Grice e Capodilista: la ragione conversazionale e ll’implicatura conversazionale -- n principio era la conversazione – filosofia fascista – filosofia padovana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Battaglia Terme). Filosofo padovano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Battaglia Terme, Padova, Veneto. Grice: “I like Capodilista – good vintage (literally)! – Capodilista is difficult to comprehend, but when I was struggling to find examples of implicatura due to exploiting ‘be perspicuous,’ he was whom I was thinking! Keywords in his philosophy are ‘il non-detto,’ ‘homos eroticus’ – filosofia dell’espressione – metafisica – equilibrio apolineo-dionisiaco, positive-negativo –“ “Un pensiero perfetto in sé non esiste; un pensiero è perfetto solo nella serie innumerabile dei pensieri che nascono da esso.» (Quaderni). Appartenente ad una famiglia veneziana di nobili origini, nacque nella villa di famiglia da Angelo Emo e da Emilia dei baroni Barracco. Studia a Roma sotto Gentile. Le sue riflessioni sul nihilismo sono un'anticipazione della filosofia di Heidegger. Debitore dell'attualismo gentiliano. Partendo da questo, giunse a trasformarlo in una filosofia dove l'atto è la re-figurazione dell'auto-negazione del nulla che comunque conserva una sua funzione positiva così come nela religione romana la morte del corpo ha la funzione di salvezza nella redenzione dello spirito (animo). La forma superiore dello spirito intristisce e cerca invano di uscire da sé per trovare qualcosa che lo salvi. Un'istanza di salvezza che trova senso nella religione romana. Dio espia la sua universalità. Distrugge ogni valore e il proprio, sì che lo sparire, il nascondersi di Dio nella sua espiazione non è altro che la nuova creazione dei valori, e così il ciclo ricomincia. Dio si abolisce col suo stesso realizzarsi. Un altro punto fondamentale di sua filosofia è la figura centrale dell’intersoggetivita., del rapporto concreto particoare, particolarizato, inter-personale contrapposto all’astrazioni di una collettività IMpersonale generalizato (universalita, universabilita, generalita formale, generalita applicazionale, generalita di contenuto --, sia quella esaltata da uno stato etico (la communita, la popolazione, la societa). Una diada conversazionale non può essere un dato. Una diada conversazionale può essere solo un rapposro inter-soggettivo, cioè due resurrezioni. Il filosofo è assillato da questo fondamentale problema. Il problema è questo: di quali fedi si nutre e sussiste il mondo? Quale è la fede autentica che lo sostiene nella vita che gli dà la forza dell'attività e la convinzione di partecipare con la sua vita (o la sua azione o il suo essere) alla immortalità, cioè all'assoluto? La diada conversazionale ha bisogno dell'assoluto (l’universabilita) e pertanto il suo problema è questa partecipazione all'assoluto. Come raggiungerà l'assoluto le due uomini – le due maschi -- della diada conversazionale? Quale sarà la sua fede laica? Non certo quella collettivistica-sociale che ha fatto uso della violenza, la forza, e la autorita illegitima, e ha fallito ma neppure quella etrusca che ha compresso la libertà di coscienza. I etruschi sono nati sotto il segno dello scandalo. Ma il sacro si è allontanato dalla sua scandalosa azione originaria. Perché in ogni fede vi è qualcosa di scandaloso e di vergognoso? Perché vi è qualcosa di vergognoso nella verità e nella vita stessa? Forse l'elemento vergognoso è l'intersoggetivita pura attorno a cui verte la fede e che si crea con la sua negazione. L’intersoggetività è sempre nuda e la nudità è scandalosa. I vestiti sono l'uniforme innecessari della società. Invano due maschi credono di distinguersi con le vesti; e credono che le due nudità sia uniformità. Le vesti sono il riconoscimento della società, del sociale. Ma le vesti sarebbero nulla se non fossero animate dalla vita intersoggetiva di due nudità. Le veste sono orgogliose delle due nudità che socializzanoa. È quindi con la libertà degl’entrambi della diada, con le due nudità, con il rifiuto di ogni veste di uniformità, IM-personalita, ed obbedienza all'autorità ad una dottrina o scuola di mistica pitagorica collettivizzante, che la diada recupera la sua essenza duale intersoggetiva interpersonale particolarizata che si fonda sull'amore -- alta espressione del "singolare duale". Altre opere: “Il dio negative” (Marsilio, Venezia); “La voce d’Apollo musogete: arte e religione nella Roma antica” (Marsilio, Venezia); “Supremazia e maledizione” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Il mono-teismo demo-cratico” (Mondadori, Milano); “Metafisica” (Bompiani, Milano); Il silenzio (Gallucci, Roma); “La meraviglia del nulla” Dizionario Biografico degli Italiani. Le parole che si riferiscono a dei valori, si svalutano progressivamente come le monete, come, appunto, i valori. Quando pensiamo troppo profondamente, perdiamo l’uso della parola. La parola si può “usare”, cioè profanare, quando non se ne comprende il significato. Se comprendessimo il significato delle parole, non usciremmo mai più dal silenzio. La conversazione è pericolosa per un’idea, per uno spirito, per una verità che non resiste alla lieve immediatezza (e cioè rapidità) che è l’anima irriducibile di una conversazione e di una comunicazione tra viventi (e che altro è l’arte?). E così l’idea è pericolosa per una conversazione. Conversazione (espressione, comunicazione ecc.) e idea tentano continuamente di sopraffarsi. Appunto perché l’una non può vivere senza l’altra. È lecito ad un artista prendere sul serio ciò che scrive? Non decade dalla sua qualità di artista e di creatore per divenire soltanto un credente? Il torto dei romantici è stato principalmente quello di prendersi sul serio; i più antichi scrittori prendevano sul serio il loro argomento, ma sempre conservandosi estranei ad esso; senza considerare la loro soggettività di creatori come l’oggetto stesso della loro creazione. I romantici invece prendevano sul serio se stessi, e ciò li rendeva ridicoli, perché ovviamente non potevano più mantenersi al di sopra del loro argomento. Si dovette, pertanto, da Baudelaire in poi, ricorrere ad una forma di ironia. Ciò che distingue la sfera (moderna) del sacro è la mancanza di ironia; eppure può anche darsi che l’universo che abitiamo sia una forma dell’ironia divina, manifestatasi come creazione. Nella sfera antica del sacro, gli Dei di Democrito e di Epicuro ridevano negli intermundi. La sfera della sacralità antica si differenzia dalla sfera della sacralità moderna appunto perché gli antichi Dei, grazia alla loro pluralità, conoscendosi l’un l’altro, ridevano. Un’ilarità che non si addice a un Dio unico e solitario, ma che potrebbe, se l’Unico non fosse troppo preso da se stesso e dalla sua onnipotenza, tradursi nel termine più moderno di ironia. A noi uomini accade appunto di osservare che l’ironia è il solo modo di distaccarci dalla nostra onnipotenza, di uscire all’esterno della nostra assolutezza. Le opere d’arte, come tutte le immagini, sono in realtà dei ricordi. Sono la memoria. Noi amiamo un’opera d’arte perché essa è la nostra memoria che si risveglia, che riprende possesso di noi, e del suo universo, cioè di tutto. La memoria talvolta dimentica; ed essa ricorda quando dimentica. La forma letteraria in cui meglio ci si può esprimere è appunto la lettera (l’epistola). Perché l’altro è sempre presenta mentre scriviamo e abbiamo la facoltà di creare il destinatario. Abbiamo la facoltà di creare un pubblico come destinatario? Se non avessimo la facoltà di creare un destinatario, individuale e universale, non scriveremmo mai. Forse non penseremmo neppure. Nessuno scrive per sé. L’immagine e la rappresentazione, che dovrebbero essere la fedeltà assoluta delle cose rappresentate, sono allora infedeltà altrettanto assoluta, diversità radicale dal rappresentato? Il rappresentato in quanto oggetto è per definizione diversità assoluta dal soggetto; come allora, con quale sintesi si può superare questo iato? In quanto differenza dal soggetto, l’oggetto ne è la negazione, la pura negazione; e questa negazione, in quanto puramente essa stessa, è soggetto essa medesima, cioè è il soggetto che si nega; è l’atto del soggetto, in quanto questo atto è l’atto del negarsi. Quindi noi siamo la rappresentazione, siamo l’atto in cui tutte le cose sono e vivono, cioè l’attualità, in quanto siamo autonegazione. La negatività è l’universalità dell’atto. L’eco è la voce del nulla, la parola del nulla, appunto perché è esattamente la nostra voce e la nostra parola, obiettivata, ripetuta. L’obiettività è la ripetizione del soggetto che non può mai ripetersi? Tutto ciò che pensiamo o scriviamo è nell’atto stesso una metamorfosi. Il nostro pensiero non ha altro oggetto che il proprio nulla. L’arte dello scrivere è l’arte di far dire alle parole tutte le trasmutazioni che esse contengono e sono – tutta la loro attuale diversità, tutta la negazione che esse sono quando si affermano, e tutta l’affermazione che viene espressa dalla negazione. Mediante la loro trasmutazione, che è l’affermarsi dell’attualità di una negazione (cioè dell’attualità dell’atto che si riconosce come negativo), le parole finiscono per creare un organismo, un organismo di parole, cioè la frase: L’organismo della frase e del verbo che trasforma la negatività della parola in un atto. La parola è la diversità dell’atto. Negarsi e attualità, negarsi e trascendenza e diversità, sono sempre, e sempre attualmente congiunti; perciò la parola contiene il seme della frase, del discorso. Forse il nostro nome è soltanto uno pseudonimo; forse anche i nomi delle cose sono pseudonimi. Ma qual è il vero nome? È più probabile che le cose come crediamo di vederle siano soltanto gli pseudonimi di un nome; e noi stessi e il nostro essere siamo pseudonimi; di un nome che forse non conosceremo mai e che appunto per questo ha una realtà suprema. Una realtà unica. Una sintesi invisibile di realtà e verità. Una realtà che la conoscenza (la scienza) non può dissolvere, analizzare. Gli scritti di aforismi o di idee frammentarie, di epigrammi o di formule, sono i modi di esprimere l’assoluto, o qualche assoluto, qualche verità in forma breve. Ma ognuno di questi frammenti vuole essere l’espressione dell’assoluto, e quindi non può essere frammentario. Frammenti e parti che sono relative all’assoluto, senza esserlo, si trovano nelle opere di una certa ampiezza, ampie come la vita. La vita, essendo universale, può essere plurale. Il Mangiaparole rivista n. 1Il Mangiaparole 6 Mario Gabriele Lo scrivere è una forma silenziosa (fonicamente) del parlare; ma è un parlare che ha il singolare privilegio di non essere interrotto, se non dalla propria coscienza; la coscienza è la madre, l’origine del discorso, ma è anche la coscienza che fa al discorso, cioè a se stessa, le continue obiezioni. La coscienza è il maggiore obiettore di coscienza. La coscienza parla per affermarsi o per smentire? La nostra scrittura è geroglifica come la nostra parola, che non coincide con ciò che vuole esprimere, ma soltanto vi allude simbolicamente; allude a qualcosa di originariamente noto od originariamente ignoto. A qualcosa di diverso. La parola stessa è originariamente diversità. La Parola è diversità da se stessa e perciò coincide con la diversità dell’atto, con la diversità originaria che vuole esprimere? Questa coincidenza era l’ideale, lo scopo, la fede dell’età dell’autocoscienza. L’età dell’autocoscienza e la tirannia; vi è sempre un quid al di là dell’espressione, senza questo quid l’espressione non sarebbe una metamorfosi. La metamorfosi vuole esprimere se stessa con la negazione; noi alludiamo alla diversità con la negazione, con la identificazione. Noi siamo la verità; è proprio per questo che ci è impossibile conoscerla. la conosciamo quando diventa altro da noi. La conoscenza, l’espressione, la stessa memoria creano l’anteriorità della verità e della sua attualità. Se la verità è un Eden, noi possiamo conoscerla solo quando ne siamo fuori, quando ne siamo espulsi ed esiliati. L’arte dello scrittore consiste nel creare una complicità nel lettore; e di quale colpa diviene complice il lettore? Non lo si è mai saputo. Esistono innumerevoli sistemi di estetica e di spiegazioni complesse e fallaci di un atto che è la semplicità originaria. Una complicità del lettore con l’autore. Il delitto (e il diletto) perfetto. Soltanto l’inesprimibile è degno di un’espressione. La parola è un irrazionale ed è strano che essa esista in un mondo razionale e quantitativo; nel mondo dell’identità. la razionalità è soltanto nel numero; la Parola è divina, anzi la scrittura ha identificato la Parola (il verbo) e la divinità; per gli antichi il numero aveva significati simbolici, cioè spirituali. Oggi il numero privato di ogni significato è identificato dalla sua «posizione» (nello spazio è o sarà il vero successore della parola – ma troverà in se stesso una nuova irrazionalità?) Il numero è la massima razionalità e insieme la massima irrazionalità come serie infinita; non possiamo vivere senza irrazionalità, appunto perché la vita è essa stessa irrazionalità; il numero può vivere? Noi parliamo, noi scriviamo, senza ricordarci la suprema scadenza del silenzio. L’espressione più perfetta è quella che crea l’inesprimibile. L’aforisma e l’ironia sono una professione di scetticismo nei confronti della poesia. L’aforisma è la definizione, l’analisi, la spiegazione, la risoluzione in termini umani della lirica; l’ironia è la scoperta dei suoi motivi non lirici: uno sguardo dietro le quinte. Come esprimerò io il mio pensiero, la mia vita, la mia esperienza? Questa dovrebbe essere l’interrogazione da ogni uomo posta a se stesso. Vero è però che in genere l’inesprimibile è ciò che per noi ha più valore e importanza; quello verso cui ci sentiamo più attirati; quello per cui sentiamo come un’antica, istintiva e simpatica affinità e parentela. La quantità di parole inutili che uno scrittore inserisce nel suo scritto è inversamente proporzionale all’importanza dello scrittore stesso. Vi sono scritti in cui nessuna, o quasi, parola può essere tolta senza grave danno per l’opera e per noi; altri in cui si possono togliere tutte… (Q. 14, 1932). Il caso della vendita della Palladiana Villa Emo a un magnate straniero. SEMBRA CHIUDERSI UN LUNGO MINUETTO DURANTE IL QUALE LA BANCA DI CREDITO TREVIGIANO HA CONCRETIZZATO L’INTENZIONE (SINO AD ORA MAI UFFICIALMENTE AMMESSA) DI ALIENARE IL BENE. La vendita della Palladiana Villa Emo a Fanzolo di Vedelago è stata ufficializzata. Il consiglio di amministrazione di Banca di Credito Trevigiano, che ne detiene la proprietà (da quando per 15 milioni di euro la acquistò dall’ultimo erede, il conte Leonardo Marco Emo Capodilista) ha messo ai voti il suo destino e ha deciso: accetterà l’offerta di uno sconosciuto magante straniero. IL PERCORSO Sembra chiudersi così un lungo minuetto durante il quale l’istituto di credito ha concretizzato l’intenzione (sino ad ora mai ufficialmente ammessa) di alienare il bene. Il 9 gennaio la prima avvisaglia attraverso un comunicato stampa che parlava di un’offerta d’acquisto misteriosamente pervenuta “da un privato appassionato del Palladio, e desideroso di riportare la Villa (Patrimonio Unesco dal 1996) al suo originario splendore”. Ora la conferma di cedere “il solo edificio storico e non gli adiacenti cespiti occupati dalla banca. L’immobile oggetto della trattativa -specifica l’ultima comunicazione- non rappresenta un asset strumentale all’attività bancaria e il Consiglio di amministrazione (…) ha deciso di dare il via libera alle attività propedeutiche alla due diligence di tipo tecnico per giungere all’eventuale chiusura della transazione entro l’anno 2019. Fatto salvo il diritto di prelazione previsto dal D.lgs. a favore del Ministero dei Beni culturali e delle altre competenti autorità”. Nota, quest’ultima, che, ad onor del vero, suona un po’ come una beffa: se lo stesso ente di credito ad oggi dimostra di non poter investire nel mantenimento del bene (ordinario e straordinario inclusi i restauri di cui gli affreschi dello Zelotti avrebbero urgenza), ancor più lontana appare l’ipotesi che possa farsene carico un ente pubblico. LA STORIA La storia recente del resto lo conferma: dopo il commissariamento (seppur temporaneo) da parte di Bankitalia, la fondazione appositamente creata per la gestione della villa ha dovuto dire addio ai 325 mila euro annui che Credito Trevigiano versava. Insufficienti i proventi derivanti da bigliettazione e affitto degli spazi. Così i bilanci in perdita, primi licenziamenti per il personale della fondazione, le dimissioni, nell’ottobre scorso del presidente Armando Cremasco. Poi, reciproche accuse tra parti, la preoccupazione del sindaco, la petizione “No alla vendita di Villa Emo a Fanzolo di Vedelago” su change.org che raggiunge in pochi giorni quota 975 firme. Tentativo inutile ma che tocca, negli intenti, un nodo fondamentale della vicenda: i firmatari sono soci, clienti della banca e semplici cittadini che riconoscono in Villa Emo il bene più rappresentativo della loro comunità. Un bene acquisito da una banca strettamente legata al territorio e che su di esso ha come stesso suo mandato quello di reinvestire. Una banca della comunità in cui però la comunità, a seguito di questo atto, non si riconosce più. IL CASO DI VILLA EMO Il caso di Villa Emo, generalizzando, appare uno fra molti nell’inarrestabile processo di alienazione del nostro patrimonio storico. Perché agitarsi tanto se, solo per citare i casi territorialmente più prossimi, la magnate cinese Ada Koon Hang Tse ha recentemente acquisito Villa Cornaro a Piombino Dese (Padova) e il veneziano Palazzo Pisani Moretta sul Canal Grande? Perché forse, per fare un po’ d’ordine, ogni singola vicenda necessiterebbe d’un corretto approccio, di una corretta lettura, esercitando invece proprio il diritto a una non generalizzazione in polemiche a catena. Polemiche aventi nel nostro paese sempre le stesse parole-chiave: sostenibilità, valorizzazione, gestione strategica, autosufficienza nonché il terribile reiterato “fare sistema”. Anche il caso di Villa Emo (per la verità per ora confinato alla cronaca locale) si presterebbe quindi benissimo a dibattiti e disquisizioni filologiche in rapporto al paesaggio, alla fruizione futura (sarà ancora accessibile?) agli immancabili paragoni gestionali (esteri) qui in Italia spesso apparentemente inattuabili. Ma servirebbero, ancora una volta, a tener desta per un po’ l’attenzione e nulla più. L’analisi dei fatti dimostra solamente una sola, nuda verità: siamo bravissimi a scatenare il dibattito e a proporre a parole soluzioni possibili ma anche stavolta, conti alla mano, non siamo stati capaci di elaborare un piano di sostenibilità per tenerci stretto qualcosa che appartiene alla nostra storia. Non resta che augurarci che il nuovo proprietario si riveli un illuminato signore in villa. Così potremo risolvere il tutto con la consueta, amara alzata di spalle: “molto rumore per nulla”. Rodenigo Villa Emo is one of the many creations conceived by Italian Renaissance architect Andrea Palladio. It is a patrician villa located in the Veneto region of northern Italy, near the village of Fanzolo di Vedelago, in the Province of Treviso. The patron of this villa was Leonardo Emo and remained in the hands of the Emo family until it was sold in 2004. Since 1996, it has been conserved as part of the World Heritage Site »City of Vicenza and the Palladian Villas of the Veneto«.[1] History Andrea Palladio's architectural fame is considered to have come from the many villas he designed. The building of Villa Emo was the culmination of a long-lasting project of the patrician Emo family of the Republic of Venice to develop its estates at Fanzolo. In 1509, which saw the defeat of Venice in the War of the League of Cambrai, the estate on which the villa was to be built was bought from the Barbarigo family. Leonardo di Giovannia Emo was a well-known Venetian aristocrat. He was born in 1538 and inherited the Fanzolo estate in 1549. This property was dedicated to the agricultural activities that the family prospered from. The Emo family's central interest was at first in the cultivation of their newly acquired land. Not until two generations had passed did Leonardo Emo commission Palladio to build a new villa in Fanzolo. Historians unfortunately do not have firm chronology of dates on the design, construction, or the commencement of the new building: the years 1555 or 1558 is estimated to have been when the building was designed, while the construction was thought to have been undertaken between 1558 and 1561. There is no evidence showing that the villa was built by 1549: however, it has been documented to have been built by 1561. The 1560s saw the interior decoration added and the consecration of the chapel in the west barchesse in 1567. The date of completion is put at 1565; a document which attests to the marriage of Leonardo di Alvise with Cornelia Grimani has lasted from that year.[3] Partial alterations were made to the Villa Emo in 1744 by Francesco Muttoni. Arches within both wings that were close to the central build were sealed off and additional residential areas were created. The ceilings were altered. The villa and its surrounding estate were purchased in 2004 by an institution and further restorations were made. Since 1996, it has been conserved as part of the World Heritage Site »City of Vicenza and the Palladian Villas of the Veneto«. The villa is at the centre of an extensive area that bears centuriation, or land divisions, and extends northward. The landscape of Fanzolo has a continuous history since Roman times and it has been suggested that the layout of the villa reflects the straight lines of the Roman roads.[2] Architecture Marcok The main building (casa dominicale). Villa Emo was a product of Palladio's later period of architecture. It is one of the most accomplished of the Palladian Villas, showing the benefit of 20 years of Palladio's experience in domestic architecture. It has been praised for the simple mathematical relationships expressed in its proportions, both in the elevation and the dimensions of the rooms. Palladio used mathematics to create the ideal villa. These «harmonic proportions» were a formulation of Palladio's design theory. He thought that the beauty of architecture was not in the use of orders and ornamentation, but in architecture devoid of ornamentation, which could still be a delight to the eye if aesthetically pleasing portions were incorporated. In 1570, Palladio published a plan of the villa in his treatise I quattro libri dell'architettura. Unlike some of the other plans he included in this work, the one of Villa Emo corresponds nearly exactly to what was built. His classical architecture has stood the test of time and designers still look to Palladio for inspiration.[1] Renato Vecchiato [CC-BY-SA-3.0] Another view of Villa Emo. The layout of the villa and its estate is strategically placed along the pre-existing Roman grid plan. There is a long rectangular axis that runs across the estate in a north-south direction. The agricultural crop fields and tree groves were laid out and arranged along the long axis, as was the villa itself. The outer appearance of the Villa Emo is marked by a simple treatment of the entire body of the building, whose structure is determined by a geometrical rhythm. The construction consists of brick-work with a plaster finish, visible wooden beams seen in the spaces of the piano nobile, and coffered ceilings like that within the loggia. The central structure is an almost square residential area.[4] The living quarters are raised above ground-level, as are all of Palladio's other villas. Instead of the usual staircase going up to the main front door, the building has a ramp with a gentle slope that is as wide as the pronaos. This reveals the agricultural tradition of this complex. The ramp, an innovation in the Palladian villas, was necessary for transportation to the granaries by wheelbarrows loaded with food products and other goods. The wide ramp leads up to the loggia which takes the form of a column portico crowned by a gable – a temple front which Palladio applied to secular buildings. As in the case with the Villa Badoer, the loggia does not stand out from the core of the building as an entrance hall, but is retracted into it. The emphasis of simplicity extends to the column order of the loggia, for which Palladio chose the extremely plain Tuscan order.[2] Plain windows embellish the piano nobile as well as the attic. The central building of the villa is framed by two symmetrical long, lower colonnaded wings, or barchesses, which originally housed agricultural facilities, like granaries, cellars, and other service areas. This was a working villa like Villa Badoer and a number of the other designs by Palladio. Both wings end with tall dovecotes which are structures that house nesting holes for domesticated pigeons. An arcade on the wings face the garden, consisting of columns that have rectangular blocks for the bases and capitols. The west barchesse also contains a chapel. The barchesses merge with the central residence, forming one architectural unit. This typological format of a villa-farm was invented by Palladio and can be found at Villa Barbaro and Villa Baroer.[1] Andrea Palladio emphasises the usefulness of the lay-out in his treatise. He points out that the grain stores and work areas could be reached under cover, which was particularly important. Also, it was necessary for the Villa Emo's size to correspond to the returns obtained by good management. These returns must in fact have been considerable, for the side-wings of the building are unusually long, a visible symbol of prosperity. The Emo family introduced the cultivation of maize on their estate (and the plant, still new in Europe, is depicted in one of Zelotti's frescoes). In contrast to the traditional cultivation of millet, considerably higher returns could be obtained from the maize.[5] It is not clear if the long walk, made of large square paving-stones, which leads to the front of the house, served a practical purpose. It seems to be a fifteenth-century threshing floor.[6] However, Palladio advised that threshing should not be carried out near a house. Hans A. Rosbach. Frescoes by Giovanni Battista Zelotti, west wall of the hall Frescoes Hans A. Rosbach [CC BY-SA 3.0] Hall West The exterior is simple, bare of any decoration. In contrast, the interior is richly decorated with frescoes by the Veronese painter Giovanni Battista Zelotti, who also worked on Villa Foscari and other Palladian villas. The main series of frescoes in the villa is grouped in an area with scenes featuring Venus, the goddess of love. Zelotti appears to have completed the work on the frescoes by 1566.[1] In the loggia, the frescoes have representations of Callisto, Jupiter, Jupiter in the Guise of Diana, and Calisto transformed into a Bear by June. The Great Room is filled with frescoes that were placed between Corinthian columns that rise from high pedestals. The events in the frescoes concentrate on humanistic ideals and Roman history alluding to marital virtues. Exemplary scenes include Virtue portrayed in a scene from the life of Scipio Africanus. On the left wall is the scene of Sciopio returns the girl betrothed to Allucius and the right wall a scene showing The Killing of Virginia. The sides of these frescoes have false niches that consist of monochrome figures: Jupiter holding a torch, Juno and the Peacock, Neptune with the Dolphin, and Cybele with the Lioness. These figures allude to the four natural elements (fire, air, water, earth). Side panels contain enormous prisoners emerging from the false architectural framework. On the south wall of the great hall toward the vestibule is a false broken pediment that appears above a real entrance arch. A fresco of two female figures, Prudence with the Mirror and Peace with an Olive Branch, can be seen. The North wall at the center of the upper part of the building contains the crest of the Emo Family. It is carved and gilt wood, surrounded by trompe-l'œil cornices and festoons.[1] To the left of the central chamber is the Hall of Hercules. It contains episodes referring mainly to the mythological hero. The intent was to emphasize the victory of virtue and reason over vice. The frescoes are inserted in a framework of false ionic columns. The east wall contains scenes of Hercules embracing Dejanira, Hercules throwing Lica into the sea, and The Fame of Hercules at the center. The west wall is Hercules at the Stake, placed within false arches. On the south wall is a panel above the doorway that depicts a Noli me Tangere («Touch Me Not») scene.[1] To the right of the central chamber is the Hall of Venus. This hall contains episodes that refer to the Goddess of Love. On the west wall within false arches are the scenes of Venus deters Adonis from Hunting and Venus aids the Wounded Adonis. The east wall fresco shows Venus wounded by Love. On the south wall is a panel above the doorway that shows Penitent St. Jerome.[1] The Abstinence of Scipio appears frequently in cycles of frescoes for Venetian villas. For example, the Villa la Porto Colleoni in Thiene and Villa Cordellina in Montecchio Maggiore, built nearly 200 years later, also use this image, fostering ideals which, had in the 15th and 16th centuries, resulted from the renewed discussion of the depravity of town life, in contrast to the tranquility, abundance, and freedom of artistic thought associated with rural existence. Hence, another room in the villa is called the Room of the Arts, featuring frescoes with allegories of individual arts, such as astronomy, poetry or music.[7]Within the many frescoes are depictions of different flowers and fruit, including corn, only recently introduced into the Po Valley. Many of the frescoes are presented within false architecture, like columns, arches and architectural framework.[1] Media Markhole [CC BY-SA 4.0] Perspective view of the front grounds Marcok / it.wikipedia.org [CC BY-SA 3.0] Perspective view of the rear garden. In the 1990s Villa Emo was featured in Guide to Historic Homes: In Search of Palladio,[8]Bob Vila's three-part six-hour production for A&E Network. The movie Ripley's Game used the Villa Emo as a location. The City of Vicenza and The Palladian Villas in the Veneto: A Guide to the UNESCO Site. Italy: The Unesco Office of the Municipality of Vicenza, the Ministry of Cultural Assets and Activities. 2009. pp. 186–191. ^ a b c Wundram (1993), p. 164 ^ Wundram (1993), p. 165 ^ Beltramini, Guido (2009). Palladio. Italy. . ^ Wundram. Palladio Centre ArchivedJune 10, 2008, at the Wayback Machine (in English and Italian)Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio, accessed September 2008 ^ Wundram (1993), p. 173 ^ BobVila.com. »Bob Vila's Guide to Historic Homes: In Search of Palladio«. ^ »Ripley's Game News« ArchivedJune 9, 2008, at the Wayback Machine Retrieved on 2008 05 31 Sources The City of Vicena and The Palladian Villas in the Veneto: A Guide to the Unesco Site. Italy: The Unesco Office of the Municipality of the City of Vicenza. 2009. pp. 186–191. Wassell, Stephen R. »Andrea Palladio (1508-1580)«. Nexus Network Journal: 213–222. Beltramini, Guido, Palladio. Italy; Boucher, Bruce (1998) [1994]. Andrea Palladio: The Architect in his Time (revised ed.). New York: Abbeville Press. Rybczynski, Witold; The Perfect House: A Journey with Renaissance Master Andrea Palladio. New York: Scribner. Wundram, Andrea Palladio, Architect between the Renaissance and Baroque, Cologne, Taschen. Andrea Emo Capodilista. Emo Capodilista. Keywords: in principio era la conversazione, filosofia fascista, I taccuini del barone Capodilista, il taccuino del barone Capodilista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Capodilista” – The Swimming-Pool Library. Capodilista.
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