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Tuesday, December 17, 2024

Grice e Semerari

 Per la illuminata iniziativa del Prof. Antonio Corsano e con  il consenso della Signora Irene Carabellese, appassionata e vigile  custode dell’opera di uno dei più forti pensatori italiani del no-  stro secolo, l’Istituto di Filosofia della Università di Bari ha pro-  mosso e realizzato, con questo volume, la pubblicazione dei corsi  organicamente tenuti da Pantaleo Carabellese su La filosofia dell’esi-  stenza in Kant, negli anni accademici 1940-41, 1941-42, 1942-43,  presso la Università di Roma e mai editi finora.   Nel piano delle ‘Opere Complete’ del Carabellese, annun-  ciato il 1948 ma non più portato a compimento (uscirono soltanto  i volumi Da Cartesio a Rosmini e Critica del concreto), era pre-  visto, coi numeri 16-18, un « Kant (in parte inedito) ». Tale pub-  blicazione avrebbe dovuto comprendere unitariamente e il volume  del 1927, La filosofia di Kant. L’idea teologica — frutto, con l’altro  libro del 1929, Il problema della filosofia da Kant a Fichte, delle  lezioni degli anni 1922-1925 alla Università di Palermo — e i  corsi romani del 1940-1943,   La presente edizione è stata condotta su un testo conservato  nella Biblioteca privata del Carabellese.e costituito da fogli dat-  tiloscritti relativi ai paragrafi 1-7 e 38-104 dell’opera e da un grup-  po di bozze di stampa corrispondenti ai paragrafi 8-37. Nel testo  sono riprodotte fedelmente le dispense autorizzate dei corsi svolti  dal Carabellese, negli anni 1940-1943, quale Ordinario di Storia  della Filosofia (Professore di Filosofia Teoretica a Palermo dal ’22  al ’25, il Carabellese ebbe la Cattedra di Storia della Filosofia a  Roma dal ’26 al ’43 e passò alla Cattedra di Teoretica il ’44,  quando subentrò al Gentile, occupandola sino alla morte avvenuta  il 1948).   L’Autore non poté riesaminare, ai fini di una regolare pubbli-  cazione, il testo. Sono pertanto restate, qua e là, delle ripetizioni    Vv    inevitabili, del resto, in un corso universitario che si è sviluppato,  sul medesimo tema, per più anni di seguito. Anche lo stile della  esposizione, talora un po’ trascurato, riflette la immediatezza e  quasi estemporaneità di un discorso al quale è mancato l’ultimo  ritocco letterario.   L’approntamento del volume per la stampa è stato curato dalla  Dr. Valeria Novielli, che ha sottoposto il testo a un’attenta e pa-  ziente revisione, rendendone più precisa la punteggiatura, emen-  dandolo, nelle parti dattiloscritte, di numerose sviste formali, con-  trollando e rettificando tutte le citazioni. Con la Dr. Novielli è  doveroso ricordare i giovani, che con lei hanno diviso la non lieve  fatica della correzione delle bozze: Teresa Angelillo, Teresa Mas-  sari, Cosimo Tinelli e Anna Verzillo.    *o d*o*    Nel presentare al pubblico questa grossa e ardua opera kan-  tiana del Carabellese, mi corre l'obbligo di accennare brevemente  al suo significato nel quadro del pensiero teoretico e metodologico-  storiografico dell'Autore, sì che quanti vorranno studiarla o con-  sultarla possano partire, nella lettura, col piede giusto.   Sulla formazione della filosofia personale del Carabellese l’in-  segnamento di Kant ebbe influenza decisiva. Carabellese considerò  sempre la sua ‘critica del concreto’ o * ontologismo critico’ il ri-  sultato di un ripensamento profondo e ostinato della dottrina  kantiana. Nella Prefazione alla seconda edizione della Critica del  concreto, che è del 1939, Carabellese dichiarava esplicitamente  che Kant gli « fu d’aiuto » a scoprire la ‘critica del concreto’ e  aggiungeva: « questa mi fu poi d’aiuto a riscoprire Kant »!. Le  suggestioni ricevute da Kant per la scoperta e la strutturazione  della ‘critica del concreto” così come il ritorno a Kant attraverso  tale critica precisano il carattere di lettura teoretica, che rivelano  gli scritti kantiani di Carabellese.   Convinto che il Kant della corrente tradizione storiografica, il  Kant cioè raffigurato quale punto di convergenza e di fusione di  razionalismo ed empirismo, fosse una falsificazione dell’autentico  Kant e che, al contrario, la verità di Kant fosse l’affermazione  della inesauribilità dell’ ‘essere’ o ‘cosa in sé’ rispetto alla na-       1 CARABELLESE, Critica del concreto, Firenze, 1948, Sansoni, p. XIX.    tura, Carabellese ricostruiva Kant assumendo a criterio d’interpre-  tazione l’esigenze proprie della ‘critica del concreto’: l’essere in  sé (Dio, Oggetto, Idea) e l’essere in altro (Io, Soggetto, Esistenza).  Il volume del 1927 era dedicato appunto alla ‘idea teologica’ ed  era concentrato nell’analisi del processo onde Kant, pur nei limiti  dogmatici e realistici del suo criticismo, aveva posto la idea quale  oggettività e ragione e, quindi, la schietta idealità della ragione.   Per intendere correttamente la relazione dell’opera del ’27  con La filosofia dell’esistenza in Kant, è utile ascoltarne un passo:  « Per ora constatiamo che Kant ha finalmente scoperto la natura  dell’oggettività nella sua distinzione dalla esistenza. L’oggettività  è risultata la necessità e universalità di coscienza: ciò che nei sin-  goli pensanti c’è di identico (...). L’oggettività dunque è univer-  sale astratto nella coscienza. Ecco la grande scoperta che Kant ha  fatto, ma non ha visto. È l'America, che egli crede India (...). E  con la scoperta dell’oggettività, Kant ha scoperto anche l’esistenza  nella sua distinzione dalla oggettività. Infatti, l’oggettività, l’essere  identico della coscienza è astratto, perché ci sono le singolari qua-  lificazioni della coscienza nelle quali... ci è dato tutto ciò che di  esistenziale può mai risultare » 2. Non diversamente da Colombo  che, credendo di aver trovato una nuova via per raggiungere un  continente già noto, in realtà aveva scoperto un continente prima  sconosciuto, anche Kant — pensava Carabellese —, incammina-  tosi nella ricerca critica intorno alla conoscenza, era approdato, sen-  za rendersene adeguatamente conto, alla individuazione della di-  mensione oggettiva o ideale della coscienza e alla sua distinzione  dall’altra dimensione, che è la esistenza, la soggettività. Questa  1‘ America’ scoperta ma non riconosciuta da Kant, che, « al di là  di questa oggettività ed esistenza che ci risultano e che costitui-  scono la coscienza », si intestardiva « ad ammettere ancora una esi-  stenza. che concretizza l’oggettività fuori della coscienza » 5.   A giudizio di Carabellese, Kant, impegnato a risolvere il pro-  blema capitale della filosofia moderna, quello gnoseologico, aveva,  di fatto, impostato vin nuovo problema, il problema della coscienza  nella concretezza della sua struttura e delle sue esigenze trascen-  dentali: universalità e singolarità, oggettività e soggettività, idea ed    2 CARABELLESE, La filosofa di Kant. L'idea teologica, Firenze, 1927,  Vallecchi, pp. 166-167.  3 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., pp. 167-168.    VII    ì    esistenza, Dio e Io, ecc. Il ‘ vero’ Kant era ritrovato da Carabel-  lese nella ‘Dialettica Trascendentale’ della Critica della ragion  pura, dove etano stati definiti i grandi temi metafisici di Dio (idea  teologica) e della esistenza (idea cosmologica, idea psicologica). La  improponibilità di quei temi in termini conoscitivo-positivi, il loro  eccedere dai limiti della ‘ Estetica’ e dell’‘ Analitica’, che costi-  tuivano formalmente il campo del ‘conoscibile’ e dello ‘scienti-  fico’, davano a Carabellese la conferma che, con Kant, era acca-  duto qualcosa di nuovo e di rivoluzionario. nella storia della filo-  sofia moderna, il passaggio di fatto, implicante un rovesciamento  prospettico, dalla filosofia del conoscere alla filosofia della coscienza  e del concreto, passaggio solo di fatto e non ancora di diritto, ché  Kant continuava a restare impigliato nella logica della filosofia del  conoscere, confondendo oggettività ed esistenza, di cui pur aveva  sentito la distinzione a livello di coscienza comune e di sapere  concreto. La filosofia di Kant « perciò s’incentra nei tre problemi  della Dialettica », scriveva Carabellese nella Prefazione all'opera del  ’27, «(...) Di questi tre problemi adunque noi faremo centro per  esporre criticamente il pensiero filosofico di Kant nella sua inte-  grità, prendendo ciascun problema dal momento in cui esso si for-  mula nella mente kantiana fino a quello in cui dal problema, riso-  luto o no, questa si libera » ‘.    L’avvertimento di quella che, per lui, era stata la più ori-  ginale scoperta kantiana e, insieme, dell’imzpasse logico in cui era  stata bloccata dalle contraddizioni della filosofia ‘storica’ di Kant  metteva nelle mani di Carabellese il filo rosso del suo incontrarsi  e scontrarsi con Kant e fissava i termini e il metodo del suo di-  scorso critico, che si veniva organizzando nei modi di una lettura,  come oggi si direbbe, ‘sintomale’, di Kant, orientata a valoriz-  zare, contro il Kant letterale, la sua scoperta critica liberandone il  contenuto dall’involucro formale e linguistico della tradizione pre-  criticistica, che ne distorceva il senso e ne strozzava lo sviluppo.  « Prescindere da Kant oggi, in filosofia, è fare opera nulla. Ora  per una determinazione di problemi che non prescinda da Kant,  io credo che bisogna rifarsi dallo stesso Kant senza trascurare quelle    4 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., p. XVI.    VII    che sono le conquiste dal kantismo, e non dallo stesso Kant, già  fatte. Rifarsi quindi da Kant combattendolo nei suoi residui dog-  matici. Ma per combatterlo appunto bisogna intenderlo nella sua  profondità, e per intenderlo bisogna avere una concezione della  realtà da contrapporgli (concezione sia pure nata da Kant; che anzi  deve esser nata da Kant), bisogna avere un pensiero con cui in-  dagarlo. Solo così si può fare la storia, sia essa della filosofia che  di una qualunque determinata attività concreta dello spirito » 9.   In tal modo, Carabellese progettava la sua lettura di Kant  come controllo di una più vasta e generale interpretazione del  rapporto tra la filosofia e la sua storia. La filosofia, voleva dire  Carabellese, non nasce se non sul terreno dei problemi maturati  storicamente (impossibilità di filosofare oggi prescindendo da Kant  e dalla storia del kantismo). La filosofia, nondimeno, non eredita  passivamente dalla propria storia (necessità di combattere Kant nel  suo superstite dogmatismo). Anzi gli stessi problemi proposti dalla  storia non possono essere compresi fino in fondo, nella loro ve-  rità, se non si sia in grado di fare uso di un punto di vista di-  verso, andando al di là del giudizio strettamente storico con un  giudizio teoretico (Kant non può essere combattuto, cioè prose-  guito e superato, se non venga prima inteso, e non può essere  inteso, se non si sia in grado di opporgli un differente pensiero).  Insomma, se la filosofia dipende dalla sua storia, questa, dalla sua  parte, è anche condizionata e anticipata dalle opzioni teoretiche  della filosofia.   Il proposito di far emergere dall’interno della dottrina kan-  tiana ciò che appariva essere il suo contributo più originale e  importante, dando, per questa via, espressione a quanto Kant  aveva lasciato inespresso, rendeva la indagine storiografica di Ca-  rabellese altamente drammatica e rischiosa, provocava il mutuo coin-  volgimento dello storico .e del suo autore, al punto che il dovere  di capire l’autore finiva col coincidere col diritto di correggere,  reimpostare o risolvere i problemi da lui lasciati aperti, e solleci-  tava al salto al di là dei limiti della filologia, quando ciò sembrava  necessario alla risolutiva espressione dell’inespresso. Lo stesso Ca-  rabellese era ben consapevole di ciò e non fu certo un caso che,  introducendo il volume del ’29, difendesse il suo scrupolo filolo-  gico: « M’auguro che l’amore della tesi non abbia mai forzato l’in-    5 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., p. XI.    IX    dagine storica ad una interpretazione che non sia quella voluta  dalla intima coerenza logica dei pensatori studiati. Certo ho messo  in ciò la massima cura. E perciò mi son sempre rifatto diretta-  mente alla lettera stessa dei loro scritti, perché i concetti risultas-  sero sempre nella loro maggiore possibile determinatezza (...)»®.  In definitiva, ciò che principalmente importa a una ricerca quale  Carabellese proponeva e perseguiva non è tanto la relazione, che  Kant ebbe con le sue fonti e coi suoi contemporanei, quanto la  relazione che può instaurarsi tra Kant e i suoi successori e, soprat-  tutto, tra lui e noi nell’orizzonte della odierna problematica filo-  sofica.   Era questo il senso della contrapposizione a un Kant morto,  congelato nel linguaggio delle sue opere, di un Kant vivo che, di-  ceva Carabellese, « io voglio rivivere e far rivivere, e col quale  quindi io ho bisogno di discutere scendendo nelle profondità del  suo pensiero e analizzando questo sia nei suoi germi nascosti, per  i quali egli rivive in noi che con lui discutiamo, sia nelle grosso-  lanità esplicite dalle quali egli non seppe e non poteva liberare  la sua costruzione, e di fronte alle quali quindi egli deve rinne-  gare se stesso e darci ragione » ”.   A questo punto può essere interessante ricordare come un’ana-  loga impostazione alla comprensione di Kant dava, due anni dopo  la uscita del libro carabellesiano del ’27, ma in totale indipen-  denza da Carabellese, Martino Heidegger con Kant e il problema  della metafisica. Non è questa la sede per istruire il confronto tra  il Kant di Carabellese e il Kant di Heidegger e illustrarne le  differenze pur nella comune ispirazione ‘ metafisica ’ dei due ap-  procci®. Vale, piuttosto, la pena di sottolineare la identità, nel  metodo, delle due letture, che risalta oggettivamente alla luce della  seguente dichiarazione di Heidegger: « Un’ ‘interpretazione ’, la  quale si limiti a ripetere ciò che Kant ha detto testualmente è  destinata in partenza a fallire il suo scopo, almeno finché il com-  pito di una vera interpretazione resti quello di rendere visibile  proprio ciò che nella fondazione kantiana traspare al di là delle    ____—    6 CARABELLESE, Il problema della filosofia da Kant a Fichte, Palermo,  1929, Trimarchi, p. VII.   7 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., pp. XI-XII.   8 Lo stesso Carabellese volle precisare tali differenze in una lunga  nota della Prefazione alla Il edizione della Critica del concreto: cfr. Cri-  tica del concreto, cit., p. XIX e segg.    Xx    formule. È vero che Kant non è giunto a pronunciarsi direttamente  in proposito, ma è anche vero che in ogni conoscenza filosofica il  fattore determinante non è il senso letterale delle proposizioni, bensì  l’inespresso immediatamente suggerito dalle enunciazioni esplicite.  Così, l’intento esplicito di questa ‘interpretazione’ della Critica  della ragion pura era di rendere visibile il contenuto decisivo del-  l’opera, tentando di porre in evidenza ciò che Kant ‘ha voluto  dire’. Nel seguire questo procedimento, la nostra interpretazione  fa propria una massima che lo stesso Kant voleva veder applicata  alla ‘interpretazione’ di opere filosofiche (...). Naturalmente, per  strappare a quel che le parole dicono, quello che vogliono dire,  ogni ‘ interpretazione’ deve necessariamente usar loro violenza. Ma  tale violenza non può esercitarsi a caso, per mero arbitrio. L’in-  terpretazione dev'essere mossa e guidata dalla forza di un'idea il-  luminante e anticipatrice. Soltanto in virtù di una tale idea, una  ‘ interpretazione’ può osare l'impresa, ognora temeraria, di affidarsi  al segreto impulso che agisce nell'intimo di un’opera, per essere  aiutata a penetrare l’inespresso e forzata ad esprimerlo. È questa  una via, per la quale la stessa idea direttrice giunge a rivelarsi  pienamente, manifestando il proprio potere di chiarificazione » °.  Chi abbia presenti i passi dianzi riferiti di Carabellese, ove si  parla di discesa nelle « profondità » del pensiero kantiano, di  « germi nascosti », a cui fanno velo « grossolanità esplicite », della  « concezione della realtà » da contrapporre a Kant per capirlo e  della necessità « di avere un pensiero con cui indagarlo », può ren-  dersi conto di come Carabellese e Heidegger concepissero, entram-  bi, il lavoro storiografico, in filosofia, fondamentalmente come in-  terpretazione, interpretazione da tentare come sforzo di esplicita-  zione del senso profondo e intenzionale, restato nascosto, delle pa-  role espressamente dette. Di tale sforzo, la cui realizzazione può  anche comandare l’esercizio della violenza sulla filologia, il pre-    L    9 HEIDEGGER, Kant e il problema della metafisica, tr. it, Milano, 1962,  Silva, pp. 264-265. Nella Prefazione alla II edizione dell'opera, che è del  1950, così scriveva Heidegger: «C'è sempre chi si sente urtato dalle for-  zature che riscontra nelle mie interpretazioni. Questo scritto potrà offrire  buoni argomenti per un'accusa in tal senso. Coloro che dedicano le loro  ricerche alla storia della filosofia hanno sempre il diritto di muovere que-  st'accusa a chi tenta di aprire un dialogo fra pensatori. Un dialogo di  pensiero obbedisce a leggi differenti, rispetto ai metodi della filologia sto-  rica, legata a un suo compito preciso. Più grave è, nel dialogo, il rischio  di fallire, più frequenti sono le mancanze», op. cit, p. 5.    XI    supposto è un'anticipazione teoretica (non casuale, non arbitraria  secondo Heidegger, necessariamente derivata dal filosofo stesso del  quale si fa la storia, secondo Carabellese), capace di trasformare in  parole chiare e determinate la ‘intenzione’ del filosofo oscurata e  contraddetta dal suo stesso discorso storicamente esplicito.    * o»    Secondo Carabellese, il compito della filosofia dopo Kant, nella  misura in cui Kant veniva riconosciuto come ponte di passaggio  obbligato nella storia del pensiero moderno, era di andare avanti  sulla strada di una ‘metafisica critica’, che Kant aveva appunto  dischiuso ma non percorso. Sin dalla edizione, che curò nell’anno  1923, degli Scritti minori di Kant, il Carabellese aveva ferma-  mente battuto sul fatto che, a suo parere, il criticismo kantiano  non rappresenta la liquidazione della metafisica, bensì la esigenza  e anche il modello, in qualche maniera delineato, di una sua nuova,  ‘ critica ’, reimpostazione. « Nello sforzo tenace e fortunato che Kant  ha fatto per rendersi conto esatto della possibilità della filosofia  come metafisica, cioè come scienza, che ha oggetti non dati dalla  esperienza, si possono distinguere due aspetti: quello per cui lo  sforzo tende, diciamo così, ad individuare con la maggiore pos-  sibile esattezza questi oggetti nella loro essenza, e l’altro, che è  come il riflesso di quel primo, per cui lo sforzo torna continua-  mente a misurare se stesso » 1°, L’errore di Kant, il suo limite sto-  rico, a giudizio di Carabellese, era consistito nell’aver dimenticato  che la Critica, nel suo stesso programma, era destinata a fungere  solo da propedeutica (‘prolegomeni ’) a ogni futura metafisica e  non poteva, perché non doveva, elevare se stessa a filosofia. L’er-  rore del pensiero postkantiano era stato quello di non accorgersi  dell'errore kantiano e di aver assunto come ovvietà non più di-  scutibile né problematizzabile la presunta negazione kantiana della  metafisica. Metafisica positivistica, criticismo metafisico idealistico,  storicismo, attualismo, esistenzialismo, ecc. — tale era la convin-  zione di Carabellese — erano tutti prodotti diversi di un mede-  simo perseverare nell’errore di Kant: la confusione del problema  dell’oggetto della filosofia (il problema cosiddetto ‘esterno *) col    10 KANT, Scritti minori, a cura di P. Carabellese, muova ed., Scritti  precritici, Bari, 1953, Laterza, p. V.    XII    problema del rapporto della filosofia con se stessa (il problema  cosiddetto ‘interno ’). Esauritosi nel mero esercizio della Critica,  finita col diventare fine a se stessa, Kant fu costretto a occuparsi  unicamente del problema ‘interno’ della filosofia e non vide come  la sua soluzione sarebbe stata impossibile fino a quando non si  fosse affrontato e formulato correttamente, secondo le indicazioni  della Critica, il problema ‘esterno’. « Il problema che Kant im-  postò riguardo alla filosofia », scriveva il Carabellese il 1929, «e  che è sostanzialmente il problema di tutta la Critica, non fu quello  della essenza, ma soltanto quello della possibilità di essa. L'essenza  della filosofia come scienza era presupposta e dogmaticamente ac-  cettata. Perciò il criticismo kantiano non è la piena posizione di  quello che abbiamo detto il problema interno della filosofia; ne  è invece la posizione consentita da un preconcetto essere intel-  lettualistico » !.   In altre parole, Kant, nonostante la Critica, non seppe rinun-  ciare al pregiudizio pre- e anti-criticistico di un essere sussistente  al di fuori della coscienza e del soggetto e all’uno e all’altra con-  trapposto e continuò a pensare la filosofia come uno dei modi,  certamente il più fallimentare, di raggiungere conoscitivamente que-  sto essere. « Come Cartesio aprì quello delle origini, Kant ha  aperto soltanto il problema della possibilità della conoscenza. E  tutti gli indirizzi post-kantiani, che di Kant veramente tengano con-  to, cercano di rispondere a questa domanda, ma solo a questa. E  a me paiono ora esauriti i tentativi per darle una risposta. È ora  di cambiar aria, di correre verso una nuova dimensione dello spa-  zio speculativo. A furia di dimostrare la possibilità della conoscenza,  abbiamo finito forse col dimenticare, o meglio possiamo cominciare  a vedere che cosa è questa conoscenza di cui vogliamo dimostrare  la possibilità » 1. La ragione principale della filosofia di Kant, alla  luce della interpretazione carabellesiana, stava proprio in quel bi-  sogno di « cambiare aria », di conquistare « una nuova dimensione  dello spazio speculativo ». Il che, per Carabellese, significava che  Kant aveva toccato il limite estremo dello gnoseologismo moderno,  da un lato circoscrivendo, una volta per tutte, l’area del conosci-  bile, di ciò che può essere ‘scienza’, e dall’altro provando che  filosofare non è conoscere.    li CARABELLESE, Il problema della filosofia, cit., p. 11.  12 CARABELLESE, Il problema della filosofia, cit., pp. 15-16.    XIII    Che cosa la filosofia potesse mai diventare, dopo essere stata  affrancata da compiti di conoscenza — questo, secondo Carabellese,  era il problema posto da Kant, che Kant non ebbe la forza di ri-  solvere, in quanto lasciò che i potenti strumenti della Critica re-  stassero inceppati dallo stesso pregiudizio realistico messo in crisi  appunto dalla Critica. Il pregiudizio restò ancora abbastanza saldo  per la svista di Kant, che non si accorse — abbiamo già detto —  della grande scoperta ‘critica’ e ‘metafisica’, da lui fatta, del-  l'oggetto quale universalità e necessità della coscienza e non più  suo ‘al di là”. Proclamandola impossibile come scienza, Kant mo-  strava di considerare la metafisica pur sempre come ‘scienza’. Per  lui, gli ‘oggetti’ della metafisica (Dio, anima, mondo) continua-  rono a valere come l’‘al di là’ della coscienza, conoscitivamente  inattingibile. Eppure il senso della Critica spingeva a inglobare que-  gli oggetti nella coscienza, a ‘ immanentizzarli’ non quali ‘ conte-  nuti” bensì quali ‘essere’ della coscienza, come la stessa coscienza  nella sua originaria e necessaria struttura !8, infine come l’apriori  ‘ metafisico * di ogni determinato e concreto sapere, essere e fare.  Dopo Kant, quindi, anzi attraverso Kant, fare metafisica, fare cioè  filosofia e non soltanto propedeutica alla filosofia doveva voler dire,  per Carabellese, null’altro che riflettere (riflettere, non conoscere),  sempre più a fondo, sulla coscienza comune, sulla struttura del con-  creto essere/fare naturale e storico dell’uomo. Nello spirito, an-  che se contro la lettera della Critica e contro la dominante ten-  denza del pensiero postkantiano, Carabellese pensava tale struttura  immanente e trascendente allo stesso tempo: immanente, perché  intrinseca al concreto, trascendente, perché non esaurita né esau-  ribile in alcuna determinazione del concreto (la inesauribilità della  kantiana ‘cosa in sé’ rispetto al fenomeno o natura).   « Per rivalutare a pieno il kantismo bisogna guardare anche       13 «.. coscienza è il sapere insieme, noi molti soggetti, un oggetto,  nella unicità del quale conveniamo » (CARABELLESE, La coscienza, nel vol.  collettivo Filosofi italiani contemporanei, Milano, 1946, Marzorati, p. 210).  Oggetto umico e noi molti soggetti insieme costituiscono, per Carabellese,  la struttura o essere della coscienza. Fusi e, tuttavia, distinti nella sinte-  ticità originaria della coscienza, della coscienza l'oggezto è principio 0  fondamento e noi molti siamo i termini esistenziali. Tutto ciò Carabellese  ricavava dalla Critica, ora direttamente ora mediandola storicamente, ma  sempre sostituendo all’abituale lettura di Kant in chiave gnoseologistica  la interpretazione ‘metafisica’ ossia, nel linguaggio di Carabellese, ‘ onto-  coscienzialistica '.    XIV    questi oggetti della ragione pura, non per tornare a ripetere la  metafisica kantiana di noumeni sconosciuti e inconoscibili e pur  validi come regolativi, ma per guardarli nel nuovo concetto di co-  scienza maturatosi da Kant, e rivalutare così di nuovo il presup-  posto trascendentale della esperienza » 14. Del nuovo concetto di  coscienza, in cui venivano trasposti e semanticamente rigenerati i  vecchi oggetti metafisici della ragione, La filosofa di Kant. L'idea  teologica e La filosofia dell’esistenza in Kant furono la riflessione,  tematizzandone l’una l’aspetto oggettivo (Dio, Idea) e l’altra l’a-  spetto soggettivo (Io, Esistenza). Le due opere furono i due tempi  di una medesima ricerca, i due momenti di una medesima analisi  e anche le due direzioni diverse di una stessa polemica. Infatti,  ambedue — come, del resto, tutti gli scritti teorici e storici di  Carabellese — rappresentavano altrettante prese di posizione nei  riguardi di quelle che Carabellese — lo abbiamo già detto — pen-  sava essere le conseguenze della mai denunciata svista di Kant e,  più in generale, le manifestazioni estreme, nel pensiero contempo-  raneo, del non ancora debellato realismo dogmatico. In partico-  lare, il libro del ’27, attribuendo a Kant, tradizionalmente fatto pas-  sare per il progenitore dell’idealismo moderno soggettivistico, la sco-  perta della oggettività di coscienza, serviva a Carabellese anche come  arma di lotta contro l’attualismo gentiliano — allora al culmine del  suo successo storico —, che di quell’idealismo si protestava l’esito  più coerente e rigoroso e che fu appunto il bersaglio permanente della  polemica filosofica di Carabellese. Analogamente, La filosofia del-  l’esistenza in Kant, con il discutere la confusione kantiana di esi-  stenza e oggettività realisticamente intesa, consentiva a Carabel-  lese di contrastare l’esistenzialismo, che in quegli anni si andava  diffondendo anche in Italia, e di condannare in esso la sopravvi-  venza del preconcetto realistico e dogmatico « che il singolare sia  fuori dell’essere, e che l’essere sia al di là della singolarità » !9 e,  soprattutto, l’errore teoretico di presupporre la esistenza senza chie-  dersi che cosa mai essa sia, a quale esigenza strutturale del nostro  essere/fare concreto essa risponda !°.   Esula dal compito assai limitato e modesto di questa introdu-  zione l’esame critico della ricostruzione carabellesiana della filo-    14 KANT, Scritti minori, cit, p. VI.  15 CARABELLESE, L'esistenzialismo in Italia, in « Primato » 1943, p. 65.  16 V. segnatamente i paragrafi 3, 13, 43’ e 84 di questa opera.    XV    sofia di Kant. Tale esame, ove fosse tentato, implicherebbe l’aper-  tura della discussione sulla generale metodologia storiografica del  Carabellese e, quindi, sulla sua posizione teoretica, che di quella  metodologia è motivazione, supporto e guida. A me premeva solo  di dare al lettore alcune indicazioni elementari e, a mio avviso, es-  senziali per un suo primo orientamento sull’impegno programmatico  e sul carattere di questa opera, indubbiamente originalissima e ri-  gorosa, in una epoca che, forse, non è la più favorevolmente di-  sposta a comprendere un lavoro storico condotto con la tecnica  usata da Carabellese e ad accettare un discorso teoretico redatto  nel linguaggio che era proprio di Carabellese. Il lettore vaglierà e  giudicherà per suo conto. Quali che siano, però, le conclusioni di  ciascuno di noi, possiamo essere tutti sicuri che la intera ricerca  di Carabellese, nella quale, in primo piano, si pone la sua lunga  meditazione kantiana, è, per tutti noi, uno stimolo potente a li-  berarci dai consunti schemi storiografici e a tirarci fuori dai luoghi  comuni in cui la nostra intelligenza filosofica può essersi impigrita.    GIUSEPPE SEMERARI    Bari, 12 novembre 1969. 

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