Grice e Carchia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ars amandi – signi d’amore – erotico del bello – comunicazione degl’amanti primitive – scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia romana – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese. Filosfo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I once joked that if I’m introduce dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth century aesthetics, the implictum is that he ain’t good at it! Not with Carchia: because (a) Carchia is a serious philosopher (b) he conceives aesthetics alla Baumagarten, having to do with communication (“nome e immagine”, “interpretazione ed emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus – but its truth value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a genius! On topc, my favourite piece of his philosophising is on the torso del belvedere as representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino sotto Vattimo con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso di filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed erotica; Dall'apparenza al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e bellezza; L'estetica antica, ecc. Si è anche occupato, di arte e comunicazione dei popoli 'primitivi' e di artisti contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo. La casa editrice Quodlibet raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare la filosofla, a porla in immagini -- nel solco della filosofia italiana dall'Umanesimo a Vico. Minima immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano: L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino: Rosemberg & Sellier); prefazione e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo e tragedia. Il mito trasfigurato, Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte e comunicazione dei primitivi, Torino: Rosemberg & Sellier); Erotica. Saggio sull'immaginazione, Milano: Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida); Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc); Il mito in pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen, Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica del sublime, Roma-Bari: Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione ed emancipazione. Torino: Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola dell'essere. Commento al Sofista” (Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari: Laterza); L'estetica antica, Roma-Bari: Laterza); L'amore del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin, Roma: Bulzoni); Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura, Kant e la verità dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke, introduzione a Walter Friedrich Otto, Il poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione come orizzonte nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità dell’immaginazione nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini. La notte delle immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come autotrasparire dell’apparenza rappresentativa. Naturalismo simbolico e simbolica naturale. Angelologia. Alighieri: spiritus phantasticus e alta fantasia. Gemellarità dell’immaginazione gnostica. L’immaginazione speculativa. Simbolismo e imagismo. Il fantastico come ideologia. Il romantico. L’immaginazione come dimora del padre. Demone e allegoria. La forza del nome. Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e metessi. La nuova accademia: l’estetico. Paradigma, schema, immagine. 1 Ovidio. Arte amatoria. Chi peregrin nell’amorosa scuola Entra , me legga, se vuol esser dotto. Non usansi senz’arte e vele e remi; Non senz’arte guidar si puote il cocchio; Non senz' arte si può reggere Amore. Ben sapeva condurre Automedonte (i) Co’ focosi, destrieri il caiiro , e Tifi r Sedea maestro \sair emonia poppa. Ne’ mister} d’ Àmot me fece esjperto V enere bella , e ben dirmi poss’ io D’Aniore un altro Tifi e Automedonte. Ch^ ei sia crude!, noi niego » e spesse volte Contro me stesso si rivolta ; pure Egli è fiinciullo , e l’immatuTa' etàde Atta si rende al fren. Docile e mite Rese Chiron l’ impetuoso^ Achilie (2) (i) Automédonte, figlio di Dioreo,fu il Cocchierò d*lAchille , Tifi condusse gli Argonauti in Coleo sul- la nave Argo , che qui dicesi emonia , perchè era su <mella Giasone figlio del Re di Tessaglia , e perchè la Tessaglia si chiamala Emonia dal monte Emo. (a) Chirone figliuol di Fillira fu il Precettore d’A’^ chille^il qual nen chiamato ^acides fia Eaep suo Avo, Col dolde suon della canora cetra^ Ed ei, che fu il terrore e lo spavento De^suoi compagni spessore de’nemici. Dicesi che temesse il vecchio annoso; E quelle mani , che dovean un giorno Gettare a terra il forte Ettor , porgea, Quando Chirone le chiedea,alla sferza. Ei fu d’ Achille, io son d’ Amor maestro; L’uno e 1^ altro è fanoiul feroce, e traggo L’ un e r altro da Diva i suoi natali • (4) Come r aratro il toro, e come il freno Doma il cavai focoso ; io cosi Amore Render placido voglio ancor che il petto Con r arco mi ferisca , e con la face Tutte ro’ abbruci le midolle e T ossa. Quanto più Amore hammi ferito ed arso. Tanto più voglio vendicarmi . Apollo, Non io, ché mentirei , dirò che appresi < Da tl» quest’ arte, o che fui reso dotto Dal canto degli .augelli A me non Clio, Né le Sorelle sue , come al Pastore Della valle d’ Ascrea , compatver mai ; Me un lung’ uso feMstrutto ; e fè pròstate Air esperto Poeta . <Ió cose vere Canto : Madre d* Amor.^, siimi propizia. Gite lungi j o Vestali., e voi Matrone, Che i piè celaté sotto lunga veste. J3Ì Achilie uccise Ettore al assedio di Troja Achille nacque dalla Dea Tetide , Amore dalla Dea Venere, a Mentre Esiodo, cugino e quasi contemporaneo nero , pascolava in Elicona le pecore di suo pa* dre ^ fu dalle Muse condotto al fonte Ippocrene, e Col hefer 4i quell* acqua divenne Poeta, Come seguir sensa periglio Amore Si possa, eA i concessi furti io canto; Nullo i miei carmi chiuderan delitto. Tu, che novel nell’ amorosa schiera Entri soldato, le tue cure volgi Prima a trovar de’ voti tuoi 1’ oggetto. Indi a farlo per te amoroso, e infine Onde lunga stagìon 1’ amor si serbi. È questo il modo, è questo il campo, in cui Scorrere il nostro cocchio debbo ; è questa Del corso nostro la prescritta meta. Or che il tempo è propizio , or che si puote Andare a briglia sciolta , una ne scegli, Cui dir tu possa ; a me tu sola piaci. Questa dal Ciel non già pensar che scenda. Ma qui trovar la dei con gli occhi tuoi. Onde tender le reti al cervo debba. Sa bene il caccìator , e non ignora La valle , ove il cignal s’asconde : i rami L’ UGcellator conosce, onde si gettano 61 ’incauti augelli, e al pescator son note L’acque, che maggior copia hanno di pesci. Tu , che d^on lungo amor cerchi materia. Impara i luoghi, ove frequenti veggonsi Le vezzose donzelle . Io non ti dico, Che dar le vele ti fia duopo al vento. Né córrer lunga e faticosa strada. Perseo dall’Indie ne condusse Andromeda, E .Paride rapì di Grecia Eléna. Ma in Roma , in Roma ritrovar potrai Fanciulle, che in beltà portino il vanto Più che del Mondo in altra parte . Come Gargaro, Castello sul monte Ida era celebre V abbondanza delle sue biade , e Metinna , Città nek» V Isola di Lesbo , per V abbondanza d^ suoi vini. La gargara contrada abbonda in biade» In uve la metinnia » in pesci U mare» In augei il bosco s e còme nell* Olimpo Splendono stelle; così in Roma ammiransi Amabili Fanciulle : qui sua sede Pose del grand’ Enea la bella Madre. Se a nascente beltà ti porta il genio» Tenera donzelletta eccoti innante; Se già formata giovine desideri» Mille ti piaceranno » e fian costretti A rimaner sospesi i voti tuoi; Che se a te figlia più matura e saggia Piaccia » ne avrai, mel credi, un folto stuolo. De’ portici pompeii all’ ombra i lenti Pàssi rivolgi, allor che Febo i campi Dall’erculeo Leon saetta ed arde, O a quel che adorno de’ più scelti marmi Da lontani paesi a noi venuti, LaMadre aggiunseindonoa’don delFigHo.(8) Nè quello lascerai » ohe tragge il nome Da Livia, ornato delle pinte tele De’Pittori più celebri ed antichi; Uno de'piU dtliziosi Portici di Roma ora cer^ tornente ^uet di Pompeo . Giaceva questo in vicinanza dtl suo Veatro , « i Romani lo frequentavano moltis'^ simo in tempo d* estate, OTTAVIANO (si veda) sotto il nome d’Ottavia fabbrica un portico in vicinanza del Teatro da lui dedicato a Marcello figlio della medesirrsa e però dice il Poeta , che la Madre , cioè Ottavia , a^iunse il dono del portico al don d^figlio , cioè al Teatro a lui innalzato d’OTTAVIANO, R questo il portico che Livia moglie d* Augusto fabbricò nella Via sacra ; ne fa menzione Svetonio , e vien riputato da Strabono uno d^più be* monumenti di Roma, Visiterai pnr anco i Inoghi, dove (io) In atto di far strage de’ Consorti Effigiate son P empie Danàidi; E il lor Padre crudel, che nudo tiene L’acciajo micidial nell’ empia destra; Nè il Tempio oblia, u’ Venere la morte Plora del caro Adon , nò il giorno Sabbato Sacro al culto giudeo • Sarà tua cura A’xneiifitìcì templi esser presente (ii) Della liniger’ Iside ; seconda I voti questa Dea delle fanciulle» Che desian donne diventar, coni’ essa Lo fu di Giove ^ Fra i clamori alterni Del Foro strepitoso ( e chi mai fede Prestar ci puote ? ) Amor rivolta trova Atto alle fiamme sue pascolo ed esca. In quella parte ove s’innalza al cielo (la) L’ onda d’Appio » che giace appiè del Tempio Di ricchi marmi adorno , a Vener sacro^ Prigioniero d’ Amore è 1 ’ Avvocato, (10) Il portico d*Apollo palatino fabbricato da Au^ gusto in una parte della sua casa era adornato di fiin^ ts immagini rappresentanti la strage^ che de*pro- prj Mariti fecero le Danaidi per comando di Danna loro padre. Si adorala Iside figlinola d*Inaco in Menfi Città d^Egitto, donde furono trasportati in Roma i suoi sacrificj . Fu questa amata impudicamente da Giove, il quale la cangiò per timor di Giunone in una Giovenca j e poi la restitm agli Egiziani nella sua pri^ stina forma . B^la e i suoi sacerdoti andavano coperti di lino e però si chiamava linigera. APPIO – il primo filosofo romano -- Censore conduce V acqua nel Foro di Cesare; e d* architettura d* Archelao fu ivi innalzato a Venere un Tempio , che per somma fretta poi rimase imperfetto. Che attento alla difesa altrui, se stesso Guardar non sa • Oh quante volte, oh quante In quel loco gli manca la favella, E deir amor che V agita ripieno, Non della caiìsa altrui, ma della propria S’occupa solo ! Dal propinquo Tempio Ride la Dea di Pafo, e il difensore Trasformato veder gode in cliente. Ma più che. altrove ne'curvi Teatri Troverai da far paghi i voti tuoi: Ivi mille bellezze lusinghiere Si oifrìranno al tuo sguardo, e tal potrai Per stabile passion scegliere, e tale Onde Tore passare in gioco e in festa. Come frequente la formica in schiera Vanne al granajo a far preda di cibo; E come Papi in olezzante suolo Volan sul timo e sopra i fior ; le culte Donne in tal modo in folto stuolo assistono Agli scenici ludi * È cosi grande 11 numero di questo, cho sospeso Mille volte rimase il mio giudizio. Non a’ Teatri per mirar, soltanto, Come per far di lor superila mosffa Vanno non senza del pudor periglio. Tu questi giochi strepitosi il primo, ROMOLO, instituisti; allor che il ratto NeW anno del mondo 3a3i. fabbricò Romolo nei monte Palatino una Città o sia Fortezza , che dal suo nome chiamò Roma. Per accrescere il numero dei Cittadini ^ aprì un asilo fra il Palatino e il Campi* doglio , in cui si ricevevano i Servi fuggitivi^, i De* hitori y i Malefici . Siccome i Popoli confinanti , e per conseguenza i Sabini nor volevano con tal gente col* Segui delle Sabine • Ancor non marmi^ E non tappeti ornavano i Teatri, Nè il palco vago era per piote tele; Ivi semplicemente allor far posti I virgulti eie foglie, che recava II bosco palatino, e non si vide Decorata la scena allor con V arte* Sopra i sedili di cespugli infesti Assistea il popol folto , uhe all’irsuta Chioma di fronde sol cingea corona Col cupid’occhio ognuno intanto nota Quella, che far desia sua preda, e molti Pensieri nel suo cor tacito volge. Mentre d’agreste flauto il suono muove Grottesca danza, ed il confuso plauso Ferisce il ciel, ecco che il Re dà segno Onde alla preda sua ciascun sì volga. Rapido il proprio loco ognuno lascia, Fanne co’ gridi il suo desio palese, E le cupide mani addosso slancia Sulle Vergin d’insidie ignare , come Fogge la timidissima Colomba Dall’ Aquila , e de’ Lupi il fiero aspetto Agna novella ; di spavento piene Volean cosi le misere Sabine De’ rapitori lor schivar gli amplessi;* Ma da Ogni patte senza legge inondano^ Ninna serba il color , che aveva innante; ' ' a z lòcar U lor Donne , Romito gli ' inoitò insieme con Ì 0 sorelle ,'7e moglie e le figlie a unof spettacolo, che fe^ce* ìebrare in onore del Dio Conso , ossia di Nettuno^ € comandò d* suoi Romani che cigscun ri rapiste fr0 quelle femmine una Consòrte. Digitized by Google IO Tutte assale il timore ^ e in Tarj modi: Questa il petto peroote^ il crin si straccia; Quella riman priva di sensi ; alcuna Non {>er il duol fa proferir parola; Altra la cara madre appella invano; Chi quale statua immobile rimane; Chi fugge, e chi di grida il cielo assorda. Ma le rapite Oiovani condotte Son via, qual preda geniale e cara. Dì pudico rossoj tinsero molte Le delicate guance, e vìe più piacquero. Se troppa ripugnanza alcuna mostra, £ seguir nega il suo compagno, questi La porta fra le sue cupide braccia, E si le dice : a che d’amaro pianto Da begli occhj tu versi un fiume? teco Sarò come alla Madre è il Genitore. Romolo, fu il primiero a’tuoi soldati Vera recar felicità sapesti; Se tal sorte goder potessi anch’io, > Io pur non sdegnerei esser soldato. Però da quell’esempio anco a’dì nostri Trovan le Belle ne’Teatri insidie.. D’esser presente ognor cerca e procura ^ Alle corse de’rapidi destrieri. Di gran popol capace il ;Circo augusto Molti a te rechei!à comodi ; d’ uopo ^ Onde spiegare i tuoi pensieri arcani Non avrai delle dita ; nè co* cenni Intendere dovrai. Franco t’assidi, Che ninno il vieta, alla* tua donna accanto. Quanto più puòi t’accosta al di lei fiaheo\ lE procura che il loco a.nzi ti sforzi A toccarla, quand’eUa ancor non ! voglia. Onde seco parlar cerca materia, E da’ discorsi pubblici incomincia. Quando i cavalli appariranno, tosto Di chi sieno richiedi, e quello, a cui Dirige i voti suoi, tu favorisci; Macon frequente pompaallor che giungono Le statue degli Dei, fa plauso a Venere Quale a tua Diva tutelar. Se mai Della tua bella sulla veste cada Polve, la scoti con la mano , e fingi * Scoterla quando pur netta si serbi; E sollecito ognor prandi motivo Da leggiere cagion d’esserle grato. Se la sua veste strascinasse , pronto Sii tosto a tòrla dalP immonda terra; Per cosi tenui cure avrai in mercede, Ch^ ella poi soffrirà, che le sue gambe Tu possa riguardar. Sia tuo pensiero, Che quei , che sono assisì al vostro tergo, ^ ginocchi al di lei dosso, Non le rechin molestia. I lievi ufBcj L^alme fiscili adescano : fu a molti Util Fa ver con destra man composto Il coscino, agitar con piccol foglio Il volubile vento, e saper porre Sotto tenero piè concavo scanno. Farà la strada al nuovo amore il Circo, Solevano I ROMANI portar per ih Circo le Statue degli Dei e degli Uomini sommi , quando ivi da¬ vano lo spettacolo della corsa de^ Cavalli 0 d^ altri giochi'. V* era fra aueste Statue ancor quella di Venere , cui vuole il Poeta che si faccia un gran plauso* Si veda la seconda Elegia del Libro III, degli amori scritti dgl modesimo Autore^ E la sparsa nel foro infausta arena* Ivi pugnò spesso il Fanciul di Venere, £ chi andò per mirar altri piagato, Ferito pur rimase. Ah quante volte Mentre un la lingua a ragionar discioglie^ HoWà. la mano , tiene il libro, e cerca II; vincitore del proposto premio. Il .volatile strai senti nel seno, Gemè piagato , e accrebbe pregio al gioco! fu bello il mirar quando con pompa Solenne Cesare introdissse il primo (i 5 ) Non avvezze a pugnar in finta guerra E le persiche navi e le cecropie! Da questo e da quel mar vennero allora Giovani vaghi, amabili donzelle, E la Città racchiuse immenso mondo. Fra tanta turba di leggiadri oggetti Chi non tigvò da far paghi i suoi voti? Oh quanti e quanti a forestiero laccio Porsero il piè! Ma Cesar s’apparecchia (Cesare Augusto fece presso il Tevere rappre^ sentore una battaglia navale detta Ncumachia. Intro^ dusse in questa a combattere le flotte che Marc* An-^ ionio aveva raccolte contro di lui nell* Oriente ^e le navi ateniesi denominate Cecropie da Gecrope primo Re d* Atene y che seguirono il partito di M. Antonio^ Furono queste armate navali vinte tutte da Azio , e servirono nella Neumachia d* un brillante spettacelo a futta Roma. OTTAVIANO destinò una spedi^àon per V Oriente contro Frante, e vi mandò il suo Nipote Cajo nato da Agrippa e da Giulia. Marco Crasso e Publio suo figlio avidi delle ricchezze de* Parti intrapresero con¬ tro i medesimi una guerra, in cui furono poi essi miseramente trucidati con undici Legioni . Per far a Cesare un encomio, dice ora il Poeta , che deve Cajo riportar vittoria di que* popoli , e riacquistar la ^ne romane da loro tolte Crassi. Già il restò a sog^ogar del Mondo inter#^ E già Taltiino Oriente è nostro ancora. La pena avrai dovuta , o Parto audace, £ voi godete, ombre deaerassi estinti, E con voi godan le romane insegne Di barbarica destra a ragion schive. Ecco il vindice vostro , ognun racclama Invitto Duce nelle schiere prime; Giovin sostiene perigliose guerre Quasi invecchiato fra le stragi e Parmi. Deh non vogliate, o timidi, il valore Dagli anni loro argomentar de’Numi; E la virtù ne’Cesari preepee. Degli anni Suoi più assai rapido sorge Celeste ingegno, e mal tollera Ponte D’una pigra dimora. Era bambino Ercole allor che ì due serpenti oppresse. Ed èra in fasce pur degno di Giove. O Bacco^otu che ancor fanciullo sei, (18) Essendosi Giove innamorato perdutamente d^Alc^ mena , si presentò a lei vestito delle sembianze d*An^ fitrione suo maritoy quando questi trovavasi alla guer¬ ra di Tehe.Da Giove e da Alcména nacque Ercole, che fu allevato in Tirinta Città in Marea vicina ad Ar¬ go , e però fu detto Tirinzto . Intenta per ciò la ge¬ losa Giunone a vendicarsi delP infedeltà di Giove, suscitò contro d* Ercole due serpenti ; ma egli li uc¬ cise valorosamente, benché fosse di tenera età, (18) Bacco armato, d^ una lung^ asta , e seguito da Ufi esercito d* Uomini e di Donne , corse intrepido nel* VOriente,e soggiogò quVpaesi che allor tutti,si com¬ prendevano sotto il nome d* India . Essendo quelV asta così acuta, che imitava la conica figurai del Pino, fu detta dagli antichi Poeti il Tirso , giacché Thirza ià lingua ebraica nuW altro significa, se non se un ramo di Pino^ •Intrecciavano le Baccanti sul tirso V uve e i pampini cotk P edera p perché Bacco insegnò affli Qoanto fosti mai grande allor che i tuoi Tirsi dovè temer l’India domata!' E tu prode Garzon sotto gli auspiej (ly) Del Padre , Tarmi tratterai vincendo. Sotto un nome sì chiaro aver tu dei I primi erudì menti, e come il Prence (ao) uomini la maniera di coltivar la vite . Alcuni Eruditi poi fChe ricercan la moralità nelle favole ^ pretendono che dipìngasi sempre giovine questo divino coltivator della vigna ^perche gli uomini si rendon col vino in lor vecchiezza amorosi e lascivi , come lo furono in gioventù ,. Mons„ de Lavaur con molti altri , i quali hanno^ attentamente 'considerato le imprese di Bacco e l* etimologia stessa del Tirso, porta verisimilmente opinione y che sia questa favola tratta in origine da que^libri della sacra Scrittura, che parlano di Mosè. e di JVoè, (19) Si rivolge il Poeta a Cajo,che fu adottatò figlio da Cesare Augusto. Romolo dalle tre Tribù, nelle quali aveva di^ stribaito il popolo romano y raccolse per ciascheduna cento uomini, che fer nascita , per ricchezze, e per altri pregi ^^^no i più riguardevoli. Furono questi chiamati Cavalieri y perchè trascélse quésoli , che fes¬ ser meritevoli d* un Cavallo , su cui dovean combat¬ tere in difesa di lui ; e si distribuirono in tre Ceti* turie, che conservando il nome delle Tribù, dov*erano sfate raccolte, si chiamavano é/e^Rammensi da Romo¬ lo , dei Tasienzi da Tazio Re dé Sabini, e dei Lace¬ ri Lucomone JRe d'Etruria , che fu , come dicono., il fondatore della Città di Lueca . Da Tarquinio Prisco, e da Servio Tullio vennero in seguito accresciati di numero y senza mutar però il nome di Cen* iurte ; esercitarono poi varie luminose incombenze ; e JU'denominato il loro ordine Senatus Seminarium, perchè in esso scieglievansi i Senatori • i 5 . Lu* Jglio facevano i Cavalieri ogni anno splendidamente in lor rassegna, mentre dal Tempio dell’Onore, che era situato fuori della città , andavano al campìdo* coronati d* ulivo , cinti d^ una purpurea veste det- Or de’Giorani sei, sarai col tempo L’oroamento miglior do'rccchj Padri. Vendica ofFesi i tuoi fratelli, e i dritti (ai) Del Genitor sostieni : della Patria £ Padre 6 Dlfensor Parcne ti cìnse; Ed or che l’inimico i regni invola, Cruccioso alla vendetta egli t’invita. Scellerati di lor saran gli strali. Pietà e Giustizia i tuoi vessilli, e Parrni Della causa miglior sostenitrici. ' ta trabea, t assisi sopra i loro cavalli . 0 §ni cinque anni poi appena giunti al Campidoglio , scendevano da Cavallo , e presolo per mano lo guidavano avanti al Censore ivi assiso sopra una sedia curale ; ed egli comandava di ritenere il Cavallo , se bene aveva il Cavaliero adempiuto a* suoi doveri ^e di venderlo , se aveva malamente eseguito le sue incombenze. Leg^ geva il Censore in tale occasione il catalogo de^ Cavalieri yC si chiamava il Principe de* Giovani o della Gioventù quello che era da lui nominato il primo ; e ciò non perchè fossero attualmente tutti gióvani , ma perchè lo fàrono nella prima istituzione^ e perchè Veta giovanile si estendeva pressò i Romani fino a qua¬ rantacinque anni. Principe de’Senatori o del Senato ne*primi tempi del¬ la Repubblica si chiamava quello che il primo tra*Sena- tori viventi era stdto Censorey poi quel che dal Censore fosse stato nominato ili primo nel leggere il catalogo d^ Senatori y e nell\ anno dalla fondazione di Roma quel , che dal Censore era riputato degnissimo. (al) Pompeo y domato il Re Tigrane y costrinse gli Armeni a ricevere da* Romani in segno di servitù i Rettori. Si liberarono essi da un tal giogo y ma Cajo li obbligò nuovamente a soffrirlo , e vendicò in tal guisa i dritti d*Augusto y che dal Senato e dal Po^ polo romano fu per mezzo di Valerio onorato del lu¬ minoso titolo di Padre della pAt<‘ia, ^ (^a) I Parti tentavano di farsi padroni delV Ar- mersia Ora il mio Duce alle latine aggiunga L*eoe ricchezze. E voi j Cesare e Marte, Entrambe Padri soccorrete il Figlio, Che in difesa di Roma espon sua vita; Come già Marte^or tu, Cesar, sei nunie Ecco raugurio mio; tu vìncerai; Sciorrò co’ carmi allora il voto ; degno* Tu allor fatto sarai d’alto poema. Porrai le squadre in ordinanza, e all’ armi Co’ versi miei 1 ’ esorterai : tenaci Di me nel tuo pensiero i detti imprimi. 11 petto forte de’ Romani, il tergo (24) Io canterò de’ Parti , e l’inimico Telo, che vibran dal cavallo in fuga. Mentre tu fuggi, o Parto , e cosa al vinto, Oude sia vincitor, tu lasci ? Il tuo .Marte recò finora infausto augurio. Dunque quel dì verrà, Cesare, in cui Tu di natura la piò amabìl opra Di lucìd’ oro adorno andrai tirato Da quattro^ candidissimi cavalli ? Or mal sicuri nella fuga i Regi Partici andranno innanzi , il collo carco Dì pesante catena • Insiem confusi Giovani lieti e tenere Donzelle, D* un’insòlita gioja il cor ripieno, Mireran lo spettacolo gradito. " Se una di quelle a te richiegga i nomi Di que’ Re, di que’ monti, di que’ fiumi, (a3) Fu Cesare Augusto ascritto in aita fra i Dei , $d ebbe perciò onori diHni. ’ (a4) Avevano i Parti in ' costume di guerreggiar fuggendo , ed anzi si rendevano formidàbili , mentre ^ibravan le lor saette^ da wjt cavalle rivoltp in fuga. Di que* paesi 9 a tatto ciò' rispóndi; £ non richiesto ancora il; tutto narra, E le cose puf anco a te mal note. Cinto di canna il crin l’Eufrate è questo, (aS) 11 Tigri è quel colla cerulea chioma. Ecco gli Armeni^, e Perside che tragge (a6) Da Perseo il nome suo ; nell’ achemenie Valli questa Città si giacque . Il nome Dirai di questi e di que’Re, se il sai, O almen 1 ’ adatta . L’imbandite mense Facile danno ed i conviti accesso, Ove da far contenti i tuoi desiri V’ è cosa anc’ oltre i vini : ivi sovente Calcò di Bacco l’orgogliose corna Con le tenere mani il bel Cupido, Di cui se intrise sien 1 ’ ali nel vino Più non puote fuggir : grave s^ asside; Tu umide penne , è ver, veloce Scote. Ma non vola per questo, anzi novelli Desta incendj nelP alme, che dal vino Sono disposte e rese atte al calore. Ogni atra cura e molce e fuga il vino; Allora il riso ha loco ; allor l’abietta Mendica gente pure il capo innalza; Fuggon le cure, il duci ; le crespe fronti Vengono liete ; e la si rara in questi Tempi semplicitade i più secreti Pensier dell’alma svela, che il Dio Bacco (a 5 ) UEufrate ed il Tigri, avendo , secondo Vo^ pinione d*alcuni, la lor sorgente nei Monti armenii si prendono qui dal poeta per li principali fiumi del» V Armenia, (a6) Persìde è una famosa città , che vuoisi fab.-» bracata da Perseo figlio di Danae nelle valli persiar ne, dette achemtiiie dal Re Achemene Ogni mistero svela e l’arte infrange • (27) De’ Giovanetti il cor ivi ben spesso Rapiron le Fanciulle ; Amor nel vino Fu foco a foco unito • Ma non troppo A lucerna ti fida ingannatrice; Mal nella notte , e fra i bicchier ricolmi Della beltade si può far giudizio. Allo splendor del giorno, a cielo aperto Paride rimirò le Dive allora Che alla Madre d* Amor disse : tu vinci L’ una e 1 ’ altra in beltà , Venere bella. S’ asconde nella notte ogni difetto; Ad ogni vizio si perdona , e allora Ogni donna sembrare alPuom può bella; Consulta il di guai gemme e quali lane, Tinte di tìria porpora, sien atte A fsLjp bella la faccia e il corpo ^ Come Io delle Donne numerare il ceto Di non ardua conquista ? E assai maggiore Dell’ arene del mar . Come di veli Di Baja. i lidi narrerò coperti. E per calido zolfo acque fumanti? Riportando talun ferito il petto Da queir.onde, non son , ( come racconta La fama ) dice , salutari ognora. Ecco di Cinzia suburbana il tempio Ì ayl Alludesi al pros^erhio latino in vino veritas. Baja in Campania , o com'oggi dicesi in ter-^ ra di Lavoro i era un amenissimo Castello^ che con- teneva entro di se degli ottimi bagni caldi, e alcuni laghi in cui rrnvigavan gli antichi con diverse barche variamente dipinte, sulle quali facevano ancora de^ gli allegri conviti. Questa Dea, che si chiama Lucina in Cielo, Eeate neW inferno, e Diana in terra , ha ancor fra Silvestre» ed ecco ì conquistati Regni. Perchè vergifte ella è » perchè ella in odio Ave d’Amor gli 8tijali,.al popol diede» £ mai sempre darà mille ferUè. ^ Fin qui Talia sopra ineguali rote( 3 o) Come tu debba scer T amato oggetto» E dove tender t’insegnò le reti. Della tua Bella onde adescare il cére Preparo or io delF arte opra speciale. Uomini» voi chiunque » e donde siate, Porgete al mio parlar docili menti» E le promesse mie ptopizj udite. Tosto nell’ alma tua scenda la speme Di conquistarle» e vincitor sarai; gli altri nomi quello di Cinzia » perchè essa ed Apoi* lo nacquer nelVIsola di Deio » ov^ è il Monte Cinto. I popoli del Chersoneso » o com* ora chiamansi » della Crimea » le immolavano gli ospiti ivi spinti dalle tempeste, he femmine romane » dopo Vavere ottérsuto ciò che htamavun co" voti, andavano a* d*Agosto con le. faci ardenti in mano, e la corona eul capo\ al Tempio suhurbano di questa Dea situato in Arì^ eia. Quivi frequentemente i Sacerdoti succedevano gli uni agli altri » mentre , non godevano di questa di* gnità solamente gV ingenui, ma se la contrastavano anche i servi e i fuggitivi in una guerra particola* re » in cui chi riportava la vittoria , otteneva a un tempo stesso il Sacerdozio » che apprezzavano come un Kegno. Una tal Dea peraltro y quantunque sten* desse dal cielo per godere del suo Pastorèllo Endi-- mione » fu sommamente gelosa della propria pudici* zia, giacché trasformò in Cervo Atteone \ perchè osò di guardarla quando era nuda in un bagno. (3o) Talia è quella Musa » che presiede principale mente a* Canti piacevoli e amorosi. Dice OVIDIO che dia insegnò sopra inegnali rote ec. alludendo al diè stico latino » il di cui Esametro ha » com* è noto ^ sA piedi, e cinque il Pentametro^ Ma intanto tender dei T insidie : prima Gli augelli taceran di primavera, Le cicale in estate , e il can d^Arcadia Incontro a lepre prenderà la fuga, Che dolcemente Femmina tentata A Giovine resista ; e quella ancora Tu vincerai, che ti parrà ritrosa. Come il piacer furtivo è grato alF Uomo, £ grato alla Donzella . Asconde questa Le brame sue, T nomo le cela invano; Ma se tu possa* vincerla una volta, Preverrà con le sue le tue preghiere. Ne’ molli prati al suo Torello accanto La giovenca muggisce ; e la Cavalla Col suo nitrir fa lusinghiero invito Al cornipede maschio . In noi pkt forti^ Ma non però cosi furiosi, sono Gli stimoli d’ amor i lodevol fine Ha la fiamma delP Uomo. A che di Biblì ( 3 i) Ricorderò, che d’ un vietato amore Arse pel suo Fratello , e pon un laccio Vendicò da se stessa il suo misfatto? Non, come Figlia dee,Mirra amò il Padre,( a^ BiUi nata da Mileto e dalla Ninfa. Gianczf , amò perdutamente Canno suo fratello. Siccome non Ve riuscì di renderlo à sitò riguardo amoroso ^ si die in preda a un pianto così dirotto ( se si presti je e al libro IX. delle Metamorfosi ) che fu convertita VI un fonte yo( se si crede al libro presente ) si prò-- curò ella etessa con un laccio la morte. (3a) Avendo Mirra concepito un immenso amore per Cinìra suo padre , gli fu posta in letto da me nutrice in luogo della consorte. Accortosi Cinira del fallo , tentò di uccìderla } ma essa fuggì bay ove fu cangiata in albero , e diede alla luce il bellissimo Adone , che fU V ‘unico frutto d un st fu nesto incestuoso accoppiamento. E oppressa ora si cela in chiasa scorza: Delle lagrime poi, che dal suo tronco Odoroso essa elice ^ ungiam le membra. Che s^ban quteste stille il primo nome, Del frondos’Ida nelVombròse valli. Era forse la gloria e la delizia Deir armento un Torel candido , solo Negro segnale avea fra corno e corno: Una sol f^u la maccbìa, e latteo il resto. Questo bramaron sostener sul tergo Le giovenche ginosie e di Canea. Oodea di farsi adultera Pasifae (34) Del Toro., e'nel ano ooj geloso sdegno Nutria contro le amabili giovenche: Io cose note canto; e ciò non punte Creta negar, quantunque siai*iqendace. Creta, cui son cpnto Città soggette. Con r inesperta man ; Pasifae ali Totro Dicesi recideste or verdi frondey S 1 Or r erbe tenerissime de’ prati.2 Erra compagna dèli’st>nentOì,;e invano- Del maiitoy pensier T arresta j vinto. Era Minos da-un hove ^ A rche* tu vesti, . Donna , preziose spoglie ? Il tuo Diletto Mà è un mont 0 ^ Creta ; nè deéù qui còn^ fondere cpl Monta, Ida^ pqiaao , ope seguii la famgsa lite fra Venere y Pallade e Óit^none. (34) Sdegnata Venere contro il Sole y perchè Vavea fatta sorprèndete da^*Numi det letto con Marte ffe* à che Pasifae figlia del .medesimo , e moglie di Mi-» nos Re di Creta, ^ innamorasse ardentemente d* un Toro. Essendosi questa racchiusa in una Giovenca di legno coitmtta da Dedìdà y si congiunse col Toro diletto, e diede al Sole, in nipote il celebre Minotaio- To , che fu ucciso da Teseo nel famoso làbcrkito» Di tai ricchezze non conósce il pregio. Mentre vai di montano armento io traccia, A che giova lo specchio , a che le chiome. Lassa, adornar si spesso ? Ah I presta fede Pare allo specchio 4 che bovina forma Ti nega ; invan veder sulla tua fronte Desideri le cornac Se ti piace ' Minos, a che un adultero ricerchi P E se brami ingannarlo , a ché noi fai Con un Uomo? Per boschi e per foreste Oià la Regina , il talamo lasciato, ^ Vanne quasi fiaccante , a cui furore Spiri P aonio Dio . Oh quante volte La giovènca «rivai con volto iniquo Mirò, e fra se, perchè tu piaci, disse, Al mio Signor ? Ve^com^* in facciala lai* Scherza sull’erbe tenere , ed esulta,, E tài fóIlié/-non dubito non credai ^ Per lei decenti : mentre in suo pensiero: Volge tai còse , ordina che sia tolta* ^ • Dal gregge immenso , è immeritevol venga Al curvo giogo strascinata, o vuole Di snperstizion sacrai * fra-l’are • • Vittima cada;!e nella fi^ta dtwtr^ Gode tener .le.:.viscero fumanti — -Dell’uccisa rivai. AHI quante voke ? Gon le uccise rivaV placando i NUìiii, ^ Disse, tenendo'visceri\-'piacete ' Al mio Dilettov e quante volte ancora Chiese in Europa èsserconversa e in Io, Europa figlia di Agenorg Re di Fenicia , ^ éorella di Cadmo , era dotata di^ sorprendente^ bellezza. Aree Giòvo per Ui. di un amore così violento, aS Che questa è una Giovenca, e quella ìMotso' Premè d’ un Bovo . Fè le strane voglie Paghe Pasifae ascosa in lignea vacca, Onde il parto alla luce uscì biforme. Se sapeva piacere ad un sol uomo^ (36) E foggia di Tieste il turpe amore D’ Atreo la Sposa, non avrebbe Febo Il cammino sospeso in mezzo al corso, E rivoltato il carro, i suoi destrieri Mossi incontroairAurora. Anco la Figlia, Che i purpurei capelli involò a Niso, Coprì del corpo suo le parti estreme Con la sembianza de’ rabbiosi cani. thè trasformatosi in Toro, la portò sul suo dorso in quella parte di Mondo , che dal nome della medesu ma si chiama Europa. Io y o Iside fu , come Si è detto al numerò ii. epnoertita dallo stesso Giove in una Giovenca. Erope moglie d* Atreo giacque con Tieste fra^ tello del medesimo, e nacquer da essi due figlj, che avendo Atreo dati a mangiare al lor padre medesimo in un convito, il Sole per celare un tanto misfattò tornò indietro , e corse incontro aWAurora. Scilla, figlia di Niso Re di Megara s^ inva^ ghì di Minos Re di Creta , che le assediava la pa^* trìa, e a lui recò il purpureo capello del padre, dal qual dipendevano i fati di quella Città. Essa fu jj^i disprezzata harharamente dalV ingrato Minos , e fu , secondo le metamorfosi, cangiata in uccello. Vi fu però un^altra Scilla figlia di Eorci , la quale , avendo bevuto un^acqua per lei avvelenata da Circe , venne subito trasformata in un mostro, la di ciS parte inferire era simile a quella di un Cane. Con-^ eepì la medesima tanto orror di sé stessa , che si get>» tò in un golfo del mar di Sicilia , che ha preso da ^ella il suo nome» Ovidio ha qui confuso fseste due Il Figliuolo d^Atieo, che in terra e in mare Di Marte e di Nettuno evitò V ira. Cadde vìttima poi della Consorte. Chi di Creusa sull’inìqua hamma (Sq) Non sparse il pianto, e sulla Strage orrenda Che fe* de’proprj figli un* empia Madre ? Frivo degli occhi pur pianse Fenicio, (4o) E voi, oarallì spaventati, il vostro Agamennone è veramente figlio di Filistene , ma da Ornerò^ e da tutti gli antichi poeti gli vien dato per padre Aireo suo aco come un personaggio più celebre» Fu dichiarato Agamennone per le sue mira^ bili imprese il Re deTle di Grecia, e per tradimento di Clìtennestra sua moglie ucciso da Egisto , dal quale era ella amata impudicamente, Giasone j abbandonata Medea, sposò Creusa figlia di Creonte Re di Corinto, Medea per vendicarsi di tafe infedeltà , f^ strage di due teneri fanciulli nati da lei 4 da Giasone, e ridusse con fuoco ariifi- doso in cenere ì* infelice Creusa e tutta la famiglia e la Reggia di Cleonte, (40) Furono tratti gli occhi a Fenicio figliuol d^A^ mintore, perchè una concubina del padre Vaccusò falsamente d'acerle tolto Vonore, Ricuperò egli la vi¬ sta per i farmaci a lui apprestati da Chirone , il qual gli die poi in custodia il giovine Achille, con cui andò aWassedio d,i Troja, Ippolito figlio di Teseo disprezzo Vamorosa corrispondenza che gli esibì Fedra sua matrigna, Sde¬ gnata ella fieramene di ciò , disse al padre , che le aveva il medesima insidiato V onestà ^ e Teseo lo ab¬ bandonò al furor di Nettuno, Essendo per ciò com¬ parso un orribil mostro marino^ mentre Ippolito se ne andava sul suo, carro lungo la spiaggia del mare , i cavalli per lo spavento preser la fuga, marciarono il legno in pezzi ^ e trucidarono miseramente il lor Cgxìdottii^o, > Condottier tracidaste.E perchè» o Pinco, (42) Gli occhi tu togli agPinnpcenti figlj ? Ah che la atessa ^eaa. il tuo delitto Un dì vendicherà. Tali infortunj ^ Da uno sfrenato aq^or trasse sorgente Delle lubriche donpe . Ornai t’ affretta, £ non temer di ritrovar contrasto Nelle Donzelle ; appena, una fra molte * Ne incontreraiepe. a te neghi vittoria. E r indulgènti e, le ritrose pure lì Goì^qu esser pregata; pna ripulsa I Non ti spaventi ^ è questa ingannatrice. iMa perchè ingannatrice Y ognor pip grata INuova per esse voluttà riesce. |E l’alma loro adescan facilmente |l novelli amatori ..'Il vici^ campp Ci sembra più .ijber^^so ,^0 il gregge altrui Vedi che a parte sia della Padroni I ) Ov, Arte (Tarn. b (4a) Fineo figlimi Agenore Re Arcadia yO co¬ me ad altri piaqe, di Tracia , o di Paflagonia y spo¬ sò Cleopafi^a figlia di Bqrea, e‘. n*ehbe due figli. O sia che questa morissero che fosse da lui ripudiata y prese il medesimo in moglie Arpài ice , e cornane dò , che fossero ioltìr gli occhi a* due figlj della sua prima eoniorte, perché temè che aiiesjser avuto un il¬ lecito commercio con Ija novella sua sposa. Fu da Borea vendicata V innocenza do* nipoti con Vacciecof- mento di Fineo , e Giunone e Nettuno gli mandaro¬ no sulle mense le Arpie y che a lui macchiavano tur¬ pemente quelle ‘ vivandé y che non mangiavano essa stesse De’ nascosti consiglj, e de’ piaceri Suoi più segreti. Con promesse e prieghi Corrompi la sua fi; tutto otterrai, Quand’ ella voglia, e non ti sia contraria, Dalla facil. tua Bella • Il tèmpo scelga. Come i Medici sogliono , propìzio. Onde il tuo amor nel dodi cor le infonda. Ella il tuo amor le infonderà nel core, Quando per lieti eventi andrà giuliva Come lussureggiare in pìngue campo ' Suole la biada. Quando r alma è scarca Dalle pallide cure , e lieta esulta. Si spande allora , e dà facile accesso ÀH’arti lusinghevoli d’amore. Mentre fra i neri affanni involta visse " Troja , con V armi si difese ; e lieta (43) Il cavai di soldati e insìdie pieno Àccolèe entro le mòra. Ancor si tenti, £ non rimanga inyendicata , quando Si dorrà , chè riceve ingiuria e scorno Dall* impudica Amante del Marito. La punga a sdegno la fedele Ancella, Quando col pettin mattutin compone Gl* indocili capelli, ed alle vele. L’ ajuto aggiùnga anco de’ remi, e dica, Sospir seco tràehdo, in bassa vocè: Tu noli potrai, cred’io » come si merta. Rendergli la pariglia. Allor le parli Di te con detti insinuanti , e.giuri Che tu brugi per lei d’immenso amore. Mentre il tempo è propizio , ella s’ affretti ( 43 ) Alludesi al cavallo di Ugno ^cht il perfido Sinone introdusse pien di soldati in Troja , quando tra assediata da* Greci» Virgilio Endde IÀh»lÌ»v» Che non cadan le vele, e cessi il vento. Come sì scioglie il gel, V ira , indugiando^ Si dilegua così. Forse mi chiedi. Se la servente innamorar ti giovi ? Tai cose ammesse, il rischio é manifesto^ Una rende V amor più diligente, L’ altra più tarda e meno attenta : questa Alla Padrona sua ti serba in dono, Quella a se stessa • esito dipende Dalla fortuna, che quantunque arrichì Agli audaci ^ a te do fedel consiglio. Che d’ un’ impresa tal lasci il pensiero. Non per scoscese perigliose strade Andrò, nè, duce me, verrà ingannato Alcun Giovine amante * Ma se poi, Mentre riceve e assiduamente porta L’innamorate cifrerà te non solo Per la sua fedeltà piaccia, com’ anco Per la beltà del corpo ; allor procura Della Padrona in pria il possesso, e ch’indi Questa la segua: l’amoroso gaudio Non dall’ Ancella incominciar tu dei* Se all’arte mia si crede, e i detti miei Non portano pel mar rapaci i venti, Questo consìglio mìo nell’alma imprimi: Non mai tentar 9 se non compisci l’opra» Se a parte ella verrà del tuo delitto. Non la temere accusatrìce • Invano Invischiato l’angel tenta la fuga. Nè riesce già uscir dalle allentate Reti al cinghiale • Il pesce all’ amo colto Si scota invano ; tu la premi e assedia. Nè la lasciar , se vincitor non sei. Se a una colpa comune ella soggiace, Non temer tradimenti ; a te saranno Note della Padrona opre e parole. Se cauto celerai 1’ accusatrice. Sempre, contezza avrai della tua Amica. Folle è colui che in suo pensier si crede òhe sol debban del cielo osservar gli astri Della terra il cultore ed i nocchieri. Non a’ campi fallaci ognor sì debbe Cerere abbandonar, nè alle tranquille*^ Cerulee onde del mar la curva prora. Ah 1 che non sempre assicurar ti puoi Il cor di vincer delle Belle; spesso Ciò s’otterrà, se il tempo sìa propìzio. Se deir Amica il natalizio giorno (44) (44) Era presso gli Antichi in gran venerazione il giorno natalizio : e gli Amanti celebravano ‘ con feste e con doni quello^ in cui eran nate le Donne che ama^ vano . Si dee preferir certamente questa lieta costui manza a quella che hanno adottato i Messicani e i Cinesi, i quali riguardano un tal giorno come infausto e doloroso . Alcuni di essi invece di ricevere con ac¬ clamazioni di gioja la nascita d^ un figlio , gli rispon¬ dono ai suoi primi singulti , mio figlio tu sei venuto al mondo per soffrire \ soffri ^ e t’acquieta . Si fab- hrican altri di buon^ ora la tomba, e vanno ogni giorno a renderle omaggio come al termine consola¬ tor é d^.lor giorni . Non poco influisce, a dir vero, un tal uso a fomentare il barbaro costume d^ uccidere i proprp figli in un popola ^ il guala non gli Ottimi suoi libri classici illustrati dall* immortai Confueio e con le savissime leggi, su cui ha stabilito il suo pacifico Impero, cerca di rendersi virtuoso ed illuminato. Èra presso i Romani nel suo pieno vigore P uso delle visite e de* doni nel principio dell* anno, il qua- le incominciava anticamente col mese di Marzo , le di cui Colende eran consacrate al Dio Marte . Cele- hravand in Roma nel primo giorno d*un tal mese alcune feste dette matronali in memoria della pace Ricorra , o le Calende che seguito Abbiaa quelle di Marte, a Vener piace, O sia che il Circo sì rimiri adorno, Non come in altre età, di statue lievi. Ma per le spoglie ivi de i Re deposte, L’ opra differirai : sovrasta allora Con le piovose Plejadi P inverno; Allor nella marina onda s’immerge Il Capro tenerello ; allora giova Deporre ogni pensier . Chi al mar s’afSda Del lacero naviglio appena puote 1 miseri campar naufraghi avanzi. Tu se in quel dì incominci , in cui si vide che le Sabine avevano appunto in tal di stabilita fra i loro SpoH , ed i loro Padri , i quali volevano con V armi vendicare il ratto delle medesime . Le persone maritate avevano solamente diritto a queste feste / ed OraT^io nell* Ode ottava del Libro III. si scusa, perchè vi prende parte anch? egli , essendo celibe. Siccome il mese d* Aprile è sacro a Venere , e suc^ cede a quello di Marzo dedicato a Marte , dice il Poeta che Venere gode che abhian le sv^e Calende seguito quelle di Marte per alludere alVamorosa cor^ rispondenza che ella aveva coi Dio della guerra . Le Ihnne e le Matrone romane facevan nelle Calende d*Aprile gran festa a questa lor Pea tutelare ; e gH Amanti contribuivano alle medesime con le donazioni. Non vuole il Poeta, che si studino i Giovani per adescar le Donne nel lor giorno natalizio , nel principio dell* anno , e in occasione de^trionfi celebrati nel Circo , perchè essendo le medesime allora occupate in adornarsi , incontrerebbono qiiP gravi pericoli , che sono qui espressi con l* allegoria dell* Inverno , e con quella delle Plejadi e del Capro , le quali stelle sorgon sull* orizzonte nel mese d* Ottobre , che è un tempo pieno di pioggia e di tempeste , e perciò non propizia a* Naviganti.. Scorrer sanguigno umor la flébìl Allia Per le piaghe latine, o in quello in cui Torna la festa settima, che è sacra Al Palestin siriaco, e in cui s’ astiene Ognun dalla fatica, avrai mai sempre Culto superstizioso al di natale Delia tua Bella ; pur funesto giorno Sia quello , in cui tu offrir dono le debba; Ma a te lo rapirà , se tu gliel nieghi, Che a Femina mancar non puote 1’ arte Per carpir le ricchezze a Giovin caldo.
Tuesday, November 26, 2024
Subscribe to:
Post Comments (Atom)
No comments:
Post a Comment