici, ma vennto in cognizione da se  stesso del raro di lui ingegno per la lirica  Poesia, ne concepì tanta stima, che impetrò  per esso il perdono da Angusto, e successiva- De la Rue Hist. Virg. ad an.7ia. Circa  Novembre ni pugnalar ad Philippos in Macedo-  nia, pereuntque Cassius, et Brutiu .    4 *   mente gli procacciò eziandio la sua amici»  zia(i  e meritava la di lui affezione . Ancora  giovinetta di una beltà superiore all’altre Da-  me Romane era vedova di C. Clodio Marcello,  che era stato Consolo .   Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il su-  detto progetto, che gli presentò Mecenate,  chiamò la sorella, e la persuase ad accettare   £    66   la destra di Antonio . La virtuosa Ottavia non  *i ricusò alle premure del Fratello, ed «al be-  ne, che le sue nozze potevano recare alla Pa-  tria, ed Antonio non rifiutò la sua destra. Il  matrimonio in fatti segui con reciproca sodi-  •fazione nell’anno 713 ; e M. ebbe il  contento di vedere effettuato pienamente il  suo progetto .   La gioja de’Romani fu grande, ed univer-  sale, perchè ognuno credeva, che, median-  te questa alleanza di parentela, e di sangue,  anderebbero a cessare per sempre le guerre  civili ; e che li due putenti Rivali avrebbero  vissuto in una pace inalterabile (r). Ma li  progetti dell’Uomo sono sottoposti incessante-  mente alli capricci, ed alla volubilità dell’Uo-  mo istesso, ed i matrimonj formati dalla Po-  litica, rare volte seco portano una seguela di  felici avvenimenti .   Conchiuso il sopradetto matrimonio,li due  Triumviri vivevano con una intelligenza, che  giungeva alla familiarità . Si accordavano  Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae  an. i564 . Has nuptias suaserunt ornncs, quod  Oetaviam sperarent, quac excellentiae formae  gravitatela, et prudentiam habebat adjun-  ctam, ubi Antonio conjuncta csset, atque ut  talis foemina, haud dubie ab eo adamata,  omnium rerum ipsis saluterà, et concordiam al -  Laturam „    6 ?   scambievolmente ciò che l’uno all’altro propo-  neva, sempre però a discapito del Regime re-  publicano . Imperciocché stabili rono fra le al-  tre cose, che iu avvenire essi nominerebbero  li Consoli, quando non vorrebbero esercitare  eglino stessi il Consolato, togliendone la elez-  zione alle Centurie ; e che, dopo la loro se-  parazione, Antonio farebbe la guerra ai Par-  ti, e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo nel-  la Sicilia, ad onta della buona fede, su cui  questo si era da essi separato .   Gli amici di questo, saputo il tradimento,  ed il nuovo progetto de’Triumviri non manca-  rono di prevenirlo minutamente . A tale noti-  zia Sesto animato da un risentimento naturale,  e non ingiusto, non aspettò a farsi sorprende-  re, e facendo uso di una straordinaria attivi-  tà, prevenne li suoi nemici, e diede princi-  pio alle ostilità . Ricopri delle sue Flotte li  mari d’Italia, e ne bloccò tutti li porti, af-  famando in tal guisa la Capitale .   La carestia divenne terribile . Romalangui-  va dalla miseria, eoli Romani conoscendo, che  la loro penosa situazione era l'effetto della cat-  tiva politica de’Triumviri, cominciarono a  mormorare apertamente, ed accadevano di-  sordini, e sollevazioni .   Antonio, ed Ottavio stretti da queste im-  periose circostanze, cercarono la maniera di  calmare Pompeo, e di riconciliarsi con esso .  Sebbene quello fosse profondamente penetrato   £ a    68   dal torto ricevuto, ed avesse l’animo irritato  contro li Triumviri, tuttavia, stante l'inte-  resse, che avevano preso per la pace Libonc  suo Suocero, e Muzia sua Madre, condiscese  a tenere un congresso a Baja, e come altri  vogliono a Miseno (i) .   Le discussioni del Congresso furono lunghe,  e spinose, e più d’una volta venne disciolto  per le condizioni che promoveva Pompeo,  piuttosto dure, ed umilianti per li suoi Avver-  sar] ; finalmente furono spianate tutte le diffi-  coltà, e fu sottoscritto un Trattato di pace .   Secondo Appiano Alessandrino (2), dopo  qualche tempo dalla conclusione di questa pa-  ce, sembra, che Ottavio trovasse il pretesto  di romperla . Forse 1 ’csistenza del Successore  del gran Pompeo attraversava la vastità delle  di lui mire politiche, e perciò cercava la ma-  niera, o di umiliarlo all’atto, o anche distrug-  gerlo ( 3 ) . Pompeo anche in questa circostan-  za prevenne il suo nemico. Mandò subito in  corso molte navi corsare, che, scorrendoli  mari d’ Italia, intercettavano li viveri per  Roma . Ottavio scrive ad Antonio, prevenendolo  della guerra, che andava ad intraprendere  contro di Sesto, e facendogli conoscere, che  Appian. Dion. lib. 48.  Appian. loc. cit.    6   vi era stato costretto l Antonio sorpreso della  novità, e più sincero questa volta nell’adem-  pimento del sagro dovere detrattati, nonap-  provò le mosse ostili., e l’intenzione del suo  Gallega, e lo consigliò a desistere dalla medi-  tata intrapresa . • .   Non ostante la disapprovazione di quello,  Ottavio continuò gl’ incominciati armamenti,  perchè nello stato in cui si trovavano le cose T  credeva, che ne resterebbe leso il suo deco-  ro, e compromessa la sua gloria, se retrocedeva, e se avesse dovuto proporre un accomo-  damento al. suo nemico -, ma egli restò umilia-  to dal valore di questo, che disfece pienamen-  te la sua flotta navale, e ne riportò una com-  pleta vittoria .   Roma frattanto già sentiva gli effetti funesti  del blocco, che nuovamente avevano posto al-  li Porti d’Italia le Flotte vittoriose di Pompeo,  e già la fame cominciava di bel nuovo a disten-  dere la sua mano devastatrice sugli infelici  abitanti . Si mandavano al cielo imprecazioni  contro l’Autore di questi mali, e voci 9orde,  e dispiacenti si diffondevano contro del mede-  simo nel publico, che venivano avvalorate  dagli amici, e partitanti di Pompeo .   Da questa pericolosa, e critica situazione  forse Ottavio non si sarebbe disimpegnato con  onore, e forse non avrebbe superato que pe-  ricoli, da quali era minacciato, senza l’assi-  stenza, li consigli, la destrezza, e la politi-    Digitìzed by Google     di cui quello facesse uso presso di questo iu  un affare così importante, e delicato ; nè si  sà su quali basi poggiasse la discolpa del suo  Padrone nella guerra attuale da esso continua-  ta, nonostante la manifesta disapprovazione  del suo Collega ; ma sappiamo bensì, chel’efc-  ficace eloquenza, li talenti politici, la de-  strezza, e le di lui cognizioni rapporto a ma-  terie diplomatiche prevalsero a tutte le ragio-  ni, che fino allora avevano reso Antonio neu-  trale .   Che anzi Sesto Pompeo naturalmente non  aveva mancato di profondere dell’oro, e de’  presenti presso li Ministri, e nella Corte di  Antonio, non aveva trascurato d’inviargli De*  putati, ed Oratori, architettar cabale, e pro-  fittare di ogni risorsa per indurlo ad unirsi se*  co lui contro il dominatore dell’Occidente, o  almeno per ritenerlo costante nelPabbracciato  sistema di neutralità ; ma l’arrivo, e la pre-  senza di Mecenate nella Grecia, in Atene, e  nella Corte di Antonio sconcertò tutte le pre-  cauzioni, fece andare a vuoto tutte le mano-  vre, e tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché per-  suaso Antonio, che Ottavio aveva operato  giustamente, e che il torto era dalla parte di  Pompeo, fece lega con quello, e si dichiarò  eontro di questo (i).   Con si felice succèsso ultimato l’affare, M.   . A   ( 1 ) Appian. loc. cit.    7 a   ] non tardò nn momento a ragguagliarne  con esattezza il suo Padrone, sapendo, che  doveva esser agitato da una penosa folla di cu-  re, e di pensieri molesti. Ottavio infatti sa-  peva, che la salvezza de’suoi interessi, della  sua gloria, ed anche della sua vita, dipende-  va dall’impresa, che M. si era addos-  sata, e che tutto sarebbe perduto, se la fedel-  tà di questo Ministro non fosse stata incorrut-  tibile; perciò, in attenzione dell’esito della sua  missione, de’suoi progetti, e delle sue tratta-  tive, lo stato del di lui cuore non poteva es-  sere il più felice, perchè scosso quindi, e  quinci da tutte quelle moltiplici impressioni,  che sogliono mettere in movimento in simili  circostanze la dubbiezza, il timore, e la spe-  ranza ; ma ricevuta la notizia consolante, pri-  mieramente in iscritto, e quiudi a viva voce  dallo stesso Mecenate, che, tornato in Roma,  gli presentò il Trattato con Antonio conchiuso,  Ottavio si consolò, bandi ogni sollecitudine  affligente, e conobbe appieno, che l’abilità,  li talenti, e piu la fedeltà di un Ministro vir-  tuoso possono alle volte salvare uno Stato, e  recare un bene inestimabile al Principe, ed  alla Nazione .   In seguito diede principio a nuovi prepara-  tivi militari, affinchè con questi, e col soc-  corso, che Antonio gli avrebbe recato, po-  tesse rimuovere il blocco dai porti d'Italia, ricondurre l'abbondanza nella Capitale, e mi-  surarsi nuovamente col sua rivale .   Antonio intanto, fedele alle promesse  fatte a Mecenate, ed al trattato conchiuso,  parti da Atene nella primavera, con una flotta  di trecento Vascelli, ed approdò a Brindisi,  ove era ilquartier generale di Ottavio .   Non ostante le premure, e l’impazienza di  questo in avere il bramato soccorso, sembra,  che appena si avvicinarono le due Armate, na-  scessero dissapori, e diffidenze fra li due  Triumviri. Il motivo di questa strana muta-  zione resta ascoso sotto il velo di quegli ar-  cani, che la politica, e l’ambizione rendono  imperscrutabili, seppure non debba dirsi,  che fu effetto di gelosia di stato. '   Antonio già pensava di ritirarsi, e forse con  sinistri disegni contro il Collega ; già le reci-  proche contestazioni erano giunte a tal segno,  che si presagiva una manifesta rottura, se non  fosse divenuta mediatrice Ottavia sposa di An-  tonio, e se non si fossero trovati al campo  Mecenate, ed Agrippa, altro Favorito, e Mi-  nistrò di Ottavio . i, .b   Quella donna virtuosa non omise alcun mez-  zo per dileguare dall’animo del fratello qua-  lunque sospetto, che potesse nutrire contro  del marito, ma sebbene da qdello venisse ac-  colta con ogni dimostrazione tutte le volte,  che andò presso di esso, tuttavia non ebbo  mai alcuna risposta precisa, e consolante .    74   Impaziente però dell’esitck nella intrapresa   mediazione, si rivolse ad Agrippa, e a Mece-  nate, conoscendo la grande influenza, che ave-  va, segnatamente il secondo, sullo spirito di  Ottavio . Perciò essendosi portata da essi,  animata da quel vivo entusiasmo, che le veni-  va inspirato dal doppio amore, e zelo del ma-  rito, e del fratello, cosi si espresse “ Otta-  „ via, che vedete avanti di voi, benché nel  „ più alto rango, a cui possa giungere una  „ donna, sarà per ritrovarsi ben tosto nella  „ situazione la più deplorabile, se i vostri  „ consigli non prevengono i mali, che essa  „ paventa. Sorella di Ottavio, e moglie di^  „ Antonio, Roma, l’Italia, e le Armate aspet-  „ tano dalla sua mediazione il loro riposo, e  „ credono, che da essa soltanto dipenda di  „ poterlo ottenere, dileguando que’dissapori  „ che intorbidarono l'alleanza recentemente,, fra quelli conclusa . Ah! quale sarà lamia  „ sorte, se non potrò disarmarli ? Senza pa^  „ ce tutto è a temersi per me; si tratta di  „ un fratello, e di uno sposo. In istato di  „ guerra io dovrò piangere l’uno, e l’altro  „ per sempre . La vostra virtù, la publica  „ stima, e quella di Ottavio verso di voi,  „ potranno contribuire decisamente alle mie,, premure ; ed io saprò mostrarvi tutta la,, mia riconoscenza, se la tùia mediazione,,, avvalorata dalla vostra, influenza, preude-     che prima di due mesi non avrebbe  potuto agire nuovamente . ',   Questo disastro di Ottavio risvegliò il co-  raggio, e le speranze degli amici segreti di  Sesto, che stavano in Roma, e nelle Provin-  cie, e credendo, che egli volesse profittare  de’vantaggi, che gli recavano inaspettatamen-  te gli elementi, già prevedevano la distruzzio-  ne di quello, ed il trionfo del successore del  gran Pompeo. >   Ottavio, prevenuto di qneste circostanze  da esso presagite per una conseguenza quasi  naturale della sofferta disgrazia, spedi con-  tutta sollecitudine Mecenate nella Capitale ;  ove giunto non mancò in primo luogo di dissi-  pare ogni inquietezza dall’animo degli amici  del suo padrone ; quindi seppe prendere mi-  sure cosi giuste contro li malintenzionati, che  furono costretti a rientrare nella taciturnità,  e nel silenzio ; e la calma tornò nella Città .   Non può non ravvisarsi, che Pompeo in que-  sta occasione non seppe approfittarsi delle cir-  costanze favorevoli, che gli somministrava la  mina della Flotta del suo rivale . Egli si con-  tentò di vedere la sua fuga, o piuttosto la sua  ritirata, credendo, che non potesse mole-  starlo ulteriormente ; ma in ciò non agi con  tutta quella previdenza, degna di un bravo  Capitano, giusta la riflessione dello storico    7 «   Appiano. Se esso avesse assalito Ottavio  nel disordine, in cui lo aveva gettato la tem-  pesta, avrebbe senza meno riportata una vit-  toria completa, e forse decisiva, e gl’inte-  ressi del suo partito avrebbero sicuramente  migliorato .   In fatti Ottavio rimase talmente sconcerta-  to dalla tempesta, e dai torbidi in Roma acca-  dati, che voleva abbandonare l’impresa, e  lo avrebbe fatto, se Mecenate, che conosce-  va l’attuale situazione delle cose, e prevede-  va politicamente il futuro, non lo avesse per-  suaso diversamente . Egli gli fece conoscere,  che Roma soffriva per la fame; che la fazione  di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta,  che le mormorazioni del popolo non sarebbero  cessate, finché non si fosse quello allontanato  dai mari dell’Italia, e scacciato dalla Sicilia ;  che se gli elementi avevano malmenata, e re»  sa momentaneamente inservibile la sua Flotta,  quelle di Lepido, di Agrippa, e di Statilio  Tauro trovavansi ancora in buon stato ; che  perciò bisognava con costanza proseguire la  spedizione, e profittare segnatamente dell’er-  rore commesso dal nemico dopo la tempe-  sta (a) .   In vista di tuttociò Ottavio segui li consigli   (1 ) Loc. cit.   ( a) Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou  Tom. 18 .     79   del sno Ministro, e mentre questo conteneva  in Roma Io spirito de’faziosi, e sopprimeva le  scintille del malcontento, con una condotta  degna del piu grande politico, quello si occu-  pò di rimediare ai disastri della tempesta ; ri-  sarcii! vascelli maltrattati, sostituì degl’aitri  a quelli perduti ; ed in tali operazioni agi con  tanta celerità, che nella prossima estate si  trovò in istato di uscire nuovamente in mare  con forze eguali, ed anche maggiori di quelle  della scorsa campagna .   La sorte però non aveva ancora rivolto le  spalle a Pompeo, e tuttora gli si mostrava be-  nigna . Imperciocché venuto alle mani con Ot-  tavio, e datasi una battaglia campale, que-  sto fu totalmente disfatto, e non salvò la vita,  che dandosi ad una fuga precipitosa accompa-  gnato da un solo soldato (i) .   Questo novello rovescio tornò ad infiamma'  re la testa ai partitanti di Pompeo, perchè  Mecenate si era allontanato da Roma . Ma egli  anche questa volta seppe riparare ed alla per-  dita de’ vascelli, ; ed ai disordini, che accade-  vano per opera de’Pompejani .   Si spedirono immediatamente degl’ordini a  tutti li Generali di Ottavio, e segnatamente a  Marco Agrippa Ammiraglio sperimentato, per-  chè accorressero con le loro Flotte iuajuto .   In seguito Mecenate volò in Roma, ove tro- Appian. loc. cìt.    Digitìzed by Google     So   vò, che il male era maggiore di quello, che  si era creduto ; ma non per questo si sgomen-  tò l’anima sua intraprendente . Facendo uso di  una fermezza senza pari, e di misure con tut-  ta la saviezza applicate, seppe sconcertare an-  che per la seconda volta li progetti sediziosi  de’seguaci di Pompeo, alcuni de’quali più in-  quieti, « recidivi condannò all'estremo sup-  plicio, ed in tal guisa ricondusse il buon or-  dine, la quiete, e la sicurezza nella Città (i ).   Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta di  Marco Agrippa, che, obbediente agl’ordinl  ricevuti, era accorso in ajuto, e più incorag-  gito dalla presenza di questo fedele, ed intre-  pido Ammiraglio, riprese arditamente l’offen-  siva, attaccando replicatamele le Armate di  Pompeo ; questo non lasciava di difendersi,  e di schivare gl’incontri, che potevano essere  dubbiosi, e comprometterlo ; ma già si avvi-  cinava 1’ estremo periodo della sua brillante  carriera, e la Parca crudele già gli andava  preparando quel destino ferale, cui fu sotto-  posto sulle spiagge Africane l’iufelice suo ge-  nitore .   Dopo differenti parziali combattimenti, la  Squadra di Ottavio, commandata da Marco A-  grippa, si azzuffò con quella di Pompeo .  C’urto fu de'più formidabili, e si combattè con  furore da una, e dall’altra parte ; infine però Appian. loc. cit.    8i   la vittoria si dichiarò a favore di quello, e la  Flotta di questo ebbe una rotta cosi spavento*  6a, che sarebbe restato egli stesso prigionie-  ro, se non fosse fuggito sù di un piccolo Bri-  gantino, ritirandosi in Messina.   Quivi appena giunto gli fu recata la dispia-  cevole notizia, che il resto della sua Armata,  sfuggita all'eccidio, era passata sotto le ban-  diere nemiche . Allora riflettendo più seria-  mente alla sua salvezza, fuggi ancora da Mes-  sina con poche navi, che gli erano restate fe-  deli, dopo avere imbarcato la figlia, il dana-  ro, gli amici, e tutte le cose preziose ( i ) an-  dò errando qua e là per l'Asia, ora con prospe-  ra, ed ora con iufelice fortuna . Finalmente,  per ordine segreto di Marco Antonio fu messo  a morte in una Città della Frigia (a^ .   La disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo ri-  colmò di gioja il giovane Ottavio, perchè si  vedeva liberato da un pericoloso, ed inquieto  rivale, ma in questa istessa circostanza ebbe  1 * occasione ancora di disfarsi di Marco Lepido,  Collega nel Triumvirato, e quello, che,  in privato, forse più degl' altri aveva abu-  sate della potenza usurpata .   Lepido aveva comandata una Flotta nella   ( i ) Dion. lib. 49 .   (n) Strab. lib. 3 . Vellej. lib. a cap. 790  87 . Oros. lib. 6 cap, 19 . Usser. Annal.   pag. 434. i   F    pigitized by Google    8a   guerra testé riferita, ed anche egli aveva in  parte contribuito all’ esito vantaggioso dell’  impresa . Dopo qnella battaglia campale, in  cui Pompeo fu rotto, e fuggi, nacquero delle  contestazioni tra quello, ed Ottavio, o per-  chè Lepido voleva attribuirsi tutto il pregio  della vittoria, o per altra ragione non bene  nella Storia conosciuta . Tali contestazioni  avevano anche preso un aspetto serio, e peri-  coloso, e si potevano temerne conseguenze  disgustose.   Mecenate, cui rincresceva altamente, che,  appena spento il fuoco di una guerra civile *  dovesse accendersene un' altra, cercò di  prevenirla con una di quelle politiche risorse,  di cui egli era capace .   Nella Flotta di Lepido vi erano già degli  amici, e partigiani di Ottavio, il cui nume-  ro si era aumentato inseguito delle surrife-  rite contestazioni . Si aprirono delle rela-  zioni con questi ; delle giudiziose istruzioni,  che vennero loro comunicate, li prevenne-  ro del progetto ., che si meditava . Lepido  non era amato dai Soldati, e perciò lo svi-  luppo dell’ intrigo, non incontrò ostacolo al-  cuno, e fu sollecito, e vantaggioso.   All’ improvìso l’intiera Flotta di quello pas-  sò ad unirsi alla Flotta, ed agl’ interessi di  Ottavio,. IUrdasto abbandonato, solo, ed  inerme, si vide Lepido ridotto in una si-  tuazione incapace affatto a reali zzarp qualche    Digiti;,b)i£,oogIe.    «3   idea di civile discordia, che forse andava  machinando .   Che anzi, siccome egli era di nn animo de-»  iole, e di carattere vile a fronte delle di-  sgrazie, cosi temendo maggiori sciagure, si  portò supplichevole ad implorare la clemen-  za di Ottavio . Alcuni avrebbero voluto  la di lui perdita, ma questo si contentò di  spogliarlo di quella autorità, di cui era rive-  stito, e di ridurlo ad una vita privata .   „ In tal modo ( secondo l’espressione di,, Appiano ) Marco Lepido, uomo di si gran-  „ de impero, ed autorità, che aveva pro-  „ nunciata la Sentenza di morte contro tanti  „ Cittadini di nobile, ed illustre lignaggio^,  „ fu balzato dalla volubile, e fallace fortu-  „ na ; in guisa che con abito privato, ed in,, atteggiamento di colpevole al cospetto di al-  „ cuni di quelli stessi da esso condannati, fu  „ ridotto a vivere senza riputazione, ed a  „ morire ignominiosamente . ( i )   Ottavio, sistemati gli affari delle nuove  Provincie aggiunte alla sua Dominazione dopo  la fuga di Pompeo, e la destituzione di Lepi-  do, fece ritorno in Roma . Il suo ingresso fu  un Trionfo . Fu accolto con entusiasmo, e  con applauso dal Senato, e da tutti gli Ordini  de’ Cittadini, perchè credevano, che ai ton-  fi) App.loc. cit. Dion. lib. 49. Sveton. in  Octav.Art. 16.   F a    I    bidi passati sarebbe snccednto l'ordine, l’ab*  bondanza, ed una pace generale ; ed erano  cosi persuasi di questo novello sistema di co-  se, e segnatamente della pace, che inalzarono  in onore di Ottavio una colonna con questa  Iscrizione " Il Senato, ed il Popolo Ro-  w mano hanno inalzato questo Trofeo a Cesa-,, re Ottavio, perchè ha stabilita la pace ge-  „ nerale per mare, e per terra, che prima  M era bandita da tutto il Mondo . (i)   Roma infatti cominciò subito a respirare .  Lo spirito di partito cominciò a dissiparsi, ed  una reciproca confidenza già assicurava la  quiete di ognuno, tanto in quella Città, che  .nelle Provincie .   Quello però, che contribui più d’ogn’altro,  mediante la sua incomparabile prudenza, alla  tranquillità dell’ Italia, e di Roma, fu il no-  stro Mecenate . Si è già veduto, che Ottavio,  allorquando era occupato nella spedizione con-  tro Sesto Pompeo si era più volte servito de’  talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza di  qnesto Ministro per assicurare gl'interessi del  «uo partito nella Capitale . Da ciò si rileva  chiaramente, che già fin d’allora lo aveva  nominato Governa tore, o Prefetto di Roma,  e che di questa carica sublime era pur auco  rivestito nell’epoca, che ora si descrive.   • . . • • - .O   (i) Appian. loc,. *   Queste j ed altre simigliane contestazioni  reciproche diffusero le prime elettriche scin-  tille, foriere del turbine devastatore -, che in  breve sarebbe andato a precipitarsi sull’oriz-  zonte politico di Roma, e formarono l’oggetto,  e la materia a que' pretesti^ che aveva già  Mecenate preveduti .   Non bastava però ad Antonio di aver offeso  in tante guise Ottavio, ed il Senato, e di  aver commesso, per dir cosi, in Oriente  tanti delitti a disonore del nome Romano .  Per colmo della sua sfacciatagine, o piuttosto  cecità, volle aggiungerne un altro . Mentre  la virtuosa Ottavia gli dava argomenti li più  sinceri della sua conjugale premura, del suo  zelo, e di un tenero affetto y egli la discacciò  bruscamente, e la ripudiò, per immergersi  pienamente negli amori illegìttimi di Cleopa-  tra ( l ) • Questo fatto clamoroso, e degno  di tutti li rimproveri, rivoltò contro di esso  la publica opinione ed in Roma, e nel Se-  nato, e nell' Italia, ed in tutti que’ luoghi,  ove erano conosciuti li pregi, e le virtù' della.  Sorella di Ottavio . Allora si ravvisò appieno,    * (r) Plutarc, in Ant,    i . >    .   che la condotta di Antonia offèndeva ornai  troppo manifestamente la grandezza Romana,  il decoro del Senato, eia purità della Costi»  tuzione ; che in consequenza non era più de*  gno di comandare, nè doveva, nè poteva  ulteriormente tollerarsi . s   La guerra adunque fu dichiarata contro di  quello, ed i Romani diedero principio ad una  operazione bellicosa, che doveva cagionare  la perdita totale del sistema Republicano, e  nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi  gli estremi accenti, e l'ultimo anelito della  loro spiraute IjhljrtA . b*;ù»q.**6J«swi i»y:  Ottavio prima di allontanarsi da Roma per  portarsi a combattere Antonio, raccomandò  la cura di questa Capitale, e dell'Italia al suor  Mecenate, che tuttavia esercitava la Prefet»  tura dell’ una, e dell’altra . La tante volte  sperimentata fedeltà di un cosi abile Ministro *  rassicurava pienamente il di Ini animo, ed era  del tutto persuaso, che nella sua lontananza,  e durante questa nuova, e civile discordia,  gl* interessi del suo partito non avrebbero  sofferto alterazione veruna . Con questa fidu-  cia parti da Roma, e prese il camino là dove  il supremo Direttore degli umani avvenimenti  lo chiamava per divenire il primo, ed il più  potente Monarca del Mondo .   Alcuni hanno creduto, che in qtiestaspedr-  sione militare Mecenate seguisse Ottavio, e  che anch’ esso si trovasse presente alla memo»    Digitizèd by Google     rablle bavaglia di Azio . Dedussero questa  credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora*  zio Fiacco, nella quale il Poeta si fa a parla**  re a Mecenate in tal guisa “Tu dunque, o ami-,, co Mecenate, andrai sulle agili navi Libnr-,, ne /disposto ad incontrare tutti i pericoli  „ di Ottavio, incontro gl’ alti bastimenti di,, Antonio? (t) •   Il Grammatico Acrone, fondato su queste  parole, sostiene, che Mecenate non so-  lo andasse nella battaglia di Azio, ma inol-  tre è d’avviso, che da Ottavio venisse nomi-*  nato Comandante delle navi Liburne \ espri-  mendosi, come siegue “ Orazio parla a Me-  j, cenate, che va con Augusto alla battaglia,, navale contro Antonio, e Cleopatra . .   », Mentre Cesare Angusto sta per andare  .> alla spedizione presso Azio, affidò a Me-  „ cenate il comando delle navi Liburne (a)\  che anzi il Continuatore di Tito Livio suppone   •I.-  • ?.• ^ V   - (*) Epod. Od.r. -    * Ibis LiburnU inter alta naviutn,   Amice, propugnacula,   P aratus orane Caesaris perìculun  Subire, Maecenas, tuo.   • (2) Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : M. prosequitur euntem ad bel/urn nasale  cura Augusto adversus Antonium, et Cleopa-  tram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar Au~  gustai, Liburnis praeposuit Muecenatem . t _     9 *   di più, che dopo la battaglia, e la fuga di  Antonio, Ottavio ordinasse a Mecenate d’ in-  seguire li fuggitivi con le sue navi Libur-  ne ( 1). Il Mancinelli sembra essere dello stes-  so sentimento, dicendo „ Anche Mecenate  „ segui Augusto contro Marco Antonio, e,, Cleopatra presso Azio, Promontorio di  „ Epiro (a) • Segnaci di Acrone, e del Man-  cinelli sono Stati il Turnebò ( 3 ), il Mcibo-  mio (4), il Cenni ( 5 ) ed il Volpi (6 ) .   Il Torrenzio però, sull’autorità di Dione  Cassio, e di Virgilio, è di contrario parere .,, Deggio avvertire, ( dice egli ) che nella  „ celebre battaglia presso Azio, non fu pre-  ., sente Mecenate, il quale in quell’ epoca  „ era Prefetto di Roma, e dell’Italia, come  », rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ; Di  „ più Virgilio, che fa menzione del solo   ( 1) Suppl. in Liv. lib. 73. art. 9. .• At Cae -  sar misso curri Liburnis Maecenate, qui lori-  gius insequeretur fugientes, ad honores Deo -  rum, a quibus adjutus credi volebat, se con-  tulit. ».   fa) Com. in 1. Epod. Secutus itera Augu-  stum Maecenas est contra M. Antonium, ef  Cleopatram apud Actium Epici Promontórium .  _ ( 3 ), Com. in 1 . Epod. Horat. v. . ..   Vit.C. Cilnj M.   ( 5 ) Vit. di M. lib.i. Postil.9. -, Lat.vetus tom.io.part.x.pag.a37.      Digiti;    ile,> Agrippa, e che lo eguaglia allo stesso Otta-  » vio, non avrebbe omesse le lodi ancora  „ del suo Mecenate, se anch’esso si fosse tro-,, vato in quell'azione . Laonde Orazio scria»  >» se questa Ode nel supposto della futurapar-  „ tenza di quello . ( i )   Su tale articolo sembra, che il sentimento  di questo Comen tato re sia il più giusto, ed  il più fondato „ se si legge con qualche ri-  flessione ciò che narra il suceennato Dione,  e prima e dopo la disfatta di Antonio, e di  Cleopatra presso Azio . Imperciocché con  tntta chiarezza rilevasi dagli scritti di que-  sto autore che Mecenate era Prefetto di Ro-  ma, e quando Ottavio parti per la spedizione  contro Antonio, e durante 1’ epoca della me-  desima, e dopo la riportata vittoria, come  si è anche accennato di sopra .   Di più Velie jo Patercolo (a) descrivendo la   ( O Co®- in Epod. : Illud monendum me  existimare, celebri ad Actium pugna non in-  terfuisse Maecenatem tane temporis Romae,  et Italiae administrandae Pracfiectum, tjuod  significare videtur Dion. lib.5l. Virgilio» sane  solius Agrippae Theminit, insigni laudatione  ipsum Caesari aequiparens, non omisurus  Maecenatem suum, modo adfuisset . Quare  carmen hoc sola opinione futurae profcctionis  tcripsit Horatius .   (a) Lib.a, art. 85.: Dcxtrum navium } ur-     9 *   sudetta battaglia di Azio * domina individùak  mente l'Ammiraglio, ed i Comandanti subal-  terni della Flotta di Ottavio > e non fa pa-»  loia di Mecenate, il quale * secondo Acro-  ne, sarebbe stato il Comandante delle navi  Liburne. Ecco le parole di Vellejo „ L’ala,, destra delle navi di Ottavio fu affidata a  „ Marco Lario, la sinistra ad Arunzio, ed  >, il centro ad Agrippa, Ammiraglio di tutta  „ la Squadra . Ottavio f che trovavasi per,, tutto, era destinato dovunque veniva dal*,, la fortuna chiamato,. Torniamo in sentiero.   Ottavio lasciata la direzione degl’ affari di  Roma, e dell’ Italia a Mecenate, come si è  detto, si portò in Brindisi, ove era ancora-,  ta la sua Flotta . Essendosi quivi imbarcato,  fece vela verso l’Epiro, onde avvicinarsi ad  Antonio, che già stava nella Città di Azio,  e che aveva adunati li suoi Vascelli nell’ in-  gresso del Golfo di Ambracia . Ottavio entri  nello stesso Golfo, e si disponeva a dare una  battaglia; ma avendo osservato, che il suo  equipaggio non era completo, e che non era  prudenza azzardare un fatto in luogo si angu-  sto, si tirò in alto mare, lasciando il suo  nemico nella primiera posizione .   r :> > 4 . ‘J> i'.i   lianarum corriti M. Lario commitsum, laevum  Aruntio, Agrippae omne classici certamìni s  arbitrium ; Caesar ci parti destinatili, in,  quam a fortuna vocaretur, ubique adertiti     Intanto giunse ad Antonio con varie Legio*  ni Canidio . Questo Generale Romano, che  seguiva sinceramente il partito di quello,  avendo veduto Cleopatra nel Campo, lo con-  sigliò a doverla assolutamente allontanare,  sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in  mezzo all’Armata . Lo consigliò inoltre ad  evitare una battaglia navale, ed a portarsi  nella Macedonia, ove con il soccorso del Re  de’ Gesti, avrebbe combattuto per terra, e  la vittoria non sarebbe stata dubbiosa . Non  ostante la saviezza di questi consigli prevalse  1’ influenza della Regina di Egitto, e fu riso-  luto di combattere sul mare .   Non solo Canidio, ma ogn 'altro sperimen-  tato Militare conosceva, che l’ esporsi ad  una battaglia navale, era un errore . Infatti  mentre Antonio trascorreva la Flotta, e dava  gli ordini opportuni > uno de’ suoi vecchi  soldati, ricoperto di ferite gli disse ad alta  voce,, Come, o Signore, andate a confidare  » la vostra gloria alla meschina, e pericolosa  « risorsa di una battaglia di Vascelli? La-  „ sciate, lasciate il mare alli Egizj, ed ai  „ Fenicj, che sono nati per questo elemen-  *' e mettete a combattere li Romani sul  „ Continente . Se allora periremo, la nostra,» morte sarà da veri Soldati, e sarà com-  „ pensata dalla vita de\nostri Nemici . An-  tonio nou rispose al Soldato, e persisti per     94   sua disavventura nel Piano stabilito . (i)  Essendo stato il mare per alcuni giorni  furiosamente agitato non si fece alcun movi»  mento nè da una parte, nè dall’altra: Essen-  dosi in fine calmato, ambedue le Flotte po-  sero alla vela per dar principio ad una bat-  taglia, che doveva decidere della sorte del  Mondo; Il sudetto Vellejo accennando il gior-  no di questa battaglia memorabile, cosi si  esprime 6   dolore, e della sua disperazione . Lacera  le proprie vesti, si percuote il volto, ed il  petto, e chiama replicate volte il suo amante  con nomi non meno teneri, che rispettosi ;  Antonio, benché prossimo ad esalare lo spi-  rito, tuttavia non è meno occupato di Cleopa-  tra . La esorta a conservarsi, finché possa  vivere con gloria, a non rammentarsi tanto  del suo tragico fine, quanto dello splendore di  sua vita, e degli onori, ond’ essa lo aveva  veduto circondato ; Ed a riflettere, che egli  non era stato vinto, che da un Romano, dopo  essere stato egli stesso il più illustre fra i Ro-  mani ; quindi spirò, pronunciando queste ulti-  me parole .   Antonio ( conchiude il sudetto Storico In*  glese ) aveva passata la sna vita fra i perigli,  e fra i piaceri . Era posto in paragone con  Cesare per il valore, e per la capacità mili-  tare ; ma l'amore gli fece perdere il senno,  il coraggio, l’onore, la stima, l’affetto de’  Romani, e l’ Impero, e la vita . Cleopatra  con una morte egualmente spontanea seguì  l'ombra di Antonio, ed nn monumento istesso  chiuse le ceneri dell’uno, e dell’altra .fi)    (i) Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton.  in Octay. art.i 7 . Echard. loc. cit.   JVlentre Ottavio in tal guisa trionfava  nell’ Egitto del sno rivale, ed ultimava con  tanto successo qnest3 guerra Civile, si atten-  tava tacitamente alla sua vita nel senoistesso  della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la  fedeltà, Vattaccamento ? e la vigilanza di Me-  cenate .   Marco Lepido il giovane aveva dei risenti-  menti particolari contro di Ottavio, e nutriva  nel petto un odio mortale, perchè 1’ ambi-  zione, e prepotenza di lui avevano balzato  Marco Lepido il padre da quella superiorità, e  e da quel potere, che gli dava il Triumvirato,©  lo avevano ridotto a menare una vita oscuta,  e negletta . Era questo Giovane Romano figlio  di Giunia, sorella di Bruto morto nella bat-  taglia di Filippi : Egli voleva adunque vendi-  care nel tempo stesso, e la morte dello zio,  e l’avvilimento del padre . (i)   (i) Vellej. Patere, lib. a. cap. 88. : Dum  ultimam bello Actiaco, Alexandrinoque Cae~  sar im ponti manum, Marcus Lepidus,juvenis  forma, quam mente melior, Lepidi ejus, qui  T riumvir fuerat Reipublicae constituendae, fi-  li us, Iunia Bruti torore natus, interficicndi^     io8   Formò a tale effetto una pericolosa congiu-  ra per uccidere Ottavio, qnando dall’Egitto  avrebbe fatto ritorno in Roma . La cospira-  zione non focosi segreta, che non giungesse  a notizia di M. Prefetto di Roma . Egli  seppe con tanta quiete, e simulazione pene-  trare il nero progetto del traditore, e con  tanta celerità impedirne le consequenze fune-  ste, che Lepido venne arrestato, giudicato,  convinto, e condannato all' ultimo supplicio,  senza che venisse punto alterata la tranquillità  di Roma . In tal guisa Mecenate, secondo Vel-  iero ( i ), con una sorprendente destrezza  seppe spegnere le perniciose scintille di una  nuova, e rinascente guerra Civile.   Servilia moglie di Lepido, forse complice  della congiura, non volendo sopravvivere al  marito, nè soggiacere aH’obbrobrio, ed alljt   «    timul in Vrbem revertissct, Caesaris Consilia  inierat .   ( i ) Loc. cit. Tunc Urbis custodiis praeposi-  tus Cajus Maecenas .... Hic speculatus est  per surnmam quieterà, ac dissimulai ione nt  prae cip itis consilia J uvenis, et mira celerità-  te, nullaque cum perturbatione aut hominum,  a ut rerum, oppresso Lepido, immane novi,  ac resurrectui i belli civilis restinxit initium,  et ille quidem male consultoruni poenas exsol -     log   pena dovuta, si uccise da se stessa con aver*  inghiottiti de* carboni ardenti . Anche Giunia moglie del vecchio Lepido fu  accusata di complicità in questa congiura del  Figlio ; ma contro di essa non esistevano, che  semplici sospetti; tuttavia M. la obligò a  dare la cauzione nel Tribunale di Balbino,   (i) Liv. in Snpplero.lib. i 33 . art. 72. Ser-  vilia Lepidi Vxor curn superesse viro non sub-  stinerct, et diligenti familiarium custodia ni -  hil adipisci mortiferum posset, pruuis ar-  xlentibus deVoratis, vita abiit\: Vellej. loc. cit.  Aequatur praedictae Calpurniac Antistii, Servilia Lepidi Vxor, quae vivo igne devorato,  praematuram mortem immortali nominis sui  pensavit memoria Roberto Riqucz nelle  irate a questo articolo di Vellejo, fa le se-  guenti osservazioni relativamente aCalpnrnia.  Ciò che narra Vellejo di Servitia è attribuito  comuneme nte a Porzia moglie di Bruto . In-  fatti Valerio Massimo, esatto Scrittore del  Secolo, in cui si suppone accaduto quel fatto,  non ne fa menzione . Di poi la moglie di Lepi-  do non fu Ser vilia, ma Antonia figlia del  Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa  negare la verità del fatto a Vellejo, 1. perchè  Lepido, ripudiata, o morta Antonia, potè  passare alle seconde nozze con Ser vilia,* 2.  perchè Eliano Var. Histor. lib. 1 4 - cap.45. an-  novera fra le illustri D ame Romane una Ser’»  vilia .,!*•   uno de’ Consoli . Allora Lepido di lei marito  si presenta a questo, e cosigli parla" Voi  „ sapete con certezza, o Balbino, che io  „ non sono stato complice del delitto di mio  „ Figlio, e sapete egualmente, che non ebbi  „ parte alcuna il quell’Editto di proscrizione  „ emanato, quando la sorte mi faceva domi-,, naie, e nella quale foste anche voi com-  „ preso . Se rifletterete per un moménto  „ alla mia passata grandezza > io spero,  „ che alla vista di un supplichevole, di cui  „ rispettaste altre volte li decreti, sarete  „ per ascoltarmi con cuore placato . Giunia  „ mia consorte non ha che me per adempie--  „ re alFohbligo, che gli è stato ingiunto . Ri-  „ cevetemi adunque per la sua cauzione, o  „ permettete, che io vada fra le prigioni con  „ essa,, Balbino sensibile alle preghiere di un  uomo, che prima del cambiamento della sua  fortuna, la potenza aveva reso formidabile ai  Romani, e conoscendo ancora del tutto insus-  sisteute l’accusa contro la sudetta Gunia pro-  mossa, dichiarolla innocente ( r ) .   Intanto Ottavio avendo posto fine alla guer-  ra di Egitto, al Triumvirato, ed alla esisten-  ^ dell’ unico competitore, che gli restava,  fece ritorno in Roma ove fu accolto con in-  compreusibile allegrezza; vi trionfò per tre  giorni, e chiuse il Tempio di Giano, che.    /    (i) Appian. lib.4. Catrou loc. cit.     per il corso di dne secoli, era stato aperto.  Benché rimasto solo padrone della vasta do-  minazione Romana, tuttavia non cercò, che  di farsi amare con le maniere popolari, ed  affabili, con le sue liberalità * e con le più sa-  vie disposizioni prese e per il bene publico,  e per quello di ciascun Cittadino in partico-  lare .   Mecenate, che gli stava al fianco, e senza  il consiglio del quale per cosi dire, Ottavio  non faceva passo, non mancò di fargli pren-  dere tutte quelle determinazioni necessarie  per preparare insensibilmente l’esecuzione di  quell’ ardito progetto-, che già da gran tem-  po andava meditando .   In fatti la condotta di quello, dacché ritor-  nò dall'Egitto, fu tale, che il Senato, il Po-  polo, e tutti gli ordini dello Stato già senti-  vano gli effetti di un Governo Monarchico,  benché ognuno fosse persuaso, che la Repu-  hlica andasse a momenti a riprendere l’antico  suo lustro, e splendore .   Ottavio però mostravasì indeterminato, e  dubbioso* se dovesse salire sul Trono, o se  dovesse rientrare nella classe di semplice Cit-  tadino, ristabilendo laRepnblicà nel suo sta-  to primitivo . Da una parte gli si affacciavano  all’ immaginazione agitata li pericoli, a cui  la sna potenza quasi illimitata poteva esporlo ;  richiamava al suo pensiero il crudele destino  di Giulio Cesare suo padre, e li rimproveri,    112   che gli aveva fatti Antonio altre volte,» che  „ egli travagliava meno per il publico bene,  „ che per la sua propria grandezza,, dall’al-  tra parte si lusingava, che la Republica,  stanca dai furori delle guerre civili, preferi-  rebbe un giogo pacifico, e salutare ad una in-  dipendenza funesta, bastante a richiamare  tutti gli orrori passati . Credeva anche di ri-  marcare, che il Popolo Romano avesse perdu-  to lo zelo geloso, e l’amore costante per la  libertà ; che il Senato non avesse più P infles-  sibile fermezza, che era scoglio alla Tirannia;  e che ad ambedue mancassero Soggetti capaci,  ed intraprendenti per formate una formidabile  Fazione . ( i )   Queste riflessioni, e la sua indetermina-  zione era un peso, che Ottavio portava con  pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene nel  seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’ab-  biamo già osservato, uno era Agrippa, Uomo  tanto sincero ne suoi con sigli, quanto era in-  trepido nelle battaglie . Unito alla Corte di  Ottavio fin dall* infanzia, crasi acquistata la  sua stima, e la sua tenerezza più ancora con  l’esatta sua probità, che per gl’importanti  eervigj nelle armi ; era un guerriero de’ tempi  antichi paragonabile ai Curj, ed ai Fabri-    ( i) Catrou Tom. 19. lib. 5 . Echard.   1 13   cj i fi) L'altro era Mecenate . Dal fin qui  detto abbiamo conosciuto, che egli era un  amico disinteressato di Ottavio, fornito di  uno spirito franco, e leale * il Politico più  raffinato del suo tempo, il più destro, ed il  piu giudizioso de’ Cortegiani . Agrippa adun-  que, e M. consultò Ottavio per fissare  la sua irrisolnzione, e per decidere sul gran-  de oggetto . Agrippa parlò il primo con una  fermezza, conforme alla rettitudine del suo  cuore, all’ amore, che aveva sempre con-  servato per la sua Patria, ed alla riconoscen-  za, che doveva al suo Padrone (a)., „ Se io avessi di mira ( diss’ egli ) li miei,, interessi soltanto, vi esorterei a profitta-  „ re all’ istante delle circostanze del tempo,  „ e a divenire il Padrone assoluto della Ro-,, mana grandezza ; ma, facendo usodiquel-  „ la sincerità propria del mio carattere, e   fi) Catrou loc. cit.  Dion.lib. 5 a. pag. 61 1. : Hoc autem  anno vere iterum pencs unum Hominem s u /ri-  ma rn totius Reìpublicae esse coepit, quamquam  armorum deponendorum, resque omnes Sena-  tus,Populique pot est atit rade ndi consiliumCae-  Sar agitaverit ; ad quam deliberationem, curi  Agrippam, Maecenatemque adhibuissct, nani  cum his de omnibus suis arcanis communicara  solebat, prior inhanc sententiam Agrippa lo -  cutusest . *   II    J‘4   » già da voi altre volte sperimentata, credo,  „ o Cesare, clic bandito ogni privato riguardo  „ debba parlarvi, e manifestare il mio senti-  „ mento per il vostro, e per il publico bene .,, È principio certo in Politica, che il  „ sottoporre ad un governo Monarchico un  „ popolo geloso della sua libertà, forma un  „ opera dilEcile ed eseguirsi . L’amore della,, indipendenza nasce con noi, ed è un attri—  „ buto quasi necessario dell’umanità. Que-  „ sta inclinazione universale in tutti gli uo-  5, mini aumenta, o s’ inde.bolisce per mezzo,, dell'educazione, ed è più, o meno poten-,, te, secondo i pregiudizj della Nazione *,, nella quale abbiamo avuto la sorte even-  „ tnale di nascere . Perciò la natura, li co-  „ sfumi, l’edutazione, e la lunga abitudine,, dovranno rendere ai Romani insopportabile  „ il dominio di un solo .   „ Li popoli assuefatti al giogo di un Padro-  „ ne hanno un debole sentimento di quella  „ generale pendenza, che la natura ispira  „ per la libertà ; ma quelli al contrario, cui,, per successione è stata trasfusa la massi-  „ ma, vera o falsa che sia, provarsi cioè,, minor servitù in un Governo formato da  „ Magistrati di loro scelta, si rattristano,, altamente, e fremono al solo pensiero di,, un Sovrano . Potrà la forza tenerli per  qualche tempo soggetti, ma questa forza  „ istessanon sar» giammai capace a distruggere ne’ cuori quel germe vivifico, che la  „ natura v’ infuse, e che dalla educazione,, venne quindi allentato .   „ Finora, o Cesare, le vostre imprese  „ sono state legittime, e la gloria da voi  „ acquistata, non ha in veruna guisa scema-  „ to lo splendore della vostra virtù . Imper-  ciocché nella guerra di Perugia opprimeste  „ degli ambiziosi, che col pretesto di ven-  „ dicare la morte di Giulio Cesare, preten-  „ devano d’inalzare un Trono sulle ruine del-  „ la Dittatura . A Filippi purgaste la terra  „ di due assassini di un Zio, che vi aveva  „ adottato per figlio . La Sicilia, invasa da  „ un Tiranno, che spacciandosi per difenso-  „ re della Repilblica, ne cagionava la mina,  „ fu liberata dalle vostre armi . De’ due Col-  „ leghi, che per mezzo del Triumvirato sa-  „ peste con saviezza associarvi, uno vive  „ tuttora nell’ oscurità, enei disprezzo, e,, l’altro ha cancellato con la sua morte il di-   sonore, che recava al nome Romano . Dopo tante vittorie, è giunto, o Cesare,  „ l’istante fatale, incili dovete pronunciare  „ sulla sorte dell’ Universo .,, Quale mai, e qaanto grande sarà la vo-  }J stia gloria, se, divenuto abbastanza po-,, tente per assoggettarlo da Monarca, sapre-  „ te in guisa superare gl'impulsi dell’amor  „ proprio, che lo ridoniate a’ suoi veri Pa-  „ droni ’ Allora vedreste sollevarvi al di so-  li a    1 16   „ pra de' Camilli, e dc’Scipiorti, e consa-»  „ orarvi Tempj,come a Divinità tutelare dal  „ Senato, e dal Popolo, ristabiliti nell’an-  >, tica loro autorità, e nel primitivo stato di  „ eguaglianza. (i^A questa eguaglianza di,, Cittadini appunto noi siamo debitori della  „ conquista del Mondo, e finché li Romani  >, ne furono in possesso pacifico, si viddero  „ sortire dal seno della Republica, e Gene-  „ rali scelti con riflessione, e Soldati premu-,, rosi di rendersi degni di poter un giorno  *, anch’ essi comandare . Ah, Cesare, io  >, temo, che se Roma cesserà di esser Repu-,, blica, cessi ancora per qualche tempo di  „ vincere, e di conquistare,,, Quando il sistema Republicano dovesse,, cangiarsi in Monarchia, a quali timori, a  „ quanti incarichi laboriosi, e pesanti non  j, va a sottoporsi il nuovo Monarca, e sopra-,j tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li,, Comizi > ed il Senato riuniti affrontarono  >, immensi travagli per regolare 1’ ammini-  „ strazione di tante Nazioni comprese nella  „ vastità della Republica Romana . Ora po-  „ trà un solo nomo supplire all’esercizio,  „ che su di quelli gravitava, e la salute la   più robusta potrà sostenere le fatiche ine-  „ renti al governo dell’ Universo ? Il solo   ( 1 ) Dion. lib. 5a. pag. 6i3. : JEqualitatis  et nomen est speciosum > et res j ustissima,    Digttlzedb    *»7   dipartimento delle Finanze non presenta,, una sorgente inesauribile d’imbarazzi, di  „ pensieri, e di cure ? Io convengo, o Ce-  „ sare, chele rendite- dello Stato sono gran-  >, di, ma saranno sufficienti a mantenere tante  „ Armate esposte su tutte le frontiere dall’  „ Oriente all’Occaso ? In una amministrazio-,, ne popolare si concorre agevolmente, e  „ con piacere ai bisogni dello Stato, e l'istes—  „ sa avarizia cede alla ragione del bene co-  „ mune . Allora la liberalità de’Cittadini for-  >, ma per essi un merito per inalzarsi agli ono*,, ri, ed agl’ impieghi (i) . Al contrario in  „ un Governo monarchico le publiche intra-  „ prese di un Sovrano sono riguardate come  „ suoi affari personali . Ognuno crede, che,, da quello soltanto si debba supplire del suo  „ proprio tesoro a tutte le spese del Governo,  „ Ogni nuova imposta produrrà nuova que-,, rela, nuove satire, e nuove amarezze per  „ il medesimo, e sempre con la forza, o di  „ mala voglia si vedrà il Cittadino effettuare  » il pagamento delle Tasse quantunque ordi-  „ narie, e regolate dalla Legge .   „ Quale odio poi non si procaccia un Giu-  „ dice universale, incaricato di punire da se   l   ( i) Dion. loc. cit. : Ubipenes Populum est  Imperium, multi multam pecuniam conje -  rune, etiam ut liberalitatis opinionem conse-  qunntur, ac prò Ut ho noia mcritos adipi-  scantur.    ti8   >, solo tatti li colpevoli ’ In un cambiamento  i t di Governo, il numero de’ malvagi si mol-  -, tiplica all’ infinito, e li sediziosi, e mal-  i, contenti sortono, per dir cosi, dal seno,, stesso della terra . Non potendosi tutti ri-  „ durre al buon sentiero nè colla dolcezza,  „ nè coiresempio del rigore usato con alcuni,  „ sarete dalla necessità costretto a pronuncia'   i, re contro de* medesimi, decreti o d' igno*  „ minia, o di bando, o di morte, e sebbe-  f, ne sarete nel punire moderato, ciò non,, ostante si crederà, che gli effetti della vo-,, stra giustizia necessaria, siano piatto-,, sto il risultato di un particolare risenti-  ci mento . Vedrete inoltre li piò potenti Cittadini,  „ e le famiglie de’ Patrizj accendersi di gelo-,, sia, e d' invidia per il vostro inalzamento  „ al Trono, e perciò non pochi di essi non  „ temeranno di censurare primieramente la  >, vostra condotta, e quindi anche formare,, delle congiure a danno della vostra esisten-  „ za, e del sistema da voi introdotto . Se  „ perciò vorrete punirli, ed umiliarli, si  susciterà contro di voi la publira indigna-  zione, e se li lascerete vivere senza oppri-*,, merli, la vostra sicurezza, sarà compro-   j, messa, c sarete circondato incessantemente da mille pericoli . ( i)   (r*) Dion. loc, cit. : Hos ncque, si augeri    ' Digitized by Google    99    ji 9,, Voi solo non potrete ultimare alcuni prò»  getti, 1 ’ esecuzione de’ quali esige indi—,, spensabilmente 1 ’ opera, e la confidenza  „ di Generali rispettati dal Soldato per la lo-  „ ro nascita . Questi riceveranno da voi il  „ comando delle Armate, ma quindi rivolge-,, ranno contro voi stesso quelle forze, che,, ad essi affidaste . A quale espediente allo-,, ra dovrete appigliarvi ? Bisognerà, che  „ facciate uso d’ individui di vile estrazio-  „ ne . Questo rimedio però potrebbe com«  „ promettere la tranquillità dello Stato, eia  33 vostra gloria ; imperocché, se per caso  3, questi nomini oscuri riescono nelle impre-  „ se, diverranno insolenti, se poi soccombo*,3 no, a voi solo sant addebitata la perdita .,, Ah ! Cesare, preferite pure, preferite.  „ le dolcezze di una vita tranquilla all’ im-  33 barazzo di una potenza tumultuosa . Un,, momento di piacere puro, e solido è supc-  33 riore a tutto il fasto della grandezza.   „ Che cosa pretendo conchiudere da tatto-,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio forse  33 violentare il vostro animo a rinunciare per  „ sempre a quella superiorità, che avete  „ coll’ armi acquistata ? Nò certamente : io  „ vi darei un consiglio pregiudizievole, se,, vi esortassi a restituire la Republica al Po-  „ polo Romano nella situazione, in cui si   pattare, tutus vivet, neqiie si opprimere ca-  ncri},juste ages .    „ ritrova al presente ; essa ha bisogno di ri-  j,, forma, prima che gli antichi Padroni ne  „ vengano ripristinati al possesso .   „ Profittate pertanto di quella Sovranità,,, di cui la vittoria vi ha rivestito per miglio-  „ rare quel campo, che avete acquistato, e,, perseverate nell’ esercizio della medesima,, per tanto tempo, quanto sarà necessario  „ per ristabilire le Leggi, richiamare la prat-  „ tica' delle antiche costumanze, corregere li  », abusi del Comiz'o, reprimere 1’ ambizio-,, ne della Nobiltà, porre de’ limiti alle pre-  „ tenzioni del Senato, moderare il potere de’   „ Tribuni, regolare l’uso delle Finanze, e  », e raffrenare la cupidigia de’ Publicani.   Quanto glorioso allora sarà per voi di com-  „ parire da semplice Cittadino in uno Stato, /  >, di cui foste il Ristoratore ! Siila autore di  », tante proscrizioni, ed il carnefice della sua  », Patria, seppe dimettersi a tempo, e mori  », rispettato, e tranquillo . Giulio Cesare  „ vostro Padre, il meno sanguinario degl’Uo-  „ mini, e il più inclinato a perdonare, fece,, perpetua la sua Dittatura, e trovò degli  », assassini frà li suoi amici più cari .   M discorso di Agrippa fece una forte im-  pressione sullo spirito di Ottavio . Egli forse  avrebbe abbracciato il sistema da quello pro-  posto, sagrificando le sue vittorie al ristabir  limento della Repubbra, ma Mecenate, es-  sendo di contrario sentimento, entrò neH’are-    ~Diqitizécl TSyGoogle    121   uà, e parlò con tale facondia, e vivacità,  che ottenne nna completa vittoria sullo spirito  di Augusto . „ Se si trattasse ( rispose egli )  „ di delineare un Campo, e di prendere del -  „ le misure per dare una battaglia, io non  „ oserei di parlare in presenza di Agrippa ;,, ma, aggirandosi la discussione intorno a  „ materie politiche, credo di potere con sin-,, cerità azzardare il mio giudizio, avendo  „ su di quelle lungamente riflettuto, e trat-,, tato non poehi affari dello Stato in diffe-  „ renti, ed anche difficili occasioni . Com-  „ prendo la solidità de’ dubbj proposti, ma,, conosco ancora, che lo scioglimento di essi  „ non può imbarazzare un Eroe già Padrone,, sovrano, e capace d* ultimare colla sua,, prudenza ciò, che ha incominciato colla,, forza .   „ La Republica, o Cesare, è caduta in  „ uno stato d’ infanzia, ha bisogno perciò di,, esser messa in tutela . Ora non siamo piq  „ in que’ tempi felici, in cui la virtù soste-,, neva questo gran Corpo, ed in cui le sue  „ forze non erano state indebolite dal vizio;,, ma l’avarizia è succeduta all’amore della  „ povertà, l'ambizione agli onori, la tem-  „ peranza alla frugalità, e 1’ incontinenza al,, modesto pudore ; è impossibile pertanto di,, trovare al presente un numero diMagistra-  „ ti disinteressati, sobri, casti, virtuosi,  „ e simili a quelli, che fecero onore ai primi     f aa   „ secoli di Roma . Tanti mali invecchiati vi-»  a chieggono una roano capace a poterli gua-  >» lire .   f . Si, Cesare, voi dovrete affrontare pe-  i, santi incarichi nel prestare la vostra opera  „ ad una cura cosi difficile ; e preveggo, che,, saranno assai grandi li vostri pensieri, la  „ vostra vigilanza, li vostri travagli ; ma  „ nell’attuale stato delle cose sono divenuti  i, necessarj ; e sebbene potrebbe sembrarvi  „ spaventevole un tale prospetto, tuttavia  „ sono persuaso, che non avrete il coraggio  „ di abbandonare il Governo nel pericolo di,> non ricuperare giammai la sua perfetta sa-,, Iute,   f . Non è possibile di rimediare ai mali pre*,, senti con una Dominazione passeggierà . U  „ ristabilimento del buon ordine in Roma coll’,, ajuto delle leggi, e de’ regolamenti è un  idea di speculazione, che non può aver luo-  go in prattica; bisognerebbe, che quelle  „ venissero infinitamente moltiplicate per po-  „ ter correggere li disordini, che le passioni  „ hanno introdotti . Come poi potrebbero  „ trovarsi de’ Cittadini, ih cuore de’ quali  „ fosse abbastanza incorruttibile, e li costu-  „ mi abbastanza puri per mantenerne l’osser-?  „ vanza ?   „ LaRepublica è ridotta in tali circostanze,  rt che ha bisogno di una Legge vivente, che  f, ordini, e che faccia al tempo stesso ese-    133   „ guire . Appena la maestà di un Padrone per-  „ petuo basterà per imprimere il rispetto;,, ma che cosa accaderà, se Magistrati di un  „ anno saranno incaricati della Riforma f Li  „ Cittadini indocili, e pertinaci spereranno  » r impunità nel governo di Successori più de-  „ boli, sostituiti ai più rigorosi . E’ necessa-,, ria una Autorità permanente per distrugge-,, re inclinazioni perverse, che rinascono  „ incessantemente, e che non è tanto facile   99 di estirpare .   „ Voi, o Cesare, vi dovete alla Patria,  „ divenitene Padrone per sempre per sua com-  „ passione. Fate sì, che il Senato sia com-  „ posto di Soggetti di sperimentata saviezza ;  „ confidate le vostre Armate ad abili Gene-  „ rali, e scegliete li vostri Legionarj frà le,, Famiglie povere, le quali porranno som-  », ministrare Cittadini eccellenti ; ma conser-,, vate il dominio, e sulla Nobiltà, che iin-  » piegherete nelle cariche, e suiti Comandan-  » ti degli eserciti, e suiti soldati medesimi .   „ Ne con ciò pretendo, che il peso degli   affari debba sopra voi solo gravitare ; Ne  #> dividerete la cura con li Cittadini ptimarj  „ delle antiche Famiglie, che renderete i ! 1 u -  „ stri, con renderli laboriosi. Riguardo al,, Popolo, bisogna regolarsi con tal cautela,  „ che sia sempre contenuto nell’ umiliazione .  „ Finché li plebei s’ interessarono della sola  „ cultura delle terre, Roma fu tranquilla ; si  ridderò però divenire insolenti, allorqnan-  », do, associati ai publici affari col soccorso  i, de’ loro Tribuni, rovesciarono più volte la  ’ Costituzione dello Stato ; c necessario per-  », tanto, che rientrino in quella subardina-  », zione, dalla quale furono levati dalle Fazioni.   „ Disprezzate le publiclie voci tendenti a  », denigrare la vostra condotta . Forse si di-  „ rà, che avete vinto perii vostro solo in-  „ grandimento ; ma Roma parlerà con altro  „ linguaggio, quando sotto l’ombra de’ vo-  „ stri auspicj vedrassi al colmo della feli„   jy Cltil «,, Non dovrete temere alcun attentato alla,, vostra persona, divenuto Monarca ; al con-,, trario i vostri giorni saranno in pericolo,  y, se, spogliato del supremo potere, rifen-  ì, trerete nella classe di semplice Cittadino ;  „ .chi mai in questo caso potrà garantirvi dal-  „ la perfidia di que' scellerati, e malconten*  „ ti, che sopravissuti alla distruzione nelle  », passate guerre civili, si aggirano ancora e,, in Roma, e nelle Provincie ? Esistono sicu-,, ramente de’ turbolenti partegiani delle Fa-  zioui di Sesto Pompeo, e di Antonio . Que-   Dion. loc. pit.: Ilio, enimPlebis lice ris-  tia, qua optimus quisque servire cogitur, et  acerbissima est, utiisque cominunem pcrniciein  * ffert . . . .     nS   A sti, serbando contro la vostra persona odio,  „ risentiraento, e livore, cercheranno di  „ vendicare l’affronto, che loro recaste per,, averli vinti, ed umiliati, e col vostro as-,, sassinio immolare una vittima gradita all’  s, ombre de’ loro Amici estinti o sulle cam-  f> paglie di Filippi, o sulle spiagge dell’ Epi-  „ ro . Siavi d' esempio Pompeo il grande, il,, quale, spogliatosi spontaneamente di quel-  „ la potenza, che colla vittoria si era acqui-  stata, fu miseramente ucciso, mentre fa-  ceva degl’ inutili sforzi per ricuperarla :,, Alla medesima dissavventura sarebbero stati  „ esposti ancora Mario, ed altri potenti Cit-  „ tadini, ie non l’avessero prevenuta colla  morte. (i,) • t > *  Diòn. loc. cit. : Quis enim libi parcet,  ubi omnes res, uti mine ace sunt, P apuli,  àlior urn que‘ Potè stati praemitlis, cu/n et pcr-  multi a te sint offensi, et omnes fere summam  rerum tentaturi, quorum alteri et ulcisci te,  alteri adversarium te e medio tollera cupicnt 1  Balsac nel cap.45. del Print. cosi su tal pro-  posito ragiona : Si va incontro ad egual pe-  ricolo tanto nell ’ impossessarsi, che nel dis*  farsi del s/lpremo potere . F aiaride era pron-  tissimo a dimettersi dalla potenza usurpata l  ma chiedeva- un Nume per sicurezza della sua  vita, se rientrava nella classe di Cittadino  privato, £’ stata sempre comune opinione >     136   „ Sul Trono però la maestà, che imprime  „ il rango supremo, e la guardia d’ ond’ è,1 circondato, spegne ne’ cuori gl’ istessi de*  „ siderj della vendetta . D’altronde, o Cesa-  „ re, la vostra gloria, e le vostre precau*  „ zioni sapranno preservarvi da qualunque  „ timore . Koma vi riguarda . come un dono,, ricevuto dai Numi, e voi passate per una,, Divinità tutelare, che il Cielo volle ser-  „ bare iniftezzo a tanti Nemici per assicurare  „ il loro benessere, e la loro felicità .   „ Si è detto, che il peso dell’ Impero è  „ troppo grande ; ma questo è un vano terro-  „ re capace a «coraggi re tutt’ altri, che il Fi-,, glio adottivo di Giulio Cesare . La metà del,, Mondo ha già ubbidito alle vostre Leggi ;  „ finora non foste, che Triumviro, e l’ Im-  „ pero dell’Occidentè non fu per voi un in-  »; carico troppo pesante . Presentemente tut—  „ te le Nazioni godono quella pace, che voi,, «apeste ad esse procurare ; le nostre Fron-   che quelli, li quali hanno preso le armi con-  tro la loro patria, o contro il loro legittimo  Sovrano, sono ridotti in certa guisa nella ne-  cessità di continuare nel male, per. La poca si-  curezza, che trovano nel fare del bene . Non  osano di divenire innocenti per timore di sotto-  porsi alla discussione delle Leggi, che hanno  offese, e persistono ne loro errori, credendo,  che il loro pentimento non trovi compassione .    ja?   •„ Nere sono difese da Governatori di vostra  „ scelta, e gl’ ordini non derivano, che da  „ voi dal Caucaso, ed il Mar rosso fino all’  „ Oceano Brittannico . Non si tratta più di  „ cercare, in che guisa potrete divenire il,, Padrone dell’ Impero ; ma con quali mez-  „ zi potrete sostenere quel peso, che il Cie-  „ lo ha voluto addossarvi;. Io spero di potervi  „ somministrare li mezfci ricercati.   », Formate Un Senato, che sia composto di  », persone sagge, e tranquille, nè la pover-,, tà deve essere un motivo, onde escluderne  „ li buoni Cittadini ; sarà non meno cosa van-  „ taggiosa, se unirete ai Senatori Romani  „ de’Soggetti stranieri scelti ancora Frà nostri  „ Alleati. Con questo temperamento, potrete  » ricevere de 1 buoni consigli, sia per il go-,, verno della Capitale, sia per contenere le  » Provincie lontane, e le cabale saranno meno  » frequenti tra Individui di diverse Nazioni .   » L’ordine de' Cavalieri è rispettabile, ma  » trovasi circoscritto da troppo anglisti con-  „ fini . Ammettetè ih questo ceto illustre, sen-  i, za fissarne il numero > tutti que’ sudditi  >> delle Provincie Romane, che ne sono de-  », gni, e per li natali, e per li servigj pre*,, stati, e per le ricchezze .   >» Li Pretori devono scegliersi dal Corpo  „ de' Senatori dopo cinque anni di servizio*   „ e dell’ età di anni trenta, giacché in avve, gerete iui Giudice subalterno col nome di  „ sotto-Censorc, che prenderà cognizione di  „ que’ leggeri disordini de’ Cittadini, che,, non giungono al delitto, ma, che sogliono  „ cagionare delle inquietezze nelle famiglie,  „ e che tolgono la quiete publica, ed il buon  „ ordine della Città . La carica di questi due,, Magistrati potrà essere a vita, non po*  „ tendo concepire alcun timore di due Uomini  „ inermi, che eserciteranno la giustizia sot-  „ lo i vostri occhii   „ Io non so, o Cesare, se il mio discorso  „ incontrerà la vostra approvazione, ma ciò,,, che ho detto, mi sembra troppo necessario  „ a rendere il vostio regno pacifico . Conte-  ndete liberamente il diritto di Cittadinanza,, a qualunque Individuo, che ne sia degno *  „ delle Città alleate, e soprattutto delle Co-  „ Ionie, e cosi avvilirete questo titolo di  „ Cittadino Romano, che rende il Popolo  „ della Capitale si fiero, e affezzionandovi le  „ Nazioni straniere, ve le renderete fedeli *  i. Crescerà poi il loro affetto, se facendo con  „ precauzione una scelta de’ Soggetti li più    Digitized by Google    l3i,, ragguardevoli, li farete partecipi anche  y, degli onori del Senato . Che cosa importa,  „ se il numero de’ nostri Senatori oltrepasse-  „ rà li trecento ? Più saranno gl* impieghi, e  „ le cariche da conferirsi, e più autorità vi  „ acquisterete, ed anche maggior sollievo .   „ E’ giusto, che sia fissato uno stipendio  „ per i Consoli, ed i Pretori, che mandere-  „ te nelle Provincie, giacché è cosa del tutto  „ vituperevole, che per mezzo di enormi,, concussioni, si aggiudichino da se stessi li  „ salarj de’ loro travagli, ed impongano tas-  „ se arbitrarie sulle Popolazioni, che go-  „ vernano. Se si porteranno delle lagnanze  „ contro l’avarizia di alcuni di quelli, do-  „ vranno richiamarsi all* istante, benché non  „ siano finiti li tre anni dell’esercizio della  „ loro carica ^ In generale poi sarà una giu-  yv sta misura di non prolungare ad alcuno il  „ tempo della sua amministrazione oltre a  „ cinque anni .   „ Ho detto, che bisognava moltiplicare il  » numero de’ Cavalieri ; perchè da questo  » Corpo rispettabile dovrete scegliere levo-  „ stre Guardie, a cui assegnerete de’ Capi-  „ tani . Allora la vostra Persona sarà più si-  „ cura, e se P uno di questi Capi diviene so-  » spetto, l’altro per emulazione veglierà con  y, zelo salii vostri giorni ; qneU’autorità poi,  >, che loro darete sul resto della vostra Casa,  ' « li affezzionerà maggiormente al servizio,,e   I a    i3a   „ se si conoscerà, che le loro incombenze  „ fossero troppo moltiplicate, potranno in,, parte discaricarsene su di alcuni subalterni  „ col nome di Luogotenenti -, che parimente  „ potrete nominare . Dallo stesso corpo de’  „ Cavalieri potrete estrarre ancora e gli Co-  j, mandanti della Polizia, che in tempo di not*,, te veglieranno sulla quiete di Roma, e gl*  „ Intendenti de' viveri, e li Presidenti del  „ pnblico Tesoro, e li Ricevitori delle rendi-,, te delle Provincie, (ij   „ Oltracciò oserò dirvi, che sarà bene  „ d’ impiegare ancora de’ Liberti per la ri-  „ scossione del pnblico danaro . Questa qna-  „ lità di nomini sarà adattata per sopportare,, l’odio inerente all* impiego di Esattore .  „ Con questo mezzo potrete far uso, e distri—   ( i ) L’ ordine de' Cavalieri desume il suo  stabilimento parimente da Romolo, il quale  avendo fatta la scelta di trecentpGiovani lipiù  valorosi, c benfatti, ne formò il Corpo di guar-  dia della sua Per sona . Allora erano chiamati  Celeri, ma posteriormente furono sottoposti ad  altre variazioni di nome al dire di Plinio lib.  32 presso il Sigonio de Antiquo Jure Civ. Rom.  Jib.t. cap.3. : Equitum nomea saepe variatum  est, in his quoque, qui adequitatum trahe -  bantur . Celerei sub Romulo, Regibusque ap-  pellati sunt, deinde Flexumincs, postea Trotta-  li : Fedi il sudetto Sigonio loc. cit.    Digitized by    i33   „ buire degl* impieghi, che serv'irannó di ri-,, compeiiza ai vostri domestici, e popolando-  „ rOriente,e l’Occidente d’individui fedeli.»sa-  „ rete con esattezza prevenuto della situazio-  „ ne delle Provincie lontane .,, Una delle cure le più importanti di un  „ Sovrano è di vegliare attentamente sulla  „ educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe-,, ro. Vi siano adunque per questa delle pu-  „ bliche Scuole, delle Accademie per formar-,, la nel mestiere delle armi, e de’ Maestri  „ ben pagati per istruirla nell’ esercizio dcl-,, lo spirito, e del corpo . Da questa dipen-  „ de la forza dello Stato, e questi fiori colti-  „ vati con saviezza, produrranno il frutto a  „ suo tempo, e luogo . Procurerete però,  „ che non venga educata nella mollezza, e  „ nella indolenza, altrimenti se ne risenti-  „ ranno in seguito gli effetti funesti ; Roma,, cesserà di esser feconda di Eroi, e tntto  „ l’obbrobrio ridonderà a carico dell’Autore,, della Monarchia, (i) "t   ••   ( i) Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc quoque te  summopcre hortor insticuas, ut Putridi, E-  questrisque Ordinis homines, dum adhuc pueri-   tiam agunt,ludos literarios frequentent Ita e-   nim statini apuero discentes, et exercentes omnia  ea, qua e adultis sunt usurpanda, ad omnia  ne goda aptiorcs habebis. Optimi enim, ac egre -  gii Principi* est, non modo ipse ut omnia e*    v_    IS4   „ Anche le Truppe esiggono una particola.  „ re attenzione, come quel Corpo, che forse,, costituisce la porzione più necessaria, e  „ interessante dello Stato . Allorquando la  „ maggior parte delle vostre città godrà il di-  „ ritto della Cittadinanza Romana, vi riusci-  „ rà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di,, Cittadini Romani • Fatene la leva in tutte le  „ contrade dell’ Impero ; siano puntualmente  „ pagate ; preparate loro de’ buoni quartie-,, ri, e non permettete, che invecchino sotto  „ le armi, poiché da ciò ne derivano le sedi-  „ zioni militari . Ogni Veterauo è ordinaria-  „ mente ardito, e presuntuoso ; perciò è ne-  „ cessarlo, che questa porzione di Truppe,,, facciali suo servizio senza interrompimen-  „ to dopo il fiore della gioventù fino al princi-,, pio della vecchiezza ; le vostre Legioni sia-  „ no sempre sul piede di guerra, ed in nu-  „ mero sufficiente per difendere le Frontiere.  „ Siano escluse dal vostro governo quelle le-  „ ve istantanee, e tumultuose, come soleva  „ altre volte praticarsi in caso di estremo,, bisogno . Fate si, che una porzione de'   nostri Contadini eserciti tranquillamente,, l’Agricoltura, nè i loro rustici lavori sie-  „ no turbati dal timore di dover ascoltare ad  „ ogni istante il suono della tromba guerric-   officio agat, verum, ut qua rat ione etiam re-  liqui omnes quarn optimi fiant, prospiciat.    Dii    ^Ciooglc    i35   „ ra, che ad essi annunzi degli arredamenti in-  „ volontari .,Le Armate saranno assai deboli,  „ allorquando non sono fonnate, che di suddi-  „ ti forzati a servire.   „ Si dirà, come trovare somme considere-  „ voli., onde mantenere tante Armate conti-  », imamente sul piede di guerra, e pronte  „ sempre a marciare a qualunque cenno del  „ Sovrano ? Questo è il punto decisivo, e  „ l’oggetto di terrore, che vi è stato pre-  „ sentato,,, Ogni Stato ha le sue rendite, e voi pote-  „ te divenir padrone del Tesoro publico de’,, Romani . Basterà questo per dare esecu*,, zione al progetto, che io vi propongo ? Nò  », certamente; ma con una prudente, e savia  », economia vi si potrà supplire. Vendete le,, spoglie delle Provincie conquistate, e for-  „ matene, col prodotto, un fondo per libi-  7, sogni straordinarj . Promulgate de’ sa vj re-.  „ golainenti, affinchè le campagne siano con  „ impegno, e profitto coltivate dai Proprie-  », tarj, ed esigetene un tributo sul loro pro-  „ dotto . Non è forse giusto, che con il sa-  „ grifizio di una tenne porzione delle loro so-  „ stanze, si acquistino la sicurezza, che voi  \, procurate ad essi, e a tutto lo Stato ?   Vegliate sulle miniere de’ metalli, che  „ si discopriranno nelle diverse contrade dell'  t, Impero . Esiggete puntualità nella riicos-    rU   „ sione delle tasse per testa, senza permette-  „ re, che li debiti si moltiplichino.Procurate, che non si rappresentino al-  „ tri giuochi fuori della corsa de’ carri, e de’  „ cavalli, perchè ordinariamente le Città le  „ più opulente, sogliono esaurire le loro rie-  •„ chezze in futili divertimenti * Riguardo alla  „ «Capitale dell’Impero, gli edificj deggiono es~  „ sere in essa sontuosi, è li Spettacoli ma-  „ gnifìci; la Capitale è il centro di tutte le  „ Nazioni, e la maestà del Padrone, che gor  „ verna, si misura con la Città, ove risiede  „ conia sua Corte. Fuori di Ironia proibite  „ agli abitanti 1* eccessività delle spese, e  „ quindi con questo provido temperamento  „ tutti saranno in istato di pagare li tributi .  „ Si potranno inoltre dispensare le Provincie  „ a fare Deputazioni così frequenti . Li Go-  „ vernatoti respettivi ultimeranno gli affari  „ sulla faccia del luogo ; e se fosse necessa-  „ rio, che quelli dovessero rimettersi al vo-  „ atro Tribunale, li rimanderete al Senato .  „ Allora voi detterete le sne risposte, e sfug-,, girete di prendere sopra voi solo l’odio,  „ che quelle potranno seco portare .   „ Fate partecipe il Senato delle querele,  „ che gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei  „ Re stranieri potranno promuovere, ed a voi  „ solo riservate la cognizione delle grazie,  » che loro vorrete accordare .   „ Non dovrete mai più permettere al Po-    „ polo la decisione de’ delitti capitali . Qne-  *> sta dovrà essere una ispezzione esclusiva  „ del Senato, il quale si crederà onorato di  „ un tale imbarazzo, e voi ne resterete con  piacere discaricato . Io però non parlo de’  delitti comuni, la di cui punizione è stata  regolata dalle Leggi . Per li attentati contro  »» la vostra persona (giacché tutto può acca-  „ dere ) siatene voi stesso il delatore, ma non  „ giudicate giammai nella vostra causa . Fate,  », che altri ne pronuncino la sentenza, e voi,, non dovete interessarvenc, che per mode*  », rare la pena .   » Non dovete fissare la vostra attenzione,  », come già ho accennato, nè alle parole in-  »> considerate de’ malintenzionati, nè alle sa-  j» tire, che si diffonderanno, contro di voi,, nel publico, e non curate di venire in co-  », gnizione degli autori ; poiché dovete figli-  » rar ?i, come situato in una sfera superiore,  »• in cui siete invulnerabile, come li Dei .  *» La vostra collera non deve accendersi, che  » contro li sediziosi, che, posti alla testa  „ di una Armata, avranno rivolte le vostre,, armi contro di voi stesso . Il giudizio di que  „ sti scellerati, e colpevoli di Stato, Indivi*,, dui ordinariamente di alta considerazione,  „ dev essere rimesso per commissione ai Con*  >» soli antichi ; la qualità di tali Giudici darà  », peso alla decisione, che saranno per pronunciare . Vi saranno delle cause, dall’e-  „ game delle quali non potrete dispensarvi*,, imperciocché pii affari di onore fra gliUfh-   „ ciali delle vostre Armate, e gli Appelli dai  „ T ribunali del Prefetto di Roma, e del sotto*,, Censore devono tornare a voi; allora sce-  „ gliete degli Assessori fra i Patrizio al tri Sog-  „ getti qualificati, che possano figurare con,, voi in una Assemblea giudiziale .   „ La grande saviezza di un Padrone indi-  li pendente consiste nell’ ascoltare volentieri,, gli altrui consigli . Accogliete pertanto gra-  ti ziosamcnte tutti quegli Amici, e Cittadini,  „ che saranno per darvene dei salutevoli;,, ma non discacciate con orgoglio coloro, i  „ quali potrebbero suggerirvcne alcuni non  „ sodisfacenti. Quelli, dalla bocca de’qua-,, li sortono consigli poco utili, possono aver  „ avuto retta intenzione : Accade di que-  „ sti, come dei Generali di Armata battuti,, dal nemico ; Spesso l’errore non è imputa*  „ bile nè agl’ uni, nè agl’altri ; e siccome  „ non si può sempre rispondere degli avveni-  „ menti della guerra, cosi non deve riguar-  „ darsi con occhio bieco quell’ Uomo, che di   buona fede dà un consiglio poco sensato .   „ Li Filosofi procureranno sovente di gui*  „ darvi con le loro speculazioni . E’ vero,,, che avete sperimentato, quanto erano van-  *, taggiosi li consigli di Areo, e di Atenodo*,, 1-0(1^), ma generalmente parlando, le opi-  nioni di tali Uomini sopo difettose per man-  canza di esperienza nel maneggio degli affari -  Le meditazioni del Gabinetto sono spesso le  meno sicure in prattica. Atenodoro Filosofo Stoico era nativo  della Città di Tarso . Fa maestro di Augusto,  dal quale Ju decorato di molti onori . ed anelli  di Tiberio . Aveva il talento particola) c per far  apprendere con facilità le scienze a' suoi Di -  scepoli . Le sue cognizioni erano cosi estese, e  tanta la forza della sua eloquenza, clic Sallu-  stio lo assomigliava al fuoco, che accende  tutto ciò, che gli si avvicina : Athenodorus  Stoicus Philosophus ( dice Suida f sub Octa -  vio Romanorum Imperatore omni-   bus ad Philosophiani subsidiis, tam ab iji ge-  nio, quam recta animi voluntate instructus  erat .... idemque dilucido discipulis suis  explicabat . Hunc Sallustius oh studiuni admi-  ratus, igni similem esse dixit, omnia propin-  qua incendenti : Secondo Strabope lib. 1 4 . pag.  463- aveva l' abilità di rispondere estempora-  neamente a qualunque argomento, e fu ono-  rato ancora da Marco Antonio il Triumviro,  ììi lode del quale scrisse un Poemetto, dopo la  battaglia presso Filippi .   t fa') Dion. loc. cit. : Neque enìm quia A-  reum., et Athenodorum bonos, ac honestos vi-  ro s expertus es, omnes alias idem studium prua-    i4o   „ Ecco, o Cesare, alcune massime geuera-  „ li per il Governo, clie renderanno la vostra  „ amministrazione Sovrana meno difficile, e  „ meno pericolosa di quello’, che vi è stata,, rappresentata . • .,, Le qualità personali del Monarca, so-  », pratutto quando è 1’ autore dellaMonarchia,  », devono eguagliare la sublimità del rango,  », al quale egli è giunto . Io credo, e so*  », no persuaso, che quello non deve in-   difierentemente accettare tutti i titoli, e  „ tutte le distinzioni, che l’adulazione potrà  „ deferirgli . La realtà della Monarchia vi  „ deve bastare sotto qualunque nome la rite*-,, niate . Che importa di esser chiamato Cesa-*  » re, o al più Imperadore, quando voi am-  „ ministrate sovranamente lo Stato Romano ?   „ Bisogna, che con una irreprensibile con  „ dotta v'innalziate dei monumenti perenni sul  „ cuore de’ Sudditi . Che cosa servono quelle  „ Statue d’oro, o di argento ? Sono stati eret-  „ ti nelle Provincie alcuni Templi a vostro  „ onore, ciò poco interessa ; ma non dovrete  » giammai permettere, che ve ne sieno con*  „ secrati in Roma, perchè sarebbe un oggetto  „ di disprezzo per le persone sensate, ed una   seferentes, similes eorum indicare debes, curri  hac specie usi multi infinita mala populis,  privatisene hominibus adjeraut,     y, spesa inùtile, che pot là essere meglio im-   i, piegata.   - „ Fate uso voi stesso di economia nelle vo-  * stre spese particolari, ed in quelle della vo~  „ straGasa.La buona opinion, e,di un uomo frn-  » gale vi farà più onore di un grande numero  »> di tempj, di altari, e di statue . Questo  „ culto esteriore, e materiale diverrà comu-  „ ne ai buoni, ed ai malvaggi Principi .   „ D’altronde non si recherebbe insulto ai  Numi, con eguagliare i vostri onori a quel-  li, che il Popolo suole ad essi deferire ?   „ Un Sovrano, che cerca di essere onora»  to deve sempre mostrare della pietà verso li  „ Dei immortali, perciò nón permetterete,  „ che s’ introducano in Roma delle Sette re-  ligiose straniere . Una novità in materia  5, di Culto, ne porta sempre delle altre, e  „ e quindi ne risultano attruppamenti sedi-  „ ziosi, e pericolose congiure . Ammetto,  „ che restino frà noi degli Auguri, che con-  „ suiti, chi vuole ; ma non devono assoluta-  „ mente tollerarsi gli Astrologi, ed i Maghi ;  j) imperciocché dalle loro predizioni false, o  „ vere, che siano » hanno principio sempre  „ le intraprese dei perturbatori del publico  „ riposo,  ... -fi) Dion. loc. cit. : Deos quoque senipcr,  et ubique ita cole, ut moribus Patriae est recc-  ptum,ad eumdemque cultura ahos compelle. Pc-    * 4 *   „ Voi avrete indiverse parti delatori -, e.  „ spioni ; questa razza di persone saranno  „ necessarie, ma guardatevi di deferir cie-  „ eamenre ai loro rapporti . Spesso l’odio,  „ rinteresse, la vendetta, o altre passioni  „ sciolgono agl’ uni la lingua, e chiudono   agl’altri la bocca . Qui è dove fa dnopo,, avere continuamente la bilancia in mano,  „ e procurar di farla inclinare piuttosto a  „ favore degli Accasati .,, Li vostri antichi Amici, ed i vostri Do-,, mestici li più familiari devono esser per,, voi non meno un soggetto di precauzio-,, ne . Disprezzarli, sarebbe, un ingratitu-,, dine, sollevarli, ed arricchirli soverchia-*,, mente, produrrebbe contro di voi un ar-  „ goinento perenne di rimproveri, e dimor-  „ morazioni . Si giudicherà di voi per mez-  „ zo de’ vostri Amici, e i loro difetti sa-  „ ranno a voi attribuiti . Cercate adunque  „ di disfarvi dei meno discreti, e di quelli,   „ che sono nelle loro brame insaziabili »   • ‘ ' v   • ... \ • 1 • i   regrìnarum vero Religionum auctor esodio, ac  Supp liciis prosequere, . qui nova numi -   na introducane, multos ad peregrinis Legibus  utendum pelliciunt ; inde conjurationet, coi- -  tioncs, et conciliabula existunt, minime unius  principe fui commodae res ; itaque nequeDeo-  rum contemptorem, ncque praestigiatorem al-  lum tolerabi * .    Digitized by G, regolato Governo : L’ingiusta preferenza  „ produce del malcontento, e quindi può  „ ancora cagionare il rovescio totale di quel-  „ lo. Siate il protettore dei Grandi fino ad  „ un certo punto, ma l’eterno sostegno dei  „ deboli, ed il vendicatore degli oppressi.,, Proteggete con energia le arte utili, clic  „ esercita il basso Popolo, e bandite gli  „ oziosi . Ordinariamente le sommosse popo-  „ lari incominciano da pe rsone disoccupate,  *, e sono fomentate da nomi di partito, che,, si danno reciprocamente per farsi ingiuria;  „ ciò forma la sorgente delle rivolte, che   Fa duopo distruggere nella nascita.   „ L’abuso della propria autorità è il più,, grande dei mali per un Sovrano . Dare ese-  „ cuzione a tutto ciò, che si può, è lo stes«  i, so soventi volte, che fare più di quello è  >, permesso . Più utio si conosce potente, o  „ più bisogna > che vegli sopra se stesso per  „ non farsi trascinare dai proprj desiderj. Gli,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri di?  : b fatti > ma segretamente vi biasimeranno .  „ Abbiate dunque per massima di regolare la,, vostra condotta, non tanto su quello, di   i, cui siete stato redarguito, ma sù quello,  „ per cui potrete essere rimproverato . Ri-  „ flettete sopra voi stesso, e non già come,, Sovrano, ma come Suddito responsabile   j, di tutti i vostri andamenti al Publico, il    144   » quale vi osserverà con tnttà 1 attenzione,,, e vi giudicherà con rigore maggiore di  quello, di cui voi userete verso di esso .  „ Ecco, o Cesare, il dettaglio delle qua.  „ liti, che voi dovete acquistare, c de'sco-,, gli, che dovete sfuggire. La sapienza, di  „ cui il Cielo ha voluto decorarvi, vi servi-,, rà di. guida, e 1* esperienza vi faciliterà  „ l’arte di governare . Entrate adunque,  „ entrate con confidenza nella carriera, che  „ le vittorie vi hanno aperta ; Roma, e l’U-  „ niverso vi reclamano, come il solo Uomo  „ capace di riparare ai disordini di una  „ Repnblica andata in decadenza . Quelli,  „ che vi esortano a consumare la Rivoluzio-, ne, amano sinceramente la Patria . Che  ., dolcezze non gusterete in una amministra-  „ zione tranquilla, in cui voi farete la feli-  „ cita di un Mondo intero 1 Ninna cosa è più  „ dolce del dominio, allorquando il Domi-  „ natore è capace di procurare la comune fe-  „ licita. Non vogliate discacciare la fortuna,  „ che vi ha scelto fra mille per sostener Ro-  „ ma vicina a cadere . Regnate senza prende-  „ re il nome di Re, e siate Sovrano senza  „ altro titolo, che quello di Cesare, o d'Im-  „ peradore . In una parola, la regola più si-  „ cura onde rendere amabile il vostro Im-  „ pero è quella di governare li popoli a voi,, soggetti, come bramereste di essere ga-    Digitized by    145,* vernato voi stesso, se i Numi vi avessero,, fatto per ubbidire (i).   Il tX scorso di Mecenate dissipò le dubbiez-  ze di Ottavio, gli trasfuse nell'animo maggior  sicurezza, e non esitò ulteriormente per  aderire al progetto di quello . 11 bravo Agrip-  pa non restò malcontento al vedere posposto  il suo sentimento, perchè comprese anch’es-, che il suo Padrone rischierebbe meno di  quello, che non si era creduto, sul posto  eminente > nel quale veniva consigliato a per-  petuarsi > e che l’utilità publica si trovereb-  be unita alla gloria del medesimo . Egli non  potè non ammirare la saviezza, e profondità  delle massime politiche di Mecenate, propo-  ste per rendere felice un'Amministrazione  Monarchica ; e perciò l’esperienza ci ha fat-  to quindi conoscere > che tutti li Re vera-  mente degni del Trono hanno formato il loro  piano sù quello, che il sudetto Mecenate pre-  sentò ad Ottavio . La lettura del suo discor-  so > che per intero ci è stato dallo Storico  Dione trasmesso è un Capo d’opera, che an-  che ai nostri giorni, ed in ogni tempo può  istruire li Sovrani a divenir felici, procu-  rando la prosperità de’ loro Sudditi (a).   Il laborioso Catrou, da noi tante volte, citato, suppone, che non ostante l' efficacia    ' «. .   ( 1 ) Dion. lib. 53 . Catrou Catrou loc. cit. lib. 5 .   K    t+6   delle ragioni dettagliate da Mecenate, V à~  nimo di Ottavio restasse tuttora perplesso,  ed irrisolato ; e che il Poeta Virgilio deter-  minasse qnesta sua ir risolutezza, e lo indu-  cesse ad ahbracciare definitivamente il prò*  getto della Monarchia . Il Catrou parla in tal  guisa (i,) „ Osare, avendo ripieno lo spirito  „ di tutto ciò, che aveva ascoltato da Me-  „ cenate, non ebbe rossore di consigliarsi,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici i  „ nomo di bassi natali, nato in un villag-  „ gio da poveri genitori, ma li di cui ta-*  „ lenti erano sublimi Questo fu il famosò  „ Virgilio, Poeta, la memoria del quale si,, conserverà in tutti i secoli . Da lungo tem-,, po egli era al servizio di Cesare Ottavià-  „ no, e per mezzo di vili principj èraginn-  „ to a meritarsi il favore delsno Padrone .,, Mecenate lo aveva tirato dalla polvere -,  „ ed egli aveva già spiegato quel genio in-  „ comparabile, che faceva presagire un al-  „ tro Omero .... Virgilio fissò la irrisointez-  „ za dell’ lmpefadore con queste parole :,, Tutti quelli, che si sono finora impadrb-  „ nifi del Governo non visorio riusciti, fe  „ perchè f Perchè po.o giusti verso degli,, altri, han dovuto, incessantemente paren-,, tare le mani vendicatrici de 'malcontenti *  „ Voi al contrario, o Signore, che il Cielò  - - *1 • -   ( i) loc. cit.     „ ha fatto nascere giusto, e moderato, pas-  „ serete giorni avventurosi, facendo pro-,, vare ai Romani un impero amorevole .   Sembra però, che il Catrou in questo luo-  go siasi fatto sorprendere da quella Vita di  Virgilio, che viene attribuita a Donato  Grammatico, e dì cui si è fatto di sopra  menzione (i). Siccome però questo scritto,   (l) Il Succennato Autore della Vita di  V irgilio si spiega nel modo seguente . Postca-  quam Augustus summa rerum omnium poti -  tus est, venit in mcntem, an conduceret Ty-  rannidem omittere, et omnem potestatem an-  nuii Consulibus, et Senatui Rempublicam red-  dere . In qua.re diversae sententiae consu/tos  habuit Mae cenai eni, et A grippata . Agrippa  enim utile sibi fare, edam si honestum non  esset, relinquere Tyrannidem longa oratione  contendit, quod Maccenas dehortari magno-  pere conabatur . Q tiare Augusti animus et hinc  ferebatur, et illinc . Erant enim diversae scn-  tentiae, variis ratiombus firmatae . Rogavit  i gi tur Maro ne m, an conferat privato homi -  ni, se in sua Republica Tyrannu/n faccre .  Tum ille : Omnibus ferme, inquit, Rempu-  blicam aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis  futi, et Civibus ; quia necesse crat odia sub-  ditorum, aut eorum injustitiam, magna su-  spicione, magnoque timore vivere . . . Q uare  si jusCitiam, quod modo facis, omnibus in   K a    a sentimento di tuffigli Eruditi, è pie nò di  errori, e di favole, cosi non può fissare la  nostra attenzione su quanto narra di Ottavio  nel momento, in cui stava per decidersi sul-  la scelta o della Monarchia, o del ristabili-  mento della Republica .   Se sussistesse ciò, che ivi si legge, cioè >  che Vi rgilio determinasse il sudetto Ottavio  ad uniformarsi al sentimento di Mecenate,  non si sarebbe certamente omesso da tanti va-  lenti Biografi, « he hanno parlato diffusamen-  te, e di Virgilio, e di Ottavio ; e Dione se-  gnatamente, che ha trasmesso alla posterità  gli eloquenti, e giudiziosi ragionamenti di  Agrippa, c di Mecenate, e che inoltre af-  ferma positivamente, che Ottavio si attenne  al parere del secondo, sembra, che non  avrebbe occultata una notizia cosi interes-  sante, e rimarchevole.   11 De la Rue accenna appunto questa ragio-  ne per escludere la verità di quella circo-  stanza narrata dal sudetto Donato „ Se non  „ fosse un fatto del tutto assurdo ( dice egli ),, che Virgilio consigliasse Ottavio ad aderì-,, re al progetto di Mecenate, e che deter-,, minasse l’animo vacillante di quel Princi-   futurum, nulla hominum facta compositione,  distnbues ì dominar i te, et tibi conducet, et  orbi * . . Ejus sentcntiam sequutus Cattar Pria-  eipatum tenuit »    » pc, non si sarebbe narrato dal solo pseu-  i, do-Donato, ma sarebbe stato ai posteri  „ trasmesso dalla penna ancora di Storici  il rispettabilissimi (i).   V Ambrosi, che pensava come de la Rne,  nel premettere alla sua magnifica Edizione  dell'Opere del sudetto Virgilio la indicata Vi-  ta di Donato, cosi previene il Lettore infi-  ne della medesima e in cui visse •.  „ Imperciocché nveutre Sesto Pompeo, fi-,, gliò del gran Pounpeo, richiede il Patri-  „ monio paterno, sconvolge, e mette sos-  „ soprali mari d’Italia, e di Sitilia; men-  », tre Ottavio si vendica degli Uccisori di  „ Giulio Cesate ano Padre, si divellano  „ scene sanguinose nelle Campagne della  », Tessaglia; mentre il genio incostante, e,, e volubile di Marco Antonio, o deprezza  », Ottavio, corno successo re di Cesare, o,, acciecato dagli amori di Cleopatra, in-  „ dina a divenire un assoluto padrone del  „ Governo, il Popolo Romano no» potè tro-,, vare il. suo seampo » che gettandosi in brac-  • „ ciò alla schiavitù . Ma buon per noi, che   «, in cosi terrihile sconvolgimento di cose»  i, le redini del comando caddero nelle mani,, eli Ottavio Cesare Augusto, il quale eoa  », la sua sapienza, e con la sua sagacitàsep-     i5a   „ pe riordinare le membra scomposte dell’   „ immensa mole dell’ Impero, che non sa-  „ rebbero tornate sicuramente al suo luo-  » go, se dalla meote, dal senno, e dalla  „ abilità di un solo non fosse stato il Governo diretto (; ) . Fior. lib. 4 Cap. 3 . Populus Poma-  nus, Caesare, et Pompe\o trucidati, redas-  se in statum pristinac libertutis videbatur ;  et redierat, nìsi aut Pompcjus Liberos, aut  Cassar haeredem reliquisset ; vel quod utro-  qua perniciosius juit, si non collesa quoti -,tlam, mox acmulus Caesarianae potentiac,  fax, et turbo sequentis saeculi, superfuissec  Antonius . Quippe durn Scxtus paterna repe-  tit, trepidatum foto mari ; dum Octavius mor-  tevi patris ulciscitur, ite rum fuit mo venda  Thessalia ; dum Antonius, varius ingenio,  aut successorem Cassar i indignai ur Octavium,  aut amore Cleopatrae desciscit in Pegem j  nam aliter salvus esse non potuit, visi con-  fugisset ad servitutem . Gratulandum tamen  in tanta perturbatione est, quod potissimum f   ad Octavium Caesarern Augustum somma re-  rum rediit, qui snp lentia sua, acque soler -  tia, perculsum undique, et perturbatovi or-  dinavi Impcrii corpus,i quod ita haud d ti-  bie nunquam coire, et consentire potuisset,  nisi uni us Praesidis nutu, quasi anima, et  mente, regcretur, Il grande progetto della Monarchia unfc*  versale da Mecenate proposto, non era co-  nosciuto, che da esso, da Agrippa, e da  Ottavio . Siccome il silenzio è l'anima del-  le imprese delicate, cosi questo dovette esi-  gere da Agrippa un segreto inviolabile, do-  vendosi mettere in esecuzione con metodo,  con circospezione, lentamente, e senzacbe  i Romani potessero avvedersene, giusta le  istruzzioni dell’Antore del medesimo . Otta-  vio segni in tutte le parti li consigli di que-  sto savio Politico, e gli fu debitore della suar  gloria, e della felicità del suo Regno .   In fatti riformò subito il Senato.; ed es»  eludendo que’ Soggetti, la di cui presenza in  quel Corpo rispettabile, o non poteva reca-  ve alcun vantaggio, o cagionargli del male,  ve ne sostituì degli altri di sperimentata pru-  denza . Usò in questa riforma la precauzio-  ne di far vedere, che da esso era quello  in special maniera onorato, per non cade-    «54   re nella stessa disavventura, alla quale fn  sottoposto Giulio Cesare, il di. cui disprez-  zo ingiurioso per un Magistrato composto del-  le più illustri Famiglie di Roma, fu più ve-  ramente la cagione della sua morte funesta,  che l’interesse della publira libertà (i).   Aboli tutti li debiti dai Cittadini contratti  con lo Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti,  che la necessità del tempo aveva fatti pro-  mulgare nell’epoca del Triumvirato, Abbel-  lì Roma di grandiosi Monumenti, e diven-  ne ristoratore di un grande numero di Tem-  pli, li quali o le guerre passate avevano  rovinati, o per mancanza,di denaro, erano  stati negletti. ?,   Stabili, che la distribuzione gratuita del  grano, che, per costume antico j; soleva far-  si .al Popolo sopra li fondi, del publico Te-  soro, fosse più frequente, e che in ogni di-  stribuzione se ne dasse alle povere famiglie  una misura quadrupla di quella, che prima  era in usanza . Questi, ed altri regolamenti  salutari gli conciliarono una stima generale,  ed era, per dir cosi, idolatrato da tutti.   Allora Mecenate si avvide con la profon-  dità delle sue viste politiche, che il suo Pro-  getto era giunto alla maturità, e che il Se-  nato, Roma, e tutti gli Ordini dello Stato  erano già disposti a riconoscere l’impero di   ( 1 ) Echard loc. cit, ...... .    Diqitized by Google    un solo nella persona del sno Padrone ; per-  ciò concepì un secondo Progetto, per ulti-  mare il primo, che sembrava piuttosto stra-  vagante, e pericoloso, ma che doveva inse-  guito produrre tutto il suo effetto .   Consigliò pertanto ad Ottavio', che si pre.  sentasse in Senato, e con un discorso politi-  co, ed artificioso rinunciasse al comando  assoluto, che allora riteneva, rimettendolo  nelle mani de'snoi antichi Magistrati . Gli fe-  ce riflettere, che con questo mezzo non solo  non lo perderebbe, ma anzi avrebbe ottenu-  to, eh’ egli, il quale finallora era stato ar«  bimanamente Padrone del Mondo, per con-  senso di tutta la Nazione, sarebbe divenuto  Monarcha legittimo ; inoltre, che, median-  te le riforme già fatte e nel Senato, e nel-  le altre Magistrature, erasi procacciato una  quantità di Partegiani, che per le sue libe-  ralità, per la sua giustizia, e per lesile ma-  niere obbliganti era sommamente amato dal  Popolo ; che in conseguenza, allorquando  questo, ed il Senato avrebbero inteso pro-  nunciarsi da]la bocca del loro benefattore la  rinunzia alla direzione del Governo, o per  riconoscenza, o per rispetto, o per politi-  ca, o per non perdere le dolcezze della vita,  e del buon ordine, ch’esso aveva introdotto,  non solo non avrebbero accettato la propo-  sizione, ma lo avrebbero pregato a perpetnarsi in quell’impero, acni finallora aveva  preseduto .   Ottavio adunque penetrato, e persuaso  dalle ragioni, donde era stato dal suo Mini-  stro istruito, si presenta in Senato, e con  un’aria d’ingenuità, e di franchezza sorpren-  dente, in tal gnisa si fece a parlare : La   >, proposizione, che io vengo a farvi, Padri  t3 Coscritti, sarà da pochi approvata, e da  molti stimata incredibile . Soventi volte la  j, diffidenza, con cui sogliono riguardarsi le  ** persone costituite in dignità, fa rendere  sospette le medesime, anche quando par-  „ lano, ed agiscono sinceramente, Io mi  „ esporrei immancabilmente a questo peri-  n colo, se non fossi determinato di dare una  s pronta esecuzione a quanto sono per prò-  A porvi . Voi vedete, Padri Coscritti, a qual  » rango sublime mi hanno fatto giugnere la,, sorte delle armi, ed una condotta modera-  „ ta . Capo assoluto, ed indipendente della  „ Repnblica, io sono in istato di far uso del-  »» m i a potenza, e di perpetuarmela . Ap-,, pena uscito dalla fanciullezza, impugnai la  >1 spada, e volai a vendicare l assassimo di  „ un Zio, che mi aveva adottato per figlio,,, Nel momento, in cui entrai in questa car-  n riera, presi la giustizia per guida, e la,, vittoria divenne mia compagna . Fui co-  iì stretto a combattere con nemici di diver-,, so carattere, e di qualità differenti . Bi*,, sognò dissimulare con alcuni, ed aprire con  „ essi delie relazioni per non soccombere  j> sotto il peso della moltitudine . Mi con-  „ venne in seguito perseguitare gli altri ar-  dilaniente, e costringerli a rivolgere con-  „ tro essi stessi quel braccio, che era stato  „ funesto a Giulio mio Padre . Mi associai  „ alcuni compagni delle mie vittorie, e divi-  „ si con essi il peso del Governo . Che cosa  „ quindi ne accadde ? Lepido in Africa lasciò  decadere con la sua negligenza gli affari di  „ Roma ; Antonio, esposto nell' Egitto, e  „ nell’Asia, come su di un teatro, disonorò  „ con la sua turpe condotta il nome Romano,  j, e lo rese abbominevole a tutto l’Oriente .  „ Il Cielo secondò quello zelo, che esso stes-  „ so mi aveva trasfuso per riparare a tali di-  „ sordini v Antonio non esiste più, e Lepido,, vive nell’ozio giorni felici per un uomo  del suo carattere . Che cosa vi aspettate, Padri Coscritti,,, da un Vincitore, padrone del suo, e del  vostro destino? Tutte le Fazioni sono di-  „ strutte; ogni corpo di armata sulle Frontie*,, re è comandato da Geuerali, che godono tut-,, ta la mia confidenza . Li Re nostri Alleati,, non ricevo.no l’impulso, che da miei cenni,  „ ed i loro soccorsi non marciano, che agli  „ ordini miei. Il denaro proveniente dalle  „ nostre rendite non è versato, che nel mio  i} tesoro, e non ne va nelle publiche casse,    158   „ che quanto io ne permetto . Fiù . Io eono-  „ sco i vostri cuori, e quello del Popolo Ro-,, mano in generale . Io potrei rispondere del  „ vostro affetto verso di me, e riposarmi  „ sulla publica benevolenza . L’indipendenza  „ adunque, e la Sovranità possono andare  „ più oltre? Ma perchè tenervi più lunga-  „ mente sospesi ? Ascoltate con attenzione le  „ mie parole, ed il suono delle medesime  „ faccia passaggio alla più lontana posterità .,, Questo Vincitore, Sovrano assoluto,  „ questo Generale Supremo di tutte le forze  „ di Roma, questo linperadore adorato dal  „ popolo sagrifica al bene della Patria gli ono-  „ ri, di cui lo avete ricolmato, li titoli,,, che gli avete Conferiti, in fine tutto il frut-  „ to delle sue vittorie . In questo istesso  „ istante io vi restituisco li miei diritti sulle  „ Armate, sulle Leggi, sulle Finanze, sul  „ governo delle Provincie, in una parola sù  „ tutto ciò, che voi mi avete accordato, e  „ che la necessità delle circostanze mi haco-  „ stretto ad accettare. Che volete di più?   Ora si dica pure, che io non ho travaglia-  „ to, che per il mio ingrandimento, quando  „ mi esposi a tutti li pericoli delle battaglie .   ORoma, tu fosti sempre presente agl’oc-,, chi miei ! A Perugia, nelle Campagne di  „ Filippi, in Sicilia, nel Golfo di Ambracia,,, e nell’Egitto! A te sola io allora immolava  >, li tuoi, e li miei Nemici, e non fui prodi-    1S9   if go del mio sangue, che per assicurare la li-  „ berta Romana . Ah fos'se piaciuto ai Numi,   „ che io non avessi impiegato il mio Ministero  „ in guerre civili, che ci hanno esaurito di  „ Cittadini, e spopolato le Provincie . O mia  „ cara Patria, perchè non ti trovai tranquil-  „ la, conte al tempo de’ Padri nostri ! Cielo t  „ tu non me lo hai permesso ! Benché giova-  •„ netto mi scregliesti per essere il vendicato-  }> re del più perfido assassinio, il riparatore  „ degl’insulti recati alla Nazione Romàna, il  „ ristoratore della nostra gloria eclissata, e  „ finalmente il pacificatore di tutto il Mondo!,, La mia opera è compita > ed ho pienamente  „ sodisfatto ai miei destini .   „ Permettete > Padri Coscritti, che iomen  „ vada nella solitudine a bearmi di quella fe-  >, licità, che io stesso ho procarata . Ora non  „ posso, senza ingiustizia ritenere più lun-,, gamente un potere, che a voi appartiene ;,, e questa mia volontaria cessione è dovuta  „ alla mia propria sicurezza, per mettermi  „ al cotperto degli assassini . Che anzi non so-,, lo vi rendo le vostre leggi, e tutti li vostri  „ antichi privilegi, ma vi dono eziandio l’o-  „ pulento mio patrimonio, e le prerogative,  che io posseggo per diritto della mia nasci-  ta(i).    (i) Dion. lih. 53. Catroutom. 19 . » dotta, e nelle tue operazioni, nè mire am-  >» biziose, nè avarizia, nè verun’ altro di,, que vizj, che sogliono albergare ne Cor-  „ tigiani, e nelle Corti . (i)   Properzio scrivendo allo stesso Mecenate,  ci da à conoscere, che quel suo disinteresse  per gli onori sublimi, ai quali avrebbe potuto  pervenire, prodnceva un’ azione si gloriosa,  e commendevole, che il di lui nome sarebbe  dalla fama, e dai posteri celebrato al pari di  quello de’ Camilli . (a)   (1) Apnd Pontan. in Symb. Georg. Virgil.  lib. a. pag.aay.   Regis eros genus Etrusci, tu Caesaris olirà  D exter a, Romanac tu vigili] ibis eras .  Omnia curri posscs tanto tam carus amico,   T e sensit nemo posse nocere tamen .   ( 2 ) Lib. 3 . Eleg.7.   Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum,  Intra fortunam qui cupis esse t narri    Di più questo suo morigerato contegno, e  Mobile disinteresse serviva anche d’esempio  alle famiglie le più cospicue de’ Romani Cava-  lieri, e ne ebbe imitatori, ed ammiratori.  Crispo Sallustio, fri gli altri, nipote di una  soìclla dello Storico di questo nome, seguì  perfettamente il tenore di vita di Mecenate . „  „ Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo-,, rirono due illustri personaggi Lucio Volu-  „ sio, e Sallustio Crispo . * . . Questo, ni-  „ potè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai*  „ lustio elegantissimo Sri ttorc delle Storie Ro*,, mane > da cui fu associato alla sua Famiglia,,, aveva tutti li mezzi li più potenti per otte*  „ nere qualunque dignità ; tuttavia, emù*,, landò la condotta di Mecenate, senza il ti-  „ tolo di Senatore, Superò in potenza molte  „ famiglie,che erano state decorate delTrion-  „ fo, e Consolari » . » . Mentre visse Me-  tani libi romano dominas in honore sccures,   Et liceat medio ponere jura foro . >    Et tibi ad effectum vires dei Caesar, et omni  T empore tam faciles insinuentur opes ;  Parcis, et in tenues h umile m le collegi* um-  bras,   Velorum plerMs subtrahis ipse sinus .   Crede mihi magnos aequabunt ista Camillos  Jndicia, et veniet tu quoque in ora virum,    Ì76,) cenate, Crispo fu il secondo > cui venivano  „ affidati li segreti Imperiali ; fu il primd  i, però, quando quello cessò di vivere, (i)   Ciò non ostante Augusto procurava di com-  pensare questo commende’vole distacco dagli  onori luminosi del suo Favorito colli tratti del*  la più tenera amicizia, e della più sincera  confidenza . Imperciocché, allorquando il  peso, e la serie degli affari del Governo gli  lasciavano qnalche tregua, si portava sovente a  visitarlo anche nella maestosa Villa, che pos-  sedeva sulle fertili sponde dell’Aniene.  Quivi Ottaviosi compiaceva di rivedere l’a-  mico, di consultarlo, e di riceveie sempre  consigli, istruzzioni, e massime per ben g  vernare, e per ben governarsi ; che anzi vi  è chi crede, che il memorabile Congresso frà   (1 ) Tacit. Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni  concessere vita insignes Viri L. V olusius, et  Sallustius Crup us . . » . . Crispum equestri  crtum loco, C. Sallustius, rerum Romanarum  flore ntissimus auctor, sororis nepotem in no-  mea adscivit ; atque Me, quamquam prompto  ad capesse ndos honores adita, Maecenatem ae-  mulatus, sine dignitatc Senatoria multos  Triumphalium, Consulariumque potentia an-  teiit ...... Igitur incolumi M.   proximus, mox praecipuus, cui secreta Im-  peraiorum inniterentur .   (a^ Marquez Dis. sulla Vita di M.    *77   Ottavio, M., ed Agrippa, e le deli-  berazioni per rinunciare, od accettare la So-  vranità fossero tenute nella tranquilla solitu-  dine, e nel dilettevole silenzio di questa Vil-  la deliziosa . Ed in vero qual luogo più oppor-  tuno per trattare con riflessione, maturità, e  quiete un oggetto cosi grande, che aveva rela-  zione con gl’interessi dell’Universo ? ( 1 )   Di più ; se Ottavio era sottoposto a qualche  infermità, non già restava nella Corte, in  mezzo a suoi domestici, ed agli adulatori .  Esso non si trovava contento, e non sentiva  sollievo alle sue fisiche indisposizioni, che  nelle mura dell’abitazione, e fra le braccia Volpi Lat. Vet. lib.18.Cap.?. Cumvero  bis Augustus deliberaverit de su.mma Imperli  abdicando, et inpristinam restituenda Reipu-  blicae libertate, et in gravissima e deliberatiti—  nis consultationem Agrippam generum, et  Maecenatem amicissimum arbitros, et consilia-  rios assumpserit, quemadmodum in majoris mo-  menti rebus omnibus consueverat .... Agrip-  pa ad illum longissimatn prò abdicando ora -  tionem habuerit, prò retinendo ac optime in -  stituendo rerum regimine M., haec in  nostra Tiburti Villa M., ut potè in  serhoto à turbis, securoque odo, agitata fuis-  se, vehementer, ut suspicor, inclinat ani-  mus .    M     del suo M. Svetonio ci dice chia-  ramente, che quello in tempo delle sue malat-  tie riposava nella casa di Mecenate . Ma la  stima, la tenera amicizia, la fiducia, il ri-  spetto, che dimostrava Augusto verso Mece-  nate, non si limitavano soltanto a queste sem-  plici dimostrazioni, che possono chiamarsi  materiali, e passeggere; egli amava di esse-  re istruito incessantemente da quello nelle vie  difficoltose del Governo, e ne riceveva anco-  ra con tutta la rassegnazione li più umilianti  rimproveri, quando conosceva, che erano  diretti contro le sue passiotai t-   Fra le altre istruzioni benefiche, e saluta-  ri, che MècènAte aVevà suggerite ad Ottavio,  vi era quella, coti la quale gli veniva rac-  comandata la moderazione, perche aveva co-  nosciuto, che l’animo di questo inclinava al-  la severità, ed all’ira . A tale effetto pare,  che si facesse seguire da Mecenate in tutti li  suoi andamenti, ed in particolare maniera *  quando doveva sedere nel Tribunale, come  Giudice supremo .   Allora Mecenate esaminava le sue mosse  la sua voce, e li suoi delineamenti, e se ri-  marcava, che T lmperadore agiva con dol-    fi) In Octav. in Art. 77. Aeger autetìi, Augustus, in domo Maeccnatis cu.ba.bat »    *79   eezza, con giastizia, a sangue freddo, e non  si faceva sorprendere dal risentimento, che  porta con se la severità, lasciava, che ope-  rasse liberamente, e se ne compiaceva ; ma  se scorgeva, che nel Giudizio Voleva far nso  di nn rigore soverchio, eccessivo, e non  giusto, anche sul Tribunale»- in mezzo alla  moltitudine > che lo ascoltava > e dond’ era  circondato, lo redarguiva, lo faceva torna-  re in calma, egli faceva rammentare la sua  massima salutare,   GTIstorici tutti hanno avuta l’attenzione di  trasmettere alla posterità un esempio memora-  bile del dominio, che Mecenate aveva sullo  spirito di Augusto per farlo marciare con la  moderazione > e con la dolcezza al fianco in  ogni sua intrapresa . Sedeva egli una voltata  qualità di Giudice alla presenza di molti Accu-  sati, che attendevano la loro sentenza . Me-  cenate si avvide, che stava per pronunciare  contro quegl’ infelici la sentenza di morte .  Siccome conosceva» che era ingiusta, e la  folla del popolo non permetteva di avvicinarsi  al Tribunale, e nel luogo, sù di cui sedeva,  •crisse queste parole ardite nelle sue tavolet-  te incerate > e nello stesso tempo gettolle ad  Ottavio „ Sorgi, o carnefice, ed esci da que-  sto luogo „ Ottavio conobbe la mano di chi le  aveva scritte, si rammentò subito di ciò, che  forse per nn momento aveva dimenticato, si     i8o   levò dal T risanate, e dimandò assolati quegli  Accasati (i) .   Che Mecenate avesse un impero irresistibi-  fé suH’ahimo di Angusto, e particolarmente  ne’movirtie'rtti dell’ira, e della severità, lo  fece conoscere lo stésso Angusto, quando  quello aveva cessato di vivere, e di assister-  lo . Giulia sua Figlia aveva ricoperto di  scandalo la Corte con le sue dissolutezze .  Il Pad re sommamente rammaricato non poteva  rimediare n questo disordine domestico . Tr.v  sportato dall’impeto della collera, rilegò la  Figlia, e rese publica la di lei disonestà . Po-  co dopo rientrato in se stesso, si penti de’suoi  trasporti inconsiderati, e di questa publicità,  che disonorava la sua casa . Allora ricordan-  ti^) t>!on. lib. 55. pag. ^ 20 . Tarn vero si -  cubi ira impoteutius efferretur, utile m cura sibi  habuit, a quo ab ira ad mansuetiorem animum  reduceretur . Unus ejus rei documentarti prof e-*  ram . Praesetite aliquando M., Augu.  stus prò Tribunali stdens, cum multos esset  morte damnaiuras, praevidens hoc /ore M ac-  cenni, cum per circumstantium coronam ad  ipsum irrumperè, ac proximc assistere ne qui -  rct, haecvcrba in tabella scytpsit : Surge ve-  ro tandem, Carni fex ; vamque Tabellam, qua*  si atiud quid indicantem, in sinum Augusti  projecit, qua lecca, is statini suri exit, nomi *  ne morte mulctato .    i8l   dosi di Agrippa, e di M., e della sag-  gezza de’consigli, che da essi soleva ricevere  quotidianamente, esclamò replicate volte .  « Ah, che questo non mi sarebbe accaduto,  „ se o Mecenate, o Agrippa fossero stati  „ ancora al mio fianco fi ).   Dal contesto della Storia, che ha parlato di  Angusto, e di Mecenate, si rileva agevolmen-  te, come, dopoché quello si assise, e conso-  lidò sul Trono Imperiale, e fu messo in piena  esecuzione il sistema della Monarchia univer-  sale, questo si ritirasse affatto dalla grande  amministrazione degli affari politici . Finché  il suo amico lottava co’nemici, che si oppo-  nevano alla di lui grandezza futura, egli com-  pariva in mezzo alle imprese le più rilevanti,  e spinose, affrontava delle ambascerie mala-  gevoli, contribuiva a trattati di pace li pia  vantaggiosi, diveniva Prefetto, Amministra-  tore, ed Arbitro dell’ Italia, e di Roma ; quan-  do però quello non ebbe più nemici a combat-  tere, più rivali da distruggere, e restò cqn-   ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6. Cap. Di-  vus Augu, tus filiam intra pudicitiae male di-  ctum impudicam relegavi!, et flagiti* Pi ilici-  palis domus in publicum emisit . . . deinde cum  interposito tempore .... verccundia gemens,  quod non illa silcntio pressisset . ... Saepe ex -  clamavit ; Horum mihi nihil accidisset, ti ani  A grippa, autMaecenas vixistet    . 1 8a   vinto, e persuaso a gettare la base della sudet-  ta Monarchia universale, e che a tale effetto  gli fu presentato il Piano, furono fissati li  principj, e le più savie istruzzioni ; in una  parola, dopoché fu sistemato il nuovo Gover-  no politico, M., che aveva a tutto con-  tribuito, che aveva collocato il suo Amico, e  il suo Padrone sul Trono deirUniverso, e sul  rango il più eminente, a cui potesse giungere  un mortale, abbandonò, per dir cosi, le va-  nità del mondo, ritirandosi fra le dolcezze di  una vita privata, e tranquilla . Continuò a  prestare li suoi servigi all'Imperadore, ma  lungi dallo strepito della Corte ; consigliando-  lo sempre a farsi amare, e a fare amare il suo  Governo .   Dopo questo ritiro però. Mecenate non  già viveva nell’ozio, nell’oscurità, e nell’in-  dolenza . 11 genio del grand’Uomo non era ve-  nuto sulla terra per desistere, negli anni mi-  gliori della sua vita, dal far del bene ai suoi  simili, ed alla posterità . Coll’aver consiglia-  to Ottavio ad accettare l’Impe ro in quell’epoca,  e in quelle circostanze, aveva reso un gran-  de vantaggio all’ umanità, giacché con que-  sto mezzo aveva troncato la testa al mostro  spaventoso delle fazioni, sempre famelico di  sangue umano, e di stragi ; aveva ricondot-  to la sicurezza, e la concordia nelle famiglie,  la pace nella Capitale, nell’ Italia, e nelle  Provincie le più remote . Egli però voleva,    i83   e doveva fare di più; -una nazione già colta,  doveva migliorarla, un secolo già istruito do-  veva perfezionarlo . Protesse in grado emi-  nente, e fece proteggere da Augusto le ar-  ti, li letterati, e le scienze, e nacque su-  bito il secolo d’oeo del Fune, c delle altre .   Si ; dobbiamo pur confessarlo, e confessarlo  con tutta giustiziala posterità è debitrice all’a-  nima benetica di Mecenate di tutto ciò, che di  bello,riguardo alle arti, ed alle scienze risultò  in quel secolo avventuroso, che noi riguardia-  mo con ammirazione al presente, e che non  meno dovranno ammirare tutte le colte future  generazioni . Amando quello, e proteggendo,  facendo amare, e proteggere dal capo dal Go-  verno li talenti, fece si, che questi si svilup-  passero con energia, e prodigassero opere  capaci ad istruire, e migliorare lo spirito,  ma incapaci ad essere eguagliate .   Li Poeti migliori di quel serolo hanno cele-  brato questo favore, e questa protezione di  Mecenate, e ci hanno fatto conoscere al tem-  po stesso, che egli era un protettore pieno  di discernimento, illuminato, che non conce-  deva il suo affetto, che a soggetti veramente  colti, e di talenti forniti, e che fra quelli,  che esso accoglieva, e proteggeva, regnava una  concordia inalterabile „ Nella Casa di M. (dice Orazio) regna la purità, e la,, schiettezza ; vi sono banditi tutti que’disor-  „ dini, che sogliono eccitare l'invidia 4 la     1S4,, gelosia, e la falsa emul azione, ed ognuno  „ indistintamente occupa il suo posto, nè si  „ bada a chi sia più dotto, o più ricco (i) .   Mecenate riguardava negl’uomini il solo me.  rito . Ogni dotto veniva da esso con amorevo-  lezza accolto, qualunque fosse la di lui estra-  zione. Secondo li suoi prìncipj saggi, e fonda-  ti sulla natura, ognuno era nobile, quando  era virtuoso " Sebbene, o Mecenate, ( sog-  „ giunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre  „ dite, fra tutti quelli, che vennero dall’  „ Asia a popolare le Toscane Contrade, e  „ e sebbene un di li tuoi grandi Avi, co-  „ mandarono vaste Regioni, tuttavia sei  Horat.Sat. .M. quomodo tecum ?   Hinc repetit . Paucorum hominum, et mentis  bene sanae,   Nemo dexterius fortuna est usus . Haberes  Magnum adiutorem, posset qui ferrc secundas,  ffunc hominem velles si tradere ; dispeream ni,  Summosses omnes . Non isto vìvimus illic,   Quo tu rere modo i Domus hac nec purior ulla  est,   Nec magis hit aliena malis ; nilmi officit um~  quarti,   Ditior hic, aut est quia doctior ; est locus uni -  Cuique suits . Magnum narras, vix credibile ;  atqul   Siehabet .   „ tanto buono, e modesto, che non sai ego-  „ mentarti, ne aggrinzare il naso, come fan-  „ no li superbi, nella società di gente ignobile, quale, fra gli altri sono io, figlio di  „ nn padre libertino; Imperciocché taserbi  „ la massima degna di tutti gli elogj, che nul-  „ la nuoce ad nn individuo la bassezza de’ 03"  „ tali, quando egli sia virtuoso (i ) .   Ed in fatti, che cosa egli non fece a vantag-  gio di un istesso suo Liberto, chiamato Melis-  so, perchè lo conobbe fornito di talenti, ed  erudito? Era questi della Città di Spoleto, e  benché nascesse libero, tuttavia perla discor»*  dia de’ genitori, fu venduto, e sottoposto all’  altrui dominio ; Avendo avuto la sorte di es-  sere educato con ogni cura j ed attenzione,   Lib. i. Sat. 6.   Non, quia, Maecenat, Lydorum quidquid  Etruscos   Incoluit fines, nemo geaerosior est te ;   N ec, quod Avus tibi maternus fuit, atque pa »  ternus,   Olim qui magnis regionibus imperitarunt /   Ut plerique solent, naso suspendis adunco  Ignotos ; ut me libertino P atre natum.  Quum referrc negus, quali sit quisque parente  Natus, dura ingenuus : persuada hoc tibi vere,  Ante potestatcm Tulli, atque ignobile regnum,  Multos saepe viros, nullis majoribus ortas,   Et vixisse probo s, amplis et honoribus auctof,    jS6   fece grandi progressi nelle scienze, e fu data   in qualità di Grammatico a Mecenate, il quale  avendo subito conosciuto il merito letterario  del suo Liberto, raddolci talmente la sua si-  tuazione, che lo riguardava piuttosto, come  tin amico, che come un servo . Mecenate pe-  rò non permise, che lungo tempo continuasse  a portare un tal nome ; lo cancellò subito dal  ruolo de’servi, e lo fece tornare al possesso  della sua libertà naturale, col nome di Cajo  Melisso M.; quindi proseguendo a be-  neficarlo, e ad avvalorare li suoi talenti, gli  procacciò il favore, la grazia, e la prote-  zione dcH’istesso Sovrano, dal quale fu inca-  ricato di ordinare le Biblioteche esistenti nel  Portico di Ottavia (1 ),    (i) Sveton. de illust. Gram. Cap. ai. Co-,  jus Melissus, Spoltti uatus, ingenuus, sedob  discordiam Parentum expositus, cura et indu-  stria Educatoris sui altiora studia percepii, ac  Maecenati prò grammatico rnunere datus est .  Cui cum se gratum, et acceptum in modum Ami-  ci videret .... permansit in statu servitutis,  praeseritemquc conditionem vcrae origini ante—  posuit ; quare cito manumfssus, Augusto et  insinuatus est ; quo delegante, curam ordinan-  darum Eibliothccarurn in Octaviae porticu su -  scepit : Vedi Lil. Greg. Girai. Hist. Poet. dialog. Arduino in Indie. Anct. Plinii    187   La protezione pòi di Mecenate non era sol-  tanto di parole, e di raccomandazioni, non  era nna protezione sterile, ed infeconda .  Egli faceva parte ai Letterati delle sue ric-  chezze, e de’suoi beni . Il lodato Orazio te-  mendo, come già si è di sopra accennato, che  . il suo Mecenate potesse allontanarsi da Roma,  e andare con Ottavio nelja guerra contro Mar-  co Antonio, e Cleopatra, gli scrive una Ode  vaghissima, nella quale ci fa conoscere, che  egli era stato arricchito dalla generosità di  quello, e glieue mostra cop effusione di cuo*  re, e con tenero canto la sua ricouoscenza «  », Tu pure adunque, ( dice Orazio ) o mio ca-,, ro Mecenate, marcerai sulle navi Liburne,, nella guerra contro Marcantonio, disposto  „ a soggiacere a qualunque periglio di Cesa-  „ re ? Ed io intanto, che cosa farò ? Senza,, di te, le ore del viver mio saranno affanno*  „ se, e moleste. Dovrò forse assiso nel doi-  „ ce ozio, toccare le corde della mia cetra,  „ e tessere degl’inni ? Ma senza la tua preseti-  „ za, senza l’amabile tua compagnia, lamia  », cetra sarà dissonante, e la mia voce roca,  „ e spiacente .... Dovrò coraggiosamente se-,, g, u irti, o per le alpestri balze delle Alpi,  „ o sulle vette dell’inaccessibile Caucaso, od  „ anche fino alle ultime spiaggie dell’Occiden*   Art. Melissus . Catron  Tirabo*  schi Stor. della Lett. Itati. Tom. 1. pag. 298. .    V     » te? E vero, che essendo di debole tempe-  „ ramento la mia risolnzione non potrà recare  „ alcun sollievo alle tue fatiche; ma trovando-,, mi a tc vicino, saranno meno intensi li miei  f, timori, e meno penosa la mia angoscia ....  „ Io dunque affronterò non solo questa, ma.  „ qualunque altra militar spedizione, a solo  „ oggetto di compiacerti, e di mostrarti la mia  „ riconoscenza, e non già perchè divenga-  „ no più numerosi li miei aratri, perchè le,, mie agnelle prima della Canicola faccian  „ passaggio dai pascoli della Calabria alle te-  „ nere erbette della Lucania, o perchè giun-  f, ga a possedere sulle Colline deliziose del  „ Tuscolo una Villetta, la quale debba esten-  „ dersi fino alle muta della Città . Io, o mio  v Mecenate, null’altro desidero, e sono ap~  „ pieno contento della tua generosa munificen-  „ za, che già mi fece dovizioso abbastanza. Epod. i.   Ibis Liburnis inter alta navium,   Amice, propugnacula,   Paratus orane Cacsaris periculum  Subire, Maecenas, tuo .   Quid nos ? guibus te vita si superstite,   Jucunda ; si contra, gravi s ?   Vtrumne jussipersequemur otium  Non dulce, ni tecum simul ? et te vcl per A Ipium juga, Non solo in questo luogo ; ma soventi volte  Orazio ci avverte de’bene&cj, e delle ricchez-  ze, di cui era stato da Mecenate fornito “ Se  „ il crudo Verno ( ripete egli ) ricoprirà di  „ neve le campagne Albane, allora il tuoPoe-  „ ta scenderà sulla Marina ; quando poi co-  annoieranno a vedersi le prime rondini, ed  a sentirsi il soffio de’primi zeffiri, allora,  „ o dolce amico Mecenate, tornerò, purché,, lo permetterai, a rivederti . Tu mi face-  >, sti ricco, non già come l’ospite Cala-    Inhospitalem et Caucasufn,   Vd Occidenti s usque ad ultimimi sinum,   Forti sequemur pectore ?   Roget, tuum labore quidjuvem meo,   Imbellii, ac firmai parum ?   Comes minore sum futurus in meta,   Qui major aìscntes hab:et ;   è   Libenter hoc, et omne militabitur  Bellum in tuae spem gratiae :   Non ut juvencit illibata pluribut  Aratro nitahfur me a,   Pecusve Calabris ante iidus fervidum  Lucana mutet patcuis .   Nec ut tuperni Villa candens Tusculi  Circaea tangat moenia.   Satis, superque me òenignitas tua   Ditavit ......    t$0   }, brese, che suole apprestare allo stanco  „ viaggiatore frutta soltanto (i).   Che anzi era tale il di Ini zelo, ed im-  pegno nel beneficare i Letterati, che dopo di  averli arricchiti, sarebbe stato prodigo con  essi anche di beni maggiori, se li avessero  richiesti, e se ne avessero mostrato deside-  rio . Nell'opere dello stesso Orazio si rinvie-  ne il testimonio di una tal circostanza, e  quantunque il Poeta parlidi se stesso, tut-  tavia sembra doversi credere, che lo stesso  tenore serbasse con gli altri “ Sebbene le  „ api Calabresi ( soggiunge il Poeta ) non tra-  „ vaglino per mio uso, e vantaggio favi do-  „ rati ; sebbene nelle mie botti non invecchi,, il vino proveniente dalle Vigne della Cam-  „ pania, o i pingui pascolali della Gallia non  „ mi producano lane squisite, tuttavia, o  „ Mecenate, mercè la grandezza del tuo ani-  „ mo generoso, sta lungi dalla mia Casa la   molesta povertà ; e conosco, che più mi da-   ( i) Epist. 7. Lib. 1.   Quotisi bruma nives Albanis illinet agris ;   Ad mare descendet Vates tuus .. te 3 dulcis Amice, reviset   Ctim zephiris, si conccdes, et hiruntline prima :  Non quo more pyris vesci Calaber jubet hospes  ■Tu me fecisti locupletem »».»»••    /   I    J 9*   •„ resti, se fossi petulante a chiederti altri  „ beni ( x ) .   Lo stesso Virgilio nelle sne Georgiche, ope-  ra composta ad istanza di Mecenate, dà bene  a comprendere di quante cose egli era a que-  sto debitore, e che l’amore, e l’amicizia,  di cui l’onorava davano l’impulso alla sua men-  te, onde produrre idee sublimi “ O Mecena-  », te, ( dice Virgilio ) o tu i che sei il mio  i, decoro, che con Cagione posso chiamarti  « la massima parte della mia celebrità, deh  », vieni ad avvalorarmi, e meco trascorri l’in-  „ cominciato lavoro ; senza di te la mia men-  „ te non è capace di stendere un volo subli-  'me.(a)   Properzio quell’aureo, ed elegante scritta  re della tenera Elegia di sopra accennata, an-  ch’csso godeva la familiarità, e la protezio-  ne di Mecenate, anch’esso era stato benefica-  to^ veniva da questo mcoraggito ad impiegare,  ed esercitare li suoi poetici talenti “ O Me-   (i) Lib. 3. Od. 1 6 . Quamquam nec C alabrae mella f erutti ape*,   N ec Laestry gonia Bacchus inamphora   Languescit mihi, necpinguia Gallicis  Crcscunt veliera pascuis ;   Importuna tamen pauperies abest ;  jNec, siplura velini, tu dare dcneges .   (a) Georg. Jib.i. e lib.a. cit. -cenate, ( cosi pària il Poeta ) o tu, la-d!  t, cui stirpe deriva dal sangue dei Re Toscani,  i) perchè vuoi, che io m’ ingolfi nel vasto pe-  n Jago dell’eroica Poesia ? Le vele grandiose  it non sono adattate alla mia piccola navicella  Ma io appresi li precetti della vita  )s da te, e perciò sulTorme tne, e col tuo  }} esempio sono spinto a superarti» « . . Tu  t, generoso mio Protettore, prendi le redini  „ dell’ incominciata mia giovanile carrie-   ra . ( i )   Il Poeta Lucano, benché posteriore al seco-  lo, in ctii vissero Orazio, Virgilio * e Pro-  perzio, e benché non avesse partecipato delle  liberalità di Mecenate, tuttavia egli pure en-  comia altamente la protezione straordinaria,  di coi quello onorava li Poeti . “ Virgilio(dice  y> egli ) fu quel Poeta, che cantò fra li Po*    (i) Life. 3. Eleg, y.   M aecenas, eques Etrusco de sanguine R cguitl,  Intra fortunata qui cupis esse tuatn,   Quid me scribendi,tam vastum mittis in aequorl  Non surit opta mede grandia vela rati .    At tua, Maecenas, vitae pratcepta recepì,  Cogor et exemplis tc superare tuis .   Molli* tu coeptae f autor cape lorajuventae .    Pig itized by Google    n poli dell’ Atisonia le grand’ imprese del fi.  „ glio di Anchise, e che provocò con il poeti-  co stile romano il genio divino del vecchio  „ Omero . Ma quello sarebbe forse restato sepolto sotto le ombre di quelle selve, che fu*,, rono pur anco oggetto del suo canto ; la sua  „ Cetra avrebbe tramandato uno sterile suono,  ed esso stesso sarebbe sconosciuto alle Na-  „ «ioni, se Mecenate non lo avesse animato  con la sua tenera amicizia, e con le sue be-  „ neficenze . Ma questo non solo protesse, ed  „ onorò il Poeta di Mantova ; egli avvalorò  „ il genio di Vario a scuotere il palco teatrale  „ con il tragico coturno ; mostrò ai popoli  „ della Grecia, che ancora le corde delle Ce-  „ tre latine sapevano risuonaie dell’ augusto  „ nome di Giove, ed eccitò, produsse, ed  „ arricchì 1’ italica Lira del Poeta Venosino :  „ 0 Mecenate, o decoro, ed onore delPar-,, naso, degno della venerazione di tutte le  „ generazioni, e di tutti i cuori, sotto le ali,, benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta pa-,, ventò le miserie della cadente, e molesta,, vecchiezza . (1 )   CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8., e  seq.   Ijtse per Ausonias jEneia carmina genteis  Qui sonat, ingenti qui nomine pulsai olympum,  Maeoniumque senem Romano provocai ore }  Fersitan illius ncmoris latuisset in umbra,   N    I Questo favore prestato da Mecenate alle  lettere traeva la sua origine dall’esserne egli  stesso coltivatore . Che egli fosse colto, ed  istruito,e che producesse ancora delle Opere in  varj generi di Letteratura non mancano fonda-  menti per esserne persuasi . Orazio lo chiama  dotto nella lingua greca, e latina (1) . Seneca  ha lasciato scritto, che egli era fornito di un  ingegno grande, e robusto, che avrebbe dato  nn luminoso modello della Romana eloquenza,  se non l’avesse snervata con la soverchia nata*   ralezza. Quod canit, et sterili tantum cantasset avena,  Ignotus populis, si Maeccnate carcret .   Qui tàmen haud uni patefecit !im in a Vati,  Nec sua Virgilio permisit nomina soli,  Maecenas, tragico quatientem palpita gestu  Evexit Varium . Maecenas alta Thoantis  Eruit, et populis ostendit nomina Grajis.  Carmina Rornanis etiarn resonantia chordis,  Ausoniamque Chtlyn gradi is patefecit Horatl s  O decus, et toto merito venerabile aevo,   Pierii tutela chori ! quo praeside futi  Non umquam Vatés inopi timuere scnectae,   (O Lib.3.0d.8.   Docte sermo nes utriusque linguae.   ( 2) Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit  ( Maecenas ) magnum cxemplum Romanae elo-  quentiae datar us, nisi tllum enervasset foelici-*    *    Digitized by Google    Sappiamo ancora dal niedesimo autore, che  scrisse un Libro intitolato ilPrómcfeo,, Voglio narrarti ( dice Seneca ) ad detto di Me-  „ cenate, cioè „ L’Uomo, che è in supremo  „ grado, ed in una somma altezza di stato vive,, sempre in timori, ed in tempèste a guisa del  „ tempo, che tuona „ Se mi domandi in qnai  „ libro egli parlò in tal gnisa, ti rispondo,  „ che lo ha detto in quel libro intitolato da  esso Prometeo „ Di più secondo lo stesso  Seneca, scrisse altra opera avente per titolo  de culto suo »   11 Cenni afferma, che queste due opere fos-  sero scritte da Mecenate in versi, e che il  Prometeo era una Tragedia. Aggiunge inoltre,  che altra Tragedia intitolata Ottavia è pari-  menti à quello attribuita. (2)   tas : Epist.93. : Habuit enìm, M., ingenium et grande, et virile nisi illad ipse  discinxisset . Senec. Epist.i 9. ; Volo Ubi rej erre hoc  loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo at-  tonat summa,, Si quaeris, in quo libro dixerit,  in eo, qui Promethcus inscribitur .   (a) Cenni Vita di Mecenate pag. 126- : In  questo luogo l’autore si è dato caricò di trascri -  vere tutti li frammenti delle opere, delle qua-  li fu autore Mecenate, estracndoli da varj Bio-  grafi. Lo stesso ha fatto Lilio Gregorio Gt-   N a    I    I   delle altre in prosa, e segnatamente dei Trat-  tati concernenti materie di Storia naturale .  Imperciocché si rileva da Plinio, che quello  fuAutoredi un libro sulle differenti specie  delle pietre preziose . (i ) e da Prisciano, che  aveva scr tto una Storia in dialoghi intorno  agli Animali, citandosi da quello il dialogo  decimo . Di più, secondo Solinò scrisse anco-  ra una Storia delle imprese di Augusto . ( 2)   In fatti si può conoscere dalle Odi di Ora-  zio, che Mecenate aveva tutta la premura,  onde fossero celebratele geste gloriose del suo  Sovrano, che perciò venisse quel Poeta viva-  mente stimolato ad occuparsene, che questo  si scusasse, dicendo, che non conveniva alla  lirica Poesia di cantare oggetti gravi, e stre-  pitosi ; ed esortando lo stesso Mecenate a scri-   raldi nel Dialog.4. hist. poet. che possono con-  sultarsi . Lib.i. Hist. Nat. pag.49. cumNot.Har-  duini .   (2) Apud Harduin. in Indie. Auctor. lib.i»  Plin. Art.Maecenas : Maecenas eques romanus,  Augusto gratissimus, cujus res gestas lietcris  consignavit, ut ex Solino discimus cap. 12.  pag.gx. ejus Dialogorum lib.10. laudai Pri-  seianus lib.i .pag.61.: Vedi Catrou lib. 7. Tom.  19. nelle Note .    9 6   Oltre le snccennate opere in versi compose     *    vere la Storia, che tanto bramava « Cessa di,, stimolarmi, o Mecenate, ( scrive Orazio )  „ a cantare ron le deboli corde della mia Lira,,, oil lungo assedio di Numanzia, o il fiero,, Annibale, o il mar Siciliano rosseggiante di,, sangue Cartaginese, o l’ardita impresa de’  „ Giganti, li quali fecero tremare la fulgida  „ Regia del vecchio Saturno, debellati quindi  „ dal valore di Ercole, giacché tu stesso po-  „ trai, meglio di me, trasmettere alla poste-  „ rità con unaStoria le battaglie di Augusto,,, li trionfi, ed il numero dei Re dal medesi-  „ rao soggiogati . ( i )   Anche Servio è d’ avviso, che Mecenate  scrivesse la Storia di Angusto, appoggiando    ( i) Lib.a. Od. 13.   Nolis longa fcrae bella Numantiae  Nec dirum A anibaie m, nec Siculum mare  Poeno purpureum sanguine, mollibus  Aptari Cithar ae modis :   N eo saevos Lapithas   . . domitosque Hcrculea manu   Telluri s juvencs, unde periculum  Fulgens contremuit domus .   Saturni veteris ; tuque pedestribus  Dices historiis proeliaCaesaris  Maecenas melius, ductaque per vias  Regum colla minacium    i  „ Iettato, e molle del tutto riprova, e per  „ ischerzo imitando deride . Macrob. Satur. lib. a. pag. 1 58. : Idem  Augustus, qui Maecenatem suurn noverai esse  stilo remisso, molli, et dissoluto, taltm se  in epistolis, quas ad eum scribebat, et contro  casti gationem loquendi, quam aliis ille seri -  bendo servabat, in epistola ad Maecenatem  familiari plura in jocos effusa subtexuit : Vale,  inquit, mel gent rum, mclculc, ebur ex He -  truria, A da mas super nas, T iberinum marga—  ritum, Cylniorum smaragde, hyaspis figu-  lorum, berylle Porsennae : Vedi il Turnebio  Advers. Sveton. in Octav. Art. : Oenus elo~  quandi secutus est ( Augustus ) elegans, et tem-  perai uni, vitatis s catene iarum ineptiis, atque Tacito parlando dell’ottimo, e perfetto ge-  nere dell' eloquenza, e della forma del di-  scorso, insegna frà le altre cose, doversi sfug-  gire r impeto di Cajo Gracco, e li belletti di  Mecenate . (i) Quintiliano ancora riprova  nella di lui maniera di scrivere una certa tra-  sposizione di parole, che rendono il periodo  lussureggiante, oscuro, e vizioso . Se poi si dovesse dare ascolto al surrife-  rito Seneca, Mecenate sarebbe stato 1 * uo-  mo il piu immorale, e il più cattivo   inconcinnitate . . . pari fastidio sprevit, et  Cacozelos, et Antiquarios . Exagitabat non -  numquam in primis Maecenatem suum, cujus  p«X««, ut ait, cincinnos usquequaque per-  scquitur, et imitando per jocum, irridet .   (i) Tacit. Dialog. de Clar. Orat. cap. 26.  Ceterum si omisso opt imo ilio, et perfettissi-  mo genere cloquentiae, eligendo sit forma di -  tendi, malim hercule Caji Gracchi impetum  • . . quam Maecenatis ealamistros .   (a) Quintil. Instit. Orat.. : Quaedam vero tranigressiones, et lon -  gae sunt nimis ... et interim etiam composi-  tione vitiosae, quae in hoc ipsum petuiUur,  ut exultent, atque lasciviant, quales iUae  Maecenatis „ Sole, et Aurora rubent pluri-  ma : inter sacra movit aqua fraxinos . Ne exe-  quias quidem unus inter miserrimos viderem  meas „ quod inter hacc pessimum est, quia in  re tristi ludit composi ciò .  Scrittore frà quanti sono itati ammessi nella  Kepublica letteraria . Con qual fiele non si  scaglia contro di quello nella Lettera 1 15, ed  altrove ancora nelle sue opere il Maestro di  Nerone ? Parlando egli di Mecenate ora scrive :  » Tu vedrai adunque l’eloquenza di un Uomo  •> ubriaco inviluppata, errante, e piena di  „ lingue „ Ora attaccando anche li di lui co-  stumi soggiunge “ Quando tu leggerai li suoi  „ scritti, e le parole cosi viziosamente orna-  „ te, cosi negligentemente buttate, così po-  „ ste fuori dello stile di tutti, mostreremo,  „ che non meno li suoi costumi fossero nuovi,  „ depravati, p singolari Seneca Epist.iió.Edit. Lugd.i 5 p*. :  Quo modo M. vixerit, notius est, qitam  ut narrar i nunc debeat. Quomodo ambulavetit,  quarti delicatus fuerit, quam cupierit videri,  quam vitia sua latere nolut . Quid ergo ? Non  oratio ejus aequerite saluta est, quam ìpse di-  scine t us ? Non tam insignita illius verba sunt,  quam cultus, quam comitatus, quam domus,  quam uxor . Magni ingenii vir fucrat, si illud  egisset viarectiore, si non vitasset intelligi,  si non etiam in oratione difflueret . Videbis  itaque eloquentiam ebrii hominis involutam, et  crrantem, et licentiae plenam : Maecenas in  cultu suo .' Quid turpius ani ne, silvisque ripa  comantibus ? Vide ut alveum lyntribus arcet,vcr *  soque vado remittant hortos, .Ma Seneca era troppo invidioso della fama,  della riputazione, e delle doti brillanti di  Mecenate, il di cni splendore ancora traspi*  rava chiaro, e vivace nel secolo, nel quale  quello viveva, e come Ministro, e Consiglie*  rodi Nerone, conoscendo, che non aveva po-  tuto, ne’poteva eguagliare le sublimi virtù  politiche, di coi andava nobilmente fregiato  il Ministro, e Consiglierò di Augusto, ne di-  venne l’nnico, e il più maligno detrattore.  Ter prova di ciò invochiamo 1* autorità di tutti  li Biografi all* uno, e all’ altro contempora-  nei 4   Non ostante però tutto il male, che dice  ne’ suoi scritti, di Mecenate, Seneca sapeva  benissimo, che questo nel tempio della gloria   Non statim haec cum legeris, hoc Cibi occurret,  hunc esse, qui, solutis Cunicis, in Urbe sera-  per inccsserit ? Nani edam cum absentis  partibus Caesaris funger et ur, signum a di -  scindo petebatur .... Hunc esse qui Uxo-  rem millies duxit, cum unam habueritì Haec  verba tam improbe strucca, tam negligenter  abjecta, tam extra consuetudinem omnium po-  sila, ostendunt mores quoque non minus novos,  et pravos, et singulares fuissc . Quasi della  stesso tenore parla Seneca di Me cenate, ed in  questa, medesima lettera, e nella diecinovesi-  ma nella nonagesimaterza nella ceutoventi e  pc/Lib.x. cap.3. de Providentia.] occupa il posto di un grand’ uomo di Stato,  di un eccellente Ministro, di un Consiglierò  illuminato, e di un Favorito nou infetto dai  vizj abominevoli dell’ avarizia, e dell’ inte-  resse, H quali al contrario avevano ad esso  procacciato il possesso di più milioni, estrat-  ti con dure estorsioni dal sangue de’ sudditi  Romani . Sapeva inoltre, che quello aveva  meriti grandissimi, conforme fu costretto a  manifestare pubicamente, e in faccia allo stes-  so Nerone, allorquando, decaduto dal di lui  favore, aveva forse cessato di screditarlo,  Imperciocché sappiamo da Tacito, che do-  po la morte diJJurro, mori ancora, pèr dir  cosi, la potenza di Seneca . Allora si accreb-  bero a carico del medesimo le satire, e le mor*  morazioni furono universali per le immense  ricchezze, che aveva accumulate, e segnata-  mente per la grandiosità de’ snoi Giardini, che  eguagliavano quasi gl* istessi Giardini Impe-  riali . Seneca volendo dileguare, se fosse sta-  to possibile, dall’animo del suo Padrone .ogni  sinistra impressione, dimandò di essere ascol-  tato, lo che avendo ottenuto, recitò al suo  Sovrano un discorso artificioso, o pipttosto la  sua Apologia, nella quale fra }e altre cose,  ricordandosi di Augusto, di Meceuate, e di  Agrippa, e dei meriti politici di questi, disse  cosi : „ Il tuo antecessore A u 6 ust0 Cesare,,, permise a Marco Agrippa il ritiro di Mitile-  „ ne, e a Cajo Mecenate un ozio pellegrini)     204   „ nella stessa Capitale . 11 primo, come com-,, pagno d’armi di quel Monarca, ed il secon-,, do come quello, che seppe disimpegnarsi  „ da molti incarichi laboriosi anche in Roma,  „ ricevettero dal loro Sovrano ampie ricom-  3, pense in vista de’ meriti grandi, di cui era-  „ no forniti, (i)   Si attribuisce ancora al nostro Mecenate  1 ’ invenzione di scrivere in abbreviatura. Dio-  ne (a) afferma, che egli trovasse alcune note   \  Tacit. Annal. llb. 1 4 . art. 5a., et 53. :  Mors Burrhi infregit Senecae potentiam ....  variis cr i mi nat io 1 libili Senecam adoriuntur :  tamquam ingentes, et privatum supra modum  evectas opes adhuc augeret .... hortorum  quoque amoenitate, et villarum magni ficent la,  quasi Principem super greder et ur . . . At Se-  neca criminantium non ignarus . . . tempus  sermoni orat : et accepto, ita incipit . . .  Atavus tuus Augustus Marco Agrippae Mi-  tylenense seeretum, Caio Maecenati in ipsa  Urbe velut peregrinum otium permisit ; quorum,  alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~  boribus jactatus, ampia quidem, sedpro in-  gentibus meritis, proemia acceperant .   fa) . : Primusque M. ad celeritatem scribendi notas quasdam  literarum exeogitavit, quam rem, Aquilae  Liberti ministerio, multos doaj.it .    *o5   per scrivere con celerità, e che insegnasse  questo metodo a molti per mezzo di Aquila suo  Liberto. 11 Catrou (i) è di sentimento, che  tali note costituissero un Trattato per poter  scrivere abbreviando le parole . In fatti è in-  dubitato, che la maniera per scrivere con  prontezza, e sollecitamente è quella, che  istruisce a scrivere col soccorso delle abbre-  viature, e siccome nel caso, di cui si parla,  Dione dice, che Mecenate prirnus cxcogitavit,  così pare non possa mettersi in questione, che  prima di questo un tal metodo di scrivere era  affatto sconosciuto, e che egli ne fosse il primo  inventore .   Isidoro di Sicilia dice (a) che il poeta En-  nio fosse 1’ autore di mille e cento note per  scrivere ; che il primo, il quale in Roma fa-  cesse un commento di queste note, fosse Tiro-  ne Liberto di Marco Tullio Cicerone ; che  dopo di questo Persannio, Filargio, ed Aqui-  la Liberto di Mecenate ne inventassero delle  altre, e che Seneca finalmente ne ordinasse un  numero di cinquemila .   Riguardo però ad Aquila Liberto di Mece-  nate non sembra giusta l’asserzione delEaccen-  nato Isidoro, attribuendogli E invenzione di  alcune note per scrivere, giacché abbiamo  rimarcato da Dione, che il sudetto Liberto di   Lih.i.orig. cap.aj.'      l    ioó   M. non ne fu inventore, ma che fu il  propagatore del ritrovato, e dell* opera del  suo Padrone, e che esso stesso, istruito da  questo, ne istruisse degli altri .   Dallo stesso Dione sappiamo (i) ancora,  che Mecenate recò ai Romani un altro rimar-  chevole vantaggio, qnale Fu quello dei Bagni  delle acque calde . Dal che si ravvisa, che  questo specifico salutare, ed alla umana salu-  te profittevole, non era in Usanza in Roma  prima dell’ epOcà di Mecenate ; cosicché que-  sto, il qnale, secondo le osservazioni già fat*  te, era intelligente della Storia naturale,  avendone in prattica sperimentato gli effetti  benefici, ne introdusse fra li Romani l’uso, e  l’esercizio . ( a)   Mentre Mecenate passava nel ritiro le ore   ( 1) fjOC.eit . Idem primus ( Maecenas ) Ro-  maeN atatorium aquis calidis refertuminstitu.it .  P linio attribuisce a Mecenate V intro-  duzione nelle mense de’ figli lattanti dell'Asi-  na, li quali in quell epoca erano preferiti alli  Onagri, o Asini selvatici . Aggiunge inoltre,  che il gusto per questa sorte di pietanze svanì  con la sua morte . Ecco il testo di Plinio lib.8.  cap.46. ‘ dd mutar um maxime partus, aurium  referre in his et palpebrar umpilos ajunt: Pullos earum epulari Maecenas insti-  tu.it, multum eo tempore praelatos Onagris .  Post eum intcriit authoritas saporis .  della snà vita m comporre delle opere io  prosa, ed in versi, in presentare ai Romani,  ed alla società delle tifili invenzioni > in pro-  teggere, animare, e arricchì re li Letterati,  ed in promuovere il progresso della Letteratu-  ra; Augusto, che in tutti li suoi bisogni non  mancava di consultarlo > gli diresse una let*  tera .   Dal contesto di questa si rileva, che quello  era lontano da Roma, e c he se ne stava fra le  delizie della sua Villa Tihurtina con la dolce  comitiva dé’ Dotti, e fra il soave concento del-  ie Cetre de’ m gliori Poeti . Augusto aveva  bisogno di un Segretario, e per mezzo di  quella lettera richiese il Poeta Orazio, che  stava presso di Mecenate. “Prima poteva da me   stesso ( dice Angusto ) scrivere delle lette-  „ re ai miei amici,ma ora.o mio Mecenate, che,, sono occupatissimo, ed infermo, bramo,  „ che mi mandi il nostro Orazio . Io sò qnan-  M to vive contento presso di te, ma spero,,, che lasceràlesue mense squisite, e verrà  „ nella mia Regia per ajutarmi in qualità di  » Segretario.fi)   (i) Sveton. in Vit. Horat. : Ante ipse suffi-  ciebam scribendis epistolis amicorum ; nunc  occupatissima s, et infirmus, Horatiam no-  strum te cupio adduccre . Vcniet igitur ab  ista parasitica mensa ad hanc Regiam, et aos  in epistolis scribendis adjuvabit.    Non sappiamo con sicurezza, sé le brame di  Angusto in ciò venissero appagate . Mecenate  non avrà mancato di rappresentare ad Orazio  il grande onore, che gli si voleva compartire  con quell’impiego luminoso, ma il Poeta, che  amava la calma, che per lo più, lungi dallo  strepito della Capitale, e della Corte ^ desi»  derava di ragionare con le Muse, o presso le  onde sussurranti del fonticello di Blandnsia,  o sotto le ombre taciturne del boschetto di Ti-  burno, avrà mostrato tutta la renitenza di ac-  cettare un tanto onore, e per disimpegnarsi  dalle richieste del suo Sovrano.   Sebbene adunque Mecenate si fosse ritirato  spontaneamente dai grandi affari della Corte,  tuttavia Augusto continuava a rispettarlo, e a  deferire in tutto, e per tutto alli suoi consi-  gli . Ma questo rispetto, questa amicizia,  questa fiducia, questa uniformità di pensieri  fu sempre eguale fra l’uno, e l’altro ?   Se dobbiamo seguire 1’ autorità di Dione  sembra esserci stata un’epoca di tempo, nella  quale un adultero amore sconcertasse quella  bella armonìa, che per tanti anni era stata fra  di essi inalterabile . Terenzia moglie di M. era una donna arricchita dalla natura   (i) Sveton. loc. cit. Vixit plurimum in se -  eessururis sui Sabini, aut Tiburtini, do musane ejus ostenditur circa Tiburniluculum : V e-  di il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio «    a9   tìi tatti li vetti, e di tutte le grazie seducen-  ti, che sogliono distinguere il bel sesso .   Si suppone, che Augusto, il quale aveya  occasione di vederla sovente, come sovente  soleva vedere il marito, ne divenisse amante,  e che Terenzia non fosse insensibile alli di lui  teneri sentimenti . Si suppone inoltre, che la  fiamma di quello si rendesse cosi vivace, che  Roma ne mormorava ; che per involarsi dalle  mormorazioni, e dai rimproveri de’ Romani,  se ne andasse nelle Gallie, portando con se  la detta Terenzia . Soggiunge Dione, che da  questi amori nascesse il motivo di quella fred-  dezza, che si ravvisò per qualche tempo tra  Mecenate, ed il suo Sovrano, e che per lo  stesso motivo non fosse quello lasciato da que-  sto Prefetto di Roma, quando intraprese il  sudetto viaggio .   Sentiamo^ come parla lo Storico .,, Vedendo  „ Augusto, che la sua lunga permanenza nel-  „ la Capitale riusciva a molti molesta ; che se,, puniva alcuni colpevoli ; si sarebbe fatti  „ altrettanti nemici ; che se doveva passare,, sotto silenzio i loro delitti, sarebbe stato  „ costretto ad offendere esso stesso la nuova  i. Costituzione, e a ledere l’osservanza delle  „ sue leggi, stabili, ad esempio di Solone,  „ di andare lungi dalla patria . Vi furono pe-  „ io alcuni, li quali sospettavano, che egli,, si portasse nelle Gallie, a cagione di Te-  „ renzia, moglie di Mecenate, affinchè, stan-  ti    310   „ ti le voci diverse, che si divulgavano pe*  „ Roma, de’ loro amori, potesse in questo  „ viaggio vivere con essa lontano da ogni ru«  „ more . ; ; . . Lasciò in qualità di Prefetto,, di Roma, e dell’ Italia Statilio Tauro,  „ giacché Agrippa era stato inviato nella  „ Siria, e Mecenate era già con esso in qual*,, che disgusto per motivo della sua mo-  » glié (0 •   Ad onta però dell’autorità di qnesto Scrit-  tore non pare abbastanza provato il fatto, di  cui si parla, e che narra riguardo agli amo-  ri di Terenzia, ed Angusto ; al viaggio nelle  Gallie a tale effetto intrapreso; ed ai disgu-  sti di quello con Mecenate . Imperciocché  Dion. lib. 54. pag. 697. Cu/n enim diu-  turna ejus in Urbe commoratio molesta multis  esset, ac multos, qui contra leges deliquis-  sent plectens offender et, multis parcens,  eogeretur suas ipse leges praevaricari, pere «  gre abire, Sblonis exemplo -, statuii . Fuerunt  qui, propter Terentiam Moecenatis Uxorem,  eurn discedere suspicarentur, ut quoniam mul-  ti Homae de ipsorum amore sermones per vul-  gus darentur, in peregrinatione sua citra om -  nem rumorem ejus rei cùm ea vivete posset . . ...  Deinde Urbis, et Italiae gubernatione Tauro  injuncta, nam statim Agrippam. in Syriam  mite rat ; e rat autem ei Maecenas propter Uxo *  rem minus j am gratus .  Dione non parla di questi pretesi amori, co-  me di un fatto sicuro . Asserisce semplicemen-  te, che alcuni sospettavano, che correvano  per Roma delle Voci diverse ; ma questi sospet-  ti, e queste voci non valgono ragionevolmen-  te a costituire una prova tale, che non possa,  nè debba credersi altrimenti ; tanto più, che   10 stesso Diohe, premette il motivo positivo,  per cui Augusto volle allontanarsi da Roma.   D'altronde Svetonio, Tacito, Vellejo, ed  altri antichi Biografi di vaglia, hanno parla-  to, e scritto chi più, e chi meno della vita  publica, e privata di Augusto, e niuno ha ri-  ferito, e neppure accennato li pretesi di lui  amori con la moglie di M. É vero, che   11 detto Svetonio non omise di narrare, che  quello non fu esente da’vizj, e che fra questi  non esclude l’adulterio, ma non ha mancato  di aggiungere, e di prevenire la posterità,  che questi Vizj deturparono soltanto i giorni  della sua prima giovinezza, e che se commise  degli adulterj, non già cadeva in questo di-  sordine per libidine, ma per discoprire, per  mezzo delle mogli altrui, l’animo, e li segreti  de’ suoi nemici, „ La sua giovinezza ( scrive  „ Svetonio di Augusto ) fu sottoposta all’im-  „ famia di vari difetti .... Gli stessi suoi,, amici non negano, che fosse dedito agli,, adulterj ; ma in ciò lo scusano, dicendo,  „ che questa sua condotta non era l’effetto di  „ una passione disordinata, e libidinosa, ma   O 2    aia,, che lo faceva per discoprire più facilmente  „ l'animo de'snoi nemici per mezzo delle loro  i, mogli fi).   Ora se Angusto commetteva degli adulterj,  non già per libidine, ma quasi direi, per po-  litica, e per quel punto di politica, che nel-  le testé riferite espressioni si è rimarcato, ciò  non poteva aver luogo con Terenzia moglie  di Mecenate,, sulla sperimentata fedeltà del  quale non poteva quello, nè giammai aveva  potuto sospettarle i Inoltre Svetonio riferisce,  che l’epoca di alcuni vizj del medesimo Augu-  sto fu la prima sua gioventù, inconseguen-  za resta escluso quel tempo, in cui si suppone  l’amorosa passione con Terenzia, ritrovan-  dosi egli allora in età di circa anni quaranta-  cinque fa) . Meno prova ancora, che partendo perle  Callie, non lasciasse Prefetto di Roma Mece-  nate, perchè era con esso irritato a motivo  degli amori 6 udctti . Imperciocché si è di già  osservato, che questo, elfettuato il novello  Sistema politico della Monarchia universale *   ( i ) In Octav. Art. 68 . e seg. Prima \uven-  ta variar um dedecorum in/amiam subiit, > . «  adulterio guide in exer.cuisse, ne amici guiderà  negant ; excusuntes sane, non libidine, sed  ratione eommissa, guo facilius consilia adver-  sariorum per vujusque mulieres cxquircret .   (3) Dion. loc. cit.    Digitized by Google    n3   si ritirò dalla Corte, e da’grandi affari, nè  curò impiego veruno . Si è osservato altresì,  che nella nuova Costituzione dal medesimo mo-  dellata si era parlato del rimarchevole im-  piego di Prefetto di Roma, e si era stabilito  per massima, che questo doveva essere di più  lunga durata, e che dovesse addossarsi a per-  sone di specchiata probità, e consolari . Come  dunque può recar meraviglia, se Augusto al-  lontanandosi da Roma, per andare nelle Gal-  lie, non nominasse Prefetto di Roma Mece*«  nate ? A llora quasi tutte le leggi della succen-  nata novella Costituzione erano in una piena  osservanza .   Di più l’assertiva di Dione sù tal punto sto-  rico, sembra, che venga del tutto smenti-  ta da Cornelio Tacito, il quale a chia-  re note dichiara, Ghe Augusto per tutto il  tempo dei torbidi, e delle guerre civili, la-  sciò sempre Prefetto di Roma, e dell'Italia  M., e che dopo di essersi sollevato alla  Sovranità impiegò soltanto personeConsolari a  coprire questa carica,, Del restai dice Taci-  „ to ) Augusto, in tempo delle Civili discor*,, die, nominò alla Prefettura di Roma, e  „ dell’Italia CajoCilnio Mecenate dell'Ordinò  „ de’Cavalieri . Divenuto però Sovrano asso-, x luto, addossò questo impiego a Soggetti Con-  „ solari .... Il primo, che venne rivesti-  „ tedi questo potere, fu Messala Corvino . *    ài4,, . . il secondo S'tatilio Tauro  quindi  „ fu eletto Pisone (O*   Dopo ciò, che cosa può addursi di più con-  vinceute per conoscere, che se Augusto, par-  tendo per le Gallie,non lasciò Mecenate Prefet.  todi Roma, fu per tntt'altra cagione di quella  immaginata da Dione ? In quell’epoca per leg-  ge, e principio fondamentale della Costituzio-  ne, dovevano rivestirsi di tal carica persone  Consolari ; Mecenate era semplice Cavaliere  Romano ; non poteva dunque esercitarla, sen-  za ledere l’ordine, e l’integrità della Costitu-  zione medesima ; e siccome esso stesso era sta*  to Fautore della Legge, cosi quantunque Au-  gusto lo avesse voluto decorare della Prefet-  tura anche in tali circostanze, T averehbe  francamente ricusata, come incapace di met-  tersi in contradizione co’suoi principi, Co-  munque sia però, ed ammessa ancora laveria  tàdel racconto di Dione, li pretesi dissapori  fra Mecenate ed Augusto dovettero essere Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum Au,gu~  stus bellis civilibus Cilnium Maecenatcm eque-  stri s Ordinis, cunctis apud Romani, atque Ita-  liani praeposuit . Mox rerum potitus, ob ma-  gnitudinem Populi, ac tarda legum auxilia,  sumpsit e Coruularibus, qui coerceret servi-  ti a .... primusque Messala Corvinus eam  potestatem .... accepit .... Tum Tau -  rus Statili us . . . Dein Pis »* 1 et   di poco momento, e passeggeri, sapendo da  Plutarco, che quello nel giorno suo natalizio  offriva sempre in dono a questo una Tazza .,, Cesare Augusto ( dice Plutarco ) riceveva  „ ogn’anno da Mecenate in dono una Tazza nel  „ giorno suo natalizio.   Ma finalmente Mecenate dopo aver veduto  p ratticamente, che le sue fatiche, le sue ve»  glie, li suoi lumi, e la sua politica avevano  formata la felicità, di Koma, e dello Stato ;  che il suo Padrone, o piuttosto il suo Amico  era divenuto il più giusto, ed il piu potente de’  Monarchi; che le sue liberalità, ed il suo zelo,e  la protezione accordata alle lettere, ed ai Let-  terati avevano dato un favorevole impulso al  progresso dello spirito umano, del genio della  letteratura, e del buon gnsto, Mecenate, dissi,  doveva anch’egli offrire l’ordinario, e indi-  spensabile tributo alla natura.   Se è vero, se è possibile ciò che Plinio il  Naturalista suppone, negli nliimi tre anni del-  la sua vita, fu quello sottoposto ad una ma-  lattia di tal carattere, che il sonno non chiu-  se mai le sue luci per tutto quel non breve  spazio di tempo ; che ad onta de’mezzi li più  efficaci, e potenti, che furono messi in opera   - ( i ) Apopht. Princ. et Reg. Apopht. nltinj.  Cattar qui primus Augustus ett cognomina j*>  tus .... a Maecenate, cum quo vitam agebat,  yuotannit in natalieiit dono acoipiebat pateram .    I    ài6   per giovargli, fosse costretto a vegliar sem-  pre, ed a soffrire più sensibilmente li no)osi  effetti di una febre continua, dalla quale,  secondo lo stesso Autore, sembra, che fosse  attaccato ('i) . '   Per l’esame di questo fatto da Plinio riferi-  to, abbiam creduto di riunire alcune riflessio-  ni in una breve Discussione uell’Appendice  dell’Opera, alla quale rimettiamo il Lettore .  Intanto, proseguendo la nostra narrazione,  possiamo asserire, che Mecenate neH’nltimo  periodo della sua vita fu sottoposto a delle fi-  siche indisposizioni, delle quali si doleva con  li amici più cari, e segnatamente eoa Orazio .  Questo Poeta riconoscente, e sensibile si ta-  pinava all’eccesso della peno6y» situazione del  suo amico, del suo benefattore, del suo tut-  to, e procurava di consolarlo con l’espressio-  ni della più tenera amicizia, animato dal dol-  ce, e mellifluo suono della sua Lira „ O Mece-  „ nate ( gli scriveva Orazio ) o mio sublime  „ ornamento, e sostegno delle mie sostanze,  „ perchè mi rattristi con le tue querele ? Non  >, piace nè a me, nè agli Dei t che prima  „ della mia debba distruggersi la tua esi-  „ stenza . Ah! se la Parca crudele sarà più,, sollecita a troncare lo stame della tua vita,  „ che è porzione della U)ia, come io potrò  y, restare superstite ? Si > o mio caro M., benché tn volessi precedermi, pure  „ insieme entreremo nel cammino dell*éterni-«  „ tà; nè mai potranno distaccarmi dal tuo,, fianco nè le vampe dell'ignivoma Chimera,  », nè le cento braccia del mostruoso Gigante»,, se tornasse sulla terra . È scritto già nel  », libro de’destini, che io, il quale vissi eoa  „ te, debba con te trapassare egualmente, c  i, che un istesso giorno debba segnare il ter-  », mine della vita di ambedue . i .   Avvicinandosi l’ultima ora della sua mortale  carriera. Mecenate fece il suo testamento, e  volendo mostrare al Publico, ed alla posterir   ( i ) Od. 17. Lib. a. • ’   Cur me querelis exanimas tuis ?   Nec Dis amicum est t noe mihi, te priut   Obire, Maecenas, mearum   Grande decus, columenque rerum .   Ah ! te meae sipartem anitnae rapii  Maturior vis, quid moror altera,   Nee carus aeque, nec superstes  Integer ? Ille dies utramque  Ducet ruinam .  k . \   Utcumque praecedes, supremum -   Carpere iter comites parati .   Me nec Chimaerae spiritile igneae,   Nec si resurgat centimanusGyas  • Divellet unquam : sic potenti   Justitiae, placitumque Parcis,    r    • tg   là, .che tra esso > ed Angusto / vi era passata  un'amicizia sempre eguale, e costante, o che  se in qualche occasione venne alterata, non  .ebbe una tale alterazione, che una durata pià  piomentanea di una elettrica scintilla, lo Ì6tir  lui Erede de’suoi beni con il peso spontaneo  ài alcuni Legati agl’altri suoi Amici, e Lette-  ralir^.i _>, Siccome poi il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q  lo aveva cousolato, ed assistito ne'giorni del-  la sua infermità, cosi a questo volle consagra-  xe, per dir cosi, Teatreme sue voci, e dare  l’ultimo pegno della sua beneficenza, raccom-  mandandolo in maniera speciale al suo Monarca,, Ti raccommando, o Cesare, Orazio Flacco, come un’altro me stesso (a) .   ( i) Dion. Lib. $5. Haec in causa fuere cur  vehementem lituani M aecenatis mors Augusto  afferret,quo ea e(iam accessit, quoti Maecenas ....  haeredem eum nuncupavit, ac praeter mitiima  quaedam, in e)us pot estate reliquie, si velie!  Amicis suis quaedam. dare ._   (a) Svet, in Vif. Ilorat. Maecenas quanto-  per è eum. ( Horatium ) flilexerit, satis testa-  tur ilio Epigrammate :   Ni te visceri.bus meis, Horati,    Plus \am diligo, tu tuum Soclalem  N inaio videas strigosiorem,   Sed multo magie extremis judiciis, tali ad Au-  gustum elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto  raemor .  l    Mori in età di sessantanni, conforme ac-  cennammo ancora nel Libro i., cinque anni  prima dell’Era volgare, ventitré dopo la bat-  taglia di Azio, epoca, in cui Dione stabilisce  il principio dell’Impero Romano, e nell’anno  746. della Fondazione di Roma ( i) .   Egli morì senza successori. Risulta ciò chia-  ramente, e dal testamento di sopra accenna-  to, e dall’ uniforme testimonianza di tutti li  Biografi, che hanno di esso parlato. È sebbe-  ne ne’ tempi alla sua morte posteriori abbiano  vissuto altri Soggetti aventi il nome diMecena-  te, tuttavia non può dirsi . nè costa, che  fossero discendenti di quello, e che avessero  col medesimo relazione alcuna di parentela.   Si trova sotto l’Impero di Vespasiano un  Publio Mecenate Olimpico, di cui si conosce il  solo nome, inciso in una base grande, e qua-  drata disotterrata nell’ anno 1417. in Roma  presso l’Arco di SettimioSevero ; (a) parimen-  te si conosce il solo nome di un Mecenate  Elio ( 3) . Nel Regno dell’Imperatore Gordia-  no il giovane si vede figurare in Roma un per*   : b   (0 Dion. Lib. 55,   (a ) Meibom. loc. cit. : Sub Vespasiano vi-  xit P ublius Maecenas Olimpicus ; ejus memo—  ria super est Romae in basi marmorea grandi,  et quadrata An. 1417. ad Arcum Septimii Se-  veri effossa, v   Gruter. Tom. I.par.a. pag. 614. t     920   sonaggio ragguardevole chiamalo Mecenate,  conforme rilevasi da Giulio Capitolino ( O, e  da Erodiano ('a) ; ma T origine di questo è  involta nelle tenebre istesse, in cui trovansi  e l’Olimpico, e l’Elio, e non può neppure  congetturarsi, che avesse un qualche rappor-  to col nostro Cajo Cilnio Mecenate,.   J/annunzio funesto della di lui morte fu un   ;l . i -    Curtia.j.L. Prapis  Cui pars dimidiahujus /   Moni menti concessa est ab     Ma le sue virtù rifulsero con luce brillante,  allora appunto, quando Ottavio divenne asso-  luto Monarca dell’ Universo . Che coija non  poteva pretendere, che cosa non doveva spe-  rare, quali posti luminosi -, quali onori, qua-  li distinzioni ? Eppure quello, che in tutte le  sue operazioni aveva per oggetto soltanto il  benèssere della Patria, e la felicità de 5 suoi  simili, nulla volle per sa > nullà curò, e  quésto nobile disinteresse, r3ro nella Storia  de’ secoli, lo accompagnò fino alla Tomba .  Amò le Lettere, che coltivò esso stesso, pro-  tesse, animò li talenti, e fù prodigo delle  sue liberalità colli Dotti ; Affinchè poi le  scienze salissero a qual grado supremo, in cui  si viddero al tempo di Augusto, fece si, che  questo secondasse il suo Genio • Angusto lo  secondò in fatti con tutto il calore, e con zelo,  ed iVirgilj,iProperzj,gliOrazj, liTibùllMiLivj,  e tanti altri spiriti sublimi illustrarono la pri-  ma epoca del gran’ Impero Romano, arric-  chirono il regno della Letteratura, e ferero  tanti vantaggi alla Società ; perciò Cajo Ciluio  Mecenate fu amato da tutto il mondo, la sua  riputazione è passata fino alla più lontana po-*    *34   sterità, ed è qaasi estesa, quanto quella del-  lo stesso Augusto .  (O Tillemont. Histojr. des Emper.Tom.i.  Catrou Tom.i9.Lib.7. APPENDICE ALLA STORIA   DI CAJO CILN10 M.   • t -   GIARDINI   IN ROMA AL MEDESIMO SPETTANTI   DISCUSSIONE. Insiste nella Regione Esquilina dell'an-  tica Roma un locale, in cui venivano sepolti  li cadaveri delle genti plebee : Essendosi rico-  nosciuto col progresso del tempo, che da que-  sto luogo s’ inalzavano delle putride esalazioni,  nocevoli alla salubrità dell’ atmosfera, ed alla  salute de’ Cittadini, Augusto lo fece nettare,  onde depurar P aere, ed adornare insieme la  Città di edifizj. >   11 sudetto locale appellavasi Puliculi, o  perchè per antica costumanza le sepolture con-  sistevano in pozzi, o perchè ivi si putrefa-  cevano li cadaveri, conforme nota il Pomey “  „ Minutae vero plebis, mancipiorumque se-  „ pulchra extra portam Esquilinam Viseban-  „ tur, quem locum. Puticulos, vel a puteis,   P  ti6   „ inquosconjiciebantur, vel a putore cadè-  „ veroni vulgo appellabant . (ij Lo stesso  afferma l' erudito Alessandro Donato sull’au-  torità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino ( e-  „ gli dice ) extra Urbem plebs humaretur, un-  3, de Populus Romanus odoris, atìt coeli gra-  „ vitate laborabat,Augustus locum expnrgavit,  „ Urbemque aedificis auxit, ornavitque, Pu-  „ ticuli antea locus appellatns, quod vetustis-  „ mum genus sepulturae in pnteis fuerit, et,  „ ut ait Festus, dicti P liticali, quod ibi ca-  „ davera putrescerent . ('a) Quivi ( scrivé  „ Orazio ) poc’anzi solevano trasportarsi su,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi, e de mi-,, serabili, dopo esser stati rimossi dalle loro  ti anguste, e misere celle, e qui sorgeva la,, tomba comune alla plebe meschina. Hoc prius angustis ejecta cadavera cellis,,, Conservo, vili portanda locabat in Arca ;   „ Hoc miserae plebi stabat comune sepul-  chrum (3 ).   Questo luogo pertanto, che formava una  specie di Cimiterio di Roma, stava fuori della  Città, giacché era generalmente vietato di   (i ) De Funeribus.   De Urb. Rom. lib. i. Cap. i3. Vedi il  Turnebio AWers. lib. 5. cap. 6. 11 Minutolo  Rom. Antiq. Dissert. 6. de Sepulchris, ed H  detto Pomey loc. cit.   (3) Satir.8. lib.t.   \    Digitizod by GOogli    2*7   seppellire li cadaveri dentro le mora ; ed  era destinato, come si è accennato, per la  qilebe soltanto . Le tombe de’ Re, degl’ nomini  illustri, e delle doane di nascita ragguarde-  vole venivano collocate nel Campo Marzo .che  stava parimenti fuori della Città, secondo la  testimonianza di Appiano . e di Strabone pres-  so il rife rito Pomey . ( a)   Dopo però, che da quella Regione furono  tolte le sepolture plebee . e fu nel recinto di  Roma racchiusa, vi si inalzarono numerose  abitazioni, e vi fece ritorno 1’ amenità, e  Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il,, Donato ) quam amota sunt sepulchra, rece-,, ptusque intra Urbis ambitus, loci amoe-  n nitatem, tectorumque frequentiam secuta  E’ nota su di ciò la Legge delle XII.  Tavole. Hominem mortuum inUrbe ne sepelito,  neve urito : Può vedersi il lodato Minutolo,  il quale nella cit. Dissertazione ne farla con  critica, ed erudizione.   C 2 ) Loc. cit. : Locas ad sepulturam o rna-  tissimus extra Urbem fuit Campus Martius,  Appiano teste, qui scribit, selos ibi Regcs,  horninesque illustrissimo* sepelùi consuevisse,  non tamen sine Senatus decreto ; idque Strabo  confirmans locurn illum fuisse Romanis maxime  sacrum ac venerabile m, ideoque pracstantissi -  morum virorum, ac joeminarum monumenta ili  fuisse collocata .   P 2     3*8   i) est nova coeli salubri'tas .( i) .Ora poi ( sog-  li giunge anche Orazio ) che dalla Regione Es-  « quiiina sono state rimossfe le tombe, hè  „ più si osservano sii di un infontie campagna  ii le ossa spolpate degli estinti, vi si gode un,, ameno diporto sotto un cielo salubre .  m Nunc licet Esquiliis habitare salubribus,  atque   „ Aggere in aprico spatiari, quo modo tristes  „ Albisinformem spectabant ossibus agrum(a )   Porzione di quel terreno fu donato da Au-  gusto, mediante anche un decreto del Senato,  al suo Mecenate, il quale vi fece sorgere in se-  guito quc* deliziosi Giardini, la di cui celebri-  tà è giunta fino a noi, secondo la testimonianza  del Marliani,del riferito Minatolo,e di  Samuele Pitisco „ Cum igitur ( dice questo ), tem. (a)   Abbiamo osservato nella Storia di Mecena-  te ( i ), che esso fu il primo ad introdurre in  Roma.!’ uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo in-  contrastabile,che li suoi Giardini, e la gran-  diosa Abitazione in essi esistente, e di cui si  parlerà fra poco, dovessero contenere tutti   (i) Loc. cit. cap.a3. Lib.3.   ( a) Loc. cit. Art. Hort. Maecen.   (3) Lib.4. .    a3i   gliagj, che sa immaginare l'umano raffinamen-  to, e la voluttà, cosi non sembra fuori di pro-  babilità, che quello qnivi stabilisse li nnovi  Bagni, eihequivi ne facesse sperimentare li  primi vantaggi, prima}**•?'.'•••• • *   „ Jamdudum apùd me est . Eripe temorae:   • • 1 •• p • »   *, Fastidiosam desere copiam, et  », Molem prepinquam nubibus arduis :   0 matte mirali beatae,, F umum,^et opes » strepitnfeque  - Romae . ( i)   Il Palazzo, o la Tórre di Mecenate esisteva  tuttora ai tempi di Nerone . Questo folle, ed  insensato Monarca, dopo aver dato l'ordine  ferale di metter fuoco alla più bella, e vasta  Città del Mondò*,' alla Sede del suo Impero,  non fece in essa ritorno, se non quando, fu prevenuto, che 1* incendio si avvicinava alla sua  Regia, che era stata dal medesimo ampliata  fino al Palatino, ed alti Giardini di Mecenate .  „ Nero ( scrive Tacito }. non ante in Urbetn  „ regressus est, quam domiti ejus, qua Pala-   V Eib.3. Od.ao.   ♦ ' * * r .,    a33   » tinnii et Maecenatis hortos continuaverat,   „ ignis appropinqnaret . (i)   Rientrato quel Tiranno in Roma, sen’ cor-  re ai Giardini di Mecenate, e sale nel luogo  più eminente della Torre sopradetta . Quivi  rimira con occhio insensibile, e truce’ii vor-  tici delle fiamme, .che distruggono la sua Ca-  pitale, ed ascolta a sangue freddo li gemiti,  e le strida degl’ infelici abitanti, che perisco-  no . Allora compiacendosi dello spettacolo a-  • C l )   Il Pitisco, fondato su di un passo di Tacito,  mette in dubbio il fatto narrato da Svetonio, e  dagli altri riferiti Autori . Egli suppone, ebe,  secondo il detto Annalista, venissero distrutte  dalle fiamme e il Palazzo di Nerone, e la Ca-  sa di Mecenate, e li Giardini, e il Palatino,  e tutt’altro, che intorno a questi luoghi esi-  steva, cosicché in tal c$so non avrebbe potuto  quel Monarca cantare l’incendio di Troja sulla  Torre Mecenaziana. „ Neronem ex Torri Mae-  » cenatiana prospectasse,(dice Pitisco^ iisdera  „ pene verbis repetunt P.Diaconus &c.„. Taci-  „ tus dubium fecitutrumque. Non Urbem eniiq  „ is tantum, sed domum etiam ipsam M.,, tis, et hortos, et Palatium, et cuncta circum  » l°ca eodem momento a Neronis incendiario,, igne,sed ipso absente,hausta commemorala )   Non sembra però che Tacito accenni la di-   (i) Lib^.cap.^.   (*) Loc.cit. Art. Turris Maecenatianae .    •trazione delli Giardini di Mecenate, e suo  Palazzo annesso ; racconta semplicemente, che  quando Nerone seppe, che le fiamme dell’ in-  cendio si avvicinavano alla sua Casa fece ri-»  torno in Roma ; che non ostante, la rapidità  di quelle non potè ritardarsi, e fu distrutta  anche la sna Casa, e tuttoció, che vi stava in-  torno. “ Eo in tempore f narra Tacito ) Ne-  „ ro Antii agens, non aute in Urbem re»  „ gressus est, quam domili ejus, qua Pala-  „ tium, etMaecenatis hortos contjuuaverat,,, ignis appropinqua ret ; neque tamen siati  „ jjotuit, quin et Palatium, et Domus, et  „ cuncta circuiti haurirentur (i ) .   Qui si parla del Palatino, e del Palazzo di Ne»  rone, e con l’espressioni, cuncta circuru hauri-  rentur, pare che si voglia indicare tuttoció, che  stava intorno all’uno, e all’altro. Ora la magni-  fica Abitazione, e li Giardini di Mecenate erano,  come si è detto, nell’Esquilino, e benché confi-  nassero con la Casa Neroniana, tuttavia pare,  che non possa con sicurezza dedursi, che con-  temporaneamente all’ incendio di questa venia»  serodistrntti ancorali sudetti Giardini conTan»  nesso Palazzo; in tal guisa non si troverà in con-  tradizione l’autorità rispettabile del detto An-  nalista con quella egualmente rispettabile dello  Scrittore delle Vite de’ primi dodici Impera-  dori ; tanto più che anche quello accenna il   ( i ) Annal lib.i5. cap.àq.     aS6   fatto narrato da questo, come si vede nel tev  sto seguente: “ Sed solatinm Populo exturba-,, to, et profugo Campum Martis, et monuraeti-,, taAgrippae, hortos qnin etiam suos pa-  „ tefecit . . pretiumque frumenti minutum. Quae quamquam popola ri a in irritino cade-,, bant, quia pervascrat rumor, ipso tempore,, flagrantis Urbis inisse enm domesticam sce-  „ nam, et cecinisse Trojanum excidium . Giacomo Lauro ( a) ammettendo, che la  Torre, cd il Palazzo di Mecenate fosse una  stessa cosa, ne fa una elegante descrizione,  dicendo, che era un meravglioso lavoro ri-  partito in quattro Piani l’nnoall'altro superio-  re, sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ; dico  ancora, che la sommità della Fabbrica termina'  va in un Teatro, dal quale non solo poteva  godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini, ma  eziandio l’ampiezza di tutta l'immensa Capitale  del mondo .   Non piace però al riferito Pitisco il senti-  mento del Lauro, e degl’altri, che pensano  come questo, supponendo, che non vi siano  prove confacenti “ Sunt qui ( dice il Pitisco )  „ inter quos Jacobns Lanrus .... qui Do-  „ munì Maecenatis cum Tnrri uuam, eam-  „ demque faciunt . Fuisse enim, ajunt, Do- Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum  loc. cit.    13?, V„nm Malcerti. admirabili Vtraetorfl  ^ spartitam quatoor ordimbos, et plamt.ebus,   ^ una super alte.an. in altum ad motomTur-   ris excrescentibus, c«,us fast,g ; um dearne   „ bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«,   - 4 non tantum in hortorum amoemtatem,   „ tonus Urbis amplitudine® . Atqne et.am m, e am formam aLauro depingitur . Verno un-  ’ de illi haec habeant, me quidemlatet .( i j  ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico delle  Romane antichità dubita della realtà d, ciò che  asserisce il Lauró relativamente alla materia   struttura dell’abitazione di Mecenate, si pi   forse con esso andare d'accordo, ma se p .  de che la Torre, e la detta Abitazione fos  due fabbriche diflerenti,pareche voglia oppor-  si alla comune Opinione, ed ancheall autori a  sopra accennata di Orazio . In fatti nói t tede»  2 i»,»««> Poca, che piando MPAb, a»   De di MecenUe, e facendo uso dell espiessiom,  ora di alta doma, ora di molem F c pinquam nw-  *ibu.s arduis ( i), descrive brevemente, e  conoscere, che l’altezza di M»clla era a gntsa di  Torre sublime, che si avvicinava alle nubi 1, Mecenate Tnrris Maecenatiana ("dièc quello)  „ cognominata est, vel maxime halosi Neronis,,, et Urbis incendio celebrata . . . quaedam ve-  „ stigia extare sunt ex Antiquariis Romae, qui  „ asserunt . ( i) Questi avanzi, secondo il Piti-  sco, sono da alcuni ravvisati, in qnel monumen-  to antico chiamato Torre Mesa, che si trova  scendendo per quella parte del Quirinale, che  risguarda il Foro di Nerva„Hoc scio, descenu-  3, ris hodie a Colle Quirinali, qua is Forum Ner-  », vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et ru-  „ dera etiam none monstrari; quam T*>rre Me-  „ ta Romani vocant, et partem domus, sive  i, Turris Maecenatianae fnisse volunt . ( a)   Biondo Flavio scrive, che a tempo, in cui  esso viveva, la sudetta Torre esisteva quasi  intiera, e che per sincope era chiamata Mesa in  vece di Mecenaziana » Aggiunge inoltre,che in  quella contrada, in cui si vedeva, era fama co-  stante, che quella fosse la Torre esistente ne’  Giardini di Mecenate, e sulla quale Nerone  rimirò l' incendio di Roma ; Ecco le parole del  lodato Biondo : “ Eadem in Esquiliarum par-  u te, qua ex eo monte prospectU6 est in de-  „ pressam Urbis partem, Hortorum Maecena-  „ tis visuntur reliquide Extatque pene inte-  „ gra Tnrris, ex qua Svetonins Tranquilla Ne-  t, ronem scribit spectasse Urbis incendia in, et  . .o •. /     t, in scenico habitn decantasse .Qnam Turrim  „ vulgo nnnc vèrbo . . . syncopato Mesam  „ prò Maecenatianàm appellant . . . Nec est,, in ea Regione foemelia, quae quid fuerint  „ il lae ingente* ruinae interrogata, non di-  >, cat, eam fuisse Turrim, ex qua Nero cru~  „ delis Urbem incendio flagrantem, ridcns,  gaudensque spettavi t . (i)   Al contrario il Pitisco, ed il Donato sono  di avviso, che il Biondo, e li suoi seguaci  abbiano su di ciò preso un equivoco ; giacché  la sudetta Torre Mesa non esiste nell’ Esqui-  lino, ma piuttosto nel Quirinale . Aggiungono  inoltre, che le vestigia di quell’ antico monu-  mento dovevauo e ; 6ere, o di un Tempio dedi-  cato al Sole dall' itrperarore Aureliano, o di  una Curia, o piccolo Senato fabbricato sul  Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì  egli fece presedere la sua Ava chiamata Mesa,  e la sua Madre Saemi ; conforme risulta da  Lampridio nella vita del detto Monarca ; di-  ce di più il Donato, che nello stesso luogo  potevano esservi ancora, e la Curia succenna-  ta, ed il Tempio del Sole in torta delle con*  getture, di cm égli fa uso, ragionando in tal  guisa „ In hortis Coiumnensibus marmorei ae~  „ dificii pars exurgebat vulgo Maesa jam dira*  „ ta. Biondo* Turrim Maecenatis falso nuncu-  >, pat.Ubi enim hic Esquiliae,etNerouiaui& tae-   (i) Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo.    A 40   „ dis ardens in conspectù Rotila ? Àlii partem,, templi Solis pronunriant, qnod ab Amelia-  „ no, auctorc Flavio Vopisco, extructum est  „ ad eam formam, quam viderat in Oriente   „ Quid si aedificium illud partera   „ Senaculi, seu Curiae dicerem, quam Ilclio-  „ gabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad  „ conventus habendos, quibus avia ipsins,, M lesa nomine > et mater Soaemis praeside-  „ rent ? Quod duplici conjectura elicitur . Al-  „ teram praebet nomen . Maesa enim diceba-  „ tur, ut avia Heliogabali . Alteram ipsius,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus sic  „ eain nobis linea vit, ut domicilii piane figu-  „ rara descripserit freqnentibus scalis, aulis,  „ peristylis, ac porticibus . • . Palladius  >, autem . . . practer alias aedificii partes,  „ in templi quoque formam descripsit amplis-  „ simi, magnisque columnationibus insiguis.  „ Quare eodem fonasse in loco fuit olim Solis,, Templum . ( 1 )   Nell’ ameno diporto de’ sudetti Giardini, e  della grandiosa Abitazione Augusto sovente so-  leva portarsi a visitare il suo amico Mecenate,  ed ivi ancora sovente li Poeti dall’uno, e dall’  altro beneficati, e protetti facevano sentire  il dolce suono della loro Cetra „ Celebrati sunt  „ ("dice il Giraldi jMaecenatishortiinEsqui-  „ liis, quo loco cum Caes.ire versari frequen-   /   Lee. cit. lib.3. capa 5.  Diaitizec    I  i, ter consnevit; et perindc etiam illtìc Poe-  „ tae conveniebant . ( 1 ) Lo stesso dice Pie-  tro Crinito nella sua opera de’ Poeti Latini al  cap.45. “ Hortos Romae habuit ( Mece-  »> nate ) pulcherriinos inEsquiltis, ubi ver-  „ sari interdum consnevit, deque liberalibns,> discipliiiis serriionem habere cum amicis  „ suis . Ad hoc persaepe divertit Caesar Octa-  »> vius propter loci amoenitatem, velut qui  »> animarti libertini haberet a cnris in eo quie-  „ tis secessi! .   Esisteva ancora ne’ Giardini medesimi un  Tempietto, o piuttosto uba Cappella dedicata  da Mecenate al Dio Priapo . Li Poeti, che fre-  quentavano quel luogo, come si è accenuato, so-  levano scrivere sulle pareti di essó Tempietto  de’ versi scherzevoli, ma poco purgati . La  raccolta di questi diede luogo a quel libro in-  titolato la Priapeja dato alla luce dal Giraldi,  e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi-  >» fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio ex-  », tructtim, et dedicatimi . Poetae, qui Mae-  t, cenateci suum quotrdie visebant, versicu-  » los aliquot jocosos in Sacelli parietibus no-  „ tarunt, et hosPriapejorum nomine in unum  „ collegit libellum, et vulgavit .... Girai-,, dus, etScioppius. Questo autore ri-   .4 - .  Priapeja ( dice questo ) carmen obscenum,  „ quod nonnulli Virgilio, alii Ovidio adscri-  *» bunt ; quamquam Verosimilius est, mul-  „ torum id opus esse ob argumenti similitu-  „ dinem unum in volumen conjunctum . (2)  Su tale articolo potranno aversi maggiori  schiarimenti e presso il lodato Giraldi, e pres«  80 il nominato Pitisco ne’ luoghi citati.   fi) Loc. cit.   (2) Lexicon. Ling. lat. art. Priapeja, VILLA IN TIVOLI   DI M.:   DISCUSSIONE IL   solo Mecenate possedeva li deliziosi  Giardini, e la magnifica abitazione sull’Esqui-  lino, onde sollevarsi dalle cure del Governi?  insieme con il suo Cesare Angusto, e bearsi  colla sempre piacevole comitiva de’ Poeti, é  de’ Letterati, ma eziahdio per lo stesso og-  getto egli aveva fatto edificare sulle sponde  dell' Aniene una Villa maestosa, ed elegante .   La celebrità di questa è ornai nota a tutte le  colte Nazioni dell' uno, e l'altro Elnisf ero,  perché ne hanno parlato, e scritto infiniti  Scrittori, e se ne legge la memoria in tutti lì  Libri, di cui fa uso il Viaggiatore critico*, e  pensante . Infatti Lilio Giraldi, Francesco  Marzi, Marc’Antonio Nicoderao, Antonio del  Re, Nicola Orlandini, Fulvio Cardulo, Gio:  Zappi, Pirro Ligorio, Atanasio Kirker, ed  a tempi nostri il Volpi (i), Fausto del Re (2)>  e il Marquez f 3 ), non che altri Autori ezian-  ( i ) Lat. vet.Tom.q. part. i. lib. 18.0.7.   ( a) Ville di Tivoli Illustrazioni della Villa di Mecenate ià  Tivoli.    * 4 et   dio di materie antiquarie hanno costantemen-  te asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di  Mecenate in quel luogo, che si accenna, e  descrive dai sullodati Volpi, del Re, e Mar-  quez, e sul quale tuttora si scorgono con am-  mirazione le immènse reliquie della medesima.   „ Il primo ammirabile oggetto ( scrive il  „ Volpi ) che si presenta allo sguardo del  „ Viaggiatore, che va a Tivoli è la Mole su-  „ perba di quel CajoCilnio Mecenate Cavalier,s Romano, il più grande amico, ed il più fi-  „ do consigliere di Augusto, il quale superò  t, molti Re in potenza, cd in ricchezza . Que-  >> sta Yilla per concorde testimonianza di tut-  „ ti li Scrittori, che trattarono delle cose,, Tiburtine, s’ inalzava presso la detta Città  „ sulla sponda ministra dell’Aniene . . . così  „ costantemente hanno asserito Lilio Giraldi  „ . . . e tutti gl’ altri, che descrissero le  „ maestose reliquie di quell’antichissimo Edi-  „ fido ; ciò poi, che deve sorpassare Lauto-  >, revole usiertiva di tanti Autori si è la remotissima tradizione, e fama, per cui si è in  „ ogni tempo creduto fra liTiburtini, che  „ presso le mura della loro Città fp I4 Vili# d»  „ M. (1) . \ *.   • * • J   ! ( 0 L° c - cit. pag.a x j : Prima igitur omni-  um sete Tybur adeuntibus admirandum, ve -  jtigandumque offerf ingcntis molis Villa  Macccnatiana, scili cet Caji Cilnii Mqeceqa- Nnlla fu omesso per rendere questa Vili*  vaga insieme, e grandiosa . L’oggetto più caro  il cuore di quel grand’Uomal, i Letterati, non  fu preterito, e però vedeansi jn essa amene  passeggiate, e portici deliziosi, ove si riuni-  vano li Dotti, che mercè l’ illimitata prote-  zione di Mecenate, nel seno; del silenzio, del-  la calma, e di tutti gl’agj, travagliavano in-  defessamente per il progresso dello spirito  umano nelle arti, e nelle scienze,■ Quivi, co-  me in un altro Parnaso, in u* altra Accademia,  in un altro Peripato, in un altro Liceo, Filo-  sofi, Istorici, Poeti, ed Oratori discutendo,  perorando, e meditando, procuravano di  compiacere al loro munificentissimo Protetto-   tis Equitis Romani Augusto Ce.es ari ami-  cissimi, fidclissimique consiliarii, quiqìie Re-  ges permultos non solum aequavit, sed etiam.  amecelluit opibus, et potcnìia . Haec concordi  omnium, qui de Tiburtinis rebus c gerani, S cri-  ptorum testimonio, ad ipsum Tibur fuit in  sinistra Anienis ripa . . . ‘ Ita LiPius Giral-  dus . . . aliique omnes, qui ingentia Aedi -  fidi hujus antiquissimi extaritia adhuc fràg-  menta, et rudero niemorapcrunt, a ut descri—  pscrunt unanimitcr, atque constantcr Maece—  natis hanc V illam Tibur tem nominaverunt ;  quodquc ipsos etiam Siriptóres auctoritate Vin-  cere debet vetustissima, a majoribus per ma -  nus tradita fama id nobis affirmat .     i 4 7   yt, e cosi per impulso del genio benefico di  questo recavano servizj inesplicabili al Gene-  re umano, e travagliavano per la sua civilizza-  zione (i) .   Il Cenni dopo aver parlato de’ Giardini di  Mecenate in Roma, non manca di parlare ezian-  dio con stupore della’ Villa del medesimo in  Tivoli. “Nè solamente in Roma ( dice quello)  „ ebbe Mecenate le sue delizie, ma per non  „ goder sempre mai la Villa negrOrti, che  „ egli aveva, le ampliò fuori di quella anco-  „ ra, ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa .,, Quivi fabbricò egli Una Città più che una Vil-  „ la, palesandola tale fin'oggi le superbe reliquie, e le rovinose grandezze della mede-  „ sima, e quivi parimenti nel ritifo, che fa-  „ cevano dallo strepito cittadino, trovavano  3, il loro riposo le muse romane . (a) Il Pati-  sco, benché ne parla compendiosamente, pu-  re la chiama Villa ripiena d’ogni sorte di de»   * > • » . • a   (i) Volpi loc. cit. pag. 220. : Atque hue  litteratorum homìnum congregatas polissi — •  mum erudita s Catervas sub Maecenatis patro-  cinio ac tutela Philosophorum, inquam, Ora-  torum, Historicorum, ac omnium maxime  Poetarum turmas, ad dìssercndum } recitandum,  fabulandum, meditandum edam, atque otianr*  dum animi ergo in Parnaso voluti quodam, auC  Stoa, aut Peripato, A ccademia, voi Lyceo.   fa) Vit. di Mecenate libra, pag.^ 8 .    I    Digitized by Google    a 48   lizie, opera meravigliosa, e che per la vasti-  tà della sua mole non cede ad alcun altra Fab?  brica de’ Romani. Ma sarebbe stato troppo poco per il cuore  magnifico di Mecenate il rimunerare li Dotti  coll’uso soltanto di quegl’ agj, che si rinveni-  vano o ne’ suoi Giardini di Roma, o nella Vil-  la di Tivoli: la sua generosità si estendeva  molto più oltre; soleva bastantemente proveder-  li di tutto il bisognevole (a), come è noto,  e conforme abbiamo dimostrato nel quarto li-  bro della Storia, e perciò presso la detta Vil-  la di Tivoli, o nelle sue vicinanze li Poeti ad  esso più cari possedevano Casini di campagna,  deliziose Villette, e possessioni ragguardevo-  li ; e queste proprietà si acquistavano da quel-  r • : ■ t   (l ) Lexic. Antiq. art. Villa i Villa Maece-  natis in ultimo T yburtinae Urbis Clivio, omni-  um deliciarum genere conferta, ab ilio est ex-  tructa . . . opus sane admir abile, quod sane  vasta sua mole nulli ex Romanorum fabricis  cedit .  Pet.Crinit. de Poet. Lat. rap.45. : Vub-  gatum est de Maeccnate quantum Litteris, ac  Litteratis omnibus faverit, cum in Urbe unus  hic potissimum haberetur, ad quem Poetae  omnes, atque Oratores, ve/ut ad certam  anchoram, per/ugiuni sibi haberent ; itaque ab  eo vehementer dilecti sunt, ppcraque, et mu -,  nf ribus amplissimi honestati .    li mercè la liberalità del medesimo, onde av-  valorare sempre piòli talenti poetici di Orazio,  di Properzio, e di Virgilio, e perchè ognuno di  essi potesse vivere contento anche quando esso  non poteva trattenerli sotto l’ombra de’ porti-t  ci maestosi della sua Villa . Inoltre possedendo  que’ Poeti delle proprietà in Tivoli, mentre  M. vi possedeva la Villa grandiosa, più  spesso, e più agevolmente poteva egli vederli,  e più volentieri abbandonavano lo strepito fra-  goroso della Capitale per passare giorni quie-i  ti, p delle ore pacifiche nella calma de’ loro  deliziosi, e campestri ritiri, soggiorno per-  petuo delle Muse, e di Febo .   Che il Poeta Orazio avesse un Casino di cam-  pagna in Tivoli quasi di fronte alla Villa di  Mecenate, non può mettersi in questione, e  benché Domenico de’ Sanctis ( i) ponga in dub-  bio l’esistenza.in Tivoli di una Villa spettante  a quel Poeta, tuttavia conviene, che questo  Vi avesse una Casa di Campagna, nella quale  egli vagheggiava l’antro muscoso della risonan-  te Albunea, le onde dell’Aniene, che si pre-  cipitano dall’ alto delle rupi . 1 ! ombro-  so Boschetto di Tiburno, li Giardini irri-  gati dalla molle attività di scherzevoli ruscel-  letti (a ), nella quale desiderava arden- Dissert. sulla Villa di Orazio Fiacco.   (a ) Ode 7. lib. 1.    a5a   temente di finire i suoi giorni (i). Essendo;  pertanto dimostrato per confessione ancora  delio stesso Orazio, come si è veduto nella  Storia al Libro 4° che esso era stato arricchir  to da Mecenate, sembra del totto chiaro, che  la liberalità di questo gli procacciassero il   .. j • .  Me nec tam patiens Lacedacmon,   Ncc tam Larìssae percussit campus opimae,  Quam dora us Albuncae resonantis,   Et praeeeps Andò, et T iburni lucus, et uda  Mobilibus pomaria riyis .   (1) Od. 6 . Lib. a.   T ybur, A rgeo positum colono,   Sit mene sedei ut in am. senectae !   Sit modus lasso marie ì et viarum,  Militiaeque ! i    lite terrarum mihi praetedomnes  Angulus ridet, ubi non Hymetto  Mella decedunt, viridique ccrtat  Bacca Venafro j   V er ubi longum, tepidasque praebet >  J upiter brumai ; et amicus Aulon,   Fertili s Baccho, minimum Falernis '   InvidetUvis. t   Ille te mecum locus, et beatae  Postulant arces ; ibi tu calentem  Debita sparger lacryma favillarli \  Vatis amici. . .   * v     a5*   possesso del surriferito Casino di Campagna in  Tivoli .   Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche una  Possessione al Poeta Properzio, ma niuno de*  Scrittori delle Antichità Tiburtine ne ha fatto  menzione ; ciò non ostante si rileva dai scrit-  ti di questo Poeta, che egli ayeva in Tivoli  la sua Amorosa, dalla quale ricevè nella mez-  za notte unà Ietterà, in etti lo invitava a por-  tarsi in detta Città 1 “ Quando il carro di Boo-  „ te ( dice Properzio ) era giunto nel mezzo  „ della sua carriera ricevo una lettera dalla  » mia Bella, che mi ordinava di portarmi  „ all’ istante presso di essa ; la lettera veni-  va daTivoli, ove le biancheggianti vette  » fanno mostra delle sublimi due torri,e l’onda  „ dell’Aniene siprecipita in ampie lagtJne.(i )  In altro luogo poi il Poeta facendo la de-  scrizione patetica di un sogno, finge di vede-  re, che Cinzia sia morta, tal’ era il nome  della sua Bella ("a). Fa parlare l'ombra di   (i) Lib.S. Eleg.i 3.   Nox media, et Dominac mihi venit epistole^  mstraej   Tybure me mista jussit adesse mora ;  Candida qua geminas ostendunt culmina  turres,   Etcadit in patulos lympha Anima lacus .  (a) Il vero nome della donna Tiburtina a-  mata da Properzio era Ostia, tome rilevasi da'     a5a   questa, la quale gli ordina, che nel di lei se-,  polcro sia scolpita una funebre iscrizione, che  essa stessagli detta “ La dove il potnifero A-  „,nieue(parla Cinzia ) scorce placidamente per  „ le tqrtuose campagne, e dove,1’ avorio  „ giammai impallidisce mercè la potenza del  „ Dio Ercole (i) scrivi nel m ezz P di nna Co-,, lonna, questa epigrafe degna di me > che  „ possa leggere il passeggero “ Qui giace la  „ bella Cinzia sepolta nel suolo Tiburtiuo ^   Apulejo presso il Crinito nella vita di questo,  Poeta :j Sextus Aurelius Propertius, ( dice il  Crinito'). . . Mae cenati, et Cornelio Tacito maxime acceptus fait . . . . Cum i(i Elegiis,  ut inquit Plinius, forct egre gius . . . Libros  quatuor Elcgiarumconiposu.it, in quibus fere  suos calarti, et Mosti ae laude m, et formam  celebrai ; nam in pucllam Hostiam miro qui -  dem affectu exars (t, quatn mutato nomine, ut  est auctor L. Apule] us, Cyntiam appellare  maluit . Corre la voce a tempi di Properzio,  ed uriche posteriormente, cirriforme si rileva, da  Silio Italico, c da Marziale, che l’uria T ibur-  tina somministrava alle cose ur\a bianchezza  potentissima . Properzio ripete questo privile-  gio da Ercole divinità tutelare dal Paese, e  che era in special maniera venerato in quella  Città. Il Beroaldo ne' commenti del! accen-  nata Elegia di Properzio alle parole : polle?    I    N aì>3   la sùa tomba, o Amene, accrébbe decoro  J, alla tua fertile sponda .(i)   Se io volessi ricavare da queste espressioni  di Properzio resistenza di una sua Villa in Ti*  Voli mostrerei forse troppa prevenzione per il  Suolo, che mi diede i natali ; ma essendo cer-«  to, che quello aveva la sua Amorosa ih quella  Città, cbé era amicò di Orazio, e di Virgilio,  e che godeva il favore del benefico Mecenate,  sembra non 'affatto inverisimile, che anch'es-  so avesse, o qualche cosa di campagna, o  qualche altra possessione presso la Villa del  sudetto Mecenate, frutto, e risultato della  beneficenza del medesimo .   • ■ ' • i   tbur ; parla in fai guisa i 'Còclum Tyburti~  num dicebatur rebus praestare candorém pò-  tentissimum e bori, unde ait Silius: Tyburit  dura pascit ebur : Et Martialis,   T'ybur ih Herculeum migràvit nigra Tycoris *  Omnia dum fieri candida credit ibi .   Hoc fieri Poeta ait, nu mine Herculeo ; T V  bur enim Herculi dicatum, et Herculeum co~  gnohtindtur .   Ramosis Ariio qda pòmifér incubai afvis.  Et nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur',  Hoc carmen media dignum me scribe columna,  Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe legar,  Hic Tyburtina jacet bure a Cynthia terra -,  'Accessit ripae, laus, Aniene, tuac.    I      I   a$4   Se è certo, che Orazio, se non è improba-  bile, che Properzio avessero nel Territorio  di Tivoli, e nelle vicinanze della Villa di Me-  cenate una qualche possessione, non è fuor di  credenza, che il Principe de’ Poeti Latini vi  possedesse anch’ esso un luogo di delizioso  soggiorno . Li Scrittori delle cose Tiburtine  hanno serbato su di ciò un profondo silenzio >  ed il solo Volpi accenna, ma dubitando, una  tal circostanza (i ) . Sapendo però quanto Me-  cenate stima sse, proteggesse, e beneficasse  non meno quel grande Poeta, si può, e forse  con non debole fondamento asserire, che que-  sto eziandio possedeva presso la Villa del suo  Benefattore o qualche abitazione di piacevo-  le permanenza > o qualche altra possessione .   Infatti, se Orazio era stato arricchito da Mece-  nate^ se quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo  dalla beneficenza di questo,cbe cosa dovrà dirsi  di Virgilio, che in meriti letterarj non er?  certamente inferiore al Poeta di Venosa, e che ( ij Volpi Latinm Vetuslib. 18. cap.7. pag.   4S. : Villani in Ty burle habuisse Virgiliani,   suut qui putant, Villae proximam Maecenatis ;   eum tamen neque locum de s igne ni, nec ullus   hoc Auctor scripsit, quod quidem perlegcrim, 1   neque ex ipso Virgilio tei hujus lumen ullum ef-   fulgeat, id asseverare nonausim. ] aveva dedicato a Mecenate il suo dotto, ed ele-  gate poema sulla coltivazione ? ( i )   Di poi non mancano congetture di qualche  rilievo per credere ciò, che finora si è detto  riguardo alla Villa di Virgilio . L’Ughelli ri-  porta un Diploma, estratto da un Codice ma-  noscritto della Biblioteca del Card» Francesco  Barberini, la di cui antichità non è stata fino-  ra contradetta . Questo Diploma è dell’ anno  945., ed in esso il Vescovo di Tivoli Uberto  è confermato nel possesso di tutti li suoi beni,  che possedeva nel Territorio di quella Città,  e frà gli altri fondi si fa menzione della posses-  sione Virgiliana : Fundus Licerana, Picianus,  'Galliopini, Vicianus, Virgilianus .(a)   % ’ì Petrus Crinit. de Poet. Latin. lib. 3 .  cap. 45. : Pùblius Virgilius adhunc Maecena -  tetri libros suos misit, qui Georgica inscribun-  tur, absolutissimum omnium opus, quae in eo  genere composita unquam ab alio fuerint .   (a) Ughelli Ital. Sag. Tom. i. pag. 1304. :  Hucber,tus Episcopus Tìburtinus vixit tempori-  bus Martini Papae an. 94?. Ab eodem Pontifice  omnia privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac  Tyburtinac concessa, hoc diplomate revocati  meruit, cujus exemplar .,, extat in MSS.  Cod. Biblioth. Card. Francisci Barberini N.  130S. .che quella anticamente spettava al Poeta Virgilio, e che vi era stata qualche Villa di sua  pertinenza 7 Difatti quante contrade del Ter-  ritorio di Tivoli sono anche oggi denominate,  Pisone, Cardano, Paterno ec. dai nomi di  quegli antichi Romani, che quivi ebbero del-  le Ville, e la verità delle quali non può recar-  si in dubbio dopo lo scoprimento di monumenti  irrefragabili, e. sicuri ?   Se la località di quel fondo Virgiliano non  si fosse smarrita nella notte del tempo, forse  agl’ indagatori delle cose Tiburtine non sareb-  bero sfuggiti li mezzi, onde verificàre la sem-  plice tradizione •, e coll’ ajuto de' scavi i e  coll’ esame di qualche marmo, iscrizione, o  altra reliquia di antichità, si sarebbe potuto  conoscere il sito, ove esisteva, ed anche la  qualità del medesimo ; e non accade così di   Nicolai, Jvan.-et Leonis, quae vetustate con -  sumpta renovantur temporibus D. Martini  Sum. Pont. .... Potitific. ejus scilicet an,  g., Sugerentc Hucberto Tyburtinae Eccle-  siae peccatore, ethumili Episcopo . Clausura  universa . . . Fundus Li cerata, Pidanus,  Calliopi/ti, Vicianus, Virgilianus .     Digitized by Goqgle     lion poche altre Ville, la di cui memoriaper  lunga serie di secoli si vedeva soltanto sotto  il velo della tradizione ?   Nè la forza delle addotte riflessioni, e con-  getture può essere scemata dal silenzio di tutti  li Scrittori Tiburtini, e segnatamente de' più  moderni Cabrai, e del Re ( i); conciosiachè è  certo altronde, che tanto questi, che gl’altri  omisero di accennare -, che Plinio il giovane  ebbe in Tivoli una Villa ; eppure è indubitato,  che anche una Villa di quell* esimio Scrittore  abbelli il territorio di questa Città. Egli ne  parla espressamente scrivendo al suo amico A-  pollinare,e facendogli il dettaglio de'pregj dell’  altra Villa, che possedeva in Toscana.,, Ecco  „ le ragioni ( dice Plinio ) perchè io ante- », pongo la mia Villa Toscana alle altre, che  '» posseggo nel Tuscolo, ih Tivoli, ed inPre-,, neste ; perchè oltre li soprariferiti pregj  5, vi si gode un ozio maggiore, più abbondan-  „ te, e però più sicuro, e con meno distur-  bi kl. Non vi é necessità alcuna di vestir Toga;  >, non vi è chi venga a chiamarci, e a invitar-,, ci dalle vicinanze, ed ogni cosa si fa con  „ pace, e quiete . Torniamo alla Villa di  Mecenate .    CO Ville di Tivoli pag.36.   (.*) Plin. Epist.6. lib.5. : ffabes causas cur  ego T uscos meos T usculanis, Tyburtinis ;  Praenestinisque meis praeponam ; narri super   R    a 5 S   È noto, che il sullodato Poeta Virgilio  credendo, che la sua Eneide fosse un lavoro  imperfetto lasciò per testamento, che venis-  se consegnato alle fiamme, e che Tucca, e Va-  rio suoi amici fossero nominati dal medesimo  esecutóri di questa sua ultima volontà, con-  forme hanno lasciato scritto Gellio, Macro-  bio, e Plinio presso il Volpi ( i ) .   Augusto non permise, che si dasse esecu-  zione agl’ ordini di tal natura, senza prima  meditare, e ponderarne la sostanza ; perciò  essendosi ritirato con li sudetti Tucca, e Va-», rio nel silenzio, e nella calma tranquilla della  Villa di Mecenate, quivi, previo un esame ma-  turo sull’oggetto delicato, fu risoluto secondo  Il pensiero di Lilio GiraWi, seguito dal Vol-  pi (a), che ad onta nelle disposizioni testamen-  tarie dell’Autore, quell" opera divina dovesse  sopravvivere, e trasmettersi alla posterità;   illa, qua e retuli, altius ibi otium, et pin-  guius, eoque securius ; nulla necessitate  togae i nemo arcessitor ex proxima ; placi-  da omnia, et quiescentia: Vedi Marquez Vil-  le di Plinio paga 1 3 .   (i ) L0c.cit.pag.a4S.,   (a) Loc. cit pag. a44. : Porro eam delibe-  rai io n em in hac V illa Maecenatis Tyburte su-  sceptam ab iis ( Tucca, e Vario ) cor am Au-  gusto putat Lilius Gir aldi .    conforme frà gli altri riferiscono Plinio (1),  e Sulpicio Cartaginese.   Non è fuori di probabilità, che Mecenate mo-  risse in questa sua Villa di Tivoli . Egli aveva  qui fatto un lungo soggiorno, e si pnò dire an-  cora una permanenza non interrotta negl' an-  ni estremi segnatamente della sua esistenza ; e  perciò sembra, che abbia voluto esalare l’ul-  timo respiro, dove aveva trovato le sue deli-  zie, la sua pace, e il suo sollievo nell' ultimo  periodo della sua brillante carriera . Augusto  erede di quello, come si è detto, ereditò an-  cora la sua Villa sulle sponde dell'Aniene, per  cui posteriormente fu chiamata Villa di Cesare  Augusto, conforme accenna il Kirker ( 3 ), è  dopo di esso il Pitisco „ E' fama ( dice questo,, Scrittore ) che Mecenate prima di morire i-  3, stitnisse crede della sua Villa di Tivoli lo,, stesso Augusto,al quale nella medesima aveva  „ per tanti anni esibita la sua ospitalità, per,, cui posteriormente, ed anche fino al pre-   (i) Plin. lib.7. cap. 39. : Divus Augustus  carmina Virgilii cremati con tra testamenti  ejus verecundiam vetu.it .   J usserat haec rapidis aboleri carmina   flammis   Virgilius, Phrygium quae cecinere ducem .  Tucca vetat, Variai simili, tu, maxime Caesar,   Non sinis, et Latiae consulis historiae .   ( 3 ) Lat. vet. et nov. lib. 3 > n.4. §.1.   R 2   !* 6 o   „ sente giorno si chiama Villa di Cesare Augna  „ sto . (O   Potrebbe ora darsene una descrizione to-  pografica, ma su di ciò si farebbe un lavoro  del tutto superfluo, nè potrebbe dirsi di van-  taggio i nè meglio parlare di quello, che h an-  no detto, e parlato li succennati Pitisco, Cabrai, e recentemente Marquez nella sovra-  indicata Dissertazione. Se questo valente Scrit-  tore aveva dato saggi commendevoli delle sue  cognizioni, e del suo criterio nelle opere a  quella antecedenti, e segnatamente nel Libro  sulle Ville di Plinio il Giovane, e nell'altro  sulle Case di Città degli antichi Romani ; nel-  le Illustrazioni sulla Villa di M. ha  fatto conoscere la penetrante oculatezza del  suo 1nge2.no nel discoprire, e disegnare le noti-  zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es-  se Illustrazioni ritaettramo gli eruditi Lettori. Loc cit. Art. Villa : Maeccnas moritu -  rus, cum tot jant annis Augustum hospitem in  hac Villa recepisset, eumdem Villac haeredem  constituisse fertur, ut proinde vel ex hocco -  pite non Maecenatis dumtaxat, sed et Augusti  C cesar is in hutic diem appclletur .  s'6t   FEBRE PERPETUA   » febris est, sicut Cajo M. . Eidem  „ triennio supremo nullo horae momento con-  „ tigit somnus .  L’Arduino nelle notea questo luogo di Plinio  ci previene, che Giovanni Schenk nel libro-  primo delle sue mediche Osservazioni riporta  varii esempj d’ Individui, che non viddero il  sonno per lo spazio di quattordici mesi, .ed  anche per un intero decennio . Lib. 7. cap.Sa.   (2} In Not. cap. 5 a. lib: 7: Plin. : Afjìrt  exempla nonnulla eorum, qui mtnsihus quatuOr-    “ZT ' 7    a 6»   Non è mio scopo di esaminare, se cosi  lunghe veglie possano darsi in natura, come  ancora se possa un mortale vivere gran tempo  con la compagnia disgustosa di una febre con-  tinua. Questo esame forma 1’ oggetto, e la  materia esclusiva di que’ Dotti, che sono nell'  arte medica versati, e perciò io mi tratterrò  nel vedere, se quel Cajo Mecenate, di cui par-  la Plinio, è il Mecenate, di cui si è scritta la  Storia; e posto che d’esso sia, si osserverà se  sussista la realtà di quella febre perpetua:, e  della pretesa veglia triennale.   Pietro Crinito afferma non esser certo, che  il Mecenate allegato da Plinio sia quel Mecena-  te Consiglierò, Favorito, ed Amico di Au-  gusto. „ Notatum est a Plinio ( dice quello ) in-  j, ter mirifica Naturae officia eum ( Meceua-  „ te ) nnmqnam horae momento dormisse per  „ totum trieimium ante obitum, sed hoc non  „ piane compertum est, an referendum sit ad,, alterum Maecenatem . Al contrario il Cenni è di opposto sentimen-  to, ed impugna il Crinito in questi termini:,, Ma sia detto cou pace del Crinito, questo  „ dubbio parmi senza ragione . Da Plinio si,, parla del nostro, e non di altri Mecenati  decim, qui decennio Coto somnum non viderint  Jo.Schenkius Observat. Medie, lib. i. pag. p3.  De Poet. lat.. Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I, Ora è possibile t che questo soltanto ayes-;  se la notizia cosi precisa di questi fatti, e che  ’ o •   (i^Lib.a.Art,t>$_. ; ;   la medesima sfuggisse a Vellejo, e a Cornelio  Tacito contemporanei di esso Plinio, e s’igno-  rasse da Svetonio, da Appiano, e da Dione,  che vissero, e publicarono le loro Storie nel  secolo posteriore all’esistenza di quel Natura-  lista? Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali,  opera critica, ed erudita, non omette di  parlare di molte qualità personali di Cajo Me-  cenate, delle quali si è fatto già menzione, e  serba un profondo silenzio sulla febre perpe-  tua, e sulla veglia triennale, di cui si parla .  Lo stesso deve dirsi di Seneca ; Egli mormora  spesse volte, aguzza la lingua nelle sue Opere  sulla condotta del Consiglierò di Angusto, ne  critica il lusso, le ricche abitazioni, le squisi-  te mense ec., ma benché sia contemporaneo di  Plinio nulla dice di preciso sul fatto contro-  verso.   Ma si supponga, che il Mecenate accenna-  to da quello sia il Mecenate, che fu T ogget-  to delle nostre storiche ricerche . Sussisterà  in questa ipotesi quella febre continua, e  quella veglia triennale ? Pareva incredibile al  lodato Giraldi questa veglia triennale, e peno-  sa del nostro Mecenate, e non ne sarebbe giam«  mai restato persuaso, se la sua credulità non  fosse stata sorpresa da un’ altro fatto più stra-  vagante s riferito da Olimpiodoro Alessandri-,  no, ij quale suppone, che un Uomo vivesse  senza mai dormire, pascendosi di sola aria,  o di luce „ Quindi io giudico ( scrive il ?6q,, raldi ), che proveniése a Mecenate quella è-  „ sica indisposizione di non aver potuto dormir  »» mai per no intiero trienoio ; ciò che mi   i, sembrava quasi incredibile prima che leggessi in Olimpiodoro Alessandrina . . . che  « nn Uomo visse senza mai dormire, pascen-  „ dosi di solo aere solare, ed in conferma di  >» tale portento cita quello l’autorità di Ari-  » statele . (i)   Alcuni,frà quali il sullodato Cenni (assono  d avviso, che Seneca abbia parlato della sudet-  ta veglia triennale di Mecenate, allorquando  fauna specie di parallello frà questo, ed il  celebre Attilio Regolo „ Veniamo ora ( dice  » Seneca ad Attilio Regolo . Perchè la fortn-  »> na gli nocqne quando egli diede quel gran*  »» de argomento di fedeltà, e di pazienza ?   j. Trapassano li chiodi la sua cute, dovun-  y, que rivolge, ed inclina le sue membra affa-  », ticate incontra una ferita, e le sue luci so-  », no aperte ad una veglia perpetua . Cre-  : Mine illi ( Mece-  nate ) existimo cantigisse, c/uod a Plinio scri-  bitur, ut per triennium non dormieril, id quod  ego vix credideram ni ti antiquum apud Olim-  piodorurn Alcxandrinum in Phaedonis Commen-  tar io legissem, hominem insomnem vixisse,  qui solo aere solari nutriretur, atque in eo miracolo Aristotelem citai.   >, di tu, che sia più fortunato Mecenate, il  », quale divorato dagli amori, c da replicati  », ripudj della ricalcitrante consorte, si pro-,, caccia il sonno mercé l’armonia de’ musi-  si cali istromenti, che da lungi echeggiano, soavemente ? Ma benché egli prenda sonno   colla forza del vino, scuota, ed inganni  „ il suo animo col mormorio dell’acque caden-  „ ti, e con mille altri generi di piaceri, tnt-  „ tavia veglierà nelle piume, come Attilio  », Regolo nella croce . (Non si comprende però come Seneca in que-  sto luogo voglia indicare la pretesa veglia tri-  ennale di Mecenate, giacché la sostanza dei  suo discorso si è che questo, essendo vessato  dall’ amore sconcio, e dal carattere inquieto   (i) DeProvid. : Veniamus ad Re-  gulum : quid illi fortuna nocuit, quod illud  documentimi j Idei, documentimi patientiae fe-  tic ? Figunt cutem davi, et quocumque fati-  gatum corpus reclinai, vulneri incumbit, et  in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina  .... F eli ciorem ergo tu Maecenatetn patos,  bui amoribus anxio, et morosae Uxoris quoti-  diana repudia deflenti, somnus per sympho-  niarum caritum a longinquo lene resonanlium  quaeritur ? Mero se licei sopiat, et fragori-  bus aquarum avocet, et mille voluptatibus  mentem anxiam fallat, tam 'vigilabit in piu-  ma, quam ilio in croce .  di Terenzia stia moglie, che egli arnav^  perdutamente (i), procurava di sollevarsi  con il vino, con lo strepito piacevole delle  acque cadenti dalle rupi, e con altri mezzi ca-  paci a discacciare, o mitigare la noja dello  spirito ; aggiunge inoltre, che ad onta di tut-  to questo, Mecenate non trovava sollievo, co-  me Attilio Regolo tormentato dalla barbarie  degli Africani nella botte guarnita di punte di  ferro (2).   É’ pur troppo vero, che una moglie fornita  di un Carattere infedele, caparbio, ed inco-  stante potrà tenere in grandi inquietezze un  onesto marito, dal quale è amata, manonpa-»  re verisimile, nè credibile, che tali inquie-  tezze possano giungere fino al grado di cagio-  nare una veglia non interrotta di più anni .  Perciò si può convenire nella supposiziqne di [Girald. loc. cit. Porro Terentiam Maccenas miro amore deperiti } .ut Acron, et Por-  phirion tradidere .  Cantei, Not. ad Valer. Max.  lib.l. de Relig, § .1 4. Dir is sane suppliciis cru-  cactus est Attilius : primum quidem, et id  tantum cibi datum est, un de vitam aegre su-  stentaret, et adductus Ltiphas, a quo territus  nec animo, nec corpore conquiesceret : tum,  praecisis palpebris ne connivere posset, solis  radiis'objectus est : in dolio denique inclusus  praefixo davi culti, quorum acuti it misere la,-,  cerai us inceriti, Seneca riguardo alla' sùdetta Terenzia moglie  di Mecenate ; si può convenire, che ella sarà  stata di Un umore capriccioso, ed indocile ;  che Mecenate ne avrà provati disgusti, ed  amarezze, e che per discacciarle lóntand dal  suo spirito filosofico, avrà profittato di tutte  le possibili risorse ; non si può però ragione-  volmente, e giustamente conchiudere, che per  tal motivo non potesse procacciarsi il sonno  per il non breve intervallo di un intero trien-  nio; nè si può comprendere^! torna a ripetere,  come Seneca abbia nel citato luogo voluto si-  gnificare ciò, che Plinio ha riferito sulla pre-  tesa veglia triennale del nostro Mecenate i  Passiamo alla febre perpetua .   La febre è annoverata fra li pallidi morbi >  che affliggono miseramente la specie umana .  Quell' individuo, che da una febre viene mo-  lestato, e da febre di tal carattere, che non  abbandona giammai il povero paziente, è impossibile, che possa agire con energia, e  trattare affari di sommo rilievo . Da quanto si  è detto nel decorso della Storia del nostro Me-  cenate, risulta pienamente, che egli fin dall’  età più verde incominciò a prestare i suoi ser-  vigi ad Ottavio Augusto prima del Triumvira-  to, fin dopo inalzato al Trono . Si è rimarca-  to, che iu tutto questo tempo affrontò le imprese le più faticose ; segui qualche volta il  suo Monarca anche frà lo strepito delle Armi }  governò lunga stagione Roma, e l’Italia, dis-  sipò congiure pericolose, ed usò in tutte le    i operazioni, che gli furono affidate, eorag».  gio, fermezza, e straordinaria vigilanza .   Se pertanto fosse stato sottoposto ad una  malattia di una febre perpetua, come è possibile, che avrebbe egli potuto agire con tan-  ta energica attività per disimpegnare gl’in-  carichi laboriosi, che tutto giorno riceveva  da Augusto? Ola febre è una malattia, o non  è malattia . Se non è una malattia tutto è con-  ciliabile, ma siccome non può mettersi in que-  stione, 'ch’ella sia un malore, che sconvolge il  sistema fisico deirUomo, cosi sembra potersi  dire, che Plinio in quel luogo, 0 ha parlato  di qualche altro Mecenate, o se ha parlato  del nostro le sue assertive non possono in ve-  run conto fissare la fiostra attenzione .   Impugnando però questo passo di Plinio, noi  non abbiamo avuto il pensiere di divenire il  censore di quel celeberrimo, e laborioso scrittore della storia naturale . Egli esige  tutto il rispetto de’letterati, li quali conoscono, che quella sua opera magnifica gli procacfciò meritamente un posto brillante nel tempio dell’immortalità. Ma in un si grande lavoro, in cui dovette giovarsi, e profittare  degli occhi, e delle mani di molti, non deve  recar meraviglia, se egli avesse inserito una  qualche opinione grossolana, e popólare . Il medesimo dice ancora, che quel Caio Melisso M., Liberto del nostro Cil- [TIRABOSCHI (vedasi), Stor. della Lett. Ital., «io per guarire da uno sputo di sangue, no  parlò mai per lo spazio di tre anni. Questo fatto è pure singolare, meno però di quello della  febre perpetua, e della veglia triennale . Plin. Jamet  sermoni porci multis de causis salutare est.  Triennio M. Melissum accepimus silentium sibi imperavisse a convulsione reddito  sanguine . L' Arduino nelle note a questo luogo  di Plinio osserva, che in alcuni Codici invece  di Melissum si legge Messium, conchiude però, che ne Codici più accurati si trova scritto Melissum. Potrebbe dubitarsi se il Melisso, di  cui qui si parla, sia veramente il Liberto di  M., giacche Svetonio de lllust.  Gram. nomina are Melisso Lenèo. Fulgenzio Withol. fà menzione di un Melisso Euboico. Alberto Magno de Anim. Tract. loda un Melisso autore di un libro sugl’animali. E Laerzio. rammenta parimenti un Melisso. Ma il lodato  Arduino è d'avviso, che il Melisso accennato  da Plinio è il Cajo Melisso M. Liberto  del nostro M. : Meminit Svetonius  ( Hard, in Ind. Auct. Plin. ) Caji etiam  Melissi, quem Maecenati gratissimum etiam  fuisse ait, ac Biblidthecarum in Octaviae Por-  tico ordinandarum curam accepisse, a Patrono suo Cajus Melissus M. dictus est .  Hic eriim illc est, quem Maecenatem Melissum  scribi oportet, apud Pliriium lib.aS. Sect.i     -V      C>. Cajo Melisso Mecenate. Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate.

 

Grice e Medio: la ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Medio. Porch. A contemporary of Plotino. He wrote a number of essays. Medio.

 

Grice e Megistia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone --  Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicero argued that anything written in Greek is not part of Roman philosophy; I guess he has a point. Whereas we do consider things written in Latin by Englishmen PART of English philosophy, we do not consider anything written by the Old Britons before the Anglo-Saxon Conquest to be a part and parcel of Sorley, “History of English philosophy’!” -- Megistia.

 

Grice e Meis: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese – la scuola di Bucchianico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo italiano. Bucchianico, Chieti, Abruzzo.  Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia naturale. E poi rettore del Collegio di Napoli.  Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re.  E quindi costretto all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercita la professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani. Insegna antropologia filosofica lall'università ed entra in contatto con il mondo filosofico parigino, diventando assistente di  Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica. Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra in Italia,  prima a Torino e poi a Modena, dove insegna.  Torna a Napoli e divenne assistente di SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione.  E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo tra i ministeriali.   Busto di M. al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al positivismo.  Venne citato, di passaggio, nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il palazzo della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M..  V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, M. su treccani.  Il protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria libertà.  Tessitore, M. Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei deputati.  M. di Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo Cristianesimo  Oggettivismo ideale particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac. Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia della medicina .Cosa è lo Stato?  Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana  individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società  che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo  Stato è il grande organismo umano, l'individuo gran-  de, compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto.  L' uomo piccolo è una scala ascendente di funzioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui  mangia e beve e si nutre, veste panni, abita un nido  e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la  corona della vita vegetativa. Egli è questo il sistema dei suoi bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità  dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza  umana. La riproduzione è la corona della vita vegetale; la coscienza è la corona della vita animale; e la  coscienza assoluta è la corona e l’apice della vita  spirituale.   Come spirito l'uomo è per prima cosa, e per  prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la  forma più naturale dello spirito: essa è il patrimonio  dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è l'individuo  che si aggiunge una porzione della natura esterna;  ed è una estensione del suo corpo, e della sua anima;  ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione  della sua natura giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta l’IO, la libera coscienza,  che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro  e circonferenza del circolo umano. L'IO è la conoscenza di se. Nella pura coscienza  l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma;  ed egli aspira a conoscere anco l’interno di se, la sua  propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come  bello, e per dir così semi-infinito: nella religione,  come infinito sensibile; nella scienza, come infinito  di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo,  nell’individuo particolare. Nell’uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si chiama LO STATO, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola, industriale,  commerciale: produzione materiale, frumento o libro;  trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;  nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti  gl'individui dei quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'individuo, ma estesa alla società, manifestata come relazione attuale fra gì' individui umani. La morale individua diventa dritto comune; materia della polizia,  e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e usar vie di fatto contro un altro uomo,  perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza morale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti  contro di lui: il sentimento della comune natura umana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il  dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto,  è il sentimento della fondamentale unità della natura  umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti  gli uomini civili e sensibili. La morale individua è  il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione  conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali.  Egli è dunque una relazione psichica, spirituale, poiché  spirituale è il suo fine. Ci è la funzione giuridica, ed è la relazione dell'individuo coi suoi annessi naturali agli altri individui similmente costituiti di cui la società è formata.  Quello che invade l’altrui, non occupa solo una porzione di natura; egli occupa e viola l'anima di un  uomo, la quale è pur quella di tutti gli uomini, membri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si levano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge,  che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La  legge penale sta di rincontro alla barbarie, alla passione violenta ed alla guerra privata; un tribunale criminale è in realtà una corte marziale. La legge  civile è il principio e la regola della pacifica decisione. Essa è la libera ragione che si leva di mezzo  agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma  neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra  è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge,  e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi sono  tutti giudici di pace. Ci è finalmente l’IO comune, conoscenza e volere  generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui  servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni  speciali. Cosa è dunque lo Stato?   Lo Stato è l’insieme di tutte le funzioni materiali  ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono  unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le  regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar  movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque l'IO,  la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù pubblica, il  dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia.   Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì certamente;  ma il giusto non è che una parte del suo contenuto;  è un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua forma particolare, e la sua  realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare  il Codice Civile. Giusto io lo piglio in senso di legge:  e la legge io la piglio in senso di relazione umana  in genere. Ed io allora la piglio in senso di relazione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con  le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la virtti; dice Montesquieu: la virtìi  è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate,  piene di confusione e di errori. La virtù, la morale,  non è che un elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò  per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e  promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per  così dire individuale, essa allora di privata diventa pubblica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera  delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giuridica, o se anche penetra nella sfera politica, allora  essa perde man mano il suo carattere morale. Un delitto politico è per poco un non-senso, quando non è  che politico: e tale egli è quando l'animo è puro.  Omnia mwnda mundis: puro vuol dir non-individuale,  assoluto, generale. E allora non è a parlar di delitto  e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed imprudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e  le proporziona alla loro natura morale, giuridica o politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:  essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra,  un puro atto di difesa. La virtù, dirà il Montesquieu,  io la piglio in senso di forza, di energia politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica, elettrica,  nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e  fondata sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla  parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma  cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il  lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,  rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete  Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo,  i francesi. — francesi, questa che voi fate non è  la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata, non è l'idea che la determina e la informa; è il  fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo vedrete.  Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo  è lo Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni  maniera d'industria, e favorisce il commercio con  istituzioni, e leggi, e procedure speciali. Ma la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato.  La ricchezza è la materia, lo Stato è il pensiero: 1' una  è il corpo, l’altro è l' anima. L' anima fa il corpo, ma  non è corpo per questo; e l'Economia politica non è  la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO DELLO STATO ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia  degli Ebrei, dice Aquila di Meaux, e per quel tempo  non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che si  potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno  strisciar per le terre, o come talpa andar per le cieche  latebre, odiando la luce e il puro e libero aere della  ragione. E se Dupanloup pure insiste e perfidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte,  è la Divina Commedia e il Decamerone, il Barbiere di  Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una  quanto l'altra, ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì, certamente; ora finalmente ci siamo.  Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio  del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che costituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea  tutti i poteri e le autorità politiche; e questo Dio non  abita nel cielo; lassù non v'è che il Dio della Natura:  il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed è  a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle  autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere  e volere, coscienza e azione; e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere  essere Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è appunto il vero Stato; e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui  questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua  funzione essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta  necessità prende una esistenza naturale, e spontaneamente si crea il suo particolare organismo. Essa è  l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo  che si crea, e in cui si fa reale. È una creazione immediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come  quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è la  coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i  poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione creatrice è 1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale si traduce e si concentra, in realtà non è che una pura  anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima  effettiva ed attuale creata dall'elezione, si crea a sua  volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito  amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il  sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per eseguire o  render possibili tutte le funzioni, che compongono  la triplice natura dello Stato: la funzione economica,  la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impiegato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo  onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima  dello Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili essenziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli  serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o interne, che ne minacciano la vita economica, politica  o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello  Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto  di un altro Stato, e di reprimere le passioni colpevoli  che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le istituzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto  nel primo come nel secondo caso.   I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il  corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere legislativo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il Sovrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due  nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legislativo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello  Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo; tutto  questo è forma di forma: la forma essenziale, il vero  Stato, è l”IO assoluto, la coscienza e la volontà generale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto  volere, e non è possibile una funzione puramente  formale. Si è conscii di essere questo o quello, si vuole  e si fa sempre qualche cosa: e lo Stato conosce e fa da  un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la  legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, l’impiegato, il soldato, tutti vogliono che lo Stato sia;  vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di tutte  le fotze morali, e che possa tutte liberamente spiegarle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza economica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e domina il contenuto. La  morale domina l'economia: la produzione non è possibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è immorale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica  impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione formale, domina e modifica tutte le funzioni speciali che  sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e  modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente  RELATIVI (“il relativo hegeliano”). Il volgo riguarda come piti eccellenti gli assoluti inferiori, perchè piti naturali, e di più immediata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui  l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine  giuridico; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè  più generale, e più assoluto e divino; e quando l'armonia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la  funzione formale, la funzione assoluta dell'essere,  quella alla quale appartiene il primato, e prende  sopra l' altre la mano. Scoppia la RIVOLUZIONE dal basso  o dall'alto: ribellione, COLPO DI STATO. Slealtà, tradimento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza morale lo riprova, la coscienza giuridica lo condanna;  ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che  l'approva; e se non è la coscienza politica dei contemporanei, sarà di certo la coscienza politica degli  avvenire. La storia approva IL COLPO DI STATO  e LA RIVOLUZIONE popolare, quando è vera funzion di essere:  quando cioè l' essere apparente dello Stato non corrisponde al suo VERO essere, a quello che esso è nella  coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia  che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è ingiusto;  ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza  il suo essere, il benessere della comunità, o dell’intiero  corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica  utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del  fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non  la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma  non si vede il suo interno principio, l'essere generale  realizzato. Ma non è meraviglia. IL CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre leggi  fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua  e ne riflettono le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale:  è un violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo  una proprietà che 1'uomo non ha creata. Ma lo Stato  anche questo può fare. Lo Stato è funzion di essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è la sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza  generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto  resta al di sotto o supera quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il caso  dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la  società vede nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è  un errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità,  filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma  certo debolezza di mente, che ad altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello  Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine, ed essere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà progredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà  in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo Stato e forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed  inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro  indugio, abolire; perchè allora il PAESE, divenuto meno  incolto e per dir così più spirituale, avrà cessato di  riguardarla come un elemento di esistenza; e non sentirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara  e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti  ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, saranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli  oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e  assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso.  Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava,  anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo:  il senso e l'utilità e tutta la sua filosofìa, ed egli  condanna allora la pena capitale come non utile. Venuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento  respinge l’utilità, e condanna la pena di morte  come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale;  e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua  verità: egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne vergognerà di certo quando di risorgimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato,  che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è  immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare  moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il cittadino  non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta  farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è  ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpazione non è giusta; è più e meglio di questo, è politica; e si chiama guerra e conquista, e non più  violenza ed usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta legittima e veramente politica, (e dico buona, legittima,  giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole)  quando in esse lo Stato opera in funzione di essere:  quando guerreggia e conquista per vivere per essere,  o per diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente essere. Vi sono società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la passione, il caso in una parola, divide in  più corpi sociali, per cui DI UNO SI FORMANO PIU STATI. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità politica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente separate,  in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le passioni umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità naturali, crea una coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la comunità e la somiglianza fondamentale dei DIALETTI ITALIANI  (non mai la loro identità, che  non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una  finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile,  e l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata,  di quella nuova coscienza. La comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di popoli e  di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e  vivente con una interna unità e un' anima generale.  LA GEOGRAFIA è la condizione esterna dello sviluppo,  e l' occasione più o meno accidentale di questa formazione ideale.  La comune coscienza che si è conservata dopo lo  spartimento dello Stato unico originario, non è più  coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la  primiera attività; e la coscienza comune che si è sviluppata in un gruppo di Stati eterogenei non è che  il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso  e nell'altro questo sentimento è la nazionalità, la coscienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso  ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è un' anima  scissa, con due coscienze distinte ; che l' una è la coscienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune  di NAZIONE. Esso è dunque in realtà due anime, due  esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato,  l'altro non è che nazione. LA NAZIONE E LA POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche quest'altra parte  di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser  tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della  sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza  nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò  che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati connazionali. È la buona guerra, e la legittima conquista;  ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsapevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona  soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo  è tempo di coscienza e di ragione, e non ammette  che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.  Questo succede quando in tutti i corpi sociali si sviluppa più o meno egualmente di sotto alla loro particolare e diversa coscienza politica la comune coscienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti finiscono per fondersi in un solo corpo di nazione, in  una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale  si eleva e si perde ben presto nella coscienza politica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la  soluzione spontanea e razionale.  Egli è nel primo modo che si sono costituite le  nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di  guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste, è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società affatto eterogenee, fra cui non vi è stato che un principio di fusione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria, nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca. Ma la vera coscienza politica è la coscienza boema,  ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è una possibilità naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la  realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva  con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie, degli Stati meno  inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica  LINGUA COMUNE – FIGLIA DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune coscienza,  di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza  di una potente antica unità; IL FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che ha finito per essere adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito per essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO.  Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono per  formar le membra di un solo corpo morale: fatte però  le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe  l'intenzione di seguitare in questa via, ed applicare  ancora il metodo antico, barbaro, medieyale. Ma si  oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza  nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la  geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed  un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini  naturali e nazionali.   La soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata al secolo della ragione;  ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO, ed è  il suo onore immortale, e il suo vero primato civile  e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia,  si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede. La greca  penisola è un tutto geografico perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato  per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone;  lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia;  e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e  r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca  diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova  il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa  delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa  del Risorgimento, custodisce e protegge con una edi-  ficante unanimità il barbaro e immondo straniero,  il musulmano oppressore.   L' Italia è stata piu fortunata. Un grand' uomo  uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un  nobile trono straniero, rammenta l'antica madre  per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava  ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una  nazione astratta, uno Statò reale. ITALIANO, IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia  non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora  non vi è che la morale e il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella  quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato  per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati  tutti gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto,  che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma se quella  è forte e potente, questa è ancor debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali  la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono  tutte egualmente amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve n'è  qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA PIEMONTESE. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro.  La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa  è rimasta nazionale, astratta; ed ha solamente prodotto  di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,  incompleta, poco men che astratta, piena di riserve  e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la  realtà e la forza che rimane alla VECCHIA E TENACE CO-SCIENZA PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO (si veda) lo ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui una forte  coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza  municipale (certo indebolita da quello che era prima)  vi trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana,  e dice: io sono quanto si può più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è  senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere,  o quanto altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e generoso, illusione  che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa  sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e  agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo  non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi  conto del proprio essere, per cui diviene il giuoco  della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona  fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno  allo stesso modo. Ma il tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto  sviluppare in tutto il mondo antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara, czeca e jugoslava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se  finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto  del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e  mostruoso a pensare) destare una coscienza politica  francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana  in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi  della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del Medio Evo  ha termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva  e s'abbandona, e la nazione intiera scende nella  tomba della servitù straniera e papale, egli solo non  s' abbandona; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,  sorge a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava  in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana,  e per lui ed in lui l'Italia vive ancora. E quando  a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba, e l'Italia  vi scende di nuovo, rimaneva egli solo sulla breccia,  e lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla  fine il destino della patria: onore a cui dalla provvidenza della storia era visibilmente riserbato. Ah non  tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo  saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo  tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la  materiale grandezza di quella nobile provincia, è naturale sia permanente e resista alla grande coscienza politica italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia  non vi sarà che una sola coscienza politica, allora non  vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero  e forte Stato Italiano. L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e  proprio elemento dello Stato; ed è una funzione puramente formale che domina e modera e modifica la  funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie  la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino;  fa la guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che  dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, l’essere indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo  privato non può fare, e che gli sono permesse, doverose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico,  la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la  coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo  tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse,  ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e l'amalgama succede  sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa  quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello  Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si separano, il tiranno è perduto:  egli allora non è piu lo Stato, è un altro; è un corpo  estraneo contro a cui l'intiero organismo si solleva,  e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un processo di guarigione. Il morbo è la tirannia, l'anarchia:  forme dello stesso disordine; tutte e due passione e  sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è  né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne  tutti: l’arche è la ragione.   Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero  essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' economico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come  Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte  le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività politica,  la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e  non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo;  vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il  mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra  al mondo della natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili perfetta e più generale esistenza delle funzioni a lui inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale possibilità  delle funzioni a lui superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane  affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non  vi è una società artistica: vi sono soltanto degli artisti  e dei poeti ; e la parte dello Stato è di render possibile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la  spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto  sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte,  ed esce dalla sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere  immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e fortificare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar  l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle  sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale  ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in  nome della giustizia offesa, e della morale violata;  funzioni inferiori, che gli sono tutte e due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta  essere empia ed irreligiosa: ma la sua irreligione è  sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri, e di religione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie  sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non  è più che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso  lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non  amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il  suo contrario: che s' ella esce dalla sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto peggio  per lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo  carattere è di essere naturalmente universale. Egli è  perciò che mentre l'arte rimane nella sua inconsapevole particolarità, la religione viene a coscienza, e si  forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di  fuori e di sopra alla società politica si forma una  società religiosa. Il luogo di questa alta società non è  la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua  funzione è tutta celeste; essa è riflessione e adempimento del destino umano: contemplazione della infinita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia; conseguimento della infinita felicità mediante il possesso dell' infinito della religione.  La funzione religiosa dello Stato è di render possibile  la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della  società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta  inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi,  miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR TUTTI GLI ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata  e rispettala. Può la religione professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può attribuire a Dio  tutte le passioni umane, sopratutto le piu barbare,  e pu perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si rimprovera, e maggiormente arrossisce  quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà per  lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore  religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito credere ed  insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei  padri, come lo insegna e lo crede Mosè, in un  tempo ed in un paese in cui non v'E ANCORA IL DIRITTO ROMANO, e il Codice Civile era di là da venire.  Se questo vi fosse stato, non sarebbe venuto in mente  a Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato  un così sterminato errore. Quella era pertanto la verità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due  gradi e due forme non per anco distinte, confuse  ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è avvenuta: la verità giuridica del Codice Mosaico, convinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità  giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che all'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sottentrata l'astronomia di Copernico e di GALILEI. Ma come verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo  ed il comune che l' innocente è colpito col reo dalla  vendetta divina. E si crede anche oggi come tre mila  anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo  uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e  quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più credibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa  era la curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il  vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del dogma  religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice  Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso morale; ma non è che una offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non interviene per far rispettare il  Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione  succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende  possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e  la rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa  esce di questo campo, e deposto il proprio carattere, si  spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosamente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato  interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente  succede alle religioni che di spirituali si fanno temporali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la  colpa e non dello Stato: e perciò tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte  e della Religione, vi è la scienza, LA FILOSOFIA. Ma qui  l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto  universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna  forma naturale. Non vi è quindi una società filosofica,  vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del  pensiero, della verità assoluta. Lo Stato non interviene  in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il  dee, né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò  che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella  sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere  il suo carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque  insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo? Non già; non mai. Insegnare  non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero;  è invece agire, educare e preparare all'azione, ed  appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio  repugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno  scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo  conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o  sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo  Stato. Il principio politico dei Gesuiti è la Religione, la  loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette capo,  ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il  principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione;  è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello  a cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò consiste la libertà civile.   Il principio del Demagogo è la libertà sensibile,  e l’eguaglianza materiale. Il principio dello Stato moderno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta,  ideale.  Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà  del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor  dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della  scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato.   Il giornale è una scuola, e non può quindi godere  una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella  sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella  natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona,  perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la  stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi  da noi. La libertà non appartiene che alla libertà.  Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qua-  lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva  e professa il principio generale, e vive dello stesso  elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza  non sono assolutamente libere che nel proprio elemento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non  può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede.  E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca  a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale,  perchè professa delle particolari idee che in un certo  mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed  accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa  delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-  passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di  un principio particolare, religioso o scientifico, io non  lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha come  Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi  scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore.   Lo Stato non è adunque che la possibilità effettiva  e naturale della vita artistica, della società religiosa,  e della pura attività scientifica. La sua funzione con-  siste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istruzione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio,  e non può altrimenti intervenire nell'arte, a pro-  mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica e  la poetica mediante decreto: e così non può decretare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere,  una religione dello Stato: cotesto è un controsenso,  un non senso, un errore. Sent from the all new AOL app for iOS  Opere di M. Studi su M. - Opere ed articoli che a lui accennano - Recensioni di suoi scritti »  La vita e la storia del pensiero di M. . La famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli  Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: SPAVENTA, SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di M. e la sua metempsicosi; M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il Dopo la laurea. La storia della filosofia esposta dal M.. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. .Il Dopo la laurea e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni anatomiche sul salasso locale Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica; Del principio vitale; Idea della fisiologia greca;  Le opere scientifico-filosofiche; Idea generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.   Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M.  Contro l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico  inazione dei vasi sanguigni.  I mammiferi. Fisiologia. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi. Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche.  medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero, Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco voltata in italiano da M., nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster.  Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F. Vitale,  [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione (v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M. deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato  e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli, Vitale,  Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto]. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione, To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].   Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli,  Fisiologia generale. Evoluzione logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino,  [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba).  Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau,  Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica. - l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis,  La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze,  [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.”   De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano. Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna,  Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di storia della medicina per M., Bologna, Monti,  Il sovrano, nella Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e Fiorentino, da CROCE, nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia,  [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,  [È una lettera, con la data: Bologna.  Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese, Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti, Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali.  I tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti,  [La Prelezione era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data: Bologna,  Il canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,  [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],  [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti,  Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico,  Bologna, Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri  [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, . [Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi]. Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica, ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza  esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate  dal GENTILE, La filosofia in Italia,  Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e cinica  della religione, succede la drammatica senza soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia; in  Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione  era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi  attecchì nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta centro di  coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è il  secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia di Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e  naturale, succede la lirica moderna, che non lascia alcun  margine fra sé e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo  limite della poesia. Anche in Germania, in parte  per riflessione spontanea e in parte per influenza del risorgimento italiano divenuto sudeuropeo, si è iniziato il  risorgimento, che DIFFERISCE DAL LATINO in quanto non è la  semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del  soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e  il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in un solo risorgimento, un solo  mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione, divenuta  indifferente, è appunto per questo perfettamente tollerata.  E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa  spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una  sola Europa giuridica e politica.   Il secolo XIX durerà finché duri l'uomo. S'inizia nel  secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo fin  da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-  guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la  opera del risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con-     [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e religiose.] verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pensiero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del  cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Discorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus. Il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo  ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un  solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno,  che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello  spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello  spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito, questo  divino, questo assoluto e universale non è che individuale.  Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi  FICHTE —, che con profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si compenetrino in una sola  unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non  durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo-  tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale  genere umano.Hegel, ponendosi nella posizione di  Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e trova  il processo della creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord, si  era iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda) era stato versato invano ed VICO (si veda)  non era stato compreso da nessuno, [Pel giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro,  ; e cfr. Cfr. qui addietro, V. Dopo la laurea,   Le idee estetiche e religiose.] un po' per colpa del papato e molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono intuizioni isolate del genio, più  che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La storia della filosofia moderna è una storia tutta settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della  grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia moderna,  non procede da BRUNO, non è inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a  Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento,  un fil di tradizione di BRUNO e di VICO: la quale, così  guasta e superficiale come era diventata nelle mani degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte;  ma crede che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero  germogliato in Germania. SPAVENTA si era molto  preoccupato del problema della filosofia nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo Bertrando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia,  e forse di tutta l'Europa, la Germania inclusive  Ora  che la storia della filosofia moderna sia concentrata tutta esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso Spaventa M.,  accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro  che hanno fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore  rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni singolo  filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo  [SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con  la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore bibliografico di Daelli, Torino,  V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] separa dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo  proposito i giudizi circa SERBATI e la evoluzione del  pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e poesia  cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica. Nel MONDO LATINO la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto  padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cristiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e simbolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova religione. Sforzi vani, che la religione cristiana, religione di  Dio, del vero spirito, della sua trinità, della sua umanizzazione, è l'ultima di tutte le religioni, e solo potrà trasformarsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si compiono nella Germania  volgare — non in quella pensante —, nel sud, dove un elemento pensante manca, la parte più elevata, non però pensante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è  un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che  da un debole raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e  pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza di  sé come nel mondo germanico, coesiste nel MONDO LATINO a  fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al  romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione,  tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo,  genere equivoco, compare per la prima volta nel principio  del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se-   [Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco,  tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero;  si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a cui  somiglia, equivoco: MANZONI. Si osservi che M., una volta stabilito che il  romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci tutti  gl’individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fiorisce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella accezione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni  individuo potrebbe indifferentemente applicarsi. Dopo Scott e MANZONI, il romanzo perde il  carattere epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e  prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e  Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta comincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma,  uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il  deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno  scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. E non è  finita ancora la triplice serie, osserva M., fedele  sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti protestante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA HA UNA VENTINA DI MILIONI D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi.   Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia  nera di M., la filosofia positiva. E la filosofia che gli  ha preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hegeliana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci-  [Dopo la laurea,  Le idee estetiche e religiose.] liabile opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono  dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che accoglieva  la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia opposta  alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo. Mai  M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla :  trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o  iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia  antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può trovare  la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura esterna,  e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che è  la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente  positiva è di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai  pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il primo  atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena  è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la  descrizione e la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema,  che ha pure due parti: la classificazione e la filiazione dei  fenomeni. La filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia  fra la corrente poetica e la filosofica, ed è il sangue della  [Dopo la laurea, passim; cfr.  VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico  di Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia; l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la filosofia, è il  cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e pensiero  speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non  avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la  natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della  religione, della poesia e della filosofia. La terza parte del gran dramma della filosofia cristiana  è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove alla  ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO; il  nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del mondo,  nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il secondo atto della filosofia moderna si volge  al metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio, consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX,  che termina poco dopo la fine del secolo XVIII. L'atto terzo  è il sistema, è il principio di Cartesio e dello Spinoza, del  Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente sviluppato.  Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità  dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti   [Cfr. qui addietro,  Le idee estetiche e religiose.   i principi a traverso ai quali la riflessione greca è passata  non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E  uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un  punto nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo  si confonde col processo evolutivo del principio, e il sistema  è il tutto spiegato; quando la filosofìa giunge a comprendere  il creante e il creato in un attivo processo di creazione,  non ha più dove andare, a meno che non voglia indietreggiare,  come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo. E  se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si  contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo  Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il  perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è  sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima  umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione si  arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità,  lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ;  e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fantasticare. Quando la Germania crea il vero sistema  del mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un  cristianesimo assoluto, allora la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto  si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana,  trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento negativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri  filosofici ed aborti strani; col secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania materialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione  è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa positiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è una sequela di creazioni, identiche  fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e  perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma  dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo. Ogni  creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive  di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a  cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa,  senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale,  da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare,  e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno umano  inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-  siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano  universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie di  sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la religione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore  assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto  la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano,  natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono  due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico-  lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola  legge naturale. Le forme e gli elementi naturali ed  umani sono del pari indistruttibili, e la legge comune della  loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere e  perire è destino comune agl’uomini, agl’animali, alle piante  Dopo la laurea, I tipi  animali, Le idee estetiche e religiose.   e ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della natura sono  l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si  compenetrano. Quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma  e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La natura  è come una scala a piuoli. Lo spirito come una scala a corda,  che raggiunta la meta si raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono tutti in  uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo  il genio, l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra  in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve  avere il senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico  ed in quella superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di  sistema solare si fa pianta. Nella pianta l'unico elemento  spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è il senso  meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui  l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è  il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in azione gl’altri elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta  animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana,  e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente  nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con  questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la riflessione della riflessione, la scienza; predomina  il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato  naturale di cui parla Rousseau. Nel secondo tempo l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra  gl’uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera  della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del  sentimento e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a  questo processo di divisione e di analisi, si compie nella  storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande ragione  avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore,  da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda coscienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche  Aristotele parla di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro  patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno e arso vivo  per aver parlato di quel secondo spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito  si compone di una successione di grandi unità. Il primo  stato embrionale del genere umano è la natura (M.,  hegeliano e medico, prende spesso come termine di confronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e  l'animale. Terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante  del genere umano. Egli con la sua piccola positiva riflessione  vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e positivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza  scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa,  ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma  a poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi  dalla prima nasce una seconda coscienza, e l'uomo intuitivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo e intellettuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza  finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni umane  il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro  distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvocato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le  due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono  assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta sviluppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come  non poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere   [ Dopo la laurea,  Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione  in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo,  perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra  e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una  sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che  inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima  di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria  trasformazione ».   È un fatto di ragione che la vita umana comincia con  l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice  istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che  è la vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di  osservazione e di ragione che si va dall'una all'altra passando  per la forma intermedia della immaginazione. La religione  e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie civile  ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e  barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva  e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma  intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un  elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge  la perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX,  nel greco-romano come nel latino-germanico, per eccesso di  riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa un  elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà  come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché  duri il genere umano.   La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello spi-  rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua ci-  viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter-  media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog-  gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile  dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale,  più oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile,  più umana, più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica orientale e la religione lirica occidentale,  la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia, e  vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella  religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i caratteri di un sistema religioso completamente sviluppato; il  politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale  risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio  evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono  quelli stessi del pensiero, nella vera forma religiosa; l'anti-  chità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa forma;  il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma  di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo  è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico;  la Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma-  tica; il tempo moderno è tutto umano e tutto divino ed è  tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno il medio evo  è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata dalla  grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il risorgimento  è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel meraviglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il  secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il principio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia  storica e finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene  una lirica tutta stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai  la riflessione ha superata l'immaginazione; il sentimento e  la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al  pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una  poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto  di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica e  religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 secolo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-  filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La  poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla forma di immaginazione per entrare in quella di FILOSOFIA, e in quella vive ed eternamente vivrà.   La forma e l'elemento della poesia e della religione è,  come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento  ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima  era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge  la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo  elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La  musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le arti  plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb-  bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più  tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura.   Certo la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo;  ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-  dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico  è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul-  tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è epico-  religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel risor-  gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-  stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico,  la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma ;  acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-  rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto  sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte  e poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte  oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi-  mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere, poiché  il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il risor-  gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è  il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa  nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che  ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva-  mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica  quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve  a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia  di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me-  lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una  scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove  allato al risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa  italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e tocca  ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica  si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo  comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'immaginazione.   Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della  morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo  moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro-  mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto  nell'anima greca, ma il vero tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del risor-  gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma-  nità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà  la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale la lirica,  la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità  assoluta e definitiva. L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo  della poesia, né in quello della religione e della filosofia.  La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura,  sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medio-  evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.  Così è delle forme religiose. Analogamente delle forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la  filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet-  tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo  oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non  è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in  atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta  unità.   A questa teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa  e da altri obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente  a questa : Come può lo spirito umano perdere due delle sue  funzioni essenziali, l'arte e la religione? M. risponde  che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla filosofia  kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a  fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al  concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e  vita; ma ha torto se crede che la intuizione da accompa-  gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e falsa. Nel  principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è creata  dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la vera,  non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di  qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati-  vamente perfetti — se son davvero capolavori —, perchè  l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con  una intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie  di religioni tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè  l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa creare che  delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge, perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di  G. FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo all'uomo la religione e la  poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli non comprende che M.  intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica. Le idee estetiche e religiose. hanno un termine : e il loro termine non può essere che la  vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte  ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato  una serie di forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra,  e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute dell'arte;  e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e  fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali;  e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più  trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una serie  regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario  ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan-  tastica, più razionale, più reale della precedente. Per cui  l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in  essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta-  stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il cristianesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-  gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando;  e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre più  storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E  così per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando,  la religione e l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero  è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e del-  l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e  non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi-  gliante al concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso-  luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita come  un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna  sua parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta  essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La  intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla sua  idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,  perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che  di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va  sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre  più veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando  l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e  intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-  nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e  trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo-  rale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata,  perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma la  religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e  le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero ac-  quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono  unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli-  gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per  trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte  si trasforma nella vera cognizione naturale ; la religione nella  vera cognizione spirituale. In questa trasformazione consiste  la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il limite  del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma  idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce  nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica, della quale  il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana,  tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è  l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressi-  vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere,  oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno  cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e  trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in  se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il  nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal  suo pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo  è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il  concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è bello  e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende  il magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume [ Le idee estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò  ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa  creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così  che egli è più che mai non sia stato religioso e poeta,  quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo  parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a  traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione,  giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, avvivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della  religione e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione  e dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si  ammette l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi-  nitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le reli-  giose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola,  se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di  storia del genere umano tracciato per convalidare queste  argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non  la storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione,  se pur non modifica la storia, certo la coglie nei momenti  e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E le  molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostra-  zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che  egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-  zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la  sua poesia.   M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la  contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la  riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide  in altre due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e  Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, negativo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza —,  dopo aver proceduto isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze pseudo-positive,  accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e del  pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità  del pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che  le due filosofie astratte si fondano in una sola filosofia con-  creta; bisogna che la corrente religioso-poetica mescoli le  sue acque con la corrente unificata della filosofia. La cor-  rente filosofica, scaturita dalla religione e dalla poesia, tor-  bida in principio, si allarga, si purifica, diviene trasparente  sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a poco,  invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione  e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la  filosofia sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della  natura : un pensiero pieno d'amore vivificherà una natura  piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e l'adorerà  come natura divina.   Qui alcuno potrebbe chiedersi : in questa identificazione  della filosofia con la vita, non subirà la filosofia stessa un  assorbimento analogo a quello subito dall'arte e dalla reli-  gione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia del-  l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale  unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena  cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero,  al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane —  dic'egli — e c'è di mezzo una tal nebbia di tempo avve-  nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi  di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa  generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che  le cose passeranno così in generale ; e che tutto anderà a  terminare nella fusione di tutte le forze, di tutte le cono-  scenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana. La  sua filosofia sarebbe forse un atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo,  un sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi  quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu-  rale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura.  La natura della causa esterna che move è corrispondente e  proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa;  mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è  sempre la seconda che move se stessa con la prima natura.  Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione-  vole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la  ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità  della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la  proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e  si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita si  comunica alle altre, ed è una successione e una complica-  zione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro  morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani-  mali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice che  di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo.  L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani  del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non  ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non  è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-  tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace  di colpa; egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura:  felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare.  Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua libertà  e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volon-  taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più  la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è  l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa  libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua  propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso,  supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole, e  si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia raggiunto  tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia com-  piuto il fato umano. Così l’uomo naturale diventa in principio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La  civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel momento del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce  dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa. Allora  l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il  morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru-  deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi  riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le  cause naturali, ma operano anche per proprio conto, generano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche.  D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una corruzione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet-  tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto  questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si  succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza  divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par-  ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie  e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo  primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi,  altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta  seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e  morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine  a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri-  tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il  paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la  sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio-  nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali:  ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina —  la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ;  essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua-  rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale  di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno  della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica  e tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause  mistiche, che danno origine alle malattie psichiche mistiche e  religiose. La corruzione cristiana riproduce la corruzione  pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie.  Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristia-  nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le cause  spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima  civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa-  rirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi,  come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più  generale risultato, la prima legge della patologia storica :  l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qua-  lità di morbi, che sono le categorie primarie della patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro  senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la  oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo  o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le cate-  gorie secondarie della patologia. La categoria primaria, la  natura e la qualità fisiologica del morbo, è l'essenziale, e  mai non manca, né può mancare ; invece la categoria secon-  daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e manca  infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-  lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche  la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ; nelle grandi applicazioni sto-  riche la categoria secondaria trasparisce sempre dentro alla  categoria primaria. Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta  della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti.  Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i quattro  grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene-  rali non esistono veramente che nelle anime elementari o  cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste  ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A  forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie  e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da M. è veramente  originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi principi  e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal-  volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-  lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi  alle varie forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria  darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.  L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo limitare la sua speculazione entro  l'ambito della jatronlosofìa. Dalla sua stessa concezione di   [Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna,  Monti. Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della patologia storica): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei  curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia  piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la  priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di  questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di  lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in  Italia. Per gli argomenti trattati in questo  paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza  dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato, egli  doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una  filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è pensiero,  e non vede chiaro il significato di questa identità e non ne  deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le  fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse  e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio solido e  fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello in  aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia  ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi  che succedono a volumi, e rivelano una profonda conoscenza  dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali, dai  tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste  scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con  periodi storici. Sono analisi di animali e di vegetali, di specie,  di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi, di  funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato  dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si  risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M. afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e  di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e  e materia, Un nuovo corpo semplice, I tipi vegetali,  Deus creavit,  I tipi animali, Filosofia e non filosofia, Darwin e la scienza moderna,  ecc.  Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà,  perchè il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla concezione idealistica, secondo  la quale la natura è un momento del pensiero, che si risolve  interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo sviluppo  del pensiero non sarebbe né completo, né possibile.   Egli distingue nella natura due gradi e due modi di  creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,  individuale anch' essa. La prima creazione è quella che  F idea dell' uomo fa dell' individuo umano; ma 1' idea del-  l'uomo è naturale, e le idee naturali restano latenti finché  l'idea divina, prima causa di sé e della natura, le renda  attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione. Quando  l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella  natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto  al suo principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea  spirituale. Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci-  dente, cioè come individuo. Quindi, come nella natura, così  nello spirito accade una doppia creazione : quella dello spi-  rito individuale e quella dello spirito universale. Il primo  ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'at-  tuale, l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche.  La storia della natura umana, quella della natura vivente e  quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno  stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea-  zioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale,  ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la  terza materiale, individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo nell'individuo;  quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo fa  nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma  più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme  opposte, il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ]  forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina  passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così  pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma  esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo  tutte idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un  mammifero passa per le forme animali inferiori e le proto-  vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'in-  dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre  forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra-  gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento,  tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta  alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea forme  nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'im-  pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai  più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,  come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma  vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari  gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella  natura.   Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui la  forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce  il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita;  e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito  umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti interamente, cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo  superiore. E la creazione ideale è creazione sensibile ; la  creazione di una specie è produzione di molti individui in  cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione,  e la successione effettiva e naturale presuppone la succes-  sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la  natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia  tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa-  risce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe  e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai  completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa  come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione di tempo, altra di idea. La suc-  cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a  tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i  tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati.  Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia  al tipo che gli deve succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura,  nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità,  i corpi inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa  esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità  diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per  una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una moltiplicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del-  l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno pros-  sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia  la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice  che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege-  tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo  elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel-  l'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in-  dividuo, semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto  qualificato al di dentro. Le forme superiori [sono la chiave I tipi animali,, Bologna, Monti; Cfr. Lettere sulta patologia storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse  oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva  semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme  fra le quali corre una particolare e più diretta e più intima  relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in cui  l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo  empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti-  ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar-  winiano, di una inestricabile confusione.   Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il  Newton, così M.  lancia in quasi tutte le sue opere  strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista  inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè  pone il cieco caso in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute  l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità  organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella selezione  naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una forma  nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la  modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si compendia la scienza  dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo  umano primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per  cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti; egli nel  cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva  l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi animaci, pel giudizio di M.  circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus  creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia, Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli  non sa comprendere come si possa affermare che tale modifi-  cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi,  introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie  di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è  qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità  più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale,  è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è  quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella  selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno  di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano  tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega  le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme  è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere  integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo  uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la variabilità  deve essere determinata, perchè nella natura e nella scienza  la potenza sta nella determinazione.   Secondo M., è vero che l'individuo varia senza  legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo  accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra  la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà  dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e  solo creatore dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali,  perchè una funzione è un'idea, e per creare un'idea ci vuole  un'idea. Il non essere non può creare l'essere, l'irrazionale  non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente non  può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra  loro una differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore  dell'organica, e neppure potrebbero nascere nuove forme,  perchè ogni fonma ha un suo proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo, secondo il disegno  eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa l'unità  delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza  antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due  storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra  secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della  natura e dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza  moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia  intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano, con-  siderando la storia extramondana come un effetto ottico ope-  rato dalla intuizione.   Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni  a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si consi-  derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di  un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella  di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne  Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si riassume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè  il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel  I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della  scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con-  siste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare  i vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto,  il quale è l'unità, la verità, la ragione, il principio e il ter-  mine di tutte; e questo tipo è il vero animale. È la maniera  concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo di  loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una  applicazione sistematica e conseguente alle varie forme  animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo  di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono  idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma  [I  tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale  originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un  dato momento, aiutando le condizioni esterne da lei stessa  preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di forme  l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi uni-  versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-  razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e  generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura  e pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le  delimita; dei puri e semplici momenti della legge formale  fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia in-  forme a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla  serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo  intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è la  forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in  cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par-  ticolarità esiste, ma nella forma di principio, di universa-  lità, di necessità, ed in questa contraddizione consiste la  sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si  effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine,  e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione  attuale. La forma è un principio e una forza indipendente  dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne deter-  mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-  verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale  e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è  quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge,  ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi,  sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura]  movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali corri-  spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo.  E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na-  tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La  natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione,  senza la forma della forma. La vita (antipan) è essenzialmente  opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità, fra  vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una  doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi  psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è  teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,  poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso  e sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e  l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce  per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si riconosce  nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle cose  e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale  apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa  corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta,  universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente  risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno  ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al  labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le  forme e i tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno  stesso identico animale in via di formazione : l'uomo. E  dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descri-  zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni  tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,  è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo  creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le pro-  prie determinazioni. Invece i sistematici ordinari, tutti  intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualitativi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli  più materiali, che non significano nulla appunto perchè non  passano in altre forme. Tipo è forma con significato.   Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza di  astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale.  Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, arti-  ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e  le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera  morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene-  rali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e  la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo-   [I tipi animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con  un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei  sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti  cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non  ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per  stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e per  supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato tirerà tanto  di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è  una funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale, «principiale)), a loro ignota e inconcepibile,  Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare con la  scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la  fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare  come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-  sificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vege-  tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il  centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi-  zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due  sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga,  prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi  molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari.  11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal-  l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti-  ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva  sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico  dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nell'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa  l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e  sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono  riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è  il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il  radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte-  brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi  di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di  vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza  o l'assenza di un elemento secondario.   Finché M. sta fedele al suo programma di dimo-  strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali  [I tipi animali,  Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni  alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita,  della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente  geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte  — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di tentare una  dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece, senza  avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la  nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-  loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli  tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal  primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere  ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di  chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con  lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio,  e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe  studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale, per  descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli fosse  nota l'esistenza e i caratteri.] vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui  l'uomo della natura, che in sé ricompendia tutta la natura,  si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo pensiero  eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ?  E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce-  dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un  muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare:  quel muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio;  ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo  d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze,  Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir moto  è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma — la  materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo.  La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo :  da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza  fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la  materia della forza inferiore ed il germe della superiore : e  così il moto è il tempo materializzato; il tempo è lo spazio  divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà, il  limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spon-  taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non  pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza  semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come  la più forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che  si comunica a tutta la massa della forza semplice, sì che  tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia puramente  chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile  informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo sem-  plice informe.   L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre egli  era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto  del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione  della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un  punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto  lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma-  teria reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale,  interminato, e con esso cominciò la natura. La forza del pen-  siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in  forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la  forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo  fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si  trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo  in vera materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che successivamente si modifica  e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura  Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si  aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e  le dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo  incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensi-  bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla  esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza  è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal  valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma  la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad  empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro  a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito  mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre pro-  prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le dissemi-  nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio  è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,  ma non corpo, perchè non è ancora sensibile.   11 primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite  che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del senso;  di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e  il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia  pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui  stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice  pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa  dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un  corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo,  anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto  reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà  tutta la natura, e la vita — il vegetale —, e l'anima — l'animale ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera  sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero,  egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso  farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà del-  l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo  all'origine della forza e della materia uno stesso identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano  originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori-  ginaria identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima  natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e in  ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la  materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden-  tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due  cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente  corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci  fa più facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle  nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af-  ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è  quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice,  omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà  la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,  il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte  le forze del caos darà una legge e una norma, a tutte le  materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il  cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza  vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale.  E con questo programma egli termina il secondo dialogo,  Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia-  logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che  da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna  poi nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si  ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad  un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto  originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto;  ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota. Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che  M. lavora spesso frammentariamente.  Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] bensì successivamente. L'io è un animale naturale, individuale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti,  molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio  intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana  universale, come quella dell'individuo umano, si sgomitola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggo-  mitola e torna ad arrotolarsi nella storia. E perciò la storia  umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una  cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della  natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale  e universale ; solamente non appare e non diventa reale che  in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in  certi luoghi, in certi corpi e in certi ii.   È facile scorgere che M. non è felice quando vuole  risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.  Invero non si capisce come quel suo pensiero originario,  avendo nel senso un limite interno, possa non avere anche  un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora  nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere  e caricare sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero  un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da forza  in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di  star tentando la soluzione di un problema forse insolubile,  certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte  ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità certa,  positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di di-  mostrare, ma solo di far presentire la verità, come la pre-  sente egli stesso: e certo di quella verità da lui pre-  sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una  pagina che onora il suo senso poetico più che la sua    GENTILE, LA FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I  naturalisti, Dialogo] profondità filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale,  è l'inferno, l'anima è parte materiale e parte immateriale  ma sempre naturale, il pensiero è il paradiso, e di pensiero  noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il suo paradiso  tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco. Come  Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli  stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel-  l'uomo; solo ci dice con slancio lirico che quella è la sua  fede. Alla fede in quanto è davvero tale e solo tale, ed  è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe certo vano, se  pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon-  damento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si  deve chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza  una conferma o dalla logica una dimostrazione.   La risposta è negativa.  Quanto alla conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme  e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il controllo  è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed intatta,  ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità,  e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore  ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee,  e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro  sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare  un terzo termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri  due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo termine non  può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte in  causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non  poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non  può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere  [I tipi animali. Cfr. Dopo la laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia  l'idea o il pensiero.Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui M. la tenta  non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come quando,  dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona  come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere  come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori,  come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso  un limite interno senza avere un limite esterno; ovvero si  appiglia ad ipotesi degne di un alchimista ostinato alla ri-  cerca della pietra filosofale, come è quella della forza che  diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La sua filosofìa della natura, riposando su principi che  possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dal-  l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma,  è una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa  e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun  sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,  vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non  intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva  di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta.  La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e come  base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della  forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre-  deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-  teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura,  si ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura  stessa o riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit.  Forza e materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M. M.  non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura»;   Del Vecchio Veneziani Una costruzione speculativa della natura, quale l'idea-  lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero esigono,  dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi  compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria  l'accidente come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in  tutte le assidue e lunghe meditazioni del M. intorno  alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era, come  egregiamente la definiva Fiorentino, « l'idea di con-  trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato debole  del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale  delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega  la vita della natura... una ragione superiore, che regola lo  sviluppo dei tipi della vita naturale, finche non si dispieghi,  e non si allarghi nell’uomo e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello  scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini-  smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus  ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra  una ragione superiore o una spiegazione più intima e razionale.   M. appunto dice e ridice, anche per quanto si  riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della  necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con  questa esigenza afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente,  che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente necessario,  cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella costruzione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è la né col Fichte, nel cui sistema la natura c'è soltanto quanto basta per far  la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr. Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia,  Dopo la laurea, negazione della necessità razionale e della deduzione a  priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen-  sabilità costituisce il confessato fallimento della costruzione  speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza  sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della contraddittorietà della sua impresa.  Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire  nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli  anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non  c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile al-  l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve prece-  dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza in-  flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo  e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della  materia semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda-  tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo  della natura, è necessariamente compreso nel processo della  funzion ; che ogni tipo vivente è già idealmente quello  che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo real-  mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e  d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e lo  sviluppo della natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla  produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea  non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio  e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche  elemento materiale e meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed accidentale. Forza e materia,  / mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.  Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un  tipo ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme  preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e spontaneo. Ma la creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di quegli schemi  indeterminatissimi », sì anche nella loro delimitazione naturale, o sia accidentale. E molte volte ripete che la natura  è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del-  l'accidente che M. afferma. Legato all'idea, intrin-  seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a  determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente  dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi  esso medesimo una necessità interiore ; è il momento della  antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi crea-  tiva. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la forma,  l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità  esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di necessità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività  creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale  ci appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche  altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi  sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico-  nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie  di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la  prima, accidentale in senso proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene  Deus creavit,  (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno  ed accidentale che non era compreso nel processo della  natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e  oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e quantita-  tivamente, le forme, e favorire la trasformazione, e provocare  la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi latenti,  « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche cosa  di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,  esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. —  nella forma latente un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza  e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi  in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli dà  corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione. L'accidente  può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai  veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia  interna, essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale,  l'altro secondario e individuale: il primo, l'accidente  necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale,  intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni  realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli  individui; l'altro, l'accidente accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit, Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da  cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge-  neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana, una  lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da  capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman-  darci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro  rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del M., è  veramente risolutiva? Questo approfondimento del concetto  di accidente, questa distinzione delle due specie di esso,  interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera-  mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa  filosofia della natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione e  molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte afferma che senza il concorso di esterno accidente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe  realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol-  tanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la produzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa  molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente  necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si  fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a loro  posto in una concezione puramente causale e meccanica della  natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più  a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste a tutto il processo di sviluppo e lo  genera esso medesimo. Voler dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo  teleologico, e non saper negare che vi sia anche qualche cosa  di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce per  essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione  non conciliabile tra l'intenzione e il resultato.   E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è  nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la  patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito  dal M. crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene,  e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o  naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta  la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera  umana, questa si altera e si disordina. Ora si ricordi che  per M.  la malattia corrisponde al passaggio dall'in-  nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una forma  superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma superiore,  che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che attraverso  a questo processo, il processo è necessario, e necessari, non  accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la sintesi.  Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-  cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e  particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi-  mento degli opposti, il momento negativo non è meno neces-  sario che il positivo a dare con la negazione della negazione  la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione  filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente  estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere  costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un idealismo  assoluto, cioè come pensiero o ragione ? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si collegano con una profonda, in-  conciliabile contraddizione interna del pensiero di M..  È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista,  contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e  costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia  con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che  talvolta si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la  fisiologia. Questo è il suo conflitto intemo non superata,  che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea e  natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile:  il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la  fisiologia non può essere costruita se non è costruita prima la  metafisica. E costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso,  come altrove M. riconosce. Perchè, secondo il  principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie  alle conclusioni di M. intorno ai rapporti fra la teoria  e la pratica medica. Infatti come può la separazione della  jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con  l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,  perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà  quindi contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica,  e quindi inutile come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia,  arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della verità della  jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura delle ma-  lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-  siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi  principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del-  l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario  e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori  e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in  lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche  Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della na-  tura, la quale è certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in questo :  che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura  hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che  le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non  consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura  compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando  per tutta la vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre  credendo di lavorare solo alla dimostrazione e alle applica-  zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s theory resembles my pirotological progression, heavily! I like his generalisations. I wish we had at Oxford such a freedom to generalise!” -- Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Melandri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone – Reale – filosofia ligure – la scuola di Genova -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “One of the ten items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part of what I call ‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics, along with ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with two other concepts: proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s reading of the Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote ‘contro la comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” --  Grice: “He has studied Buehler; I like that!” Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in Germania. Insegna poi a Lecce, Trieste e Bologna. Parallelamente all'attività universitaria, collabora con Mulino e alla rivista omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e curatele, pubblicando con essa alcuni dei suoi saggi. I suoi saggi vertono sulla fenomenologia di Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue curatele, anche presso altre case editrici -- Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc. -- ci sono studi che vanno dalla scienza politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di  Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica di Trier alla metaforologia» di Blumenberg ecc.  Ha istituito un gruppo di studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle attività del Centro di studi per la filosofia mitteleuropea con sede a Trento; partecipando  alla realizzazione della rivista Topoi. Da vita agl’Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna, poi trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva e di cui è stato il direttore. Tra i suoi saggi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito d’Agamben un capolavoro della filosofia.  Il filo conduttore di tutta la riflessione di M. è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre la logica tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare, legato alla discontinuità del principio di non-contraddizione, l’ANALOGIA si fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gl’opposti. Ora, queste due forme di ragionamento non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto fondate, non su una struttura assiomatica, ma su una diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo M., nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare l'empirismo radicale connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanza, congiungendo istanze aristoteliche e husserliane, M. assume una concezione dell'essere fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre, M. espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto da Besoli, filosofo a Bologna. A lezione, si può dire che M. non parlas, ma pensas ad alta voce dando l'illusione, quanto mai benefica ed essenzialmente terapeutica, di pensare insieme con lui. Si ha l'impressione di assistere, dunque, a un pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accade e un'esperienza di pensiero condivisa, giacché la condivisione e appunto la condizione stessa della buona riuscita di tale esperienza  Altri saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico,” -- introduzione a Bolzano, “I paradossi dell'infinito”, Cappelli, Bologna; “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,” “Note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica – co-predicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come co-predicabili, la disgiunzione ‘o’ come co-predicabili, l’implicazione ‘se’ come co-predicabile -- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica”  Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli, Milano; “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in «Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi, Che Fare, “La linea e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia, Bologna: Mulino  rist. Macerata: Quodlibet, prefazione d’Agamben, appendice di  Besoli e Brigati, Limongi. Nota in margine all'episteme di Foucault, Lingua e stile, La realtà e l'immagine, in Barth, Verità e ideologia; Sulla crisi attuale della filosofia, Mulino,  L'analogia, la proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, Lingua e stile, Quodlibet, Macerata, L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, Freud: L'inconscio e la dialettica, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna: Pitagora;  L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet. Bühler. La crisi della psicologia come introduzione a una nuova teoria linguistica, in Animo ed esattezza. Letteratura e scienza, Marietti: Casale Monferrato, Variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Pitagora, Bologna; Matematica e logica in psicologia: applicazione propria determinante o im-propria analogico-riflettente, L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet, Per una filologia del sublime, in "Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La novità degl’ultimi tremila anni, Mulino", "Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are less important than the generic remarks he makes about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione, simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet, Macerata, postfazione di Guidetti; Sul concetto di descrizione nella psicologia fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "erri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento, Mulino, Bologna, Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia, o della principale equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in Discipline filosofiche, Il problema della comunicazione, Paradigmi, Tempo e temporalità nell'orizzonte fenomenologico, Discipline filosofiche, La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia esistenziale, Questo nostro tempo -- studi e riflessioni sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); Filosofia come critica della conoscenza e impegno interdisciplinare, Tratti, Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi su M., Faenza, Agamben, Archeologia di un'archeologia, in M., La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet, Agamben, Al di là dei generi letterari, in M., I generi letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet,  Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne; Ambrosetti, Una lettura di Epitteto", in "dianoia", Besoli, "Il percorso fenomenologico", in  La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth; Besoli e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet  sinistra in rete.info cultura’ Lagna e Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, Philosophy Kitchen, Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini, "Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di  M. edite da Quodlibet, edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista di filosofia. Enzo Melandri. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice – analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill, jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice, analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Melanipide: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Bari. The author of a number of tragedies. He appears to have practised a relatively ascetic version of Pythagoreanism. Grice: “Cicerone argues: Melanipide spoke Greek, not Latin; therefore, he is not an Italian. At Oxford, we are a bit more inclusive: Gellner spoke French, he is a Jewish philosopher who teaches at some London red-brick!” -- Melanipide

 

Grice e Melchiorre: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il corpo – la filosofia dell’amore – amante ed amato – il convito di Turolla – la scuola di Chieti -- filosofia abruzzese --  filosofia italiana -- Luigi Speranza (Chieti). Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I like Melchiorre; while I refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian – corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea.  Terminati gli studi, nel medesimo ateneo inizia la carriera accademica come assistente volontario di filosofia della storia, per poi insegnare a Venezia.  Richiamato a Milano, ha ricoperto  la cattedra di Filosofia morale, per poi insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali. Altri saggi: Arte ed esistenza, Firenze’ Il metodo di Mounier, Milano; Il sapere storico, Brescia; La coscienza utopica, Milano; L'immaginazione simbolica, Bologna, Meta-critica dell'eros, Milano, Ideologia, utopia, religione, Milano, Essere e parola, Milano, Corpo e persona, Genova, “Studi su Kierkegaard, Genova, Analogia e analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant, Milano, Figure del sapere, Milano, La via analogica, Milano, Creazione, creatività, ermeneutica, Brescia, I segni della storia, Ghezzano Fontina, Al di là dell'ultimo, Milano, Sulla speranza, Brescia, “Ethica,” Genova, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Milano, “Qohelet, o la serenità del vivere,” Brescia, Essere persona,” Milano, Breviario di metafisica, Brescia, Il nome indicibile, Milano, Profilo nel sito dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni, culture. I diversi volti della verità Relazione di M., Convegno del Centro Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra SERBATI. M., Rai Educational Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche.  Grice: “Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi, meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Melesia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilcata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicerone complained that Melesia spoke Greek, not Roman!” – Melesia.

 

Grice e Melisso: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical and change is an illusion he attributed to the unreliability of the senses. Luigi Speranza, “Grice e Melisso”, The Swimming-Pool Library. Melisso

 

Grice e Melli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- AVRELIO – filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as furrin; Locke ain’t!”. Altri saggi: La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Tocco, Firenze,Commemorazione di Villari, Firenze,  La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra i filosofi romani e i filosofi greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori il senato consulto da incarico al pretore Marco POMPONIO (si veda) di provvedere “uti Romae NE essent [FILOSOFI greci]”. Semi della filosofia greca sono sparsi dagl’esuli ACHEI, tra i quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi anni dopo, ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come CATONE (si veda) s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e l’infiltrazione delle idee filosofiche grechi e già cominciata, specialmente dopo la conquista delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --, e Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi romani senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’, filosofia, e degl’amanti di sapienza, filosofi. Un motto si trova in un frammento di ENNIO (si veda), nel Neottolemo. Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam. Col progredire della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i romani presso questi pedagogi schiavi ditti amanti di sapienza. Alcuni grandi personaggi, come SCIPIONE Emiliano (si veda) e il suo amico LELIO (si veda) divieno protettori dei questi pedagogi detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un'utile disciplina nella dialettica, studiata nella lingua strainiera, non in romano. La riforme di GRACCO (si veda) -- Gracchi -- e ispirata da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano a questo ‘amore di sapienza’ e 1'orientazione nelle questioni pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore,  al giureconsulto, agl’uomini di stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole o sette. Una delle prime ad essere trattata in latino e la dottrina dell’Orto. Sono nominati un  AMAFINO (si veda) e un RABIRIO (si veda) come espositori delle idee, dell’Orto, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’ – sostenitore del piacere -- un certo CAZIO (si veda), “levis quidem, sed non inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell'edonismo presso i Romani è LUCREZIO (si veda), che segue Empedocle. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. BRUTO minore (si veda), l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il dottissimo VARRONE (si veda), che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia segue più il PORTICO che l'Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gl’altri ed è per noi il vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è CICERONE (si veda). I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non fu¬ rono amichevoli. Abbiamo già accennato al senatocon- sulto del 161, nel quale, essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori ch’erano in Italia, si dava incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere uti Romae ne essent. Pare che i primi semi della filosofia fossero sparsi dagli esuli achei, tra i quali era anche Polibio, venuti * dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi anni dopo, nel 156 ci fu l’ambasciata della quale faceva parte Oar- neade, e anche questa volta vedemmo come il vècchio Catone s’impensierisse dell’efficacia rovinosa che quegli abili parlatori potevano esercitare sull’educazione nazio¬ nale. Ma ebbero, come sappiamo, un grande successo ; e l’infiltrazione delle idee greche era già cominciata con la letteratura, specialmente dopo la conquista delle città della Mago a Grecia. Nelle tragedie tradotte o imitate, e Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) ■ LA FILOSOFIA PRIMA DI CICERONE 201 anche nelle commedie, i Romani sentivano parlare sul teatro di filosofìa e di filosofi. (Ricordo il motto che si trova in un frammento di Ennio, nel Neottolemo di Euri¬ pide: Philosophari mihi necesse est, sed degustan- dum de ea, non ingurgitandum in eam). Ool progredire della cultura, con lo svilupparsi dell’elo¬ quenza, nasce il bisogno d’istruirsi presso i filosofi. Alcuni grandi personaggi, come Scipione Emiliano, il suo amico Lelio, diventano protettori dei filosofi, li ammettono nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un’utile disci¬ plina nella dialettica stoica; le riforme dei Gracchi sono ispirate da idee filosofiche: quello che i Romani domanda¬ vano alla filosofìa era l’orientazione nelle quistioni pratiche e una cultura necessaria o utile agli oratori, ai giurecon¬ sulti, agli uomini di Stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere trattata in latino dev’essere stata la dottrina di Epicuro, perchè sono nominati un Amafinio e un Rabirio come espositori della filosofìa epicurea, ma pare con poca arte; e più tardi, ai tempi di Cicerone, è pure epicureo un certo Catius, levis quìdem, sed non ìniueundus tamen auctor, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell’ Epicureismo presso i Ro¬ mani è Lucrezio. Altri scrittori di filosofìa furono M. Bruto, l’uccisore di Cesare, che scrisse della virtù e dei doveri, e il dottissimo Varrone, che insieme con Bruto aveva sen¬ tito Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia se¬ guiva, pare, più gli Stoici che l’Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura tutti gli altri ed è per noi il vero rappresentante e inter¬ prete della filosofia presso i Romani è M. Tullio Cicerone. 202 LA FILOSOFIA A ROMA L’uomo politico e l’oratore non ci appartengono, ma sui filosofo dobbiamo fermarci un momento. 2. - Cicerone nacque nel 106, fu ucciso dai sicari di An¬ tonio nel 43 a. C. Studiò in Atene e a Rodi, udì maestri delle varie scuole : Fedro epicureo, Filone di Larissa acca¬ demico: lo stoico Liodoto divenne suo ospite per più anni, e diventato cieco morì in casa sua: udì poi ad Atene Antioco di Ascalona, l’epicureo Zenone, e a Rodi lo stoico Posdonio. Cli uffici pubblici e la vita tempestosa di Roma in quegli ultimi anni della Repubblica lo avevano distolto dagli studi filosofici, ch’egli del resto aveva considerato sempre come una preparazione necessaria all’oratore e poi come una nobile distrazione dello spirito; ma le vi¬ cende della vita pubblica, l’ozio a cui è condannato dopo la battaglia di Farsaglia, e sventure domestiche, tra cui specialmente la morte della figlia Tullia amatissima, lo riconducono alla filosofia, nella quale egli cerca un’occu¬ pazione e una consolazione. Bisogna aggiungere a questi motivi quella che chia¬ mano la vanità letteraria, e ch’è la passione dello scrittore di razza, di uno scrittore di prim’ordine e che gode di una grandissima autorità presso i suoi concittadini; egli vuol far parlare in latino la filosofia, toglierne il monopolio ai Greci, darle il diritto di cittadinanza in Roma rivaleg¬ giando con loro, e si rivolge ai giovani ut huius quo¬ que generis laudem iam languenti Graeciae eri- piant; ed egli si dà come l’iniziatore di quest’opera, di conquistare alla letteratura latina questa vastissima pro¬ vincia del sapere. Già prima, (lai 54 al 52, egli aveva scrìtto i suoi trattati politici De repuìflicci e De legibus, e prima ancora, nel De ora¬ tore, era proclamata con molta energia 1’unione della filo- sofia con l’eloquenza : Cicerone in un luogo del De nat. deor. si vanta di aver sempre filosofato: cum minime videbamur, tum maxime philosophabamur ; ma i suoi libri propriamente d’argomento filosofico li ha scritti negli ultimi anni della sua vita, dal 45 al 43. E quali siano questi scrìtti filosofici ce lo dice egli stesso in un passo del De divinalione, IX, 1. Egli comincia con un trattato dal titolo Consolatio, com¬ posto dopo la battaglia di Earsaglia e la morte della figlia, indicando nel titolo i servizi ch’egli si aspetta dalla filo¬ sofìa: era fatto a imitazione di un libro simile di Orantore accademico raspi, raévOoo;, eh’ è detto altrove un libro d’oro, da imparare a memoria. Poi scrive VHortensìus, introduzione ed esortazione allo studio della filosofia, difendendola dai pregiudizi romani. Ortensio, ch’era un grande oratore suo contemporaneo, vi combatteva lo studio della filosofìa, Cicerone la difendeva calorosamente. Il libro era molto ammirato. S. Agostino lo ha conosciuto, e la lettura di esso contribuì alla sua conversione. Questi due libri sono perduti. Le opere che ci riman¬ gono sono : Academica > in due libri, importantissimi per le contro¬ versie dibattute fra Stoici e Accademici intorno al pro¬ blema della conoscenza e specialmente per le opinioni degli Accademici più recenti fino ad Antioco. Ce n’ora una prima redazione in due libri; poi l’opera fu rifatta, in quattro libri, e dedicata a Varrone che vi entra come interlocutore. Il caso ha voluto che noi possediamo il 1° libro della seconda edizione, e il 2° libro, il così detto Lncullus, della prima (che si sogliono citare Ac. post. I, e Ac. pr. II). È deplorevole che non ci sia, e sarebbe deside¬ ratissima, un’edizione italiana commentata di questi libri. De Finibus honorum et malorum, in cinque libri. Vi sono esposte e criticate le teorie delle diverse scuole greche sul problema fondamentale dell’Etica, il sommo bene o il fine delle azioni. Nel 1° libro Torquato espone la dottrina di Epicuro, nel 2° Cicerone ne fa la critica; nel 3° è in¬ trodotto Catone, quello di Utica, a esporre la filosofìa stoica, nel 4° se ne fa la critica ; il 5° libro espone la teoria accademica e peripatetica. È una delle opere più istruttive e forse meglio composte di Cicerone. Le Tttsculanae disputationes, in cinque libri, dalla villa ciceroniana di Tusculo, in cui si suppone tenuto il dialogo, pure d’argomento morale: il 1° tratta de eontemnenda morte, il 2° de tolerando dolore, il 3° de aegritudine lenienda, il 4° de reliquis animi perturbationibus, il 5°, continua Cicerone, eum locum complexus est qui totam phil osophiam maxime inlustrat, docet enim ad beate vivendum virtutem se ipsa esse contentam. Seguono i tre libri De natura deorum, importanti per le teorie metafisiche e teologiche degli Epicurei e degli Stoici. Un epicureo, Velloio, espone la teoria di Epicuro; Lucilio Balbo stoico la teologia degli Stoici; Aurelio Cotta acca¬ demico combatte gli uni e gli altri dal punto di vista delle dottrine probabiliste della nuova Accademia. Si connettono col De natura deorum i libri De divina- tione, nel 1° dei quali il fratello di Cicerone, Quinto, di¬ fende dal punto di vista stoico la verità della divinazione, e nel 2° F augure Marco Tullio Cicerone la combatte con una gragnuola di argomenti vivacissimi ; e così pure si connette agli stessi argomenti il libro De fato, che ci è pervenuto disgraziatamente con molte lacune, nel quale sono esposte molto sottilmente le quistioni intorno al de¬ stino e il modo confesso possa conciliarsi con la libertà umana: anche questa una delle controversie dibattute fra Stoici e Accademici. Ci sono poi degli scritti minori, Oato maior de senectute, Laelius de amicitia; anche i Paradoxa, scritti prima, nei quali Cicerone si diverte a sostenere in linguaggio ora¬ torio, come un avvocato, sei dei piu famosi paradossi stoici; e infine il grande trattato di morale pratica De officìis, in tre libri. La filosofia sociale e la teoria del diritto erano state trattate prima nei libri De republiea e in quelli De Legibus. Questi sono gli scritti filosofici di Cicerone, dei quali egli stesso dice in ima lettera ad Attico: àT:óypacpa sunt; minore labore fiunt; verba tantum afferò, quibus abundo: sono riproduzioni, derivano da fonti greche: le quali parole sono state prese da alcuni molto alla lettera, senza tener conto di quello che Cicerone ci ha messo di suo, oltre le parole latine, e senza badare a quest 7 altre parole sue (De fin. I, fi): non interpretum fungimnr munere, sed tuemur ea quae dieta sunt ab iis quos probamus, eisque nostrum iudicium et no¬ strum scribendi ordinem adiungimus. È noto il giudizio del Mommsen e di altri-: giornalista, dilettante, compilatore frettoloso e confusionario. Un altro tedesco, lo Ziegler, ha detto : il solo suo merito è di aver trovato parole e frasi latine per rivestirne i pensieri greci, un merito che può essere stato utile più che ai suoi con¬ temporanei, agli scolastici del medio evo e ai latinisti moderni. Questi giudizi non sono giusti, non corrispondono alla realtà. Cicerone non è un filosofo di professione: è un spirito colto, agile, curioso, che ha il gusto delle idee generali, e considera la filosofìa come una parte essenziale della cultura umana, importante soprattutto per la vita pratica. L’opera sua si può considerare o come contributo alla storia della filosofia anteriore, o per le dottrine e i risultati a cui egli è giunto. Come storico, Cicerone ha conosciuto direttamente e sin da giovane le dottrine più recenti: lo stoicismo, l’epicureismo, i nuovi Accademici fino a Filone ed Antioco : oltre a questi, ha letto certamente scritti di Aristotile (probabilmente quelli che si dissero essoterici, di carattere popolare) e di Teofrasto, conosce anche alcuni dialoghi di Platone, si è provato a tradurre il Timeo, co¬ nosce Senofonte, gli è familiare la figura di Socrate. Ora è un fatto che per tutto il periodo postaristotelico, Cicerone è una delle fonti secondarie più importanti per le preziose informazioni ch’egli ci dà sulle dottrine e le controversie di quel tempo : egli ha letto libri che noi non conosciamo più; e non sono nemmeno senza valore le indicazioni e notizie ch’egli ci dà, perchè le trova nei suoi libri, sulla filosofia anteriore ad Aristotile, anche sui presocratici. Cosicché, coi soli libri di Cicerone si può ricostruire, ed è stato fatto più volte, tutta una storia della filosofia antica fino a lui. Si dirà: non è una storia attendibile, non è una storia del tutto esatta: ha bisogno di essere controllata, commentata e corretta. Ma si può doman¬ dare: qual’è lo scrittore o doxografo antico di cui non si debba dire lo stesso, a cominciare da Aristotile e da Teofrasto, che pure erano filosofi di protessione, e scri¬ vendo di storia della filosofia ci hanno dato notizie e in¬ terpretazioni del pensiero altrui molte volte discutibili. Sarà sempre uno studio interessante il cercare le fonti di cui può essersi servito Cicerone e come se n’ è ser¬ vito: si potrà trovare che in qualche punto s’inganna, che può aver lavorato in fretta, che parafrasando o ac¬ corciando gli è accaduto di fraintendere in qualche punto la dottrina che espone: tutte cose su cui si può discu¬ tere caso per caso ; ma dal dire questo al dire sommaria¬ mente che non capiva niente di filosofia e non sapeva leggere i libri che aveva davanti, c’è una grande distanza. Come ha detto benissimo il Giussani, è diventata una specie di moda o di mania quella di parecchi critici di scoprire a ogni momento prove dell’ignoranza o della irriflessione di Cicerone. Piò volte invece accade che una più attenta considerazione può provare che chi non ha capito è il critico. Ma questa non è nemmeno la cosa più importante. Anche ammessi tutti gli errori parziali o di fatto che si attribuiscono a Cicerone, quello che non bisogna dimen¬ ticare è che le idee e le dottrine della filosofia antica andavano ripensate per poter essere dette in latino, e sono state ripensate e rielaborate da un cervello non sco¬ lastico, coltissimo, aperto, ch’era anche un grande scrit¬ tore, un maestro della parola, e si rivolgeva a un gran pubblico, non fatto per le disquisizioni sottili o le finezze di scuola. Questo ripensamento e questa trascrizione delle idee greche in un altro linguaggio non è il primo venuto che poteva farla. Non solo ai suoi concittadini e contemporanei, ma du¬ rante il Medio Evo, per quanto poteva essere conosciuto, e più specialmente dalla Rinascenza in poi, le opere di Cice¬ rone hanno reso all’umanità tutta quanta, alla cultura umana, un servizio immenso. « Le esposizioni delle dottrine antiche che noi possiamo ora trovare superficiali o anche in qualche punto inesatte, erano fatte con una grande chiarezza e in una forma at¬ traente. Per uomini che non potevano leggere, e che anche potendo non avrebbero capito Platone e Aristotile, che pure tutti citavano, Cicerone fu una guida preziosa. Lo stesso carattere eclettico della sua opera era un pregio di più : vi si trovava quello che gli antichi avevano pen¬ sato di più nobile, di più grande e di più accessibile. Si di¬ rebbe che Cicerone avesse preparato per gli uomini a cui la barbarie aveva impedito per più secoli di pensare, un nutrimento intellettuale eh’essi potessero assimilarsi, a dir così il succo della filosofìa antica; che li preparasse a com¬ prendere i filosofi greci quando fossero stati loro accessi¬ bili, e li preparasse infine a pensare da sè » ] ). Questo servizio, come interprete vivo, facile, eloquente, del pensiero antico, egli ha continuato a renderlo anche dopo il Rinascimento, continua a renderlo tutti i giorni, in tutte le scuole, dovunque s’impara a leggere e a pen¬ sare leggendo le sue opere. - Rimane a sapere qual’è il valore di Cicerone come filosofo, che cosa ha pensato lui, *) Queste parole sono del Picavet, nell’ Introduzione alla sua edizione, con note, del II libro De Natura deorum (Paris, Alcan)] ( qual’è e se c’è un contributo suo personale alla storia delle idee. 3. - Cicerone non è e non pretende di essere un filo¬ sofo originale. Sa di essere scolaro dei Greci e si trova davanti a dottrine discordanti, quando già nelle scuole greche stesse è cominciato quel processo di ravvicina¬ mento e di fusione che le porta a diventare eclettiche, ciascuna a modo suo. Qual’è l’atteggiamento ch’egli prende? Cicerone si professa accademico, dice di aderire alla teoria della conoscenza della nuova Accademia. Non già ch’egli creda suo compito il trattare ex professo di questi problemi, riflettendo per conto suo sulle condi¬ zioni e i limiti della conoscenza umana, come ha fatto Cameade; no, egli non ha di queste ambizioni; ma tro¬ vandosi davanti al contrasto delle sètte e delle opinioni su quistioni spesso sottili, su problemi difficili a decidere, l’attitudine più savia gli pare quella del dubbio pru¬ dente, raccomandato, com’egli crede coi suoi maestri, da Socrate e da Platone: egli non è scettico ma probabilista: è la dottrina o meglio la disposizione di spirito ch’egli chiama, meno arrogante, la più aliena dalle arroganze dogmatiche; ed è anche conforme alla sua abitudine di sostenere il prò e il contro di ciascuna causa, richiede agilità e versatilità di spirito, e si presta agli sviluppi ora¬ tori, mentre nello stesso tempo lo tiene in guardia dai paradossi stravaganti, e lo mantiene in contatto con le opinioni popolari. E infine diciamo pure eh’è un’attitu¬ dine conforme alla sua natura ondeggiante e diversa, al suo carattere spesso indeciso anche nella vita pratica. Ma intanto quest’adesione al probabilismo accademico gli ha giovato a mantenere lo spirito libero, a non farsi seguace di Una setta, a non giurare nelle parole di un maestro: Vipse dixit dei Pitagorici non gli piace: nos in diem vivimus : vuol conservare l’indipendenza del suo spi- rrito: la disciplina accademica non solo gli pare la meno arrogante, ma la più elegante e la più coerente, non nel senso eh’essa importi un sistema chiuso di dottrine che non si contradicono, ma nel senso eh’essa suppone una disposizione di spirito che, dando la sua adesione a ciò eh’è più verisimile, rimane sempre conseguente con se stessa: il che gli ha permesso di prendere quello che gli pareva buono in ciascun sistema, di libare tutte le dot¬ trine, di essere insomma l’interprete e il volgarizzatore dei grandi pensieri di tutte le scuole antiche. Questa disposizione di spirito, piuttosto che scettica, si potrebbe dire liberalo e non settaria, senza partito preso, e Cicerone la descrive con parole che meritano di essere ritenute : (De nat. deor. J, 12): « Noi non diciamo che non ci sia niente di vero, ma al vero è mescolato il falso, bisogna essere canti nel giudicare e nell’affermare : diciamo che ci sono molte cose probabili, le quali se pure non dànno scienza certa, generano una convinzione che basta a gui¬ dare l’uomo savio ». E in un luogo molto bello del libro II dei primi Accar- demici, al cap. 3° è detto: « Fra noi e coloro che credono di sapere la verità delle cose passa questo divario, ch’essi tengono per verissime le loro opinioni, mentre noi ab¬ biamo sì molte cose probabili da seguire, ma non ci atten¬ tiamo di spacciarle per certe. Così rimanendo assai più liberi e sciolti nel giudicare {inteff tu nobis est iiidicandi potestas ), nessuna necessità ci costringe a difendere delle dottrine prescritte e a dir così comandate ; mentre che gli altri si trovano incatenati ad alcune dottrine prima che sappiano quale sia la migliore: l e trascinati sin da giovinetti, nell’età più debole, da un amico autorevole* o . presi dal discorso di un maestro eloquente, giudicano di cose che non conoscono, e quasi fossero sbalzati dalla tempesta, s’attaccano come ad uno scoglio al primo si¬ stema di cui hanno sentito parlare : ad quameumque sant disciplinavi quasi tempestate delati, ad eam y tanquam ad saxum, adhaerescunt ». O come dice altrove (De nat. deor. I, 5): obesi plerumque iis qui discere volani, auctoritas eorum, qui se decere profitentur. Quest’attitudine di riserva prudente egli mantiene spe¬ cialmente nelle quistioni di fìsica, che del resto non sono di sua competenza, e sulle quali le opinioni sono tante e così discordanti. Latent ista omnia. Noi non conosciamo abbastanza nè il nostro corpo nè che cosa è l’anima, se è fuoco, aria o sangue, se è mortale o eterna: nam in utramque partem multa dicuntur. Non possiamo penetrare nè nel cielo nè dentro la terra. Tuttavia non crede che lo studio della fìsica debba essere messo da parte. L’esame e la.considerazione della natura sono una specie di nutri¬ mento (pabulum) per lo spirito. Diventiamo più grandi, ci solleviamo al di sopra di noi stessi, sdegniamo le cose umane tenendo l’occhio e la mente rivolti alle cose di¬ vine e celesti. La ricerca, anche nelle cose più oscure, ha una grande attrattiva e procura una voluttà umanissima. Ma da buon romano, nonostante quest’elevazione dello spirito, egli ha poco gusto per la speculazione pura: apprezza di più la scienza eli* è utile alla vita. E quanto più si avvicina allo studio dell’ uomo e ai problemi pratici della vita morale e sociale, egli sente il bisogno di affer¬ mazioni più decise. E tra il contrasto delle opinioni una sorgente o criterio di verità, o vogliamo dire di probabilità massima, gli si apre, ed è la coscienza naturale, quello che la coscienza comune e non falsificata di tutti gli uomini rivela a cia¬ scuno, e che trova la sua conferma nel comensus gentium. Egli ricorda il ‘conosci te stesso’ dell’oracolo e lo inter¬ preta in questo senso: tutta quanta la filosofìa è un com¬ mento, uno sviluppo della conoscenza di se stessi, di quello che la coscienza ci rivela. Gli Stoici e in un certo senso anche gli Epicurei avevano parlato di nozioni comuni, che si formano naturalmente in ogni coscienza. E Filone di Larissa deve avergli insegnato che ci sono delle nozioni evidenti, perspicue, impresse dalla natura nella mente e nell’animo di ciascun uomo. Egli trova che fra gli uomini nessuna gente è così fiera, così selvaggia che non abbia il concetto della divinità, anche se non sappia quale ne è la natura. Egli non ignora che anche qui le opinioni sono discordi, e conosce pure le difficoltà del problema; e se gli domandate, quid aut quale sit Deus, egli vi risponderà come Simonide, il quale interrogato su questa quistione dal tiranno Jerone, do¬ mandò un giorno per rifletterci su, e poi due e poi quattro, e finì col rispondere: quanto più ci penso, tanto mihi res videtur obscurior. Ma ciò nonostante non è una credenza arbitraria: Omni autem in re consensio omnium gentium lex na- turae putanda est. E oltre il consenso delle genti, è anche molto plausibile, il più plausibile fra tutti, 1’argomento delle cause finali, ricavato dall’ordine e dalla bellezza del mondo, ch’egli espone con molta eloquenza, quantunque non trovi sem¬ pre concludenti o del tutto convincenti le argomenta¬ zioni degli Stoici per provare la provvidenza e l’ottimismo, e che sono fatte più per rendere dubbia la cosa che per chiarirla. Ma insomma egli crede agli Dei, anzi a una divinità unica: è un’idea alla quale la mente degli uomini è naturalmente condotta. E lo stesso si può dire dell’anima umana, che dev’es¬ sere una natura singolare, diversa dagli altri elementi ter¬ restri che ci’sono più noti. i^Toi non possiamo vantarci di conoscere la natura dell’anima; ma gli elementi dei corpi che noi conosciamo, l’acqua, l’aria o il fuoco non potreb¬ bero spiegare la conoscenza, la memoria, la previsione dell’avvenire, le altre funzioni psichiche: e dalle opere di Cicerone si può ricavare un piccolo trattato di psico¬ logia, che non sarà quello degli scienziati moderni, ma che contiene delle descrizioni eccellenti, e sempre vere, dei principali fatti della coscienza, compresi gli affetti e le passioni umane, ricavate dall’osservazione interiore e dall’ esperienza della vita, seguendo anche in questo na¬ turalmente i suoi maestri, Platone e Panezio e Posidonio. Egli difende la libertà umana contro il fato degli Stoici, e crede anche nell’immortalità come una cosa infinita¬ mente probabile. Quod si in hoc erro, libenter erro. E nel Sogno di Scipione, dove sono descritte le sfere ce¬ lesti e la loro armonia, e la sede dei beati, è affermata con gli argomenti platonici l’immortalità delle anime umane. Soprattutto quello che la coscienza ci rivela è la legge morale, eh’ è una legge della ragione, la quale ragione è il privilegio dell’uomo sui bruti, l’attributo divino nel- l’uomo, e il legame che lo congiunge ai suoi simili. Così Cicerone crede di avere scoperto nella coscienza stessa del genere umano i fondamenti di cui ha bisogno per la sua dottrina morale. Opinionum enim commenta delet dies, naturae iudìcia confirmat. E ricordandosi dei dubbi accademici, egli scrive, avendo appunto in mente i pro¬ blemi morali, quelle parole così caratteristiche: perturba- tricem miteni harum omniam rerum Academiam liane reeentem exoremus ut sileat. È la dottrina ch’è stata chiamata del senso comune, ch’è riapparsa più volte nella storia della filosofìa. Ma l’interesse storico dell’eclettismo ciceroniano sta appunto in questo: che noi vediamo com’esso è nato. Quello che Cicerone presenta come rivelazione della coscienza comune è il pre¬ cipitato di tutta la speculazione greca anteriore, risultato di quella fusione che s’era venuta operando tra le ten¬ denze affini delle tre scuole derivate da Socrate: plato¬ nica, aristotelica e stoica, e che hanno per base la con¬ cezione teleologica, il valore cosmico e antropologico che attribuiscono alla ragione, e il pregio eminente in cui ten¬ gono la virtù come il massimo dei beni o la condizione essenziale della felicità. Rimane esclusa, come ho già avvertito, da questo pro¬ cesso di fusione la scuola epicurea con la sua concezione meccanica e con la sua formula pericolosa della voluttà, che si presta ai malintesi e agli eccessi. E nel fatto Cice¬ rone, indulgente e tollerante con tutte le scuole, combatte aspramente, fino all 1 ingiustizia, l’Epicureismo, trovandolo inconseguente in quello che può avere di buono, e pur avendo la più grande stima del carattere di Epicuro stesso e di alcuni degli Epicurei ch’egli ha personalmente co¬ nosciuto: io combatte anche, oltre che per tutte le altre ragioni, perchè l’Epicureismo non possiede secondo lui una base su cui fondare i doveri civili, che a lui stanno tanto a cuore. Ma tra tutte le altre scuole egli trova che le affinità sono maggiori e più importanti che le diffe¬ renze, e sceglie e adatta quello che gli pare più utile e più conveniente. E lo guida, oltre il talento straordinario dello scrittore e dell’oratore, un grande buon senso, una grande rettitudine, e un certo istinto generoso che lo porta verso ciò eh’ è nobile e grande. 1 _ E una volta eh’è sul terreno della morale, egli non si \ tiene sulle generali, ma costruisce in tutti i particolari un trattato di morale eh’è fino al giorno d’oggi un perfetto manuale dell’onest’uomo e del buon cittadino: il De of - Jiciis. Nel quale segue, come abbiamo detto, lo stoico Pa- / nezio, e inclina egli stesso verso lo stoicismo nel proda- ^ mare il pregio incomparabile della virtù : ma i paradossi stoici urtano il suo buon senso; ed egli tempera la dot¬ trina morale con la misura dei peripatetici, ricollegandola anche ad alcune delle speculazioni e delle speranze del Platonismo, come quella dell’immortalità. Proclama la virtù gratuita, disinteressata, e illustra la dottrina con esempi presi dalla storia romana, esempi di disinteresse, di forza d’animo, di disprezzo della morte, di fedeltà al dovere, di amore alla patria. Traduce il xaXóv dei Greci con l’honestum, e considera come parti dell’onesto le quattro virtù cardinali, su ciascuna delle quali dice cose sapienti, non dimenticando la beneficenza accanto alla giustizia, la charitas generis Immani, e non dimenti¬ cando i doveri del deco rum, di ciò eh’ è conveniente e della cortesia, il che rivela il buon gusto oltre che la coscienza delicata. È un trattato compiuto di morale individuale e sociale; e soprattutto le tesi sociali dello stoicismo egli si assimila esponendole con la magia e col fascino della sua eloquenza. Già nel De republica aveva esposto la teoria del go¬ verno misto, come il migliore dei governi, trovandone la conferma e l’applicazione nella vecchia costituzione ro¬ mana. E nel De legibus aveva esposto le basi lìlosofiche del diritto: su queste idee, attinte ai suoi maestri stoici, egli ritorna sempre. La vera legge è la diritta ragione, conforme alla natura, dappertutto diffusa, costante, eterna. £Ton ò altra in Atene e altra a Itoma. Ohi la rinnega rinnega la natura umana, rinnega se stesso. Questa legge eterna e immutabile è il fondamento di ogni diritto, la regola e la misura delle legislazioni umane. Essa stabi¬ lisce fra tutti gli uomini, che partecipano della ragione, una società naturale, una società di giustizia e di amore. Espressa da quest’oratore e uomo di Stato, la grande idea dell’umanità e del diritto umano esce dall’angustia delle scuole per entrare nel mondo della vita e della cul¬ tura, e agisce nei secoli a traverso tutta la storia T ). Ho accennato ai giudizi di alcuni tedeschi. Giustizia vuole che si dica che non tutti i tedeschi la pensano allo stesso modo. Uno di essi, 1’ Hiibner (Deutsche Rundschau, 1899), citato dal prof. Pasdèra nella Prelazione alla sua edizione del Sogno di Scipione, parlando dell’azione eser- *) Jankt et Séaillks, nini, de la Philosophie (Paris, Del agrave).] citata da Cicerone sulla cultura dei popoli dell’ Europa, dice: Pure ammettendo che la grande maggioranza delle persone colte non legga più gli scritti di Cicerone nè prenda esempio dalla bellezza della loro forma, certo non è perduta per l’umanità la profonda influenza eh’essi hanno esercitata sul pensiero e sulla parola di tanti spiriti illuminati, non è perduto il sentimento di nobilissima umanità che in essi vive. Il che vuol dire che Cicerone è stato e sarà sempre un grande educatore, del quale bisogna parlare con rispetto e con gratitudine. SENECA 1. La scuola dei Sestii - 2. Seneca, le sue qualità di mora¬ lista e di scrittore - 3. Le sue idee su la società, Dio e Tanima umana - 4. Seneca e S. Paolo. 1. - Dopo Cicerone, la filosofìa acquista a Roma una grande importanza tra le persone colte, diventando sempre più pratica e popolare. Cicerone scriveva alla vigilia delle ultime proscrizioni delle quali egli stesso doveva essere vittima, e nei suoi trattati c’era ancora l’eco delle dispute agitate nelle scuole greche; dopo di lui, terminate le lotte della vita pubblica, stabilito l’impero, la filosofìa risponde al bisogno di tutti quelli che vi cercavano un rifugio, una consolazione, dei principi salutari, una regola di con¬ dotta. Sotto Augusto cresce il numero dei suoi adepti: poeti e storici, giureconsulti e uomini di Stato se ne oc¬ cupano; Orazio stesso, che qualche volta deride i filosofi per i loro paradossi, è filosofo a modo suo, molto savio e di molto buon gusto, ora stoico ora epicureo, e fa spesso il suo esame di coscienza, ha delle preoccupazioni morali, maestro nell’arte di vivere. Nelle grandi famiglie i filosofi entrano come precettori, consiglieri e consolatori, hanno cura d’anime. Seneca ci parla di un condannato a_morte, che andando al luogo del supplizio, è accompagnato dal suo filosofo, prose- quebatur illum philosophus suus, col quale s’intrat¬ tiene dell J immortalità dell’anima. Quando Livia, la moglie di Augusto, perde il figlio Druso, essa si rimette per es¬ sere. consolata nelle mani di Areos, il filosofo di suo ma¬ rito: era il confessore, il confidente dell’uno e dell’altra. E c’è pure un insegnamento pubblico di filosofia, che da Cicerone a Seneca è rappresentato da un gruppo di uo¬ mini, i quali fecero l’educazione della gioventù d’allora. Sono innanzi tutto i due Sestii padre e tìglio. Quinto Sestio era un romano di buona famiglia, che al tempo della dittatura di Cesare andò a studiare filosofìa in Atene, e poi venne a professarla a Roma. Attorno a lui e a suo figlio si formò una scuola, la cosiddetta scuola dei Sestii, che ebbe un certo splendore, esercitò molta efficacia: essi lot¬ tano con energia contro i vizi del secolo, e mettono in uso certe pratiche inorali come l’esame di coscienza, una pratica già raccomandata dai pitagorici, i quali pare che i Sestii seguissero anche nell’astenersi dalle carni di animali. Altri professori illustri della stessa scuola furono So- zione di Alessandria, che s’avvicina ancora più al pita¬ gorismo insegnando la metempsicosi, Attalo stoico e Fa¬ biano Papirio, un declamatore del tempo di Augusto, che s’era fatta una grande riputazione nelle scuole, trattando quelle cause immaginarie su cui si esercitava allora' l’elo¬ quenza dei retori. Fu convertito da Quinto Sestio alla filo¬ sofìa, e continuò a declamare, a parlare pubblicamente di argomenti filosofici. L’insegnamento così non fu più limi¬ tato a un gruppo d’iniziati o di adepti, ma diventò una vera predicazione: la filosofia s ? indirizza alla folla, diventa eloquente, cerca di essere persuasiva ed efficace. Fabiano Papirio specialmente ebbe un grande successo: aveva una fìsonomia dolce, una maniera di parlare semplice e sobria: 10 ascoltavano con un’attenzione rispettosa; ma a volte V uditorio, colpito dalla grandezza delle idee, non poteva trattenere delle grida di ammirazione. Un altro che attirò l’attenzione della gioventù romana fu il cinico Demetrio, ille semimidus, cencioso, come lo chiama Seneca, con la stranezza delle sue maniere e la foga della sua parola, tutto energia e disprezzo del do¬ lore e della morte: riappariscono i Cinici, che sono come ' sempre l’esagerazione degli Stoici. Del resto, qualunque sia il nome che portino, tutti questi filosofi erano più o meno stoici. Non si trattava per loro di scoprire verità nuove, ma di applicare le grandi verità morali e le massime di condotta già fissate dagli antichi saggi. Come dice ancora Seneca, i rimedi dell’anima sono stati trovati prima di noi: non ci resta che cercare in che maniera e quando bisogna applicarli. La tristezza dei tempi e il dispotismo imperiale che di¬ venta sempre più pazzo e violento dànno, come ha detto 11 Boissier, un terribile, a propon allo stoicismo, il quale diventa una fede ardente, la religione delle anime libere: l’anima ha bisogno d’irrigidirsi nel sentimento della sua forza e della sua dignità in mezzo a quelle sventure e a quei pericoli che a ogni momento la minacciano. Per questo la filosofia ebbe l’onore di essere odiata da¬ gl’ imperatori : essa e la Storia erano, come dice Tacito, ingrata principiòus nomina. La filosofia ebbe i suoi devoti e ì suoi martiri, a cominciare da Catone, che rifiuta la vita cercando libertà, e venendo alle vittime di Nerone illustrate da Tacito, come tra gli altri, Trasea Peto, assi¬ stito negli ultimi suoi momenti dal cinico Demetrio; e poi lo stesso Seneca, sul quale dobbiamo fermarci ] ). 2. - L. Anneo Seneca, figlio di Seneca il retore e di Elvia, nacque a Cordova nell 7 anno 3 o 4 dell 7 e. v. Venuto a Roma col padre che non amava la filosofia, e avrebbe voluto farne un oratore, fu scolaro di quei moralisti della scuola dei Sestii, Sozione, Attalo, Fabiano Papirio, la cui maschia e severa dottrina fece sopra di lui la più viva impressione. Si fece conóscere per la sua eloquenza, entrò nella via degli onori, fu accolto e apprezzato nella più alta società di Roma. Sotto l’imperatore Claudio fu esi¬ liato in Corsica per gl’intrighi di Messalina; dopo otto anni è richiamato per opera di Agrippina che gli affida l’educazione del giovane Nerone. Del quale dunque fu precettore e poi ministro: caduto in disgrazia nel 62, morì nel 65 per ordine dell’imperatore. Mescolato agl’intrighi e ai delitti della corte imperiale che non seppe o non potè impedire, il suo carattere è Stato molto discusso, special- mente per le immense ricchezze eh’ egli possedeva, in gran parte donategli dall’imperatore, e per la parte che può avere avuto nell’assassinio ! di Agrippina per opera di Ne¬ rone, in nome del quale Seneca scrisse una lettera giu¬ stificativa al Senato, presentando la morte di Agrippina come un suicidio. Ma quali che possano essere state le J ) Cfr. Martha, Les moralistes souti l’empire romaìn; Boissier, La religion romaine d’Auguste aux Antonina; Havet, Le Cliristianisme et ses origines, * 2° voi.; il capitolo su Seneca del Pichon nella sua Hist. de la Lìti, latine (Hachette) ; o uno studio del prof. Pascal nel voi. Figure e caratteri (Sandron). sue debolezze, egli le riscattò da filosofo con una bella morte, eh’è raccontata da Tacito. Impeditogli di far te¬ stamento, diceva di lasciare agli amici l’immagine della sua vita. Non fu senza ambizione e senza vanità, e non uscì immacolato dalla vita, in quei tempi e in quella corte; ma non gii si può negare un certo entusiasmo sin¬ cero e l’aspirazione verso il bene. Le opere di Seneca che si riferiscono alla filosofìa sono i trattati morali: de provìdentia, de comtantia sapienti», de ira, de vita beata, de olio, de tranquillitate animi, de bre- vitate vitae, de elementia, de beneficiis; le Consolazioni ad Marciavi, ad Polybium, ad JSelviam matrem; le Lettere morali a Lucilio che sono 124, l’ultima, la più matura e la più importante delle opere di Seneca; e infine le Qui- stioni naturali, che trattano di argomenti di fisica, fecero testo e godettero di molta autorità durante il Medio Evo; ma vi si tratta anche di argomenti morali., Seneca si prolessa stoico, e degli scrittori latini è l’in¬ terprete più compiuto della dottrina stoica, di cui ripro¬ duce i dogmi con una certa enfasi, non scevra di decla¬ mazione e di retorica. Ma è eclettico anche lui e impara da tutte le scuole: Cita spesso anche Epicuro, verso il quale è più giusto degli nitri Stoici. Egli stesso confessa: Solco in aliena castra transire, non tanquam transfuga, sed tanquam explorator. La sua specialità è il genere monitorio e precettivo; e il suo capolavoro ò una raccolta di consigli e precetti morali a Lucilio, suo amico, un cavaliere romano ch’era procuratore in Sicilia, amministratore finanziario della provincia, e ch’egli guida e dirige da lontano coi suoi consigli. * E' 1 Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA 223 Seneca non ama la folla, non pensa al gran pubblico: Satis sunt mifii patiti, satis est unns, satis est nullws. La sua opera non è di un predicatore, ma di un di¬ rettore delle coscienze. Ed egli sa adattare il suo inse¬ gnamento secondo le persone e le circostanze. Aliter cum alio agendum: egli consola quelli che hanno bisogno di essere consolati, spinge all’azione le nature fiacche e molli, ridesta la forza di quelli che s’annoiano, predica il ritiro e la solitudine a quelli che amano troppo la vita mondana. E in quest’opera di moralista pratico egli porta una grande conoscenza della vita, l’esperienza di un uomo che conosce il mondo, la corte, le passioni, le inquietu¬ dini e i bisogni del cuore umano: sicché i suoi trattati e specialmente le sue lettere sono importanti non solo per le verità morali che contengono, ma anche come studio dei caratteri e delle passioni del suo tempo e di tutti i tempi. La sua psicologia è molto più raffinata di quella di Ci¬ cerone, e c’è in Ini una preoccupazione della vita inte¬ riore e della perfezione morale, in ciò che ha di più in¬ timo, che non c’è in Cicerone. Egli propone come un ideale di perfezione la virtù stoica, ma sa adattarsi alle circostanze, e consente quando occorre alle debolezze della natura umana: di qui le con¬ tradizioni che gli rimproverano, e che derivano dalle con¬ dizioni speciali in cui si esercita il suo insegnamento. S’aggiunga, per spiegare l’impressione che fa Seneca, l’efficacia di uno stile non senza artifizio, ma concettoso, sentenzioso, energico, a frasi spezzate e serrate, con qual¬ che cosa di brusco e di veemente. La grande frase, il periodo ciceroniano si spezza: ne prendono il posto dei periodi brevi, a scatti, con frequenti antitesi, e sentenze aguzzate e raffinate, piene di energia: anche questo un carattere che lo ravvicina al gusto di noi moderni. La morale di Seneca, guardata nel suo insieme, è, come . quella di tutti gli Stoici, un’àpologìà perpetua della vo¬ lontà morale di fronte a tutto ciò che tende a limitarla e asservirla. La fortezza dì fronte agli attacchi della for¬ tuna, il disprezzo dei beni esterni, la serenità davanti alla morte, questi e gli altri temi abituali della predicazione stoica sono anche i suoi : egli ne rinfresca l’espressione col suo accento passionato e concitato, che dà a quelle massime forza e rilievo.Soprattutto non bisogna dimenticare quel sapore di at¬ tualità che, come abbiamo accennato, avevano le idee stoiche in quella condizione dei tempi e in bocca di Se¬ neca. Già questa attualità o riscontro nella realtà co¬ mincia ad essere un fatto anche con Cicerone. Il quale, quando scrive nelle Tusculane de eontemnenda morte o de tolerando dolore, non scrive di temi astratti e retorici, ma di pericoli imminenti, in tempi già diventati iniqui e tristissimi, tra gli orrori delle guerre civili e delle pro¬ scrizioni. Con l’impero, dopo Augusto, la situazione si aggrava, diventa intollerabile. In mezzo a quell’orgia, a quei delitti, a quella tirannide che non ha più niente di umano, la sola cosa che l’anima umana può salvare è la sua libertà e il sentimento della sua dignità. La filosofia compie l’ufficio suo predicando la forza della volontà, la purezza interiore, il disprezzo di tutto ciò che non di¬ pende da noi, il disprezzo della vita. He nasce una situa¬ zione violenta, che si riflette anche nello stile di questi scrittori, come ha osservato con molta finezza l’Havet. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melfi” - San Pietro Vernotico (BrSENECQuando noi leggiamo in Seneca e negli altri stoici che la povertà, V esilio, le torture, la morte stessa non sono nulla, noi diciamo eh’ essi declamano; e in un certo senso è vero; ma la loro declamazione è come imposta dalla situazione, è l’espressione esagerata di un sentimento legittimo e naturale. Essi declamano perchè sentono il bisogno di sii dare la forza brutale che dispone di tutte le maniere per far soffrire. In quella declamazione non tutto è effetto dei vizi letterari del secolo, c J è anche qualche cosa di sincero. Il filosofo è portato a prendere un tono veemente: la sua enfasi, le sue ripetizioni insi¬ stenti, il gesto concitato che sembra accompagnare la pa¬ rola, sono altrettante proteste di una coscienza che la forza vorrebbe far tacere, e che non tace, ma ha bisogno di gridare per farsi ascoltare. 3. - È di Seneca la sentenza che dice : Non scftolae sed vitae diwimus. Salvo che questo motto non va inteso nel senso ' utilitario in cui oggi è così spesso ripetuto. Nemmeno Epicuro lo avrebbe inteso in questo senso. Quando i moralisti antichi dicono di voler insegnare a vivere, hanno in mira la salute e la perfezione dell’anima, non gli agi, le comodità, l’apprendi mento delle arti utili alla vita: la sola arte eh 7 essi insegnano è l’arte stessa di vivere: artifex rivendi, come dice Seneca del saggio. Un’altra conseguenza di quella situazione che abbiamo detto è che le differenze esterne fra gli uomini spariscono. Nella servitù comune, nella quale tutti gemono e temono in quelle vicende inopinate della fortuna, i grandi non hanno più ragione di disprezzare le miserie dei piccoli, nè gli uomini liberi quelle degli schiavi. In Seneca le grandi tesi sociali e umanitarie dello stoi¬ cismo sono riprese con un nuovo accento, più forte e più intimo. Egli vede negli schiavi degli amici di condizione inferiore, humiles amici; sono degli schiavi, ma sono degli uomini: imo homines. Egli condanna i giochi dei gladiatori, che Cicerone, quantunque non li amasse, giustificava ancora come una scuola di coraggio per fortificare l’animo degli spettatori contro il dolore e la morte, quando quelli che si vede¬ vano combattere erano dei malfattori. Seneca non li può soffrire sotto alcun pretesto, non vuole che s’insegni al popolo la crudeltà: quest’uomo è un brigante, merita di essere punito; ma tu, disgraziato, che hai fatto per es¬ sere condannato a questo spettacolo? E in quest’ordine d’idee trova la meravigliosa espres¬ sione: homo res sacra homini; e condanna pure la guerra, dicendo che la natura ha fatto l’uomo per la dolcezza (mitissinutm genus), dimenticando forse che ci sono delle guerre giuste e anche pietose, quando bisogna difendersi dai briganti e dagli assassini. E celebra con parole che hanno del mistico la solida¬ rietà umana e i suoi dovevi: nell’ep. 95: membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit: di qui l’amore reciproco e ciò che ci rende socievoli: la giustizia e il diritto non hanno altro fondamento : è più miserabile il nuocere altrui che l’essere offeso: siano sempre pronte le mani a giovare, e abbiamo sempre nel cuore e nella bocca quel verso: Homo sum, nihil Immani a me alienum puto. E aggiunge: la società umana è come una vòlta che cadrebbe se le singole pietre non si sostenessero a vi¬ cenda. Esorta alla bontà, alla clemenza, al beneficare, al per¬ dono delle offese. Ubieumque homo est, ibi benefica locus est. Non desinemus opem ferve etiam inimicis. Alteri vivas oportet si vis Ubi vivere. Questa morale, che con la sua umanità e la sua mitezza si stacca sul fondo di quella tristezza di tempi crudeli e violenti, ha già un carattere e un’ispirazione religiosa. Questo caràttere religioso si accentua ancora di più in alcune delle idee che Seneca esprime intorno alla divi¬ nità, alle relazioni dell’uomo con Dio, e al destino del¬ l’anima umana. Anche per lui, come per tutti gli Stoici, il concetto di Dio oscilla tra il panteismo e il teismo. Quid est Deus? Mens universi. Quid est Deus ? quod vides totum et quod non vides totum. Ma nella sua opera di moralista consolatore e direttore delle cosciente egli non può a meno di met¬ tere in evidenza gli attributi personali della divinità, con¬ cepita non solo come ragione universale, ma coi suoi attributi morali di bontà, di clemenza, di sollecitudine per gli uomini. Nulla è nascosto a Dio, egli è presente agli animi nostri, vicino a noi: prope est a te Deus, tecum est, intus est. Sì, o Lucilio, egli continua^ nella lettera 4P, saeer intra nos spiritus sedei, malorum bonorumque nostr orimi ohservator et custos. Dio non si onora coi templi nè si rende propizio sol¬ levando in alto le mani supplichevoli, ma con la purezza del cuore e della vita : vis deos propiUare ? bonus esto. Satis illos coluit, quisquis imitatus est (Lett. 95). È dunque sulla virtù che si fonda questa relazione tra l’uomo e Dio, del quale è detto: patrium Deus habet adversus bonos viros animum, et illos fortiter amai. Un Dio cosiffatto non è una pura astrazione filosofica, ma è oggetto di adorazione religiosa : il rapporto religioso è un 1 rapporto intimo tra due persone, l’una delle quali si sente dipendente dall’ altra. Dio comunica con noi, ri¬ siede in noi, ci ama ed è amato da noi: colitur et amatur; e noi P invochiamo perchè, com’è detto altrove, da lui ci vengono le risoluzioni grandi e forti: ille dat constila ma¬ gnìfica et creda: c’ispira e ci sostiene: si direbbe che in que¬ ste parole è toccata o intraveduta la dottrina della grazia. Notevoli pure sono i concetti intorno all’uomo, alla natura e al destino dell’anima. L’uomo non ha ragione di vantarsi, di essere orgoglioso: idem semper de nobis pronuntiare débébvmus, malos esse nos, malos fuisse, invitus adieiam et fiutar os esse . Peccavimus omnes. E solo a traverso gli errori noi giungiamo alla virtù: anche il migliore fra noi ad innocentiam tamenpec¬ cando pervenit. E l’inìzio della salvazione è la conoscenza del peccato. Initium est salutis notitia peccati } una sentenza di Epicuro, che Seneca si appropria. La vita è una lotta, una milizia: c’è dentro dell’uomo una lotta continua tra la carne e lo spirito, tra il corpo, eh’è come un peso o una prigione, e lo spirito sacer et aeternus che aspira alla sua liberazione: gravi terrenoque detineor carcere. 1 Ohi mi libererà da questo corpo di morte?’ griderà S. Paolo. Nell’anima stessa c’è qualche cosa d’irrazionale: quel dualismo platonico che Posidonio aveva introdotto nella dottrina stoica, è conservato da Seneca, e n’è resa più acuta, più accentuata l’espressione: diventa il contrasto tra la carne e lo spirito, eh’è tanta parte della conce¬ zione cristiana. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA La vita è dunque una guerra continua. Nóbis militan- dum est, ed è un genere di milizia che non consente ri¬ poso. Bisogna essere vigilanti con se stessi, bisogna com¬ battere con le passioni, col dolore, col piacere, con la fortuna, con la povertà, col nostro proprio cuore: Proiice quaecumque cor tuiim laniant ; quae si aliter estrahi nequi- rent, cor ipsum cimi illis revellendum crai, parole energiche die ricordano quelle dell’Evangelo: se il tuo occhio de¬ stro ti scandalizza, strappalo e gettalo da te. Seneca ha il sentimento più vivace della miseria umana: Omnis vita supplicmm est. Per questo la morte è una li¬ berazione, e come il porto nel quale troviamo il rifugio dal mare agitato della vita. Dell’ immortalità Seneca non parla sempre allo stesso modo. Ipotesi, speranze, le opinioni diverse s’avvicendano nei suoi scritti. MS, non di rado, specialmente quando si rivolge ai suoi corrispondenti per consolarli della morte dei loro cari, egli prende un tono più affermativo. La morte è l’inizio, il giorno natale di una nuova esistenza. IMes iste quem tanquam extremum reformidas, aeterni na- talis est. Il corpo è un breve ospizio dell’anima: si dissi¬ peranno le caligini che circondano la nostra esistenza, la luce divina ci apparirà nella sua sorgente, e con essa la grande eterna pace. Si potrebbero moltiplicare le citazioni, ma basteranno. Sono queste idee che hanno fatto credere a una ispira¬ zione cristiana degli scritti di Seneca. Seneca saepe noster, diceva già Tertulliano. 4. - Qui bisogna sapere una cosa. Kel 61 d. 0., quattro anni prima della morte di Seneca, giungeva a Roma un piccolo ebreo, Paolo di Tarso in Ciiicia, il quale accusato e perseguitato da altri ebrei, si appellava, nella sua qua¬ lità di cittadino romano, dal giudizio delle autorità im¬ periali in Giudea, a quello dell’imperatore. Fu condotto davanti al prefetto del pretorio eli’era Burrus, amico e collega di Seneca come ministro di Nerone. Giudicato favorevolmente, l’apostolo fu lasciato libero o quasi libero durante due anni, dei quali profittò per diffondere la sua dottrina, e pare che facesse dei proseliti anche nel palazzo imperiale, fra gli schiavi o i liberti della casa di Nerone. Si disse per esempio che Atte, la gio¬ vane eh’ era stata amata da Nerone, e che poi abbando¬ nata fu la sola che ne cercasse il cadavere, quando egli fu obbligato ad uccidersi, per dargli sepoltura, fosse stata convertita al Cristianesimo. Atte, come sappiamo da Ta¬ cito, era personalmente conosciuta da Seneca. Bisogna aggiungere che anche prima della venuta a Poma, Paolo, accusato dagli ebrei di Corinto, s’era tro¬ vato a contatto con un proconsole romano, ch’era quel Gallione di cui parlano gli Atti degli Apostoli, e che si rifiutò di dare ascolto ai suoi accusatori, trattandosi di cose die non lo riguardavano (polemiche religiose tra Ebrei). Ora si dà il caso che questo Gallione era fratello di Seneca, e si chiamava così perchè adottato da un Gallio, di cui portava il nome: il suo nome di famiglia era Anneo Novatus, ed era fratello maggiore di Seneca. Fatto sta che a poco a poco si formò la leggenda che Seneca e S. Paolo si fossero conosciuti, anzi fossero diven¬ tati amici, e che l’apostolo avesse convertito il filosofo, e si fossero scambiate anche delle lettere, 14 delle quali sono giunte fino a noi: e in base a queste lettere S. Girolatno, nel quarto secolo, enumerando gli scrittori eccle¬ siastici dei primi secoli, vi mette anche Seneca. È una leggenda che ha avuto corso per tutto il Medio Evo, e anche alcuni moderni vi hanno creduto. I^a qui- stione è stata agitata più volte l ). Le conclusioni sono queste: La corrispondenza è certamente apocrifa, scritta in un latino che non è nè classico nè argenteo; e del resto è insignificante, e qualche volta buffa. Per es. c’ è una let¬ tera, la 7% nella quale Seneca informa il carissimo amico Paolo che l’imperatore è stato molto colpito dalla sua dottrina, e che sentendo leggere un certo esordio di Paolo sulla virtù, avrebbe detto: mi meraviglio come un uomo che ha ricevuto un’istruzione regolare possa avere di tali sentimenti. E nella stessa lettera gli scrive: lo Spi¬ rito Santo ti fa dire delle cose sublimi, ma appunto jier questo mi piacerebbe che avessi un po’ più cura della forma, ut maiestati earum rerum cuìtus sermonis non desti. E in un’altra lettera, da uomo soccorrevole, gli manda un libro de copia verborum. E non parliamo delle risposte di Paolo. Sono inezie da una parte e dall’altra. La cor¬ rispondenza è certamente una falsificazione, e anche poco abile. Rimane la quistione se Seneca e S. Paolo si sono co¬ nosciuti. E se per conoscersi s’intende il semplice fatto di vedersi, incontrarsi, scambiare qualche parola più o ] ) Si possono consultare un libro dolLAutìERTiN, Sénèque et S. Paul f e un articolo magistrale di Ferd. Bat.tr nella Zeitschr. f. wias. Tipologie, t. 1°, 1858, ristampato da Zeller in un voi. dì Abhandlungen del Baur (1875); e più brevemente quello che ne dice il Boissier nel libro che ho citato : La religion ro inaine.] meno insignificante o per ragioni di affari, non possiamo dire nè sì nè no, non ne sappiamo nulla. Quello che importa è che, anche dato e niente affatto concesso che Seneca abbia conosciuto o avvicinato l’apo¬ stolo, certamente non gli deve nulla nè per quello che riguarda le idee, nè le espressioni. E questo per le seguenti ragioni: ! 1° ed è la ragione più ovvia, le idee di Seneca sulla provvidenza, sulla natura dell’uomo, sulla vita morale si trovano già nelle opere sue anteriori a questa pretesa co¬ noscenza con S. Paolo ; 2° quando si leggono quelle idee, non come frasi staccate ma al loro luogo, in connessione con tutto il resto, fanno parte di un discorso nel quale Seneca con¬ tinua a professare le dottrine stoiche, alle quali ha sem¬ pre aderito; e non c’è nulla in quelle idee stesse di sapore cristiano o che sembrino tali, che non trovi il suo riscontro non solo nei vecchi stoici, ma in tutta la tradizione filo¬ sofica anteriore, in Platone, in Epicuro, in Cicerone; 3° e soprattutto, se Seneca e S. Paolo si fossero co¬ nosciuti e si fossero messi a discorrere di filosofia e di religione, non si sarebbero intesi affatto, in nessun modo, per la differenza radicale e insanabile che c’è tra i due modi di considerare il mondo e la vita. Già Seneca non avrebbe potuto comprendere nulla di tutta la parte storica e dogmatica del pensiero di Paolo, voglio dire di quei fatti e di quei dogmi che sono come i cardini del suo apostolato: il peccato di Adamo, la ve¬ nuta del Messia, la morte e la risurrezione di Cristo, la redenzione di tutti gli uomini fondata sulla fede in questo fatto della risurrezione: sono fatti così miracolosi, e interprelazioni di questi fatti così lontane, così aliene da una mente educata nel razionalismo greco-romano, che Seneca, quando pure non avesse sbarrato tanto d’occhi per la me¬ raviglia, non avrebbe potuto comprenderne nulla. Ma a parte questo, anche sul terreno limitato dell’Etica, j le due concezioni, quella di Paolo e quella di Seneca sono, .= nonostante le frasi analoghe, lontanissime 1’ una dall’altra. Seneca si riconnette a tutta la tradizione classica e pa¬ gana, che considera la virtù come una perfezione della natura, una conquista e un trionfo della ragione sugl’im-1 pulsi inferiori dell’uomo; e tiene fermo alla formula stoica: seguire la natura, che egli concepisce come qualche cosa di essenzialmente razionale. S. Paolo e con lui il Cristianesimo insegna la corruzione originaria, radicale, della volontà naturale dell’uomo, e in- . segna la rigenerazione possibile solamente per opera della ; grazia divina, che redime e rinnova la creatura, ricrean- dola a dir così dalla vita della carne alla vita dello spirito. Per Seneca come per gli altri Stoici la legge morale è % una semplice legge della ragione che s’identifica con la \ legge cosmica; per S. Paolo la legge è nel senso preciso della parola un comando, un imperativo, espressione della volontà divina; e il peccato non è la semplice distanza che separa la realtà empirica dall’ ideale morale, ma è sin dall’origine una ribellione al comando di Dio, della sola volontà che sia santa. L’autonomia e l’autarchia del saggio stoico non sono parole cristiane. La conseguenza è che il saggio stoico, l’ideale di Se¬ neca, manca della qualità propriamente cristiana, non è umile; può sentire più o meno la sua imperfezione finche quell’ideale non è raggiunto, ma non c’è propriamente abnegazione in lui, anzi egli pone il suo orgoglio nell’af¬ fermazione della sua volontà razionale, e in questo senso egli si sente simile a Dio. Il santo cristiano invece sa che nulla gli appartiene, non ha orgoglio, nega la sua volontà, la sente spezzata e ri-generata da una forza onnipotente, e si umilia pregando: fiat voluntas tua, eh’è qualche cosa di più della semplice rassegnazione stoica a quello che vuole o porta il fato. Ohi vuole misurare con un’occhiata sola tutto il con¬ trasto, guardi a queste parole di Seneca: non video, in- quam, quid hàbeat in terris Jupiter pulchrius, si convertere animum velit, quam ut spectet Catonem, iani partibus non se¬ mel fractis, stantem nihilominus inter ruinas publicas recium. Il saggio stoico con la sua forza d’ animo e la sua virtù eroica è glorificato in modo eh 7 è lo spettacolo più degno e più bello che Dio possa ammirare. E badiamo che Ca¬ tone è un suicida: perchè, come dice Seneca, ogni vena del tuo corpo è una via aperta alla libertà. Il suicidio, per un cristiano, è la ribellione più aperta alla volontà santa di Dio, e non c’è altra gloria che la gloria di Dio, e il fare la sua volontà si chiama dovere, obbedienza, morire a se stessi per essere partecipi della gloria di Dio e della vita eterna. Sono due concezioni diverse. Seneca non deve nulla a S. Paolo. Quello che c’è di vero è che l’accento religioso che prendono in lui le dottrine antiche è un indizio che segna* l’avvicinarsi dei tempi cristiani. Dopo Seneca, contemporaneo più giovane di lui, è da nominare Musonio Rufo, eli e nato a Volsinia (Bol- sena) nell’ Etruria, visse sotto Nerone e poi ancora sotto gl’imperatori Vespasiano e Tito. Dell’ ordine equestre, coltivò e insegnò la filosofia se¬ guendo le dottrine stoiche, come dice Tacito clie lo no¬ mina più volte. Fu un maestro tutto pratico, stimando inutile ogni scienza che non giovasse alla vita. Esortava alla filosofia uomini e donne, poiché la filosofìa non è altro per lui che la ricerca della xaXoxàyala pratica di ciò eh’è onesto, e senza la filosofia non si può conseguire la virtù. Anche il contadino dietro il suo aratro può filoso¬ fare in questo senso, e dare lezioni ed esempi di saggezza: faceva un elogio dell’agricoltura come un genere di vita più acconcio alla filosofia dei costumi corrotti della città. Il suo insegnamento e la vita intemerata gli dettero nome, e dovette esercitare una grande efficacia, se dobbiamo giudicare specialmente dal modo come lo ricorda Epitfeto clie fu suo scolaro; e basterà averlo ricordato anche noi, senza insistere sui frammenti e precetti particolari che ci sono stati conservati di lui. 2. - Il grande e più celebre rappresentante dello stoi¬ cismo nell’ epoca imperiale è Epitteto. Epitteto nacque a Hierapoli, nella Frigia, verso il 50 dell’e. v. Venne a Roma, dove passò la sua giovinezza, come schiavo di un Epafrodito, che fu probabilmente il liberto e favorito di Nerone dello stesso nome. Lo stesso nome di Epitteto non è in origine un nome proprio, ma vuol dire schiavo (!tuxt7]tq£). Era zoppo e, secondo un aned¬ doto celebre, per effetto dei maltrattamenti del suo pa¬ drone. Un giorno questi gli avrebbe messo la gamba in uno strumento di tortura. Bada, gli disse Epitteto, che finirai col rompermela. E siccome l’altro continuava e la gamba si ruppe di fatto, Epitteto si contentò di aggiun¬ gere: Te l’avevo detto. Questo tratto d’insensibilità stoica fu tanto ammirato, che più tardi Celso, l’avversario del Cristianesimo, apostrofava i cristiani : Forse che il vostro Cristo, nel suo supplizio, ha mai detto niente di così bello? Al che Origene, lo scrittore ecclesiastico che scrisse contro Celso, rispose: Nostro Signore non ha detto niente, e questo è anche più bello. Il giovane Epitteto, ancora schiavo, potè istruirsi e se¬ guire le lezioni di Musonio Rufo. Fatto libero, rimase a. Roma, tentando anche lui l’insegnamento o la predica¬ zione morale, finché non fu obbligato a lasciare la città quando l’imperatore Domiziano con un senatoconsulto del 94 d. C. fece cacciare i filosofi da Roma e dall’Italia. Epitteto allora si ritirò nell’Epiro, a Nicopoli, dove visse fin verso il 125, povero e senza famiglia, ma circondato da molti discepoli, e venerato per la santità della vita, come maximus più losophorum, secondo Aulo Geli io. Uno di quelli che lo udirono, e per più anni, fu Ar- riano di Nicomedia, lo storico, che fu il più attento e il più entusiasta dei discepoli. Arriano aveva scoperto di avere dei gusti e uno spirito affine a quello di Senofonte, volle essere un Senofonte redivivo, e, come l’altro, scrisse la sua Anabasi (di Alessandro), e i suoi Memoràbili: Epit- teto diventò il suo Socrate, e nei Discorsi o Dissertazioni di lui (Storpipoi o Xóyot) raccolti molto fedelmente da Ar¬ riano (in 8 libri, dei quali ce ne rimangono 4 e frammenti degli altri), la figura di Epitteto già vecchio rivive con. la vivacità del suo spirito e l’energia del suo carattere e del suo insegnamento. Più tardi, visto il successo delle lezioni di Epitteto, Arriano le condensò in un piccolo volume: è il famoso 1 Manuale di Epitteto ’, che nei tempi moderni comparve dapprima nella traduzione latina di Angelo Poliziano, nel 1493; il testo originale fu pubbli¬ cato nel 1528, a Venezia. Non ho bisogno di ricordare eh’ è stato tradotto in italiano dal Leopardi. Epitteto è anche lui un maestro tutto pratico: non è un pensatore che ricerchi o discuta i fondamenti teorici della dottrina che insegna: le ricerche sistematiche, le discussioni di scuola non sono il fatto suo. Egli vuole agire sulle coscienze, rinnovarle ed educarle. Seneca è uno spirito curioso e un letterato, che pure mirando a un fine pratico, ha coscienza della sua abilità di scrittore, e si compiace di aguzzare in forme ingegnose le sue mas¬ sime, le sue osservazioni, i suoi consigli. Epitteto non mira a brillare, non vuole applausi, non ha mai pensato  TO'*, C 1 1 " L 1 ^ y h  t,. :'yY £VsE S, àtàeXcpol  Un primo documento di quest’attività greco-ebraica è la traduzione greca della Bibbia, che si disse dei Settanta, perchè secondo una leggenda sarebbe stata fatta da 72 dotti mandati dal Sacerdote di Gerusalemme a Tolomeo Filadelfo, che voleva avere nella sua grande biblioteca i libri di Mosè tradotti in greco, e questi 72 traduttori, chiusi in tante camerette separate, senza po¬ ter comunicare fra loro, avrebbero tradotta da capo a fondo, come per un’ispirazione divina, tutta quanta la Bibbia. Il vero è che la traduzione rispondeva al bisogno della comunità ebrea di Alessandria di leggere il libro suo na¬ zionale nella lingua diventata oramai comune nella co¬ lonia. La maggior parte non leggevano nemmeno più l’ebraico. Questo libro si può considerare come il primo travasa- mento di idee giudaiche in un contenente ellenico 1 ), ed ebbe una grande efficacia sulla propagazione posteriore dell’Ebraismo e poi del Cristianesimo. Un ebreo di Ales¬ sandria, che in filosofia era peripatetico, Aristobulo, vis¬ suto tra il 181 e il 145 a. C., è ritenuto da molti il primo scrittore in cui apparirebbe una vera connessione di filo¬ sofemi greci con le idee e le tradizioni ebraiche. E influsso d’idee greche è stato pure notato in uno dei libri apocrifi del Vecchio Testamento, nel Libro della Sapienza di Saio- mone, che si crede composto da un ebreo alessandrino verso il 100 a. C. Ma il principale rappresentante di questa filosofia greco¬ ebraica è Filone ebreo.0 Castelli, Storia degli Ebrei (Firenze, Barbèra). ti.: Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) \ FILONE EBREO 265 2. - riione nacque in Alessandria fra il 30 e il 20 a. C. da una famiglia sacerdotale ch’era delle più ricche e rag¬ guardevoli fra gli Ebrei di quella città. Ebbe un’istruzione compiuta ellenica ed ebraica: consacrò tutta la vita agli studi teologici e filosofici, dedito alla vita contemplativa, ma senza trascurare i legami col suo popolo e i doveri che la sua posizione gl’imponeva. Doveva godere di una grande riputazione per la sua pietà, per la sua scienza e per la sua eloquenza. Verso il 40, già vecchio, fu messo a capo di un’ambasceria presso l’imperatore Caligola per chiedere la liberazione dei suoi correligionari di Ales¬ sandria dalle persecuzioni a cui erano fatti segno. Tornato ad Alessandria, scrisse egli stesso la relazione di questa ambasceria, e morì forse verso il 50. Scrisse in greco molte opere che ci rimangono. Alcuni degli scritti di Filone sono d’argomento storico e ci fanno conoscere quale fosse io stato della colonia giu¬ daica di Alessandria: gli altri sono per la maggior parte un commento filosofico ai libri mosaici. Filone dunque sta tra la scienza greca e la rivelazione. Per lui non si tratta di ricercare e scoprire la verità con la semplice attività della ragione: la verità è quella ri velata da Dio nei libri santi. D’altra parte Filone è anche uno spirito esercitato alla meditazione, grande studioso e ammiratore della scienza greca : ha un culto per Pla¬ tone: egli ritrova nei filosofi greci le verità rivelate dalla Bibbia, e legge la Bibbia a traverso i concetti della filo¬ sofìa, la vede in quella gran luce di verità creata dal pensiero greco. È naturale che la fusione di elementi così disparati e d’idee di così diversa provenienza non fosse possibile senza un certo sforzo, il quale importava due cose: una finzione e un metodo particolare 2 ). La finzione (in buona fede, s T intende) è che i filosofi greci come Pitagora, Eraclito, Platone, e anche i poeti più antichi come Omero, Esiodo, avessero avuto notizia dei libri di Mosè e attinto dunque alla sapienza ebraica: una finzione che si trova già in Aristobulo; ed era av¬ valorata da alcune falsificazioni: si attribuivano ai poeti mitici come Lino, Orfeo, dei versi di fattura posteriore. Il metodo è quello dell’interpretazione allegorica, non inventato da Pilone, applicato già prima di lui fra gli Ebrei alessandrini, e del quale anche gli Stoici gli davano l’esempio. Pilone distingue dapertutto un senso letterale e un senso spirituale o intelligibile, e ritiene il primo come simbolo del secondo; la relazione tra i due è quella che c’ è tra il corpo e V anima. Per esempio, Adamo è lo spirito (il vouc), e il Paradiso è 1’^epovtxòv xfjc; 4^/jA nel quale egli è messo per coltivare gli alberi, che sono le virtù; la creazione di Èva significa il nascere della sen¬ sibilità, e così via: quel metodo d’interpretazione alle¬ gorica che si può dire fantastico e non critico quanto si vuole, ma che ha contribuito a spiritualizzare le credenze e le idee. L’uomo ha cominciato col concepire Dio a sua imma¬ gine e somiglianza, attribuendogli occhi e mani e voce e passioni umane. A poco a poco il concetto del divino si spiritualizza. Per Filone, Dio non solo non ha forma nè attributi umani, ma è al di là di ogni determinazione, una realtà, ! ) Dkussen, Die Philo sophie der Griechen.] assolatamente trascendente, sia rispetto al mondo da cni è separato, sia rispetto alla nostra intelligenza alla quale è inaccessibile. Noi siamo certi della sua esistenza, ma non possiamo comprendere la sua essenza. Filone lo designa con la parola di cui si servivano gli Eleati e Platone: tò £v, l’Essere, o con l’espressione aristotelica: l’Essere in quanto essere; e trova il riscontro di questa denominazione in quello ch’egli stesso, Dio, dice di sè nell’-Z&odo; J5V/o sum qui sum: èyw eijxt Ó wv. Dio dunque è l’Essere universale, eterno, immutabile, semplice, libero, pago di se stesso, assolutamente trascen¬ dente e separato dal mondo. Ma d’altra parte egli rac¬ coglie in sè tutte lo perfezioni, e tutte le perfezioni delle cose create derivano unicamente da lui. Egli è la causa prima di tutte le cose create: riempie e comprende tutto. C’è una doppia esigenza in questa concezione: l’idea dell’assoluta trascendenza di Dio, e quella dell’assoluta dipendenza delle cose finite da Dio. Dio è uno, ma possiede forze infinite, mediante le quali crea e governa il mondo: le due principali di queste forze sono la bontà e la potenza, e l’ima e l’altra si uniscono nel Xóy oc, o ragione divina, eh’è come il pensiero di Dio prima della creazione, e che si manifesta poi in questa come la parola di Dio. Il lòyo- o la ragione cosmica di Eraclito e degli Stoici non è per Filone il primo principio del mondo, ma è a dir così il figlio primogenito di Dio, il suo verbo, l’intelli¬ genza divina stessa iu quanto personificata, qualche cosa che sta in mezzo tra la pura essenza di Dio e il mondo eh’ è creato da lui. Filone ha bisogno di potenze inter¬ mediarie per colmare l’abisso tra l’assoluta trascendenza di Dio e il mondo delle cose finite, e queste potenze in¬ termediarie sono rappresentate dal Logos, dalla parola di Dio. Quando un architetto costruisce una casa, ha in sè il suo piano, la sua idea. Il Logos di Filone comprende insè le idee, i modelli ideali delle cose, e insieme le forze generatrici e formatrici degli esseri: le idee platoniche e le ragioni seminali degli Stoici. È il Logos che divide in parti la massa di cui si compone il mondo, dà alle cose le proprietà che le costituiscono, determina i mari, le isole, i continenti, fìssa le specie dei viventi, stabilisce bordine nella diversità: compie l’ufficio o gli uffici della ragione come rivelazione di Dio e della sua provvidenza nel mondo. Filone tiene fermo al dogma della creazione, ma for¬ mula la sua fede servendosi dei concetti della filosofia greca: in questa mescolanza, in questo ripensamento delle idee greche in una nuova atmosfera spirituale sta l’in¬ teresse e l’importanza storica di Filone. E che cosa è l’uomo in questo sistema? Secondo la Scrittura Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza; e poi aggiunge che Dio formò l’uomo prendendo un pugno di terra, e soffiandovi sopra un soffio di vita, l’uomo fu fatto in anima vivente. Filone si domanda in quale misura e in che senso l’uomo è la creatura di Dio, e conclude dai due luoghi biblici che bisogna distinguere l’uomo celeste, ideale, creato da Dio a sua immagine, e l’uomo terrestre e sensibile. Il primo è un essere intelligibile, senza materia, nè uomo nè donna, è l’idea dell’uomo in quanto uomo, di natura incorrut¬ tibile; invece l’uomo terrestre, plasmato dal fango della terra, e non da Dio direttamente, ma dalle sue potenze o ministri, è di natura sensibile, materiale, naturalmente mortale, capace del bene, ma anche del male. L’uomo intelligibile è un riflesso diretto del Logos divino, quindi possiede tutte le virtù che lo fanno simile a Dio. L’uomo terrestre realizza solo in parte quest’idea, perchè l’ani¬ ma, partecipe dello spirito divino, si trova ad abitare in un corpo mortale, fatto di forze inferiori. Di qui la doppia natura dell’uomo: egli si trova come al confine dei due mondi, del mondo sensibile e del mondo intel¬ ligibile. Per esprimere questo concètto Pilone riproduce a modo suo la distinzione aristotelica dell’anima vegetativa, sen¬ sitiva e razionale; oppure la teoria stoica dello rnsOpa, che pure conservando nell’espressione la reminiscenza del suo significato materialista, si viene sempre più spi¬ ritualizzando: è lo spirito, il soffio divino nell’uomo; so¬ prattutto, si ricorda delle immagini platoniche che il corpo è come una prigione dell’anima. Quello che più importa a Filone è l’opposizione tra la parte irrazionale e quella razionale dell’uomo. Che cosa è l’uomo? Tutto per la sua origine divinò e il suo carattere razionale, nulla per la sua natura mortale e finita. Api>arisce come un’incomprensibile mescolanza di grandezza e di piccolezza, il più vicino a Dio, ma an¬ che capace di male, miserabile, mortale. Mentre tutte le piante rivolgono o dirizzano le loro corolle verso il sole, l’uomo può, pianta celeste nudrita di elementi divini, ele¬ varsi verso il cielo, ma questa sua libertà è come appe¬ santita dal peso del corpo. E qual’è dunque il compito e il destino dell’uomo? Il restaurare in sè l’immagine di Dio, il somigliare a lui, il seguire la natura, clie sono frasi platoniche e stoiche, ma con un nuovo significato. Pilone combatte gli Epicurei, e considera il piacere come il massimo impedimento alla vita divina; accetta la for¬ mula stoica del seguire la natura, e distingue le quattro virtù cardinali, che trova simboleggiate nei quattro fiumi del Paradiso; insegna non la sola metropatia ma l’apa¬ tia, è insomma l’ideale del saggio stoico, salvo che il seguire la natura diventa per lui obbedire alla volontà di¬ vina. La morale è aneli’essa rivelata: essa si trova tutta quanta nelle leggi generali è particolari che emanano da Dio. La virtù dell’uomo è un’ombra della volontà divina; e lungi dall’essere un Dio, il saggio riceve la virtù come un dono della grazia divina, e un dono sem¬ pre rinnovato. In quest’ Etica teologica le quattro virtù cardinali ri¬ cevono il loro compimento nelle virtù religiose, che sono la fede e la pietà; e la vita contemplativa, di cui fanno parte le virtù religiose, è superiore alla vita attiva, che consiste nella pratica delle virtù cardinali. E come l’anima, allontanandosi da Dio, s’è legata in questa vita dei sensi, così essa può ritornare a Dio ; e l’ultimo grado della perfezione umana è l’unione conDio, la deificatio, la visione estatica. L’ uomo può solle¬ varsi al di sopra dei sensi, al di sopra delle idee; e-poichè l’essenza di Dio è inconoscibile, così quest’unificazione con Dio non è possibile mediante la conoscenza razio¬ nale, ma avviene per la grazia di Dio che si comunica a noi, in una specie di rapimento eh’è in noi come il furore dei coribanti, dice Filone con frase platonica; e i limite della felicità, la più alta aspirazione dell’uomo è, mediante quest’estasi, il riposare in Dio: sv jaóvcj) Osm axf;vai. Questa è nei suoi tratti fondamentali la filosofìa di Fi¬ lone ebreo, eh’è in fondo anch’essa una filosofia eclettica, in quanto profitta di tutte le filosofie anteriori; ma è ca¬ ratterizzata specialmente dal suo carattere religioso e dalla mescolanza d’idee greche con idee o credenze ebraiche. Le stesse tendenze religiose e mistiche, che abbiamo visto in Filone ebreo, ritroviamo sul terreno greco in quel gruppo di filosofi che si sogliono denominare Neopitago¬ rici e Platonici eclettici più o meno pitagorizzanti, che si possono considerare anch’essi come precursori e prepara¬ tori del Neoplatonismo propriamente detto. L’antica scuola pitagorica, come un complesso di dot¬ trine, era estinta sin dal quarto secolo, al tempo di Ari¬ stotile; ma come forma e metodo di vita, che si diceva appunto vita pitagorica, come disciplina di pratiche morali pure e austere sanzionate da credenze religiose, il Pita¬ gorismo doveva aver conservato dei fedeli, tra i quali abbiamo già nominato i due Sestii ed altri. A cominciare dagli ultimi cinquantanni che precedono Péra cristiana e poi nei due o tre secoli che seguono, il Pi¬ tagorismo rinasce e si diffonde: non solo si cercano i libri degli antichi pitagorici, ma se ne scrivono anche degli altri,-che si attribuiscono a Pitagora stesso o ai suoi se-Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i” - San Pietro Vernotico (Br) guaci: tutta una letteratura apocrifa, come i Versi d'oro di Pitagora, che sono una serie di precetti morali, il trattato di Timeo di Locri a\\WAnima del mondo, quello di Ocello Lucano sulla Natura del tutto, in parte, se non interamente, i libri attribuiti a Filolao e ad Archita di Taranto, anche ad alcune donne pitagoriche, come la famosa Theano e altre, perchè una delle specialità dei Pitagorici era di avere un grande rispetto della donna. Sono opere dovute a falsari di buona fede, i quali ri- spondendo ai bisogni del tempo, senza nessuno scrupolo critico, e attingendo a tutte le filosofie contemporanee o anteriori, davano una filosofìa completa, delle idee intorno a Dio, il mondo, 1’ uomo, la società, la virtù, mettendo queste idee sotto il patrocinio di un nome illustre e au¬ torevole: il bisogno di appoggiarsi a un’autorità vene¬ rata era uno dei bisogni del tempo. La stessa leggenda di Pitagora si compie in questo tempo, si arricchisce di nuovi tratti meravigliosi: la sua vita diventa un mito. JB oltre poi alle opere apocrife, ce ne furono delle altre pubblicate dai loro autori coi loro veri nomi, e che sono appunto i Neopitagorici. Si possono e si sogliono citare come rappresentanti di questo indirizzo un Nigidio Fi- gulo, eh’è nominato da Cicerone come rinnovatore del Pitagorismo in Alessandria verso il 50 a. C., Sozione, sco¬ laro dei Sestii, che abbiamo pure nominato, poi più spe¬ cialmente Apollonio di Tiana, Moderato di Gades, e M- comaco di Gerasa sotto gli Antonini. La figura più importante e caratteristica che possiamo prendere come rappresentante di tutto questo indirizzo è Apollonio di Tiana, nella Cappadocia, il quale nacque sotto Augusto e visse fino agli ultimi anni del primo secolo dell’e. v., e la cui efficacia si estende molto al di là del tempo in cui visse. Più di un secolo dopo la sua morte, nei primi decenni del 200, ne scrisse la vita un sofista di quel tempo, Fi¬ lostrato di Lemno, in una specie di romanzo che vorrebbe essere storico, a richiesta dell’imperatrice Giulia Doinna, moglie di Settimio Severo, la quale era una bella donna, originaria della Siria, ambiziosa e colta, che non solo fa¬ ceva, occorrendo, della politica, ma aveva il gusto delle lettere e della filosofìa, e raccoglieva alla sua corte un circolo di persone istruite più o meno illustri. In questo libro Apollonio è presentato come un tipo di perfezione morale e religiosa, secondo i precetti della filosofìa pitagorica, come un essere più che umano, non filosofo solamente, ma qualche cosa di mezzo tra la na¬ tura umana e la natura divina. Ha una nascita meravi¬ gliosa e fa anche dei miracoli. Cosicché è difficile, da questa vita dì Filostrato, sceverare la parte storica dalla leggenda, quello eh’è stato realmente Apollonio da quello ch’è diventato nell’immaginazione dei suoi ammiratori. Ce lo possiamo raffigurare come una specie di riforma¬ tore morale e religioso che, dopo essersi istruito nella filo¬ sofia e avere accettato quella di Pitagora o che passava per pitagorica, esercita un apostolato predicando la co¬ noscenza del vero Dio e il culto che gli è dovuto. In un frammento di lui che ci è conservato da Eusebio, egli dice: « Per onorare degnamente la divinità e render¬ sela propizia e benevola, non giova, al Dio che diciamo primo e ch’è uno e separato da tutte le cose, offrir sacrifizi nè accendere fuoco nè in generale consacrare alcuna cosa sensibile; giacché egli non ha bisogno di nulla, e non c’è pianta che la terra produce nè animale eh’essa o l’aria alimenta, che non sia inquinato di qualche macchia. Quelloche dobbiamo offrirgli è il meglio di noi, il discorso della mente, non le parole che escono dalla bocca, ma invocare da lui, eh’è il migliore degli esseri, il nostro bene con quello che abbiamo di meglio in noi, lo spirito, il pen¬ siero (il vo0$), che non ha bisogno di un organo con cui rivelarsi Al di sotto di questo Dio primo ve n’ ha degl’ inferiori o secondari, primo dei quali è il sole, la più pura mani¬ festazione visibile del divino. L’uomo è d’essenza divina e può per la saggezza elevarsi fino a Dio. La sua anima è immortale, anzi eterna: essa passa da un corpo in un altro, ma in ogni corpo è in prigione, incatenata ai sensi e agl’impulsi disordinati, da cui la filosofìa ha per oggetto di liberarlo. Bisogna conoscere moralmente se stessi per arrivare alla virtù e alla saggezza. Colui che pratica tutte le virtù, che conserva la sua vita interamente pura, e sa adorare Dio con adorazione vera, s’avvicina sempre più a Dio, diventa partecipe del divino. Ora è qui che comincia a lavorare la leggenda: questa dottrina non è solamente insegnata, ma è vissuta da Apol¬ lonio, nella biografia che ne scrive Filostrato: egli stesso è l’uomo divino, la personificazione vivente della perfe¬ zione spirituale e della potenza a cui può giungere l’uomo. Gli abitanti del paese di Tiana, dov’egli è nato, pre¬ tendono ch’egli è figlio di Giove; Filostrato non lo crede, ma afferma che venne al mondo in condizioni straordi¬ narie, dopo che sua madre ebbe appreso in sogno che portava il dio Proteo, il dio dellà divinazione, in persona. Dopo avere abbracciata la vita pitagorica ed essersi formato nel silenzio per cinque anni, viaggia per il mondo, in Oriente, in Grecia, a Roma, in Egitto, in tutti i paesi allora conosciuti, conversa coi sapienti di tutti i paesi, istruendosi e ammaestrando gli altri, preceduto da una gran fama e facendo delle cose maravigliose. A Efeso ferma la peste facendo lapidare un vecchio mendicante, il quale difatti non è altro che un demone camuffato, nel quale s’era incarnato il flagello. Ad Ales¬ sandria riconosce istantaneamente in un corteo di con¬ dannati a morte un innocente. A Efeso pure egli sa e annunzia la morte di Domiziano nel momento in cui que¬ sto è colpito a Roma: un bel caso di telepatia. Non solo sa delle cose sconosciute a tutti gii altri uo¬ mini, ma dispone di un vero potere sugli elementi della natura: sulle rive dell’Ellesponto ferma i terremoti. Parla tutte le lingue senza averle imparate, scaccia i demoni, si trasporta istantaneamente a grandi distanze, s’intrat¬ tiene con le ombre degli eroi, fa cadere i suoi ferri in prigione col solo prestigio della sua volontà, richiama in vita una ragazza che passava per morta. A Corinto, apre gli occhi di uno dei suoi discepoli perdutamente innamo¬ rato di una donna molto bella e ricca in apparenza, ma ch’era in realtà una lamia, uno di quei cattivi demoni femminili che si fanno amare dai giovani per poterli di¬ vorare a loro piacere. E non già ch’egli sia un mago, uno stregone, che operi prodigi grazie all’intervento di spiriti maligni; no, Filo¬ strato si dà una gran pena per escludere questa interpre¬ tazione. Apollonio fa dei miracoli in virtù della sua scienza superiore e della sua cola unione con gli Dei; e per ar¬ rivare fino a questo punto quello che occorre è una virtù austera, un’estrema purezza di costumi e l’osservazione di una disciplina rigorosa. Così egli ha la conoscenza delle cose più nascoste all’uomo, predice l’avvenire, e opera dei miracoli. La sua carriera si termina aneli’essa in modo meravi¬ glioso. La leggenda più diffusa intorno alla sua morte racconta che, essendo andato a Creta vecchissimo, entrò nel tempio di Diana e non ne uscì più. Si sentirono come delle voci di fanciulle che cantavano nell’aria: lasciò la terra, salì al cielo. Dopo la sua morte, la città di Tiana gli rese onori divini, e la venerazione di tutto il mondo pagano attestò l’impressione lasciata negli spiriti dal pas¬ saggio di quest’essere soprannaturale, che faceva dire ai suoi contemporanei: Un Dio abita fra noi J ). Questo carattere meraviglioso della vita di Apollonio ha fatto credere che fosse intenzione di Filostrato e della sua ispiratrice di opporre una specie di Cristo pagano a quello della Chiesa nascente, che guadagnava sempre più adoratori. Per combattere il prestigio che la storia e l’in¬ segnamento di Gesù esercitavano di giorno in giorno non solo sulla folla, ma in tutte le classi della società, avreb¬ bero pensato di suscitargli contro un rivale in un saggiopagano, che non solo operava miracoli come l’altro, ma che professava una dottrina attinta alle più pure fonti della scienza ellenica. Ora la più parte dei critici non credono a questa in¬ tenzione o tendenza del romanzo, nel quale non si allude affatto e non si può dire che ci sia uno spirito ostile al Cristianesimo. Il romanzo è piuttosto interessante innanzi q Cfr. .1. Réville, La veli gioii (ì Home som ìes Sé vèr eh, Paris, Levous.] tatto per il fatto stésso che, alla distanza di poco più di un secolo, la vita di un filosofo neopitagorico come Apol¬ lonio sia potuta diventare materia di una leggenda co¬ siffatta: è un documento interessante non solo di quel- V atmosfera meravigliosa e della credulità in cui si svolgeva la lotta delle religioni; ma soprattutto di quella religiosità spirituale che tendeva a purificare e moralizzare il pa¬ ganesimo, e del bisogno che si sente di presentare l’ideale \ religioso come incarnato in una figura concreta, santa e beila di quell’ideale stesso, e operatrice di miracoli, per¬ chè avesse più presa sulle coscienze e la forza di comu¬ nicarsi. Il saggio stoico o quello di Epicuro sono costru¬ zioni razionali che non bastano più: occorre la figura vivente e reale dell’ uomo che s’india, che rappresenta la natura umana divinizzata. A questo bisogno, a quest’aspirazione religiosa delle anime, rispondono ora le figure di Pitagora e di Apol¬ lonio. Del quale sappiamo anche che scrisse una Vita di Pitagora. L’uno e l’altro sono uomini divini, modelli di vita pura e santa, nei quali la verità si è rivelata, i Quando poi questi Neopitagorici cercano di formulare filosoficamente le loro credenze e le loro massime etico religiose, essi mescolano alle idee pitagoriche concetti ela¬ borati dalla filosofia posteriore, platonici, aristotelici, stoici : di qui il carattere eclettico e recente della loro specula¬ zione, e per cui è facile riconoscere quelle falsificazioni della letteratura apocrifa che abbiamo detto. L’idea fondamentale è l’opposizione tra Dio e il mondo: Dio è l’uno, la monade primitiva: il mondo è rappresen¬ tato dal due, dalla dualità indeterminata, è il molteplice. Ma siccome nel mondo tutto è ordinato con numero e mitilira, esso si può dire l’attuazione d’idee, che sono pen¬ sieri della mente divina, che s’identificano aneli’esse coi numeri; e poiché Dio non può venire in contatto diretto col mondo, sorto realizzate da un essere intermedio, dal- l’anima del mondo in una materia preesistente, la quale pure talvolta resiste a questa penetrazione delle forme divine; ed è nella materia che bisogna cercare la causa delle imperfezioni e del male nel mondo. Questo dualismo si ripete, si ripercuote nell’uomo: l’anima ha bisogno di purificarsi con la vita santa, con le espiazioni, per ridiventare divina. È stato osservato che in/queste speculazioni ora è ac¬ centuato il concetto monistico del principio unico da cui tutto il resto sarebbe derivato; ora invece, e più spesso, prevale la concezione dualistica del principio divino e di una materia originaria. Il problema del male s’.è posto davanti alla coscienza religiosa e alla riflessione filosofica, e l’una e l’altra s’affaticano a risolverlo cercando di su¬ perare l’antitesi tra il divino e il suo contrario, tra il corpo o la materia e le aspirazioni superiori dell’anima. 2. - Il problema in fondo era nato con la distinzione pla¬ tonica tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile. E di tutte le autiche scuole nessuna doveva sentirsi più vicina all’ indirizzo neopitagorico della scuola platonica, per la ragione eccellente che Platone stesso aveva accolto nella sua dottrina elementi pitagorici, aveva finito col pitago- reggiare identificando le sue idee coi* numeri, e speculando su Dio e l’anima e la formazione del mondo materiale alla maniera dei pitagorici nel Timeo, il quale Timeo era quel Timeo di Locri pitagorico, da cui Platone fa esporre appunto la sua filosofia della natura nel dialogo che porta quel nome. Così è che V indirizzo dei Neopitagorici si può dire con¬ tinuato nel secondo secolo d. 0. da un gruppo di Platonici eclettici, tra i quali, senza citare altri nomi, possiamo ri¬ cordare due scrittori notissimi, Plutarco e Apuleio; e poi, per la sua importanza caratteristica, Numenio di Apamea, che ora è detto pitagorico ed ora platonico. Plutarco di Cheronea, che visse tra il 48 o 50 e il 120 o 24 dell’e. v., è Fautore celebre delle Vite parallele, che hanno educato tanta gente all* amore della virtù e del- l l eroismo, e poi di una quantità di opuscoli che si so¬ gliono designare col titolo complessivo di Opere morali. Egli è un poligrafo, moralista principalmente, anche nelle Vite, ma è curioso di tutto, erudito, istruttivo e piacevole: le sue opere sono una specie di enciclopedia, un reper¬ torio di notizie e d’idee su tutta l’antichità classica, che egli, venuto tardi, ammira in tutte le sue forme; e come ha celebrato nelle sue Vite la storia dei suo popolo e degli eroi antichi, così si assimila la scienza, la religione, la mo¬ rale dei padri, e se ne fa l’interprete ai contemporanei e ai secoli futuri. Uomo religiosissimo, ha nella sua patria e a Delfo fun¬ zioni sacerdotali. Ama la filosofia, e l’ha anche insegnata. Si dice platonico, e ammira Platone come il più grande dei filosofi, ma ha imparato anche da tutti gli altri; e da quel¬ l’uomo istruito che è, e non nella filosofia solamente, ha qualche volta la riserva prudente dei nuovi Accademici. Il che non gl’impedisce di avere non precisamente un sistema, ma una dottrina eh’è come il risultato di tutte le dottrine anteriori. La sua filosofia ha un intento essenzialmente morale e religioso: egli vuole mantenere e difendere la tradizione religiosa anche nei suoi miti e nelle sue pratiche, inter¬ pretandola secondo principi filosofici, in modo cioè che non faccia ostacolo a una concezione pura e degna della di¬ vinità. La filosofia è la rivelatrice e l’interprete del segreto sacro e divino che i miti contengono, togliendo le conce¬ zioni false e le menzogne che talvolta i poeti raccontano. Plutarco combatte l’ateismo, ma combatte pure la su¬ perstizione, quella ch’egli chiama 5esoi8ac|xovfa, la paura ser¬ vile degli Dei: invece la fiducia e la gioia accompagnano il vero culto eh’ è loro dovuto. Combatte gli Epicurei per il loro materialismo, ma com¬ batte anche gli Stoici, che col loro principio unico non possono rendere ragione del male nel mondo. E qui apparisce il platonico. Non è possibile, egli dice, porre il principio delle cose nè nei corpi senz’anima (ne¬ gli atomi) come fanno Democrito ed Epicuro, nè nella ragione formatrice di una materia senza qualità. Nel pri¬ mo caso non si capisce come vi possa essere bene, ordine, ragione nel mondo; nel secondo caso non si capisce come ci possa essere il male, il disordine. D’onde viene il male? Non dal bene, non da Dio cer¬ tamente. E nemmeno dalla materia, come molti pensano, perchè la materia per se stessa è assolutamente passiva, il sostrato indifferente di tutte le forme, non è nè buona nè cattiva. Per spiegare dunque la cosa, bisogna ammet¬ tere che come c’ è un’ anima del mondo che realizza le idee divine, ci sia anche una cattiva anima del mondo, un principio o potenza del male che esiste da tutta eter¬ nità col bene, il quale, benché superiore, non può mai annientare quella potenza eh’ è Y origine e la causa di tutto ciò clie v’ lia di disordine nel mondo, e rende conto della generazione del male. Il motivo di questa speculazione è eliminare, di fronte alla realtà del male, tutto ciò che può compromettere la purezza e la bontà di Dio, a costo di compromettere la sua onnipotenza. Di qui im J altra idea affine e connessa con questa. Dio è il principio del bene e governa il mondo con la sua provvidenza; ma questa provvidenza non si esercita di¬ lettamente da lui, ma per mezzo di esseri intermediari che sono tra Dio e il mondo. Al di sotto del Dio primo e supremo, realtà trascendente e inaccessibile, ci sono gli Dei celesti o visibili, e al di sotto di questi i demoni o genii o spiriti che vigilano e governano direttamente le azioni e le sorti degli uomini; e come ce ne sono dei buoni, ce ne sono anche dei cattivi, nei quali la natura divina apparisce inquinata e commista al male. Questa demonologia, clPè insegnata anche da Apuleio, ed è una delle credenze più diffuse in quest’età, serviva non solo a mantenere puro nella sua sublimità trascen¬ dente il concetto di Dio, ma anche a giustificare in qualche modo tutte le divinità pagane, e le funzioni loro attri¬ buite, e i riti e gli oracoli e tutte le altre parti del culto che vi erano connesse. E infine un’altra idea domina la speculazione religiosa di Plutarco, quella di trovare a traverso la diversità dei miti e delle credenze dei diversi popoli una verità fon¬ damentale. A quello eh’ è stato detto il sincretismo reli¬ gioso, il mescolarsi di tutte le religioni, ch’è caratteri¬ stico di questi secoli, corrisponde il sincretismo eclettico Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NUMENIO 283 dei filosofi, i quali aspirano a formulare la verità religiosa comune ai diversi .sistemi e alle diverse civiltà. Non ci sono, dice Plutarco, diversi Dei per diversi po¬ poli, non ci sono Dei barbari e Dei greci, Dei del nord e Dei del sud. Ma come il sole e la luna illuminano tutti gli uomini, come il cielo, la terra e il mare esistono per tutti, nonostante la diversità dei nomi con cui si desi¬ gnano, così vi ha una sola Intelligenza che regna nel mondo, una sola Provvidenza che lo governa, e sono le stesse potenze che agiscono dapertuttó; solo i nomi can¬ giano come le forme del culto; e i simboli che elevano lo spirito verso ciò eh’ è divino sono ora chiari ora oscuri. Idee affini e tendenze mistiche anche più pronunziate si ritrovano in Apuleio di Madaura, che anch’egli pro¬ fessa ed espone il platonismo, adattandolo ai bisogni teo¬ sofici del tempo. 3. - Ma di tutti questi filosofi eclettici del secondo se¬ colo quello che segna più nettamente il passaggio al Neo- platonismo è Numenio di Apamea: gli stessi Neoplato¬ nici lo considerano come il loro precursore immediato: lo leggono e lo commentano nella loro scuola. Secondo Numenio, che visse verso il IfiO, la vera dot¬ trina di Platone era identica a quella di Pitagora; e questa filosofia egli la trova d’accordo con quella dei saggi dei- fi Oriente, Bramani, Magi, Egiziani, Ebrei. Egli aveva in particolare la più viva ammirazione per Mose, nel quale trovava tutte le idee di Platone; di qui quel motto che ci è riferito di lui : Che cosa è altro Platone se non un Mosè che parla attico (atticizzante) ?, a quel modo come di Filone ebreo si diceva: o Filone platonizza o Platone fìlonizza. Numenio conosce certamente Filone e adopera lo stesso metodo d’interpretazione allegorica, e ha tendenze affini nella sua speculazione : cosicché qui il sincretismo è com¬ pleto: la tradizione orientale e occidentale si congiungono a produrre la nuova filosofìa. Dei libri di Numenio, uno dei quali s’intitolava intorno al Bene, ci rimangono dei frammenti interessanti conser¬ vatici da Eusebio, e che si possono vedere nel 3° volume del Mullach, Frammenta pliilosopliorum graecorum. Numenio si domanda: che cosa è l’essere, la vera realtà? Non i quattro elementi, nè i corpi composti da essi, che sono realtà mutevoli, cangianti, si trasformano, divengono sempre e non sono mai, come diceva Platone; e nemmeno la vera realtà si può cercarla nel sustrato materiale di tutti questi fenomeni sensibili, nella materia, la quale è qualche cosa d’indefinibile e d’irragionevole (àXoyo?). Per conoscere la vera realtà bisogna rivolgersi non al- 1’ esperienza sensibile, ma alla ragione. Per Numenio la realtà è ciò che è assolutamente, l’ Essere increato e che non sarà distrutto, l’Essere semplice e invariabile. Que¬ st’essere è incorporeo (cèawpaiov), ed è intelligibile (voyj-cóv), si può cogliere con la ragione solamente, non con la sen¬ sazione o con l’opinione, come le cose periture e finite. Con questo Numenio esprime la tendenza di tutto questo movimento d’idee: l’opposizione a ogni materialismo, non solo a quello degli Epicurei, ma anche a quello degli Stoici: il bisogno di concepire la realtà ultima come una realtà spirituale diversa e opposta a tutto ciò eh’ è cor¬ poreo. Da queste considerazioni metafisiche Numenio ricava la sua dottrina teologica. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) NUMENIOLa quale, per dire la cosa con tutta brevità, consiste in questo: nell’ammettere un Dio supremo inaccessibile, puro essere spirituale, senza connessione col mondo, eh’è pura agione ed è il Bene in se stesso; poi un Dio se¬ condo, il Demiurgo, eh’è l’ordinatore o l’architetto del mondo; e per ultimo un terzo Dio, eh’è il mondo stesso. Dato il concetto trascendente del puro Essere come 10 abbiamo definito, e eh’è il primo Dio, nasce la solita difficoltà: com’è possibile l’azione di Dio sul mondo. Come Filone unificava le idee e le potenze divine nel concetto del Logos, come gli altri platonici ponevano degli Dei o demoni intermediari tra Dio e il mondo, così Nn- menio statuisce al disotto del primo Dio un secondo eh’è 11 Demiurgo, distinguendo in certo modo quello che Pla¬ tone identificava: il Demiurgo era per Platone, a dir così, la funzione divina per rispetto al mondo. hTumenio ne fa un secondo essere divino, il quale partecipa della bontà del primo, e ne riceve i semi di tutte le cose che sono le Idee, ma trapianta questi semi nel mondo sensibile formando e ordinando il mondo. Sicché il Demiurgo ha una posizione intermedia : è come un pilota che, assiso al governo del mondo, ha sempre gli occhi fissi sul cielo e 1 gli astri, per assicurare l’armonia dell’ordine del mondo, che dirige mediante le Idee, ossia dunque ha sempre gli occhi fissi al primo Dio; ma d’altra parte, e appunto per la sua fuuzione causale e formatrice sul mondo, il suo sguardo e la sua azione è rivolta verso le cose sensibili, che ricevono da lui la loro persistenza, la loro vita, il loro ordine, le leggi dell’essere loro. E in quanto il mondo è fattura del Demiurgo, si può dire esso stesso un Dio. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br .TTJfcV^VF.286 NE OPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI Cosicché avremmo: il primo Dio eh’è il padre (icaxrjp), il secondo Dio eli’è il Demiurgo, l’artefice (mr]T%), e il terzo clP è il 7ioùj|i«, la fattura di Dio, il mondo in quanto formato da Dio. Questo è il cosiddetto triteismo che in¬ segna Numenio. ' Del quale un’altra dottrina caratteristica è che l’anima umana è duplice: un’anima razionale e un’anima non ra¬ zionale: queste due nature sono in lotta fra loro, come il bene e il male, e il male viene all’anima dalla materia,o dal suo contatto con la materia, e tutte le incorpora¬ zioni dell’anima sono considerate come un male. Si suppone la preesistenza e la trasmigrazione delle anime; 1’ unione dell’anima con un corpo terrestre è come la punizione di una colpa commessa in una vita ante¬ riore, prima della nascita in quel dato corpo. E l’aspira¬ zione suprema dell’anima razionale è la sua unione con Dio, la contemplazione o l’intuizione del vero Bene, Uno stato di beatitudine di cui possono godere solo quelli che allontanano la loro anima da ogni comunicazione col corpo e coi sensi. Cosicché avremmo qui, e con maggiore nettezza, for¬ mulate le idee e le esigenze di tutta questa speculazione da Filone in poi: la trascendenza del divino, un termino o più termini intermediari tra Dio e il mondo, la doppia natura dell’uomo o dell’anima, che da una parte è di Ori¬ gine divina, e dall’altra è rivolta verso la materia e le cose terrene; quindi il bisogno della purificazione e della liberazione per avvicinarsi a Dio e unirsi con Dio: idee e esigenze che troveranno la loro espressione più com¬ piuta nella filosofia dei Neoplatonici. La Filosofia greca finisce col sistema e la scuola (lei Neoplatonici. Fondatore del Neopfatonismo è ritenuto dagli antichi e dagli stessi Neo pi atonici Ammonio Sacca > alessandrino, che visse tra il 175 e il 240 d. C.; nato ed educato da genitori cristiani, sarebbe passato alla religione antica; e insegnò filosofìa in Alessandria. Non scrisse nulla, e non sappiamo niente di preciso sulle dottrine che pro¬ fessava: ci è riferito che secondo lui le dottrine di Platone e di Aristotile, nelle cose essenziali, concordavano, si po¬ tevano ridurre o fondere in una sola dottrina. La tendenza religiosa dell 7 uomo, oltre che l’ammirazione che ispirava, si può concludere dall’epiteto di 0£o5iBaxToc, a Deo doctus, che scrittori posteriori gli danno. Ebbe, molti scolari: si citano tra gli altri un Erennio, un Origene pagano che non è da confondere col teologo cristiano dello stesso nome, quantunque anche di questo è detto che passò per la scuola di Ammonio; poi il critico Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO e retore Longino a cui è stato attribuito (falsamente) il trattato Del sublime; ma sopraffatti importante fra gli scolari di Ammonio Sacca è Plotino. Questi tre scolari principali, Erennio, Origene e Plotino s’erano messi d’accordo di non pubblicare nulla degl’ in¬ segnamenti di Ammonio, probabilmente per non profa¬ narli divulgandoli; ma non essendo stati ai patti prima Erennio e poi Origene, anche Plotino si ritenne sciolto dalla sua parola, e così insomma egli è diventato per noi il rappresentante letterario, il vero organizzatore ed espo¬ sitore di quel sistema d’idee eh’è il Neoplatonismo. Quali che siano stati gl’insegnamenti di Ammonio, la filosofia neoplatonica è la filosofia di Plotino e poi dei suoi suc¬ cessori. 2. - Plotino era di Licopoli, nell’Egitto, e visse dal 204 (o 205) al 270. A 28 anni si diede alla filosofìa e udì più d’uno dei maestri eh’erano allora in Alessandria, senza rimanerne contento; ma quando un amico, al quale s’era confidato, lo condusse a sentire Ammonio, disse : è quello che cercavo; e rimase suo scolaro per 11 anni. Nel 243, desiderando conoscere nelle sue fonti la sag¬ gezza orientale dei Persiani e degl’indiani, accompagnò l’imperatore Gordiano nella sua spedizione contro la Persia; ma questa spedizione riuscì male; lo stesso impe¬ ratore vi fu ucciso ; Plotino potè appena salvarsi in An¬ tiochia, poi venne a stabilirsi a Poma nel 244 e vi rimase quasi fino all’ultimo della sua vita. Aperse una' scuola ' che Ìventò sempre più numerosa. Non tanto il talento della parola, quanto la profondità dei pensieri, la bontà del carattere, la purezza e semplicità della vita gli attiravano la simpatia e la venerazione. Era una natura mite e gentile, meditativo, tutto dedito all’insegnamento e allo studio. Diventava bello quando parlava, e specialmente quando disputava, con grande dolcezza: la sua intelli¬ genza sembrava brillare sul suo viso e illuminarlo. Do¬ vette esercitare una potente efficacia. Tra i sxioi ascolta¬ tori furono persone di riguardo, dei senatori e alcune donne distinte. Ci furono uomini e donne, che, vicino a morire, gli affidarono i loro figli d’ambo i sessi, con tutti i loro beni, come a un depositario o un tutore di cui si poteva avere fiducia: onde la sua casa era piena di gio¬ vanetti e di giovanotte. Egli guardava a tutto, adempiva a tutti i suoi obblighi, il che non lo distraeva punto dalle cose intellettuali, ch’erano la passione della sua vita. L’im¬ peratore Gallieno e sua moglie, l’imperatrice Saloniua, lo ebbero in grande favore, 27egli ultimi anni del filosofo fu ventilata pef un momento tra lui e l’imperatore l’idea di fondare nella Campania una città filosofica sul modello di quella di Platone, e che si sarebbe chiamata Platono- poli ; ma non se ne fece nulla. Le condizioni della sua salute peggiorata (soffriva di un’affezione cronica dello stomaco) lo decisero ad abbandonare Roma e a ritirarsi in una villa della Campania che fu messa a sua disposi¬ zione. Morì nel 270, a 66 anni, presso Minturno. Al me¬ dico, suo amico e discepolo, che venne a vederlo, Plotino morente avrebbe detto : Ti aspettavo, prima di riunire quello che v’ha di divino in noi al divino che è nell' uni¬ verso. Tutte queste cose si leggono nella Vita che ne scrisse il suo scolaro Porfirio, il quale comincia la sua biografia con queste parole: Il filosofo Plotino, vissuto ai nostri giorni, pareva si vergognasse di avere un corpo. Così pure egli non parlava mai della sua famiglia e della sua patria; e gli ripugnava di farsi fare un ritratto o un busto. Un giorno che Amelio (un altro degli scolari) lo pregava di lasciarsi ritrarre, Plotino gli disse: Non basta di portare quest’immagine nella quale la natura ci ba chiusi? Bi¬ sogna proprio trasmettere alla posterità l’immagine di questa immagine come un oggetto che valga la pena di essere guardato? Dobbiamo soprattutto a Porfirio se possiamo leggere Plotino. Il quale s’era contentato per molti anni dell’inse¬ gnamento orale, e solo a cinquantanni aveva cominciato a mettere, in iscritto le sue idee. Scriveva rapidamente, tutto assorbito dal suo pensiero, lungamente e intensa¬ mente meditato, senza curarsi molto dello stile e nemmeno dell’ortografia: non si rileggeva, anche per la vista debole che aveva. Verso la fine della sua vita affidò a Porfirio i suoi manoscritti con l’incarico di rivederli e ordinarli. Porfirio trovò eh’essi contenevano o se ne potevano rica¬ vare 54 trattati o capitoli, li distribuì in sei gruppi ciascuno di nove libri, e chiamò questa raccolta Enneadi, come chi dicesse Novene, sei Enneadi di nove libri ciascuna. Questa è l’origine dell 1 Enneadi di Plotino, il libro fon¬ damentale della speculazione neoplatonica, e uno dei te¬ sori della letteratura mistica di tutti i tempi. Fu tradotto in latino da FICINO (si veda). Il neo-platonismo è una filosofia essenzialmente reli¬ giosa; il motivo da cui è nata si può dire anzi mistico: l’aspirazione verso il divino, il bisogno dell’ anima di sol¬ levarsi dai limiti dell’esistenza finita, e di sentirsi una con l’essenza universale di tutte le cose. L’idea fonda- mentale e dominante della filosofia di Plotino è che tutte le cose esistono in Dio, emanano da lui e ritornano a lui; e questo non come una cosa solamente pensata, ma sen¬ tita e vissuta in tutte le fibre dell’anima, con uno sforzo persistente del pensiero di penetrare nei misteri di questa vita divina di se stessi e del mondo. Il punto di partenza e il presupposto di questa specu¬ lazione è la distinzione platonica tra le cose sensibili e la realtà intelligibile, la realtà delle idee. È una distinzione che può essere pensata in una ma¬ niera sobria, senza nulla di mistico. Tutti in fondo vi¬ viamo in un mondo ideale, nel mondo delle idee, quando parliamo di verità, di giustizia, di virtù, di bellezza; e il mondo tutto quanto, anche il mondo naturale, si può con¬ siderare come una realizzazione d’idee. Questo insegnava Platone e questo insegnava Aristotile. Ebbene, secondo Plotino, bisogna elevarsi ancora più in su. Le Idee sono una realtà derivata, non sono la prima realtà. Il principio di tutto ciò ch’esiste è l’Unità assoluta, ch’è al di là di ogni molteplicità e di ogni determinazione. Le cose che noi vediamo e che possiamo pensare sono molte, ma tutte queste cose non potrebbero esistere se non avessero la loro radice prima nell’Uno da cui pro¬ cedono e che le tiene insieme. L’unità è la condizione di ogni molteplicità non solo nei numeri, ma anche nel mondo dell’essere; senza un’unità suprema incondizio¬ nata nessuna cosa esisterebbe, e il mondo si risolverebbe in un caos senza consistenza e senz’ordine. Plotino chiama questo primo principio l’Uno, zb gv, nel senso che esclude ogni molteplicità, e gli nega pure ogni determinazione o attributo, perchè* definirlo in qualche modo sarebbe un limitarlo, farne una cosa piuttosto che un’ altra. Si può dire quello che non è, non quello che è: senza limiti, infinito, senza forma nè qualità. È una realtà asso¬ lutamente trascendente, rcàvawv, al di là di tutte le cose : una realtà a cui nessun concetto e nessuna pa¬ rola è adeguata. Questo lo diceva anche Filone ebreo, il quale però, edu¬ cato sulla Bibbia, non poteva a meno di concepire Dio come persona. Secondo Plotino, non si può attribuire a Dio, alla realtà prima e assoluta, nessuna delle proprietà della persona: nè il pensiero nè la volontà: il pensiero suppone la dua¬ lità di soggetto e oggetto e la molteplicità delle idee pen¬ sate; la volontà suppone un’attività rivolta a un fine: saremmo sempre nel campo delle realtà derivate, della molteplicità, della differenziazione. Ogni attributo dunque,) personale o non personale che sia, bisogna negarlo di lui.^ Ma insieme con questo esso è ciò che v’ha di supre¬ mamente reale e di supremamente positivo, giacche se noi affermiamo la sua trascendenza assoluta al di là di tutte le cose finite e di tutte le cose pensabili, non è per di¬ minuirne la realtà, ma unicamente perchè la pienezza del¬ l’essere non sarebbe compatibile con una limitazione o de¬ terminazione qualsiasi. / Si può dire solo di lui eh’è l’Uno, il Primo, potenza c (prima e causalità assoluta di tutte le cose; e anche si può ì \ dire eh’è il Bene, non come un attributo intrinseco a lui ' (come se fosse un essere buono), ma come il fine ultimo a cui tutte le cose tendono. È insomma l’Ineffabile. Un filosofo italiano *) (liceva: * : l’Innominabile Reale. E voleva dire: la vita, il mondo è j un grande mistero: tutte le cose elle noi vediamo e che I pensiamo accennano, sono l’indizio di una realtà suprema che ci supera, ci trascende : possiamo affermarla, non no¬ minarla. Questo è l’Uno di Plotino. Rimane a sapere come procedono gli effetti di questa causalità originaria. Bisogna escludere innanzi tutto ogni idea di divenire nel tempo, come se prima esistesse l’Uno e poi le altre cose ; no, non si tratta di raccontare una storia di eventi che si succedono ; e più specialmente non si può ammet¬ tere che le cose procedano dall’ Uno in seguito a un atto di volontà, a una decisione intenzionale, come se l’Uno fosse una persona che pensa e delibera : dunque niente creazione, nel senso ebraico e cristiano. E Plotino non ammette nemmeno con gli Stoici che la sostanza divina, come un fuoco sottilissimo, si comu¬ nichi alle cose derivate, permeandole come il miele che riempie di sò le celle dell’alveare : Dio non è una sostanza che si possa disperdere e spartire. Per esprimere la sua idea Plotino è obbligato a servirsi d’immagini.^ È per la sola necessità della sua natura che il primo juincipio dà origine alle cose derivate, si comunica ad esse. Come ogni essere vivente, giunto al suo punto di perfezione, ne genera un altro simile a sè, così la realtà suprema ne fa nascere delle altre simili benché inferiori. Dalla pienezza dell’ Uno si diffonde, straripa il flusso delle q Antonio Tari, professore di Estetica nell’ Università di Napoli. esistenze derivate. Esse procedono da lui, come la pianta germina dalla radice, come dal sole la sua luce. Questa è l’immagine più frequente e in un certo senso la più chiara. L’universo è la fulgurazione (TcepiXajjL^) dell’Uuo, della luce divina. Non è dunque nè creazione nè spartizione della so¬ stanza divina, ma emanazione, intendendo per emana¬ zione non una diffusione che diminuisca la sorgente da cui essa deriva, ma un comunicarsi di forza che pure ri¬ manendo integra in se stessa si comunica alle esistenze derivate. Le quali perciò sono pure manifestazioni dell’Infinito, emanazioni di lui, sono immanenti in lui, mai separate da esso, il quale ciò nonostante non si confonde con le cose, ma le trascende, è al di là di tutte le cose. Dio è dapertutto ed è l’attualità di tutto, senza essere in nessun posto e senza confondersi nè con ciascuna cosa finita nè con la loro totalità. Quando si parla di Panteismo, ordinariamente s’intende quella concezione che confonde o identifica Dio col mondo. Per Plotino Dio, l’Uno, rimane eternamente distinto dal mondo, e ciò nonostante il mondo è tutto pieno di Dio, è un’emanazione della sua luce, della forza divina da cui deriva: si potrebbe chiamare questo un Panteismo dina¬ mico o emanatistico. Prodotto dall’efficacia dell’Uno, il derivato ne è come la riproduzione indebolita, a dir così un’immagine o una copia, una luce più debole, un’ombra. E come l’immagine che riflette uno specchio sparisce quando s’allontana l’oggetto che la produce, così, senza l’efficacia persistente e continuata dell’Uno, le esistenze, derivate si dileguerebbero. Esse hanno in lui la loro con¬ sistenza, ma ogni nuova emanazione, pur partecipando del- l’Uno, è meno perfetta di lui ; le cose diventano via via meno perfette a misura che s’allontanano dalla causa prima e aumentano i termini intermediari: la luce proiet¬ tata dall’ Uno impallidisce via via fino a sembrare come dileguarsi nelle tenebre del non essere, della materia bruta. Si direbbe un’evoluzione a rovescio, non dalle forme meno perfette alle più perfette, ma al contrario, una de¬ gradazione progressiva del divino, un allontanarsi sempre più della luce dalla sua sorgente. E quali sono i gradi di questa emanazione 1 ? Prima e immediata emanazione dell’Uno è l’intelli¬ genza o il vou?, s’intende l’Intelligenza universale,, la Mente divina con le sue idee (il Logos che diceva Filone, e che anche per lui era il primogenito di Dio) : il mondo delle Idee dunque, le quali contengono le ragioni semi¬ nali di tutte le cose, terre, mari, fiumi, animali, piante, individui, cosi come possono esistere nella loro essenza, ab eterno: l’Uno, senza cessare di essere l’Uno, si è come enucleato in questa molteplicità delle Idee, che costitui¬ scono il mondo intelligibile insieme con la Mente che le pensa. E come dall’Uno emana l’Intelligenza o il voOg, così da questo emana il principio della Aita cosmica, l’Anima universale, l’Anima del mondo, che da una parte guarda alle Idee, e dall’altra come Natura le attua nello spazio e nel tempo generati da essa, le attua nel mondo sensi¬ bile; sicché l’Anima, come il secondo Dio di Numenio, è, si può dire, al confine dei due mondi, del mondo intelli¬ gibile di cni essa è l’ultima emanazione, e del mondo dei corpi che emana e eh’è formato da essa; e l’ultimo ter¬ mine di questa processione è la materia o il sustrato ma¬ teriale dei corpi, la materia senza forma, in cui la luce divina si estingue in qualche cosa di opaco e di oscuro. Cosicché avremmo come una gerarchia di esistenze che, in ordine inverso a quello che abbiamo detto, andrebbe dalla materia ai corpi che costituiscono la fantasmagoria del mondo sensibile, dai corpi all’Anima, dall’Anima al- l’Intelligenza o Ragione universale, dall’Intelligenza a Dio. Il mondo corporeo riceve la luce dall’Anima, l’Anima dall’Intelligenza o Ragione, questa dall’Uno: così tre sfere concentriche illuminate da un punto al centro, esso stesso invisibile agli occhi mortali, ma eh’è la sorgente prima e il focolare perenne della luce che illumina il mondo. 4. - L’Uno, l’Intelligenza e l’Anima costituiscono in¬ sieme il mondo intelligibile, da cui dipende il mondo sen¬ sibile; e sono dette con parola tecnica le tre ipostasi, le tre sostanze che nominate a una a una sembrano tre personificazioni: una trinità di principi che sono stati paragonati alle tre persone del dogma cristiano. C’è la differenza essenziale che nel mistero cristiano le tre per¬ sone sono uguali in perfezione e costituiscono tutte in¬ sieme l’unità di Dio: e in questa triplicità di un solo Essere sta appunto il mistero. In Plotino, i tre principi non sono persone, ma gradi della realtà: il mondo pro¬ cede direttamente dall’Anima e mediatamente dall’Intel¬ ligenza e dall’Uno. Ho già avvertito che bisogna esclu¬ dere da questo processo ogni idea di divenire nel tempo ; e così pure bisogna escludere ogni idea di spazio, come se si trattasse di un edifizio a tre piani, di cui il mondo Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 297 sensibile sarebbe come il pian terreno. No, sono tutte rap¬ presentazioni in adeguate. Si tratta invece di comprendere V universo, nella sua unità, come la manifestazione di un principio divino unico che si manifesta come Intelligenza e come Anima, come Intelligenza in quanto il mondo lia un contenuto razionale che sono le Idee che vi sono rea¬ lizzate, come Anima in quanto il mondo è il risultato di una forza generatrice e formatrice che distribuisce l’essere e la vita a tutte le cose che esistono; e così l’Intelligenza come l’Anima sono da considerare come l’irradiazione o l’efflorescenza di quell’Uno originario nel quale vivono e sussistono esse stesse e tutte le cose; e l’ultimo ter¬ mine di questa produzione, il polo estremo, a dir così, di questa degradazione progressiva dell’Uno è la materia, che non è più luce, ma ombra, oscurità, ma in quanto è materia animata e formata dalle potenze divine, è ombra di luce, ombra dell’Anima e della Mente di cui porta in sè impresse le tracce. Dopo questa veduta sommaria, fissiamo più particolar¬ mente la nostra attenzione su l’Anima, che, come dice¬ vamo, si trova al confine dei due mondi, del mondo in¬ telligibile e del mondo sensibile: li separa e li unisce partecipando di entrambi. In quanto emanazione o espressione dell’Intelligenza, l’Anima contempla in essa le-Idee, e sono queste Idee eh’essa attua, realizza nel mondo dei corpi. Si potrebbedire che ha una doppia funzione, una rispetto all’Intel¬ ligenza da cui riceve o riflette o rispecchia le Idee, l’altra rispetto al mondo dei fenomeni che si genera da essa, e nel quale essa imprime le Idee, che diventano così le forme o ragioni seminali delle cose. Per esprimere questa doppia funzione Plotino ne parla talvolta come fossero due anime, una superiore e l’altra inferiore, 1’Afrodite celeste e PAfrodite terrena, e quest’ultima è insomma la filatura (cpuaic;), eli’è dunque la stessa Anima cosmica come j principio della vita universale, come forza creatrice, la cui \ attività non rimane nella sua semplicità originaria : pur [essendo semplice e indivisibile in se stessa, la sua att¬ ività si moltiplica, si partisce, si unisce al mondo corporeo, allo stesso modo come l’anima umana al corpo umano ]ch’ essa vivifica in tutte le sue parti. Con questo però, ^che il corpo non è qualche cosa di estraneo, di diverso essenzialmente dall’Anima, ma è una sua produzione, si potrebbe dire una sua esteriorizzazione. Già è essa l’Anima (l’anima cosmica) che con la sua espansione genera lo spa¬ zio, e con l’azione successiva delle sue potenze genera il tempo ; e il corpo stesso è una produzione dell’Anima, un’emanazione umbratile di essa, ma è essa che lo illu¬ mina della sua luce. Di qui quell’espressione così carat¬ teristica in Plotino, che non è l’anima ch’è nel corpo, ma il corpo è nell’anima, il corpo è l’organo, lo strumento dell’anima, ed è tenuto insieme, animato, unificato dal¬ l’anima che lo produce e lo avviva tutto. Questo è vero non del corpo singolo solamente, ma di tutto l’universo. Tutto quanto l’Universo è spiritualizzato in questa veduta: il mondo dei corpi è un’ombra o ri¬ flesso dello Spirito, non è fuori dell’Anima, ma un pro¬ dotto dell’Anima e quindi dell’Intelligenza e dell’Uno divino di cui essa è ministra. Per questa, a dir cosi, inci¬ denza del mondo corporeo nelle potenze spirituali da cui si genera, tutto nella natura è animato: tutto è pene¬ trato d’intelligenza e delle idee realizzate dall’Anima. PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 299 materia pura, senza forma, senza vita e senz’ anima è più un’astrazione del pensiero che una realtà. Già nella pietra c’è una vita latente: negli elementi stessi c’è qualche cosa di vivido, nella fiamma, nell’acqua che scorre, nell’aria. Ed è sempre l’Anima che in virtù della sua fecondità ine¬ sauribile produce l’immensa serie degli esseri, i corpi ce¬ lesti, i corpi degli animali e delle piante, fino alla più gros¬ solana materia delle cose terrestri. È una vita infinita dif¬ fusa per tutto l’universo: lo spirito animatore vi apparisce in gradi diversi : nei suoi generi e nelle sue specie e nelle diverse forme individuali c’è come un passaggio continuo dal più perfetto al meno perfetto; e nelle creature infe¬ riori c’è come la traccia o il ricordo e quindi l’aspira¬ zione e il presentimento delle forme superiori; e tutte queste vite singole, distinte, non confuse tra loro, si unifi¬ cano pnre nel juincipio unico da cui emanano. Come l’In¬ telligenza, pure essendo una, contiene in sè tutte le Idee, cosi l’Anima universale contiene in sè le singole anime, tutte le forme di vita che popolano il mondo, le quali, benché distinte individualmente, si unificano pure nella loro essenza, sono manifestazioni diverse della stessa Anima del mondo, come raggi che partono da un centro comune, o come la scienza è una nelle diverse sue parti, e una stessa luce può illuminare i luoghi più diversi. Nel mondo sensibile l’unità diventa molteplicità e l’armonia può diventare opposizione e lotta; ma ciò nonostante l’unità originaria non è annientata: tutti gli esseri rea¬ lizzano la stessa vita, e sono come le voci diverse che celebrano o riecheggiano la stessa armonia. Dato questo concetto dell’animazione universale e della vita unica che ricircola rimanendo identica a se stessa in tutte le parti e forme del mondo, Plotino si trova in una situazione non dissimile da quella in cui s’ era trovato Platone, di fronte alla realtà della nostra esperienza. Da una parte la tendenza religiosa del suo spirito e i concetti platonici con cui lavora, l’opposizione tra realtà sensibile e realtà intelligibile, lo portano a considerare il mondo sensibile, eh’è nato dalla mescolanza dell’anima con la materia, come un peggioramento, come un’ombra della vera realtà; quindi la realtà empirica e sensibile non è la vera patria dell’anima, la quale anzi aspira a libe¬ rarsi da essa. E questa tendenza troverà la sua espres¬ sione nell’Etica. Ma d’altra parte questa fantasmagoria dei sensi è pure un riflesso del mondo ideale, è una manifestazione del¬ l’Anima, penetrata d’intelligenza e d’idee; deve avere tutta la perfezione e la bellezza di cui è capace. Plotino combatte espressamente quelli che considerano il mondo dei sensi come il regno del male, di un male originario e insanabile, quasi fosse l’opera di un demiurgo cattivo. Egli è ancora troppo greco per accettare questa condanna. Il mondo sensibile è inferiore al mondo ideale perchè se ne distingue ed è fatto di materia; ma rappresenta pure il suo modello, esprime la vita e la saggezza infi¬ nita, è un riflesso del Bene, le cui emanazioni finiscono in lui. Tenendo dall’Anima V essere suo, è un tutto organico in cui l’opposizione e la lotta dei contrari sono subordi¬ nati all’unità del tutto. Non solo c’è ordine e armonia, ma connessione, solidarietà fra le diverse parti, non per azione fìsica o meccanica che vi sia fra loro, ma per l’unità del¬ l’Anima e dell’Intelligenza che lo vivifica, e quindi per la simpatia e affinità di natura di tutti gli esseri fra loro. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) Plotino proclama con gli Stoici l’ordine e l’armonia del mondo, e scrive una Teodicea per difendere il con¬ cetto della Provvidenza. Tutto è bene, anche per lui : la distruzione perpetua degli esseri anche quando si divo¬ rano gli uni gli altri, non l’offende, è la condizione del rinnovarsi perpetuo della scena della vita. - Sì, è neces¬ sario eh’essi si divorino: è come sulla scena; un attore eh’è stato ucciso, che s’è visto morire, va a cangiare di vestito e ritorna sotto un altro aspetto : vuol dire che non era morto realmente. A traverso questa vicenda la vita permane, morire è cangiare di corpo come l’attore cangia di vestito e riprende la sua parte: che cosa c’è di spaventoso in questa permutazione degli animali gli uni negli altri? E così, morire nella guerra, nella bat¬ taglia, è anticipare di ben poco i colpi della vecchiaia e la morte naturale: è un partire per ritornare sotto altra forma. Questi massacri che noi vediamo, questi saccheggi di città, queste violenze, pianti e gemiti degli attori, in tutte queste .vicissitudini della vita, non è l’anima del di dentro che cambia, ma è l’ombra dell’uomo esteriore che geme e si lamenta. - L’ottimista, che crede nella Provvidenza, e guarda le cose dal punto di vista del¬ l’eternità, si consola facilmente di questo spettacolo, ch’è così doloroso a chi ci vive dentro e n’è vittima. Kon solo Plotino afferma che tutto è bene, ma ammira soprattutto la bellezza del mondo, e scrive del Bello, e dopo i primi accenni che si trovano in Platone, pone al¬ cuni dei concetti fondamentali della scienza dell’Estetica. Perchè in verità tutta la concezione della natura che abbiamo veduto è una concezione che si può dire reli¬ giosa e estetica insieme. Data quell’animazione e spiritualizzazione dell’universo, la realtà o fenomeno sensibile non è altro che un riflesso dell’Idea eh’esso esprime. E il lampeggiare dell’Idea nel fenomeno è appunto la bellezza. Il bello ha carattere spirituale. ISTon è bella la forma sen¬ sibile come tale, nella sua esteriorità, non la simmetria, non la proporzione, ma la vita o l’Idea che la forma esprime, quel certo che di spirituale, d’impalpabile, che risplende in essa. E il bello così inteso noia è un oggetto fuori dell’anima, non c’è nulla al di fuori dell’anima, tanto meno gli og¬ getti belli. È intanto l’Anima, come potenza generatrice, che realizzando le Idee produce le forme belle; ed è un’anima, un’anima individuale, che ha il sentimento della bellezza, contemplando quelle forme. L’anima coglie e sente la bellezza perchè sente e scopre se stessa nelle cose belle; ma questa visione e questo sentimento non sa¬ rebbe possibile, l’anima non potrebbe vedere la bellezza, se essa stessa non è diventata bella. È una delle grandi parole di Plotino, che vuol dire: solo le anime pure hanno veramente il sentimento della bellezza, quelle che si solle¬ vano sulle cupidigie e i desiderii inferiori, che sanno guar¬ dare con occhi sereni, con una contemplazione disinteres¬ sata, le cose belle. Di qui quest’altra parola sua: se tu non trovi ancora la bellezza nella tua anima, fa’come l’artista ‘ che non cessa di lavorare alla sua statua, finché non le ab- . bia dato tutta la sua bellezza. Cosi tu scolpisci e cesella la tua anima, e purifica e illumina tutto ciò che v’ha in essa di torbido, perchè essa diventi degna di sentire la bellezza. La bellezza è un mistero che non solo ci piace ma ci attira, non c’ispira ammirazione solamente, ma amore. plotino: l’anima umana Il che vuol dire che al di là di essa c’è qualche altra cosa. Al di là della forma bella, o per meglio dire a tra¬ verso di essa, traluce qualche cosa di cui essa è lo splen¬ dore: ed è il Bene a cui l’anima aspira. Solo il Bene può far nascere l’amore, ed è col Bene che l’anima aspira ad unirsi. . 5. - Come tutte le cose che esistono, anche l’uomo ha la ragione della sua esistenza nel mondo intelligibile, non solo ne deriva, ma ci vive dentro, non ne è separato, anche durante la sua esistenza terrena. Ogni anima deve considerare eh’essa è parte dell’Anima universale, di quell’Anima che ha prodotto tutte le cose del mondo sensibile, gli astri divini, il sole e il cielo im¬ menso : è essa che ha dato al cielo la sua forma e che presiede alle sue rivoluzioni regolari: è da essa che si generano tutti i viventi, le piante e gli animali che sono sulla terra, nell’aria e nel mare. Tutte le anime indivi¬ duali sono immanenti in quest’Anima cosmica ; ed è in¬ somma lo stesso principio animatore del mondo che vive anche in noi, e che noi diciamo la nostra anima. Sicché ciascun’anima, per questa sua provenienza, è,, come quella che le contiene tutte, di natura spirituale^ ed eterna; la sua esistenza non comincia nè finisce col \ corpo con cui è congiunta. Essa non è un aggregato di atomi, come pensavano gli Epicurei, non è corpo sotti¬ lissimo igneo o etereo, come credevano gli Stoici, non è nemmeno funzione del corpo, entelechia o forma di esso, come insegnava Aristotile, e nemmeno armonia risultante dalle relazioni fra le parti del corpo, come opinavano i Pitagorici. Plotino discute e rifiuta tutte queste ipotesi, per con¬ cludere die fiamma non Ita bisogno del corpo per esistere: la sua vera essenza è di essere semplice e separabile dal corpo : è di natura spirituale e quindi immortale ; tutte le sue facoltà, la sensazione, la memoria, il pensiero, le * x'-l T qualità morali non sarebbero possibili se fi uomo e la sua -, anima fossero un semplice aggregato di molecole rnate^ riali : tutte quelle funzioni e facoltà suppongono un sog¬ getto semplice, identico a se stesso, non sottomesso alle _ Vicende delle cose corporee: la critica del materialismo che j si trova in Plotino è fra le più compiute che ci abbia lasciato fi antichità, e contiene argomenti che sono stati poi sempre utilizzati. Questa natura spirituale delfi anima importa elfi essa è vicinissima alla sorgente di tutte le cose. Giacché i tre principi che sono nelfiuniverso, l’Anima, fi Intelligenza e l’Uno, debbono essere .anche in noi: essi costituiscono l’uomo interiore, la vera essenza dei- fi uomo. Il quale è un’anima e possiede fi intelligenza, non solo l’intelligenza discorsiva, che procede per via di ragiona¬ menti, ma anche quella forma superiore di essa che in¬ tuisce le Idee, la ragione intuitiva. Bisogna dunque che risieda in noi anche quel principio divino da cui emana l’Intelligenza, l’Uno ineffabile, che non esiste in nessun luogo, ma eh’è come il centro e* il cuore più intimo del mondo. L’uomo è un microcosmo, un piccolo mondo, jl compendio dell’universo. È così che noi uomini, nella nostra intima essenza, siamo in contatto con Dio, siamo in certo modo sospesi a lui, respiriamo e sussistiamo in lui l’ anima umanaSe non che, quest’uomo interiore esìste in un corpo, j ha pure un’esistenza terrena e sensibile. Coni’è avvenuta | questa specie di caduta o discesa? \ Qui Plotino bisogna che si aiuti con l’immaginazione, ; come del resto faceva anche Platone, quando parlava di una caduta delle anime che hanno perduto le loro ali. Ci sono delle anime celesti che rimangono pure da ogni - contatto corporeo e beate nella contemplazione delle Idee' eterne. Ma ce ne sono delle altre, che siamo noi, le vere anime umane, le quali si sono rivestite di un corpo, e sono discese in un grado di esistenza inferiore. Come l’Anima universale procedendo nelle sue emanazioni avviva il corpo intero dell’universo, così alle anime particolari è devoluta una parte determinata del mondo corporeo ; il che si può anche intendere come una legge provviden¬ ziale, perchè il mondo intelligibile da cui le anime derivano manifesti ed esplichi tutte le potenze eh’esso pos¬ siede. L’anima particolare, sviluppando le sue potenze sensitiva e vegetativa, entra in un corpo, o a dir meglio, se ne riveste, se lo forma vivificandolo e governandolo. {Si potrebbe forse rappresentarsi la cosa ài modo che dice Dante quando nel XXV del Purgatorio descrive il formarsi delle ombre: la virtù informativa raggia intorno e suggella di sè la materia corporea che le si condeusa intorno o eh’essa irradia da sè). Ma comunque si voglia immaginare la cosa, e a parte qualunque mitologia, l’idea e la verità profonda eh’è espressa qui, in questa discesa delle anime nel mondo corporeo, è il distaccarsi dell’anima individuale dalla sor¬ gente di ogni vita, la volontà dell’esistenza individuale, che finisce col diventare un’esistenza separata, e dimentica della sua origine e dei legami che la congiungono col tutto. — Com’è — dice Plotino in un luogo magnifico (il prin¬ cipio della V a Enneade) — come accade che le anime di¬ mentichino Dio, il loro padre? Come accade che avendo una natura divina, ed essendo uscite da Dio, esse lo di¬ sconoscano e disconoscano se stesse ? L’origine del lomale è l’audacia o l’orgoglio (xóX[xa), il desiderio di non appartenere che a se stesse. Da quando hanno gustato il piacere di possedere una vita indipendente, usando lar¬ gamente del potere ch’esse avevano di muoversi da sè, si sono avanzate nella strada che le deviava dal loro principio, e sono giunte ora a un tale allontanamento da lui (apostasia, àTzòa-a,ai % vita a cui l’uomo può e deve aspirare; non costituiscono propriamente questa vita. Non solo la vera virtù consiste non nelle azioni esterne, f sibbene nella disposizione interna dell 7 anima; ma questa disposizione virtuosa è soprattutto una purificazione, una catarsi, una liberazione dell’anima dalla sensibilità e daisuoi legami col corpo. Quest’idea della purificazione è il significato più pro¬ fondo della dottrina della metempsicosi, che anche Pio¬ tino accetta come Platone e i Pitagorici. L’anima che figura nel dramma di cui il mondo è il teatro, e che vi recita la sua parte, vi porta una disposizione a recitar bene o male, ed è punita o ricompensata in conseguenza, secondo quello che fa e secondo giustizia. Salvo che per riconoscere questa giustizia, non bisogna fermarsi alla vita presente, ma bisogna tener conto drtutti i periodi passati e futuri dell’anima, la quale non muore col corpo che momentaneamente la riveste, ma è di sua natura immor¬ tale. Chi è stato padrone in una vita anteriore, se ha abu¬ sato del suo potere, rinasce schiavo; chi ha impiegato male le sue ricchezze, rinasce povero ; quelli che hanno commesso violenza, saranno a loro volta maltrattati ; chi ha ucciso la madre, sarà ucciso dal figlio suo: l’anima è destinata a incorporarsi in questo o quel corpo, a ridiven¬ tare uomo o animale o anche pianta, secondo i suoi me¬ riti e gli atti che ha compiuti in una vita anteriore; e a traverso queste rinascite successive ciascuna anima si purifica, espia, finché non ridiventi degna di ritornare alla regione celeste da cui è discesa. Questa purificazione non si ottiene mediante pratiche ascetiche o mortificazioni, ma facendo si che l’anima non diventi prigioniera delle passioni del corpo, non s’abban¬ doni ai fantasmi dell’immaginazione, non si estranii dalla ragione, cerchi di sollevarsi sempre più verso quella realtà intelligibile ch’ò la sua vera patria. E da questo punto di vista anche le virtù cardinali o civili acquistano un nuovo significato : diventano virtù purificative, orientano l’anima verso quella realtà supe¬ riore, facendo che l’intelligenza domini nell’uomo e regoli tutte le sue azioni e i suoi sentimenti. Ossia insomma più delle virtù civili e pratiche vale la virtù contemplativa, la virtù dello spirito puro. f E lo stesso mondo sensibile può avere valore per il no¬ stro perfezionamento quando sia appunto oggetto dì con- « templazione: qui vengono a confluire quelle due correnti d’idee che dicevamo: l’inferiorità della realtà sensibile rispetto al mondo ideale, e la perfezione e la bellezza di questo stesso mondo sensibile in quanto riflesso delle Idee. L’anima aspira in fondo al bene supremo, e non vi può pervenire se non mediante la conoscenza del vero e del bello. Ma anche le apparenze del mondo sensibile possono servire di gradini, di scala per sollevarsi fino a quel mondo superiore. Tre vie conducono a questo mondo, che sono per Plo¬ tino la musica, l’amore e la filosofia. La musica ha per oggetto l’armonia, l’amore ha per oggetto la bellezza, la filosofìa ha per oggetto la verità. Il musicista si lascia facilmente commuovere da alcuno forme del bello ; ma bisogna che delle impressioni esterne vengano a stimolarlo. Come l’essere timido è risvegliato al più piccolo rumore, cosi il musicista è sensibile alla bellezza delle voci e degli accordi ; egli rifugge da tutto ciò che gli sembra contrario alle leggi dell’armonia, e ri¬ cerca il numero e la melodia nei ritmi e nei canti. Ma bisogna che dopo queste intonazioni, questi ritmi e queste arie puramente sensibili, egli impari a conoscere le pro¬ porzioni e i rapporti intelligibili che sono l’idea e il prin¬ cipio stesso dell’armonia delle cose ch’egli ammira, e ammirando le quali egli possiede come istintivamente delle verità che solo una scienza più alta potrà rivelargli. L’amore è rivolto verso la bellezza, e dicemmo già come l’anima diventa bella, si purifica, contemplando il bello, il lampeggiare delle Idee nella forma sensibile. Ma i anche qui ci sono dei gradini da salire, e bisogna che l’amante si sollevi dalle belle forme corporee alle Idee ch’esse esprimono, e riconosca il Bello anche nelle cose incorporee, nelle scienze, nei prodotti spirituali dell’atti¬ vità umana, nella virtù, finché non giunga a quel pelago ampio del Bello di cui parlava Diotima nel Convito pla¬ tonico. Perché la stessa commozione profonda e trepida che noi proviamo di fronte alle belle forme e a tutte le cose belle, ci dice che al disopra di esse tutte c’ è una Bellezza superiore, di natura puramente ideale, quella del Bene che le illumina e le colora della sua luce. Quanto al filosofo, dice Plotino, egli è naturalmente disposto ad elevarsi al mondo intelligibile. Vi si slancia portato da ali leggiere, senza aver bisogno, come i pre¬ cedenti, d’imparare a liberarsi dagli oggetti sensibili. La filosofia non è ridotta a intravedere la verità a traverso i suoi simboli, ma la coglie direttamente e nella sua essenza, senza che la passione o l’immaginazione vengano a tur¬ barne o oscurarne la tranquilla e pura contemplazione. La filosofia rivela e spiega e commenta quelle verità che il musicista e ramante intravedono solo confusamente e come per istinto : ci svela la realtà e la natura (lei mondo intelli¬ gibile, concesso è costituito e come procedono i suoi effetti. % Qui si direbbe che siamo giunti all 7 ultimo termine della nostra ascensione. Ebbene no. Al disopra di ogni rifles¬ sione e di ogni conoscenza, al disopra di ogni distinzione di pensante e di pensato, di soggetto e di oggetto, e 7 è uno stato veramente incitabile, nel quale l’anima indivi¬ duale si annega e si perde, come illuminata dalla luce divina, con la quale essa s’identifica. ISon si può chiamare nemmeno visione, ma piuttosto un’estasi, una semplificazione, un abbandono di sè, una perfetta quietudine, infine un confondersi con ciò che si contempla. Come l’amore non si contenta della visione, ma aspira all’unificazione intera delle anime, così l’anima umana aspira a congiungersi con l’Uno, col Bene, col principio di ogni realtà, e vi riesce qualche volta quando nel più profondo raccoglimento dalle cose esterne, al di là di ogni pensiero, nella più profonda pace, aspetta di essere illu¬ minata dalla luce divina, nega la sua finitudine, e come rapita e fuori di sè, essa stessa s’india. Questa Divina Commedia finisce non con una visione beatifica, ma con l’estasi. Porfirio ci dice che Plotino, durante il tempo che furono insieme, aveva provato questo stato di suprema beatitu¬ dine solo quattro volte, ed egli stesso, Porfirio, una sola volta, all’età di 68 anni 1 ). 1) Cfr. YachehoTj Histoire oritique de Vécole d ? Alexandrìe, Il bisogno metafìsico ; trasformazione del Neoplatonismo - 2. Porfirio, Giamblico, Giuliano l’Apostata: Neoplatonismo e Cristianesimo - 3. Ipazia d’Alessandria - 4. La scuola d’Atene, Proclo. Fine della Filosofìa antica. 1. - La filosofia di Plotino, per i concetti con cui opera, si può considerare come il risultato di tutta la specula¬ zione anteriore. Plotino fia imparato non solo da Platone, ma da Ari¬ stotile, dagli Stoici, dai presocratici, specialmente dagli Eleati: ha imparato anche dalle filosofie ch’egli com¬ batte; e mentre riassume il passato, contiene idee, in¬ tuizioni e suggestioni che valgono per tutti i tempi: il motivo religioso, da cui questa filosofìa è nata, ne ha fatto una delle concezioni tipiche e caratteristiche di quello eh’è stato chiamato il bisogno metafìsico. Ci sono dei tempi in cui la filosofìa si sforza e non conosce altro com¬ pito se non di comprendere la realtà dell’esperienza, la struttura e le leggi di questo nostro mondo sensibile: diventa, come dicono, positiva; ce ne sono degli altri in cui non si contenta di questo, e nemmeno di quella saggezza pratica, che basta a condurci nella vita ; ma cerca di esprimere e di appagare i bisogni più profondi dello spirito o di alcuni spiriti che non mancano mai in nessun tempo; il bisogno di liberarsi dalle inquietudini e dalle limitazioni di questo oscuro viaggio della vita, di trovare la pace e la beatitudine in una realtà superiore. Di questo slancio, di quest’aspirazione verso il divino, Plotino è ri¬ masto uno degl’interpreti più eloquenti; e la sua efficacia è stata grande a traverso i secoli, in S. Agostino e negli altri Padri della Chiesa, nei mistici del Medio Evo, poi massimamente nei nostri filosofi del Rinascimento, in Ma¬ lebranche e Spinoza, più tardi nei poeti e filosofi del Romanticismo tedesco, fino ai nostri giorni. Intanto non bisogna dimenticare che questa filosofia neoplatonica si produceva in un’età di fermentazione re¬ ligiosa, tra spiriti sitibondi del soprannaturale, in un’atmo¬ sfera satura di superstizióni, in mezzo a quel sincretismo di tutte le credenze e di tutti i culti del mondo antico, fra cui si preparava la fede dell’avvenire: bisogna tener conto di questo fondo storico, in cui il Neoplatonismo s’è formato, per intendere la sua storia posteriore e le sue trasformazioni. Nel tempo stesso in cui il Neoplatonismo era insegnato e si diffondeva nell’impero romano, la Chiesa cristiana, che s’era già cominciata a organizzare, cercava essa pure di definire i suoi dogmi, superando i contrasti che si pro¬ ducevano nel suo seno; creava un corpo di dottrine, le quali fissavano, di fronte alle opinioni dichiarate eretiche, il contenuto della nuova coscienza religiosa: nasceva così la teologia cristiana, una filosofìa del Cristianesimo, la quale utilizzava anch’essa a modo suo i concetti della filosofìa greca, specialmente quello del Logos, che finisce con V identificarsi col Messia come il mediatore vivente tra Dio e l’uomo; si assimilava questi concetti modifi¬ candoli e incorporandoli nel sistema delle sue credenze. Ora di fronte ai progressi sempre crescenti del Cristia¬ nesimo, clie ai principi del quarto secolo trionfa con Co¬ stantino, e finisce col diventare la religione dello Stato, il Neoplatonismo, per gli spiriti non persuasi della nuova religione ft rimasti fedeli alla tradizione pagana, diventa 1 o è utilizzato come la base di una teologia del politeismo : si tenta per mezzo delle idee neoplatoniclie di ristaurare, legittimare e ridurre a sistema tutte le divinità e i culti dell’antica religione. Il Neoplatonismo diventa l’ultima filosofìa del paganesimo, e non solo come un sistema di dottrine destinate a spiegare o risolvere come che sia i problemi di Dio, del mondo e dell’anima umana, ma come il puntello dell’antica religione pagana, con tutti i suoi Dei e le sue pratiche. 2. - Non vogliamo entrare nei particolari di quest’ul¬ tima parte della nostra storia; basterà ricordare i nomi principali. Fra gli scolari diretti di Plotino il più importante è Porfirio (232-304), al quale dobbiamo la redazione e la pubblicazione delle Enneadi, e che continua la dottrina del maestro esponendola con chiarezza e brevità in quelle Sentenze d’introduzione al mondo intelligibile (’Acpoppori Ttp&s Tic vorjTa), che si trovano molto utilmente premesse all 'Enneadi nell’edizione Didot. Scrisse molte altre opere, tra cui una in 15 libri contro i Cristiani, andata natural¬ mente perduta. È anche studioso e commentatore di Aristotile; e un passo diventato celebre della sua Isagoge o Introduzione alle Categorie di Aristotile, che tratta delle cinque voci (il genere, la specie, la differenza, il proprio, l’accidente), sarà il punto di partenza delle controversie medievali sugli universali. Porfirio è uno spirito colto, erudito, che vorrebbe riformare la religione tradizionale ; combatte le superstizioni più grossolane, predica un culto puro, senza sacrifizi sanguinosi: raccomanda anche delle pratiche ascetiche. Ea consistere il fine della filosofìa nella salute dell’anima; ma pure accentuando le tendenze pra¬ tiche e religiose della scuola, e facendo delle concessioni alle credenze'popolari, si può dire che in lui è vivo an- ’i _ cora l’interesse filosofico. Egli è il continuatore immediato della tradizione plotiniana. Invece con Giamblico, che fu scolaro di Porfirio, avviene decisamente quella trasformazione del Neoplatonismo in un sistema di credenze religiose: l’interesse teosofico pre¬ vale: la filosofia diventa ancella della teologia, e della teologia pagana. Giamblico nacque in Calcide nella Gelesiria, non si sa precisamente in quale anno, visse ai tempi di Costantino, e morì intorno al 330. È riguardato come il fondatore di una nuova scuola, della scuola siria del Neoplatonismo: ebbe molti discepoli, entusiasti di lui, che lo riguardavano •come un uomo straordinario e divino, dotato di potenza occulta e miracolosa. Giamblico intraprende una ricostruzione filosofica del Panteon pagano, nella quale entrano gli Dei greci e ro¬ mani e le divinità orientali, tutte all’infuori del Dio cri¬ stiano. E alla credenza in tutta questa moltitudine di Dei si aggiungono le pratiche del culto : alla virtù e alla contemplazione, ck’erano per Plotino i mezzi con cui l’uomo si solleva al divino, si aggiunge o piuttosto si sostituisce la teurgia, cioè l’arte di esercitare un’azione sulla volontà degli Dei per renderseli favorevoli, di far discendere in sè il divino per mezzo di pratiche esterne, riti, preghiere, con la virtù di formule simboliche, che ci riedificano nel¬ l’unità primitiva da cui siamo usciti. Le formule filosofiche diventano pretesto à stravaganze magiche e spiritiche. Com’è stata possibile la degenerazione di una così no¬ bile filosofìa, concepita con tanta energia speculativa e animata da una così pura fede e aspirazione al divino? Pur troppo il Neoplatonismo portava in se stesso, e già in Plotino, i germi di questa degenerazione: innanzi tutto il metodo delle ipostasi, e poi la tendenza a trovare, con interpretazioni allegoriche, nei nomi o nelle figure tradi¬ zionali degli Dei il simbolo dei diversi momenti dell’ema¬ nazione del divino. Plotino stesso nomina Uranos, Kronos e Zeus come simboli dell’Uno, del vou* e dell’Anima; e sim¬ boleggia pure le due anime con l’Afrodite celeste e quella terrena. Se si prendono alla lettera questi riferimenti, e soprattutto i termini si moltiplicano, si arriva al sistema fantastico di Giamblico. Il quale non si contenta delle tre ipostasi plotiniane, ma al di sopra dell’Uno che s’identifica col Bene, am¬ mette un altro Uno assolutamente incomprensibile, dal* quale deriverebbe il secondo Uno ch’è quello di Plotino; e da questo non deriva semplicemente il vou^, ma prima il mondo intelligibile o pensabile votjtó?) e poi il mondo intellettuale o pensante vosp6?) ; e la divi¬ sione continua quando si passa all’Anima: dalla prima Anima ne derivano altre due; e ciascuno di questi termiai poi si tripartisce e si moltiplica in diversi momenti, a ognuno dei quali corrisx>onde una persona divina. Così, abusando del metodo delle ipostasi e dell’interpretazione allegorica, Giamblico trova da collocare una quantità di divinità sopramondane, celesti e terrestri, genii e demoni d’ogni specie, che sarebbero i termini intermediari tra Dio e l’uomo. S’aggiunga poi quell’idea dell’animazione universale, e della simpatia o affinità fra tutte le cose, che contiene una verità profonda, ma che per menti non disciplinate da nessuna critica, apriva facile l’accesso alle credenze magiche e alle pratiche teurgiche. In fondo, anche a traverso a queste esagerazioni superstiziose, non è possibile disconoscere l’antica fede elle¬ nica che tutto è pieno degli Dei, eh’è il motto attribuito a Talete, il primo filosofo. Così il Neoplatonismo uscì dalla scuola e volle agire sulle coscienze, quasi contrastandone il dominio alle nuove credenze. Non fu solamente una dottrina, ma fu l’ul¬ timo tentativo dell’Ellenismo per difendersi da quella religione di barbari, che col suo Dio unico negava tutti gli altri Dei. E si fece campione di questa restaurazione dell’antica religione dei padri, in nome della filosofia, Giuliano l’Apo¬ stata, imperatore dal 361 al 363, morto a 32 anni, che, educato da maestri greci, s’era nutrito dell’antica cultura ellenica, e poi aveva dovuto subire la disciplina e l’edu¬ cazione cristiana; e contro il Cristianesimo si ribellò prima secretamente,' poi, diventato imperatore, apertamente, at¬ taccandosi sempre più all’Ellenismo. Giuliano era uno sco¬ laro degli scolari di Giamblico. Giuliano, da vero greco, adorava il sole, principio di Vita per tutta la natura : ma nel sole materiale e visibile egli vedeva V immagine e come il riflesso di un altro sole, che i nostri occhi non possono cogliere, e che illumina le razze invisibili e divine degli Gei intelligenti. Cosi, alla maniera dei Neoplatonici e col loro linguaggio, egli costruiva il mondo delle Idee e dell’Uno, da cui tutte le cose di- -pendono. Giuliano è stato dqtto un romantico sul trono dei Cesari, perchè aveva gli occhi rivolti indietro, e consumò miseramente i suoi sforzi nella restaurazione di un passato diventato impossibile. Era difficile che il Neoplatonismo potesse fare seria¬ mente concorrenza al Cristianesimo. C’era innanzi tutto questa differenza: che il Neoplatonismo, per quanto tentasse di mettersi in contatto con l’anima popolare, era semplicemente una scuola di dotti più o meno solitari ; il Cristianesimo invece era una Chiesa, una comunione di fedeli potentemente organizzata, e la cui fede si basava su certi fatti positivi, di natura storica, la vita e la morte del Cristo, fatti creduti con una fede ardente, ardente fino al martirio; e intorno a questi fatti si andavano elaborando i dogmi che saranno presto fìssati dai Concilii. Ma la scarsa efficacia pratica del Neoplatonismo si com¬ prende anche meglio se si guarda un momento alle diffe¬ renze dottrinali tra i due sistemi. Una prima e fondamentale differenza è che l’intuizione cristiana tiene fermo al concetto ebraico della personalità divina, e concepisce il mondo non come un’emanazione di Dio, derivante da esso per un processo fìsico o logico o metafìsico, ma come un atto della sua volontà, quindi come creato nel tempo. Dio creò il cielo e la terra: questa • è la base della dottrina cristiana. E a questo primo fatto ne succede un altro : la caduta del primo uomo e quindi di tutti gli uomini, il peccato, che risolve il problema del male; il quale dunque non è da cercare nella materia o nell’ultima emanazione della divinità, ma è aneli’esso un atto di volontà, della volontà umana ribelle al comando di Dio. Di qui il bisogno della ' 1 redenzione o liberazione dal peccato, a cui l’anima aspira; la quale redenzione è resa possibile da un terzo fatto, l’in¬ carnazione del Verbo, del Logos, del figlio di Dio fatto uomo, che prende sopra di sè le colpe e i dolori di tutti t gli uomini, e li redime, per un miracolo di amore, col suo sangue- innocente. Tutta la storia del destino umano è qui drammatizzata in un dramma potente di efficacia. Il ISTeoplatonico, col suo concetto spiritualissimo della divinità, combatterà fino all’ultimo questo concetto dell’Incarnazione, di un Dio fatto uomo, e la considererà come la superstizione più assurda; ma è appunto questo concetto di un Dio redentore che ha una virtù di sim¬ patia e di consolazione per milioni di anime; e apre la via della liberazione non ai sapienti solamente, ma a tutti, agl’ignoranti, agli umili, agl’infelici soprattutto, purché credano nella virtù redentrice del sangue sparso di Gesù crocifisso. Qui si ha veramente un Dio che si può pre¬ gare, invocare, domandargli perdono, ritornare in pace fcon lui, acquistare la vita eterna. Se si paragona questa liberazione con quella che si potrebbe dire aristocratica e filosofica di Plotino, mediante la dialettica e l’amore delle cose belio e l’unione estatica con Dio, si vedrà la differenza. Si direbbe che il Neoplatonismo suscitava bisogni che non poteva appa- < gare. S. Agostino nel libro VII delle Confessioni dice: Ho letto nei libri dei Neoplatonici la dottrina del Verbo, ma non ci ho letto ch’egli è diventato uomo, e ha abitato fra noi, ed è morto pei peccatori, perchè tutti quelli che gemono e soffrono venissero a lui e ne fossero consolati. 3. - Tuttavia il Neoplatonismo, nelle sue parti migliori, rappresentava pure una grande tradizione di scienza e di cultura; e si capisce come spiriti non volgari se ne lascias- sero attrarre. t E una pura, nobilissima e innocente vittima delle lotte * religiose, nelle quali la filosofìa antica finirà con l’essere vinta e con l’estinguersi, è una donna : Ipazia di Alessandria. . Ipazia era nata ad Alessandria verso il 370 da Teone, ch’era celebre matematico e astronomo. Eu educata e istruita dal padre nelle scienze in cui egli era maestro, ma il vivido ingegno della giovinetta cercava altro ali¬ mento, e studiò con passione la filosofìa. Dicono anche che andasse a perfezionarsi in Atene. Quello eh’è certo è che nella sua città essa diventò celebre, ammirata, e rispettata da tutti. La natura le aveva largito tutti i doni, quelli dello spirito e una bellezza non comune. Fu messa a capo della scuola neoplatonica di Alessandria, ed essa v’insegnava Platone e Aristotile, tutte le discipline filo¬ sofiche. I titoli di alcune sue opere sono d’argomento scientifico, il che nella penuria di altre notizie ci permette di supporre che con la sua forte cultura essa si tenne lontana dalle stravaganze degli altri Neoplatonici, Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San'Pietro Vernotico (Br) e che s’erano raccolte in lei le migliori tradizioni del- V Ellenismo. Ebbe un grande successo. Per le strade di Alessandria tutti si voltavano a guardare la bella persona quando passava con semplicità e sicurezza, vestita del pallio dei filosofi, e conversando con quelli che fi ac¬ compagnavano. Alle sue lezioni affluivano gli ascoltatori, non tutti probabilmente per imparare la filosofia. Della sua eloquenza ci è detto eh 7 era dolce e persuasiva, e ci è riferito pure che un suo scolaro s 7 innamorò di lei, e osò confessarle i suoi patimenti. La nobile donna cercò di calmarlo, sollevando il suo spirito e distogliendolo da desi- derii non degni. Pur troppo noi non la conosciamo altrimenti che da quello che ne dicono i suoi contemporanei. Il vescovo Si¬ li esio, ch’era stato suo scolaro, e le rimase amico anche dopo che fu passato al Cristianesimo, nelle lettere che le scrive e che ancora ci rimangono, la chiama sorella e madre e maestra, e le manda i suoi libri prima di pubbli¬ carli per averne consigli. E nVN Antologia c’è un epigramma {il n. 400 del libro IX) entusiastico e gentile, che fìssa quest’apparizione luminosa, e non pare un’esagerazione. « "Oxav pXénto as, Trpoaxuvco. Quando io ti vedo, io ti adoro, e così quando ascolto la tua parola; come contemplando il segno celeste della Vergine) perchè tu sei cosa tutta di cielo, o nobile Ipazia, con la bellezza dei tuoi discorsi, astro purissimo di scienza e di cultura ». Disgraziatamente, questa storia finisce con una tragedia orribile. Erano frequenti in Alessandria i tumulti per le discordie fra ebrei, cristiani e pagani. 11 prefetto o go¬ vernatore della città, Oreste, non andava d’accordo col vescovo Cirillo, e ognuno aveva il suo partito: spesso scendevano in città delle compagnie di monaci, che di monaco non avevano altro che'l’abito: erano dei mal¬ fattori che venivano a pescare nel torbido. Oreste era uno degli ammiratori ed amici d’Ipazia, e spesso le do¬ mandava consiglio. Essa, tutta intesa alla sua scienza e, alla sua scuola, rimaneva estranea a tutte queste con¬ tese, e nessuno degli storici nemmeno ecclesiastici for¬ mula un’accusa contro di lei; ma nel partito di Cirillo dovette formarsi l’opinione che Ipazia influisse sul go¬ vernatore, impedendogli di vivere d’accordo col vescovo; e del resto per la sua posizione e il suo insegnamento doveva essere ritenuta come un sostegno o fautrice del m partito dei pagani, e odiata a morte dagli zelanti che non mancano in nessun partito. Fatto sta che un giorno di quaresima del 415, in un tumulto, mentre Ipazia tornava in città in vettura, vide accorrere contro di sè una folla furiosa, e, come racconta Io storico Niceforo, la strappa¬ rono dal carro, la portarono in una chiesa, e ivi spoglia¬ tala delle vesti l’uccisero, la fecero in pezzi e andarono a bruciarla in un luogo detto Cinaron 1 ). 4. - Col martirio della vergine pagana si estingue la scuola neoplatonica di Alessandria. Ma riapparisce nel quinto secolo in Atene, e sarà l’ultima scuola. La Filosofia ritorna per morire nella sua patria antica, alla città di Socrate e di Platone; e allo studio di Platone congiunge quello di Aristotile, come già s’è visto in Plotino, in Por¬ firio, in Ipazia. i) Si può vedere su Ipazia uno studio del prof. Faggi nella Rivinta d’Italia del 1905, e un altro del prof. Pascal nel voi. Figure e caratteri . Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 323 -,”;js-w v ; \ PROCLO Fondatore di questa scuola ateniese è Plutarco detto il grande dai suoi scolari, a cui succede Siriano, e poi Proclo, eh’è il più celebre e il più importante. Proclo era nato nel 410 a Costantinopoli e visse fino al 485. Era un dialettico sottilissimo, ebe al bisogno di sapere congiunge quello di credere; e crede ai presagi dei sogni, alla potenza degl’ incanti e degli scongiuri. Passò la sua vita scrivendo e insegnando. I suoi discepoli crede¬ vano sentire in lui la presenza di un Dio. Un giorno, uno .che aveva udito una sua lezione, affermò che aveva visto attorno al suo capo un’aureola divina. Scrisse fra l’altro dei commenti a Platone e un ’Istituzione teologica } che si può vedere nell’edizione Didot di Plotino 1 ). La sua opera consiste essenzialmente nel ridurre a si¬ stema tutta la sapienza anteriore. La filosofia di Aristo¬ tile è considerata come l’introduzione a quella di Platone, i piccoli misteri che precedono i grandi; e il fondo della dottrina è quello neoplatonico, Proclo dimostra metodicamente come bisogna partire dall’Uno, e come dall’Uno derivano i molti, mediante un processo dialettico che comprende tre momenti : ogni pro¬ dotto, da una parte somiglia alla causa che lo produce, e dall’altra se ne distingue, e pure distinguendosene, ritorna ad essa: dunque jjlov'/j o immanenza, TipóoSoc o progresso, iTUKjrpo'f/) o conversione sono i tre momenti di questo pro¬ cesso. Questo ritmo si riproduce a ogni fase dell’emana¬ zione o sviluppo dell’Assoluto, che procede dunque per triadi successive in tutte le sfere dell’Essere, dall’Uno 4 q Cfr. ProCI.O, Elementi di teologia con im’ introduzione del prof. M. Lo¬ ia a eco (Lanciano, Carabba). fino alla materia, triadi che si moìtiplicario, perchè ogni momento di ciascuna triade dà luogo a sua volta a triadi (e poi a ebdomadi) subordinate. Ne nasce una costruzione eh’è insieme un 7 architetto¬ nica di concetti e una gerarchia di divinità mitologiche, alla maniera di Giamblico : una filosofia compiutamente messa in ordine, coi suoi scompartimenti e le sue formule tecniche, che ha pure trovato i suoi ammiratori. Vit¬ torio Cousin ha pubblicato le opere di Proclo, e Giorgio Hegel ha riconosciuto in lui uno spirito sistematico e. sistematizzatore come il suo. Quello che si può dire in generale è che il pensiero greco vive oramai del suo passato: per parlare con Pio¬ tino (e col Windelband), lo spirito greco, a traverso le sue emanazioni, finisce col perdersi in questa scolastica. E la morte naturale della filosofìa antica, per esauri¬ mento, è suggellata da un atto di violenza, da un editto dell’Imperatore Giustiniano, del 529, nel quale si ordi¬ nava che nessuno insegnasse più filosofìa in Atene. Così si chiudeva per ordine superiore quest 7 ultima scuola, della ([naie furono confiscate le rendite, e i filosofi dispersi. L’ultimo scolarca fu Hamascio, il quale col suo scolaro Simplicio, il celebre commentatore di Aristotile, e altri cinque neoplatonici, ripararono in Persia, dove speravano protezione dal re Cosroe, amico della cultura greca. Poi rimpatriarono, ma la scuola rimase chiusa per sempre. Una filosofia non cristiana era diventata impossibile nel mondo greco. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)Giuseppe Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Memmio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A bit of an enigmatic character. LUCREZIO dedicates his great Garden poem to him. He acquires the ruins of the house in Athens where Epicuro starts his Garden. Gaio Memmio.

 

Grice e Menecrate: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Senocrate. Menecrate

 

Grice e Menestore: la ragione conversazionale ela scuola di Sibari -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Sibari, Cazzano all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean. Giamblico. Menestore.

 

Grice e Menone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – gl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorian and son-in-law of Pythagoras, according to Giamblico di Calcide.

 

Grice e Mercuriale: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Forli, Emilia Romagna. Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton, cricket featured as my priority, -- philosophy came second!” Celebre per avere per primo teorizzato l'uso della ginnastica nella filosofia. Suoi sono anche il primo saggio sulle malattie cutanee e un'importante saggio, forse la prima mai scritta, di pediatria.  Ritratto raffigurato in "De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la laurea a Padova, dove ha modo di conoscere TRINCAVELLA, segue a Roma Farnese. A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo saggio sulla ginnastica.  E professore in entrambe le università dove studia. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto fecondo, in cui scrive saggi, alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti durante le lezioni. Si reca poi a Pisa, dove divenne tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Cura anche altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo nomina cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri filosofi illustri, consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della popolazione si era ammalata e il contagio resta comunque molto limitato. Dopo una settimana però la malattia ha un decorso impressionante, colpendo un terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente però tale evento non ha gravi conseguenze sulla sua carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continua a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fa restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di famiglia, da allora nota come cappella M, dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia. Ricevuti i saggi, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di M., e murata nella cappella una lapide con le seguenti parole. Questo marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede.  Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore dell'opera ippocratica, “Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui discusse in modo critico le opere del medico, “De arte gymnastica,”  la prima opera moderna che consideri scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin.  Alcuni altri suoi saggi sono: “De morbis cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,” “De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus, Venezia; De venenis et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum, Citato in Landi, Credere, dubitare, conoscere. De M. vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum. “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M. DE ARTE GYMNASTICA Libri Sex, IN '^VIBVS EXERCITATIONVM OMNIVM \\cii(hii um scncra.Ioca.modi, facultatcs, &: quidquid dcniqucad corporis humani cxcrcitationcs pcrtinct, diligentcr cxplicarur . ^uru cditione comSIiores 3 ^ 4uSItoreJ faEfi. Ojuis 11011 nu\i,) nu\1ki$, vcnim ctiam omnibiis antiqiiarum rermn cosnolccndariim,^ et v.ilcnidinis coiiUrna;u)ac ftuJioias .idir.Oilum vtilc. AD MAXIMILIANVM II. 4 IMPERATOKE VENrETII.S, ATVD IVNTAS. MAXIMILIANO II IMPERATORI INVICTISSIMO. HT ERONYMVS MERCVRIALIS pcrpctuam FclicitatcitL- D. I quando mccum^ diliircTirius confidcro, MAXiMIlJANE Jnuidjllimcquot, quanraquc Impcratorts, /ummique Princi pcs prohominuui laIutc,,6C tranquillirarc tam bcllo.quam pacc gcfTcrint, in cam facilcdcfccndo fcnicn- tiam, mcrito, arquc oprimoiurc omncsfcrc gcntcs, 6C nationcs fccilTc, quodcos dignos cxjfhmaruntjquiin Dcoiumimmorralium nu- mcrum rcfcrrcnrur . inrcr ca ucro, quac in hu- manum gcnus innumcracontulcrunt bcncfi- cia,magnajn partcm fibi vcndicanrarrcs p(oic omncs Iibcralcs,quas maximis propofitis prac- mijsnoncxcitaruntmodo.atquc cxtulcruntali quando iaccntcs, fcd ita ctiam carum dignita- tcampljficarunt.vt ipfi (oli illarum au(5loics,ct inrtauratorcs propcmodum vidcanrur. Jd faci- lc pcripiccrc quiuisporcft,qui militaris difcipli- 2 nac. n&c,leg(nTi fcientiaevcafitekmrncju^fine qui-' bus ta baec noil^fi ferc u icalisiipn effe t Jau- dandarum artium ortus, &C increriicnta mc- tnorta velitrepetere : fed ne Imperatorifapien- tiflimojquaeomnibuspaflim notafunt,reccn-r 1 fcndo fim moIelUts, vnum' mcdicae artis om- nium vtiliffimac exemplum proponam, quac proculdubio aut nulla cflct, aut-ccrto cuhl» qucm hoc tempore pracfcfcrt fplcndorcm, 6C cicgantiam non habcrct, nifi Principum beni- ghitasjfinequa omnis plerumque languefcit induftria,famniisviris illius au(fboribus aflul- fiflct. Etcnim quantum a primisillis tempOr ribus quafinafcenti medicinae attulerint auxi Iij Cadmus, Salombn, Alexander, poftcrio- ribus vero Attalus, Ptolemaeus, Nero, Ha- drianus, Cortftahtinus luftinus, alij per- multi, compluriura Dodorum hominum^ monumenta tefteintur. Verumtamcn vt aha '»'1, omittam in praefentia, non cxigui momcn- Kfc^ ti putandum id cft, quod magnificentiftima, comii atque^ ampliflima Gymriafia^ cxftruxcrunt., ttmpJ inquoijsartenL, GymnafticaiTL inftituentes,. pcrlic^ ipfiui magiftros ac prifed:os alucrint, qui H,i homincs excrcitationibus, fi^ ad corporis, (DiaJ 6C ad animi fanitatem. confcrcntibus in^- biis ftrucntes ad behe, bcatcque viucndum viam opti eommunircnr » Haec cnini. ars illa. cft, ' Inc ob quani. olaiL, PerfaruiTL reges, Lacedae- tarct, monij. Dfllll 3CC( m ii ni [DSti i\m fcosi torcs, monij, Athenienfcs, Romani icain bcllisgc- rendisvalucrunt, vtfaepe non maximamanu incredibiics hoftium vires frcs;crint, mnumc- rabiles copias fudcrint, tot dcnique rcgna.tot- quenationes fuis ditionibusfiibicccrint, utnc recenfcri quidcm numcrando facilc quednr. . Hac eadem inftrudi, non dcfucrunt rrincipes, quiaducrfusqucmlibct Athlctamroborclimt. aufi contcndcrc, qualcs fuilVcCyrum, Nero- ncm, Traianum, Antoninum, 6C Seucrum acccpimus, quos praetcrquanL quod hac fola^ arte fanitatcm conlcruaflc, fortilTimosquc cua- fiflcmcmoriae proditumelt, obhancquoquc cauflani. idcosfcciflc vcrifimiiecfl, vtcactc- rosfuo excmplo ad eafdcm cxercitationcsin- uitarcnt. Huiufmctartis opcquisignoratpri- fcos rcgnorum, 6C prouinciarum gubcrna- tores Athlctaruni., (SCgladiatoruuL- fpcdacu- laadfubditosin oflicio continendos prudcn- ter cxcogitata iiitroduxiflc ? nc plurima alia commoda rcccnfcam, quacg)'mnaflica,quot tempore floruit, ad humanam fclicitatem^ perficicndani. fcmpcr vbcrrimc pracflitit . Scd, qtioplurcs fcimusabhac artc vtihtatcs cmanafle, comagisdolcndumnobis cfl, qui- bus ncfcio quo mifero fato cummultis alijs optimarum artium fludijs perijt, atquc cx- ftinda prorfiiscft^undc fit vtvctusilludmili- carcrobur, (SCvcramfanitatcm pcrpauci fint * 3 hoc hoc temporc, quiconfequantar, tbtquemof" borum gcncra quotidie nos infcftent, quot ob cxcrccndorum corporum confuctudincm non cxpertos efTc vetcrcs rationi confcnta- neumcft . IIaccautemctfiitafint,dcfpcran- dum. tamen non cft, lapicntiffime Jmperator, quincorum fcriptorum bcneficio, apudquos rudis atque adumbrata quaedam ilhus deli- ncatio remanfit, ab intcritu poffitvindicari, ac iterum in hominum. adfpcdum, luccm- quc proferri, fi dC Trincipum ad hanc rem propenfio adfit, 6Chomincs do(fli, &C anti- quitatis periti reperiantur, qui in hoc ftu- dium incumbere, omncsque ingcnij ncruos contcnderc non recufcn r. Caeterum cur nemo noftris faeculis huiufmodi prouinciam fufcepc rit, fanc pronunciarc non audcorid unum fcio, rcm ficut maximaevtihtatis, ita immenfi cfCe laboris. Etcgo, licetmulta cflcnr, quaeabca detcrrere me poflcnt, aliquando tamen fum aggrcflljs, quaeque Jnter legcndos au nuncperfe(5lius,IocupIetius,(3C pulchrius redi- tum tuaeMaieftatiipfius nomineadferrem . Quamobrcm oro, vt,qua loles incomparabili animi magnitudine,hoc hcet Maieftati tuae imparmunus, qualecumque tamen tenuitas noftra oflferre poteft, accipere, meque inter tuosnumerare, protegere, acfouere digneris. nam, quamquam me ijs, qui omni difciplina- rumatqueartium genere cxcellentes M.T. in- feruiunt, comparandum non effe non igno- rem : Ci tamen animus Ipeiletur meus,non du- bito,quin,ficutnuIIius ftudia in M. T. funt ar- dentiora,auf nbfcruantia maior, ita aliquo in- terahosgratiae tuae loconon indignus uidcri pollim. Deus Optimus Max.M.T. pro Chriftia ni orbis (aluce dm incolumem, 6C fdicem conferuct. Patauij,KaI.Sexc.Cl3 13 L XXI II. LAVRENTIIGAMBARAE BRIXIANI CARMEN. tAuxiUo ftctit Phochtgemtoris^ c^ arte y %Artc Coromdcs wcdtdt cclchcrrtmtis oltm vMcmbra, minutAttm patrios dtficfla pcr agros Htppo/yti 3 tAndcm mn72tbus collcgit, Crr' artus Arttibtis aptatitt ?ittcns ^ iutiC7tcmq,carc?jtcm yam lucc acthcria, iam tartara ntgra tc72cntcm Ad fuperas fcdcs ^crcbtreuccauit ab vmbnss Et mcmbrtJ lactos, ocultsq. tnfudit honorcs : ^ucts felttum lumcn fumpfrunt mcmbra tuucntae: (fonffus ttanuncope Mcrcurialts y C^aura Farncfj afptrantts hcrt collcgtt tn Vnum Gjmnada : qua quo?jdam fc fc cxcrccre rcltSIo (jvrccre maiores y populo fpc&ante y Jolebant . Haec pars ad ludos fpcflat y pars altera tantum Commcmurat \ tum quts ^tclts fc oHcntat tn armts, Fortts rt euadat mtlcs ^ pars tertta narrat, Stnteay quaetncolumes fruent morboq. Vacantes Mortales ^dumytta manet^ docct tvfpcr hatcpxrsy Ordtncquo pofjint homtnes extcndcrc longum Intempus dubtam actatem ^ tardamquc fcmiJam Ducere tnuxpcrtamq. ma/tj curaq. carmtcm; Omnta quac Utuere dtu dtfpcrja, tcnebrtsq, tAbdtta Ctmmerpjs: quae nttnc dtjitnfla labore ^ Et multo Sludto y tamquam noua fidcra fulgcnt, Scrtptores tnter Cratosy parttcrq. Lattnos . Matth. Dcuari;, avg-ot(7iv ^coov (Tclo^ctTot; npuo^rctiv, Z JiTrOTQi^^y}^ zoiAct X&i^^ctf cc/uvJ)>c^7rip tfx^ot rix^fiC yv/uvctcnfig vvuj ctictX^(ct>C ^TTtTIOV Aov(nTctvov. VvfAVcicnov Tro^vncfig ayoM Trovicov (twv {yfiptc UctVTOioic csropcLSlw UMzJV (Jfii/2xioic OilviTtet T^m arxpSv l\pcavv/ultntus Clcmcns Alcxandrinus Codttis Aurcltanus Columclla Cornelttis (jlfts D.Cyprianus Dtocles Dton Dionyfus iyireopaj^ita Dtonyjius Haltcarnafctis Eptphanius Erafslratus Erottanus Eurtptdes Etifebtus Eujiathtus Galenus Hcliodorus Hcrodottis HerodianuT Hcfodus D.Hteronymus Htppocratcs Homcrus Horatttis loanncs fajjianus D. Inanncs Chryffomtts fof^phus IJtdortiS lultus CapttolifUiS lultus Ftrmtcus lultus Fol/ux lujitutis Martyr Juuenatis Laertius Laitus Lampridius Ltbanius Lucanus Lucianus Lucilius Lucretius Mar. Aure.CaJJtodorus Marcus Tullius Martiatis Meletius Oribajtus Ouidius n^acuuius D. PauUus Pauilus Qy4eginetA Vaufanias Perfius Petronius arbiter Philofiratus Plato Plautus Plinius T^lutarchus IPolybius ^orphyrius Po/idonms Propertius Pub.Pelleius Pub. VittoT Paterculus ^intilianus T{azes ^fus Sphefius Saluianus Scribomus Largus Senecd Sex. Empiricus Sex.Pompeius Fefus Sidonius A^ollinarts Soranus Ephefus Sophocles Spartianus Statius . Strabo Suetonius Tranquillus Suidas Terentius Tertullianus Themfon ThemiHtus Theodoretus Theodorus TPrtfcianus Theophraflus Valertus Flaccus ValeriusMax. Varro Vegetius Vttruuius Vopifcus Xenophon. INDEX EORVM QVAE HAC ADITIONE quarta (iintaddita ab aiKftorc. ^ Ccubitus in mcfifa toflcrio-' ribus l{omanisyC^ Graecis prarfrrtirri nobiiioribus ufi" tatiljimus.j i.z.^. B. jiccumbendi modus llebraeo- rum poft liberationc ab ji egypto.y i.i.D. ^ccumbendi modus Hierofolymus vtrttm ef fct qdAiis B^ruanorum in triclinio t\ib is li^isAltioribus.j^y.i.ji. jtccumbcndi uai ia genera, et tex.j z. 2. D. ^ccumbcntcs Vetcres epularifoUtos fuijfe. 67.2.^. Mdiutmcntum de truUnio.jo.^.D* ^tklttae dtnudabaiAur toticxceptis fubii- gacuiis.i-j.B.& C. jiti lct^^^^ iudi qualcs forcnt Cafsiodorus dmjcrte docuit. in ^ilhletica qd magis ualeat r^bur ars. C CEromaaUas aiiprerium iocusubiur.»gchaiv.itrryCh' :!ii acc: bitus lut aitquibus non flaceat» 66.t.E. Chriftus prius quam menfae accuwberet laua baturyiocufque reponebat.-J^i.V. Chnfiui in mcrfa taceret ne, an jederet . 68.1.D. Conuiui .rurn apud veteres He- bratost&alios genera dmcrja.jo 2. F. toronabantur aiiqui,iicet non pugnajscnt. Crucis tituluscur llcbraicefiracce^atque U tine infcriptus fuerit.j i.i.F. Curfiim milit.bus Diogenes damnauit^ D Emocritus curpcnt^thiis uocarctur. DifctinMndi modus ftpra tciram 7i.l.B. Difcumbir.di mos ?iktn apud yiehraec^s ttm^ pore Chnflijuerit ;& ritalis Medicaci fententia hac dc re expcnditur. yo.i.E* Fnpa qmd effet. Fraucifci Toiedi Cardinalis, et aliorum circa Mariam Magd.iU ii*^m Qhnftipedif lauantemlcntentia.6^ z.t\ Fuiuius rrjhius accepit dgymnafticae iibris fua dc triciinio C6.1.E. GEntcs J{omanis feruientcs ipforum wt- rcs imitabantur.6j.^*P^' deCtnatione Sinecae Jentcntia- Ci^diatorum nos nephandus a principibus q oque abuiif ts.l^^.B. Cymnafta in omr.ib^a ferh Cr.iecorum oppi^ dis :.d^r,if.t,jic l\pmaeante '\eroras quo- quetewpora \().^.& 29. C. Cymnafia num tcmporibus lullns apcri» rentur. in Cymnaftisqui ludiprimum cxcrcerentur^ 224. £. Cymnaflae an toto femper corpore dcnudu" rtntur. n HEhraci num aciuberent potius quemad modum i\omani,t] Jederent.jl.LX. llcOia^ }{omJnorum rnjn s Jcqucbanturtni- Ji patrvfs i^^ihus ( ontrar la) entur .j i .Z.C licrophiii medid liat ia cum ii Jii umcntis gy mnafUcat.Sfum origoyrrtusyet cur a ludam ai^c fret tur.-j^. i.t, S£dt ndi ad mer,Ja:s cunjuetudo f{p>7^anorum, et aliorum quando ccefta, et ufurfata fiteHtyi.z.^^ Serni,& tibertiin quibus agonibus conten^ derent^ Siteuis ueneris vfus prohibebatnr ante vigi fimum annuw^ Syharitu ornm jo rdidi mo rcs^y U2^C. THcmifiif locusi;orrc^^i4S.y^,c^ Tridinijcur rarae figurae in marmoribus inueniatur,6j.z.Cn Triilirii\m i^ncrdum Fro^omophrcs: USos capicHtc 6j 2,^. Tridi^ I N D E X. TricHniapeief aUos iabelmUeofqui aut /i- g»rosyaut argcntQS,aut aurcos.-ji .lU. rricUimnqnidapHdferuium.Sj.z.B. 7 rictifuum q^tid fucrit non Admodum notum TripcdJS nnejsc tru Hnia.67. z.C. rrcchusud mliitartm qu^i^^c artmpeni* Wibat.l^?*^* Vlrtutum quae fit prindpMlifsimi. rngendi morrm antiqi4ura pofl bat^ ncum, &ante c$enam Maria MdgdaltfU in Cbrijlo feruduit Ji.i.P. Erophagia quid efscU F I N r s ARTIS. GYMNASTICA. V AMDlv Homincs paucirtlmis rebiiscontcn- ri lauras mcnfas, &: opipara conuiuia non co- gnoucrunt, propinarionisciuc poft indudam paullarim confucrudincmpcnirus ignorarunt, (idquod primis illis lacculis cxtitilsc mcmo- riac proditum cft ) morbi ncquc apparuc- runr, ncquc ctiam corum nomina innorucrunr, fjcurvlquc ad rempora Socratis diftillarioijum,quasGrac- ci Ktcriggovi dicunt,nomcn,c]uonilhodic Ircqucnriuscft, igno- ratumc/setradiditPIato.-quadc rctunc temporis mcdicinacaur paucos omnino,autnuIlosvfus, nullaqucpnncipia cxtitif^c cer- rum cft: etii Homcrus anriquilliiniis ausTtor fcripfcrir Ac^yprum multashcrbas, multaquc mcdicamcnrahabuifsc. Poftquam vc- rointcmpcranriaencfandalucs,coquorumcxqui(itacartcs, dc- licatiinma cpularum condimcnra, vinorumquc pcrc^rinac tcm- pcraruracintcrhominesiiTcpfcrc, morborum limul varia conri- nuo gcncra fuccrcfccntia ad im:cnicndam mcdicinam cos coc- Cgcrunt : cjua fcmpcr carcrc proH^to licuifsct, nili humana, vcl ponusfcrinaingluuies omnium uiriorum fobolcs cius ufum om- niummaximencccfsarium cfrccifstr. Mcdicina vcro tamcrfi pri- mo illo orru rudis admodum, inculraquc fucrit, quando priici illi ( ut Hcrodotus, &: Gaknus rcfcrunt ) ac^roros palam cxponcbanr ^"^'^* 'i'" vrvnafquifq.quodutilc,arquccxpciimcnriscomprobarumhabc-r£^^ bat, alrcrumcdoccrcr, poftcrioni)us ramcnfacculis abAcfcula- pioKpidauriocognomcnro apud (yrcnaeos mcdicomiriricc ex ornara fuir, &: quafi cx rultica urbana, concinna rcddira : quam tamcn omnino pcrHccrc is ncquaquam potuit, quippc quiVolis morbolJs, ac languenribus opcram nauans id vnum fcmpc r curan- di ftudium habuir: fanorum curam aut vllam dsc ignorauit, aut eam prorfus contempfir : quod poftca fucccfsorcs illi us inrclligcn- tC5 adco cxiftioucionc dignam rcputarunc, vt medicmam fine hac Qijmnastua. A totam imiicam, nulloqnemodopcrfcaam cflcpoflepcrrpexcnnr. D Arq. hi fucre primi Hcrodicus Seiymbrianus, Hippocrarcs cius difcipulus,cjui curariuac morborum mcdicinae cofcruaroriam va- lerudinis paf rcm fcrc circa fana dunraxar corporc fatagcnrc adde- rc uifi funr, arbirrantes non minus praeclarum, arque artiificiofum opus cfse fanos homines a morbispraecauerc, quam iJlos ia impli- ciros Iibcrare : vndc medicina, quae antca femper quafi virgofue- rar,praegnansabillisrcddirafuir, quandoquidem prius foliscu- randisaegrirudinibuSjtumfaniseriamconferuandispraefeda ert:. An toram cam medicinae partcm, quae &:ad fanos, &c ad uiclus ra- tionemperrinct cxrabellulis, ahjsuc donaris, Aefculapij tcmplo dicatis Hippocrates conflauerit: an vero folamincurandis mor- bis vcrfmrcm clinicem uocaram, quemadmodum Varro, Strabo, atque Plinius credidifle uidcnrur, mihi plane compcrrum non E eft:ni/iquodfuirmoslibcraros morbisin tcmplocius Dci, quid auxihatum efscr,fcribere:]fqucaprimisillis rcmporibusvfquc ad Antonini imperaroris acrarcm non modoin Graecia,uerum ctiam inltaliapcrdurauit: vri pracccrcriscxrabella marmorca Romae itiAefcuIapijrcmpIoin infuIaTibcrinainucnra,& vfqueadhanc diemapudMaphaeos conferuara inrclligcrel^cct, inquagraece haecleguntur. S^ctKTuAovg i7rctico7S/3ri/^ct7vc:, y^' xpcif rlvj^flpct, K^iTflSHvctfjHc iJiovg d^- ^^\uod^, op^ov iui,eM^i, Ji[Smov ^ctpi^Sivc, K^^v7X^pC/Le{^ov '611 n ro^sctj cipiTcu iyz^ovTO 'fhilS Ji/2ci KMj i^^c^y chuoaia YWj-^^a^tqi^CTaf iuTCOcJzf ^uov . Sdnguwcm reuomtntt JulUno deJfCTAto Abomnihushomimlt4S €x oraculo rejpondtt Dcus y n.^entrct ^ cx ara caperct nuclcospt^ my comcdcreta;na cum melle per tres dics : conualuit ^ ^ rtuens ptibliccgrattas egit praefente populo. ajuxi^ oLAixfvovoc; \6iK0v utToi /uiAtrz^;, Ko^^^vpiov aujb^fivaf, KSH^ f&t^ iuipa^ i7np^i(7af ^ 73 JfAi/3"Cf, j^j ivKA ^ W^aiv ShujoaicL m^ici . i J cft:  qua i]uicum(|ue occupabantur, ll^ domcllicos mui cs dilij^cntcr oblt riiabant, ac profcqucbantur. fic ubui. Cratcri mcdici rcruus,rcfcrcntc Porphyrio^nouoquodam morbo caprusfuit Jtautcarncs eius ab ollibus abfccdcrcnrrlic tcmpori- busnoftriscxfccranda illa gallica pacnc cxitialis lucsuniucrfas rcgiones ucxarc cocpir : ut nullo pado illud, quod ucl podciiorum hominum culpa, uel torruna auc Dco ira uolcnrc contigir, Hippo- craci crimcn artcrrc dcbcar, a quo cum duac iam pracdiclac mcdi j;cinacparrcsad lummampcrrcchoncinproucctacfucrint, diuinis cius manibus immorralcs fcmpcr habcndac funt gratiac . Am- pliusq. illud actcrnac memoriac mandandum, quod ambac medi- cinacpaitcslicutidiueifac rc ucra fiint,paritcruarianomina ha- bucrunt, altcraquc 7r^o^,\ccKTPLH, (iuc vyt^ti^m, altcra S%g^wriKH nun- cuparafuit, uocabul.s quidcm his tum abopcrc, rumarccirci quam ucrsdntur,acccpt;s, quac quouiam fapicnrcr, arquc ucrc dc- promptac tucrunt, nullamumquam apud ullos mutarioncmfufcc- pcrunr: qucmadmodum ctiaui ufquc ail pollcriora tcmporahacc inucrcrata pcrmanlit inrer inedicos coniucrudo, ur omncs duas niedicinacparres prinuirias cfticianr,a!tcramcurariuam, alreram confcruatiuam nuncupantcs, quas ob id communi incdicinac no- minc plci umquc comprehcndunr ; quoniam curatiua, quac primo C ob maiorcm ncceiriratcm inixnia fuir, id nomcn adepta ell, quod confcruarjua quoquc ei poltrcino adumcla non modo obrmuit, ucrumctiam apud nonnullcs tantam auctorirarem acquiliuir, ut iudicaucrint hanc folam medicinam ucram appcllari debere:illam inccrram,falfam,mcramuc hominum alios deciperc itudentiuiu impofluram cxfiilerc, nempc quac nudis coniectuiis, infirmisq. ar- gumcntis primo ad cognolcendos morbos urarur : dcindc in co f c- rc omncsfbrtuira remcdia,incogniraquc medicamenra,ur pluri- mumadhibeant,i^ dcmum ram in iudicando,qi;;im in curando non raro fallantur, quos raincn in grauillimo crroi c vcrfari faciili- mc cognofccnr, quicumq. humanas calamirarcs, morborumq. in- commoditarcs, qualcs fbrcnr, ni curatrix medicina fuccurrcret » acquo animo aclhinarc uoiucunr : ut non abfq. lumina rarionc iu- lianus impcrator hanc pro mcdicislcgempromuigaflc uidcarur. Otfmnasiua, A 3 IHN ^»pu,mcty.iAiovoi^v, if /2ovMb-nzm e^r^py,,uciTcv oi^oyXi^rHg vu^gcv roig XoiTTOic: ;^^ovotc s abomnibuscurialibusminiltcrijsimmunesuiucre. ' c De confiruMkcicfmihus,c Galcno crebro fcriprum reperi- tur, exercitationcs, tot atquc tanta ad uitam fanam traducendam bona praeftare, quot et quanta uix vlla alia medicinae initrumcr i praeftant . Quod fi Hippocrates in lib. de Locis in hominc fcripfit Gymnafticani,& medi cinam cotrarias efre,quoniam altera permu- tatione opus habet,altera non de fola ea medicinae part e fcrmone habmt, quac i n medendis decumben tibus clinicc a pofterionbus yocata,folum uerfatur.Plato ctiam,atquc Plutarchus q uando dixc- runc r K I Ai V s. 9 A r. nr cUiascflc c.u.i corpuslu.inaniini vcrfuitcsaitc-s, nicdicinain, &: gymnafticani, non ob id, qncmadniodum Era(iftratus 6c Scdta- torcs> illasfciunxcruncfcd communcm hominum loqucndi vfum fccuti funr, qui, quoniam pollcrius i:\mnaftica mcdicina inticnra, ciq. adncxa clt, cas diucrlas nulla alia rationc diiCti dfiwicbanr.Cc- tcrum quid fithacc ars cxcrciratoria pymnaftica gracco nominc nuncupara, ab cius dcfinitionc, fiuc dclcriprionc pcrcrc dcbcmus, quam crli luculcntcr cxplicatam apud Piaroncm habcamus,a nul- lotamcnaho, quam a(^.aIcno nortro cam 6^ brcuius, &:iucidm^s ^^^.^ dcclaratam crcdo, ubi iradixit:» Tfc;^Kii y\Jiiy(tstKH Uut Intsni/M rn^iv -^i •TTiiTiyvyL^WTmJ^iti^fi^ hoccftgymnaiLic a cllquac omnium cxcrci- tationumfaculrarcs nouit, aut porius, gymnallicaarscflfcicnria potcntiacomniumcxcrcirationum. Qu )in loco animaducrtcn- B dum cft, Galcnum fcicntiam non propric, fcd cf>mmuni:cr, ut plcrumquc auftorcs folcnt, acccpillc, proptcrca quod gymna- Uicacumprofincopushabcat, &:fcicntiac nullum opusconlidc- rcnt, nccclfario a vcra fcicntia cxcludirur i quamuis alioqui caulfas cxcrcitationis virium facpilfimc contcmplctur : clt mlupcr ani- maducrtcndum, Galcnum hac dcfinirionc gymnaflicam a pac- dotribicadiltinxiifc, quoniam illa ramquam impcratrix&: cxcrci- tationum qualirarcsomncs, &:carum cauflasfpccularur, impcrat- quc, hacc vcluri minillra ilhus cxliflit, pcrindc ac gymnalla crar, quiomnium cxcrcirationum potcnriasprobcnofccbat, casqiiC, prourfanitaxi,&: bonohabitui cxpcdirc iudicabat, diucrfis homi-nibusimpcrabat : pacdotri ba ucro, qui cas, quomudv:» fi-^rc dcbc- rcnt,*&:pofscnt, rcipfa dcmonllrabar:arqi:c hoc acni':!maricc cx- C plicauit I^olybus fiib his ucrbis: TreuJ^oT^lRxi roU^J^tJ^iaKovciTretix- ^ ttffctok Kxri f^tiop, iJiK^uf JtKxlt^y ifcrrcrrt. KMTTuy i^oc^up Bii^i^fz^cUy jc u. ca- riKiA/usxyKetliKr^^tsx: idcft: Pacdotr bac h( c cui ccnt pracuan- can (ccundum lcgcSjiniuriam fKcrc iuftc,dccipcrc . furari,rapcrc, viminfcrrchoncftiflimc, &: turpiffimc. Nam ii quisluw irorum, &: ahorum, quia pacdoiribiscdoccbanri:r,adtioncsacftimcr, li- quidoconfpicicr ualdcijsaflimilari, quac aPolybo fcripra funr, ficquc gymnaftam, &: pacdorribam noii parum dilfiniilcs faifsc:vc- rumramcn, cum intcrdum unus vtriufquc munus implcrct, noii immcrirocxiftimaucrunt aliqui has duas ancsunam, atqr.c can- dcm cfsc, uduti nonnumquamidcm&:miliris lir.pcraroris ofli- cio pcrfungitur; arramcn (ialcnus cascfscdilbnCias voluit,dum gymnafticam uocarircfpcituhabitoad folam cxcrcitationis qua- hrarcm ' « L i u E R. litatumnotitiam, quae opmtione ipfa nobilior cd; pacdotribi-D cam clici ob aitum ipfum cxcrcendi, vtpote /gnobiliorcm contcn- dif, haud ahter ac ii dixifscraltcram harum fpeculatiuam, acarbi- tram,&:iudiccm;altcram pradlicam efse, quae omnesinterdum vna gymnafticae appellationc a matcria, circa quam ucrfantur, utpnarmaccurica,fufccptauocarentur;ficutifpccuIatiua,&:praaica mcdicinaepartes unoircdicinac nominefacpenumcroappellan- tur led quod ucrcficuti dcclarauimus,eymnartica talis efse: gym- naflaq.&pacdotriba difl-crrenr,AriIloteIis tcftimonio quoq. copra Darelicef,(^nipnncipioquaniPoIiticoruhoc fcrip:u rehquit: eV fiftnir" ^ a """r 'i"'^' P'''^ ^us aliqd' pcrfcdc cx- Munt vniuseftconfidcrarcquid cuiq. conuenia: g^ncrSeu e^ cac ^ft '^"'''^P^^ omnibus.Etcnim hoc gymnafti- tarcs opere ipZdoc^"aric- uandae^elSptim co^oo ifM "^ ci. Dixi huiusartirtX?/r^ '"'f^'^ pcrfeaam, qiltum? . oo tcft "r"".'  ctKuiiutl.ancfciSfnV.bai^f' "1"^ uerfan- I Bfit 2(ifl liOQ iit nimi licoj niin, . II A iJCrfantiir > circa quas gymnaftica mcdica,ut in fcqucntihiis fum cicmonftrarurns, quando in iingulis cxcrcitarionum gcneribus cicclarandisquomv)do in vnaquaquc gymnaltica locuin habuc- rint fcparatim planuni laciam: nihilominus magnopcrc intcr fc dilcrcpanr,caunaqucraliscliffcrcntiacnullaaliacx(i(litpractcrll- ncmfingu]arum,quoHncomncs lacultatcs diftingui fcripfit Ari- ftotclcsrNain ludorum hnis crat rcligioquacdam,qua Anri(^ui opi- nabantur fcfc Di)S rcm gratam illis^Iudis tamquam. promiflam fa- ^uros -crar quoquc populi uoluptas, cui maximc &c rcfpub.&: Rcgcs, ac impcratorcs lUidcbant, quo homincs u )luptarc dcmul- 11 in ofticio contincrcntur: undcludoiumcxcrcitatoribustantum honorcmtributumcflbfcribitPhnius, ut, dum cos inircnt,fcm- pcr aflurgi, ctiam ab Scnatu, in morc cfl^ct, nccnon fcdcndi ius in J Bproximo Scnatui, atcjuc uacario muncrum omnium ip(is, patri- bufcjuc &:auis patcrnis, quod tamcn fcruis, quando illi (imilcs lu- dosinibant, conccfliimfui^rc minimc crcdo . I)c his ucroludis quicumquc aliquid cognofccrc optaucrir,librum Onuphri j Panui- niA croncnfishabcbit,qui omnium diligcntiflimcut cflipfcom- nium facculi noari in hiltorijs longc ucrfatiflimus, hanc matcriam tradau:t . Arhk tica lincm habuit robur, ut illius ui pofifct athlcta aducr(aiium*fupcrarc,&:coronampracmiaqucpr)polita confcqui: quamuisctiamapud Graccos,&:I.atinos nonnunquam arhlctac uocati funt, tam illi qui in ludis, quam qui cxtra ludospracmij gratia ccrtabant, quos omncs fub nominc uitiofnc i:yinna(ticac ( dcquainfcruisloqucmur ) Galcnus complcxus cftV C:ac:crum qui gratia bclli cxcrcitationcs pracdiclis obibant, id non ob aliud Cagcbant,ni(iquoagiIitarcm, ac pcritiam compararcnt, quibus pollca,cuinopoitcbat,hoftcsin pugna uinccrc pollcnt : atquclia- rum cxccitarionum difciplina vfquc adco fcucra apud maiorcs fcruabatur,utciusdo^torcsduplicibus,quod(cribit Vcgctius,rc-, muncrarcntur annonis ; &:qui pr.rum inilla piofccia-ni militcs,iml profrumcnto hordcum cogcrcntur acci^ crc, ncc antc cisin rri- ticoreddcrcturannona, cjuam fub pracfcntia pracfccti rnbuno- rum, ucl print ipum cxpcrimcntis datis oftcndiflcnt fc omncs mili- tiac cxcrcitationcs complcflc . Kx quibus omnibus manilw flu ii cft gymnafticamnollram a pracdictis dillcrcnicm clks^cidcolinnma cumrationcanobisinilhus dcfinitionc politum fincmluilVc,qui cftgratiafaniratistucndac,&:boni corporis habituscomparandi . QiKjducrocxcrcirationum omnium trcs pracd^Cii fiiics,a quibus tria gyninafticacgcncraortafunt,apuductcrcscxftncrint,atquc omnes fn^inumpubIicaefeIicitatisfinemrcIatifint,abuncIe Jecla- A rauitSoIonapud Lucianumin Anacharfi cfia!ogo-qua una iJIius oratione,tota hacc fententia noftra haberi rata mcrcrctur,nifi Pla- tonis&alioruminfcriusexplicanda teftimoniaacccderent. Degymnafiicae fubieSIo y icd nonnullas iScpcrcurinas picrrini ad cxcitandani lirini quaciitasefsc pdicat.ltaq. valdc hallucniatum fuifsc Budacu puto, quinifuisad Pandcctas adnorationibus Komanosgymnafioru,&: palacllracexcrLitamcnris minunc vfus, nulla flrma rarioncprobat. De gymfujis Antiqu0rum. Cdp. Vl. '^'mnaltica.liuc cxcrcirarona in ccrtislocis Hcri foliram^qin iupra Ibtumnisaarioni modo conlcntancum cll,quid,loca ipfa,&: qualia lorcncplanu faccrc . Nam ioca illa nil aliud fuifscq gymnalia nuncupata,cx mulris,&: pfcrrim cx vcrbis Galcni infccundo dc tu.va.fcriprismanifc llo c6probaf,ubi narrat gymna- B llum fuilsc publicum in lcparara vrbis rcgionc locum cxllrudum, in quo ungcbantur,tncabanfur,Iu(flabanf Tdifcum iadabant, aut talc quippiamhiL^itabanr,q loca ira nuncupara fucrunt,qm cxcrcirato- rcs ibi, vt pluriuu"i dcnudabantur.^^fo^flf^K^it^ jnim antiquifTima vox ctiamdcnudari li^nihcarc vidctur,vndc Marnalis librotcrtio. 0} iocfma£jUJiMmeithiCp4rte,recc.ie i /, mdos pjrce videre viros. EtBardcfcncsapud Eufcbiu li.vj.dc pracparat.Euang.c.viij Crac- cos ait no poiuiflc vlla vi fidcru prohibcn, quin i gymn afijs nudis cxcrccrcnf corporibus. Vc ru an ocs,&: toti sepcr dcnud arcnf q fini ratis tm gra cxcrccrcnf no cft ita copcrruifufpicor rn,Iu(ftarorcs, pu- gilcs^tq. alios qu(jsda potuiflc dcnudari qucmadmodfi Athlctis in rfu crat,quos rni fubligacula pudcdis tcgcdis ra in publicis, in C priuarisccrtaminibus habuilic- cr ufq. ad Homcri tcpora,a quoco- ru fit mctio,ojs r6dccoriscxigir,&: hilloria Orlippi ab Euftarhio, &: Paufania relata,cui fubligacula dclapfauidoriadcpfcrunt.ut indc poft modu indultr:,(ir ncc ca gcilarc ira accipicda cil ranc| non ma- gnis,&: impcdictib^ /cd paruis,&: nulli'unpcdimcri uri liccrct,quc inorc vfq. ad fua tcpora Komac ^pduraflc fcribir raufanias. Ad h-ec qnq. fub nomine gymna/i; omncm locu,vbi cxcrcerenf, coprehcn- fum fuifserepcritur : lic ut poika hacc vox ad alia quoq. traflata cft, qucadmodu apud Iolcp!i^'i vidcrc licct,qui in libris dc bcllo ludai- cobalneaaliqngymna/ia nucupata cfsc dcm61lrat,vbi dc Hciodc ita loquif.Naq. apud Tripolim,&: Damafcum,&: Prolcmaidc publi cas balncas,c] gjmnnfia ciKUiu,Ijil>Iidc aut cxhcdras porticus c6di dir.Hacc loca a Virruuio,C clfo,Plinio,atqucalijs Larinac linguae audtonbus palacftras nucup.ai i inucniorVndc ct coijcio Vitrumj rc- Cymmfi!^ ^ jj peftate in Italia.vbl raras admodu,veI nullas extiti/Te palaeftras,/luc D gymnafia,qnquit]cis libroarchiteflurae earumaedificationcsfra- diruruslralicae conluetudinis nofuiflepraedicit.-Naqui primi gy- mnafiaexaedificaflrc crt dunf,fucrunt Graeci,licrcdendum cft So- DaZt ^^"^ ^P"^* Lucianu, et M. ^TuIIio Ciceroni,qui in fecundo dc Oratorcfcribit.gymnafia deIcdationis,&:cxcrcitationisgratiaab ipfis pnnuiminftituta fiiifTe. Intcr Craecosautcmprimi cxftitcrfitLace daemones,ficur Athenacus ex Ippafifententia,&PIatoin Theact. Sc primo de Iegibusincmoriaeprodiderur,quosctiain illa ipfa om- niumpraeftantilfiina,atqucfpcciofiftimaconftruxiflccx MartialisU bro I .intelligcre Iicct,vbi ho§ vcrfus habct. ^rgiuasgenetatus inter vrhes Thibas larmine caiitft,aut Mycenas^ p ^ntclarami{l)udon,aHtlibidinofaet Ledaeas Lacedacmonispalaeflras ^ QuovcroPhuoinCritia du Atlanticam illai-egiadcfcribit.q^no- uc milliu annoru mteruallo ab actatc fua ante floruifle narrat,ibi gy mnafiaexftaOc fci-ibir,qui LacedaemonQinuctuillafacit, cxade di fcerncre nequeo.nifi totaillaCritiae narrationefabulosa credam*. PoftLaccdacmoniosAthenienfcsquoq.fuagymnafia crexcrunr,in quoru vrbe tria extitilfe tcftant Paufinias,&: Suidas,altcrfi «W»^/w vocatu,in quo Plato philofophiam fua jpfefllis eft;alteru Avxwa^vbi Anftoteles cdocuit,q(f Apollinis Lycij teplu fuiflc icgitur apud Lu In Anach. cianuiah erfi Kiwttgyis ubi nothi,fpurij,ac ignobiliores oes excrccba tur.fi quidcapud Craecos tanto odio,tataqueinfamiaviles,acfpu- rij notabant,vt qui vcre lcgitimi.ac nobiles efscnt,cfi ijs cofuetudi- nc,aut cocm fefc cxcrccdiIocuhabererecufarcr.Pr.actcr haectria F mctioncfacit aItcrius,quod Canopu uocat Philoftratus in vita He- rodis Attici.Dixi in vrbc Athenicnfium tria fuifsc gymnafia, quod hcet extra vrbcm efsent,erantiiihaud longcacdificata,utqproxi- ma efsct urbi, m ea fuifse dici potucrit.ln his etenim mortuos quo que fcpeliendi confuctudincm Graecos habuifsc fcriptfieftapud -i.Epift.ft Ciccronccui Scruiusfc Marcelluinterfcdum in AcadcmiaAthe- m».epj;,. nienfiimobilnfimo totiusorbis gymnafio fcpeliuiflefcribit Quae 1^'' antiqmtatis totius pcritiflin-ius inuenifse fcribit in ue tt.gijs Hadriam impcratoris Tibmtinae viUae rcpracfenrara.Athe naeu,Hcrn,cu,Pan.'ithenaicu, minime gymnafia, vbi corpora exer- cercnt, tu.fsc puto:fcd loca,in cibus aut difciplinarfi. &c aliaru artiu ftudus opera dabatur,ucl fefta aliqua celebr5.bantur.vt in Panathe naicofcfta Panathcnaica. Corinthum quoque gyranafiu habuifse, Craneum vocatiim,auclor cft Lacrrius libro tcrrio. eaadcm nulliim pcnc oppidum fuit ( iraccorum, quod gymnafium non habcrct, uf Anachar/is diccrc folebat.Komani poftrcmiomniumgymnafiapa- lacftras vocata in vrbcad Craccorumacmularioncm Varronc au- rtorcacdificarc cocpcrunttquostamcn cacrcros quofcumquc tum magnihccntia opcrum, tum inacftimabih pulchrirudinc in hoc gc- ncrcanrccclTillc, cx illis I hcrmarum ruinis, quar ad hanc vfquc dicm non finc omnium Ihiporc pcrdurantcs, conrpiciunrnr,facilc conuincirur . nc liicam i!!ud ^ quod dc Ncronis gymnalio fcripdt Marriahs lib.vij^ Qnid \frone peius ^ Qitid Thcrmis mtlius ^ctom^jiis ^ atramcp anrc Kcronis quoquctcmporafuiflc Komac gymnafia cx 1'Iauti Racchidibus, B cuiuslocum apponam infcrius,col!igcrc hccr. Nam gvnmafia tora ahquando Thcrmas ob aquae calidac vfum ibi frcqucntcm nuncu piri,apud audorcs Latinaclinguacncmodubitat,ficutctiamin- tcrdum Thcrmac fignificantcamgymnalij parrcm,in qua lauaban tur,ubi propnigcu,laconicu,calda lauatiolitac crant,ut cxmulrisau ^torum tt ftimonijs pracfcrrim cx Mai tialis vcrfibus nupcr ci ta- risclarc pcrfpicitur.Ciymnafium^thcrmacftadiu cfthac partc. His omnibu* po:c ft iam vnicuiquc pcrfuafum cflc, (juanrum in criorc vcrfatus fit(inuitus farcor)Blondus loroliuicnfis conciuis mcu.squi in fccundo Komac inftaurarac commcnrario rhcrmas folum ad la - oandi vfus inftitutas tuiflc lcriplic. Voiio nc quis forfan admirario- nc capiarur,quod dixcrim PIatoncm,arquc Ariftorclcm in gymna- tijsphilofophari confucuiflc ;[circdcbct in huiufccmodi locis va- C ria hominum gcncra conucnircfolita fuiflc,quacomnia in fcnucn- ti capircanobis ligillarim dcmonftrabunrur.ranta c nimcrat huiu- fccmodi locorumcapaciras,tamq. fpatiofa ampIitudo,vrabfquc ul- lo impcdimcto diucrfac, ac fcrc iiinumcrac cxcrcitationcs, &: cor- porum&canim^^rum pcragi pofscnr,qucadmodum cx Vitruuij al- laradcfcriprionc pcrfpiccrc quiuis mcdiocrircr Iiac in rcvcrfa- rus potcrit ; quam cum in rcbus plurimis diucrfim cx Odaui; Pan- lagathi viri tcmpcftarc noftra fummi iudicio in prima cdirioncrra- didcrimus,nur ipfa diligcntiusconlidcrara (vt icmpcrcuracpoftc- riorcs cfse mcliorcsfolcnr)caftigatiorcm,&:omnibus Virruuij ucr- bis cxaiXQ corrcfpondcnrcm cxhibcmus.ad quod agcndum clarif- lim is Aloyfius Moccnicus, Prancifci hlius, loanncs Vinccnrius Pi- ncllus, Mclchior Guillandinus, uiri tum ob acrc in cunvtis iudiciu, cum ub lingularcm cruditioncm apud omncs fpcctatiifimi, nccnon B 2 Andreas Palladius prifcae totiusarchiteduracpcntiifiiriusnon pa D rum adiumciuo nobisfuerunt.ita utnon vcrear.quin hoc pado do- ^is,Vitruuijquefc]entiacftudio/isprobataeucniat,&qucmadmo- dum ad hanc fcrc diem palaeftrae ratio fuit incognita, fic in pofte- rumclara,afquemanifcfta futurafir,Immo vcro,fi Odlauiusipfcrc- uiuifcerct,non dubitarc,uterat homofanfliiftimus^arq. dodilTimus, quin ctiam ipfe huic defcriptioni, Sc Vitruuij contcxtui non muta- to.fcd in aliquibus tantum raelius ordinato Jibentiflimefubfcribe- ret.Placuif autem duaseiusichnographiasproponcre, quiaaudor &: cmadratas,& obJongas ficri pofse docet. De paUeHramm aedifiuttone^fs' xyftis^ex VitruuioLib.V. Cap. XI Vnc mihi videtur ( ramerfinon fint italicae con- fuctudinis)paIacftrarumacdificationestradere explicate,&: quemadmodu apud Graecos con- ftituaturmonftrare.lnpaIaeftrispcriftyJia,qua- drata.fiue obJogaita funt facicnda,uti duorum ftadiorumliabcantambulationiscircuitioncm, quod Graxi uocnmJ^uuajUv.cx quibustrespor . "'^"^fif"I^'iccsdifponanrur,quartaqucquaead mendianas regioncs cft conuerfa dupJex.ut cum tcmpcftates uento iac Junt, non poftitafpergoinintcriorcmpartcmperuenire Con- ftituunturauicmintribusporricibus cxhcdrae fpatiofaenabentes lcdcs,in quibus pliilofophi, rhctorcs, reJiquique qui ftudijs deJe- ftantur,lcdcnrcs d.fputare p*flint. Jn dupl.ci autcm porticum F colloccnrur Jiaccmcmbra,Lphcbacum in mcdio (hocluuem eft exhcdraamplil],macumfcdibus.quactcrtiaparteI6g^ lata ) lub dextro conccum, dcinde proximc coniftcrium,a conifte nomvcrfuraporticus frigidalauatio, quam Graeci aovW: itafa- cla,ut in partibua, quac lucrint circa paricrcs, &c quac crunt ad co- lumnas,nurgmc&habcantuti lcmitasnon minuspcdum dcnum,mc diumq. cxcauarum,un gradusbini (int in dcfccnfu fcfquipcdalia marginibusadplanicicm,quac planiticslit ncminus lata pcdum du(K^ccim: Ita qui ucftiti ambulaucrint circum in margmibus noa impcdictur ab cun^^tis fc cxcrccntibiis. Haccaurcm porticusapud Graccc^ jyoii 'lociutur,quod athk tacpcrhibcrna tcmpora jn tc- di$ rtadi js cxcrccniur. Proximc autcm xyllum, et dupliccm porti- cum deilgncfnrtrhyp^icttirac ambuIationcs^qitasGracc/irtfi/ftf/j^i. /flff^noftri xylb appcHanr,!n quas pcr hicmcm cx xy(h>fcrcno cuc- lo arhlcrac prodcunrcs cxcrccnti:r.I-ac iunda aurcm xylta lic uidcn tur,ut lint intcr duas porticus (iluae, aui platanoncs, U in his pcrii- ciantur intcr arborcs ambulationcs,ibiquc cx opcrc fignino lUrio ncs. Port xyllumautcm Ibdium ira fiuurafum,ut poflint hominum copiac cum laxamcnto arhlctas ccrtantcs Ipcvflarc.Quac in ntocni buincccflariaujdcbanturclfc.ui aptc djlpoiuntui,pcrkrjpil 21 tigura paJacltrae cumpcnilylioqinidrato Occafus g a B s  II a • •• •[?• # • • • 0• D • • 90 Orrus Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQu Images reproduced by courtesy of the Bibli CFMAGL 1 .7.429 24  A Pcriftylium in palaeftra quadratum&: oblongum habcnsam-D . B Trcsporticusfimpliccs. C Portiaisquartaad meridianas Cacli regiones conuerfa, quae duplcx eft. D Excdrac in tribus porticibus fpatiofae,in quibus phiiofophi, rhctorcsdifputabant. E Ephoebeum,ideft cxedra tertia partc longior quam lata. F Coriceum a parte dextcra. G Conifterium. ^ H Frigidalauatio in verfura porticus. I Elacothefium adfiniftram ephoebci. K Frigidarium. L Iter in propnigeum in verfura porticus. E M Propnigeum. N Concamcratafudatiointrorfuseregione frigidarij ion^itudi- ne duplcx quam latitudinc habens ex vna parte Placo- ^ . 3 nicum QJxituseperiftylio ^ Exaltcra Ocalidam iauationem R Porticusextra palaeftramprima exeuntiLus. S Pm-ticusfecunda fpedansadfcptcntrionem duplcxamplifllma iatitudinc&ftadiata. T Porticus tertiafimplexitafadauthabcar. V Margines circa parietes. X Marginesadcolumnas. Z Mediuexcauatumuti gradusbinifintindcfcenfufcfquipedali F « Hypethracambulationcs proximcxyftum, &: duplicemporti-' cum,quacaLatinisxyfta,aGraccisiirt^;/f,^i^uocabantur. D J>iluac ucl platanones intcr diftas duas porticus. y Stationes ex opcre fignino. Stadium itafiguratumutpofsethominumcopiaccumlaxamcn - to athletas cerrantes fpeaarc. % Locadequibusl etfinon meminerit Vitruuius^ fiufst tamen in palaeftrancccfse ut lignarium,iiquarium, uafarium, latri- Btc naimihwum ctil«, &: finailk. P R l M V S. Dt '^itrijs Imninum generibns, quae itj gymtiaJiA comonebAnt. Cap. VIL 25 metli. B Aiua, adcoquc varia hominum in gvinnarijs conucrfan- tium crat multituao,vr,rcfcrcntc4nihifaf nBrtffn y pJtrijwfj. 7\0kercar, Et ficuti ctiam Galcni tcilmionio comprobatur^qui Tl.cagcnis cu- iufdamphilofophi Cynici in Traiani gymnal'H)quoridicpublicc difputantismcntioncmfacit : Triacnim fuidc Komnc h)caJii qui- in in lib. bus lirtcrariac cxci citationcs obircntur, cx varijs Ga!cni !il ris co- libru C gnofcitur,tcniplum pacisantcquamconflagiarct, gymralia pu- blica, cW^fK. Intcr-quac fcholam mcdicorum appcllatam (i- quis rcccnicat mcafentcntiaa vcronon crrabit. fuit autcm ca iii hfquilijsacdificata, multLsq. imat;inibus, atquc rriarm(>fitK>ncs, 5c aliaincdicinac Itudioforum cxcrcijia liimlcquid trad.in folituin iiiiflcatquc nunc incollcgijs vocatisfir, qiiandoficfcholam eiuf- modi propnos rai>uUrios habuiife, oftcndit marmor cnm hac in- fcnptionc Romae ad D.Scbaftiani rcpcrium. M. LIVIO. CELSO. TABVLARiO SCHOLAE. MEDICOKVM M. L 1 £ R M. LIVIVS. EVTYCHVS E ARCHIATROS. OLL.D.I/. IN. FR. PED. IIIL Alterum genus crar,Adolcfcentcs,qui vr cxcr. itationu obferuatio- nes,atq. modos addifcerct,ad gymna/ia acccdcbar,vbi a gymnallis ipfisquafcumq. cupiebatexcrcirationes, edocebarurj Adole/ceres hbcros palaeftra cdifcere folitos fuiiTc facile couincirur ex iJIis Par InEunu-menonisapudTerenriiiverbis, quibusiileCherea fub formaEu- nuchi Thaidi oflfercs air,Fac periculumin lirferis,fac in palaeftra,in „ muficis.q hbcru fcire aequu eft adolefcentc,foJiertc dabo.id q^ cJa,, riusmfra demoUrabo.Tertiugenuserat Athlerae qui ibi feexercc- bar, vt in publicis Uidis, fcu in facris certaminibuspoflent&popu- lu dele(aarc,nccn6 vidoria ac praemijs potiri.&: qj-hoc fuerit,pre- rerVirruuijauaorirareSueronius clariilime demonftrat du refcit E Ncronc qiiandoq. gymnafiu ingredi foIitu,vt cerrares arhJcras fpe- ctai ct.Quartu genus crat ocs iUi fiuc nobiJes,fiue ignobiJes, qui ue! miliraris difciplinac,&: forrirudinis,veI tuedaefaniratis,&: boni habituscopamndigratiavarijscxcrcitationugcncribusinciibcbanr de prionbus elt locus apud Cafliodoru Jib.v.epift.2 ^ maJc a Pamc- lio m adnor. ad Tcrrulliani lib. dc fpe«ft. inrelJeau, vbi ita fcribir Oflenriuucncsnoiha in bellis,qd in gymnafio didiccre virturis.ln Inic' l.^n '^' poflumus, cum fcribat -.c. e anno aetatis fu? tr gefimo quindlo pafllim fuifle luxarione fummi humcn,n paJacflra.Quindtum genus erar corum.qui fricabaruX cer n.fndbones ficrcnr a mu Jris ante rcJiquas cxcrcitationes,nihiJo- ^irr^smnln quoquc fine vJJa excrcitatione feorfum ab aH;, ut dc C.alcnofridione adexcrcitationcspracpaKuoriaareliqufs diftin S;;Hn^ bihorcs.Hoc tamen intcrerat,qct diuitcs,arq. primarcs Jabra et co lymbuhras^prias in cellis alioVjui comunibiis habcba ^bjf^^ ucrfis tcporibus lauabaru r, mulri crar qui ct folia ucl J.enca vej ar gctcaCqd-rcctat PJinius) fecu ferrcr,nc pcdcs nudos cXc S nJi viJifnmi qu.q. poncbanr, quauis ctia rcftranr nonnuJjXh-hnnm Impcratorc lauan loJitu, vbi plcbs lauabatur quoT& -n^S cX fccifTc cribit Sucronius. Qui vero duntaxatunge7cm?rnuJ^^ gymnafi;s rcpericbantur, quonu uej cxcrcirationTn3l K^^^ grariaungcbanrur. Abhiipoftrcmoonin Cn^ res ( ne nuniflros,dc quibusinfra loq«cmt,r nuncC, cam^ gymnafia conuena banr,qux non ob ^nliud, nifiarvidendos eTe^.;/: . tarores P R 1 M V S 27 A tatorcs ut porc otion,&: nuUis ncgotijs occupati eo ncccdcbar.Qiio in loco id ctiam animaducrtcndum ccfco,dicbus f clhiiis gymnalia ma-islixqucnt:U:ituiirc.qu;UKlc)artificcs,autaIi)sfcrmcijsdctcnti otiantcs in illis ob rcmittcndos Iaborcs,&: uoluptatcm capiundam ucrfabantur. An in Komanorum Thcrmis mulicrcs quoq. ucrlarci> tur,qucmadmodumuiri,nil ccrti aftirimrc auiim,niiiquod Koma- na maicftatC- illud dcdccuilTc vidctur, tacilcq. ficri potcMt impu. rac aliquae et (peaandi,& ludcdi graria^quod luucnalis.&: Marna- lis innuucpublice vcrfarcntur in ^ymnalijs, nccnon in locis lcpara- tis,quac ibi lauadis tcminis folis cxlli uc^la cn"cnt,pcrindc ac in priua tis balncis honcftac mulicrcs lauarcntur tam ignobilcs et mcdiocri loco natacqua illuftriorcs, cu dc l>oppaca Domiri j Ncronis uxorc LU.c.4.1. referat Plinius, quod ad au^cndu cutis candorO quingcntas aimas B tctasper omniafccum trahcbat, cV balncarum cnam foliototum ^ corpus illo la^c macerabat: quod intcllcxi t luucnalis dum lcriplit. .niir p nguia Poppacana. Saty.^, Spirat et lr:cipit agmfciyitq. Hb laciefonetur Troptcrc^uod/ecumcomiteseducitafelUs. in qucm dcalbandl corpo- ris nfum ihas mulicrcs farinam fiibaccam, alios ninum,aphroni trumuc in balncis vfurpatrc mc minit Galenus. Atqui Spartanorum Primo dc mulicrcs una cum uiris in palacfiris cxcrccri fc confucuillc, practcr aIio5,fatis tcitatumfacitPropcrriushbrotcrtioMultatuaeSpartemiramuriurapalaeHrae Scdmaj^e vir^inei tct bona^ym^afii^ Quod non infames txetcet lorpore ludos Jntcr luilafjtrs nuda putllas uiros, Cumpii i ueloccs fjUu pcr braihia i^^l.iS^ Jncrepat et ve fnlauis ad tnca trocht, TkluerulChtaq. ad extrtmas fiat ftmina mctas, Et patitur duro vulncrapancratio, 7\(^unc ligax ai cifium gaudentia br,nhia loiis, MiiliUnunc dijcipondus in orbc rotat. Keq. deHoc Spartanoru morequifquam minMi dcbct,quando&: Plato in quindo dc repub.grauiHimis arj:un.cntKs probaiiir ad flli- €cm rcrum publicarum ftarum maximopcrc conduccrcfi mulicrcs tamiuuenes,quam fcniorc* una cum viris nudac in pahu (Iris,at- quc gymnafijs cxcrceantur, qucd an fapicnrcr dccrc. um f ucrit, ^ an ad conrincnriam tcmpcrantiamnc ex confuctudinc conlequcn- dam,ut Platoni m animo crat>confcrrci,uon dl iocus cxaminandi.  ^"'m qui Augufti Cacfansacrace floruir,folum pnlac % nrasgraccastradiaiflcexipfiusucrbisconftar, quando I' nmidiim Rcrant, c}U;ispoftca cxftru^aas licuii in raulris Gniccorum gy- mnafijs .'jsnircs fuiiic probabile cft,ita pai-irer veririiiiilc fit Roma- nos (, vc /olcf cfse poltcriorum in cxcokndis rebus mos) plurafuis addidr(Tc\tj6jac ucl Graccoslatuerant, vclparum ab illis acftimara fu( f>ti>;:tiUOcjixa pai tes gymnailorum magis principalcs cxplicata ftts baudquafjwam folas a Vitruuio fignificatas in mcdium afftram, fcd lihis ni.llo {ku^ ordinefcruato cnarrabo, quai difpedlm ab Au- aorilnis tF.uIiras inuenio, quasut rei ipdus rario expoftulare uidc- ttirio Gruecis,aEq, Uomanis palacftris extitiCe : quaquam Vitruuij E au^icrjtasEim nunqua multifacicndam cxiftimaui.nempe quc ■na^ct- J^oiixcyov &i fua actate minimcaeftimatum puto, quod enim ab Au- gufto i.uliis egrcgijs l-abricis, niflfolis Baliftis pnicfectusfuerit, quandofcilicetin vrbc &extra Hrbemmagnifica aedificia cxftruc- banti!r,quod ctanfrFroferc-pofteriorcauaorc nominatus inucnia- tur,practcrqiia in capituni Plinij libroru caralogo.qui ab aliquibus minimcPIuiianus,ucI fattcm adulrcratusputatur,magnam certe ip Ijuscxiftirnationisfufpicioncm meritGparir. Ergoprimac symna- liorupartcsfucruntporticusexcdris fiuc cubilibus apcrtisplenae inquibusphilofopiu.&ihctorcs.mathcmatici, et omnis dcniq di- lciplinarumamarores difputando,lcgendo,ac doccdo cxcrcc-ban- tunatq. has non longc ab alijs admodum litas fuifsc conijccrc pof- lumus tum cxipfa figura,tum cxproucrbio indc nato(Difcfi quam F philolophu audire malut^quod in cos diccbatur, qui in codc aym nafio intcr philofophos fcdcntes.atq. inde difcoru crcpirus audicn- tcsrcliita fapictiac fchola ad proximum ccrtaminum locum (rum- pebanr.ln cxedris philofophorum adolefccntcs arq. pucros illos a difciplinarum ftud ijs opcra nauabant, vcrfaros cfsc rarioni confcn- tancum cft: quod cfsentillac ucluti icholae quacda.ubi pofscnt fa- eillimc poft animoru exercirationcs corpora ad fanirate, uel fortira dincmiuiK:nes&pucricxcrcere/ubindcci.lauari.cmtcr»imLa.ffl- pridi.jauetorrras. AlexandruSeucru poft Icaionemope raml^ pahuitrac modo fphacnftirio.modo curfni.mocto lemL ludTs dc- diircmoxbalncummtromifse . JntCKhasadnnmerocmJ mcdl corv.m /choIas.Secunda parscrar Ephcbaccm, quo mih. vJdfi^- c apparet cos conuemrc.atq. dcpracrt,ij^ ^ c^icrccd. gcncrc padio! ncs : 29A nes facerc (oVxtos, qiii hiTiLiI cxcrcn-i, ac ccrtare uolcbant : qiiam- quamfciam Philandrum cius opinionis fuiOc, quod iu hphcbaco pubcrcs cxcrccrcnf. qua in rc ipfum ualdc mchus fcnliflc cxiftnno, quam Guliclmum Chouhim, qui in fuo dc antiquoru cxcrciratio^ nibusUbro in Ephcbaco iuucncs ftudcndi gratia lcdillc lcriptis madauit. Vtrum ucro apud Romanos,qui cum uiris antc dccununi fextumannumpucroscommcrcium uHum habercuctabant, hoc ucru tucrit affirmarc noaudercm . Ncq. itcm ncgarc poiUnnus,Ga- Li.dc i.c. lcni tcmporc. pucros cxcrccri in palaclba confucuiflc, cu rs cumf- P^^^'- damacgritudinis,quamCommoduspucr,atq.lmpcratoristiHu$in palacflraacquiliucrat,mennoncmfaciariSipracrcrcainfccudo dc tu.ua.lic icribat: oCn Kxiou^ ivporis moribus ita loquitur. l^tgo tihi cjims yigimi fui\}c prtmn cop am DiiitHm longc a pdtd^ipio pc.iim vt effcrres ex acdibus ^ntc folcm cxoruntt m mjt in pMdcliram vcncras Cymnafii Tracfccty haud mcdiQcns pocnas pcndcrcs : Idq. vbi obtigcrat, hoc ctum ad malnm arccjfcb.itur malum Et dilcipulus, magislcr pcrhtbebantur imprubi. Jbi curfu, luctando, hajia, difco. pugiUtn, pila Salicndo fc exencbant maps, q ^am icorto, aut fauifs, C Vndcmihicoijcicndu uidctur pucrissumo mancpalacftraadcudi pracccptu fuiflc,ut uiroru,qui tuc noadcrat,c6mcrciu uitarat,atq. cthttcraruftudijsiucubcndioMumfupcrcirct.etcnim non dcfuifl^i-, qui pucros nudos uidcrc,&: ncfandum coru amorcm libi conciliarc cx palaeftns ftudcrcnt,facilc cx ainatorio Pkirarchi iib.colligitur. habcturautcxcitatoPlautiloco gymnadapublica Romac cc fuilfc antc Ncroni5principatu,licut&:cxCatullo,acalijs.Tcrfiaparscrat Coriccu,qui locus(ut mca fcrt fnia),p dcnudadis hominibus,^ ucl cxerccnaicl lauari,ucl ut ruquc agcrc uolcbant,infcruicbat,alias a Graccis iTroJ^urift^.Sc a Calcno yvtJHfccsHgiOP uocatus.Nili cnim Cori- ceuapud Vitruuiumtalcmloculii^niHcatpalacllrasabipfo dcfcri- ptas abfq. hac parte omniu maximc ncccfsaria cxtitifsc diccnduin cf5Ct,quanonfoluminpublicisgymna(ijs,ucructiaminpriuatisaf- ^.^^^ tUifsc crcdo,fiquidcmPliniusCacciliusindcfcriptionibusuillac fuac Laurctinae ac Tiifcoru apodyteriCinteralia adnumerafrunde D illoru fcntcrias jpbarc ncquco.qui Coryceu in Vitruui; textu legc- du putarfita corycopilaefpecic,quafiibi ludui talis agcrefaut cou riceii pro tortrina, aut corycefi tam^in eopueIIe,&: virgines««f«//« Graecis uocatac exerccrentur.Quarta parserateleothcfium a lulio cpi. Pollucc «AujrT/IfMc^aCaecilio Plinio unauarium uocatum, atq. in ifto ludaturi, &c alias exercirationes, uel balneas inituri ungeban- tur,redungebanrurq. Sed,quoniaopportunirasrci poftulare vide- tur,ut dc hoc gymnaftico vngcdi munere ucrba facia, neq. Metro- dori Scepiij 'sngt T«j«At/7rT««{.ideft,de ungcndi rationc ciratus ab Arhcnaeo Iibcr hodie extar,quatuor cgo dica:primij,quado, et qui ungerenrur: fecundu,quae cfscr undionis materia:rertiu,cuius finis gratia ungcrcntur: quarrum.quo modo, &: a quibus undio admini- ftrarerur. llliquivclloturiuelfefecxcrciraturi in gymnafiuucnic- bar,maiori exparrefpoliabaturin apodyrerio:poftea horu nonulli, &: praefertim qui uel lucla, vcl pacrarium inire intcndcbat, (na pu- giIatorcs,curforcs5ac alij multi undione no egebant) alipteriu in- gredientesungebatur,atq.iraunaiadIocu,ubierarpuIuis,dequo loquar mfcrius, trafcunres pulucrc cofpcrgcbantur, ficq. dcinceps m cxcrcitationes diucrfas diucrfi prodibat^poftqufi ucro fele,qnan- tum Iibuerar,excrcuifscnr,itcruad undUianiireucrrcnrcs ibi a Me- diaftinis,& Reundoribus ftrigilibusferrcis,de quibus Martialis, Tergamus basmfii curuo difling^mre ferro, T^ontam faefe toet lit.tea fitUotibi, detergcbantur, in qua dererfione olcum, puluis,& fudor, quae de radcbanrur.fimul mixtain ufum mcdicum adfcruabarur, &:ab At- !:h4ci ^'i^ aba!ijsueroWTtffuocabarur,urcxDiofcoridcPli- F ii.defim. nio,Gakno,&:AcriofaciIliiueconfirmaripotcft: ramerfi Auiccn- me.8..& 4 na libr&-fccundo faciat mctionem eriam fudoris ficci arhlerarum Tib"; et quemputofmfscillum, cui nequcoleum,ncqucpuluisincrat ^,o 3 fim. quamuis Galcni acrarc ftrigilcs adhiberenrur ad balnci vfum ni jT' c. 17. ^'''S''" Plerumquc fponeiac crant, uel li- nci, nequccommunitcrfempcradminiltrabantiTr.fcd quifq pro- priumfecum gerebar,& pracfcrrim quicumquc communii cum alijs mihumenra habcre f ugicbar, vr infinuar Pcrfius Sar.v lp»er,7i,ur corporaforriorarcddcrcntur.De Hcrculc nanu|uc,& Antco fcrauncm faciens ait, ^uxillum mrmbtis calidas infunditarenas, Plurarchus in libcllodcprimofrigido huius fcnrentiaefu ifseuidc tur,quod athlcrac in uni^iionibus puluerc urcren tur ru ad rcfrigera da calcfaifta corpora,rum ad cohibcndum fudorc,nc ranropcre dc- lafsarcnrur. Egoaut cum Lucianocxiftimopotillimuufumpulucris cxflirifse, ne olco manus labcrcntur, fcd facilius cxcrciratorcs fcfc comprchcndcrc ual crcr,neue fudore difflucrcnt, aur ucnri corpora apcrta ingrcdercnrur. atq. hac dc caufsa a Marrialc puluis ilk icfi uocarusfuir,ut ibi(flaucfc]t aphc)undc fi qui aducrfariospcructos, &:lincpulucrc cerranrcs uinccbanr, maiori gloria digni habcban- ^ tur,qualis fuir apud Plinium Dioxippus,&: Diorcus apud Paufa- niamjacxtfw/nomenpromcrirus. cuiusrci menrioncm fecit Hora- tirvira,\d Macccnarcm fcribcns. Ul^.x.cfiJ Quis circum p^^go^, et circum ccmpita pugna x. Magna coroniri conumnat olympia, cui fpes, Cui fit cond tio duli is fire pulucrc pahuae ^ ^ ^ Ex quo fatis mirari ncquco Budacu,uiru fane doaifnmu, q I fuis ad Padcdasadnorationib. hoc nouidcrir^malucrirq.flfWm.i.aWflr^^ii wc> (cu finc ccrtaminc limplicircr diHu cfsc qq, &: hoc quoquc non abnuo inrcrdu aliquos cfsc coronaros (inc certaminc, ucl qd* aducr fariusrcmporeconftiruto non comparuifsct, ucl,quod ob robur, &:uinccndi confucrudincm a cuncris uitarcrur, cuiufmodi fuilsc complurcs Paufanias, Diodorus, Hcliodoru#s atqucSuidascom- mcmorant ««ic^wti proprcrca nominatos. Alijfunr,quicrcdantoIco Oymn^O^ca^ C cxcrci- 34 L l B E K ( dc vii. cxerciratoresunftoi ad arcedafrigora.&leuandasIaffifudincs.Ga- D lenusfentit oleum ram ad exoluenda ptcrita lafTirudincm, &: futura niitiganda.quam ad pparandum ad morus conduxinc. quibus cera addita cum GaJeno opinor,quo oleum aIio u'i^'tuariu,&: couiftcrium cxpJica- uimus: nuc ccrcras partiin ab codc prcnnifsas,6i: ab alijs indicatas, parrim ab ipfomct cxplicaras prorcqucmur. hrar iraq. fcxra pars lo cus quida palacllra uocari:s,ubi (Jiccbat I.ydus illc PIai:ti^) curfu, ludado,halla,difc(),p yilaru,piia,(aIicdo fc cNcri.cbar magis,qfcor ro,aut lauijs, 6:ubi k ribir Gal.hascxcrcirarioncspcragi folitas lu- da,pui;ilacij,appcn(ionc manib.ad runcs,cxcrcitarionc,qua ftabant pcdib. 6c manib. in pugnu uinCtis,casq. alrcri apcricndas porrigc- bat,qua podcra manib, aftollcbant,6L ua pciiiftcbanr,c}igcnus hal- tcres uocarucft,fchiamachia,&:armoru pugna:( »alcno ucro afscn- ricns Oribalius Pcrgamcnus fafsus clk no modo has, fcd &: alias fcx- ccnras fuifsc palacllrac cxcrcirarioncs. \'ndcanimaducrrcndu cft, palacftia apud urriufq. linguac auvflorcs nuilta (ignihcarcprimo ro ruipsii gymnalifi,ut cituidcrcpencs Virruuiu;fc(to,locuquccumq. cxcrccdis corporib. idonc u, quopaclo locu uscft ( jceroin f.pift. tcrrij li.ad QJ .prima, &: 2.dc lcgibus,du uilia (iia Arpinatc de (c ri- bcns,palacftram ibi nominat,nccnon \'irgiliusquinclo Acncidos, Td'S in^^am nns exerctt t ttumbra pulac/ttis^ &c Gcta apud Tcrcriu in Phormioncubi dixir, Ecc fi a iua palacftra cxittbras.Tcrtioccitagymnalij paricin qua cxfnia Plauri,Ga!cnr, 6c Oibalij tot cxcrcirationcs facbs pracdiximus,&: cuiusparu tum fordcscollcihas in panno applicatas furunculosmarurarcfcripfc- C runrPlinius,&:T!icodorusPrilci.Hni*^'. iniUM f!VMi:h\ arionc accc- ^ifse Catullum puro,ubi dixit. Abero foro, palntsira, flddio, et ^^vm asi^s ^ Mtfer ah rr^ijvr . et Atranius lCi ibcns. Efcam '•epelUs tf i'ri mannw pei pj!j( lincos, idcft, Palacftrac ufum (ut air Nonius) callcntcs. Quod auca Palacftrac nuiris^llatui^^atqicolunis ftrigiiKnCi quac- da a pulucrc,&: lucianriu corporu concictu il)i f •utac abradcrcnrur, &:in uarios mcdicinacufusfcruarcntur,abiidc tcftati funt Diofcuri dcSjPlini^ &: Gal.q ftrignicnra quadoq; a Judoru m^^ilb arib. ortin gc:is icftcnijsucdira fiiifsc irudir Plini^ Inucnioquoq.cxcrcirario j;c* ipsapalacftraru intcrdu palacllra uocari,rdinarc,&: vcniiltc f'actvsinciapnoi;n;ci4Urlligc rc.iMs^c ;ui^ttorir.uc Lucilij*, cm'^hic ucrs"'' l/cyif .ipud Porphyriouc, iiiUuis iioitt/sji cll uuiurn tcffi n^ij j l- fli\i, ucciujn Plato iu Cliarinic^t C 2 pro In Bacchi dibus. 2 cue. Udl. C2p. $ 6. coUc c, 14- Dc Bere- cinchi .a ) li. i.c. ii.T ^Cwcx. incd. Ii.i.dcle glliUS. li. i\c cla- ris Orat. i 3«  fto"^?* pi^o Taurcipalaenra locu{Tgnificauir,quo uiri doaiad colIoqucii-T) '^** dum difputanduiTiq.conucniebanr. Ad haec Plutarchus in /ecudo fympos.palaeftra uocarufcribit locu,ubi athletac cxerccrentiir, &: in quo lolu luda,&: pancratiu non curfus, non pugilatus agerenrur. queadmodu,&: Gal. quandoq. palaeftra nuncupauit, ubi athletac f folum,&: craffitudini corporis ftudenres exerccretur, quo padto ac- cipiedureorapudHipp.quuinprincipio primi Epid.narrat tuber- cula ijs efse oborta^qui in palaeftra,&: gymnafijs exercebanrur.For ml\lp^9 ^^^^^ dubirauit aliq uis,an in palac ftra hac puhiis ftrarus efsef, qm Gal.ipfam a loco,ubi puluis crat/'«fAA> dcquoqjacilc conijcitur m fphac: illirio ncdu pilacludos,ucrum 51 ctiam alias excrcitationcs ficri confucuifle, quado et in ipfo.Vcfpa- fianus fauces,ccrcraq. mcmbra(ut tradit Suctonius)(ibimct adnu- >• mt rum dcfricabat. C):taua pars fucrunt uiac illac,quae inrer porci- cus,ac muros,ur cgo puio, litac crant,ab omnibus acdificijs nudac, necnontotapcrillybjareaquac&: ad fubminiftradamporricibus, ac ccllis lucc fadac erant,&: ad fpatiandum, aliasvc cxcrcirationcs obcundas, quac ncc in palacllra, ncc in alro pulu^rc, ncc in xyllis. ^ alijsuc locis ficri poilcnt.Has locum coculcatum paulloante cx Ga Icno a nobis nominarum fuiflcopinv^r ira uocatas,quod nullis lapi- dibus, latcnbu.vuc ftratac,fcd rudcs&iaciuato tantumfolo forcnt. In his curlum fach'i cxillimo,atquc ad id :um diauli, tum dolichi, a quibus dolichodromi, 6c diaulodromi lormas, atquc tcrminos ibi conltituros, tameriiapud Vi:ruuu'i nil aliud lucrir diauIos,quampe r\'ftilioru quadratcrum circunurio duubus lladijs dcfinita. In ipiis ctiam faltus,&: difci cxcrcitarioncs, quas palacllrac ncijauit Galc- nus(ut mea fcrt fcntcntia)intcrdum habcbantur. Nona pars crant xyfti,&:xyfta,na vrraq.apud L'raccos& Larinosnr) parum difcrimi- nis obrinenr, fi quidcm \yftv>i> hi uocat porticus tcCtas ubi athlctac ^ pcr hiemem &: acftarc,tcmporc ludationibus alicno cxcrccbantur: xyfta autcmfubdialcs ambulationcs,ubi hicmc tcinpcftatc lcnic porticu prodcunrcs,&: acltatc fcrc fcmpcr cxcrccbantur, ac ambu- labanti atquc has wif i/f ofti/tff a draccis n(>minatasfcribir Vjrru- uius,quac dupliccscraiit,aiiacnudac,a]iacplatanisalijsucarbori- busconlitacad pracftanduamocnirarcm,atq. illis,qi.i a folcoHcn- dcbanrur,umbram.dchis loquebatur Miniu.s,dum pl aran(js Arhc- M> xx. nisin Acadcmiacambularionccclcbratas fuillc /cribir:i)cijfdcm quoq.Miniusfccunduskrmoncm habuit qiiando in dcpinycndisi.rOean 1 ufcisac Laurcntinauillisfuisxyftostotics dccantar.Ncc ahum lo cum inrcllcxir ifchomacus apud Xcnophonrcm, quandvj ambiila- tioncminxyftofadam noniinauit,(icuti ncc Phacdius apudPla- toncm, ubi cx Acumcnifcnrcnria fahjLrioiumfacirambularionc inuijs,quam in curlibus (ub hi(cc ucrl)is- lti#r,frigidarium,rcpidarium,fuda. ^^QJ tioncm calidam,&: calidd lauarioncm : Qu,ic ucro balncis infcruic- bancfu.-runi hypocauftu:n,aquariuai,iSido vapore, Ctuda yirgine, Menijq.mirgi. Scio quoque nonnullos, quod laconicum rorundum,ac ueluti tur- ricula in hcmifphacrium camcrata forct, idcm ctm Iphacrillirioi nobisfupcrius cxplicatocffccifsc.quibus plane .-ifscntiri ncqueo. qiioniam mihijrrationabile videtur,utin loco calido fudatfonibus D vE ift li  atci;aliasexcrcitariones,quasinrphacriftirio "^' • ''ficric6fueuiflctraditPIinius,exerccrct:fuirsctnamq.(uteftinpro^ uerbio)camino oleu addere, fi excrcitationesper fc corpora ualdc calefacientes in calidillimis locis cgifscnt.De laconico pofsunt ucr baluuenal,intc:hgi,fiucrfusita rcftituatun quidquid dixcrintali;: QuiLacedarmotiium proptyfmate h.bricat orbem: namraxatquendaqd^inLaconici foliocopiofc cxfpucdo efficcret, quo minus in ipfo pcdes ambulantiu firmari uak rcnr.Poft Laconi- cufequebaturccllacalida labris aquaecotincndacpofitisrcferra. in qua qt^apud Alcxim fuifsc balncoruin par- tcm, nullo modo probarc ualco : cum idc alias ipfum intcr ^vmna- fiorumpartcsadnumcraucrif.nifiuchmuspcncsAnriquojitAWi? F fignificafsc totum gymnafium ipfum . Atquc hacc fL.lIi:ianr cc pu- bhcorumingymnalijs balncorumpartibus. Fucrunr&iinnumcra fcre priuatoru balnea, quac, &c aliquibus cx pracdidis partibus ca- ruifse,&:alias habuifse uenllmilc cft;;cd dc huiufmodi non cft mfti- tuti noftri ucrba facerc . Quae autcm loca non cfscnt in tra balncas. fcd ipfis tantuminferuircnt,primohypocauftumconrincbat,quod fccundum Vitruuij dcfcripiionccratfornaxfcu caminataftrudura fubterranea calidario,calidac lauationi,atquc uafario fuppollta, iii qua ad calcfacicndu tum aqua,tu praedida loca ignis fucccndcba- tur, ^ ne exftingucrctur a fcruis fornacatori bus ob id in Pandcvilis a Papiniano uocatis,frequenter cum pihs,& glomis picc iUitis cxci- tabatur,de Iignis autc in hunc ufum adhibitis narrat PIu tarchus x prob.li b.ijj.fympof.aediles cauifse,ne ignis balncarum cx olea fudcenderrtur neq. in cum conijccrmir lolium, quod horum nidorcs araucdincmcapiris,6^vcrtigincslauantibusinuclKinrpracdicU^ pilarumapud Virruuiumlib.v.cap.x.mcntioclara habcrur,ubi do^^ cctfolumcaldariorumitaftcrnendum cfTc inclinatum ad h> pocau fim,vti pila cum mitratur non poflit inrro rcfillcrc, fcd rurfus rcdirc ad pracfurnium^atq.fic facilius flamma pcruagari.fub fufpcniionc. Dc his loqucbatur Statius in dcfcriptionc balncorum Etrufci. Crcpantis i^uditura piUs, ubi hniuidus igms imrrat ^4€dibus, et tenuem ^oluunt hypocaufia uaporcm^ Vndc cuiuis manifcrtum cflc potcft j n quam graui errore ucrfentur ilii,quiHypocauftum,&:Laconicuidcm fuiflccrcdidcrunr. Auftor ert Scncca iij.nar.quacft.cap.xxiiij.ncc no epift.xc}.;tcmpcftatc fua inucntos eflc paricribus imprcflbs tubos, pcr quos circumfundcrc- turcalor,qi'iima(imul, &:fummafoucrctacqualitcr:illumucroca- lorcm immitri confucuiflc cx Hypocaufto,«d a lurifconfultis mcmo riac mandatum cft,&: ab Aufonio in MofcIIa fic cxprcflUm: Quid quacfulfurcafubnru^a crepidinc fumant Bjlnedyferncnti cum Mulcibcr haullns opcrto rduit auhcht^s tcctoria prr ca:u fijmmas, Inclufumglomnans acfiuixpifante uaporem. Horum autc tuborum veftigia adhuc quamplurima Romae confpi ciunrurin DiocIctiani^atq.Caracallac gymnafijs . Antchypocau- ftum via quacda crat propnigcu, quah dixcris pracfurniu a Virru- uio uocata.Aquariu cclla crat calidac Iauationi,arq. calidario ad- ^ ncxa,inquaalucus magnusacdificaruscraradcontmcndaaquacx " aquacduLtibus,autaliundcinucc^am,arq.indcmfrigidamIauatio nc,iS:calidapcrfiftuIascorriuanda.Nonlongcabhocfirum fuitva (arium,vbi vafa confcruabantur balncoru fcruitijs ncccfl"aria,&: vbi aqua pro ipfis calcf^cbat.dc hoc ita rradidir Vitruuuis:Alicnca vafa nb.j « fupra hypocauftum tria copofita fuifTc,u!uim calidarium, alrcrum tcpidarium,tcrtium frigidarium,&: ita c()llocata,uti cx tcpidarioia calidarium,quatumaquaccalidxcxilfcr,influcrct,dc frigidaiioin tcpidarium ad cundc modum. l)c acrc balncoru m,qui cxtrinfccus admitrcbarur,(vrVirruuiusinnuit)caincaliciiflimolocoaucrfo a ^^^, Scptcmtrionc &: Aquilonc fita crant, tum caldaria arquc tcpi daria Cap.io. ab occidcntc hibcrno lumcn habcbar.Quod Oribafium fignificaflc puto, ubi cx Galcni fcntenria Architcftos optimos balncorum do- mos ad oftauam horam vcrfas conftruxiflc fcribir.Sin autcm natura loci impcdiuifser,utiq. a mcridic,lumcn ucroita capicbatur, ut in mcdio camerdc forame laturclinqueremr^fubquolabrum exftruc D baturxirca labru eratfpatioljquiclamargines,aurporticus,a Vitru uiofcolae uocati,in ^. ftatu a Seneca, &: l^lurarcho auftoribus i rauillimis fcriptu re} erio, antiqiiioresmoIlibus,acmoderate calidis balneis ufos, ita ut Alex. in lauacro et febrics,Galataruq. mulieres puJtis ollas in balnea fere tes unacupuerislauarctur,&: maducaret; ateoru fcpeftare maxime calidas in pretio habiras f uilsc, adeo q. tarint> qualis Tucca a Martialc fub his vcrfibus dcrifus. 7s(ow fdice duro,flru^ili ve caemento^ 7iiuucnrusRomanaexercclxit«rJybcriprop|nquuc^ftirucriV^^ ne longius ad dcponcndas mrrr cxcrxendifm c*)jirTaar;rs(tirdcs jrc Lih.i. dA cogercnrur,qucadipodum fcnbir Vcgctius:ira,poftqgyninafia ob rc iiiiiit. cxcrcirationes1nftitutarucrunf;:ic(^ij^lim adrriun- dandacorporaconftrucrc.Abhoc autcufu ctiamfcmcl tanrumin dic coenandi,&:in Itraris du cocnarcnt accumbcndi, ut infcrius co- piofc demonftrabo,con{ucrudo inrrodudra fuir.Poftcriori rcmpoic maiorcmhominum partcm balncis ob dclicias, arquc molhricm ufam efleclai-ecoa(l.it',& pracfcrtim tcpidisquibas cxficatas, Sc ab cxcratationibus, Vdfolcvcl Frigorc aracrcscorponspartcsat- temperabant.Ncc folu dulcibus aquis,fcd 6c mcdicatis ob dchcias yfos homincs tcltatur Galcnus in principio tcrti/ dc medicamcntis localibus.Jialneisaliquosvti confucuiikMpiod non poflcnt .ncquc fcrrcnrciboscapcrcnili loti.auciorcil Plutarchus.qui T.tumlmpc ratoreiuic dc cauirainrcri)tl"c,cxrclationibuscoru,qui acgrotanti tu. va. miniftrarinK,prodidit.Ouod ct qui inualidum ad concoqucndasci bosvcntriculQ habcbant.cius corroborandi, &:cibos conficicndi ^^^.^^.^ cratialauarcntur,aPolidoniomcd»corclatumcft,vtnorcmcrc I li „p. nius in medicos inucctus lit, quod pcrfualiflcnr balncis ardcntibus u.i^.c. i cibos in corporibus coqui,a quibus ncmo no minus ualidus cxn ct, obcdicntiilimi ucro ctlcrrcntur.Summatim ob quatuorciufas bal- B ncain vfuexftirilVcfcribit Clcmcns AIcxandrinu.MlM^afwWojm x^fKt^«« vocarunt.Cahdis&tcpidis ad conciliandum Li.j.pne- fomnu;lngida Luubant,&: ob vohiptatc,&: ut robulVorcs rcddcrc- d^i.ci,. tur,calorq. naturalis intro repuUus maior cuadcrctiidcoq. krc poft calidas balineas ca adhibcbat.quc vfum primos ouim Huphorbuin lubacrcgi$,&;Antonium.\Iulam.Auguftimcdicos,rratrcs,yK')ftral- fcrcfcrtPlinius lib.xxv.c.vij.Channis quoq. mcdicus Malhlicnlis, damnato calidoi um balncorum vfu, hibcrno t pc ct frigida lauari hortabaf,atquc in lacus aegros mcrgebat,qua dc rc cxtat .Scnccie adllipulatio,;(cfc pfychr )lu r: u')C.ari.s.ptcri";qd ct( vtrclcruntPh- C nius,&; Agathinusapud ()ribali&)ad jprogada vita, multaq.alia p- ftada.fi igida lauationc cofcrre opinati sut; haec.n. dc (cipfo rctcrt « 4. Agathinus. Equidc racpcnumcroa cacna cuacgrcin foinuu dcla- bor.pp acftum,in trigidam dcfccndcrc coiucur. &C mirabilc cft qua iuciidam noacm tra^iiligaiu.Qu.i balncasingrcdicbanrurpublicas,^ ancc dccimum quartum annum niiiil foluillc.tcftatur luuciuhs., T>{ec pActt criJiu.t,nl's  . Sjt », Alij quadrantcmbalncatori dabant.&ol) id baincu rcmquadrau- tariam uocauit Scnec.i,dc quo riacci; . Dum tn qHadrantclau.itum l^cx ibis. ->t. 6. Cacdt:reSiluanop9*cim,q'adrantelauaii. Qucritur tn .Martialis.quod plurisiibibalnca coftarcntubi fcribir, LiVio. jSulrKapuJtdtcimaiiilajjo ficniHmqucpdutitHr,  Qudirantts. Q^od forfan uel ob diuturniorcm moram.vel alrerius rei graria, &: ipcontingerepoterar. Sar eft,quadrantem coe pretium fuifse:quin et Antoninum Pium balneum finc merccde po pulo coftuuirre, tradit lulius CapitoIinus,& Athenaeus viij.dipnos. lcribitapud Phafelitasfuifse legem.utpcrcgrini cariuslauarcnt.p- pterea cum ita uili pretio licerct, nulUim genus hominum a publi- co balneo arcebatunpucri iuuencs,uiri fenes, decrepiri, nobiIes,&: ignobileslauabantunfed prac caeteris,phonafchos, cytharocdos, '''lrlE-r^T*'I^=e"farebalneafolitosrefert »ed.i.e. (^al.quod noccmoblaefam,&a/Tiduis vocibusexafperatam aqua- rumduIciumhumedlationecurabanr integramq.feriiabar.Hocfi- miJiter uidetur Martialis in his de Menophilo uerfibus fignificafle. Iiib. 7. Mcnophilipenemtam grandis fibula veflit, ^ ft ftt comoedis ommbus vna/atis . Hmcego credideram { nam faepe lauamur in uno ) Soluitum vociparcere FLicce fuae . Dum ludii mediapopulofpeaantepalaeflra, Delapfa efl miferofibula, verpus erat . Qiii Mcnophilus comocdus crar,& ficut cacteri.Iicet recutitus, in- Sll'nT ''k '^f cum Martiale in communi therma 1 ba neo auabatur. Muhercs Lacedaemoniorum in balneis gymna ' ^vnT T- ^ Perfpedum eft, &: nedum in his, uerum et vna cum v,nsprom,fcue:quod tamcn non in cundtis euenifse cre tZl^^r.fn'^''"f^^ balnci mulie! orjs mcntioncm ibi facit. «UMis eas ingrcdi ob ralubriiatem uciitum apparetrquod ptcr tur- ptudmemetacorporibusmuIiebribus.acracnllruncremcmL " SSm- A ''''''•T/'^' '"Sr.^fcum ftarim coru molrm m cT "uii -f 1"", " 'f'' cuin unis h non cudemlauacro, codein falccm P R I M V 49/ A faltcm loco ctlam antiquirus lauilTc comprobat,qui libro dc analo gia fccundo tradit in balnco coniunda fuiifc acdiHcia bina, ununi ubiuiri,altcrum vbi mulicrcs lauarcntur:practcrca,C.(jracchus in orationcdcpromulgatislcgibus idcm confirmarc uidctur, cuius vcrbaapud Gcllium italcguntur. Tudorcnim noparicbatur vtru- ii.,o. quc fcxum iimul lauari,fcd commoditasconiungi dc(idcrabat. Ni- fidicamusilla omnianon dc publicis balncis,quac tunc ucl nulla, ucl angullillima, &: vilifli iia cxllitcrc,fcd dc priuatis cflc inrclligcn da : qiTcmadmodum forfan Vitruuius intcllcxir, vbi vtriulquc fcxus j- lauacra coniungcnda monftrauit. ucrum cnim ucro pollcrioribus facculis mulicrcs promifcuis balncis yfas cflc, quamplurimaru pro- batifTimorum auctorum tcftimonijs comprobari porcll, intcr quos primo fcfc orfcrt Iuucnalis,qui diflblutos Romanarum focminarum ^ morcs carpcns hacc fcribit. Cramf occurfu.tactcrrima Vkltu Balnca ncBcfubit, conchss et caftramoueti T^lBc iubct, m^gno g^uiet fudare tumultu, Cum lafTatagraui ccctdcrunt brachia maffa Caltidas et tnliae ii':*itos impreffit Aliptcs, ^4cftimm4m dominae femur excUnure cocgit, cx quibus ncmincm cflc cxiftimo,qui non uidcat mulicrcs tcmpo- rc luucnalispublicas balncas adiuillc, ibiquc ^S: cxcrccndo, &: la- uandolinc pudcrc ullofc virrs immifcuifrc.(]nod (imilitcr ciiis tcm- pcftatc Martialisconfirmauit. Omnia fotmincis quarc dileda cateruis Lib.ii. B-ilnea dcuitat Blatara ^ 6c Cum tc lucerna balneator exfitn{}4 li. 3 in Vc ^dmittat intcr bufluariasmoechar, tuftinauu Clcmcns Alcxandrinus, qui fub Antonino &: Scucro floruit, in co, ^ qucm Pacdagogum infcripfit commcntario non modofocminas  communcsuiris balncas,atq.publicas in ufu habuiflc tcftarur,fcd omni pudorcdcpofitocxtcrnisquibu/quc libidinisgratiafcfc nu- das in ipfis fpc(ftandas pracbuifsc. Quos morcspoftca dctcftans Gaccilius Cyprianus hacc in libro dc uirginum habitufcripta rcli quit . Quid ucro quac promifcuas balncas adcunt : quac oculisad libidincm curiofis pud(Ti,ac pudicitiac dicata corpora proftituut, " quac cum uiros,ac a uiris nudac uidcnt turpitcr, ac uidcntur, non- " nc ipfac illcccbram uitijs pracftant. Cui fcntcntiac multa ctiam fi- " millimaa D. Hicronymoin I:pitt. ad Lactamdcfiliacinftitutionc " fucrc prodita . Hisitaqucomnibuscuiuispcrfpcdum cfscpotcft, non pauco icmporccum morcm&: Romac,&: ahbipcrduralfc,tu Cymnaflica. D focmi- 50 L I B E R fcminae atquc uiri in promifcuis baineis Jauarcntunquando etiam D non dcfuerunt qui intcrdum hanc mulierumimpuramprocacira- tem coerccrc tcntarint: qualis fuit Hadrianus princcps, quera fcri- bitDioCaflius viros difcretosafcminisJauariuo]uifle:ficut&:Mar cum Aurelium Antoninum balaea promifcua fuftulifle, eadcm- qucabHeliogabalorenouaraAlcxandriimSeuerumprohibuifle, refert CapitoIinus,&: Lampridius.Ob quod item aliquando cenfo- ria lex Jata traditur,ut mu lieres a promifcuis balneis abfl:inerct,ncc commune lauacrum cum uiris libidinis caufsa intrarenr, fub repu- dij,&: dotis amiflionispoena : quod poftea in I.fin.titul.dc rcpud. &: inaurhcntico dc nuptijsprofancitorcccpttmfuit.Quarationcfie- ripotcft,utbalneaeaIiquae muliebres in foeminarumdumtaxat: ufumfucnntcxftrudtae,quaIesAgrippinae AuguftacNcronisma- tns:nccnon Olympiadisin Saburra,& quas Ampclidem,ac Prifcil E lam trans Tybcrim ad euitandum forfan hominum confpedtum ha buiffc refcrt Viaor. Tcmpuslauandi poenesvetcres,quemadmo- Epift> 87. dumnarratScnccafuir, quod quotidie brachia, &: crura ablue- bant:tou nundinisfolum lauabantur, Caetcrum poftM.Pompeij aetatcm coepcrunt fingulis diebus toto corpore lauari. Hora uero vfque a temporibus Homeri fcre a pluribus obfcruata f uit paullo li de tre. antcquam cibus fumerctur.non dcerant tamcn Galeni tcmpeftate, "fQh ^^ ualetudinis habita ratione lauarentur. ob q^ jpfe ngorem fine febrc uifum tempore fuo narrat,quem aetate an- tiquiorum medicorum,cumraripoftcibumlauarcntur,non elseui- fumfcnbit, Vtplurimumautemmaiorpars liberorum hominum prms exercebat.deindc baIneaingrediebantur,nonnulIi fine exer Iniib. de ciratiombuslauabantur.AdnotauitGalenus,antiquospoftpilaeIu F KL*" ^"" b'^'"eis lauari confucuifle : quod fimiliter ante illutn Lib.4. innunifse Marrialcm co uerfu vidcri poteft. l\eddepilam,jo:iataes thcrtnarum, luderefergis ? yirgine visjola lotus abire domum, NamdumhorabaInearumappropinquaret,tinrinnabuloquodatn figmficabatur,quo pilaelufores.atqucalij exercitatorcsftatim ac- currercnt:aIioqui in gclidiflima Virginc, qu am &: tadu iucundilli- ii.3i.c.3. mam,ficuthauftu Marciam,rcfcrtPIinius,&: fic diftam quod nullis fordibus pollucrctur traditCafliodorus 7, Var.iam claufis thcrmis lauabatur.fcribit enim Capitolinus,antc Alexandri Seueri tempo- ra numqua thcrmas ante auroram apcrtas fuifse, &fcmpcr antefo- lis occafum claudi confucuifse, ipfumq. Imperarorcni publicarum thcrmarumluminibus oleum addidifIe,quo&innoftepatercnt. 1 BHi bfl m Phi opi inli culi W col isfc obi crai Cp:)& igd cisl bui iiitii iieii hai aq : n A qiiodctla fcciflc I yconcm philofophiim imicniri gMCCnc fcrihit Lacrtius in ciiis vira, Non mc larct qiiofdaalijs horislauifTc/cd ucl cxrra gymnaiia,ucl in gymna(i)sgratian!icuiusafrcdionis,autaItc- rius rci ucl confuctudjnis,utfcribitMartiaIisdc Fabiano. iii>.^. LaJJus ut in thcrmjs dccima jcfius, Ima Te Jn]"ar ippjc yCkfn lat(Cr ipjr Tiu Hoc CCrruin eft,quod \'irruuius loco cirato mcmr riac mandauir,tcmpus Jauan- di maximc a mcridianci ad ucfj>crum fuiffc conftirutum. t um cnim fcmcl dumtaxar in dic (aturaiciitur Maiorc\b, nulhiin tcmpushoc ipfoopporrunius habcharur,qu()d circat^dtauam dici hcrampaul- loantccocnam crar,ut Martialistclla:umrcliquit. Suffiiit in ». I rtm rrifiiiis cctiUta p/tlaenris, et j^;^ ^ Octauam pctf'i5 jcutaic ^laycbim'*r vna, Iib.ir. B Hadrianus Cacf. rcfcrcnrc Spartiano antc Osftauam horam neminc niii ac^^rum huari voluit, quam horam criam lulium Cacf priori- bus facculis (cruafTc, conijccrc pofsunuis c\ Kpiflol. Ciccr. ad Arri- Lf.i^.Ep. cu,ubi dc Cacfarc loqucns, hacc ait : lllc rcrrijs Saruriiahbus apud "^"^"^ Philippum ad horam fcptimam > nec qucmquam admilit, rationcs „ opinor cum Balbo ; indc ambulauir in littorc, poll horam ocbuam „ in balncum,tumaudiuit dc Mamurra,non muranir ; uuctus cit, ac- „ cuhim,\yLvriKU¥ agcbar, iraquc &. cdir, &: I>ibit «Acic, iS: iucundc. „ Scd an pLrpctuo ilhim uirac rationcm (cruarct Cad.haud clarc cx „ co loco habcrur ; quando ci us folius dici rationcm c\p :>nir, in qua isfccundum mulroramconlucrudincm u jmcrc ddtinaucrar, atq. obid «A»ff i.finc timorc,&:iucundccdcrar,bibcratquc,ur ( quod crat mcdicorum pracc cprum) uarij gcncris poru,ciboquc rcplcrus . C pof>cr,dumircrdorm;tLim,uomcrc.iranunqLic locusillc ( iib.d^fai? agcbat) mrcllii;iiudiciomcodcbct:quod licuri AiCiTHT/ic« a C.rac- 'j'^"-* * cislimphci uocabul > dicirur camcdicinac rari(>,quac in rcbusad * ' humanum uichim fpcclanribus fira cft^iSL: K^i^^iKn. quac ad cxina- nitioncs pcrrinct; haud fccius J-utTixil > clt illa iyoayk y liuc rario, quac in rcbus,(Si: modis uomitum paranribus collocara cft. Tot ira- quc dc balncis ^^ymnafiorum, ac prmaris brcuircr didta fuHiciant, quorum ufus cum apud anriquiorcs rarior cfscr, Afc lcpiadcs Pru- (icnlisactatc Pompcij orator habituscx ilfa artc nullumquacftum irahcns, cum ad mcdicinam fc contulifsct, in caquc magnam ^Io- riam,&:au(5toritarcm brcui comparafscr, ob blandimcnta^qulbus acgroscurabar,ob pcrpctuam finitaris rirmiratcm, 6i:quf)d Romac lib.i.c^. qucndampromortuoad fcpulturam clarum miro gcnrium ihipo- "a. rCjUt CcI/us^Plinius,^: Appulcius tradidcrunr, uiucrc cognoucrat, IJIfio?' D 2 cum fiiii  eumfrequcntiorcmreddidit. Vndccima,ac omnium poftrcmain D gymnafijsparsfuit Sradium, ubi populus cum uoluprateathlctas certantes: fpedabat: nilq.aliud erat,quam hcmifphoerium quod- dam, multis gradibus conftru6lum, unde poterant commode fpe- datorcs^qui fcmperplurimi eoconflucbant, certatorcs intueri. an autcm intcr ipfum &c xyftu, fcu peridromidasmurus intcrcederet ; atqueindcpcr oftiumex platanonibus gymnafiorum arhletacin arcnamftadijprodircnt, etfi a Vitruuionilcxplicatumhabcatur, rationitamcnconfcntaneumuidctur, uniucrftim acdificium, nc cuiuispareret(quod eriam fupracirati Capitolini reftimonio com- probari porcft) muro conclufum,&:proptcrea agymnafio ftadium murifcptodiujfumfuifTe. De alijsgymnafiofereneccftarijslocis, reluti lignario, uafario, latrinis, triclinijs, atque eius gencris muL tisnonloquor, quodhorumin palacftrarum dcfcriptione mentio E non habcatur, ad noftrumque inftitutum minus pertineat; ficut nec qiiomodo ambulationesillae fubftratis carbonibus,atque cloa cis proximisexftruercntur. Quaeomnia^tamquamclara,autalibi commodius explicata,a Vitruuio in defcribendisxyftispraeter- milTaputo. luxra publicas thcrmasinuenio exftrudas fuifTepopi- nas,quas Ifidorus lib. etymolog. xv. cap. ij. tradit huic inferuiife, iir,quiob cxercirarioncs, autlauacraelfcnt admodumexinaniti, diflblutiuc,habercnt,ubi ftatfrnrcfici poflent. atque hasforfan Plinius intellexit Epift. iij. lib. j. quando poft balneum, &c triclinia popinarum meminit . Hadenus dc antiquorum gymnafijs. De AccubitHs m coena antiquorum:, ^ femel dumtaxat in die ceenandtconfuetudims •rigme. L F V O N 1 A M balncorum explicatorum occafio iam fua- det, nosquc fupra polliciti fumus de coenandi fcmel in die,& in coena accumbendi antiquorum confuetudi- nisorigincfermoncmhabere; fi cxtraremnoftram videatur,atquc a Galcno de accubitu nihil explicatum habeamus: haudpraetcrmirrcndumeft,quin lcntcntiam noftramin medium proponamus, alias eam libcntiflime mutaruri, fiquis meliori ludi- cio,ac eruditionepracdirus, ucriorcm aliquam,&:magisrationi confcntancamdcmonftrauerit. Quod etenim maiorcsnoftrima- nccxiguumquid comedcrcnr, quodprandiumuocabant, &:ue. fpcrc tanrum (arurarcnrur, dum coanarc dicebanrur, (exceptis ijs, quicoituufuri erancquibus amedicis vcfpcrecocnarcinterdiaQ fuifle A fulfse fcrlpfic Ariftotcles,& cxccptis SyracufanIs,qiios bis in dic ci- ^^nlc. bis implcri,quifi rcs noiM cfscr,tradir Plato ) fLuis ab Horatio, Mar- j;^^,,^ ^ j tialc, Plururcho, atquc Galcno ( nc mulcos alios nomincm ) com- Dioncm. probatum ell: fcd dc bis tulius mclius in uarijs lcdionibus nollris tradarum cft quod fimilircr tcrcomncs cium cocnabantm flraris accumbcrcnt, pracrcr lapidcs Romanos id clarc ortcndcntcs, do- AiflimusPhilandcr infuis in Vitruuium commcnrarijs audorurn antiquorum tcftimonijs clarum fccit, vt id amplius dcmonftrandi laborcmmihiomncmdcmplcrir. Cctcium vndc nam hac duac confuctudincsprincipiumacccpcrinr&quomodo vercaccumbc- rcnr, ncmo, qiicm cgo vidc rim, (luc cx anriquis, fiuc cx rcccntiori-bus, ira appolirc &: dihgcntcr dcclarauir, quin poftcris dubirandi, &:plura dcfidcrandi occafioticm rcHqucrir. Quod an ob rci ohfcu- B rirarcm,an ob ncglcdum cucncrir,ignc)ro. Ego fanc urra(quc illas, &:accubirusl(:ihccfAupii^.indic cocnac cofucrudincsa balnco- rum ufu manafsc c\ntimo.& primo ur ita dc accubitu fcntiam, plii- ribus, ijfquc non fpcrncdi.s conicilurisadducor, quarum prima cft, quod Homcri tempqrc „ qyando nofn adco frcqucnrcr bahicis vrc- barr^ur, coenaruri fc^cbanr,vt m conuiuio Procorum apparct. tfjft^i^otr^ Kcci^. . ^ -it*. id cft, cyJt proci ingrcJjL /urit^ qui mox mdc /upcrhi OrdincfedcYunt lc^tmms, (5" ordmc throms &: ubi Tclcmachus,ciulquc focjU5 a Mcnclao holpitio acccpti poft lotioncmcocnant fcdcntcs. i^ovwi l^oyro wimmorralcs gratias agcrcHtcnim ei qj' Plurarchus dc lo co c6fulari,nec no dc tnbus triclinioru lccVis diifcruir>iam non ob- fcurucft,quam mirihcc quadrcr propoiira triclinij Rhamuufrani fi- gura.Simiiitcr,&:qab Horario dc conuiuaru liru varijs inlocisnai^ C rantur,n6ahundcmchusintclligi pollunr,p(crrim quandofcnbir. Sacpe tribiis lc^is videjs CQcnarc quaieiraQs : Efabi44Vf.: ' "is jfpcrf^crc cnm ijs Tfdctcr cu) ^ . .iqujLm. Qucm locu dum Lambinus exponcrct, cur anriquos cofucuiflc in quolibct Icifto niagoa cx partc quarcrnos cacnarc pala aflcrucrir, f^nc miror, quafj non (ir cuiq. pcrfpcc^iflinuim, vr narrar Varro. lc- g^s cxftitiflc quac numcnun conuiuarum nouc cxc cdcrc,ncc pau- ciorcsrribusclfc vcrabanr,hcut &:adagium illud vulgatiflimum, fcptcm conuiuiu,nouc conuicium,atrc(brur.(^mimmo lulius Ca- p/roUnus rcfcrr L. Vcrum Impcrator:- pracrcr cxcmpla maiorum, cupi duodccim folcmni conuuiio prinumi accubui(ic,ira vt prion- Ihis facculis porius fcrnos,atquc pauciorcs adhuc (ingulo 1 ccto con uj^asdifcgmbcrc fo|itosfuifl'cconuiacatur:ni/icpula pjblica ' ' 1) 4 nuptialcs S4 i. i iS h K nuptiaTcs caenas cxcipiamus.in quas cu magna hominu copia con- D • uenircr,nequaqua accumbcntiunutficrusfcruari poterar,vrcx PJu tarcKo, ac Rhamnufiano lapide colhgirur,quo vcl epulu pubhcu, velnuptial^cocnamrepraefentari non eftdubirandum,urob hoc Chacrephon apud Athenaeu in vj. vidcatur admitrcrc couiuas rri- ginra dunraxar innuptijs, in quibus vcriiimilc eftnecefTarium fuine uocatorcmiIIum,cuius meminit Senecalib. ii/.de ira cap. xxxvi;. &: qui fecundum cuiufque dignirarem conuiuaS ad loca dcbita vb-' cabar. Quodaurem Turnebus,&Lambinusidem dcpuero aquam pr.aebcnrc funt in tcrpretati, cquidcm non i mprobo.at forfan ncc abfurdum hicrir,fi Flacci vcrba dc eo puero cxponarur, qucm tana. omncsfcre mcnfarumfculprurae antlquacquam poeraru reftim nia conuuujs femper frigidam,& calidapraebuifrc oftendunr,qUe- que cundos, ne ab ipfo male rra(Sarenrur, reucriros eifc, et a quo E mordendo abftmuifre vcrifimilc fit. Jam fcfo M.iria Magdalena u t ftansrctropcdcs Chrifti coenantislauerit, atq. loannesfupra ciuf-- dcmChnfttpcaus recubuerit,cxhaccademRhamnufiani triclin,j figura,fecus quam pidorcs antiquarum rcru ignari faciat, 6c quam, Gaierarms Gardmahs murilirer commenratus cft,fadlec6iicitur ctenimhebraeos,acaKiftumaccun,bendiRomanort,mconS^^ dmem.obferua/le practer Architriclini accubitufq.: nomen • gehjs faepe vfurpatu etiam id tcftari poteft, quod Laei freqic^tcJ Rom.ac conuerfarcntur,fimiiiterq. Romani L Iudaca,ac in vfu no Xuo£r"! ^'^^ Marriahsfigt^ificare hoc dV •, ) -.J ; Omi^ia cim retro pueris obfonia tradas, F 1 1 Cur riM ntenfa tibl ponitur a pedibus i -'Siquidc.n coen anribus alrc iaccnribus fpacia rfetro rcjinquebarur in qu.bus fcru.s uana miniftranribus mulra offcrrc, et ab?ata rcci pcrc faclc crar,feruos namqucad pedcs caenanriunrftareac ob?d a^edibus vcl ad pedes vocari /oluos ex mulrorum fc^Sci r ■ gcre hcct.Sencca hb.ii;.dc bcncfici;s. Scruus (j cocnain id ocde; ftcrerat_,narrat quod mter cocnam ebrius dixiit.MarSs Mixta lagaenaad pedesreplct uino.Suetoniusin Galbi r,, . namverovfq.coabundantcm vrrnnl.i V ' "-'"fercoe- circumfcrri mbcrcs Lraia n^^ paraacr.bushurctS d^ndrefmt^l^Spt^'"^^-" buitimpudcnti.dequoctiaAthen-ir^ncinV I u P^"^^"- Sed practer alia mox di autfuturam laflitudincuirandampoftmodicum tcporis inreruallu lcdos intrarcntjatq. ibi modo nudi,modo laccr- nis,aljjsuc in id paratis uclUbus induti caenarct, atq. inde mox au- fta baincorum cofuctudmc vfq. adco accumbcdi morcm crcuifse, ut nobiliores in dclicijs maximis cum habcres,lcd:os nunc marmO- reos,nuncargcnteos (quod dcHcliogabaloferunt) inidfcparatim exftrui curannr,neq.inijs,inquibustamenqua plures, (utdc Lu- cio Vcro ImperatoretraditCapitoiinus,&pfcrrimpauperesdor- mire conAieuifse puto) fcd in cubicuiarijs uocatis dormire uolue- H rinr.quc morcm accumbendi poftca uiiiorcs, &: paupcres ad dirio- lib ii.de ^""^l^^yi^^^^f^^ifn ^ balncisquaiiiori, itafrcqucnriflimum efTe- teruiV.c.i ccrur,ur^Coiumclla praccipcrc coacfrus fit,ne uiilicus nifi facris dic- bus accubcns cocnarer;in qua rc no fecus corigir, ac cuenifsc cofpi citur in baincis,arq. piurimis aiijs rcbus,quae in honcftum ufum, et quafincccftitatc quadaprimurcpcrtac,dcinccpsadluxu, iafciuia, Uolupratc,aliosq. ufus rradudac fucrunr. Quis eft, qui ncfciar ucre- rcs in couiuijs ocs propc cxcogitafse uoiuprares, nihiiq. rcliquifsc, quodaddclinicndos animosfaccrcrrfic enimfermoncscouiuales ad animi inrelligcntias afficicndas magno ftudio inuencrut, ad au- dirum oblcdandu muficac uaria gcnera adhibuerut, ungucra pre- Prob'^!^^ tiofiflima odoraruidicarunr, ficut,&:coronasexfoIijs,floribusquc 6.cr fimp.c6rcxras,quas modo manibus,modo coilo, modo capirc u r iapidcs F c.de anj. Romani,Pluiarchus,GaIcnus, iSd Clcmcns AIcx. teftantur,tcncbati Rieda. ^i'^gi'5ria, colorc naribus, atq. oculis arridercnt,fomnu con- cap.8. «^^l^iii^cnt^cbrictarcuirarcnt.quantuporrocibis^&potibusdclica- tiflimisc6quircndisftudiuadhibucnnt,nonmodofidcfaciuntfcx- ii.7.c.ir. decmiillacduliorumgcncra, utcxVarroncrcfcrtGcilius alon- ginquisrcgiombus Romaaducda, atq. alia quamplurimaa iulio Poiluce nominaras, ucru ctia mulra, et prope innumera AuAorum de rc coqumaria comcnraria ab Arhcnaco cirara.De antiquoru io dic fcmcl ranru fcfc cibis implcndi c6fucrudine,cius ctia opinionis fum,utcuad cmundanda corpora quotidie anre cibo5,urfnperiori CapircdixnTius,ucrcrcslauaricogcrcnrur,6^aIotioneIcdlosin-rc- dercntur,uixfcmcl comcdcndi iii dicotiuipfisfuppcrcrct: quo^liia fi priuata cuuifq. negotia fpcdcmus, li 6c cxcrcitationii. et bainco- rum, P R I M V S. s9 A rum.accubituscj. apparatum c6fidercmus,magna tcporisparsipfi? infumirur, ut li ois in dic fiiturari uoluifscnt, aut ncgocia omi ttcrc, aut balnca intcrdum ucntrc plcno adirc, aliosq. multos errorcs, &c in ualctudinc,&: in alia uitac rationc committcrc fuilscnt coa^fli . Comcdcndi uero horam,& modum balncorum tcmporcatq. com moditatcmctiri inftiturum fiiifsc pofsumusa Galcnointclligcrc, ^ qui liintcrdum obacgrotantium infpcclioncstardiusfc lauandum ciubitabat,pancm manc fumcbat,quo ccanac tcmpori fufticcrc ualc ret,quadoaIijllmili dc caufsa,pancm,uinum,oliuas,aut quid aliud capiebant,uti non modo Galcnus f ilsus clt,fcd ctiam Horatius,vbi defcfcribir. Tranjus non auide ^ quantum intcrpclUtinani ymtre diem durare, B Quod porro vefpcrtinam horam caenae dcdicarint,in caufsa fuifsc praecipue uitae commoditatcm cxiftimo;fiquidem difticiie fuifsct poft excrcitationcs,balnca, &: cibum,agcdis rcbus opcram nauarc; practerea cum accumbcntes cacnarcnt,alij ftatim fomno capicbaa tur, a!i j modico temporis fpatio uigilantcs dormitum ibantrcx quo adhaccomnia nuUa opportunior hora quam ucfpcrrina inucnic- batur, quamquam ctiam nonnullos, &: pracfcrtim mcdicos in hoc ualctudinis quoquc rationcm fpcclafsc opinor, quando in noAc melius, quam intcrdiu, cibi conficiuntur, tuncque pcrfpicuum eft plus cdendum,quando plus coquitur . Hacc funt quac dc accubi- tus,A:cacnac antiquorumorigincmihi w^ftfj^is diccnda uolui.  6$ A quc corpori afrcftiim parcrcnt hi,nofccbat.Aclcrant fcriii fricandis corporibusdefl:inati,qui ad pracfcriptum gymnaftacautpacdotri- bac,modo nudis manibus, modo vndis, modo cum lintcis alias du- ri5,alias molhbus,alias afperis,aliasmcdiocribus,uario,ac diucrfo modo,proutopuscrat,corpora fncabant. Poft hoscrant&rcundo rcs itaa Phnio,ac Cdfo nuncupati,quod corpora ia cxcrcitara vn- li.j. c.^y. gcrcnt,reungercntuc.hos,fucrc qui crcdidcrint,a Paulo Acgineta iirrfOAu7rT«c vocatos:fcd dcccpti funt, cum alium lUiflc ab his iicr^- ^wTTwoilcndcrimus. McdialHni quoquc uyumafijs miniflrabant paumicta cuerrcnrcs,nccnon multa aha pro lcruitijs gymnaliorum obcuntcs.Pyrrhus Ligorius intcr alia antiquitatis cius praeclarilli- ma monumCta hanc infcriptionchct,mqua Mcdiadmorufit mctio. DIIS. MANir>VS. S. B TITO. PLAVIO. OLENO SERVO. ET. PROCV R AT BALNEL T.FLA VI AVG VCf. MEDIASTINO VIX . ANN. XC. MEN "VTID. VIIIL T. FLAVI VS. T. L. POLVMNESTV S MEDIAS TINV S AVG. N. FAC. CVR Adcrant ferui balnearcs,Iotos in balncis primo cum fpongijs, mo- do purpura tinctis,vr rcfcrt Plini us,modo candcfacli^, dcindc cvm C lintcis cxiiccantcs.hos quoque arbitror cgo confucuiflc flrigihbus corpora cxercitatorum diftringcre, atquc a ftrigmcntis dcpurarc. Adcrantpilicrcpi,qui fpliacris piccobh'tiscurabanr,nc ignis bal- ncorum cxftingucrctur. quidquid alij dicanr,qui pro piiicrcpis lu- ; fcrcspilac, vtpotcobftrcpcntcsinrclIigcndospuranr,maIc fc nrcn-.tias Matrialis &c Stati j,dc qui bus nos locis fuis loqucmur,inrcrprc- tantcs. Alipili,qui(ut rcfcrr Scneca)ad vcllcndos ab aliquibus cor- Epift. poris parribus, et pracfcrrim alis pilos adhibcbanrur: nili uclimus, vrdo(tti uiri ccnfucrunt,pcdicrcpos,& alipcdosapud Scnccamlc- gercqualiin gymnafijs cflrcnr,qui a pcdiculishomincs purgarcnr, &: inrcr occidcndum ipfos magna vocc fingulos cnumc rarcnr,i(a vt Scnccaab huiufccmodi vocibusoffcndcrcrnr.quornm tamcfcntc tia non probo,quod luucnalis ccrro rcflaru faciar,fuiflc' in thcrmis, qui ab alis pilos aucUcrenr, ubi fcruos fuos dcfcribcnj Pcrfico ait: T^ec pu^iUarcs dcfcrt\in balnca raucHS TcHi^ulos^nK, yelUndas iam praebuit alas. 5«t. is« F Atque U 11 B E R Acquehos mo do volfcllkrfdirf ob(?unrfumvfo5eflc:nuncre/ina, D (hanc enim m eueilendi^ vrronim corporibus pilis maximum ho- Ii.i4 c.io. |ukcioncscKpliccn;,uc- rumcciam illamaba!i)s, quAclimilcm naturampcrin- dc,acnmcn obtincrc uidcnrur, ira diftinguanr,nc lcctorcs acqiri- C uocarionc dcccpti, ucl circa rcs ipfas iiilignitcr dccipiatur.(^ idc® cum nos izymnafticam ucram tractarc prf>fM>{ucrimus, quac racdi- CiJiac pars clfc dchnita iam a nobis tuir,ahacq. lint gymnafticac cir ca cadcm fci c ucrfaurcs . ncccflum arbkror dc his tplis fcrmoncra liiccrc,quohabiro pofsit diucrliras ounuum 'faciUnnc inrcrnolLi. jcj^ctcnt^sigiturquic fupcriusdiicimMs, ircs llatu i mu s gyiniuJii- c;>c4:oriiisfpccics gymiiifticain ucram fcu lcgirinum ( urcanr, nihiloininas tinibas, -quor um graria fiivgulac infti tur-»c fuiu. m:i;;nopciX', licut ctiarci fu- pra monlha-tiimui^ diflcrunr . Num gy.iauuftica JmiplcNj^i: mcdic>- nac pars i«l folum ourar, ur bomincs cwpcitawontim modcraraiam ©pc,&:fani* arcmacquiraiu,rucanturuc;&: bonumhabinnn adi- pifcantur; c^cAo>« ( diccoat Plat )) rtc wAAcc, (cAA« t^^-rgut^^^^^ll^^ yj(xH'.€i aiS^iTiotz, idcft, 1 arc jr haud r 2 multas. L l B E K multas, fcd modcratas cxercitationcshominibus bonum habitiim D inkrcrc . Hoc ua eire quoniam Gale nus tu in libclJo ad Thrafvbu-, lum, tumin libris dc tuendauaJctudinc non minus copiofc, quam JucuJenter demonftrauit,&: nosquoq. fuperius aJiqua ad hanc fpc- ciem pcrtnicntia dccJarauimus,haud ampJius in ca celebrada vcr- bis immcrabor.fed ad BcIIica tranfibo : cuius unu ftudium erat ho- mmcs,pueros,atqueetiaapud nonnuJIos muJieres carundem cxer- citationumadiumentoita difponere,atqueaptarc,ut et inbello lck fortiter gcrcre, et hoftcs propulfarc, &patrias tucri, et omnem deniquemilitarcmperitiamtenere ualcrent.quamuis cnimhaec quoqueficut &:f«perior bonum corporis habitum con.pararet, &: lanitatem quodammodo tuerctur, quia tamen proprius illiusfi.- nis erat homincs beJIis gcrendisidoncos atque fortcs cfficere,pro- ptc^r^a eandem no cfsc fatis apcrte conftat.quod uero bclli ca gvm- E nafticanuIJam aliam naturam habcatpraetcra meexpIicatam,lo- cupleti/nmum teftcmPIatoncmin mcdium affcram, quiinfepti- modeIcgibus(poftquamdecIarauitiuucnum, &c puercrumedu- cationem maiorcm partcm in rcbus pub.obtinere) dcccrnit publi- cosmagiftroshabcndos,quigymnafticampucros,atquepuelIas. &c uirsmcs edoccar, quod ad afscquendam miJitarem pcritiam nil mclius paJacftnca &:/aJtatoria gymnafticae partibus inueniatur id quod etiam cJegantillimc in tertio de rcpub. &aJibi Aiepe profecu tus fuit Polt Platonem Ariftotcleslimiliter gymnafticam belli" cam modauo Politicorumcxprcfseindicauitrubi tameas,quac athlerarum habitudinibus corpora iuuenum deformare, et corum augmentationcm impedire ftudent Ciuitatcs, quam Lacones effe ratos labonbus adolefcentes cfficientes reprehendit, eamq. pueris ^ gymnafticamtradendamconfuht,quaemitioribusJaboribus &: magismanfuetis excrcitationibusiIIosrobuftos,&:inbellicisneao- tijs uerc fortes reddere qucat. de hacgymnaftica clare locutSm Galcnum non rcpcno, nifi velimus ipfum dum Jcgitimam cclZ brat fub ea iftani comprchcndere . qu^d et ipfa bono habitui com- parandoincumbat,hcetadbeIlicamperitiam,&aptitudine^^ dtafuaftudia dingat; atqucilli qui medicinae gymnaftkaTope- ram nauant, etiam dum oportct,beIIica uti ualcan^.VetetiSs in^er ZZr'"T ^^""^fti^^ niilit ae,1iTomodo! LsapudGr^^l"^" huiufcemodi ars apuci oraccas,&: Latinas nationes in pretio habita fuerit Pr-i£> ter has duas eft etiam gymnaftica aJia uidofa,& atlilct ca a nuncupata,quae hominibus robuftis efficicndis(talis enintf.ft Mi! lo Crotomara, et «hktailk, qucm OJympiodorus quarto m te^ rolog. V ^ \ M V S.  aut ludarivaut isTctyKgitrtccfmcogcbzmur, iccirco cibo indigebantcorruptu &:.euaporatu dJthcili,cuiufmodi eftcibusex fuilliscarnibus,quibus foli veri athletae uefcebantur, atquc ta- reserant> qui inludis,. in amphithcafris, &:etiaminalijslocisob pracmium,&gloriamcertabanr, in hoc acetcris diuerfi, quod folum uincere,&:coronam affequi ftuderent, cum alij ucl bono ha- bi tui c orporis acquirendo, &: fani tati tuendae ; uel militari forti- t:udini,&: peritiae acquirendae intenderent,quos /impliciter gym- nafticos,&: exercitatos,vel athlctas bellicos nuncupari inuenio, ex. quo conignuraliumefie: (Tmpliciter athletam^^ alium fimpliciter gymnafticum, necnon tres fuiffe artcs in exercitationibus uerlan- tcs communinomine gymnafticae vocatas, quarum medicaom- nibus magis proprieita di£ta fuit,alteranempe beHica (apud mc- dicosloquor, quod alijforfanhancprimariamefTecerint ) minus; tertia omnium mini me nimirum, quae a pracdi£l:is degenerans,. uitibfaiappellata lit' quacue robori, non fanitatioperam daret : ro- burenim diuerfum habitum afanitate cxigere, teftis eft Ariftotc- lcs viij. fed» problcm. vj. quo in loco pinguem habitum robori ^for- nitati ucro rarum conucnire fcribir«. /01 tiSl fe, rah t5| TfcT^itio/a Gymna Htca^ Jfut Athretica:, CTa^. Xllir-- Oftquam dc bellica gymnaftica, atquc etia dc gymna- ^ fticalimplici,quantuad praefens negotium:fpcdabar, fatisdifscruimus,iamopporrunum critde athleticafer ' mone habere;.quae quonia tcporibus Galcni, atq. etia fuperioribusmaxima audloritatem fibi uendicaucratjideoeiopus IKfnas.ad fuit,uteam longiffimaorationcatqucimpuriflimiscontumeliofilli- mifq. uerbis infectaretur..quod qua fapienter fimulac iufte feccrit, exhis,qdeilliusprofefsorumoribus,alijfq..conditionibus di£Vurus fum,facillime clarum futurum /pcro.&ur aprincipio exordiar,Pli-^ lih.7.c.j lib, ad K07i}(vi(€$, qua artis nomen ei conuenifse dixerit Galcnus, fi quidcm "^**'^^* illius cxercitatores dum fge uidtoriae, Sc praemij ( quorii gratia qui certa.- nu Cpro prii aut v:ni (cti effc val niii doi tat tai ca bi Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 !> R I M V S. vf IffXyi'^ J^utdh^os r« crxt ginrw 7r*j,»t«» KOtii' ret}^ Ktti,, n-flf 'f * J^iOfUKot 6 /fc Kcti KKriX^* 'J'«A«/i«f) fcribcndum dubitan polTctob vcrba fcqucntia,quibus inuit robur cflcfuaptcnatura coniunctum cum pcrnicitatc ; vciumtamcn,ut non inficior ctiam uocem Tfc;(f»«7.i. artis quadrarc, cum ars inaxiinc valcat in athlctica,in qua cam robori iSc inagnirudini primum om- niumaddidiflcThcfcum tcllatur Paufanias in .'^cticis, lic non ui- dcocuraroborc qu.)quc cclcriras fcpaiari.iicqucat cum rcs ipfa doccarplcrofqucviribusmagnopcrc valci c,qiii tamcn inagciulo tardi potius.quam cclcrcs funt..Scd ut cumquc lit chirc patct athlc t'aruomniuinltitutioncm,atq, dikiplinam huc rantum lpc>.'tallc,ut corporismagnitudincm,iobur,atq. cclcritatcmcompararcnr,qui- busfoli cctcrosantagoniltas lupciarc,&: pracmio,honorcq. potiri ualercnt. id c^uodlicctpluribus cti-caminum gcncnbus conicnde- 70 L i B E R Jcnr,qulnq. tamcnpi-accipuaeranr,in quibusvcl femper.velplc- D iimq. ram in facris cerraminib.quain Iudis,amphithcarris,&:publi cis lpcaaculis,fed pracfertim in ftadio,quod fere folis arhietis pro- pnc deftinaru erat,cerrabant,lu6la,pugilarus,curfus,falrus,& dilcus. vndcludarores,pugiles,curforcs,falratorcs, difcoboli nuncupaban tur,qui feparatimin fingulispollerent,ficuri Pacrariafta diccbarur, qui in luaa,& pugilatu valebarrq vero in cudis quinqucperarhlus, &:vocabulo Romanoquinquerriusvocabarur,urdoccr Fcftus;erfi Qilinquertioncs apud Liuiu Andronicu athlctas fignificare fcribat idc Fcftus, apud quc ct peiiodon vicifsc diccbatur is, qui Py thia, lfthmia,Ncmea,01ympiavicinct,nomineacircuitueorrifpc6tacu lorfi accepto.narrarLacrtius Democritum Philofophum efse uoca tum pentarhlum,forfin quod in iuucnrute vicifsct.Erantpoftmodu Haltcres,iacula,arq. n6nullaalia,qucruquoq. certamina athlctae E obibar,ar in pu blicis ludoru, &: ficroru ccrraminu cclcbratiombus raroillapcragebanrur,vnacxccptamonomachia,q.Graecosfaccr« dotes aeftatis rcpore in pergamo excrcere cofueuifle memoriac ^o- 3.3 ar. 13 didir Galenus.Quamquam monomachos,fiue gladiatorcs apud ve rcresabAthlerisdiucrfosfuinbfcia,quod M.Ciceroreftarumfecit Epift.fam.hb.vij.Epift.j.his vcrbis,N.a quid ego re athleras pure de- fidcrarcqui gladiarorcscorcmpfcris ? Nifi dicamus qu^^memoriae prodituhaberura Dionyfio Halic.anriq. Rom. lib.x.arhlcrasalios Imffc leuioru,alios gr.iuioru cerraminfi.arquc hospoftcriorcs fuiife gladiarorcs.Deijsin DigcftoiTiIi. 9. t.l.Aquiliaab Vlpianofcripru rcpcrio: Si in colluAarione vel in pacrario,vcl pugilcs dum intcr fe excrcctur alius aliu occidcrir,cefllit Aquilia, quia gloriae caufsa et „ v]rruris,noinuinae,vidcturdamnfidaru.vndcpaterearbitror.'ipud Maiorcs,hac athlctica 1 maxima exiftimationc habira.cuius ea erat ratio,qd' homincsfempcrillasrcsextollerc .ac honore dign.is cf- hcercfolct,aquibusvoluptares,acdcIcdarioncsobtinerc ftudenr. ob quod cum arhlerica in publicis Iudis,cctcrisq. fpcdaculis maxi mas voluprarcs publiccafferrcr^in honorc habira arq. a multis ex- li.i*.c,4. P^f'^^f"^'7q"'in^oathIetisludos ingredictibus vrrefcrt Plinius oes a(rurgcbanr,cr,am fcnatus,ijq. fcnatui proximc fedcbat, necno cu parnbus,auis parernis,a quibusuis muncribus uacabanr,&: ui6to resin patnastriumphanrcsinuehcbarur,immo Athletis ingenuos caedercatciue occidcrc,qd^ilijs vctabanrlcges, non modo licuif- fcvcrum er.am hononficum fu.fle audcr clt in lij.hypor. Pyrrhon. Sexrus Empincus Nc dicam, qd^ Eufebius in v.de Pracp.ararion; cuangelica mulro fermone damnat vcteres,f.eo fuperliitionis, arq. mfan..ie,nterdumdcucnifse,vtpugiIes,atqucathIetas,nDcorum numerumiefenent. Quibus ommbusracionibusfatisclarumcfse poteft..uhlctlc.im .uu.quitiis magn.ic auiVoritatis fuifrc : et proptc- Vca non tcmcrc illam Calcnum mfcaatum cfsc.dum an.maducrfe rct.quantudani exca artis athlcticac reputitionc hununo i^cncu acccclcretiliquidcno mo cuchianimi.vcruC-tcorpons bona;ita ccv rupebatur,ut nihilinucniri pofsct.qcK maius hominib.q. gloriac, 6C pmioru rationc lUa vndiq. ambicbant.dctrnncntu afla rcr, quc ul- modu Euripidcsipoq.clcgcintiirimetcltatushutlubhilccucrbis. O / ^ch^v 0 IxfJv ovcfi utLJviip "^^^^ * OiiT ai S^wuAfv^ro^^S^ y^o-lg W ^*ip ^ rvxSn T% S^AoCyVfiSvo^ d^nijnf^^o^y KriiTUfT ULt oA.Sor f . . Msdtuverjati Mortbus y nonfacHe mutantur in mclius. Quibusnihil cftmco iudicio,quod magisatli.ciKMC ftatil prod.if. Ncq. tamcn dctucrut, qui hac pniciofam arcc comcrarijs cckbra- C rc mtcrCtur, qualcs tUcruc Tryph6,ac Thcon Alcxandrinus,qui ab athlctica,in qua cxccllcbat, cognita cius prauiratc ad gymnaftica tadc dcfc iuit.Nc racca Platonc,quc Scrums,&: Lacrtius ^pdidcrunt athlcta fuifsc,&: ca dimiisa ad philofophiam (c contuhfsc.Scd quia athlctas pracmi) gratia ccrtarc,arquc vitam millc nccis gcncribus cxponcrc conlucuifsc no fcmcl dixi,id hoc in loco ncqnaqua prac- tcrirc uolo,athlctisnon cadcquocumq. tcporc fuifsc {Smiv>i um gc- ncra propolira,vcrum,vt Clcmcns Alcxan. ij.Pacdag.c.viij.mcmo- riac prodidit,primo fuir J^iaic fcu donnm,fccundo plaufusacrrio h liorum conicaio,poftrcmo cc rona. . f,1 ^ citatcm, et ob fcoenos mores delcnbcTs ait Inter catellas cnferum extalambeutet Tmitur aprigkttduks palae/iritis, Attamen 1« rd le «!• am ith Btflf /lii ilifl 101 prt lin cap i|iii m cik : 1' pre lii Hij n h bu Ci n ni p B. . 75 A Atf imen iUos in frequcntiorc ufu habuific carncs tu bubulas, tum mcnto o'^^ dur" ic, ac alimcntorum cralTitic no modoubcnos nut.u c.itur. (cd f ri^utiusla.ur. pc,mancrc,u,,uo gcnc.x v.dusanv^^^^ nunil WiJofcj i.nmodicc «tcrctur.cosmorbosm«*?«>.'.t ficcac faginat.on,s athlcta, u, quac ut hc, ct ab ahqu,- bus dubitatur, cgoucrofcmpcrputau. xc rophag.a.n .llam apud Cachum &c loanncm Cafr.anum comemoratam.qua.f.hcus ar.d.is, nuccs &nil coctum,n.lhumidufumcbanr,no., placc,itas,uta,r Ar- rianus in Epiftcto, non frigidum potum, et dc qua Plautus m Mo- ftc'I ma ubi adokfccns quidaita loquitur,(iuo ncquc,ndullr,or dc iuucntutc crat artc symnaftica,d,fco.halb,pila,curlu armis, cquo, uictitabam uolupc parfimonia.S^ duritia. Ordinc h,n,Iitcr nullum . aut pcrpulillum athlctas in comcdOdo (cruafsc,m6c ccmpons nul- lam rationc habiufsc, fatis cxfuperiorib. clorum cfsc potcft.nil, qd: 4/ i B E R refcrt Gulenus eos non aeqiie mane, ac uefpere cibos ualidifnmos ij ^ ' accipcre cofueuifTc/cd dfiraxarin coena,nomodo rarione.Meruni- [ etiaexpcnentia dodi cibosin fomno.quando calor magis vigerm- " tus, facjhus cofJci.alioqui coco-au difficiliimosipfis, cu ob q,ualira- ^ tem eoru ualde calori rcliftcntc.tum ob im;r,cnsa quadrate. quauis f H.i^c.r,'^^"S"ifl^'-itiirfenIinbPJiniiis,quifcnbitut;i'crasmaloi(refcmper ij eosubiq.fomnoIcntosappelIans.Inmotuquoque&:quiefe cM nullam mcnfuram feruare folitos athlctas teftatur Galenus,qui cos tw. modo tota dic laborare,quando.f exercitium rUutf^fiuc KXTccanciiim,pueros quoquc cofueui/Tcin palaeftrisexercen,et prncrcrD tim Plato S.dclcg.qui tria gcncrafccitpalacftritarum,pucros,im- berbcs,& uiros.Non modo cnim fc arhk rac ad inhibcnda ucncrcm frigidalauabant,vcrumctiam laminas plumbcasrcnum,&:Iumbo- rum rcgionibus ad arccndas ncdurnas poIIutioncs,&: libidinis im- Ii.34.c.i8 pctusfrangcdosadhibcbacuttcftati funt Plinius, Galcnus,& loan- ua. c.uic.' '"^^^ CaflianusJib.vj.c.vij.quam rcm ct inTC^Iligerc voluifse D. Paulu arbitror,dum dixit . Qui in lladio currunt,ab o-mnibus abftinent,&: hi quide vt mortnl^' ooronam,nos vcro utimmortalcm accipiamus. lib adfflar Qil^,^cnaiTfis Tcrtullian^ hacc diccbatrNcpe cu&: Athlc tyrcs. ^^^^ icgrcgctur ad Itrldiorc difciplina,ut robori acdiiicado vacer,c6 ^ ^ tinctur a Iuxuria,a cibislactioribus,a potu iticundicirc:cogLitur,cru- Ciatur,fatigantur,^ D. Chryfollomus i.ad Corint.c.9. atq. Aclia- nus :Idc(Sy:Clcmcs Alcxan. lib.^.Stromaru^&SimpIicius in comcn- ^ li. is.c.6. tariofupi\iEpi:l:ctuintcIlcxir,quiRudio coronacathkcasauencre ablbncre fcriplit,ianyh'us H.a:^ca^-foi>i iii, Rom. b^^^v^ HamcrO'Colligi,apud prifcosailos tu.rpc.ha:birum cfecnudos -ccrtarc^rimum aut omnifi Olymp.vv.KcaihumLa^cdacmonixim Olympiacoftadi'0 dccurrcntcm totunvcorpusdcnudafsc,pudcdi$ tancifltiifuWigarib us campcftribus obtcCtis. 77 ilnidjit exercitAtlo, tlf quomodo diffcrAt a lahorc (tj motu. OSTQ V A M dc Gymnaftica, quid fic>cius origincnvicc non vcrac,6aquacq. fin- gulatimcxplancrur. hoc ctcnim fac'to,cum ars(diccbai Ariftotc- ^.Ethk. lcs,)(it rcda opcrandi ratio,vidcbimus,qu:ic (ir in obcundis cxcrci- tatiombus hacc rccla ritio, quomodo iUarum unaquacquc, ucl ad parandumbonum habirum,vcl fanirarcm dcfcndcndamconfcrat. P Excrcirarioncm iraquc dcfiniuir ( iaIcnus,fccundo dc tu. val.& ip- fumfccurus Actius, tfscmorum vchcmcntcm,anhclitumalrcran- rcm,ub: yvtaict^ K/nw^v.&in-oW^fuic cxcrcirarioncm,morum,arq. la- borc in:cr lc diricrrc dcmonltrarrproptcrca qd' morus clt rcs quac- dam magis communis,arq. pluribus conucnicns quam cxcrcitatio, cumfacpcmulri moucanrur,ncq. cxcrjcri dicantur,cxcrcirario ue ro non fit, niil vchcmcns morus : fnnilircr labor liccr lit vchcmcns motus.ramcn non omnis labor propric uocarur cxcrciratio, fi qui- dcm fodicntcs, arq. mctcnrcs laborarc,fcd non propric cxcrccri dicutur; tamcrficriamaliquandocommuniquadam appcllarionc labor,cxcrcitAtio uocarur rqiicmadmodiim (jalcnusab Hippocra- tcuocatumcfsc ccnfcr,quandoisdixit,Laborcscibumpracccdat> icx. 3 1. ' &:,ubi famcs,Iaborandum non cfiibi cnim vocchanc 7roVoj,quac,&: [^]^^ dolcrcm &: laborcm,liuc damnum,ut Itroriano placui.6Lcxci cira- „na,cu7 tioncm fmnificarc folcr,pro cxcrcirarionc dumraxar accipi dcbcre l i tuiva^. iudicar.c^jo cxcrcitaiio iiihil aliudcriccxfcntaiaGaicni,&: Aetij ^ nili  nifimomsvehemcns anhelitum alterans, yviivitrm^ Graecisappel-D latus,quod p!ci uq.nudi,aur fliltem cum paucioribus ucftibus cxer- cerctur;quemadmodum etiamlociiin,ubi ficbat>'t///^(cW appella- tum fupcriore libro abundc monftrauimus.Sed quoniam poflct ali quisetiamin gymnafijsab alreropcruim vehcmentcrmoueri,qui tamen nullo padio excrcc i i diccicLur,iccirco haec Galcnica cxer- citationis(paccciusdicam)definit:o haud quaquamintegra eft.&: proinde Auiccnna Arabi m omnium dosftiflimus cum animaduer- tidethaud plcne cxcrcitationemaGa-eno dcfinitam fuifle,a!iam definitionemin medium arrulit, uid( iicct quod cxercitatio eftmo tus uoIunrarius,proptcr qucm anhc!iti.s magnus, &:frcquens eft ne ceflarius.Quo m loco eos quoq. mcrito damnar,qui leuem quamli bet ambulationem cxcrcitij nomire compcllant : non enim appo- fuit(vchcmcns)quod,vbi magruSj&LfrcqucnsiitanhelituSjfcmper ^ necefll^riofcqui ur motumiilum vchcmentcmcxfiflere. fed neque haec definirio Auicennae mihi plene fatisfacit : quoniam,etfi con- ueniatomnibus triplicisgymnafticae excrcitationibus, cas tamcn propricnon complccl:itur:dequibusadmcdicum tradtare fpedtar, &: nos etiam loqui inftituimus : fiquidcm omnia quatuor cauflarum genera haud quaquam compleftitur, cum ncq. materialis explice- tur, neque caufla cuius gratia. Accedit item illud, quod multi uo- luntarie uehementer,&: cii anhclitu au6to mouentur, qui nullo pa- dio dicentur proprie exerceri,ficuti ferui cum celeritate dominoru mandata exfequcntcs,&: ficuti illi, qui vel inimicoru impetum, uel quid aliud trifte cflugicntcs,&: vehcmenter mouentur, 6c frequen- ter,ac magnopereanhelant : ex quo Auicennae definitio haud pcr- . fcfte totam exercitationis natura copleditur s ficut neq. illa Auer- F rois,qua dixit in libro coIIedaneorum,exercitationem efle mcbro- rum motum aliqua uoluntate fadlum. Ideo nos alitcr definictes di- camus,quod exercitatio,de qua medici intereft tradare, jpprie eft moms corporis humani uehemcns,uoIuntarius,cum anhelitu alte- rato ucl fanitatis tuendae,uel habitus boni comparandi gratia fa- 6tus. ita namq. definitio omnes cauflas comprchendit, atq. foli de- finito conuenit : uerum enimucro poflTet aliquis merito a me fcifci- tari, numquid motus equi tando, vel nauigando peraftus exercita- onis nomen mercatur, eo quod non libere a uoluntate hominis, fed ab alio dcpendere uideatur ? cui rcfpondeo, non minus equi- tantes,&:nauigantes alijs cxerccri dici debere,fi n6proprie,faItcm communitcr,dum modo gratiafanitatis,uel etiam militarisftu- dij illud cfficiant : quandoquidem propric exerccri dicuntur, qui exercitationcm nuper a nobis definitam fufcipiunt.quibus vero aliqua tx comlraohibiu neccflarijs dccft,illi potius communitcr, quii .propriccxcrceridiccntur,riue i fcipiis, llucab alijs moucanrur, • tafidcm facere inerito lcripferunr &: Flaro, &c Gatexius :fiqtuidem ^illaftatim ac in mundanahanc lucem ueniunt, f efe mouerie, agi ta- rc, ac faltare confpiciuntur : veluti quoque pueri faititant, qui ta- met/iin hoc brufisimbellioresad fruendum hac uita excant,nihi- lominus &ip/i, quantum conceditur, fcfc mouere nituntur iiitque exmotibus non parum voluptatis accipiunt. qui motus poflmo^ dum crefcentibus annis dum codicionesfupra defcriptasrecipiut, nil aliud planefunt, nHi iplilTima facultatisgymnafticae opera: vt omninodicere cogamur ipfiim,fi aon a naturafa£tam,faitem fecun dum naturae propenfionem efsc Huiufce facultatis cum Plato duasprimarias,atc[ue uniuerfalespartes effecerit;proinde allatani ab ipfo gymnaflicae diuifionemin medifi proponemus, nou quod fub ipfaomniumexercitationum fpccies appofitc contineantur, E fed quodanuUoalioartem hanc mehus diuifiun hucufqueuidcrc contigcrit.nGque nos quifquam rcprehendere dcbet,quod in plu- ribusPIatonis,quemmedicumncmofanus reputat,au£toritatem in tradanda re mcdicatantifaciamusiquandoGalenus ille, cui no jninusmedici 3,quam Pythagorae eius difcipuli credere tenentur, fcriptum reliquit, Platonem Hippocratis imitatorem fuifse, nec vfquamabiUius placitis receirifseinam Galenum hoc inlocofe- ;/>cdtuocauitLucianus; et in gloflario habeturjccrnulat ;6t;,5W, quS uocem et ufurpauit Sc neca Epift.8.etfi cernuat plurcs codiccs habeant. Secunda {^QCiQ% eftfphaeriftica,(iuepilaeludus.naq(fludentes pila faltarent,prae- terHomeritcftimoniu,qui fcxto OdyOeae dcNauficaahaec tradit: TTiaich Hcw(jiKoict?^dj}tcaAQMoc iipX^'^ MoAttw^. idcft: Ludebantpilayvittisvcllisque remotis y Utqne his ^auficaa ob niucas Jpe^abilis vlnas TrincipiiHn ludo dabat. tcftaturquoque Athcnaeusex auaoritate Demoxeni,ficutiinfe- rius indicabimus . Tertiafpecies eft opx>i(ng fimpliciter dida, nos limphciccrfaltationem diccrc polTumus. Totahacorcheftica qua- u is maiores noftri ut plurimum ad uoluptates, ac lafciuiam poti us, quam ad aliud utcrcntur,qui mos etiam ufque ad haec tcpora pcr- durat, nihilominus gymnafticam bellicam,athlcticam, atque mc- dicamilla quoque prorfus non caruilTe conftat, /icutnec ccteraf cxcrcitationes abuUa fereharum triumomifli fuifsc dcmonftra- bo, ubi in finguHs cxcrcitationum fpeciebus dcclarandis, quo mo- dounaquacque gymnafticae illis feparatim ufa fit, indicarecona- bor . Bcllicam cnim abfque faltatoria non fuifle, locuplctifli- mumteftemPlatoncmhabemus, quiin feptimodclegibus falta- tioncm in tres diuifit, militarem, paci aptam, atque mediam; mili- rarcmque vocauit corum, qui modo exfilitionibus inaltum,mo- dodcprcflSonibus, modoinclinationibus hoftilium incurfuumin uafio- SECVNDVS A uafioncs^euirationcfq., imirabanturjquiq. figuris uarijsiaculatorcs, &c pcrculTorcs fimulabant ; atq. hanc tanti fccit, ut uoliicrit in Rc- publicamaginroshabcri, qui mcrccdc publicacondiicti uiros fi- mu!,ac mulicrcs hanc cdoccrcnr,arbirratus hac una non paruadiu- mcnti accclVurum ad adipifccndamihtarcpcritia.&:nobihsauthor Quintihanus hb. i.inft.c.z.tcllarur Laccdacmoniosfalrationcquan dam tamq, ad bclhi utilcm intcr cxcrci rarioncs rcccpifsc.QiuJd uc roathlctica gymnallicaintcrcctcrascxcrcirarioncshabucritaliqfi faltationcs,c6probari potcft cx Plini o,qui Stcphanionc togarac fal ^^''^* tationisprimuinucnrorcm vrrifq. faccularibusludis,(!s: D.Augufti, &: Claudij Caclaris (altalsc mcmoriac prodidit : qucniadmodu 6c Plato loco nupcr citato laltationc a nobis mcdia, ab ipfo d^^icfifi" THjL^lw nucupara in facrihcijs, atq. expiarionib. ficri fohra,q a Ma B rincnfibus,&: Arcadibus cora Cyro fiicta rcfcrr Xcnophon, rnidcns, libro i.dt apcrtc infinuarc uidctur, arhlcrica, cuius 6c ludos &: furificioru cc- ^y'-^^^' lebrirarcs cfic ia dccrcui mus,falratoria habuifsc.( lal.porro ncc mc dicinac Liymnartica falrarioncs a fc rcfpuifsc rainq fanitari, et bono habitui mudlcsplanc conhrctur,quandoquidc in fccundoTrtei vy- cap.vltim. Hvm' multos imbccillcs ualerudini rcfii tutos a fc ludis, pacrarijs,ial- tationibus, arq. alijshuiufccmodi cxcrcirationib, rcfcrr.id qd An- Orib.r. ryllusparircr tcllatum fccit,ubi inicr cctcras cxcrcirarioncs homi- nibus ad (anitatc conkrcntcs hanc ponit, mcdiamq. intcr chorca, &: umbratilcm pugnam naturam rctincrc, &: ob i d puc ris, mulicri- bus,atq.fcnibus,quorum corpus mirum in modfi inibccillum,&: gra cilc cft,conduccrcfcribir. An ucro hacc cafir /alrario, quam Plaro up**yixLuu,i\\XQ paci apram nuncupauit,(]uamq. animi in profpcritari- C bus,&:inmodcrarisuoluptatibustcmpcraticxfiftcrefcripfir, haud tuto affirmare audco, fat (ir nobis hactcnus oftcndifsc nullum gym- nallicacgcnushac laltarionc caruifsc,inquam, &:in palacftncam cxcrcitationum arrcm a Plaronc dmifani cisc iam diximus. De Sph.t€riliica. Cap. /K Altationem incubifticam, fphacrifiicam, &: or- chcfticam,fiuccommuni nomincuocaramfaltationcm diuifimus,quarum unaqiiacq. iam nobis fufius dcclaia da lorct. Scd quoniam dc cubiltica ab auctoiib. pauca admodum tradita rcpcrjuntur,omi(sa illa,rcliquas duas prolcquc- mur. Atquc primofphacrillica fcfc oflcrt, quac ramctfiHomcri tcmporibusfimplicior cfscr,atramcnpollcrioribusfacculis mirain OymnajtUa. G 3 uaric- «4  aeratcm acqiiifiuit, m&c ipfa in gyrrKraii/s. t-am locumcSoLf- D «5:^0^5 quani pracfcdum awotdpn^/Koif voaitum haberc mcruerit. I.7.C. Jjr. 1« uar pn^HV.op:, quxm pracfcctum arpotfp^i^^Kou. Qiiis vcro primus fphaeritticamhanc,fiuepilacladuminucncrit, fcripcores diiic/a fcntiunt. Plinius inter Larinos Pytho cuidam hunc acccprumrcferc. A^alisCorcyreagrammatica Nauficaam ludipihiejnuenrriccm, fcd ignoroquararionc,apud Athcnacum facir.-HippafusLacedacmonijs, DicacarchusSicyonijsinuentum iftud artribuerunt . Ex quo fir, vr ccrri quidquam fcntirc nequca- mus,-&:co magis quod TimocratisLaconis,aIiorumuc dehoclu- do commcnraria non habcmus, quibus forrafiis &:ranracuaricta- tis rarioncm intclligere,&: incognira prope ludcdi pila gcncra ccr- tius cognofccrc poffcmus.in quibus cxplicandis cum huc ufq. fcri- prorcs non parum confufi fucrinr, arquc intcrdum a ucriratelonge receffcrinr^nos, quantum ficri potcrit, tradarioncm hac clariorcm, minufq. antiquorum fcripris repugnantem cfficcrc ftudebimus.Pi- Liiraqucludendi gencnlquaruor duntaxat apud graccoscxftiriffe rcpcrio, uiyct^w T^pajjpcLV, fjLiTtfKVj^pajpoM, yiivbju o-(poijpcJUf, ^ yicopvKOV, fiue paruam pilam, magnam, atquc pilam inancm, et corycum,rcpono corycum inrcr pilac gcncra,quod licct GaIcnus,Oribafius,&: Paul- lusab illisfccrcucrint, inftrumcntumillud, ut demonftrabimus, nel pila crar,ucl pilac aflimilc . Paruac lufus fccundum Anryllum trcsfpecics diuerfashabuir.prima crar,pila ualdcparua,in quaqui cxerccbanti.r, corpore maximc claro ludcbant,&: colludcnrcs ma- nus manibus proxime admoucbat. fccQda crar pila maiufcula, qua cuhiros cubiris ludcndo immifccbar, ncc corporibus mutuo hacre bant, ncc annucbanr,fcd uarijs modis moucbantur,&:proptcr ua- rios pilae iaitus huc,atque illuc digrcdicbantunterria erat pila ad- huc maiorfccunda,in quahomincsintcr fc diftanrcsludcbant, &: in qua cum itararia, ac motoria pars cflct, qui manebant,pila cmit- tcbanr cumuchcmcnria,&:concinniratc. inrcr has fpecicsadnu- mcraridebcregcnusilludiudico, quodpcncs Athcnacum ifc^r^t- 901/ &: (poivi^ uocarur, rumquiaa Galcnoin libcllo deparuaepilae ludo fimul cum alijs id quoquc cxplicarum habcrur,tum quia Cle- S.facilag. mcns Alcxandrinus, fcripror grauiflimus, ubi dcmonftrarct ludum paruae pilae.&: praefcrtnii (puMct, cxcrcitarioncm cflc uiris ualdc accommodatam,cam paruac pilac fpccicm fuiflc hac oratione cla- rum facit:oV/ inucnTorc . aur>.-n. ^ «.rxx/C.r * ^^^f^»x«,K«^? ^xnzo* - /.cuf twsitx» rotwirlt^ yy^zy . K.«xw «■n.ut tAaCt, f/ ^W . X- . ;,x*^r.^cr«x-;uoit>>,^ .-^-'J^«« i^lmptc,&: com;mn.tcr ludcrc folitos pcfpicuum clhcitur.Hac ir.iq. I:.nr p.Iac- par..ac Ipc- cics dcquib.isa Gracc.s .ncnt.oncmhabiralcio. .nqu.bus hp.- ccncspli.lofophus.ncc non Ocfib.us Clialc.dcnl.s ph.lolophus, nuo cum muhi cx Anrigoni rcgis ra.mliaribus hukd. yrar..i cxluc- bantur.mulrum cxcclluilfc dicuntur. Arqiu follux al.ap.lac par- U.1C ludorum £;cncra proponit, Aporraxun \ ra.i.am,..! quo (c- licctfcrcrccl.na.itcspi!a.n incoclu pro.jc.cbant,& a.itcquarcr- ' G 4 r-im, -L I B E R ram attingerct, excipicbant. Coctcrum pilam magna duos quoo. D ludcndi modosnon folum exipfiuspilacmagnitudinc,ueru ctiam ex manuu hgura a fuperioribus diucrfos cfl"ccifrc,Oribafius cx An- tyilo rcftatiir, qucrum unuscratludcntium magna,aJiusmaiore, lioc tamcn anibo communc poflidcbant, vt /icuti in cccteris prae- diCusJuiorcs fummasmanusscpcrhumcris humiliorcs,ita in hac lcmpcr capiteahiorcs tenerenr, quandoq. ctiam fummispedibus ambuJabant ut manus altius cxtoIlcrcnt,quandoq. falrabant, cum lcihcet pila fupcr cos fercbatur,in qua proijcicnda vchemcrcr bra chia agirabanr Inanisporr6,fiuc vacua,quod tcrtium pilacgenus fecmius,quahs fucnt haud farisexphcaium habetun/iquid rame.i con.cauracxAntyllivcrbisaircquilicct,crcdohancpila,qucmad modum S^coctcras cx corio cofutam fuinc,in hoc ab alijs diffcrcn tam,quod illae ucl pluma.^uclaliamatcriaihaecfolo venro,/iue E aere plcna forcr,arq. rantac magnirudinis, ur ipfa difficulrcr lude. rerur Corycus uero quis cflct, quomodoue ludus illc perageretur, cumAn yllus apud Oribaiium clariflime exprcfl-erit, e?us ora- tionem huc -duccre ftatui, quae ita i„ V^aticLo coc^ceT habct . K«,o.x^^ aSzvir(pcoP i,U7Ay^ccru^ yAy^af^^cy, -Hw^^. ^oyrL., .fo^i-npo., i-.^,.e^,^^oJ.oZv:,,n robumonbus arena implcuncins ucrS magnitudo a d 2e cor Pons,&ndacta,cmaccommod«ur,rurrcndrturau7cmin«  SXnt it u iS l","!™ '""'"'  ^ itcrum rc- Ircijcicntcscmit nt.urc rr^, '/if,""';:^^ ' ucntu ruooccunat,adcxt«mnm 1' ? r™';''' "/P°" »,,.;„r,;tr ™.r*,r^ot:'ald[&i^re! troccdat. SECVNDVS. 17 A troccdat, c\- quo fir,ur quandoq. manibus occurranr, chim propin- „ quar,quandoquc ucro pcctorc manibiis pallis,quandoquc vcro ijs^ ad tcrgarcvolut.s. Hadcnus Antyllus.qui ramctii hguram Coryci luporcomnibus tunc remporis nocam non cxprimar^conicdura ta mcnalTcqui polTumus j^ipfum iphacricum ^aucfaltcm rotunduni cx matcria ccriacca cxllitillc, alioqui ii angularc fliifsctin occur- fu, &c manus, &: pechis non finc laclio.nc pcrculTifsct . Hacc autcm li uidifsct Fuchfius, (anc inrellixiikt, Valcriolam non finc racionc aducrfus ipfum contcndifsc, follcm,^: corycum paullo minus, quamcoclum,&:rcrramdiflafsc. Ncquc ctiam fatisn.irari folco anriquilTimum lcriprorcm Caclium Aurclianum,qui lib. v. tard. pafl* cap. vlr. dicit variam uolurationcm in palacftra cfsc uocatam a Graccisccladian, atq. coricomachian,nililirin codiccdcpra- uatilTmo crror,vt puro . Dc hoc intclligcndum crt adagium illud, TTfi^KigvKOpyviJu^d^yrlrKt quo gcncrc ccrtamins Apulcioin Thcfsalia ccrratum cll.Dc hac quoq. cxcrcitationc vcrba tccir Hrppocrarc^ fiucPoIybus,ubijiL(';^/flfy,faI(o a Clornario follcm intcrprcra- tam,ad artcnuandum corpus prohauitrqucmadmodum &:candcm inrcllcxit Arctacus, ubi pro clcphanr icorum cxcrcitationibus xefv*. KoRox'(ti probnuir,quas bonus i!lc intcrpr^cs,ucfc^io qno fpiritu, pc- rac,aurfaccu!i iaauSjincprcfatisrranftulir.Eandcmquoq.nucllc- xifsc Coclium Aurdianum cxi(b*mo,cuin ad polyfirci am diminuc damcorycomachiam(fic cnim lcccndumcll)comnicndauit ijfdc propc rcmcdijs vfusqfa' ^b 1 lippocrarc loco cifaro propollta funr. vndcargumcntatusfum,Auctorcficuti cetcra,ita «ccorycomachia C ab Hippocratc mutuatii efse. qtiamufs textus ludicio mco dcpraua ' rusfit. Locum vbi ludcbarur,Cor)'ceumapud Vitruuium appclla- ri,ccnfucrunraliqui;quorumfcntcnriamp(>Itquam in fupcrionlnis rcfurauimus,nilaliud diccndum cll.Arq. hacc dequatuorpilac lu di graccorum gencribus,vidchcc t pila parua, pila magna,pila ina- ni, &: coryco. quac omnia diuerfa inrc r fc cxditifVc, non modo cx dcfcriptionibus nupcr allaris nuinik rto conftar, ucrum criam cx Galcni vcrbisinfccundodc tucnda ualcrudincfcripris : vbiintcr cacccras gymnafiorum cxc rcirationcs corycum, pilam parua,&: pi- lam magna,fcpararim rccenfcr,ficut &: Paulus Aegincta iplum imi tatus. quod profcdo non lccifscnr,nili quacda iurcr lc diucrla cxfti tifscnt pilarum gciu ra,&: diucrfac ctiam cum ijs fadac cxcrciratio nes. Quac nunquidomncs in Graccorum gymnalijs cxcrccrcnrur, parumfcHcrcfcrt.farfirinfcUigcrc,mcdicamgymnafticam,atquc bcllicam,& pracfcrtini pi.cris cdoccndis incumbctcm pihu u cxcr- ciratiorcs if citationcsvfiirpafrcsncque ad valctiiclinem,acngilitatcm compa- D randa,augendamiie cas cercris inferiorcs exiftimnfrc. atquead hoc idmaxinrcfacit (]uod Knftathuislcripfit ad Xodyfs, Hcrophilomc dicopolitamfuiflc ftatuam ac propceaintcr alia gymnalticac in- ftrumcta ct pilam. Admirari aut nemo dcbct, fi nos in fuperioribus fudosintcrathleticasexcrcitationes rcpofuimus,&: fubindc mul- tas quoq. bcllicas,mcdicasq. exercirationesludosvocamus,vtnu- pcrrime dc pila dictu ci\. a nobis ; quonia et vetcru, &: recentioru tfi Oracc()ru,cjlatinoruloqucndi mos obtinuir,vt multasexcrcitatio* ne5 natJ^iK^^Sc iudos vocarcnt,autquod a pueris g.7r«rA5 Gracce di cunrur,vt plurimil h\TCiit,aut qcf illi.q. exerccntur,non fcrio,(cd io vidcantur,{iucgratiafanitatis,{iucalteriusreiid efficiant. ludi vcro,quos athlcticae efTc nos dicimus, ita propric uocabatur, quoniam foIatij,&: voluptatis folius gratia in otijs fcftiuis agebfuur. E Dc PiUe ludo fecundum Latinos. Cap. V OSTQVAM pilaludendiGraecis ufitatagencrafa- tis cxplanauimusjfupcrcfl: &: ea quae aLatinis ; &: in vlu habita,&:fcriptistraditarepcriuntur,explicarc:vnde,in quibusamboconuencrint,&:inquibus diucrlifucrint^ perfpicuum futurum fpera Quatuor igitur fuillc pilae genera ctia apu(i Larinos,quibusludebant5inuenio,follcm,trigonaIcm, paga- nicam, &: harpaftum, quae omnia fub nomine Jtalicac fphacrae a Coclio Aurcliano medico complexa nonnulli crcdunt. Folhs erat pihimagnaexaluta confcda,(oloq. uentoxeplera, quae /imaior eratjbrachijs impellebatur, &: fimpliciter piJa interdum nuncupa- F batur,ut apud Nonium ex Varronc,Purgatum fcito,quoniam uide- bis Romae inforo antc ianuas pucros pila expuJlim ludere \ &c apud Propertium lib.3. Cum fUa vcloces faltitper Irachia ui^us. illtcrdum quoq.,pila vclox,ut apudHoratium Sac.Iib.2.Sat.2. scupiU vdox M olllter auflcrum fludiofalkntc labvrefn, Seute difcus agit* Hufufmodictcnimpilaecxcrcitationem licct uidcrein Gordiani tcrtij Imp. Rom. nummis, quos hic dcpirtos adpofuimus,&: ex qui- bus conijccrc licct,unumquciuqae iufcxmm nropriam pilam ha- buifle^atq-ueeum luduminfacriticijs Pytlrij^ apud AipoUoniaras adhibitum cir]e,uttumex uoctr ns-ei Atum ex^aima,-atquc facri- ficatorijs uafis colligere non eft difticilc  Si vcrominorerat,pugnis cijciebatur^atq. piigilJarisfoJIis, vt apudD PJautu in Rud. cxtemplo HercJe cgo tc foJJcm pugiJIatoriu facia ; uocabatur.lntcrdu quoq. hanc cadcm pilam Folliculum appellari crcdojlicuti a Suetonio in uita Augufti, quem hoc pilae ludo ualdc deletVatum narrat.Quomodo ucro JVIanialisIib.^.dixcrit. Tlumeayfcu laxi partiris pondtra follisy ' cum ex corio ucnto replcto pila hacc confucretur^&non pluma.ut omncsfcrcLatini audtorcs uno orc fitcntiir, quidquid alij rcfpon- dcantjOpinoregooblcuitatcmfoIIisponderapJumca dixiflc.cuius lcuitatisgraiiancque.pucri, ncque fcncs aJioquiimbecillcsintcr ludcndum vcl nimiuiii quid dcfatigabantur, &:propterca idc IVIar- tial.alibi fcriptum rcliquir. iib.j^.. Itc froLul muriLS tis mibi connenit aetas, Fotlc dtcct puercs ludere, folle fenes, £ Namuthocgcncrcludicorpora imbccilliora cxcrccri ualcrcnt, nonmodoIcuispilacHicicbatur, ucrum etiamdicarus lufuilocus nullis lapidjbus aut latcribusltcrncbatur, nclabercnturpcdibus ludcntcs,&, fi fortc lapfi eflcnt, cx cafu damnum non patcrentur i &: proptcrca,cum folum minimcpauimcntatum forct,cx cotinuo tcr- rac attritu puluis cxcitabatur: quamq, ctia ficri potcft,ut pauimcnta ludcrcnt,fcd pulucre humili &c cxiguo illud adfpergcrcrur,ita ut pi lam rcfilirc non impcdirctur, atq. ludcntiQ pcdes magis firmarcn-^ tur.Nam in pulucrulcnto folo licri hanc cxercitationcm confucuif- fe,innuitJVI.irtiaIis lib. i2.ubi Mcnogcncm quendam cx Thcrmis ob dcIcAationem exire ncfcicntem in hunc modum carpit. Ifjugere e Thcrmis, circa balnea non eft, Menogenen, omni tu licet arte v^lis, p Captabit tcpidum dextra lacuaque trigoncm, imputet ex^eptas ut tibi faepe pilas, Colliget^, et rcferet lapfum de puluere follem, Et ft iam lotus, iam foleatus erit . Numquid autc ludus ifte fucrit unus cx ijs, quos fupcrius fccundunl Graccosauftorcscnarrauimus,uariacfcntcntiac fucrunt.Ahj cnin^ crcdidcrunt pilam magna Graccoru>&: follc Latinorii idc fuiflV, m tcrquosfuitThomasLinaccr,quicumin2.dctu. val.corycufollj traduxifsf't,in fcxto poftuuidum liJ^:o magiiam pilam itcrum folj 2. Jtu.ua. tranftuht, quafi corycus, &: pila magna non diftcrrct apud Galcnu, qui cxprcfsc ^ pila paruam,&: magna,& cory cu diftinxit . Alij ma- luerunt corycum Graccorum,foIlc Latinoru fuifsc : atq. hanc opi- monc maior pars rcccmiorum fcriptorum habuit, intcr quos fucre quidam, qui apud Onbafiu caput Cory ci, de foilc pugillatorio in- fcribcu- d di Oi cd hfl dd pah W COiI( liisa con pim bj cai m\ ki Sicn Doni ierl( !crc A kribcadum iudicarunr. fcd hi oC-s m.ignopcrc hiillucinantur:^ pri- mo,qui crcciidcrut follcj^Sc maenam pilam idc fuiirc,duabus ratio- nibus rcdar^uuiuur,quarum ahcra c(l, q Jludctcs magn*i pilafcm- pcr fummas manus capitc ahiorcs tcncbant, quandoq. criam fum- mis pcdibus ambulabant.ut manus ahiorcs tcflcrct : ahcra cft,quo J Oribafigs hidu pihic may:nac no modo acgrotis, fcd cti am coualc- fccntibus, atqr bcnc ualcntibus inuiile iudicaui t, quorum ticutrum habuilk folkm,facilc cft cx fupcrioribus iudicarc.Qui ucro iollcm corvcu!nfui(Tccxillimarunt,muhisrationibus&:ipficrralTc dcprc- hcnduntur.Primo,quoniacorycusc cuhninc gymnahoruinfufpcn- dcbatur,folhs h bcre emittcbatur . Secudo corycus ficulnco grano^ aut farina,aut arcna implcbacur, follis folo vcnro . Tcrtio loUis in pulucrc cxcrccbatur,cOTycus ucro no. Fuerur itc qui tollc pila i na- B nemfupcriusa nobis cx AncyllodcfcripramfuiiTccrcdidcrur. qui- bu^ cgo libcnter a(Tcntirc,ni(i MartiaJis dixifict, fbllc mitiori actari couenire, &: Antyllus pilae inanis cxcrcitarionc non admodu faci- lc,ncq.aptam,&:idaoomirtcndamcfsc ccnfuiset. Colligoigicur cx his omnibus, quod cu follis,ncq. inanis pila Graccoru, ncq.magna corundc,neq. corycus fucrit, eum illos ignorafsc. ncmo cnim c(l, paruampilam follcm rcpuraucrit. Porro Trigonalis pila,qua hidc- batur,parua crar,ita nuncupara uel a loco,ur uoluerur nonnuUi, ubi ca excrccbatur, qui locus triangularis crar; ucl potius a ludctiu ( qj magis crcdibilc cft)numcro,figura, Sc liru.hanc cfsc aliquando pili £mphci nominc appcllaram inucnio, ut aDud Marrialcm lib.vij. TipnpiU^ non foliis^ non tc paganica Tbermis ^ vj Tracparat, aut nndi liipltis icius bcbcs : Vara nec iniiHo crromatc brjcbia tendis, Klonharpalla uagus pulnerulenta rar.is. Si enim fola quatuor pi lac gcnera facimus,ncccfsario cum ceterac nomincntur, Trigonalis fub pila fimplici coplciflctundc hac fimih- tcr locutum credo Cclfum, quado dixir,ab aluo cirara ucxaris pila, &:rcliqua fupcriorcsparrc s cxcrccnria conucnirc, quoniam in hu- jufccmodi ludo parrcs infcriores fcrc fcmpcr fimue mancbanr, fu- pcriorcs perpcruo agirabanrur . Quomodo ucro pcragcrcri:r cxcr- citatioifta,facilcconijCcrc pofsumuscx Martialis ucrbis,in quibus dem6ftrar,luforcs ita triagulari fitus figura colludcrc foliros,ur ma- nibus urrifque modo fini ftra, modo dcxrra pilam uiciflim cxpcllc- rc,&: cxcipcrc ualcrcnr, nc unquam cadcrcr. in quo fumma ludcn- tiumlaudcfuifseucrifimilcficfitur inlib. 7. ubi Polybum qucnda Uudat ob agiliutcm finiftrac manus in iacicnda,cxcipicndaq.pila. 5)2  &:libro.i2. &libro.i4. Slc palmamtihideTYigone nudo FnHae det fauor arbiter coronae, T^fC laudet Volybi magis finiflras . Captabit tepidum dextra, laeuaque trigonem. Si memibiiibus Jcis expulfare ftniflris Sum tua ift nelcis, rufiice rcdde pilam. Ex his mcherclc patet confiicuifsc trigone liidcntes a fc inuice mo do niittere,modoexcipcrc pilam, modo finiftris, modo dexteris,eo propemodo, quo nollratespila paruafupra funiculum ludunt,&: quo etiam Antyllus tertium paruac pilae lufum dcfcripfinGur-vero Mart. tcpidum trigona dixcrit tum loco fupra citato,tum lib.4. ■ Seu lentumcefoma teris, tepidimi4C trignna : haud fatis mihi conftat.artamen,fi quid diuinare conceditur,dice- rem proptcrca trigona tepidum dixifsc, dft quod homines ludcn- do^ob uchcmentcm utriufquc manus laborem, &c afliduo rootus pi- ^ Jae tenore magis incalefccrent: uel quod locus,vbi ludebatur tepi- darioin gymnadjs uicinus forct, &: proptcrca ludcntes tamloci, quam pilac tcporcm qucndam percipcrcnt. itiucro fuifse, ucrifi- mile uideri potcft : cum fupra tum ex Galeni, tum ex Martialis fei;!-, tentia demonftraucrimus, poft pilac ludum ftatim confueuifse bal- nea calida ingrcdi . Nifi malimus di cerc, poctam trigona tcpidum dixifse,quia ex continuo motu pilac in manibus ipfa tcpida euade- bat,eomodo,quoPropertiuslib. i.in Elcgialanuae conquercntis, dixit Tepidum limc,quod ex cotinuo fupra ipfum ftatu tepcfceret, 7{ulU ne finis erit noflro conce/fa dolori, i^^urpis y in tep^ limint fomnus erit ? Excplum trigonalis pilacmihi uidcturillud,quodin nummis M. Aurclij Antoniniapud Byzantios excuffis hucinmodum apparet. F Quem itc ludum in liicrificijs ApoUinis Pythij Aftiaci adhiberi fo- litu,mcmoriac proditu eft. dc hac pila quae dicit Seneca 2. de ten. f.c.ip.efse intcIIigendaputantaliqui.Eundemprope autfimilepa- ganicae pilac lufum dcfcribi cxiftimo a Pctronio arbitro in fatyri- cis,ubi huc in modum fcribit.Vidcmus (cnem caluum tunica uefti- tum rufsca inter pueros capillatos ludctcs pila .Ncc tam pueri nos, quamquamcratopcraeprcciumadfpcvflaculum duxcrant, quam ipfc paterfamilias,qui folcatuspilafparfiua cxercebatur,nec ea am plius repctebat,q terra cotingcret, fcd foUc plcnu*habebat feruus, fufficiebatq. ludctibus.Notauimus ct rcs nouas.Nam duo fpadones in diucrfa parte circuli ftabant,quorum altcr matellam tcncbat ar genteam, altcr numerabat pilas, non quidcm eas,quae inter manus lufu expcUcntcs uibrabantur, fcd cas,cj[uac in tcrram dccidcbant. Siiccedltpagcinicapilaficappcllatn, quodcflet vuIgari5acfmocfu,D et in uillis pagis uocatis;ucI in pagis urbis ut plurimum in ufu habe retur. Nam Dionyfius anriquiratumlib. 4. rcfcrt, Romam in qua? tuor tribus olim partitam fi.iiiTc,quae &c pagi,ficut earum habitato- res Paganijnominabantur. fiuc igitur ab ifi:is pagis, fiue a uiHis pa- ganica pila dcnommata fir,pari]m rcfi:rre credo.fat efl:,pilam fuifTe ex coriopluma rcp!cto,trigonali latiorcm,non ita tamen ut cfi:foI- Iis,laxam, fcd duriorcm ; fiquidcm follis, qui uento replebatur^ctfi quantodUriorcrat,tantofaciIiuscoIudcbatur,quanto laxior,tanto difficilius,ut ctiam tcmpeftatc noftra quotidiana expericntia com- probaf,ramcn paganica pila quo ctiam durior elTcr, et pluma rcple batur,&: non i ta rep!ebatur,ut laxa ufquam foret, fed vndequaque dur!flima,&: proprcrca difficulrcr ea Iudcbatur,qucmadmodum uc nuftiflimcMarrialishocdiftichooftcndicIibro 14. ' ' ^ H^ic (iuae diffii ilis turget paganica plumay Folle minus Laxa efl, ^ minus arcta pila ., - Sub nomine enim fimplici pilae intclligi aliquando foIIc,aIiquan- do trigonalcm, paullo antc fignificauimus . Itcrum illud ignorari hoc in loco nolo, ctiam in gymnafijs paganicae pilae exerci tatio^ ncm in vfu exftitifl^CjUt idcm Martialis Iib. y.tcftatum rcliquit. Tipn pila, nonfoUis, non te paganica thermis Traeparat, aut nudiftipitis ictus hebes, Namcumfacpiusa nobis indicatum fit,confucuifle fcre omncs» quifefein gymnafijspilacxcrcebant,priuspilaluda|c,& dcinccps tatim balnea ingrcdi,Martialis illis uerfibus demoimrat, inter ce- teros pilae ludos in gymnafijs fe exercentium ad balnca praepara- toriospaganicamquoq.adnumeratamcfle. VItimum&:quartun| ^ Latinorum pilae genus harpaftum fecimus. quod ob nominis fimil litudincmidcprorfusuidctur quod^V^d^oVGraecorumrcratenint pila,quamludcntcsalter alteri eripiebat cuius ucromagnitudif nis,^ cx qua materia forct,haud quaquam ab ullo audorc cxplic:^ tumhabemus,nifiquod Athcnacus his ucrbis manifcftum facit, harpaftum rotundum fuiflb. cA^x^ (panvScL 4;eaAf^TD, 0 otucrir,tum quia ciufmodi accubitus fibi ualde in- dccorus,atq. a Chrifti vita,^^: moribus alicnus,fimulq. edcndo,& ibi bcndo non parum incommodus vi derctur,tum quia a cuncftis prac fcrnmanriquioribus Euangclij interprc tibus fir penitusignora- tus, aut /altcm omiffus, minimeq. coufidcratus, tum quia a piftori- busnumciuamnec fomnioquidcm aut cogitatus, aur ullomodo cxprcflusinuenitur-quafi vcro haud fit verifimilcpotuiflc tato tem- porc,totq. pcritos artificcs, atq- doftifrmios inrcrprctes iatcrc rcm non ita cxigui ad pcrcipicndam Euangelij vcritatcm momcnti.Pe iriis Cja.conus,6^ Fuluius Vrfinusrcrum antiquaru peritiflimi,quiq. muitis annis poft nicam gymnafticam de triclinio fcripfcrunt,pro- culdubio ad vcricarem accubitus acccflcrunt,atq. fi acquus Icdor Gollras cogirationesillorumfcriptiscompararc vclir, ccrtc fl:arim. animaducrtct,fcrequicquidhac dcre boni dixcrunt,cnoIlroli- bro acccpiiTe, practcrita ramcn memoria, kcus quam fccit crudi- tiiTimus Galliac occllus Pctrus Fabcr, qui non modo fumma inge- nuitae in libris fuis agonifticis incredibiIidodrinarcfcrris,non: erubuit profitcri fcfc magnopcre cx Iibris-dc re gymnalticanoftris profcciflc,vcrum cciam fcgctcm,quam cgo pi imus illius pcne obli- teratac artis rcnouaui,ira fingulari fludio, &c vberratc pt-opagauit, cxonKiuirq. ut ab omnibu^ pro tanxo bcmcficio fibi gratias immor talcsagimcrcatur. Iraquc ut omncm cxanimis dubitantum exi^ mam fcrupulum, &: aliquid maioris lucis tantac rei obfcurirari af- fcram,acompluribus quoquc rogarus,nonnuIla hocinlocotani deipfo accubendi ritu,quam dc ipfiiis Magdalcnac firu^&: opcran- di modo adijcere dcliberaui, ratus mc hoc laborc id cflfcdairum 9. ut gentcs tyindcm rcipfa melius confidcrata pauliatim rncipiant uctuftum errorem exucrc, arque fimplicibusanimis pidluraue- ram cius favfli h iftoriam pijs, &: vcritaris amantibus repraefentare . Qir :)d iraquc Vctcrcs tam Graeci,c[uanT Latini,arque Hacbici cpa tanrcs accubercnr;, nomcn ipsu apud hafce cun£las gentcs recepti- ffimum facile pcrfuadere poteft, qucmadmodum a paucis dubita- tum iaucniojcpin uiclmiopro commode, &c faciluer edcndo,at- Aqucbibcndcpairim aliquot fcculisufi fint . Quid autcmpropric antiquis clTct triclinium non ita abomnibus confcflum habctur; Eccnim qui nupcr ad Athcnacum crnditiflimas animaducrfioncs haudlincnugna laudcin luccm mifir CaufKibonus monftrairc fi^ bipcrfu.ilir^triclinium inrcrdum fuilTc acccprum \ jpfo I)..bi- faculc\ubi kzY\ (lcrncbanti r,proptcrca(]uc is^uTciK^wcv,J^iKxrsiK^i- J^jiMxrfy ^i^op inucniri nominara, prout pauciorcs plurc!>uc c- w js c.ipicbat; ncquc ipfc ui alvnio apud aliquos fuiflc fic appclla' xum, fcd quia in iH j Athcnad conuruio unufquifquc in mcdium 4d proponcrc conabntur, quod infrcqucntius crat, atquc ali- qmm Icitu dignam raritatcm habcbat : iccirco cxilbmandum &ianQminAndo inurcndorriclinio cundcm cffc fcnluni fccutos, qrxm&: Kcginaurbium Roma fcqucbatur • Atqucdc Jiocipfo cuni l(;qi.crctur antiquus, &: grjuis icriptor Scruiusiu Comm.adprimumVirgiHanac Acncidos diwt Vctcrcsftibadia .non habuifscfcd Itratis tribus lciftis cpuIaircCundc triclmiurn Itcr- ni di'tum ) arc]uc eos crrarcqui u Kant tnclinium ipfambalili- cam,ucl cocnarioncm . Ncquc minus fatlunrur, qui puiarunt rri- podas iilos, dc quibus mcnno cft npud A:1k nacum cx Eubolo co- mico, a^inquibus duo ucl rrcs cdcntcsrcpracfcntantur inmar- moribusuctulUs fuifsc triclinia, quandoquidcm nulla ibi rruini lciftorum imago, nccucaccubirus confpiciiur, fcdfunt dumta- >at fcpulclu-aliiimcocnarum dligies,dc quibus rrafam non rcrro,fcd antc, req. ftantc m,rcd genibus humi pro- cumLcntcm vfquc ad hacc tcmpcra depinx,crunt>& feipfos,& alios (fiita loqrilicct) dcccpcrunr^pracrcrquam cnim quod vix imaginari porcft huiufmodi omnia pcrficiamuIicrcpotuifse,cer- tumcft etiam,ncqueaminiftrantibus illudpcrmi/sumiri dcbuif- fcfimulque indecorum ualdc fururum fuifse,fi mulier fubtus men- fam gcnibusfefchumiproabluendis, &:cxiccandisC HRl S TI pcdibus ftrauiffer &, quac omnia incommoda cuni euitenrur tri- clinio, et accubiiu noftri^. ^ haud inrcHigere pofliim, eur de- bcanta quoquam ingcnio guftii praediro rcpudiari, eo ma- ximc qnod nuHarurpirudinis Ipccics in ijs fpc£larur, quae de- bcar ab ca rc crcdcnda qucmpiam pium dcrcrrcre, quinimo fi accuratc ingrcifus mylieris expcndarur, miniftros, dc accum- difc bcntcs  2« tcm^s latereponm, haud fccus, atqucubi fcfe iii cxteriorc trichnij partc iuxta pcdcs CHRISTI locauit: quod fi ali- qiiid in illoaceumbcndimodo non ita laudabilcfortc npparc- bacquifquc fibi illiid pcrfuadcrc dcbctctiam quacindccora funtob populi confuctudincmfacpc omncm foeditatcm amit- tcrc,nam mulicrum aliquibus non cirra noram fpontc conuiiiij publici loci:madirc,ibiqi:c audcrc uiro adlucrcic, eumquc conrrc Aarc vngcrc proculdubio rurpc,& indignum caftita- tc CHR1ST1 poruiffet vidcri, nill mo5 propc omniumorien- talium caminuitaffcr, Certc Maldonarus inrclliycrc nonpo- tuir, quomodo dicatur rtctilVc mulicr cicda, qua(i non cntnc lciti-fupcrquos difcumbebanr ira alri,urip:i hcucrirfic ftarc, SC pcdcs cius lachrymis lauarc, inrc rprcrans ftarc pro con/iftc- re, Scd lunufmodiofcitantiam conimilirob vcri triclinij igno- rantiam,quod pcdcsaltos habuilVcnon cft dubiranduin,ut faci^ Jccxiplapidurac!uccr>&:Virgilius dc Acnca loqucns accum- bcntcdixir iniciofccundi libru jrJe toro f^^^^ ^cntas fn orfts jtlto. Arqui Tolcdus Cardinalis ob longam, quam Romae tra- xir,moram, uidcndi, audicndi rcium vctultarum pcrirosubc- reaioccafioncmhabuit, forfanque noftram fcnrcnriam, &:pi. duram compcrtam habuit, quod cam iampridcm cum do- (ftiiriinis lcfuiris, quorum conluctudinc dclcdor magnopcrc „ communicalVcm, priufquam publicarem.undc facile confcn- C rirtoros triclinioruin ira alros cxtiriflc, utmulicr nullolaborc pofscr ftans rctro pcdcs cpulantis conrrcCtarc, lachrymifquc abiucrc : &:ccrrc liccr uir doctiflimus noncxplicatc docucrit difcumbcndi modum artamcn ex cius vcrbis vcrirarcm libi raaximc omnium inno,ruifsc parct. Jraquc hoc iam conftiru- tum fir tricliniuni dictumcfsc, quod rrcslccti ftcrncrcnrur, in quibus ira iaccrcnt, ut vcrlus menfam cubitis finiftris inni- xi dextcra manu urcrcntur,pcdcfquc in cxtcricrcm partcm pro- tcndcrcnr, ubi miniftri cranr, &:ubi ftctit crcchi MAKlA, qucadmodum difcrtc faris, &:copiofc alil)! cx uarijsfciiprori- bus declarauimus, &: ficur cx imaginc antcpoiita clari/Time cluccr . Supra quid ucro ftcrncrcnrur lccli, non cftirapro- ditum, arramcn licct conijccrc facpius fupra tabulata alriu- fcula clsc c.xrcnios, quac nonnumquam criam apud Hc^ J& 3 bracos cx argento, aurouc conflata fiiifsc colligitur ex pri-D mo capitc Hcfter in illius magnifici conuiuij dcfcriptione, quod paritcr a Romanis hivftum teftatur prae caetcris Pli- nius lILro xxxi i r. capi.vndccimo, fuifsc ucro fa£l:a Icftifter- nia primum lignca conijcere licct ab co quodnarrat cxSe- nccaAgcliuslibro duodccimo, capi.fccundo, nempcSotcri- chum lignarium fabrum cxritifsc, qui Icdos tricliniarcs li- gncos faciebat, cb idquc data cftoccafio Adagij, vt cum iicllcnt rcm cxigui prccij, ncc multi artifici; frgnificare So- terichi lcdis aflimilarcnt . Nunc ucro fccundumpropofitun^ aggrcdior,fcilicct an apud Hcbraeos, quotcniporc CHRISTVS aflTuit cocnae Pharifaci, mos fucrit djfcumbendiirr triclinijs, quemadmodum Romac, qua de re cum conful- ucrim Vitalcm Mcdicaeum Florentiae, artemmcdicam fan- E (ftac,ac feliciter cxcrccntcm,rcrumque Hcbraicarum longc pc- ritillimum, ismihiadco dofte,&: diferte rcfpondit, iit in hci- iufmodi graui difceptatione uix quicquam doftius,&:eli- niatiusdcfidcrari queat : quia tamcn ab fcntcntianoftra noa nihil difccififse vifus cft, pro mca confirmanda ncccfsc pu- toaliquid in mediumaffcrrc . Etenim dubitare minime opor- tct, quinapud ucniftilTimos Hebraeos uarius conuiuiaagen- di mosfuerit, fiquidcm libro Gcncf in cclebri illo conui- uio, quod lofcphus Fratribus, alijfque Magnifice, dcdit, omncs fcdifsc mcmorantur, fimilisquoquc morislibroludith, libroprimo, Rcgum, atque ahbi facpius mcniio clariffima habetur:atquifiThobiac,qui uixit ante captiuitatcm Babylo- ^ niae Iibcr Icgatur, ibi accubirus non obfcuram mentioncm fieri cognofcctur, quamquam fortafsc diccrc licerct tunc illun^ apud AlTyrios vixifsc, apudquosinufueratcocnantesaccuni- bcre. lam vcro dc Troianis,atque Tyrijs fimihtcr exiftima- r€ dcbcmus, cum apud ^'rrgilrum primo, &: fccundo Iibn> difcumbendi confucrudinis commcmoratio fiat, ficuti libro' fcptimo,non dubiamcmoria rcperiturfcdendi ad mcnfas vfus fubillis ucrbis Jlae SacYis SedcsepuUs: hic arteteiaefa Terpetuisfolwpams coufidere maifis. Vbiquamquam inaliquibus eontcxtibus kgatur Ioco(confi. dpe}accumberc, attamcn Seruius cumlocumintcrpraetans dixit  71 A Jixlt Malorft epulari confueuifsc fcdenfcs, .trqrc ilftim habuif- fcmorcma Laconibus, &Crcrcnfibus, utVarro docuit infi- bris dc gcntc Pop. Rom.in quibus dixitquid a quaqncrra- xcritgcutcpcr imitationcm. Hacc aurcui fcdcndiad menfav conluctudoRomanisccrtcillisuctuftillimisdiu. &:in aliquibus oi:c.ilionibus ufurpata fuit, ficur ctiam monun;cntis rclatwni jnucnitur Alcxandrum Magnum aliquando fcxccntos ut aic Athcnacus, vcl fcxmillc ut cllapud Kulbrhiumduccsconui- uiocxccpif5C,cofquc omncs fcdilibus argcntcis fcdcrcfccif- fc. Atqui poftcrioribustcmporibv.s t.iui florcnris Rcipub.qunm IMPERATOR VNI noncddubium nobiliorcs ialrcmac- cumbcrcconfucuifsc, idqucpractcrinnumcroslarinac linguac auctorc^ marmora quoquc tclhntur, ur locuplctiflimc alias B dcmonflraui, arqixalij quoqucdocucrunt. (iraccos parircr conftatcundcm accumbcndi morcm cf^c fcdatos, &:quod tur- pius cll, narrat Athcnacus raatulas pro cxcipicndo a ucfica rxcuntc uino gcil.vrc confucuifsc in triclinia,quas facpc ubi ui- no incalucraut ad capita frangcbanr, inrrodudo hoc morc a Sybariticis populis fordibus omnigcnis olim dcdiriirimis .Vcrumdc Hcbracis dubirarur an fimilitcr illi ad Romanorum imirarioncm accumbcrcpotius, quam k\\irc loliri fucrinr, ut Jiacrarioncliccat cxiftim.u^c CHRISTVM iri fuifsc loca. tum, ac proptcrcaMagdalcnam potuifsc (l.intcm rcrro pcdcs illius lauarc, cxiccarc, ungcrc. lam ncro complura funr» quac cxfcriptoribus confrat cos a Romanisfuif c muruaros,& lofcphusinlibroantiquir. narrat Hcbracos fcmpcr cfsc fccu- C tosrirus Romanorum poftquam fub connn djtioncm dcucnc- xunr, modo non con-rariarcnrurparrijs lcgibus ur diccbam antca, manifcftum cflcx lacris Iibris anrc captiuiratcm Baby- loniaccam gcntcminconuiuijs tam publicisquam priuatisfcm- pcrfcdilsc. Vcrupoftquani in Habyloniam duCti fucruntcaptiui vu^oquc modocdcrcconfucucrunr, fcncs fcilicctfcdc; ucs,iuuc- nes ucroaccumbcnrcs, utmos crat Habyloniac, vcluri Habbini tradidcrunt,apud quosctiam lcgirur accubitumfcrif litum, ucl (Iragulislupra rcrram cxrciis,vcl tapctibusprcciofis«:s: pului naribus, ita utcubitis innixi lirnunn corpus uniucrfum f( rua- rcntifacta autcmfuit dcindclcx, vt tcmporc Pafchatisin durac fub Pharaoncfcruitutis, Iibcrntionisq. commcmorationcquif- quc accunibcndo cpularcrur ^cr.crcns ucrodicbus liccrct uni- cuiqucproutlibcrctlcdcndojvclaccumbcndo cocnarc: cx ouo 1: 4 pacct 72 2"patct apudludaeos parircr accubitum gloriofum qxiandoque fuifschabitum. Porr6modus,qi!0 Hicrofolymis infecundado- mofcilicctpoftlibcrationcm ab Acgypto,atqucpotiflrimumte- porc Chrifti conuiuia ficrent, non ita compcrtus eftjillud uero conftat, in vrbc fempcr quinque hnguarum extitifle ufum He- breae,chaldeac,Syiiacae, Graccae, et Latinae.quarum Syria- cainfrequcntiorivfucrac. Hcbracavcro nonnifi adoiais,&:in difcipIiniscomparandi.vvfurpaEa,{icutiolimRomae Graeca,& nunc paflim Latina.Fuit autem in ludacam Syriaca lingua intro dudta,quandodecemtribubusa SalmazaroAflyriorumregc ca ptisinearumlocummiflaefuntinSammariam,partesqueci cir cumuicinasAfl"yriorumcoIoniae,utlcgiturxvij.cap.quarti libri Rcg.qui ob id ab Hebraeis dcinde fcmper funt Samaritani uo- cati,atque idco aucrfati,quod Idolatrae eflent, mofaicosquc ri- 1 tus minimcut par crat,obfcruarcnt, ctiam fi a Saccrdoteilluc in idmi/rQinftrudlifuifscnt. Huncergoin modumSyriacalingua apud Hchraeos tnduda.propagata, et conleruata cft, qucmad- modum ChaldacamSyriacae valdc fimilcmipfimctludaeiex BabyIonia, ubi i!la vfurpabafur,fponte tranftulerunt. Pofthoc vcro Graccisrcrum potitis, Rabbini dodiorcs ipforum lineuam ita apprchcnderunt.eiufquc copia,&fuauitate funt deicdtati, ut Hcbraicacipflimacquarcnr. Vndcpariterfucccfljt,utplerique eruditiorcsnonfolumGracccIoqucrentur,fedetiam fatiselc-gantcrfcribcrcnt, qualcsfucrunt PaulIus,lofcphus,Philo,afque alijplurimi. KomanipoftrcmocumIudaeariifubiugalk'nf,ne- ecffefuit,illc pnpulus ipforum linguam latinam addifccrct, ea- que pro ncgocijs agendis utcrcturiquac ctiam fuit ratio,quamo brcmtituluscrucisChnftiHcbraiccGracccatqucLatincfcri- ptusfucruilludtamcn dchikelinguis, &:potiflimumdeSyria- ca ucic conftat ipfani fuifsc omniuniHierofoIymisufurpatiiri- mam, atque muhis Graccoruui uocibus pcimixram,fiue id fue- ritob graccae dclcdhuioncm, qua ludaei afficiebantur, fiue aliadccaufsa:folcntcnimquipercgrinisIinguisgaudcnr,ficpc illarum uocabula proprijs commifccrc. Ergo hifce conftitu- tis,cumludaei linguam Romanorum Graecorum, &: Afsyrio- rum,apudquosin ufu crataccubitus,utcrcntur, vcrifimilceft quoquecofdcmaccumbendimorcmab ijs acccpifse.quodfor- fan .1 pcruicacibus ncgari potuifset,nifi compuircs Euangclij lo ci,ubi c.iicubitr,s,&:uccubitusfir mcntio,aucrre teftarcntur Vtruip autcm accumbcndi modus Hicroluiymiscfsct, qualis apud Romdnos in triclinio fcilicet Ic6tistribusa(rioribnscirca nv ' ■^ flratis ucl ligneis ncl arijcnrcis,aut:iurcis qu.ilcsha- bii . -lUosnarranrPhnius, Arhcnacus,&:alij,hauJ itacla- rum clh Scd ut omittam ludaeos ucrcrcs, apud quos forfan uox triclinij vfitara in facris libriscubiculumdumta\\it,in quococ- nabarur,fignihcarc potcft,dcquo Vitruuiuslib.Archircv^turac quarrotra>:tauir,ccrrc cum in Huangclio nomincrur Archirri- clinus,ncgari ncquit ludacosimiratosefsc Romanos,& Grae- cos,in quorum conuiiiijs crant lstoc^)(ecl, idclt,conuiuij princi pcs. Cacrcrum dodtifllmi uiri,qui accubirumquidcm incon- uiuijsPharifacorum conccfscrunt, fcd morc Hebracorum ftra- tis fupra rerram lclimplicitcraccubirum,nonauremmodum lignihcer,&quod Pharilaci iuxtapracccptum leuitici can. xviij. coua ctur lu cl!sfcfciritibusquibusuispcrcgrinoiuma!icnarc,maxime Ro- nunorunviuosquoridic inrucbanrur idolisfcruirc vfquc adca aiegedamnaris, Quantum ucroad Magdalcnaca lonce difscnrire, (im ilquc oftcndcrc figuranfi tr*c!inij,.\: accubirus isdefcripram, atquerunc rcmporis pallima Romanisufi- taram. v^^isciiimignorat cam fcmper uiguilscconfucrudincm, «t popuii principum morcs,quanrum ficri porcft, imitenrur?ma- ximc uiri n(jbilcs6J in cxilliiuarionc habin, qualcs cranr Pliari- faei ;quos finon ob ahud falrcm uf Hcrodi &:Pilaro runcpro Imperarore Tibcriogubcrnantibus,fimuIquc Romanorummo- rcs, ut ait Iofcphusinrroduccrcfaragentibus,rcmgratam facc- rcnt,ucrofimiIc cftconatosinaccubiru^qui nillcgi rcpugnabar, ficur &:in mulris ilijs forfan minoris momcnri Homanosimita- ri,quod Chrifti tcmporc omncs Oricnris narionesfaciebant. Quqdporro ilcbraci inalijs plcrisquc Romanorum fcqucrcn- tur rirus^abfquc multJ laborc indicabo; tumidcju >J imagi- nanturdcMahahaud qaaquam conliJtcrcpofscmonftrabo . Itaque noneftnegandum poft redadum aPompeiom Roma*D norum potcftatem ludacam, &: poft ArcheJaum iu/Tu Augufti in cxilium expulfum eam nationempcr procuratoresfuifseguber natan^5 qua occafionc Hicrofolymis^atque in orani ludaea innu^ mcrimilitcs, ciucs, atque cquitcs Romani omni tcmporc h^xhi" tabant,quosacquum cftcxiftimarcfccundum Vrbjsritusuixif^ fc atqiicipfis Iudaeis,ut contingcre ubiquc foIct,eoscommuni- cafse,ncque id Hcbraeos potuifsc afpcrnari, nc muJto magisodiumprincipisfibi adfcifccrcnr. Er fi rcdc expendantur quae dc Ronunorummoribiisin couiuijsfcriprcrunc Varro, Ciccro, Scrxca, PIinius,PIutarchus,Su^tonius,Galenus, Arhcnaquod /iaiiJitcr fc- cifsc Chrillum in cocna difcipulorum mcmoriac mandatum eft. quodctiam dixi in primo de.gymnaftica Romanos/crcfcm pcrIauari,rQCcofqucrcponcrcfolitosprius quam menfaeaccuia bcrent,idcmfa(ftitafsc Saluatcircm ncmoinficias irc ualct. lam dc ungendi ufu polt balncum,  pfitpracrcrClcmentcm Alcxandrmum Athcnacus quin^tode- cirao lib. Dipnofophift. apud qu.emproprium,& odoratum un- gucntum finuulis corpori partibus dicatum Icgitur, utob id Mariaquoquc Roman(),&: Gracco moi*curcns,uolucrir,6v: caput &: pedesChrifti, tamuiucntisquammortui ungcix, qui quafi incrcpans Pharifacum quod fimilircr non fccjlsct, ccrtum indi- ciumacfulicfibi placuifsc Romanorum, &: Graccorum ungcndi confuctudincmuWcruari . Et quod di\itChi'iftus dc illo,qui acccdcnsad conuiuium nuptialc, laccrn.a adhuc indutus uc- ftcm nup>i.rk'nvnon induifscr, dubio procui cx.ri^bus Romanis torum fuit capium, Dc loc,i nobiliuirc rum m pontificali, tum iu ciuili,rumin confulari conuiuioluib^banjL Romani,ut lurrat jf^iutarchusin Sympofiacis,atq. Macro.bius.,non cxiguum difcri- mcn, m inrcrdum mcdiusmcdij Icv^lj, intcrdum imus ciufdcm, arq. primiaobilio.rcsrcpurarcnrur, cuius rci lUuftrccxcmplum eftid^quoddixjtChriftusaducrfusiIlos, qui primos accubitus ambic-  2^ 7&: ccruicalibus fuperterramconrtratis,nonautcm alrc pofiris. C^i ucroSy- riacc EuangcUum fcriplit, ucl rranfumpllt,cum torLxn nomcn li- bi haud fuppctcrct proprium, quo explicarc pofsct ucrum Ro- manorum triclinium/naluir ouod habebar uli:rparc,quam rcm pcnrtusindeclaratam rclinqr.crc . At mhil hcc dl, prac ipfi Magdalenae ingrcdicntir ilanti rctro iecu^ pedcs cius, quac omniauti accommodari nullopacto queunt fifupra tcrram fi ut immcdiatepofiti Iccti, fic trichnit) nofiro iudicandumunicui- quc pcrmitto,quamaptc congruant . Ncquc enim crcdibilc cfl,fifefc mulicrgcnibusin tcrraminclinaflct fuifle idEuangc- liftam taciturum poftqiiam mmimc filcndum putaLit,quod Ita- rct rcrro,&:fccus pcdcsjacl rymifquc cos rigarcrrnamqui tan- ta diligen[iarctulit,quaccumque ibiconrigcrunr,non dcbcbat ctiam genuflcxioncm omirrcrc,&: mulromiiuis pofi(|uam iam di- xcrat jpfam ftcrifsc. Quarc iamlarismonllratumarbitrorChri- ftoaccumbcnrccumitaaItefuifvclocaruin,ut M A R l A, quac necparuacftaturac crat,potucr?t (lans creftarigarc ipfiiispc- des lac.irymis,nec non manibus cos contrcihirc, 6c c apillis lic- carc, d^ r jmquc ungcicQuod toruRiluculcnri/rnnc cxpnmi in aucc|> ^^..A uiviiiiij .iQiui fisura^ueiniacaincgarurumconfido, Cum 7ii L 1 i> r R . Ciin; huaifo/ontioncpcruenifrei:j,iarno.ea j^^^c^^m fnfflic- 0 ne accelcrarer, oWata eft occafio AJphou Salaieroiii^ oUl^ iclui ta? dottiilimi prolcgomcna in Sacroflmdam Euangeiicaln hifto- riamfingulari eriiditionc refcrtalcgere:atq,interlcgcndum cu mihi Canon quadrjgcflimus fcxtus prolegomeni undecfmi oc- currinct,ubidircrtilIiniedeuniucrfiiaccubitusrationc, dequo Magdalcne in lauadis atq. ungcndis Chrifri pcdib. GtUynec nou dcloannisin ciufdcm Chrifti hnum recubitu difpuiar,incrcdibi lcm quandam lactiiiam fimiil,& admirationc mihi pcperit, cte- nim lactatusfum,quod mcas cogirarioncs,qiKis fcmper nouas5&: forfananeminc alio propofiras cxifrimaui,auirofapientiilimo &:raradodrinapraedito iraclare confirmaras,quafiquc incon- cuflasrcddita.sinucncrimjAdmirarioncm vero cacpi non exigua quomodo ricri porucrit, ut in rc ufq. adco obfcura ncc uetufta il E muJ nos conuenire, ac in nulla re difcrepare licuerit; Et li enim quotemporc gymnaftica mca in lucem exiuit^is adhuc uiuerer, quippequemfaepius concionantem RomaeaufcuItauerim,ubi cos libros dum Cardinalis Faraefij medicum agcbam, &c com- pofui,& in Juccm ccjidi, attamcn vtrum eos uidcrit haud quam* quc afiirmare audco, Ncquc uero credibile eft me ab eius fcri- ptis, quac diflcrui dc accubitu accepifse,cum ea ha£ienus latue- rint,ncq.ipfumeadem dcreita dihgcnrerfcripfifse,nefomniarc quidcm ualucrim. Vndcqua^foler efleuerirarisingensuis,puro eodcm fpiriru ambos nos ad ca fcribenda fuiflc impuJfos, &c pro- pterea quicquid ea d^ rc di Antc folcm cxoricnrcm nifi in palacllram ucncras: (jymna-,> fijpracfcclo haud mcdiocrcs pocnas pcndcrcs. Lx quo loco » gymnafiarchum colligitur in adolcfccnrcs^licjuid pcccafscnt, animaducrtcrc magno Impcrio confucuific : ut ctiamclarius,> in amatorio Phitarchus docuif. dc hoc &: Ciccroinfcxta Ver- „ riuarum : Dcmolicndiim curaiiir DcuKrriii^ ..iliarchus, cj.iod LLC. zionale Cenlrale di F» quodislocoilli pracciat. Secundum locum habebaf xyftar- D cha. hic ambobus xyftis, ftadio, $c dcnique cundis athlctarum cxcrcitationibuspraccrat, ut kriptum rchquitTcrtullianus m hbro ad martyres.&ut cx infcripcionc conijcitur, quae Komac in foroTraiani in hafiftatuae Graecis littcris notata,a,not)isiic lauac r.edditacft.  DEMF. TRIVM. HE R MAPOLITAM. ALEXAN I) R1NV M. PANCKATIA STEM. P E R I O- DL VICTOKEM. P ALAEST R I F AM . ADMIRABILEM. ALIPTAM. PONTlFICEM. TO- TiVS XYSTI. PERPETVVM. .\YSTARCHAM. BALNEIS. AVGVSTl. PKA-EFECTVM. PA- .£ T R F M M.^AVREL,. ASCLEPIADES. QVL ET. HER" MODORVS. ALEXANDRINVS. HERMOPOLITA. MAGNI. SERAPIDIS. AEDITVVS- PANCRA riASTES. PERIODJ. VICTOR. ALJPTA. (VS^EM. NEMO. DETRVDERE. PO- TERAJ. INCVLPATVS. XYSTARCHA. FI- LIVS. PONTIFEX. tOTIVS. XYSTL PER PE- TVVS. XYSTARCHA. ET. BALNEIS.. AyGV- STJ. .praefectvs. Alvhoc, fcnfcnria uiea,diucrrus fuit Pracfcaus luftaca Galeno lWT«7r«A«w«Tfl5UOcatiis,qui pcrinde,ac Pacdotrib a qui- damliid.intuimdimitaxat magilkr erat, cum xyftarchiisplu- rium cxcrcitationum raodcrat()r,viPacdi'tribam nominauir,6:in Protagora irafcriptum r cl i q u r : t Ti Tolfw tt^c: to Ctoi^ Trct^o^o r^tHccs TTkykTtwcto hcctcc cwijlx - mRi^ri^t ''cXP^T^i fjTTn^iTMJi TH ardos,accx r^narisho^ minibuss clcdosfuif^c rcmporc/iio,iMdit.Prorogymnaliosuide- tur Scncca cp1il.83.cos uocafscquiiimul cxcrccmur uocabulo (quod cquidcm fciam)nulli alrcri vlurpato, quamquam Mure- W.v pr^:'vnmallas kgciidum malucrit in/u sad cumlocumno- tis. .AuVwouoquc ab Ariftotclc 2.Ethic.cap.6.a Paulo Ac-li.3.i5,aItcr medicr dumraxarmandara cxfcquirur,parircrPaedoiribaexm-iiit:onfi cmniu faculr.Kcm ignorabar, ^ymnaftacque pracccpra foium fa cicbat,vrpotc qui vfum,&:difocnrias,&:modum cxcrciratio- num cxpcricntia quadam callcrcr,fcd ob ignoranriamfacpcnu-. mcroabcrrarct, vtinnucre voluit Galenus in libcllodc pucra Ep!!cptico,ubi dixit,difiiciIcfuifseprudcntcmpacdotiibam in- iicniic.Manc ^ymnaftac, &:pacdotnbae dilicrcciam Arifrotclcs quoquc philofophus cognouifsc vf,dum S.PoIiticorum conclu- dir, Adokfccn-.es gymnafiicac atqucpaedotribicac tradendos forcrquarum altcraqualcm qucndamf icircorporis habirnm, al.;-: tcraopcrationcsjcSdquartoPolitx.locoanrcacirarordicir: rrot^ roC tsc^iJ^ot^ i&jv kccI rov yviAVxsiKOv woc^acrKW icwlcti, kcc\ rayrm Isirwcf^vixiay. (iymnalrcs itaquc erar pfcctiis excrcirarionu,pae- dotribauerominificr.&: panific:,coquo, acacdificaroripropor- tionercfpondcns/accrepanes,obfonia,acdcsfcicntibus quidc, minimc ramen,quid inipfis optimum fit,quid no optimum,inrcl Jigcnribus,quamucfaculrarcmipforum unumouodquc ad ftuii tatcm babcrcr,non dignofccnribu^. Hacc duo nomina apud Ho ji ci unon exfiftcre narrat Galenus:quod,vranrca declarauimus, UA\i\v.:\ dumraxararris gymnafticac tunc rcmporisapparcbant, jxquc arsad rcgulas ac formam rcdasfta,&:prui nde nco, arrifcx, ^,aiirafccrtranc.Adcrat6^ SphacnTricus,cGru,quip;la hidcbr.t, ». qtianim alias rwdens dxuerfis gcneribus jmifari ut vel harmo- D nia,uel ry thmo, uel nudofermone ; alias diuerfas res, vt vel mclio- resjvel fimiles,ucl detcrioresialias diuerfb modo,vt vcl agcntes, vel introducentes, vel narrantes,atque aut alienam pcrfonam indutos, autnon mutaros;de faltationehaec concludit: ccCrc^J^lrc^svStKa ^^oOvTTcti Xoogis i^ixouicicsyoi rSu Sgyhswp, Kcci 'y^ ovroi rm ct^yLxri^o^ (cit pv^iAmi4i^evt/r(ci:^Kcei TrccSH^KcciHkKcci TTgccfu^. i. Numcro ucro iplofinc harmonia,imitantur faltatores:ifti cnim numerofa gefticulatio- nis uarietatc, morcs, palTioneSx& aitioncs imitanuir. Ex qua ora- tione apparct, og^^Hctiu^, Huefaltarioncm^ nihil aliud fuifse,quam fa- cultatemquandam motibus„ac gcftibus corporis^artificio quo- dam,numero, &c ratione fadis imitandi hominum mores,affea:us^ &:aciioncs. qui cnim in /.ciuilium dixcrat,nihil cfsc in rerum na- tL]ra,quodmagisexprimat rerum.fnTulitudincs^quam numcrum, E &:cantum,.fapi€ntereriamfcrip/it, filtatoresin imitandisadioni- busnumcro uri . Quomodohacc per numcrofos morus efficere- tur imitario,unus omnium clariffimc poft Ariftotclem expreflir PIu Prob^i. tarchus, qui in ix^Conuiuialium faltationem rrespartcs habuifse fcriplir, iatioucm y figui-am, &:indicationem ; eo quia tora ipfa cx motibus,&: habitudinibus >&: quieribus conftarct, perinde ac harmonia ex tonis,atq. inrerualIis:Iationem dicir ipfc uil aliud fuif fe,quam motionem affcdtus alicuius, vcl adionis, ucl potenriae re- praefenrariuam : figuram uerofuifie habitudinem, difpofirionem- que, in quam motio fiue lario rcrminabatur, nempe quando falra- tores quiefccnres fecundum Apollinis, uel Panis, uel alicuius Bac- 7>«fcl«& chae( ureftapud Platonem) figuram difpofiri in corporis fimili- bus formis graphice aliquantiilum perfiftebanr, indicationem au- ^ temfuifse non propric imirarionem,fcd alicuius rci, ncmpe rerrac, caeli,vicinorumnumerofe,arqueordinarismoribusfadamdecla'- rarionem.quemadmodum namque poetae, dumimiranrur,alias nomintbusfi(ftis,aIiasrranflarisuruntur;dum ucro indicant,pro- pria nomina ufurpant ifimiliter faltatores imitantes, figuris, &: ha- bitudinibus; dcGlarantcs aurem, resipfaspraedidis indicarioni- busutunrur: adeo ut, fecundum Platoncm, Ariftotelem, arque eriam Plutarchum, tora haec falratoria facultas in imitatione folo motu fada conliftcrct.iphq.faltarores nil aliud aOirarcnt^nifi quod fefe mouentes numero,&: ordine gcfticulanres,aur lationibus, &: fi- gurismores&: aflcsaus imirabantur,aut indicationibus declara- banr, aut omnibus fimul morcs,perrurbationes,atque adiones ho- minum rcpraefentabant.unde non abfque fumma rationc Simoni- dcs r4 toi k DIU dd api m m m k m  P7 A dcspoeta faltarioncmpocnm taccnrcm, ficurl pocfimfaltntionem loaucntcm uocarc folcbatiquamquam rcfcrt Plurarchus,rcmpcfta ^-o^^»"»- rcluaucramfalrationcmamufica, cui aflfociabatur > dcprauatam fuif^ci atqucacacicfti illa dccidcntcm in tumultuofisacindoc^^iis Thcatris inllar tyranni cuiufdam impcrium tenuifsc,idq. poftrao- dumufquc ad rcmpora noftra pcimanafsc, in quibus omnisfalra* tio corrupta cft,omncs cordari uiri cognofcunr. 'i^uihus aurem prj- nnishuiufccmodi falrationcm hominibusdcmonftrauerir, iatis co- pcr:umnon habcrur, nifi quod Thcophraftus apud Athcnaeum rcfcrt, Androna Carancum ribicinem, dum fonarct, morioncs ar- ^•pno'* quc numcros corporc crtccifsc, Sc ob id apud ucrcrcs falrarc uoca- tum hiifsc ficclifsarc ; poft qucm Clcophanrus Thcbanus, &: Acfchylus mulras fataroriac riguras iniicntrunt, quas i^wiciiovt B Sicula uocc appcllatas Epicharmi audorirarc infinuar Arhcnacus. undc hodic apud multas Iraliac narioncs Balli nomc adhuc pcr- durar.Fuitporrohaccfaltario rantacc\iftimarionis,arquc honoris apudantiquioi-cs,ut Apollincm faItatorcmuocarcnt,qucmadmo- dumPmdarus: O sj^Hscc AyXjaxs i>cij dc quibu^ lic luucnalis» Torfttan exfpecirs ut Gjditana canoro Sat. x i. Inciptat prurire chorOy plaufuq, probatae icrram tnmulodcfcendat clunc pucllae, Irritamtntum veneris langtientis, et aird piuitis vrticae &! huiufcemodi aliae . Ab inucntorc autcm modo uocarac fuc- runr aliac Pyrrhichiac a Pyrrhicho quodam Laconcfcu^ur alij ma- Iunr,*a Pyrrho Achillisfilioinucnrac, in quibus arman falrabant cuni canru, &: llnc cantu. ur uidcrc licct c\ i conc ab antiquis lapi- dibu5Cxccpto, qucm hic poncndum curai.imus. H 1 A (Pyrrhichias autcm noftris tcmporibus acmulantur illa pugnarum gcncra,quasMorcfcaspopularfuoc'ai3uloai^pclIant.) Atquchac uarianominaobrinucrunt, utOrfitis, et Epichcdios pcncsCrc- tcnfcs, Carpaca apud Acmancfcs 6c Magncrcs, dc qua Xcnoplion. 6. de cxp. Cyri. libro, apochinosliue madrilmos, quam mulicrcs faltabant,&obidMartypiae uocabanrur quac Ibbihorcs,^: uarictarcmaiorc pracditac crant, ut dartyli,iambici, molnfiica, cmmcJia,chorda\,ricmnis,pcrfica,phryi;ia,nicariimus,thracius,ca- labrifmus. Tclclias aquodam uiro TcIclio,qui primus camarma- tas falrauir,fic uocara, qua utcntcs Ptolcmaci milircs Alcxandrinn Philippi fratrcm fullalcrunt,aliac rornarilcs liuc ucrforiac, quod lc in circum ucrtcntcs falrarcnt . Erorianus,qui Andr.)macho Ncro- nis,quodfcribirGalcnus,archiatrocontcmporancuse.\lhtir,has B faltationc5 /ir#t/c uocatas fcnbit.ahac infanac, ut caudifcr, mongas, Thcrmaultris,nccnonanthcma,quamfaltanrcsobibanr,ita diccn- tes, vbi mihi rofic, ubi mihi lilia, ubi mihi apia : ahac ridiculac, uc igdis,madrifmus, apochinos,&:fobas,morphafmus,C .laux,6dlco: ahacfccnicacqualcs tragica,comic.v,&:lat\ ncaraliac lyricacqua- kspyrrhichia, gymnopacdica hyporchacmarica. quac omncs quomodo ficrcut, non cft praefcntis tradarionis dcclai arc ; fatis iit inrelligcrchanc rcrriamlalrarioncm rotatqucplurc^adl.uc diucr (as fpccics, quibus libcllum proprium dicauit Lucianus, habuiflc ficut ctiam diucrlis motibus tam pcdum, quam manuum utcbatur. cumcniiujnotusomniscxfcnrenria Ariftotdis cximpullu, arquc 7..Phyr. traducoponafur,falrantcsaurimpcllcbantcorpus,auttrahcbant;, &: hoc furium, ucl dcorfuin, ucl prorliim, \cl rerroifum, ucl dcxr C trorfum, ucl fmillrorlum : a quibus poftca motibus componcbatur limplcxambulatio,flcxus,procurfus,raltus,diuaricatio,claudicatio, ingcniculatio,clatio,iactatiopcdum,pcTmuratio:quil)Hsto:a fal- tariopcrficicbarur. De finc faltationis^ ^ deloco. Cap. yil- V M antiqui inccrraminibus,atq.ucnationibus,pcduni cxcrcirationibusfcrc lcmpcr Itudcrcnt, manibusq.mo- ucndisnullamcuram adhibcrcnr,ucnlj-uilc hr, ut prius faltatoriapancs intcriorcs dumiaxar cxcrccns inucuta iit^dcinccpsj^iifot^c^ft/icquacordinarasmanuum motioucs cdoccbar, ci adiunctaiic, ut una cuin ccrcris pracdiCtis motionil^us mannum conncxioncm, confcrtioncm, coinpcdnnationcm, diilcntio— H ncin ico ncm, complexum, altrmationem falrarores pcragerent : arqucita D vniuerfa faltatio ex motibus tam manuum,quam pedum ad rcprae fentandasresformatisconflata fir. quod autem faitantcspraecipue brachia moucrent, figni£cauit et Ouidius ubi dixit: » . et i de Sivoxefl, canta, fi mollia brachia, falta.arte auia. Brachia faltantis, vocem mirare canentts. HuiusfinisprimariuslicetCvtdixiraus)imitatio foret, nihilomi- nus alios eriam fincs eam habuiffe compcrio ; nam ad rhcatra, &: ad ludosvoluptatisgratia,necnonob rcligionemquandamadfacrifi loc.cit«.s cia in ufu fui nfe practcr Platonem atque Plutarchum teftatur Gale- nus, qui in principio curatiuac artis uchcmenter contra ful tcmpo- ris homincs inuchitur,, quod faltatoriae nimis opcram darcnt, qua- fifolisuoIuptatibus,&ludisdeditibonasartesnegligerent. Qupd p paritcradquacrendamcorporisfonitudincmmilitaremqucpcri- tiameadem filtatione maiores noftri uterentur, tametli fupra ex Platone comprobatum fuerit, tamen addendum eftillud, quod omnisannata faltatiopyrrhichiauocitatano ob aliud inucta fuit, niliquouirtuteilIius;tampucri,quam uiri,&:mulicrcs modo ho- Hcs cffugerc, modoinuadcrc.aliosq. gcftus bellis gercndis necefla- rios pcrdifcerent. unde apud Xenophontcm Paphlagoncs Mimam filtatriculam a Myfo pyrrhicham filtare iulfam confpicati,admira tes graecos interrogarunt, numquid mulicribus ctiam in pugna uterentur.inhocquidemfaltationis gencrecum Phrynicus fe ex- cellenter in fabula gcthifct, illumfibilmperatorem Adienienfcs delegcrunt. Nequcctiamdifficilccftindicarchanc candcmfalta- tionem, et bono habitui comparando, et fanitati conferuandac no p parum conduxiffc. quandoquidem de nianuum gefticulationc, dc- ^^^'''''^•'Ptumicpcritur&ab Hippocra cur.aon^ ^ ab Arctaco, atqueaIijs,procxcrcendis&:lanis,&: inrerdum «ap 1. aegris corporibus ufurpatam cffc . Temporibus uero nofttisfalta- tiones alias temporc, ordine,&: ccrto modo fadias talcm utilitatcmpraeftarc ncmonegaret, qucmadmodum Galenusfe plurimosfa- nitatircftituiilcaliofqueincafoliusfiltationisauxilio confcruaf- feconfitetur: quifimiliter et faltatorum excrcitationes intcr ce- teraa medico petita recenfuit. dum dixit: isx^^&v ctUnCrovciKtvk- ciis ivttiSK^^ivrxt itlytsx, KCti tSi^tJ^mvvTxt s^icponwvoi ri^isa, Kcet ok^«- »> CflecTij IfxvisxvTtu, Kxi nygoofvgtvat, Kxi i/g.c)(i{ov(fiv \m Trrltsov rKCKt- i>A«. idcft faltatorum uehementcs motus, m quibus maxime fal- >>tant,&vclociflriiTicuoIutati circumcirca uertuntur,necnon ge- nua fleaentes furlum exfurgunt, atcpc crura plurimum atrra* hunt £ . loi A hiint>diuAncantquc. ut dubirarc ncmo dcbcat, quln Orclicfticam ingymnalY^ca mcdicinac iurc collocaucrimus; praccipuc quod Socrarcs in conuiuio Xcnophontis fc falratoriam tum ad ualctudi- >confcruandamquc,tauTad corporisr)hurcompa randum cxcrcuifsc palam profitctur, cuius quoquc gratia cum fibi amplam domumoptallc tcrunt.Qui uero hanc orchcllicam cxcrcc rcnt,uariosfuiIsc rcpcrio. Cinacdosmaximc omniimilaltandi ar- ti opcramnauafsch^nihciuitPlaifrus : apud qucm Pcriplcdomc- nus fcncx lic ait. Tum ad faltandum : non Cinacdus vfquam magis faltat,quamcgo.quamquam Nonius Marccllus Luciiij tcftimo- nio,atq. ctiamPlaut:,valt, cinacdos didvisa uc crib. faltatorcsip- Ios,atqucpanromimos, 6c totisuiribuscontcndcbant, utnonrarolic ludantibus ofsa aWqua frangcrcntur, ^Sc luxarcntur, quac illis palaclbico quo- B dam paclo ab alijs diucrfo fc rcmirrcrc cofucuilsc rcllarur Galcnus . Hoctamcnanimaducrrcnducfsc duco, C^alcnunon modoluchim arhlctica,qua rclpub.bcnc inlliruras odifsc fcribir, improbafscuc- iu&:lanirariftudcri: inrcrduparcc laudafscur porc qua roburqui- dem auecrur, at luxarioni s, ac fractionis ofliu, nccnon lufTocarionis pcriculumimmincat. fmiilircr&:Clcmcns Alexandrinusqui tcm- pore Galcni Romac floruit,in iij. Pacdag. lib. ubi cxcrcitarionum traclationcm habct, lu uo- lutatoriu nuncupabatur, fpcciesq. lucbc erat, na in luda ccrtantcs fefc dcijccrc ftudcbant,rccUq. mancbanr; in pancrario aurcm noUi rarorio humi proltcrncbatur;atq. ibi inuiccm c6plicati,fcq. mutuo conuolucntcs, altcr altcru libi fupponcrc nitcbatur rqucmadmodu clariflTimc moftrant dcpicli hic nummi cuiufdam Salulbj Audoris,, quifubValcntiniani,&: Placidiac Augultac principatu Africac rc- gno ui occupato ludos fimilcs, atq. alios ob uiaoriam cdidir. tor A Dc hac cxercirarionc uerifimile mihi fit, AriRorelcm vcrha rccifie, lib. S M ubiiiulhim crcftum,& ftantcm continentcr,&: tuto uiccdcrc po^c '^demonftrar,quia pcrindc fe moucrcr,ut palacrtrirac, qui pcr puliic rcmin gcnua fubfidcntcs procurrunt.Dc hoc itcm ahcui probabi- Ic uidcrctur,Iocutumcnc Martialcm,ubi dixir. 7>{on diho qui vtncit, / q'a fnci nmherr fiouit Et didt mclius thv ivccKKivoTrd^wj. nihpotius cxponcndu cllct «WAiFOTraAw, rcficxioncsquapalacftrlta rcduii^opcdorc aducrfariurctrahcbat,ac i(!iuilhus dcuitabat,aut potius ( vt crat Pocta fcmpcr obfcoenitaru amator) ca lcdi luclain- tcrprctcmur,(4. K?u^07ri?jiv Domitianum vocaflc tradit Suctonius.&: quaafpurcilVimistam uuisq. foeminis cxcrccri confuclTc narrant e^.colle.'?. Spartianus,Lapri dius &: Capi tolinus . Dc codc itc loqucbatur An- B tyllusapud (^ribafiu,du dupliccluCtactrccit,altcracrcLlam,aItcrri fupcr pauimcnto; pro luda lupcr pauimcnto nil aliud intclligcsni- li PancratiQ uolutatorium,quod tamen ualdc diucrfum crat ab alfc ra uolutationc,ab Hippocratc ihts^J^Hirm nominc lignihcata,qua ho- ^ ^j^^: mincs in palacftra humi prolh ati ucl loli, ucl cum alijs circumuol- ta. ucbantur,&:dc qua Coclius Aurclianws ucrba fccit^ubi uolutatio- ^.Jdiact. ncmin palacftra pro diminucnda carnc laudauit; fiquidcm inca ncc certabant,ncquc comphcabantur,fcd folum cclcritcr fupra pa uimcntumnitidum, aut pulucrc confpcrftimfcfcrorabant. undc Galcnus cam intcr cclcrcs motus non linc ratione poluir. 2. dc tue. De Pugilatu,^ Pamratio, c> CefiiLus. Cap. I X. ^c^Kjr^^f X yilatoriam 'm/yiJUKH¥ a ( iraccis uocatam antc Troiano- m?\ rum tcmporam uiu tuiilcjtcftati funr Hmius,&: antc Vli C «j Kjf^ nium Homcrus,qucm ctiam Plurarchus m i.Symp.ob- Prob.u §P--£^if fcruauit, continuo pugilatuml uCtac,&: curfui iccirco pracponcrc, quoniam hoc cxcrcitarionis gcnus pii us iUis origincm accepit,ficuti quoq.Lucr.hoc ucrfu innucrc uidciur. ^fjnaantiq ta manus, yngues.diTitcsquc fmYUvt. Libj. Quid vcro clTct haec cxcrciratio,quomodoquc pcragcrctur, pauci (quod cgo fciam) diligcntcr cxplicarunt, &: minus cctcris hac rcni intcllcxcruntilli,qui pugnaccftuu,&: pugilatum idcpcnitus cxftitif fc uolucrunt . ex auctorum tamcn (cnptis conicLtura cofcqui pollu- mus in hac cxcrcitationc homincs nudos conccrtarc cofucuillc, pu gnisq. ftrictisuclnudis, ucl acnca,ucl Iapidcafphacraplcnis,undc ^^fCf«t;^t^, uel loris,laminauc circumlcpti fcfc inuiccm pcrcutere, modocaput,mododoihim,modobrachiapetcnres,ncque vnqua fcfe mutuo c oniplicantcsi in qua pugnafupcrabat qui ucl aduerfarium pugnorum idibus in terra profternebar,vcl grauius &: damno- D a. ^ymp. fius fcricbat;quamquam non defunt qui ct calcibus huiufmodi pu- Pf«b. gnamfavfliratamtradant,obidq. apud Senecam cpift.Si. non o-qui hanc rcdiligctiflimc tra(flauit,nullum poc* E ncucrbu de hac exercitatione habi]i.t,/icuti ncc vllus alius fidc di- gnusmcdicus exccpto Arctaeo, qui in ucrtiginofis pugilatu come- uarus. Qupd fipugilatus mcdicae gymnafticac excrcitationis gc- nus cxftitifset,aequii ccrte crat,non adeo ab oibus filcntio practcri- ri.Altera ratio eft,quod,fi natura pugilarus exa*5te fpeftemus ^ cii p- cuflioncs, &: euitationes bellum gcrentib s necefsarias acmulctur, ut diccbatPIutarchus,cdocearq.quin militarem pcritiamagnope re adiuuet,infitiari non pofsumus; at cu iolum brachia,atq. pugnos cxerceatjinterdumq. potius plagis,ac grauibuspcrcufl^onibuscor pusofTcndat^quomodo ualctudinis conferuationi,bonique habitus acquifitioni cofcrrc poflir,no uidco : ut tuto diccndu fir,pugilarum in gymnaftica mcdica exiguu ufum habuifse, in militari ucro mul- ^ tum,in athlctica plurimumrcuius principes,&: au(5lorcs fuifsc Amy- cum,atque Hpcum,prodidcrunt PIaro,&:Galcnusi ncc noninqua adeo Glaucus Caryftius cxcclluit, ut quinta &: vigefima Olympia- decoronatus pi(flae,i. pugilatoris nominc pcr excellentiamme- rucrit uocari . Pugilatorcs iftos pinguedini comparadac opcra de- \a f"|^c.^^S*^P^'d Tcrcntifi.quod agcbat, utgrauiuspcrcutere ua- 3, * lerent,&:plagasip(isillarasminusfcntirent:cftcnimcxpcrientia&: ratione coprobarij, obcfos minus ex carnibusiniurias fentire . Cur autcTcfprio illc Plaurinus,ab Epidicointcrrogatus,quomodohc- ri lis filius ualcrct,rcfpodcat>pugilice atq. athlcticc, no cft admodu j.dealim. dilficilc conic(flura cofcqui.quod eria Galcnus fcripru reliquit, Lu- facc.i. £tatorcs potiiriinu athlctas ueros cfse uocatos,led pauUo antc ipfius 'tcmpora etid-codc noininc appcUacos fuilse pugilesA pacrariaftes, qua dc rc ficri por ut Plauri acrate pugiles ab athletis (liiicrfi cfTcnt, ^'J^u i e- vtriq. tamcn robori, &: corporis crallitiuiludcrct^iSd iccircorcruus illcmcritopugilatum,&:athlcticam fcparaucrit,hcriimquc fuum robuilum, tSc pinguiucntrccflc llgnihcarit. Exluvla (5^pugilatu tertiumquoddam cxcitationis gcnus componcbatur, quod pan- cratium communitcr gynmaflici omncs appcUabanr,in hoc( ut tc- llatur Arillorclcsprimo Rhcroricorum)qui cxcrccbanrur,aducrfa-^^^* rios,&:pugnis rcrirc,&: comprimcre,&:contincrc,&: dcijccic (hidc- bantrnam pugilcs lolis pugnis conrcndcbanr,ncc umquam compli cabanrur>ut commcndanda iit urbanitas Horatij,qui ^.SaryrJi.x. ucnuitcadmodumphrcniticos, quod pugnisminiilros,&:adilarcs fcrirent pugilesvocauit.luclatorcs comphcabantur,&:comprimc- bant,ut dcijccrcnt,fcd pugnis minimc pcrcuriebant, pancratiaflae ^ tumurroqucutcbantur,&:tumcriamquacumquc aliararionc, ut dcnribus,gcnibus,calcibus,rahrris, dcniquc toto corporc ( ur dixit Paufania5)aduerfarium uincere contcndcbanr,arquc in eo a pugi- li^^-i clu, libus dirfcrcbanr. quod iUi pugnis llrivftis, hi digirisfohimmodo in flexisccrrabanr. atquc hoc iiiznihcarc voluir Oalcnusvbi fcrinfit: ^-^J^^^^ %i A iKXso: TJu:-  in pancrario protcndcrinr. tahs ctcnim manuum hgura prchcnfan- '> dis aducrfarij.scui maxime ftudcbant pancratia(bc,ut nomen quo- » que lignihcarc uidctur,ualdc accommodata crar,his dc caufis cxcr citatio hacc Trcmioiyav uocara cflquandoquc,(icuti iMato Eurhydc- mum 5rflrftfat;^0Kdixit,nccnon ambobus ditHcihus ccrramcn habcba C tur,ob quod C lalenus in 6.Hpid.vbi renibus atfcdis cxerci tationeni commcndar Hippocrares, fub tali cxcrcitarionc non dcbcre pan- cratium ob magnirudincm laboiis intclhgi crcdit. qua itcm rario- ne pcrmotum opinor Plaroncm, dum dc lcgibus lua ilhi paru al> ahquibus approbata fcminas excrcendi rationcdudus, mulicrcs folummodo pofl nubilcm acrarcm pancratio cxcrccri confulir. de Pancrarij fpccic quapia loqucbarur mcafcnrcnria Galcnus,quan- doincommcnrarijsfupcrhbcllum defalubri diactadixit,gymna- ftas fere,quos impinguarc uolcbant con(liruil]c,inrcrcxcrccndum TT^ ouis ncfcif,maiorcs noftros intcr alias cxercitationes,utdVputatPIu:archusij. Sympof. v. ad fpcchiculat, ad miIirarcscxcrcitationcs,adianos habirus acquircndos inflirutas curfum quoquc habuifsc? cui locum pcculiarcm in gymnalijs alli- gnatum nullum uiderc licet, quod hacc cxcrcitario m uijs ipforum communibus, dum ab alijs non occuparcntur, ficri pofscr, atquc ctiam quandoquc in loco, ubi alrus puluis llrarus erar, (i crcdimus ^ Luciano,aiZcrciur.ncquccnim pcridromidasad curfum,crfino-InHbioga mcn innuat" fcd ad deambularionis ufum inftiruras fcimus cx fupc- rioribus.Athlctacqui ludorum &: ccrraminum gynmicorum cclc- britatcsrcpracfcnrabanr,ufqi:eadcocurrcndi uimintcrdum acfti- mabant,ut (quod rcfcrt Plinius) licncm (ibi iplis inurcndum cura- li.i i c.57 rcnt,quominus illc currcdi cclcritatc,(icuti folcr,impcdircr. Huiu- fcc curfus ccrramcn, (icur 5c luctac primos Elcos linc ullo uctcris iDCmoriae cxcplo infli ruifsc audor cft I^aufanias : apud quc fimili- y.&^.Eiu ter legitur,Endymionc filijs dc impcrio ralc ccrtamcn in Olympia .E|»ai. fe,quado et Senecaintercxcrcitationes eorporis,quarurationeha- bcndacenfuit^primu locum curfui dedit, etfi non admodum perci- pio,quidcpift.3. indicarcuolucritdumfc Hieram fecifscquod ra- ro euenit curforibus, aiirnam fi (vt eruditilGrausMurctus putat) pro Hiera mcdiaftadij lineam cocipiamus,. quomodo curfores cx raro ficcrc dicat,non fatisafscquor.Huius trcs tantumfpccies cflre-^ cifse AnrylJum rcpcrio, altera in anteriora currcdi, aJtera m pofte- rioras, SECVNDVS 117 B riora,altcrain orbcm.quauisitcapud Galcnu,&: (loIichu,&:diauIu i do!icliusdup!cx unocurfu ftadiui diaulusdu- plcx, ic ipfc ftadium, fcd rcflcxo curfu.ut ficri poflc cr^da pcryftiljj intcnonsambituiiuqucm diaulum,ob duorum ftadioru mcnfnrani uocatum tradit Vifrimius,huiulccmodi curfui infcruific . Quapro- ptcrfalfum illud cflc dcprchcndirur,quod apud Suidamfcgiriir, ftadiodromus longiorcm tradumctiri curfu dolichodromis,cum huius conlrariu manifcfto intclligar cx Parmcnioniscpigrammatc> M'i>.d moucro&:2rauiorapondcrainrcrdumfupracapiir,nonnunqnam fupra humcros,aliquando in pcdibus gcftafsc. qucmadmodmn ui- dcrc cft cx hac ucruftac tabulae pi^ura, in qua faltanrcs appofirif- fimc repracfcnraniur : quamquc ur anriquain,&: ucram a Ligorio acccpiixius.. i2t A dccorarcnt. Erar quoq. q, fupra vircs oleo un£tos &: ui no plenos pc- dib.falrarct;inrcr quos uidores ij ccfcbanr, q. ita fcfc dcxtcrc gcre- bar,vt plubricitarc humi no cadcrct.atq.hijp uic^toriac pmio vtrc cfi vino tcrebatiq. vcro rcrra narib.pcuticbar,n6 linc magna uolupratc fpcAatorib. risiimoucbat.Ici auranriquirus obfcruatuinludisiiac- cho dicatis,quos«\ioc(iurccvSx TTfof TwKflCi^f «F.i.hic fub dio fupra vtrcfalra,& Eubulusapud Arifto- phanis intcrprctc Kcti7r§oarq.iI- los ipfos ne torpcfccrct i marislitrorc (clc difcis,atq.iaculis,taq mili tib.apris,cxcrcuifsc:quafi fi no lacdcdis hoftibJaltC- u.niac agilirari jpforu c6paradac hiuoi cx:crcirafio accomodata cfscr. Athlcras uc- roi cofc cxcrcuifsc,nccn6ipublicisccrtaminib.c6rcdifsc,manitc (IQ faccrc pot coisaudtorum liua,qui intcrarhlcraru ccrra.minadi- fcumocsuno orcadnumcrar,&:pracrcr hospic^luni/iuahic damus. SECVNDVS. 122 ficiit ctiam Galcnus,Acrius, Paullus>&: Auiccnna inrcr cxcrcirariones fanitari &c bono corporis habitui confcrcntes difcum reccnfcnt . Scd, priufquam longius progrediar, rarioni confenrancum puto admone- rCjDifcum pcncs fcriptorcs uaria fignificafse, na ccftarur Suidas, discum fuifle inftrumcntum quoddam rotundu,quod aliqn adco gra- uc crar,ut uix ab uno holc elcuari pofTctiucl uri a D. Hicronymo dc fcipfo fcriptu cll. Dc hoc cquidc locurum opinor Solonc apud Lu- cianum, ubi intcrrogans Anacharfin, nunquid in gymnafio globQ qucndamiaccntcmacncum,atq. tcrctc,in paruifcuti figura forma- tum,ncq.lorum,neq. balthcum habcntcm uidiflct,qui grauis,&: c6- prchcnfu dilficilis crat, cum manu furfum cxtortum in acrc ahquos iaculari confucuiflc,fubiugit:Aliqnct inucnio,inflrumcntLi illud fi- gura foHs corpori fimilcm habuiflc,quod ab Aicxandro in ij. probl. (rfucisAphrodificnfis,fiucTrallianus,qctmagisfufpicor,cxftiterit) foliscorpus /loxdj uocctur. Vocatus fimilitcrluir difcusquadra ro- tunJa,quaepulacin mcnfasfcrcbantur. V ndc (/^i^K0cu fcrrcus, crat,mafsam uocabir.Huic artcftari uifus cft Manialis his ucrfibus, Spicndida cum rolii mt Sp^kmni pondera difci, isif procul pueri, ftt fi mcl ille nocrns, ' Alij.quibus cgo afscntior,credidcr jnt difcum fuifsc laminam qua- dam trium ud quatuor digitoru cralfitudinc, logiorcm paullo phis C pcde,alias lapidca,alias fcrrcam,Cacncam quoq. ex fcpulcro Marci Mannij Philopatris Athlcrac in via Salaria pofi:o fc uidifsc.tcftatus cft nobis peritiirimus Ligorius) cuiufmodi maiorcm parrem, nc, du cx alto rucrct, fragcretur,fuifse puto, planam, quafi lcnris fpccic rc fcrcntem,quam in acrcm proijciebant,fcd modo a iaculorfi milTio- nc diucrfo,fiquidcm inmitrcndisiaculisbrachiapandcbant,mox prorfum impcUcbant contra in difco manu adpedus adduda, atq, cxtrorfum U dcorfum rcdu£la, rorationis inftar illum in acrcm cia- culabantur, ut pcrbellc cxplicauit Piopcrrius hoc ucrficulo. M jffi^c nunc dtjci pondus in orbc rotat . Quod cnim difcus figuram,quam diximus, lcnti fimilem habucrir, practcr Diofcoridcm Icnticulam J^icn/ov nuncupantcm,cxprcfsa hic comprobar Difcoboli marmorea ftarua, quae hodic Romac ia acdibus loannis Bapriftae Viftorij fcruaiur, in cuius manu difcum figura a nobis cxprcfsapofitum uidcrc licet.  qj* itc oftcclit altcniis difcoboli brachiu Lapidcu hodie in mangi Tu- fciac duc is acdibus Pitris u ocatis fcruatu, cx quib. fimihtcr difcu eia- cuhidi modu inieUigere licet, ut prudctcr nos monuit dodiflimus Pe- irus Vittorius aetatis noftrae ornamctu,quibrachij figura ad nos miiit. . nj^ H.-irum fbtuarufimilcsaliasdiK-isdifcobc^Iorfifuiflt ucrifimilc cfl. qrarumunacxacrc Myroncm pracclarilfimiim (btuanufinxifle. a Quinftiliano cclcbratam,alii 1 aurifcum pictorc illuftrcm cxccl- lcntcr 1215  Icnter pinxjflc,refcrt Plinius-Hanc forma difcl una cu praediO:is te fUnrionijsriuidiflctjacmaturecxaminafrc^^GulielmusillcChoulus, nuqua ccne affirmarc aufus cflet>difcii pila rotunda in mcdio pcrfo rata fuiflcjnifi bonus illc vir nomine pilae qualibet re orbiculatara practcrl atinaclinguae vsuintellcxerit. Atq. hoc dicojqifi D. Cy- prianus in lib.dc fpcftaculis difcu uocat orbe acneum, &: in Marci Aurclij Imp.numis quibufda Apolloniae lllirij cxcuflTis, quoru cxe- plarfupra pofiiu cft,hLiufmcdi Difcobolorulufusrepracfcntatur, in quo difcu quadra quanda orbicuIata,& in mcdio perforata fuif feapparcr.Vt hinc conijcia,n6 vnadifcoruformacxftiriflc,qua fi- uc in facrificijs,fiuc in gymnafijs vtcrcnf.lllud attamc praetereudu no eft,in difco iaculado artc quada,vt Pindari interpres oftcdit,ne- ccflaria cxftitiflcjalioqui lacularorcs laudcfruftrati deridcbarur,&: facpe damna infignia fpeftatoribus afl^c rcbat, quod a Phoebo adiu fuit,quc difco HyacinrhuinrcrfccilTe fabularur. Difco fi^milc erar al rcru excrcirationis genus,^AT/Jf»«; a Graecis appellaru, qd*" in palac- ftra aditari folirufcribir Galcnus.hoc ab halrcribusfupra nomina- tis,quosfaltatorcs,vt vehemcntiusfiltarcnt,manibus coprehcdcrc c6fucuiff^e,dem6ftrauimus,diuersufuifsc aperte declarauit Antyl- luscuius, verbaapud Oribafiuita fcriprarcperiurur in capite TFtfi iiKTUvo ^u^coi/r%, Koci av yKocyiTrrQ u^oou, h Kgctrovyrxi ^iivov \\/ 7rgcrccfecundum dorfi aflenfum manibus uiciflim fe fleacbat. Ex qui bus vcrbis plane indicari vr,quod,Iicet halteres huiufccmodi ex eadcmatcria,atq. eadc forma,quafaItatorum pon dera eflc poflcnt,nihiIominus ab illis diftcrebat,quod n6 modo ma nibus,ut laIrarores,renerenf; uerum eria uarijs modis emitrerentur, pcrindc ac rcporibusnoftrisapud multosin vfu habef,quifefe excf ccr,aur pila,autlapidc vel fcrrcu,vcl plumbeumanibus,ac brachijs extcfis,&: circumadis in alru mirtcntes, de quibus locurus fuit Are- tacus,aua:or no minus probatus,qua antiquusuibi in dolore capitis •f •cAT(/f(i)vi3 tum pro modoprofcdusgrauiores.Exquibusuerbis elicitur Halteres fuifse maffulas quafdam, fiue manipulos ex uari js materijs modolcuioribus,modograuioribusconfedl:os,eamagni* tudine,utmanu quilibet caperetur. qui mcafenrentianedumfo- lis manibus, uerum etiam funiculis halteribus ipfis circumfufis,de- indeinter-proijcicdum explicatis,emirrebatur,perindeac faciunt hifce rcmporibus mulri, qui fic aut rotulas ferrcas, aur cafeos, aut quid aliudfimilcproijciendo certant An uero ^ATwftsaPlarone interccterasadforrirudinemmilirarcm comparadam excogitaras cxercitationcsnominenrur,nihil cerre explicatumhaberur: opi- nor tamenegOjipfumubi 8.dclcgibus>haec dcmulicrum propri js ^ CKcrcimionibusknbit,KaUiktsl(X)^ug(!Q nilaIiudanimoconcepifle,nifi quod jllae tumlapidibusamani- bus, tum a fundis emillis inter fe cerrare dcbercnr. nam, et «Arwftfi aliquando lapides erant, quos a manibus excrcitatores cijccre confucuiflc indicauimus ; undc fub nomine lapidis a manibus «m Hi^AT«^ I30  tes,ac primo tendcntcs,deindc remittentcs illas eiaculabantur^atq. hi coramuni appcllarionc rojwTxi^ucl rofhcci uocahantun vndc ue- ncnum quoddimrofiKov nominari fcribit Paullus Acginctamcdi- c-us,quod Barbari fagitras ad fcriendum lethali us illo inficcrcnt:la- culatio ucro non modo finc amcnro, arcu,ba!iftaue efficicbatur,ue rum etiam grandiorcs fagittas, craffiorcfquc virgas,& plcrumque graucs palos rcquircbatjquinimmo fagittarij folis brachijs fcfc mo ucbanr, dKOvrilc.riQ aurcm fiue iaculatores iniadu brachia contor- quebant,cxrendcbanrq.&:practcreadorfum,necnofifemorapedi- busimmotis flcdcbanr,agitabantq.qucmadmodum tcporibus no- ftris, quos pali iaculatorcs appcllant,fasftirare confpicimus:utrique tamc in huiufccmodi excrcirationibus obcundis no paucis viribus ll.deaercj indigcbant, unde non fine rarionc Hippocratcs, multos ex Scythis locls^' ^ pracimporcnria humidirarishumcrum,neq. arcum intendcrc,nc- quctelumcontorqucre poruilfe mcmoriae mandauit,quiparirer in initio libri dc fradiuris diccbar brachij figuram aliam eflc Iukkou' rKTyiZ K(crcccfvjtu,cc^^oJ^t ivotqrkuJ^oPHiriv.KAMj^l \v M6o£iO\imv,%Kko\v7rvytAn. idcft,in iaculationc f undarum, S>c lapidum cmiflionc,nccnon pugi- hitu.Habcbantucro,quific excrcebantur,terminos,&:fcoposfibi propofitos, quos modo praeterirc,modo attingcrc, uiaoriae gratia quifque conabatur.quod explicauit Horatius hoc ucrfu. Saepe difco, Lib. i.car. ^^t^pf trans finem iaculo nobilis expedito. ' Ccrerum hoc in loco id praercrirc nolo,quod balifta fuit tormcnti Iib. de re quoq. gcnus,quo fccundum Vcgctium Iapidcs,&: fagittac eiacula- iTic^c 1 ^^^f^^ &:quodfimilitcrfagittas catapultis, &:fcorpionibusanti- ^ ^^' quos cijccrc confucflc fcripfit Vitruuius,dc quibu^ tractare ad infti- tutum nolhum minimc pcrtinct: quas ucro nos fagirtationcs, &: ia- culationcs travftamus,illac funt,quas gymnaftica ficultas tamquam propriasfibicxcrcitationcs complcctitur, Quod cnimmcdicinae gymnafticaiaculationcs, atqiagittationcs prolanitatis adminicu- lisin vfuhabucrit, (licctapudauclorcs rarofcriptuinucniatur) in- infuaf. dciamcn conijccrc poflumus, quod antiqui, refcrcnte Galeno, ad bo.ar. cofdcm mcdicinac &: fagittationis, iaculationisuc DcosApolIinc ncmpc,atq. Acfculapium cffcccrunt. At iaculationis vtriufquc tam cum arcu quam finc, praccipuum in bcllica gymnaftica vfum apud prifcos fuifse, locuplctiflimum tcftcm Platonem habcmus,qui mu- licrcs,& virosfururos bcllisaptos hifcc in primis cxercendos cura- uit, id quod mulicrcs Scytharum antca faccre folitas fciebat, quas Loco cit. Hippocra,&:pcdibus, &:cxequisarcubusuti,&:lagittasciaculari con- SECVNDVS. A confacuifscfcriprum reliquit; ur filcam Homcrum, qui Myrmido- nas Achillis militcs, dum a bcllo uacarcnt, fcfc iaculado excrccrc, nc pcririam milirarcm amittcrcnr, finxir.quam pcritia quanropcrc iaculandi, &:fagirrandicxercirario,adii:uct,quanrumq.cadcm ro- boris laccrris affcrat,clarc indicauit Vcgcrius in i.dc cxcrcirarionc militari lib.Arhlericam ncq. iaculandi cxerciratione caruifsc,Hcr culcsilliusaudor rtdcm faccrc porcft, qucm faLMttadi pcririirimum ca tacultare ccnraurum Kcf^um quamuis rcmorum 6l cc ruam acri pidcm transfixifscharpyasq.uolucrcs m mcdio acrc confccifsc,rra dit Scncca; atquc cum co alij . Ad hacc criam diucrfac illac,atquc mulripliccsbclluac,quas in publicisfpcdaculis,acludisathlctae modoljgirris,modoalijs armis intcrimcbant, clariflimum argu- mcnrum pracbcnt, ccrtatorcs illos athleticos iaculationcm quoq. B cxcrcuifsc, ncc modo ignobilcs, ucrum ctiam maximc illuftrcs ui- ros, arquc ctiam Impcratorcs ipfos, inrcr quos duo adnumcranrur, Commodusuidcliccr raullinacrij &c prioris Taullinacfiliac, &: Marciprincipisfilius; nccnon Domirianus,quorum hunc ccntc- «as uarij gcncris feras in Albano fcccfsu fagirris plcrumquc mulris idcnnbusconfodilsc,fcril)jt Tranquillus;iIIum ccnrum ictibusin arcnatoiidem fcras Ihauifsc, ram ualidis niribus, urmultasuno conficereri6u,tradir Hcrodianus: qui fimilitcr fc ribiradco illi ccr ^*^*** ram n^wnum fbilsc, ur, quidquid oculo dclbnafscr, iaculo 6c fagirra contingcrer . hrgo iacuIarioncm,& in bcllica,6c in arhlctica, &:iii medicinae gymnaflica locum habuifse, compcrrum cft; cuius qui- dcm iaculationcs duo pori llimum mftrumcnra fuifsc, diximus, ar- cum,&:fagittas, quosalij Scyrhcn louisrihum, alij Pcr(cnPcrfci C filiuminucnifse dicunr . lamucro fagitrarummulraslpccicsfeci- Piinius. mus,alias lubriles,&: cxnlcs^^quae arcubus,^^ balilbs ciaculabanrur, ^ quafquc plumbaras fuifsc cxiltimamus:quamplurimorum,quin manifclic apparcar nos dc gymnafticaarrc nKdicinacfubiccta,&:non dc ullaalia rra6c cxcrcirarionum,^: in viucnd6,ac conucr fando arhlcricorum morum prauitatcm cognofccrc,co£niram dc- Kftari,arquccuirarc liccrcr* VANTVM commodi humanac huic uirac dcambula* tio pracftcr,faris apcrtc (apicntillima natura dcmonftrl uit,quac mirihco quoda arriricio,iini;uIariquc^&: prope diuma prouidcntia nobis pcdcsnonob aliud fabrica- uit,mli ut dcambularc, arquc dcambulanrcs avftioncs illas, ad quas nari fumus,pcrficcrcuaIcrcmus.quod cum Pracdo illc circaCo- raccfium Pamphiliac animaducrrifscr^ ne homincs,qui m cum in- cidcbanr,ambularc amplius>&:rcliquauirac munia plcnc,honc- ftcq. obirc ualcrcnr, pcdcs illis> ficur rcfcrt Cklcnus > mcmorabili partmm. quodamcrudclirariscxcmploampurabar.l)cambuIariocrgo,qu5 vclurinccc(sariam,arquc in primis comittodam fiuc natura Jiuc Dcus nobis rribUcrunr,quanro ftudio cuftodicnda,arquc adiuuan da fir, nullus non uidcr, co pracfcrtim, quod fi ullac cxcrcirarioncs corporisinucniunrur,quacvalcrudincmconfcruarc,imbccillira- urmamorbocontraaampcIlcrc,&:bonum corpori habirumcom- pararc ualcant, quacq. apud omncs homincs>omncsq. narioncsirt licqucnriori ufu iinr> una profcdo cxfillir dcambulario > quam non K -f modomedlclpraecipuam corumgymnafticaepartemefleceriinf', D tjerum ctiam antiqui omnes ufque adco acftimarunr,ut intcr cete- ra priuatis excrcitationibus dcftinata,&: in gymnafijs, et extra loca, nullius maiorcAn curam gcffifrc, nulliq. magis ftuduifse uidcantur. quam utaccommodataomnitcmporc deambulantibus Joca cxae-, dificarcnt. Nam(vt ccteros audtores fide digniflimosomirtam) Vi- truuius quantopcrc in deambulacris fabricandis inuigilandum cc- fuerit, unufquifq. cx eius fcriptis facile comprehendct ; cgo ccrtc ante, et poft Vitruuij tcmpora i»numcra in urbibus dcambulatio- nibus loca magnifice extru6l:a lcio. quac omnia apud me tribus ge- neribus compleduntur, quia uel porticus crant, uel fubdialcs loci, ucl fubterranci. Porticus enim quandoq. theatris,quandoque tem pIis,^a. liter fuifleporticusambulationi dicatas,fcribit GaIenus3quando- E quefolac&feparatae exftruebantur,qualcsplurimae Romae olim fucrunt, quarum ueftigia nunc admirationc Ipcdatoribus pariunt, et qualis tiiit Pumpciana,de qua &c Ouid. Tt4 mado Tompeia lentus (patiMre fub ymbra. &propcrtiuslibro 2. Scilicet vmbrofts Jordet Tompeia columnisy Torticus aulaeis nobilis ^ttalicis &lib.4. Tu nequeTompeia fpatiabere cuUus im ymhra, 7^c cum lafciuumllernet arena forum. et Mattial.li. I r . €ur nec Tompeia kntus fpatiatur in ymbra. Exquibus triumpoetarumuerbiscIarepatet,Pompeianam porti- cum ad deambulationes cxaedificatam fuiffe, quemadmodum, &: quampluresalias iwid conftrudasefTe, apudCiceronemtcrtiode F oratore libro difputatur. Quod porro lubdiales quoq. iocos ad de ambulatium tam commoditarcm,quam iucundiratem maiorcs no- ftri cxtruerent,atqueiIlosmodoarboribus confererent,modo nu- dosrelinquerenL,praetcr,Vitruuium,qui cosin gymnafijs, &: extra gymnafia quomodo ficri deberent^copiofifTime edocuit,argumen- to quoq, sLit xyfta illa a nobis fuperius declarata,&: praecipue de- ambulatorium illud Arhenicnfium in Acadcmia, quod pulcherri- mis plaranis confitum ad id fuilse fcribir Plinius,& ad cuius imita- tioncmAlcxandrum Seuerum nemora in publicis rhcrmis,atque infuisaluifse cxiftimo.Subtcrrancosucrolocos quofdam ambula tionibus deftinarosfuifse,quosob id hypogaeos Hegefippus,&: Pctronius uocarint, haud uero dilfimile uidetur rquoniam tempo- ribus,quibus mirum in modum luxus creuerat,ficripoteft, ut una cum cuminnumfrisalijsblandimcntisexcogirari finr achiitanda^aent wi caloi is molcftias. nifi cos porius creda^mus fiiifTc crypro porticus vndiq. paricribus redas, iccirco in eam tormam fabricatas,ne am- buhir.tcs a ucnris,&: a rcliquis aeris iniurijs lacdcrcnrur, qualis ho^ dic Romac in uiridario Varicano uifirur,^: quales fuii^e illos ucri- fimile eft, quos fc i nrer rui nas uillarum LucuUi ram in agro Tufcu- lano, quaminmonrc PaufilippouidifTt', tcftarus cftnobisLigo- riusi quosue Plinius (ccundus in uillac fiiac Laurenrini, &c Tu- 1 lcorum dcfcriptionibus plunbus ucrbis dcpinxit. Dchis Varro apud Nonium,Non uidcs inmagnis pcriftylis,qui cryprasdomi non habcnr,fabulum laccre a parierc,aut Huripis,ubi ambularc poirinr^ Qui cnim ambularionibus fcfc cxcrccbanr, omncs fcrc fa- g nitatis gratia illucl agcbant,ur neccflario cogerenrur fecundum tcmporuin murarioncs uarios locos habcre,quibus cirra ualetudi- nis oftcnfioncm ambulationcs pcrficcrcnr. Softrarum Gnidium ar- chitc^ftumcelebratinimum ambulationcmctiam pcfilem primuin omniumGnidifccin'c,rcfcrrriiniuslib.xx xv i.cap. x i i. Nam athlctasambularionibusnumquam uri folitosexeo crcdcre dcbc- mus,quod ncquc in ludis, ncquc in amphithcatris, ncquc in facris cerraminibus, quibus omnibus infcruicbanr, vmquani tos ambu- landoconrendifle legitur. Quod filocusin gyranafijs arhJctarum cxcrcirationibus,a^ Iocusambularionibusdcftinarus,qucm Xcno- phon,& Vitruuius Xyftum uocarum fcribunt,uicini crant,non idco inferre dcbcmus, arhlctas dcambulando cxerceri folitos,(ed alios in Xyftis ambularcarhlcrasfcorlumexerccri confucuilfctnifi Q dicamus arhlcras quoquc poft uehcmcntcs cxcrcirarioncs ambu- JafTe, atquc illam ambulationcm apud mcdicos aVfl^tfflrTrwVuo- catamcflc, &:nonpropriccxercirationem :quid autcmapuchera- piaforct, infcrius dcclarabimus. Milirari limilircrpcririac ftuden- tcsambulationem parum curafle credcndum cflcr,|>oltquam ncc Plato ullam eius mcntionem fccit, nec in ullo bcllorum »;cnerc ad iumcnruin cffatu dignum pracftarc uidcrnr, nifi Vcgctius cdocuif- fct ualdc militibusfururis cx u(u cfscurafliduo cxcrcitati ambula- m fe celerircr,&: acqualircr difcanr,arquc (^b id uctcrcm confuctudi- nem permanfiflc,ncc non I).Auguftini,arquc Hadriani conftuutio nibuspraccaurum >fur(Tc,ur!nmen(c ram pcdircs,quam cquircs cduccrcnturamI?uIarum,&:non(oIumin campis,fcd cciam incii- iiofis^arduislocisdc(ccnderc,arqucadfcendcrecogcrcnrur,quo nulla rcs ucl cafus pugnanribus accidcrc pofscr,qua non antc boni militcs aflidua cxcrcirationc didiciflbnt.Habuit ucro hacc cxcrci- ratio ratio multas fpecl es lum a narura ilJius, tum a loco, rum a /ine dr- D fumptas ;a natuia qui Jcm, quoniam, cum ambulationcm dcfinic- ^ de ufu rit Galcnus cx crurum moru, ac quiere conftare, motus ilie, &: per vaitmm. confequcns ambulatio, autcrar magna, uel parua ; aut uelox, ucl tarda,aut uchcmcnis, ucl rcmifsa : a loco autem uariabantur paritcr ambuIationumfpecics,quandoquidcm modo inurbefiebant,&: in gymhafijs,modo cxtra urbcm, qucmadmodum Phaedrus,&: In Oeco. ProdicusapudPlatoncmfacicbant,ncc nonlfcomachusapud Xc- * nophontcm, qui dum in agrum pedibus fcruum fuum equum du- ccntcm fcquereriir>mcIiori fecxcrcitatione uti diccbar.quam fiin xyftoambulaflcr j modo in iocispIanis,modoafperis,modoare- Coclius j^^jj^^ ^^^^^ paralyricis Afclcpiadcs, Eraliftratus, ac Themifon Chran.2. malc commendabant,modo aequahbus,modoinacqualibus, mo- c.j.lib.dc dolongis,modobiTuibus\dc quibusomnibus copiolillime difser- c amCis 5.probI.parti. A fine dcmum accipicbantur deambu- lationes, nempe quando velut auxilia (anitatis,ac boni habitUs ad- hibebatur, vcl ad corporisrecrcarioncm peragebantur.poftquani enim grauiorcscxcrcitationcs confcccrant,nc ftatim ad quierem tamquam a contrario ad conrrarium rranljtus ficrct,ambularioncs paucas,&: remiftiores adhibcbanr,ficut et poft medicamenra,ac uo miriones>arq. uniucrfum hoc cxcrcitationisgenus iTro&^tar/^riKof appcllabantrquamquam ctiam gymnaftae in mcdijs laboribus, porirtimumq* in ijs,qui graucs uocarascxercitationes obijfscr,apo- 3.*tu.va. fherapiainrerdum urebantur,quodGaIenus fummoperelaudan- ' dum iudicauir. Apud Varroncm quoque, ur mcminit Nonius, ha- bctur> aliquos ad cxcirandam (icim ambulatione ufos efse. nam in lcgc Macnia ira fcriptum crat:Excrcebam ambuIando,ut liti capa- cior ad caenam uenirer gUttuK An Erettum fhre Jit e^ceratath. tap. 111. VI rcrum ipfarum naruras Icuiter perfcrutati funt, iii- hilambulationi ip quampe- dibuscredum ftarc iudicaruni. At quoniam profun- ^ dius quacrentcs in hajic fcntcntiam eunt ^ ereilosj.pe- dlbuTi^antes fi non ambulSt, fLiltcm aliquo pado moucrijproptcr- caquc ftarum huiufccmodi ab cxercirarionum ccnfu cxcludi mini- mc dcbcrc i idco eriam dc hoc fcrmoncm faccro dccf cui ; co prae- fcrtimquod multi faUis rationibus duCt^ hanc opinionem ira ani- mis imbibcrunt> ut pcrtinaciter circdant> ftantes pcdibus nullo modo madofcfccxcrccre,fcntcntiam fuam hunc in modum probanrcf» uidclicct quod dcHnitum apud omncs audorcs rcpcritur,cxcrcita tioncmmotumcxlirtcrc, cui motui (hitum planc contrarium cfse: practcr cctcros Plaro ubiq. pracdicat,dum inrcr prima rcrum prin laSopK* cipiaftatum&: motumuclutiduo contraria collocar, quostamcn apcrtilllmc allucinan facilc conuinciruriquandoquidcmomntsil li,qui pcdibus crccli ftanr, licct moucri icnlibilitcr nullo modo ui- dcantur, attamcn ratio ipfa,quod aliquo pado moucantur, ccttilfi- mc pcrfuadet . Nam &c multorum uctcrum fcntcntia tuif,non quac moucri uidcantur, camoucri fola, fcd multa immobilia apparcre unum eundcm locum obtincnria, quac nihilominu^ mcucri ctfica- ciHimisrationibus,ac fcrcfcnfu ip(odcmonllrantur . Aucscrcnim non tam quando modofurfum, modo dcorfum uolitant,in motu B efscccnfcntur,quamdum in acrc locum unum fcrc immobilircr occupant . id quod iic probatur, quia li auis quac IKirc in acrc im- mobilitcr uidcbatur, in co ipfo inllanti moriarur, protinus in tcr- ramdccidit (utdcapodc illaauc manucondiata, quamniiimor- tuam in tcrris uidcri, 6c uiuam lcmpcr in acrc mancrc fcrunt ) non obaliam profcdo caufsam. nili quoniamcorpus illud in fublimi inotusalicuiusabanimaincorporc faCti auxilio confiftcbat, quo moru poftca priuatum corpus,arqucnaturacfuacdimifsumad ccn trum dcclinat,licuti dum cotra narurac fuac inclmationcm furfuni fuftmctur, haudquaquam cadit, ncquc itcm pcrfcCtc quicfcit, fed quali duobus motibus contrarijs ai;irarur, alrcro corporis dcorfum a narura a(fti,altcro animac furfum conrra naturam corpus moucn- ris. Idcm fcrmc cucnit in hominibus crcctisllantibus,quorum Ccorporibnsnaruraad rcrram inclinantibus, Sc anima contrafur- fumilla fuftincrc obnitcnrc, morus quidam lcnfui immanifbftus fuborirur, cuius indicium illud habcrur, quod li aninui a corporc crcilo ftantc cxcat, illico ipfum in tcrram dclabitur,quia motus il- ledcficit,cuius bcncficioanimacorpus oaturalitcr ad tcrram incli narum, furfum clcuatum contincbat: ur his rationibus omnino cuiuis pcrfuafum cfsc dcbcar,cos,qui pcdibus crcCti IhuUjob conti nuos,&:conrrarios animac,corporisqucobnixus aliquo pa:tomo- ueri,arqucipforum mufculos omncscorpusgclhnrcs, &c a ccrra atrolcntcs,crigcnrcfquc uchcmcntcr intcndi :cuiusinrcnlionis,ar- ouccriam ipliusocculri morus racriro poftca cfficirur, ut ftarcma^ iorcm laborcm,ac lallitudincm molcltiorcm pariat, quam ambu- larc,licuti pracclarillimc a Galcno fcriptis mandatumcft. Ncque ri.aetre.. Plato ubiintcrprincjpia rcrum Itatuin pcrmdc;ac motuicontra- et riwm  Lrium colTocauif^ucraprorfus locutuscft, cum Ariftotcles. 5. Phyfi^ corumlibro longaorarione ncn ftatummorui, fcd motum motui contrarium eflTe demonftraucrltiniti potius aliquis dicar,Plaronem aliud gcnusmotusacftacus myftice (ut fo!er) inrellexifle, cumex ipfisnaturas quoque diuinas ccnftare aHerar. Siigiturtot rarioni- bus fatis comprobarur ; eredos ftantes aliquo pztito moueri, atquc intc rdu non modicc laborarc, confenraneum uiderur,ut non ob id ftatus ab cxercirationu ordme remoucdus (it, quod cxerciratio defi m'aiur cfTcmorus, &:ipfcminime motus appcllationcm mereatur, quinimmo ficuri quaplures morus,qui fanitari, &: bono habitui co- fcrre iudicanrur,ct(i uerc ac proprie exercirarioncs non ftnr,c6mu- nirer ramen efTca nobis fupra abunde oftcnfum fuir : fimiliter &c fta- re eredum communi notione exercirationem cfTc cenfemus. Vn- de fapienrijTimus Hippocratcs, qui vlccra curanda quicte indigere alias praedicauir, ftarc&fcdere ipfis inimica efsc fcripiit : quafi in- nuereuoluerir, dum corpusfurfumueUedendo, uel ftandodeti- netur, mufculos magnopcre conrendi, atque etiam motum quen- dam interanimam &:corporis naturam generari, qui ulccra ipfain cicatricemcoalcfcereminimepermittat.atquchoc efTepnro^quod aCoelioinEpilepfiaccurarione rtans exercitium uocatur. Num ucro antiqui gymnaftae inrcr alias corporu cxcrcirariones huiufce modi ftatum rccepcrint, nil ccrri affirmare audco . Athlcrac enim cumnullumferc ufum in ftando haberent, nifi quando Milonis imitatoresrcdi ftantcs fefe ceterisaloco dimoucndos oftcnrandi roboris gratia pracbebanr, vel ftaru non pcr fe, fed ob alium ure- banrurrideohaudquaquamfeipfos in hoc gcncrc excrcuifse mihi iierifimilereddirur. Qupdquaefo cerrameninftandofolumefre- 6lum ccrnipotcrar,quod autfpcdtaroribus delcdarionem afrerrer, aur facrificijs, ucl alio modo amphithcatris, aut ftadijs infcruiret, uthorumgratiaathlctasfefe exercercuclcertarc ftantcsfohtosdi camusfftabant tamea qui athletas ccrtantcs fpe amphithcarris,atq. alijs pu bli- cis ( c C ri 10 ra idi do ad ao Ddc m OQI nok tili ttiu tc bt fc( H .,4, A cisccrtaminibus,fpcdaculisq.coronasuiclomcconfcqucmur,pa pulumq. obledarcnt;uclutoptimum corporis lKibitum,atq.f;inira lcm ipfam acquircrcnt,tucrcturq. Hos apud Kufcb.viij, Hift. EccL cap.xviij.M«;(«Tpiom.ichia,hoc cft armorum fi^ta confrixio ^ ^j^^.^ B uocata,necnonad diminucndam7roAic/us anim.aris&iinanimis carcjmas nuquid nosob corum,qui ^> nobifcum cxcrccanrur,ino;Mam,aducrfui. n )fmctipfos verc vmbra- tili puena certarcaudcbii>uis.&:poltipfum Plurar.in 7. Prob. con- „ . Uiuiahum :«AA(7fc»,u;Ttt^ vfiKQotovsiot^rccr Hd'Hquafiaeremnoticaedcns. lam ucrononminustelJs^quapugniSj ] et brachijs nudi^ huiufcemodi cxercirationem ufurpata cfse ratio- ni cft confentaneum . Hac itaq. fucrunt duae pugnae fpecies^quaf maiores noftri cxercitationu loco in ufii habuifse rcperitrita ut nul- la gymnaftica cxftarct,q inter alias excrcitationcs hanc no rccepe- rit.quod cnim athlctica uctuftilTimis vfq. temporibus pugnandi ar- mis incidcntibiis exercitationc urcretur, locuplctiftimu teftcm Plu z.VtQb, tarchu habemus,qui in 5. Sympof. fcriptu rcliquit, antiquitus mo- nomachiam.f.aut fingulare certamen in Pifa ciuitate,&in Elide Pcloponnefiregionc iuxta AIphacumfluuium,circa quam quinfto quolibet anno^hoc cft,ut Pindari intcrprcs tcftatur, alternis olym- piadibus,fiuemenfibusquadragintaodo,autquinquaginta, cerra- mina olympica loui facra celebrabatur, vfq. ad mortcm dcuidoru, cadcntiumq. iugulationcm proccdcre cofueuifrc.Practcrea narrat GaIcnus,facerdotes in Pergamo prifcum morc retjnuifsc, ut aefta- tis teporc monomachias uocatas cxercercnt,quas ne quis credat fo li Gracccrri nationi proprias exftitifsc, adcudus cft Athenacus,qui in quarto dipnofophifton auftoritate Nicolai Damafceni Philolo- phi pcriparetici referr,Romanos monomachoru fpr£>ncula no mo- do in feftis,arque amphithcarris,ucrum ct in conuiuijs a Tyrrhcnis confuerudinc muruaros adhibuiffc; quamuis Romani no monoma- chosjfed gIadiatorcshosocsnuncuparemaIuerint,quos lulij Cae- faris aerate in foro nouifsimc pugnafse,quofq. pugnarcs Smaragdo lib. NeroncfpcftaffcfcribitPIinius.Hi quoniam arrcplurimisabfurdis 18. et lib. plena excrcebat,ut a ceteris pugnanrium cxcrcitationibus integre 37.C.J. dignofci poirinr,nonnulla dc ipfis brcuirer cxpona, Nam illud pri- mum dcreftandii plane habcbanr, quod ccrtantes qua grauius po- terant,fcfe fcrire ftudcbanr,&: non iolum( quod fcripfir Scribonius Largus,qui*'Tibcrij Cacfaris,&: Mcflalinac aetate medicina Romae cxcrcuir)c6rufioncsin lu(ftarionibuspaticbantur,fed crianon raro vfq. ad altcrius, ucl eriam amboru pugnanrium inreriru ccrtamea protcdcbarur: quemadmodu,pracrer Athenacumjarq, Plurarchfi, 3.decr>p. Calcnusquoq.rcftarur,quifcgIadiarorcsgi-auircr vulneraroscu- mc.pgcri. rafle, &: ob id a fuac ciuitatis potificc in eoru mcdicum coopratutn Li.7.ca.3. fuiflefcribir. Quin auctor cftGcl!!us,gIadiatori compofiroad pu- gnadupugnac hanc propoficaforrc fuifse, aur occidcrc fi occupa uiflcr,autocciabcrc,ficcfsafsct.vtid ucrumpurarc dc bcamus,quod M.Tullius.2, Tufculanaruquacftionumcmoriac mandauir,athle- tas ctia vulncribus confcdos ad dominosmittcrcfoIitoSjqui quae- rcrcnt,quid ucllent,(i fatis^a^^lu ijs cfsctjfc ucllc dccubcrc. nam ufq. adeo  A AdcomojTem.acviilncrA inrrcpidc obibanr,utncc inscmffccrcnt . ncc multu mutarent.humfmodi ucro ncfandas hominfi cacdcs cum' fiiftmere ocuhs no poflcr optimus Impcraror Anronin», nanar Di6 cu cdu^o cau.flc,ut glad.arores no acutofcrro . fcd obrufis gladijs. et tcrcnbus d.m.carcnr quod hodic fadirant, qui pu.nadi art d ^ fcendaeopcranaiKi„t.Sccundaturpit.Kiinisfpcc.cLuamo,,o^ mor ac prod.d.r glad.arorcs hordcarios vocaros quia antiqu.tus ''• 'r.c... hordco u.d.tabant, ucut l>oft Plini.,m Galcnus cofdcm 6, da, &: nandun .nft.tutum crat, .n ipfo ccrtaminc fangu.nc cx vulncrc ad- ucrfar. j b.bcrc.ra.nquam,;s ad confi. mandf,animu, et uircs cffica- Tn A T"'''^ '"^- l^'s,pracclarc admodum fic a Cvp,ia- « nodcclamatucfl Pnr.>turglad..itoriusludus,utl.b.dinccri,dcl.ul^^^^^ pus, &: a ru.nac horismcbroru .nolcs robulb pi.,gucfcit,ut fa-.na- tus,n pocna canus pcrcat . Homo occiditur in homin.s LoIupur!s " et ut qu.s po(r,t occdcrcpcritia cfl.u fus cft.ars cft,fcclus no,i ar„m " gcnri,r/cd doccr:qu.d potcft .nbuman.us.quid acabius d.ci T " Jud.oro tcqualccft ub. fcfcrisobi;c.ur,quos ncmo damnau.^Jcra- " tcmtcgra,honcftarat.sfurma.ucftcprcr,ofa v.ucnrcsin vhro^eum " funus ornantur.mal.s fuis m,fcri slonanf, pugnanr ad bcft.as nc, cr " ni.nc fcd ruxorc:ipcdanr hlios fuospatrcs, rn^ ^ pracfto cft,&:fpcCUcul. hcctprcriu largior muncr,s.xppa,-:tusam! " plj^hcer,urmacror.busfuismarcrinrc./fr:hoc.prohdoIor,,mtcr&" rcd,m.t,&: .n tom,mp,;sfpcftaculis,raq. d.nscffcfc non purantocu " l.sparr.c,d.as.Hadcnusuir.IlcC:hnflia,ius, cuiusorariinchiccx- " fcnbcrcpIacu,t,qdadgIad.aro.-,accxcrcirariou,sp,au,rarcollc,;-" dendam,n,l luculcnt.ushabcri poflir. Quat,-, prauiratc illud,nihi ualdc turpms cx,ft,mare in mcntc ucnit,qd et Kcipub.Iibc-ratis &: Impcraroru tcmpon bus rar, fucrinr fiuc nubilcs,fiuc ignob,lcs,f,uc coluIa.cs.f,uclmpcratorcs,quifpcdacuIaadcoinh.inK.na,acomni flas.r.o,&:facu.r.a plcna l.bcnrc.-, atq. maxima cu,n uuluptatc non inrucrcntur . Numqu,d autcm cuiufuisgcncris homincs.an i^no.b,l,H,m. dumtaxat.glad.aror.a cxc. cc. c„r,anccps ualdcfum.quod cn.m LcntuIusCapu.-icut rcrunr,g!ad.arorcs alucr, quud C Tc " ir-cr. rcnt.us Lucanus, auctorc Plinio,gladiatorum quadrag.nra paria in furo pcr triduum auo fuo,a quo adopratus fucrat,dcdcrit,quod uc- oymr.jUca. L nales cflent,&: tria illa ncfanda a nobis praedida profirerentunmi- 1 hi ccrtc perfuadcnte exomniumhominumignobiliflimo fimui, ac impunllimo gcnere,ueluti feruis exftitiflc.Ex altera parte cu Gale- de frac nus rcferar,f:icerdotes monomachiamcxerccrc fohtos,cum Athe- klhhu nacus fcribar iUuftres uiros, atq. Duces monomachiam cxercuiflc, cum Herodianus, arq. lulius Capitolinus Commodum hnpcratore Spartia- gladiatorcm eximiumfuiflc,&:inpublicisrhearris,fpreta hnpera- 7eno" ^& ^ dignirarcgladiaroris parres adimplcfsc fcribanr,ciim tradant AibmL alij Impcrarorcs ad bellum profedturos munus gIadiatorium,ac uc- nationes ederc confueuiflc,ut ciuiufanguine fic effiifo pugnae qua- dam imagine Ncmefis fe,idcfl: Forrunae uis quaedam explcrer, uel ut infuefcerent milires vulnera,atq. cacdcs in/pedare. qua item ra tione SolonapudLucianum narratlcgem Arhenienfibusfuifle,ut faAaach. iuucncs cothurnicibus fiuc qualeis, ac gallis pugnantibus fpettadis fliudium impcdcrent,quo illi uolucrcs vfq. ad extremam uiriudc- feaioncmroftriscertantcs intuentcs,ad fortiterfubcundapcricu- la,&:contcmnenda vulncra ^neauibusingencroliorcs apparerent, inflammarentur,cuius ftudij mentionem quoq, fccit Aefchines c6- tra'Timarchum,&:CoIumcllaIibri o6bui cap.2.Cuminquam hacc omnia mentecontemplor,quaficrcdere cogor,tum nobiles aliqn^ tumignofciles utplurimumathleticamhanc atq. gladiaroriam pd gnandifpcciem excrcuilfc iquando criam apud Athenaeumrepe- ricnonnullos teftamenro cauifle, utr pulcherrimae eriam puellac monomachorum inftar dccertarent, aut qui in delicijs fuiflent im- puberes.ScdgratiaeDcalmmortahfunthabcndae quiad abolen dum huiufmodi nephaadum morem quoq. principes impulerit,q(f primumabHonorio Impcrarore fadu ertc perhiber Theodorerus ca.26.hb. quintihiftoriae ccclcfiafticac .Atque exhisclare patct, armorumacutorumpugiiam inter athlerarum exercitationesad- numerandamcfle.quos fciamachiamquoqueinterdum,fiue um- brarilempugnamexcrcuifse,inde faris conijcercpoflumus>quod Glaucus Caryftius arhlera ftixnuusnon minus ob pugilatoriam, quaminumbra pugnandi cxceilentiam celcbratus fir, ciquefta- tua habiru, formaque in umbra pugnanris erefta, ut Paufanias ^*^^^^* narrat, tradarur : nifi cerrius comprobarent illud haec Dionyfij in cap. libro de diuinis nominibus ucrba : oVe/) 0 cro^o^ bx. z^vovriaraA /uj^fiTa^^ TTid^' r^^TS)VoiOAyj7iivol7rCipovUou;,04c:!ro?^M^^ d^ofek ^ja^ rii^ airctyomg-a^ vdf^ticvc tjyroQi/i^uOi, % cLTcl 70 Jb^coLtS € nv^oc; ^-toi/to^;, axiTOvq aiq (nncLixa.')$iuj- » nc;, oiovTOJ^ tHv airiTroLAcov ojutwv jcwtpa.T/;tcvaf : ideft. Quod fapicns minime intcUigcns incxpertos uinccndi. athletas imitatur, qui faepe T E R T I V S. Afacpe antagonlftis imbecillas cflTc fupponentcs, prout Ipfis vi- dcriir, nccno aduerfus cos abfenres fbi tircr vmbratili pugna ccrta- rcs,aduerfariosipfosuiciflcpurar» Habuir6in ipfisq. mulicrcs &c uiros claborarc uolucrir. Hanc rudi- bus armis faCtam milirarc monomachiam illam fui fsc, quam Hcr- mippus Manti nacos inucnifsc,&: Cyrcnaeos acmularos efse fcribir, Athcnac» cgofcrmccrcdo.iicuri limiIircrcxirtimo,quamfcrimiam uulgusdi ^^^-^* cir,cam ipfam,&: non umbratilcm pugnam, ur Kudacus in Com. ad C Pandcdas, Guliclmus Choulus,&:aIij nonnullifalfoautumarunr, cfse,dc qua locurus PJaro mea fcnrcnria uidcrur, quando in Lachc- rc fcripfir,iuuenibus coduccrc, ur armis pugnarc difcanr, quoniam lic habitus corporis robullus acquirirur, ncc ulla cxcrcitarionc in- fcriorhaeceft,aurminuslaboriofa. In hac haudquaquam ccrtato- rcs,qacmadmodum gladiarorcsfc ufquc ad ncccm fcricbanr, fcd rudibuS reljs quafilcfcpctcre iiUiiccmfunuIanrcs,quandoque cria rc uera fcricnrcs,&:plagarum inflidlioncs,&:aucrfioncs rdifccbant. Aliquando ramcn cum umbra armis ct pugnabarcquod Cdtas pofl coenam fach*tafsc,Poflidonius audor clhl^im ucro omnium frcquc- tiirimc pugnam aducriuspalum cxcrccbanr,qui milirarcm difc ipli nam compararcoptabanr,quam cxcrcirarioncm ita faditaramfcri ^ fe bir Vci:crius,quod a lingulis ryronibus finguli pali dcfigcbaiuurin "^'''^*^-"* tciram,iru ur inic.-r" iDn pr/vr, &- rooo-ip ol r£jg7retXai- ^piijC ^etUiurig 7raj(^ovT^CyO rcaf i^zir oiiu(poripa>v ?\y^(p6(z^Tig 'i^zcovTcif eig tcI cvavTict.i. Paullatim enimproccdcntcsin mcdiumamborum igno- ranter cecidimus,& nifi aliquo modo nofmctipfos defcndctcs eua-  mcmoriacproditum cft. 1 m 1 li.i.fer.^. li.i.fen.^ iioc 2.C.2. j.de bclJo ciuili. DeVociferatione y ^ ri/u. Cap. VIL N T E R cereros,quos plurimos,atquc neceflTarios in hu- mana vira vfus habcr fpiratio, non infimum locum obri- nuirvociferario. quaccum nilaliudfiti quamacrisue- hcmcnspercufl^o,rammatcriam, quam cflcdorcm,&: lormam,ueI a refpiratione foIa,vcl faltcm non abfquc ipfa fuppcdi- tari,|AriftoteIes, &: Galenus pracclariirimis in i d cdiris commenra- rijs probarunt. &: iccirco non ab re fururum cflc duxi, fi, poftquam defpiritusretentioneuerbafcci, ftarim uocifcrarionis rraftario- ncm fubiungerem. Neque enim ab hac me remouere dchuir, quod Galenusmcdicorumprincepsaurnulla, aurquam pauciflfi- ma dc vocifcrarioncfcriprisiradiderit, quafiquceam intcrexcrci- tarionesnumerari dcbere non cenfucrir: quandoquidcm Anryl- Oribafium mcdicus cclcbrariflimus non modo camex- ercirationcmcfleuoIuit,ucrumctiam cumad morborum diuerfo- rum curarioncm,rum ad uocis ipfius culrum ualde aeftimatam fuif- fcfcripfit. qucmadmodum itcm Aetius Amidcnus, &: Auiccnna Arabs uno orc poftcdoribus facculis comprobai unr. Nunquid uc- ro athIcticacprofeflorcs,aurmiliraris dilciplinacftudiolihoccxcr cirationis gcnus in ufu habcrcnt, U li^apud nuUum audoi cm nora- tumaducrtcrim:pcrfuafumtamcnmihi cft, ncurros horumuoci- fcrationcm taniquam propriac ipforum profcflioni aut conuc- nicntcm aur filtcm rtcccfliiriam cxcrcuifle . Qupd fidicatquis, &:arhlctasinccrtaminibus, &:milircs in pugnis confcrcndis cla- moribusnonfincutilirare vfos, quando Cacfarhaudfruftra anri- quirusinftirurumfuilfcfcribir, utinbcllo committendo fignaun- dique concinercnr, clamorcmquc vniucrfi roUcrcnt, quibus rebus, &: hoftcs rcrrcri,&: fuos incitari exiftimaucrur: proptcr hoc mi- nimc fcquitur, uocifcrarionis cxcrcimtioncm, dc qua nos agimu^> miliraridifciplinacadttifccndac confcrrc. Duofolum humiiul gc- ncra uocis cxcrcirationi fcdulo opcram dcdifsc rcpcrio, hirtrioni- cae uideIicetprofclTorcs,&: mcdicorum gymnafticos.Hillrionicam enim profitcnrcs,fubquibuspracconcs,choriftas,rragocdiarum,&: aharumfabularumlimilium rcciracorcs, ncc non uocibus ccrritcs CoUoccqocifcrarioaibuscxcrccri foliros.locuplctiifimus tcftiscll Platoin lonc^ Anllotclcsinproblcmatum libris,in quibuskgi- p^^;^^/^' tur,Phiynici, ncc noncriamantiquionbusrcmporibus tragocdias, comocdias,dithyrambos,arquc lcgcs ipfas cantu rccitari^:onfucuif fe.ob quod uocis cxcrcitatio tantae cxiftimarionis fuit,ur,(icuri de athlctica monftrauimus,pubHcae uocifcrationiscerraminaaCoc- ''•^•^^^j^'"^- B lio Aurclianofiib modulationis agonillicac nominc intcllcaa, j> " pofuis uidori pracmijs,inftirucrcntur.qucm morcm ufquc ad Galc ni rcmpora pcrdurafse,ex eo conijcerc pofsumus,quod 7.dc mcdi- camentorum compod. fccundum locoshb. muhamcdicamctarc- ccnfct^uibus antiqui mcdici in ijs,qui uocc contcndcrc dcbcbat, tum antc,rum poll ccrramcn urcbantur,ubi fimihrer narrat, tempo- refuophonafcosomncs,cirharacdos,f.pracconcs,ncc non rragoc- diam,ac comocdiam pcrfonatos rcpracfcnrantcs,qui magno uocis excrcitio utebantur, li quando uuccm contcndcndo oblaefilTcnt, balneismultis,&:cibislcuibus,atquelaxantibusuti fohtos.Exqui- bus ucrbis cuiuis intclligerc licet, non modo hillrionicae profcflb- res uocc,&:cantu(quod dixit Plaro)limpIicitcr in rccitandis dram- ^^"«^- maribus,rhapfodijs,aIijsuc imitationibus fuis, uerum etiam alra uo ^ ce ufos,atq. ijs intcrdum uniformibus,i nrcrdu uarijs,&: muraris,uc- luriin rra^ocdiaad macroris,calamiratisq. magnitudincmaugcn- dafav^uniohm,(cribit Arillotclcs.Qiiarcmirari dcbctncmo,quod ^^^Pa«i ^oc aZ^ncnv y^^ivira^ •rfsyou ri- vci yu/uvoLcnoL rolc a-raiuoLcnv -i 1? 7^ rov vrv/uuoLroc KaL^i^tc^TrOieiiiwl^tJLU rolc TTOvovaiv, ocrv/u/SoLfvc-i (t rolc TroLf^iofc ^ravo/u^oic • idcft : Pucrorum uerodiltcnfioncs arquc ploratus,quiin Icgibusprohibent,haud rede faciunt, confcrunrcnim ad incrementum, cum fint quo- dammodo cxercirationes corponmi,lpirirus nanquc cohibirio la- bcranribus robur parit, quod etiam pueri^ inter plorandum di- ftenfis T E R T I V S. iTrecho,Pctawo,^riUmJleo. Cap. IIX. 1 ca omnia,quae antiquis tcmporibus vlirat.i,ac,vt fic di- 1 cam,pcruulgatacrant, autad nos pcrmanus tradita, ficutdcanatomicaarrc narrat (ialciuis, pcrucnilfcnt, i.jennat. ... . .lutab au«ftoribusfcriptismandara no intcrijncnt.mul-admini.ia C tos profccto labores, qiios homiiics qiioridic m oblciiris, ac anri- quarisrebusadliiccm rciiocandis fuftincnr, cirra vUam iaeturani crtiigiflfcnr . fed quoniamalia rcmporis di ururnirarc, afpcrirarcquc obfoleucrunt, alia difficiliobfcurirarc dcprauarafunr,aliafcripro. ruminrcriru dcfeccrunr, alia communi quadam lacculorum nc- gligcnria numquam proprium nitorcm rccupcrarunt, hinc fa- dum cil,ur in d ics coganrur homincs obfolcra rcnouare, dcpraua- ta rcformare, abolira rcficcre, randcmquc ncglcctis 6l dcturpatis fplcndorcmicftitucrcncc non inranra obfcurirarc coadi, (om- niantes quandoquca ucrirarcprocul abcrrarc.iiucr quos cum cgo quoque limilcm prouinciam fufccpcrim, qui arrcm gymnafticam elim iii magno prctio habiram,nunc pcnirus obfcuraram, &: cmor- ruam ad luccm rcduccrc ftudco, mihi ranromaiorcexcularionc di gnus vidcor, quantopauciorcs^aurfcrdnuliifcriptorcsfupcrfunr, M 2 aquibus inftitutum mcura dirigi qucat.ne flleamplurima exercita D tionum gencra, quae quod temporibus noftrisdefueucrinr, ucte- rumq. pcragcndi casrationon habcatur, quomodoficrcnr, qua- Jesueefsent,diiiinandumcftporius,quam ccrtiquidquamaffirman dum. Qucmadmodum deCricilafiaatque trochocontingit. Nam icfwA,«ra)?s;t«aM o'4^?o? o>Vo^o? '^cWTuyjj^x^^aiyipyct^irc^yjcyj^ShvlwT^ ^'^vx»,, idcft, Habcatuero circulus diamctrum hominis lon- gitudine minorcm, ita ut ipfius altitudo ufque ad mammas pcrtingat, neque fccundum longitudinem, fcd in tranfuerfum jmpcllatur,fit aurem impulfor fcrrcus ligneam aufam habens. Non- nulli rcnucs annulos rorae circumpofitos fuperuacaneos efse pura- runt : at hoc minimc i ra fe habct, quinimmo fonus ab ipfis gcnitus reIaxationem,atque uoluptarem animoparir.Exquibus ucrbis cla- re patct, in hac excrcirarione homincs circulum quendam ma- gnum,cuiuscircumfcrcntiaeannuliparuiinfixi crant,quadamfer- ^ rca uirga anfam habcnte in tranfucrfum latus impellere confueuif- fc,a quo duda mctaphora M.Ciccro ij. epift. ad Atti.ix.fcripfir. fe- ftiuc mihi crede, &: minorc fonitu quaputaram orbis hic in rcpub. eft conuerfus.fcd cum hac actate in ufu non habcarur^pofTumus fa- ne aliquid diuinarc, ar cius formam,&: condirioncs pcni tus cogno- fccre minimc liccr.quod cnim trochus graccus fucrir,de quo Hora tiusiibHuscnt. et Curinliis ia /.J.tn cnr annulus mbe vagathr . ibidem. C(dn Jtarg.itit obnii turba trocb^s. et l y tii tJtn /.I.V.' 'I?, C iiiitif quam culus ahen i, jib 1 1. 0,,jmteU'rar^iitO(iulfonatiUreirotbus. in rroch ) namq. primocrat circulus,&: in circulo anulus,qui fono fpcctatonbusuoluptatcm atfcrcbat.adcrat Cx: impulfor cumanfaa rropcrtioclauisuocatus.ubidixit, Inirenat et ver i cUu s adu.bina M 4 Curuitis 7.ACueiil. Curuatis fcYmfpatijs,flupet infcia turba, D Impubisque manus mirata uolubile buxum Dant animos plagae, minime trochum cfTcur uolucrimt nonnuIli,ficuti,& excrcitatio il- hviuae hodic fupra ligneas tabulas pannis contcdas una cum li- gncis pilis efficitur,& truchus nuncupatur,trochi antiquorum apud mefimilirudincmparuam gerir.Nam rrochusprimoin publicisgy mnafijs,alijsue locis peragcbatur.Secudo is annulufcu annuios ha- bcbatftrepitumcdcnrcs, ur homines pcrviamambulantcsfonitu audiro longius ab incurfu trochi cauerenr. Poftremo ex aere con- flabarur,atque clauem aduncam habebat.quae omnia nec fepara- tim,nec fimul in rurbine/eu rrucho noftrisrcperirisefusipfe docer. urmcriro crcdcre debcamus,ab hislonge diucrsuantiquorumtro- p chu exflirifrc,quem(vtcgoputo,apprime repraefenrarhaec figura. a Ligorio ad nos mi ffa^quam fc cx forma in vctuftiirimo,atq.'ampIif fimocuiufdamComici vcl Saryricipoctac monumcnro cxprdrain uia Tiburtina.ppe Romaaccepifreretulir.nifi quodpraerer annu- los denresquofda circuIoinfixos,&: mobilcs monftrat. quos adftre pitumaioremedendumappofirosfuifrc uero confonar. Trochum aute cu Horatius inrer excrcitariones connumerer in arre poerica, Jndoctusq. pilae ydifciuCy trochiue quicfcit, 'HS ipiff^^ rifum tolLant impune coronae : Cumque Propertiusinter gymnafiorum cxcrcirariones rccenfeat: procuiaubio ad gymnafticam aliquam pcrtinuifrcconfcntancu ra- tioniuidctur.&: ob id cum ncquc milirari,ncqucathlcricac iurcat tnbui qucar, fupcrcft nicdicinac ^ymnafticac cxcrcitarioncfuiflc, et illiuspracfcrtim^Cipucriscxcrccndisopcra nauabar.IWscrtamc cxillimarictiamadmilirarcmaliquopadopcrrinuifscquod rcfc- rat Ammianus MarccUinus li. 2i.iulianQ Cacf. apud Parifios uai ijs fcfc cxcrcuifsc motibus in campo, ^ inrcr alios quodam qucm du faccrct axiculis quis orbis crar compaiiinatus in uanam cxcuds an- famrcmanlilsc illam,quamrcrincnsualida manu ftringcbarrcxquo loco Turncbus fummi ludicij, &: crudirionis iurc ccnfuit ciufmodi cxcrcitarioncfuifsctrochum.Hisdillimilcmformahabctcxcrcita- tionis illud gcnus,quod,non multis ab hinc annis in Rcgno Ncapo g litano inucntum,hodicq. in uniucrfa fcrc Europa ufitatu, apud Ira- los Pilam &: mallcum uocanr.in hoc crcnim primo brachia, &: dor- fum cxcrccnf,qn mallcis ligncis pila ligncam longc pcllcrc cogun- tundcmum cx ambularionc,quac rali cxcrcirarioni pcrpctuo afso- ciatur,ca commoda fcrc rrahunrur,quac anbulantcs homincs pcr- cipiunr.urhisrationibus, licct antiquum non ht,minimc contcmni mcrcarur. quamquamaliquisanriquoscriamhaccxcrcirarionc no caruifsc forfan contcdat,cum apud Auiccnnam inrcr cercras cxcr- locckxdt cirationcsunumnomincrur,quod uirgis rcrortis divflis alfulcgiaa cumpilamagna,aurparualigncacflicicbatur,quasconditioncsap primc noftra pilamallco conucnirc unufquifquc uidct, nili alias ta- cucrit Auiccnna,quod fuo rcmporcnotilfimaccf^cnr. C Dc Equitatione. Cap. IX. ACTENVS cas cxcr^ irarioncs profccud fumus,quas homi- nesafcipfis cirra alrcrius rei adiumcntumobibant. Supc- ^ ''^•ft modo fcrmoncm habcrc,in quibus homincsqui- dem fponrc,^ quodam modo libcic moucbantur,ar coru morus al tcrius moucnrisopepcrficicbantur.quod cnim Galcnusiftis duo- ^.dtuva. bus addidir gcnus cxcrciiarionis a mcdicamcntis favTtum, minimc adinftirutum noftrumpcrtinctridcoilludfempcrdimifsumhacra tioncintclligatur.lntcr haccpoftrcma primum locumiurc fi')i uiii dicat cquiratio a Graccis mcdicis iTTTrccaU uocara, ncpc quac cctc risdignior/ir,&:Iibcrumhomincm,urfcriprir in Lachctc Plaro,ma ximc dcccat,nccnon vrriufq. cxcrcitationis naturam, illius fciliccr, quae anobisipfis,&:iIlius,quacab alijs in nobispcragirur,fccundu Galenifcntcntiamfapiar. Equitationisprimuminucntorc Jicllorophontcm exftitifse,auaor eft Plinius.poft Bellorophontem Thefsa- D li.xc. y^. |- j j Centauri nuncupati cquitationc in bcllis uti coepcrunt, q lib.^ acre paullatim ufq. adeo creuit, ut Hippocratis tcpore ocs fcrc Scythae aquis&io cquisucherentur.quicumob afliduas equitationescoxarum dolo ribus cruciarentur, per uenarum poft aures incifionem ab ilhs cu- rati,ad coitum ualdc impotcntcs cuadcbant; quamqua multi erant infaccunditatcm eam a Dijsproficifci fufpicaics,quos Hippocrates redarguit, quod diuitcsfcmpcr dijs amici, pauperes uero minime fint,(ut etiam Ariftoteles id ab Hippocrate mutuatus confirnuuit,) i.Rheto. g^pi.optereaacquumfuifsepotiusinopes,quam opulentos eouitio corripi, cuius tamcn contrarium cucnicbat.Poft Hippocratis tem- pora cquitatio fempcr, quemadmodum in Hippia a Phitone tradi- tur,in maxima exiftimatione habita fuit,^ iccirco omnes gymnafti caefpecicseam inter rehquasfuascxcrcirationcsrecepcrQt. Nam ^ quod in circis 6c ludis maiores noftri equitationis cerramina adhi- berent,praeter01ympicosIudos,inquosuicefima quinta Olym- piade equorum curfus certamen mdudum iradunt;tcftatum face- repofsuntquatuor illac Romanac faCtioncs.AIbatifciiicct, Rufsa- ti,Vcneri,&:Prafini,quae tum in circis,rum in ludis,ac alijs cqucftri buscertaminibusadhibirisequisjfiuc ad equitationem,fiueauriga tionemfemperccrcabant^tantumq. ftudiuequis oprimis eligendis, ac parandis cxhibebant,ut Galcnus dixcrit,Vcnctae,ac Prafinae fa 7. Metho. ^^iQj^i^ homincs ctiam ftercora cquorum odorare folitos,quo cx il- lisanimaliuhabirus,atq, tcmpcraruras internofcere,&:cognitisin- de mclioribus uti ualcrcnt, fi quidcm harum fadionum conrentio- ncs potiundi uidoriae cayfla talcs crant,quae ncc uUis fumptibus, p ncc vllis laboribus ac ftudijs parccrc qucmqua pcrmittcrcrreo ma- gis qd' totaurbsquafiquadripartita crat,alijsuni,alijsaltcrifa(ftio nifaucntibus^nec ullapnrs ciuiratis repcricbatur,aur ullushominu conucnrus,in quibus ccrraminum temporc dc huiufcemodi fadio- nibusaur ftudiofiflime non difccptarctur,autfaltcmfermonon ha- beretur,quemadmodum *ex Plinij lexta noni libri Epiftola,atq. his Marrialis ucrfibus quifque conicfti.ra afscqui potcft. lib.n. Saepius ad palmam Vrafinns pGjl fata l^cronis VtruLnit,& viitor pracrnia phira nfert, I nunc liuor cdax, dic tu ceffiffe T^crom . ficit nimirum non l^ero, jcd Trafmus, Dc Vrafvio co/iun^a meas, enetoqiic lonuetUY ^ 1S{€V fadcht-qucmciuam pocula no^lrateum . quamquamluuenalis maiorcm Romanae ciuitatis partem Prafi- nacfadio- 16* B A naefacrionifuifsctcmporcfuo, quando Maitialis quoque flomit, teftari uidcatur hisucrfibus. Touvi hodie l\omam CircHs capit, et fr-ignr aurem TercutityCMcntum viridisquo colbgo pMin. T^am fideficcret, maeftjni,attvnuamrjue vtderes Hanc v)b(tn, veluti Cunnarum in fulucre vMiS Confulibus. Has ucro in f aucndo diucrfis fa(ftionibus hommum acerrunas con- tcntioncs indc ortas fcmpcr cxiltimaui, quoniam Romanorum quorumhbctucftimcntaqu.ituordumtaxatcoloribus tcxcbantur, vclrubco,vclalbo,ucluindi,uclucncto,icdpraccipucrubc()ma- gis fufco, ut Martialis hifcc ucrlibusindicat, dc Canudna lana ru- bca tufca fcrmoncm habcns, I{pma magis fufcis veRitur, Cj//m ruHs, lib- M. EtplaccthicpHcris, miittbiisivicculor. &:obhocquicumqucci ta^ioni taucrc cogcbarur.quacfibi fimi- lcm colorcm profitcbatur . Etfi huic fcntcntiac rcclamarc uidcan- tureaOuidijucrba. Cuius equi venicnt,fai.'.toftudiufc requiras,,. je jrte XVf mora,quifiuis etic, cns fauet illa,fau'. auundi. Scd dc equitationc ludorum,&:fpcaaculorum,quam et arhlctica uocarc licct,plura non dicam : quoniam cruditillimus Painiinus lu- culcntirtlmc fimul,& copioliilime iu libris dc ludis ^iuos iam cdcre parat.uniucrfamhancmatcri.im pcrtradauit. Ad bcllicam gymiu- fticam acccdo.quam ad acquirCdam cqucltrcm pro bcll-s difcipli- nacquitationiscxcrcitioulamtuifclocupIctilhmctclbtuscflPIa- y.Jdcg. to-ubi non modo uiroscquis armatos,acq. incrmcscxcrccri fiatuit, r ucrum pucllis quoq. talcs cxcrcitationcs iniic concclTif, cafq. intcr cctcras bdUcacgymnafticacfpccics, fiuc partcscuidcntcr collo- cauit ficuti Xcnophon paritcrfcntiieuidctiir.apudquc ilchoma- chusuitac fuac rarioncm Socrati cxponcs fic loc|Ufnr:;/tTa A t« iuoarxrw rxts ^ r£ w»Ai/Aii «fxyKxicM iTTTTXirixts o vTt TcxxyiDV ovTt kxtko - rm,^rrr.rx £ R Trai-T*,^o; JJ,x«^.Tr^. lioc cft . Pcrlunoncm olfchomachc fic agcndo ni.h. placcs,quandoqi,idem uno tempore coJlcdim fanita ti, atq. robon acquircndo opcram nauas, nec non ad bclla te exerces, diumj/quc accumulandis inuigilas, quae omnia admirarione digna nnhi plancuidcnrur. Exhiscnim,&:Ifchomachi, &:Socra- tisfcrmonibusclarillImumargumcinumcIicirur,antiquosadbcl- Jicas dilciplinas comparandas cquirarionibus ufos.Quod uero me- dicorum gymnalhc cquitarioncs ad nmiratem rccupcrandam tuendamuc, nec non ad oprimum corpori bus habirum ingeneran- ^^'^"' fcdimonium fufficcre dcbeicr:qui inrcr rdiquas gymnaftr E cac exercirationcs minime infimum locum eam obrincre, cum nc- dum corpus fcd etiamfcnfuscxcrcear,fcribit:ni/Iquoquc Anrvlli LoccKac. Act«j,&poftremo Auiccnnae comprobatio acccderct, qui tam n'rrr "''^'- opportunas cxcrcirarioncs rcpo- luir.nam&GermanicumTiberij hnpcraroris ncpotcm, cumcru- rum renuirate dcturparcrur, cquirationc a medicis impcrariHam curafsc mcmonae prodidir Suctonius:ut hoc excmplo pcrfuafi cre derc debeamus, cquirarioncm ramquam utililllmam a mcdicis fcm pcr magnopcrc cxiftimaram fuifsc:quamuis et apud ipfos ualdc re- .ZllZT,"^ r V"" "^l"^ "chcrcnrur, et iJlis an gradarijs, aa afturconibus,an fuccufsatarijs,an concurrcnribus:quorum omuiurn diuerfas operarioncs fuo loco explanabimus. F DeCumliruefjiatione. C I X I M V S duo cfsc cxcrcitarionum gcnera, alterum in quo homincs a fc ipfis folum moucnrur, alrcrum ab alijs, hiic, ut Anftordis morc loquar,alrcrumin quofuapte natura,a!rerum in quo alio moucnrc fcfc cxcrccntcs mo ucnrur Dc primo fupcriustradauimus, dcalrcroquod geftatir a Cocho Aurchano: &: Plinio communi nominc, ab Antyllo, Herodoto, GaIcno,aIijfqucantiquioribus mcdicis Graccis diiex » de tfie ^^•^"'^'^»^"^ "«^rl^-i ^^accrc polhc.ti fumus : atquc iam de ^^:^- cq"'^^"'0"c,quamGaIcnus mixtum motum fccir,fc.-moncmex. • phcau.mus. adal.a.gitur rranfcuntibus primakfcoircrrin curri- bus ue^tutio,quam antiquillimam fuifsc, ncmo inficiatur.fi quidem ut  171 A vt Ar^ti uetuftiis intcrprcs tcftatur,primu5, ciui equos curribus iun- xerit fuit Ericluhonius, quem ob id intcr caclirum imagincs rclatu fcribit Maniliusprimoallronomicorum. Porroforma,&: modus curruumdiucrfusexftitit.Nam Pliniusmatcriam cunibus faciun- dis idoncam abietem probat, rotarum ucro axibus Ilicc, fraxi num, atque vlmum . Vnde elicitur uetcrcs cx huiufccmodi lignis currus fabrica(Tc,qui prioribus illis facculis duabus tantum rotis conllrue- bantur.alias duas audtore Plinio addidcrunt Phrygcs. Scythas po-^^-^-cj^ ftca ct fcx rotis currus conftruxilTc mcmoriac tradidit uctuftilfimus j-^^ ^^^^ auctor Hippocratcs.quae rotac Homeri tcporibus ftanno ornaban- aqui$ et tur,at porterioribus facculis no modo rotas,fcd tota uchicula cborc ||'^*^*^ ornatafuilVe,legimusapud Plautumin Aulularia,ficuti Plmij tcpc- ftate tota efTeda atq. uehicula auro,ac argcnto indgnita confpicie- B bantur. Varijs practercarcbuscoopcrtafuilTcucrifimilcuidctur, plcrumq. autcm pcllibus,qucmadmodum in probl. Romanis fcri-* ptum reliquit Plutarchus : licuti aliquando equis,aIiquando mulis, aliquadobobusintcrdum uirisagifolita lcgitur.Quin Hcliogaba- jnu^J^j^^g lum non modo uaria,3i: moftruofa animalia,(cd ctiam fbcminas nu- liogab, das curribus iunxinc,ijfquc ipfura ucdum c(fc,tradunt.Hacc porro geftatio in currib. facta olim Romac inter mulicrcs in maximis de- licijs habcbatunad tantumq. luxum aliquando pcri!cnif,ut cas ipfa vtifenatufconfultouctarc,coacii finr Romani. cuius rci gratia cum muliercs ira percitac inter fcfc confpirallcnr, nc qua eorum conci- pcrct,ncue parerct, atq. ita uiros ulcifccrcnrur, Romanos muraffc fcntcntiam,a:q. itcrum illis curribus uti permilifsc,fcrip:is manda- uit Piurarchus . In quibus dcinccps nc fcdcrcnr, ncuc cquis pcr ur- C besuchcrentur. M. Aurclius Anroninusphi[ofophus,matronarum confulcns modcftiacdcnuo prohibuit. Ncq. minus apud gymnafti cos haec ipfa geftatio acftimaia n pcrirur:quado,fiuc ]udos,&:facra ccrtammafpcdtcs, fiuemcdicorum librospcrfcrutcris,inomnibus ca uhrata apparcbi t.Quis quacfo nefcit nona 6c nonagclima Qlym- piadc curruum ccrramcn in Olympicos ludos inucCtum. Quis igno ratSynoridas,quibusanimas nollras Platoin Phacdroclcgannin- mc alfimilauitjncc non bigos, quadrigasuc curruum gcncra in pu- blicisfacrisfrequcntcrcerrafsc?quodpoftea ftudium ira apud Ro- manosexcultum,arqucau6tumfuir,utpauca,ucl nuUafcrcpubli- cafpcdacula edcrcnrur, quin curruum certaminibus honorifica praemiapropofita (pcctarcnrur . OJb quac rcfcrr Plinius in quadri- ^'^-^^.c.t garumcertamine,quod Larinarum fcrijsin Capirolio cclcbraba- rur,pro pracmio uiftorcm abfmchium bibcrcconfucuilfc, quafi fanira- fanltatem inpraemium dari ualde honorificum arhitrarenturma- D iores. An vcro gratia bellicae difciplinae adjpifccndae ucaatione in curribus utercntur ueteres, nil certi affirmare audeo . Exiftima ^ paed. tamen cum ab Homeri aetate vfque ad Xenophontis tempora, at- queetiapoftenoribusfaecuIisperduraueritmos,utinbeIlisecur- ribus quoq. dimicarcnt,quemadmodum in equitatione exerceba- tur,quofierent bcllisgcrcndisaptiores: fimiliter&incurribusfe exercerc ucteres confucuifle, ne, cum pugnandum erat, tamquam inexercitati J&: diuerforumagendi currusmodorum expertesfu- perarentur. Cctcrumquod medici gymnafticifimilemuedtatio- nem tam pro fanis conferuandis, quam pro aliquibus aegris curan- disinufumrcceperint, clarillimc tcftatifunt Galenus, Antyllus, h^Yil  ^^q^Auicenna : qui non modo eam inter gymnafticae uerac exercitationes reponendam volueriinr, immo et febrici- E tantibus (quod paucillimis exercitarionibusattributuminuenitur) tamquam maxime commodamcclebrarunt. huius etenim quaii vafrn^altcru,inquahomincsueai va.cii. fcdcbant.alreruinquoiaccbanr.atqueutraquchaccraroinurbe, frequcntiflime per uias, &: extra urbem pcragcbanrur. iccirco fcri- In probl.ptum eftaPIutarcho, Romanoscoaaosfuiflcin Scptimontij fefto ^o^- prohibcre, ne ea die vchiculo uti liccret, ut vrbs,&: fcfti celebratio non relinqueretur. Nunquidautemfanifimul,&:ualerudinarij in ijfdemuehiculisexercerentur, indicafle mihiuidctur Herodotus apudqucmlcgirur, febricitantescurribus, qui manu ducuntur, ' ncc non bigis geftari foli tos, atque illos a pi-incipio pcr triginta fta diamoucri, deindeca conduplicare; hos a ftadijs triginta, aut quadraginta initium duccre, &: ufque ad fpatium altcro tanto P maius progrcdi confucuifle . Sanos ucro omnibus curribus, &: te- ais, &: apcrtis fine ullo difcrimine ufos cfsc, ucrifimile fit : etfi for- tafscprincipcstcdispotius, quam dctcdis ucdtoscredere pofsu- mus, quadorcfcrt Dion hiftoricus, Claudium Caefare du profpera ualctudine utcrctur,caputq. trcmulu,&: manus,ac linguatitubantes habcrct,primu olum Romanorfi vehiculo undiq. obrccto gcftatfi ef fcficuti Pliniusiunior ob oculoruinfirmitatc fc aliqn vsu illo tcfta^ tur Epiftolarum lib.7. ita kribcns ad Cornuru fuum: Pareo collcga,,clariflimc,&:infirmitatioculorum,utiubcs,confulo.Na&:huc tct\o,, uchiculo undiq. occlufus, quafi m cubiculo pcrucni . £x his igitur oibus cuiq. cognofcci-c licct,talcm cxcrcitationcm no minus ccte- ris gymnafticis probara fiiifs?, quippc quos, &c non aurigas moruu ommum cxhac gcftacionc contingentiufaculcares, &: conditiones probe intcUcxifrcfcribir Galcnu Je//a. Cap. X U ECTiCAM, atq. fcllam ob commoditatem potius eorum, qui vcl fcncviutc, vcl morbo impcditi ambularc pcdibus non potcrant,ucl ob dclicias, quibus fcmper homincs llu- ducrunt,inucntam fuilTc^t^ob aliud,non dcfunt qui opincntur: ncc forsa finc ratione;qnquidcm nuUa apparct probabilior caufla, qua indudi uctercs huiufcemodi inllrumcnta cxcogitaucrint, \ quod cquitarc,^ pcdibus ire ncqucuntcs,aliqua rcm optaueriiif, qua do mo cxirc.p vrbcs uagari>iter faccre quam commodc ualcrcnt : nifi dicamus,impcratorcs,Rcgcs,atq. Principcs nc in facicndis itineri- bus a folcui ucnto, pluuia tcmpcrtatc, atq. fimilibus oflcndcrcntur, lccticas,&: fcllas vndiq. obtcgi,6c rctcgi aptas inucniflc,quas alij po ^ ftcadiuitesluxus,ac uoluptatis,fiuecommoditatisgratia,&:pollre- mo mcdici,gymnaftacq. ad vfumhominufibiipfisconcrcdirorum traduxcrint.vtcumq. fit,conftat,quosnupcrrimc diximcdicos,atq. gvmnallas illas ad cxerccnda fiicpc ualctudinariorum,rarius fano- riim quoq. corpora vfurpafle.Scncca cnim Epilt 5 6.ita dc gcllatio- nc loquitur. Agcftationc cum maximc ucnio non minus farigatus,q, fitatumamI>ulaflcm,quantufcdi:laborcftcniin diu fcrri,ac ncfcio, an co maior, quia contra naturam cit; quac pcdcs dcdit ut pcr eos ambularemus,ocuIos, vtp cos vidcrcmus. Dcbilitatc nobis induxe rc dclitiac&quod diu noluimus,poflc dciiuimus,mihi tamcn ncccf fariumerat concutcrccorpus,utfiuc bilisinfcdcrat faucibus difcu terctrfiuc ipfe cx aliqua cauflii fpiritus delior erat,extenuarct illum iaftatio, quam profuifsc mihi fcnfi.Quac ucro tam lcdticac,qua fcN laeforma fucrit,nil itaccrtuhabcf,quin dubitarccuiuis liccat, at« lamcn vcrilimilc cft,in capulumar,&:lcdulum ftratum fuiflc,quo &: iaccrc. 174 JL i B £ k iacere,&fcdere,&:prout Iibebar,quigeftarentur,pofIenr.anm cete D ris fucrit noftrae diflimilis, uel potius fimilis jcredo non admodum diflimilem exftiriflc^nifi quod noftras a mulis,uel equis ferc fcmpcr geftatur, illa antiquorum ut plurimum afcruis kx portabatur, atq. ob id Hexaphoros nuncupabatur, uri ex his ucr/ibus Martialis Lib.s, pcrfpicuum fit,inquibus Afrumquendainpauperem,&:iuueneiu deridet,quod Icftica gcftari uellct. Cum jis tam pauptr quam nec mijerabilis Irus, Tam iuums, qnam nec Varthenopaeus erat, Tam fortis, quam nec cum uinceret Artemidorus, Quid te Cappadocum jex onus effe iuuat ? f^deris, multoque magis traduceris ^fer, Quam nudus medio ft fpatiercforo, 2{pn aliter monftratur ^tlas cum compare mulo » Quaeque vehit fimilem hellua nigra Lybin, £ Jnuidiofa tibi quam fit ledica requiris ^ T^on debesferri mortuus Hexaphoro : fimilitcr &: ubi Zoilum carpit, quod lc£kicam fandapilac fiue fere- tro mortuorum fimilem habcrct. tlh,!, Laxior hexaphoris tua fit le^ica licebit, Cum tamen haec tua ftt T^oile fandapila . Lib.^. Nam exhisliquido intclJigerequifq.poteft,le(flicamferefempcr rcmfulm!^qucm vlum Cappadoces Marrialis, Gcrmanos TerruIIianusadhibirosfcribunt)fiqueinterdumaliquis lcdicariorum numcrum augcre uoluifset, prorinus fuifse norarum, qucmadmodum idem Marrialis indicauir, ubi Philippum qucnda infanum uocat, quod ab odo fcruis Icdica eius ob quandam diui- tiarum inanem oftcntationem pcr urbcm geftaretur, OBaphoro fanus portatur ^uite Vhilippus, F Hunc tu ft fanum credis ^uite,furis . Cumitaquclcdica antiquorum itafchaberet,nonmodoprofedc commoda, uerum ctiam conciliando fomno,dum claudebarur in- fcruicbar,ur luuenalis reftatur his ucrbis. Tslamque facit fomnum claufa lcHica jenejira. tamq. frequcnsillius crat ufus,ur caftra Ie£bicariorum,qui folum gc rendislcdticis, ucl criam marronis in eis dcponcndis,ac gcftandis, ur eft apud lurcconfulros mcntio, dcftinabanrur, pluribus in locis habcrcnrur,in quibus&:iuraipfisdabanrur,&: aliaincaftris ficrifo- litaagcbantur,quamquamlibcrtis omnibus Icsftica perurbemge ftariuerirum crcdam, Sucronij audorirareinduilus, quiClaudiu Impcrarorcm Harpocratilibcrro ledica per urbcm uchcndi fpefta culaq. publiccedcndiius rribuiflcfcribir. ArquifcIIam duplicem fuiffc . J7$ A finffctradidit Antyllus,fiucpotiusciusintcrprcs;aItcrani,Hi qua fc^»'- i-chro. cicbant,c]uac ucl coopcricbatur, ucl apcrta lincbatur,&: a nonnul- lis,ucluti a Coclio Aurcliano,porratoria fclla,ac fcrtorium diccba- turuilrcram in qua iaccbant.primam quoq. tcmporibus noftris ui- dcrc licct,cum podagrici,diuitcs, atq. alij principcs dclicijs nimis dcditiillaquotidicuchantur,quaitcm uiros magiftrarum gcrcn- tcs olim gcftari confucuiflc,atq. indc currulis fdlac, in qua ranrum fcdcbatur,nomcn cmanaflc arbirror:fccundam,in qua iaccbar,non habcmus^quod cgo fciam,nili dicamus lc€ 17:6 Dc Agitdtione per lcCios fenfdes, Gr* ^er cunas faCta de ^ Scimpodio^ Ca^. Xlh VOD agitationcm pcr ciinas, &: Icftulos pcnfilcs, quos d uos fub KhivH^ vocabulo a Graecis complexos fcntio,fo dtam inter gymnadicae excrcitationes recenfere velim, lorfan aliquis mirabitur^cum hac tempertatc cunae io- lis pueris cblandiendis inferuiant,p aucilTimiq. finc, quibus medici pcnfiieslcftulos parari iubcant rucrumtamcn ismirari definet,{i Galenum,Hcrodotummedicum,Actium, &: Auicennamdiligen- tcr icgcrc placucnt : qui cum hui ufccmodi agitationcs inter alias corporumhumanorum exercitationcs adnumerarint, cur amefi- Icntiopraeteriridcbcant,nonuidco. Nam cunas ob pueros po- tius,quam adultos excogitaras fuiflenon equidcm diffitcor,fcdpu-^ to talem motioncm interdum ui ris cum ad lcnicndos dolores, tum adconciliandumfomnum non parum adiumenti pracftarepofse, Oriba lib. u t pracclarc fcriptum eft ab AntyIlo,&: Aetio, apud quos lc6tus fiil^ h^fte. cramobiliaiuxtaangularcs pedcs habensnilaliud meafemcntix fignificat,quam cuna^s ipfas,quas etiam intellcxit Cclfus,vbi dixit,(i „ ne id quidcm eft,uni lcdi pedi certe funiculus fubijcitdus eft, atq. „italea:ushuc,&:illucimpellendus.&:fi Oribafij interpresnomen jtAiF^spro Icdtica transferre maluerit, et iccirco omnes illosprorfus falli crcdo, qui in gymnaftica medicorum eas nullum ufum habe- re cenfear. Quibus fimilis quoq. eft exercitatio illa puerorum,duni in vlnis a nutricibus geftantur, quae ic a medicis, &: a Platone pro ^ ipforumualetudine miruminmodum probatur. Eadempropeeft U.'2.^.ca.3. tamlcquiavulgatae,&:omnibus manifeftae clsent . Quaetemporibus noftris cum a plerisque ignorcntur» opcr^e opcrnepretlum me fadurum fpcro, ii bi cuiicr, qujd fcnrio, in mc- dium artcram . Kam ck* lcchilispcnlilibL.sqi-ev piiinum ab Afcle- piadc cxcogiiatos rradit Plinius, opinor cosruiflclcctos quofdam^ ! paruosmodo c\'ligni:>,modocx acrc, modocxar^^cnro (maiorcs nollros criam argcnrcos lcrtcs babuifle A ripfir Plinius) conftru-^*^-^^^-^ (ftos,qui quatuor angulis runibiisadcubitium Inqucaiiaalligaban tur,ita ui rcrra fubla'^i aliquantulum,qua{i in acrc.pcndcrc uidcrcn tur.Balncafimihtcr^f^enhlia a Scrgio Orata,tc(lc plmio^primum in- lib.^.c.r^ iicnra,non quac fuprauClAtkbanr^ai^rconcamcrata l(>ca, ut uoluc runr aliqui;,lcd nuIlaa!iat"uin*ecrcdo, qiiani labra illa ucl marmo- rea, uclacnca>ucl Ifgnca^ad lcc>ulorum imirarioncmlaqucaribus appcnfa, quo mmimo qucliber manunm impii!fu,a!ias!enitcr,a!ias uchcmcnriusagirari ualcrcnr. quod Scnccaad LuciIIum fcribcns B nobis manifcrtauit hisvcrbis. Jjalncarum fnpcnfura inncntacft: nequid ad lautitiam dccflcr . His igirur moribus quolcumque cxcrccri mcdici praccipicbanr, huic uni porifTimiMn iludcbanr, yr morum citra Jaborcm, Jalfirudmcmic ullam aflcrrcnr: dcin- cepscurabanc.nciniexcrcirationc iliaiucundiras dcliderarcrur, quac profcLlomaglia in lcflulis, armaximain l.alncis rcpcricba- tur, ncmpe quac pracfcr luauillimum iHum morum,aquac dclc- diaiioncm addcbanr, dum ca molliiTMic, blandaquc ntillarione quadam (ingula corporis mcmbra rangcbanr. fi namq. balnca pcn- filia eafuiflcinrclliganrur, qunc fupratcifta ficrcnr, quomodo in illis maior illa uolupras, ob quamlccundum Scnccam&: Plinium excogirata tucrunt, rcpcrircrur,quam in alij5>,non uidco . Dc pcn- lili lccto dixir Hcrodorus, gcftarioncm in illo t.imdiu facicndam C cfsc, quadiu quifpiam in fclla gcitaius quadraeinra Itadiorum ircr conficjcbar.alrcri ramcn ciufdcmaucttorisfcnrcnriac hbcnrius ac- quicfco>vidclicct huiufccmodi cxcrcirarioncm,quatacfse debcat, facile numcro dcriniri non pofsc. quod non rantum in his, fcd &: in omnibus alijs fcnrio obvarias, acdiucrfas acgroranrium affe- itioncs, quibus non cadcm vJlo modo conucnirc* pofsc, oinncs vel mcdio critcr in mcdica arrc pcriri uno orc pracdicanr . Lcftulo pcnlili fimilcaliud inflrumcnrum uctcrcs habuilsc iiuicnio,quoJ QKitiTriJ^m Gracci, fcimpodmm Larini codcm vocabuloappclla- runt. huc licctnufquamappcndcrcnr, crar tamcn vcl lcdtuspar- uus, vcl quidinformam lccti pcnfilis conftrudum : arquc ipfopcr Yrbcs,& pcruias ram uiri quam muhcrcs gclbbantur,ur Dion hi- ftoricus dcmonftrar,fcribcns,primo Aug'iliu,ac Tibcrium in fcim- podijsquandoq. uchi folit05,cuiufmodimuIicrcs rcmporcfuo gc- N 2 Itabanrur, 178 L 1 £ R ftabantur, fecundoquod Seuerus, dumBritanniamobirer,fcimpo- D dio undiq.obtcdoferebatur. Ceterum quahshuiusinftrumcnti figura exftiterit,haud fatis conftat: putandum cft tamen fellam f uf- fe ita fabricatam, ut ledum plumcum paruum caperet,ita ui nxftum, utpenderc viderctur, inquofinonpenitusfaltim exaliquaparte, qui ferebantur,iacebant, &c vndique^ ne ab aeris iniurijs laederen- tur, coopcriri poterant. hoc intcllexiffe meo iu dicio uidctur luue- nalis,cum Crifpinum quendam mordcns diccbat. Sat. I. dedit crgo tribus patruis aconita, vehatur Venftlibus plumis, atque iliinc defpiciet nos ? dc eodcminterpretanda efthaec infcriptio quam mihideditAl- dus Manuiius Paulli dodiffimi, &: eloquetiflimi filius cruditiflimus, quamquc Parma ad Andream Naugcrium olim allatam retulit. E D. M L. AEMILI. ViCTORI. QVI. PRI DIE. NATALEM. SVVM VICESIMVM. ET. SECVNDVM. PRVNA. I N. PENSILI POSITA. VRGENTE. FATO. SANVM. IPSE. NECA- VIT. SE. L.AEMILIVS. VICTOR. PRINCIPALIS.ET AELIA. VENERIA. FILIO. PIENTISSIMO E T. S 1 B 1 Mcth. neque aliud fignificauit Galcnus, quando balnea ingrediendi mo-dumhedicispracfcribens haccfcriptismandauit: ccggCfjsoOt/rccSQu-^ TioiAcci Ko^i^^ai ^iv \ial rov cmiiATroJ^o^ltsriHcchccniou, idelt, aegrotan- temuolo portariin fcimpodioadbalneum. nequealiudLibanius Li.j^.c.io rhetorin librodefuaipfiusvitaintellexir, dumdixit:cLidomi fum, F in le^to iaccoivbi vero in fchola,in fcimpodio.ficut etiam idem in- tellexi t GcIIius,ubi fcribit, fe Frontonem Cornelium pedibus gra- uitcracgrum infcimpodioGraecienficubanteminuenifle. Patet itaque non modo ob delicias,atque uoluptates a maioribus noftris iedlulos, ac balneas penfilcs, nccnon fcimpodia ; uerum ctiam, &a medicis gymnafticis ad cxercenda valetudinariorum corpora vfur pata fuiflc . Quale porro fuerit inftrumentum illud machinamentu li.3.c.^.& raptorium,&: macron fparton a Coelio Aureliano uocatum,quaIii- 11. y.c. yJt. apud eundem rccufsabilis fera Italica nominata, quibus duo- bus geitabantur, nonduii) mihi plene compcrtum eft, cum a nullo alioau(5loreipforum mentionem hucufque faitaminuenerim. nifi tucrit. utfupra diximus,petauruii>, uclpotiusfic Coelij contextus deprauatus. De O^AUigiitiotiey Ti/cAtione. . NTER gcftarionisfpccics,quacplurcscxerccndis cor- poribus cxftitcrunt, nauigationcm quoq. rcpofuit An- tyllus, quem fccurus Aerius, 6i poft cum Auiccnna ma- nifcftccampro cxcrcirationc habitam dcmonftrat; id quod utriqucnon ramabcxpcricnriamcoiudicio dclumpfcrunr, cjuam ab antiqua diuini Hippocraris fentcntia, qui nauigationcm &: moiicrc corpus, pcrrurbarc dixir. ni(i quod Auiccnna nauiga- 4.Aph.i4 tioncm inrcr dcbilcs cxcrcitarioncs adnumcrauir, Hippocratcs ue ro eam corpus magnopcrc pcrturbarc afscrir, id quod potius uche menris quam rcmilli motus argumcntum vidcrur . Hac nauigatio- nis excrcitarionc duas pracfcrtim gvmnafticas, fcd non admodum B ufasinucnio, mcdicam fcihccr,&: bclhcam . Mcdici ca utcbanrur ucl ad ahquorum fanorum habitus confcruandos, ucl ad nonnul- lorum acgroranrium fanirarcm comparandam, ad (anos urcbanrur nauigationc,quod(i!t ab Ariftorclc fcripnim cft) marcob placidas i partjV. afpirarioncsfalubriratcm inligncm facit,undc nauiganrcs fcmper ^^^^' ^^* coloratiores exliftunt,qu;im m paludibus dcgctes.Ad acgroros uc- ro,quoniam idcm humorcsputridos, ac nocuos rum uomitu,qucm frequentiftinxinfucris praefcrrim parir, rumucnris,ac vaponbus ficcisex/iccare narum cft.quare dicebar Auiccnna nauigarioncm 3'''^oc.i, leprae,hydrop](i,apoplcxiac, ftomachi frigidiratibus,nec nonin- flarionibusciufdem magnopcrc prodcfsc. Plinius ucro&phrhifi-Jj^P '* ^ cis,&:fanguincm excrcantibusadiumcnrum afTcrrc Annaci Gallio * nisportconfulatum iracurati exemplo rcfta^us cft . qu: ircmab hu- C iufccmodi affcclis Acgyprum peri non ob rcrram ipfam,fcd pro- prer nauigandi longinquirarcm ccnfuit ; utcriamcius NcposPli- nius fccundus ZofJmum libcrrum fanguincm rciCLtanrcm co fc mi- ^ ^ ^pi^* fifse,&: confirmarum a ualerudineredijfsc narrar. quamquam au- dor illc nomine Plinij falfoinfcriptusin libro i.dcrc mcd. Icnfc-^-*^'^- rir phrhilicis utiiius c(sc in faltibus m( rari, ubi pix nafcitur,qua in marinauigarc&cmarinaloca uifirarc. quod etiam tradirumcfta Marccllo mcdico. nam &: Galcnus ix.dc linipl.mcdic.ubi dc rcrra Samialoquirur, mcmorar, multospulmonc vlccraros Koma obid in Libyam profcclos, annis aliquot inculpatos uixifsc, poftca ucro morbum recruduifse, ubi non pari cura uuicbant . Modus in naui- gationc ualcrudinarijs obfcruatus /ic ab Hcrodoro dcfcribirur, ^ .^, quod afcxagintaftadijsincipicbanr, i?cin duplum Iiorum dclinc- banr.Porro luuiijationis plurcs fucrunt durcrcntiac, quando aliac Oynwtilica^ N J in iso in mari,aHaeinfluminibus, aliaeinmagnis-, aliac rnpaf uisnaui-a bus,aliae remis,aliae remulco, aliae uento, aut uchementi,aut pla- in lib. de cidiorefiebant. De nauigationcperflumina traditumefta Plutar- ^^aufliiua» cho, cam minus naufeam producere, quam mare, quod tam odor, quam timor c maris adfpcdu proficifcenres corpora pcrturbant,ar- qucfic uomirumcicnt, quae resa fluminibus minime contin^it. conrra Coclius Aurclianus in inueteratis capitis doloribus cctcris practulit longam pcr marianauigationcm> quoniam (vtipfe in- quit) fluminalcs, ucl portuoliic nauigationes, ncc non ftagnorum, incongruac iudicantur, nimirum quae caput terrcna exhalatione humcclantcsinh*igidant,maritimacuerolatenter,atq.fcnfimcor- pus apcriunr,&: falfac proprictatis caufsa corpus adurunt, atq. eius habirumquadammutationercficiuat.Hicigitur fuitapud gymna- fticosmcdicosnauigarionis vfus, quam paritcr bclUcacftudiofos E amplcxos fuifse diximus. quandoquidcm Naumachiac illac, quae a Romanis in circo,uelaIiquoterrae finuprope Tibcrimmanufa- &io tali cxcrcitarioni dcfignato rcpraefentabantur, fuerunt qui- dcm ad populum obIc(Sandum (ccundum aliquos praccipue infti^ tutac, qualcs ilhicquas ab impurilfimo Hcli ogabalo in Euripis vi £.Y vrbe ad marc huc prodimus pjbuiituyyt, procxcrcitio Gymna(lico,&: Palacftrico hoc habcmus.quacta- mcn pifcario cum a Plaronc improbara (ir,quod ncquc animus.ne- In fopnift quc corpus in ipfa cxcrccarur, lurcmcriro cam ramquam nulli uri- Jcm omncs fcrc gymnaftici rcicccrunr,nili quod ^jalcnusipfam in- i.itu $5. tcrcxcrcirationcs,quac limul opcrafunr,rcpofuifsc uidcrur, iicut ^P-'« et Auiccnnaingrcdicnrcm pifcaroriasnaucs dcbilircr cxcrccri cc- fuir. quorum fcntcntias duabus dc caullls infinnas rcputarc debc- mus,rum quia ncurcr corum cxplicatc, quid boni affcrac pifcario, Q declarauir,quali excrcirationcm huiufccmodi non admodum pro- barcnt > fcd communcm porius quandam fcrmonis confucrudincm fcqucrcnruri tum quia ipfcmcr Galcnus pifcatorum habitus du- ^ ros,arquc aridoscflc dixic.cuiusaridiratis rarionc Ariftordc pifca- mcd^mL tores marinos pilis ruris pracdiros cfse anrca fcripfcrac.unde mcdi- 3» p^rtic ci,qui bonum habirumcorpori cxcrcirarionibusacquircrcftudit, - quomodo durum, ([^aridumcfticcrcpifcarioncuclint,non uidco ; pracccrquam quod cunctac propc pi(carioncsfub(olc,&:inlocis facpe maloacrc plcnis pcraguntur, una cxrcpra maricima : ut his omnibus crcdcrc cogamur, pilcationis laborcm mcdicos parui aelhmafsc. Ncq. ramcn dcfucrunt Jnipcrarorcs,qui cxcrciratioius cuiufdamgratia inrcrdumpifcarcntur,ccu dc Cacf, Auguftofcri- prum cft a^Sucronio,6«: dc Alcxandi o Scucro a Lampridio, dc (luo ira fcribitrVfus uuicadi cidcm hic fuir. piimum, i;t /i faculLis cfsc r,idc/lli cumuxorc non cubuifscr.marurinishorisin hu i'; fuo,in quo N A &:d:uos «2  et diuos pnncipes,fed optimos eledos,&: animassadiores,;m qucis et Apollonium,&:,c[uantumfcriprorfuorum temporum dicir, Chri- ftum,Abraham,&: Orpheum,&: huiufcemodi dcoshabcbar,ad Ma- iorum effigiesfacrafacicbar. Si idnonpoteratproloci qualitarc, vel vcd:abarur,vcl pifcabat,ucl deambulabat,uel uenabarur. Haec Lampridius.Quid aurem fucrinr pifcatorij ludi,qui quotannis mcn fe iunio rrans Tyberim a praetore urbano pro pifcaroribus Tyberi- nis,au(5tore Fcfto,agebanrur, nonduin ira cerrus fam,ur turo affirma re queam,arhlericam gymnafticam, cuius ludos fui(se,diximus,pi- fcationis exercitium habuifse. De Natatione. V. AGNA,&:fereincredibilis apud ueterefuitfemperna- tationis exiftimario, tanrumque per plura faecula illius vfus uiguit,utnonminus pucri narandi arrcm, quam primalirrerarum elcmenta edocerentur. quotempore cum nullamaior ignorantiae nota inuripofset,quamdum aliquis nec lirteras,nec natare fcire diccbatur, fadum fuit,ut pofteriores il lud in prouerbium conrra bardos, &: prorfus inerres continuo recc perint, adhucq.iraloquediconfuerudopermaneat,quando naran di peritia,fi non eofdem honoresobriner,quibus anteadtisfaeculis afficiebarur,falrem nec penirus neglefta, nec inurilis iacet . Ratio enim, qua impulfi maiores noftri narandi fcienriam ranti fecerunt, haecunaiudiciomeoexftirir,quodprimis illis remporibusapud 5c£^^^ rcfpub.quafcunq. viri fortesprac caeteris,ut fcribit Ariftoreles, ho Prob.y.& norabanrur,qua(i ab hisloIis,&ciuitatum filus,&: imperij propaga 2.Rhc.c:.4 ticpendc rer:&: ob id quifq. uel faltem maior nobilium, arq. eriam aliorumparscomparandaeforrirudiniufque aprimis incunabulis incumbcbat . Quocirca,ut in naualibus quoque pugnis,quae runc frequcnriuscommitrcbanrur,in rranfeundis uadis,ac fluminibus homincs nandi arti confiii pcricula magis euadcre pofsent,mi- nusucformidarcnt, (quando facpcnumero milites mare ingrcdi coadi ob nandi ignoranriam fuffocabanrur, qucmadmodum exer- Dc Cyri cit^-^i ^yi*i cucnifsc memoriae prodidir Xenophon ) ficq. forricres minons jntcraquarum pcricula ficrenr,natarionispcritiam exrulerunr;qua «^pc^i^- ctiam rarione Komani uerercs,ut Vegerius fcribit,quos ror bclla,&: continuapericula miliraremdifciplinam docucrant,campum Mar llb.i dcrc tium Tybcri vicinum dclegcmnr,in quorum alreroarmorumexer miii.cio. citationcs inirenr,inalterofudorcm,p-uIueicmq.diIuerent, acfi- mul  if, A mul natarepcrdifccrent >uthisrarionibus,ac VcgcrijauAoritate facilc lit iudicatu,militarcm gymuafticam nat.mdi cxcrcjtacione noncaruifse. Cctcrumpoflcnori tcmpore non modonaranoob difusrationcsufurpatarcpcntnniicrum etiamob ualctudinis con fcruarioncm,nonnullarumquc adcdionum curationcm mcdicis gy mnallicisipfiim probatam hiific Antyllus tcftatum rclic|uit. q:i". J itcmfcnfillc uidctur Galcnus inprimo ad Glauconcm,ubi Libo- ranribustcrtianafcbrc conccdit,utungantur,&: balncum ingre- diantur, ibiq. madcfiant,&: li uclint, ctiam natcnt . Qiiod cnim na- tatiocxcrcitationisloco habita tucrit,practcr Oribalij ^uidorita- temdccaintcrcctcrasexcrcirationcstradantis, &:alauationc,dc: qua libro pollca dccimo fudirunc fcripiit fcparantis, ipfa qnoquc ra tio pcrfuadct, ncmpc quia in huiufccmodi morionc infignitcr uiii- B ucrfum corpus,&: mouctur,uc duobusmo- disnatabant, ucl inpifcina,qLiam m frigidario luifsc /upcrius dc- monftrauimus: (tamctfipifcinasapud Varroncm,&:aIios La:inae C linguacauvftorcspropriclocapifcibusalcndis, ^faginandis dica- ta fignificarc crcdatur)ucl in labris illis amplis,quac adhuc Rouiae uifuiitur . Qu^od in pilcinis, quac in frigidario tlicrmarum acdifi- catae erant,quafquc thafio lapide aliquando circundiitasfuifTc tra dit Scncca,iiatarcnt,omnium clarilfiaic ollcndit Ciccilius Plinius, Epm. 7,9^ qui in Epi(t.li.2.viilamiuam cxacliifimc dcpingcns,dc balnciscius itafcribit. indc balnci cclla frigidaria fpariofa,&: cf}afc,cuiusin contrari js parictibus duo baptiftcna ucluri cieda linuantur, abun- de capacja fi innarc in proximo cogitcs, adiacct undormm, hypo- cauftum, adiacct propnigcum ; balnci mox duac ccliac magis clc- ganrcsquamfumptuofac.Scdhoc clarius explicat li.^.ubi Tufcos luos defcnbcns iiitcr ccicra hacc habet . Indc apodyrcrium balnci „ Iaxuin,(5(: hilarc cxcipit cclla frigidaria,in qua baptirtcrifi aniplum, natare Iatius,aut tcpidius udis. Ex quibusomnibusfatisapcrtum cft,  tdyin gymnafijs fiue balneisueteres nare folitos,atque in higidan} D baptifterio alias pifcina uocata>de qua menrioncm kcit TertuUia- nus in lib.de baptifmo, et dc qua exiftimo locutum Galenum dum in y.Merhodi ficcitatcuentriculi laborantescurandiratione edo- ces,magis laudat lotionem in balneo fada Iv rocgHoXviJiHSg^is . ideft, inpifcinisnatando inftitutis,quam h70i\i4iKgotQm/tMig,c[[iamquam etiam pifcinaminterdum in area gymnaliorum acdiricatam credo, ut teftatur Plinius loconunccitat Ojinquopoftdidaucrbaait. In areapifcinaeft:&: ante Plinium Maitialis, quili. 5. Liguhnicuiuf* dam infuUi importunitatem dcfcribcns dixit) In tht ftncjs fu^io Jonasai aurent > Vifcinam peto, non licet natare . ni uelimus Martialempotius de publica pilcinalocutum cflc,quam fuilfe RomaCjCx multis, &maximecx Regionum fragmcntofub E porticuCapitoIina intclligcrc poflUmus,vbi Vici publicac pifci* nac clara mentio habetur,de qua ita Feftus Pompeius.Pifcinae pu blicac hodicq. nomen manet,ipfa non exftat, ad quam &: natatum, cxercitationis alioqui caulTaueniebatpopulus: unde Luciliusait, Pro obtufo ore pugilc, pifcinenfis res eft. L)e huiufccmodi pifcinis fcriptum efta Dione Maccenatemomniumprimumm urbeaqua- rum calidarum naratoria inftituiflc . Quod ucro in labris illis fimi- liter natarcnt,ucl faltem natantium inftar mouerentur,conijcio, cQ ex magnitudinc labrorum,tum exuerbisGalcniin i. adGlauco- nem,quandoin tcrtianaecuratione natationemin aqua commen- dat:quoddc pifcinis gymnafiorum nequaquam intelligi dcbet ; tum cx Coclij Au rcliani uerbis, qui in capitis dolorc, atquc etia in p arrhriticis curandis, natationem minimc fub dio fad:am > nec non fcruentcm, atq. ctiamfrigidam probans,duo demonftrat;primum in locis claufis, &: ctiam apcrtis, qualis crat arca pifcinac, altcru ta in aqua calida,quam frigida natari folitum, unde clicio natatione feruentem folum in labris faditatam.cf fi Plinius in locis paulo an- te citatis pifcinae calidac mcntionc fccit,fub hifcc uerbis,Cohae- retpifcinacalida mirificcj exqua narates mare afpiciunt,dc calcfa ^ta ui foIis,&r maritimo fituporius^quam de fcruclac>aab igne,ut intcIIigitCocIiuSjUerbafcciflc uidetur. Quac extra gymnafia,fiue priuata balnca cfficicbatur natatio, modoin fonfibus latifl]mis> modoinlacubus,modo in fluminibus, modo in ipfo mari agcba- tur. dequibusfcrmoncm habens Ariftotcks,dixii,nichi?s ir mari, ' quan\influuionitari,diutiusqucibi moramrrahi,quoniam ucluti mare aquaefuae corpulcria,cra(Tnieq. maiora>quam dulccs aquae fLlii- A fuftinct oncra,ita facilius corpora hominum cleuata tcn'cr,& confe qucntcr minusilla pcnctrarepotcft, cuin dulcesaquaco!) rcnuira- le luam citius,&: lcnius illabatur . Hxrra balnca quoq. apud aliquas nationcs loci pcculiares nando confti ucbantur, et idc(. KoXvitSHd^xL uocabarur,ftcuri legirur npud loanncHuaniZcliftamdc Jcfu ('accocap/p.. dicctc,«Tflc)/t,wcTiiy icMvfcJ};I^fflw/ TQ\/ ciMixiJL K(c$ w^itijubi nacaroriam Si- locanriquus intcrprcs iranlluli:. lraq.na:aLioncarccdismorbis,fa- nifq. corporibus cxcrccndis,&: confcruadis vfitaram fuKTciam Luis parcr: quando itc Ariftotcles fcripfit naranrcs in maii filubritcr cxi naniri . vcrumramcn illud animaducrri uolo, plcrumq. ob dclcsfla- tionc,6i: ad ardorcs,&:liccirares rcmpcrandas,h()mincs nararc con- lucuilfc,cuiU5 graria in acftarc dumraxat natan folitum luir. DcVcnatione. (ap. XF. RAECLAR IS SIMA cxrat GaIcnifcnreria,cxom- nibus corporum cxcrcitarionibuscaproculdubio vti- liffimam vidcri, quacncdum corpusfarigarc, verum criamanimam oblciflarc ualeac, 6c iccirco fapichtif- In lib. dc- ludo par- luc pilac. iimos illos haberi dcberc, qui in ucnationc cam cxcrccndi corpo- ra formam inucncrunt, in qua mirifico quodam modo laborcs uo* Iuprarc,quafiq. laudis cupidirarc ira rcmpcrantur, ur tacilc iudica- ri non podir, maior nc fit corporis, an animi motus . Acccdit huic^ quod natura ipfa, quac animalia cuncta hominis caulla produxit, ueaarioncm quafi praccipcrc, &: acccptam habcre, ut lcripfir Ari- i. PoJiu Q ftoteIcs,uidc'ur,quumin ipfa propriaspoflcllioncsacquircrcconc^ tur,fpcLtacuiumq. nullo fcclcrc conraminarum cxhibcatur, fcd fi- mul,&:corporisrobur,&:animi uigoraugcarur . Exquoncmonoa uider,quam j rudcnrcrfcccrintmcdici,(]ui pro cxcrccndiscorpo-* ribus,ijfq. ualidis,&: lanis conferuandis, ucnationc ranroperc acfti- manmr,cuius nimiruftudio antiqui illi mcdicinac parcntcs Ciii- ron,Machaon,PodaIirius, AcfcuIapiusufqucadeo,ficut rcfcrtXc- nophon, arferunr, ut non minus in ea laboris, quam in arcibus, in qLibusualde cxccllcbant, (ibi impcndcndumquoridic purarcnr, Ncq. ucrofolam medicinac gymnalticamhuiufccmodi cxcrcira- tioncm,fcd bcllicam quoq. &: achlcticam rcccpifsc,proba(scq. cre- dcndum cfti fi quidcm uel dclcvflationcm, &: gloriamAiuarum gra- tia arhletac Iaborabanr,ueI milirarcm pcririam,&: f(.rrirud:nc,qui- buibeilicacgymnafticac cxercirarorciinuigilabant/ifpcAcmuSj^ cumu.- Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 n6  cumuhti/Iime omnes in ucnationis cxercirio reperiuntur, atqueD ineopraefertim^cf noninauibus dccipicndis, fed in terrcftribus animalibus fiiie dolo capiundis Jaboriofe uerfatur,dcquomagis noftramhanctraftarionemintelligi dcbcreuolumus. Etncfineil- li .ftrii:mau£lorum teftimonijs hancfcntctiamaudad( ri.in:ispro- ferrcuidcar,quomcdounaquacq. gymnaftica uenandi excrcita- tionc ufafic, iaminccptam uiaminfcqi.ensdcmonftrarc conabor. Qupdenimilla bellicacfortitudini affcqucndac maximumadiu- mcntum pracbcrc putarerur, locuplcf /fime teftarum fecitPIato, quipoftquam in Thaceteto^&y. dc lc^ibus /cnandi difciplinam in trcs fpccics, aquatilium fcili( et, uoIatiJ «um, Sc terieftrium ani- malium diftinxiflct, improbaiisaijjsduabusproiLuenumeduca- tionc,detcrret'iuinucnatione in h le 7. dclcgibusita concludir. J^' w -mv ^TTcwuzLTcL ^cW^ \x^cr^^ci^^v(TiTc^ii^] Trdiyumq^iT^ i (piKoTTOVH 4t/ „ viv.v\ ;:^fv CtTlCCVniV jyjtpA^cn J):>6^uo/Cy (t TiXnya^c: y(t /SoXajqcwTix^^Hpi^OrpXov-ngofjOi^aiJ^ieicxA yy ^ OeioA ^^;weA^c.idcft,Solum itaque tcrreftrium ucnatio,capturaue, „ athletis noftris rcliqua cft,atque harum,quae dormientia animalia yy peculiari uocabulo nodurna uocata pcrfequitur, fcgnibus conue- 5, nit,nulJamq.mcrcturhiudc,ficuti ncc iIJa,quae laborum intcrmif- „ fioncs habens, rctibus, &: laqueis non laboriofi animi uiftoria fera- 5, rum robur cujnccrc conarur.unde folam ilJam optimam eflc rclin- 5, quitur,in quahomincs quadrupedia equis,canibus,&:proprijscor „poribu$i]cnatur,quosomnesfuperantini,qui fortitudinisdiuinae F 5, poifcliilonem curantcs proprijs manibus currendo,fcriendo,&: iacu yy lundo ucnaiioni opci-a nauant. Ex qui bus uerbis clarc pater,quan- „ tum 1-Jato in comparanda fortitudine bcllica diuina ab ipfo nun- cupata, vcnationem dixcrit cxcrcitatoribusinilitaribus confcrre. quosqnomodoipfcfub dOXY^iiiV nominc comprchendat, fuperius indicauirnus. Euidentius,quam Plato,locumhunc cxpJicafleui- dctur Xonophon, qui dc Cyro in eius pacdia ita fcriprum reliquit: T?^ TToXiM^-ihg Ji lv}}ca dcniY\or to; OY\pav [f^yof, bWtp icryteiv rctZrct fivn yy ;!^^^^' rcw^rl^v n^^bf/^iJO^ € jAce^c a^ic^lw icTTtYKTiy ttoMuixZv ^tvcLf, iW/- jcTicJidAnCv/.Wlw. idcft, Excrcitationisautcmbellicacgratiaeos ^ ad ucnacioiiem cduccbat, quos haec cxercere oporterc cxiftima- bar,hanc ratus &:omnino bcJlicarum cxercitarionum optimam, ' &: cqucftns ucrifiimam. Quo ia loco nemo non uidct, quaiu apcrcc Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429.,S7 A apertcucnarioncm ad exercitationcm bcllicamomniiun nuximc conducerc ccnfucrit . undc poftca in lib. dc vcnarionc iuucnc.s ad capclTcndamhanc cxcrcirarioncm duabus praccipuis rationibus adhorrarur;tum cf corporibus bonam ualcrudincm comparat : tum cf cosad bellum maximcinltituit^drcnuofqucmilitcs^&cctcrisrc- bus agcndis idoncos rcddit . At Arillotclcsnon tantum bcllicac iib r exercuarioniucnandi lludium conduccrc uoluit, quinimo illud ^ ipfiuspartemmanifcltaorarionefccir : ut nullaamplius dubitat io fuperfit, quin intcr cctcras nulitari gymnafticac infcruicntcs cxcr- citarionesuenatio quoquc locum obtinuilVc dicatur. Quod vcr« . nec athlctica profcflio huiufcc gcncris cxcrcitiocarucrir, vcjk-: nes in amphithcatris ab Imperatoribus facpcnumero rcpraefcnra - tac,&:apud Latinosfcriptorcs miru in modum cclcbratac dcir.ou- B ftrant: quac liccrab hac noftra nuilrum diucrfic fuilTcanpai canr; illius ramcn fpcciem praefcfcrcbanr, nt mpc cum bcftianj,arq. alij mortisfupplicio condcmnari co prorfus modo aducrfus fcras, vfq. ad alcerius intcritum (ur rcfcrt Suctonius)contcndc:cnr,quo vcna- tores contraminus immancs bclluaspugnarc confucucnir.t . Dc medicorum gymnaftica, quod fcilicct ucnaiioncm ualerudini, Sc bono corporis habitui comparandis, tucndifq. probarc u, ncmini non conftarc arbitror, quando,practcr Xcnophonris lcnrentiam i Jctnfiu citaram, practcr Galeni aucloritaxm, qui inrer cxcrcirationes cor- porisfaniratiinfcruicnrcscamrcpofuit, ludoq paruac pilacin hoc ludo par- foluminfcriorcm fe':ir,quod maiori appararu indigcar,proptcrca " nec arrificibus,nec ciuilibus ncgotijs implicitis conucniat; practcr iuniorcmPlinium, quiuenationc corpus fanum confcruaflc inii-li y.cpift, ^ nuar, practcr aliorum argumcnra, unum Ra/is Arabis mcdici cru- ditiirunitcftimoniumfufHcercporcft, apud qucui icgirur, conti- giflVin quadam pcftc, ut, dum omncs fcrc pcrircnr,foli vcnarorcs, in jo.coa. obfummam ualctudinem airiduisexcrcitationibusparram^incohi- meseuafcrint.ncfilcntiopractcrcaLaccdacmonios, a quibusolim ad coenam Dionyfius Syracufanus acccptus, fc cibis appoliris dde Aari negauir. cui flarim rcfpondir coquus idco illud cucnifsc,quia nec in ucnaru,ncc in curfu laboraucrat, &: idco fiti, &:famc carc- bar,quibusLaccdacmoniorum cpulac condicbantur. Itaq. mirari nullopado debcmus,fi Mithridatcm,qucm ufq. adcofanitaiis,&: uitac ftudiofum fujfsc fcimus,vcnationi ita auidc opcram dcdifse lc gimus,ut fcptcm annis, neque vrbis,ncquc ruris rcdo vfus (it . Ergo nianifeftuna cuiuis iam cfsc potcft, quantum in cxerccndis pro ua- icrudinc corporibus ucnatio apud uctcrcs acftimar^i fucrit. cuius cum multac cflent fpecies, quanim aliae rctibus, aliac laqueis, ui- fco,& aucupijs, aliaecarniuoris,&:rapacibusauibus,aliaecanibus, fagitfis, uel puris, vel rindis ; quas ideo Gallos uenatorcs hellebo^ roinficereconfucuiiretraditPlinius, quia circumcifo vulnere ca- n.xy.c. y. rotencriorfcntitur : aliac armismodo in uolarilia : modoin rcrrc- ftrcs belluas peragebatunilias ucnationcs aptiorcs cxiftimaras arbl tror, inquibushominestampcdibuseunres, vcl currcntcs, quam equis vcdi fcras canibus, &c armis infcdabantur ; nempc quas tum corporamagisexercere,tumfenfusomncsacucrc, tummaiorcm animisuoluprarcmafrcrrcncmoncgarit . Eam enimuenarioncm, quaccumaccipitribus&afturibusaducrfusaucshifcc temporibus exercetur, an commendarint antiqui mcdici, affirmarenequco, 7.de his. quod,IicetAriftotcI.memoriacprodidcrit,incaThraciac partc» ' quae olim Ccdropolis uocabarur, homincs focietarc accipirrum perpaludes aucupari confucuiiTc ; nihilominus gcnus illud vena- tionis noftrae ualdc diflimilc fuiffe uidetuv; quandoquidem illi ip- lilignis, quacmanibustcnebant, arundines&:fruteramoucbant, undc aues ob ftrepitum cxciratas, euolaresq. accipitrcs dcfuper in- fecLabantur,quorummetu aucspcrculfae terram repercbanr,ibir. quc pcrcufTae baculis a vcnaroribus capiebanrur, &c earum parres' accipitribus diftribuebantunnoftrum ueroaccipitribus,atque aftu ribusedodtispcragirur • quodantiquos ignoraflc, et Conftantini Imperatoris actaie inuentum eflc, infinuat lulius Firmicus :_ ficutr etiam ignorarunt cam uenarionem, quac canibus arte quadam m-^ ftrudis, &: rctibus aduerfus cjualeas,pcrdices, &. faiianos cxercctur. Sed dchisfatis. Exflicit Liher Tertinj* .0 - m H?9 "De ratione agendorum ^ ^ dc exercitatiom ryS. Cap. L VM gymnafticae origincm^ciufque fnccics» &: fpccicrum(ut (ic dicam) fpccics ab anti- quis traditas,ac inufu habiras,iam clara,quan- tum conccditur, cfTcccrimus, ad pcrficiendum tradationis noltrac inftituru rclinquitur, prius U!iiucifa!cs,communcsuc cxcrcitarionumom- niumrcgulas tradcre,quarum dudlunon mo- do li '•gula cognofccrcs Ycrumctiam vti unufquifq. pofTit : dcinceps ad parr\-n!.:ria,&: magis propria rranfcudum c rir,ur in llngulis cxcr citationibus,quid boni>&:quid malirclkicat, flicilitcr pcrnofccrc, &: cogp.itum partim amplcdijpartim cflligcrc valcamus.luiflct pro- fcctoinanispropcIabor,acuanum ftudium cxcrcitarioncs vfquc adcoapud vetcrcs cclcbraras pcriicftigaflc-,niiictiarautiliratcs,&: commv>da,quori:m gratia totam gymnalticam,&: c6didcrunt,&: in quotidianuaimcdicorumufumcduxcrunt,pcrfpc^ta,&:cIarahabe rcnt iIli,qiiibushaccnoftralcvttirarc,ijsquc ad faniMtis profcCtum non ofciranrcr uti placucrit.Arq. in hoc idc ) magis inihi clabciran dum efle cenfco,quoniam Galcnus Hippocratis arque Plaronis pla ^ citafccutus^in omnibusquidcm artibus,lcd pracfcrrim in mcdici- na, uniuerfalcsmcrhodos parurn iuuarc clamar,nifi particulanum tractationcs,ac indiuiduorum fpcculationcs accelTcrint, quibus rii r€s communi mcrhodo inucntac ccrrius contirmcntur, tum carum fimilitudincsac diflimilifudincs,unde omnis iiumana deccptio,ut in Phacdrofcripfir Plato,principiumfumir,probc difccrnantur . Hanc igitur ab anriquis philofophis, atquc mcdicislaudatam uiam incedcntcs,tractandorumomnium ab iplius cxcrcitationis narura initium capicinusrquam cum dcfinicnmus morum qucndam corpo ris clfc, atquc omncnrmotum ncccllai io diffcrcntiac nonnullac fc- quantur,nimirum vchcmcntia,rcmiflio,ccIcritas,tarditas,&: limilia: &: proptcrca in quouis motus localis gcnrrc corpus quod moucn- dum cft,Iocus ubi moucri dcbcf,tcmpus in quo moncarur,ac iplius morus mcnfura,atquc modus cx nccclHtatc rcquirantur, confutaris corum,quidccxcrcitarionibu5 maIcfcnfcrunt,opinionibus,primo diffcrcntias illas excrcitatione confequentcs dcclarabimusrfecun- D do,quae fint corpora excrcitationibus apta,& quac inepta, dcmon- ftrabimuiittc rtio, qualis efle dcbcat locus,ubi jJli excrcitationibus operam nauare dcbent, qui uel confirmandac, vel conferuandae ualetu dmi ftudent: quarto, quodnam tcmpus cxercendis corpori- bus opportunum habeatur; ficuti namque corpora omnia non om- nem excrcitationisfpccicmpcrferunt, ita fimiliter non quiuislo- cus,nec quodlibct tcinpus cuicunquc aptanrur.Sed,quia jmpcrfe- dahaectraaatiorcmancrct,nifimcnfuracxercitationispracfcribcretur,ideo qujnfto fubiungam,quantum cxcrcendum fit.Addam &: fexto modum,quo exercitatio adiri debeaf,atque fic ad particula- rium cxcrcitationum qualitates examinandas dcfcendcns nihil re- linqucre conabor,q^ in hac materia iurc dcfiderari qucat,&quod l aedieca. ab Hippocrate,fiue Polybo pro laboribus,aut cxcrcitationibus tra E dandis cognitu necellarium pofitum fucrit. Scd hoc antequam ag- grediar,illud prius hoc in loco praefandum efTc, iudico, ea omnia, quae in hoc quarto volumine tradituri fumus,tati in vniucrfo exer- citationum negotio mojnenti cxfiftercut, ijs uel ignoratis, vel ne- gledis, excrcitationesdetrimcntapotius,quamcommoditatcsuI- lasinferant.-innumeraequandoquidemcxcrcitationes, utpraecla- 1. J tu.va. re fcriptum eft a Galeno opportune ac prudentcr adminiftratae,er ^ liSo. ^^^^^ naturae in corporis tcmperie fadtos, tum hominum in ui- &mac.ruc! procuIdubioefsentilli, quinatu- ra corporis imbccillimi funt, qui cum ab exercitationibus utilita- rcmcapiant, ceterosquofcumqucabijfdemiuuari, &:iccircoillis uti dcbere confequens cft.His crgo rationibus pcrfuaii cundispaf- fimhominibusantecibumfaltem iniungendas excrcitationes ef- 'fe praedicabant: fed&ipfiapcrtiirime hallucinati deprehendun- tur, Qiioniam cumhominumnaturae,&:conditioncsufqueadeo pcl^'^^"'* «^lHicrlac fint,ut neminem inucnire (fiturfcripfic Galenus) alteri fi- E milem prorfus liceat, fintque quibus medicamcnta noceant, quib. 5^. Epid. profint,quosimmodicuscoitus,fiucAc illos,qui hoc al- fcucrarunt,toto caclo abcrrafsc^quamuiscxcrcitarioncm commu nitcr acccpram, prourquaflibct ucl minimas corporis agitariones compIcdirur,ncmini fano ncgari pofsc farcamur, quando nihil fa- nitati tam hominum,quam brurorum acqucperniciofum, &:lcrale, ^ im:cniri:r, arqcc cuiufli iK-r motus cclsario, confumatumue orium, quibusnon tanrumuniucrius corporis habitus mfignircr rcfrigcra tur,calor natiuus hcberatur,humiditatcsfupcruacuaecrcfcunt,mo Icftusquc quidamomnium uirium torpor connurritur,ucrumcria, lib.dcdb. utdiccbat (;alcnus,cunctamcmbratcnuia,dcbilia,atquef1accida ^^^^ «"^- cuadunr,& fubindc nonrarocxiriaIcsmorbinafcuntur,qui,abhu- i"'^c-cau, moribus frigidis plcrumq. origincm duccntcs,ucl ad mortcm, ucl ndpcrpctuamualctudinis offenlioncmpcrducunr. N 4 K^' I9S  a.Aph. T^darguu7itur^qui ajfueto Jolum exerceri uolebant. Caf. III ESTAT falfa eorum opinio condcmnanda, qui af- fuetos folum cxcrceri debcre,inafluctos minimc cxcrcendosefrc iudicabanr. quorum fcnrentiata- metfifpecicm ucrirarisquandam praefeferat, cerc- risque duabus iure anrcponi mercarur,haud tamen prorfuscrrorcuacar,dum alTuerudini nimium rri- bucre, quafique fupra narurac condicioncs illam ftatucrc uidcrur. Ccrerum ne honimplacitainiuftcrcfcllerc crcdamur, &rariones, quibusadducliin eam fcntentiam iucrunt,&:crrata,quae commife runtjin medium proponcmus,vt vcritas facilius cluccre acquo iudi ci pofl^t.Iftiitaq. cum legiffcntapud mcdicoium principcmHippo cratcm,eos,qui confuctifuntfolitos Iaboresfcrrc,etfifucrintimbc- cilles, et fencs non confuetis, fortibus, &c iuucnibus facilius ferre ; quacq. cxlongo rcmporc confuerafunt,erfidctcriorafinr,inaflue- tis minus incommodare,affeueranrer pronunriarunt, ncminem iaaf fuctum cxcrcirationibus,&: laboribus committi dcbcrc,aIioqui ma ximopcre offcndi^fcd dumtaxat aflueros, ncmpc quos partcs cxcrci tatas robuftiores habere,& proptcrea laboribus finc damno refifte- re experientia demonftrat. addcbant his rationcs, primo quod om- nes illi,qui cuilibetrci infucfcunt, raagna ex partenaturaefuaeco- uenientem confuerudincm deligunr;quoniam laedentia expcrri, il la rcpudianr,&: iuuantibus adhacrcnr.unde excrcitationibus vafl^iic ti in illis tamqua fibi familiaribus confcruari debennqui ucro quie fccndi confuctudincm contraxcrunr,ab illanullopadofunrremo- uendi,quafi tales expcrri fint ab cxcrcirationibus fc ipfos ofrcndi,&: aquierc utilitarcm capcrc.Sccundo,quodiuxtaphiIofophorum,&: mcdicorum placitaconfuerudo in naruram rranfit, &:iccirconon fccusconfuerudincm pcrmuranrcsobIacduntur,atquciIIi, quina- turam pcrucrterc, &: aducrfus illius impctus obrcnderc conantur . Tcrrio quod fi confucti quicfccrc longo rcmporc fani ira uixerunt, ucrifimilefir,in eadem quictc rcliquum uitae curfum ipfos fanospe ra£luros;exaducrfo ucrendum cflc, nc ijdcm aegritudines diucrfas incurrant; fiquidcm pcrmutantes in contrarium uiucndi rationem, &c alia ipfi confcquentia in contrarium ftarum pcrmurari, nccefTa- rium vid etur . Huiufcemodi crgo rationibus indudi, ifti conftan- tcr affirmarunt, confuctudincm non debcrc murari, &: ideo folitos cxcrceri cxcrccndos cflc, &:foIitos quiefcerc in quiete permancre dcbcrc. Scd,urdixi, liccthiinifuisculpantiam fcntcntlanifcciiti fmr,att.uncnncqiicipricrroril)us carucrunt,c]uia Hippocratcsin i-Apluytf omnibus ad inallucta tranfcunduin cllc iudicauir,nc quando ad il- la dcfccndcrc coaocra- tiscitataaudtoritasineofcnfuaccipi dcbcr,ut uolucrit,qucmad^ modum&:nos,vclimus,nolimus,aircntiii cogimur,afluetainfolitis minusturbarc, ncquc proptcrhoc interdixcrit, quin ad infolita quandoquctranfcundurnfir,6jpracfcrtim cumafsucta ualdcpra- ua funt,&: inafsuera mulro mcliora.Piinlacitaquc raiioni rcfpondc mus,a{TumptumfaIfumcfscuniucrfahtcrintclIcdum,quoi;iamli- cuti multi coniuctudincm naturac corum conucnicnrcm induunr, ita quamplurcs ucl dulccdinc allcdi, ucl ncghgcntia, aut alijs de- tcnti ftudijs,ucl prac nimia ftupiditatc fcfc lacdi non fcnticntcs,iii malis confuctudinibus, &c naturac ipforum inimicis pcrfflunt; qucmadmodumfaciuntquicfcendo, &:afsuctJ,6d dcdiri,qui quic- tisuoluptarc dclibuti non fcnticntcs ofrcniioncm cialfucucrunt ; non aurcm quod cam tamquam fibiipfisconucnicnrcm clcgcrinr, nimirum quam iam antc hominibus cundis inimicam probaui- mus. Adfccundamucrorationcm dicinius, narurainprofcdo,& confuefucrudjncm parum diflcrrc ;haudtimcn fcqui cx hoc,quod numquamconfuctudo mutari dcbcat: quandoquidem fi mcdici naturas prauas, idcll naturalcs intcinpcrics cincndarc, in mcliusq. permurare omni aite contcndunr,ur faniratcm,&: habitum bonum Q corpori ingenercnr,cur itcm pclfimac confuctudincs ab illis in ho- nclliorcs, &: falubriorcs pcrmu tari ncqucant, i gnoro ; co pracfcr- timquodfacilius cxfuuntur,quac confuctudinc fucrunt conrra- £ta,quaraquac aprincipio orcus anatura tradita. acccdit huc, quod otiandi confuctudo pcrniciofa cll, quia ( vr diccbat CcHus ) I ib. r. poteftincidcrc laboris ncccflitas. Tcrriacpracrcrca larioni oppo- ^^i' ^ nimuseos,qui inprauisconfucrudinibus pcriiftunr,tamctliob iu- .cunditatem non aducrrant,pcrturbari, ur mnucrc uoluit Hippocra tcs,dum haudquaquam inalsucta dctcriora non rurbarc, fcd minus tiirbarc dixir ;ncqucproprcr hoc Iaudari,45^probari dcbcrc,quod multo tcmporein fimihbus confuctudinibus uitamfanam traduxc rint : quoniam ficnti diccbat Galcnus,illi,qui cibis mali lucci uicb- * tant,longo tcmporc maligniratcm intus alcntcs,tandcm quali- bet uel minima occafionc pcflimos morbos incurrunr, fimiiitcr iquoquc in pcirimis confuctudinibus pcrfcucrantcs facpcnumero .dealini. mtus 2CO  intusmaloshabitnsconcipiunt, quos pcraliquod teinpusnonper- cipiunr,quoufqiic humores praui orionuiriti, &fupra niodumau- di incurabilcs^&molcfblfimas acgrirudincsinducunt. Qiiarnobr^ claborandumclt,uniucrfJsfiinam uitam optantibus,utmalaccon- fuerudiniinnutritiminimcfe uoluprare, atque damni ignoranria decipi linant,immoquamprimum ab earecedcrc, paullatim tamc, et ut dixit Hippocratcs iKTr^odxyooyHt ftudeanr,illud procompcrto habentespotiuscumaliqua molellia pcrmurandas cfse pcrnicio- fa^ confuctudincs,quaminiIliscum delcftationc pcrfiftendunK Atque haec pro male de Cikcrcitarionibus fentientium refutationc diifcafufficiant. Tcmpus modo cft, qude corporaexercitationibus accommodentur,quod tcmpus,&vjUilocus, dcmonftrare: fcd an- tcquam hoc aggre Jiamur,diffcrentias,ut fupra promifimus, ipfius- quc tradatioiiis ordo expoftulat, cxercitationum breuitcrpcr- curremus. exercitationHm differentijs. Ca^. V. ViCVMQVE cxantiquis excrcitationum faculta- tem fpecul ari)&: fcriptis tradere aggrclfi fuerfir,tres primarias illarum diffcrentias effcccrunt^ quarum aliamTraf«(rxw/«si;cflV;j4//xf/poft ^/TxJ^ maerores infcruiebat; &c proindc hic motus a Galeno cxtrcma  fO| A cxcrcicatlonis pMrs nominatus rcpericnr, quoniam fcrc fempcr po;l magnascxcrcitaciones.ncad concrariamquictcm illico tran(gre- dcr"cntur,ipfamadhibcbant,ucporc qui ol) carditatcm,6^ trcqucn- tcm intcrpolitamquictcm mcdium inrcr cxcrcirationcm validam, ^ &: conlummatam quictcm tcncrcr. Porro cxcrcitatio limplcx apud ^;i.cVp"g. inedicosgvmnaflas multasdiricrcntiashabui(fclcgirur,alias ab cx- trinfecis,aliasab vtcndi rationibus,aliasa motusipfiiistum quan- ritaicrum qualicatibus dcfumptas: quac ab cxtrinfccis accipicbaa tur,plcrumqucalocononicn f^rticbaiKLr, quando uc! lubdio,. vel (ttb tccto, ucl in mixta umbra, quam CTroavi^iiyn Gracci uocant, cxercitatio pcragebatur : itcm quando aut locus crac calcns» ^^utfrigidus, aut^mcdia tempcric, &: practcrca auc planc ficcus^ aut humidus, auc mcdio modo atcempcracus . Diifcrcntiac ab B uccndiracionibusacccptac huiufccmodi cxllitcnint,quoniam aut continuus erat motus, aut inrermiflus.ct li concinuus, aequalis, ucl inaequalis;fin intcrmifsus,aucccrroordine,aut cirra ordincm,prac^ terea vcl linc puluere ficbat, ucl cum pulucrc, acquc co alias mul- lo, alias modicoi finuliccr agcbatur ucl linc olco, ucl cum ulco, at- queipfoaliasexiguo, aliasmulto. Quac autcm ab ipliusmotus quantitacibus acccptac inucniunrur dirtcrcntiac, talcs func, quod cxerciracioncsucl mulco ccmporcdurabanr, 6c multac diccban- tur,vclbreui, mcdiocri, arqucpaucae, &: mcdiocrcs uocaban- tur. Diffcrentiac amocus quancicatibusdcfumpcacillacquoque fueruncquacauimorricc accipiebancur: nam li uismagnacrat, magnacxercicacioilin parua,parua ; lin mcdiocris,mcdiocrisap- pellabatur. Porro a qualicacibus ica dirtcrctias a Galcno captas in- ^'^|.^* g"^" r ucnio, quod aut in breui tcmporc mulcum fpatij mcticbatur cxcr- «p.io . cicacione, liuc brcuc (parium lacpiusinmodicoccmporctcrcba^ tur,atquehaec cxcrcitaciocclcr,acuta, &: vcIoxnuncupab:uur, qualis curfus,umbrarilis pus:na,achrochiri(mus, lufus paruac pihc, fi^coryci^kicTAt^fi^uk^-BrrrvA/^w^, &:quacin paladkis ai^tirabancur humi rircumuoiucarioncs i auc multum tcmporis in brcui fpatio infumebatur, tardaque &:lcnta cxcrdcatio talis motus nomina- batur, ut lcnta ambulatio, ucdatio in Icctica; aut in mcdiocri tcm- porc mcdiocrc fpatium, iiuc brcuc plurics moucndo pcragcbatur, licqucmcdiocriscxcrcitacio cuadcbacrpraetcreamagnai-umalia praeccr uim, cclcricatcm quoq. adncxam ^QVQh:ixUc2 racelerirer agirari; al/a fine velocirate fiebar, et Ivr^,;^,,!> idcltva!cnsexeraratiouocabatur,ficurfodere,peraccliuiaanibu. lare.quatuor equos habenis llmul coercere, funem manibus apprc- heniam fcanderc,haIteres,omnefque Milonis exercirationes.quod emm uchcmens,& ualens cxercitatio communi nomine magna di- aph/"^-^ mtclligcrc liccr, quae Galcnus fcxto popularium morborumlcnptarciiquir, vbiinter cnumcraras exercitariones, &: equirationem magnam uocauir . Similitcr Sc paruarum alia cum ahquauelociratchcbar, &:rcmifni,fiucixA«T«f /ocabarur, alia fi- neullacelcritatc, 6c «V/^(lf,'iue Ianguida,aur imbecillis diceba- tur,cxquibusduobiisgcneribus eranr uec curam habcndam cllc iuGcrunt, ut quod morbofum corpus, quaexerciratIonc, &:qua quiete indigeat,ne ullasperturba- D tiones,motioncsq. fuftinear, optime pernokatur. Quocirca fccun- dum iftos corpora, quae immodica intempcrie calida Iaborant,nuI lisuehemcnribus,rcmiirisue exercitationibus accommodantur, quod calor, qui diminui debet, ab jllis potius augmentum fufci- Lp^iu^' pit, quemadmodum Galen.de Primigene fumma caliditate labo- rante narrat, qui ncdum,a uchcmentioribus cxcrcitationibus, im- mo,& ab exiguis dcambulationibus in porticu ante balneum fadis magnopcrclaedcbatur. undc mcrito condcmnandus eft Afclepia- LK2.C.14. des Pruficnhs,quiin ardcntibus fcbribus;refcrcnte Ccl/o;gcftatio- nibus utcbatur, in alijs uero fcbribus, &c raorbis mcdicamcuta, ac uomitioncs tollcns, inedia, fiti, uigilia, luce primis dicbus aegro- tantcs inftar tortoris, cxcruciabar,alijs autcm diebus ambulationi- bus,geftationibus,baIneis,Ica:ulisquepenfilibuscxercebat. Inhis E ctenim Galeni, &: Antylli fcntentia cxftat, acuta fcbrc laborantes ab omni motu rcmoucndos,in longisfcbribus,atquemorbis(quos omncs nonnulli ex antiquis mcdicis aliptarum officio tranfmitten- In prooc. dos, ut rcfcrt Coclius Aurclianus, falfo credidci unt ) ubi acccfno lib^hron. urget,nullo paifto cxerccndos, at in interuallis decubitum non • fcmpcr confcrrc,imino aliquando utilcs cHe inotiones,exercitatio- ncsciue ; quod innuifle Hippocratcm arbirror, dum in feptimo cpi- demiorum diccbat,aliquos inueniri infirmos,qui nepenitus tor- peant, a lcfto expellendi funt. quod item innuere uoluit Ariftotc- Ci.i6. leslibromoraliumNicomachiorumdecimo,ubi fcripfit febrici- tantibus in uniucrfum diaetam,atque inediam confcrre, ahcui ta- mcn forte non ita conducere. Qui praeterea corpus aridum,ac in- fignitercxficcatumhabent, ficxerccantur, aridioreseuadunt, &: F ideo illis quics apprime congruit, quam humcvflandi uim pofnde- Loc. cltat. rc ncino ignorat,quamquc Hippocrates dum cahdis naturis conue nircfcribit,necimmodicccalidasimtemperiesintclligit,necjau(ao j c GaIeno;quamlibct motus,fed uehementioris tantum ceffatione, ficuti nos hic deficcis corporibus intelligimus,quae geftationibus, &c ueCtationibus aliquibus, atno magnis motibuscxcrceri poffunt, dummodo uires permittant,cxcrcitationesq. modcrataefint; alio- qui ficur ex modcrato motu calor cxfurgit,cxcitaturq.,nec non hu- inorcspaularim cuancfcutiparitcr eximmodico calorinfirmus ex- ftinguitiir,humiditatcsq. magis diffunduntur . Corporaitcm cali- da, &:ficcaimmoderatc nullis exercitationibus aptanrur,minus quoquc caIida,&:humida,ncmpcquaegrauiori quam cctcra mor- bo fubi jciantur,maioriq. curaopus habcant,Frigida porro,fimulq. ficca corpora ucl nullis cxcrcitationfbus, ucl minimls, Sc naldc rc^ miiTis cxcrccri clcbcnt»cum fcmpcr practcr morbi pcculiarcm affli-, €lioncmimbccillcsuircshabcanr,ExcrcirationibiTs non iraofrcn- duntur corpora H igida, licutj ncq* himiiila. At frigida&:humida aliorum omnium maximc cxercitarioncs fuftincnr; quod morus cx liccando, 6c calcfacicndo ucluri quoddam rcmcdium /ir,modo ta- mcn non cxrra modum adhibcatur. Arquc hacc omnia diCta inrcl- liganrur dc illisacgroris dunra\ar,qui uniucrfum corpiis imrcmpc^ ratumhabcnr,quoniamfiqui$infolacorporis partc mcmbrouc, autinplunbusintcmpcriem patiatur,rcpcririq. pojrumodus, qua parrcs fanac citra acgrarum offcnlionem cxcrccanrur,procu]dubio huicacgrotoexcrcitariomagis.accommodatacririquippcquac fa narum parrium habitum bonum confirmans, infiriuis criam confc- B qucnria quadam auxilium pracftct.ColJjgcnrcs igitur dici nuis,nul lum corpus intcinpcrie quauis laborans magna,(5c uchcmcnti excr cirationcgaudcr.cjfcdahq(f rcpcriri,cui cxcrcirationcs cxiguac, et ualdc modcrarac auxilium arierant inrcrdum. qualcs ucro cxcr- citariones linrillac, &: qualibus in morbis,arquc corporibus una- quacque congruat,in fcqucnribus libris dcclarabjmus,ubi parncu larcs fingulaxium excrcirationum faculcarcs ubcrius cnarrabimus.. Dcmorbolisobmalam formationcm corporibus fimili propcuia) dcrcrminari dcbet,modo illi nona gcntrarionisprincipjjs,lcd nu-> per,&: cafu(ut ira dicam)ortum duxcrinr . Hacc ctenim fiuc totam corporisfiguram deprauatam.ut in lcucQphlcgmaria,fiuc parrcm aliquam.deformaram habcanr, niii aHTcdus alij impcdicnrcs aflb- ^ cientur, ab excrcirarionibns utiluarcm. capmnr, ncnipc quac&: ^ contrjrra dirigcrc,&:a(peralenirc,OS&: toto corporc, et cruribus extcnua- D fn ^.obid. tos curafle, gloriatur GalenuSy Ccutitem Germanicum, a tenuita- com.j. iQ crurum^equitarionis bencficio,liberatumaIias diximus . Corpo- Secudodc raiubinde, amorhoin numero corrcpta> fmc isfuperfluus, fiue iTtu vf  fit, excrcitationes cx fe rainime recufant, et tunc praefer- "'^^*"tim,.quandofimilismorbushaud eft innatus,ueluti inlapilhsre- num, quiexuehementi motu^concuffioneque ab anguftisrcnum tiijs ad latiores, tandemq.ad ipfam ueficam defcendentesmagnas aegrotis moleftias adimunt. Corpora uero aegritudine in fitu laba fantia,modo nou ab ortu, nullum fereexercitationis genusadmit- tunt, quod membra dum proprium locum, atque fitum amiferunt» non modo rcponendafuntin propria fede, uerumetiampoftquani repofitafuerunt,tandiu ab omni motus gencre arcenda, quoad optimeconfirmata priftinum habitum repararinr, alioqui fimo- *J ueremur, maiori nocumento: afficerentur. quo fit, ut hac infirmi- tate captimajoriex parte exercitari non debeant. Atque haecde lecundo morborum genere,mala formatione fcilicet laborantibus corporibus divflafufiiciant. Remanent corpora tertio.genere mor- borumcontinuatisuidelicet folutione correpta,quae folutiouel in cute,uel ia carne, uel in oflibus, uel iiineruis,ac huiufcegeneris fimihbuscontingere folet, atque modo>lbla,modofebribusaflo- ciata i ubi corpusaliquam exhis folutionemfebri alTociatahabet, nulIomodoexerceridebet,quandoquidem, firaro febricitanti* busexercitationesconueniunt, quantominus coauenieru:,abi a- lijsmorbis turbabuntur? Qiipdfi citra fcbrem fola: contiauifo-, lutio adfit,eaq Jit iaparte nobiU,atqueuitae maximencceflaria, ue p luti cerebro,uentriculo, iecore, acfimihhus,proculduhiaexerci~ tationcsquaeuis maximeaocent,nempequae,&:fpirituspartiafre- ftae necefl-arios. ualde diftrahaat, &: humoresomncs tuncagiteat, quando firmos,&:quictoscfle conucniret,neob eorum atHuxuni morbus magisincrudefceretj^liamcmbraigaobiliorafipatiantur coatiauitatis diuifionem,poteruntaegri mediofcriterexerceri,.mo- do ncc infignis lit affeftus,nec pars laborans excrceatur.. Suntnon- nullihac acgritudinc capti, qui noaparnamutilitatemamodera- tis, immoderatisque exercitatiombus pcrcipiunt^quales fcabioh,, quorumcutiscumabhumoribusfaIfis,&:acutisdi{ciadatur,ex ma tuuehemeati efficitur, ut humores illi tam per fudorcm, quaav pcroccuJtam tranfpirationem euacueatur,atque ipfiscuacuatisa morbo libereatur. (^amobrcmacri iudicio diligeatique aaimad- ijcrfioneiahisomnibusopuseftjquo optime cogaofcatur iaqtiibus morbofis corporibus congrua!KCxercirationcs,& in quibus mi nus lubita fempcr prac oculis uniuerfali hac rarionccuiusduvftu rarillimc contingunr errata, pofsuntquc parricularia ira dirigi, ut numquamlocoauxiliorumdamnafuccedant> n^cc9r^orihHtUAlctuMndrtjS^(^/enihhus€xerc€nclis^ C^p. IIX. \' AMV IS apudmcdicos(urfiipradiximus)inrcrcor- pora acgra,arqiic fana rcponanrur ncutra, iilaq. in mul tiplicrsdiflcrcntias parriantur, quia ramcnparumad noftram rradationcm pcrtincnr, corum loco ualerudi- naria Itatucmus, cum quibus comprchcndi uoliimus tum omncs il- B los^qui rcccnrcr amorbis,ac dccubitu cuafcrunr^ncc dumpcrfc- tfle antiquumhabirum recupcrarunr; tum fencs plerolquc, ncm- pe quos Galcnuscodcm modo,quo ualerudinarios, curari dcbcrc Jctue. pracccpir; nec abfquc rarionc,fiquidem fenc(flus,auLtorc Ariftotc- "nirieme lc,eft quidamnaturalis morbus. undc.qui funt acratc graucs, cam c. uk. viucndi rationcm fuftinere nequcunt,quam fani pcrfcrunt. E^^-ncr'*^^^ goualctudinarijsillis,qui moxa morbiscuafcrunr> intcr cctcra rc- cap.4. iwedia pro intcgra ualcrudinc ipfis accomodara praccipua cft cor- poris cxcrciratio,aquamcmbraeorumlninanrur, humorumrcli- quiac inaniunrur, calor cxciratur, et dcnique torus corporis habi- lus reftituirur . Elt ramcn omnc ftudium adhibendum, ut a princi- pio lcncs, brcues, tardi, ac remilfi morus cxfjftant, dcinccps, prout uircs magisinualcicunr>fimilitcr,&:magnirudo, ac longirudocxcr Ccitationisaugcacur,randcmque inmcnrcillud XKTrgo^Ttty^yi^ ran- ropere abHippocrarc dccanrarum fcmpcr habcndLui crit,ncob imporrunumabcxrremo, ad cxtrcmum rranfitum maiora crrata eommirtantur, &: prouirium rcftirurionc imbecillitasmaior,fiuC profh-ario fucccdar. proindc mcrirodamnandusucnit Aucrrocs,^.coiied. qui morbofa corpora quoridic cxcrccnda cfsc ufquc ad fudoris ^^P'^- inirium,arquc anhclitusclcuationcm nimis libcrc confuluit: ita tnimuchcmcns cxcrcitatio tantumabdU ut ualctudinarijs, fiuc morbofis (qucmadmodum ipfc uocar) ullum clTatu dignum be- ncficium pracftct, utpotiusuircsadhuc dcbilcsmagisconftcrnet, caloremquc natiuumcxmorbo uixrcuiurfccntcm fcrcexftinguar, aut faltcm infignitcrhcbcrcr ; /iqiiidcm bonuscftin conualciccn- iibus,fcd cxiguus ( ut fcribit dalcnus) ianguis^atquc unacum ip- Inartc io fpiritus uitaliSjCii: animalis ; ipfac ucro particuiac folidac ficcio- ' P 2 rcs, aio^  resj&confcquentcr corumuiresfunt imbec^iHiores, atque earum- D dcm rationc corpus vniucrfum frigidius. unde ad cmendandam huiufccmodi indifpofitioncm neceflaria funt quaecumque pro- bumatquefccurumexhibent alimentumi &c praeter haec mode- ratimotus,qualcsvehicula, amibulationeslenes ; non uchcmentes raotus,qui ficuii folidaspartes arcfa^ftasficcioresreddunt, ita calo- rcm diminuunt, &:liircs imbccillas confufnurit. Cetcrum fcncs, quorumactasplurimamob caloris dcfcdum,cxcrcmentorumco- piam coaccruat,cxcrcitationibus magnopcfc gaudent,'tumad ex- f urganda huiufcemodi rccrcmcnta, tum ctiam ad confcruandum, atq.plAcidi cuiufdam ucnti inftar cxcitandum,acccdendumueca- loirem^ qui fccusnimio torporeexftinguipericlitarctur . Attamefl, in praefcribcdis fcnum exercitationibus quatuor animaducrti de- bcnt, uircs, corporisafTedlus, confucrudo, &:iiitia particularia, E quacplcrumquefenumcorpora infeftare folent. ratione uiriura^ quas fcncs fcmpcr imbecilliorcs habent, acutas cxcrcitationcsjue- c n^.v. . hcmcntes, &: mukas, quae corpus ftccant, extenuant, &: infirmant,,itu itmaximoperccaucredebent/equi veromitiores,quaIesfuntgcfta- ;.^.^':,^!trojac intralairitudineminambulatio.Prodicusenim qui ualetudi-' utlicx^S nis ftudiolidimus^exftitit, &:ob id ( Ariftoteleau»5iore ) ea omniai quibuscctcri cum voluptateutunturirecufauit.,iamingraucfccn- tcactatc(ut rcfert PlatoinPhaedro)Athenisad Megaraemoenia ibat, indeque domum reuertcbamr . quae excrcitajtionis menfura. haudquaquam.ommbus fenibus accommodari polTct, cum Plato ipfc cum,&:fibi,&:alijs nimio oiercendi ftudiomolcftiampepe- ride dicat. Antiochusparitermcdicus^annosnatusplufquamoiio- ginta, quotidie fcrc, ut fcribit Galenus, domoad forum ftadiorum F trium fpatio, atque intcrim ad uifendos acgrotos pedibusambula- re folcbat.quod fi ci longius ire neceffe crat,fclla,aut uehiculo ute- batur. Ad hacc narrat Plinius fecundus, Spurinam urrum in uiuen- .MUr. do maximeprouidum, quique,aurium, &:oculorum uigore inte- • ' ' gro,nccnonagili ac viuido corporc,feptuagdimurafeptimuman- nuniattigitjhanc regulam conftantiflimcfcruaffe, utmane ledu- lo continerctur, hora fecuda inducrctur, ambularerque millia paf- fuum tria, mox lcgcret, ucl colloqueretur, dcinde confideret, tum uchiculum adfcendcrct,pera£bifq. itafeptem millibuspalfuumite- rumambularetmille, iterumrcfideret, uclfccubiculo, autftylo rcddcret ; ubi hora balinei nunciata foret, quae erat liyeme nona, j)it ni aeftate odaua, in Solc, fi caruiflet ucnto, ambularet nudus, deinde pi la mouerctur^uchemcntcrA diu poft modumlotus accumberer,  Jii A&paulifpercibum diftcrrcr, Ob rorius corporisafTcflum cxcrciM- tioncsfeiiumin hunc modum dctcrminari dcbcnt, quoniam cor- pus optimi rtatus, ficutin iunentutc ad vchemcntifTimos quofque laborcs idoncum maxime cll, ita in fencdla fc habct ad omncs nie- diocrcs, quiucrofcnesaut cralusfuntcruribus, authitopcdtore, aut cruribus, ulrra quod par cft, gracilibus,aut quorum corpus cxi- guo clt thoracc, aut admodum angufto, aut valgum cft, uarumue, aut alio quouis pado a mcdiocri tate rccedens, id ad eas omnes ex- crcitationcs incprum rcddirur, quac uitiofa mcmbra maijis ofTcn- dcre, quamiuuarc polTunr, ut vocifcratio thoraccm, ambulatio crura.dLiimiiitcr. lam vcroconfuctudo maximamlibi ucndicat partenidd excrcitationisfpccicm dchgcndam,quando Hippocra tcs dixit,cos,qui foliti (unt laborcs fcrrc, etfi fucrint imbccillcs,uel B fencs, non confuctis, forribus, atquc iuucnibus foliros facilius fcr- re. nam (icuti confueta minimc lalTant, quos cxcrccnr, immo criam delcctanr, parircr infucta tum moleftiam adf crunr,tum lafTant . Se- nes igitur omncs confueris laboribus cxcrci rari dcbcnr, (c d tamcn uehcmcntia corum rcmifl-i,quia, (i corpora fcnilia vigorcm, calo- rcm,. robur, et omnia denique diminuta habcnt,iuuentutisrc- fpcvfcuexcrcitationcsquoquc minorcs rcquirerc, rarioni confcn- tancum cft. Vltimo uiria corporum fcnilium propria cxcrcira- tionum ipiis ncquaquam conucnienrium gcnus dcmonftrabunt. quac cnim ex lcui caulfa, a vertigine, comiriali morbo, graui ophthalmia, auditus imbccillitate capiunrur,cxcrcirarioncs caput oricndcntcs cuirarc nccclTc eft : fimiliter &: in omnibus alijs affccti^ bus, non folum fenes, ucrum &c cuiufq. aetaris homincs ita fc gcre- Cre dcbcnt, vt ijs cxcrcitationibus fcdulo abftincan t, quac paticn- tcs parrcs magis cxcrccrc,&: pcrrurbarc natac funt . Si c itaq. dc va- lcrudmarijs, ac fcnilibus corporibus cxcrccndis itatucndum crit. T)e corportLus pims exercendis. Qtp. I X. V I C V M QV E corporis cxcrcitationcs fanitati inuti- lcs minimc rcputarunt,in fanis cas prac cetcris comcn- dandascfTcdixcrunt,tamquam nccclTarium propc cx- /iftat, /i cxcrciracioncsad bonum habirum comparan- dum, atqucualcrudincm confcruandam non ignobilc auxilium pracftanr, ut in {anis maximc adiumcnrum oftcndcre polfint. Hoc tamcn ucrum cft, antiquos mcdicosmulras fanorum corpo- rum diffcrcnriascflcci(sc, intcr quasprimum locumobtinct cor- Cymn^ifiica. P 3 pus 2»» X I B E R PusiIIiidperrc(aafaniratcpracdituiTi,quodmenfura,&regul^ tcris pofitum fuit,potiufquc mente defignari, quam in ulla rcgione i.dctue. ^^^pf^l^^u^niri potcft: ctfi Galenus multa corpora temperata in Mal.cap.7, regionc inueniri memoriae prodiderit.De tali namquc corpo- r^cnuUibicxiifteatcfcrmonemnon fum habiturus, feddeillistan- tum agam, quacirapracfcntefanitatefruunrur,utvalcantline la molcftia cuuvftas illas aftiones obire,quac communitcr ab omni^* busexercentur. cum enim medicus arrifcxfenfiliumrerumexfi-. llat,quacfcnfuifefc produnr,&: non quacfola cogiratione com- prchcnduntur, tradtarc debct . Haecitaquc corpora fana,quoniam quotidiecomedunr,atquenutriuntur,nccclTariomuIta cxcrcmcn- tagcnerant, quacnificontinuoacorporcperexercirationcs edu- cantur,tandcmprauas difpofitionesingenerant : undeprudcnrcr ^.aph.zs, fcripfir Galenus, homincm, fi vraturmcdiocri cxcrcirationc,&be- E ne concoquat,corpus a fupcrfluitdtibus mundum rcdderc . Vcrum enimvero infanisquoqucplurima confidcrationedignafcfc offe-* runt, tam cx partc exercitationum, quam ex partc cxercitandorum. Ex parte excrcitationum fciri dcbet, nullam exercitationcm, nec vrolentam,neque immodicam cfreideberc, utinlibro i^^gi lUKgcc^ c^)«/f«2adnotauit Galen. &:propterea excrcitationcs.foflorum mcllorum ncminifcrc eorum conucnrunt, qui profpcra valetudi- nefruuntur;ccleresmotus,&: vehcmcnresinrobuftiscommendan^ tur, qualis lufta, difcus, pila, &: huiufccmodi, co magis fi confueti fuerintj moderati omnes quibus vis fcre aptantur . Porro cx parte corporum exercitandorumhismenrcm adhibcri oportet, confue- tudini, aetari, habirui vniuerfali corporis, parriculari rationi ui* uendi,necnon temperaturac . Dc confuetudinefacpius diximus F ctiam in omnibus obfcruari dcbcre, fiquidem quae confuetac funt cxercitationcs, licct fint aut nimis vchementes, aut nimis rcmiflae, inaffuetis maiorcmutilitatcm,atque dclcdationcmpariunt;atfi quis vcl minus,ucl plus quamconfueuit^intcrdum excrccatur, pro- tinus molcftia cuidcntcr afficitur,ita ut non raro fcbrcs hac ratione ll.decauf- confingere, fcripferit Galaius,dum excccicatioacs confuctae di- mittuntur. Quod vcroadactatcmpertinet, iam diximus, proue- rcb.cz?^^ (flos,&:fencsremifliorcs quam ceteros,&:pauciorcs excrcitationes pofccre ; pueri, iuuencs, atque uiri motibus fcrc omnibus pro fua quifqueactatefufficiunt,modoaliud quid nonprohibcat, autmo- dum corporibus priuatorum, &: non athletarum conuenientem minime exercitationes tranfcendant. luuenes cnim ( diccbat Hip-^ pocrates,fiuc Polybusinprimodemorbis) fiplusconfucto labo- rcnr» iti A rcnt jConuuIiionibus fortibus, &: rupruris uarijs carnium, uena- rumque ftarim.i?^ magis,quam fcncs tcnranrur ; quod corpusrobu- rtum,t^ liccum habenr,carncmdcnfam,ualidam,onibustcnacitcr adhacientcni,cui circundata cutis uoJdc tcnditur. quac omnia mi nus fcnibus inlunr, &c propterca illi rarius huiufccmodi mahs capiQ rur. Dcuniucrfali aurcmcorporishabirullcdcrcrminandumccn- ieo,quod pingues,6i: obcli^quanromagis cxcrccanrur,ranro profpe l^pirth -riorefaniratc utuntur,quandodiccbat Ari(torcIc$,moru pingucdi- iicm cliquaruquodfi criamcxcrcitationcslinc uchcmcnrcs,arquc acurac,nihil omninonoccbunt. Nam Hippocrarcs corpulcntorum irincrauclcKia dcbcrecfl*cuohiir;quinctiam(}alcnusinrcr cttcra, M-Mcth. quac ad cxtcnuandum uii um illum obcfum quadraginra annos na *^ '^' tumadminiftrauir.fccurfum udocem adhibuillcrcfhitur . Conrra Cjracilcs in confummara fcrcquictc dctuuri poftuhmt, quia licuri ^«.^- ^cQlL corpulcnti cralii contrarias habitudmes cx conrrarij^ortas ha- ^J,'*" bcntvitdconrraria proipforum falurcexpolccrcuidcnrur,ahoqui i.icuua. niagoopcrckcdun  Mjcahqui funr,quibus cxcrcirarioprodcf* k mdicctur,ij pro^ ^ -lu pauca,0^: ualde rcmilla opus habcnt.un defapientitliinus Hippocratcs iummarationciulHr,urgracilcsiter ^CJ. diae faCturi lenns pal]ibusincedar,quosircm Mangoncs,& Mcdici craf- " j^ (efaccreuoJcnres,uirgis ucrbcrabanr,ur carock'uarctur,&:ad cam ;ihinentum rrahcrerur.Qui ucrointcrpingucs,v!s:gracilcs,ucI lv(rjg- fii,iiuei]uadrati,uel parumadalteramparrcmdecUnantcs exillur, mcdiocrircr,aut criam uchcmcnrcr, modo nr^n immodicc cxer- ccantur,utilitatcm inligncm pcrcipiunt ; nimirum cum corum ca- . lor iramagisconfcrucrur/upcrfluiratcsquequotidianaccxhaurian ^ tur.Deparncularimcmbrorum habitu idcdiccndum, craflas,fcili- cet partcs magis excrccndas, renucs minus, nili carum renuiras ex nurnmcnti dillriburione impcdita,ucl dcfcctu proricifcatunquo in cafu, 6c exerciratio conuenit, 6c gcnus illud ungucnti, ctiam pilis aucllcndis a mcdicis cxcogiratum,Dropax uocatum, dc quo Mar- Ualisiib.j. V/llothro i^^LUuKjuc 1.1'iJs y C dropace calu^m . ' I' Jsjunquidto/Jurcm GJtrgiliar^etimcs > et lib.2. Laettts dropjce ta qHoUdmno, Hirfktisegtitrurtbyr fgetiisif. Paritcr,&:partcsomncs corporismcdiac inter graciles, &: craflas cxcrccndacfunr, In ratione uiucndi hoo infupcr animaducrri dcr bvtrUr qui parum ct>nK'dunt, parum cxcrccantur,iuxra Hippo- cratwic^cnijubi tunulaboraudupiaont-Uj uui itcm uigilanr,a]j I I  cxercitationibusarccndi, ncmagis cxficccntur, neue molcftfacD molcftia maiorfupcraddatur,contra qui multum comcdunt, mul- tumcxerccri dcbent,quoniam diccbat Hippocratcs,non potcft homo comcdcns fanus uiucre,nifi laboret : in talibus cnim opus cft mult o calorcut niultum concoquant, multus calor ab exercitatio- i.^tu.va. nc,diccbatGaIenus,facilefuppcditatur,practercamuItum mandu cantcs magnam cxcremcntorum copiam aggcncrant,quac nifi ma- gnis,&:muItisIaboribus diminuatur,in prauas difpofitioncs cof- pusdcducunt.qui fimilitcr multum, et profundc dormiunt,mul- tisquoqucexcrcitationibus indigent,quandoquidcm in iftispcr- fpirationes rctincntur, atque adco fanguinis copia partcs extcrio- rcs dcfcrir,lubitqucinteriora, utadaftocultcllonon acque cfflue- 3.5hifto. rcuaIcat,qucmadmodumfcribitAriftoteIcs,& obidfomnolcnti ^^ omncsdecolorati cuadunt,unde hos faris cxcrcirari nccclTeeft, quo pcrfpirarionibus aditus parefiat, fanguisue ad extcriora fcruan daarqucnutrienda rcuocctur. Dcmum ob tcmperaturae ratio- ncm fic dc cxercitationibusiudicium fercndum credo,ut ficciucl nihil omnino, ucl lcnte fatis, et minimum laboriofe excrceantur. nam cxcrcitationes,quas fuaptc natura exficcare conftat,fi in ficcis corporibus adhibcantur, quin intempcricm augcant, ncmo fanae mcntis dubitarit. CaIidiquoquc,&pracfcrtimacri,acmordaci calorepraediti exercitationcsmodicasrequirunt, ne a motu pius 4.Aph.i3 aequoincalefcant,ipfisquc,utfcribit Galcnusfolacin necelfarijs ^.epid.co. adionibus obcundis motioncs fattac fufticiunt . Vndc Ariftotelcs, ^'^^anic' quacrcns, cur ali j fcdcndo pingucfiant, alij macrefcant, ideo eue- Prob.i. nirc dicit, quoniam alij frigidi funt, alij calidi, ali j cxcrcmcntofi, p ali j non ; et qui calidi funt, pingucfiunt fcdcndo, cum corum calor fine motu cibi concononimmerito dubitari poflct; co quod Ariftotclcs fcriptum rcliquit,corpora humida a laborc fi]flbcari,qiiia a calidi- tatc motushumidum in uaporcs conucrritur,qui mox copiori,&: lcruidicflcdi calorcm nariuumfuffocanc: atramcn ratio fccuspcr- fuadcrc ui derur, quae dcraonftrar humida corpora cxcrcmcntis a- bundare, et propterea iplls laboics ualidos congrucrc, tum ad cx- ubcrantcm humiditatcm confumcndam,tum ad fupcrfluirarum co~ piam adimcndam . Quaproprer, ficuri notat Pcrrus Apponcnlis, icntenriamAriftotclis dc illis inrcUigcrc oportct,inquibusqua- tuor concurrunr, ut fint humidi, &c calidi, ut humidi tas lir irulra, cuaporabihs,atquc circa puImoncm:talcs cnim filaborcnr, &: mul- tumexcrccntur,pcriculum cft,ne humidiras a calorcinrrinfcco acutoin uaporcs conucrfa pulmonis,&:cordis rcgioncmoccupan- ^ dofuffocarioncminducat . Quiab his humidam corporisrcmpc- ricmpoiridcnr,nullum nocumcnrum,quinimmo cgrcgiamurili- tatcmabcxercitationibus,&: laboribus percipiunt;arq.hacratio- ne cx mulieribus humida tempcric in uniucrfum pracdiris illac fa- niorem, &: minus molcftam uitam dcgun r, quac diurius, 6c ualcn- tius elaborant, &c cxcrccnrur, ficut &: cacdcm apud quas gcntcs,&: in quibus locis laborarc confucuerunt,facilius pariunt, ut kribit Ariftotclcs ; neque utcrum ditHcuItcr gcrunt, cum labor ca rccrc- mcnta confumar,quacinmuIicribusotiofis,&:fcllulanjs augcntur. Quaccunquc ucrocorpora calida(imul,6^ficcafunt, nullopa^to cxcrccriconucnit;quae calida,&: humida, cxcrcitationcm admit- tunt,atmodcratam,nonuehcmcntcm,noncitatam : frigida,&:/ic- ca rationc frigiditatis cxcrccnda lunt, rationc autcm ficcitatis ne- C quccelacs,ncqueuaIidosmotusrcquirent, fcd modcratos,&:po- tius lcntos: fngida atquc humida omnium maximc ab cxcrcitatio- nibus uchemcntibus, &c uclocibus iuuaniur, quippc quac fupa -a.- cancam humidiratcmabfumunt,&:calorcm natiuum cxcir.inc.au- gcntquc. Sicigifurdccorponbuscxcrcendisinuniuerfuui dctci- minatum lit. Dc locfj In quil^HJ excrcitationes ficri debent. Cap. ^^y^.ffK A N T A cft locorum uis,atquc proprictas,quibus rcs ia iplisfaciacuarijsmodisdilponuntur,utnon modoplan tarumnaturac,ficuri Thcophraftusfcribit,non modo ^^c.- brutorumfacultatcs,qucmadmodumaudorcftArifto- tclcs,ucrum et ipforum hominum corpora,atquc animi, fccunduin Hippocratis,&:Platoni5fcntcntum,prout indiucrlislocisucl na- fcuntur, 2il.mai;ishvpcrhron conimcdarunr, quampordcus,(S^hypogacum,licut,6c Phacdrusapud Plaroncm in diaiogo iplius nonunc infcripro cx fcntcncia Acumcni mcdici, cu- ius ctiam a Xcnophoncc cclcbris hc mcntio, dcambulationcm, cx- [l^ ti-a ciuitaccm iaLhun ci, quac in ciuiraribus ctH. i iir, pracrulit hifce tt^* ^ ^ " VCrbis '.ti \,yu£ mI cSTruiiyiW^ AKOVtAivui KcciccTccs oJ^Jx/^ TTcioOyLCti ToOi Tr^rrccTOv^^cfHffi yxg iKOTroort^STotiv Ivtoi^ J^^ot^n^ iivcti, jdcli:, McO auccm, 6c tuo obcdicnslodali Acumcno, m vi)s ambulationcs fa- cio : has cnim dixic minorcm lafruudmcm parc rc, quam illas quae hn curribusagancur, Dc hoc cnim Placoms loCo cum luprapromi- fcrimus, nv"^s plura diduros, iam occafio poliicira fcruandi opporru na fclcurtcrr, cosmagisquod Marlilius Fic!nus,uiralioqui doctilli- B mus,dum Phacdrilcnccnriamcnecrcdidit, uc hiciiiorcs linram- bulacioncs, quamcurfus, dupliccm errorcm rurpiccr commific; rum quia rcxtiis (Sracci lirceram,ai]t non inrcllcxir, aur linc ncccf- licatc cranlnuitauic, dum loco t»v IvToi^J^^iyiOi^, pcrindc cranrtu- lit, ac(i ccxcus habuilVcc TivJ^^itmy ciim quia Phaedro Acu- mcno ridiculam propc rcinlc adlcripfiirc nonanimaducnit :quis cfuaeloadcomruHus,(&:ignarus cll, quin cognofcac ambularcfa- cibus clVc, quam currcrc ? Mchus igicur lanus Cornarius, qui nu- pcrPlatoncm Latinum iccit, fentcntiam illam inccrprctatus cft, cum Phacdrum tcccrit diccntcm falubriorcs cllc ambuhirioncs in uijs,quam in curlibusfactas. quod uc accipicndum,atqucintclli- gcndum (ir,uarias inucni doclorum hominum opinioncs; alij nam- qucarbicratifunr, «/^fo/nwj fiue curfuii apud vetcrcsGraccos fuific Qin urbib. uiasplanas,lcdoblapidcsftrarosafperiufcuIas, &:brcucs ita appellatas ob frequcntiam hominum pcr cas ambulantium i co padito, quoctiam hodicrnadicapudmultosciuirarum uiacmagis irequcntarac Curfusnuncupanrur. cui fcntcntiacopitulari uiderur Hippocratcs 5. Epid.-.ibi mcntioncm ciiiufdam facif,qu' propc cur fum habitabat his vcrbis: 0 7roc§i tov J^giiJLov opcioQVyTHS wktoqcchjuic li^i' daf. idcft, quidc propc curlum habitans nocte languincm euomuit, ucro liue uias dixcrunt fuiflTc quafcunquc uiascxrra ciuita- tcm nulla artc fabricatas,nullis lcgibus llratas,(cd inacqualcs,mini mc planas,&: dcniq. talcs,qualcs ud narura,ucl cafu fadac rcpcriu- tur : atque ideo Acumcnum magis ambulationcm in uijs, quam in curfibus probaffe : quoniam ficuri fccundum Cclfum, 6c ipfo anri- lib.i.ca quiorcm Ariftotclcm forraffc Acumcnum in hoc fcciirum, Tfl2t^ jV/yJ"^ TF^iTriroovoi KWfdCiiJ^Qy^iKOTrii^ioi wii/oiivi^Mi rHv irjSuHv. Idclt ambulationum lllacminusdelafsant, quae fiunt inuijsinaequali. bus, quam re(ftis, cum ambulantes pcr loca plana, &c aequalia fem- pcr ijfdem membris laborcnt, ambulanres u cro per inaequalia ro- ticorpori laboremmagis diftribuant, &:iccircominusdefatigcn- tunitaambulationcsper uias fadac, ut potc inaequales fadtisin curlibusnimirum acqualibus exli^eiTtibus facilioreseadcmratio- ne cxliftunt. Alij dixerunt rot/ffc/^fJ/iovc r^xftitilTelocaquaedam tra- £l:u brcui ambulationibus dicara, limilia ijs, quae in palneftra anti-» qui ob ambulandi commodita.em acdificabar, quacquc IniJ^goiAi- c^ajuocatas rradit Virruuius, &c quorum clarifrinam menri ;ncm fecit Eupolis, apud Laertium m Platon Iv IvjkIoi; J^goptcurt akccJ^H'' lAOvSiov^ ideft, inambulacrisAcademi Dei umbrom. uiasuero ex- ftuif e dlas, quas paullo anre ex praedi(5l:)rum opinione indicaui- mus, et ob id Acumcniim rede fcniifsc, dum ambulationes in vijsminus, quam incurlibus defatigarc ccnfuit; quandoquidem . Ariftoteles fcriprum rcliquit, eos ambulando magis defatigari, quipcruiasbrcueseuntcs faepe, ac facpius repeccre coguncur, quam illi, qui longas uias pcrambulantes numquam repetuat, cum illi priorcs modo quiefcentes, modo euntes ab inaequali mo- ' tione pcrturbentur, quod minus iftis euenire perfpicuum eft . Hos poftrcmos melius cctcris fenfifse, femper ego putaui, non tam quod ambulano in uijs perada eligibiliorfit, quam in curfibus, tum ob rationcs praedidas,tum ob liberiorem, et puriorem aerem, qui non in locis breuibus,&: occlufis, fed in vijs apertis crebrius in- funditurrquamquodcurfum ita Platonemin Phaedro intcllige- re,uerifimihus cft, quando &: in principio Thcaeteti fimili uoce in cadem prorfus fignificatione uti uidctur fub hisverbis: tegnyxg ltf rS^ooJ^gcfieo HMl(povroW£tgoir\rmgovroi ttCroO^ KxiccCrity vvv&: loca fccundum mare ad mcridicm,aut occidcntc fpc^ftan- tia tiigicnda crunr, c]uoniam, Virriiuio auctorc, caclum mcridia- ^^^^ ^•^ '^* num pcr acftarem folc cxoricnrc calcfcir, mcridic arder,undc cxcr citarihne magnoincommodoncmoibi poteft. Quodfi fupcrbilfi mac,arqueinnumcrae illae porticus ob dcambularioncs, &: alias cxercitationes, ut fupra rctulimus, crcftac, fi ampliirima illa gym- nafiaad hoc a maioribusnoftris magniricc exacdificata babcrcn- tur,nuIlusprofcdo locus aptiorinucniri polTct, qui omnibus fc- rcexercirarionum gcneribus magis futficcrct :fcd,quoniam illo- rum ruinas uix nobis intucri liccr, danda opcra crir, ut unufquifq. locum fccundum condicioncs iam cxplicaras cligar, illud icmpcr nicnre rcuolucns, tametfi multae fint exercitationes, quac loca angufta,&:occIufa expofccreuidcntur, inijsramcn haudparuni B delc(ftum quoquc habcri dcbcre : ut, fi non omncs qualitatcs, ali- quasfaltcmcarum, Sc mclioresex ijs, quas inmcdiumpropofui- mus, habcant . Quamobrcm fcitiflimc confuhiit Galcnus, ut do- ^i^- mus, in qua cxcrcirandi funr homincs, h\ cme calida, acftate frigi- "^'"P-^- da, uel fcmpcr tcmpcrara cligarur ; fin mmus, procurctur, ne ipfo pracfcrtim die calidior,frigjdiorucfir, quampublicus totuisur- bisaer. Quasomncs pracdidas condirioncs unoucrbo complc- xuseffc uidcrur Acrius Amidcnus, ubi gcftarioncm, nauigario- lib. j.c.7. nem,&: omncm dcnique cxcrcirarioncm in falubri loco,&:puro acreficridcberefcriplit . Aliac fimilircr poflcnr indicari iocorum condiciones,ncmpe inaequaljras litus, planirics,&: huiufmodi: ied,quia parrim cxplicaracfucrunt,parrimfupcruacanca&: teporcmferuarc non poteft. amplius corpo-. ramotupcrfpiratiora,&: folutioracffcda, meatufquc pcrfudatio- ncm patefasfti frigusintima maiore ui penctrarc permittunt, ac* ccditctiamquod fcfc cxcrcentes acrcm continuo permutant, ac ^r. partiu pcrmoucntj&iccirco^uti diccbatAriftotcIes,currcntcs hycmc,ma P prob. 12. gisrigcntltantibus.quod ucr noftra ambiens corpora, cumftamus, ubi lcmel concalcfadus cft,nulla amplius molclliam inkrt; cum au tcmcurrimus, alius atquc aliusfubindcfrigidus*occurrit,iraquc fit, ut magis rigeamus • Paritcr qui in cxtrcmis frigoribus cxcrccn-. tur,uchcmcntius arigorcpcrcutiuntur: nimiuspractcrcacalorcx- crccri uctat,nccnonficcitas immodica,quoniamaltcr calorcmna- tiuum, et vniucrfum corpus immodcratc refoluit, altera magis> quamparfit>humiditatcscxficcat. Tcmpusitcm excrcitationibus fcrenum,atquc lucidum cligcndumcnt, fugicndum ucro nubi- lum, obfcurum, craflum; quando licaer dcprauatus ctiamabf- quc cxcrcitationc apcrtos corporis mcatusfacilc,fubit, humorcf- qucfccum inuchcns mcmbris non finenoxa afligir, et pcr con- fcqucns grauiora non Imc rationc corpora rcddit, animumquc de- inceps gnuat ;qiiodinfcfcno nufquamanimaducrtitur,quln po- tius al> illo corpora ad morum adiuuari,fpiritusq. fuaptc natura lu- ciditati amicosconfirmari',&: animum rccrcari pci fpicuum cft. id ^.^ ^^^^^ quod Hippocr:itcm (ignifi^ alfe puto,ubi dixit,(?/4«ritrc &:incoctos humorcsconficicnre cxcremcnra paucif- (imagcnerantur,atqiic indc minus iIIacducincce(Tariumcft,nc- quc cxcrciratioconucnit>quaccxiguam urilitarcm aficrenspencu lum magnum adncxum habetine fcilicet aer hyeme madore opple tus coi-pora moru reclufa illabcns nvignopcrc laedat.Kx altera par teuctuiliirrnus audor Hippocrarcs, iiue Polybus tria cxcrcitandos ^.dctlict» hommcs admonitos u )!uit,ut lallitudincm omni temporc caucrcr, ^utdcambulationibusmaruriniscorpus exercercnr, urhyemc&:fri gido tcmporc magis ac diurius cxcrccrenrur,ccflanrcs tamcn priuf quamlaatq. ctiamaurumno cor[x)raabambicn Li.i.c n- teacrc faris exficcata,fqualcntiaquc rcddita haud amplius pcr mo- tumarcficri dcbcrc,ncqueitemcalorcm alioqui languidum,&:im- bccillem magis rctundcndum minucndumuc.Galcnus ucro,muIra ^ ^^-^ rumrcrum,quasmcdicifcquunrur,auLtor bonus ccnfuifTcuidetur, ual.ca.z- quod ficuri corpora rcmpcrata in rcmpcraro rcmporc,ncmpc ucrc> cxerceri poftulanr,(imili pavflo corpora frigida in calido, calida inc frigido,humidain (icco,(icca inhumidocxcrccndafinr:qu;ififcm- per illud obfcruari dcbeat, utcorporibus adaliquamintcmp^-rie' dccliiumibus tcmpus,atquc locu5 coiurariaiucxerccndo chgati^ tttu 222 L I B E R .9. epm. tur.Neque hoc in locopraetermitrendum ccnfeo.quod PIin?us iu- T> S Fulcc: '''"'■'^''^ exercitatione aeftaris tempore a fc ficri fc>!ita, ubi a Fufco mterrogatus,quomodo diem acftate in Tufcis difpennirer,in huncmodumrcfponditde cxcrcitationibus.-iibihoraquarta uel quiMta.ncquc cnim certum dimcnfumo. tempus.utdiesfua/itin xy ftummcvcl cryptoporticum confcro.rcJiqua meditor,& didojVc hiculumadfccndo. Ibi quoqucidcm quod anibulans.autiaccns* Duratintentio mutationc ipfa icfeda, Paullum rcdormio,dcmde ambuIo,mox orationem ^ iraecam,! atinamue clarc,&: intcntc non tam uocis cau la, quam ftomachi lcgo, paricer tamcn &: illa firma- turitcrum ambuIo,ungor,exercecr,lauor.& paullo poft. Nonnum- qiiam cx hocordmcaliquamutantur. nam (i dm iacui,uel ambula- ui, poftfomnumden.umlcaioncmq.nonuchiculo.fcd quodbre- ums,quod velocius,equo gcftor, ucnor aliquado.ln particuJari por E ro tcmporc excrcitationis dcfcribendo Ariftotdcs aliquando mo- Pk,..nhb.,um cum(vt ipfi ctiam imputat Plutarclius) quipoftfumptum cibu •iit,commcndauit,coquod tunc caloramotu auduscibum mox in- ot ftumfaciliusconcoquat,cuiustamen contrarium eucnit, quan- do pcr motum calor a uentriculo ad uniuerfum corporis ambitum rctraausnonfolumnonadiuuat concodioncm .quinimmoimpe- locclt '^i'^'^»'"«; r(ii^oMW(tKAvvrM.f,iivH(Cisis ci(m tua cura dapes, Et bomts MCthcrio Uxatur ntBatc Catjjfr > lngcntiq. tcncl pocula plcna manu, Tunc admitte iocos ^^rcjju timct ire licenti, w/f  aut fphacrillirio, aur curfui,aur hidarioni- „ busmoHioribus incumbcbar, arqucindc undus Iauabatur,ira ut „ caldarijs ucl numquam', uel raro,pifcinisfcmpcr utcrctur, in caq. „ ^ una horapropc mancrcr:bibcrcr ctiam frigidamclaudiam iciunus „ ad unum propcfcNrariii. Egrcflusbahicism i.lrumladiSiSjpanis fu- „ mcbar,oua dcindc, mulfum,arq.his rctcdusaHquando prandium „ inibar,aIiquando ufq. ad cocnam diflTcrcbar, pranfus cft ramcn fac- pius. Horariusquoq.paullodiucrfius, &:fcipfum, Sc ahos hbcrc Lib,i,fcr. uiucnrcs in cxcrcitationibus cfficcrcfohros> arrcftari uidctur, ubi Sat.t^. pollmultahaccfcribit. quartam iaceo ; poH hanc ragor, aut e^o Uclo, v>f wf fcripto, quod me tacitum iuuet, ungor oliuo, 'hlon quo fraudatis immundus V^atta lnccrnis, ^sl vbi me fcffum Jol acrior ire lauatum ^dmonuiry fagio rabiofi temporafigni ^ Tranfus non atude, quantum interpcllet inani, P^entre diem durarr, domcflicus ocior, hacc eQ ^ita jolutorum mijcra ambitione,grauiq. His mt confolor uitlurum fuauius,ac ji QuaeHor auusypatcr atque meus ypatruusq. fuiffcta. Illud ramen hoc in loco ncquaquam pracrercundum exiftimo, quod maiorcsnoftri, quorum maiorparsucl cxiguumquid>uel nihii omnino manc manducabanr, fcmclq. tanrum in dic farura- banrur, horaodtiuadici, ucl nona commodc cxcrccri porcrant, aut criam occidcnrc (olc. Cctcrum aerarc no(lra,c]uando uix vnii, aurahcrumcft inucnire, cui non lir in morc pofirum, 8c vcfpe- re,&manecibisfarurari ; nulla inomni rcmporcopporrunior ap- parct horii, quam marurina ^paulloanre cibi fumprioncm ; nimi- rum cum corpora lciwora ySc ub cxcrcmcncis magfshbcra, niagis ob i26 I B R obpraeuiiimfomnumualida, magis dcniquc a quibufuisimpcdi-D mcntisfollitafunt^&practei^a minus imminct pcriculum, quin extcrnuscibus probc confcdtus (it: ficut contra in vcfpcrc, cum nondum cibus concoftiontm affccutuseftjcorpufquc fupcrfluita- tibus magis redundat,magisq. grauatur, potius quicfcendum, qua li.i.fen 3. cxcrcendumcfTe, quifqueuidct: uti quoquc animadutrtifle Aui- Joc.2,c.3 cennam arbitror, ubi dixit:"In hycmc vcro ratioiii conucnicns erat, ut fcrc ufque ad vefperam tardarctur, fcd alia prohibctia hoc uetant. Erit iraquefcre pcrpctuonoftrishilcetcmporibusmane antecibum quibushbet fanisadcundacxcrcitatio,iique vllus au- ftorinucnictur, quipoftcibum cxercitarioncmcommcndct,mo- . do prudentcr confulat, non gratia fanitatis, aut habitus boni com- parandi illud faccrc, fcd potius gratia alicuius particularis aficjlio- nis curandaccognbfcctur. E/t Sc aliud hocinloco magnopere E confiderandum, ueter^s tam Romanos^ quamalios multos fcrn- pcrdics, atquenoftes fcparatim in duodccim horaspartitos eflb.; atquc alias dici maximias,ut in acftatc, alias minimas, ut in hycme, Udecit- aliasacquinovflialesuocafl^c: numerumautcmhunc fcribit Gale- mfpcc.no "^'^ ranquam ommium utjIiflTimum ab ipfis deledum eflb, quo^ titia atq. niam dimidium continct, &:duplum, &: quartum &: fcxtum, 8c «pfj!^* usincredibilia crra- ta  jjT A ta committi folenr,&: plerumque ( urar Plinij vcrbls) infcitia capi- ^M.n talis cuadit. cumquc nos cxcrcirarionis toram arrcm rradcrc profi- tcamur, iamquantum vnufquifq. cxcrccri debcat, monftrarcco- nabimur . Et nc lingula cxplicantibus nimis diuagctur oratio,uni- ucrlaquantitatiscxcrcitationum tradatio cx hisconftabit, Quis cflc dcbcatcxcrcitationis communis tc rminus: Quantum fortcs, quantum dcbilcs, quantumlcncs,quantum uiri,quantum pucri,excrccri debcant;quantum hycmc,aclbtc,ucrc,&: autumno;quan- lum tcmpcratc uiucntcs, quantum humidi, caHdi, frigidi, &: ficci ; quantumualctudinarij ; quantum non alfueti . his ctcnim cognitis nihil,quatcnusad praclcns caput attinct, dciidcrarciurcpotcrir. Sed antcquam rcm aggrediar, adnotandum duco, dc corporibus acgris non hiturum lcrmoncm; tum quia paucas cxcrcitationes B rcquirunt; tum quia fccundum morborum uarictatcs uariantur cx* ercitationum lpccics,atquc mcnfurac;&: iccirco ccrta rationc dcfi- niri nequcuiK. Tcrminusigitur cxcrcitationum communis,qucm Galcnus,Oribalius, Auiccnna,&: Actius Hippocrarcm fccuti do- cucrunr,duplcx cll,U!ms,quandofciIicct uapor fudori aliquanti- r.dcloclf fperpcrmixtusfcntitur, vcnae intumcfcunt, atquc anhchtuspcr- mutatur:cum cnimab cxcrcitaiionc duorcquirantur, mcmbro^ Ji.i.fcn.ij rum robur, &: caloris au(ftio, qui fuccos concoquat, concodos nu- tricndis mcmbris diflribuat, atquc dcmum inutilia dillipct, nifi^.cpia.^' cxercitatio tanta fit, &: ad limilem tcrminum pcrucniat: ncque^°»«*« bcnc,ncquc pcrfcdc illaomniaobtincripoifunt, altcr tcrminus c(l, ut tamdiu cxcrccatur vnufquifquc, quamdiu color floridus ciusfaciei,&:corporiingeneratur; motufquc acritcr, acquabili- C ter, &: concinnc edit ; ncc ullamcflaru dignamlalTitudincm per- cipit . quod li calor cuancfccrc incipiat ;vcl corporis moles paullo contractior vidcatur,vcl lalTicudoiamimmincat: illicodcliltcndu cft; ne, fi ultcrius progrediatur, corpus plus iufto gracilefcat : boni fucci unacij maliscxhauriantur:&:tandcm calornaturalisdcbilior reddatur; &: idco loco roboris acquircndi uircspotiusdcftruan- tur, (imilitcr ubi motuum alacritas,acquabiliras ; ud concinniras rcmitri quippiam, collabiq. ccrnitur; utiquc llatim delincrc opor tcr; itidcm (i infudorcaccidar ulla qualitatiscius,qua!uitati.suc mutatio, quippc qucm, &: copioliorcm (cmpcr, &: fcruuiiorcm cdi parcft,prout motus vchcmcntiorcsfiunt.cum igituris autminor, aut frigidior rcdditur : tum fcito corpus cxhaunri, rcfrigcrariquc, &:ficcari plus iufto. &:proindc corpori cxcrcitando diligcnrcrat- tendcrc conuc 01% ur, quando pracdittoruni lignorum aliquod ap- Cyn.n.iiiica* 3 parere lam incipiat, protinus cxcrcitatio dimittatur. Atque hi !> funt communcs quidum tcrmini, quos magna fc/e cxerccntium pars continerc dcbct . Succcdunt poftca particularcs, pro quibus ita dccrctum uolo, quod ualidi diutius ccteris (nifi quid aliud ob- ftct) cxcrccripolTunt, quamuisctiamuircs aliquantifpcr fatifce- rcnt ; nimirum quae facillime rcfurgcre poffunt. dcbilcs parum ccrte cxerccri oportct, alioqui i\ in his uircs ucl tanrillum parian- tur,difficulter, et longo tcmporereparantur ; et iccirco fatipfis crit incalefcere citra fudoris principium.Scncs du fe cxcrcent om- ni cura fudorcm ctfugere dcbent; ncmpe iicci,&:aridiexfiftcntes, ita maiorem ficcitarem conrrahunt; pracrcrea c um iam dixcrimus, exercitationesiniuucnrutcconfuetasinfcncLtute congrucrc, hoc in loco fciendum cft, fcmper fcncs minus quam iuucnes (oIcbant> excrcendos cffc, omninoque lalfirudinis fcnfum cflugicndum, ter- E minumq. excrcitationis eorumfamisexcirarioncmponcndum, fi- cuti Socrarem iam fcnem fe exercirare, donec cfurirer, folirum le- gimus. Viri, fub quibus comprehcndunrur omnc^ inrra adole- fccntiam, et fencfturem exfiftentes, moderatas exercitationes po- ftulanr: uel enim ofFendunrur, fi plusiuftocxcrceantur, uclpau- cum omnino frudum capiunt, fiminus, uel utroque modopra- uum aliqucm habitum conrrahunr: quocirca tcrminus commu- nisiamexpofirushisomnibus mirificc aprabirur. Pucri a primo ufque ad tcrrium aeraris feptenarium mulris laboribusprobefuf- ficcre poflUnr . quocirca &: incalcfcere, &c anhclarc, &: ludare &: aliquantifpcr defarigari ipfis impune concedirur : excrcmenris enim plurimis ob viucndi imprudentiam cxubcrantcs afudoribus, &: laboribus multis iuuanrur ; uiribus autem ualidis pollentesa F leuibusdcfatigarionibus minimc oflfcndunrur: haud ramcn rao- duminlabore pucros umquam exccdcre conuenit, &:tanto mi- nus, quantoprimo fcptenario uiciniorcs exfiftunt^ fiquidem in- icmpeftiuaexcrcitationisduritiecorporis pueri,ad auftum, ana- tura quam maximc comparari inhibcrur auclio, ob quod pae- i.Jtu.fa. dorribas nonnullos fui temporis damnauir Galenus; quod plus c^x.7.pol. ^equo pucrosexcrcerent .fimilitcr, &: Ariftotclcs improbandos iudicauit Laconas,quinimijsIaboribus, &: exercitationibuspue- ros cfTcratos rcddebant, ficut &: illas nationcs, quac athlctarum ha bitumlaboribusinpueris gencrare ftudentes corumcorpora de- formabant,augumcntumq. impcdicbant. Nainter eos,qui Olym* piavicerunt,duo, uel tres tantum exftitcrunt,quiijdcmadoIclcen- tes> fi^ uiri fint ui inaniun- tur, calor naturalis excitarur,&: pcrbclle conco^liones omnes pcr- ficiuntur. Dcmum uaIctudinarios,qui mox a morbisrefurgunt, cxigua admodum cxcrcitatione utidebcrc, ncmoignorat; quo- niamhorumuircsinfirmae ualde exfiftcntcs,caIorquc debilis, &: membracxficcata,fimulta cxcrcitationc agitcntur, nonpoflunt non fummum dctrimentum fcntire:proinde ifti i ntra anhclitus mu- ationcm,intra caloris aduentum,intra dcniqiie dcfatigationem ^ quamIibetexcrccndifunt:prouttameniftireficiuntur,uircsq. cre- fcunt,&:mcIiufcuIieflecoeperunt,adijceredebentexcrcitationes. Poftrcmo qui exercitationibus inafl^ucti funt, cum prauam illa con- fuctudincm dcponi deberc,iam oftenderimus, prius cxpurgari ab humonbus,&:fuperfluitatibusexfcgnitie ortis fecundum Galeni confilium dcbent,alioqui periculum imminet, ne a fluxionum per- niciofis morbis protinus tcntcntundcinccps primo parciflTimc exer- cendi funt pcr aliquot dics, poftea cxcrcitationis modus paulla- tim augendus, quoufque ad tcrminum illum pcrucntum fit, qucm inafl"uetis fufficcre,&: citra ullam molcftiam calefacere experientia docuerit:cofemper(quod fupra quoque dcmonftrauimus) ani- maduerfo, omnibus immodicam excrcitationcm noccre, nempe quae pucris incrcmcntum adimit,&: mcmbra colliquat, uiris inae- p qualcs intempcrics gignit, atque febrem interdum, ficuti de illo Calc.^.dcimmodice excrccricoaclo narrat Galenus in libro de cauifis prae i/mp.cau. inchoantrbusjfenibusimmodicabiles Iaflitudines,atq. ficcitatcs pa rit;omnibusque tandcm aliquid fcmper boni cffluere lacit. Quam- quam Ariftoteles ij. ethic. ad Eudemum libro, vbi virtute medium eflc probatjCxceflum in excrccndo defcdu magis laudat,licut in ci- bo cont rariu mjo/^c^t/^inqu lOKoci Tngi to (raipix Iv /u^ rots Tromg vytui/ongoy i VTns^ '^^^ lA^u^liQnsKcci iyyuTigov roi ykaov \v J^i r7i rgoq^n « fcAAu4^2 vTnsSo^HQ &c quac lcquuntur. Immodicac autcm cxercitationis haec fignafunto,dumarticuIicaIidiore cff"ecli fentiutun dumuniuerfum corpusaridum,&: inacqualeapparct ;dumin motu/enfus doloris cuiufdamulcerofifuboritundum labor coade,&:nonfpontc dimit titur;dum poftfudorcm pallor fuccedit,ficut in athletisimmodice cxercitatiseuenireconfucuiflc au6tor eftAriftoteles;duminfolita denique, prob. Si Q V A R T V S. f ji A clcnlqncacualdcmolcftalafririido pcrcipitur. Tota itaquc quan- titatis cxcrcirationum ra:io liis omnibus nobis pracfcripta fit.Quod limulta particularia a quoquam rcpcricnriavi'iac a nobis aui i^^no rata,aut praetcrmi(rauiJcantur,iIludfciat,nihilquod ad un ucr- iamartcmncccflariopcrrincat,circ,quia uclcxplicitcuclimplici- tc a nobis comprchcnfum habcatur^.juamquam ctiam mulrac cxcr citationcsfunt, quarum quanritaris tcrminum non cxprcllimus, quod a tcrmino illo communi pracfcripto corum mcnfuram accipi uolumus, Dc modo exercer^di. Cap. XllL p '^'-^^^♦'-'-—•RAETER locum, tcmpus,&:quan:ita:cm, quae inobcundiscxcrcitationibusfununa curaobfcruari ^ d^t)crcdcmonllrauimus,adcft& modus,qui urin illisipfis, fic in plcrifquc alijs rcbus rc(ftc pcragcn- dis tantum potcft, ur, nili is adhibcarur, cctcra om- niafupcruacancarcddamur, inrinitisquc propc cr- roiibusiam uia latilfimcpatcat . Qua dc rcmaximead huiustra- ftationis abfolutionem pcrtinct, ut modum,qucm anriqui in cxcr- ccndis corporibus tcnucrunt, quoquc tcmponbus noftris unus quifque fanitatis ftudiofus uti non linc fru(ttu potcft, &: dcbct, apcrtum brcui fcrmonc faciamus. Modus igiriir,quo uctcrcs ad fa- nitatcmufoslcgimus, fuitis, qucm Oribalius Pcrgamcnus lulia- ^.coiic. ni Impcra. mcdicus, Actius Ainidcnus, &: Arabum doc^^tillinius Q Auiccn. inmcdiumattulerunt. Virinamque,&:iuuencsexercen- Li.i.for.j di ubi Iotiopfcctaconcodioapparcbat,faccibusqucaluum cxoncraucranr,maiorparsfcfccxfucbanr, mox fricabanrur mcdiocritcr, ^'ufqucquofloribuscolorin fumma cutc refidcns, &c arruumflexi- bilitas, arquc ad omncm motum agiliras pcrfuadc bant ; pcrfiicati olco dulci mungcbantur ;quod urmagis ariusquoslibcr pcnctra- rct,manibus undccjuaquc prcmcnribus,&:cxplananribus apponc- batur; abundtioncqui luctatione cxcrceri uolcbant,autpancra- tio, pulucre conlpcrgcbantur, alij protinus in cxcrcitationcm, proutcuiquc alt^rraalrcri uiilior,atquc grariorapparcbac,dcfccn- dcbanr,pcra(fta cxcrcitarioncpaullum quicfccbant,dcindc fh-igili bus, ucl afpcriufculispannisltrigmcnta a corpore cradcbant,quo fado aliquando rurfum fricabantur, iTroi^gctnwTiKH didta fridio- nc,nmilirerqucungebanturaliasinfoIc,aljasadigncm,utCornc-- liU5 Cclfus tcfUtum facit; ficq. fcrc fcmpcr balneum ingrcdicban- tur Lib i.Sci bis bon.& ina.ruc. 2iS JL 1 ii £ R tur conclaui quam niaxinic alto, lucido, et fpatiofo, rariiisfcip/bs D inducntcs ad capicndum cibum accedebant. Atque hic totus erat modus,quouelin gymnafijspublicis, uel inpriuatis locismaior pars liberorum hominum,&: eorum qui valetudini curandae, et bono habitui comparando folemniter incumbebant, frequentcr utc- batur- Necquifquammiretur,quomodo liberi hominesfingulis diebustotcorporiscurisoccuparentur, quando omneshomincs, ncdumclarioresquotidie defricarifolitos, multi audores,& prac- fertimCoIumella memoriaemandarunt.de quo defricandi mo- rc,&modo,fiDeopIacuerit,aIiquando tradationem huic adij- ciemus. Cecerumuerifimile fit quamplurimos ahosexftitifTcqui uel negotijspublicis,priuatisque impcditi juelnecefllirijs uaria- rumartiumoperibusdetenti ;uel aliqua ualetudinis ratione coa- €ci hoc pa£lo minime excrcerentur, fed fridionibuSj&undlionibus ^ dimiffis^quafcumquc poterant exercitationes ample£lerentur;ficu- ti &: multi reperiebantur,qui pracdidarum cauffarum aliqua nullo modo exercitationibus uacandi otium habebant; quibus omnibus exadiore uiclu,^: fanismedicamentis opus cflb tradit Galcnus. Verumenimvcro cu actare noftra gymnafia illa ob exerccndi com moditatcs ab antiquis fabricata in vfu dcficrint cflc%neque gymna- ftas,&: paedotribas,ncque aliptas,&: reundores habcamus,a quibus fricandi, ungendi, tandemque quomodouiscxercendi modos,at- que commoditates quaeramus, fat erit illis,qui aliqua neceflaria oc cafionc impediti Iibcrefcfeexcrcendiocium ncquaquam habcnt, ut potius quomodocumque poflunt, excrc eantur, quam fcmper in confummataquietedegant; modo tamen hoc unumobferuent,ne ftatim a cibo excrcitationes cas, quas gratia fimitatis facerc uolunt, ^ folicitcnimis adcant,fcdfalrcm aliquot horas intcrponanr, quo quam minimum ficri potcft nocumentum inde fcquatur . Porro quifuaefpontisfunt,&:maioriocio propriorum corporum curae Iibere uacare queunt,haec omnia diligenter obfcruarc dcbcnt.pri mo u t corpus tum a faecibus,&: urinis, tum a mucis, &: fpuris accu- rateemundarc,caputpcaerc,manus,&:facicm ablucre ftudeat, ne excrementa in uarijs corporu cauiratibus,atq. in ipfo ambitu laten tia,a motu cxcitata uaporarionib.oflcndantjftridisq. mcatibus no- nunquam infarclxi,aut exercitarionis calore cliquata obftruftiones, fluxionesq, diuerfas pariant.Sccundo ut corpus ijs indumcntis ob- tcgant,quaelaborcm ipfi fupcraddcrc nequcant, quacuc interim a uentis,fiqui erunt,ucl afrigorc tucantunautctiam fiacftus urgear, feruurenullopadoaugerc,fiucfoucrequcantinam indumcnramfi cxercrcitandLs prudctcracc6modcntur,pracrcrimpcdi'mcntri,quocl laboraruris in motu pracftarc folcntiniigncjfaciunt quoquc, &ut motusdchita mcnfura ludcrj6j alia iucomoda rulHiicant;(iqui dcm fudor ita indutoru finc motu multo cucnics, vcluti Arillotclcs i.par.^fb. dirpurat,dctcrior cft co,qui a laborc cmanat.&huiusargumcntum p°t?o pl eft,quod ita fudatcs dccoloratiorcscuadunt, cu humor pcr fumma blc.j. ' corporis pairus,arq. incalcfccns ab cxtcrnoacrcrcfrigcrari nopof. lit,& indc pallorcm tacilc contrahat,(i mulquc corporis pcrfpiratio» a qua graruscaloremanarcconfucuit a ucllimctis inhibcatur. Tcr tioobicruanducrit,ut rcmiflc,ac lcnitcr unufquifq. cxcrccri inci- piat,dcinccpsciusintcntionc augcatpaullatim,ufqucquoad tcrmi nu, qui fibi conucnicns uidcbi tur,pcr ucniar, atq. vchcmcntia rur- fum pcdctcntim rcmittcrc catcnus conctur, quatcnus fibi iam fitis B fclc cxcrcuilTc dodus cxpcricntia fcntict: na fiibito ab intcnfis cxcr citationibus incipcrc,non folum imbccillibus,fcd ctia robullis cor poribus fummc pcrniciofum iudicauit (lalcnus . Quarto ijs,qui in- pu!cp"iicpl ter excrccndum fiidant,curandumcrit,iitpcrada cxcrcitationc ue ftcsludorc madcfaclas cxfuant,&: ficcasrciumat,idqucli ficri potc- rit in loco tcpido, aut tcmpcrato, aut faltcm ncquc frigido, ncquc ucnris pcrflatojl ctcnim humcctailla indumcntarctincantur,faci- le cft carnibus a calorc rclaxaris itcru fudorcs imbibi, ficq. dcnuo corporismcarus ob ftruitiir ; practcrquam quod pannimadidi mox frigcfafti horrorcs,factorcs ac alias molcftias inducunr,atquc inde fcbrcs mtcrdum oriri folcnt. Quindoobfcruandum ciit,nc(ficut criamfupra admonuimus) poftcxcrcitationcm quam primu quicri fele dcdar,aut cibumfumat,fcd bIando,iSc: valdc remiflo potius ali- C quo motu utatur,tantumq. a capicndis cibis abftincat,quoad per- turbatio illa, quafiquccorporisfiudTtuatioacftuatiouc, ab cxercita- rione gcnita proilus ccffaucrit, ciq. tranquillitas quacda, &: icuatia fuccclTcrit. 1 otusitaquc critcxcrcitadi modus^ordo,primocor- pusa fupcrfluitatibus quibus vis cmundarc, caputpcctcrc,manus &:facicm ablucrc/caccommodatc inducrc,rardos,&: rcmi(Tos mo- tusincipcrc,ad cclcriorcs,&: uchcmcntiorcs proccdcrc,itcrumquc paullatim rcmitterc, madcfada fudorc indumcnta cxfucrc, blande pollrcmo moucri,&: fcdara cxcrcitationis pcrturbationc cibum ca pcrc . Atquchacc dc uniucrfalicxcrcitationum Ipcculationc mcthodo difputatafufiiciant.RcftatmodoparticuIarcs fingularum cxercitationum naruras, arquc cffct'tus cnarrarc. quod infcquen- libus libris, quanrum ficri potcrit,plcnc pracftarc conabimur. ExpUcit Libcr QHams. AR~ rDeordine agendorum\(^ den(mnHlhsfcituclignis. Qap. L Iciiti nullus ab excrcitationii particularium co- gnitionc fru(fius cxpcdtandus cfler, nifi rcda arq. vniucrfalis methodiis, quafupcriori Iibro abundefaiis(nifal!or)tradidimus,optimcpof- fidcreturi Ita proR do illa infruduofa,ac prope modu uana cuadcret, nifi haec parricularium fcreomnium exercitationum tradatio, quam g aggrelsuri fumus, illi conne£lcretur ; fiquidcm incerta, ac fallax ea cogniriouidcri potcft, qua cxcrcitatio vniucrfali quodam padto accepra iauareintclJigitur.fed /i qualis cxercitatio,quod nocume- tum,quamucconunoditatcpracftareidoncafit,cognofcatur,pro- culdubio nihil amplius rclinqui conftat, quod exercitationura quarumuis fcicntiam opcantis animum expJere iure debeat . £ t ic- circoncinchoataanobis gymnafticae tradtatio impcrfc(flarelin- quatur,infcquentibusfingulos exercitationum iamenarratarum effcftus profequcmur ; atq. hos cum ex antiquoru audoru compro- batis experictia rcftimonijs, tum ex rei ipfius narura infpeda, quam 12. Meth. ef e ueracodiriones rcru mueniendi rarioncfcripfit Galenus,dice- re conabimur. Et ne citra ordinem totus futurus fermo uagetur,ita matcriahuiufccmodidcclarareinftituimus,utprimocommodain F corpora humana cx unaquaq. exercitationisfpecie emanatia,dein- dc mcomoda figillarim explicctunna illud, quod quaplurnnis mc- dicametis eucnirc ufu c6probatur,ut fi alicui corporis parti,&: affe- ftui profunt,alijs noccar, in cxercitationib. item contingere, nemo ignorat.lnexplicadis praeterca utiliratibus,atq. danisamcbrisfu- pcrioribusprincipiufumentcs, utplurimu in ultima,atq. infimafe- riatim terminabimus,prius tn iHis enarratis, quae nullum corporis particularc mcmbrurcfpiccrc vidcbuntur.His autcm fic pertrada- tis,duo me faltcm pcradurum cfsc fpcro:Altcrum cp maiori facilita- tc,firmioreq.cognitione quicumq. hacclcgent,animiscorum in- fidcbunt : Altcrimi 9 habito a ualctudinis ftudiofis excrcitationum alfiduo dclcau, uel nulli crrores, ucl quam pauciffimi committcn- tur,ficquedemummulticorum pcrnicioforummorborum euitabuntur,c[uos dcCdia, laborum abftinenria,ac cxercitarionis ignora tio non conrcmnendos, quofq. inrcmpclliuus cxcrccndi vfus con- tinuoparcrc foletiillud namquca narura compararum cffc norunt omnCvV,urilla,quaccorporibus nuftrisadmorainliynitcr conducc- rcanimaducnunrur, cxdem plcruq. magnum dcrrimcntuintcrat, li ucl nullo paclo,ucl prauo ordinc, arq. omnino importunc adhi- bcanrur . quod ctiam m cxcrcirarionibus iplis fcrc conringcrc, iu- dicauit Galcmis,ubi lcriprum rcliquir,cos,quianrccibos,arqucop ^cd porruncfcfcc.xcrccnt,haud exquidra vidusrationc opushabcrc, ^;',5°".^ quin inrcrdum Naturac in ualcrudine commillos dcfcduscorrigc rc,qucmadmodum cxaducrlo iIIos,&:accurariorcuic'tu,(!!;caliiduis mcdicamcntisindigcrcinfupcrquc natiuamfanirarcm corrumpc- rc, qui ncquc ante cibos aliquo pado,ncq. ordinc,ac tcmporc fcr- B uariscxcrcitarioncsadcunt. Cumiraquc taliordincquacad nni- ucrf-ira ^'vmnadicam [>crh\icndam fupcrlunr, pracdfclrs adiungc- repropoLtum mihifit, id anrccetcrapracfariopcraeprcriumcllc duco, nos in fupcrioribusgymnafticamfaculrarcmnonincurati- ua,fcd in confcruariua mcdicinac parte collocafsc. Hr tauK"- omncs uctcrummcdicorum(cs.^tas, acpracfcrrim Mcrhodicos, quormn principcsAfcJcpiadas, Thcmiion,&Soranuscxftireruht,incun6tis fcrc diururnismorbis cunndi^ cxcixitarioncsaliquas magnopcrc commcndafscut cxlibrxs Oirncli j Cclii, qui A/clcpiadcm in mul- tis fecurus tuit, nccnon Coclij Aurcliani mcrhodici, atquc Arctaci c^^ro- clarillimc iQrclhgcrc liccr.quod fimilircr Galcnus,(S^ qui Galcnum in dogmatncorum fcetafuntimirati,magnacx parrc confirmarunr. cd ac ud mc, vcl ilJcrs omncs cTrahc quis putct, ira fcnrcntias no- C ftras accfpi dcbcit uolo,qj.f;gyrTTnafticam principaliter circa fani- tarisconfcruarioncm ucrlari, ccinfcqucnrcrcirca curariuamrnuUa ctenim cxcrcirationcm,quaIifcumquc lir, u(l]uam rcpcrics,quin iii /aniscorporibus abfqucnoxaadminifti\ uiqucar,atpaucisquibuf. damcxccpris,nimirumambuIationc,gcftationc,uc^tion9,ac limili- bus, ulx uha, aiiraltcra inuehihir, quc aegroratibus impune con- ccdi qucatiimmo illa^quacadhibcnrur^porius ut rcmcdia,quam ut cxercitarioncs commcndantur,cum in fanisonincscxcrcitationcs folum fiant,quo bonani ualcrudincm rucanrur, optimumquc cor- porishabirum inducanr: macgrotis vcroiccircocacdcnuidmini- ftrenrur, ur morbo cxpcllcndo aiiorummcdicamcnrorum inftar coopcrcnrur.Quandoigiruranriquorumirl varijsmorbiscxcrcir^^ tionibusaliquibusurcndi confucrudincm inmcdium adduccmus, noD crir,^ullusadmirationccapiarur,uofq. icprchcndar,ra(|tiam' gymnafticam foli conferuaroriae inferuire ftatuerimu5, quoniam,D &:nosrei ipfiusnaturamprae oculishabentcs,ita dcterminandum cenfuimus,quemadmodum ueteres alias experienti js alliduis,alias morborum coditionibus permotipaullo diuerfiusfentirequidcm uirifunt,fedreucra afententianoftranonrecefrerunt* Aliudinfu- perhocinlocofummaconfiderationedignumexiftimo, quod li- cetinmulcis excrcitationibus diucrfus exftirerit antiquorum mos ab eo, qui hodiein ufucftfere apud omnes, ucluti pilae exercita- tio, luda, difcus, pugnae, atque fimilia ; nihilominus cu m parum noftra confuctudo ab antiqua recedat,folifq. accidentibus quibuf dam,& non in rei natura differat/crc eofdem eflfcdus, quos illi fuis atrribuunt, nos noftris dare potcrimus,modo vnu, aut altcrum ob- ferucmus, antiquos undiones, ac pulucrcs in multis excrcitationi- busadhibere confueuifTcquas nulli hodie,aurquampauciflimifa- E ciunt; aique hoc multi momcnti efle ad uariandas utroriique qua- 2. S dtae- litates,quando dc his Hippocrates verba faciens fcripfrt, cxercita- ta. iuxta tioncs in pulucrc, atque oleomagnas diflcrentias fufcipere,cum puluis frigidus fit, olcum ucro calidum, atquc inde oriatur, 9 hye- me oleum corpus magis augct frigus prohibens, ne quid a corporc demat : Aeftate uer.o caliditatis exceflum facicns, carnem liquar, cum, 6c a temporc,&:/.ole6,ac laborc corpus calefiat;qucmadmodu exaduerfopuluisinaeftatemagis augct feruoremaeris,&:corpo^ ris rcmittens,in hyeme autem f rigus,&: algorcm inducit.praeterea maiorparshominumfcmel duntaxat in vcfperefaturabatur, no- ftratesbiscibosfumunt, quoditcm non parum refcrradiuariandas cxerci tationum condicioncs • Vnde c^ui de noftri temporis exercr- rationibus aequum iudicium fcrre optauerits: dcbebit quid un^ J aiones,& quid uiia dici faturatio importent^exaae penfitare >ro^ tumque illud noftris adimcntes,in reliquis eofdcm,ucl parum di- uerfoseffcdusexiftimare. De Jingulomm exercttationis diff^eremiArum eff^e^ihus* Cap. IL RES praecipuas cxcrcitationum difreretiasabantiquis Mcdicis excogitatas fuifle fatis conftat, quarum prima excrcitium Trr^fpc^rxwfl^ixif, fiue pracparatorium, altcra (ic7ro6i§ctmvriKh y icrtia fimphcitcr exercitatio nuncupa- ta . Excrc itationcm pracparatoriam, fiKultatem cogendi, meatus corporis denfandi, eorumquclaxitatemcorrigcndiobtinere. fcri- ptit pfit Galcnus. quadc caufla;ulilctae,qui Jcfirarc corporumfudo- 3 ^ta.va, ics impcdirc.&iconfcqucntcr robur confcruarc fludcbanr,antc "^jetuc. jrcrcras cxcrcitationcs pracparatoiia utcbantur.quam ircm ufurpa- ual.c.3. * bant quaplurcs homincs poil coitum,ut laxirarcm corporis in mo- tu ucncrco gcnitam cmcndarcnr. dc mcridiano coiruloquor, cum cx nodurno oborra laxiras /aris a fomno curarctur. cuius rci yraria magnopc^ftfSocIarum laudarcfolco,c|ui apud Plurarchumnodu ^.Cymp. coirum ob hoc excrccri dcbcrc aducrlus Epicurum mcdicum gra- pf^^-^- uilllmc difpurar.ficuri quoquc Paulli fcntcntiam,Galcni,ar^ lij opinionibuspracfcrrc confucui,dum is conrra ipforum placira Li.i.fcr.i tcmpusconcumbcndi fccundum cibum inucfpcrc antcquamfo- ^*^* mnus muadar,opp()rtunucxfillcrc credidir: quod lalTitudo cxcoi- tu contraCtaobdormicnri ftatim rcmitratur. Excrcirationcmapo- B thcrapcuruam ram pro cxcrcirationis partcquam pro fpccic ncce pramcorpora ab iramodicis laboribuscxfuita cmollircmcatusq. corporisrclaxandocxcrcmcnrapurgarctraditumcfta Galcno: un j.detuc. dciure mcritopoft uchcmc*riorcscxcrcitationcs,poll uigilias,poft "^^-^ nucrorcs, a quibus corporum mcatus clauduntur, uircsq. non pa- rumdcprimunrur,urplurnnum adhibcbarunin ijs quoquc com- mcndabarur,qui palacdrac laboribus alfucri, ob uirac negotia co- gcbantur illos dimirtcrc, Excrcirationis fimplicitcr acceptac dif- fcrcnriac,quac ab cxtiinfccis dcfumcbantur, cos ctic(ftus pariunr, quos locorumipforum,aquibus fumunrur, condicionesproducc- rc pofl*un::& idco,qui in calidis locis cxcrccntur, magis cxurunrur, cfui in humidishumidiratcm conrrahunr,ficque dc fingulis. corpo- ^ ra namquc ab cxercitationc rarclacta facillimc difponuntur ad im bibendas quaflibct acns,&: locorum quaJiratcs . De diffcrcntijs ab utcndi modis acccptis in hunc niodum dcccrncndum crir,cj) cxcr- cirariones pcrpctuac, fiuc continuatac, &: acquabilcs magis dclaf- fanr,quam inacquabilcs. rariocftcadcm, quam atrulit Ariftorclcs bic.r&fx inprobleiaaubus,uidclicct mcmbraa mulro moturcfrangi,atquc inulruineflcmotum,qui unus,&:continuuscft,ac acquabilis.inac- quabiicTTi ucrononidco fic dclaflarc,quiacxmutationc nafcitur requics^ Jaborq, oinnibus partibus dillriburus a lingulis minus fcn- titur : quairidcin rarioncmotus inrcrcifus, acordinatusminorcm defarigationcmparir, nin.irum cum inrcrruptio quicrcm,quics laflirudinisminus inducat. txcrcitarioncs cumolcopcradac non inodo pracfeatcm laflitudincm mitigar,ucrumctiamfururampro- hibcnr,ficcitatcmq. arcct, acad morusprompritudincmmaiorcni gcjacrant: cuiusrcigratia Polliononagcnariusactatcmfuamolca cxtiia- 23« 1. 1 i3 £ R extrinfccusadhibito acceptam rcferebcit, QuaecumpuIucrefiLirit D excrcitationespracterquamquod frigidiora conferualit corpora^, efficiunt quoque,ne ludor itafacilitercff?uat j neucilla tantopcre i^tuva  ma apud antiquos fuerunt gencra, quae fere omnia hodie abolita, uel faltem non uHrata efle cum conftet, fuperuacancum foretfingu- lorum eflfedlus percenfcre.proinde fateritillaadnotafTcin quibus a,dc difta pracftandis,&: cun£la illa conueniffe, atque etiam noftram conueni propter ii rc ucriftmile uidetun;^tifow/4/flf(/ etcnim fiue manuum gefticulatione ^^^* attcnuare humores,atque furfum carnes trahcre,placuit Hippocra- ti fiuc Poly bo.quam fimilitcr in inuetcrato capitis dolore,ubi P^ul- Liba.cun latim malumfoluitur,commendauit Aretacus,ueluti, &:in uertigi- ^^''^' nofis,epilepticis,cocliacis.Saltariodemum,quae motu uniucrfum corpus calcfacit,arcendis rigoribus, atquc etiam nonnullis trcmoC- ribus ualde accommodatunpriuatim ubi ftomachus in concoquen do laborat, crudosuc humorcs aggrcgat, utile remcdium exfiftit . praetcrca labantcscoxas,infirma crura,malc tutospedcs,vfq. adeo confirmat,corroboratquc,utpaucainuenianrur,q fimilc auxilium pracftare queant. nequc itidcm altcri ccdit huiufcctnodi excrcita- tio in cxtrudcndis a rcnibus,fiue ucfica lapillis. Caeterum quod p- -gnatibus mirum in modum noceat, tcftatum rcHquit Hippocrates, in li.de na ^jj^j cantatrici mulicri,quacne calumnias fubiret,utcri foctum abij cere cupicbat.confuluit, ut faltarer,pollicitus ea faltationc conce- pjtum corruprum iri,vcluti poftea contigit. Quicunque vcro caput debile, ac vcrtiginofis aficaibus obnoxium habcnt, proculdubio ab illis circuitionibus,uerfuris,motibusq. continuis ofTenduntunfi- militcr oblaeduntur quibus oculi illacrymantur,aut in uidendo hc betem acicm habet,perindc namq. in tripudiationibus alicui euc- nir, acinrotationibus,in quibuslacpeoculitantumdctrimentum p patiuntur,vt nihil omnino vidcant,atquc interdum cadant . Rcnes languidos,&; fupcrcalefados habcntes,fcminisq. Ruxum, y>voggoitt» aGraccisuocatum,qualibctdc cauflaincurrcntcs afaltariotiibus abftinere conuenir:ahoquieorum affca:ionescxmotu calcfacicnte magisrccrudcfcunr.Arquc hacc omnia a mc difta intclligantur de ea faltationis fpccie, quam antiqui fine armis obibanr.quod h quis armatae,quarn vocarunr,falrarionis condicioncs pcrnofccre aueat, inhunc modumucrcarq. brcuitcr ftarucrc rc porcrir,uidclicet om iiia quae ab iUa gignuntur ucl bona, ucl mala, cadem ab hac eftici, nifi quod armara uchcmenrius membra cxcrcct, magisque illa in- %.itvi.u. calefccrc,&:fudarc facit. ob quod Galcnus intcr uchcmcntcs cxer- * ' citationcs non in poftrcmo loco pofuit,dum quis graui armatura te ausceleritcragitatur.. J41 DtluJorum ptUe effe&ibus^ Cap. IV* Vdorum pilac antiquitiis complurcs cum npud Latinos, tu apud Graecos cxilitiflc fpccics, abundc in fccundo li Ca.4. et i ^ bro indicaui mustcx quo nullum opcrac pretium cu hoc in loco,vbi folas cxcrcitationu qualirarcs cxplicarc pro pofuimus,cadcm rcpctcrc :illud duntaxatanimaducrti volo,quod &: li noftra hidorumpilac gcncra vctcram gcncribus undcquaque non rcfpondcant: funt tamcn magna ex partc ualdc (imilia : &: ideo corum commoditatcs,atq. nocumcnta lingulatim cnan arc ftudcbi mus,ut fada noIlrorun\ cu illis coparationc, quid confcrant, quid- uc noceant, utraquc fimul cognofci poillr.fcd nc tratfiatio ifta con- fundatur, iicut alias fccimus, primo graccos ludos, dcindc larinos 3 profequcmur codcm ordincquo (upra ufifuimus.In co ctcnim c6- ucnirccunclaharumcxcrcitationumgcncraccnfuit Auiccnna, q» Li.r.rcn.ifortcscxliftut. Hoc pracrcrcacommunccxomnibushuiufccmodi ^*^^-*-^ ** ludis comodum pcrcipi*ur, quod qui in iplis, ud ipforu aliquo fcfc cxcrccnt,promptiorcs ad motumrcddantur,ijsquc uitalcs adioncs roborctunpcculiariter ucro paruac pilac cxcrcitatio intcr ucloccs citra uiolcntiam,(S: robur collocant Galcnus atq. i^aulhis,cuius me ^^: ritocorporacra(Ta,ut limilcs cxercitationcs faccrc didtum fuit,atre nuat. ideoq. apud Noniuin a Lucilio iLriptum inucnitur, Cum ftu- » dio in gymnalio duplici corpus iiccalTcm pila.Primaautcm paruae graccorum pilac fpccics,fccundum Antylh fcnrcntiam, carncfoli- ^^iidl!" damrcddit,brachijs,dorfoatq pullulantibus coftis magnfi vtilitatc cjp.j». pracftat, cumquc in ca cxcrcitationc crura magnopcrc laborct,ad Q acquircndumroburnon parum proficiunt.Sccunda cxcrcitationis paruac pilae fpccics pracftantiliima rcputabatur olim, q> corpus fa- num, &c promptum ad motus cum roborc coiundo pracftat, adfpc- chim hrmat,ncquc caput rcplct.Tcrtia vcrofpecicsoculos, atque brachia iuuat, fpinac proptcr inflcxiones, quac currcndo fiunt, co- modum aflcrr,crura proptcr curlum mirum in modum firmat . His poro omnibus paruac pilac Ipccicbus cun(ita illa coucnirc cc/co, quac (jalcnus in libcllo fuoillisdicato, paucisucrbiscoplcxuscft, uidcliccttp tumanimoruin virtutcm pariant, tum omncs corporis partcs accommodatccxciccndo bonam corporis ualctudincm,ac nicmbrorum concinnitatcm cfficiant. Pihic magnac fpecics prima fccundum Antyllum totumcorpusfirmat, cumq.ad dcduccndam infra matcriam uclicmcntcr coopcrctur, capiti in primis, cunclisq. fupcrionbus partibus, non ignobiJc luuamcntum aficrr. dc hoc lu- R 2 do 242 Llb.^. dofermonettthabuineputo Alexaodrum Trallianum, quandoinD "P-vlti. curationc priapifmi fphaerae exercitium comcdauit, quo mareria i n diucrfum retrahatur,& fpirirus flatulcrus digerarur. Secunda fpc cies,quae plus iufto magna pila pcragitur dum proi jcirur,&: urraq. manu proprer magnirudinc cmitritur,brachia firmar,fccl nimis du- ras plagas infert, ob idq. non modoaegroris, aut conualcfcenribus eftinutilis,ucrum eriabcneualenresimmodicadefatigarione affi- cit. Inanis pila,quam rerria effccimusjacquc exerccr,ac mororia,in qua curritur,atramcn non admodum facilis cft,ncq. apta,arq. ideo li.i>.c.vlt. omirrendaeameffcconfuhr Oribafius ex Anryllifcntcnria. Pilae, &magnae&: paruae cxcrcirationcm vertiginofisobcffeiudicauic hsc vlti Areraeus,quonia capiris,&: oculorum circumuolurioncs, arq. inte- ' tioncs uerrigincs afferunt.Coryci excrcirarioncm inrcr vcloccs ad- numcrauitPauIIus, quascum didum anobisfit corporacrafliora E lib. V chr. aricnuarc,fumma rarione Cochus Aurehanus ad diminuenda po- •culf. lyfarchia hanc exercirationc, qua a Graccis corycomachia uocari i.dediae. fcribir,adco probauirpfccurus in hoc (opinor) Hippocratc,qui co- rvcomachia,&: chironomiamidcm pracftarCjquodjuda^rradidir. Hoc excrcirationisgenus iudicauit Antyllus mufculofum corpus rcddere, roburq. afferre, et praetcrca uniucrfo corpori aptari, ncc non ob pIagas,quasinfHgit, omnibus vifccribusidoncum cxfiftcre. Arcracusitem in elaphanricis KogvKoSoKm laudauit. firamen quis plagas in pedtore a coryco ficri foliras coniidcrcr, facilc fcnriet,eos, qui pedore debih ucxatur,fimili cxcrcitationc periclicari,& quan doq. contingcrcpo(fe,utinthoraceuafarumpantur.Arq. rot,siir q dc pilac Graccorum ludorum qualitatibus dici poflunt . Succedut lufus Larinorum gcnera,quae &c ab ipfis quaruor fpecicbus comple ^ xa omnia in ufum fanitatis rcccpta fupcrius dcmonftrauimus . Ho- rum primum locum obtinct cxcrciratio f ollc acla, quac uniucrfum corpus cxcrcct,fcd dum brachijs impcllitur, dorlum in primis atq. li.i.chro. brachia firmat . ob quod Coclium Aurclianum de hoc pilac ludo ^^•^* ucrbafecifscexiftimo,quadoin cpilcpticishumcros fphacrac lufu excrccri mandauit:dumucropugniscmirritur,manibusmaior uti- litas contingit: ambo tamcn uifccra adiuuanr, calcuhsq. a rcnibus, &: velica cxrrudcndis mi rificc confcrunt,coxaf3&: crura imbccilHa In ciusui confirmant . Nam Auguftum, qui huiufccmodi affcdibus corporis ta.c.8o.& fQii^;itabatur,corumgratiafolliculicxercitiu(vtrefcrtSuctonius) adamafse opinonqcf cum praecipue fupcriores partes exerceat,ijs, qui citatam aluum habcnt,(Sm- qucinprimis laboriofamclTc,magnusphilofophus Ariftorclespro- y. partlc bauit, vbi currcntem ambulanti comparans, illummagi.slabo! j;e P^^^b- 38- pcrfuadcrc conatur, quoniam elatus, atquc pendcns corpu.^ fupra lc totum fuftinet, ambulansvcro partc inliftcntcuiciffimfuftcnta- tur,qua(iquc paricti admotus rcqui cfcit. qua rationc itcm coringc- rc dixitait currentcs poti us qua ambulantcs cadamus.Curfus prae- P^"i autcni, licct humorcs ad infima la- bantur, illico tamcn ad fupcnora rc/iliunt, ucluti cotingcrc i n pila fuper pauimcntu iac^a ccrnitur, quac fi blandc iaciatur, inibi quic- knifm uiolcntcr,ftatim fupra rcfilir. I)c thoraccauickgiturapud Galcnum, currcntium fpiii :um anhdum, arquc afthmaticum rcd- ^P^- di,necnon intcrdum aliqund ipfis uas in pulmone,aur pedorc rum ^^rMcVho. pi. quodnon tantuminrdligidcbctdciliis, qui ad cum aflVdum prius difpo/iti eranr, vcru dc a^ijs uchcnu ntcrcurrcribus. Achan- rhioenimillc Plaurinus cum ad ChaririUm uclocinimc cucurrif-ln Mcih. fcr, dicit cx curfu rupiffc ramiccm, &: iamdudum fanguincm fputa- re. fubramicisnominc (ut fufius dixmuis primo Variarumlcd. cap.2.)pcdlori5ucnaslariorcsinftar uaricisfignificas. Ahoquifcri- ptum 2j2 L 1 B E R ^ Pfob. pf eft ab Ariftorele, eos, qui non concitate admodum currunt, D numcrofcfpirare,quod ipforum motus proportionatus cfficitur, modumq, refpirandi fenfibilcm praeftanscxplicare numerum ua- let. iUis, qui uel in bubonibus, ucl alibi rupturas patientur, curfum cauendum praecipit PaulIus.Ad haec ardorem urinae ex curfu au-, &c hominesteftaripofrunt,&cerui,quiintercurrendum vf- que adeo huiufccmodi ardorc ftimulantur, ut, nifi mingant, facilc capiantun quam rem animaduertentes fagaces uenatores,eos pro- fequuntur, necmingendi iplisporeftatem faciunt. Curfumitem hepatelaborantibus, nccnon renibusmale afledisinimicum efte, lib»4.c.«* tfaditumeftaCornelioCeIfo,&:abEphefio Rufo.Atque haecom- niadecurfureclainanteriorafadto a me explicata fciantur. pro }bidcm qu^'^ idfilentionoefTepraetereundum duco, quodi^riftctelesfcri- pro.jtf. ptumnobis reliquiti videIicet,eos,quicurfumconcitare agunt, g conuulfionibus maxime corripi, ubi quis inrer currendum eis ob- ftircrir : quandoquidem ea potiflimum conuelluntur, quae in par- tem contrariam vehementer trahimus, atquemouemus . unde Ci homini currenti,vehemeiiterq. membra ultrapropellenti quisob uiamfactusobftirerit, accidicut in partcm contrariam earetor- queantur, quae adhuc ante pertendunt, atque proripiunt . itaquc conuulfio tanto vehementior incidit, quanro curfus conrenre ma- gisagitur. Curfus infuperreila ad anreriorafadtus, atquelongus i.ldiact. abHippocrare nuncupatus, fecundum eius fenrcntiam fi fenfim fiatjcalefacit, &c carnem dirfundit, ucrum corpora rardiora, arquc craffiorareddir,multaq. comedentibus urilirarem praeftar. At re- Onb^Ciui curfusinpofteriorafecuadum Antyllum non celerirer mitus,capi- Lococita. ti^ocuIis,tendinibus,ftomacho,&:Iumbisaccommodarus, arque p utiliseft; iccirco nonrepletcapur. Circularisuero curfusfccun- i.dcdiae. dumHippocratemcarnemminimediffundir, arrenuar aurem, di- ftendit carnem, 6c ventrem maxime : proprercaq. acuriflimo fpiri- tu utenres humiditare in fe iplos cclerrime trahunt. qua ratione ab Irt lib. ic ipfo in ijs commendatur, qui nigra aftra in infomnijs uident, nem- pe quibusmorbusforinfecusimmmeat.Capur valde oftendit, ver- li.de Vcr figincsq. utTheophraftusfcribir, abundcmggerit;thoracem y&c crura uitiar;ideoque rcpudiari omnino dcbct. Sunt curfus per ac- cliuia magis laboriofi, magisq. thoraci, &c crurihus inimici; fimili- ter, &c pcr montcs : pcr decliuia ucro caput uchcmcntius afticiunt, uifccraomniaqualVant, coxasdcbiles pcrrurbant ; perplanacur- fus illa omnia praeftanr,quae iam dcclarauimus . Ccrcrum qui rc- tliocorporc obeunrur, &c fudorem moucado magis humcctant,. 25J tc carncm calcfaciunt .idcoq, Coclius Aurelianus capitis dolore la borantcs,utuc{litos currcrcfaciamus,magnopcrc curandum prad- cepit;qucmadmodum Thcodorus Prifcianus lcriptis mandauit,ci;r L' i aJTi fum cum ucllibus lancis pcrao: um althmaticis prodcflc; hunc tamt 'l'^^;^^^^ dccoloratiora corpora cfticcrc ; quoniam finccrus fpiriius ailabeiis ipfanon depurgar,fcdin codcm fpiritucxcrcentur;audorcftHip- pocratcs.qui tamcn cundcm in illis probauit,qui ftcUas dcficicntcs \^;'' in infomni)s,vidcnt, quod fccrctionem in corpore humidam ac pi- tuitofam factam,&: in cxternam circumfcrentiam illapfamcflc figni ficctur.Qui pono nudis corporlbus efficiuntur,ficuti magnam (udo rum copiam clicmnt,ira gcncrofc pcr occultos halitus cuocant hu morcs,corporaq. magis deurut.quocirca Ariftotelcs ludorcm,qui i.partl«. corporcnudocurrcnti prodicrit, criam fi mmorlit,magis laudat,^^^- 3^« • quam qui fub ucftc lc prompfcrir,argumcnro illorum,qui nudi cur fum aclhuo tcmporc achrant,quiq. colorariorcs rcdduntur.indutis currcntibus non ob aUud ccrtc,mfiquod,vtomnesqui locahbcra, &:adfpiratiora incolunr,mc;iuscoloranturijs,quiimpcdita,&:filcn tiatencnr,fic ctiam fcipfo quilque colorariarcft, cum uclurifpiri- tuiafflanti placide patcr,quam cum pcrftrictus,obduc'tufqueacaIo rc nimio angitur.quod certe ijs accidit magis,qui vcftiri pcrcurrut. &: qui nimis dorm!unt,quippc qui vcluti adftridi, 6^ propcmodum ftrangulati,minus rcliquis lc fc modico fomno rccrcaniibus colore florenr.Curfum vniucrfim acccptum magis hycmcquam aeftare ex vfu cflc crcdidir Hippocratcs,liuc Polybus in fccundo dc diacta li- bro.cx aduerfo Oribafius tnm hycme, tum acftarc mcdia conucni- - re fcnfir. cuius forfan fcntcntia ucrior mdicabitur, ii fudorcm quis " aeftate magis, hycme minus procurandum cum Ariftotele arbitra- tusfucrir.fcd dc hoc iam fupra abundc difpurauimus,ncc quid- quamampliusrcmanet, quod ad finicndum hanc curfus tradtatio- nempcrcincat, ^icipraefit t filtns. Cup. I IX. ALTVM inrcr vchcmcntcscxcrcitationes, quacexro- buftaatquc cdcri componuntur,collocandum iudica- uit Galcnus,&: pracfcrtim illum, qui (inc ulla intcrmif- fionc iugitcrcontinuatur; qua dc rcipfum calorcm na- tiuumaugcrc,&: cocoqucndiscibis, crudisuc humoribusconferre apud omnes pcfpcctum cft,licctpoftca capiti,arqucpc6tori nocc- re 2^4  re cx eo conftet;quod in huiufcemodi cxercitationibusalrerum ve D hemenrcrconcuatur, alierumin inclinationibus, atquedor/iin. flexionibus comprimitur, et ex comprcfflonibus mox uafa ram pe- doris, quam pulmonis franguntur: ut eueniffe interdum nairat rMeth.a Gaknus, Hocpraetcn afalrui communeincft,utgrauidasmulie- In prin.dc rcs abortiri facillime faciatrncqiic iftud ab Hippocratc folum,cetc '"'•^'""'•risq.vetuftilftmisaudoribus^ubiqueconfirmaxum cft;verum etiam ipfa rerum pareiis,optiraaq. magiftra natura nos vberrime edocuit, nimirum quac capreas,& cctcra brutorum gencra faJtantia firma- '^|J^"Tuentisquibufdam ut indicrat GaJenus, muniu t, ne ligamenta, partium. quibusfoctus in utcro condnctur, d iim illafaltarccoguntur,faci- liter difrumpercntur j quod munimen cum humani generis foemi- nis ncquaquam conceHbrit, opinor cam co confilio id efTccifle,ut cognolcGrenthomines,dum nmlicrcsin uterogcrunt,quaflibetfaI E tandi occafiones ipfiseffugicdas eflc. Multac funt faltus fpecies,qua rumduas OribafiusAntyllum fecutusnominauit, exfilitionem ui- delicet,atquc faltum ita propric uocatum.dc cxfilitione,quae quo- dammodocuriuiadlimilatur, hanc fcntcnriam tulit,illam diutur- nis capiris raorbis accommodari,fhoracem adiuuare,cum inflcxio- nibus ualcntibus careat \ materiam,quae ad partes fupcriores rapi-- tur,ad inferiorareclinare, cruribusimbccillis, fcfenon alcnribus, excarnibiis,ftupidis,atque trcmulispraefidiuraafrerre.hanc eriani ineij^iiitaintelkxiflcopinor Suetonium,ubi Auguftum ambularefolitum, "^" ka,utin exrrcmisfpatijs fubfultim decurreret,fcribit, quafi fic in- firmitati coxendicum femoris, et cruris /iniftri, necnon ucficae calculis,quibusafflidabarur/acpeoccuTreret* De faltu ucropro- prie (kappcllato dixit,cummatcriaminfraexa(fliusdeduccrc,fed F quia thoraccm nimis, et uiolcntia motus, et magnis inflexionibus coneutit, ciusafrcdionibusminime conucnire; ucrumtamcn, &: nd motum, et ad adlrioncs promptum corpus ualdc rcddcre ; quod Li.i.c.ii. fi ad natcs ( thciatiir faltus,qualem Lacaenarum mulicrum fuifle iam diximubvcaputjCxeiuCdem Antyllifcntcnria,peculiariterpur- Ii. T.cur. aat,&: pur2,andb ficcat. atquc dc hoc mcntioncm fcciflc Arctacum clir.c. I. o ^ r ^ 1 ^ ^ puto, ubimuctcrccapins dolorclaltum, et fimTrcttAvTou cc;wA«- riy laudauit, licut, &: asomncs,atq. ncruos,uaIi- dillinic inccndi confcfliis cfi.qua i\aione cfHcitur ^utafTatin; cor- Oymna/lica. S pus 2j6 L pus calcfliccrchacc excrcitatio iclonca/ir,&: pndcrtim dorfi m, quod maximc iniadtandis haircribiisfarisfaccre uidciur;practcrca canicm crcar; priuatim ucro fupcriorcs parrcsab ilia cxcrceri mc- ^.^tiKva. ^^^^iiic mandauir Galcnusicuius rarioncantc ipfum Areraeushu- cap.14. iufccmodi cxcrcirarionc in antiquo capiris dolorc,qui paullatim finiatur,ufuprobauir,ucluri ctiamin cocliacis&: ucrriginofis . Sccl Oribafuis Antylli aucloriratc humcros ipfam cxercirarc,fl:oma- choquc,qucm diffluxio infcrtar, quiq. imbccillus cft, &: in quo ci- bus acclcit,fiuc cumhiborc concoquirur,accommodari fcribit^Iau Li.j.chr. darin arthriricis Cochus Aurchanus,urprimo manibus ccra cmol licndadcrur,aur manipuh tcncanrur,quos palacttriraehalrcrasap- pclianr,tum primo ccrci,fiuciignci cum paruoplumboinrcrclufo moucndi porriganrur, dcindc grauiorcspro modo profcdus: Ga- ^.^tnen. lcnus cuidam, qui mordax, praccalidumquc fcmcn inrcr cmirten- va.c.14. dumfcntirc non ranrum fe,fcd criam muiicrcSjCi mquibusrcmha bcrct,rcfercbat, inter cetcra auxilia,fcfc haltcribus excrcerct,fua- K.p. cult. fir: quem poftca fccutus Aicxandcr Trallianusin priapifmo curan- do huiulcemodi cxcrcirationcm commcndauit,quod animaducr- terct ipfam non modo ad rcrundcndum, infirmandum.quc fcirxn, ucrumctiam ad matcriamin diucrfum rrahcndam,fpiritu5q. flatu- dc comp. I^ntos digcrcndos conduccrc.fimilitcr qucquc Galen.in ulccrum me.pcrge crurum curarionc,nili quid aliud impcdiar,haltcribus pcradam ntn.c2,x. cxcrcitationcmprobauit,proptercaquod fic impcditur, quo mi- epi. cg. humores viccribus noxijs ad parrcs infcriorcs delabanrur.ldcm eriam,ubi purgatio,aur phicbotomia rcquirirur, ncc eas aeras, aut aegrotantis uoiunras pcrmirtir jlocoipfarum fupplcrc iudicauir . Verum enim uero,ncq. capiri,ncq. thoraci fimiicin cxercitirioncm congrucrc uilus affirmarer,quorum aitcrum nimis, arq. inacquali- ter agitatur,aircrius autem uafi,nc ob maximam,qua brachia urun- rur,uimaIiquo pado labcla(ftcntur, pcricuium imminer. Quain rem fortaffe colidcrans Marriaiis,fo{rionem,quam Galenus,&:exer- cirarioncm iimul,&: opus fccit,ficur fupra oftcndimu6,huic excrcira tioni propofuir fub hifcc ucrfi bus. lib. X4. Qlfi^ percurjt flulto fortes hattere lacerti i Exercct nicl us uinca foffa vros, Huiuscumfccundolibro rria fcccrimus gcnera,Primum caom- nia pracftarc crcditur, quae iam cnarrauimus : Aitcrum ucro par- ttculari quadam facultarc crura,neruosq. confirmare35 cuin tamcn Uco coruin apiid alios nndulac plunv bcac,tcrrcacuc,ipiid ahosiarcrcs ac lapidcs jipc /phacrici,6c i;ra- ucsvfurpcnrur,uihiltiguraillarcfcrtad uariaiid )s cdcftus,ctficic- dumuc, nc cadciu faculras ram in ufu nolb-(Tum, CjUam in prifcoru inucniariir,co mai:isquod haud fciusqui h.odic fcfc ocrccnrin la pidibus,ucl mallulisproijcicndis, brachia,d )rfu:n, omiu fq. fupc- riorcsparicsmoucnr^coniorqucnriicac f;u ichanranriqin halrcru excrjitarorcs. ur hac una rarionc omncscrtc dus a nobis fupra cxpo :n iu)ftr:s criam cxcrcitationibus cxpcctari dcbcanc. ^ Dcdtfci:, atquc tACtilationts cjfcciil us. C^p. X. ^yr^ quamuis apud mcdicinac probaros auch rc5, y \ P^u^^^^Ji^ omnino mcntioncm tac^tmi inucniam,ob idq. W ^^ fl forralTch^cusiftc dimirti pollularct i quoniam tau:cna ^ (ialcnoprodirumfuir, diici iachim, ncdum cxcrcita- tioncm apud anriquos cxftirilfc, in jymnafijfquc ric ri T(;]iram, uc- rumcriam inrcr uchcmcntcs cxcrcitarioncs haud poflrcmumlo* cumobrinuillc, arquc hodic quoq. apud mulras narioncs in iifum excrccndorum corporum ucnirc, proindc ilccis ( utaiunr) pcdi* bus practcrirc iUum omnino nolui . Quo circa in priinis fcicnduni erit, hanc cxcrcitationcm, modoin ccrcrisnon dclinquarur,ac- comraodacccalclhccre, &:proptcrcah-igidis corponbus,arquc il- lis, quibus ucloccs excrcitationcs ncganrur, pcrfci^tc conucnirc, C nccnonimbccillos, ^ infcrioribus mcmbrisinualidos modcrntc corroborarc. cum ctcnim magni, atquc vchcmcnrcs obnixus in 16- gius difcum proijcicndo rcquiranrur, fir ur uch.cmcnria motus, ac mufculoruminrcnfioncartus ma^is folidcfcant, 6c abcxcrcmcn- tis purgcnrur . cuius purgarionis mcriro confuluir quandoquc Ga- ^'^P'^* lcnus,uf, ii quando purgario, Sc phlcbotoniia rcqui rcrcrur, ncc ip- iph!*// facaliquibus impcdimcnrisadhibcripofscnr, earumuiccpcr di- fcum IdCtj, cxcrcirario admittcrcrur, quac nimirum id pracllarcr, quod in plilcboromia, 6c mcdicamcnrorum purgationc, cxopta- rcrur: pcculiarircr autcmcxcrciratio iila brachia, lumbos,ac dc- niquc uniucrfum dorfum corroborarc idonca cll, quac fciliccrpar tcsin ipfo maximcoinnium agiranrur; in vcrriginofis quoqucab Arcracocommcndarur. AI)illisucro magnopcrc cuirari dcbcr, quicuinqucautrcncs, aut choraccin inalc aHcCtoshabcnr mamil- 2 li  liferuidiores, atqueflaccidioresredditiincredibilcquandam dif- D lolutionemcontrahunt; huiusinterna aliquauafa, uttcftatumfe- citGalenus, nonraro difiumpuntur . Etnequiscredat,candcm cxercitationcm cxftitiflchaltcrum,atquc difci, fciendumpraetcr li.i.c. t i. u^riam utriulque figuram iam a nobis in fuperioribus libris dccla- ' ' ratam, hoc quoque difcrimen habuiflre,quodhaltercsuarijs con- tordonibusaltiusagcbantur, difcusuero, etfiinaltum proijcerc- tur, tamenlongitudofpatijiadationeperadti potiusmetiebatureo fcrmc pado, quo hac tcmpcftatc faciunt, qui fcfc in latcribus ob- longis proijcicndis cxerccnt, in quibus ijdem effcaus uidentur, qui ohm in difcobolis uifcbatur . laculatio porro ficuti a difci iadlu par rum in ipfa proicdtione difTerrc uidetur, ita quoque uires fimilcs,&: adnocendum,&adiuuandumobtincrecredendum eft. quofit,ut pauca dc hac cxcrcitatione nobis diccnda rclinquantur . lllud mi- E nimefilcntio obuolui debcrefcntio, uctcres fcilicct nonfincmy- ftcrio Acfculapium,atque Apollincm, ambos mcdicinac audlores, ambos fanitatis magiftros arti iacujadi tamquam Deos praefecifse; nimirum hac fcntcntia innuentcs,huiufcemodi exercitationem bo nae ualctudinis confcruationi, bonique habitus acquifitioni ftre- nuamopcmaflcrre.cuius exercitationispoftquam plurcs fpecies cffccimus, alias a iaculorum, fiue fagittarum uarietate defumptas, alias ab arcubus fcu baliftis,quibus illae emittuntur, acccptas, om- ncscandcm planc facultatem polfidere autumo, nifi quod cos. qui in fcrrcis uocatis palis iaciendis cxercentur,hoc admonitos uc- hm,ut magnam curam adhibeant ; quoniam faepe numcro perito- nacumdifrumpi,inteftinaqucinfcrotum defcendcre,&:per confe- qucnshcrniasin fimihbus excrcitationibus generari experientia F compertumcft: cumquein emittendo maximauis, arqucmtenfa fpiruusrctentioadhibcatur, pedori adftrido, atqueinfirmo hu- iufccmodi iaculationem aduerlari puto.Non eft quoq. illud igno. M randum,quodMarcusTulIiusmcmoriaeprodidit,PhiIoaetem, lo ScS. dum cruciarctur, non fercndis doloribus propagafse tamen uitam aucupiofagittarumiaculationefaiiOt Dc Df deanjhuUtiomim qualitatiLus. [^ap. X L I vHumcft cxcrcirarionisgcniis, quod illis, e]ui fanirati opcramnauanr,maximcquacrcndum, arquc cogno- fccndum (it,quodq. ceccris quibufcumquc frcqucnrius a cunctis fcrc hominihus, omniq. rcmpoi e cxcrccarur, un-im proculdubio dcambulationcm cfsc ncmo ncgabir : fiquidc nulluscll,iiuc pucr, (iucadultus, fiuc fcrcx, qiii non modocam pracftantiirimam, fcd folam cxcrci tarioncm non crcdat . pauci ra- mcn rcpcnunrur, qui ucl rarionc,ucl longo vfu, quibusqiiacquc corpons parribus,&: prolic^u noccar, pcrfc(^tc animaducrttrint :id quod cucnifsc cxillimo, cum ob uarias iHius fpcci cs, rum ob poftc- riorum hominumincuriam, qui &c in huiufccmodi rcbus, &: in B quampluribusahjs anriquioribus ncghgcntius, atquc ofcirantius fcfc gc fscrunt . Quamobrcm opcracprctium faclurum mc cfsc fpe- ro, ii, dcambulationum fpccics praccipu as rcccnfcns, confcqucn- tcr quid unaquacquc tam boni,quam ma!i cfticcrc valcar,dcnion- Itraucro. fcd duoantc cctcraab omnibus coniidcrari cupio. Pri- mumciuodfacpcmucnirccft apudau(5torcsmcdiunac (jraccos, &: Latinos, praccipi fimul ambulationcs, &c cxcrcitationcs ; quafi illac ab his fcpararacncc cxcrcitationcs linr.quorum fcnrcntias fic intcrprcrari uolo,ut lempcr,dum iplas lciungunt, fub nominccxcr- citationum, cas, quac propric ita appcllantur, fignificcnr; cum ambulationes.communitcr, dc non propric c:ula!ioi1c cxcrccrcrur, i.chronlc. primo tarda, dchinc mcdio tcmporc fortiori, arq. paullo crcdiori at,3/itisnocct ^qu.-^ndoquidcm ol) mmias dcambuKitioncs non ra- ifchiadicosdolorcs 6c podagram gcncrari, fcribir Galcnus ;H- cii:i cx adacrfo icmiJfa n arthrincis, (S^p ^d.^t^n^- ^S &: ulccribus in- i> 4 ternis conucnirc,mfinuarunt Coeliusj et Celfus, ubi deambulatio- ] nc molli rtramine,coaequato folo pera£tam iplis commendauit.de- bcnt cnim(vt fcriptu cft a Tralliano)qui podagra, et articuloru af- fedionibusturbantur^fitTf/fiyc, kottov Trohhoti moueri, potilfi- mumqucante,&:non poit cibos. Nam lallitudo hismaximcad- uerfatur,utquac articulosplusiufto calcfaciat,&:inflammct,ipfiq. aliam rurfus matcriam cx longinquioribus particulis ad fe attrahe tes,arripicntcsq. fluxibus iugitcr caufllim fuggcrant. Multa deam- bulario lccundum Antylli fcntcntiani iuuat cos,qui caput,ucl tho- racem male afTe^ttum habcnt, &: a quibus infcrnac corporis partcs non nutriuntur,quiue in excrcirationibus uehcmctiori motu egct; pauca ucro prodcll ijs, qui poll exercitationcs non lauantur, qui- busacibo dcambuIationibusopuscfl^jUt isin fundum ftomachi de- kendatj&quibus grauicasin corporcfcntitur. Longa,&:reda am- buIatiominorcm,quambrcuis, molcftiam parit, capiti prodcft :ut Oribarius j^^j^ immcrito Coclius,atquc Cornclius Celfus cpilcpticis curandis Jii>^.i.ca.4. ^^ni ex vlu cflc' uidicauenntiat nmiiscxlugit humiditates,atquc ex- CeU b^^ ficcat.ob idq. mcrito accufandus cft Thcmifon, qui atrophia labo- chronic/7 rantes duodecim ftadiorum fpatiu grcflfu conficerc fuadcbat. Lon- ga,5d concitata fingultui comprimendo,fccundum Actij fcntcntia, rtrcnuc prodcfl:brcuis ficuti magis fatigar, cum ( vt diccbat Arifto- teles ) cx motu, &: quictc intcr rcflectcndum orra conftans diucrfi- tatis illius opcra laborem inferat,ita quoque reucrfionibus illis c6-. tinuis caput labcfadbt : &: proptcrca ab codem Coelio non fine ra- tionc cpilcpticis damnatur;cuiusrci cauflliambulatio quoq. circu Jaris mcrito improbanda eltjUt pote quae caput ucrtiginofum red- Probl.38. dar,&: oculis uehemctcr noccat.Nam CafTuis mcdicus antiquus in liDelloproblcmatri,qucm graccalingua confcripfit, caulfam inda- gans, ob qua motus rcfto tramitc fafti ucrtiginc non generent, fcd folum circuIarcs,ob id accidcrc dicit,quia motus rccti minimc dif- llationem matcriae impediunt, circularcsucroea ficri nonfinunt, quod aer vchcmctius illifus prohibcat;ad hacc matcriac intus agi- iantur,qucmadmodii,8^foris.ubicircumlatae,neque forasprodire ualcntcs motu in capitc uertiginofum cfiiciut.ficuti namquc iileri- ci omncs externos fapores amaros fcntiunt, &: qui fuflufioncs in ocu lis patiuntur,quofcumquc colorcs rubcus iudicanr,fimilitcr in cir- cularibus motibus,cu in oculis humorcs in orbcm aganrur, omma cxtcrna circumfcrri uidentur,ficque vcrriginofa paflio oboritur.Ex ambulationibus,quac cum intcnfionc crurum calcibus incumbcn- dofiunt,qucmadmodumfcriptum cftab Antyllo, capiti malc aftecto conucniunt,itcmquc thoraci humidiori,utf ro conuuIfo,purga- lioni lupprcflac, parribus infcrnis ab aHmcnto fruclum non capicn tibus,6c oninino quibusmatcria furfum rcpit. Quac ucrocxtrcmis digitisobcuntur,easobfcruatumfuit,propric lippicntibus, &:aluo fupprcflac utilcs clTc.Quac vcro totis pcdibus riunt, cum fub aliqua fcmpcr pracdivitarum diffcrentiarum comprchcndanrur, ipfarum cciamfaculrarcsobtincrcrationi confcntancum dl, Arq.hacc dc fpccicbusabipfo motu dcfumptis. Iterum dc deambuUtiomm qUAlitdtihus.. * NTER dcambulationumfpccies,quac a loco accipiun tur,illac,quae fiunt in montibus, aur adfccndcndo,aut dcfccndcndo excrccnt.li fianr adfccndcndo,ualdc pro- fccto uniucrfum corpus fatigat ur,quoniam rcfcrctc Ga ^^^^y* icno ar rollunrur co motus gcncrc,&: pcrindc ac onus quoddam fu- fiinenrur ab i)s,quacprnnum moucntur inftrumcnris,rcliquacor- porismcmbrauniucrfa. fcribu Ariitotcl. ambulationcs pcr accli- » ra^tfc uia,tamctfiCnt hcbctiorcsmotus,magisfudorcmprouocarc,quam^^°^ ^ pcrdccliuia,ncc non fpiritum pro(illcrc;quoniam graui cuiquc, ut deorfum lcrri fccundum naturam cll, fic fcrri (urlum conti a natu- ram,itaq. caloris narura,quac nollra prouchit corpora, ut nihil pcr dccliuelaborat,li(- pcr accliucprcfsaoncrc nirirur,acriusq. ob ciuf modi motumincakfcjt, &: fudorcm mouct, &: fpiritum proliltit, cum ctiamcorporisuariusuitlcxusnon nihil atfcrrc caullacpofTit, Q utdircda fpirandireciprocatioaufcratur. qua rationc fccundum Antylli fentcnriam ralis ambulatio ctiam thoraci, qui fpirirum cxi- guum ducar,&: pracfcrtim antc cibum confcrt, maiorumq. cxcrci- tationum uice nonnumquam fupplcr.Lcgitur dc Dcmollhcnccoa fueuiffe iplum adfccndcndo dcambularcarqucintcrambuhldum orarioncspr()nunciarc,qu() lic productac fpirirus c(MUcntioni,qua oratorcs in diccndo opus habcnt^aduclccrct. Vcrimi cnmi ucro i:c nibusinfirmis eadcm ualdc aducrfatur;proptcrca quod diccbat Ariflotclcs,duadfccndimus,non corpus lurfum iaCtarc, diltcntio- ncmquc corporis,&: gcnuum moucrc; ad hacc gcnua ipfa, quac fc- cundum naturam in antcriorcm parrcm llcdi nata lunt,quali coii- tra narura f kfti rctro,ob idq. magnopcrc dolcrc atq. laborarc. Ex altcra partcambulatiodccliuis,quacdcfccdcndoobirur,magisak tcraa cnpirc adinfcriorcs parrcsirahir; atfcmora inualida nc') parii lacdil,*nimirum c^uac, ex ciuldcm Ariaorclis fcntcntia in hoc mo- ^;P|J«^C' tu 2«4 JL i b 2 K tti contra Naturac inclinationcm ante aguntur, quafiq. moucndo D crura uniuerficorporispondus fullincnt, &: proinde uchcmcnrcr fatigantur, Ambularioncs,quac tum adfccndendo,tum dcfccndcn lib.i.ca.i. do pcraguntuf,a Cornclio Celfo comprobanrur,eo quod ita uarie* tare quadam corpus uniucrfum moueatur ;ni/i tamcnid pcrquam imbecillum fir.Quac ucro fiunr inuijsplanis, &:acqualibuscx fcn- tenria Ariftotelisob motus,quamferuant ( utfic dicam) uniformi- tatem^,magis corpuslaboreafficiunt,&: obnaturac,quam tcnent fimilitudincm,ciriuslaborcsfiniunr,necnonad fpiritum,&: ad cor- pus acqualitcr conltiruendum magis accommodatac funr, quam fa (Sae in acqualibus . Ar dcambularioncs pcr inacqualcs uias fadac non modo minus fatiganriucrum criam utiles ijs funr, qui cito dc- ambulando defiitigantur. arquc hoc Anryllus inrclhgcbat, cum ambtilationcs,quae in vijs pcragu:Ur,minori cumlaborc fieri fcri^ ^ Oribaflus P^^'^^^'^"^ cas,quasin locis deambularionibus dicatisobimus.Hoc Jococitat. id^n^ iilnuereuoluit AcumGnusmedicusapud Platoncmin Phae- dro,ubi ambularioncm in Vijs, ambularioni in curfibus praepo- fuir, dcquofupra larius difputauimusjieque aliud intcllcxir Ifcho In Occo. ixiachusapud Xcnophonrem,quandoambularionem, qua ipfe ia agrumferuum cum equofcquebarur,ambuhirioni in Xyftisfadae: praeruiir. in his ramcn difterniinandis Ualde rcfcrr, numquid in praris, inlocisafpchs, an in arenofisefficianrur ; quoniam fi fiant in pratis,bIandifiima€proculdubiofunt,nihiI omnirto knfus tcn- tanr i nihilcommoucnr, ar eas caputimplcrc, tum proptcr odoriy luauitarem, rum proprcr humiditatcm, quac illis inhacrct, auctor cft Anryllus.Fadac in locis afpcris caput rcplcnt . Quando aurem inarcna,&: maxime profunda (quod genus cft vchemcnrilTimae ^ t^crciratioiu*s ) aguntur, magna cfficacia pollent ad omnes corpo- Inviu Au risparres firmandas,corroborandasque,cuius gratia Auguftus dum guih.c 80 coxendice,&:femore, &:crurefinilh"o, non fatis bcne ualcrct,im* moficpe ca parte claudicarcr^hac dcambularione confirmabarur. fic enim locum Suetonij inrcrprcrari dcbcrc ccnfco. ubi cum are- narum,&: arundinum rcmcdio ufum rradir,arcnarum quidcm runi ad deficcandasfluxionesjtum ad confirmadam,ur iudicauijcoxam, arundinum ad contincndum,&: claudicationem impcdicndum. quodquomodoficri debcr, cdocuir Cato lib.dc rcruft. cap. 160. Ad maicriam fubmdc,e fupcrnis ad infcrnas parrcs dcduccndum, camque difTipandam potcnrilfimae cxliftunt, &: idco malc fcrfiin a li.i.chro. Coelioraxatur Erafiftratus,quod dcambulatiohcin arcnofis locis wp.t. paralytieosexercendosfuadiiret.fub porricu fattac ambulationcs, aut. 2. s.c^ fcrrim fi uiridia adiint, quod ralcs magnam fakibritarcm habcant : &:primum oculorum, quod cx uiridibusfubrihs, i^nc cxrcnuatus acr, proprcr morioncm corporis mflucns, pcrhmar Ipccicm, ^ ita autcrcns cxocuHs humorcm cra(Tum,acicm tcnucm, &: acutam fpccicm ichnquit . Practcrca cum corpus in ambularionc calcfcar, humorcmcx mcmbris acr cxuucndo imminuir plcniratcs, cxtc- nuatquc dillipando, quod plus incll, quam corpus porc(Hullinc- rccxquo, ut inhypacthrislocisabacrc humorcscxcorporibus cxugcrcnrur molc(iiorcs,qucmadmodumcx rcrra pcrnchulas vi- dcnrurrconfuluitarchircCK^rumprinccpsampItllima, &:ornarifli- ma fub dio, hypacrhrifquc ambulando collocari in ciuitaribus acdihcia. Vcrumcnim ucro apud mcdicos fubdialcs hac dcambu- C lationcs plunmas diflcrcntias obrinucrunr. nam quando propc mare hunt, &c liccandi, Sc craifos liumorcs attcnuandi uim ha- Orihaflus bcnt; quandocirca flumina, et ftagna, humcdarc poffunt: fcd utraqucnoccnt, U pracfcrtmi llaizna, idcoquc non rcmcrc has omncsin Hpilcpricis damnauir Arciaeus,quando in mcditcrrancis partihus a^untur, qucmadmodum(upradictis(unrpracltantiorcs, ira quoquc tac^is circamarc ccdunt. quando in rorchumcdtanr no finc damno:fcd liin locisauium uolaru Frcqucnrarisambulcs,c:li^ cacifnmusismoruscrir ad cuocandum pcr halirum, adlcuan- dum, haud fccus,arquc li in fublimibus locis ambulcs . (iuac dc- indcfub Dioin locisucntominuspcrflatisambulatio c thcirur,va- lcrfccundum Anrylli fcntcnriam ad cuocandumpcr halitum, 6,^ ad cxcrcmcnra difpcr^^cnda :itcmqucrcmirtir,ncc fcrir. hanc Ac- tiusincohcisdoloribus a trigida caufla ortiscommcndauir, fcd quac 2^^humqucdi(Tolurum roborat.atque dehacfor^rafsc lo- €ip,z. ' quebaturCoclius Aurclianus, dum ftomachicis deambularioncs fub Dio promodo viriumadhibendasconfulcbat, fi fub Auftro, caput rcplet.fenfuum inflrumenta hcberar,a!uum moJlir,atque addifloJuendum ualctrfi 7Gphyrisfpirantibus,talisambuIariocc- rcris omnibus, quac in uento funr,praertar: non enim habctin- fuauirares boreac, quin potius manfucrudo fimul, arque iucundi- tasfunt coniundae. Quac in Apeliote fir, mala cft, &: fciir, atque irafchabentambulationcsfuL dialesinuerisperadacSequuntur, libi 1^>"el inumbrarquainre audoresdiucrfafcn- • tire repcrio.Cornclius Cclfus, fi capur fcrar, meliorcm ambulatio- nem in fole, quam in vmbra cfsc dixir, &: mcliorcm in umbra, qua E parietes,aur uiridariacfficiunr,quamquaerea:ofubcft. Exalrera parre Oribafius au^florirare Anryili dudusimprobat illam, ueluri quae cffundar, capur implear, arquc inaequalirares gignat . quam fententiamnon auderem alteri pracponere, nifi&rario, &:uere. rummedicorum, praclcrtimq. Hippocratis, &: Galeni audorira- tes tcftatum fecifscnr, folis radios humanis capitibus maximas no- xas infcrre. ncmpc quac fi calida,&: humida, magis calcfiant &c cli- quenrur ; fi ficca, ficciora rcddanrur, &: dcmum quaecumque fint, femper offcndanrur, modo vcl ruftici, ucl alij fub fole viuere afsue- morb'^- Qi^^^P^obecognofcensHippocrarcsfiucPolybusad • euiranda capiris dcrrimenra non quamliber dcambulationem, fcd folaminfrigore, aur in fole peradam uerat. Atqui nonillud ta- cendumefseduco,fempcrcligi porius debere infolc ambulare, F quam ftare, 8c ambulare uelociter, quam fegniter, ficuri prae- ceprumfuirabHippocrateinlibro defalubri diaera. cuiusreihac Prob"^^^ quod cumftamus, calor pcrmanet, ficquc ampliuscalefacir. corpuserenimnoftrum(diccbaris)uapo^ rcmqucndamrepidumdcfe conrinuo mirtit, qui proximum,&: ambientemaeremtcpefacit, undc aer pofteaillc corpus calidius rcddit, cum aurcm quis in folc mouerur, flatus excirarur, qui refri- gerare nospotcft,quandomorusquifqucfrigidushabetur. Am- bulandum potius in vmbra(diccbar Cclfus) quam paricrcs,aur ui- ridaria cfficiunr, quam quae rcdo fubcft : quoniam aer aflidua qua- dam,&:bIandauenriIarionefaIiibriorrcdditur. qui aer quoniam interdum ab arboribus noxijs infici, &: corpora deinde coramina- re confueuir,ut dc nucc arbore, arq. Narcifso mcmoriae prodidit A PlutarchuSjproptcrca hiiiufccmodi umhrasintcrdc.imbulandum s Sympo. fugcrc cxpcdict . Ncquc ifcm curam adhibcrc minorcm oportcr, ^^^^* vtarb()rcsrorcfui]u(;ic vitcntiir,qiioniam, fi pcr ipfas fi-cqHcnrcr qi.ib ambiilct,mcmbra tacilitcr lcpra rcnranrur,atqiichumscam Laitus apud Phirarchum in nat. quacft. attuh t rationcm, quod ros corporibus illabcns ipfa mordcar, arquc cxcorict, ucl potius^quod arorc colliquatis arborum iupcrhcicbusafpcr^oquacdam noxia inde corporibus aflufa inhacrcat,quac parrcs cxtimas ipforum mor dcat, arquc difcindat : ctcnim rori uim colliquatiuam (mKriKovy non J^kKriKQf, &c rc ipfa, &: ucrufto codicc pcrmorus lcgcndum puto) incilc pcrfpcctum faris illud tacir, quod ros bibuus gracilita- tcminducit, ut mulicrcscac manifefto dcclarant, quacalioquin obcfac dum tcnuibusucftimcntis,autlancis rori collii^cndo opc- B ram nauanr, co in cxcrcitio carncs confumunt . In oinnibus aurcm fcrcprodcritfubijsumbris ambularc, quas cpilcpricis probauit Arctacus vertiginofis, ncmpc /ub arboribus myrro, aur lauro, aut intcracrcsC^ bcnc olcntcs hcrbas calamcnrum,pulcizium,thy- mum, mentam, maximc quidcm agrcftcs, 6c (pontc nafc cnrcs : lin harumcopiadclidcrcrur,intcrhumanocuItu procrcaras.Hftin hac quoquenon cxiguumdilcrimcn rcfpcctu cadi, quod, dum fcrc* num cft, tunc ambulatio lcuar, pcr halirum cuocar, arrcnuar, bo- — namrcfpirationem,i^moucndi faciliratcm parat : dum ucronu- bibusobtcgitur, grauiratcmaflcTt, pcr halitumnon euocat, tan- dcmquc caput implct.Dc ambulationibus facicdis,ucl hycmc,ucl acftarc,ucl alio rcmporc,di\imus in libro quarto, ubi tcn^^pus cxcr- Cjp.n. citationibus accommodarum dc/iniuimus : fupcreft ranrum illud Q adncvftcrc, ambulationcs quaslibcr anrc cibLm ficri dcbcrc, ruin manc, rum ucfpcrc:quandoquidcm matutina aluum cmollir,licrc- dimus Antyllo/cgniticm afomnocontr.iotam dilfoluir, fpirirufquc attenuat, caiorem augcr, &c appcti tum excitar : quinimmo Hippo- i.dcdiac crates hanc candcm humidioribus tcmpcramcnris cc)ucniiv, quod humorisrranlicuscxinaiiiaiuur, ncquc animac mca*tus occludan- tur,fcribit:licut,&attcnuarc,ncc non partcscirca captitlcucs,agi- lcs,ac promptas reddcrc, 6c aluum tolucre conlirmat, ucfpcrtina ucro ad fomnum homincm pracparar, acinflarioncs difpcrgir, ca- put ramcndcbilcmale afficit,ob idqiic iurc accufarur Scrapion a Coelio,quod cpilcpricos impcraret circa ucfperam amhi larc, ac jjj, ^ ^^^^ rurfum conquiefccrc, &: dcambularioncm rcpcrcre. Pollcibum cap. 4. diximus cxiguam ambularioncm afl^ucris conucnirc, arque illis, 4juibus non fmc laborc in fundum ucntriculi dcfcendit cibus : illis paritcr, i6t i E R ^ ^ warirer, quibuscapiTtrepIcrum cft, lcmam poft cibnm dcamhu- D cV.l*! dc ^commcnaauit, Galcnus, fccutus fcrrafsc in hoc Arc- «op.mcel. tacum, qui in uctufto capitis dolorc candcm in ufu habcndam uoluit.quamquam lccundo dccomp.mcd.ubi dc dolorccapiris €xcbrictatcagit,ucJir, ncqucmuhum comcdcndum,ncqucfta- tim a cibo dcambulandum . In rchquis quo modo conucniar,non uidco, 6c proptcrea Dioclcm medicum anriquiflimum, &: cLirifli- mumfatismirari n6pofsum,quod phthificos dcambularionc pofl Ccl.lib.i.prandiaucxandoscfscuoJucnt, quac licuti concoAionem cibo- ruminrcrrurbat, ita muJtosadcaputuaporcscftcrri, arqucibi in humidirarcm conucrfos ad pcc^tus, &: puJmoncm difflucrcliicir, quonihiJphthilicis conringcrcpcrniciofiusporcft:comagis,quod i.dcdiaf.Iicct I-lippocratcshuiufccmodi dcambu/ationcs in humidioribus tcmpcraturis approbct : aluum ramcn, corpus, &c ucntrcm liccarc E confitctur: nciIlaomniainmcdiumadducam,quacdchuiulccgc- ncrisambuJatione fcripta funt in Jibrodc infomnijs Hippocraii adfcripto . qui Jiber cum muJra fupcrftitiofLi conrincar, forfan ali- quis ijs > quac ibi dc ambularionc poft prandium in pJuribus com- mendata dicunrur,paucam fidcm adliibcar . Hadtcnus dc ambuJa^ tionc, iam cetcra aggrediamur. ^uos ereClum slare ejfefius partat. 'i^^:^^^'^ O S, qui pcdibus crcvfti permancnt, cxcrccri, quonum alniiidc in fupcriorilnis dcmonftraui mu5,hanc rcm amplius in dilputarioncm rcuo- carc prorfus ridiculum forcr. proinde, quot modis luicc cxcrcitatio uarictur,quosq,quac- quc pariat ctfcdus, dcclarabo . Quod ctcnim ' hacc cxcrciratiopriuatim dorlipartcsalTiciat, Aucrrocs, intcr Arabas non inhmuSjfarisapcr- 6 collca. rcdixit . Qiii igirurtllud dcbilca narura, ucl cafulbrriori funt,"P-*- fummo ftudio id cxcrcitationis jzcnus cuirarc dcbcntjicmpc quod ( ut (acpius dixinnis ) maiorcm, ciuam ipfa ambulatio^dcf-uigario- ncm pariat : quibus etiam in rcnibus inflammatio, ud ulccra orta funr, ncftcnt, magnopcrc caucndum cflc, ccnfuit Rufus Ephcfius. Lidc paf. dtbcntquoq. huiufccmodi cNcrcitationcm aucrfari,quos ucl hcr- niac labor lolIicitat,uel i n cruri bus, aut fcroto, uarices dilatantur, ucl ulccra in infcrioribus part ibus orta funt, aut qualibet de cauf- faoriunrur,quam fcntcnriam nilimcdicorumauctoritasconfirmaf- fetiucram tamcn cHc ipfa ratio pcrfuadcrctrquac fcilicctoftcndir, in ftantibus graucs humorcs citra difticulratcm prorucrc,cosq. mo ^ do hcrnias,modouariccs,modo ulccra gencrarc,foucre,&: augcrc: nam quod varices gcncrcntur,ctiam luucnalis pocta cognouit,qui Saty.^. cum quandam mulicrcmlanumrogantem dcamici victoria furura deridcrct,uolcnsfignificareob importunas mulicrupctitioncs ha- ru(piccm,ficunctis !nfcrui(rcr,ftando,((icquifqueharulpcx proalijs rocabat I)cu)non parumlaboraturum,aifVaricofus fict harufpcx, Maruim quoquc fcmiu^ omncs,laboriofum uirucxftirillc,ob quod ^^"^-^ci* fi quis dicat, ei uari ces, quibus afilis.'tabaf ur, in ambobus crun bus ^*"' ortas ob nimios in llando laborcs, cum minus crraturum cxiltima rem. Vcrum cnim ucro,&: in hac cxcrcitationc non paucac diucrfi- rates rcpcriuntunproptcrca quod tcmpus, Iocus,atquc firus uarias quafi fpccies cfficcrc uidcntur. A tcmporc nafcuntur duac fpccies, quando aut antc cibum,aut a cil)o,quis ftando,is: vcl pauco tcporc, ucl multo cxcrcctur. A locofuinuntur diffcrcntiac^quoniam vcl in ' folc, i7o folc,uel In uml)ra,&: hac aut claura,aut aperta ftatur. A fitu dcmum D euariantur ftandigencra,quando uelunopede,uel ambobus,& uelijs totis,&:planis,uelextremitatibuseorum, calcibusfcilicet,&: fummisdigirisltamus. Ante cibumftare uentriculi cxcrementis inaniendisauxiliatur,afthmaticos,&difficiliterfpirantesadiuuat, ucntrem cmollicurinam prouocat, crura, &c pedes corroborat, &: fiquando deambulationi uacare non concedatur, illius uices fup- plerepoteft. Vertiginofistamcn,&:c]uibusad fuperiora rapiuntur uapores, nullopadlioconducit, cum extalierCw1afta:ionefacilius caput afumispetaturrnamtantamad hoccrifiicicndum potcntiam Pctr>A fi^^il^^i^^^^^i^habct,utnonnulIi boues,&:caetcra animantia poncnfis (quodfcripfit Ariftotcles) minus homines tuffirc, minusquccatar- y.partic. rhisuexari crcdiderint.quoniam ipfis mininie crcdtisftatibus haud ita uaporcsnaturafurfumicndentesin eorum capita fcrri pofllint. E QiKi item ratione eo$ omncs damnare uehcmcnter foleo, qui,fi al- to capite dormiant,minus a catarrhis fe vcxarum iri putant,cum po ' tius contrarium eueniat,vt fcihcct qui humiliori,&: fcre cctcris me bris aequali capitis fitu dormiunt, uel aliter iacent, minus a uapo- ribus capitc tentcnt,minusq. a capite ad pcvflus humorcs defluant. Quamuisfccusiudicadum fit,vbiquisvcntriculi in conficicndo ci- bum dcbilitate uexatur.Quoin cafu Pofidonius apud Actium ma- gnopcre ftudendum efte iulfit, vt in dccumbendo caput altiori fitu contineatur, quo cibus magis in ventriculi fundo accommodctur, &: ob id nutrimcntum minori molcftia coquatur.Atquc hoc intclli gi debctdeijs, quimultum ftant:ftare etenim pauco tcmporc cxi- guumquidprodcfl*e,nequcmultumobeffepotcft. Qui porro com- muni illo effato,Prandia poft flabis, indufti poft fumptos cibos fta- F r dclc61:antur,ij fcire debent,fi mediocri quodam rempore ftctur, defcenfui ci borum in uentriculi fundum id infigniter coopcrari,&: confcqucntcrilloruconcodionemperbelleadiuuarc, nec alioqui ullam cffatu dignam iaefionem afferre: uerum fi multo tcmpore ita qui5pcrmanfcrit,praetermolcftiam,quaob ciborum intcrdupon- dus,praetcrla(fitudinem,qua exlaborc afficitur,variasitcm offcn- fioncs fubirc cogitur.Primo namque maior vaporum copia fuperio rem corporisrcgioncmimpctif,maiorhumorummuItitudoad in- fcriora praccipitat, atq. indc vlccra in cruribus,gonagras, &: poda gras gcncrat,cicindc thoraccm,atquc fpirationc vniucrfiim non pa- rum Iabcfa&: totam mingendi athoncm uitiant, quando vidclicct crudi humorcs ex fimili fiti ad S E X T V S. J7I A cas partcs dcfcrutunrcncsq.&lumbi uchcmenterincalcfcunr>dc- bilitdturq. ut non tcmcrc vidcatur pracccpiflc- Rufus Ephcfius, ne quis vlccribus rcnum Iaborans,ctiam fi morl^us inchnarc cocpiffcr, ftarct. Statio in vmbra (cmpcr aliquibus cx pracdidis difTcrctijs ad ncctitur,ut fit multa,vcl pauca.ucl a cibo,ucl ante cibum, et proin- dc qualicumquc adncxa rcpciiccjllius cflTcdus continuo cxprimct, modo umbrac ratione aliquid fccus non acccdar.hoc autcm dico, quia facpcnumcro umbra, vd cft locorum concluforum frigido^ rum, atq. humidorum; ucl noxiarum arboram, ucl alrcrius p"erni- ciofae rei,quas omncs corpiis macularc, &: faniratcm dcftrucrc ne- mo ncgabit.c:actcrum de llantibus fub folc in hunc modum dcter minandum eflc, iudico, quod fcilicet Itare fub folc in aeltarc fum- g moperc calcfacir.immo fcnrcntia eft Ariftotelis, cum llamusin fo- ^f^ lenosmagisdcuri,quamdummvOucmur,ctlipcrfcmotus ipfc quo- ^'"^ * quc calcfaccrcuaIcat,quodaIiasfuliuscxplK aunnus. Si iijiturita clt,rationi confentancum crticitur,iuuamcnrum infigncualdcfri- gcfadis corporibus indc accedcrc,vcluti h\ dropicis,caccdicis, quibusidaCoclio,&();n iibusfcrcmcdici's laudatur. InickTicis Lib.j.ci iteincurandis tali infolationc vfum Archigcncm rcpcrio. ncinte- ^'v^^f' rimlilcntiopractcrmirranrur ca,quac apud Acrium cx Antylli fcn mcdTu* tcntia lcgu:ur,infolarioncfcilicctvarijsmodis anriquos vfosfuiflc, "P-'' alias cum unJlionc,aIias iinc unctionc,modo fcdcndo,modo iaccn do, modo Itando, inrcrdum ambulando, inrcrdum currcndo : dc ^ quibusomnibusinhunc modum dccretum elt, quod /i infolatio * adminiftrcrurnonpurgatoprius corporc,max:inum capirinocu- C menrumaftcrr: undcfacpcnumcro mirari mihi conringit,quogc- nio ductus Plinius maior,non modo purgato corporc,ucrum ctiam polUibuminacltarcfubfoIcmancrct,acdcindcinfngidalauare-rcpift tundchac ctcnimlocurosfuilfcmcdicinacaiictorcs arbirror,quan dodixcrunt,ab illacorporaplufquam par lirincalcfccrc,fcbrcs,at- quc capitisdolorcsgignirNamliantcaquamcorporafolicxpona- '"'''^* tur,opporrunc cxinanianrur, aut /inc unctionc, aut cum unctionc ricripotclt:hatcura unctioncm,capiri diuturna frigidirarclabo- ranti fuccurnt,quod illud durius,arquc impallibilius reddar, Sc ob idmcriroinEpilcpiiacuranda a Mcthouicis nonnulliscommcn- Ccciu.x. datur, modofit inlolatiomodcrata./icutitcm in ca in/aniacfpccie  i:iuarccrcdirur,quacafrigidaintcmpcricorrum ducir:pracrcrca occultas difflarioncs augct, ludorrs clicit, carncm confcruat^pin- gucdincm tollir, ocdcmata oinnia, 6cpracfcrtiin hydropicadc- primit:ncquc tamcn iplu noxis fuiscarct, quandoquidcm mr)ra Cymn^flica. X quacuis 272 L I B E R quaeuis fiibfole bilcm augct,&: confcqucnter ijs, quibus calorna- cc^^apk. ^^^^ mordaxcft,valdeaduerfatur, ut a Galcno fcriptum cft,/piri- lo. tumque crafliorcmjdenlioremue efficicns, afthma, &: orrhopncam i.^tu.va. exacerbat. Cactcrumftabfquc un^ftione infoIatioadhibcatur,in cactcriseofdem efredtusparit,nifi quod corpusexficcat magis.tan- quampingui illoadufto,&fubindcmaiori nigrcdine fupcrficicm totaminficit, nccnon carncm inftar caurcrij cuiufdam dcnfasmi- nuspcr infenfibilem rranfpirarioncm cxcrcmcnra diuaporari facit. Li I fcr ^^'^ i*arionc huiufcemodi infolationcm ad minucndam polyfar- cap!^*^^ chiam ab Aerio laudaram ccnfco, Vcrumramcn duo hic animad- ucrfionc digna cfle cxiftimo, alrcrum, quod medicos, ubi fub fole moram probarunt, praercgi pannis capira uoluifle opinor,quo- niam,practcr Coelij audorirarcm,& ratio,&:cxpcricnriademon- ftranr,capita derc(5ia,fi foli cxponantur, ualdc ofTcndi, ncmpe quae fupra modum calefa£la vaporcs a toro corporis ambitu ad fcfe at- trahuntjficqiic omncm malorumiliadem, &:prae caereris carar- rhosibi gcncranr : quod minimc,ubicapira teguntur, euenire fu- a.partlc. fpicandum cft, proptcrca quod,utfcripfit Ariftotclcs, indura cor- rdccauf' P^^^^f^l^^"•^^^4"^"^ nuda,cum ab illiusradijsminus fis ^i^rb. icrianrur.atquc hoc torum a Galcno fignificatum crcdo, ubi dixit, eos,qui nudi fub fole mancnr ^uniucrfum corpus calcfaccre, qui uero induti, caput folum • nam dcmonftratum cft a nobis libro tcr- tiOjMaiorcsnoftros numquam ferc caput tcgcrcfolitos:nemire' murGalenum,dumindutosfcripfit fub folc, capitctantumualde incalcfccrc dixit. Alrcrumanimaducrfionc dignum cft,quod, fi- curi fedenres, &:ftanrcs fub folc uchcmcnrius incalcfcerc, fiuepo- rius deuri expeiientia conftat,quam ambulantcs,&: currcntesipari- rer,& caeteras pracdiftas affcdiones, tam bonas,qua malas facilius recipiunt. Atque haec vniucrfa a nobis dida dc ftantibus planis, ac totispedibus intclliganrur.ftarc namque calcibus innixos non mo dolaborcm acmolcftiam inducir,uerumetiam nuUumiuuamcnrO cfTaru dignum pracftarc crcdirunquemadmodum fimilitrr cos,qui fummis digiris ftarcconantur, practer farigationcm illico fucccdS tcm,parrcs illas callis molcftiflimis aflicerc compertum eft, &c prac- fcrtimquandoquis co frcqucntcr vratur j hi fiquidcir 'Mudunum commodu nonnumquam rccipcre uidcntur, ut longins multis alijs profpciaare ualcanr, cuius gratiaab antiquis fpcculator, fiuc  Apho.^ nia dcillis,qui non armari ccrtant accipicnda purcquandoarma- ^*^^^'*^** B tum ccrrarc inrcrcxcrcirariones limul,atqi:c opcra ma ifdl • rcpo- fuir Galcnus,qui limilircr ccrrarc aducrfus u nbram {ctKtctiicc^^ip t-^tu.^u cunt Gracci,) cclcrcm cirra robur cxercirationem cilc ludicauit, |;'^; ut Auicenna quoquc,cV Paullus pollipfum ccnfcrc uili funr. Cum doc.rcii itaquc rcs icafcfc liabcar, pugna non armarorum rim aduc rfuslio- mincs,quam aducrfus columnam adminillrata in primis magnope rc calcfacir,cxcrcmcnra cducit/udorcscicr,cxr.bcranrcm larncin fupprimit proindca Coclio incuranda polyfarchia adhibcrur, l; ^^^^^ dcinceps brachia,atquchumcrosconfirmat,ciura(5»:pcdcs mirum cjp.Tiu inmoduinexcrcet,cctcrum capitadcbilia,6«:ucrtigini obnoxia no parum labcfa^tat .rcnibus ircm laboranrcs huiufccinodi cxcrcita- t»oneinfugcrcpracccpir Galcnus.  magis cxcrccrc, l 2 &:unn 274 1-  et uim maioi em corporibus infcrrcquam iftam: quonia,nt ab Alc D Prcb - pcrbcllc fignificaium cft,athlera, fi obnitatur antagoniftac, tortitudmcm ci us augct ; Un ccdat, ncquc rcJudctur, robur ciufdc refoluit. Atquicapugna, quac corporibuspugnanrium armatis cxcrcctur, inrcr vchcmcntcs cxercitationcs collocada eft,quac cu robufta, &c uahda corpora cfficcrc dcbcant, iurc meritoNicias apudPlatoncmin eodialogo, qui Lachcsinfcribirur,dixit,quod Iv STTMi^yi^^wi&r,fiue armatum pugnarc corpora robuftiora, li quod ahud cxcrcitationis genus, rcd^dit, ncq. vllo aho minorem Loco cit. laborcmparit. Dehac quoque exercitationeab Antylloproditu ^ rcperitur,corpus ab ipfo ad morum aptius, et ad carnem fufcipicn- dam rcddi, uerumramen propriam atquc maximam cius pollicira- tioncmcxliftcrc,utcorporisfirmitarcm,&:longam rcfpirationcm gignat, cumilli, quifcfe pugnis fimihbusdcdunr^omncmaHam £fpiruuscxpulfionemferrcpoflint: facitautem huiufccmodipugna carncm laxam, &: mollcm, nccnon capiti admodum noxia ert,prae- fcrrim quando galca plusaequo obtcgitur, cuius pondere preffum nonparumlaborat . illudhicnon ignorari uolo: cTrhoyxtxlav, fiue armarac pugnac exercirationem, nc quis dccipiatur eandem effe cxiftimans cum armata ludatione, oTrhm-miKn ab Acfchylo vo- cata,quandoquidcmhacramquam ludtac fpecics armisin mani- bus nullo modo utebatur, fcd dumraxat ccrranres totis corporibus armabantur, ficque armati inuicem ludabanrur, cuius ludationis arbitrcr uolurarionem illam armaram, fiuccelcrcmagir aioncm, t.dc tue. quamGalenusin numero vchcmcntium excrcirationum repofuit, * ^^' fpecicm quandam exftitiffe . An vcro dc hac armata pugnae fpecie intcllcxcrit Coclius Aurclianus, quando in curanda polyfarchia F poft plurima alia cxcrcitationum gcncra comprobata dixit . Tum „ hoplomachia, hoc cftarmorum fiifta conflixio: apudmcdubium nullum,ut exfuperioribuspatct, relinquirur: quoniam, et fino- menGraccum hanc ipfam lignificare uidearur, nihilominus, &: nominis ab ipfo illata explicatio, &c ufus demonftratus manifcftum argumcnrum faciunt,cum dcpujTnaillafcrmoncmtaccre.quae nu- dato ab armis corporc excrcetur,quaeq. ad diminucndam carnem a nobis laudata fuir, cum hanc poftrcmam carnem, fed mollcm, SC Jaxampotius augcre Antyllusiudicaucrit. Dc gladiatoria pugna nouidcturhiclocuscxpofcerc, ut fcrmo ulIushabearur,proprcrea quod cum armis incidctibus,ac pungcnribus anriquirus agcrctur, uclinlctaliavulnera,uclinaltcrius pugnaroris, aut eria vrriulquc ncccm,plcrumquc terminabatur . VnUe ncminem non uiderc ar- bitror qiiantnm ahfit, ut fimilis ^onccrtatio iillam pronigandis morlns, tucndacuc fanitati opcm afTcrrc ualcat : ca cnim cft,quae liodic apud miiltas Chriftianorum nationcs fub Duclli nominc no fincmagna ciuitatum aliquandocladc cxcrcctur, quamq. &:anti- quis, Su noftris tcmporibus ab uno hominum inimicilTimo Sathana rcpcrtam ad pcrdcndas animas fuiflr fcmpcr crcdidi . quod naquc non monachiam antiquorum, ut falfo probarc conari funr, qui huculquc ducllum trailarunt, fcd potius gladiarorium ducllum huiufcc tcmporis rcfcrat, pracrcr multa in qnarro libroa nobis dc- clarata,hoc itcm at cftari vidctur, fciliccrijfdcmarmis,atquc co- dcm propcfincducllarorcsconccrrairc, quilnis ohm gladiatorcs pngnabanr: illud unum inrcrccdit difcrimcn,quod illi tum gloriac cuiufdam inanis gratia, tum praemiorum fpc, fcd fcrc fcmpcr ui B quadam,utpotc ud ad fupplicium condcmnari,ucI in id cmpri,at- €juc cdodi ad ccrtamcn duccbantur : ifti ucro fpontc,&: nuUisco- gcnribus,nifi folius honoris uana quadam, &: faila dcfcnHonc pro- lcdantcaguntur: ut hac rationc minus cxcufationc digni habcan- tur,cum fpontc in propriam ruant pcrnicicm . Vrinam rcllpifcanC randcm homincs, uidcanrquc idquod Haibari krc nulliagunt, ranto minus Chriftianos dccerc rfic profcdo &c multac urhcs, quac ob hoc inrcftinis, &: facuillimis di(Tcn(ionihus cxagiranrur, ad mc- Irorcm ftatum rcuocarcnrur, &: mulrorum anim.iSus,corporibusq. mcliusconfulcrcrur. At nc longius a propoiiro noftra diuagctur ©ratio, hacc fufficicnt, fi illud addidcro, quod Cclfus, Scribo- jii,^ ^ nius, Plinius, Arcracus,atquc alij plurimi rcfcrunt, ab Antiquis li. decop. fciliccrcrcditum fuiffc,gIadiatoris iugulari fani^uincm cpotum lu- "''^i*; ^^ C uareepilcpricos. quam rcm poriusad prodcndam iplorum fcri- nam fupcrftitioncm, quam ut ullam fidcm adhibcndam ccnfcam, li^nificare uohii. 2)e qudTunJxtn altarum exercitatiomm qualitatihus*  l II. VLTA apud antiquos cxftltcrunt excrcitati onum gcne- 1 a, quac quoniam non ita frcqucntcr vfurpabantur,ab aucloribus cclcbrata non iiuicniuntur :inrcr haccau- rcin primo fcfc offc rt ri iK^6)^u^il%:ccci, ucl manibus fum- fliis conccrrarc, quod, /iue hituc jpccics aliqua forct, utnon- nuUi crcdidcrunt,fiucicparara quacdam cxcrciratio, urCalcnus ^^^jl^gp^ccnfuifsc uidctur,u ui poft luclam alias quafdam cxcrcitarioncs ad- OymnaHica, T 3 numcrans  nummn^acrochinTmum nominaf, facirqiicrnam7cftealii conftar ipfam apud Galcnum, Actium, Paulum, et Aui-. l.ib.3. c j cennam i nrer ucloccs finc roborc exerciraiioncs locum obrinuifle, lill.fen 3*cicndijcorpora tcnuandi,carncs,fuccosq. dctra- doc. i^c.i hcndifacultatcmpolHderc, ut appofircinfinuarc uifuscft Hippo- fitf^cftato P"^^ qucmlcgirLiracrochirifmumatrcnuare,&: carnes /ur-. cap.Ti^^^ ^umtrahcrcproprie ucromanus,atquebrachiafccundi;m Gale- Lib.4.c.4 num in ipfaexercitanrur. cxquorir,utilIisconueniat, qi ibushas- locQcitac, parrcscorroborarcin animocft,ficurijs ualdenoccr,quorum chi- nigra,uel aliusmorbus,&manus, &: brachiainfeftare folct. dchoc locutu e(Tc CeIfumquiscrcdcrcpoteft,ubi in ijsqui ab arida luHi exagitanrur,exercirarioriesmanibusperadasprobar. PorroUTrA^- ^f/^^ij^jideftecplerhrizare, a Galcno inrercxercirarionescitraro- *oco cit. bur,6^crccntium,quamCraccihatcro. copiam, vcltrachc! ilmumuocanr,cxcrccri,vcrumramcniIlisma\i- mc vcrcnda clUalis cxcrciratio,qu! vcl pc^orcvcl dorfo,vcl capi- tcnoadmodum valcnt.Parictiam paclofi quis(vr Milo factirabar) g conucficrcfc, ojcrcq. dc loco volcnti pcrmirtar,cnira maximc corrob.>rarcpotcrir,qucmadinodum manus maximopcrccxcrcc- bir,cisq.fortirudincmacqLirer,lipuynum alicui apcncndum, ucl malum punicum, aur talc quippiam manil)us complcxus aufc rcn- dbmpracbcar:quod ramcn arthriridi,aur chirajiracobnoxijsmini- mccongruct.Roburaurcm partium rum cxcrccr.rum hrmat,fiquis a!tcrumcomp!cxusmcd;um,aut ctiamipfc mcdiocomprchcnlus, manibusdigirisq. pcdinatim iundis,aur qucm complcciirur abfol- ucrc fc iubcar,aur ipfc lc a complcctcnrc loh,ar:nih quod in hoc pc riculum immincr,nc vifccra labcfadcnrur c\ nixibus illi5,qui adhi- bcntur,dum dillolurio quacrirur.lra criam (i quis alrcrijm,(|ui vcr- fus ipfum lc inclinct t larcrc aggrcflu5,ilia manibus compIcxus,ccu onusaliquod fublarum inuiccm prorcndar, rcducarq. acinagis,fi C dumgcltar,ipfcnixu, rcnixuq. corporis vrarurnic narnquc fpinam vniucrfam corroborabir,lumbos tamcn,arquc rcncs dcbilcs habc- ribus noccbir. Acquc vcro qui pcOtoribus cx aducrfo innixi magno fc conaru inuiccm rcrri^ilunr,;;^ qui a ccruicibiis pcndcntcs dcorsu trahunr,vchcmcnrcrquidcm cxcrccnn^r, &: pcrconicqucns robur corpori vniucrfo comparanr:at pcriculum fubcunr, nc thoracis va- fa aliqua rumpanrur iplis,ncuc aur capur,aiit collum malc aihcianr. Hacc iraquc oinnia ramcrfi apud vcrcrcs inrcr ccrcrascxcrcirario- ncs habcrcnrur, nihilominus haud ira in frcqiicnri vfu fucrunr, 8c pracfcrrim nobilibus,ac illisqui non fincluauirarcquadam fanira- ti opcram dabanr. h;ic ircm rcmpcfiarc non dcfunr, qui ipfis vran- lur,qn )v.jn')d' ' rario,iflhibcarur,pcni:us aiicrrcrc nolo. T 4 De  D Def^mtuscohibitiomsfacultatibus^ ^(^df. I V* I #n K-K^ ETENTIONEM fpiritusfpecicmquadam cxcrcitatio- ' * nisefTccumabundc inlibrotcrtiodemonftraucrimus, idampliusrcpetcrenoneftopus:il]uddumtaxat adiuii C gamnonfacilerepcriri,in qua nam difTcrcnda locata fucrit.nifi quod animaducrtcntes nos in huiufccmodi cxcrcita- tionemufculosabdominis,aque thoracis ualentcrintcndi, &:fu- ^.partic. binde inpartibus interioribus calorcm augeri,ut Ariftctclcs,&: Prob. Galcnusmcmoriae prodidcrunt,eam non riciiiinc uchcmcntia 1. dc diac i^^^icare poflTumus : &: propter hoc iure ab Hippocrate didum fuit, ^ fpiritus dctentionc meatus difparare, cutcm attenuarc,nccnon ^ 3. dctuehuniiditatcmfubcutcm extruderc poffc. A Galcnofimilitcr,&: ia^bartii^bAuiccnnafcriptumcft, rctcnrioncm fpiritus mcmbrafpiritua- mcd.c. 87 lia calefaccre,corroborarc,&: cmundare,necnon anguftas cauita- doc 1 c \ ampliorcsrcddcrc. Quod etenimfpirituscohibituscxpurgarc thoraccm ualcat, clare conftat : quippe qui in.ipHi rctcntione un- diquccompulfus inanguftosfe rccipcre meatus cogitur, cosq.li ampliustrufus, propulfusq. fucrir, ctiam pcnitus tranfirc, atque extcnuati iam agitationc cxcrcmenti nonnihil fccum arripcre, eo propemodo,quo intucmur opificcs angufta inftrumentorumfo- raminauchcmcntiorefpiritusinflatucxpurgare:quandoquidemis quanto ulterius pcr uim coadus impcUitur, tantum ab ipfo quaeda impelluntur, qiiacdam trahuntur, nam truduntur quac antc occur- runr,attrahuntur quac ad latus funt pofita, impetu ipfo motus vtra- quc coada. Qupd ucro ex retcnto fpiriru cauitatcs cuadant latio- res,hinc probatur,quoniam fi thorax in medio corporc locatur, fa- nc illo magna afiqua infpiratione acrc impleto, et dcipccps fuprc- mo laryngis ofculo Imgulac opera claufo, nccno mufculis toto tho race prcllo,necclium cft aercm comprcfTum vndique mcatibus cor poris uniucrli^^ infcri,ficq. inirufum cos undcqnaqiie dilararc,mo- doinfcriorcs dum iUuc impcllirur, modofuperiores. ficergoper fpiritus retcntioncm cauitatcs corporis amplificantur,pedoris par- tes cmundantur, ipfaeq. atque etiam aliac intcriorcs calorem ici O^nip. ^^j^^ipi^ri^^cuiusmcritofrigidacaflrcdioncs, &:prac{crcim infla- Pr^?*^* tioncsrcmoucntur. ut non tcmcre Plato fubpcrfona Eryfimachi li.d mcd. ixicdici,nccnon Ariftotclcsmcmoriacprodidcrmt,fpiritumcohi- ifbroT.d^birumafmgultulibcrarc. quorum placira fccutusGalcnusabco- ^mp.cau.icm uoiifolumlingulcumjvcrun^ctiain tuffim afrigida inftrumcntorum rcfpirationis intcmpcric conrraiftam cxftlngui tcftatumrc- liquit: ciuodaucla in pcvftorc caliditarc cx tali cohibitionc angu- ftos quoslibct mcarus fpirirus coprcffus pcncrrcr,cun &: ab auribus cxpcllunt : limilircr obftcrri- ccsiftud rcftantur,quacad parruscxpuIlioncmfaciliorcm,&:ccIc- riorcmrcddciidam partiincntcs fpirirum contincrcpraccipiunt . in quoltamcn ipfas facpc crrarc fcnbit Acrius,quando cx nimia hu ytr^h, 4. iulccmodi fpirituscohibirioncancunfinata,liucartcriarumincu- i[Lli\c. ribilcsdilararioncs incurrur.t in faucibus, nccnon pupillarumin prob. 48. oculis,ut Aucnzoar tcftatus clLDiccbar Ariftotclcs fpiritu rcicnto mdiusaudirc nos, quoniam rcfpirario ftrcpitum qiiCndain mo- ucr, quocum careanrrctmcnxcsiUam, mclius uoccspcrcipiuntrti.ij. c.i C quanuiis CalTius Mcdicus alitcr fcntirc uidcarur. Exftar ircm Plinij aucronras,quod cucrfos,fc anclcnrcsq. ac iaccnrcs, fi quid ingruar, conrraq. i(ftus,fpiritum cohibcrc fingularispracfidij cft. Si igirur afpiritusrcrcntione rot commoda xjriri conftat, prudcnrcrfanc Coclius Anrclianus ipfam allhmaticis, ftomachicis,arquc licis'^|^^J"^*y curandis cgrcgum opcm pracftarc lcriprum rcliquir.Ncquc ramcn ub. ^.c. huic ranrum tnbucrc dcbcmus,quiii ctiam ipfam aliquacx parrc obcflc credamus,quandoquidcm Afclcpiadcs capur opplcrc rcfta lus cft,cuiusfcnrcntia a Gak no ccrre cxplofa fuit . Ego vcro illam prorfus non cfTc rcpcllcndam puto, quoniam manifcftoconfpici- mus, dum fpiritus rcrinctur, ucnas,atquc artcrias colli intumcfcc- re, oculos ampliiicari, gcnas ac uniucrfum vuhum contrahcre ma» iorcm ruborcjn, tandcinq. caput totum compati : quacomniail- Jius rcpktionijs cUra inditu clTc, ncmodubiiat . txquohr,ul Dioclcin Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazionale Centrale CFMAGL 1 .7.429 2SO j Dioclcm tota uia abcraflTc pro ccrto tcncam, dum fpiritum rctcn- D tk.i.«a.4. tumin epilcpfia curanda praclidium afifcrrc dixir:/icut Coclium laudo,qui in ciufdem aflfcdus curationc fpiritus rctcntioncm uita- ri debcrcuoluitjCumccrrum pcriculumimmincar,nctuncfangui- ncad caputrccurrcnrcmorbusmagis exaccrbctur. In fanguinis CgcUi.a. quoq. rcic£lationc talcm cxcrcicationcm a Mcthodicisdamnaram inucnio,quibus aiTcntiri cogor^propterca quod rum a calore in pe- (floris cauea gcnito,tum cx uaforum inflationc,diftenfioncq. facilii mc debilia,&:rclaxata vafafranguntur, frad:aq. iterum relcrantur. Ampliusqui veliierniasjvel crcpaturaspatiuntur,autpcritonacum, atquemteftmaexrilia,&:fragilia ab ortuobtinuerunt,nullo pacto in rctinendo fpiritu cxcrccri debcnr, quoniam hae partcs in aclio- neifta uchcmcntcr contenduniur,& pcr confcquens, nifirobuftae fint,citra mulrum laborem diuellunrur,qucniadmodum apcrtifii- ^ mam fidcm pucri faccre poflunr,qui fi interdum nimis quam par iit flcndOi aut aliquomodofpiritum contineanr, protinus ijsperito- naeum, fcrotumuc difrumpicur, 6c dcinccps intcftina dclabcntia, aut flatus intercluii,uix fLUiabiieshcrnias pariunt: quod fimilitcr tu bicinibus, &c cantoribus, dum nimis fpirirum retinerc conanrur, facpenumcrofolet cucnirc,&: praefcrtim quando illi wiJ^ctlguuy ( quod Galcnus ait lib. de mot. mufc. fccundo in finc, ac 6. h\nd. com* 4, tex.24.&:dcquonosin varijslcct.cgimus^ac pluraadhuc dicemus, cum itcrum librum cum rccognitum, atque auclum pro- pediem dabimus) fiue edidum ficere uolunt . Vna feruata ra- tio ab huiufccmodi pcriculis tucbitur, fi modcratc, aur potius infra mediocritatem (imilisrctentio peragatur, ubiagcnda crir: alioqui pcrfici nequaquam poterit,quin praedida incommoda fc- ^ quantun De ^octs exercitAtiomm fAcultAtibus 3 tsf primo de rvocifcr^itione^ OCIS multas,fcd unam praecipuam excrcitationemcf feccruntantiqui mcdici,quam gracci t«i^ (cVflf.quoruomniunaturapcrfpcv^ta nihU rcmarc mancbif,quod luiiufcc cxcrcitationis cognitioni arfdi valcat.Er P «l^^jtu^^^ go prima uocitcrarionibus,qnaccumquc (int illac,adfcripta ab An j| ^^.^„6'. tyllo,Plutarcho,Paullo, Actio, et Auiccnna codiciocft,quod tho- Un, raccm,arquc uocalia inltrumcnta pcrbcllc rxcrccr. diccbat Aucr- \-^V'c.s rocs pulmoncm propric a uociscxcrcitio rcfpici . (ubindc naturalc iiki.f.s.d. calorcm augct,purgat,hrmat,arqucarrcnuar,folidas corporispar- * "J,';j^* tcs, robultas,puras,&:ort"cnfac mmimcobnoxiasrcddir. addcbarcap.i, ' Auiccnnna hanc cxcrcitationcm colorcm dccorarciquod cnim ca loraugumcntum fufcipiar>indcoritur ;quia fpirrrusalliduomoru, taai actraCtus, quam cxfufflatus collidirur, artcriturquc, licq. cx ca collilionc, 6c atrritionc calorcxcitarur i puriiarucro huiufccmodi cxcrciratio itum quiacarncs raiiorcs,magisquc rraiftabiics cfficir: tumquia cxmoru uocalium inflrumctorum humiditatcsinrcrnac B confumunrur,quod cuidcnriflimc dcciarat dcnfus uapor cx orc v v cifcrantium urodicns, 6c fupcrlluitatcs uctullioruhumoruunicui- qucmcatiii adhacrcntium,quaccxccrnunturnonfolumin pracdi- £tis uocifcrarionibus, fed ctiam alijs pkn ibus modis. lam vcro fir- marur calor, 6c artcnuacur, quv)niam uafa abftcr^^uncur, nuilti hu- morcSjUt fputa,muci,(^pitiiitac conlumuncur,quac licut antcaca- lorcmobfcurabant,dcbihrabanr,&:incra(Vabanr, iracduda cun- dcm puriorcm,uaIid!orcmq. rc linquunr, &c hinc pollca lolidis par- tibus maius robur,maiorq. impallibiliras fuccrcKic.Si icaquc hacc ica fc habcnt, racioni confciuancum clt, ijs, qui humidirarc occu- patas inrcriorcs parres,quiq. uniucrfum corporis habicum frigcfa- ^tum habcnr,uociicraciorH*ni gcncrofum praclidium cxliftcrc.quc- admodum.illisprcdictis racionibus cam ab Anc) llo, CoclioAu- rc!ianp,&: Actio commcndaramfcimusltomachicis, uomcncibus, acidum ru:tancibus,acgrccoiKoqucntibus, cibos faltidicntibus, atrophia Iaboranrjbus.languidis,cachccticis.hydrC'picis,althmari- cis,orchopnoicis,phchilicis,diuturnopcctorisauclcpti dolorc uexa tis.apoftemara in choracc rupra habcntibus, mulicribus pracgnan- tibus,picaobfcllis, autlccundum Alcxandruinctiam parcurienci- ^/j^^g^'^ busad parcum tacihus cduccndum,non minus n,.chro, affi.iunt,quamcorporis immodicacgcftationes, luuatmfupcr cla- cap.i. ralcf Q crir,fi rifu fcfc cxcrccrc uolcntcs alas fibi ipiis litillari facicnt ; pro- bi^ «!'^^^ ptcrcaqnod magnusinillispartibns ucnnlarum,atquc arteriarum concurlus cxllat, quac tuillatac concalcfiunt,^: fpirirum fu[)indc cxcalcfadiioncgcnirum pcrunincrfumcorpus diflundunr. Ncqnc ucrolatcic qucmqnam dcbct,ualidnm rifum,(icuti dixir Plaro, ma gnam mnrarioncmparcrc, ncmpc dc quo cclcbratnrapud Grac- cos hicfcnarins. j t Ato; HKccigo^ tyjigcrois (Niviy KccKiv, i d c ft Rifusinrcmpcltinusintcrmortaksgraucmalum. Siquidcmtalis,practcr immodcraram fpiriruum ctiulioncm,pnicrcr nimiam agirationcm,calcf'achoncmuc, nonraro,fccunduiii Ariftotclis,&: Jococftat. Alcxandri fcntcntiam,uchcmcntcm rcfolurioncm indncir:qno. p|^^*|;^^^^ niam uiralis uis,&:inlitus calorimmodicc foras prodit,ac indcfir, ur /ic ridcntcs fudcnr, ac rubcantfangninis adncntu : calorcm crc- iiimnatiuum,igncmqucipfnm,ficuti pcr loci appctitioncmfur- Gymnajiica. V fuiu 288 L I B E R fum cffcrri, fic pcr alimcnti dcfidcrium ima patcrc ncccfTc cftjgi- D turutralibctmoucndi rationcpcrcmpta,calorinfitusinterir5& uis omnis vitalis cuancfcit.ut non abfquc rationc Homcrusfinxcrit oayff. ^ Procos rifu cmori, Arcrf ixmSges dyccvoi X%$S0Cs ivetct^otiwot p/tAo) \kSccvou, idcft, tum Troci illuflrts Mams extollentcs rifu cmoYiebantur ; lU.^pao Nccnon Aglaitidas apud Xcnophontcdixerit,rifum huiufccmodi ^ ^y"- moucntcs ^ncquccorporibusjncque animis prodeffc. Porro ca- put,ac thoraccm pcculiaritcrab huiufccgcncrisrifii offcndi ncmoncgauerit,qucmadmodum interdum laxata maxillarum ofla, dor- fumq.oblaefum animaducrtimus. Flctum tamctfi Ariftotclcs in pucris laudaucrit, quaficorumcorporaflcndocontrafta, &:con- E a.Tufcul tenfa robuftioracuadant,Ciccroq. fcriprum rcJiqucrit, athlctas, cum cxcrccbantur, ingcmifccrc confucuiffc, ut fc intendcrent ad firmitaremscxiguum tamcn ufum in tucnda bona ualctudine habe rceno fcimusrpucri namqucfortafreaploratuminusofrendutur, quoniam ci a primo ortu infucfcunt, quippc qui ftatim ac ex utcro parenris in luccm uencrunt, plorarc incipiant: cuius caufTam So- Inlfa og fimusephcfius cxplicauit cfle ; tum quiatenuis fpiritusaluce con- cap.17. cutitur :tum quia infuctam tcrram attingant,quandomulieresin Prob. 61. nauibusparicnresmutumcdunt.quamfcntcntiamfecutus Alexan- dcrmcdicus addidit,iIIos minime audiendos cfse,qui animum di- cant, quod amifso caclcfli domicilio corpus inhabitarc tcrrenum occocpit,iccirco infantcm cogcre doIere,atque plorare.Caeterum adultiores qucm nam cx fletu capcre frudtum qucant, nufquam ui- ^ deo. quod cnim is corpora frigidiora intenta, ac debilia rcddat, \qco citat. pr^ictcr Ariftotclcm ob pracdiita ficntcs acutiorcm uoccm rcdde- j.Aph.y4 re narrantcm, Galcnusquoque atteftari uidctur,ubipucros,dum **^^8**^^' plorant, intcrruptofpiritu ob uircsdcfatigaras refpirarcfentit.qui * itcma flcrunonriumquafcbrcsacccndi pcrfpicuctcftatuscft. qua- tumfubindeoculisipfis dctrimentum atfcrat,mdc conijccrc faci- Inprok. literpoffumuSjquodlacrymis ab humoribus oculorum (fiCalfio medico credimus) dcflucntibus eos confumi ncccfllirium cft.ut Ilb^ fummacumratione eloquentilfimusauitor Carnclius Cclfuscon- tfcur.ocu. tinuos fletus oculos imminuere fcriptum reliqucrit ; ne fileam quantum damnum uox recipiat, dum fauccs,ac uocalia inftrumen- ta intcr flendum madefadla, exa fperataue, cam raucam cfficiunt, tuflcsq.ac noxios catarrhos iatentcr concipiunt.nam, &c apud Coclium Aurclianumlrgitur, ploratum poft cibumuaMcftomci- clium labcfactaic. Kx quibusomiiibus colligitur, aut nullum^aut cxiguficmolumcntum a llcru corporibusacccdcrc,(S nes illas cxcitant;in altcris humorcs ad infima dclabentcs eos mor- bosfoucnt,ac incrcdibilitcraugent. Inde eft,quod Aretacusin cu- ratione epilcpfiacfolam cius vcrtiginis infpcdioncm,quamfacit inftrumentumillud, quod RiptBiKX dicunt, &: dequo fuprafumus locuti epilcpfiam induccrc monuit.Hoc fortaffc exercitationis gc- ^bro^ I nusintcllcxit Auicenna,quandodixiti Etludcrecum uirgisretor- €3^*2^** tis didtisalfulcgiam cum pila magna,autparua lignca, nifi quod il- lud intcrfortcs excrcitationcsrcponcns, 6c pilam magnam nomi- nansanoftrodiffcrrcdcmonftrat, ncmpc quodfitdcbiIe,foIifquc paruis fphacrulis agatur . Habcmus Sc aliud motus corporis gcnus, quod piHs ligncis cxcrcctur humi dupliciter, uel pilas in circu fcr- reum humi dcfixum manibus impcllcndo, ucl cubo lignco cas ap- proximando, quod quidc genus dorfum ob inclinationcs cotinuas E exercct, attamen caput ofFcndit, atque rencs; in quorum ulceribus Inlib. ae IfxTrmkvsiTriKv^^s uitari mandauit Rufusmcdicus,nequeadmo- Metue! dum pro ualctudinc probatur. legitur cnim apud Gal.cxcrcitatio- ual.cap.5 ncsinchnato capite, dorfoueperadlasncquaquaminisconucnire, qui occafionc qualibet Icui ucrtigine, cpilepfia, ophthaImia,auriQ dolorc, guttuns, aut altcrius, capitis, &: colli inflammationibus oc- cupantur . Praedidis omnibus tum notior,tum trcquctior cft pila- mallci uocati cxcrcitatio, qua uetcrcs gymnaftas caruiflc nemo nd fatctur ; fcd quanto magis tcporibus noftris pencs cundlas nationcs ipfa inolcuit, tanto magis ncccflarium uidctur illius flicultatcs de- clarare. Nam quod ex magnis fitcxcrcitationibus,ac uchemctibus facilc cft,&: a laborc,qui fuftinctur in ipfo,&: ab eius natura conijce re; a laborc, quonia fu quam pcr fccrcram difflarionc cxinanirc inrendunt . Cctcrum ncmo,ucl mcdiocritcr rci mcdicacpcritus, lgnorat,valctudmarijs,ac dcbilibus,quorum uircslcui dc caufladc ftruunrur, excrcitationcmilhm minimcaccommodari: tantomi- ftus illis, quibus capita ma!c aticda funt,aut aliquo padlo imbccil- Iia. nam,&: qui dorfononadmodum valcnt, quiqucrcncscaIido5, urinasq. acrcs habcnt, cx talibus moribusfummopcrc offcndfitur, licuti quoq. nocct cxcrcitario bacc,vbi parfcsinfcri( rcsinflamma- tioncm,aut abum tumorcm pati folcnr . Summarim poflimt, qui fanitarc fruunrur, ad cam rucndam,oprimumq. habirumgcncran- du pilamallco fcfc cxcrccrc : qui vcro aliquo pafto ab acgritudine occupantur,omnini>abftincrc dcbcnt.illudq.fcmpcr mcmoria tc- B ncrc opcracprctium cihcjuac dc cxcrcitationibus bona a nobis pro mittunrur, ucrarcpcriri,modocaratio tcmporis, ]oci,quantiraris, modi, arquc corporumfcructur,quam in ^.libroncccflarramcfle monftrauimus. alioqui fi ncgligatur, mirum non fitjoco bonorum incmcndabilia mala iucccdcrc : qucmadmodum lacpcnumcro in propolita cxcrcitationc cucnirc ccrto fcio,quac cum fcrc polt pran dium a plurimis agarur, nullo falubritatis loci, ac rcmporis habito dclcctu, no fua culpa,lcdcxcrccntium incuria pcrniciofasaflcLtio- ncs,ac prauos habirus inducit. quo magis omncs admonco,ut dili- gcntiam, a Maioribus nollris in cxcrccdis corporibus obfcruatam, quaxitum conccdifur,imitantcs,mcIius valcrudini, atquc mcmbro- rum robori confulant, ncquc commitrant, u t proprij.s ci roribus, &c fanitatcm /imul dcpcrdant,&:honorcm, dicctc GalcnonoUro ma- r.dctac C pnum dcdccus illis aXc, qui a narura fanam corporis conftitutionc lortiti cam ob cxcrcitationum,ac rcttc uiucndi ncgligcntiam cor. rumpunr,arquc morhofam rcddunt. Erquoniam hoc in capitcduo diximus,altcrumquod pilamaIIcus,cxcrcctdorfum,aItcrum,quod illis cuitandum crt, quibus dorfumcftnnbccillum, fcicndum crir, Galcnum voluilfc^inlcnibus dcbilcspartcsnumquam cxcrccri,in r.dctuc. alijsfcmpcr dcbcrc.rarioncm, qua indu^^us illud dixir, hanc fuifle ^ cxiftimo ; quoniam dcl)ilitasfcnumcmcndarinonpotcft,cumcx uirtutismotricisdcfcctu proficifcatur,alioruinucrorcparabiIiscft. undc, quandonos aliquas partcs imbccillas minimccxcrccndas confulimus,fcmpcr dc imbccilHtatc confirmata, ac incmcndabili, non autcm dc rcccnri,arquc dc curabili,dida noftra inrclligi uolu- BU]s:nca Galcni placiris,(]ucmomnc5mcdicifcqui tcncnturjinhac lcntcntia rcccdcrcuidcamur. (jymfiiiiiica. V 5 DC 291 I T)e equitationibHTfacuttdtibus. CaP. II X. ^ Quifationcm,qua Galenusaliquadointer ca,quae exer- cirationcs fimul,&: opcra nucupar,adnumcrauir, ex eiuf dcfcntcnriamagnam cxcrcitarionccfl'e,aperte conftaf# Quo circa,quanru fit cx fc, potcrit natiuu calorcm auge rc,&: cxcrcnicntoru inanitioni opitulari.Efl: aurnoparuadiflrcrcri- tia,an cquus(fic appellocquLi,mulu,&: aliud qif uisporrandishomi nibusaccomodatum animal)lcnrc,cclerircrucgradiatunanfuccuf Oribadiis fcr;an afl:urco fir,ac ro]urarius,an currat . Dcplacida,&:lcnra equi- Aet^iib* ratione fcriptLi inucniturab Antyllo,atquc Actio,fiplacidc equus cap.7! ^ gradiatur,nihilmagis, qua lafTitudinc, &:pracfcrtiminguinibusaf- fcrrc.dc hac inqua ucrba facics Hippoc.mcmoriac prodidir,conti- nua cquitationc laflitudinc magna parerc, homincsq. infoccundos E &: cocundi impotcrcs rcddcrc,n€C no dolorcs diuturnos,&: claudi- Prob. ij. carioncs gcncrarc.ncqJccircofcntctiaHipp.danandauiderur,qcf aqu*&!oc! Ariftorclcs cotrario plane fenfu fcripru reliquerit, cquiranres affi- cap 1 1. Jjje libidinofiorcs cuadcrc; quonia gcniralia continua arrrcdatio- probifii ne,motioncq. incalcfccria fpiritu cocipiunt, ficq. cociidi cupiditas inducitunfiquidc Hipp.dcplacida,&:nimisfrcquctiloquirur,vtpo te q lcni motu no ita calcfaciar, &: pcndctcs coxas,arq. pcdcs oblac tlattAriftotclcs ucro dc ca,q cquo ccleritcr gradicre,&: inrcrdu fuc- cuflTanrc^fcd noadmodutrcqucrcr cxerccrurjUcrbafacirjUnde par- ticula(afliduc)qua larini intcrprcrcs apponut,cu in Gracco Arif.co dice no inucniatur aufcrcda planc erir.Hacc erenim equirando fa- U69 cita. io dctcrior cJi, nimirumquacuniucrfiim corpusmoldlc quaflcr, &dolorcscxcircr,auiZcarq. Sicut in Niprns illcfapictiirunus Grac- ciacfauciusintclligcbat,ubi diccrct. Tedetcntim ite, ^ lcddto vijh nefucceffn Cic. 2. Quo itcm Lucilius pocta antiquusinnuit,dum cquum fuccufllm- tcmtactrum nuncupauirhoc ucrfu. Noaius SuL i ii[iatorii t.ie:ri, tariiq, c tballt .Ad hacc fuccuirationcuchcmcntcrcaputoflrcndcrc,coI!um,&: dor fum,&: narcSjCxpcriunturilli, qui aliquadoin hunc modu cquitarc cbguntur. Dcniqucli vlla cflcquita:io,quac uifccrapraccipuc( id. Q n.farcrur Ga!c.)agirarc apra iit, proculdubio nfic propofita ralrs cft, ijtu.yi. aqua nofolu intcriora omnia concuti,ucrum criafiifpcndi,qua/iq.cA?-»'» arripi uidcntur.illud unuhabcrciuuamcporcll, ur cibis,atc]Lc cru dis humoribus concoqucndis,aIuoq. cicndac,ac vrinac prolicic4i- dacnccno a rcnu(q J Auiccnnac placuit)loco lapillis arquc arenu ^.^ lis ad infcnora dcduccclis adiuuarc qucat.Scd,quonja maicribus riamnis comoda hacc c6pcnlantur,ocs ab cxcrcirationclimili ablli cip.vk. ncant cofulo.ln aflurconibus cquirario(ca4n lic appcIIo,quam uul- gari nominc portanru,aut trainauocant Itali,&: dcqua itaMartia. Hic breuis ad nioncrHm rjpidos qui coUigit unones j^-^^^ yenit db aunleris gcnt bns aHnr cqu^^s ) qucmadmodummagis corpus, &:mcmbra gradarij cquiucctionc cxcrcct,ita mmorcm molcltiam parir, liquidcm mollis illaalrcrno cruru cxplicaru glomcrario minimum larigat,pcculiantcrq. aluum citarc ufu probatur . Dc cquitatiqnc i;urrcntibus cquis(;i(tta,licct V 4 ' apud 294 L I B B R apud Arift.icgatur, ita cquitantcs, quod magis caueant,mlnus ca- D In hb. dc dercjtamen eam improbarc uidctur Galcnus hac rationcquia fae- l«c indo . pe contingit cquitantes in terram deciderc,& nonnumquam ex ca fu emori*fed praeter hanc multae exftant caudae aliac>ob quas a fa nicatis ftudiofis huiufmodi cquiratio omni diligentia euitaride- a ^dixta corpus(vtfcribit Hippo.)nimium calcfacir^exficcat^atquc * extenuat,ob id ad minuendam carnis multitudincm a Coelio Au- li. T.c.vir. reliano probara, caput male afficit, fcnfus hebctat, oculos non pa* Sca. ^pb. nmioflcndit:quandoquidcm Ariftor. cauflam indagans, cur, qui cquo uehunrur, quo longius equus dccurrcrit, co magis cmitrcrc lacrymasfolcnr, fignificaridco illud eucnirc,ucl quoniam morus calcfacics valde humorcs oculorum eliquat,&: lacrymas indc cict, ucl quiaficutiuentiaducrfi oculos pcrrurbanr, fic acroccurfans tanromagisfcrircporcft,quanro cquus uclociiis agitatur.Iacdit E practcrcahacc equiratiotam thoraccm,&pulmonem,quam uifcc rauniucrfa. Quod criam rencs maximo dctrimcnto afficiantur, fidcm Hiccrc poflunr multi, quorum alij vrinac ardore,aIij lapillis, alij vlccribus modo rcnum, modo vcficac, modo pcritonaci vfquc ndcoob hanc excrcirarioncm follicitaii fuerunt,ut fereijsaffcctio- ni bus mortcm obicrintrnc dicam quor luxarioncs, quor ofiium fra- ^T:urac,quor mcmbrorum diftorfioncs facpcnumcro indcnafcan- rur,dum brachia,dorfum,coxac, et crura fupra modum laborant . Vidcant igiturquos currcnribus jatquc mutaris cquisitinera fua obirc dclc(ftar,quot,ijsci. gnuifiimispcriculis^ncdum ualcrudine, ucium eriam falurem ipfam fubijciant, quomodoc]. non inge- nuorum,autfanirarcm curanriumac uiram,(cdpotiuspcrditorum hominum,athlcrarum,nihiIq. uitam,qua nobiscarius,aut opta- tius nil rcpcritur,acftimantium opus cxcrccant. Hadcnus de cqui- laiionis fpccicbus, quarum nullam aegrotanribus admodum con- fcrrcfcripfcrunr Antyllus, arquc Aerius, quasq.necijs, quimc- dicinam fumpfcrunr, uUo padto congrucrc mcmoriac tradidit So- lodscltat. i-;inus Ephefius, ncquc illis, qui rcnum morbis malc afticiuntur, cap.^i^!^' ucl carum inflanuTiation conucnirc ccnfuit Galcnus. 6,cy\d! Sunt qui in equo fedcntes gcftari dclcdcntur, quac cxcrcitatio pa- Tlll rummalcualcntibus ufui cflc mea fcnrcnriaporcft, nam,utmol- liflimc ucharis, tamcn laflfirudo inguinum, Iumborumq.&: du- rafufpcnfio,cxpIicarioq. percipirur, quando fubpcdancis corpus fijftentare,pcrarduum eft, ne dicam nnpoflibilc. acccclit &:ma- la,ac dolorificailla concuftio,fiquomodoincitatiusfcraris. Va- knabus m^igis 4onkrrc eadcm porcft, corpus, animum, &c ftoma- chu^i S S. 2«5 A chum hrmandorfenfus cxpurgando,acucndoq. fcd pcftus.tirquc pc dcsdcbilirar. ^ ^ ^ DegeSldtiontim inHnitierJimnjinbus. Qaf. 1 X. j NTEQV AM gcftationu fcrmoncm aggrcdiamur, illud prius adnotandu lcvfloribus uolumus, nos minimc igno- rarc, multos cquitationcm inrcr gcftarionis fpccics rc-, intcr quos fuit Actius Amidcnus ; fcd ncqua- liu.j.c. ir. quamhorumopinionemfcquiuoluiflc; tum quia Cornchus CcL  antiquus fimul, &: cclebris au(flor, ubi gcftarionis fpccics adima^c- rauit, nc ucrbum quidcm dc cquitationc faccrc uoluit, qua(i alic- a gcllationc iudicaucrit, id quod nmltos ahos opinaros fuifle conijcitur cx Antyllo ; t um quia cxprcflc Gal.gclLitioncm, 6c cqui tationc diucrfas cflc dcclarauit in 2.de tu.val.ubi ahas cxcrcitatio- ncsanobisficri tradiditiahas ab cxrrinfcco, ut gcftationcs:ahas mixtasclfc, quahs cquiratio cfl ; tum quia, (i gc(titio, ur dcfiniunt omncsauLlorcs,mixta cft cx motu,&: quictc, phiribus corporis partibusnonmoucri^ apparcntibus^uniucrfo autcm corporc ala- lionc moto, hacc condicio ab cquirationc longc abcftjn qua fcih- cctmanifclhrtimcomncs fcrc corporis partcs moucri confpiciun- tur.fcd ifla parum rcfcrunt, quando criam Antyhus, atquc Actius fcparatim dc cquitationc ipfa ucrba fcccrunr.Hanc inquam gcfta- tioncm ab cquirarionc fcpararam,nccnonagraccis4/»f^ uoca- tam, mulras quid-jm habuiiic fpccics, in fupcrioribus dcclaraui- Q mus: at quacomnibusuniucrfah gcftarionisnominc comprehcn- fis facuharcs attribuunrur, pr.us cxplicabuntur, dcmum parricula- rcscftcsftus finguhi adlcripros pcrfcqucmur, fcd prius id ignorari nolo,facpcnumcro apud auclorcs rcpcriri gcflationcs, &: cxcrcita- tioncslimul nominaras,quafi utracqucinrcr fc difrcranr,quorufca- tctiae dc cxcrcitationibus proprijs,quac vchcmcntiorcs morus gc- ftationibus cxiifhmt, non autcm dc communircr acccptis inrcrprc- randae fcmpcr crunt. hlt igirur geftario fccundum Antyhi, Actij, atquc Auicjcnrcntiam,inrcrplacidiffimas,atquc dcbilcs cxcrcira- locrsciti. tionc5,&: proptcrca non folum fanis, &c ualcrudinaijs, ucrum criam 16gis,ac inciinatis morbis,&: dcniquc ijs, quibus lenrac morboruin rchquiae rcmanenr,ncc alircr cliduntur,acc6modatac funr. In acu toru nonnuUiSjUt ab Aretaco in Lcchargicis, ncphriticis probatur. quinimmo tradit Cclfus Afclepiadc ctiam in reccnti, uchcmcnriq. locodj^t, fcbrc >praccipucq. ardcntc ad difcuticndam cam gcftationis ufum comprobaflc. qiiod prof cclo pcriciilofc cfficitur, mcliusq. quicte elufmodi impctusfuftinctur. Infanisctcnim,ac ualctudinariisgc- ftatiOjCumnccIafTirudincm corporibus ingcncrct,immo caferc magnis cxcrcitationibus /imilitcr moucat, poreft calorcmnatura- lcm augcrc,matcriac multitudincm difcutcrchabitum corporis fir marc,actionesrtupidasexcitare,fcgniticm di(ToIucrc,corporis turbationcm fcdarc,ijs,quos uigiliac cxcrccnt,fomnum conciliarc,& contra ctia vctcrnolis,ac diflolutis rcdimm adfc, vigiliasq.pararc* nam fomnum conciliat, cxcremcnta, quac a capitc ad ftomachu«i delabuntur,pcr halitum digcrcndo, quac nhiiirum parrcsfunt uigi liarum praccipuac cauflac : fcd vigilias poftca inducit corporis tc- norcmadfcrcuocando,&:corroborado.&:, quamgua Scnccacpift. L V l.vidcatur gcftationcm faccrc magis hiboriof;mi,quam ambu- lationcm;ciustamcn oratio intcrprc tanda cft dc co folo, qui ualc- tudincoftcnfusab omnibusfcrc turbarur. In quibusmorbis dcgC^ ftationcpcriculumfaccrcpIaccbit,fic cxpcriundum cfsc confuluit lo^o cita. Cclfus,{ilingua non crit afpcra,finuIlustumor,nulla duritics,nuU to- lus dolor uifccribus, aut capiti, aurpraccordijs fubcrit,&:cx toto numquam geftari corpus dolcns uoluit, fiuc id in toto,(iuc in par- tecftjnifi tamcn lolis ncruis dolcntibus; ncquc umquam in rcccn- ti fcbrcfcd in rcmillionc eius.Nihilominus,citra multasobfcruatio ncs,abaucloribus probatasenc inuarijs affcftionibus gcftationcs rcpcrirur.Coclius Aurcl.in libris, quos dc morbis diururnis infcri* pfir,cas in incubonc(quo morbo plurimos Romac quali cx cotagio nc quadam aliquando pcrijirc, rcfcrt Silimachus Hippo. fcdhitor) commcdauir,fimilitcr&:inuocisamputationc, inhacmoproicis,in quibuscandcmdamnauirAfclcpiadeSjinafthmatCjin ftomachicis, in clcphantiafi,in colicis,in arthriditc. Thcodorus Prifcianus quo- quc, &:antcipfumArctacusgcftationcsadhibcndasuoluitinme- anchoIia,inatrophia, infplcncricis,necnon in ftomachi dolori- bus.lifdcm cxcrcitationibus in illis,qui valdc cxficcati funt,arq. re- 7.Mcth. fcdioncopus habcnr,Galcnum vfum,aIiquandolcgirur.Quin &:ip fcmctCcIfusprofacroigne curando gcftationem laudauir, utnoit fempcr condicioncs ab ipfo dcmonftraras obfcruatu ncccflarias fo re hifce auAoriratibus conuinccrc ualcamus.Non cft tamcn igno* rb % cur randum>magnopcrc rcfcrrcquonam in loco quis gcftationi bus vtd ciiron.c.7 tur. quod Arctacus cocliacorum cxcrcitntioncs dcmonftransv eim caetcritpractulit, quac inrcr Iauros,myrtos,arque thymunref ficitur. Dc gejiationum inn/thiadoi USlicA^dtqut fellapaYtt^ cularibusymbus. X. Xplicatis ijs,quac ab aii£toribus dc gcftationu flic^ltati* businvniuerfumtraditatucrunt, iam ad parcicularcs dcfccndcrc opportunu cll,iiprius illud in mcmoriarc=w^ uocaucrimus, fcriptorcs.f.mcdicinac,qn finc additione gcflationis ulum in fanis,atq, ualctudinarijs nominant,dc qualibcc cius fpccic intclliycrc : qni nuUa fcrc inucnitur,quac ipfis utilitcr accomodari nopolluiquando ucroin acgrotis loquutur,iiucrdum ocs,fcd in rcmiilionibus morboru,intcrduplacidiorcsl]gnificarc, Vchiculoru multa fucrc apud maiorcs nollros gcncra, quoru luxu- ria vfq.adco intcrdii Romac crcuit,ut,rcf'crcntc Plinio,aurca,ac ar li.^^.cir B gctca taccrc nolintucriti.fcd hoc practcrinftiiutunoftrucft.Nam, quac pro fanis,aut acgris in ufu habi ta funt a mcdicis uchicula,alia ab anmialibus, mulis.f.autcquisagcbantur,aliaab hominibus, U utraq. ucl tardmfculc,ucl cclcritcr.Gcllationc vchiculofa^taquis cctcris acriorc clTc dixcrit Ccllus,njhilominus,fccundu Galcni fcn ii.i.c. i tcntia,intcr dcbilcs cxcrcitationcsrcccnfcrimcrctur.quofit,utfa- ^^^j" nis,ni(ialitcrcxcrccri impcdiantur,minimcomniucoucniat.Va!c- ^^d/iuci rudinarijs,atq. fcnibus nugis, qucadmodu Antiochii fcfc cxcrcuif- fc,&: CacciiiuPliniuacccpimus:maximcucroaegrotatibus,dcqui- bus fcrmonc facicns Antyllus dixit,gcftationcm in uchiculo fadam uimquandaamolicdi,c6moucndiq. morbosftabiIcs,&: pcrmancn- tcs habcrc.Qua proptcr Scncca cpilij 6.ad bilc taucibus infixa di* fcuticnda,&:ad fpintusdcnliratccxtcnuandafibimirificcprofuifTc C fcribir,qui, fi aliqui fimplici permanenti, &: diuturna fcbre iadentur, tu i.cht. modo uircs fcrant,gcftari pluhmum debet,ut Coelius phthificis co of/bSus fuIuit.quandoquidC geftatio,minus mouens corpora,quandoq. fe- brcm magis cxcitat, Ergo in fcbricitatibus,qui ad integritatc pcr- ueniunt, uel quorum longa admodum remiffio eft, uel qui fcbribus tenentur longis, etiani fi non magna intcrualla habeant, conuenit haec gcftatio.quam fimiliter in multis alijs aficftibus, nempe in do- lore capitis;in cpilcpfia,fi fcrri qucar, in mania, in paralyfi a Coelio Aurel. commcndari, ex eius dc chronicispaOionibus inkriptisli- bris clare habctur. ut ctiam nos tuto, ubi rcs poftulat, fimilibus ge- ftationibus acgrotanrescxcrccrc valcamus, dum tamcn maturo morbo,atquc iam inclinantc illud agarunalioqui, fi,adhuc faeuicn te,aut incipicnrc affc6tionc,gcftatio adminiftrcrur,accidentia acer biora, &: pcriculofiora confcquunrur, quoniam morus, ut diftiparc urilircr concodos humores,ac cxcrcmcnrorum rcliquias potcft, fic Calorcm augcrc, fpirirusquc &: humorcs nondum quieros, &: rcpur- garosexagirare natuscft* ex quo fummumftudium adhibendum cft,ne crefcctibus crudisuc morbis, pracfcrtim calidis gcftario, aut aliaquaeuiscxcrcirarioadminiftrerur, fcd in narurisfolummodo, frigidis,atquc illis,qui manfcfte inclinarc animaduertuntur. De leSit penjtlis ^ cunamm, ac Hauis gefiationumfx^ cultatibus. (^ap. XL Vi primuslcaulos pcfilcsexcogitauit Afclepiadcs,dua- bus rarionibus(utrcfcrt Plinius)illud cfrecifsc uifus eft; tum ut blado eorum iadatu fomnos alliccrct : tum eria, urmorbosextenuarer.quibusrarionibus addudipofte- riorcsin curandis acgris corum ufum frcqucnriorem reddidcrunti totfo cic. quamqua grauis auAor Cornclius Cel.cxcrcitationc hanc tantum- * modo adminiftranda aliquado iudicauir,ubi ncq. nauis,ncq. ledi- cac,ncq.fclIaccopiadarur:liccrpoftcaJinapoplcxiacuaegcrrefur- git,ipfum Icai moru cocuricndu pracccpifsc inucniarur* Vcrum.n. ucro AnryIlus,Actius,atq. Coclius, ctia li nil aliud deficiat,^p mul- tis afrcdionib.dcbclhldis^lcaispcnfilibusinfirmos excrceri uolue- runt,quinimmo(quod paucis coccdirur) hanc gcftarionc tam antc cibu^qua a cibo prodcfsc dixit Anryllus.na pri mo fcbricitantcs,aut diuturno morbo dccubctcs, in quo corp.ora columpta fefe crigere non ira valct, autEllcborufumcrcsatali gcftationcutilitatcrccipe Aetms U. reiudicaru eft:dcindc in his,qui vircsa lcbrili aflrcdlioncrccolligere incipiiir,nccn6 in lcthargicis,&: in appctctia ciboru dcicda can- dc prodcflc cxpcrimctisinucntu fiiit.ncquc dcfucrut,q ipfam in fu- riolis,ac phthificis laudaucrint . Qucmadmodu,&: Actius,&: Prifcia nus Thcodorus phrcniticisadhibcdaccfucrunt, quo blada illaagi locomat, rationc fpirituu pcrrurbatio lcnircrur,&: fomnus alliccrctur. Ex gc- YmQ^i:^^^ nerepcfilislcclilcympodiu quoq. circ,m6lbauimus:&:iccircoubi a Coelio,arquc alijs gcibtioncs I pcfili lcdo ^pbatas uidcrimus, idc ic dc hac i ntclligcrc poterimus.Lcdtulo pclili non diflimilc alia 1 c- ilofaCta gcilationis (pccic inucnio,quam primus(quod cgofciam) intcr mcdicos Cclfus monftrauir,vbi dcficicnribus cacrcris gcihrio ni dicatisinllruincris, voluir vni pcdi lcdi funiculucflcfubijcicdu, ^ arquc ita Icdu huc, &: illuc manu impcllcndu.id quod criam Amy- dacnu Actium fignihcarc uoluiircarbitror,quand(j fcriplir,duascf- l^cocitac. fc lccti gcftationes, aut pendlcs, aut fulcra mobi lia iuxta angularcs pcdcs habctis. Hoc cquidc illud cxcrcitationis gcnus cxiftimo,qd^ ab Auic.fub cunaru rcuolurionc dcfcripru fuit,arquc idc nomcn uf li.i.ren.j. quc ad rcpora noftra rctinuit: crli. n. ab ipfo inrcr dcbilcs cxcrcira- tiones rcccfcat,dcmulccdisq. pucris potius cx Galcni fnla,n6 fanis,  aut infirmis cxcrcitadis aptu viilc.iturmihilominus ijs c6ucnirc cre dirur,quos febrcs dcbilirarunr, licur ct illi,qui ncc duin fc moucre, nequc federc valcr,quiq.ab hcllcbori potionc valde^pflrarifuerut, aut fccundu Cclfum alicuius mcbri rcfolutionc patiutur.quin,fi ta- lisgcfbtiofuauircr adminiilrcrur,prcr fomni iucudiratcqaffcrt, fla Q tus quoq. difl"oluit,rcliquijsmorboru capiris,vcluri (hipori,&: obli- uioni prorfus cxflingucdis,c6ducit,appctitri mouct,&: naruram fopi taexfufcitat.Auic.i.4.trac.2.c.i5.ad c6pcfccdum niiniij iudorcpci pit,ut acgri ponarur fupcr illud inilrumcntri,quo pucri,vcl iuucncs foict in acrc cocuti, atque ita in acrc frigido c6cuti,q J quidc puro eflc genusillud inflrumcri,cuiusfadacflmcriofuprali,^fub Ofccl laru nominc. Inrcr gcftarionum fpccics vlrimo loco pofucruiu fcrc ocsnauigationc,cj; cacrcraru omniu Icni/lima fccir C:orn.Ccl.fcd.&: Jq^^^-^^^ huius quaplurimainucniuntur difcrimina:fiquidcn6parri interclt, anquisin llagno,anin flumincan in mari nauc gcratur: &: in nuri, an in portu,an in litorc,an in alto,an turbato,an tranquillo . Naui- gatio fadtain ftagnis,lacubus,autpaludibuscactcris in falubritatc poftponiturquonia ut plurimum cx aquis ftagnantibus,nifi fint ma- ris alicuius inlhir,purridi vaporcs clcuarur,qui acrc inficicrcs naui- gationc magis fufpcdam rcddunt, Tt non immcritofcriprum lit ab ^ Anlt, ioi L I B E R l4;pirt;c. Arift.paluftrla loca incolcntcs fubpallidos, ac fomnolcntiom cua D probleiti. dcre.minus noxia cxfittit io fluminibus nauigatio, nempe q au^torc in probh PJ^^^^i^^ho timoribus carcns naufcam ullo pafto non commoueat. wt. uerumtamcn ta hacc,^; illa,quac cxercetur in ftagnis,in capite ma* lib.i. C.I, le affcfto incogruac a Cocl.Aurel.iu dicatur, g> humcdantcs caput tcrrcnaexhalationeinfrigidant.Duabuspracdiciis maritimanaui gatio valde pracftatior crcdif,quonia mari fcmpcr uaporcs ficci, Sc calidi educuntur,qui Iatcnter,ac fenfim nauigantiu corpora rcclu- dunt,necn6falfaeproprietatiscaunacxcrcmctaabfumut,atquc ho minu habitus quada facili muratione reficiut,&: i ccirco huiufcemo di excrcitatioincun6tisferc morbishumidis,ac frigidisamedicis probaf,&:priuatim a Celfoin tufliomni,aCoelioac Arctaeoindo lorc capitis,! cpilcpfia,fi ferri quc it,in fanguinis fputo,in phthifi, in kl:critia,in hydropifi a Tralliano in frigida vctriculi intcmpcrie co- E medatur.Inphthifinamquc praoftantifiimuremcdiumnauigatione Ii.28.c.4 fcmperaMaioribus habita tui(le,tcrtatusfuiiPiinius,quihac ratio- lib.3i.c.6 nc phthificos Acgyptupctcre cofucuiffercfcrt, quo cuni Annaeus crplV/.'^' Gallio poft cofulatu lam fcre phthificus, &: ZofimusPIini js nepotis libcrtusfiuiguinis rcicftatione laboras profcdli c{renr,ad fanitatc rc ftitutifucrunt:qqbarbarusilleau6tor Plinij Sccundinomincfalfo infcriptus h.dc rc mcdica lib. dicatphthilicismagis cofcrreinfal tibus,vbi pixnafcitur,habitarc,q in marinauigari.Porrocx mariti- misnauigationibusIcnifiimadixitCelfuscam,quaeinportu effici- tur ^q tamcnin capitisaftcctionibus una cuflLiuiali,&: (tagnali im- probauit Aurclianus. Quac uero in litoribuscxcrccrur nauigatio iucundifiima habctur,dcquacclcbratuhoc proucrbiQ narratPlu- i.Sympo. tar, 7rAoOsiJilvi7rctso!yuvy7a%gi7rxTogitis,oculoru,pcdo ris,&: denique omnibus,jpptcr quac bibitur cllcboru,mcdctur. Vc rum gcftatioin alto mari pcrada rcliquaru uchcmentifiimacxfiftit, &: mutationcsplurimas, atq. maximasfacit,nimirum, cum animus mixtos affedus habcat,&: triftitia,&: /pc,timorc,atquc periculoano do gaudcntibus,&: lactis,modo in anguftijs,&: pcriculis ucrsatibus, lib.^ cau. nauigatibus,quac fimul omnia magna uim habcnt,vt quoq. Plutar. cognouirjngentcs uomirusconciMndi,ac confcquenteromnc ve- tcrcm morbum prof ligidi : &: proindc iurc dixit Auic.nauigationc hanc adcxllingucndas pracdictas acgritudincs cfficaciorcm cflc. quin&mixrioilla motus,&:quictis, quapracdita cft,fiquid aliud, probc corpus nutrirc idonca cil.Quac tranquillo mari pcragiturin nauigcftatio nonadmodii(diccbat Antyllus)magnam rurbarionc,Oribafiw ncquc coculfioncm atTcrtrcx quo Kr,urt*crmcacc6modata (it ijs,qui-^*^'^'*^ bus ctiam gcftatio in cui ri bus c6ucnir:ni(i 9 hoc nugis habct, iti purgato acrc,ubi n6humidi uaporcs,fcd ficci,6 halitii euocarcfirmarccalefaccrc attcnuarchomuu mq. tandcm niuriae minus obnoxiu faccrc p6t:a Plinio fcriptii cft kixata homi- ^ nucorpora,& quadrupedunatado in cuiuflibctgencris aquafaciU rmciL«sredux^NatatiocaUdaemoiIircindurata,c;to^^  ios A fngcnta crcdlra cft.&ob id a CocHo Aur.in curadis arrhrlricisco- nicndaca,ab Actio cx uiciitc Gal. in i)s,qui cutcm corporis dcnfLita liabcnt^at abca'caputoiTcndi,uircs(]Uodapattocncruari,ncmo nc- garct : alio ctia non carerc uirio dixit Coclius.uidclicct Inimorcs lundcrcncc ipfos rcfolucrc. Fri^ida ^ intns calorcnariiium rcpc!- Icnsiplitm ualidiorcm cfli iatciborumoprimam,iS^cita cocodio- ncmpracltat: cxubcranrcs humorcsdilHp.it, et intus rcfrigcratas parccscalctacit. undc iurcctia ipf-im in arthritici.slandauit Aure- lianus car.itionc mo:us,oua Hippoc. frii;idam rc ranoaflfcaislargc artuiam rcmcdium cfTc  rcgio morbo labo- rantib^sinacftatc,(S(: Hcrodutusapud Actium ad euitandumacftu frigidam natationcfn commcndauit. cxpcricnria ramen confl:at,(i quis ca frcqucntcr utarur ncruos lacdi, 6c inrcrdum furdirarcm c6- B trahi, quod Agarhinus apud Oribadum confclTus cft . Atquchacc omnia a nobis dida accipianrur dc illis narationibus,quac ad gym nallicam quidcm mcdicapcrrincbanr,fcd m inimcfcmpcr in i^viti- nafijs cxcrccbantur.illac ucro, quas in gymnalijs iplis ficri confuc- uiffcin 3, lib. probauimus, (iuc in pifcinis, (iucin ampIilHmislabris agcrcnrur, duos praccipuos fincs fccundum opiniorcm noftram ha bucrunr,alrcrum ut motuillo blando^quo narantcsagitatur,aqua magis corpora pcrmcarcr, licq. mcmbra copiolius huincC"tarcnrur: alrerumutmaiorcuoluptatcin moucndofcfcfrucrcnturquando- quidcm aqua mota, pracfcrtim balncorum fuaui illa artrcdatio- nc fingularcm quandam dclcctationcm artcrt.Dc pifcatoria cxcrci tationc,quam diximus cx Platonis fcntcntia ncc animo,ncc corpo- Ii.jTm^ ri prodcflc, &: proindc ab illo optari, nc iuucncs huic incumbanr, Q pauca ucrba faciam, tum quia fcrc fub nauigationcm rcducirur, ut cadcm rcpctcrc non lit opus : rum quia a mcdicis propc nullis cam tnufu habitacflc coftarnificf Auic.intcrdcbilcscxorcitationesad-^^^® ^*"- numcrauir, quando quis in nauicula pifcaroria moucarnr,&:ob hoc g pi fcationc nullam calorc natiuu augcrc crcdcndu clt,cum &: Arifl. pr^ob.x! * icrip(crit,pifcatorcs marinos,idco rufo colorc cxillcrc,quoniam in- tus frigcnf,cxrra ucroquafiadururur:habcnr.n.qui in maripifcan- turhanc praccipuam c6moditatc,q» coru corporaualdccxiccatur, &c proptcrca minimcomniucorruptionibu.s/ubijciutur: quin fipu- trcdo aliqua intus larear,protinus cxugitur, cofumiturq. ut magna cu rationc fcripfcrit Gal. pifcatoru habirus duros, ac ficcos cflt, co- i-dc dmp rumquc vlccrapcrindc cxiccata cotinuo apparcrc,ac /ifilitaforcr. "'^"^^*^- i}upd ucro (cripfit Sucr.Auguftij intcrduhamo pifcari confucuiflb,mcj^. r7' id poti' animi laxadi caufa, qua ualctudinis gratia ab co a^cbatur X 2 nc De yenaiiomr conditionibus. Cap. xni. D libro i.dc paruae pi tae ludo. .ENATIONIS cxercitationcm comparansludopariiae pilac Gal. illudfoliiminteripfasdifcrimenpofiiifse ui- dctur,9 altcr modico apparatu indigerct, et ob id cuius ^ excrcitatufaciliscfsct:a!tcra vcropluribusinftrumentis opus haberer,neq. ab omnib.fcd ab ingcnuis dumtaxat,atque diui- tibus cxcrccri poffct.hoc aiit hcct Galcni forfan tcpcftarcatque ct in ahqua ucnationis fpecic tcporib» noftris ucru forct,nihilominus in maiore cius partc fccus rc fcfc habcrc compcrru cft, qn facpenu- mcrounOjUciduobuscanib.aurpauUo plurib. inftrumcntisrufti- cos, atq.paupcrcsucnadicxcrcirationcfrcqucrarcconfpicimus.ut hac rarionc ipfa minores laudcs pilac ludo n6-mercarur,neque pau \fT^^' eicrib.ucrbis cius facultarcs a nobis cxphcari dcbcant.Cum.n.Gal. ^^^' ' ucnationcintcrca,quaeipfecxcrcirationcs&:opcranuncupauit, rcccnfucritxumq. illiuspcrfpcaanaruramanifefte monftret,n6ab. fque uchcmcntia,magnitudine,arquc celeritate ipsa cffici,nimiru in qua mulrac ahae cxercitationes,curfus uidchcet, ambularioncs, fahus,iaculatio,uocifcrario,& aliae ncccflario rcquirantur, rationi confcqucns cft cam his faculrarib.pracdira cflc, g> corpora uchcme tcr calcfaciar,cxcremcra dirtipcr,carncs,&: fuccos exubcrnanrcs mi nuar,fomnosprofundosgcncrer,&:proinde concoqucdis cibis,crudisuc.humonb.magnoperc conferar:quodq. ait Xcnophon,auditu ac vifum acuat,fimulq. fenedutc rctardcr.ob quas cgrcgias faculta tcs illud cflc ucrum cxiltimarc dcbcmus,cf Razes Arabs audor gra In vcon. uiffimus cx Gal.fcntctia memoriac mandauit,uidcHcet in quadam ^ tin. irac/ pcftc contigi flc,ut omncs fcrc pcricrint,&: foli ucnatores o b afliidua Li '5^^* cxcrcitatroncincolumcs cuafcrint.Caetcrum quoduchemcnribus *' ^ excrcirationi bus a mcdicis attributum repcrirur,neque Tcnancii la- bor carcre viderur, vt fcilicer caput offcndcndi ui poUcat maximc, fi importunc cfficiatur,quemadmodum in 4. dc acutoru vi£lu apud illum audtorcm lcgitur. Quantum ucro ad parricularium ucnatio- nisfpccicrum qualirarcs arrinet,de duabusfoluucrbafaciam,tam- quam i n his folis rora ucnadi ad fanitatcviut acgritudinc pertmens faculras confiftatiillae funt,cc|ucftris,ac pcdcftrismam fciut omncs, qualibct ucnarionc,fiuc canibus, fiuc rctib. fiuc auib.fiue arcubus, fiiic ali js inftrumcnris excrccatur,ab hominibus agi, cpi aut pcdib. proprijs cant,aut cquisinfideant.Equeftrcm igitur(italiccar mihi appcU irc)vcnarionecxcrcctcs,cum modo currcntib. equis,modo radicntiL>.agant,modo uocifcrarc,modo quiefcere cogantur^om- ^ nib. cpil S E X T V S. 307 ^ njb. partlb.labonre uidcrur,&: iccirco multi hac exerciratione crc didcruntcorroboraripeftiis,ftomachum,inrcftina,dorrum,atc]ue crura: cgo vcro ca cuirarc iUis praccipio, quibus capur facil.tcr of- lcnditur : quibus fradionis ucnarum in pcdorc pcriculu immincr, quibus lapilli in rcnibus aggrcganrur,quibuspcritonacum dcbi'e, aut uUahcrniac fufpiciocft, i4id tc frcna iuuant temcrana f Jacpius illis Trifcedatum ef} cquitcm rumpere, quam Uporem. Porro vcnario pcdcftris cadcm fcrc c6moda,3i: incomoda in cque- ftri repcrra contincr, nifi s», dum curfibus, ac faltib. fcras inicdatur uenator,per montes,per uallcs, pcr deuia, pcr filuas, pcr filtus, mi- nori cerrc pcriculo, quam in cqucftri, fubijcirur : ar maiori labore Q afficirur,magis incalclcir, magis pcdes, &: crura corroborar :pracrcr haec lihidinis ftimuIos,cocrcct, quando Hippo!\ tum ftudiouirgi- Sencca m nitatis hoc ucnarionis gcnus cxercuiflcfcrunr.Excirar quoq. ucna- "^S^* tio appetirum,(icur coquus illc Dionj lio dapcsaucrfanti rcfpodir, ipfidcfuinl' laborcmin iicnatu, qui appctirum gcncraficr. Ncurra tamen,g» uchcmcnrior cxfiftar,lcnibus,aur dcbilibusaccomodata inucnirur, fcdillis ranrum,qui robuftasomncscorporispartcsfor- titi finr,quiq.oprimc ualcar.urnon abfquc iudiciofuramoCorncl. u. i.c i. Ccl. dixcrir,fanum hominc, lic bcncualcnrc modo nauigarc, modo cpiihiib. > ucnari dcbcrc . quod li Plinius ncpos fanitarcfuam uenarioni, qua ruri in Tufcis objbar,aliquandoacccptani rcruiifsc uidcrur,iudi- candum eft, aur iJla modcraiilTimc ufumfujfsc,autporiuscorporc robulto,ac fano ita ualuifsc,ur nullo padlo a tanti laboris uchcmcn- tialacdcrerur.Eritiraq. ommb.hanc cxercitationcmmirc cupicn- tibus 308 L I B E R tibus duo neceffanum diligentcr confiderare, prlmum an corporis D roborc polleant,inculpataq.fanitate fruantur:fecus,ne grauiflima t3ericulafuftineant,iuredubitandumuidetunfccundum,numquid modcftia quadam,& iucunditate, aut potius citra dcleaumuUu, 8c cafuquodam,ut plcrumquc fit,vcnationi opcranauct.Qaicuquc.n. fuarum uirium, aeris, temporis, quantitatis, loci, &c modi rationem aliquam habere uolimt, multa profcao corum malorum uitarc poffunt, quibus cctcri cafu fcfe excrcentcs fubijc.untur : eo magts. quod u^natio Ulud praecipuum in fc habct, quod nulla aha cxcra ?atioineummodumobtimufl-eapparct, utfc.hcct totum fcrcd e nonrarof.birequirat. vnde aut vcnatorcs mter excrcendum ci- bum capcre, &c a cibo magnos laborcs aggrcd. coguntur,quo ua- lctudini nihil pcrniciof.us effc poteft ; aut tota d.eic.unant, quod tamctfi fortafleminusoiTcndat, ncquc tamcn ipfum noxapenitus b circt,quando practer confuctudincm illud efficitur.nccnopoftca ufquc adco prac fo.nccxfaturantur, ut uentriculum concoqucndo mirum in ./odum fatigcnt, f.cquc &c cruditates, &c aha mnumcra malafubcant. Artis Gymnafticae finis. HIERONYMI MERCVRIALIS fcx artisGymnaftica:Jibroriim clcnchus, cjuorum primus libcr continct . r: E prwc pijs Mcdicina. Capiit prifnum, \ De t Ofi/eruatiua Vartihus, et (jtiid tr.iBjfuiuni . Cilp. X. ^t}dfitgyr)ifia§U(a (^r.otiipUx. f.3. Dt ^ymrajttcx ftbu^o, et tius laHdi- bi*s cap 4, SiHr ttmpore,et quo pa^o caperit Cym- naHica c^P*')' Dc Cyn:n.iS 'S annqui rum cap. 6. Dc V. 1 Ps hiniinum j^t nerilus y qux in gyn.na/iaconurnicb^nt ^^P^J* De^yfnnalioTHdiucrfis partlbus. f.8. DepuU^ra, et alVjS gymnasi» part.bus cjp.^. Dc h^b eis ^ymnafiorum, atque etiam dejiadto cap. 10. De accuf iius in ccma antiquori m, CT Itmd dimtnxjt in die cpundi cor^ fuc'udinii origine De au^oribus gymnaflicjt, fjr ^ymna" ftorum mth:fiiis cap.li. De t*ium ^^yvihuflicdt ffefie*urn d.jfi' tcniui.beUicaJtji^iuma fiue mediia^ CT vitiofa feu athlt tica cap. 1 3 Dc vitiola gymf.aslica, ftue ^thlctna- caf.l^. Dc riuendi ^thlctarum ratione. c.15. 11BE\ SECr\Df^S. Qf^id fit excrcitatiQ,Cf q^o differat ^ a Ubore,& r/iottt. cap. l. Dt vyonMitic^ mcdi^je dhificne cap.i. Defaltatoria car.]. Defphxnflica c^p.^. De piU ludo fccundum l^thos dp.y GymnafticA, De orchifiica, fiue ttrtia faltatottapar te cap,6. Dt finefaltationisyC^ de loco cap.j. DeluSatoria cap.9. De pugilatu,& Tancratio, et Caiiibus cap.^. DcLurfis cap.io. Dc faltu cap.11. Dc difcOy& halteribus cap. i De lAcuiatione. cap.i^, LIBEI^TEI{TirS. Dt agendis, et dc rationc prufentis trati^tionis cap.i. De drary.bulatione cap.2. ^ncrcclum slate fit exercitatio cap, ^, Dc pu^narhmgeueribus cap.j^ De nofinuliis a.tjs e.xtrcitationum ipe^ citbits cap,^. De Ipiritus cohibitione cap,6. De vociftratiot.c, et alijs vocis cxerci'* tatioribus cap,j. De Cric ljj:a, Trocljo, et Vilamailco cap.S. Dc eqmta tione cap.g^ De curruii vcctatione cap, i o# Dcgffiatio^'C in ititica,& flla . c,i i. De agjtatn nc per ia tos ptnfilcs, C^ per cunxs facta,^de sciv.podio. ca.tt. De nauigationc,& pifcationc. cap. i j . Dc natatione cap. 1 4. Dcvcnatione capij» D LIBE !{ Qr^riTffs. E rationc agrndorum, et deexer* iUaiionis vfu cap.t, r €on* Confutatio opiniows eoritm, qui exeni^ tationem in fanis damnabant; et de exercendi necelfitate^ atquc commo^ ditate ^ cap»2, Jmprobatio eorum quiomnes homines cxerceri debere ftntiehant cap. 3 • J{edarguuntur qui affuetos folum exer- ceri voUbant cap.^ De exercitationum differentijs ctrp. 5 . De corpdrum morborum, et fanuatis generibus cap.6. ^n corpora agra vllo paUo exemrt co ueniat cap.j. Decorporibus valetudinarijst&fenili' hus exercendis cap.S. T>e corporibus fanisexercendis cap.c). De locis in quibus excrcitationes fieri debent cap.io. De tempore cxercitationibus apio, cap. 11 Qumta fieri debet excrcitatio cap,\ 2. Demodoexercendi cap.12* DEordineagendorum y &de non- nullis fcitu dignis cap. i. De ftngularum exercitationis differen' tiarum effcciibus cap>2. De faltaiorui: effcHibus cap. l . De ludorum pilx cjfeBibus cap.^. De luH^ commoditatibus,& incommo' ditatibtts cap.^. Depu^ilatus,Vancratij^& Cafluum fa cultatibHs cap.6. Dc curfus natura ^^pl' Quid praflet faltus ' cap.i» De halterum conditionibus cap.pta 1712 Abrnhi vt Dc* jb Aicx. Sc fo cbjtur lii d Aiaci;nua Pljtonisi».c Av nbitus con.uttudn viidcnunant 5 3 b AvCubitUN viroi u fomw S > et dcmccps Accombcnimm numcrus quis tflci. 54.oribus palam cxjhjhc- baniurA qiia dc cauf» I c Ac^yptus, Homcro aatorc,mu!ta$ hcrbjs ic mcdicjmcntj habuit » b Actcct rxiri'.rcs.uscorp^iri .iccidcntib.6. f Ac:as i cxcrcitationc cit c6;idcradj i ' i.t. Asbii^dcscrrauii.rifum dicca$nct)i o po ri,ncqucanim" prodcfTc. i.b.i«8 d AKoniiTjrib-. Ab-ti crant vna faCtto Rcmana i6d c Aldus M inuii* luncnis cruditiflim». . 7« d Alcx ndcrScuc. us Impcrat. cxcrcitjtionis Ciula aliquando pirc-b.uur 181. ciuos Dcos colcrci 1 iii d ad maiorum cmgics facrafacicbac 'b.d. Akxandri Scucri Imp cxcrcitia port lcctio ncsquxfucrint . 1 ^ (- >Jtm balnca viro rum JcmulicrumicHrauit jo.d Alcxan.Sci«cri.s Impcr fcrc fcmpcr frigida Ijuaiioncvicbatur,rurocalida jy c Alcxan-Scucrus Imp- noluit mijcnuos cur- (ucxcrccri '^^*^ AlcxandtrScucrusImpcrat. ncmora pub. ihcrmisiunxit ^^^l Alcxandcr S.ucru^ Imp.qiu viAns rarmnc 1. jfDpndio auihorc, vccrctur 2 1 Alcxandcr Maccdonum Rcxqnid ante cibi (un^pticncm agcrct 214. C A k x.mdcr prop' cr cruris vul nus lcdica m mtlitari txpc»mionc vtcbatut 197-^ Alipiiu^ in gy mnalTjs quis circt,& quid •^gc rtt io fjtta, anibulationi m portKU fjdx a Ccllo przfcnur 16 ^.a Ambuijuo lubdiahsinuitas habcc fpccies ibidcm Anibul..tio fub Solc, vcl in vmbra faAa ab authoribus Jiucrh^ diucrnmodc acccipi- tur ibid. Amoubtio fub Solc minus Ijrdit, quam fta tio,& qua dc cjula cx Ariliot. fcntcncu 266f.i7l.J. 17*.C AmbuUuo m vmbrj Tafta, quxnam fitbo- aa ibi. Ainbu?atio pcr jrboics rorc fufFufjs fafta Icprjti* fjciic inducit,& cur 167.2 AnibuIat:o cpiIcptiCiS,& vcrtiginofis conuc nicnsquarfit ifj.i» A.itbuljdo antccibum ficri dcbct, et qua dc cjufa ibid. Ambuljtio pcft n.i qb conucniat. i67-C Ambulationis matutina;,& vcrpcrtinac cifc Aust]ui(int ibid. A-niciis Bibriciorum Rcx ccftu claruit, 8C fuit a Polliicc intcrfcftiis iio. f Ammon apud Ouuccltu vahiic ii/.a Andrc.Ts B iuiius vir multar dodtrinar. 34 Andr Pjlljdius Architc pcrii (Ti iius. 19 C Ani;iiiJ Ijborjntcs lin^a cffngunt. 145. C AnimuN H^k^ corporis aux ijo nihil laiidc di pniim clficcrc potcll ij.a Afincus^-illio fanguincm cxpucns nauiga- tKJHC fanus f .^usclt i7y.b Antlicus lccundum platoncm fuit lu^Jtio- nisarusauftor ioj.a V X Antio- l N D E X AiKiochiis lucdicirs quo cx;rcicio vtcretur 2rf>.e f Aiitioch^ mcdic* vehiciilo geft.ibat.2«?7.h Antiq: bis indiean femcl f iturarent. 5 2.f Antiquoru inos viuciedi rpa iucgna. 57 a Antiqui in rtratfs coenab:inc 53. a Antiquiomnes voluptates in couiuijscx- cogitarunt ^g.e Antiquoru ftudiu in cibis ac potibus dclica tilTiniis coquircadis inignuni fuit. 58.6 Antiquorum fcripta quonam modo interic ' runt 161.C Antiquorum maior pars raane vel nihiJ,cxt guum quid fumebat 225. c Antiquorum maior parsin vefperc folum faturabatur ij^.e Antonius Pius Impe. balneiimpopulo fine mcrcede conrticuit 48. d Aphorifmi Hippocratis txplanatio 13 i Apodytcrium in palacilra quid fucrit. 291.C Apodyterium in balrieo quid elTet 40. f Apollini cur Athcnicnrcs gymiiafium con • fecrarunt g.d Apollo iacubtionis, et medicinae Dcus ab antiquis indicatus 130. f Apollo iaculationiab antiquis eft pr.^poG • tus,& qaare 258.6 Apollonius vt Dcusab Alcx.Seue. colcba- tur iSid Apoplciaici Tral. fententia le^ica vti pof- runt,& qua dc caufa 229 Aponaxisquid Sj.c Apoltemata in pedore rupta habentes vo- cifcrationc iuuantur 281.C Apricari quid faciat i4o.d Apuleius Ccifus in Sicilia qucndam a canc rabido motfum curauit 4 0 Aquas fornudo,Pompeio viucnte, primo fe nobis manifeftauit 4 c Aquis mcdicatis etiam vtcbantur in laua- tione ad voluptdtem 47.3 Aqua c cx extrmfecus cor^i accidctib. 6.{ Aqujc omnes Ipontc nafcentes caJidae funt Ariftot.authorc S^yc Aquarium quid cifct 4^.^ Archigencs fuit Had.Imp. archiater. 1 9 i.f Archimcdcs facpc figuras mathcmaticas in corporc vnfto dcfignabat ^i.d Ariftotelis fcntcntia dc gymnaftica Sc p.T- dotribica, 10. d Ariftfentcntia Jcartc gymnnftica. i^.a Ariftot.fcntcnti.idc motupoftcibG. 2 2i.a Ars gymnaftica,GaIc.fcntcntia,cft maxima BUs £jcult^^s confcru;itrici$ y.b Ars gimnafticn qb. na rebns pficiatur. ib^ Ars gymnuftica quouiodo fcicntia aGalc?' no vocctur 10. d Ars gymrtaftica quid nam circa corpus hu- manuoa operctur 12 f Arsgymnaftica ad boniJ corporis habitum a cquirendura, ac finitatem conltruanda maximc j^dcft muitorum tcftimonio.i^ Ars gymnattica homini cft naturalis. 13.C Ars gyninaftica quo tempore inccpcrit i r* b.c.d.& quomodo ord/ncm ac regulas ac ccpcrit i5.c. c Sis vtcrcntur 6^,c Athlctx quo n lc a Pbto voctntur. 6'j.b Aihlctaruni vii^ns ratio.qu.c c^ct 7iC Athlct» cur pjllidi fiant poft bborcs cx Arift rcntcntia 74 c Aihlctar a Vcncrc pfu^ ahftinucrunt. 7 5 b Aihlcrjru xgrjruJincs fccundii G.il. 7^ J AtMct.cymn.^njca raltationcs habuit. 85. a Athlci.v amlnil :tionjb. no vicbjniur 13 rb Aihlctr sducrfus palu fc cxcrtcbani -a AthlctT c« fpiritus cohibitionc nonpaiu auxil j capicbant M4 J Athlctacftatim po{\ cxcrcitationcm potuin vi?abjnt,& qua dc CJufa 124 d AthJctx frcqucni.rrmc vtcbantur putil- btu,luc1a,& Pjncratio i4^ d Athlctar olkntationis ctiam gratia fpiritu rctincbjnt u^f Atrophia bborantcs vocifcrationc libcrun Tur *Sic Atrophiam gcftationc curabant Thcodo- rus Prifcianu>,& ArcixuN ay^.d Attoniios aliquo ftuporc Actius oca.itiunc curabat Author huiusoperis cur dcgymnafijs fcri- bc c fibi propofucrit 7 * /uditus f .iriiu rctcnto mclior fit 179 b Aucs in acrc fiarc apparcntcf an aliquo mo do moucantur 1 ^ 7.3 b Aucrrois fcntcniia dci;squi cxcrciiationc dinntiunt iP4C Aucrroisrcprchcnditur, qui ccnfuitmor- bofa corpora quoudicad fudorn initiu cffpcxcrccnda ^^9.c Aug Imp.lci;cfjnciuit,Tr militcs cduccrcn tur ambuljtum in mcnfc ^ i^T C Auc.Imp. fimpodl" qnq; vchcbat. I77 C AuKufius Impcr.foUcfccxcrccbat, et qua dccaufa .^y^ Au^.Imp. in finc dcambubrionis fubfultim currcrc vldcbatur et qua dc caufj.i W c Aup Imp. coxcndicc,fcmorc,&crurcfini- /tro bboras ambubtionc in li.ircnama «invc pfuudafccxcrccbat,&quo. z6^.f (jymnAlitcA, Aup.Impc. poft coenamlcaica lucubrato- ria vtcbatur Z99.^ Aurcli.inus Impcrat. thcrmas hycmalcs in tranllybcrina rcgionc fccit lo^.f Aurium dolorc p.iticntcs lufta Ixdit.a^^.C Aunumdolorcvcxaios gciUtionc Galcn. Tral. et Actiui curabant i.b Bjlucoru fitus fcJm Vitruuij Inlam . 43-f> B.ilncoru acr cxtrinfccus et intrinfccus.ibi. Bjlnca multum calida Gal.icmporc in dc- fuctndincm abicrunt 44»C Balncorum magnitudo,mobilius,imroobi~ liias.figura ibid. Bjlnca non cundcm fincm habcnt. 4Cf.e Bjlncis calidis .tcpidis,& fngidis antiqui diucr fa rJtionc vtcbantur 47. b B.dncum rcs qujdr.'itjrij cur vocctur. 47. c B jlnco-um hora qux fucrit y o f balncj fcmp antc folis occafum claudcban tur,ncc vnqujm anrc.iurora apcricban- tur jntc AKx.Scucri Iinp tcmporj 5o.f Bjlncis ;'cnfi]ibus Afclcpudcs in xgris cu- randis utcb.uur. i^^.f.d.a ScrgioOrata funt inucnta 177.* Bjptilkrium jn balnco qiiid cffct, 33?. C Bcll'iro; hron fuit cqtatiouis inuctor 167. c Bigis PlJio animjs airimibuit 1 7 1 .C Bi^ix in pub facris frcqucntilli ncccriauc- runt ibid. Blandi Forliuicnfis crror dc thcrmis ly.b Botubrij I gymiufijs botulos vcdcbat.^4 c Braclua,dum quis manibus vjcuis currit, quodjmnu>di dt didi -wccul us loi.a Cyrws rcifurumRtx ct oris laborcs ma- gnopcrc xllii: juit K.d Ciliuscrai vchiculi fpccics 208. c Cbudius C.tl.vcliJtulo vrdiquctcdo pri- mus.fc i|u..iido cinfus 172 f Clauduslnipc H.npt>cii lil cjio fuo con- ccflit,vt |> vil c JtN n iPi i ni pt ftjculatic nc cur;bat Arxictus 24C.d et \t cifcr; iicnc. 281. c et cxcrciiatK i:c jmcr n ) rios,Iaiiros, et ih)nun>f-6a Coitu VI tri vcfpcic rcn bi nam cr-i io.f C6tc6ioncm In-p cdit cxcrciiatio cx Fra- fiflraiifcnftrtia J5>i b.c Conct Aio^ a ijuictc, et ab cxcrciiaiicnc mtdcratt f-^a multum iuuitur. 192. f Ccnccciucics c.fliculicr vocifcrai:onc iu- u:;niur 281.C Cf niflcriu i pal^flra vbi ra crat 20.f 34. c C61ctuai.u.i n (d:cjrxpaiJ aqbufda lola digna tidttjVt ncic mcdicjr» ncUt 5.C Ccnfcrujijua n cdicii ap pais a cjuibufJam in trcs paritstfl diuifa 6c Confciu.niiua tcf fiiiucnti.-. quatuor nomi- nibus a n cdicis cc mprchcnduniur. 6,( Conflartini Impc icmporcaccipi irtscdo ccric^pciiint ifcSc Ccnluciudo nopra cx paiic conucnit na- lur.T txcrcitati corpc ris i>8 c f Cofuctrdirt pn.uiiic'» valdc Ixdutur.ib:d. Ccnluciudo n .2d Coipori» hibiiusab cxcrcitaiioiic coniipr- uaiur ^ i^ic Corpcris virtuic* pcr cxcrcitaiioncm for- ticrcj fitri et opcdititrcs i^2.f C( rporis n ( n l la pcr cxcrcitationcm fir* mitatcm &i robur accjuirunt. ibid.ii^^.cl Ccipons hjbiiusab ot:o dcflruitur.i>2.C H7C Corporiim tria gcncra a mcdicis confidc- rantur,& tjux 2*4 d Corpora argra an aliquo pafto dcbcat cxcr ccri 105-^ Cotpora Gcc2 motibus lcuibus et raodcra- ns vti pt flunt io6'( Corporib. c-hdiN et ficcis null.T imodcratat (xcicitaiiocscoucnjut 2c6.f 2 i 5 b 22p.C Corf oribus fripidis et ficcis cxcrciiationci icmjfia-corucniunr. ibid 115.C x^od Corpora, t]uoru vnu mcmbi u intcpcricm paiicur,(]uomodo lunt cxcrccnda. 207 a Co;pu* nulJu tjuauismtcpcric laboraNdct vthcmcti cxcrcitationctxcfccri. 207.b Corpcracb malam formationcni morbofa, qu(.modo luni cxcrccnda . ^^]^* Ccrpcra in nun cro n.oibofa cxcrcitatio- nibus vti pofluut 208. d Corpcra zpriiudinc in fitu laborantia nul- It. ocrcjtationis gcncrc vii dcbct,& cjua (ic caufa /^'^' Corpoia valctudinaria ^ n3 fub fc/m hu- V 4 itts t ^ O I N i) £ X. Hi> au^oris fnhm pfit: coiuiiicre. ioy.a Cor^ora rciiiun ciir niuica cxcrcaiciita ge- ncrcnc iio.d corpbra femim t]iiibi!s exercicacionibus vti debeanc zio.e corporum f.inorum differencias multasancitjui medici conditucrunt 2 1 i.c corpus perfeda fanitate prxditum potius mente confiderari poceft,> quam re ipla inueniri ziz.d corpora multa temperaca in ftia regione in- ueniri dixit Gal. ibid. corpora cominuniter fana difta excrcmcn ta quotidie gcneranr,fe ob id excrcitatio nibus indigenc ibid. corpora frigida, vehcmenter, &multum exerceri debcnt zi^.f corpora humida excremencis abundanc, et ob hoc mulca cxercitatione indigent,ibi. zzy.c corpora humida .1 labore fufFocari^haec Ari- Itocel. fencentia quomodo ficincelligen- daconciliator exponit ibid. corpora in aeftatc potms, quam in hyeme funcexercendaex Anft.fententia.izo.f corpora quibus temponbus finc cxercenda &locis zzi.e corpora calida et humida moderatis exerci tacionibu» indigenc ibid.& z z corpora fngida et humida mulcis, et vche- mentibus exercitationibus mdigcnt ibid. et zjo.d corporaabijrde,c]uadoq, lacdutur, qhdoq,' iuuantur,proucinisapplicancur. zj 5.a corporis carno/itas mulcis cxcrcicationibus remouctur Z38.C corporainduto minusa fole calefiuntfccu duin Arilt.rnlam,& qui dc cnufa z/z.e Cttrpora luxara tum hominum tum quadru pedum nocando in arcus fjcillimc rcfti • tuuncur 3^54^ coriceum in paL^ftra vhiham crdc.zo. f. et quidclicc zp.c.87.b corycus quid cfTct cx Antilli fementia. 8^. e. ioi C.Z4Z. d cornarius corycum malc follcm intcrprcta- tus eftm Hip.conuerfione 33. c cornarius malearguit Budxu. 1/ 8.& i ij) coxas debilcs faltatio coufirmat 1^0,6 coxis cx Hippocfenccntia equicacio eft ini mica 25^. a craneu gymnafio apud Corinthios. 1 8.f craffi luando cibu dcbcncrumere. ZZ3 c cmcn mediareruus hornbili q^uod^ uioi- bi genCre captusfiiit,quo carncs ab oftl- buscadcbant J.a cracin*' poeca cur faJtator fic vocatus. loi.b crepacuras patietes faJtu dent vitare.zjy-a &dircun. Z5:8.c. et /piricum recentum. zBo.d quomodo fiant Z84 e. f criptoportids antiqui ad deambulandum vtcbantur,& qua dc caufa z^^j.a crifijafii forma ex Oribafio, quasnata fue- rit. KJ^z.d.eius vciJicas zc9. h crico mcdicus Komar fub Traiano floruit • Z4f.c crudos piJae Jufus Jardit 243. b crura infirma fdtatio corroborat 240.0 crurum vlcera haJccre Gahcurabac. z 5 ^.e cruftuJari; in gymnafijs cruftra vcndcbanr. 64 c cunisquomodo in aegris curandis anciqui mcdici vccftntirr jyS.e.^oi.b curatiua mcdicinae pars ob neceftitate prius eft inuenta, et a quibufdani impcftura quedam dicitur J.b.c curz fjnnm corpus conferuanc ^.f currendifaculcas a natura daca cft aninvali- bns ijya curfus ccrcamcn Elciinfticuerunt iiy.c currcns ab ambulaiitc quo diftcrac. z y i. a currcntcs hycmemigis rigienc ftautibus, &quadccjura zzo.f currentium fpiritus anheJat zjz.d curribus faciedis marcria apta e abies.iyi.a curribus manu dudis rebricitantes, vt in- quit Herodotus, vtebantur et quancuni fpaci; pci ficerenc 171. e curribus ois gcneris fani vtebantur. ibidi" curribus tcais principes vtcbantur potius, quaHi npcrtisantiquitus ibid, curru tcfio Plinius iunior propter oculo- rum infirmitatem vtcbatur ibid. currus niulta apud antiquos crant gcncra, et q et quo rimilia,& djftimiha erac. 1 73.^ curruhs vedatio ab Eiichthonio cft inuen- . i7i-a currulis vedatio.ipud mulieres Romanas in maximo honorc h ibcbaLur J^i .b currulcm ve»ftationcn) R' m.mi mulicnbus abftuIerunt,ob nimium luxum, poUca il lis rcftiiuci uiu,& qua dc cauia ibi. cwrulis vcdatio jpud gymnaftiLosacftimata erat 171.^ currus duarum rocarmn antiquitus erat in v^^i» 171.» currus quacuoi: rourum Phryges muene- (uat ibid; Curcus. I N D £ X Currus fcx rotjrG Scythac inucncrunt ibid. Curiustoimacl^ vuiia ibid. Cui uu ccrtamC- m ludos oly mnios quando htinucaum i^ic Curfor i]ui lic cx Ariftot.fcntcntia. 70. d CurluN G^l. rcntcntia no parQ cofcrt ad i\ nitatc,& bonum habitum. i i5.c.245>.b Curfus t|uis motus lit.io i.ccius vtiiita',& i4y.c.&infra. Curlus trcs funt fpccics cx Antylli fcntcn- Ii6.f Curfus apud vetcrcs Grrcos cjd fit. .b Curfus omnis fcbritntibus nocct. 149. c Corlum pro vcrtiginofis curandis atqi cpi- Icpticis Arctacuslaudauit ijo.d Curlus circulariscrtcctus cjuifint& omni- no rcpudiari dcbct ibid. Curlus co$,t|ui fungos comcdcrunt, et qui a rcriptionibusnfti iunt,iuuac iso.f Curlus quo rcncs ixdjt,& luucc. ibiJ. Curlu non in pulucrc fa«fto faucium intcrio run: cxulccratiocuratu. ibid. Curluspcdcs et crura luuac ibid. Curfu^ qua dc caula cx Anfto.fcntcntia ca putUdac zT*'dCurfus a quibus vitari dcbcc lyi.d Curfus inpoltcriorafjclus quarnain auxi- lia cx Aniylli lcntcntia corporis parti- busprxUcc iji.c Dutius pcracdiuia, et dccliuia difiircnuac Cu! fu^ corporc nudo faftus quid c/Hciac . Curlus nuo tpc magis Gtfacicndus.  D DArcs apuJ Vcrg.ccftu valuit. irr.a Ocaaijulationis vtilitas. 1 3 3 c.i^y. pcr totum capur. Dcambulationib.loci apii qui fint. 16 3. b Dcainbulatio multa^ habuit (pcs c et infra. Mi^.c Dcambulaiionc qh vti dcHcmus. xtfc.d Dcainbulationis ctfc ftiis qui fint. ibi. Dcambulauo mcdiocriscit magis in vfu,& quxfic Jbid. Di amtiu!ationc pro inrjnij,& afthimatc cu randis C^l Aurcl.vicbaiur itfo.f Dcambulationc proidcricis curandis Ar- chigcncs vtcbutur ibi. DcamboLtio pauca quibus nam conucniat Ui d Dcambulatio cxtrcmis digiiis fafta lippicn nbusconfcrc 26 3. a DcdnibuLuoDUin dificrcntir, a loco liiin- pt.r qux fint z(ondcrit. 187.C 307. b D;orcu.s aducrfarium vn^uni et finc pulue rc lupcrJUit 33.^ Dioxippus aducrfarium un^ura, et finc puliicrc fuj)pcrjuit ibid. Dilius quot ngn:ficjt.& quae 123. a Difci cxcrciuciu fuit antiqua. 1 1 1 .b.cius vti litas xj7. b Difci figura qualis fucrit 125. c Difcus tobuftjs corporibus conucnit. f Dilci cxcrcitationc loco pcrg itioni.s,& plilc botomii, fi quid impcdut, vti pofrtimus cx Gal auihoritatc 257.C Difcobjli I2Z Dilcus a ijcuhtiouc tum in iuuado tum in Ijt Jcndo p.irum diftcrt ibid. Difcus ab haltcrc dirtcrt 25 8. d D(»ictibus vjrius lcrmo fiibucnit. 283 b.c DoIichu>cui(us quis fit ii^.e Domitianus Inipcr. laculationc cxcclluit. 13 i.b Domitianus fmp. locum pro vocis cxcrci- tJtionc inltituit 1 5 8 c Do: fun) dilcus . o: tobor.n 25 7 0 Dorfumdcbik- h. bcntcs crc^ti fiarc noii dcbcnt,& (juadc caufa i69.b Dracunculi cu ca ci tira et br.uhia multis cir ca marc rubium Jpparucrunc,& quid fa- ccrciic 4.t* Dropax I N D £ X. Dropax qind fit 213.C Dubiiaricncs duac circa cxcrcitationes or- ta? foluuntur 102. f Duellum a quo (itinuentf:,& cuipugngan tiquorum generi refpondcat i/f^a E ELxothefium in palcftra vbi nam eifet Il.d. 2C.f Illeborum qui fumpferunt geftationc inle ftica fada iuuantur. 2^^.a et in lcdis pen filibus. 301. a JElcphantiafjs Acgypto famiharis quo tcm- porc Itahs innoiuit 4 Blcphanticos vfu coryci Argtcuscurabat.  C.& vociferationc.282 c. Cclfus de ambulationc.26 j.c. Afclepiades gcftatio nc 2^6. f Elcphaticos natatio maritima iuuat. ^o4.d Entelkis apud Verg.ceftu v.duit. i j i.a Ephcbus Athcnis lcrpcntem pufillum, et Ibtim ambulante cfi feniinc cmifit. f.a EphiEbuminpalcltra ybi nam crat,& quan- tum 2o.f.24.e Epilcpfia jnfolationc modcrata fccundum meihodicos cuiaiur 271. c Fpilcpfii gladiatoris lugulati fanguinc cpo- to recDiicirm quofdani curaiur 275 b Epilcpfia /pirmi rctento C^l.Aurel.autho- re non curatur. 280. d Epilcpfia quo pafto vociferationc curciur 282 e EpilepfiiE vthiculo pcr lonf^a via vehi non conducit C^I.Aur-cli .luthorc 2^7 c cpilepticos gclUtibnc Gal.Tral. et Aet.cu- rabant ibid. epilepti.curfus vchcmcns ex Thco Prifcia- ni li ia Iibcr.n. 2So.e et loga et rcdaam- buiatio tx Cxl.& Ccl.authurit 2>)2.c cpilept. A £ius curabat n^ancu gcfticulatio ne.24 o.d i.Tdit de ambulatio. ifi.a.e cpilcpticis Aiu)]Io auihorc nataiio omnis obcft 304. c Cpifcyrus lufus quis 8j cquitaiio on fit cx rcitatio 79 a cft motus Uiix us fctundunj Gu c. i^o.f ipi.d equitatio q.d cfficiat et ciu.s inuctor. 167. c lcnip in h(jnorc tll hab:ta ibi. et 170, d cius vtilitaic.v,& dan na. i^i.c.f cquitutio (ucculfantc cquo fafta qu dcffi- ctat 2i?5.b cquitntio pcr afiurconcs cquos fuda qiiid ctfici.it ibid. cquitationis pcr gradarios ccjuos L&x cfic dus 1^3- c cquitantcs curaliquando lacrhymas em/t- tant 2^4.d cquitatio an fit geftatio ibi. erafiftratus mifiione fanguinis e mcdicina aufcicnda,atq.- ctiam oem cxcrcitatione inutilem ad fanitatcm iudicauit i^i.b crafiftrati r6ncs,quaiuor qLus cxcrcitatio- ncm inutilcm cffc ad fanitatcm dixit.ibi. crafiftrntus per inedia trium aut quatuor dieruin nniltos affcftus curab..t 15 3. c crafiftraius eft damnandus,qui multos ^gro tos dcambulationibus poft cibum cxcr- cebat 2 2j.a crafiftrati loncs foluuntur. 'bid. et infra. c erafiftratus malc a C^Iio reprchcditur . paralyticos de, mbuhtionc in locis harc nofis f.(^a cxcrcendcs ludicabat. 26^ £ Err.fmicrror 154 f crcftum Ifarcan fit cxcrcitatio.i^^.f. vtih- tas et nocumenta 16$ crcdi liatcs quodamcdo mouenrur. 1 3 7.C ercftumftare antecibi fumptjoncm quo- modoiuuat ^. c crcdum ft:arc multas habctdiffercntias, et vndc capiantur i6p c creftuni ftarc poft cibos fumptos quid fa- ciat i35>.c.207.e crichthonius currulcm vcdationem inuenit i7ia cryfimachus mcdicusad fingultnm curan- du fpiriius cohibitione vtcbaiur. 1 j ^.e cfculcnta lu cibi tum rcmcdij caufa a:grotis txhibcntur ^.f curhorbus lubas regis medicus,& Antonius Mufa fratrcs vfum aqux fngidx poft bal nca caiida nionftrarunc 47 b curipidis fcntentia dc athktis 7 i.b c cxcrcmcnta diucrfis modis e corporibus au fcruntur ipo.f&infra cxcrementa in corporihus detcnca multas morborum fpccics gcncrant. I5>2.c. i >.b Cxcrccntcs fc fuK Cdc m.igis incaLlcunt ciaicffcntcUjqu^ n qui luoucntur, fs: ijiu dccaufa ibiJcin cxcrcmcnca in Iiycmc cur paucagcncrcn- tur 21 i.b cxcrcitatio cx mcdicorum fcucntia fcm- pcr ancc cibu n a lanis fic-ri dcbjc. 222 d 2 i6,d.i67.c cxcrcitjtioancc cibum dupliccm vtihracc aftcrt 2i2.f excrcitjiidi tria dcbcnt obfcruarc 1 cxcrciiationis fadx poll cibum nncnmcn- ta,qu.t fint 222 f 26 8.ii excrcitacio non dcbct ficri vbi Itomachns cil valdc vacuus,ir(ium hoaunu n quant.i clfc dcbcat,& dcoilium ibid. Excrcitatio fcnum minc^r cfTc dcnct quim, cum luucncs clfcnc ibidcni Excrciiatio hycmc fada'citra fudorcm ficri dcbct Excrcitario ucre fafta vfque ad fudorcm fic.idcbct ibid. Excrcit.it o Autumno fafta minor cffc de- bct ra.quar xlbic fit ibid. ExcrcitJtio iiulfuccorum qu.T, et quanta c(fc dcbct 2jo.e txcrcitatio immodicj oibns nocct. 2 3 o.c Excrcitaiionis jmmodicjc fun.i. ibid. ExcrcitJtioncm luucncJ quando dcbcant incipcrc 231 c ExcrcicJtioni pcragcndx qui modus cft adlitbcndus ibid. Excrcicationcm viri quandodcbcant inci- pcrc ibid. Excrci- Excrcitationem antequam incipercnt anti- quiquidnam fjceient ibid. Exercitationem Ifatim poft cibum nemo dcbetmfjpcrc 232 f Excrcitatio prius remiflTe ac debiliterincipi dcbet,dtmde paulatim jugeri. ij^ a Exercicatjonis particularis cognitio, fiue vniuerrjlicoonitione,null.im aftert vtili tatem,& conira a34.e BxercitJti ibtmi poft excrcitationem ve- Iks niadcfjdas debcnt dcponere, &in loco tcpido et temperato *33 «b Exercitationcm anctijiiam quis [incjpiat, quid nam faccrc debcat ^33*3 Exerciiati non ftatim poft cxercitationcm debenc quiefccre, ncc cibuni aut potum lumcre z^^.b.c Excrcitationis modus Sc ordo totus .itK)nc incjuibus morbis cunndis A • (clcpiadcs vicrciur 295 c.& infra Gclbtio ui nuripcrcurbato ofTinino fu- gicnda,bid. GclUito ia iTiari traquillo fada quid cifi • ciJt ibide.n Gclhtiofine additionc acccpta quomodo ab authonbui capinur i^T-a GclhtK) vchiculo f.K^ i qtiibui conucnut, 5c quibusnon conucniat ibi. Gclhdone in qutbu^ mor bis curardis G.il. vrcrctur 297 c et infra GclUtio morbif diuturnis prodcll ibid. Gc ihiionc lcllj,5c lci5^ica fj {gfli yti pof (unt morbu iam inclinjntc jco.c Gcliationi^ in aJto auri fadar cflfcctus . Gymnafta nuHut antiqucrum fcriptorum fulficicntcr tradiuit 7.a GymnaGa qur njiii fucris : 17 b Gymnafia quare » et a quibus pnmum fint inucota ibid c GymnaliJ dicbus feftiuis magis frequcnta- ta crant,& quarc 2 7 a Gymn:r:iim cui jntiqui Tibcri propinquu ctfcccnnt 4oC.ri.nLcntia dc houmie co.iicUcntc,& nonlaboiaate i^i^ Hipp.patn.i cemperata fuit 2 1 6 e Hippo.iudicat, Ibhs r.idios capitibus huma- nts m i^nasnoxjsalFcrrc 26 6 e Hippo.Hcrodici Scly^nb: lani difcipulus ar- icm mcdicjm illultrauic 2.d.4'i.c Lsboribiis ir.:ifluctos aliquando cxcrccrc dcbcmus,& qua dccaufu i^^-^-^yO.S Laborc^ mcdcrati quibus nm- corponbus conucniant 21 5.b laborcs vchcmentescjuibus nam corpori- bu^ conucniant ibidcm Laccdcmonjj vcnationc fc cxcrcebat 187. c Laccdimona? djmn.at Ariftot. cjuod puc- ros niirijs liboribus affligtbant. 2 28.f Laccdzmonuno Jcxcrat, ne in balnca pix inferictur /^4.rbu Ijbor.intibus ohlic 261 d Lcdi apud anti(]Uos varij crant 5 8 b LcC^lus fulcra mobilia habcns quiJ fit. 1 76. e.joi.b Lc^lis pcnfilibiK pro ari^mium cxcrcitip antiijui mcdici vich.intur. 17. .d.quid c(rcnt,& quomodoficrcnt joo.f LcdispcnniibusjCelfoauLhoie, quando vii dcbcmus ibidctu Lcftis pcnfilibus gcftiiio f.jifta tam antc cibum,i)u.Tm a cibo prodcll ibid. Lcftici qujrc ci\ inucnia. 175. b. 17^ . a. &• quot numero /crui ca portarcnt. 1 73. c et inf cius vfus. lyS.f et 2y9.b Lcc^ica pcr vfbcin gcftari lilcrtis crat vc- titum 174. f LcOica noftra cui anticjuorum fcllccorrc- fpondcat I7y.3 Lci^ica in languciibus aniiqui mcdici vic- hjntur i7^-b.2yj?.b Lcclicaa fclla diffcrcbat i7J.c.& 2yp.b LcCtica muhi vfus apud antiquos firit. 2^8 Lcfticj,in cj (cdttcs.cjn.i vii polfiiit ^j^^^.b Lcd^uh pcnfili) agitatio quaudiu ficri dc- bcat I77.b Ledionis fpecies,& caruni ad fanit;tcni vlus .285.2 Lcftio quomodo ficri dcbeat 2 8y.c Lcclionc rcmilfa polt cjborum fun.prionc vti poifiiirtis ibid et inf. Lcnti laborcs quibuldam corporibus ron- ucniant 2if.b Lcilurgica fcbrc I horjnies in Ic(flica dc- cuml cntcs vchcbjniur 2^p.a Lcucophlcgmaiia corpus totum dcturpat. 107. b Libcrat .i morbo, ijuid /ibiauxflio fucrit,' tabcUuI s notabaiit, ac tcmpiu Apoiiinis dit.Tl)ant 2 d Libarij in Gy mnafijs liba vcndchant. 64 c Libcrtis c.it intcrdi^^um quominus pcr vrbcU' ItftJCj vchcrtniur i74 f Libcrdc ji)l€2 prope paludcs& rtagna, et huiuiuiodi .nlia funtuula 2i8.r X-oca pro|)e marc ad Mcridicm,velOcciden tcm fpcftantia lunt mala ibidciii )Loci ad cxcrccndum apti funt tres condi- tionc.s& (\i\x ibid.& 2 i6.f Locorum vis cjuantumpoflit 215. c iofus, Tbi uocis cxcrcitatio ficb:^t,  Luduii) cur intcr nthlcac.is exerciiationes cnnmeraucrit hniiis opcri^ anthor 88. d Ludi B.iCiho dicnti ctc7xo'A/A di^i I2i.a Ludi matutinj qui cfunt, et qui magui 64. c.&^5«a Ludoru victoresr,uo honorarentur irb.c Ludajpraefcdus,& eiusonus ^o.f L^^d fincs trcihabuit lof .a.quatuor modis fieri potcU ^ 24*.e f Lud^fjriaearcis au^orCs,quifuerint loj.a 115 c Lud^im G.ilcn.artis gymnafticae minimam partcm c^ic ludicauit . 102. f.cius jpud antii)U()s matnus vlus fuit 244 d Ludam noltro lempore cx^rcent rullici, quoinodo apud auticjuos aihktx excr- tcbant i44.c Lufta vchemcnter, et corporc crcdo fafta quid corpori pr«lK t 244. f Liida habentib.crura d( bilianoccc i4^.c LuCta cjui rationc pefton uocet 2 4^.c Lu non vencfic.i,& quomodo 8.e Medicina! cjuando opus non cr.it i.b Mcdicinx jurtes, cum Imt duicrfap,diucrfa cti.Mn nomina fcrtii.T lunt j b Mcdicus quomodocorpus hununum co«- fidcicc li.C Mcdicus I « M I w w Mi M W u I I N D E } McdioKcft artifcx trcs fcnfaias iraftans 2X1 d Mcdtcumcnta «luofdani luuant, quofiljm Kxdunc iif6.c >1cdi.jltini in balncis c^d faccrct 30. c 6^.2 MchncholicosiuCta 1 hcodorus Pulcianus curabjt i45'3 ^lclaniholici, dtim lcgcrcincipiunt, ^ur lomno capuncur t^6.d MdanJiulian» I I» odcrui Piifciai.us, et Arccjtu^ gclbucnc curnbant i96.t Miichior Cuilanpe baincu cr^nt lici%& i]ua rjiK iic j*d Jdc nfa \ Icdi lin.ui a-)ud antiijuos para- baniur 56. ( Menlhua ranicatcm corrunipunc 48^ Mcnftrua fdliixs cuocat. 2 M* ^ dcambu- Ucto * 26or.t^3.a Mcntagra x^riiudo Plinij .xuic noU^ mno- tuit 4- f Mctforcs ciuayccaufaa uiAu iaordinato 5: prauonon la.djncur 225' b Mcthodi vniucrfalcs cx Gai. fcntcncia nifi { .iiticubribus fpcculationibus lungan tur parum luuant i8y b Militaris diidphnx cupidi gymn.i/ia ingrc- dicbaoiur 2tf.c Milo Crotoniata f ir robu(li(Iimus. 67 2  NatJtionis locui c^uid fit i^i^- c et 184 ^ cius f^Cviti S^i. N.tacio ijuibu-da argritudinibus cx Aniylll lcuttntiJ,&: O-i.o nucnit ib^.a.ib^.C Nataiuri i)uid agcrc dtbcot,antC4uam na- tcnc Nacatio inicr cxcriitationcs numcrai 18 j.a Nacationcm cur anutjui addifccrcnt ibid* iSj.a.^f 3.b N:.t:uo i l^uuio f-^a fomnu inducit So}.c Nacatjoncm in ai^uis fpontc nalccnubus fa dani Aniyilus iipprobac 3®3«c Nat.tio pcrnicioliil ma i]uz fit jc^.d Njiariolub Dio fjCta cjuid c pcictur 304.C N..CJC10 fjcihus in mon cjuam in iluuip iic Aniijuihorc ibidcin Nacacio cahda indurata cmoiht, et frit,cfa- aa calcf-CiC &: tius nocuincnca 304 f Nacacio (rigida caiorcm nacurjlc validum (Hlicir,& conicdiou( n) adiuu.t ibidcm Njtaiionc frtc]ucnti, ii ^uis viatur, ncrui ixduntur .3?^»* Naiuiar caijdac fircundum Hipp. cjuiciccrc dcbcnt i96.( Naturar hon.inum adco diuci fx funt,vt oc mo .Jtci I j^iorfu^ iit limiiis ly^.e Narura coijoribus lioliiis mcatus muitos curdcdcnt 152. c Naiun» calidis cjuics cmucnit 206. t N. u luatio an (it cxcrcjtatio 78 f Nauigaiio «juibus nioibis autliorc Auiccu* X fiotit I N D E X. proGt ^ 3oa.f.i7P.b N.iuigitionis modus valctudinanjs conuc- nieris qui fic cx Herodoti lentetia 179 c N.iuigitionis fpcciesliinc mulcae, et qune& 175? C.301.C Nauigacio pc^ flu nen fact i minns pertur- bacquam qu^ per ni ire, Sc quare, qui- bufdam murbis conueriiac i8o.d Nauigjtio incer cxercitationcs ab Antyllo numeratur I7y.a Nauigacio corpus raouct,& pcrturbac ibi. et quare i8o.d Nauigjtioncquinam vtintur jbid. Njuigantes Ciwn mjgiscolorati ijs, qui m paludibus dcgunr,& qua de caula 1 8 i.e Nauig jtioneranii> fjiftjs cfl Anneu Gal- lio fangainem exoucns 17^ b et ^oi.e Naumjchia: cur a Po^.Rom.iint inftitut e. 180eNe)iei ludiapud Cleonasagebmtur ly.b Ncphretici Trdl. rencentia icdtica vii pol- lunt,& qua de caula . 29-^ a Nepiiriticis njuigatio maritima prodeit . 303,3 Ncrolmp. gymnafiaquindo; ingrediebi- tur,vtathierasccrtantes videret 26 c Nero Imp.muficu cercame mftituit. i/S.c Nerolmp. ia lcvftica cum macrc quandoq'^ vehcbatur 299 c Ncro Jamina pe Aori iuipofita fubea canii- cacxclamabjc ^60. d Nicomjchus Smyrn.^cus uilde crafTus qua vu ab Aeiculapio fic curacus a mmii il- la crafiicie 207.C Nitro,& aphronitro fricabanrur 3 4.C Numa fccudum Plutar. voluitadorationes fcdendoficri X59.b Numeruscxprimit rcru fimilicudincs. 96. d O OCuIi lachrymantcs Irduntur falta- tionc i4o.e Ocuii lippictcs, et lachr-ymofi d quantum- uis mimmo motu l£duncur,quiete vero rccreantur.  a.b Oculorum circumuolutioncs vertigine lari^untur lio.d Pcrljp v;rtu\ rationcm, cxcrcitationc.n il'Iigcntcr proti:cbintur i^S.a Pcrfis bborct lOr^Hiris Cyrus inditUiUnrc abi luin.)tioncm.'»riu^nf c «tatis nrnimcntu 1x4 PotuLiicj (u ciui tu ii rciucJij CiUia xgro iiscxh:bcntur 4.f PhcnmJa vjuiJ V vnJc diratur S^-f Phcrous d lco Hyjctnc'iu intci fecit in^ c Philagnus nudicus pofluuium lcininis cicrcit .iionc partiu * lupcriuruin cui a bat 147 c curluk Aiuyllus 190 f PhiUiiiv)ua Pilx tMgonalis figura 9^ Tila p.igjnica iju.e nam cffct. ^4 d  tudjtlt nauigations fpc- cics,«ia Pilcjiorcsroanrini cur pilos rutfos habcac 181.C Pilcina pub.Romr vbi mm fucnt 1S4.C Py.h.igoras c|uidain athleci» primui carncm cxlubuir 7x.f Pythagoras voluit aj jratiuncs fcJcnJo ticri i  b Pyrh"Chiacfjltat'oi t im- »,i Put.ichuv M ylc.i^* PhrV'»i)nc Arhcnicna d uc 5c p.r-r.uij'tc cxccll.v.cit, b c)ujm fc itJtu i i {*')' jnc »ci ercda luit. 1 o.d Py hici InJi Dwlphis j^cb iKur i^.b Pjiuaufi vc citcrjtion> luuantur 181 c I'1'roni lcnt. ntia dc aitc jvmnaflicj. 12 f P aio Ijudjr in v.Jcrcp. vt mujicrcs nuJx cnm vins in pjl^lha cxcrccantur C Pl iio f .11 oiMfdjni Jthlcta fuiC 7 1 .c l'lato .*uit Hip fcdacor 80 c Piato buJauir vc et pucri et virgincs,& niu lic cs, et ho iiincs tam nuJo cor|>orc quainannitocx-rccrcntur . 116. d P.aro knbcns llitum motui contrariu n n6 prorlus vcrj locurus cll 13H d Pijco diCic njcurjs diuinjs cx motu et ijuic cc c onftjrc ibid. Pi.iuti vcrlus dc ariticjuorum pucrorum nio nbus in p.iiaftra 29 b Plimuv fciibjt aihlctas alitjuando coitu vti iolitj iuniori-i ctercitatio ^ fiicrit. zii.d Pilinms miior diim vocc ik it >m^clio Ubo- raret,lc«ftione chra liberjciis cft zSf.b Plini us Co^cilius vchiculo gcU.ibac. zyo.b Plinius Romac Sclla vtebatur, vt intcr cun- dum rtudijs vjciret i99.c Plmius lunior corporis (anicatem ven.itio- ni rcfc-rebat 1 8 7. c. 3 07 c PoJalirius vcnationc deleft.ibatur i Sj.a Podji»nci faltum dv^benr fugere. i n»3 tro- chum 289.C Pidagrico. Icnes et rcmifT* iuuat deambula tio,5t vehemens I«.iit z^^i.c PodjgriciTral. fentcntia Icdtica vti poflfunt et tiu.i de caufa ^99.\ Pofis fecundum Simonidcm eft faltatio lo- qucns 96. f Pompeij magni exercltia i i^r.c Ponb nau.nachiarius quarc fic vocatus flt . Poppca Domitij Nero. vxor, quid faccrer, vt cutis candorem acquircret 1 7 . A Porphyrius philofophus carnis vfum cur prohibuit lyj.c Porticus tres extra palacflra quomodo di* fponerentur zo.i Porticns erant partes gymnafiorum piincipa les,& quomodo fe habcrcnt 2 8.e Porticus Pompeiana ad deambulationem aedificata i34-c Porticus in viridario Vaticano qualis fit . 135. A Potabant veteres cornibus boum $$.h Pr«edo quidam in Pamphilia homincs pcdi bus priuabat 1 3 3 c Prandium apnd antiquos quij c^fet r i-f Prafinae fa£tioni maxima ciuitatispars faue- bat i68e Prafini crant una faftio Romana ibid. Pratinas pocta cur fi vocatus faltator.ioi.b Praxagoras rcprchnditur, qui cpilepticos deambulationibus plurimis,& vehemen cibus curare nitcbatur 26 i c Pracmia ccrtatoribus cur fucrint mftituta. 14 c M.A PriapifiTJum p'\\x magnr Itifu Tralianuscu rabat.242 d.atquc •tem halterc |i5^.e Prodicusacgra corpora cxerccri iudicabat. loj.b.propter quod ab Hippo.rcpr chcn diiur 2 4T.b Prodicus valctudinis ftudiofifid nus fuit . iio.e Propn^geulpalaeftra vbina crat. xo.f.^J.A Propinatio iuxra veterem nrum', m cohni* uio f^ftj cx Rh minufiano lapide $ Pronerbium in harcnani dcfcendeie vnde fit ortum i6.d Prouerbium illud difcum ( fljuani philofo- phu audirc malunt) vnde fitortum.z». C Proucrbiu Ne qras in ftadto dolic hu. 1 1 7-a Pjouerbium trjnfiremeram ii^.b Prouerbium contra eo$,qui nec litcras, nec natarc fcicbant idz.c Proucrbiu a mari et terra fumptum. 302.6 Pueraquam prxbcns ^6.b Pueroru geftatio in vlnis nutricutn eft qiix dam ipforuin cxcrcitatio 176. d Pucn poft H;ppocr. aecatcm podraga labo- r.irc incc^crunc propter ingiuuiem. 4 e Pucri frcqucntifli.nc faltationi opera dabac loi.b Pueri muficam Pbtonis, et Ariftot. fcnten- tia dcbcntaddjfccfe 1^0. d Pucri a ploratu ex Ariftot. fcnrcntia proht beri no deber,& qiia dc ca. i/^o.f .6 Pucri Gal tempore in aquispueriles ludos exerceb-int 183 b Pueri vfque ad vigefimum primum aetaiis annum labores muJtoi indiffercntcr fer^ repolfunt 228. c Pucris perironf um aut fcrotum fpiritu rc- tento rumpitur 28o.e Puellaj funt ex Piatonis fentcntia gymna- ftica bcUica cxercendae 66.£ VucWx pulcherrim^ fingulari ccrtamine cer tabant 144.C Pulmonc vlcerati,inculpati viucbantin Ly bia i73,,c Pugil quifitcx Arift.fententia 70. d Pugilatusante bellum Troianum fuit in vfii iu7 b.fanitati parum confert. 247 A pugilatorcs quomodo certabant 1 07 c pugilatusin gymnaftica mcdica exi?uuin vfum habet "loS.e pugilcs vocabac veri nthlc f fm Gal. loS.f pugilcs,& athlctT aliquand j in Deoru nu- mcrum relati 7 1 /\ pugihuu imago i02.b pulueribusin multis cxcitationibus anti- qui vtebantur,& qua de caufa 236^4 puluis uim habet cmplafticam cx Galeni fententia 23 8. d ^u^ilatus nocumenta,qua; fint 247 c pu^ilarus fuit paruui LulUs in gymnaftica mcdica 248. d pugn.B nomcn plura fi.^nificat i4'>.f pugna, dcqiuhicaudoragit, quidcflcj et quoc I N D E X. Qot eiuj fpcclcj cxOubafij fcnicntia ibidciv.&: X73.a Fuona > mbracilu cjuomodo ficbat . ibidcm lOI. c Pugna tcK.rum quomodo ficret ibid. Pugna firgului is tjm n t d«- ficrct ibid. Puiinas fingul.ucs t xcrccbant Ijccrdoics in Fcrp mo G.il.iemporc 14» c Fugna jdiicrfus pjluni ^uinam >tcicniur. 14 >.c.X7J.a Yiigna vmbrjtilit ubi i Cjleno budctur . i4'.C27?b Fugns arm.)tj a Dcmea inucnta. 1 ^6 c Fu^nis fingularcs eiiani Romani cxc.cc bant 14^5 d ibid. Fngna fingutarit rudibus armis fMi a NLn tu^^t^ crt inucnta I4rb Pu!u:s in vn^^ionc quid prapftarct  j.a et 1 > 8.d. vnJc portantur 3 f.e Pyrrhus Ligoriu^ annquitatis pcrrtifs c Fyrrhrchix U!talionc$ tjux fucrint,&^ S"^ laucntx QVatUans crat mcrccs baJncacori data. 47C Quadrata corpora abcxcrcitationc quomoiio iuu..ntur ^i^^ Q^ad. igx m pup. faais ficpc ccitaucrunr. 171 c Qii:^rtana bborantcs, vocifcratio iuuat . 181.C Qumqucrtio qui fit cx Ariflo. fcnicntia. 7o.d.c Quotidiana fcbrc laborantcs in lcAicadc- cumbcntcs vchcbjntur a^y a R RAucnnj Strabonis authoritate acrem fjlubrcm habcbat 7^.2 Kjiis fcntcntia dc vcnationc 187.C.506.C Rcncsdcbilcs I.Tdii faliatio 240.^ Rcit.cd.oruii omnium njtura eft, vt pro- fint,& abquid cnam c^ftcndant 1 51 a Rcnibus malc-ttcaisIuOa nocct 14 rc Rcnum lapiili optimcialiatione otrudun- rur 240 Ci54f Rcru imbefillitate, vcl feruore, vcl \Kcrc artcC^i liliu vitcnt 25 5 J et dilcu. 2^7.c Rcnu.n jnfl.imni tionc laborantcs crc^i ftjrc noo dcbcnt 169 b Rhjmnufi nu^ lapis, in quo fculpta cl\ fbr- m.jTrKhni),3nti(]U!friinus 56 Khcforcs in palacitras ad difputandum con ucn:cbant 20.c28c Res i6nc finis raria noU Cirrire funt 203 a Rcfoluti Tral. fentcntia lcAica vti pofujir, et qua de caula 19^ a Rdpirjtio ctcbraium ofcitationuin cft rc- mcd.um a7P.a Ilcurdurcs in balncis qui clTent 50.^.63.« Kigorcs f.iltatio atcct 240. d Kilu^ qCo fiji,& quid cfificiat 16 i.a 287.6 Konuni { ('liicmi oimhO ^yn n^ifia ad GiaB corum inntJiionrm ihuxctunt 18. £ Kcmjni in bulncis mulio graecis lafciuiorct Romani fuos miliies et mari et tcrra cxcr- ccbant iSo.f Konunorum n^uliercs Varronis tcnimonio in cc dcni loco cum viris lauabaniur. 48 f oppofi:ioncm J3 c Ros vim habct colliquatiuam, et idco bibi- tus gracilitJtcm inducit 2^7 a Rot^ curruum Homcri icmporc ftanno or^ njbantur i7i.a RuHus tphcfius Romac fub Traiano floruit 145. c Ru.tati eraot voa fj^io Romana l^S e S SAItantes pondera aliqua habcbant quorluiii 1x8.4 bjita^oria: cxcicitationis fpecicS|& cius di- uiiio 81 Saltatoria facultas in imitatione foio mrtu fjda confiliit fi6,£ Saltatio fccundum Simonidcm eli pf>efis tjccns 96 f et inf, Saltatio vcra i mufica fccunduui Plutar- chum dcprjuata cli 97't S. Itjtioiiis inucntor quis fucrit 97.2 Sj/tationum diuerfa nomina vndc fitoria» 97.C Sjltationis finis 100 d Saltjtioncs vbi nam ficrcnt loi.b Saltationcm antiqui in conuiuijs exerccbic 10 I c SaltJtio qurqi antiqiiorum ordine, ronc, et proportn nc indigcbjt ijy.b Saltaiio opportunc fjdU inultas affcrt vtili. tatcs, cadcm inoppoitunc jdminifirat^ multa dctrimcnta iionum prriiat 239. c SjIius viilitjs,»ntingunt, (]Ui Ic cxc:cucrunt,5c ijua Jccaula 19 r A Somni pr«.tundi concodioncn» mcliorcm efficiunr.S: quj dc ciufa ibi. Soao capiutur Irpc mtctc fpcculatcs. i ^^. Somnolciiii ciir fiiu dccolor.jti i44-5i.c SpiMtus cohibmo »'jciat •  } • a. cius rpcc:cs.i5} b.cim vtiliiJS.X78 d suibus conucniat 17 9.3 cius nocumcnia.ib d b Spiriius cc hibiuoncintcr c £tcras cxcrcita iioncs Athlcix d«abus dc caufis vicba t«r, Snlcnis xgtitudinibus cx Aciij kiucntia curlus clt vtilis no.d.f Splcnctu-oNgcf^..tioncThccdoius Prilcu- nus,& Arctruscurabant ^9^^ Spuni apud antujuos m.igna infamia noca- bantur et a nobiLum commcrno cxtru- dcbantur,  Spurma qua vi^us rationc  Spurini nnJiOi fanitnrc cofcruaJa. 113^ c Spura corpuscxinaniunt StadiumgymnjfDspars 5*. Stanscxcfcttium ' Starc maio: ci. corpori bborcm affcrt^.iua ambidarc,& quarc  Starcc.lcib.s3ut;..m.n.,d.gitis innitcn. do nihitn.li molcitumattcrt »71.» StclUsdcfic.cntcsminromn,svidctcs.,uo „.odoabHippoc.c»ircntur ^n-A Sccphaiuofuuinucntor togatx (altation.i StcVcoracorpascxInaaiunt Scomichaccxgritudo Plinij rtaic aoftro orbi not.i f.iCta cik ^-^ Stomachusin coqncndo dcbili» i falta. 10- nc corroboratur Sio.nachu n frigidis morbis opprcnum cu- latcurfus ^^^-f Scomachicos fpiticB rctcnto Cxl. A'»r. cu- rabat.i79.c.& vocifcratiotic i8i.c.Arcle pij gcftaiionc \ ^^^1 Stomach 1 dulorc Thcodnrus Pr .fcianus, « ArctJTUs gcduionc curab.mt »bid. Scomachi .itK a;ombui curandis gcftntionc Actius vtcb.itur X98.C Scomacho l.>borancibus vnftiones cxcrcita tioncs,S£ vocifcrationci commcndat Oa lcnus . . »8'' Stomachicos n.itatio maritima iuuatjo^ c Strii;ilcs balncorum quid cUcnt, et cx qua inatcria hcrcnt 3'^' Siudia corpus confcruant fanum 7 A Sudorcs corpus cx luniunt Sudor cft motu piouocandus,5c q»a dccatt Ta . Sudor finc motu proucnicnf dctcrior co dt quj a laborcproucnit »53^ Sudor ijua dc caufa manus cxcrccniibus cx Arift fcntcntia cffluat »47 c Sudor liccus qnisfucrit ^ 3«*} Suc omjlocusdcrcincdioh.ncnaru et aru dinii.Aiigu :ti,qu.j fit mtciligcdus. 264 t Suftii(i o'1's co.o ts fubcos ludicant a^i.i SurdtcatccaptosGjj.Tral. 6c Actius gciU- tionc curabant ^973 a Theon Alcxan deathlccica fcripfic 70. c Th' rpiui pocta riltator cur /ic vocatusioi. b Thv /Tcilus mcdicus Ncronis actatc floruit . is^.a Theffali qna dc caiifa ccntauri fint Tocati. 167 c Tjbcrius Impcr. fcimpodio quandoq; re- hcbatur 177 c Timonis a v.\i Juobus nicnfibus, finouiis annis in cufC-nis IiticabJt " y.a Tyrrhcni lub eodei» regmncnto cum mu- lieribus jccumbcbanc f^.c Tjrrheni nd tibiam pugnis certabant 107. c Titus Imp.hujbatur,vbi et plcbs 16 f Titus In.p.qua dc ciuIj /it mortuus 47 a Tonfillas pjtjcntibus iuda noccc 246. c Thoraccm hJtcre lardit . 25^. f& difcus. Thorax humidus ambuKirione fada cilci- bus incunibcndo fauatur 2^3.3 Thorax difficultcr fpiras deamhulati' ne p accliue fada luu it cx Antvili /iua 2^^3 .5 Ti i.; erant Kt mx Joca,vbi licterarix cxci ci tatioi:rs h.banr,& t|n« z^.b Tricliniuin marm orcum vetufti/fimu Pa tauij in nedibus Khaniniifijnis ^6 Tryphon dc atbleiica fcripfic 71 c Tripudia nfa faltationibus antiquoru cor- rcfp6det& in quo .ib illisd fferar 239. b Trochus graecus (|uomodo fiftus cflct no- bis cft ignotus i62.f.& iatinus ibj.& qui- bus conucniat 2op.c Tubi perquos circufundcrctur calorpro- diens ex bypocaurto 4^.3 Tubicinibus ipiricu rctcnro pcritona:um runipitur 280. c Tumorcs laxos gcftatione Actius curabat 298.e Tuflfis (icca, fpiritu reteto,curfu no in pul uerc fa{ko curatur ex Celfi fnia 2/o.e Tuflis i frigidacnufi orta fpniius cohibi- tionccuratur 278.^ Tiifli^ a filcntio cxtinguiiur i^^.f Tybcrius Impcrator omnium primuscolis d'.vIorcm cxpcrtus 4 f V ^TAIerius apcr milcs caecus quo rcmc- dio, oraculo pra?nunciante, fucnt a cicit..tc libcraius f.c Vjlcriob rc^cpniar contra Fuchfiuin, fol- Icm et Corycum diffcrre 87.3 Valcrudin.jnj quomodo Cwt C/fcrcendi . 20p.b.23o.d Vjljrium quid cfret 43.^ Varices pjticntes fjltum erftjoianr: 25 f.i Vjricibus Ijborantes cre£li ftare non dc- bcnt 16^ b V.iriccs quomodo gcnercntur ibid. Variar lc Romana if^.c Ventres fngidos luda curac 2 4y.a.& curfus 2JO.f Vertiginofos manuu gcfticulationc curabat Arct;tus 240. d VerriginolosI.Trditfaltatio 24o.c.&pilv lu- fus 242. d Vcrtiginofi luftam vitarc dcbent 1^6. c et curfum ciicularcm. 2j:2.f. 2^2 f& trochum. 201; c Vcrtit;inof?js m.^Ic curabat Aret.rus pugi- Jjtn 247 c. cuiabat c:iam difci cxcrcit.-i- tionc 25 7. c Vcrci- I N D E X ^cmginora p.ifllo vndc omtur i^Ti.f Vci tioinofos ycajiione Gal.Tral.& Aci.cu rubant ^ ^ VcrcJuN cr.u vchiculi fpccics i Vcrus I npC: priinuscuin duodccim (olcni conuiuio .iccubuic 54«a Vcficx lupiUi optime,rjltattonc cxtrudun tur ^ ^^'^-^ VixapuH vctcrcs grarcos qux hnt 2i7'C Vitjili.r l"«nuin corptis conlcrujnt 7 or.inccs lcdica vti potTuni. I9f a ViJ»cr.iriiin morlibus tibt.iruin moduli pro- lunt.vt Gtllius rcfcrt lc jpud Thtnphra itum inucniirc i^^.c Virgo lons ladu crat iucundtlTima y o.f VirgmcN lccundu m 1'btoncm lunt in gym- n^ifticabcllica t xcrccnJx 66S Viri tJnrum apud aiuiijuo accuinbcb.it,non muhcTcs y?c Viri apudantiquosquoium niodo accum- bcrcnt H-^ Virinoic quid intcliigat hic auftor. iiS.c Viri funt tcrc omuibus iuor>l>us apti. z i i.r Vilus dcbdicati . Jt oOicuritjti gelbtiorc- tio icrla facic tjcla, Auicen.autho.^c.con tcrt 298 d Vitruuiosfl iruitxtatcCjf.Aug.iS.d cius auihorituv apud jntiquos parua luir.iKid. VlccribuN quictc curandis llarc et lcdcrc ad ucrfantur 13^ Vlccribus intc. nisjCf 1 et Cel. auihonbus, dcambulauo rcnv^a, et molLtcr f-^da prodcft i6\.c Vnftione qui nam vtcrentur 30 d Vrd onts mJtcr.aqux fucrit Ji.d Vnaionis finif 3 3 c Vndio poft balnca quid prxftabJt 3 1 .f Vnd 10 ab aotiquis quomodo ticrct, cii !n- ccnum ^d VnAionibus in miiltis cxcrcirarif»nil us jn- iKiui vtcb.«nrur,& qua dc caula x 3 icic^asna- ui-Jiionc lihcratusclt lyj^.c.joi.C a>T4rvf qu;d iii 64 f.5>4. f- cius vtihtas. AKnSnp mcndicum,& crroncum ligniticat 1 i8 d * *f ^ifdflU quid fignificct.i 4y courtesy of the Bibli REGISTRVM * ABCDEFGHIKLMNOPQJ^STVX. Omnes/untquaternionespr.Ttcr * &X qui funttcrnioncs, ac Dquintcrnionenu. VENETIIS, APVD IVNTAS. M D C i Grice: “Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Mercuriali. Girolamo Mercuriale. Mercuriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica,  bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. Mercuriale.

 

Grice e Meriggi – il deutero-esperanto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo italiano. Como, Lombardia. Citato da VAILATI (vedasi), “SCRITTI” – “un appasionato”. Progetto di lingua a priori, il blaia zimondal è elaborato da M., professore dell'istituto tecnico di Como. Il blaia zimondal parte da un principio fono-simbolico. Ciascun *suono* possede un significato naturale (Grice) o *senso* generale corrispondente al suo modo naturale di formazione fisiologico – fisi, NATURA -- luogo e modo di articolazione dei foni. Così ad esempio -- a, vocale aperta, esprime ciò che è grande, alto, forte, bianco, evidente. -- i, vocale ANTERIORE alta, per il fatto che è prodotta serrando quasi completamente la bocca, esprime ciò che è piccolo, basso, leggero, interiore -- u, vocale POSTERIORE alta, esprime ciò che è basso, scuro, pesante, lontano, futuro -- p, consonante occlusiva bi-labiale sorda, suggerisce idee di forza, pressione, pesantezza, caduta, blocco repentino -- k, consonante occlusiva velare sorda, simboleggia l'idea di solidità, di siccità -- l, consonante laterale, esprime le idee di fluidità, di morbidezza, d'elasticità -- r, consonante vibrante, esprime le idee di rotazione, rapidità, rumore. L'udito dei vertebrati si è evoluto principalmente con questo scopo: identificare la natura degl’eventi a partire dal suono che emettono. Solo più tardi l'udito è stato ri-ciclato dalla nostra specie per servire all'apprezzamento di parole o musica. Ma il ri-ciclaggio è stato solo parziale. NOBILE (vedasi), VALLAURI (vedasi), Onomatopea e fono-simbolismo, Roma, Carocci, Bussole. La capacità di associare dei suoni della propria lingua a suoni naturali è, a detta di VALLAURI (vedasi), professore a Roma, propria degl’esseri vertebrati. In sostanza, cioè l'uomo è in grado di produrre suoni che ri-producono avvenimenti della realtà e di associare a questi - più o meno consciamente - determinate idee. Così,malgrado l'alto grado di formalizzazione che i suoni del latino deve possedere per funzionare da supporto del sistema morfo-sintattico e lessicale, esso conserva dunque una prossimità sufficiente ai suoni naturali – nel senso da H. P. Grice, ‘fisiologia razionale’ – natura -- per surrogarne l'originaria funzione biologica di indizi percettivi degl’eventi rumorosi. Sul fenomeno del fono-simbolismo è comunque consigliabile una certa cautela. Ad esempio, sebbene il suono vocalico [i] puo ri-condurre alle idee di piccolo, carino, soave (cfr. it. 'gattino', 'micio'), e il suono vocalico [o] a idee di grandezza, mascolinità, robustezza (cfr. it. 'colosso'), non possiamo ignorare i numerosissimi alegati contro-esempi, sia latini o italiani (cfr. it. 'massiccio') che non (cfr. ing. big 'grande' e small 'piccolo'). «fl» esprime il senso di fluidità e liquidità insieme (cfr. lat. FLUMEN, it. 'fiume'. L'associazione di significati – SEGNATI -- a singoli fonemi e nessi consonantici è un tema ricorrente nella filosofia a partire dal Cratilo di Platone, che riconosce ad esempio alla lettera greca lábda |! un valore di scivolamento, come dimostrano le parole greche léia 'cose lisce', olisthánein 'scivolare' o liparón 'unto'. Anche il matematico e crittografo inglese Wallis nel De etymologia sostiene che il nesso consonantico [sl] veicola l'idea di scivolamento -- cfr. ing. slide, slip, slime, slow. Ne discorre ampiamente, in tempi più vicini al filosofo, anche Brosses nel suo Traité de la formation mécanique des langues et des principes PHYSIQUES [fisi: natura] de l'étymologie, in cui sostiene che il nesso [fl] evochi l'idea di fluidità - cfr. lat. fluere 'fluire', fr. souffler 'soffio', ing. to fly 'volare') e l'italiano CESAROTTI (vedasi) nel suo Saggio sulla filosofia delle lingue nel quale, traendo proprio da Brosses la maggior parte degli esempi, riporta proprio il caso del nesso [fl] della parola latina FLUMEN come espressione di liquidità -- Per approfondimenti sull'ideologia linguistica di CESAROTTI (vedasi) vedasi BAGLIONI, L'etimologia nel pensiero linguistico di Cesarotti, in Cesarotti. Linguistica e antropologia nell'età dei Lumi, cur. Roggia, Bari, Carocci] «bl» esprime il senso della parola; «kr» ricorda le armi e le macchine;  e così di seguito, con l'abbinamento di ogni suono a una determinata capacità espressiva. Se il singolo suono contiene gia da sé un significato [NATURALE, o megliore, FISICO, O FISIOLOGICO], combinando i suoni a due a due è possibile costruire dei significati più complessi, risultati dalla somma dei singoli significati. A questo modo :«pr» la pressione rumorosa. Con questi elementi è possibile formare delle radici monosillabiche corrispondenti a delle idee precise. Ad esempio congiungendo le sillabe «kl» (composizione delle idee di solidità e fluidità insieme che corrisponde praticamente all'idea della costruzione, artificiale e naturale -- e «am», che esprime l'idea dell'amore. La sequenza «klam» INDICA il concetto di 'casa'. Ma «klim», che rende l'idea del piccolo e della costruzione, significa 'stanza da bagno'. È evidente che tutte le radici di sensi vicini si formano tramite la combinazione e la variazione delle vocali e delle  consonanti. Sebbene si tratti di una lingua a priori, cioè non derivata da altre lingue storico naturali, vi è un caso in questi due sistemi linguistici si incontrano, ed è, ovviamente, nelle onomatopee. Essendo il blaia zimondal una lingua di tipo filosofico – alla J. L. Austin, “Sound Symbolism,” Bodlein, consultato da H. P. Grice -- che vuole dimostrare la vicinanza dei suoni della lingua ai REFERENTI extra-linguistici, le espressioni linguistiche di suoni già presenti in NATURA non possono che essere modellate su questi stessi. Così ad esempio si ha «uul» per 'ululare', «meua»  per 'miagolare, ecc.  Non mancano comunque casi di somiglianze con altre lingue realmente parlate, e in particolare con le lingue romanze e germaniche, forse retaggio della provenienza linguistica e della formazione dell'autore: «bank» per 'banca', «ordo» per 'ordine’. Cesare Meriggi. Meriggi. Keywords: deutero-esperanto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Meriggi”.

 

Grice e Merker: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il filo d’Arianna – Arianna abbandonata a Nasso – la scuola di Trento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo italiano. Trento, Trentino. Grice: “My favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of context.’ --Si laurea a Messina. Trascorse un periodo di ricerche in Germania. Allievo di VOLPE, insegna a Messina e Roma. Cura edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e dell'idealismo, nonché di Marx, Engels e del marxismo. Dopo essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si occupa dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Altri saggi: Le origini della logica, Milano, Feltrinelli; L'illuminismo, (Bari, Laterza – la metafora della luce della ragione ;  Lessing e il suo tempo, Cremona, Convegno; Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti,  Storia della filosofia, La filosofia moderna. Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti); STORIA DELLA FILOSOFIA: L’ETA ANTICA -- Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco; Marx, Roma, Riuniti; Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi; La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti; Lessing, Roma, Laterza; Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky ai marxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti,  Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza,  Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi,  Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza,  Herder, James Burnett, Lord Monboddo, Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società, Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster, Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo, Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le stelle, Roma, Riuniti,  Maj, Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti,  Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma, Riuniti, Marx,  Engels, La concezione materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?, Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster, Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza,  Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli, Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.  La discreta classe delle idee. E’ Merker, asul sito di Rifondazione Comunista  Il contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di  M., S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo, Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su uniurb. Curriculum vitae. Nato nel circondario di  la scuola materna e le  elementari, nonché al Wilhelms-Gymnasium la prima classe ginnasiale. Trasferitosi a  Trento, continua ivi la scuola media e il ginnasio-liceo  fino alla maturità classica conseguita al Liceo "Prati" di Trento.  Iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Messina, si laurea ivi  con 110 e lode in filosofia e una tesi su "Hegel e lo scetticismo". Con una borsa di studio è a Napoli all'Istituto italiano per gli studi storici ("Istituto Croce"), e poi in Germania un periodo di ricerche.  Alla Facoltà di Magistero di Messina è presso la cattedra del filosofo Galvano della Volpe assistente volontario, poi straordinario, incaricato e infine ordinario. Nella medesima Facoltà, conseguita la libera docenza in Storia della filosofia, è stato professore incaricato di Storia delle dottrine politiche,  temporaneamente anche di Estetica, e, a concorso vinto, professore straordinario di Storia della Filosofia. Vi ha diretto l'Istituto di filosofia e per incarico temporaneo anche quello di Letteratura francese.  Chiamato alla cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea della Facoltà di Lettcre e Filosofia dell'università di Roma  "La Sapienza", vi ha conseguito l'ordinariato ed ha poi continuato la sua attività  Facoltà di Filosofia di quell'ateneo  seguito per  l'insegnamento di Storia della filosofia moderna. Uscito dai ruoli, è professore emerito dell'università "La Sapienza" con decreto ministeriale.  Nella Facoltà di Lettere e Filosofia ha presieduto per un paio di anni la  Commissione di Facoltà per l'ammissione degli studenti stranieri, nella Facoltà di Filosofia è stato per un lungo periodo presidente della Commissione scientifica del  "Centro di servizi interdipartimentali Biblioteca di Filosofia". Nella Facoltà di Filosofia ha fätto parte di un collegio di Dottorato. E stato più volte in commissioni universitarie di concorso per docenti universitari di prima e seconda fascia, nonché in vari atenei per concorsi di ricercatore. Ha partecipato con relazioni a congressi internazionali di filosofia e storia delle idee, a iniziative culturali di università europee (Innsbruck, Zagabria), all'attività didattica di vari Dottorati in Filosofia, a conferenze e dibattiti con studenti dei licei. Ha tenuto un seminario di lezioni presso l'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.  Per formazione e storia personale è bilingue (italiano e tedesco) riguardo a lettura, scrittura ed espressione orale. Ha buona lettura dell'inglese, francese e spagnolo,  familiarità con il francese e inglese orale. Adopera il computer per uso personale di lavoro, non ha capacità e competenze artistiche.  Studi e ricerche  Iniziali attenzioni per la logica e dialettica di Hegel si sono concretate nella monografia Le origini della logica di Hegel. Hegel a Jena. Successivi interessi per periodi fondamentali della cultura in Germania, - dall'epoca della Riforma (ad es. con un'edizione italiana di testi politici di Paracelso) fino al secolo illuministico - hanno condotto alle monografie L'illuminismo tedesco. Età di Lessing e Introduzione a Lessing. Un percorso parallelo e ulteriore  - intramezzato in  Dialettica e storia da un tentativo di bilancio dei problemi - ha collocato via via le vicende della filosofia dentro un più ampio quadro di storia della cultura nel quale assumono particolare rilievo le idee e dottrine politiche dell'età moderna. Ne è un esempio la monografia La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar.  Studi specifici sono stati dedicati al pensiero politico liberale di Kant, Fichte e Humboldt, poi ai giacobini tedeschi in edizioni di testi e nella monografia Alle origini dell'ideologia tedesca. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo.  Con un'appendice di  testi e documenti. La linea d'indagine di storia delle idee si è estesa verso Marx e il marxismo, con i libri Marxismo e storia delle idee, Marx e Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, nonché con la cura di parecchie edizioni italiane di opere di Marx ed Engels.  L'interesse per i problemi rimasti aperti nell'epoca della Seconda Internazionale ha poi stimolato ricerche sull'idea di nazione, sulle ideologie del colonialismo e sul fenomeno politico-culturale del populismo (con, rispettivamente, le monografie Il sangue e la terra. Due sécoli di idee sulla nazione; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà; Filosofie del populismo. Vi si è aggiunta una ricostruzione storico-critica della vita e delle opere di Marx e delle sue incidenze (Karl Marx. Vita e opere. Monografia Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia che ha collegamenti con le ricerche precedenti sul populismo.  L'analisi delle tendenze e dei nessi che emergono dalla storia delle idee si è accompagnata anche a riflessioni sul metodo della storiografia filosofica e a tentativi di renderla fruibile per la didattica. Di questo filone hanno fatto parte un manuale di Storia della filosofia e più volte riedito, e un Atlante storico della filosofia. Bibliografia  Complessivamente le pubblicazioni  - tra monografie, articoli vari, saggi,  recensioni, voci di enciclopedie, relazioni a convegni, testi in opere collettive -  ammontano finora a molti.  Di cui sono monografie:  Il nazionalsocialismo, Storia di un'ideologia, Roma; Karl Marx. Vita e opere, Roma; Filosofie del populismo, Roma 2009; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà, Roma; Atlante storico della filosofia (Roma; Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma; Il socialismo vietato.  Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, Roma; Introduzione a Lessing, Roma; La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma; L'illuminismo in Germania. L'età di Lessing, ediz. rinnovata e accresciuta, Roma; Marx, Roma; Alle origini dell'ideologia tedesca.  Rivoluzione e utopia nel giacobinismo. Con un'appendice di testi e documenti, Roma-Bari, Marxismo e storia delle idee, Roma; Dialettica e storia, Messina; L'illuminismo tedesco. L'età di Lessing, Roma; Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Milano. Nicolao Merker. Keywords: storia della filosofia – l’eta antica --. il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Messalla: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Garden. Friend of Orazio. They study philosophy together. He opposea GIULIO (si veda) Cesare but eventually makes his peace with Ottaviano. He writes philosophical treatises. Allow me to address briefly the L’ORTO philosophy within the context of the difficult tines covering the years which witness the downfall of the republic and the birth of the principate. In  'L’ORTO in Revolt' (J.R.S.) Momigliano takes as a starting point the conversion to L’ORTO of CASSIO who rapidly comes to the conclusion that GIULIO Caesar has to be eliminated because of what appear to be his tyrannical tendencies. The author emphasises that during this crucial period the adherents of the L’ORTO philosophy did not maintain a passive political aloofness. While some followers of L’ORTO actively support GIULIO in a noderate way, a mumber oppose him, among whom are I. Manlio Torquato, Trebiano, L. Papirio Paeto, M. Fadio Gallo, and, as the evidence suggests, L. Saufeio and Statilio. Monigliano concludes with the statement that on the whole, the events prove that Cassio is not an exceptional case among the contemporary L’ORTO. The majority stand for the Republic against Caosarisa." Horace seens to have felt an antipathy tovarda Mbullus and his patron M. which may be explained to sone extent by political factors, in particular the strong republican sympathies which the latter still professs under the principate. Of M., Monigliano notes that ORAZIO writes of him, 'quanquan Socraticis madet sermonibus', a dubious expression, but the Ciris (whatever its date and author) shows him well acquainted with the L’ORTO circle, and his leader is, as he proudly proolaimed, Cassio (Tac.Ann.; Dio; Plut,Brut.). I suspect then that he is a definite member of L’ORTO. It is, then, I think possible that M.'s political persuasions are coloured by his philosophical thinking and that his intellectual interest in L’ORTO is not nerely of an ethical nature. Monigliano, arguing along the lines of Diels, maintains that in a passage of his treatise on the gods FILODEMO of L’ORTO is expressing a political viev: "the words reflect the indignation of a man who sees the defenders of the Republic play into the hands of the tyrant. Similarly in his treatise on death the same philosopher recoends that sen should be ready to face death in the event of political persecution. Followers of L’ORTO are capable of reacting decisively to political circumstances, this being a major point advanced by Monigliano who maintains for instance that the sane Saufeio is not outside politics absorbed in the 'interrundia' but that he mingles philosophy and political action which probably acoount for his being exiled and falliag riotin to the proscriptione, and that Cicerone’s friendship with a number of L’ORTO is based on the faot that adherents of the philosophy possessed political feelings with which he sympathised. Both democracy and the non-tyrannical state find approval in the L’ORTO theory of the social contract, though the adherent of the philosophy is generally advised to renain outside politios. When ve consider M.’s resignation fron the office of 'praefectara urbis' on the grounds that the pover with which he vas invested was unconstitutional (incivilis; see Putnam, C.A.H) I suspect that republican scruples combine with his adherence to a philosophical mode of thought which preached political aloofness, affected hio decision. His is a detached involvement" comments Putnam on M.'s republican sympathies and resignation from office, and suggests political as vell as stylistic sympathy between M. and Tibullus. The philosophical overtones in Mbullus' work in uy opinion reflect this sympathy and remind us that both poet and patron have reservations about contributing wholeheartedly to the advancement of the new regime and its ideals. In the programme elegy it is a detachment from the sort of life which would contribute to the welfare and strength of the state which the poet manifests. Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo, si veda M. console. Console della Repubblica romana Scultura che probabilmente ornava la parte superiore di un piedistallo marmoreo contenente l'urna cineraria di M., rinvenuta nella villa di quest'ultimo ed ora conservata nel Museo del Prado. Figli Marco Valerio M. Messallino. GensValeria PadreMarco Valerio M. Corvino Consolato. Proconsolatoin Gallia Comata. Militare e filosofo romano, patrono della letteratura e delle arti. Membro dell'antica gens Valeria, di ideali repubblicani, nella battaglia di Filippi combatté al fianco di Bruto e Cassio. Passa poi dalla parte di Antonio ed infine entra nelle file di Ottaviano. Trionfo di M. -- rappresentazione sul frontone del Palazzo Krasiński a Varsavia, opera di Schlüter Si trovava nell'Illyricum a combattere gl’Iapidi a fianco di Ottaviano come tribunus militum. Consul suffectus assieme ad Ottaviano, e prese parte alla Battaglia di Azio a fianco di quest'ultimo. In seguito ha il comando di una missione in Asia Minore. Combatté contro il popolo alpino dei Salassi, come proconsole della Gallia, dove soppresse anche una rivolta tra gl’Aquitani. Per queste imprese celebra un trionfo. Tacito riferisce che e nominato praefectus urbi, ma M. rinuncia alla carica dopo pochi giorni adducendo motivazioni legate alla sua incapacità di esercitare l'incarico. In quanto princeps senatus, autorevole esponente dell'aristocrazia romana, avanza la proposta dell'attribuzione a Ottaviano del titolo di pater patriae. M., letterato Alla partecipazione alla vita pubblica, accompagna l'interesse per la filosofia. Influenza considerabilmente la filosofia che incoraggia sull'esempio di Mecenate. Il gruppo che lo circonda e noto come il circolo di M.. Tra gli altri comprende Tibullo e Ligdamo. Amico di ORAZIO (si veda) ed OVIDIO (si veda). Elogiato da Tibullo per le sue vittorie in una elegia nel Corpus Tibullianum e in un poemetto -- il Panegirico di M. Suoi omonimi sono il padre, console, il figlio Valerio Messallino, e un discendente M., console come collega dell'imperatore Nerone. Una sua parente, forse una sorella, sarebbe la Valeria, sposa di Quinto Pedio, console  insieme ad Augusto, che aveva proposto la lex Pedia contro i Cesaricidi.  Syme Wilkes Velleio Patercolo, Tibullo, Tacito, Annales: quasi nescius exercendi. Svetonio, Augustus. Fonti antiche, Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά) Dione Cassio, Storia romana. (testo greco  e traduzione inglese). Svetonio, De vita Caesarum libri VIII. (testo latino  e traduzione italiana). Tacito, Annales. (testo latino, traduzione italiana e traduzione inglese). Tibullo, Corpus Tibullianum. Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo. Fonti storiografiche moderne Cantarella, «M., Ovidio e il circolo dei poeti», Corriere della Sera, Syme, L'aristocrazia augustea, Milano, BUR, Wilkes, Dalmatia, in History of the provinces of the Roman Empire, Londra, Routledge Voci correlate Casal Rotondo. M. Corvino, Marco Valerio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Olivetti e Lenchantin De Gubernatis -, M., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, Marco Valerio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, su sapere.it, De Agostini. Marcus Valerius M. Corvinus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Marco Valerio Messalla Corvino, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Marco Valerio M. Corvino, su Open Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Gneo Domizio Enobarbo, Gaio Sosio con Gaio Giulio Cesare Ottaviano III Gaio Giulio Cesare Ottaviano IV, Marco Licinio Crasso. Circolo di M. V D M Guerra civile romana VDM Conquista romana dell'Illirico. Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Età augustea Categorie: Militari romani Scrittori romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Romani Consoli repubblicani romaniValeriiGovernatori romani della SiriaAuguriGovernatori romani della Gallia Mecenati romani[altre] Marco Valerio M. Corvino, console. Marco Valerio M. Corvino Console della Repubblica romana Nome originaleMarcus Valerius  Messalla Corvinus FigliMarco Valerio Messalla Corvino GensValeria Pretura Consolato Censura Marco Valerio M.  Corvino (in latino Marcus Valerius M. Corvinus o anche Marcus Valerius  M. Niger; ... filosofo romano. Pretore quando Cicerone e console e, console quando Publio Clodio viola i misteri della Bona Dea. Censore assieme a Vatia Isaurico, e sempre in carica, tentarono di regolare lo straripamento del Tevere. Non tennero il lustrum. Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown and Company, Robert S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic, II, New York, Predecessore Console romano Successore Decimo Giunio Silano e Lucio Licinio Murena con Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano Lucio Afranio e Quinto Cecilio Metello Celere Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politiciromani Consolirepubblicani romani Valerii [altre] Consul. Roman Senator who lived in the Roman Empire. He might have been the brother of empress Messalina.  A member of the Republican gens Valeria. The namesake of the Senator and Augustan literary patron. He may have been a son of the Senator and consul Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino, who was a son of M. or possibly the son of the consul Marco Valerio Messalla Barbato, thus making him the brother of Valeria Messalina, the third wife of the emperor Claudio. A member of the Arval Brethren. Served as an ordinary consul with the emperor Nerone and then as a suffect consul with Gaio Fonteo Agrippa. Starting with his consulship, he is granted an annual half a million sesterces to maintain his senatorial qualifications. Biographischer Index der Antike, Lucan, Civil War  Paterculus, The Roman History, Lucan, Civil War  Shotter, Nero  Der Neue Pauly, Stuttgart, Tacitus, Annales, Tacitus, Annals of Imperial Rome D. Shotter, Nero, Routledge, Lucan, Civil War, Penguin, Velleius Paterculus, Yardley e Barrett, The Roman History, Hackett Publishing, Biographischer Index der Antike, Gruyter, Political offices Preceded by Nero II, and Lucius Caesius Martialis as Suffect consulsConsul of the Roman Empire with Nero III, followed by Gaius Fonteius Agrippa. Succeeded by Aulus Petronius Lurco, and Aulus Paconius Sabinus as Suffect consuls Categories: Valerii MessallaeAncient Roman patricians1st-century Roman consuls1st-century clergy Marcus Valerius Messalla Corvinus  Article Talk Read Edit View history. Not to be confused with Marcus Valerius M. Corvinus, consul. Marcus Valerius M. Corvinus. A  Roman general, author, and patron of literature and art. The triumph of Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw  Print of the Roman General, made by Hendrick Goltzius. Corvinus was the son of a consul, Marcus Valerius M. Niger, and his wife, Palla. Some dispute his parentage and claim another descendant of Marcus Valerius Corvus to be his father. Valeria, one of his sisters, married Quintus Pedius, a maternal cousin to the Roman emperor Augustus. His great-grandnephew from this marriage is the deaf painter Quintus Pedius. Another sister, also named Valeria married Servius Sulpicius Rufus, a moneyer.  Corvinus marries twice. His first wife is Calpurnia, the daughter of Marco Calpurnio Bibulo. Corvino had two children with Calpurnia: a daughter, Valeria Messalina, who married Titus Statilius Taurus; and a son called Marcus Valerius M. Messallinus, consul. His second son was Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino, consul, who is believed to have been born to a second unknown wife on the basis of the 22-year gap between the consulship of the elder son and the consulship of the second son. The writings of the poet OVIDIO (Ex Ponto) reveal that the second wife of Corvino is a woman called Aurelia Cotta. Another fact supporting the theory that Aurelia Cotta is the mother of Marcus Aurelius Cotta Massimo Messalino is that he was later adopted into the Aurelii Cottae. Corvino is educated partly at Athens, together with ORAZIO and CICERONE. He becomes attached to republican principles, which he never abandones, although he avoids offending GIULIO Cesare or OTTAVIANO by not mentioning them too openly.  He is proscribed, but manages to escape to the camp of BRUTO il giovane and CASSIO. After the Battle of Philippi, he goes over to MARC’ANTONIO, but subsequently transfers his support to OTTAVIANO. Corvino is appointed consul in place of MARC’ANTONIO and takes part in the Battle of Actium. He subsequently holds commands in the East and suppresses the revolt in Gallia Aquitania. For this latter feat, he celebrates a triumph. Corvino restores the road between Tusculum and Alba, and many handsome buildings are due to his initiative. He moves that the title of “pater patriae” be bestowed upon OTTAVIANO. Yet he also resigns from the post of prefect of the city after six days of holding this office because it conflicts with his ideas of constitutionalism. It may have been on this occasion that he utters the phrase (but in Latin) "I am ashamed of my power". His influence on literature, which he encouraged after the manner of Gaius Maecenas, is considerable, and the group of literary personalities whom he gathered around him — including Tibullus, Lygdamus and the poet Sulpicia — has been called "the M. circle". With ORAZIO and TIBULLO he is on intimate terms, and OVIDIO expresses his gratitude to him as the first to notice and encourage his work. The two panegyrics by unknown authors (one printed among the poems of Tibullus as iv. 1; the other included in the Catalepton, the collection of small poems attributed to VIRGILIO) indicate the esteem in which he was held. Corvino IS HIMSELF THE AUTHOR OF VARIOUS WORKS – ALL OF WHICH ARE LOST. They include memoirs of the civil wars after the death of GIULIO CESARE, used by Svetonio and Plutarco; bucolic poems in Greek; translations of Greek speeches; occasional satirical and erotic verses; and essays on the minutiæ of grammar. As an orator, he follows CICERONE instead of the Atticizing school, but his style is affected and artificial. Critics consider him superior to CICERONE, and Tiberio adopts him as a model. He writes a work on the great Roman families, wrongly identified with an extant poem De progenie Augusti Caesaris which bears the name of Corvino, but in fact is a much later production.  Places associated with Corvinus  The so-called Apotheosis of Claudius, the top part of an Augustan-era funerary monument that may once have contained Corvinus' funerary urn. Found in a country villa at Marino once owned by C. Valerius Paulinus, a descendant of Corvinus, it is now in the Museo del Prado in Madrid. Corvinus had a house on the Palatine Hill in Rome that used to belong to Mark Antony before Augustus presented it to Corvinus and Marcus Vipsanius Agrippa. An inscription (CIL = ILS) records Corvinus as the owner of the famed Gardens of Lucullus (Horti Luculliani) located on the Pincian Hill where the Villa Borghese gardens are today.  The Casale Rotondo, a cylindrical tomb near the sixth milestone on the Appian Way, is often identified as being the tomb of Corvinus, but this is debatable. Corvinus is also recorded in an inscription as being one of the three friends of Gaius Cestius responsible for erecting statues that once stood at the site of the famous Pyramid of Cestius which is located close to the Porta San Paolo in Rome.  In 2012, a luxurious villa of Corvinus was found on the via dei Laghi near Ciampino. The finds included seven colossal statues of Niobids that had toppled into the piscina apparently due to an earthquake. Another luxurious villa of Corvinus on the island of Elba was identified as his. It was burnt down. Since its original excavation it was believed to belong to his family since he was a patron of OVIDIO who wrote of his visit to Corvinus's son on Elba before his exile on the Black Sea. Recent excavations below the collapsed building reveal five dolia for wine which are stamped with the Latin inscription "Hermia Va(leri) (M)arci s(ervus)fecit, made by Hermias, slave of Marcus Valerius.  Legendary ancestor of Hungarian royalty  The triumph of Marcus Valerius Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw The Wallachian-Hungarian family of Corvin, which came to prominence with Janos Hunyadi and his son, Matthias Corvinus Hunyadi, King of Hungary and Bohemia, claimed to be descended from Corvinus. This was based on the assertion that he became a big landowner on the Pannonian-Dacian frontiers, the future Hungary and part of Romania, that his descendants continued to live there for the following 1400 years, and that the Hunyadis were his ultimate descendants – for which there is scant if any historical evidence. The connection seems to have been made by Matthias' biographer, the Italian Antonio Bonfini, who was well-versed with the classical Latin authors.  Bonfini also provided the Hunyadis with the epithet Corvinus. This was supposedly due to a case in which the tribune, Marcus Valerius Corvus, while on the battlefield, accepted a challenge to single combat issued to the Romans by a barbarian warrior of great size and strength. Suddenly, a raven flew from a trunk, perched upon his helmet, and began to attack his foe's eyes with its beak so fiercely that the barbarian was blinded and the Roman beat him easily. In memory of this event, Valerius' agnomen Corvinus (from Corvus, "Raven") was interpreted as derived from this event. The Hunyadis called themselves "Corvinus" and had their coins minted displaying a "raven with a ring". This was later taken up in the coat of arms of Polish aristocratic families connected with the Hunyadis, and also led to Marcus Valerius Messalla Corvinus' triumph over the Aquitanians being commemorated in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw.  See also Korwin coat of arms Ślepowron coat of arms References  Jeffreys, Roland. "The date of M.'s death". The Classical Quarterly "Valerius Corvinus". lib.ugent.be.Syme, R., Augustan Aristocracy, Syme, Augustan Aristocracy, Skidmore, Practical Ethics for Roman Gentlemen: The Works of Valerius Maximus, p. Sullivan, Apocolocyntosis, Penguin, Anonymous Panegyric of M.: translation by Postgate. Schröder, Katalog der antiken Skulpturen des Museo del Prado in Madrid. Vol. 2: Idealplastik. Mainz: von Zabern, Cassius Dio The excavator Canina, deduced from a small piece of inscription with the name "Cotta" that the monument had been built by Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus for his father, Marcus Valerius Messalla Corvinus, but this inscription and other architectural fragments are now assumed to have come from a smaller monument at the site, and they may have nothing to do with Corvinus, cf. Grifi, "Sopra la iscrizione antica dell auriga scirto", Diss. del. Acc. Rom., Rome Marcelli, "IV MIGLIO, 14. Casal Rotondo", in: Susanna Le Pera Buranelli et Rita Turchetti, edd., Sulla Via Appia da Roma a Brindisi: le fotografie di Thomas Ashby: Rome: L'Erma di Bretschneider, Papers of the British School at Rome Seven Statues Linked to Ovid Recovered from Roman Pool – Archaeology Magazine". archaeology.org. Retrieved 28 June 2023.  "Ben-Hur villa at risk of demolition in Rome". The Daily Telegraph. London.  Lorenzi, "Excavating an Ancient Villa: Photos". Seeker. This article incorporates text from a publication now in the public domain: Chisholm, Hugh, ed. M. Corvinus, Marcus Valerius". Encyclopædia Britannica. Cambridge Wiese, Berlin, Valeton, Groningen, Fontaine, Versailles, Schulz, De MV aetate; M. in Aquitania, Postgate in Classical Review, Sellar, Roman Poets of the Augustan Age. Horace and the Elegiac Poets, Oxford; the spurious poem ed. by R. Mecenatë. Syme, The Augustan Aristocracy, Clarendon, Political offices Preceded by Gnaeus Domitius Ahenobarbus Gaius Sosius Roman consul with Octavian III Succeeded by Marcus Titius (suffect) Biographie Other IdRef Categories: Roman governors of Syria Roman augurs Romans Ancient Roman generals Patrons of literature Ancient Roman patricians Urban prefects of Rome Valerii Messallae People of the War of Actium. Luigi Speranza, “Grice e Mesalla: L’Orto” – The Swimming-Pool Library. Marco Valerio Messalla Corvino.

 

Grice e Mesarco: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del figlio di Pitagora  – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria The son of Pythagoras. He leads the sect after the death of Aristeo. Mesarco.

 

Grice e Mesibolo: la ragione conversazionale e la scuola di Reggio -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio Calabria, Calabria. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo.

 

Grice e Messere: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale  – l’implicatura di Sileno – la scuola di Torre Santa Susanna -- filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre Santa Susanna). Filosofo italiano. Torre Santa Sussana, Brindisi, Puglia. Ricevuti i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per lo studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi, procuratosi alcuni libri, M. si applicò allo studio della lingua greca, per la quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da qualsiasi reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo, dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che M. partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un personaggio di rilievo nel mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura Greca, che mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università degli studi di Napoli. Tale cattedra  era stata nuovamente istituita  a spese di Giuseppe Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico di M.. Valletta aveva una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo frequentatore della sua casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti, ma anche perché divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe alcuni divenuti celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina, Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo Caraconasio.Il mondo culturale napoletano fu caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico, scientifico, civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla nascita di un numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione aperta e di diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e quella di Medinaceli. Che sia stato memM. bro autorevole di entrambe le accademie e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è testimoniato da non pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così folto seguito di giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati fanatici dell'erudizione i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia, diffusero in Napoli addirittura la moda letteraria della macchietta dello pseudogrecista, satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu anche tra i primi membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina, ove gli fu attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui il Messere e tra i primi iscritti.  L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al M. non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma contribuì alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero poetico e filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla formazione del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di Gregorio Messere fu anche l'amicizia con Valletta, suo allievo. La conoscenza che M ha della filosofia fu ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “Socrate” e quando si riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri tempi”.  Non fu solo un insigne grecista, ma anche un poeta. Compose infatti varij componimenti, tra distici, tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di carattere pastorale. Un suo epigramma è contenuto in una lettera che Canale inviò al Magliabechi. Non mancò di scrivere componimenti di carattere burlesco e giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza della satira e del dialetto alla ricercatezza esasperata della poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti nel volume scritto in occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare sono anche gl’emblemata contenuti nel volume scritto per i funerali di D. Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Vico in occasione dei funerali di due uomini illustri  Tra le tante collaborazioni con letterati del suo tempo, degna di nota è quella che ha con VICO per la pubblicazione di un volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre sono i componimenti contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una Miscellanea dal titolo Vari componimenti in lode dell'eccellentissimo Benavides conte di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in Miscellanee poetico-celebrative, di M. non esistono opere a stampa. E a ciò ne dà spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti.  Le lezioni accademiche di cui si dispone sono quelle che  tenne nell'Accademia istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia, dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla vita di NERVA e una sulla vita di DECIO. Il codice napoletano contiene anche un Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e, nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia napoletana “Sebezia”.  Storia della litteratura italiana  Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli  Le vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine delle generale adunanza da  Crescimbeni, pRoma,  (biografia scritta da Lombardo). Cantillo, Filosofia, poesia e vita civile in M.: un contributo alla storia del pensiero meridionale, Morano, Napoli, Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei documenti,  Edizioni scientifiche italiane, Napoli; Lomonaco, M., la poesia e l'impegno civile tra Gravina e VICO, in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli: Napoli,  Rak, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici.  (regio esim liepiera preso Niccola Gjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filologo Filosofo Namquein Tore diliuramnemlá iTera d Ohrante nel mio Mori in Nlapoli. Ebbe per convincenti indizj, co di Gregorio la sospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di, laddove impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio, stessolostndio non conosceva neppur lo avanti, che inbreve con tanta sollecitudine però,e sn tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza, l'erudizione esi renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli seçe meritamente occupare. la catte be  i suoi natali in un mediocre luogo della Regione de' Salentini, oggi Terra d'Otranto, detto la Torre di S. Susanna, discosta da Brindisi intorno a miglia dodici.Suoi genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta e civil condizione. M., comechè non proveduto nella sua primiera età di sufficienti maestri, seppe col proprio suo ingegno, e colla sua mente, velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della filosofia delle mattemati che in buona parte, della Teologia, della Storia Ecclesiastica e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline l'onesto diletto della poesia e della musica, e tanto in questa ando avanti, che giunse a cantar con lode la parte di basso. M., tutto che si fosse dedicato al Sacerdozio, gl'intervenne una disgrazia, la quale fieramente l o travaglio. S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e nobilpersonag-: gio,enefudipariamorericambiato. Il padre di lei, avutone sentore, lo fece assalir da due sgherri, I quali si accompagnavano con M., ilquale go dea il favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase trucidato I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo Caraconessin,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degl’Arcadi illustri P. 1Scrive a richiesta degli amici sonetti, madrigali ed epigrammi nell'una e nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude. Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste poesie furon da lui recitate nella dotta adunanza che CERDA, allora vice-rè di Napoli, tenenel Regal Palazzo. E certamentefuscia gura, dra di greco linguaggio nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù correre a folla alle sue lezioni, e zione,che non solamente I giovanetti,ma puranche crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di letteraria coltura, a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della greca sapienza congiungeva M. quello delle scienze più sublimi ; perciò i più doiti scienziati che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano Lionardo di Capoa, Francesco d'Andrea, Buragna e tanti altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il quale par la di lui con somina laude nella sua opera Iter Ita licum ;e moltissimi presso de'quali e il suo nome in somma estimazione. Il suo verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare, e sempre ridondante di greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in questo genere tranne lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che avrebbe poluto egli dire con ALIGHIERI: O voice avete gl’ntelletti sani. Il suo modo di comporre era quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e varie poesie dettò in istile boschereccio e pastorale. Molto però egli valse nel verseggiare giocoso, ed in quella spezie di poesia, già inventata da Folengio, il quale si dice Coccai, che volgarmente maccheronica vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e generoso Si gnore, seco portate avesse, con le altre cose i c o m ponimenti di quella dotta brigata, e che Gregorio non ne avesse gl’originali serbati, e non ne rima nesser che pochi in mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual novello Socrate ad istruire la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e la scienza della greca favella, la quale è detto brac cio destro della buona letteratura, poco cura le sue cose, e poco ambi di rendersi per le stampe famoso. Dilettavasi egli infatti più della sostanza che dell  و, e più d'istruire la gioventù S!11 renza della dottrina erudizione. diosa, che di far pompa di lussureggiante арра Le virtù cristiane e socievoli di M.  pareg giarono la sua erudizione e la sua dottrina. Era el FILOSOFO e religioso al tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed affabile senza ombra di bassezza o di poca digni tà,sprezzatore grandissimodellericchezze, tal che pel noto fallimento del banco dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate fatiche erasi acquistato, uimase in una fredda in differenza, motteggiando giocosamente come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli nella morte di tre nipoti per sorella Biagio, Giovan Batista e Capozzeli, giovinetti di grandi speranze i due primi nella medicina,ed il terzo nella legalfacoltà, da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto, dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza, talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine dell'uomo, e narrasi, che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno aperto, per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano, ritrovan dosi ogli con un amico, lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti discesovi, sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle pareti, e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase questo è il luogo che dee a me toccare? Somme lodi son queste certamente per M., il quale nato essendo nel mezzo della magna Grecia, nell'antica patria degl’Architi, degl’Aristosseni,degl’Ennj, de'Pacuvj, e intendentissimo non meno della grea, della latina e della Italiana poesia, che della più saggia FILOSOFIA, la quale insegna non pur colle parole, ma col sobrio onorato Con grandissimocordoglio di tutti gliamatori delle buone lettere, preso di ac cidente apopletico passò a miglior vita,e fu sepellito nella detta Cappella del Pontano, siccome in vita avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedove Ο Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI. Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι il Socrate de’suoi tempi, e datuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che mosse invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na zionali,iquali,passando per Napoli,vollero vederlo ed ascoliarlo. Siccome abbiamo accennato,aluisideve in buona parte il risorgimento delle buore lettere della greca dottrina, per tanti ragguar spezialmente che si formarono sotto la sua di. devolissimi letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed alla nostra riconoscenza. Nel no vero de’suoi discepoli furono i Biscardi, Gennaro d'Andrea, i Calopresi, i Gravina, i Majelli, i Cirilli, i Capassi, gl’Egizi, e tanti altri lumi della n o stra letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no minare . tal ragione e di miserevoli bisognosi, a quali questo uomo incomparabile in ogni maniera di virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo della sua vita soperchia. va. Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri della R. U. non che ragguarde volissimi personaggi. Uno di costoro già suo scolaredi nobilissimo tegnaggio, insigne per lettere e per la scienza della pittura e dell'architettura,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in greco ed in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. SALENTINO IN GRAECA LINGVA AD SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. Quantunque non abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti.  pe di M. Torre di S. Susanna, luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli ha buon diritto che di lui si parli in Gregorio Messo nella ro edaltriGreci st'opera. La disgrazia avvenutagli que di dover soffri re,sebbene innocente una lunga prigionia to di omicidio, lo determinò Greca, e così felicemente venir riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di Napoli, e il Mabillon nel suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido, che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepoli non poche persone per coltura e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano Gennaro di Andrea, il Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito, il Gravina, il perciò della Greca Letteratura congiunse na del poetare, e conobbe le altre scienze con gran vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca della sua morte accaduta ordine di persone il compianse . ogni funerali i Professori ai suoi, ed, ed ebbe onorata s e per sospet a studiare la lingua vi riuscì, che meritò di poi anche alla erudizione lave dei giovani che con zelo ed istruiva ed educava alle lettere ed alla insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le sue cristiane virtù, m a specialmente una carità generosa giunsero a tale,che appellavasi novello S o . Intervennero tutti della R. Università altri ragguardevoli poltura nella cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo con iscrizione Greca e Latina da un del suo composta (2). personaggi della Greca e r u Fu egli ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran conessio. Biografia degli Uom. ill. del Regno di Napoli. Allorchè si aprì il concorso per la cattedra di lingua greca. Grice: “When they called Messere ‘Socrate’ I hope they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” – Gregorio Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates, Socrate Sileno, Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”.

 

Grice e Messimeri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Seminara -- filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Seminara). Filosofo italiano. Seminara, Reggio Calabria, Calabria. Grice: “He was of a noble family – he was into the free market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi (Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano.  Francesco Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici, in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli. Nella capitale napoletana M. fu raggiunto dal fratello minore Francescantonio, fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, frequenta le lezioni di economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, M. ha modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi.  Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra  François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra, esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne. Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole, con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere, specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale. L'imprenditore Vecchio frantojo ligure dismesso M. si impegna a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue innovazioni con un'opera  edita con una dedica a Beccadelli, marchese della Sambuca. Si dedicò più tardi alla produzione della seta. M., che inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla "piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle manifatture e del commercio.  Il politico  Sir John Acton La riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza dopo la carestia. Una delle proposte più importanti di M. fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto.   Filangieri Grazie alla notorietà raggiunta con i suoi saggi M. fu nominato dal primo ministro Acton assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese"; la scuola, diretta da M., ebbe un certo successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Pinelli e trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi: “Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla” (Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia” (Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani,  V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi, Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo, Cosenza: LPE,  Istruzioni sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli da M. patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Orsini, a spese di Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli); “Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto da M., Napoli: Porcelli); Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto da M.,  patrizio genovese” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione di M., e l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli” (Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera apparve anonima ed è attribuita a M. da Melzi, Note bibliografiche del fu Melzi, edite per cura di un bibliofilo milanese con altre notizie,  H-R, Milano: Bernardoni) Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli: Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di M. e Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Magistero. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma: Istituto dell'Enciclopedia, Basile, «Un illuminista calabrese: M. da Seminara, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,  Reggio Cal., Morello,  Romeo, Alcune precisazioni su M. un riformatore Calabrese, in "Historica", Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Luciano, M. e la Calabria, Salerno, Carucci. M. la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily enough?” --   -- Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia della città e Regno di Napoli, inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo scritto l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di Messina viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV investì Carlo I d'Angiò del Regno di Napoli:  «Papa Clemente IV, il quale investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice, Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo successero che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono, chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi, ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re i quali furono Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno sic avuto il dominio d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si chiamasse Sicilia.»  La stessa tesi è sostenuta da Giannone nella sua Istoria civile del Regno di Napoli, in cui si citano vari stralci della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana». In un altro passo la bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex utriusque Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi. Marchese Domenico Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature, economia olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Metello: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A Roman general and politician. A pupil of Carneade. Quinto Cecilio Metello Numidico. Metello.

 

Grice e Metopo: la ragione conversazionale della diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. Cited by Stobeo – He writes a treatise on virtue [VIRTUS, ANDREIA] which survives. Giamblico lists him as a Pythagorean.

 

Grice e Metrodoro: la ragione conversazionale degl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorean and son of Epicharmo, cited by Giamblico.

 

Grice e Metronace: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale nella scuola di Napoli – Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Metronace. Porch.A popular teacher of philosophy at Napoli, where Seneca attended some of his lectures.

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