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Tuesday, November 26, 2024

GRICE E CARCHIA

 Grice e Carchia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’ars amandi – signi d’amore – erotico del bello – comunicazione degl’amanti primitive – scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia romana – filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese. Filosfo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I once joked that if I’m introduce dto Mr. Poodle as ‘our man in eighteenth century aesthetics, the implictum is that he ain’t good at it! Not with Carchia: because (a) Carchia is a serious philosopher (b) he conceives aesthetics alla Baumagarten, having to do with communication  (“nome e immagine”, “interpretazione ed emancipazione”) and with not just the aesthetis qua sensus – but its truth value (“immagine e verita,” “l’intelligible estetico”) – a genius! On topc, my favourite piece of his philosophising is on the torso del belvedere as representing the ‘rhetoric of the sublime’!” Si laurea a Torino sotto Vattimo con la dissertazione “Il Linguaggio”. Insegna a Viterbo e Roma. Studioso di filosofia antica, traduttore. Opere: Orfismo e tragedia; Estetica ed erotica; Dall'apparenza al mistero; La legittimazione dell'arte; Arte e bellezza; L'estetica antica, ecc.  Si è anche occupato, di arte e comunicazione dei popoli 'primitivi' e di artisti contemporanei quali Savinio, Sbarluzzi e Lanzardo. La casa editrice Quodlibet raccoglie le sue opere postume. Rusce ad immaginare la filosofla, a porla in immagini -- nel solco della filosofia italiana dall'Umanesimo a Vico. Minima immoralia. Aforismi tralasciati nell'edizione italiana (Einaudi, 1954), Milano: L'erba voglio); Comunità e comunicazione (Torino: Rosemberg & Sellier); prefazione e cura di Henry Corbin, L'imâm nascosto, Milano: Celuc, 1979; Milano: SE); Orfismo e tragedia. Il mito trasfigurato, Milano: Celuc); Estetica e antropologia. Arte e comunicazione dei primitivi, Torino: Rosemberg & Sellier); Erotica. Saggio sull'immaginazione, Milano: Celuc) L'intelligibile (Napoli: Guida); Dall'apparenza al mistero. La nascita del romanzo, Milano: Celuc); Il mito in pittura. La tradizione come critica, Milano: Celuc); cura di Arnold Gehlen, Quadri d'epoca. Sociologia e estetica della pittura moderna, Napoli: Guida) Retorica del sublime, Roma-Bari: Laterza); Il bello (Bologna: Il Mulino); Interpretazione ed emancipazione. Torino: Dipartimento di ermeneutica); introduzione a Karl Löwith, Scritti sul Giappone, Soveria Mannelli: Rubbettino); “La favola dell'essere. Commento al Sofista” (Macerata: Quodlibet); Estetica, Roma-Bari: Laterza);  L'estetica antica, Roma-Bari: Laterza); L'amore del pensiero, Macerata: Quodlibet); Nome e immagine (Benjamin, Roma: Bulzoni); Immagine e verità. Studi sulla tradizione classica, Monica Ferrando, prefazione di Sergio Givone, Roma: Edizioni di storia e letteratura, Kant e la verità dell'apparenza, Gianluca Garelli, Torino: Ananke,  introduzione a Walter Friedrich Otto, Il poeta e gli antichi dèi, Rovereto: Zandonai. L’immaginazione come orizzonte nomade della conoscenza. Produttività e trascendentalità dell’immaginazione nella critica del giudizio. L’immaginazione senza immagini. La notte delle immagini, il ricordo, la memoria. L’immaginazione come autotrasparire dell’apparenza rappresentativa. Naturalismo simbolico e simbolica naturale. Angelologia. Alighieri: spiritus phantasticus e alta fantasia. Gemellarità dell’immaginazione gnostica. L’immaginazione speculativa. Simbolismo e imagismo. Il fantastico come ideologia. Il romantico. L’immaginazione come dimora del padre. Demone e allegoria. La forza del nome. Icona e coscienza sofianica. Mistica. Mimesi e metessi. La nuova accademia: l’estetico. Paradigma, schema, immagine.  1 Ovidio. Arte amatoria. Chi peregrin nell’amorosa scuola  Entra , me legga, se vuol esser dotto.  Non usansi senz’arte e vele e remi;   Non senz’arte guidar si puote il cocchio;  Non senz' arte si può reggere Amore. Ben sapeva condurre Automedonte (i)   Co’ focosi, destrieri il caiiro , e Tifi r  Sedea maestro \sair emonia poppa. Ne’ mister} d’ Àmot me fece esjperto  V enere bella , e ben dirmi poss’ io  D’Aniore un altro Tifi e Automedonte.  Ch^ ei sia crude!, noi niego » e spesse volte  Contro me stesso si rivolta ; pure  Egli è fiinciullo , e l’immatuTa' etàde  Atta si rende al fren. Docile e mite  Rese Chiron l’ impetuoso^ Achilie (2)    (i) Automédonte, figlio di Dioreo,fu il Cocchierò  d*lAchille , Tifi condusse gli Argonauti in Coleo sul-  la nave Argo , che qui dicesi emonia , perchè era su  <mella Giasone figlio del Re di Tessaglia , e perchè la  Tessaglia si chiamala Emonia dal monte Emo.   (a) Chirone figliuol di Fillira fu il Precettore d’A’^  chille^il qual nen chiamato ^acides fia Eaep suo Avo,  Col dolde suon della canora cetra^   Ed ei, che fu il terrore e lo spavento  De^suoi compagni spessore de’nemici.  Dicesi che temesse il vecchio annoso;   E quelle mani , che dovean un giorno  Gettare a terra il forte Ettor , porgea, Quando Chirone le chiedea,alla sferza.   Ei fu d’ Achille, io son d’ Amor maestro;  L’uno e 1^ altro è fanoiul feroce, e traggo  L’ un e r altro da Diva i suoi natali • (4)  Come r aratro il toro, e come il freno  Doma il cavai focoso ; io cosi Amore  Render placido voglio ancor che il petto  Con r arco mi ferisca , e con la face  Tutte ro’ abbruci le midolle e T ossa.  Quanto più Amore hammi ferito ed arso.  Tanto più voglio vendicarmi . Apollo,   Non io, ché mentirei , dirò che appresi <  Da tl» quest’ arte, o che fui reso dotto  Dal canto degli .augelli A me non Clio,  Né le Sorelle sue , come al Pastore  Della valle d’ Ascrea , compatver mai ; Me un lung’ uso feMstrutto ; e fè pròstate  Air esperto Poeta . <Ió cose vere  Canto : Madre d* Amor.^, siimi propizia.  Gite lungi j o Vestali., e voi Matrone,   Che i piè celaté sotto lunga veste.    J3Ì Achilie uccise Ettore al assedio di Troja Achille nacque dalla Dea Tetide , Amore dalla  Dea Venere,   a Mentre Esiodo, cugino e quasi contemporaneo  nero , pascolava in Elicona le pecore di suo pa*  dre ^ fu dalle Muse condotto al fonte Ippocrene, e Col  hefer 4i quell* acqua divenne Poeta,  Come seguir sensa periglio Amore  Si possa, eA i concessi furti io canto;  Nullo i miei carmi chiuderan delitto.   Tu, che novel nell’ amorosa schiera  Entri soldato, le tue cure volgi  Prima a trovar de’ voti tuoi 1’ oggetto.  Indi a farlo per te amoroso, e infine  Onde lunga stagìon 1’ amor si serbi.   È questo il modo, è questo il campo, in cui  Scorrere il nostro cocchio debbo ; è questa  Del corso nostro la prescritta meta.   Or che il tempo è propizio , or che si puote  Andare a briglia sciolta , una ne scegli,  Cui dir tu possa ; a me tu sola piaci.  Questa dal Ciel non già pensar che scenda.  Ma qui trovar la dei con gli occhi tuoi.  Onde tender le reti al cervo debba.   Sa bene il caccìator , e non ignora  La valle , ove il cignal s’asconde : i rami  L’ UGcellator conosce, onde si gettano  61 ’incauti augelli, e al pescator son note  L’acque, che maggior copia hanno di pesci.  Tu , che d^on lungo amor cerchi materia.  Impara i luoghi, ove frequenti veggonsi  Le vezzose donzelle . Io non ti dico,   Che dar le vele ti fia duopo al vento.   Né córrer lunga e faticosa strada.   Perseo dall’Indie ne condusse Andromeda,  E .Paride rapì di Grecia Eléna. Ma in Roma , in Roma ritrovar potrai  Fanciulle, che in beltà portino il vanto  Più che del Mondo in altra parte . Come Gargaro, Castello sul monte Ida era celebre   V abbondanza delle sue biade , e Metinna , Città nek»   V Isola di Lesbo , per V abbondanza d^ suoi vini.  La gargara contrada abbonda in biade»   In uve la metinnia » in pesci U mare»   In augei il bosco s e còme nell* Olimpo  Splendono stelle; così in Roma ammiransi  Amabili Fanciulle : qui sua sede  Pose del grand’ Enea la bella Madre. Se a nascente beltà ti porta il genio»  Tenera donzelletta eccoti innante;   Se già formata giovine desideri»  Mille ti piaceranno » e fian costretti  A rimaner sospesi i voti tuoi;   Che se a te figlia più matura e saggia  Piaccia » ne avrai, mel credi, un folto stuolo.  De’ portici pompeii all’ ombra i lenti Pàssi rivolgi, allor che Febo i campi  Dall’erculeo Leon saetta ed arde,   O a quel che adorno de’ più scelti marmi  Da lontani paesi a noi venuti,   LaMadre aggiunseindonoa’don delFigHo.(8)  Nè quello lascerai » ohe tragge il nome  Da Livia, ornato delle pinte tele De’Pittori più celebri ed antichi;   Uno de'piU dtliziosi Portici di Roma ora cer^  tornente ^uet di Pompeo . Giaceva questo in vicinanza  dtl suo Veatro , « i Romani lo frequentavano moltis'^  simo in tempo d* estate,  OTTAVIANO (si veda) sotto il nome d’Ottavia fabbrica un  portico in vicinanza del Teatro da lui dedicato a Marcello figlio della medesirrsa  e però dice il Poeta , che  la Madre , cioè Ottavia , a^iunse il dono del portico  al don d^figlio , cioè al Teatro a lui innalzato d’OTTAVIANO,  R questo il portico che Livia moglie d* Augusto  fabbricò nella Via sacra ; ne fa menzione Svetonio , e  vien riputato da Strabono uno d^più be* monumenti  di Roma, Visiterai pnr anco i Inoghi, dove (io)   In atto di far strage de’ Consorti  Effigiate son P empie Danàidi;   E il lor Padre crudel, che nudo tiene  L’acciajo micidial nell’ empia destra;   Nè il Tempio oblia, u’ Venere la morte  Plora del caro Adon , nò il giorno Sabbato  Sacro al culto giudeo • Sarà tua cura  A’xneiifitìcì templi esser presente (ii)  Della liniger’ Iside ; seconda  I voti questa Dea delle fanciulle»   Che desian donne diventar, coni’ essa  Lo fu di Giove ^ Fra i clamori alterni  Del Foro strepitoso ( e chi mai fede  Prestar ci puote ? ) Amor rivolta trova  Atto alle fiamme sue pascolo ed esca.   In quella parte ove s’innalza al cielo (la)  L’ onda d’Appio » che giace appiè del Tempio  Di ricchi marmi adorno , a Vener sacro^  Prigioniero d’ Amore è 1 ’ Avvocato,   (10) Il portico d*Apollo palatino fabbricato da Au^  gusto in una parte della sua casa era adornato di fiin^   ts immagini rappresentanti la strage^ che de*pro-  prj Mariti fecero le Danaidi per comando di Danna  loro padre.  Si adorala Iside figlinola d*Inaco in Menfi  Città d^Egitto, donde furono trasportati in Roma i  suoi sacrificj . Fu questa amata impudicamente da  Giove, il quale la cangiò per timor di Giunone in una  Giovenca j e poi la restitm agli Egiziani nella sua pri^  stina forma . B^la e i suoi sacerdoti andavano coperti  di lino e però si chiamava linigera. APPIO – il primo filosofo romano -- Censore conduce V acqua nel Foro di  Cesare; e d* architettura d* Archelao fu ivi innalzato  a Venere un Tempio , che per somma fretta poi rimase  imperfetto. Che attento alla difesa altrui, se stesso  Guardar non sa • Oh quante volte, oh quante  In quel loco gli manca la favella,   E deir amor che V agita ripieno,   Non della caiìsa altrui, ma della propria  S’occupa solo ! Dal propinquo Tempio  Ride la Dea di Pafo, e il difensore  Trasformato veder gode in cliente.   Ma più che. altrove ne'curvi Teatri  Troverai da far paghi i voti tuoi:   Ivi mille bellezze lusinghiere  Si oifrìranno al tuo sguardo, e tal potrai  Per stabile passion scegliere, e tale  Onde Tore passare in gioco e in festa.  Come frequente la formica in schiera  Vanne al granajo a far preda di cibo;   E come Papi in olezzante suolo  Volan sul timo e sopra i fior ; le culte  Donne in tal modo in folto stuolo assistono  Agli scenici ludi * È cosi grande  11 numero di questo, cho sospeso  Mille volte rimase il mio giudizio.   Non a’ Teatri per mirar, soltanto,   Come per far di lor superila mosffa  Vanno non senza del pudor periglio.   Tu questi giochi strepitosi il primo, ROMOLO, instituisti; allor che il ratto NeW anno del mondo 3a3i. fabbricò Romolo  nei monte Palatino una Città o sia Fortezza , che dal  suo nome chiamò Roma. Per accrescere il numero dei  Cittadini ^ aprì un asilo fra il Palatino e il Campi*  doglio , in cui si ricevevano i Servi fuggitivi^, i De*  hitori y i Malefici . Siccome i Popoli confinanti , e per  conseguenza i Sabini nor volevano con tal gente col*  Segui delle Sabine • Ancor non marmi^   E non tappeti ornavano i Teatri,   Nè il palco vago era per piote tele;   Ivi semplicemente allor far posti   I virgulti eie foglie, che recava   II bosco palatino, e non si vide  Decorata la scena allor con V arte*   Sopra i sedili di cespugli infesti  Assistea il popol folto , uhe all’irsuta  Chioma di fronde sol cingea corona  Col cupid’occhio ognuno intanto nota  Quella, che far desia sua preda, e molti  Pensieri nel suo cor tacito volge.   Mentre d’agreste flauto il suono muove  Grottesca danza, ed il confuso plauso  Ferisce il ciel, ecco che il Re dà segno  Onde alla preda sua ciascun sì volga.  Rapido il proprio loco ognuno lascia,  Fanne co’ gridi il suo desio palese,   E le cupide mani addosso slancia  Sulle Vergin d’insidie ignare , come  Fogge la timidissima Colomba  Dall’ Aquila , e de’ Lupi il fiero aspetto  Agna novella ; di spavento piene  Volean cosi le misere Sabine  De’ rapitori lor schivar gli amplessi;*   Ma da Ogni patte senza legge inondano^  Ninna serba il color , che aveva innante;  ' ' a z    lòcar U lor Donne , Romito gli ' inoitò insieme con Ì 0  sorelle ,'7e moglie e le figlie a unof spettacolo, che fe^ce*  ìebrare in onore del Dio Conso , ossia di Nettuno^ €  comandò d* suoi Romani che cigscun ri rapiste fr0  quelle femmine una Consòrte.    Digitized by Google     IO   Tutte assale il timore ^ e in Tarj modi:  Questa il petto peroote^ il crin si straccia;  Quella riman priva di sensi ; alcuna  Non {>er il duol fa proferir parola;   Altra la cara madre appella invano;   Chi quale statua immobile rimane;   Chi fugge, e chi di grida il cielo assorda.  Ma le rapite Oiovani condotte  Son via, qual preda geniale e cara.   Dì pudico rossoj tinsero molte  Le delicate guance, e vìe più piacquero.  Se troppa ripugnanza alcuna mostra,   £ seguir nega il suo compagno, questi  La porta fra le sue cupide braccia,   E si le dice : a che d’amaro pianto  Da begli occhj tu versi un fiume? teco  Sarò come alla Madre è il Genitore.  Romolo, fu il primiero a’tuoi soldati  Vera recar felicità sapesti;   Se tal sorte goder potessi anch’io, >   Io pur non sdegnerei esser soldato.   Però da quell’esempio anco a’dì nostri  Trovan le Belle ne’Teatri insidie..   D’esser presente ognor cerca e procura ^  Alle corse de’rapidi destrieri.   Di gran popol capace il ;Circo augusto  Molti a te rechei!à comodi ; d’ uopo ^   Onde spiegare i tuoi pensieri arcani  Non avrai delle dita ; nè co* cenni  Intendere dovrai. Franco t’assidi, Che ninno il vieta, alla* tua donna accanto.  Quanto più puòi t’accosta al di lei fiaheo\  lE procura che il loco a.nzi ti sforzi  A toccarla, quand’eUa ancor non ! voglia. Onde seco parlar cerca materia,   E da’ discorsi pubblici incomincia.   Quando i cavalli appariranno, tosto  Di chi sieno richiedi, e quello, a cui  Dirige i voti suoi, tu favorisci;   Macon frequente pompaallor che giungono  Le statue degli Dei, fa plauso a Venere Quale a tua Diva tutelar. Se mai  Della tua bella sulla veste cada  Polve, la scoti con la mano , e fingi *  Scoterla quando pur netta si serbi;   E sollecito ognor prandi motivo  Da leggiere cagion d’esserle grato.   Se la sua veste strascinasse , pronto  Sii tosto a tòrla dalP immonda terra;   Per cosi tenui cure avrai in mercede,   Ch^ ella poi soffrirà, che le sue gambe  Tu possa riguardar. Sia tuo pensiero,   Che quei , che sono assisì al vostro tergo,  ^ ginocchi al di lei dosso,  Non le rechin molestia. I lievi ufBcj  L^alme fiscili adescano : fu a molti  Util Fa ver con destra man composto  Il coscino, agitar con piccol foglio  Il volubile vento, e saper porre  Sotto tenero piè concavo scanno.   Farà la strada al nuovo amore il Circo,  Solevano I ROMANI portar per ih Circo le Statue degli Dei e degli Uomini sommi , quando ivi da¬  vano lo spettacolo della corsa de^ Cavalli 0 d^ altri  giochi'. V* era fra aueste Statue ancor quella di Venere , cui vuole il Poeta che si faccia un gran plauso*  Si veda la seconda Elegia del Libro III, degli amori  scritti dgl modesimo Autore^     E la sparsa nel foro infausta arena*   Ivi pugnò spesso il Fanciul di Venere,   £ chi andò per mirar altri piagato,   Ferito pur rimase. Ah quante volte  Mentre un la lingua a ragionar discioglie^  HoWà. la mano , tiene il libro, e cerca  II; vincitore del proposto premio.   Il .volatile strai senti nel seno,   Gemè piagato , e accrebbe pregio al gioco!   fu bello il mirar quando con pompa  Solenne Cesare introdissse il primo (i 5 )  Non avvezze a pugnar in finta guerra  E le persiche navi e le cecropie!   Da questo e da quel mar vennero allora  Giovani vaghi, amabili donzelle,   E la Città racchiuse immenso mondo.   Fra tanta turba di leggiadri oggetti  Chi non tigvò da far paghi i suoi voti?  Oh quanti e quanti a forestiero laccio  Porsero il piè! Ma Cesar s’apparecchia (Cesare Augusto fece presso il Tevere rappre^  sentore una battaglia navale detta Ncumachia. Intro^  dusse in questa a combattere le flotte che Marc* An-^  ionio aveva raccolte contro di lui nell* Oriente ^e le  navi ateniesi denominate Cecropie da Gecrope primo  Re d* Atene y che seguirono il partito di M. Antonio^  Furono queste armate navali vinte tutte da Azio , e  servirono nella Neumachia d* un brillante spettacelo  a futta Roma.  OTTAVIANO destinò una spedi^àon per V Oriente   contro Frante, e vi mandò il suo Nipote Cajo nato  da Agrippa e da Giulia. Marco Crasso e Publio suo  figlio avidi delle ricchezze de* Parti intrapresero con¬  tro i medesimi una guerra, in cui furono poi essi  miseramente trucidati con undici Legioni . Per far a  Cesare un encomio, dice ora il Poeta , che deve Cajo  riportar vittoria di que* popoli , e riacquistar la  ^ne romane da loro tolte Crassi. Già il restò a sog^ogar del Mondo inter#^  E già Taltiino Oriente è nostro ancora.   La pena avrai dovuta , o Parto audace,   £ voi godete, ombre deaerassi estinti,   E con voi godan le romane insegne  Di barbarica destra a ragion schive.   Ecco il vindice vostro , ognun racclama  Invitto Duce nelle schiere prime;   Giovin sostiene perigliose guerre  Quasi invecchiato fra le stragi e Parmi.  Deh non vogliate, o timidi, il valore  Dagli anni loro argomentar de’Numi;   E la virtù ne’Cesari preepee.   Degli anni Suoi più assai rapido sorge  Celeste ingegno, e mal tollera Ponte  D’una pigra dimora. Era bambino Ercole allor che ì due serpenti oppresse.  Ed èra in fasce pur degno di Giove.   O Bacco^otu che ancor fanciullo sei, (18)   Essendosi Giove innamorato perdutamente d^Alc^  mena , si presentò a lei vestito delle sembianze d*An^  fitrione suo maritoy quando questi trovavasi alla guer¬  ra di Tehe.Da Giove e da Alcména nacque Ercole, che  fu allevato in Tirinta Città in Marea vicina ad Ar¬  go , e però fu detto Tirinzto . Intenta per ciò la ge¬  losa Giunone a vendicarsi delP infedeltà di Giove,  suscitò contro d* Ercole due serpenti ; ma egli li uc¬  cise valorosamente, benché fosse di tenera età,   (18) Bacco armato, d^ una lung^ asta , e seguito da  Ufi esercito d* Uomini e di Donne , corse intrepido nel*  VOriente,e soggiogò quVpaesi che allor tutti,si com¬  prendevano sotto il nome d* India . Essendo quelV asta  così acuta, che imitava la conica figurai del Pino, fu  detta dagli antichi Poeti il Tirso , giacché Thirza ià  lingua ebraica nuW altro significa, se non se un ramo  di Pino^ •Intrecciavano le Baccanti sul tirso V uve e  i pampini cotk P edera p perché Bacco insegnò affli  Qoanto fosti mai grande allor che i tuoi  Tirsi dovè temer l’India domata!'   E tu prode Garzon sotto gli auspiej (ly)  Del Padre , Tarmi tratterai vincendo.  Sotto un nome sì chiaro aver tu dei  I primi erudì menti, e come il Prence (ao)   uomini la maniera di coltivar la vite . Alcuni Eruditi  poi fChe ricercan la moralità nelle favole ^ pretendono  che dipìngasi sempre giovine questo divino coltivator  della vigna ^perche gli uomini si rendon col vino in  lor vecchiezza amorosi e lascivi , come lo furono in  gioventù ,. Mons„ de Lavaur con molti altri , i quali  hanno^ attentamente 'considerato le imprese di Bacco  e l* etimologia stessa del Tirso, porta verisimilmente  opinione y che sia questa favola tratta in origine da  que^libri della sacra Scrittura, che parlano di Mosè.  e di JVoè,   (19) Si rivolge il Poeta a Cajo,che fu adottatò   figlio da Cesare Augusto.   Romolo dalle tre Tribù, nelle quali aveva di^   stribaito il popolo romano y raccolse per ciascheduna  cento uomini, che fer nascita , per ricchezze, e per  altri pregi ^^^no i più riguardevoli. Furono questi  chiamati Cavalieri y perchè trascélse quésoli , che fes¬  ser meritevoli d* un Cavallo , su cui dovean combat¬  tere in difesa di lui ; e si distribuirono in tre Ceti*  turie, che conservando il nome delle Tribù, dov*erano  sfate raccolte, si chiamavano é/e^Rammensi da Romo¬  lo , dei Tasienzi da Tazio Re dé Sabini, e dei Lace¬  ri Lucomone JRe d'Etruria , che fu , come dicono.,  il fondatore della Città di Lueca . Da Tarquinio  Prisco, e da Servio Tullio vennero in seguito accresciati di numero y senza mutar però il nome di Cen*  iurte ; esercitarono poi varie luminose incombenze ; e  JU'denominato il loro ordine Senatus Seminarium,  perchè in esso scieglievansi i Senatori • i 5 . Lu*   Jglio facevano i Cavalieri ogni anno splendidamente  in lor rassegna, mentre dal Tempio dell’Onore, che  era situato fuori della città , andavano al campìdo*   coronati d* ulivo , cinti d^ una purpurea veste det-      Or de’Giorani sei, sarai col tempo  L’oroamento miglior do'rccchj Padri.  Vendica ofFesi i tuoi fratelli, e i dritti (ai)  Del Genitor sostieni : della Patria  £ Padre 6 Dlfensor Parcne ti cìnse;   Ed or che l’inimico i regni invola,   Cruccioso alla vendetta egli t’invita.  Scellerati di lor saran gli strali.   Pietà e Giustizia i tuoi vessilli, e Parrni  Della causa miglior sostenitrici.   ' ta trabea, t assisi sopra i loro cavalli . 0 §ni cinque  anni poi appena giunti al Campidoglio , scendevano  da Cavallo , e presolo per mano lo guidavano avanti  al Censore ivi assiso sopra una sedia curale ; ed egli  comandava di ritenere il Cavallo , se bene aveva il  Cavaliero adempiuto a* suoi doveri ^e di venderlo , se  aveva malamente eseguito le sue incombenze. Leg^  geva il Censore in tale occasione il catalogo de^ Cavalieri yC si chiamava il Principe de* Giovani o della  Gioventù quello che era da lui nominato il primo ; e  ciò non perchè fossero attualmente tutti gióvani , ma  perchè lo fàrono nella prima istituzione^ e perchè Veta  giovanile si estendeva pressò i Romani fino a qua¬  rantacinque anni.   Principe de’Senatori o del Senato ne*primi tempi del¬  la Repubblica si chiamava quello che il primo tra*Sena-  tori viventi era stdto Censorey poi quel che dal Censore  fosse stato nominato ili primo nel leggere il catalogo  d^ Senatori y e nell\ anno dalla fondazione di   Roma quel , che dal Censore era riputato degnissimo.   (al) Pompeo y domato il Re Tigrane y costrinse gli  Armeni a ricevere da* Romani in segno di servitù i  Rettori. Si liberarono essi da un tal giogo y ma Cajo  li obbligò nuovamente a soffrirlo , e vendicò in tal  guisa i dritti d*Augusto y che dal Senato e dal Po^  polo romano fu per mezzo di Valerio onorato del lu¬  minoso titolo di Padre della pAt<‘ia, ^   (^a) I Parti tentavano di farsi padroni delV Ar-  mersia  Ora il mio Duce alle latine aggiunga  L*eoe ricchezze. E voi j Cesare e Marte,  Entrambe Padri soccorrete il Figlio,   Che in difesa di Roma espon sua vita;  Come già Marte^or tu, Cesar, sei nunie Ecco raugurio mio; tu vìncerai;   Sciorrò co’ carmi allora il voto ; degno*   Tu allor fatto sarai d’alto poema.   Porrai le squadre in ordinanza, e all’ armi  Co’ versi miei 1 ’ esorterai : tenaci  Di me nel tuo pensiero i detti imprimi.  11 petto forte de’ Romani, il tergo (24)   Io canterò de’ Parti , e l’inimico  Telo, che vibran dal cavallo in fuga.  Mentre tu fuggi, o Parto , e cosa al vinto,  Oude sia vincitor, tu lasci ? Il tuo  .Marte recò finora infausto augurio.  Dunque quel dì verrà, Cesare, in cui  Tu di natura la piò amabìl opra  Di lucìd’ oro adorno andrai tirato  Da quattro^ candidissimi cavalli ?   Or mal sicuri nella fuga i Regi  Partici andranno innanzi , il collo carco  Dì pesante catena • Insiem confusi  Giovani lieti e tenere Donzelle,   D* un’insòlita gioja il cor ripieno,   Mireran lo spettacolo gradito. "   Se una di quelle a te richiegga i nomi  Di que’ Re, di que’ monti, di que’ fiumi,    (a3) Fu Cesare Augusto ascritto in aita fra i Dei ,  $d ebbe perciò onori diHni. ’   (a4) Avevano i Parti in ' costume di guerreggiar  fuggendo , ed anzi si rendevano formidàbili , mentre  ^ibravan le lor saette^ da wjt cavalle rivoltp in fuga.  Di que* paesi 9 a tatto ciò' rispóndi;   £ non richiesto ancora il; tutto narra,   E le cose puf anco a te mal note.   Cinto di canna il crin l’Eufrate è questo, (aS)  11 Tigri è quel colla cerulea chioma.   Ecco gli Armeni^, e Perside che tragge (a6)  Da Perseo il nome suo ; nell’ achemenie  Valli questa Città si giacque . Il nome  Dirai di questi e di que’Re, se il sai,   O almen 1 ’ adatta . L’imbandite mense  Facile danno ed i conviti accesso,   Ove da far contenti i tuoi desiri  V’ è cosa anc’ oltre i vini : ivi sovente  Calcò di Bacco l’orgogliose corna  Con le tenere mani il bel Cupido,   Di cui se intrise sien 1 ’ ali nel vino  Più non puote fuggir : grave s^ asside;   Tu umide penne , è ver, veloce Scote.   Ma non vola per questo, anzi novelli  Desta incendj nelP alme, che dal vino  Sono disposte e rese atte al calore.   Ogni atra cura e molce e fuga il vino;  Allora il riso ha loco ; allor l’abietta  Mendica gente pure il capo innalza;  Fuggon le cure, il duci ; le crespe fronti  Vengono liete ; e la si rara in questi  Tempi semplicitade i più secreti  Pensier dell’alma svela, che il Dio Bacco   (a 5 ) UEufrate ed il Tigri, avendo , secondo Vo^  pinione d*alcuni, la lor sorgente nei Monti armenii  si prendono qui dal poeta per li principali fiumi del»  V Armenia,   (a6) Persìde è una famosa città , che vuoisi fab.-»  bracata da Perseo figlio di Danae nelle valli persiar  ne, dette achemtiiie dal Re Achemene Ogni mistero svela e l’arte infrange • (27)  De’ Giovanetti il cor ivi ben spesso  Rapiron le Fanciulle ; Amor nel vino  Fu foco a foco unito • Ma non troppo  A lucerna ti fida ingannatrice;   Mal nella notte , e fra i bicchier ricolmi  Della beltade si può far giudizio.   Allo splendor del giorno, a cielo aperto  Paride rimirò le Dive allora  Che alla Madre d* Amor disse : tu vinci  L’ una e 1 ’ altra in beltà , Venere bella.   S’ asconde nella notte ogni difetto;   Ad ogni vizio si perdona , e allora  Ogni donna sembrare alPuom può bella;  Consulta il di guai gemme e quali lane,  Tinte di tìria porpora, sien atte  A fsLjp bella la faccia e il corpo ^ Come  Io delle Donne numerare il ceto  Di non ardua conquista ? E assai maggiore  Dell’ arene del mar . Come di veli  Di Baja. i lidi narrerò coperti.   E per calido zolfo acque fumanti?  Riportando talun ferito il petto  Da queir.onde, non son , ( come racconta  La fama ) dice , salutari ognora.   Ecco di Cinzia suburbana il tempio    Ì ayl Alludesi al pros^erhio latino in vino veritas.  Baja in Campania , o com'oggi dicesi in ter-^  ra di Lavoro i era un amenissimo Castello^ che con-  teneva entro di se degli ottimi bagni caldi, e alcuni  laghi in cui rrnvigavan gli antichi con diverse barche  variamente dipinte, sulle quali facevano ancora de^  gli allegri conviti.   Questa Dea, che si chiama Lucina in Cielo,  Eeate neW inferno, e Diana in terra , ha ancor fra      Silvestre» ed ecco ì conquistati Regni.  Perchè vergifte ella è » perchè ella in odio  Ave d’Amor gli 8tijali,.al popol diede»   £ mai sempre darà mille ferUè. ^   Fin qui Talia sopra ineguali rote( 3 o)  Come tu debba scer T amato oggetto»   E dove tender t’insegnò le reti.   Della tua Bella onde adescare il cére  Preparo or io delF arte opra speciale.  Uomini» voi chiunque » e donde siate,  Porgete al mio parlar docili menti»   E le promesse mie ptopizj udite. Tosto nell’ alma tua scenda la speme  Di conquistarle» e vincitor sarai;   gli altri nomi quello di Cinzia » perchè essa ed Apoi*  lo nacquer nelVIsola di Deio » ov^ è il Monte Cinto.  I popoli del Chersoneso » o com* ora chiamansi » della  Crimea » le immolavano gli ospiti ivi spinti dalle  tempeste, he femmine romane » dopo Vavere ottérsuto  ciò che htamavun co" voti, andavano a* d*Agosto   con le. faci ardenti in mano, e la corona eul capo\  al Tempio suhurbano di questa Dea situato in Arì^  eia. Quivi frequentemente i Sacerdoti succedevano gli  uni agli altri » mentre , non godevano di questa di*  gnità solamente gV ingenui, ma se la contrastavano  anche i servi e i fuggitivi in una guerra particola*  re » in cui chi riportava la vittoria , otteneva a un  tempo stesso il Sacerdozio » che apprezzavano come  un Kegno. Una tal Dea peraltro y quantunque sten*  desse dal cielo per godere del suo Pastorèllo Endi--  mione » fu sommamente gelosa della propria pudici*  zia, giacché trasformò in Cervo Atteone \ perchè osò  di guardarla quando era nuda in un bagno.   (3o) Talia è quella Musa » che presiede principale  mente a* Canti piacevoli e amorosi. Dice OVIDIO che  dia insegnò sopra inegnali rote ec. alludendo al diè  stico latino » il di cui Esametro ha » com* è noto ^ sA  piedi, e cinque il Pentametro^   Ma intanto tender dei T insidie : prima  Gli augelli taceran di primavera,   Le cicale in estate , e il can d^Arcadia  Incontro a lepre prenderà la fuga,   Che dolcemente Femmina tentata  A Giovine resista ; e quella ancora  Tu vincerai, che ti parrà ritrosa.   Come il piacer furtivo è grato alF Uomo,  £ grato alla Donzella . Asconde questa  Le brame sue, T nomo le cela invano;   Ma se tu possa* vincerla una volta,  Preverrà con le sue le tue preghiere.   Ne’ molli prati al suo Torello accanto  La giovenca muggisce ; e la Cavalla  Col suo nitrir fa lusinghiero invito  Al cornipede maschio . In noi pkt forti^  Ma non però cosi furiosi, sono  Gli stimoli d’ amor i lodevol fine  Ha la fiamma delP Uomo. A che di Biblì ( 3 i)  Ricorderò, che d’ un vietato amore  Arse pel suo Fratello , e pon un laccio  Vendicò da se stessa il suo misfatto?   Non, come Figlia dee,Mirra amò il Padre,(  a^   BiUi nata da Mileto e dalla Ninfa. Gianczf ,  amò perdutamente Canno suo fratello. Siccome non  Ve riuscì di renderlo à sitò riguardo amoroso ^ si die  in preda a un pianto così dirotto ( se si presti je e  al libro IX. delle Metamorfosi ) che fu convertita  VI un fonte yo( se si crede al libro presente ) si prò--  curò ella etessa con un laccio la morte.   (3a) Avendo Mirra concepito un immenso amore per  Cinìra suo padre , gli fu posta in letto da  me nutrice in luogo della consorte. Accortosi Cinira  del fallo , tentò di uccìderla } ma essa fuggì  bay ove fu cangiata in albero , e diede alla luce il  bellissimo Adone , che fU V ‘unico frutto d un st fu  nesto incestuoso accoppiamento. E oppressa ora si cela in chiasa scorza:  Delle lagrime poi, che dal suo tronco  Odoroso essa elice ^ ungiam le membra. Che s^ban quteste stille il primo nome,  Del frondos’Ida nelVombròse valli.  Era forse la gloria e la delizia  Deir armento un Torel candido , solo  Negro segnale avea fra corno e corno:  Una sol f^u la maccbìa, e latteo il resto.  Questo bramaron sostener sul tergo  Le giovenche ginosie e di Canea. Oodea di farsi adultera Pasifae (34)   Del Toro., e'nel ano ooj geloso sdegno  Nutria contro le amabili giovenche:   Io cose note canto; e ciò non punte  Creta negar, quantunque siai*iqendace.  Creta, cui son cpnto Città soggette.   Con r inesperta man ; Pasifae ali Totro  Dicesi recideste or verdi frondey S 1  Or r erbe tenerissime de’ prati.2  Erra compagna dèli’st>nentOì,;e invano-  Del maiitoy pensier T arresta j vinto.   Era Minos da-un hove ^ A rche* tu vesti, .  Donna , preziose spoglie ? Il tuo Diletto  Mà è un mont 0 ^ Creta ; nè deéù qui còn^  fondere cpl Monta, Ida^ pqiaao , ope seguii la famgsa  lite fra Venere y Pallade e Óit^none.   (34) Sdegnata Venere contro il Sole y perchè Vavea  fatta sorprèndete da^*Numi det letto con Marte ffe*  à che Pasifae figlia del .medesimo , e moglie di Mi-»  nos Re di Creta, ^ innamorasse ardentemente d* un  Toro. Essendosi questa racchiusa in una Giovenca di  legno coitmtta da Dedìdà y si congiunse col Toro  diletto, e diede al Sole, in nipote il celebre Minotaio-  To , che fu ucciso da Teseo nel famoso làbcrkito»   Di tai ricchezze non conósce il pregio.  Mentre vai di montano armento io traccia,  A che giova lo specchio , a che le chiome.  Lassa, adornar si spesso ? Ah I presta fede  Pare allo specchio 4 che bovina forma  Ti nega ; invan veder sulla tua fronte  Desideri le cornac Se ti piace  ' Minos, a che un adultero ricerchi P  E se brami ingannarlo , a ché noi fai  Con un Uomo? Per boschi e per foreste  Oià la Regina , il talamo lasciato, ^  Vanne quasi fiaccante , a cui furore  Spiri P aonio Dio . Oh quante volte  La giovènca «rivai con volto iniquo  Mirò, e fra se, perchè tu piaci, disse,  Al mio Signor ? Ve^com^* in facciala lai*  Scherza sull’erbe tenere , ed esulta,,   E tài fóIlié/-non dubito non credai ^   Per lei decenti : mentre in suo pensiero:  Volge tai còse , ordina che sia tolta* ^ •   Dal gregge immenso , è immeritevol venga  Al curvo giogo strascinata, o vuole  Di snperstizion sacrai * fra-l’are • •   Vittima cada;!e nella fi^ta dtwtr^ Gode tener .le.:.viscero fumanti — -Dell’uccisa rivai. AHI quante voke ?  Gon le uccise rivaV placando i NUìiii, ^  Disse, tenendo'visceri\-'piacete '   Al mio Dilettov e quante volte ancora  Chiese in Europa èsserconversa e in Io, Europa figlia di Agenorg Re di Fenicia , ^  éorella di Cadmo , era dotata di^ sorprendente^ bellezza. Aree Giòvo per Ui. di un amore così violento,  aS   Che questa è una Giovenca, e quella ìMotso'  Premè d’ un Bovo . Fè le strane voglie  Paghe Pasifae ascosa in lignea vacca,   Onde il parto alla luce uscì biforme.   Se sapeva piacere ad un sol uomo^ (36)   E foggia di Tieste il turpe amore  D’ Atreo la Sposa, non avrebbe Febo  Il cammino sospeso in mezzo al corso,   E rivoltato il carro, i suoi destrieri  Mossi incontroairAurora. Anco la Figlia, Che i purpurei capelli involò a Niso,  Coprì del corpo suo le parti estreme  Con la sembianza de’ rabbiosi cani.    thè trasformatosi in Toro, la portò sul suo dorso in  quella parte di Mondo , che dal nome della medesu  ma si chiama Europa.   Io y o Iside fu , come Si è detto al numerò ii.  epnoertita dallo stesso Giove in una Giovenca. Erope moglie d* Atreo giacque con Tieste fra^  tello del medesimo, e nacquer da essi due figlj, che  avendo Atreo dati a mangiare al lor padre medesimo  in un convito, il Sole per celare un tanto misfattò  tornò indietro , e corse incontro aWAurora. Scilla, figlia di Niso Re di Megara s^ inva^  ghì di Minos Re di Creta , che le assediava la pa^*  trìa, e a lui recò il purpureo capello del padre,  dal qual dipendevano i fati di quella Città. Essa fu  jj^i disprezzata harharamente dalV ingrato Minos , e  fu , secondo le metamorfosi, cangiata in uccello. Vi  fu però un^altra Scilla figlia di Eorci , la quale ,  avendo bevuto un^acqua per lei avvelenata da Circe ,  venne subito trasformata in un mostro, la di ciS  parte inferire era simile a quella di un Cane. Con-^  eepì la medesima tanto orror di sé stessa , che si get>»  tò in un golfo del mar di Sicilia , che ha preso da  ^ella il suo nome» Ovidio ha qui confuso fseste due  Il Figliuolo d^Atieo, che in terra e in mare   Di Marte e di Nettuno evitò V ira.   Cadde vìttima poi della Consorte.   Chi di Creusa sull’inìqua hamma (Sq)  Non sparse il pianto, e sulla Strage orrenda  Che fe* de’proprj figli un* empia Madre ?  Frivo degli occhi pur pianse Fenicio, (4o)  E voi, oarallì spaventati, il vostro Agamennone è veramente figlio di Filistene ,  ma da Ornerò^ e da tutti gli antichi poeti gli vien dato  per padre Aireo suo aco come un personaggio più  celebre» Fu dichiarato Agamennone per le sue mira^  bili imprese il Re deTle di Grecia, e per tradimento  di Clìtennestra sua moglie ucciso da Egisto , dal  quale era ella amata impudicamente, Giasone j abbandonata Medea, sposò Creusa  figlia di Creonte Re di Corinto, Medea per vendicarsi  di tafe infedeltà , f^ strage di due teneri fanciulli  nati da lei 4 da Giasone, e ridusse con fuoco ariifi-  doso in cenere ì* infelice Creusa e tutta la famiglia  e la Reggia di Cleonte,   (40) Furono tratti gli occhi a Fenicio figliuol d^A^  mintore, perchè una concubina del padre Vaccusò  falsamente d'acerle tolto Vonore, Ricuperò egli la vi¬  sta per i farmaci a lui apprestati da Chirone , il qual  gli die poi in custodia il giovine Achille, con cui  andò aWassedio d,i Troja, Ippolito figlio di Teseo disprezzo Vamorosa  corrispondenza che gli esibì Fedra sua matrigna, Sde¬  gnata ella fieramene di ciò , disse al padre , che le  aveva il medesima insidiato V onestà ^ e Teseo lo ab¬  bandonò al furor di Nettuno, Essendo per ciò com¬  parso un orribil mostro marino^ mentre Ippolito se ne  andava sul suo, carro lungo la spiaggia del mare , i  cavalli per lo spavento preser la fuga, marciarono  il legno in pezzi ^ e trucidarono miseramente il lor  Cgxìdottii^o, >   Condottier tracidaste.E perchè» o Pinco, (42)  Gli occhi tu togli agPinnpcenti figlj ?   Ah che la atessa ^eaa. il tuo delitto  Un dì vendicherà. Tali infortunj  ^ Da uno sfrenato aq^or trasse sorgente  Delle lubriche donpe . Ornai t’ affretta,   £ non temer di ritrovar contrasto  Nelle Donzelle ; appena, una fra molte  * Ne incontreraiepe. a te neghi vittoria.  E r indulgènti e, le ritrose pure  lì Goì^qu esser pregata; pna ripulsa  I Non ti spaventi ^ è questa ingannatrice.  iMa perchè ingannatrice Y ognor pip grata  INuova per esse voluttà riesce.   |E l’alma loro adescan facilmente  |l novelli amatori ..'Il vici^ campp  Ci sembra più .ijber^^so ,^0 il gregge altrui     Vedi che a parte sia della Padroni    I  )  Ov, Arte (Tarn. b    (4a) Fineo figlimi Agenore Re Arcadia yO co¬  me ad altri piaqe, di Tracia , o di Paflagonia y spo¬  sò Cleopafi^a figlia di Bqrea, e‘. n*ehbe due figli.  O sia che questa morissero che fosse da lui ripudiata y prese il medesimo in moglie Arpài ice , e cornane  dò , che fossero ioltìr gli occhi a* due figlj della sua  prima eoniorte, perché temè che aiiesjser avuto un il¬  lecito commercio con Ija novella sua sposa. Fu da  Borea vendicata V innocenza do* nipoti con Vacciecof-  mento di Fineo , e Giunone e Nettuno gli mandaro¬  no sulle mense le Arpie y che a lui macchiavano tur¬  pemente quelle ‘ vivandé y che non mangiavano essa  stesse De’ nascosti consiglj, e de’ piaceri  Suoi più segreti. Con promesse e prieghi  Corrompi la sua fi; tutto otterrai,   Quand’ ella voglia, e non ti sia contraria,  Dalla facil. tua Bella • Il tèmpo scelga.  Come i Medici sogliono , propìzio.   Onde il tuo amor nel dodi cor le infonda.  Ella il tuo amor le infonderà nel core,  Quando per lieti eventi andrà giuliva  Come lussureggiare in pìngue campo '  Suole la biada. Quando r alma è scarca  Dalle pallide cure , e lieta esulta.   Si spande allora , e dà facile accesso  ÀH’arti lusinghevoli d’amore.   Mentre fra i neri affanni involta visse "  Troja , con V armi si difese ; e lieta (43)   Il cavai di soldati e insìdie pieno  Àccolèe entro le mòra. Ancor si tenti,   £ non rimanga inyendicata , quando  Si dorrà , chè riceve ingiuria e scorno  Dall* impudica Amante del Marito.   La punga a sdegno la fedele Ancella,  Quando col pettin mattutin compone  Gl* indocili capelli, ed alle vele.   L’ ajuto aggiùnga anco de’ remi, e dica,  Sospir seco tràehdo, in bassa vocè:   Tu noli potrai, cred’io » come si merta.  Rendergli la pariglia. Allor le parli  Di te con detti insinuanti , e.giuri  Che tu brugi per lei d’immenso amore.  Mentre il tempo è propizio , ella s’ affretti   ( 43 ) Alludesi al cavallo di Ugno ^cht il perfido  Sinone introdusse pien di soldati in Troja , quando  tra assediata da* Greci» Virgilio Endde IÀh»lÌ»v»  Che non cadan le vele, e cessi il vento.  Come sì scioglie il gel, V ira , indugiando^  Si dilegua così. Forse mi chiedi.   Se la servente innamorar ti giovi ?   Tai cose ammesse, il rischio é manifesto^  Una rende V amor più diligente,   L’ altra più tarda e meno attenta : questa  Alla Padrona sua ti serba in dono,   Quella a se stessa • esito dipende  Dalla fortuna, che quantunque arrichì  Agli audaci ^ a te do fedel consiglio.   Che d’ un’ impresa tal lasci il pensiero.  Non per scoscese perigliose strade  Andrò, nè, duce me, verrà ingannato  Alcun Giovine amante * Ma se poi,  Mentre riceve e assiduamente porta  L’innamorate cifrerà te non solo  Per la sua fedeltà piaccia, com’ anco  Per la beltà del corpo ; allor procura  Della Padrona in pria il possesso, e ch’indi  Questa la segua: l’amoroso gaudio  Non dall’ Ancella incominciar tu dei*   Se all’arte mia si crede, e i detti miei  Non portano pel mar rapaci i venti,  Questo consìglio mìo nell’alma imprimi:  Non mai tentar 9 se non compisci l’opra»  Se a parte ella verrà del tuo delitto.   Non la temere accusatrìce • Invano  Invischiato l’angel tenta la fuga.   Nè riesce già uscir dalle allentate  Reti al cinghiale • Il pesce all’ amo colto  Si scota invano ; tu la premi e assedia.   Nè la lasciar , se vincitor non sei.   Se a una colpa comune ella soggiace, Non temer tradimenti ; a te saranno  Note della Padrona opre e parole.   Se cauto celerai 1’ accusatrice.   Sempre, contezza avrai della tua Amica.  Folle è colui che in suo pensier si crede  òhe sol debban del cielo osservar gli astri  Della terra il cultore ed i nocchieri.   Non a’ campi fallaci ognor sì debbe  Cerere abbandonar, nè alle tranquille*^  Cerulee onde del mar la curva prora.   Ah 1 che non sempre assicurar ti puoi  Il cor di vincer delle Belle; spesso  Ciò s’otterrà, se il tempo sìa propìzio.   Se deir Amica il natalizio giorno (44)   (44) Era presso gli Antichi in gran venerazione il  giorno natalizio : e gli Amanti celebravano ‘ con feste  e con doni quello^ in cui eran nate le Donne che ama^  vano . Si dee preferir certamente questa lieta costui  manza a quella che hanno adottato i Messicani e i  Cinesi, i quali riguardano un tal giorno come infausto  e doloroso . Alcuni di essi invece di ricevere con ac¬  clamazioni di gioja la nascita d^ un figlio , gli rispon¬  dono ai suoi primi singulti , mio figlio tu sei venuto  al mondo per soffrire \ soffri ^ e t’acquieta . Si fab-  hrican altri di buon^ ora la tomba, e vanno ogni  giorno a renderle omaggio come al termine consola¬  tor é d^.lor giorni . Non poco influisce, a dir vero, un  tal uso a fomentare il barbaro costume d^ uccidere i  proprp figli in un popola ^ il guala non gli Ottimi suoi  libri classici illustrati dall* immortai Confueio e con  le savissime leggi, su cui ha stabilito il suo pacifico  Impero, cerca di rendersi virtuoso ed illuminato.   Èra presso i Romani nel suo pieno vigore P uso  delle visite e de* doni nel principio dell* anno, il qua-  le incominciava anticamente col mese di Marzo , le  di cui Colende eran consacrate al Dio Marte . Cele-  hravand in Roma nel primo giorno d*un tal mese  alcune feste dette matronali in memoria della pace Ricorra , o le Calende che seguito  Abbiaa quelle di Marte, a Vener piace,   O sia che il Circo sì rimiri adorno, Non come in altre età, di statue lievi.   Ma per le spoglie ivi de i Re deposte,   L’ opra differirai : sovrasta allora  Con le piovose Plejadi P inverno;   Allor nella marina onda s’immerge  Il Capro tenerello ; allora giova  Deporre ogni pensier . Chi al mar s’afSda  Del lacero naviglio appena puote  1 miseri campar naufraghi avanzi.   Tu se in quel dì incominci , in cui si vide    che le Sabine avevano appunto in tal di stabilita fra  i loro SpoH , ed i loro Padri , i quali volevano con  V armi vendicare il ratto delle medesime . Le persone  maritate avevano solamente diritto a queste feste /  ed OraT^io nell* Ode ottava del Libro III. si scusa,  perchè vi prende parte anch? egli , essendo celibe.   Siccome il mese d* Aprile è sacro a Venere , e suc^  cede a quello di Marzo dedicato a Marte , dice il  Poeta che Venere gode che abhian le sv^e Calende  seguito quelle di Marte per alludere alVamorosa cor^  rispondenza che ella aveva coi Dio della guerra . Le  Ihnne e le Matrone romane facevan nelle Calende  d*Aprile gran festa a questa lor Pea tutelare ; e gH  Amanti contribuivano alle medesime con le donazioni.  Non vuole il Poeta, che si studino i Giovani  per adescar le Donne nel lor giorno natalizio , nel  principio dell* anno , e in occasione de^trionfi celebrati  nel Circo , perchè essendo le medesime allora occupate  in adornarsi , incontrerebbono qiiP gravi pericoli , che  sono qui espressi con l* allegoria dell* Inverno , e con  quella delle Plejadi e del Capro , le quali stelle sorgon  sull* orizzonte nel mese d* Ottobre , che è un tempo  pieno di pioggia e di tempeste , e perciò non propizia  a* Naviganti.. Scorrer sanguigno umor la flébìl Allia Per le piaghe latine, o in quello in cui  Torna la festa settima, che è sacra  Al Palestin siriaco, e in cui s’ astiene  Ognun dalla fatica, avrai mai sempre  Culto superstizioso al di natale  Delia tua Bella ; pur funesto giorno  Sia quello , in cui tu offrir dono le debba;  Ma a te lo rapirà , se tu gliel nieghi,  Che a Femina mancar non puote 1’ arte  Per carpir le ricchezze a Giovin caldo. 

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