Per la illuminata iniziativa del Prof. Antonio Corsano e con il consenso della Signora Irene Carabellese, appassionata e vigile custode dell’opera di uno dei più forti pensatori italiani del no- stro secolo, l’Istituto di Filosofia della Università di Bari ha pro- mosso e realizzato, con questo volume, la pubblicazione dei corsi organicamente tenuti da Pantaleo Carabellese su La filosofia dell’esi- stenza in Kant, negli anni accademici 1940-41, 1941-42, 1942-43, presso la Università di Roma e mai editi finora. Nel piano delle ‘Opere Complete’ del Carabellese, annun- ciato il 1948 ma non più portato a compimento (uscirono soltanto i volumi Da Cartesio a Rosmini e Critica del concreto), era pre- visto, coi numeri 16-18, un « Kant (in parte inedito) ». Tale pub- blicazione avrebbe dovuto comprendere unitariamente e il volume del 1927, La filosofia di Kant. L’idea teologica — frutto, con l’altro libro del 1929, Il problema della filosofia da Kant a Fichte, delle lezioni degli anni 1922-1925 alla Università di Palermo — e i corsi romani del 1940-1943, La presente edizione è stata condotta su un testo conservato nella Biblioteca privata del Carabellese.e costituito da fogli dat- tiloscritti relativi ai paragrafi 1-7 e 38-104 dell’opera e da un grup- po di bozze di stampa corrispondenti ai paragrafi 8-37. Nel testo sono riprodotte fedelmente le dispense autorizzate dei corsi svolti dal Carabellese, negli anni 1940-1943, quale Ordinario di Storia della Filosofia (Professore di Filosofia Teoretica a Palermo dal ’22 al ’25, il Carabellese ebbe la Cattedra di Storia della Filosofia a Roma dal ’26 al ’43 e passò alla Cattedra di Teoretica il ’44, quando subentrò al Gentile, occupandola sino alla morte avvenuta il 1948). L’Autore non poté riesaminare, ai fini di una regolare pubbli- cazione, il testo. Sono pertanto restate, qua e là, delle ripetizioni Vv inevitabili, del resto, in un corso universitario che si è sviluppato, sul medesimo tema, per più anni di seguito. Anche lo stile della esposizione, talora un po’ trascurato, riflette la immediatezza e quasi estemporaneità di un discorso al quale è mancato l’ultimo ritocco letterario. L’approntamento del volume per la stampa è stato curato dalla Dr. Valeria Novielli, che ha sottoposto il testo a un’attenta e pa- ziente revisione, rendendone più precisa la punteggiatura, emen- dandolo, nelle parti dattiloscritte, di numerose sviste formali, con- trollando e rettificando tutte le citazioni. Con la Dr. Novielli è doveroso ricordare i giovani, che con lei hanno diviso la non lieve fatica della correzione delle bozze: Teresa Angelillo, Teresa Mas- sari, Cosimo Tinelli e Anna Verzillo. *o d*o* Nel presentare al pubblico questa grossa e ardua opera kan- tiana del Carabellese, mi corre l'obbligo di accennare brevemente al suo significato nel quadro del pensiero teoretico e metodologico- storiografico dell'Autore, sì che quanti vorranno studiarla o con- sultarla possano partire, nella lettura, col piede giusto. Sulla formazione della filosofia personale del Carabellese l’in- segnamento di Kant ebbe influenza decisiva. Carabellese considerò sempre la sua ‘critica del concreto’ o * ontologismo critico’ il ri- sultato di un ripensamento profondo e ostinato della dottrina kantiana. Nella Prefazione alla seconda edizione della Critica del concreto, che è del 1939, Carabellese dichiarava esplicitamente che Kant gli « fu d’aiuto » a scoprire la ‘critica del concreto’ e aggiungeva: « questa mi fu poi d’aiuto a riscoprire Kant »!. Le suggestioni ricevute da Kant per la scoperta e la strutturazione della ‘critica del concreto” così come il ritorno a Kant attraverso tale critica precisano il carattere di lettura teoretica, che rivelano gli scritti kantiani di Carabellese. Convinto che il Kant della corrente tradizione storiografica, il Kant cioè raffigurato quale punto di convergenza e di fusione di razionalismo ed empirismo, fosse una falsificazione dell’autentico Kant e che, al contrario, la verità di Kant fosse l’affermazione della inesauribilità dell’ ‘essere’ o ‘cosa in sé’ rispetto alla na- 1 CARABELLESE, Critica del concreto, Firenze, 1948, Sansoni, p. XIX. tura, Carabellese ricostruiva Kant assumendo a criterio d’interpre- tazione l’esigenze proprie della ‘critica del concreto’: l’essere in sé (Dio, Oggetto, Idea) e l’essere in altro (Io, Soggetto, Esistenza). Il volume del 1927 era dedicato appunto alla ‘idea teologica’ ed era concentrato nell’analisi del processo onde Kant, pur nei limiti dogmatici e realistici del suo criticismo, aveva posto la idea quale oggettività e ragione e, quindi, la schietta idealità della ragione. Per intendere correttamente la relazione dell’opera del ’27 con La filosofia dell’esistenza in Kant, è utile ascoltarne un passo: « Per ora constatiamo che Kant ha finalmente scoperto la natura dell’oggettività nella sua distinzione dalla esistenza. L’oggettività è risultata la necessità e universalità di coscienza: ciò che nei sin- goli pensanti c’è di identico (...). L’oggettività dunque è univer- sale astratto nella coscienza. Ecco la grande scoperta che Kant ha fatto, ma non ha visto. È l'America, che egli crede India (...). E con la scoperta dell’oggettività, Kant ha scoperto anche l’esistenza nella sua distinzione dalla oggettività. Infatti, l’oggettività, l’essere identico della coscienza è astratto, perché ci sono le singolari qua- lificazioni della coscienza nelle quali... ci è dato tutto ciò che di esistenziale può mai risultare » 2. Non diversamente da Colombo che, credendo di aver trovato una nuova via per raggiungere un continente già noto, in realtà aveva scoperto un continente prima sconosciuto, anche Kant — pensava Carabellese —, incammina- tosi nella ricerca critica intorno alla conoscenza, era approdato, sen- za rendersene adeguatamente conto, alla individuazione della di- mensione oggettiva o ideale della coscienza e alla sua distinzione dall’altra dimensione, che è la esistenza, la soggettività. Questa 1‘ America’ scoperta ma non riconosciuta da Kant, che, « al di là di questa oggettività ed esistenza che ci risultano e che costitui- scono la coscienza », si intestardiva « ad ammettere ancora una esi- stenza. che concretizza l’oggettività fuori della coscienza » 5. A giudizio di Carabellese, Kant, impegnato a risolvere il pro- blema capitale della filosofia moderna, quello gnoseologico, aveva, di fatto, impostato vin nuovo problema, il problema della coscienza nella concretezza della sua struttura e delle sue esigenze trascen- dentali: universalità e singolarità, oggettività e soggettività, idea ed 2 CARABELLESE, La filosofa di Kant. L'idea teologica, Firenze, 1927, Vallecchi, pp. 166-167. 3 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., pp. 167-168. VII ì esistenza, Dio e Io, ecc. Il ‘ vero’ Kant era ritrovato da Carabel- lese nella ‘Dialettica Trascendentale’ della Critica della ragion pura, dove etano stati definiti i grandi temi metafisici di Dio (idea teologica) e della esistenza (idea cosmologica, idea psicologica). La improponibilità di quei temi in termini conoscitivo-positivi, il loro eccedere dai limiti della ‘ Estetica’ e dell’‘ Analitica’, che costi- tuivano formalmente il campo del ‘conoscibile’ e dello ‘scienti- fico’, davano a Carabellese la conferma che, con Kant, era acca- duto qualcosa di nuovo e di rivoluzionario. nella storia della filo- sofia moderna, il passaggio di fatto, implicante un rovesciamento prospettico, dalla filosofia del conoscere alla filosofia della coscienza e del concreto, passaggio solo di fatto e non ancora di diritto, ché Kant continuava a restare impigliato nella logica della filosofia del conoscere, confondendo oggettività ed esistenza, di cui pur aveva sentito la distinzione a livello di coscienza comune e di sapere concreto. La filosofia di Kant « perciò s’incentra nei tre problemi della Dialettica », scriveva Carabellese nella Prefazione all'opera del ’27, «(...) Di questi tre problemi adunque noi faremo centro per esporre criticamente il pensiero filosofico di Kant nella sua inte- grità, prendendo ciascun problema dal momento in cui esso si for- mula nella mente kantiana fino a quello in cui dal problema, riso- luto o no, questa si libera » ‘. L’avvertimento di quella che, per lui, era stata la più ori- ginale scoperta kantiana e, insieme, dell’imzpasse logico in cui era stata bloccata dalle contraddizioni della filosofia ‘storica’ di Kant metteva nelle mani di Carabellese il filo rosso del suo incontrarsi e scontrarsi con Kant e fissava i termini e il metodo del suo di- scorso critico, che si veniva organizzando nei modi di una lettura, come oggi si direbbe, ‘sintomale’, di Kant, orientata a valoriz- zare, contro il Kant letterale, la sua scoperta critica liberandone il contenuto dall’involucro formale e linguistico della tradizione pre- criticistica, che ne distorceva il senso e ne strozzava lo sviluppo. « Prescindere da Kant oggi, in filosofia, è fare opera nulla. Ora per una determinazione di problemi che non prescinda da Kant, io credo che bisogna rifarsi dallo stesso Kant senza trascurare quelle 4 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., p. XVI. VII che sono le conquiste dal kantismo, e non dallo stesso Kant, già fatte. Rifarsi quindi da Kant combattendolo nei suoi residui dog- matici. Ma per combatterlo appunto bisogna intenderlo nella sua profondità, e per intenderlo bisogna avere una concezione della realtà da contrapporgli (concezione sia pure nata da Kant; che anzi deve esser nata da Kant), bisogna avere un pensiero con cui in- dagarlo. Solo così si può fare la storia, sia essa della filosofia che di una qualunque determinata attività concreta dello spirito » 9. In tal modo, Carabellese progettava la sua lettura di Kant come controllo di una più vasta e generale interpretazione del rapporto tra la filosofia e la sua storia. La filosofia, voleva dire Carabellese, non nasce se non sul terreno dei problemi maturati storicamente (impossibilità di filosofare oggi prescindendo da Kant e dalla storia del kantismo). La filosofia, nondimeno, non eredita passivamente dalla propria storia (necessità di combattere Kant nel suo superstite dogmatismo). Anzi gli stessi problemi proposti dalla storia non possono essere compresi fino in fondo, nella loro ve- rità, se non si sia in grado di fare uso di un punto di vista di- verso, andando al di là del giudizio strettamente storico con un giudizio teoretico (Kant non può essere combattuto, cioè prose- guito e superato, se non venga prima inteso, e non può essere inteso, se non si sia in grado di opporgli un differente pensiero). Insomma, se la filosofia dipende dalla sua storia, questa, dalla sua parte, è anche condizionata e anticipata dalle opzioni teoretiche della filosofia. Il proposito di far emergere dall’interno della dottrina kan- tiana ciò che appariva essere il suo contributo più originale e importante, dando, per questa via, espressione a quanto Kant aveva lasciato inespresso, rendeva la indagine storiografica di Ca- rabellese altamente drammatica e rischiosa, provocava il mutuo coin- volgimento dello storico .e del suo autore, al punto che il dovere di capire l’autore finiva col coincidere col diritto di correggere, reimpostare o risolvere i problemi da lui lasciati aperti, e solleci- tava al salto al di là dei limiti della filologia, quando ciò sembrava necessario alla risolutiva espressione dell’inespresso. Lo stesso Ca- rabellese era ben consapevole di ciò e non fu certo un caso che, introducendo il volume del ’29, difendesse il suo scrupolo filolo- gico: « M’auguro che l’amore della tesi non abbia mai forzato l’in- 5 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., p. XI. IX dagine storica ad una interpretazione che non sia quella voluta dalla intima coerenza logica dei pensatori studiati. Certo ho messo in ciò la massima cura. E perciò mi son sempre rifatto diretta- mente alla lettera stessa dei loro scritti, perché i concetti risultas- sero sempre nella loro maggiore possibile determinatezza (...)»®. In definitiva, ciò che principalmente importa a una ricerca quale Carabellese proponeva e perseguiva non è tanto la relazione, che Kant ebbe con le sue fonti e coi suoi contemporanei, quanto la relazione che può instaurarsi tra Kant e i suoi successori e, soprat- tutto, tra lui e noi nell’orizzonte della odierna problematica filo- sofica. Era questo il senso della contrapposizione a un Kant morto, congelato nel linguaggio delle sue opere, di un Kant vivo che, di- ceva Carabellese, « io voglio rivivere e far rivivere, e col quale quindi io ho bisogno di discutere scendendo nelle profondità del suo pensiero e analizzando questo sia nei suoi germi nascosti, per i quali egli rivive in noi che con lui discutiamo, sia nelle grosso- lanità esplicite dalle quali egli non seppe e non poteva liberare la sua costruzione, e di fronte alle quali quindi egli deve rinne- gare se stesso e darci ragione » ”. A questo punto può essere interessante ricordare come un’ana- loga impostazione alla comprensione di Kant dava, due anni dopo la uscita del libro carabellesiano del ’27, ma in totale indipen- denza da Carabellese, Martino Heidegger con Kant e il problema della metafisica. Non è questa la sede per istruire il confronto tra il Kant di Carabellese e il Kant di Heidegger e illustrarne le differenze pur nella comune ispirazione ‘ metafisica ’ dei due ap- procci®. Vale, piuttosto, la pena di sottolineare la identità, nel metodo, delle due letture, che risalta oggettivamente alla luce della seguente dichiarazione di Heidegger: « Un’ ‘interpretazione ’, la quale si limiti a ripetere ciò che Kant ha detto testualmente è destinata in partenza a fallire il suo scopo, almeno finché il com- pito di una vera interpretazione resti quello di rendere visibile proprio ciò che nella fondazione kantiana traspare al di là delle ____— 6 CARABELLESE, Il problema della filosofia da Kant a Fichte, Palermo, 1929, Trimarchi, p. VII. 7 CARABELLESE, La filosofia di Kant, cit., pp. XI-XII. 8 Lo stesso Carabellese volle precisare tali differenze in una lunga nota della Prefazione alla Il edizione della Critica del concreto: cfr. Cri- tica del concreto, cit., p. XIX e segg. Xx formule. È vero che Kant non è giunto a pronunciarsi direttamente in proposito, ma è anche vero che in ogni conoscenza filosofica il fattore determinante non è il senso letterale delle proposizioni, bensì l’inespresso immediatamente suggerito dalle enunciazioni esplicite. Così, l’intento esplicito di questa ‘interpretazione’ della Critica della ragion pura era di rendere visibile il contenuto decisivo del- l’opera, tentando di porre in evidenza ciò che Kant ‘ha voluto dire’. Nel seguire questo procedimento, la nostra interpretazione fa propria una massima che lo stesso Kant voleva veder applicata alla ‘interpretazione’ di opere filosofiche (...). Naturalmente, per strappare a quel che le parole dicono, quello che vogliono dire, ogni ‘ interpretazione’ deve necessariamente usar loro violenza. Ma tale violenza non può esercitarsi a caso, per mero arbitrio. L’in- terpretazione dev'essere mossa e guidata dalla forza di un'idea il- luminante e anticipatrice. Soltanto in virtù di una tale idea, una ‘ interpretazione’ può osare l'impresa, ognora temeraria, di affidarsi al segreto impulso che agisce nell'intimo di un’opera, per essere aiutata a penetrare l’inespresso e forzata ad esprimerlo. È questa una via, per la quale la stessa idea direttrice giunge a rivelarsi pienamente, manifestando il proprio potere di chiarificazione » °. Chi abbia presenti i passi dianzi riferiti di Carabellese, ove si parla di discesa nelle « profondità » del pensiero kantiano, di « germi nascosti », a cui fanno velo « grossolanità esplicite », della « concezione della realtà » da contrapporre a Kant per capirlo e della necessità « di avere un pensiero con cui indagarlo », può ren- dersi conto di come Carabellese e Heidegger concepissero, entram- bi, il lavoro storiografico, in filosofia, fondamentalmente come in- terpretazione, interpretazione da tentare come sforzo di esplicita- zione del senso profondo e intenzionale, restato nascosto, delle pa- role espressamente dette. Di tale sforzo, la cui realizzazione può anche comandare l’esercizio della violenza sulla filologia, il pre- L 9 HEIDEGGER, Kant e il problema della metafisica, tr. it, Milano, 1962, Silva, pp. 264-265. Nella Prefazione alla II edizione dell'opera, che è del 1950, così scriveva Heidegger: «C'è sempre chi si sente urtato dalle for- zature che riscontra nelle mie interpretazioni. Questo scritto potrà offrire buoni argomenti per un'accusa in tal senso. Coloro che dedicano le loro ricerche alla storia della filosofia hanno sempre il diritto di muovere que- st'accusa a chi tenta di aprire un dialogo fra pensatori. Un dialogo di pensiero obbedisce a leggi differenti, rispetto ai metodi della filologia sto- rica, legata a un suo compito preciso. Più grave è, nel dialogo, il rischio di fallire, più frequenti sono le mancanze», op. cit, p. 5. XI supposto è un'anticipazione teoretica (non casuale, non arbitraria secondo Heidegger, necessariamente derivata dal filosofo stesso del quale si fa la storia, secondo Carabellese), capace di trasformare in parole chiare e determinate la ‘intenzione’ del filosofo oscurata e contraddetta dal suo stesso discorso storicamente esplicito. * o» Secondo Carabellese, il compito della filosofia dopo Kant, nella misura in cui Kant veniva riconosciuto come ponte di passaggio obbligato nella storia del pensiero moderno, era di andare avanti sulla strada di una ‘metafisica critica’, che Kant aveva appunto dischiuso ma non percorso. Sin dalla edizione, che curò nell’anno 1923, degli Scritti minori di Kant, il Carabellese aveva ferma- mente battuto sul fatto che, a suo parere, il criticismo kantiano non rappresenta la liquidazione della metafisica, bensì la esigenza e anche il modello, in qualche maniera delineato, di una sua nuova, ‘ critica ’, reimpostazione. « Nello sforzo tenace e fortunato che Kant ha fatto per rendersi conto esatto della possibilità della filosofia come metafisica, cioè come scienza, che ha oggetti non dati dalla esperienza, si possono distinguere due aspetti: quello per cui lo sforzo tende, diciamo così, ad individuare con la maggiore pos- sibile esattezza questi oggetti nella loro essenza, e l’altro, che è come il riflesso di quel primo, per cui lo sforzo torna continua- mente a misurare se stesso » 1°, L’errore di Kant, il suo limite sto- rico, a giudizio di Carabellese, era consistito nell’aver dimenticato che la Critica, nel suo stesso programma, era destinata a fungere solo da propedeutica (‘prolegomeni ’) a ogni futura metafisica e non poteva, perché non doveva, elevare se stessa a filosofia. L’er- rore del pensiero postkantiano era stato quello di non accorgersi dell'errore kantiano e di aver assunto come ovvietà non più di- scutibile né problematizzabile la presunta negazione kantiana della metafisica. Metafisica positivistica, criticismo metafisico idealistico, storicismo, attualismo, esistenzialismo, ecc. — tale era la convin- zione di Carabellese — erano tutti prodotti diversi di un mede- simo perseverare nell’errore di Kant: la confusione del problema dell’oggetto della filosofia (il problema cosiddetto ‘esterno *) col 10 KANT, Scritti minori, a cura di P. Carabellese, muova ed., Scritti precritici, Bari, 1953, Laterza, p. V. XII problema del rapporto della filosofia con se stessa (il problema cosiddetto ‘interno ’). Esauritosi nel mero esercizio della Critica, finita col diventare fine a se stessa, Kant fu costretto a occuparsi unicamente del problema ‘interno’ della filosofia e non vide come la sua soluzione sarebbe stata impossibile fino a quando non si fosse affrontato e formulato correttamente, secondo le indicazioni della Critica, il problema ‘esterno’. « Il problema che Kant im- postò riguardo alla filosofia », scriveva il Carabellese il 1929, «e che è sostanzialmente il problema di tutta la Critica, non fu quello della essenza, ma soltanto quello della possibilità di essa. L'essenza della filosofia come scienza era presupposta e dogmaticamente ac- cettata. Perciò il criticismo kantiano non è la piena posizione di quello che abbiamo detto il problema interno della filosofia; ne è invece la posizione consentita da un preconcetto essere intel- lettualistico » !. In altre parole, Kant, nonostante la Critica, non seppe rinun- ciare al pregiudizio pre- e anti-criticistico di un essere sussistente al di fuori della coscienza e del soggetto e all’uno e all’altra con- trapposto e continuò a pensare la filosofia come uno dei modi, certamente il più fallimentare, di raggiungere conoscitivamente que- sto essere. « Come Cartesio aprì quello delle origini, Kant ha aperto soltanto il problema della possibilità della conoscenza. E tutti gli indirizzi post-kantiani, che di Kant veramente tengano con- to, cercano di rispondere a questa domanda, ma solo a questa. E a me paiono ora esauriti i tentativi per darle una risposta. È ora di cambiar aria, di correre verso una nuova dimensione dello spa- zio speculativo. A furia di dimostrare la possibilità della conoscenza, abbiamo finito forse col dimenticare, o meglio possiamo cominciare a vedere che cosa è questa conoscenza di cui vogliamo dimostrare la possibilità » 1. La ragione principale della filosofia di Kant, alla luce della interpretazione carabellesiana, stava proprio in quel bi- sogno di « cambiare aria », di conquistare « una nuova dimensione dello spazio speculativo ». Il che, per Carabellese, significava che Kant aveva toccato il limite estremo dello gnoseologismo moderno, da un lato circoscrivendo, una volta per tutte, l’area del conosci- bile, di ciò che può essere ‘scienza’, e dall’altro provando che filosofare non è conoscere. li CARABELLESE, Il problema della filosofia, cit., p. 11. 12 CARABELLESE, Il problema della filosofia, cit., pp. 15-16. XIII Che cosa la filosofia potesse mai diventare, dopo essere stata affrancata da compiti di conoscenza — questo, secondo Carabellese, era il problema posto da Kant, che Kant non ebbe la forza di ri- solvere, in quanto lasciò che i potenti strumenti della Critica re- stassero inceppati dallo stesso pregiudizio realistico messo in crisi appunto dalla Critica. Il pregiudizio restò ancora abbastanza saldo per la svista di Kant, che non si accorse — abbiamo già detto — della grande scoperta ‘critica’ e ‘metafisica’, da lui fatta, del- l'oggetto quale universalità e necessità della coscienza e non più suo ‘al di là”. Proclamandola impossibile come scienza, Kant mo- strava di considerare la metafisica pur sempre come ‘scienza’. Per lui, gli ‘oggetti’ della metafisica (Dio, anima, mondo) continua- rono a valere come l’‘al di là’ della coscienza, conoscitivamente inattingibile. Eppure il senso della Critica spingeva a inglobare que- gli oggetti nella coscienza, a ‘ immanentizzarli’ non quali ‘ conte- nuti” bensì quali ‘essere’ della coscienza, come la stessa coscienza nella sua originaria e necessaria struttura !8, infine come l’apriori ‘ metafisico * di ogni determinato e concreto sapere, essere e fare. Dopo Kant, quindi, anzi attraverso Kant, fare metafisica, fare cioè filosofia e non soltanto propedeutica alla filosofia doveva voler dire, per Carabellese, null’altro che riflettere (riflettere, non conoscere), sempre più a fondo, sulla coscienza comune, sulla struttura del con- creto essere/fare naturale e storico dell’uomo. Nello spirito, an- che se contro la lettera della Critica e contro la dominante ten- denza del pensiero postkantiano, Carabellese pensava tale struttura immanente e trascendente allo stesso tempo: immanente, perché intrinseca al concreto, trascendente, perché non esaurita né esau- ribile in alcuna determinazione del concreto (la inesauribilità della kantiana ‘cosa in sé’ rispetto al fenomeno o natura). « Per rivalutare a pieno il kantismo bisogna guardare anche 13 «.. coscienza è il sapere insieme, noi molti soggetti, un oggetto, nella unicità del quale conveniamo » (CARABELLESE, La coscienza, nel vol. collettivo Filosofi italiani contemporanei, Milano, 1946, Marzorati, p. 210). Oggetto umico e noi molti soggetti insieme costituiscono, per Carabellese, la struttura o essere della coscienza. Fusi e, tuttavia, distinti nella sinte- ticità originaria della coscienza, della coscienza l'oggezto è principio 0 fondamento e noi molti siamo i termini esistenziali. Tutto ciò Carabellese ricavava dalla Critica, ora direttamente ora mediandola storicamente, ma sempre sostituendo all’abituale lettura di Kant in chiave gnoseologistica la interpretazione ‘metafisica’ ossia, nel linguaggio di Carabellese, ‘ onto- coscienzialistica '. XIV questi oggetti della ragione pura, non per tornare a ripetere la metafisica kantiana di noumeni sconosciuti e inconoscibili e pur validi come regolativi, ma per guardarli nel nuovo concetto di co- scienza maturatosi da Kant, e rivalutare così di nuovo il presup- posto trascendentale della esperienza » 14. Del nuovo concetto di coscienza, in cui venivano trasposti e semanticamente rigenerati i vecchi oggetti metafisici della ragione, La filosofa di Kant. L'idea teologica e La filosofia dell’esistenza in Kant furono la riflessione, tematizzandone l’una l’aspetto oggettivo (Dio, Idea) e l’altra l’a- spetto soggettivo (Io, Esistenza). Le due opere furono i due tempi di una medesima ricerca, i due momenti di una medesima analisi e anche le due direzioni diverse di una stessa polemica. Infatti, ambedue — come, del resto, tutti gli scritti teorici e storici di Carabellese — rappresentavano altrettante prese di posizione nei riguardi di quelle che Carabellese — lo abbiamo già detto — pen- sava essere le conseguenze della mai denunciata svista di Kant e, più in generale, le manifestazioni estreme, nel pensiero contempo- raneo, del non ancora debellato realismo dogmatico. In partico- lare, il libro del ’27, attribuendo a Kant, tradizionalmente fatto pas- sare per il progenitore dell’idealismo moderno soggettivistico, la sco- perta della oggettività di coscienza, serviva a Carabellese anche come arma di lotta contro l’attualismo gentiliano — allora al culmine del suo successo storico —, che di quell’idealismo si protestava l’esito più coerente e rigoroso e che fu appunto il bersaglio permanente della polemica filosofica di Carabellese. Analogamente, La filosofia del- l’esistenza in Kant, con il discutere la confusione kantiana di esi- stenza e oggettività realisticamente intesa, consentiva a Carabel- lese di contrastare l’esistenzialismo, che in quegli anni si andava diffondendo anche in Italia, e di condannare in esso la sopravvi- venza del preconcetto realistico e dogmatico « che il singolare sia fuori dell’essere, e che l’essere sia al di là della singolarità » !9 e, soprattutto, l’errore teoretico di presupporre la esistenza senza chie- dersi che cosa mai essa sia, a quale esigenza strutturale del nostro essere/fare concreto essa risponda !°. Esula dal compito assai limitato e modesto di questa introdu- zione l’esame critico della ricostruzione carabellesiana della filo- 14 KANT, Scritti minori, cit, p. VI. 15 CARABELLESE, L'esistenzialismo in Italia, in « Primato » 1943, p. 65. 16 V. segnatamente i paragrafi 3, 13, 43’ e 84 di questa opera. XV sofia di Kant. Tale esame, ove fosse tentato, implicherebbe l’aper- tura della discussione sulla generale metodologia storiografica del Carabellese e, quindi, sulla sua posizione teoretica, che di quella metodologia è motivazione, supporto e guida. A me premeva solo di dare al lettore alcune indicazioni elementari e, a mio avviso, es- senziali per un suo primo orientamento sull’impegno programmatico e sul carattere di questa opera, indubbiamente originalissima e ri- gorosa, in una epoca che, forse, non è la più favorevolmente di- sposta a comprendere un lavoro storico condotto con la tecnica usata da Carabellese e ad accettare un discorso teoretico redatto nel linguaggio che era proprio di Carabellese. Il lettore vaglierà e giudicherà per suo conto. Quali che siano, però, le conclusioni di ciascuno di noi, possiamo essere tutti sicuri che la intera ricerca di Carabellese, nella quale, in primo piano, si pone la sua lunga meditazione kantiana, è, per tutti noi, uno stimolo potente a li- berarci dai consunti schemi storiografici e a tirarci fuori dai luoghi comuni in cui la nostra intelligenza filosofica può essersi impigrita. GIUSEPPE SEMERARI Bari, 12 novembre 1969.
Tuesday, December 17, 2024
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