Grice e Capua: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia romana – scuola d’Avellino – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bagnoli Irpino). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Bagnoli Irpino, Avellino, Campania. Grice: “I like Capua – from the middle of nowhere – Lago Laceno – he founds an “Accademia degl’Investiganti” in Capri! To philosophise!” Vestigia lustrat, i.e. even in dreams the hound follows the trace of the hare!” -- Impegnato nella ricerca e nella sperimentazione, in antitesi ai vecchi capiscuola come Aristotele, Ippocrate, Galeno ed altri, è a capo di un'accademia dal nome gl’investiganti. Pubblica il "Parere", sostenendo le idee di chi oppone la ricerca medica e scientifica al sapere della tradizione. Nacque a Villa Capua, in Via Carpine, da Cesare e Giovanna Bruno. Nonostante la famiglia fosse facoltosa, non gli venne assegnato un precettore che lo seguisse negli studi oltre le basi grammaticali. Ad ogni modo, si dedica con passione, sin da giovanissimo, all'approfondimento del latino, del greco e della retorica. Persi entrambi i genitori e dovette cominciare a provvedere da sé alla sua educazione. Trasferitosi a Napoli per seguire la sorella, frequenta la scuola dei padri della Compagnia di Gesù. Impara le Istituzioni di Giustiniano, leggendo al tempo stesso anche le osservazioni di Giacomo Cuiacio, testi che segnarono profondamente la sua formazione, come è evidente in vari passaggi del suo "Parere" e nelle sue "Lezioni intorno alla natura delle mofete". Si laurea e fa ritorno a Bagnoli, con l’intenzione di approfondire le sue conoscenze naturali ed anatomiche, effettuando osservazioni dirette su animali vivi sezionati e con il supporto di testi reperiti a Napoli. Proprio in quegli anni prese forma il suo pensiero critico circa l'inadeguatezza del metodo della filosofia. Degli anni di ritiro a Bagnoli non abbiamo ulteriori notizie biografiche. Amenta, autore di una sua biografia, ci riferisce anche di una certa attività letteraria, collocabile in questo periodo, di cui, tuttavia, non ci è giunta testimonianza. I suoi testi furono rubati mentre era in viaggio verso Napoli. Si trasferì definitivamente in Napoli. Probabilmente il suo trasferimento fu favorito dalla presenza a Napoli di Cornelio, suo amico, il quale vantava una lunga preparazione alla scuola galileiana e indirizza Di Capua alla ricerca scientifica nella linea segnata da Galilei e da Cartesio, protagonisti della rivoluzione che la filosofia sperimentale portava all'interno di una cultura legata al passato e in cui vigeva la legge dell'"ipse dixit". Sulla scia di questo fervore intellettuale, fonda insieme a Cornelio, e Borelli Gl’Investiganti, gruppo di gioco filosofica di neta ispirazione anti0aristotelica. La sua casa fu spesso luogo, ad ogni modo, di incontri tra gli intellettuali napoletani che facevano capo agl’Investiganti. Ottenne il riconoscimento dal Principe Francesco Carafa, di essere iscritto all'Arcadia di Roma, con il nome di Alessi Cillenio. Tale riconoscimento scaturisce dalla fama e dall'operosità scientifica che ottenne non solo a Napoli, ma in tutta Italia. A causa del suo ruolo di spicco all'interno dell'Accademia e della pubblicazione della sua opera più celebre, il "Parere", e coinvolto nel processo agl’ateisti che fu da molti visto come un processo indetto dal tribunale dell'Inquisizione per contrastare il diffondersi delle nuove idee in ambito scientifico e filosofico. Il processo era ancora aperto quando morì. Fu un professionista scrupoloso e un illustre innovatore scientifico nello scenario culturale napoletano della seconda metà del Seicento. Egli dimostrò notevole interesse per le dispute galileiane e i processi contro lo scienziato pisano, che in quegli anni erano al centro delle cronache del mondo politico, religioso e scientifico. In quel periodo Di Capua era anche interessato al pensiero di Bruno, Campanella e Porta, ma soprattutto era affascinato dalle novità scientifiche a cui lo introdusse il suo amico Cornelio, riguardanti i libri e le pubblicazioni dei principali scienziati e filosofi italiani ed europei come Bacone, Cartesio, Harvey, Hobbes, Gassendi, Samert, Hooke, Willis, Boyle. Tra Cornelio e C. sorse una solida amicizia basata su ideali comuni: entrambi non condividevano né l'autoritarismo aristotelico né le vecchie teorie di Ippocrate e di Galeno. Dello stesso pensiero era Borelli, medico fisico e matematico, ammiratore, anche lui, del metodo di GALILEI. Infatti lo sperimentalismo galileiano, basilare nell'attività dell'Accademia del Cimento, influenzò e si congiunse con l'attivismo speculativo degli Investiganti napoletani. L'ambiente culturale napoletano era dunque vivo e attivo e le librerie di via San Biagio dei Librai divennero centri di raduno intellettuale, in cui si discuteva sulle novità di fisica, astronomia, filosofia e medicina. C., ancora prima della fondazione dell'Accademia degli Investiganti, aveva già incominciato a contribuire al risorgere della cultura napoletana, partecipando attivamente alle riunioni e ai circoli culturali sorti a Napoli nella seconda metà del Seicento, tra cui quello fondato da Camillo Colonna. In un’ottica del tutto contrastante alla Controriforma della Chiesa cattolica che da circa cinquanta anni aveva preso piede, Napoli diventa il centro della vita letteraria e delle attività scientifico filosofiche, spostando l'attenzione da Firenze a Napoli: si passa dal Cimento e dai Lincei agli Investiganti, dalle Accademie fiorentine e romane a quella napoletana. Si forma quindi in questa “nuova” Napoli, sotto lo stimolo, l'esempio e l'amicizia di Cornelio e Borelli, i quali, durante i loro viaggi, erano stati illuminati dall’ “Accademie des Sciences” di Parigi e la “Royal Society” di Londra. È in questo contesto culturale che ‘Il Parere” richiama l’attenzione di Redi. Lui e Redi erano entrambi scienziati, intellettuali, accaniti osservatori della natura; tutti e due seguivano il metodo sperimentale secondo lo spirito galileiano. Redi scrisse a C. una lettera dopo aver letto le sue "Lezioni sulla natura delle mofete", in cui gli manifesta tutta la sua stima e ammirazione. Redi fu il primo ad effettuare ricerche sul cancro e sulla parassitologia. L’ammirazione che provava nei confronti del C. era la dimostrazione che quest’ultimo era inserito nell'élite culturale italiana del tempo, anche al di fuori del circuito napoletano, fino al punto che la Regina Maria Cristina di Svezia si interessò vivamente a lui e alle sue idee, comunicandogli il desiderio di conoscere con maggiore chiarezza ed approfondimenti il suo parere sullo stato dell’incertezza della medicina. Scrisse allora i “Tre Ragionamenti sull'Incertezza dei Medicamenti”. Nelle sue pubblicazioni non fa menzione di Vico, suo devoto alunno, probabilmente in quanto al momento della sua morte il Vico aveva soltanto 25 anni. Quindi non aveva avuto modo di intuire le capacità intellettuali di VICO, il suo genio raziocinante di storico e di filosofo. Certamente Vico fu influenzato dalle idee e dalle teorie di C., che affiorano in alcune orazioni giovanili vichiane (il concetto della divinità presente in tutta la natura). Vico, di natura solitaria, fu molto sensibile alle novità scientifiche e filosofiche del tempo, partecipa al movimento culturale napoletano e frequenta la casa C., che considerava il suo ideale maestro. C., Cornelio, Andrea, e Borelli fondano a Napoli “Gli’Investiganti”insieme ad altre illustri personalità del mondo scientifico filosofico napoletano. Gl’Investiganti sorgeno in uno scenario di fervore intellettuale nuovo, dall'esigenza, quindi, di allontanarsi dalla filosofia aristotelica e dalle teorie di Ippocrate e di Galeno, per abbracciare le nuove teorie rivoluzionarie. Il motto degl’Investiganti e una citazione di LUCREZIO: "vestigia lustrat" seguito dall'immagine di un cane che segue le tracce e fiuta le impronte, rappresentando a pieno lo sforzo degl’nvestiganti nella ricerca delle cause alla base dei fenomeni naturali. L'Accademia fu chiusa per la peste. Venne riaperta dal marchese Andrea Conclubet, spinta da una nuova energia vitale: superare l'arretratezza culturale del paese per mettersi al passo con gli altri Stati europei. Gli investiganti si riunivano ogni 20 giorni e non si limitavano alla discussione dei vari argomenti, ma anche alla sperimentazione proprio come gli accademici della Royal Society di Londra e del Cimento. Alla riapertura dell'Accademia, quindi, le prime lezioni furono tenute dal C. su argomenti di natura scientifica. Altre lezioni ebbero come argomento l'anima, la fisiologia e l'embriologia. Si eseguirono anche esperimenti di fisica, meccanica e idromeccanica in situ, cioè nei luoghi dove certi fenomeni si verificavano (per esempio nella grotta del cane di Pozzuoli, nota per i fenomeni mefitici). Le nuove teorie degli Investiganti determinarono una reazione nel mondo del conservatorismo gesuitico, che sfociò nella fondazione di un'Accademia antagonista: l'"Accademia dei Discordanti", guidata dai famosi medici Pignatari e Tozzi. Quest'ultimo fu primo medico del Regno di Napoli, professore alla Sapienza e in seguito alla morte di Malpighi gli venne affidata la carica di archiatra pontificio. Da allora i contrasti tra le due Accademie si moltiplicarono a tal punto che il viceré Pedro Antonio de Aragón dispose di chiudere entrambe le Accademie. In seguito riapre una sua scuola, dando prova della sua convinzione sulla fondatezza delle sue teorie e sul desiderio di trasmettere queste verità agli alunni. Questo periodo rappresenta un momento di massima notorietà del pensiero culturale a capo di C., tanto che, il viceré spagnolo Faiardo indisse un congresso, in cui diversi medici dovettero esprimere il proprio parere per ciò che concerne lo stato delle teorie medico scientifiche oggetto di disputa. Fu così che, in occasione del convegno, Dcompose il suo "Parere Divisato in otto ragionamenti..", che ottenne notevoli riconoscimenti oscurando il conservatorismo cattolico dei suoi detrattori. Nonostante il Seicento, secolo del barocco, avesse come personaggio di spicco a Napoli Marino, ritenuto dai suoi contemporanei un genio poetico di grandezza insuperabile, si dichiara nettamente anti-marinista, in quanto la sua mentalità era di natura critica, analitica e scientifica. Si forma nel pieno delle dispute letterarie tra marinisti e tradizionalisti di stampo petrarchista. In quell'epoca predomina il trecentismo linguistico, perorato da Bembo e codificato dalla Crusca, che Salviati detta e di cui nel solo Seicento esistevano ben 3 edizioni. La notorietà, l'autorità, il peso culturale di questo nuovo dogma della lingua italiana ebbe una notevole presa su C. grazie anche alla sua predilezione per la poesia di Petrarca. Poiché i petrarchisti sono considerati “antiquari” dai marinisti, lui stesso venne etichettato come un antiquario, in quanto purista linguistico e seguace della tradizione dei dettami della Crusca. Di fatto, tuttavia, egli sosteneva principi rivoluzionari di scienza, seppur mediati da un linguaggio ormai arcaico. Tuttavia a Napoli, nella seconda metà del Seicento, si afferma intorno a lui un movimento puristico, a tendenza arcaicizzante che esercitò il suo influsso anche su VICO. Questo sottolinea il suo aspetto conservatore, riferito esclusivamente al linguaggio da lui usato, tipico del purismo letterario petrarchesco. In contrasto con questo atteggiamento letterario antiquario, fu senza dubbio un rivoluzionario in ambito scientifico nello scenario culturale napoletano. La sua produzione filosofica è, dunque, caratterizzata nel complesso da una forte contraddizione tra il nuovo del suo pensiero scientifico ed il vecchio o antico della lingua da lui scelta. La sua oè costituita da duemila sonetti, due tragedie ("Il martirio di Santa Tecla" e "Il martirio di Santa Caterina"), alcune commedie, una favola a sfondo idilliaco e altri scritti filosofici vari. Di questa produzione non abbiamo testimonianza a causa del furto subito da lui in viaggio verso Napoli. I sonetti, tanto nella forma quanto nel contenuto, sono di imitazione petrarchesca. La stesura di questi ultimi, inoltre, è collocabile al periodo dell'adolescenza e, pur non potendolo affermare con certezza, è lecito intuire che la sua cosiddetta produzione non abbia potuto assurgere ad alte cime, considerata anche la sua indole disposta più allo studio dei fenomeni e al razionalismo che all'aspetto psicologico o ai fattori emotivi. Le opere drammatiche sono, al contrario, ispirate al modello di Porta. Il Parere divisato in otto ragionamenti è indubbiamente la sua opera più importante, pubblicata a Napoli, ristampata con le Lezioni intorno alle mofete. In questo testo parte dalla pretesa di dimostrare quanto vana, quanto priva di ogni salda dottrina fosse la filosofia di Aristotele, rivendicando un rinnovamento culturale, un bisogno di liberarsi dagli eccessi del potere politico ed ideologico di alcune posizioni. Proprio a causa di questo spirito di rivolta rintracciabile nel testo fu intentato un processo contro lui da parte dei Gesuiti, capitanati da Benedictis, che si svolse a Napoli. Nel Parere, tuttavia, più che negare il pensiero di Aristotele nel campo della conoscenza, intende contestare l'atteggiamento di coloro che ne avevano adottato in maniera eccessivamente pedissequa il metodo. La posizione da lui presa è tutta in favore della rivalutazione delle scienze e di un approccio nei confronti di queste che non sia statico, bensì critico anche nei confronti della tradizione. La medicina in particolare è una scienza che non può fondarsi, a suo parere, su nozioni incontestabili, ma deve piuttosto essere costantemente messa in discussione, pur mantenendosi nei limiti dell'esperienza e della debole ragione. Nell'opera, comprensiva di otto ragionamenti, viene anche delineata la figura ideale del "buon filosofo", il quale deve essere allo stesso tempo anche amante della filosofia e buon conoscitore della geometria. Agli otto ragionamenti aggiunse un'appendice al "Parere": "L’incertezza". In entrambe le opere Di Capua finisce con il constatare lo stato dubbioso tanto della conoscenza e come proprio il loro caratteristico elemento di imprevedibilità, anche in quanto soggette agli elementi umani, rendano impossibile una conoscenza del tutto obiettiva. Le Lezioni sulla natura delle mofete riprendeno i concetti già esposti nel "Parere" sull'aria, concepita come anima dell'universo. Anche nella descrizione e nello studio delle mofete, fenomeni naturali caratterizzati dall'uscita di anidride carbonica, vapore acqueo e altri gas da terreni di origine vulcanica, rivela le sue attitudini alla razionalità, alla dimostrazione obiettiva di ogni evento fisico, sostenendo come la conoscenza di un fenomeno debba essere fondata sul metodo sperimentale. Altra opera pubblicata a Napoli e una biografia del condottiero Andrea Cantelmo, il quale milita nell'esercito di Ferdinando II D'Austria e a cui veniva attribuita l'invenzione delle mine volanti e di un tipo di pistola a ripetizione con 25 colpi. La biografia diventa il pretesto per l'autore per far affiorare la sua concezione sull'individuo, sull'uomo, sui giochi della fortuna, sulla dialettica tra gli avvenimenti storici riguardanti l'uomo come personalità unica ed individuale e l'intreccio dello svolgimento degli eventi. Rogatis, Cenni biografici degli uomini illustri di Bagnoli Irpina. Carmine Jannaco Martino Capucci, Storia letteraria d'Italia (F. Vallardi, Milano, Piccin nuova libraria, Padova); Puppo, Discussioni linguistiche del Seicento, POMBA, Torino). “Parere di C. divisato in VIII ragionamenti, ne' quali partitamente narrandosi l'origine, e'l progresso della medicina, chiaramente l'incertezza della medesima si fa manifesta” (Antonio Bulifon, Napoli); Amenta, Vita di C., Venezia). Niccolò Amenta, Vita di C. detto fra gli Arcadi Alcesto Cilleneo” (Venezia). Badaloni, Introduzione a Vico, Laterza, Roma; Bari); Cotugno, La sorte di Vico e le polemiche scientifiche e letter.; R. Ospizio V. E., Giovinazzo. Salvo Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli, D'Anna editore, Messina-Firenze); Maturi, Nicolini, La giovinezza di Vico; saggio biografico, Napoli); Minieri Riccio, Cenno storico delle Accademie fiorite nella città di Napoli, Bologna); Osbat, L'Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti, Edizioni di storia e letteratura, Roma); Amedeo Quondam, "Minima dandreiana: prima ricognizione sul testo delle "risposte" di F. d'Andrea a Benedetto Aletino" in Rivista storica italiana, Napoli); Reppucci, Saggio monografico su C., scienziato-medico-filosofo bagnolese (Circolo Sociale "Leonardo di Capua", Bagnoli Irpino). Dizionario Biografico degli italiani. Vico, Autobiografia, a cura di Croce Bari (Edizioni Pauline, Milano).Capua's “parere” is just that: an opinion -- in response to a specific request by the Viceroy and the Consiglio Collaterale put to a group of prominent Neapolitans for counsel on a legal regulatory policy. C.'s attack on Aristotelian discursive modes seems simple, ordinary Aristotle-bashing. C. maintains a theoretical investment in the anima. This is not a recuperation, or a conscious continuation, of Aristotle on Capua's part. Capua wishes to protect philosophy from a mechanical application of a logical technique, and also from a premature, reductionist applications of the beast or the machine metaphor. Aristotle offers a biological concept of the soul as the first actuality of life, the principle of life. C., Il suo parere, divisato in otto ragionamenti, ne’ quali partitamente narrando l’origine, e'l progretto della filosofia, chiaramente l'incertezza della medesima si sta manifefta. Napoli, Bulison Columa de Superiori. 1” All'illustrissimo, ed eccellentissimo signore LCTEA CARRAFA, principe di Belvedere, marchese d'Anzi, &c. On avendo io cosa, eccellentissimo signor mio, che m'abbia in più pregio di quel che so la padronanza vostra, cerco per quanto posso di farla palese a ciascuno, sicome altri fa il possedimento delle cose più care, e preziose, ch'egli s’abbia, o per sua industria, o per fortuna acquistate. Ho pensato dunque, che a ciò fare io non potrei avere migliore opportunità di questa che mi porge il presente saggio filosofico, che per mia gran vençura essendomi capitato alle mani, ho preso a far istampa re, s'io il mettesli fuori sotto il nome vostro, La scrittura veramente a giudicio di voi medesimo, e d'ogn altr'huomo intendente è tale, che agevolmente posso da lei promettertii il fine, che m'ho proposto; im perciocchè ben tosto n'andrà ella per le mani delle persone di miglior giudicio nelle buone letiere, sì per per ta cognizione, che s'ha dell'autore di lei, doa vunque ha di quelli, che se ne dilectano, sì perch' ella il vale, per l'eloquenza, e doctrina, di che si ve de ripiena: oltre all'autorità, e fama, che le si accrescerà dall'istesso nome vostro ch'ella porta seco. Poichè possiam dire, che poche sono quelle parti d'Europa, ove non s'abbia conrezza di voi, e delle vostre egregie qualità, o per la fama, o per la presenza di voi; ma che quasi tuttele havete cerche colle lunghe, e laudevoli peregrinazioni, le quali in quella guisa, che da voi sono state fatte, sidebbono riporre fra quegli studj, con che vi siete sempre ingegnato, e v'è venuto fatto d'aprirvi la strada all’intera cognizione delle umane cose, e d'accrescere con le doti dell'animo, e dell'ingegno lo splendore ch'avete ereditato da'vostri maggiori. Oltre a ciò non doveva questa scrittura venirne fuori sotto altro nome che'l vostro: mentre, e la stima, che voi fate dell'autore di essa, e l'affezione, che gli portate, sicome fare ancora a ogn'altro huomo letterato e l'antica dimestichezza, ch'egli ha con esso voi il richiedeano. Ricevete dunque il presente dono, ch'io viso di questo saggio, o per più vero dire, della picciola parte, ch'io ho in quello, per l'opera da me polta in farlo stampare, con l'usata vostra umanità in segno dell'osservanza ch'io viporto. E pre go Iddio, ch'avanzi in bene ogni vostro desiderio; e alla buona vostra mercè umilmente mi raccomando. Di V. E, Umilissimo Servidore. Giacomo Raillar D. Carlo Buragna; a'Lettori. E Gli sono già alcuni mesi pasati, che d'ordine del Signor Vicerè fu tenuto consiglio da alcuni filosofi di metter qualche compenso agl’abusi ed errori, che tutta via si commettono nella filosofia. E dopo qualche ragionamenti intorno a cotal bisogna avuti, divisarono eglino, che per potere con piis loro acconcio esaminar le ragioni, e i pareri proposti, e da proporsi, ciascuno doveſſe mettere in iscritto il suo. Perchè convenne a C. che e uno de’chiamati a questa adunanza scrivere il parer suo intorno a cotal materia; e parendo a lui, che ciò non si potesse fare acconciamente, senza considerare innanzi tratto, e riandar con diligenza la natura della cosa, che s'aveva a trattare, cioè della filosofia. Sì il fa egli con tanta dottrina, eloquenza ed erudizione, che, ejfendo il suo scritto venuto al le mani d'alcuni huomini letterati, e altri amici di lui, par ve loro dettato più tosto per l'universalità di coloro, che fi dilettano delle bettere piie esquisite, che per haversi egli awe rimanere fra i termini d'una picciola, e privata compagnia. Comechè l'autore di quello non s'avesse nello scrivere proposto altro fine, che di soddisfare al carico da quella impostogli. Stimarono dunque coſtoro, che fosse una tale scrittura dameia ter in luce per mezzo delle stampe: e tanto fecero, che alla per fine persuaſero C. a farne loro copia, e a contentarſi, che si stampase almen queſta delle molte, e diverſe opere fue, ch' egli tieneappreffo di fe. E in ciò non pure ebbero eglino riguardo al piacere, che ſarannoper prender i doe tine i curioſi della lettura di queſto scritto, ma all'utile an che ne può riſultare a ogni forte di perſone, e spezialmente agl’avveduti, e giudiciofi ragguardatori delle cofe. Poichè, vedendo eglino la varietà delle opinioni, e delle Seite, e le diverſe, eSpelle volte contrarie guise del filosofare, che fra i filosofi di tempo in tempo fonvenute sì, anche ſenza entrar coʻfilosofanti in più sottili speculazioni, potranno age volmente accorgerſi, con quanta ragione altri Àfaccia a cre Bere D 1 grand 4 derë, o voglia dare a vedere, che una profeffione perfefef ſa cosè dubbiosa e incerta ha in se dottrina, o principi, ſu i quali altri pola porre alcuno ſtabile fondamento;e quan to fa pericoloſa coſa il vederſi nelle mani di coloro, che così fi danno ad intendere, espezialmente dove ne va la filosofia. Oltre a questo, chi non vede di quanto frutto può rium scire queſto scritto a’ filosofi, che danno opera alla filosofia? mentre dalla fola lettura di lui potranno efi per avventura apparar più di ciò, che alla cognizione della natura di lei s'appartiene, che non farebbono col rivolgere tutt'ora i volumi de'più riputati, e solenni maestri di quella: e accorger fi a un'ora qual via nell'impreſa del filosofare ſi vuol tener da colui, che laſciate andarele giunterie, e le ciance, intende Secondochè la condizined'untal mestiere comporta, faronore a fe, e giovamento agli infermialla ſua cura commeſſi. Ne meno faranno efli, e ciaſcun'altro, che attende a’migliori ljudj, per vedere apertamente quanti, e nella filosofia, e nell'altre Scienze ci sono ſtati, e fono di quelli, che fi vanno ſtillando il cervello pur dietro a quello, che o norciès o pure non ſi ritro va; e, come dile il noſtro Alighieri, Trattando l'ombre, come cosa falda. Maſenza, che Io mi diſtenda più oltre in voler dimoſtrares chente, e quale, e quanto profittevole, e dotta fi fia queſta ſcrittura, a ſufficienza il lettore ſol potrà egli vedere di ſe: e come anche non eſſendo ella fata dettata a fine d'averſe a divolgare, non per queſto rimane, ch'ella non corriſponda al la fama dell'ciutore di efsa, e all'opinione, che portanodi lui gli huomini più intendenti, e giudiciof. Sta ſano. EMINENTISSIMO SIGNORE Antonio Bulifon espone a V. Em. come deſidera darë alle ſtampe un saggio da C. intitolato “Il mio parere intorno alle cose della filosofia”, per ciò ſupplica V. Em.commetterne la reviſione a chi me glio parerà all’Enı.V.ut Deus, & c. N Congregatione habita coram Eminentiſſimo Domino Cardinali Caracciolo Archiepiſcopo Neapolitano ſub die 3. O &tobris 1679. fuit dictum, quod R.P.Franciſcus Verciulli Soc. Ieſu revideat, & in ſcriptis referat eidem Congregationis. MENATTVS VIC. GEN. Iofeph Imp. Soc. Iefu Theol.Eminentiſs. EMINENTISSIMO SIGNORE. O letto per comandamento di V. Emin. il libro del Si gnor Lionardo di Capoa: intitolato Parere intor noalla medicina, ne vi ho ritrovato coſa alcuna contraria alla dottrina della Fede, overo a' buoni coſtumi. Per queſto lo giudico degno di ſtapa, per pubblica utilità, e per ammaeſtramento degl' ingegni curioſi di recondita, e fruttuosa filosofia. HE Dell'Em. V. Antico, umilifs. Servo Franceſco Verciulli della Comp.di Giesi. N Eminentiſs. Dom. Cardinali Caracciolo Archiepiſcopo Neapolitano fuit dictum, quod ſtante relatione (upra ſcripti Reviſoris, imprimatur MEN ATTVS VI C. GEN. 1 Iofeph Imp. Soc. Ieſu Theol. Eminentifs. 1 ECCELLENTISSIMO SIGNORE A Ntonio Bulifon eſponea V. E. come deſidera dare alle ſtampe uno ſcritto intitolato Parere del sig. Lionardo diCapoa, intorno alle coſe della medicina, perciò ſupplica V.E.commetterne la reviſione a chi meglio parerà a V.E. ut Deus, & c. Magnificus Michael Biancardi videat, &inferiptis referai. CARRILLO REG. CALA REG. SORIA REG. Proviſum per Suam Excell. Neap. dic 4. Aprilis 1680. Maſtellonus. ECCELLENTISSIMO SIGNORE PA Er obedire a'comandidi V. E. ho letto il libro intitola to Parere del sig. Lionardo di Capoa,intorno alle cose della inedicina, e perchè in eſſo non ho ritrovato coſa contraddicciite alle Regie giuriſdizioni, giudico poterli dare alle ſtampe,fe cosi reſterà V.E. ſervita. In Nap. 16. Maggio 1680 DiV.E. Devotifs. Servidore ! Michele Biancardi Viſa ſupraſcripta relatione, iinprimatur, & in publicatione fervetur Regia Pragmatica CARRILLO REG. CALA REG. SORIA REG. Maſtellonus RA: 8CMA 220 GLI non hàveramente impreſa, o Signo ri, che più ragguardevole comparir faccia la maeſtà d'un prudente, e valoroso principe, quanto l'adoperar sì col ſenno, e colla mano, che i popoli alla ſua cura commeſſi non vengano da ſtraniero ferro aſſaliti, o ſenza vendetta miſeramente oltraggiati. Ma non è opera per mio avviſo men laudevole, e generoſa il render loro poi ſicuri da gl'inganni de’dimeſtici nimici;i quali al lora più gravemente nuocer ſogliono,quando ſotto il vela mo della benivolenza,edella carità aftutiffimamente ſi cuo prono; e ch’infingendoſi tutti umani, e compaſſionevoli al l'altrui fciagure, tendon poi loro sì inſidioſilacciuoli, che rade volte,o non mai ſenza mortale offeſa ſchifar ſi poſſo no. E nel vero, che monterebbe eglimai l'uſcir talvo, e ſicuro da' manifeſti riſchi della guerra ad huom, che poi nella tranquillità della pace,in tanto più acerbi,quanto più naſcoſi pericoli inavvedutamente cader doveſſe? Anzi queſti di tanta maggior compalfione degno ſarebbe, quáto più gravi, e più dure, e lagrimevoli da giudicar ſono le А ſven Ragionameñto Primo ſventure di quella nave, che ſcampata da più alti mari, giunta poi in bocca del porto miſerabilmente virompe. Perchè non mai a baſtanza potrà commendarſi il pietoſo, e faggio avvedimento - del noſtro Eccellentiſſimo Signor Vicerè; il quale auendo con maraviglioſa, e incredibile felicità il primo ottimamente compiuto; e reſi vani gl'in tendimenti, e gli sforzi di quelle armate, che ſuperbe, e crudeli infeſtando i mari, e le terre, ad ogn'or di ſangue, e di fuoco ne minacciavano; e ſgombrate ſimigliantemen te le fchiere de gli sbanditi, e de gliſcherani, che le ſtrade tutte, ei contadi ſcorrendo il noftro Regno malmenavano; ora con ogni ſtudio, e diligenza và riparando, che non ſia mo aman ſalva nell'avere,e nella perſona miſerabilmente oltraggiati per lomal'uſo della filosofia. La quale per ciocchè a ciaſcun forſe abbiſogna, ſicome ove ſia infra’li miti mantenuta della ſperienza, e della noſtra comeche debil ragione, eſſer puote per avventura di qualche giova mcnto al comune: così allo incontro s'egli mai avvien, che fi torca à ſiniſtro cammino, affai più delle malattie mede fime dannofa fi ſperimenta, e nocevole al genere umano. Nè prima alla notizia di lui gl’infelici avvenimenti d'alcu ni infermi fon pervenuti, per li quali le Chimiche medici ne forte s’accagionavano, ch'eglitantoſto ne impone, che per noi con minuta diligenza li cerchi ogni modo più op portuno da potervi dar riparo: e inſieme di preſcrivere a Medici, ove faccia meſtiere, certe, ſicure, e falde regole nel loro operare. Ma io quantunque voltemeco penſando riguardo quan te, e quali ſian le malagevolezze d’un tale affare, tante fra me mcdeſimo confuſo oltre modo, e fofpeſo rimango;per ciocchè, o che ficome in tutt'altre biſogne di gran conſide razione interviene, o che natura di tal'arte nol patiſca, du ro molto, e malagevol ſembra il dar legge alle coſe a quel la appartenenti. Perchè amerci più toſto ſenz'altro fare, tacendo di non darmene briga, ſe non fapelli, ch’in sì fat ta maniera contravvcrrei a ' comandamenti di colui, icui senni,non che le richicke debbo di preſente, ſenza replica alcuna, e con ſomma venerazione ſeguire; da' quali ſol moſſo, ed anche dal giovamento, ch'alla mia patria ne po trebbe forſe avvenire, volentieri, e di grado mi vilaſcierò entrare. Ed acciocchè ogni diliberazione, o partito, ch'intorno a ciò ſia da prendere, a vano, ed inutil fine affatto non rie ſca, tutte le forze del mio deboliflimo intendimento im piegherovvi; diviſando in prima le malagevolezze, in cui di leggier s'avvengono non che Principi, o Maeſtrati; ma FILOSOFI ancora, comechè faggi, e intendentiſſimi in dare ſtabili, e certe leggi alla Medicina; eſſendo fommamente una tal'arte di ſua natura incerta, e dubbitoſa, ed incoſtan te. Indi poi pian piano, e con diſcreto avviſo più adden tro facendoci,ilmodo proporremo, col quale quanto law natura della coſa comporti, un buon Medico, ed un mi glior Chimico far ſi poſſa. Ne altro provvediméto intorno a ciò al preſente mi ſovviene, che valevole, ed a propoſito ſia per riparare alle perpetue, e quaſi fatali calamità della filosofia. E per cominciare dalle memorie più antiche, laſciando da parte ftare quanto poco duraſſe in India, in Babilonia, edin Afiria quel lor diviſo di dover allogure gl'infermi nelle più uſate contrade e della Terra, perche fuffer cura ti da’ viandanti; nell'Egitto là, dove l'arti tutte, e i più no bili ſtudj nacquero in prima, e fiorirono, ſolamente a’Rè, ed a' Sacerdoti, ed a pochi Baroni d'alto affare ilmedicar gl'infermi era conceduto; onde da Manetone fra' Medici d'altiffimo fapere annoverati furono Antotide ſecondo Rè della prima dinaſtia de'Tiniti, il quale laſciò ſcritti alquan ti libri di notomia: e Tofortro Rè della terza dinaſtia, la qual’era de'Menfitani. Ma poi tratto tratto cotal meſtiere con tutti s'accomunò, eziandio colla minuta plebe; e tan to il numero de' Medici s'accrebbe, che ben per ciaſcun male era il particolar Medico ſtabilito, che ad altro malo re non dovea por mano, come ne dà teftimonianza Erodo. to della Greca Iſtoria padre, con queſte parole:; dè intpoxaj A κατα: 1 2 I Strab. lib. 3.8. 16. κατι δέ σφι δέδασε μιής νούσου έκασG- ιησος, και ου πλεόνων» παντού δ ' ιητών επί σλέα.οι μενεγαρ οφθαλμών Ιητοί κατεσέασι, οι δε κεφαλής, οι δε όδόντων, οι δε τών και νηδήν, οι δε των αφανέων νούσων, cioc fala Medicina appo loro divifaeflendo per ogni malore, e nongià per più il ſuo Medico: Ondetuttoilpaeſe vien da Medicin gombro,perocchè altri curano gli occhi, altri il capo, altri i denti, altri le parti del ventre, e altri i mali interni, e na Scofi. Rimaſa poi in man ſolamente delle private perſones non ſi può creder di leggieri, quanto cadendo dal ſuo pri mo ſplendore
Tuesday, November 26, 2024
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