Grice e Cardano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del Pietro della Lombardia – scuola di Lumellogno – filosofia lombarda – filosofia novarese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Lumellogno). Filosofo lombardo. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Lumellogno, Novara, Piemonte. lombardia -- Grice: “If William was called Ockham, I should be called Harborne, and Petrus Lombardia!” -- Pietro Lombardo rappresentato in una miniatura a decorazione di una littera notabilior di un manoscritto Pietro Lombardo o Pier Lombardo (Lumellogno di Novara, 1100Parigi, 1160 circa) teologo e vescovo italiano. Nacque a Novara o nei dintorni (a Lumellogno esiste una lapide su di una casa che risorda il luogo della nascita), all'inizio del XII secolo. Ricevette la sua prima formazione teologica a Bologna, dove acquisì una perfetta conoscenza del Decretum Gratiani. Si recò a Reims e poi a Parigi, dove fino alla sua elevazione alla sede vescovile di questa città insegnò teologia. Almeno una volta in questo periodo si recò alla corte pontificia, dove venne a conoscenza della traduzione del De fide orthodoxa di Giovanni Damasceno, compiuta da Burgundio Pisano per incarico di Eugenio III. Quasi certamente è uno dei teologi che nel sinodo parigino presero posizione contro Porretano. Dopo un breve episcopato morì. Il suo epitaffio si conservò nella chiesa di Saint Marcel fino alla Rivoluzione francese. ALIGHIERI (si veda) lo nomina in Paradiso. Oltre ai commenti all'opera di Paolo di Tarso e ai Salmi, la sua opera maggiore rimane il Liber Sententiarum (Libro delle Sentenze), per la quale ottenne l'appellativo di Magister Sententiarum. Sebbene il testo rientri in un genere letterario tipico della teologia medievale, ossia l'esposizione delle sentenze delle autorità di fede (i padri della chiesa ed i riferimenti biblici) l'opera del Lombardo, per l'ampiezza delle fonti e la sua originalità, diverrà il testo di riferimento per la didattica nelle facoltà di teologia e l'elaborazione letteraria nello stesso campo. Egli infatti attinge ad una vasta letteratura in merito, adottando anche testi che normalmente non erano contemplati in queste composizioni, come Il De fide ortodoxa di Damasceno. Con la sua opera il Lombardo tenta di sistematizzare e armonizzare la disparità e le divergenze che la pluralità delle auctoritates aveva generato, dando luogo ad un certo scompiglio ermeneutico e dottrinale. Riprendendo la classica distinzione agostiniana tra signa e res, Lombardo afferma che il motivo delle divergenze non appartiene alla natura delle cose trattate, bensì alla metodologia esegetica. Il testo si divide in quattro parti: la prima tratta di Dio, della sua natura e dei suoi attributi; la seconda delle creazione degli angeli, del mondo e dell'uomo sino al peccato originale; la terza dell'incarnazione cristica e della promessa della Grazia; la quarta dei sacramenti. Anche lo sviluppo del testo mantiene la distinzione tra res (le prime tre parti) e signa (l'ultima) Lo stile del Lombardo snoda l'esposizione delle sentenze coll'eleganza dialettica di tipo anselmiano mantenendosi aderente al rispetto delle varie auctoritates anche riguardo o stile letterario col quale egli opera una volontaria mimesi. Il testo venne criticato sin dalla sua prima uscita per via del cosiddetto nichilismo cristologico. Lombardo descrive infatti l'incarnazione nei termini di assumptus homo, ossia la persona divina del Cristo avrebbe assunto una natura umana (accessoriamente). Ciò contrastava con la determinazione di origine boeziana per la quale la natura cristologica traeva la sua forma da un sinolo unico di divino ed umano. Note Per approfondimenti vedere: Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, II, pag.30 e seg. Novara, Istituto Geografico de Agostini, per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I contenuti di questo volume sono tratti da: Abbagnano, Storia della filosofia, Torino, Pomba, e Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Pomba 1998) Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, II, pag. 37 e seg. Novara, Istituto Geografico de Agostini, 2006 per Gruppo Editoriale l'Espresso, Roma (I contenuti di questo volume sono tratti da: Nicola Abbagnano, Storia della filosofia I, II, III, quarta edizione, Torino, Pomba, e Abbagnano, Dizionario di Filosofia, terza edizione aggiornata ed ampliata da Giovanni Fornero, Torino, Pomba); Colish, C., Leiden, Brill; C. Atti del Convegno: Todi, Spoleto, Fondazione Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, Minuscule 714il manoscritto del Nuovo Testamento e di "Sententiae". Libri Quattuor Sententiarum Scolastica (filosofia) C. su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pelster, Pietro Lombardo, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., su Enciclopedia Britannica, Siri, C. in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia; C., openMLOL, Horizons Unlimited, C., Les Archives de littérature du Moyen Âge; C. Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Rovighi, C., in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C., Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina con indici analitici.Chisholm, C., in Enciclopedia Britannica, Cambridge; Illustrare 'k iSlosofia di C. finora casi trascurata dagli' storici della filosofia è im lavoro del tutto nuovo spedialmente per lltalia. Protois affe!rim»a decisamente che C. non è un filosofo, Thaureau ch'egli è il principe degl’indifferenti in materia fìlosofica. Entrambe le asserzioni sono affrettate. Solo in Germania C. venne studiato con maggior serietà e con particolare attenzione! Kogel pubblica a Lipsia una monografia su C. Questa però parve confusa ed inesatta ad Espenberger che intraprese un studio acuratissimo della filosofia di C. e della posizione sua nel Beitràge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalter diretti da BàumJcer e Herttìng. Di tale pubblicazione mi servii in special modo [Notre auteur ne fui donc pas un philosophe.] De la philosophie scolastique — Paris, [Cesi lui qua notes reconnaissons corame le chef des indiffèrents en matière de philosophie. C. in s. Stellung z. Phil. d. Mittelal, Leipzig. Die philosophie des C. und ihre Stellung im vwblften Jahrhundert. Aschendorffschen Milnster] per questi miei appunti sulla filosofìa di C. sebbene mi pervenisse al momento di stenderli e troppo lardi per farne Fesaane minuto che essa si merita. Poiché è veramente questo il primo saggio che si occupa con severa e profonda indagine critioa della filosofia del Maestro delle Sentenze. L'autore dimostra una profonda conoscenza delle opere patristiche e delle scritture sacre colle quali esercita opportuni raffronti. Egli non si è poi solo limitato all'esame del Libro delle Sentenze, ma ha giustamente esteso le sue indagini alle altre opere meno conosciute di C. e pure ricche di impvortanti digressioni filosofiche, quali il Commentano o Gloessa dei Salmi detto anche Salterio, ed i Commentarli alle Epistole di S. Paolo. Solo non ha tenuto conto dei Sermoni che sottio tra le cose più interessanti se non più belle del Sentenz.iario, pur nel severo giudizio di Hanreau e Bourgain, di cui Protois ha tratto dai mss. degli utili estratti mentre se ne trova l'intero testo con poche varianti nelle Opere Omnia del vescovo Ildeberto. Essi sono utili per completare la figura intellettuale di C. Del quale a questo punto ripeleremo le parole: sed terrei immensitas laboris. In verità quantunque grande sia la nostra buona volontà non ci dissimuliamo la vastità del lavoro intrapreso : onde lo restringeremo entro i limiti a noi concessi, raffigurandoci un poco a quello spigolatore che move fidente sulle orme dei più abili mietitori pago di fare un piccolo fascio delle spighe dimenticate. HAUREàU Not. et Extr. t. Ili p. 49. BouBGAiN. La chaire firancaisc au XII siede Paris, cfr. FjsBitT (La faculiè de Theol.). I Padri della Chiesa iniziarono la filosofia oristiana, ma in forma espositiva, avendo ripugnanza a sottopome troppo minute dimostrazioni le verità rivelate. È secondo il pensiero di Gregorio una profanazione fassoggettare il verbo divino ALLE REGOLE DI DONATO. Ma quando, prima chei si diffondessero per tutta Europa le opere di Aristotile, si attese a studiare con amore i libri dell’Organum tradotti da BOEZIO, si accede quella tendenza già iniziata nei secoli antecedenti a fortificare il dogma col sillogismo e l'autorità della ragione. Da questo connubio della teologia colla dialettica del LIZIO nasce la scolastica la quale se ha i suoi precursoiri nei primi secoli del cristianesimo non riconosce i suoi veri fondatori che nel secolo di Abelardo e di C. Essa nasceva per una necessità di rendere più conformei la fede al sapere più progredito. E se da una parte non cessa di fiorire la .scuola dei mistici con Bernardo e gli Ai tempi di Abelardo e di C. non si possede altro d'Aristotile che la logica, cioè ciò che si chiama l'Organum e comprende: le Categorie coll'introduzione di Porfirio, l'Ermeneutica, gl’Analitici, i Topici, la Sofistica nella traduzione di Boezio, (Cousm — Fragments philosophiques Paris) abati Ugo e Riccardo di S. Vittore, da un'altra il mal compresso bisogno di libertà di pensiero apre la via ad interminabili dispute quali giungevano talvolta ad intaccare il dogma, come accadde per Abelardo. C. apparve come moderatore tra le due opposte tendenze: la mistica e la speculativa, e valendosi dello stesso metodo dialettico usato dagli avversarti eerli si propose di dimostrare come le apparenti contraddizioni che si rileivano nelle Scritture sacre e patristiche rischi'arate dalla ragione riconducono a rinvigorire maggiormente te verità della fede. C. però nel Prologo delle Sentenze si scaglia contro coloro qui non rationi voluntatem suhiiciunt, che la ragion sommettono al talento, traduce ALIGHIERI, e vogliono fare credere per verità, i sogni di lor mente inferma. Qui non irationi voluntatem subiiciunt, nec doctrinae studium impendunt, sed his quae somniarunt sapientiae verba coaptare nituntiu, non veri sed placiti etiam sectantes. C. è dunque tenuto dallo stesso compito che egli si era pronosto, cioè di dimostrare cHte nelle scritture sacre non v'ha vera sconcordanza e che ogni ragionamento umano si riduce in ultima analisi a dimostrarne la veracità assoluta, a non imporra egli stesso nuove e diverse dottrine le auala lo avrebbero condotto fuori della sua serena imparzialità. Se ciò si possa chiamare indifferentismo io non so, poiché il Maestro delle Sentenze non sdegna di entrare e di approfondirsi nelle più minute distinzioni e controversite fìlosofìche, cosi care ai suoi tempi, sforzandosi con passione di ricavarne le verità da lui srià piresupposte. Nella sua umiltà che diventò poi lefir-srendaria esrli preferisce lasciar la parola affli altri, a Gerolamo, ad Ambrogio, e specialmente ad Agostino che è il stio autore preferito come quello che suipera tutti srli altri padri per profondità di vedute e copia d’argomenti nelle questioni fondamentali del dogma. Ma non è vero che il Maestro rimanga empire nascosto e non ap- [Questi ultimi conobbero oltre Aristotile anche Platone a cui sembrano dare la preferenza e non furono del tutto stranieri alle vedute dei neoplatonici. V. Bòbba La dottrina dell’intelletto in Aristotile e nei 8140Ì pie illustri commentatori; paia di tratto in tratto a mostrarci la via da seguire, per non perderci nel djedalo inestricabile delle questioni. JJei «resto i più che hanno parlato di C. si sono aoconlentati di scorrere i libri delle Sentenze: non hanno letto i suoi lunghi e lucidi Commentarii alle Epistole di Paolo, e neppure quelli ai Salmi che egli riunì sotto il titolo sintetico di Psaterium, nom^ i sjuoì ispirati Sermoni che si trovano manoscritti alla Biblioteca Nazionale di Parigi, e stampati tra quelli del vescovo Ildeberlo. In tutte queste opere C. non è solo un puro e disadorno espositore di dottrine. Certamente il Maestro va considerato precipuamente mei suo saggio delle Sentenze, il quale lormò testo nelle scuole ed è letto e commentato più della Bibbia mentre le altre opere vennero più presto dimenticate. Ma anche qui se egli non espone dottrine nuove, ha però il merito grande e riconosciuto da tutti gli storici della filosofia di distribuirle con metodo razionale, cosi che esse ricevevano lume le une dalle altre. Metodo già sperimentato con altro intento d’Abelardo, ma dal Nostro condotto a singolare perfezione. Egli slesso sull'autorità d’Agostino, espone l’ordine col quale si deve disputare. (Sent.): Gaeterum, ut in primo libro de Trinitate Augustinus docet, primo secundum auctoritates Sanctarum Scripturanim utrum fides ita ee habeat demonstrandum est. Deinde adversus gamilos ratiocinatores elaliores magis quam capaciores, rationibus catholicis et similitudinibus congniis ad defensdonem et assertioneim fidei utendum est; ut eorum inquisitionibus satisf<icientes, mansuetos plenius instruamus et illi si nequiverunt invenire quod quaerunt, de suis menlibus polius quam de ipsa veritate vel de nostra assertione conquerantur. . Il Deniflb in Carivi, Univer. Paris IntrodttcHo Methodus Abaelardi in IHo etiam opere quod in schoh's Theologiae per aliquot saecula adhibebatur usurpata est, dicimus Sententias Magistri C.Per queste come per le altre numerose citazioni delle opere di C. ci serviamo della Patrologia dil Migne, Paris. Fu in apecia»! modo ai metodo da mi usato che si deve J'eaiorme diffusione del libro delle Sentenze nelle scuole. Esso nel mentre veniva a soddisfare la naturiate curiosità del conoscere ed a dare la spiegazione di molte credenze poneva dei limiti alla libertà del raziocinio. Ma vienne sempre lasciato un cantuccio alle discussioni intermmabili sulle questioni minori, dalla risoluzione delle quali in un senso o in un altro poco aveva a soffrirne l'ortodossia. yui si esercitavano le intelligenze, inquisitionibus satisfacientes, SMANIOSE DI SOTTILIZARE e di sillogizzare, con tanta maggior sicurezza, quanto minore era il pericolo di intaccare la fede. Lo stesso C. nel suo saggio non si trattiene dal diffondersi nell'esame di questioni che a noi sembrano del tutto FUTILI e vane come quelle ad esempio che riguardano la natura degli angeli. E non è raro anche il caso che le lasci insolute. Cosi nel libro I, laddove domanda perchè mentre amare è lo stesso che essere, si dice che il Padre ed il Figliuolo non sono in essenza costituiti dell’amore col quale si amaaio scambievolmente, CONFESSA MODESTAMENTE CHE LA QUESTIONE GLI SEMBRA TROPPO DIFFICILE e che egli si propone più di riportare le dottrine dei Padri che di accrescerle: Diffìcile mihi fateor hanc quaesti onem, praecipue cum ex praedictis oriatur quaei siniilem videntur habere rationem quod meaei intelligentiae attendens infirmitas turbatur, cupiens magis ea dictis sanctorum referre. Il De Vulf, Hist, de la phil. Medievale, Louvain, come il Dknefle da un troppo reciso apprezzamento. Ces sinthèses thèologiquea, dont la premiere idee semble appartenir à Abelardo ètaient appellées a un succès immense. Il faut en chercher le secret dans le besoins de la classification et d' orgànisation qu^on eprouvait devant la masse des materiaux rassemblès, bien plus que dans l’originante de ceux qui ont appose leur signature a ce travail de mise en oeuvre. Cosicché il libro fatto per conciliare ogni controversia sembrò sortire l'effetto contrario. Erasmits in Mattaei I, iP (cit. Da Fabricius, Bib. m. aevi) e Siquidem apparet illum hoc egisse ut semel collectis quae ad rem pertinpbant, questiones omnes excluderet. Sed ea res in diversum exiit. Videmus enim ex eo opere nunquam fìnìendarum quaestionum non exanima sed maria prorupisse. Flettrt, Hist eccl. Paris] ri quam uff erre >k E limsce col coaicmiDa^e. Eam tameu quaestionjeon leolorum ddligentiae plenius dijudicandam atque absolvendam ireiiinquimus ad hoc minus sufficientes. Perciò l'opera del Sentenziario ha un intento assai modesto, né presume di sciogliere ogni dubbio e di dirimere ogni questione. Qui il Maestro risentei della scuola di Abelardo il quale (nel trattato Sic et non riconosceva ai pastori il diritto di emendare le opere dei dottori della Chaesa (Migne) « Hoc et ipsi eccleisiastici dactores attendentes et nonnulla in suis operibus corri- genda esse credentes posteris suis emendaindi vel non se- quendi licentiam concesserunt ». E il nostro C. così dice di sé : (Sent. in prol.): In hoc aulem tractatu, non solum pium leolorem, sed etiam correctionem desidero, maxime ubi prolunda versatur veritatis quaestio, quae utinam tot haberet inventores quot habet contradictores ! » Il libro delle Sentenze dove così riuscire più accetto giacché il giogo del dogma era imposto alla libera riflessione del pensiero con assai più illuminata larghezza che non fosse abitudine del passato. Tanto che parve a più d'uno dei suoi contemporanei la sua dottrina pericolosa e Giovanni di Goimovaglia potè chiamarlo uno dei quattro labirinti della teologia ponendolo allo stesso livello di Gi- jDerto Porretano, Pietro di Podtiers, Abelardo. Scopo di C. è di fare un trattato che risparmiasse al lettore tempo e fatica. È per rispetto ai suoi tempi un volgarizzatore della scienza teologica dispersa ne^ libri canonici e negli scritti malagevoli dei Padri e incompiutamente contenuta nei libri di Abelardo, PuUeyn, Ugo di S. Vittore. Egli compila una specie di Enciclopedia teologica ove il lettore avesse a trovare senza sforzo tutto quanto gli facesse al ciaso. Però avverte nel Prologo. « JNon igitur debet hic labor cuiquam pigro vel multum docto videri superfluus, cum multis impigris multisque indoctìs, inter quos etiam et mihi, sàt necessarius: brevi volumine complicans Patrum sentias, appositis eonim te- stimoniis ut non sit necesse quaerenti librorum numero- sitatem evolvere, cui brevitas quod quaeiritur oBert sine labore». E cosi nel distribuire la materia egli seguì un nuovo ordine sistematico e compiuto non seguito né da Ugo di S. Vittore, né da Roberto PuUeyn, né da Abelardo {Am quali pure trasse assai dalle sue doltrine) e pose a ciascun ca- pitolo un titolo per facilitare le ricerche (Sani, in prol.) Ut autem quod quaeritur facilius oc- currat, titulos quibus singnlarum capitula dislingumitur praemisimus. Relijiiooe e scieoza. Giovanni Scoto Erigena afferma che la teologia e la filosofia sono una sola e una medesima scienza (1). Ma giustamente si poa&ono fare a questo punto delle riserve perché la scuola e la chiesa si accodano nel dire che l'ordine della ifede non é Tordine della jnagione e che sia pei filosofi come per i teologi vi sono dei limita al proprio dominio. Con lutto ciò la ragione e la fede non riusdroTio mai a vivere completamente separate. Ed a torto credano alcuni che si cominciò propriamente dalla scolastica a coffiy ciliare colla scienza la religione. Anche ai primi Padri della Chiesa piacque di giovarsi di entrambe e Clemente Dragone, Agostino, sono nello stesso tempo filosofi e teologi. L'opposizione alla filosofìa come indegna di essere applicata ai veri divini, non fu più propria e peculiare dell'età patristica che della scolastica, le quali non sono già in opposizione, ma Funa é naturale svolgimento del- l'altra. Questo sforzo di comporre il dissidio ira Taulo- rità e la speculazione filosofica si continuò per tutta i se^ coli fino al nostro SERBATI che parlando dell età dei Padri e dei Dottotti scrive. L'uomo allora sentiva altamente che la teologia non era divisa da luii, e che, sebbene ella travalicasse, per l'origine e la sostanza, i limiti della natura, passava dal ragionevole al rivelato, quasi ascendendo da un palco in* (1) De praedestinatione (Collection de Mangin). Coniicitur inde veram esse philosophiam veram religionem, conversimque veram religionem esse veram philosophiam, cit. in Coasin Cours de la phU, I p. 344. feriare ad un altro superiore dello slesso palagio delia mente, con un solo disegno da Dio fabbricatogli. La teologia in quell'età era senza contrasto la conduttrice e la custode di tutte le altre scienze, la signora delle opinioni. Chi avrebbe allora pensato che sarebbe venuto un altro tempo in cui alcuni pensassero doversd la teologia dividere interamente dalla FILOSOFIA? Vediamo ora in quale rapporto si tirovassero le verità teosofiche colle verità filosofiche nel pensiero di Lombardo. Il Maestro si attiene in massima alle parole d’Agostino (sup. Joan). Credimus ut cognoscamus, non cognoscimus ut credamus. E nella distinzione XXII del libro III, là dove esaminia si Christus in morte fuit homo, e risponde che benché Pietro morì come uomo, tuttavia era in morte Dio ed uomo, non mortale e non immortale, e tuttavia vero uomo, dice a coloro che voglioo io troppo sotìsticare sulla ragione di ciò. Illae enim et Jiujusmodi argutiae in creaturis locum habent sed fidei sacramentum a philosophicis est liber. linde Ambrosius (De. fide): Aufer argiimenta, ubi fides guaeritur. In ipsis gymnasìis suis dam dialectica taceat, piscatoribus creditur, non diaileoticis. Ma questa fede da pescatori però, C. aggiuge più oltre, non è cosa a noi lutto affatto estranea, peirchè essa non può essere di ciò che l'animo ignora. E qui egli sente rinllusso del misticismo del suo- protettore. Bernardo e dei Vittorini che primi lo accolsero a Parigi (Sent. Ili dist.). Cum fides sit ex auditu non modo exteriori sed etiam interiori, non potest esse de eo quod animo ignoratur. Ancora è necessario fare con Agostino una distinlone. Alcune cose non sono intese se prima non si credono. Ma è pure vero che alcune cose non si possono credere se prima non sono intese, come la fede in Dio che [Opere edite ed inedite di SERBATI Introd. alla Filosofia Casale Tip. Casuccio p« 48 sgg. Per maggiori notizie sul tei- smo degli scolastici vedi : ERCOLE (si veda), Il teismo filosofico cristiano Torino Pbantl - Geschicte d. Logik] viene dalla predicazione, e queste pai per la fede intendono di più. Uoc. cil.). Ex his apparet quaedam intelligi aliquando etiam antequam credanlur al nunc eliam per tldem ampiius intelligìintur linde colligdtur quaedam non credi nisi prius intelligantur et ipsa per fidem ampiius inleJlegi. Quanto poi alle cose che mima sono credute che comprese esse non sd ignorano ael lutto perchè anche si amano (Sen.). Nec ea quae prius creduntur penitus ignorantur tamen ex parte, quia non sciumtur. Creditur ergo quod ignoratur non penitus sdcut etiam amatur, quod ignoratur. Pensiero ripetuto in AQUINO ed in ALIGHIERI. In conclusione C. si libra Ira un misticismo ed un razionalismo temperato non sfuggendo alla contraddizione, ma affronlaaidola. Il suo concetto è quello che informa in gran parte il cattolicismo. La fede non distrugge la ragione ma al contrario le da ali più potenli per sollevarsi. Ed è in questo senso che bisogna mtendere le parole d’Agostino: Intellectum ualde cana, e quelle d’Anselmo: Fides quaerens intellectum. Principia rerum inquirenda sunt prius ut earum notitia plenior haberì possi t. (Prol. in Collectanea). Dell’arti e delle scienza del trivio e del quadrivio, secondo la celebre classificazione data da Marciano Capella e riprodotta da BRIUZI e da Isidoro, LA DIALETTICA ovverosia la logica che da principio parve una scienza preparatoria avente per ogge'tio più le parole che le cose, acquistò nelle scuole un tale sviluppo che fini col proporsà i più alti problemi metafisici e diventare la prima delle scienze. Tra questi problemi, il più importante, anzi il fondamentale che sembra raggruppare sotto di sé tutti gl’altri, ed agitò potentemente l'età di cui parliamo, è il problema degl’universali, quale LA FILOSOFIA si è posto innanzi in tutti i tempi. Protois scrive che la questione degl’universali ha a suo autore Roiscelino. Ma ciò è per lo meno detto male. Già Aristotele nel LIZIO si è posto innanzi il problema nelle “Categorie” ed in molti altri suoi libri; e nella prefazione della Isagoge di Porfirio tradotta da BOEZIO, esso è pure [Haurbaux — De la philosophie scoi. Paris] enuniciato, ma non risolto, parendo esso al commeintatore d’Aristotele di troppo grave importanza. Ecco le parole Ui Porfirio. M Cosi tralascierò di dire SE I GENERI E LE SPECIA SUSSISTONO o sono soltanto e puramente nei pensieii, se come bUSbisleaiti sono corporei od incorpoi'ei, se sono fuori oppure entro le cose seìusibili e con esse coeistenti: essendo troppo grave una tale impresa e rictiiedendo maggiori ricerctxe Porfirio divide cosi il problema nelle sue III questioni fondamentali e iu in tal modo che esso è segnalato ai primi scolastici. I I generi e le specie sussistono per sé o consistono semplicemente in puri pensieri ? II Come sussistenti, sono essi corporei od mcorporei ? Ed infine: III sono essi separati dagl’oggetti sensibili o sono contenuti negli oggetti stessi formando con essi qualche cosa di coesistente? A ragione Porfirio reputa queste questioni di somma difficoltà. Perchè comunque vi si risponda si è condotti nell'alto mare della speculazione, ed ognuna di esse sembra pod risolversi nelle suprema questione della quaile tutte dipendono : Che cosa è l’essere? JNuUa di più naturale che gli scolastici inoltrandosi a disputare di un tale argomento con molto ardire ed acutezza d mgegno, ma non con pari preparazione filosofica sollevassero infinite e tempestose discussioni che molto spesso non approdavano ad alcun risultato. Tre furono le scuole principaU che si avviarono ad una diversa soluzione del problema: quella dei REALISTI, dei NOMINALISTI, dei CONCETTUALISTI. Il nome di realisti è dato a coloro che affermano che i generi e le specie -- gli universali insomma -- sono una realtà sostanziale, una vera entità distinta dall’altre. NOMINALISTI sono detti coloro che negano la realtà di questi universali, e li ritenevano come semplici concezioni astratte del soggetto ricondotte ad una idea comime per mezzo della comparazione. Ma poiché questa conclusione, dovendo ammettere che tutto ciò che v'ha di comune non è ohe im suono, un nome vuoto di significato, flatus vocis, porta alla negazione di ogni scienza, sorsero i CONCETTUALISTI i quali aggiungeno che un tale suono, im tal nome rappresenta un pensiero, un concetto il quale proviene dalla somiglianza delle cose diverse: il che non è sostanziale ma è percepito dall’intelligenza umana come inerente a una natura individualmente deiterminata. Dopo che Scoto porta agl;estremi il realismo, venne Roscelino che parve dirigere la dottrina del nominalismo contro lo stesso dogma sollevando un grave scalpore nelle scuole. Poiché, se nulla esiste che non sia individuale, il dogma del divino, uno in tre persone vienne dalla ragione ricalzato nelle sue basi. È bensì un errore l'uso stesso d’armi dialettiche prò e contro i misteri della fede, perchè l'ordine della fede non è quello della ragione, ma d'altra parte è un errore rimediabile. Ed a difesa della realtà univereale si leva AOSTA (si veda), prima abate di Bec in Normandia poi arcivescovo di Cantorberv e Guglielmo di Chamoeaux, il fiero avversario d’Abelardo. Ed è quella del primo propriamente un realismo mistico, quello del secondo un realismo scientifico. Abelardo poi è il capo riconosciuto, a volte vincitore, a volle vinto, del CONCETTUALISMO, col anale si possono trovare molti riscontri nella filosofìa moderna. Quale dove essere l'opinione dei Dottori della Chiesa in tanto contrasto di idee? Evidentemente nessuna delle suesposte- se e quando lo notevano. I realisti confondeno le cose con la generalità delle idee, i concettualisti negano il reale fondamento delle idee universali, i nominalisti le idee stesse. I dottori non possono appartenere a nessuna di queste dottrine pericolose. Essi doveno essere tratti a trovare un criterio conciliativo, né ciò è diffìcile, secondo l'avviso dellHaureau. E quale è questo criterio? La specie non è solamente un concetto. Essa è altresì una cosa, non una cosa in sé, a parte dell’oggetto sensibie, ma nna cosa facente parte con essi, formante con essi qualche cosa di co-esistente. Tale a un dipresso la posizione dei dottori tra le scuole che divideno i logici disputanti, corrispondenti sotto altro nome alla scuola dell'idealismo critico ed alla scuola dell’idealismo trascendentale. Tra questi dottori concilianti che l'Haureau non propriamente chiama indifferenti si trova il nostro Maestro delle sentenze, il quale pero non si occupa espressamente della questione, ma solo ne tratta per incidenza, ragionando della Trinità nel 1 libro delle Sentenze. Per C., l'universale non è come per Guglielmo di Champeaux un solo essere dappertutto identico e però difficile a comprendere, ma al contrario colla moltiplicazione numerica dell'individuo diventa anche in essenza tante volle accresciuto. Se l’animale è il genere, dice il Maestro, e IL CAVALLO la specie si avranno III CAVALLI ed anche tre ammali (Sent. I d. XIX, 8) CVM SI ANIMAL GENVS ET EQVVS SPECIES APPELLANTUR III EQVI IIDEMQVE ANIMALIA. Perciò, quando la specie può dirsi triplice devono anche essere III gli individui. Tutto dunque si raccoglie nell'individuo. Ma egli poi aggiunge : SMITH, JONES, WILLIAMS -- Abramo, Isacco, Giacobbe sono tre individui. Ma, nello stesso tempo, anche tre uomini e tre animali. Specie e genere non sono quindi forme soggettive, ma un oggetto che è nelle cose poste al difuori di noi. Ma non si dirà che l'essenza divina è una specie e le persone individui, come è specie Tuomo e sono individui Àbramo, Isacco e Giacobbe. Poiché se l’essenza divina fosse una specie come l’uomo, come non si direbbe che Abramo, Isacco e Giacobbe sono un sol uomo cosi non si direbbe una essenza essere tre persone (Sent.)..Sicut enim dicuntur Abraham, Isaac, lacob, TRIA INDIVIDUA ITA TRES HOMINES ET TRIA ANIMALIA 10:
Tuesday, November 26, 2024
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