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Monday, December 2, 2024

GRICE ITALO A/Z B BEL

  

Grice e Bellavitis: la ragione conversazionale e l’implicature del Deutero-Esperanto – scuola di Bassano del Grappa -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice  (Bassano del Grappa). Filosofo italiano. Bassano del Grappa. B. è matematico e professore di geometria a Padova e autore di un progetto teorico di lingua filosofica ad uso parlato. Muore a Padova. Riceve la laurea honoris causa in matematica a Padova. È socio dell'Accademia dei Lincei.  In una lettera all'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti intitolata, “Pensieri sopra una lingua universale e su alcuni argomenti analoghi,” B. immagina un sistema di comunicazione universale caratterizzato da uno scarno sistema di derivazione applicato ad un numero limitato di radici lessicali, una larga varietà di costruzione, un sistema di desinenze per gl’aggettivi (‘shaggy,’ da ‘shag’) che ne determinino il grado, una grande diversificazione delle VOCI verbali per ESPRIMERE tempi, modi, INTENZIONI: indicativo, condizionale, potenziale, dubitativo, interrogativo. E ancora, B. suggerisce un sistema di composizione delle parole da radici diverse, e propone un adattamento a numeri e a SEGNI. Dal saggio di Minnaja, «L'Ideologia Della Lingua, disvastigo.esperanto.it/index.php/it/approfondimenti-lista-di-singola-categoria/293-a130-lideologia-  della lingua internazionale.  Considera altresì improponibile adottare come lingua ausiliaria una lingua storico naturale, sia essa il latino, di certo ampiamente conosciuta tra i dotti, ma incapace di esprimere agevolmente le nuove teorie scientifiche, nonché di essere compresa da tutto il resto della popolazione, o il francese, per un semplice discorso di campanilismo nazionale. Partendo dal presupposto che quando l'uomo ragiona sulle cose sta ragionando attraverso le parole che a queste sono associate, e che altrimenti la riflessione non sarebbe possibile, B. deduce che un linguaggio semplice, rigoroso e perfetto – cf. H. P. Grice, THE FORMALISTS -- conduce delle idee dalle medesime caratteristiche. Viceversa, un linguaggio ambiguo e impreciso è sintomo di idee e ragionamenti altrettanto confusi. Padroneggiare una lingua esatta significa quindi pensare in maniera esatta e ciò è ben visibile nelle differenze di comunicazione tra matematici e filosofi. È tutta basata sugli oggett o cose fisici, e soltanto mediante traslati giunge ad esprimere imperfettissimamente quelle idee astratte, quegli enti  d'immaginazione. La necessità di inventare una lingua precisa, che descrive esattamente la natura e la realtà, risponde alla concomitante necessità di progresso scientifico e tecnologico e si configura allo stesso tempo come mezzo di pacificazione tra i popoli.  Gli aspetti che B. esamina sono l'etimologia, la grammatica, l’ortografia, la pronuncia, e la scrittura. I matematici s'intendono facilmente tra loro, e ben di rado hanno opinioni differenti. Per lo contrario i filosofi – H. P. Grice, tutore, e il suo alievo, P. F. Strawson -- difficilmente s'intendono. Forse è precipua ragione il linguaggio preciso e chiaro di cui si servono i matematici – H. P. Grice: the blue-collar practitioners of logic -- , mentre i filosofi sono costretti a servirsi di una lingua che creata dal popolo italiano. Riguardante l’etimologia, la lingua filosofica perfetta deve innanzitutto presentare delle parole composte da radici brevi, il cui significato sia UNO [Sensi non sunt multiplicanda praeter necssitatem -- e preciso. Queste radici, che hanno non poche rassomiglianze colle lingue viventi, conviene che siano composte sia da consonanti (il cui numero può idealmente variare da due a cinque) che da vocali. B. sostiene che i cambiamenti nelle parole siano di tre tipologie, che egli chiama derivazione -- quando da una parola si passa ad un'altra di significato simile o traslato – anima, animale – cf. Grice, animale: bestia --, modificazione -- quando una parte del discorso si trasforma in un'altra – cf. H. P. Grice, “I’, “me” --, e VARIAZIONE -- quando si modifica la desinenza della parola – H. P. Grice, “I, me”. Attorno a ciascun radicale si diramano tutti quei radicali che ad esso sono affini secondo il significato, e quindi il significante, ottenuti mediante processi di affissazione, in particolare di PRE-fissazione. Sulla questione se siano da derivare i nomi dai verbi, o viceversa i verbi dai nomi, o ancora gli aggettivi (“shaggy”) dai nomi (“shag”), e così via, B. non si espone, sostenendo che le parole formate dalle voci radicali e dalle particelle pre-positive sono o nomi o verbi, od aggiunti, secondo che l'una o l'altra idea è quella che prima naturalmente si presenta, di fatto scaricando ai posteri l'arduo compito di decidere radicali fondamentali attorno ai quali far poi derivare pre-fissazione. Sulla questione se sono da derivare i nomi dai verbi, o viceversa i verbi dai nomi, o ancora gl’aggettivi (“shaggy”) dai nomi (“shag”), e così via, B. sostene che le parole formate dalle voci radicali e dalle particelle prepositive sarebbero o nomi o verbi, od aggiunti, secondo che l'una o l'altra idea è quella che prima naturalmente si presenta, di fatto scaricando ai posteri l'arduo compito di decidere i radicali fondamentali attorno ai quali far poi derivare tutti gl’altri. La DERIVAZIONE comunque si ha in primis tramite apposite desinenze (cfr. l'italiano legno – legnoso, H. P. Grice, shag, shaggy) e, in alcuni casi particolari, tramite modificazione delle consonanti o delle vocali radicali, purché questo non infici la riconoscibilità della famiglia di appartenenza -- cfr. l'italiano amAre - amOre. Sono necessarie peraltro le parole composte, purché siano ben [Pensieri sopra una lingua universale e su alcuni argomenti analoghi, Venezia, Segreteria dell'I. R.  Istituto] riconoscibili i confini delle stesse, del tipo it. pianoforte < piano + forte, e non le parole amalgama o portmanteaau di Humpty-Dumpty, come l'ing. “smog” < smoke + fog, o KANTOTLE. Questi aspetti rendono la lingua di B. a basso indice di fusione – i confini tra morfemi devono essere ben riconoscibili -- e di sintesi -- essa  presenta al massimo un prefisso e un suffisso. Riguardane la GRAMMATICA (o letteratura), vista l'evidente difformità delle congiunzioni - tra cui B. annovera anche le preposizioni  tra le varie lingue, queste non possono che essere create ex novo e secondo il genio della commissione di studiosi che si cimenta nella loro creazione—as they lay on the bath (Grice). Basta sapere che esse debbono essere semplici, ma in numero tale da permettere ai parlanti di esprimersi in maniera chiara e univoca. Le congiunzioni inoltre possono essere utili nel momento in cui la posizione di soggetto verbo - oggetto all'interno della frase crea dei possibili fraintendimenti. Qualora non è ben riconoscibile, ad esempio, a quale verbo si leghi un accusativo o un nominativo – cf. Hardie, “What do you mean by “of” – the fear of God, genitivo soggetivo, genitivo oggetivo, timor dei --, è possibile inserire tra i due delle particelle congiuntive, di modo da fugare ogni dubbio.Ma questo procedimento non è necessario nel caso in cui non vi sia possibilità di inganno – cf. Hardie, “What do you mean by of”?” --. Il dubbio comunque sorge spontaneo. In una lingua che si prefigge la massima precisione e l'immediata riconoscibilità dei suoi elementi, perché inserire variabili dettate dal contesto? La risposta che ciò risponda alla necessità di rendere più fluida la comunicazione e la CONVERSAZIONE (cf. “Love that never told can be”) sembra non reggere bene alle accuse, o meglio sembra avvicinarla, più di quanto questa non voglia ammettere, alle fattezze di una lingua naturale, cioè proprio a ciò dal quale dove maggiormente discostarsi. Sono presenti quattro casi (nominativo – Grice, “I” --, accusativo – Grice, “me” --, genitivo, e dativo), di cui tutti, escluso il primo, identificati tramite apposite desinenze (“ego” – “ego”). Gl’articoli, gl’aggettivi indicativi, e i pronomi (Grice, “I”, “me”) formano insieme una classe a sé stante. Essi possono - non devono - essere utilizzati dal parlante. L’omissione è permessa qualora il significato del discorso [Grice, cio che il proferete significa o communica -- sia ugualmente chiaro. Ad esempio, è possibile omettere l'articolo dinnanzi alla parola che significa 'luna', ‘congresso’, poiché poca differenza farebbe dire 'la luna', ‘il congresso’ – Strawson. Ma è bene utilizzarlo nel caso di 'Mangio QUESTA mela e non quella’ – cf. Grice, “The book is on the table” +> “This book is on this table”. I pronomi – Grice, I, me -- sono soggetti ai casi, di modo che sia più semplice individuare il sostantivo (“Grice”, “this distinguished-looking philosopher”) a cui si riferiscono.  Per avverbi B. intende invece delle particolari particelle da anteporre al verbo e che caratterizzino l'azione indicandone, ad esempio, il tempo, il modo e la persona. In questo modo i verbi risultano indeclinati -- del tipo 'ieri ho mangiato' > io ieri mangio (“When I was in Thailand, I refrained from using the past tense of teach, for fear the natives might not understand me” – cf. Me Tarzan, you Jane”. L'unica indicazione riguarda il MODO – Grice: mode, e non mood -- potenziale (es. it. amabile) e dubitativo, ottenuti tramite ulteriori desinenze. I  verbi conoscono sempre e solo la diatesi o voce attiva – cf. Grice on Leibniz: Paride ama Elena, Elena è amata da Paride. Sotto il nome di aggiunti B. riconosce gl’aggettivi (“shaggy”, d “shag”) e gli avverbi, cioè quelle parti del discorso che caratterizzano le cose (il cane e ‘shaggy’) o le azioni. Posti preferibilmente a seguito di ciò che specificano (‘cane shaggy’), possono eventualmente presentare desinenze che ad essi li leghino. Per quanto riguarda gl’aggettivi di maggioranza, è sufficiente preporre loro 'molto' (Verily shaggy, very shaggy) e così anche per tutti gli altri. I pro-verbi (cf. Grice, Socrates whatted) adempiono per i verbi alla stessa funzione alla quale adempiono i pronomi per i nomi.  Le inter-iezioni (o inter-posti) esprimono proposizioni intere e la nuova lingua filosofica deve averne in gran numero. Sono formati da molte vocali e poche consonanti. Il genere non deve necessariamente essere espresso, ma può essere indicato, qualora si voglia, mediante apposite parole indicanti il femminile e il maschile (‘l’aquila maschio,’ non ‘l’aquilo’) o, nel caso dei sostantivi (aquilo, aquila), tramite l'attribuzione del genere agl’articoli che li precedono (es. 'leone femmina' o 'la leone', la leonessa). Allo stesso modo si indica il numero: cf. Grice (Ex): some (at least one). I valori aumentativi, diminutivi, vezzeggiativi sono aggiunti ai sostantivi tramite altre suffissazioni.  L'ordine sintattico non marcato è Nome Sostantivo + Verbo (“Toby eats”). Nel caso contrario, cioè qualora il verbo preceda il soggetto, al soggetto in caso nominativo (GRICEUS) viene preposta una particella congiuntiva che indichi la sua relazione con il verbo che lo precede (PHILOSOPHVS GRICEUVS). Per il resto, l'ordine dei costituenti è libero purché rimanga intuitivo. Interessante appare il discorso intorno ai pronomi personali soggetto – Me, Grice, take you, as my... . B. sostiene la necessità di avere CINQUE pronomi distinti per la prima persona plurale e la seconda persona plurale. Il primo 'noi' indica un gruppo in cui sia COMPRESSO il parlante (l’ego d’Entwisle) e l'interlocutore (il tu d’Entwistle), o gli interlocutori. Il secondo ‘noi’ indica l'unione dell'io con una o più terze persone – “Kind regards to you and yours”. Il terzo ‘noi’ indica la collettività in cui ciascuno concorre allo stesso modo ad un'azione. Il primo 'voi' (“ye”) indica più persone – cf. (Ex), some at least one – Grice -- con le quali si sta parlando. Il secondo “noi” indica un gruppo composto dal 'tu' a cui si sta parlando e altri interlocutori.  Non è necessario l'uso del pronome di cortesia. Cf. Grice on nonconventional implicatures not being conversational in being derived from maxims which are not universalisable – e. g. moral maxim, aesthetic maxim. Sebbene il problema della pronuncia di una lingua universale sia uno dei più dibattuti, il punto fondamentale è che ad ogni grafo corrisponda uno ed un solo fonema e che non esistano lettere che non si pronunciano – cf. Grice on suit and soot. L'accento è intensivo, non cambia di posizione durante i processi di affissione e derivazione e, nelle parole compose, si mantiene sempre sulla prima parola. Inoltre, il segno diacritico dell'accento può essere posto anche sopra le consonanti ad indicare la  pronuncia raddoppiata delle stesse. Scrittura  Ogni grafema corrisponde a un fonema distinto. Il sistema di simboli utilizzabili per la scrittura è simile a quello alfabetico italiano, in cui però sono stati opportunamente riassegnati i suoni a ciascuna lettera -- per esempio nei casi ambigui di pronuncia della {s} o della {c} o dei nessi {sc}, ecc. Anche la forma stessa delle lettere è spesso modificata, cercando di renderle quanto più omogenee tra loro. Per esempio, B. suggerisce - ma senza mai fornire al lettore una soluzione definitiva dell'alfabeto della sua lingua - che le vocali possono essere o co e a nu, avvicinandosi piuttosto fantasiosamente e solo nella grafia anche a un sistema di scrittura fonetica. Non sono necessarie scritture corsive, in grassetto, in maiuscolo – grice, italia, italiani --, ma è sufficiente un solo sistema di scrittura. È inoltre necessario possedere tre vocabolari. Il primo contene le voci grammaticali e le loro variazioni, preposizioni comprese. Il secondo contenente tutte le desinenze in ordine alfabetico. Il terzo contenente tutte le voci radicali e i loro derivati, elencate secondo l'ordine alfabetico delle sole  consonanti contenute in esse. Sul finire del suo saggio, e forse anche sulla scia dei lavori precedenti, B. si preoccupa di rendere fruibile la sua lingua filosofica anche mediante l'uso del telegrafo. Ogni lettera è indicata da tre segni telegrafici (il punto, il trattino, la linea) opportunamente combinati. I numeri invece sono indicati da due di questi segni, e in questo si distinguono dalle  lettere. 18 123456789. L'autore propone di creare un dizionario di 999 frasi, ciascuna associata a un numero di tre cifre. Ad esempio la frase 'ho sete' è associata al numero 62 del vocabolario, ed è indicata così – cf. H. P. Grice on J. L. Austin’s SYMBOLO: «- -. -»; questa poi è ulteriormente speciticata apponendo altri numeri indicanti qualcosa di più preciso, come, ad esempio, il numero 12 = 'acqua', in codice telegrafico «... -». B. continua infine il saggio presentando altri due tipi di alfabeto, basati ugualmente sulla corrispondenza di simboli e numeri alle IDEE, utili al linguaggio marinaresco, al linguaggio per i ciechi, ecc. B. si innesta perfettamente nel panorama della glosso-poiesi inter-linguistica, rivelando una particolare attrazione sia per le teorie filosofiche precedenti che per le teorie matematico-numeriche. Il risultato comunque, forse dovuto anche al fatto che la proposta si ferma al solo piano teorico – come il DEUTERO-ESPERANTO, di H. P. Grice --, rimane poco soddisfacente e in alcune sue parti quasi contraddittorio. Giusto Bellavitis. Bellavitis. Keywords: Grice. Refs.: Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, “Grice e Bellavitis,” The Swimming-Pool Library. Bellavitis.

 

Belleo. search Bedoni. search Belloni, Camillo --

 

Grice e Belluto: all’isola -- la ragione conversazionale el’implicatura conversazionale dialettica – scuola di Catania – filosofia italiana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Catania). Filosofo italiano. Catania, Sicilia. Grice: “You gotta love Belluto; he shows that the philosopher is the master of grammar – his explanation of modi of the different ‘perfect’ orations—is genial and exactly what I tried to convey in my lectures on ‘mode’: vocativo, imperativo, optativo, indicativo – That this belongs in dialettica is obvious – since all modi share the same logic, and that’s Belluto’s point!” --  Bonaventura Belluto, o Belluti (n. Catania), filosofo.  Nato da distinta e facoltosa famiglia, studiò diritto civile all'Catania. Entrato nell'Ordine dei Frati Minori Conventuali nel 1621, emise la professione religiosa l'anno successivo. A Roma studiò teologia presso il Collegio sistino di San Bonaventura dove conobbe il confratello Bartolomeo Mastri di Meldola del quale divenne compagno indivisibile di studio e di lavoro come reggente degli studi prima al convento di Cesena, quindi a Perugia e poi a Padova. Durante questo periodo, entrambi operarono per il rinnovamento della tradizione e per una nuova interpretazione della dottrina scotista tale da soddisfare la nuova cultura religiosa dell'epoca.  Pubblica a Roma con la collaborazione di Bartolomeo Mastri il primo volume di filosofia scolastica, dal titolo “Disputationes in Aristotelis libros physicorum, quibus ab adversantibus... Scoti philosophia vindicator” che ha il fine di essere diffuso nelle scuole francescane per far conoscere la filosofia di Scoto difendendola dalle critiche d’Aquino i e dai travisamenti operati da altri interpreti tra i quali i gesuiti. Successivamente pubblica un piccolo trattato di logica, Institutiones logicæ, quæ vulgo summulas, vel logicam parvam nuncuparunt, Venezia. Ad opera dei due filosofi è pubblicato un Cursus integer philosophiæ ad mentem Scoti” che riune le “Disputationes”,  le “Disputationes in libros de cœlo et de metheoris”, le “Disputationes in libros de generatione et corruptione” e le “Disputationes in libros de anima”. Il “Cursus” e un'opera, con fini esclusivamente didattici e divulgativi del pensiero scotista, dove manca ogni riferimento alla cultura filosofica e scientifica contemporanea. Alla fine della comune reggenza a Padova i due filosofi si separarono. Belluto torna a Catania dove fu ministro provinciale di Sicilia e di Malta, distinguendosi per intelligenza e saggezza di governo. In questo periodo esercita anche la carica di consultore e censore per l'Inquisizione. Nell'ambito del piano di rinnovamento del pensiero di Scoto oltre all'insegnamento della sua filosofia i due filosofi progettarono un corso di teologia che Mastri sviluppa con il trattato D”e Deo in se” mentre Belluto continua l'elaborazione dell'opera “De Deo homine” della quale fu pubblicata solo la parte riguardante le “Disputationes de Incarnatione dominica ad mentem Doctoris subtilis”. Tema specifico e quello della predestinazione di Maria: argomento questo che non apparteneva alla dottrina di Scoto ma che cerca di risolvere applicando i principi del maestro nel senso che applicò alla predestinazione della Vergine Maria la dottrina scotista della predestinazione assoluta di Cristo.  Costa, B. Il religioso, lo scotista, lo scrittore, il FILOSOFO, Roma, La Sicilia e l'Immacolata: non solo 150 anni: atti del convegno di studio, Palermo, Diego Ciccarelli, Marisa Dora Valenza, Officina di Studi Medievali, Costa, Il primato assoluto di Cristo secondo B., OFMConv., in "Miscellanea francescana", Vasoli, Belluti, Bonaventura, in: Dizionario Biografico degli Italiani, Roberto Osculati, Gli Opuscoli morali di Bonaventura Belluti. Duns Scoto Mastri V D M Francescanesimo. INSTITVTIONVM LOGICALIVM. Nomina transcendentia infinitari possint verbum adiectiuum & substantiuum de Secundo adiacente sint verba apud Log, de attinentibùs ad formam syllogiſmi, De oratione, quid sit, quotuplex, oratio necesario debeat constare verbo, quid sit propositio, seu Enunciatio, quotu De terminis, ac eorum affectionibus, Quanam sit recta Enunciationis definitio.quotuplex sit terminus. Quomodo Enunciatio vocalis dicatur vera, vel communi. falſa. Quæ dctiones fubeant rationem, divisio in catheg. bypotb. sit generi sin termini. Species. An dentur termini in cap. 4. Quid sit propositio cathegorica b quotuplex. propositione mentali, Determinorum multiplicitate ratione fignifi Dub. 1, Qualis sit diuisio propusitionis in veram, falsam, affirmativam, negativam, quid sit signum [segno], a quotuplex  uniuersalem o particularem qui sint termini mixti inter cathegoremati qualis sit diuisio propositionis in modalem cum syncathegorematicum de inesse qui sit terminus complexus o incomplexys Capo, 5. Quid sit propositio modalis, & quotuplex, Determinorum multiplicitate in ratione modi qualis sit divisio propositionis modalis significandi  in compositam o diuitam. Quid fit terminus connotatiuus. n.g Quid sit propositio bypothetica, oquotuplex, D emultiplicitate terminorum in ordine ad res fignificatas. Dubi. An bypotbetica propositio benèdefiniatur.n. De Uniuerfalibus, fue Prædicabilibus. Divisio bypothetice in conditionalem. De Prædicamentis, primode absolutis. copulativam  & disiunctiuam sit generis in species De prædicamentis respectivis, De legibus eorum, quæ funt in Predicamento, De oppositione cathegoricarum simplicium. De Terminorum collatione inter se, An inter contradictoria detur medium, Varia terminorum supposition quod  sint species oppositionis, An suppositio competat adiectivis de æquipollentia, o conversione categorical. Quo pacto differente suppositio determinata, rum simplicium & confusa, Quomodo equipolleant ſubcontraria, De reliquis terminorum proprietatibus, propositio affirmativa depredicato infins, Determinis componibilibus aquipolleat negative de predicato finite explicantur quidam termini in fchalis fre è contra quentiffimi, De oppositione, æquipollentia, &conuersione catbegoricarum, modalium, ac etiam hypotheticarum propositionibus exponibilibus, insolubili de Propositione & eius affectionibus, bus, propositiones exponibiless int catheg vel by Comez de nomine o verba, pot. & quomodo contradicant solum nomen finitum rectum sit propositiones insolubiles sint catheg, vel by nomen apud Logicum, pot.cies de Argumentatione, & eius affectionibus de attinentibus ad materiain syllogiſmi. oquotuplex fit Argumentatio formalis. De syllogismo Demonstrativo. De speciebus argumentat. Quoi fint argumentationiss pecies, og mun ald. precognitionibus eo perecognitis quod sint precognitiones, omnis consequentia sit argumentatio de regulis communibus bona argumentatione. Quid depaſſionepre cognoscatur. nis. De fcientia demonftrationis effectu liceat argumentariex fuppofitioneimpos Dub.V n.An dentur scientia de novo. sibili, de neceffitate principiorum, ubi de modis de inductione, ubi de ascensu, descensu, per feitatis Que predicentur in primo modo dicendi per Dei. inductio fit bona, formalis consequentia, vel argumentatio, modus intrinsecuspredicetur in primo modo De syllogifmo, & eius principis constitutiuis, dicendi per se. n.is obi de figuris eiusdem quo patto quartus modus dicendiper se disse unde dicantur maior, o minor in syllogism rat a secundo. Propositio per se convertatur in propositio, conclusio sit de essentia syllogismi nem per fe. detur quarta figura De demonstratione propter quid De principis regulatiuis syllogismi Ancaufa virtualis pofit in seruire demonstra dub us. quodnam sit principium precipuum regulationi siuum syllogismi quomodo illud axioma propter quod, unum regule generales, especiales cuiuscunque si quodque tale & illud magis. gure alignantur. De demonstratione quia Alignantur modi cuiuscumque figura cum. De medio demonstrationis.corum exemplis. De numero quaffionum modi syllogismorum sint sufficientere numerati. figura dentur modi indirecte concludentes sicut in prima de syllogiſmo topico, de inductione modorum imperfectorum ad perfectos. De varis speciebus syllogiſmi cathegorici. De materia tum remota tum proxima syllogiſmi topici. detur syllogismus constans ex propositinibus non significantibus de numero predicatorum de locis topicis de Syllogismo hypothetico & alijs syllogismi, de locis intrinsecis speciebus de locis extrinsecis un de finepetende divisions syllogifmi, De locis medijs.fint eſentiales. Digifmus, ut fic, fit genus demonftratiui, opici, co Sopbiſici.De arte inueniendí medium, ac bene disputan de syllogismo sophistico de modis seu instrumentis sciendi fallacis in genere An detur diftin & tiomedia interdiftin & tionem reslem,orationis, de Fallaciis extra dictionem.  Impiegatura del segnare.  Ex variis capitibus solent termini multiplicari et variæ eorum divisiones assignari, ex parte nimirum significationis, ex parte modi significandi, et ex parte rei significatæ. Ex primo capite, quantum ad præsens spectat, solet in primis dividi vocalis terminus in significativum et non significativum. Ille est, qui aliquid significat, ut hæc vox homo, qui naturam significat humanam, ille est, qui nihil qui nihil fignificat, ut "blittri", "buf", "baf". Sed ut ista divisio sit recte tradita intelligi debet de termino in prima acceptione assignata cap. præced. nam in secunda acceptione omnes termini sunt significativi, cum esse possint subiectum et prædicatum in propositione. Terminus igitur vocalis in tota sua latitudine sumptus dividitur in significativum et non significativum. Quæ divisio ut bene percipiatur, cum terminus vocalis constituatur in ratione significantis per significationem, videnduın est quid sit significare & quid signum [segnante, segnare, segnato] a quo verbum "significare" derivatum est. [A cloud may sign but a cloud does not 'make' [fare] a sign -- you cannot order a cloud, 'make a sign!' 'Signify', "Fa un segno!"]. Signum (ex August. De Doct. Christ. cap. i) est illud [x], quod præter sui cognitionem, quam ingerit sensibus, facit nos venire in cognitionem alterius [y], v. g. hæc vox "homo" præter speciem, quam imprimit in auditu, ut sonus est, facit nos venire in cognitionem alterius scilicet naturæ humanæ, unde signum [segnante] debet esse tale, utillo cognito per sensus, mediante illo deinde veniamus in cognitionem rei, cum qua signut habet *connexionem* [any link will do]. Hinc significare nil aliud erit, quam aliquid aliud a se distinctum *re-præsentare* potentiæ cognoscenti. Ex quo patet signum dicere ordinem et ad potentiam cognoscentem, cui *re-præsentat* et ad rem significatam [signata, segnata], quam re-præsentat. Dividitur porro signum in formale et est illud, quod absque sui prævia cognitione aliud nobis [dual scenario] re-præsentat & in eius cognitionem ducit, quales sunt species impressa et expressa respectu proprii objecti et in instrumentale, quod præ-supposita sui cognitione facit nos in alterius cognitionem venire, ut imago respectu Cælaris, vestigium respectu feræ transeuntis. Qua de causa Scotus 2. d. 3.quæst. 9. et quol.14, hoc secundum signum appellat medium cognitum, quia ut ducat in cognitionem *signati* [segnato], prius petit ipsum cognosci, illud vero primum vocat præcise rationem cognoscendi, quatenus præcise est quo aliud cognoscitur et non quod cognoscitur. Signum autem instrumentale est, de quo agimus in præsenti et quod proprie dicitur signum et definitur ab August. citat, ea tamen definitio etiam formali conveniet, si prima pars dematur & dicatur signum esse, quod facit nos in alterius rei cognitionem venire. Hæc tamen signi descriptio, quamvis sit ab August, tradita & ob tanti doctoris authoritatem ab omnibus passim recepta, non recipitur a Poncio disput. 19. Log. quæst. i, eamque impugnat quo ad veramque partem. Quo ad primam quidem cum ait signum [segnante] esse id, quod præter sui cognitionem, quam ingerit sensibus, etc. redarguit, quia non complectitur omne signum, quia possent dari *signa spiritualia*, quae deducerent in cognitionem aliarum rerum, nec possent percipi a *sensibus materialibus*. Quo ad aliam vero partem, in qua ait. Quod signum facit nos venire in cognitionem alterius eam impugnat, tamquam ab Arriag. traditam, quia obiectum facit nos in cognitionem sui venire et tanem *non* dicitur signum. Rursus Deus ipse facit nos venire in cognitionem multarum rerum eas nobis revelando, nec tamen ab illo vocatur signum illarum rerum. Præterea cognitio est signum rei quae cognoscitur per ipsam & tamen non facit nos in cognitionem venire.  Sed nimis audacter insiciatur Poncius doctrinam D. Augustini, quam omnes venerantur, ut communis Magistri, unde mirum esse non debet, quod saepius hic auctor minimo rubore suffusus doctrinam Scoti praeceptoris audeat impugnare. Optima enim est illa descriptio quo ad omnes partes, si bene intelligatur, nam duae solent assignari conditiones alicuius, ut alterius rei signum dicatur, una est, quod nos ducat in illius rei cognitionem, altera est, quod ducat in eius cognitionem, quatenus cognita, quarum conditionum utramque *optime* [cf. optimality] exprimit definitio signi ab Augustino tradita. Nam per primam partem definitionis secundum exprimit conditionem. Vulc enim rem, quæ inservire debet pro alterius signo, prius nostris sensibus cognitionem sui ingerere debere, specificat autem signum esse debere *sensibile*, quia ut notat doctor 4. d. 1. quæst. 2. & 3. *signa sensibilia* sunt *maxime apta pro statu ipso excitare intellectum coniunctum a sensuum ministerio dependentem, ut in alterius rei cognitionem veniat. Per alteram vero partem definitionis altera quoque conditio exprimirur, contra quam nil urgent instantiæ a Poncio adducta, quia obiectum facit venire in cognitionem sui, non alterius, nec facit venire in cognitionem sui, quatenus cognitum, ut facit signum, sed quarenus cognoscibile. Nec etiam *Deus* hoc modo ad instar signi ducit nos in rerum cognitionem, quatenus cognitus, sed eas revelando, quod adhuc facere posset, etiamsi prius a nobis non cognosceretur. Cognitio denique esse signum rei cognitae per ipsam formale, ut dicebamus, non autem instrumentale, quod solum *proprie* dicitur signum et ab Aug. definitur & ideo cognitio proprie loquendo non dicitur facere nos venire in cognitionem rei, quam re-præsentat, quia non ducit nos in cognitionem illius rei, quatenus cognita, sed ut medium cognitum, sed ut racio cognoscendi. Solum autem signum instrumentale est illud, quod hic definitur. Et hoc signum instrumentale adhuc *duplex* [like vyse and vice?] est, aliud *naturale*, et est quod *ex natura* sua independenter ab hominum voluntate [those spots mean measles] aliquid [measles] re-praesentat, ut fumus ignem [where there is smoke, there's fire], et universaliter omnis *effectus* [causa/effectus] suam causum, qui præsertim si *sensibilis* [fumus] erit, dicetur signum causae juxta sensum definitionis allatæ. An vero ita e contra *causa* dici posse signum sui *effectus*, negat Hurtad. disput. 1. sect. 4. quia etsi causa cognitio ducat in cognitionem *effectus*, tamen, non es ordinata ad illum re-præsentandum. Sed plane non minus ordinata est cognitio *causæ* ad nos ducendum in cognitionem *effectus* a priori, quam cognitio *effectus* sic *ordinata* ad notitiam *cautiam* a posteriori, quare ratio Hurtad. parum valet. At inquirare alii, quod licet ita res se habeat, sola tamen cognitio, quae per *effectum* habetur, dicitur haberi per signum, unde sola demonstratio a posteriori, quae est *per effectum*, dicitur *a signo* et ideo solum *effectus* dici potest signum *causæ*, non e contra. Verum neque hoc viget, licet enim cognitio habita *per effectum* veluti sensibiliorem *causa*, magis proprie dicatur *a signo*, nil tamen impedit, quin et cognitio habita *per causam* possit dici *a signo* absolute loquendo. Potest igitur etiam *causa* dici signum sui *effectus*, et praesertim quando *sensibilis* est, unde a theologis sacramenta dicuntur *signa* *gratia*, cuius sunt *causa*, ita clare colligitur ex Doctore 4. d. 1. quaest. 2. De secundo principali et sequitur Casil. cit. & Arriaga disputat. 3. sect. 2. Aliud vero est *signum artificiale* [not conventional! ars/natura], seu *ad placitum* et est: quod ex hominum impositione aliud re-præsentat, sic ramus est signum venditionis vini, sonus campanae est signum lectionis [the bell means the bus is full], et vox illius rei, ad quam *signi-ficandum* est imposita. Ubi tamen est advertendum etiam in vocibus ipsis non tamtum significationem ad placitum reperiri posse, sed etiam naturalem, ut patet de gemitu infirmorum et latratu canum et ideo terminus vocalis *signi-ficativus subdividi solet in *significatiuum naturaliter et ad placitum et hic ad dialecticum spectat non quidem secundum suam realem entitatem, ut vox est, et sonus quidam in aere *causatus*, sed secundum quod impositus est ad res ipsas *signi-ficandas* et conceptus mentis exprimendos, in hoc enim sensu voces pertinere dicuntur ad institutum dialecticum, ut dicemus disp. de vocibus, ubi etiam declarabimus, per quid constituatur ratio signi. Special section on ‘sign’ – two sections. General definition of sign, following Augustine, but with objections by Ponzio. Second section, the criterion between artificial (‘a piacere’) and mere natural signs. Segno – segnare – segnante, segnatum. Bonaventura Belluti. Bonaventura Belluto. Keywords: dialettica, “Institutiones logicae, quae vulgo Summulas, vel logicam parvam nuncuparunt”, section on ‘segno’ – signum. The teacher ringing the bell means that Strawson should go to the tutorial. The branch of grapes means that Grice is selling wine from his orchard. Rather than ‘artificiale’ ‘a piacere’ is better, ‘ad placitum’. Scottism against Thomism in Italy – x means y in terms of cause and effect. The problem of God, should sign be always ‘material’?—Etimologia di ‘segno’ – relazione con greco ‘semeion’ neutro.   Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Belluto” – The Swimming-Pool Library. Belluto.

 

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