Al libro, in cui sono raccolti ed esposti in ordinato modo i risultati delle sue indagini sui problemi del diritto, il Cesarini Sforza ha dato un titolo di lapidaria semplicità: Filosofia del diritto. Audace semplicità, si pensa: per un libro solo, e non di grande mole, il nome stesso della disciplina cui appartiene, disciplina sí ricca di storia e di complessi e vari svolgimenti. Ma, leggendo, si vede che quel titolo non è senza buona ragione. I temi della filosofia del diritto (e della teoria generale del diritto) ci sono, di fronte o di scorcio, tutti. Pure, il volume è di sole 181 pagine, oltre gli indici. La concisione, la sobrietà stilistica che ciò rendono possibile costituiscono uno dei principali pregi dell'opera. La Filosofia del diritto del Cesarini Sforza ha il mordente e la stringatezza possibili soltanto in opere profondamente mature: vi si ravvisa il prodotto maturo, non solo d'una vita di lavoro, ma d'una scuola, d'un movimento filosofico. Di tante discussioni, di tante polemiche delle correnti filosofiche italiane cui, per connessione o contrasto, questo libro si collega, non giunge il rumore: rimangono soluzioni approfondite di problemi lungamente elaborati, in un discorso severo, talvolta scabro, sempre serrato e incisivo. Un prodotto maturo, ottimamente rappresentativo, direi uno dei punti di arrivo della filosofia giuridica italiana che ha avuto come maestri o come principali termini di riferimento il Croce e il Gentile: qui se ne trovano, presentati in uno dei modi migliori, i contributi piú importanti alla consapevolezza dell'uomo. Punto di arrivo e punto di partenza su nuove strade: senso di compiutezza che il libro dà fa sí che l'idea di nuovi passi, di nuove ricerche, nell'inesauribile impegno per la consapevolezza, non possa dissociarsi dall'idea di una revisione delle impostazioni di fondo e dei metodi della scuola filosofica da cui esso pro-viene. Per tale sua patura la Filosofia del diritto del Cesarini Sforza merita attenta medi-tazione. Dividerò questa nota in cinque parti. La prima parte sarà dedicata all'esposizione. dei temi fondamentali dell'opera. Data la ricchezza e la complessità dei suoi svolgimenti, penso che l'individuazione dei temi fondamentali non sia inutile agli studiosi e possa aver di per sé un valore critico. Seguiranno considerazioni critiche, con particolare riguardo al metodo della filosofia; al concetto, centrale nel pensiero del Cesarini Sforza, di dialettica del volere, e al modo in cui si possa pervenire a una determinazione analitica dei processi di espressione della volontà; al problema della giustizia; al carattere della teoria. generale costruita dal nostro autore. La Filosofia del diritto si apre, e si chiuderà, sul motivo idealistico, motivo dominante di tutto il lavoro, dell'attività spirituale come perpetuo movimento, sforzo, tensione, mai sufficiente fatica, trascendimento dell'oggetto dalla stessa attività spirituale costituito. Cosí è per il diritto. Il diritto nasce dall'esigenza, presente in tutte le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a esse un ordine stabile mediante regole o norme; ma i suc-cesgi non possono essere che provvisori; le manifestazioni della volontà umana finiscono sempre per sfuggire, con la loro inesauribile, irriducibile concretezza, a qualsiasi astratto sistema di probabilità e prevedibilità; la etoria, opera della volontà umana, lascia continuamente indietro le mete raggiunte nell'illusione che siano definitive. L'esperienza giuridica procede attraverso questo tentativo di razionalizzare la vita per mezzo della regola, e attraverso le ribellioni della vita alla regola. Mentre la scienza giuridica ha per oggetto sistemi giuridici dati, la filosofia si leva allo studio della dialettica di soggetto e oggetto nell'atto di vita, studia l'esperienza giuridica come atto di vita. Diverso il compito, diverso il metodo: la conoscenza scientifica si appoggia a una realtà oggettiva, mentre la definizione filosofica deve essere trovata dal pensiero in sé medesimo, poiché si riferisce alla sua attività in un determinato aspetto. Anche la scienza del diritto può giungere, mediante uno schema ordinatore, a una definizione del diritto di carattere generale, applicando ai prodotti dell'attività creatrice del mondo giuridico la stessa attività sistematizzatrice e ordinatrice in cui essa consiste; ma le definizioni del diritto date dalla scienza considerano il diritto come un prodotto, non lo definiscono nel suo prodursi. La filosofia dà invece la consapevolezza di tal prodursi, consapevolezza indispensabile anche al giurista, per conoscere l'origine spirituale del diritto e cosí rettamente intenderlo, e soprattutto indispensabile al giudice, che deve essere il tramite tra legge e vita, tra gli schemi del diritto e la concretezza dell'azione umana. All'esigenza spirituale fondamentale, ondo trae origine il diritto, il Cesarini Sforza dà il nome di principio costitutivo del diritto, in contrapposto ai principi regolativi: questi sono le regole superiori e generali, da cui derivano le regole particolari di un dato ordinamento, dalle quali si può risalire alle prime per via di induzione; e hanno carattere storico e contingente, scaturendo dalle concezioni etico-politiche di un popolo in una data epoca della sua civiltà. Il principio costitutivo è la legge prima ed essenziale dell'attività dello spirito, per cui il diritto viene creato; e consiste in un determinato processo della volontà. La dialettica del volere (come quella del pensare) si svolge nel rapporto fra l'attività dello spirito umano, infinita potenza pratica e virtualità creativa, e la sua espressione: espressione è tutto ciò che dall'atto dello spirito si distingue come fatto e forma la realtà oggettiva. Il passaggio dall'attività spirituale soggettiva alla realtà oggettiva che se ne distacca è l'astrazione o procedimento astrattivo, il quale, quando si applica al comportamento concreto, lo divido in due, ossia rende possibile distinguere tra volizione e azione. Volizione e azione, che nel concreto agire di ogni soggetto umano sono tutt'uno, costituiscono nell'astrazione due momenti separati e statici, diventando tipi pratici, cioè un dato tipo di volizione e un dato tipo di azione; e l'azione appare come il risultato cui il soggetto volente mira, ossia scopo della volizione. L'attività volitiva di tanti soggetti diversi, che si manifesta con atti della concreta volontà di ciascun soggetto, può estrinsecarsi nella realtà oggettiva incorporandosi in un'azione tipica o astratta, uniforme per tutti: non ogni azione è conforme a un tipo, anzi gli uomini, appena giungono ad affermare la loro indi-vidualità, agiscono anche manifestando la loro originalità, e nel mondo pratico vi sono i santi e gli eroi che superano le formule e rompono le convenzioni in nome di un ideale superiote; ma la massima parte della vita comune a tutti gli uomini si svolge secondo tipi e modelli, si presenta come una serie indefinita di comportamenti uniformi esprimibili mediante le regole pratiche. Regola pratica è l'enunciazione di un comportamento conforme a un altro comportamento onde ottenere il medesimo scopo, vale a dire l'indicazione di un'azione tipica e astratta. Casi della regola pratica sono la regola tecnica, con la quale si indica quale azione tipica è mezzo per un fine, e il vincolo immediato tra azione e volizione passa in seconda linea di fronte alla affermazione dello scopo mediato o motivo, esistendo il vincolo solo in quanto si affermi il motivo; e la regola imperativa, o norma, che enuncia un comportamento tipico riferito all'atto di volontà necessario a realizzarlo, senza riguardo al motivo. La norma è sempre riferibile a una volontà estranea a quella dell'individuo cui è posta: le cosí dette norme individuali non sono che regole tecniche, poiché valgono solo nei limiti e in relazione al motivo che il soggetto riconosce. Il diritto è dunque il prodotto del procedimento spirituale astrattivo che, configurando volizione e azione come tipi, pone ordine nelle azioni degli uomini mediante regole imperative. Va rilevato che, in queste prospettive, la giuridicità non è osclusiva dei vari sistemi di diritto positivo, oggetto delle discipline giuridiche, ma è propria di qualsiasi applicazione del suddetto processo volitivo, per cui ogni azione può essere giuridicizzata e diventar parte. dell'esperienza giuridica. Dopo averci cosí introdotto al concetto filosofico del diritto, il Cesarini Sforza procede a una descrizione fenomenologica del prodursi del diritto nella società umana. I concetti intorno a cui questa trattazione è imperniata sono quelli di istituzione sociale e di orga-nizzazione. La prima forma di socialità, l'istituzione, si ha quando coloro che costituiscono il gruppo attuano un complesso o serie di comportamenti uniformi per il raggiungimento di fini comuni; la coscienza del fine, peraltro, può inancare, come sovente accade nelle società primitive, e le pratiche sociali risultano misteriose, benché non possano non avere avuto, all'origine, una loro ragione. La pura e semplice uniformità dei comportamenti forma il substrato del costume sociale. Dall'istituzione si passa all'organizzazione quando compariscono le regole imperative, o norme, ossia il diritto, e mediante il diritto lo azioni di ciascun soggetto sono coordinate con le volizioni di altri soggetti, e viceversa. Il sorgere del diritto non fa però scomparire il costume; che rimane come continua e ineliminabile rivelazione di tipi pratici tra i quali si differenziano quelli coordinati mediante le regole imperative. Le regole imperative si formano sempre sul presupposto di una regola tecnica, formatasi nella fase istituzionale: se non si costituiesero tipi di comportamento che valgano come mezzi per la realizzazione di determinati fini, neanche sorgerebbero le volizioni imperative che a quei comportamenti si dirigono. Il modo in cui le regole imperative operano nell'organizzazione della società umana, la fenomenologia delle relazioni tra istituzione e organizzazione, i processi mediante i quali il diritto nasce, è conosciuto, è applicato, è giustificato, le relazioni funzionali e logiche tra i vari aspetti dell'esperienza giuridica sono illustrati e chiariti dal nostro autore attraverso l'elaborazione e la discussione di un complesso di concetti, che si coordinano in una teoria molto interessante non soltanto dal punto di vista filosofico, ma anche da quello strettamente giuridico: i concetti di norma giuridica e di consuetudine, di rapporto giu-ridico, di autorità e proprietà, di diritto pubblico e privato, di diritto soggettivo e di obbligo, di legge e di negozio giuridico, di torto e sanzione, di giudizio, e via dicendo. Si riscontrano qui diverse interessanti varianti e progressi rispetto alle note Lezioni di leoria generale del diritto, che pure per non pochi anni hanno avuto un posto importante nella cultura giuridica del nostro paese, per quanto atteneva alla teoria generale del diritto. Particolarmente importante e centrale nella trattazione è, insieme con quello di norma, il concetto di rapporto giuridico. Il rapporto giuridico, nel suo schema fondamentale, è per il Cesarini Sforza la relazione che si instaura tra due soggetti, quando il comportamento tipico dell'uno agsume il valore di mezzo o condizione afinché si realizzi il fine dell'altro; il dirigersi della volizione a un comportamento altrui in ordine a un proprio fine. La piú semplice definizione del rapporto giuridico è quella di rapporto tra un imperativo o un obbligo. Se ci riferiamo a un atto normativo primo, non giustificato sulla base di precedenti atti normativi, il rapporto è di per sé giuridico; se invece si riferiscono tutte le volizioni normative a un'unica volontà, i rapporti concreti, cioè gli effettivi atti di volizione, sono giuridici solo in quanto rientrino nel sistema dei rapporti astratti stabiliti dalle formule normative riferite a quell'unica volontà. Ciò giustifica la distinzione tra pretcsa, il concreto dirigersi di una volontà all'azione altrui, e diritto soggettivo, l'astratta e virtuale possibilità di volere un comportamento tipico altrui; distinzione cui corrisponde, dall'altro lato del rapporto, quella tra obbligo concreto e obbligo astratto. Il riferimento di tutte le volizioni normative a un'unica volontà, cioè la volontà dello Stato, è attentamente esaminato dal Cesarini Sforza, mostrando il processo logico attraverso il quale avviene l'identificazione del diritto con l'ordinamento giuridico statale. Tale processo consiste nel ricavare dalle norme, nelle quali si esprimono volizioni astratte, l'idea astratta di una volizione unica e comprensiva, che sostiene tutto l'ordinamento, attribuendola a un unico soggetto. Da questo punto di vista lo Stato non è dunque che un puro concetto, una personificazione compiuta dal pensiero astraente. Come nella storia si sia venuti a questa astrazione, all'associazione dei concetti di diritto e Stato, è indicato dal Cesarini Sforza sottolineando il parallelismo di questo processo con la progressiva monopolizzazione statale dei mezzi di attuazione coattiva del diritto. Se poi, lasciando alla scienza giuridica il suo concetto astratto dello Stato, vogliamo sapere cosa lo Stato è in realtà, l'analisi filosofica mostra che questa cosiddetta volontà dello Stato si risolve nella concreta attività di determinati uomini, nella cui effettiva volontà l'autorità statale ai trasforma, da parola, in fatto. Chi comanda e chi è comandato: questa relazione costituisce il rapporto politico fondamentale, ossia il rapporto giuridico, considerato non piú nel suo schema logico, ma nella concreta realtà degli atti di volontà. Volontà piú forti si impongono sopra altre meno forti, che rimangono per un certo tempo in istato di sog-gezione, dal quale però tendono a liberarsi, per diventare a loro volta dominatrici. Un equilibrio di interessi è raggiunto, quindi è rotto, e gli si sostituisce un nuovo ordine nor-mativo, e per queste lotte e superamenti la storia umana inesauribilmente procede. Da quale parte è il valore, nel contrasto tra gli interessi affermati e gli interessi che cercano di affermarsi, tra l'ordine costituito e le sue forze e le forze innovatrici e rivolu-zionarie? Questa volta lo storicismo non è conservatore. L'autorità è essenzialmente un fatto, dice il Cesarini Sforza: essa si giustifica soltanto da sé stessa, nel suo effettivo manifestarsi come volontà normativa. Ogni tentativo di dare all'autorità una giustificazione superiore è destinato a fallire, come fallisce quello di fondare l'autorità dello Stato in un diritto naturale o superstatale. La validità della legge consiste nell'effettivo manifo-starsi di una forza vincolatrice dei valori umani, e se una nuova legge prende il suo luogo come forza vincolatrice, la nuova legge è valida; se il fatto di una nuova autorità si sostituisce al fatto di un'altra autorità, la nuova autorità ha in sé stessa la sua giustificazione. In queste prospettive sembra che il filosofo assista alle vicende della storia senza prendere partito, senza affermare il valore delle forze che resistono o delle forze che tendono a trasformare. Ma, dando un nome ai termini di questa sempre riaperta dialettica, egli usa per l'ordine giuridico, nel quale il movimento della storia sembra arrestarsi, l'espressione « principio di legalità»; « per indicare, invece, il processo di oggettivazione nel suo movi-mento, cioè non nei suoi risultati ma nella molteplicità e particolarità inesauribile dei suoi impulsi, soccorre la tradizionale denominazione di principio di giustizia». « Il contrasto fra i due principi — che appunto nel loro contrasto sono clementi vivi dell'esperienza giuridica - richiama facilmente quello tra la valutazione dell'agire nell'esteriorità conformistica delle sue manifestazioni e la valutazione morale considerata nella profondità e originalità della esigenza spirituale che la determina ». Non occorre sottolineare da quale parte è, per il Cesarini Sforza, il valore. E quale sia il valore intrinseco al movimento di progresso, cui egli dà il nome di principio di giustizia, è quindi spiegato: «Il concetto di logalità esprime la condizione delle azioni umane in quanto ordinate mediante un sistema di imperativi, e quindi sottoposte alle volontà che negli imperativi si manifestano. Invece è intrinseca al concetto di giustizia l'idea - affermatasi, come già si disse, attraverso la dottrina cristiana e il giusnaturalismo razionalistico - dell'eguaglianza fra i soggetti di diritto in quanto sono tutti persone umane. Quest'idea fa sí - come dimostra l'esperienza storica - che i principi tendenti a realizzarsi come regolativi di un nuovo ordine giuridico esprimano nelle forme piú varie un'unica esigenza: quella delle volontà giuridicamente subordinate di conquistare, rivendicando eguaglianza e libertà nei confronti dell'ordine costituito, posizioni di predominio, di divenire alla loro volta, cioè, volontà imperative ». IL METODO DELLA FILOSOFIA Esponendo, nella parte che precede, i temi cardinali della Filosofia del diritto del Cesarini Sforza, ho detto delle indicazioni metodologiche dell'autore a proposito della filosofia e della scienza. La scienza conosce l'oggetto dato come dato, la filosofia pone in evidenza l'attività spirituale che crca, senza mai esaurirsi, la realtà oggettiva. Il metodo della scienza consiste nell'applicare alla realtà oggettiva schemi ordinatori, giungendo per questa via al generale; la filosofia studia l'esperienza nella sua universalità, e « la definizione flosofica il pensiero deve trarla da se medesimo, in quanto si riferisce alla sua attività in un determinato suo aspetto». Sono ben noti gli antecedenti di questa posizione meto-dologica: è noto come nell'idealismo italiano il pensiero filosofico sia distinto dal pensiero scientifico, legato all'oggetto o oggettivante e procedente per generalizzazioni, come pensiero puro che trae da se medesimo le sue determinazioni, dotate del carattere della universalità. Ma la definizione filosofica del diritto, data in quest'opera, è veramente trovata dal pensiero in se medesimo con metodo puro di riferimenti all'oggetto? L'indagine filosofica, dice l'autore, rivela come l'atto spirituale che crea il diritto sia un processo della volontà. La dialettica del volere consiste nel rapporto fra attività e espressione, fra atto e fatto. Nel passaggio da atto a fatto consiste l'astrazione che, applicata al comportamento con-creto, rende possibile il distinguere tra volizione e azione, le configura come tipi, rende possibile la razionalizzazione dei comportamenti umani mediante schemi ordinatori, regole pratiche. Norma giuridica è quel tipo di regola pratica, la imperativa, che un soggetto pone ad altro soggetto; la norma che l'individuo pone a se stesso non è giuridica, Lo Stato è la relazione tra chi comanda e chi è comandato. Il tentativo piú severo e rigoroso di un pensiero puro, che tragga sé da se medesimo,, è stato fatto dal Gentile con la filosofia dell'atto puro. Un gentiliano esigente potrebbe muovere al Cesarini Sforza il rimprovero di empirismo o materialismo. Ecco ciò che il gentiliano potrebbe dire. Materialistica è la concezione individualistica, che contrappone individuo a individuo, chi comanda a chi è comandato, chi pone la regola imperativa a chi ne è destinatario. E la dialettica dell'attività spirituale, la distinzione tra atto e fatto, tra l'attività e i suoi prodotti, sono pensate dal Cesarini Sforza in modo astratto e natu-ralistico. La volontà è concepita come fatto psichico, che si svolge nel tempo formandosi, perdurando quale tensione volitiva, venendo meno o per il compiersi dell'azione o per il cadere della tensione (v., per es., a p. 132). I superamenti dello spirito rispetto ai enoi prodotti sono superamenti che avvengono nel tempo, e non il superamento che lo spirito fa di se stesso nell'atemporalità dell'atto. Il Cesarini Sforza non parla del diritto come d'un termine della dialettica spirituale superato dalla sintesi ideale, ma parla di ordini normativi costituiti nella storia e superati dalle rivoluzioni politiche. Guardate, potrebbe concludere l'attualista, scandalo!, come la filosofia del Cesarini Sforza entra in colloquio con la sociologia e ne utilizza gli apporti a conferma e chiarimento delle sue tesi; con la sociologia, con la quale la pura filosofia dell'atto puro non ha mai avuto a che fare poiché quella rimane immersa nel logo astratto, mentre questa à logo concreto. Credo che il gentiliano esigente per un certo verso avrebbe ragione. La dialettica della volontà e del suo esprimersi nel diritto, com'è presentata dal Cesarini Sforza, non si svolge nel mondo senz'aria del pensiero puro, bensí nel mondo umano della storia, empiricamente concepita, dove non lo spirito unico celebra in solitudine le sue espressioni e i suoi superamenti, ma gli uomini sono portatori di ideologie e di interessi diversi, e il diritto si costituisce quando la volontà di alcuni si impone alla volontà degli altri e la rivoluzione si ha quando i governanti non sono piú in grado di costringere i governati all'obbedienza. A mio giudizio, però, proprio qui sta la forza dell'opera: nell'empirismo che porta l'autore fuori degli sterili tormenti della filosofa ancora in cerca del pensiero puro e, ponendo la filosofia del diritto in pieno e vivace rapporto con la sociologia e con le scienze giuridiche, le dà nutrimento e robustezza. Oso dire che le dichiarazioni metodologiche sopra riferite, delle quali peraltro ben si comprendono, su un piano psicologico e culturale, le ragioni di persistenza, sono smentite dallo svolgersi della trattazione: la definizione del diritto, quella dello Stato e le altre definizioni elaborate nel libro non sono trovate dal pensiero in se stesso né sono formalmente universali, ma sono costruite sull'esperienza e sullo studio che dei dati empirici fanno le scienze sociali. La Filosofia del diritto del Cesarini Sforza dà una nuova dimostrazione della fecondità dell'atteggiamento del filosofo che non tema l'accusa di empirismo e cerchi il colloquio con le scienze, quando a ciò si accompagnino l'attitudine critica e la capacità di sintesi, e il contatto con l'esperienza non vada a danno dell'interesse per i presupposti e le condizioni e i rapporti delle scienze e di ogni altra attività umana. Che cosa rimane, in questo libro del Cesarini Sforza, se non il metodo del pensiero. puro, della tradizione filosofica idealistica? Rimane una vocazione filosofica alla comprensione del mondo umano, che, non appagandosi di analisi particolari, di punti di vista limitati, di prospeitive bloccate, vuol vedere le cose da tutte le parti possibili, collegarle in visioni di insieme, soprattutto non limitarsi a considerare i risultati delle attività umane, ma comprendere le attività nel loro svolgersi. Ecco, però, un filosofo formato in questa scuola che non ispregia la sociologia e sa servirsene. Ed egualmente il Cesarini Sforza sa tenere buone relazioni con le scienze giuridiche, dedicando a concetti giuridici un lavoro. del quale i giuristi potranno fare buon conto. Benché il Cesarini Sforza parli assai spesso di attività spirituale e di spirito, il soggetto della storia e dell'esperienza giuridica è per lui l'uomo reale. « La dottrina umanistica — che non ignora la potenza dell'attività spirituale (« spiritus intus alit»), ma sa che tale potenza non appartiene a un soggetto trascendente (com'è l'Idea di Hegel) bensi s'incarna nel pensiero e nella volontà degli uomini reali (...) ». E le vicende degli uomini reali sono considerate in modo assai disincantato, che porta l'autore ad assumere talvolta accenti quasi marxisti, come a proposito della proprietà: « (...) non è del tutto senza base la concezione secondo la quale il diritto è strumento di dominio economico, e lo Stato liberale democratico è il 'comitato d'affari della borghesia capitalistica'». Lo Stato, lo si è visto, non è idealisticamente divinizzato, ma é concepito quale rapporto politico tra volontà umane che si impongono e volontà umane che soccombono. Siamo qui nella linea realistica della filosofia politica crociana. Le pagine in cui questa ferma consapevolezza piú appare, e diventa piú cruda, sono a mio avviso quelle sulla pena. Hanno séguito, osserva il Cesarini Sforza, la teoria della difesa sociale e quella dell'emenda; difesa ed emenda sono però scopi secondari rispetto alla vera finalità della pena. In fondo all'idea della sanzione punitiva, dice l'autore, si può sempre ritrovare il fatto della vendetta. Tra la vendetta e la pena corre la differenza che la prima è esercitata fra soggetti eguali, che si contraccambiano un male, mentre la seconda è applicata da un potere sociale, superiore all'offensore e all'offeso; ciò rappresenta senza dubbio una garanzia di imparzialità, una tutela della pace sociale, ma in ultima analisi anche lo Stato non fa che contraccambiare o retribuire, col male della pena che infligge, il male del reato commesso. Non si possono meditare simili tesi senza turbamento, specialmente se si è esercitato il magistero penale. Forse la teoria della difesa e dell'emenda sono soltanto schermi costruiti per nascondere a noi stessi che il giudice è strumento di vendetta? L'opinione del Cesarini Sforza, e il modo in cui è presentata e giustificata, meritano apposita, approfondita discussione; qui l'opinione è stata addotta come significativo esempio del suo realismo. E si dovrebbe sempre cercare di tenersi nella stessa direzione, d'una filosofia che non tragga dal pensiero. puro esaltazioni e giustificazioni retoriche o mitiche degli istituti politici, e guardi invece francamente all'esperienza degli uomini reali per rendersi conto dell'effettiva, anche se talora spiacevole natura dei loro rapporti, delle vere ragioni del loro comportamento. VOLONTÀ E ESPRESSIONE Si vede confermato, nel libro del Cessrini Sforza, come la filosofia giuridica italiana. laica e immanentistica abbia raggiunto, a proposito dei problemi classici della filosofia del diritto, impostazioni e soluzioni di decisiva importanza. Diritto e morale: vano è cercare criteri assoluti e universali di distinzione tra norme morali, giuridiche e d'altre categorie; la distinzione dovrà essere fatta tra moralità da una parte, intesa come attività concreta, e legalità dall'altra, intesa come conformità dell'azione alla legge. Unità o pluralità degli ordinamenti giuridici, statualità o socialità del diritto: tanti sono gli ordinamenti giuridici quante le organizzazioni sociali, ma i giuristi scelgono un particolaro ordinamento e con esso identificano il diritto. Le tesi filosofiche ora accennate potranno essere rifinite o riformulate in vari modi, giudico però molto arduo l'allontanarsene o il rovesciarle. Di special vigore mi sembra il modo in cui il Cesarini Sforza ripresenta la critica al giusna-turalismo: l'errore filosofico del giusnaturalismo consiste nella pretesa di far passare come- principio costitutivo del diritto un particolare principio regolativo. Dicevo in principio del senso di compiutezza che, quanto ai temi e ai problemi approfonditi e nelle sue prospettive, dà questa Filosofia del diritto. Intorno al concetto centrale della dialettica del volere come rapporto tra l'attività dello spirito e la sua espressione si organizza un coerente discorso, ove filosofi e giuristi trovano molte soddisfacenti risposte a loro domande. Il tema, rispetto al quale principalmente mi par vi possa essere progresso di studio, è proprio quello del concetto di volontà e di espressione della volontà. Che cosd intendiamo per volere, quali processi designamo con questo nome? Che cosa intendiamo per espressione del volere? Come avviene il passaggio dalla volontà all'espres sione? Ogni filosofo, ogni scuola filosofica, compiendo l'arduo e paziente lavoro di precisazioni e distinzioni concettuali, si ferma a un certo punto su concetti non ulteriormente analizzati, che vengono sovente definiti come forme pure, categorie, principi costitutivi. L'arrestarai non è senza ragione e necessità: questi concetti non analizzati forniscono i punti di riferimento, le impalcature di sostegno, di cui si ha bisogno per non smarrirsi nel terreno dove si scava e si lavora. Poi, quando i risultati di quel lavoro sono assimilati, è possibile rivolgersi a quei punti di riferimento, a quei concetti centrali e organizzatori, per iniziare anche lí il precisare e il distinguere. Ci si vale, in ogni nuova fase dell'im- presa filosofica, di nuovi punti di riferimento, di nuove impalcature; ma vi può essere un progresso, se si estende il campo della consapevolezza e soprattutto se si è imparato a non venerare troppo le impalcature di cui ci si serve. La scuola filosofico-giuridica italiana, di cui è rappresentante il Cesarini Sforza, ha avuto ed ha come concetti organizzatori quelli di attività spirituale, di volontà, di espressione, di dialettica. Sono state dette cose rilevanti a proposito di tali concelti; ma, laddove essi hanno resa possibile un'avanzata analisi filosofica in altri luoghi, qui l'analisi non è andata molto avanti. Ha contribuito non poco ad arrestarla il concetto del metodo filosofico di cui prima si è parlato. Pure, anche su questo terreno c'è lavoro da fare. Grandi contributi portano al chiarimento dei processi della volontà e del suo esprimersi la sociologia, la psicologia, la linguistica e altro discipline, e il filosofo deve coordinare i risultati rendendo chiari i fondamenti e i metodi con cui ciascuna di esse si accosta a questi problemi. Come avviene, in particolare, l'esprimersi dell'atto del volere attraverso il procedimento astrattivo che distingue volizione e azione? Tale espressione avviene mediante il linguaggio. Il linguaggio non è qualcosa di dato all'uomo e pronto e finito una volta per tutte, né è creato caso per caso in ogni concreto atto d'espressione; esso è un prodotto della storia e della cultura umana, nttra- verso una lunga e complessa elaborazione. Si può studiare, come fa la linguistica, la formazione dei linguaggi nella storia umana; si può studiare i processi di impiego del linguaggio per organizzare la convivenza e la collaborazione mediante le prescrizioni; e studiare la psicologia degli usi e delle ricezioni individuali di questo prodotto della società. Invece di partire dai concetti molto generali di volontà e di espressione, partire da situazioni e attività umane concrete; alla coordinazione di quei concetti nella teoria della dialettica sostituire l'esame particolareggiato dei procedimenti e degli strumenti degli uomini reali che razionalizzano la vita mediante le regole. L'analisi dei concetti dovrebbe servire, procurando gli schemi ordinatori, come mezzo per comprendere queste attività. In tali prospettive è possibile indagare in che consista il significato delle espressioni lin-guistiche, in che senso e in che limiti si possa parlare di significati comuni e costanti tra piú persone, cioè di una oggettività dei significati rispetto ai soggettivi atti di espressione e di intendimento, in ispecie di una oggettività delle norme giuridiche rispetto ai soggettivi atti di volizione; cercare in che consista l'astrattezza delle espressioni linguistiche normative, che designano tipi di situazioni e tipi di comportamenti, e come si formino i concetti astratti e come pragmaticamente funzionino nel razionalizzare i concreti processi vitali; studiare infine la disciplina cui gli uomini sottomettono gli usi linguistici o farsi custodi di tal disciplina o attendere a migliorare le regole d'uso del linguaggio in ordine ai loro scopi, con gli studi di semantica e di logica. Impegnarsi insomma, anche a proposito della volontà e della sua espressione, nel pieno dell'esperienza e della sua moltepli-cità, elaborare con precisa analisi i mezzi concettuali della conoscenza Quanto ho detto avrà fatto pensare il lettore al lavoro e ai programmi di lavoro del complesso movimento filosofico che si indica col nome di filosofia analitica. Ma a cagione del loro modo di lavorare e dei loro programmi gli analisti rischiano di avere vista corta. di chiudersi entro i loro orticelli e perdere quell'ampiezza di visuali, quel bisogno di visioni di insieme, che sono il carattere della filosofia; e per effetto di tale limitazione finir con l'accettare in modo acritico una quantità di presupposti e di condizioni di lavoro. C'è, negli scritti degli analisti, una sorta di compiacimento del particolare, dell'opera paziente nel piccolo campo. Questa disposizione è estremamente positiva come manifestazione di rea-zione, come strumento polemico contro certo facile e retorico filosofare; può assumere una funzione negativa se toglie lo sforzo di comprendere la complessità dell'esperienza umana e di correlarne gli aspetti in una considerazione sintetica. E importante, per esempio. studiare con pazienza e rigore la struttura logico del linguaggio giuridico; ma è altrettanto importante sapere che quella è la strutturi li un linguaggio che serve a dati scopi nella società umana e si forma attraverso certi processi d'esperienza e opera in certi processi di esporienza. Senza questa consapevolezza si corre il pericolo, nel quale non di rado sono incappati cultori di logica giuridica, di estendere surrettiziamente conclusioni dei loro studi oltre i limiti di quegli studi, o fondar le analisi logiche in presupposti dogmatici che non reggerebbero alla critica. Ecco dove la tradizione filosofica idealistica, giungendo attraverso opere come la Filosofa del diritto del Cesarini Sforza, mantiene, anche per chi senta l'esigenza di nuove indagini nel senso or ora indicato, una piena e attuale validità. L'insognamento principale di questa Filosofia del diritto si può riassumere in poche parole: sappiate vedere il diritto nell'esperienza giuridica. Il concetto di esperienza giuridica, o meglio, piú che un concetto, l'impegno a considerare il diritto nell'esperienza; l'analisi delle relazioni tra il diritto come regola e la vita morale, politica, economica, soprattutto l'elaborazione delle distinzioni concettuali necessarie alla consapevolezza di tali relazioni, sono uno dei contributi migliori della recente filosofia giuridica italiana agli studi filoso-fici; e costituiscono il principale titolo di merito del libro di cui ci occupiamo. Il modo in cui il Cesarini Sforza concepisce l'esperienza giuridica, comparato a quello di altri nostri autori, sarebbe un interessante tema di ricerca. Qui conviene limitarsi, in relazione a quel movimento filosofico di cui sopra si diceva, che ormai, e fortunatamente, è pene- trato anche nel nostro paese e vi progredisce, a sottolineare l'insegnamento da tenere vivo. LA GIUSTIZIA L'esperienza giuridica procede attraverso il tentativo di razionalizzare la vita mediante la regola e attraverso la ribellione della vita alla regola. Le sopraffazioni delle norme sulla vita, le ribellioni della vita «sono aspetti necessari e insopprimibili del processo spirituale sopra rievocato. Ciò la filosofia insegna (...), mostrando (...) che è un errore parteggiare aprioristicamente per le norme contro la vita, ma è un errore anche parteggiare aprioristicamente per la vita contro le norme ». Sembra dunque che il filosofo sia neutrale tra la vita e le norme; e, seduto sull'orlo del fiume, veda scorrere il fiume col suo ribol. lire di lotta tra la regola giuridica e l'originalità della valutazione morale, applicando il precetto spinoziano di non appassionarsi alle une o alle altre sorti, sed intelligere. Abbiamo però rilevato come alla fine il Cesarini Sforza prenda partito, e mostri la sua simpatia per la parte della vita. Al momento dell'ordine giuridico egli dà il nome di principio di legalità, al momento di ribellione e superamento il nome di principio di giustizia. E nel principio di giustizia ravvisa l'affermarsi dell'esigenza della eguaglianza tra i soggetti di diritto in quanto sono tutti persone umane. Il filosofo non rimane dunque freddo e intellettualisticamente indifferente innanzi alle vicende umene, ma ne è partecipe, si impegna a sua volta. Cosí un recensore, il Ciarletta, ha potuto dire che la filosofia del diritto è, per il Cesarini Sforza, la filosofia della rivolu-zione; o per lo meno, se la parola rivoluzione facesso necessariamente pensare al sovvertimento violento di un ordine giuridico preesistente, la filosofia dell'originale e profonda moralità che supera l'irrigidito schema della norma astratta. La simpatia per l'autore certamente si arricchisce molto di questo rilievo: il filosofo indifferente suscita sgomento, dal filosofo ci si aspetta non soltanto una lucida spiegazione di come vanno le cose, ma d'averne un orientamento e una guida per la parte che nella società umana noi stessi dobbiamo pure svolgere. In questo punto ravviso, però, la maggior difficoltà filosofica del libro. Cho base ha l'affermazione della presenza dell'esigenza egualitaria nel principio di giustizia, ossia nel movimento che produce e supera il diritto? Sembra che il Cesarini Sforza le dia una base empirica: al passo in cui si dichiara che l'idea di eguaglianza tra i soggetti di diritto è intrinseca al concetto di giustizia segue, a p. 176 del libro, un richiamo all'esperienza storica (v. la citazione alla fine del secondo paragrafo di questa nota). Ma l'esperienza storica, purtroppo, è al riguardo tutt'altro che univoca. Ci sono movimenti rivoluzionari piú o meno sinceramento ispirati all'eguaglianza tra le persone umane e ci sono movimenti che predicano e praticano la disuguaglianza degli uomini, dei popoli, delle razze. L'esperienza storica mostra che vi sono volontà in lotta per imporre la propria forza alla forza di altre volontà, e il vario contenuto delle volontà contrastanti. Se principio di giustizia è il nome che diamo al movimento che produce e supera il diritto, realizzano il facipio di giustizia tanto i nazisti che vogliono abbattere la democrazia quanto i desiocratici che si ribellano al diritto nazista. L'identificazione del principio di giustizia con il manifestarsi dell'esigenza di eguaglianza delle persone umane è il giudizio etico che una retta coscienza dà sulla storia; l'esperienza storica ne è giudicata, e non può giustificarlo, non basta a fondarlo. È possibile una fondazione teorica del principio di giustizia? Oppure in quel principio si manifesta la nostra personalità, come si è formata nel nostro ambiente culturale, e non v'è modo di dimostrarlo ad altri, ma soltanto lo si riceve e lo si comunica per via di educazione? Questo è il problema della giustizia, come problema del valore del diritto. La filosofia del diritto del Cesarini Sforza, con il suo immanentismo, con il quadro che dà dell'esperienza giuridica come dialettica di regola e di concreta e originale moralità, con la critica dei principi regolativi, esclude la prima soluzione. Ogni tentativo di identificazione teorica della giustizia, come valore del diritto, con l'eguaglianza delle persone umane, sarebbe un nuovo contrabbando di un principio regolativo, il principio dell'egua-glianza, quale principio costitutivo del diritto. Dal punto di vista di questa filosofia si può dire soltanto che principio costitutivo dell'esperienza giuridica è il sovrapporsi della regola alla vita e il ribellarsi della vita alla regola; dal principio costitutivo del diritto, chiarito dalla filosofia, all'affermazione del valore di un certo principio regolativo, non c'è pas- saggio. La ragione filosofica vede il principio costitutivo, la dialettica di morale e diritto; se poi, in quella dialettica, noi ci impegniamo per un particolare principio regolativo, ciò dipende da ragioni della nostra morale, che la ragione filosofica non conosce. Il problema del valore, o dei valori, costituisce uno dei temi centrali e piú critici dell'idealismo italiano, che in vari suoi rappresentanti ha tentato di ricavare la fondazione del valore dalla teoria della realtà spirituale. Mi pare che la chiara e stringente formulazione data alla filosofia della pratica dal Cesarini Sforza ci metta innanzi a una conclu-sione: per una filosofia, che nôn creda di poterli fondare nel trascendente, i valori non sono giustificabili teoricamente. Questo non significa finire in pieno irrazionalismo e negar che la filosofia debba occuparsi delle questioni di valore: gli atteggiamenti valutativi sono connessi con credenze, e il discorsa razionale, modificando le credenze, contribuisce a mutar le valutazioni; quanto alla filosofia, ossa ha per compito di chiarire la natura, la portata e le conseguenze dell'atteggiamento valutativo, di analizzare e distinguere le com• ponenti del discorso sui valori ecc. Ma al fondo dell'affermazione di un valore c'è sempre un impegno personale, un atto di coscienza morale. Tale tesi non ci riconduce allo sgomento del filosofo freddo o intellettualisticamente indifferente; desideriamo il filosofo che cerchi di realizzare con la filosofia il valore della conoscenza spassionata, ma sappia nel mondo, conosciuto senza passione, affermare con ferma e feconda passione tutti i suoi valori umani. Simile discorso non può qui ulteriormente svilupparsi: quanto ho detto può forse bastare per indicare la seconda, importante direzione di progresso di consapevolezza che, a mia giudizio, si apre a chi medita le posizioni dell'idealismo italiano, e queste, in particolare, del Cesarini Sforza. LA TEORIA GENERALE DEL DIRITTO Al principio del saggio dedicato alla Teoria generale del diritto del Levi, recentemente ripubblicato nel volume Studi sulla teoria generale del diritto, il Bobbio rileva che tre sono i punti di vista da cui una teoria generale del diritto può guardare il fenomeno giuridico: diritto come rapporto giuridico, diritto come istituzione, diritto come norma. Ho detto in precedenza che nella tcoria generale delineata dal Cesarini Sforza è particolarmente importante e centrale, insieme al concetto di norma, quello di rapporto giuri-dico; ed ho indicato il modo in cui l'autore lo definisce. Ora è interessante rilevare come il concetto di rapporto sia da lui costruito sulla base del concetto di norma, che è il vero pernio dell'organizzazione dei concetti di questa teoria generale, talché essa va ascritta al terzo tipo indicato dal Bobbio. Nel caso dell'atto normativo primo, non qualificato sulla base di precedenti atti nor-mativi, rapporto giuridico è la relazione che ai istituisce tra il soggetto attivo dell'imperativo e il soggetto passivo; il rapporto giuridico è definito come rapporto tra l'imperativo e l'obbligo che esso pone. La distinzione e contrapposizione tra norma e rapporto giuridico, com'è presentata di solito (la norma quale fonte del rapporto, in quanto regolatrice di una relazione sociale, economica ecc.), è sostituita, a proposito degli atti normativi qualificati sulla base di atti normativi precedenti, dalla distinzione e contrapposizione tra rapporto giuridico concreto, ossia l'imperativo effettivamente rivolto da un sobbeece ad un altro, e rapporto giuridico astratto, ossia lo schema di rapporto stabilito dalla formula normativa riferibile alla volontà superiore. I concetti di rapporto concreto e di rapporto astratto servono in effetti, come si vedo, a configurare la correlazione tra una norma di grado inferiore e una norma di grado superiore. È naturale, qui, il richiamo al Kelsen. La corri-spondenza tra posizioni del Cesarini Sforza e posizioni del Kelsen appare evidente a proposito della soluzione data al problema della legittimazione del diritto, del fondamento. della sua obbligatorietà. I rapporti concreti, dice il Cesarini Sforza, sono giuridici solo in quanto rientrino in uno schema di rapporto astratto stabilito dalla volontà superiore. In termini kelseniani, la validità di una norma deve essere dedotta da una norma di grado superiore. Riguardo all'atto normativo primo, dico il Cesarini Sforza, la distinzione tra rapporto astratto e rapporto concreto non ha nessun significato; l'atto normativo primo. eta all'inizio di una serie di qualificazioni di giuridicità, ma non può essere qualificato. nello stesso modo; esso è giuridico di per sé, purché in esso si manifesti una forza vin--colatrice delle azioni. Cosí la norma fondamentale del Kelsen sta all'inizio di una serio di qualificazioni di giuridicità, ma non può essere qualificata nello stesso modo; e tutta: la catena delle qualificazioni vi può essere appesa, in quanto la norma fondamentale sia posta come condizione di validità dell'intero ordinamento. I due autori hanno in comune-l'importante consapevolezza che il diritto non può essere giustificato con il diritto: si giustificano, all'interno di un ordinamento giuridico, singole norme sulla base di altre-norme; ma per sapere come l'intero ordinamento, entro il quale il giurista adopera la sua. logica qualificatrice, stia in piedi, o perché debba stare in piedi, per stabilire le condizioni prime di ogni ragionamento giuridico, occorre andar fuori del diritto e impiegare-un altro tipo di ragionamento. La differenza tra il Kelsen e il Cesarini Sforza sta nel fatto. che il primo considera le norme nella loro struttura formale, si occupa soltanto dei loro- rapporti logico-formali, e quindi il presupposto di ogni qualificazione di giuridicità si presenta nella sua dottrina come una mera condizione logica, un'ipotesi del pensiero giu-. ridico; il Cesarini Sforza invece guarda agli atti normativi nella loro effettività storica e• psicologica, concepisce la norma come imperativo, e quindi il presupposto di ogni qualificazione di giuridicità si configura per lui come un atto normativo primo dotato di forza politica. Mi sembra che da questa concezione della norma come imperativo derivino alcune difficoltà, del tipo di quelle che si sono sempre incontrate quando si sono definiti concetti di teoria generale del diritto in riferimento a effettivi atti o stati di volontà, anziché in: riferimento alla e soltanto alla loro espressione. Il nostro autore perviene coerentemente a dire che il rapporto giuridico nasce nel tempo, perdura come componente dell'ordine giuridico quanto perdurà la tensione volitiva, e viene meno col cadere della tensione o col' compimento dell'azione voluta. Da questo punto di vista non si spiega come mai i giuristi continuino a considerar giuridica una volontà manifestata entro un certo ordine giuridico,, e i giudici ad applicarla, finché non siano avvenuti certi fatti con efficacia abrogante, senza preoccuparsi del perdurare della tensione volitiva in corrispondenza alla volontà espressa. Meglio, a mio avviso, chiarito che e come il diritto si forma e si trasforma nella società umana attraverso l'esprigersi della volontà, dire decisamente che dal punto di vista giuridico ciò che viene conosciuto e applicato è la volontà in quanto espressa, la norma come: espressione; e costruire la teoria generale del diritto dal punto di vista della norma come espressione linguistica prescrittiva, anziché dal punto di vista della norma come imperativo. Checché si pensi, comunque, di queste osservazioni, la teoria generale del diritto del Cesa-rini Sforza, accolta come è presentata o trascritta in chiave formalistica, porta nel con.. testo della sua Filosofia del diritto una nuova e considerevole prova dei meriti del norma--tivismo. La concezione del diritto come norma consente di costruire. una organica teoria generale del diritto e insieme di vedere filosoficamente il diritto nel concreto dell'esperienza giuridica. In sede di teoria generale si determinano i rapporti formali tra le norme, come si prospettano per la scienza del diritto che assume una norma prima quale criterio d'individuazione di un sistema di norme; in sede filosofica non ci si ferma alle norme come dato di un'attività scientifica, ma si considera come le norme sono prodotte e superate nell'umana vicenda del rinnovarsi del tentativo di razionalizzare la vita mediante la regola e del rinnovarsi della ribellione della vita alla regola.
Monday, December 16, 2024
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