Grice e Caramella: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale degl’eroi di Vico – scuola di
Genova – filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana – Caritone
e Melanippo -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Genova). Filosofo genovese. Filosofo
ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice:”I like
Caramella – like me, he is into the metaphysics of conversation! And he reminds
me that I should re-read Vico!” -- Grice:
“I like Caramella; he prefaced Fichte’s influential tract on ‘la filosofia
della massoneria’ – but also wrote on more orthodox subjects like Kant,
Cartesio, Bergson, and most of them!” – Grice: “Like me, he thought truth is
found in conversation!” Ancora al liceo, comincia a collaborare con Gobetti,
il quale gli affida la trattazione della filosofia su “Energie Nove”. Dopo un
primo contatto con PGobetti e La Rivoluzione liberale, su segnalazione di
questi, entra in collaborazione con Radice, da cui apprese le dottrine del
neo-idealismo di Croce e Gentile. Dopo la laurea, insegna a Genova. Per le sue
idee antifasciste fu arrestato e rinchiuso prima nelle carceri di Marassi a
Genova, e poi fu trasferito a San Vittore a Milano; fu scarcerato, ma venne
sospeso dall'insegnamento e dalla libera docenza. Ottenne, per intercessione di
Croce, l'incarico di filosofia a Messina. Vinse la cattedra a Catania. Prese
parte ai convegni organizzati dalla Scuola di mistica fascista Insegna a Palermo, ereditando la cattedra che
era stata di Gentile. Il suo allievo principale, che ne cura il lascito, è Armetta,
docente alla Pontifica Facoltà Teologica di Sicilia. La sua vasta cultura, gli permise di vedere
la continuità della filosofia antica romana classica e e, nell'ambito della
filosofia italiana, l'unità delle opposte dialettiche nella legge vivente dello
spirito e nel dinamismo della natura e della storia. Apprezzato storico della
filosofia. La sua filosofia si può definire un neo-idealismo crociano e
gentiliano, ma reinterpretatto alla luce dello spiritualismo. La sua filosofia
supera lo storicismo e la dottrina crociana degli opposti e dei distinti, e si
esprime nell'interpretazione della pratica come eticità storica.. La religione
e la teosofia rappresentano la possibilità dello spirito attento da un lato alla
concretezza dell'uomo e dall'altro all'ineffabilità. Lo spirito, anziché
risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il
progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione dello
spirito ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferito una distinta
funzione teoretica. Altre opere: “Problemi
e sistemi della filosofia, Messina); “Religione, teosofia e filosofia”; “Logica
e Fisica” (Roma); “La filosofia di Plotino e il neoplatonismo” Catania);
Ideologia”; “Metafisica, filosofia dell'esperienza”; “Metalogica, filosofia
dell'esperienza” (Catania); “Autocritica, in: Filosofi italiani contemporanei,
M.F. Sciacca, Milano); “L'Enciclopedia di Hegel, Padova); “La filosofia dello
Stato nel Risorgimento, Napoli); “Introduzione a Kant, Palermo); “Conoscenza e
metafisica, Palermo); “La mia prospettiva etica, Palermo); “Carteggio con Croce.
Carteggio. La dialettica del vero e del certo nella "metafisica
vichiana" di C., in Miscellanea di scritti filosofici in memoria di
Caramella, Palermo. Ontologia storico-dialettica di C..Lo spirito nella
filosofia di C..C.. La verità in dialogo. Carteggio con Radice.Dizionario
biografico degli italiani. Il linguaggio come auto-analisi. 2 C., La cultura
ligure nell’alto Medioevo, in II Comune di Genova, La recente Vita d
i Bruno, con documenti e inediti 1, in cui Vincenzo Spampanato lia potuto
finalmente sintetizzare oltre vent’anni di ricerche bruniane, mi suggerisce
l’opportunità di un breve eenno sul soggiorno del filosofo nella n o s tra
regione, così sulla base di quanto lo Spampanato ha messo novamente in luce
come su quella delle antiche notizie da lui rinfrescate. Cel resto l’unica
seria esposizione dei fatti che stiamo per narrare era, prima delle dotte
pagine dello Spampanato, nella biografia del Berti2: ma sommaria e imprecisa
per molti rispetti. Arrivò il Bruno in Genova poco prima della domenica delle
Palme, nell’anno in cui la festa cadeva il 15 aprile? Cont raria m en te al
parere del Berti, il quale sostiene non essere capace di prova che il filosofo
sia entrato nella nostra città, dobb iam o infatti tener presente una scena del
Candelaio dove tino dei protagonisti giura, entrando in scena, sulla «
benedetta coda dell’asino, che adorano i Genoesi’3 », e il passo correlativo
dello Spaccio d e lla B e stia trio n fa n te, che dice proprio così: « Ho
visto io i religiosi di Castello in Genova mostrar per breve tempo e far
baciare la velata coda, dicendo: non toccate, baciate: questa è la santa reliquia
di quella benedetta asina che fu fatta degna di portar il nostro Dio dal monte
Oliveto a Jerosolina. Adoratela, baciatela, -porgete limosina: Centum
accipietis, et vita aeternam possidebitis». I « religiosi di Castello» sono, è
evidente, i Domenicani di Santa Maria di Castello, dove uffiziavano: e la
preziosa reliquia doveva certo esser mostrata 1 Messina, Principato, Vedi, per
l’argomento di questa com unicazione, Torino, Paravia, ed. Spampanato (Bari,
Laterza), ed. Gentile (Dial. morali di G. B.), Quetifet Echard, S c rip t. ord.
praed., t. il, p. in. Società Ligure di Storia Patria - al p opolo nella
precisa circostanza della commemorazione del giorno in cui Gesù discese
trionfante su ll’asina a Gerusalemme 1. Il Bruno veniva da Roma, um ile fu
ggiasco. A v ev a avu to notizia che il processo istruttorio p endente presso
l’inquisizione, per i sospetti di erodossia avanzati contro di lui, non
annunziava buon esito: e così, deposto l’ abito, si diresse verso la valle
Padana. Più tardi raccontò egli stesso, ai giudici di V enezia, di essere
andato subito a N oli. Ma è prob abile c h e la peste, da cui quella plaga fu
proprio in quel torno di rem po violentemente aiflitta, lo abbia genericam ente
con sigliato a v o lgersi verto la Liguria, contrada m eno infetta, o non
ancora raggiunta dal contagio, e a fermarsi alm eno qualche giorno a Genova. Le
sarcastiche espressioni dello Spaccio ci fanno im m aginare agevolmente il
Bruno là sulla piazzetta della vetusta ch iesa romanica, pieno l’animo non già
di ammirazione estetica perla caratteristica facciata o per gli ornamenti
molteplici dell’ interno, eh’ è tutto un m usaico di con q uiste orientali, - e
tanto meno di interesse psicologico e religioso per la folla affluente ed
effluente dal tempio, - ma di cruccio e disdegno: lui da poco a ccostatosi alle
nuove idee dei riformatori oltremontani, lui per questo costretto a fuggire di
patria e dall’ am ato convento napoletano di San Domenico Maggiore, dove gli
allievi p endevano dalla sua parola, dottamente teologizzante. La peste arrivò
presto, anzi subito, anche a Genova; a Milano l’ ambasciatore veneto Ottaviano
di Mazi ne aveva già n o tizia tre giorni dapo il 15 aprile, il m ercoledì
santo 2. E allora il Bruno, com e ci attestano, questa volta, più veracem ente,
le sue note dichiarazioni ai giudici veneti, se ne andò a N oli. Forse il
ricordo dantesco, che per lui u m anista p oteva con tar qualche cosa, e la
simiglianza del nom e con quello della sua Nola; forse la persistente libertà
della piccola repubblica, e anche, chissà, qualche lettera di raccomandazione,
qualche c o n siglio di amico lo spinsero in quel tranquillo rifugio, l’
unico veramente tranquillo per lui nella storia delie sue lunghe
peregrinazioni. « Andai a Noli, territorio genoese, d ove m i intrattenni
quattro o cinque mesi a insegnar la gram m atica a’ putti ». « Io 1 Per la
storia d ella re liqu ia v. Imbriani, Natanar II in Propu gnatore, Vili, M utin
elli, Storia arcana ed aneddotica d’Italia, Società Ligure di Storia Patria -
biblioteca digitale - stetti in Noli circa quattro o cinque mesi, insegnando la
grammatica a’ figliuoli e leggendo la Sfera o certi gentiluomini...1 ». Lo
Spampanato, per ragioni di coerenza con ulteriori dati biografici, pensa che il
soggiorno sia durato un po’ più di quattro mesi. Comunque, le occupazioni del
Nolano a Noli sono ben chiare: l’ esule cercava di trar qualche mezzo di vita
con lezioncine private. Ma anche « leggeva la Sfera a certi gentiluomini »: la
Sfera, cioè il famoso trattato di Giovanni da Sacroboseo, professore alla
Sorbona e monaco domenicano quasi contemporaneo di Dante: che si soleva
considerare come perfetta e sintetica esposizione di una teoria
fisico-geometrica fondamentale per l’astronomia tolemaica, (la teoria delle
sfere celesti), e che Γ insinuarsi dell’ ipotesi copernicana aveva, nella
seconda metà del Cinquecento, rimesso in gran voga2. Persino a Noli era dunque
penetrato il novello interesse del secolo per i problemi astronomici; perfino a
Noli alcuni giovani signori sentivano il bisogn o di stipendiare un povero
erudito piovuto di lontano perchè spiegasse loro il sistema del mondo. E il
Bruno cominciava di quia occuparsi direttamente di quelle indagini che fur o n
o oggetto delle polemiche da lui sostenute in Inghilterra e che formano
l’argomento della Cena delle Ceneri. Non possiamo n atu ralm e n te sapere (a
meno che venissero fuori i quaderni di queste sue legioni liguri) s’ egli già a
Noli professasse la dottrina copernicana, servendosi della Sfera per criticare
il sistema tolem aico: o invece, come il Galilei ne’ suoi corsi allo Studio di
Padova, si limitasse all’illustrazione del classico libretto. Un sacerdote
napoletano, anzi padre Iazzarista, Raffaele de Martinis, che p otè consultare
gli atti del Santo Uffizio, asserisce nella sua biografia del Bruno che a
questi fu intentato in Vercelli un processo (che sarebbe il quarto dopo i primi
due di Napoli 1 Docc. veneti, vili, c. 8 r-v. (SPAMPANATO). Vedi A. Pellizzar i,
Il quadrivio nel Rinascimento (Genova, Perrella). Bruno (Napoli). Ma cfr.
Amabile, in Atti Acc. Scienze mor. e politiche di Napoli n.; espampanato (e
anche Tocco in Arch. fiir Gesch. der P h ilo s., Bonghi, ne La Cultura, Gentile,
Bruno e il pensiero del Rinascimento, [Firenze, Vallecchi Società Ligure di
Storia Patria - e il terzo di Roma) «
dalla Inquisizione dello Repubblica g e n o vese»: ma dell’asserzione
importantissima (secondo la quale si potrebbe proprio pensare aver il Bruno
palesato ancora una volta la sua eterodossia nell’insegnamento di Noli) il De Martinis
non dà, e confessa di non aver potuto trovare, le prove. E la notizia non pare
affatto fondata, posto che manca ogni riferimento a questo processo genovese
nei posteriori documenti processuali di Venezia, e di Roma dove pur dovrebbe
trovarsi, posto che a Vercelli non ci consta che il Bruno facesse soggiorno (nè
quindi l’inquisizione genovese avrebbe avuto ragione alcuna di perseguirvelo).
« Eppoi me partii de là [da Noli] ed andai prima a Savona, dove stetti circa
quindeci giorni; e da Savona a Turino, dove non trovando trattenimento a mia
satisfazione venni a Venezia per il Po1 ». Da Venezia, di lì a due mesi, a
Padova; da Padova a Brescia, Bergamo, Milano. Qui rivestì l’ abito, e poi per
Buffalora, Novara, Vercelli, Chivasso, Torino, Susa arrivò alla Novalesa, sotto
il Cenisio. Un giorno ancora e fu in Francia, oltre monti, lanciato per la gran
carraia della Sua fortuna. Troverà onori, trionfi accademici, soddisfazioni di
filosofo e di scrittore; ma la queta pace di Noli, mai più. C. 1 Docc. veti.,
c. 8La Logica di Porto Reale. Con Prefazione del Prof. Santino... Storia del
pensiero e del gusto letterario in Italia ad uso dei licei. La scuola di
mistica fascista e la discoperta del vero VICO L'azione combinata della
storiografia al bianchetto e della credulità strisciante fra le righe del
conformismo teologico, ha fatto sparire la notizia della sfida al neoidealismo,
che fu lanciata dalle avanguardie cattoliche inquadrate nella scuola milanese
di mistica fascista. In tal modo la memoria storica degli italiani è stata
privata della nozione necessaria a contrastare seriamente l'ideologia
totalitaria e ad avviare gli studi filosofici su un cammino di ricerca opposto
a quello tracciato dall'intossicante influsso del gramscismo. Un percorso,
quella anticipato dalla scuola di mistica fascista, che avrebbe messo capo ad
un'evoluzione del Novecento - un'autentica rivoluzione italiana - di segno
contrario al coatto e calamitoso trasferimento (narrato da Zangrandi) degli
intellettuali fascisti nel partito di Togliatti. L'accertata esistenza di una
forte opposizione cattolica alla filosofia di matrice hegeliana, comunque, fa
crollare i due pilastri della mistificazione comunista: la leggenda della
complicità cattolica con l'ideologia anticomunista prevalente in Germania -
leggenda sintetizzata dal calunnioso slogan «Pio XII papa di Hitler» - e la
rappresentazione degli intellettuali italiani nella figura di un coacervo
nazifascista, redento in extremis dalla longanimità del partito staliniano. La
vicenda degli oppositori italiani all'idealismo rivela, invece, l'autonomia, la
straordinaria vitalità e l'attitudine del pensiero cattolico ad entusiasmare ed
orientare i giovani studiosi, che avevano aderito al fascismo senza separarsi
dalla radice religiosa della patria italiana. Curiosamente, l'autorità del
pensiero cattolico si rafforzò nella prima fase della II guerra mondiale,
quando la Germania nazionalsocialista sembrava avviata a vincere la guerra.
Dopo che il governo italiano ebbe sottoscritto l'alleanza con la Germania, il
dubbio si era, infatti, diffuso fra i giovani, causando la divisione dell'area
fascista in due opposte scuole di pensiero: una corrente maggioritaria, intesa
a metter fine al dominio della cultura tedesca e perciò risoluta a percorrere
la via d'uscita indicata dalla tradizione cattolica, e una corrente
minoritaria, rimasta fedele ai princìpi dell'idealismo e perciò decisa a
seguire le avanguardie germaniche sulla via del fanatismo e dell'estremismo
anticristiano. Espressione del fermento in atto durante quegli anni cruciali è
un magnifico saggio di Tripodi, interprete delle novità introdotte nella scuola
milanese di mistica fascista da Schuster e dal fondatore dell'Università
cattolica del Sacro Cuore, il francescano Gemelli (confronta «Il pensiero
politico di Vico e la dottrina del fascismo», Milani). Tripodi, grazie ad una
profonda conoscenza della filosofia italiana tentò un audace confronto tra lo
storicismo cristiano di VICO e la dottrina politica di MUSSOLINI. L'affinità
del fascismo e della scienza nuova, nell'acuta analisi di Tripodi, non è
causata dalle letture (Mussolini, infatti, non cita mai Vico) ma dalla comune
tendenza a riconoscere che «maestra non è la mente di questo o quell'uomo che
razionalmente pone un principio, ma la storia delle attività di tutti gli
uomini che si svolgono come debbono svolgersi perché provvidenzialmente si
compia la socialità che ad esse è intrinseca». La scelta di Tripodi cade su
Vico poiché «fu perenne nel suo spirito la distinzione tra la sostanza divina e
quella delle creature, tra l'essenza o ragion di essere di Dio e quella delle
cose create, come fu perenne ed inequivocabile la inintelligibilità di Dio se
ricercata nel mondo bruto della natura anziché in quello della storia, nella
quale la Provvidenza si manifesta, chiamando gli uomini a collaboratori della
divinità». Pubblicato e presto rimosso dalla censura di sinistra e
dall'indifferenza di destra, il saggio di Tripodi raccoglie e approfondisce i
risultati delle ricerche iniziate da quegli studiosi cattolici (nel testo sono
citati Chiocchetti, Vecchio, Amerio, Gemelli, Olgiati, C., Orestano, Carlini e
Giuliano) che avevano sostenuto l'irriducibilità della tradizione italiana alla
filosofia tedesca, confutando le tesi di Croce e di Gentile su VICO precursore
dell'idealismo. Tripodi afferma, ad esempio, che il pensiero fascista, per
quanto concerne l'ontologia, «ha sempre creduto nella finitezza dell'umano,
riconoscendo che esiste una parete invalicabile, sulla quale lo spirito umano
non può scrivere che una sola parola, Dio» mentre gli idealisti, convinti di
sfondare quella parete, «hanno spiegato la dottrina fascista attraverso il
monismo soggettivista o le dimostrazioni immanentistiche, falsando così gli
inequivocabili atteggiamenti dualistici di essa». Di qui il ribaltamento
della linea neoidealista e la scelta dello storicismo cristiano di VICO quale
orizzonte filosofico della tradizione vivente in Italia malgrado gli apparenti
successi della modernità: «La stessa barriera che Vico oppone, in nome della
genuinità del pensiero italiano al razionalismo, la oppone il fascismo
all'idealismo. Né GENTILE, né CROCE, anche se il primo ha la camicia nera e
cercò di darla al secondo pongono gli estremi della nostra dottrina». Tripodi
indica in VICO l'antagonista dell'irrealismo e del soggettivismo dominanti
nell'età moderna: «Vico non può essere idealista perché la sua filosofia
impugna Cartesio e fa impugnare in Kant gli iniziatori delle dottrine,
costruite unicamente su di una realtà interiore». La filosofia vichiana,
inoltre, è apprezzata perché rivendica la responsabilità dell'azione umana nei
fatti della storia «che altre indagini speculative avevano invece interpretato
o come involuti in una meccanica autonoma e materiale o come creazione ideale
definita dal pensiero che l'aveva posta. La coscienza delle proprie virtù
creatrici della storia non deve però indurre l'uomo a dimenticare che la causa
prima di esse sta al di fuori della sua singolarità terrena. E non al di fuori
perché affidata al caso o al fato, ma perché contenuta nella volontà di Dio e
rappresentata nella linea tracciata dalla sua divina
provvidenza». L'invito a separare il destino dell'Italia fascista dalle
chimere del razionalismo e dalle suggestioni dell'attivismo prometeico e
dell'amor fati, non poteva essere formulato con maggiore chiarezza. Nelle
penetranti tesi formulate da Tripodi è in qualche modo anticipato lo schema
della strategia culturale elaborata, nel dopoguerra, dai pensatori
dell'avanguardia cattolica (Vecchio, Petruzzellis, Sciacca, Noce, Tejada,
Montano, Grisi, Torti) che nella filosofia di VICO vedranno lo strumento adatto
a contrastare e battere i poteri dell'astrazione hegeliana trasferita, intanto,
nella parodia inscenata dal gramscismo. La posta in gioco era la corretta
impostazione della dottrina del diritto naturale, in ultima analisi la
soluzione del problema riguardante il rapporto tra la giustizia ideale e le
cangianti leggi che i popoli producono nel corso della loro storia. Dagli
scritti giuridici di Vico, Tripodi trasse una indicazione che gli permise di
risolvere il problema senza nulla concedere alle dottrine storicistiche
contemplanti un pensiero dell'assoluto che evolve nel tempo: «esiste non una
separazione ma una diversa gradazione d'intensità etica tra giustizia e
diritto. La prima è un diritto naturale soprastorico, che è patrimonio
universale e depositario del sommo vero. Il secondo è dato dall'insieme delle
norme che il mondo delle nazioni partitamente elabora nel suo progressivo avvicinamento
alla giustizia». Di qui l'indicazione di due altri motivi del consenso fascista
alla scienza nuova: il fermo rifiuto delle astrazioni suggerite dal
contrattualismo e la confutazione delle teorie utilitaristiche, che ritengono
l'interesse materiale unica molla delle azioni umane. Nella definizione
del comune fondamento della teoria dello Stato, Tripodi sostiene, pertanto, che
nel pensiero di Vico come in quello di Mussolini la Provvidenza fa prevalere la
solidarietà sull'istinto egoistico: «la provvidenza ha il suo più alto
attributo nel senso della socialità che perennemente richiama agli uomini,
facendo loro vincere il senso egoistico per cui vorrebbero tutto l'utile per se
e niuna parte per lo compagno». Tripodi conclude il suo ragionamento affermando
che «l'unitario ordine di idee nel quale relativamente alla concezione dello
Stato si muovono la dottrina vichiana e quella fascista» è dimostrato dalla
condivisione del fine soprannaturale: «l'uomo trova nello Stato
l'organizzazione storica che gli consente di realizzare quei principi morali
conferitigli dalla divinità e con ciò di assolvere alla sua stessa funzione
trascendente di uomo». E' evidente che l'identificazione della dottrina
fascista con la filosofia vichiana era, per Tripodi, un mezzo usato al fine
rafforzare la convinzione sulla necessità, imposta dai dubbi destati
dall'alleanza con il nazionalsocialismo, di rompere con la cultura prevalente
in Germania e di condurre all'approdo cattolico le vere ragioni dell'ideologia
fascista. E' però incontestabile che le tesi di Tripodi erano un ottimo
strumento per estinguere l'ipoteca che la filosofia tedesca aveva acceso sulla
cultura italiana. Non a caso, nel dopoguerra, Tripodi occupò un posto di prima
fila nel gruppo degli intellettuali dell'INSPE (Vecchio, Costamagna, Ottaviano,
Marzio, Teodorani, Volpe, Sottochiesa, Tricoli, Siena, Grammatico, Rasi)
l'istituto che progettava la trasformazione del MSI di Arturo Michelini in
avanguardia di una moderna e rigorosa destra cattolica. L'attenzione prestata
da Pio XII all'evoluzione del MSI in conformità alle tesi di Tripodi, aprivano
le porte del futuro alla destra. Il congresso del MSI, che doveva tenersi a
Genova, doveva, infatti, approvare in via definitiva la lungimirante linea
culturale e politica di Tripodi, mandando a vuoto i progetti dell'oligarchia
favorevole all'apertura a sinistra. Purtroppo la tollerata (dai democristiani)
violenza della piazza comunista impedì lo svolgimento di quel congresso,
respingendo il MSI nel sottosuolo dionisiaco del pensiero moderno e nelle
magiche grotte del tradizionalismo spurio. La lunga immersione nell'area
dell'indigenza filosofica impoverì a tal punto la cultura di destra che, quando
la discesa in campo di Berlusconi offrì un'altra occasione all'inserimento
nella politica di governo, la classe dirigente del MSI, ottusa dalla retorica
almirantiana ed espropriata dal pensiero neodestro, non seppe produrre altro
che le esangui e rachitiche tesi di Fiuggi. Nato a Genova da Eleucadio e
da Delfò, segui gli studi classici nella città natale. Ancora liceale, cominciò
a collaborare a Energie nuove di Gobetti, con il quale aveva preso contatto
epistolare, dicendosi lettore entusiasta del periodico e seguace della dottrina
filosofica crociana. Il Gobetti, ormai orientato verso interessi più
specificamente politici, affidò al giovane C. la trattazione sulla rivista dei
temi filosofici. Su segnalazione di GOBETTI (si veda), Radice comincia ad
accogliere i suoi scritti su L'Educazione nazionale. In linea con
l'orientamento pedagogico idealistico del Lombardo Radice, fin dall'inizio
degli anni Venti il C. prese le distanze dal positivismo pedagogico con un
contributo (Studi sul positivismo pedagogico, Firenze), nato proprio da un
suggerimento del pedagogista siciliano che glielo aveva proposto come tema di
studio. È qui osteggiato un pensiero ispirato agli schemi
dell'evoluzionismo deterministico e del positivismo scientifico; in particolare
e avversato il meccanicismo naturalistico biologicoevolutivo (Spencer e
Ardigò), cui viene opposta la concezione umanistica dell'educazione di un
Angiulli, di un Siciliani, di un Gabelli. Un'idea di fondo anima le critiche
del C.: è inutile ogni speculazione teoretica che non sappia apportare nuove
indicazioni pedagogiche per il miglioramento delle condizioni di vita umana,
sociale e pratica. Nello stesso orizzonte critico degli Studi si muovono
Le scuole di Lenin (Firenze), La pedagogia di Gioberti e la Guida bibliografica
della pedagogia, specialmente italiana e recente , che faceva seguito alla
Bibliografia ragionata della pedagogia (Milano) scritta in collaborazione con
Radice. Nutrito di idee democratiche, che gli facevano ritenere
inadeguato per l'obiettivo della costruzione di una "nuova Italia" il
vecchio quadro politico postunitario, il C. si impegnò politicamente
partecipando alla costituzione a Genova di un gruppo democratico di sinistra,
che aveva tra i leader Codignola. Collaborò sia all'Arduo, sia al quotidiano
socialriformista Il Lavoro. In particolare, tipico dei gruppo di
pedagogisti che, in certo qual modo, si ponevano nell'ambito del pensiero
gentiliano (verso cui anche il C. veniva avvicinandosi sulla scia del Lombardo
Radice, sia pure su posizioni autonome), è il tema dell'educazione come
strumento di realizzazione di una coscienza democratico-nazionale. Da qui,
anche per l'influsso delle idee gobettiane, l'attenta considerazione di quanto
veniva fatto in quel campo in Unione Sovietica, all'indomani della rivoluzione
bolscevica. In Le scuole di Lenin l'ammirazione con cui il C. guardava al piano
scolastico educativo diretto da Lunačarskij era determinata in concreto dalla
considerazione che si trattava di una rivoluzione culturale unica nella storia
dell'umanitàl tesa all'elevazione delle classi inferiori per farle partecipare
alla guida della società; la critica più forte, propria della formazione
laico-democratica del C., stava nella denuncia del carattere dogmatico delle
idee del Lunačarskij, quando questi sosteneva che la sua scuola del lavoro non
era disgiungibile dal sistema sociale comunista e dal controllo politico del
partito. Conseguita la laurea in filosofia, ottenne presso l'università di
Genova la libera docenza in storia della filosofia e vinse il concorso per le
grandi sedi per la cattedra di filosofia, pedagogia ed economia negli istituti
magistrali, ottenendo come sede Genova. Frattanto la collaborazione con
Gobetti, che più che un sodalizio intellettuale aveva costituito un formativo
comune impegno politico-sociale all'insegna del programma di democrazia
liberale, lo portò in breve tempo allo scontro con il fascismo ormai
trionfante. è la diffida dei prefetto di
Torino contro la Rivoluzione liberale (alla quale il C. collabora) e i suoi
redattori. La conferma di questo impegno politico e intellettuale, il C. la
offrì ulteriormente curando la pubblicazione postuma di Risorgimento senza eroi
(Torino) del Gobetti e continuando a far uscire IlBaretti, pur orientando la
rivista sempre più verso temi letterari e filosofici onde evitare scontri
ancora più aspri con il regime. Nel 1926, grazie al Croce, che ormai era
divenuto per lui - come per tanti altri antifascisti - "maestro di
libertà", assunse la direzione della collana "Scrittori
d'Italia" edita da Laterza. Nel maggio di quell'anno fu costretto a
rinunciare alla collaborazione all'Enciclopedia Italiana, a cui era stato
invitato dal Gentile, per gli atttacchi mossigli dalla stampa di regime.
Il dissenso dalla politica del fascismo ne provoco l'arresto; rinchiuso prima
nelle carceri. di Marassi a Genova e quindi trasferito a S. Vittore a Milano,
fu scarcerato. Venne sospeso dall'insegnamento e dalla libera docenza. Le
accuse - come si legge in una lettera al Croce (in Il Dialogo) - erano tra
l'altro di aver collaborato "al giornale socialistoide-democratico Il
Lavoro" di Genova e di aver avuto rapporti con l'associazione antifascista
Giovane Italia, insomma di essere "in una condizione di incompatibilità
con le direttive generali del governo". Scagionato anche grazie
all'intervento del Croce, il C. fu riammesso all'insegnamento e la libera
docenza gli fu restituita con d. m. Venne però destinato all'istituto
magistrale di Messina, dove prese servizio. Dall'ottobre di quell'anno
ottenne l'incarico di filosofia e storia della filosofia e di pedagogia presso
il magistero dell'università di Messina. Mantenne questi incarichi finché vincitore
di più concorsi, fu chiamato a coprire la cattedra di pedagogia nell'università
di Catania. Passa alla cattedra di filosofia teoretica, conseguendo
l'ordinariato. Furono questi anni di studio intenso. Pur nel crocianesimo
di base, si intravvede in Religione, teosofia, filosofia (Messina) e in Senso
comune. Teoria e pratica (Bari) lo sforzo di plasmare un proprio e originale
impianto teoretico. In dialogo con i principali pensatori dell'idealismo
tedesco e italiano, il C. si misura particolarmente con la crociana logica dei
distinti. L'indagine si muove sul terreno dell'attività teoretico-pratica dello
Spirito. Particolarmente Religione, teosofia, filosofia rappresenta questo
tentativo compiuto dal C. per una revisione del sistema idealistico: vi è fatta
emergere l'esigenza di un pensiero spirituale più attento da una parte alla
concretezza dell'uomo e dall'altra alla ineffabilità di Dio. Perseguendo tale
assunto, nella ricerca di un ordine della verità oltre la logica e la nozione
di storia del Croce, il C. ripercorre in Senso comune le tappe storiche del
pensiero occidentale, ricostruendo la genesi della dualità dello Spirito nella
filosofia greca e poi seguendola nel suo sviluppo e nel suo problematicizzarsi
nel pensiero moderno. La concezione della filosofia come educazione e storia,
la stretta connessione tra la filosofia e la sua storia pongono il C.
medianamente tra Croce e Gentile, e tuttavia nel senso di una sicura
indipendenza dal loro pensiero. La sua posizione teoretica può essere così
schematizzata: la teoresi è fondamentalmente caratterizzata dalla dialettica
dei distinti, mentre la prassi genera lo scontro tra gli opposti; la sintesi
dei distinti non è un tertium quid da essi distinto, ma consiste nella loro
stessa inscindibile relazione. La loro circolarità consente, come riaffermerà
in Ideologia (Catania), di guardare alla pratica come alla realizzazione della
teoria, così che si può parlare e di un finalismo teoretico della pratica e di
un finalismo pratico della teoria. All'approfondimento critico dei
neoidealismo italiano, il C. affianca l'approfondimento del rapporto tra ricerca
filosofica e fede religiosa. Egli mantiene costante il dialogo tra filosofia,
scienza e fede nelle trattazioni della piena maturità: Ideologia (Catania),
Metalogica: filosofia dell'esperienza, Metafisica vichiana (Palermo), in cui è
auspicata la possibilità della sopravvivenza del problema metafisico
nell'orizzonte di una metafisica rinnovata, Conoscenza e metafisica. In
quest'ultima opera è affrontato il rapporto verità-conoscere, con l'intento di
delimitare i confini del sapere scientifico e di affermare razionalmente la
capacità di intelligere la realtà della rivelazione. Qui la religione, anziché
risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il
progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione della
religione ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferita una distinta
funzione teoretica. La piena adesione del C. allo spiritualismo cristiano,
dunque, fa si che sia elusa la riduzione della filosofia a metodologia, senza
dover rinunciare alla fondamentale esigenza di criticità, e che l'interesse si
concentri su quelle istanze spiritualistiche, invero in lui presenti dagli anni
giovanili sia come atteggiamento di vita - lo si evince dalle Lettere dal
carcere - sia come ricerca originale di pensiero. In tal senso, l'adesione allo
spiritualismo cristiano va dunque letta più nella prospettiva della continuità,
dinamica e perciò trasformantesi e trasformante, che in quella della
svolta. Durante la sua lunga e proficua attività accademica, il C.
ricoprì numerose cariche, tra cui quella di preside della facoltà di lettere e
filosofia dell'università di Catania; fu presidente di sezione del British
Council di Catania e presidente di sezione della Società filosofica italiana a
Catania e a Palermo; fu anche presidente di sezione dell'Associazione
pedagogica italiana. A Palermo si era stabilito definitivamente allorché venne
chiamato prima alla cattedra di pedagogia e poi a quella di filosofia teoretica
presso la facoltà di lettere e filosofia. Il C. morì a Palermo. Opere:
Per un elenco completo si rinvia a Bibliografia degli scritti di C., a cura di
T. Caramella, in Miscellanea di studi filosofici in memoria di C. (Atti
dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo), Palermo. Oltre alle opere
citate ci limitiamo a ricordare qui: Bergson, Milano; Antologia vichiana,
Messina, Breve storia della pedagogia, La filosofia di Plotino e il
neoplatonismo, Catania; Autocritica, in Filosofi italiani contemporanei, a cura
di Sciacca, Milano L'Enciclopedia di Hegel, Padova; La filosofia dello Stato
nel Risorgimento, Napoli; Introduzione a Kant, Palermo La pedagogia tedesca in
Italia, Roma; Pedagogia. Saggio di voci nuove, Fonti e Bibl.: Roma, Arch.
centrale dello Stato, Casellario politico centrale, Per l'epistolario del C.
contributi in: Lettere dal carcere di C., in Giornale di metafisica, Carteggio
con Croce e Gobetti, in Il Dialogo, Carteggio Radice-C., a cura di T.
Caramella, Genova. Vedi inoltre: M.F. Sciacca, Profilo di C., in Annali della
facoltà di magistero della università di Palermo, Di Vona, Religione e filosofia nel pensiero
giovanile di C., Conigliaro, Verità e dialogo nel pensiero di C., in Il
Dialogo, Guzzo, C., in Filosofia, Sciacca, Il pensiero di C., in Atti
dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo, Sofia, Il dialogo di S. C.
con gli uomini d'oggi, in Labor, Cafaro, Commemoraz. di C., in Nuova Riv.
pedagogica, Piovani, La dialettica del vero e del certo nella "metafisica
vichiana" di C., in Miscellanea di scritti filosofici in memoria di C.,
Palermo Ganci, C., Raschini, Commemoraz. del prof. S. C., in Giornale di
metafisica, Brancato, C.: senso fine e significato della storia, Trapani; V.
Mathieu, Filosofia contemporanea, Firenze; P. Prini, La ontologia
storico-dialettica di C., in Theorein, Pareyson, Inizi e caratteri del pensiero
di C., in Giornale di metafisica, Corselli, La vita dello spirito nella
filosofia di C., in Labor, Raschini, Storiografia e metafisica nella
interpretazione vichiana di C., in Filosofia oggi; M. Corselli, La figura di
C., in Labor, Sciacca, C. filosofo, pedagogista, educatore, in Pegaso. Annali
della facoltà di magistero della università di Palermo. δικά , ώς φησιν
Ηρακλείδης ο Ποντικός εν τω περί
Ερωτικών. ούτοι Φανέντες επιβουλεύοντες Φαλάριδί, Chariton& Melanippus και
βασανιζόμενοι αναγκαζόμενοί τε λέγειν τους συν- confpirant ειδότας,ουμόνονουκατείπον, αλλά καιτονΦάλα-
adν.Ρhala ριν αυτόν είς έλεον ' των βασάνων ήγαγον , ως α π ο λύσαι αυτουςπολλά
επαινέσαντα. διοκαιοΑπόλ. λων, ησθείς επί τούτοις, αναβολην του θανάτου το
Φαλάριδίέχαρίσατο, τούτο έμφήνας τουςπυν θανομέ νουςτης Πυθία ςόπωςαυτόεπιθώνται
έχρησέτεκαι cπερί των αμφί τον Χαρίτωνα, προτάξας του εξαμέ τρου το
πεντάμετρον, καθάπερ ύστερον και Διονύσιος 'Αθηναίος εποίησεν, ο επικληθεις
Χαλκους, εν τοις Έλεγείοις. έστιδεοχρησμόςόδε ετε -- Ευδαίμων Χαρίτων και
Μελάνιππος έφυ, θείαςαγητηρες έφαμερίοις φιλότατος. 1 Perperamέλαιονms. Εp. &
moxα πολαύσαι1ns. A.proαπολύσαι. α> 737 Σ 2 Alibi άγητήρες. 2 amasius, ut
ait Heraclides Ponticus in libro de Amatoriis. Hi igitur deprehensi insidias
ftruxisse Phalaridi & tormentis subiecti quo coniuratos denunciare coge
rentur, non modo non denunciarunt, fed etiam Phala rin ipsum ad misericordiam
tormentorum commoverunt , ut plurimum collaudatos dimitteret. Quare etiam
Apollo, delectatusfacto, moram mortisindullit Phalaridi, hoc ipsum declarans
his qui ipsum de ratione, qua tyran num adgrederentur, consuluerunt: atque et iamde
Charitone et Melanippo oraculum edidit, in quo pentame ter praepofitus
hexametro erat; quemadmodum etiam poftea Dionysius Athenienfis, isqui Aeneuseft
cognomi natus , in Elegiis fecit. Erat autem oraculum hocce Felix &
Chariton & Melanippus erat, mortalium genti auctores coeleftis amoris. Santino
Caramella. Keywords: il culto dell’eroe, gl’eroi, il culto degl’eroi, Niso ed
Eurialo, Nicodemo, gl’eroi di Vico, “la verita in dialogo”, soggetto,
intersoggetivita, lo spirito oggetivo, spiriti intersoggetivi, Apollo su
Nicodemo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caramella” – The Swimming-Pool
Library.
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