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Monday, December 2, 2024

GRICE ITALO A/Z B BECC

 

Grice e Beccaria: la ragione conversazionale e  l’implicatura conversazionale – scuola di Milano – filosoia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I would call Beccaria a Griceian, but I’m not sure he would call me a Beccarian!” Grice: “His explicit, rather than implicated, Griceian ideology is in the opening chapter on “Lo stilo conversazionale’ – he notes that the implicaturum ain’t a part of the ‘sintassi’ of the ‘proposizione’ which is explicated – he adds that ‘senses’ should not be multiplied because your addressee may get YOUR sense, but trust he will lose interest if you keep multiplying – “to the risk that he won’t get your sense in the last place!” – Grice: “Like me, Beccaria was a unitarian philosopher; his tract on ‘I piaceri’ is delightful, very pleasant read!” – If Austin and us met on different grounds and pubs, Beccaria met at the caffe, and he liked it – Italians, unfortunately, only know him for his tract on guilt and punishment!” – Grice: “Most Italians don’t even  consider Beccaria an Italian philosopher but as a member of the Accademia dei Pigne, as part of the illuminismo Lombardo --.” Grice: “The philosophical panorama or landscape of Italian philosophy is much diverse than our Oxonian dialectic!” --  One of the most essential of Italian philosophersReferred to by H. P. Grice in his explorations on moral versus legal right, studied in Parma and Pavia and taught political economy in Milan. Here, he met Pietro and Alessandro Verri and other Milanese intellectuals attempting to promote political, economical, and judiciary reforms. His major work, Dei delitti e delle pene “On Crimes and Punishments,” denounces the contemporary methods in the administration of justice and the treatment f criminals. Beccaria argues that the highest good is the greatest happiness shared by the greatest number of people; hence, actions against the state are the most serious crimes. Crimes against individuals and property are less serious, and crimes endangering public harmony are the least serious. The purposes of punishment are deterrence and the protection of society. However, the employment of torture to obtain confessions is unjust and useless: it results in acquittal of the strong and the ruthless and conviction of the weak and the innocent. Beccaria also rejects the death penalty as a war of the state against the individual. He claims that the duration and certainty of the punishment, not its intensity, most strongly affect criminals. Beccaria was influenced by Montesquieu, Rousseau, and Condillac. His major work was tr. into many languages and set guidelines for revising the criminal and judicial systems of several European countries. Se dimostrerò non essere la pena di morte né utile, né necessaria, avrò vinto la causa dell’umanità.»  (da Dei delitti e delle pene) Cesare Beccaria Bonesana, marchese di Gualdrasco e di Villareggio (Milano), giurista, filosofo, economista e letterato italiano considerato tra i massimi esponenti dell'illuminismo italiano, figura di spicco della scuola illuministica milanese.  La sua opera principale, il trattato Dei delitti e delle pene, in cui viene condotta un'analisi politica e giuridica contro la pena di morte e la tortura sulla base del razionalismo e del pragmatismo di stampo utilitarista, è tra i testi più influenti della storia del diritto penale ed ispirò tra gli altri il codice penale voluto dal granduca Pietro Leopoldo di Toscana.  Nonno materno di Alessandro Manzoni, Cesare Beccaria è considerato inoltre come uno dei padri fondatori della teoria classica del diritto penale e della criminologia di scuola liberale.  nacque a Milano (allora appartenente all'impero asburgico), figlio di Giovanni Saverio di Francesco e di Maria Visconti di Saliceto. Educato a Parma dai gesuiti e si laureò in Giurisprudenza all'Università degli Studi di Pavia. Il padre aveva sposato la Visconti in seconde nozze, dopo essere rimasto vedovo di Cecilia Baldroni.  Sposò Teresa Blasco contro la volontà del padre, che lo costrinse a rinunciare ai diritti di primogenitura (mantenne però il titolo di marchese); da questo matrimonio ebbe quattro figli: Giulia, Maria, nata con gravi problemi neurologici e morta giovane, Giovanni Annibale nato e morto nel 1767 e Margherita anch'essa nata e morta nel 1772.  Il padre lo cacciò anche da casa dopo il matrimonio, così dovette essere ospitato da Pietro Verri, che lo mantenne anche economicamente per un periodo.  Teresa morì a causa della sifilide o della tubercolosi. Beccaria, dopo appena 40 giorni di vedovanza, firmò il contratto di matrimonio con Anna dei Conti Barnaba Barbò, che sposò in seconde nozze ad appena 82 giorni dalla morte della prima moglie. Da Anna Barbò ebbe un altro figlio, Giulio. l suo avvicinamento all'Illuminismo avvenne dopo la lettura delle Lettere persiane di Montesquieu e del “Contratto sociale” di Rousseau, grazie ai quali si entusiasmò per i problemi filosofici e sociali ed entrò nel cenacolo di casa Verri, dove aveva sede anche la redazione del Caffè, il più celebre giornale politico-letterario del tempo, per il quale scrisse sporadicamente. Dopo la pubblicazione di alcuni articoli di economia, nel 1764 diede alle stampe Dei delitti e delle pene, capolavoro ispirato dalle discussioni in casa Verri del problema dello stato deplorevole della giustizia penale. Inizialmente anonimo è un breve scritto contro la tortura e la pena di morte che ebbe enorme fortuna in tutta Europa e nel mondo e in particolare in Francia.  Contro le posizioni di Beccaria uscì, nel 1765 il testo Note ed osservazioni sul libro intitolato Dei delitti e delle pene di Ferdinando Facchinei. Le polemiche che ne seguirono contribuirono alla decisione di mettere il trattato di Beccaria all'Indice dei libri proibiti nel 1766, a causa della distinzione tra peccato e reato. B. viaggiò poi controvoglia fino a Parigi, e solo dietro l'insistenza dei fratelli Verri e dei filosofi francesi desiderosi di conoscerlo. Fu accolto per breve tempo nel circolo del barone d'Holbach. La sua giustificata gelosia per la moglie lontana e il suo carattere ombroso e scostante, fecero sì che appena possibile tornasse a Milano, lasciando solo il suo accompagnatore Alessandro Verri a proseguire il viaggio verso l'Inghilterra. Il carattere riservato e riluttante di B., tanto nelle vicende private quanto nelle pubbliche, ebbe nei fratelli Verri, e soprattutto in Pietro, un fondamentale punto di appoggio e di stimolo soprattutto quando iniziò ad interessarsi allo studio dell'economia. Come Rousseau, B. è a tratti paranoico e aveva spesso sbalzi d'umore, la sua personalità era abbastanza indolente e il carattere debole, poco brillante e non portato alla vita sociale; ciò non gli impediva però di esprimere molto bene i concetti che aveva in mente, soprattutto nei suoi saggi. Tornato a Milano ottenne la cattedra di Scienze Camerali (economia politica), creata per lui nelle scuole palatine di Milano e cominciò a progettare una grande opera sulla convivenza umana, mai completata. Perego, L'Accademia dei Pugni. Da sinistra a destra: Longo, Verri, Biffi, B., Lambertenghi, Verri, Visconti di Saliceto Entrato nell'amministrazione austriaca, fu nominato membro del Supremo Consiglio dell'Economia, carica che ricoprì per oltre vent'anni, contribuendo alle riforme asburgiche sotto Maria Teresa e Giuseppe II. Fu criticato per questo dagli amici (tra cui Verri), che gli rimproveravano di essere diventato un burocrate. Gli studiosi, però, considerano questi giudizi ingiusti dal momento che Cesare Beccaria si dedicò ad importanti riforme, che richiedevano una notevole preparazione intellettuale, non solo amministrativa. Fra queste ci fu la riforma delle misure dello stato milanese, intrapresa prima di quella del sistema metrico decimale francese, e a cui B., insieme al fratello Annibale, dedicò quasi vent'anni della sua vita. (La riforma, notevolmente complessa, coinvolse alla fine solo il braccio milanese. La successiva riforma dei pesi non fu mai realizzata.)  Il suo rapporto con la figlia Giulia, futura madre di Manzoni, è conflittuale per gran parte della sua vita; ella era stata messa in collegio (nonostante B. avesse spesso deprecato i collegi religiosi) subito dopo la morte della madre e lì dimenticata per quasi sei anni: suo padre non volle più sapere niente di lei per molto tempo e non la considerò mai sua figlia, bensì il frutto di una relazione extraconiugale delle numerose che la moglie aveva avuto. B. non si sentiva adeguato al ruolo di padre, inoltre negò l'eredità materna alla figlia, avendo contratto dei debiti: ciò gli diede la fama di irriducibile avarizia. Giulia uscì dal collegio, frequentando poi gli ambienti illuministi e libertini. La diede in sposa al conte Manzoni, più vecchio di vent'anni di lei: il nipote Alessandro nacque, ma pare fosse in realtà il figlio di Verri, fratello minore di Pietro e Alessandro, e amante di Giulia. Prima della morte del padre, Giulia abbandona il marito per andare a vivere a Parigi insieme al conte Imbonati, rompendo i rapporti definitivamente col padre,  e temporaneamente anche con il figlio.  B. muore a Milano a causa di un ictus e trovò sepoltura nel Cimitero della Mojazza, fuori Porta Comasina, in una sepoltura popolare (dove è sepolto anche Parini) anziché nella tomba di famiglia. Quando tutti i resti vennero traslati nel cimitero monumentale di Milano, un secolo dopo, si perse traccia della tomba del grande giurista. Pietro Verri, con una riflessione valida ancora oggi, deplorò nei suoi scritti il fatto che i milanesi non avessero onorato abbastanza il nome di B., né da vivo né da morto, che tanta gloria aveva portato alla città. Ai funerali di B. è presente anche il nipote Manzoni (che riprende molte delle riflessioni del nonno e di Verri nella Storia della colonna infame e nel suo capolavoro, I promessi sposi), nonché il figlio superstite ed erede, Giulio. B. è influenzato dalla lettura di Locke, Helvetius, Rousseau e, come gran parte degli illuministi milanesi, dal sensismo di Condillac. Fu influenzato anche dagli enciclopedisti, in particolare da Voltaire e Diderot. Partendo dalla classica teoria contrattualistica del diritto, derivata in parte dalla formulazione datane da Rousseau, che sostanzialmente fonda la società su un contratto sociale (nell'omonima opera) teso a salvaguardare i diritti degli individui e a garantire in questo modo l'ordine, B. definì in pratica il delitto in maniera laica come una violazione del contratto, e non come offesa alla legge divina, che appartiene alla coscienza della persona e non alla sfera pubblica. La società nel suo complesso godeva pertanto di un diritto di autodifesa, da esercitare in misura proporzionata al delitto commesso (principio del proporzionalismo della pena) e secondo il principio contrattualistico per cui nessun uomo può disporre della vita di un altro (Rousseau non considerava moralmente lecito nemmeno il suicidio, in quanto non l'uomo, ma la natura, nella visione del ginevrino, aveva potere sulla propria vita, e quindi tale diritto non poteva certamente andare allo Stato, che comunque avrebbe violato un diritto individuale). Il punto di vista illuministico del Beccaria si concentra in frasi come «Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa». Ribadisce come è necessario neutralizzare l'«inutile prodigalità di supplizi» ampiamente diffusi nella società del suo tempo. La tesi umanitaria, messa in risalto da Voltaire, è parzialmente da lui accantonata, in quanto Beccaria vuole dimostrare pragmaticamente l'inutilità della tortura e della pena di morte, più che la loro ingiustizia. Egli è infatti consapevole che i legislatori sono mossi più dall'utile pratico di una legge, che da principi assoluti, di ordine religioso o filosofico. Beccaria afferma infatti che «se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità». Beccaria quindi si inserisce nel filone utilitaristico: considera l'utile come movente e metro di valutazione di ogni azione umana.   Monumento a B., Grandi, Milano L'ambito della sua dottrina è quello general-preventivo, nel quale si suppone che l'uomo sia condizionabile in base alla promessa di un premio o di un castigo e, nel contempo, si ritiene che sussista fra ogni cittadino e le istituzioni una conflittualità più o meno latente. Sostiene la laicità dello Stato. Adotta come metodo d'indagine quello analitico-deduttivo (tipico della matematica) e per lui l'esperienza è da intendersi in termini fenomenici (approccio sensista).  La natura umana si svolge in una dimensione edonistico-pulsionistica, ovvero sia i singoli, sia la moltitudine, agiscono seguendo i loro sensi. In poche parole l'uomo è caratterizzato dall'edonismo. Gli individui possono essere parago dei fluidi messi in movimento dalla costante ricerca del piacere, intesa come fuga dal dolore. L'uomo però è una macchina intelligente capace di razionalizzare le pulsioni, in modo da consentire la vita in società; infatti certamente ogni uomo pretende di essere autonomo e insindacabile nelle sue decisioni, ma si rende conto della convenienza della vita sociale. Ma la conflittualità rimane e quindi bisogna impedire che il cittadino venga sedotto dall'idea di infrangere la legge al fine di perseguire il proprio utile a tutti i costi, pertanto il legislatore, da «abile architetto», deve predisporre sanzioni e premi in funzione preventiva; è necessario tenere sotto controllo i «fluidi», inibendo le pulsioni antisociali.  Tuttavia B. sostiene che la sanzione deve essere sì idonea e sicura, a garantire la difesa sociale, ma al contempo mitigata e rispettosa della persona umana.  «Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso. Può egli in un corpo politico, che, ben lungi di agire per passione, è il tranquillo moderatore delle passioni particolari, può egli albergare questa inutile crudeltà stromento del furore e del fanatismo o dei deboli tiranni? Le strida di un infelice richiamano forse dal tempo che non ritorna le azioni già consumate? Il fine dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d'infliggerle deve esser prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo. Parmi un assurdo che le leggi, che sono l'espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall'assassinio, ordinino un pubblico assassinio  (Dei delitti e delle pene)  Illustrazione allegorica da Dei delitti e delle pene: la giustizia personificata respinge il boia, con in mano una testa, e una spada. La pena di morte, una guerra della nazione contro un cittadino, è inaccettabile perché il bene della vita è indisponibile, quindi sottratto alla volontà del singolo e dello Stato. Inoltre essa:  non è un vero deterrente non è assolutamente necessaria in tempo di pace Essa non svolge un'adeguata azione intimidatoria poiché lo stesso criminale teme meno la morte di un ergastolo perpetuo o di una miserabile schiavitù: si tratta di una sofferenza definitiva contro una sofferenza ripetuta. Ai soggetti che assistono alla sua esecuzione, inoltre, essa può apparire come uno spettacolo o suscitare compassione. Nel primo caso, essa indurisce gli animi, rendendoli più inclini al delitto; nel secondo, non rafforza il senso di obbligatorietà della legge e il senso di fiducia nelle istituzioni.  Questa condizione è assai più potente dell'idea della morte e spaventa più chi la vede che chi la soffre; è quindi efficace ed intimidatoria, benché tenue. In realtà così facendo viene sostituita alla morte del corpo la morte dell'anima, il condannato viene annichilito interiormente. Tuttavia non è la punizione fine a sé stessa l'obiettivo di B., ma egli utilizza questo argomento dell'afflittività penale per convincere i governanti e i giudici, in quanto il suo fine resta eminentemente rieducativo e risarcitivo (il condannato non deve essere afflitto o torturato, ma deve riparare il danno in maniera economico-politica, come previsto da una concezione puramente utilitaristica e di giustizia anti-retributiva).  Beccaria ammette che il ricorso alla pena capitale sia necessario solo quando l'eliminazione del singolo fosse il vero ed unico freno per distogliere gli altri dal commettere delitti, come nel caso di chi fomenta tumulti e tensioni sociali: ma questo caso non sarebbe applicabile se non verso un individuo molto potente e solo in caso di una guerra civile. Tale motivazione fu usata, per chiedere la condanna di Luigi XVI, da Maximilien de Robespierre, il quale era inizialmente avverso alla pena capitale ma in seguito diede il via ad un uso spropositato della pena di morte e poi al Terrore; comportamenti del tutto inammissibili nel pensiero di Beccaria, che infatti prese le distanze, come molti illuministi moderati, dalla Rivoluzione francese.  La tortura, “l'infame crociuolo della verità”, viene confutata da Beccaria con varie argomentazioni:  essa viola la presunzione di innocenza, dato che «un uomo non può chiamarsi reo fino alla sentenza del giudice». consiste in un'afflizione e pertanto è inaccettabile; se il delitto è certo porta alla pena stabilita dalle leggi, se è incerto non si deve tormentare un possibile innocente. non è operativa in quanto induce a false confessioni, poiché l'uomo, stremato dal dolore, arriverà ad affermare falsità al fine di porre termine alla sofferenza. è da rifiutarsi anche per motivi di umanità: l'innocente è posto in condizioni peggiori del colpevole. non porta all'emenda del soggetto, né lo purifica agli occhi della collettività. B. ammette razionalmente l'afflizione della tortura nel caso di testimone reticente, cioè a chi durante il processo si ostini a non rispondere alle domande; in questo caso la tortura trova una sua giustificazione, ma egli preferisce comunque chiederne la totale abolizione, in quanto l'argomento utilitario viene in questo caso sopraffatto comunque da quello razionale (il fatto che è ingiusto applicare una pena preventiva, sproporzionata e comunque violenta).  Il carcere preventivo B. mostra dubbi e raccomanda cautela nella custodia cautelare in attesa di processo, attuata negli ordinamenti penali solitamente in casi di pericolo di fuga, reiterazione o inquinamento delle prove, e alla sua epoca assolutamente discrezionale e ingiusta. «Un errore non meno comune che contrario al fine sociale, che è l'opinione della propria sicurezza, è il lasciare arbitro il magistrato esecutore delle leggi, d'imprigionare un cittadino, di togliere la libertà ad un nemico per frivoli pretesti, e il lasciare impunito un amico ad onta degl'indizi più forti di reità. La prigionia è una pena che per necessità deve, a differenza di ogni altra, precedere la dichiarazione del delitto; ma questo carattere distintivo non le toglie l'altro essenziale, cioè che la sola legge determini i casi, nei quali un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà gli indizi di un delitto che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano ad un esame e ad una pena.»  Può essere necessaria, ma essendo comunque una pena contro un presunto innocente, come la tortura (concezione garantista della giustizia), non deve essere attuata tramite arbitrio di un magistrato o di un ufficiale di polizia. La carcerazione dopo cattura e prima del processo è ammessibile solo quando ci sia, oltre ogni dubbio la prova della pericolosità dell'imputato: «pubblica fama, la fuga, la stragiudiciale confessione, quella d'un compagno del delitto, le minacce e la costante inimicizia con l'offeso, il corpo del delitto, e simili indizi, sono prove bastanti per catturare un cittadino. Ma queste prove devono stabilirsi dalla legge e non dai giudici, i decreti de' quali sono sempre opposti alla libertà politica, quando non sieno proposizioni particolari di una massima generale esistente nel pubblico codice.  Le prove dovranno essere quanto più solide quanto la prigionia rischi di essere lunga o pesante: «A misura che le pene saranno moderate, che sarà tolto lo squallore e la fame dalle carceri, che la compassione e l'umanità penetreranno le porte ferrate e comanderanno agli inesorabili ed induriti ministri della giustizia, le leggi potranno contentarsi d'indizi sempre più deboli per catturare».  Egli raccomanda inoltre la piena riabilitazione per la carcerazione ingiusta: «Un uomo accusato di un delitto, carcerato ed assoluto, non dovrebbe portar seco nota alcuna d'infamia. Quanti romani accusati di gravissimi delitti, trovati poi innocenti, furono dal popolo riveriti e di magistrature onorati! Ma per qual ragione è così diverso ai tempi nostri l'esito di un innocente? perché sembra che nel presente sistema criminale, secondo l'opinione degli uomini, prevalga l'idea della forza e della prepotenza a quella della giustizia; si gettano confusi nella stessa caverna gli accusati e i convinti; perché la prigione è piuttosto un supplizio, che una custodia del reo, e perché la forza interna tutrice delle leggi è separata dalla esterna difenditrice del trono e della nazione, quando unite dovrebbono essere».  Il carattere della sanzione  Frontespizio di Scritti e lettere inediti   B., incisione da Dei delitti e delle pene Beccaria indica come la sanzione deve possedere alcuni requisiti:  la prontezza ovvero la vicinanza temporale della pena al delitto l’infallibilità ovvero vi deve essere la certezza della risposta sanzionatoria da parte delle autorità la proporzionalità con il reato (difficile da realizzare ma auspicabile) la durata, che dev'essere adeguata la pubblica esemplarità, infatti la destinataria della sanzione è la collettività, che constata la non convenienza all'infrazione essere la «minima delle possibili nelle date circostanze» Secondo Beccaria, per ottenere un'approssimativa proporzionalità pena-delitto, bisogna tener conto:  del danno subito dalla collettività del vantaggio che comporta la commissione di tale reato della tendenza dei cittadini a commettere tale reato Non dev'essere comunque una violenza gratuita, ma dev'essere dettata dalle leggi, oltre a possedere tutti i caratteri razionali citati, e sprovvista di personalismi e sentimenti irrazionali di vendetta.  La pena è oltretutto una extrema ratio, infatti si dovrebbe evitare di ricorrere ad essa quando si hanno efficaci strumenti di controllo sociale (non deve inoltre colpire le intenzioni in maniera analoga al fatto compiuto: ad esempio, l'attentato fallito non è paragonabile a uno riuscito). Per questi motivi è importante attuare degli espedienti di “prevenzione indiretta”, come ad esempio: un sistema ordinato della magistratura, la diffusione dell'istruzione nella società, il diritto premiale (premiare la virtù del cittadino, anziché punire solo la colpa), una riforma economico-sociale che migliori le condizioni di vita delle classi sociali disagiate. Beccaria si dichiara inoltre sospettoso verso il sistema delatorio (cosiddetta collaborazione di giustizia), da usare solo per prevenire delitti importanti, in quanto incoraggia il tradimento e favorisce dei criminali rei confessi dando loro l'impunità.  Per quanto riguarda l'istituto premiale nella pena già comminata, cioè le amnistie e la grazia, essi possono essere usati ma con cautela: al condannato che si comporta in maniera esemplare durante l'esecuzione della pena o in casi specifici, ma solo in caso di pene pesanti, esse possono essere concesse; suggerisce però di limitare la discrezionalità del governante e del giudice, poiché egli teme che lo strumento della clemenza venga usato per favoritismi, come nell'Antico Regime, eliminando anche pene lievi a persone che siano potenti o vicini politicamente o umanamente al sovrano: «La clemenza è la virtú del legislatore e non dell'esecutor delle leggi», scrive infatti.  Pertanto il fine della sanzione non è quello di affliggere, ma quello di impedire al reo di compiere altri delitti e di intimidire gli altri dal compierne altri, fino a parlare di "dolcezza della pena", in contrasto alla pena violenta:  «Uno dei più gran freni dei delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse. La certezza di un castigo, benché moderato farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito con la speranza dell'impunità; perché i mali, anche minimi, quando son certi, spaventano sempre gli animi umani, e la speranza, dono celeste, che sovente ci tien luogo di tutto, ne allontana sempre l'idea dei maggiori, massimamente quando l'impunità, che l'avarizia e la debolezza spesso accordano, ne aumenti la forza. L'atrocità stessa della pena fa sì che si ardisca tanto più per schivarla, quanto è grande il male a cui si va incontro; fa sì che si commettano più delitti, per fuggir la pena di uno solo.  I paesi e i tempi dei più atroci supplicii furon sempre quelli delle più sanguinose ed inumane azioni, poiché il medesimo spirito di ferocia che guidava la mano del legislatore, reggeva quella del parricida e del sicario. Perché una pena ottenga il suo effetto basta che il male della pena ecceda il bene che nasce dal delitto, e in questo eccesso di male deve essere calcolata l'infallibilità della pena e la perdita del bene che il delitto produrrebbe. Tutto il di più è dunque superfluo e perciò tirannico.»  Il diritto all'autodifesa: sul porto di armi Il pensiero di B. sul porto di armi, che egli riteneva un utile strumento di deterrenza del crimine, si riassume nelle seguenti citazioni.Falsa idea di utilità è quella che sacrifica mille vantaggi reali per un inconveniente o immaginario o di troppa conseguenza, che toglierebbe agli uomini il fuoco perché incendia e l'acqua perché annega, che non ripara ai mali che col distruggere. Le leggi che proibiscono di portare armi sono leggi di tal natura; esse non disarmano che i non inclinati né determii delitti, mentre coloro che hanno il coraggio di poter violare le leggi più sacre della umanità e le più importanti del codice, come rispetteranno le minori e le puramente arbitrarie, e delle quali tanto facili ed impuni debbon essere le contravvenzioni, e l'esecuzione esatta delle quali toglie la libertà personale, carissima all'uomo, carissima all'illuminato legislatore, e sottopone gl'innocenti a tutte le vessazioni dovute ai rei? Queste peggiorano la condizione degli assaliti, migliorando quella degli assalitori, non iscemano gli omicidii, ma gli accrescono, perché è maggiore la confidenza nell'assalire i disarmati che gli armati. Queste si chiamano leggi non prevenitrici ma paurose dei delitti, che nascono dalla tumultuosa impressione di alcuni fatti particolari, non dalla ragionata meditazione degl'inconvenienti ed avantaggi di un decreto universale»  Influenza Anche Foscolo rileverà nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis che "le pene crescono coi supplizi".  L'opera ed il pensiero di Beccaria, inoltre, influenzarono la codificazione del Granducato di Toscana, concretizzata nella Riforma della legislazione criminale toscana, promulgata da Pietro Leopoldo d'Asburgo, meglio conosciuta come "Codice leopoldino" col quale la Toscana divenne il primo stato in Europa ad eliminare integralmente la pena di morte e la tortura dal proprio sistema penale.  Il filosofo utilitarista Bentham ne riprenderà alcune idee. Le idee del B. stimolarono un dibattito (si pensi alle critiche che Kant gli mosse nella sua Metafisica dei costumi) ancora vivo e attuale oggi.  Citazioni e riferimenti  Monumento a Cesare Beccaria, Milano. Venne realizzato un monumento a B., opera dello scultore Marchesi, posto sulla scalinata richiniana del palazzo di Brera. Venne inaugurato un secondo monumento in marmo a Milano (oggi piazza B.); a causa del deterioramento, il monumento fu sostituito da una copia in bronzo. Gli è stato dedicato un asteroide: 8935 B.. Il carcere minorile di Milano è a lui intitolato. A lui è intitolato un prestigioso Liceo Classico milanese, il Ginnasio Liceo Statale B.. A lui è dedicato uno dei 3 dipartimenti della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano. Altre saggi: “Del disordine e de' rimedi delle monete a Milano”; “Del delitto e della pena” (Livorno, Cortellini).  Giovanni Claudio Molini); “Ricerche intorno alla natura dello stile”; “Elementi di economia pubblica”; “Raccolte di articoli I saggi di B. in «Il Caffè» Collana «Pantheon», Bollati Boringhieri). Due volumi,  Genealogia Dati tratti da genealogia settecentesca della famiglia Beccaria con indicazione della discendenza di Cesare Beccaria”; “Simone «attese a negozi con prosperità”;  Gerolamo «tesoriere di vari luoghi pii, uomo di molti trafici” Sposa Isabella Busnata di Giovanni Stefano.  Galeazzo «I.C. causidico nel civile».   Francesco “cassiere generale del Banco Sant'Ambrogio sino a morte ed agente del luogo Pio della Carità». Sposa Anna Cremasca.Filippo «Successe al padre nel posto di cassiere suddetto, che poscia rinunciò e si fece sacerdote». Anastasia«Monaca in Vigevano»  Giovanni «Alla morte di suo padre ebbe un'entrata di scuti 5000 con che la trattò alla cavalleresca». Sposò Maddalena Bonesana figlia di Francesco («rimaritata nel conte Isidoro del Careto»).   Francesco «Fece aquisto de sudetti feudi di Gualdrasco e Villareggio nel vicariato di Settimo per istrumento 3 marzo 1705 rogato dal notaio Benag.a. Creato marchese per cesareo diploma». Sposò Francesca Paribelli di Nicolò da Sondrio nella Valtellina. Giovanni Saverio Secondo marchese di Gualdrasco e di Villareggio. Ereditò il cognome Bonesana del prozio Cesare Bonesana. Con decreto, entrò a far parte del patriziato milanese. Sposa Cecilia Baldironi Maria Visconti di Saliceto Cesare Terzo marchese di Gualdrasco e di Villareggio. Sposò  Teresa de Blasco Anna Barbò    Giulia Sposò Manzoni.   Anna Maria Aloisia Giovanni Annibale    Margherita Teresa Giulio Quarto marchese di Gualdrasco e di Villareggio. Sposò Antonietta Curioni de Civati Francesca Cecilia Cesare Antonio Maddalena Sposò Giulio Cesare Isimbardi Tozzi. Annibale Sposò Marianna Vaccani Francesco Sposò  Rosa Conti (vedova Fè). Carlo Sposò Rosa Tronconi Giacomo Filippo Mariaabate   Carlo Teresamonaca Chiaramonaca Nicola Francesco Laureato in legge, membro del collegio dei giurisperiti, fu anche giudice a Milano e a Pavia. Giuseppe   Marianna Ignazio   Anna Maria Sposò un Cattaneo «fisico»   Gerolamo «Canonico ordinario del Duomo»   Angiola Sposò Alberto Priorino. Tendente al deismo  Il nome di «marchese di Beccaria», usato talvolta nella corrispondenza, si trova in molte fonti (tra cui l'Enciclopedia Britannica) ma è errato: il titolo esatto era «marchese di Gualdrasco e di Villareggio» (cfr. Maria G. Vitali, Cesare Beccaria. Progresso e discorsi di economia politica, Paris, Philippe Audegean, Introduzione, in Lione)  John Hostettler, Cesare Beccaria: The Genius of 'On Crimes and Punishments', Hampshire, Waterside Press, Indicata come "Ortensia" in Pompeo Litta, Visconti, in Famiglie celebri italiane. Zorzi, B.. Dramma della Giustizia, Milano, Pirrotta, art. cit  C. e M. Sambugar, D. Ermini,  Salà, op, cit..  Emanuele Lugli, 'B. e la riduzione delle misure lineari a Milano,' Nuova Informazione Bibliografica non riposa sul Lario  F.Venturi, Settecento riformatore, Einaudi, Torino, Sambugar, Salà, Letteratura modulare,  I  Dei delitti e delle pene, B., la scoperta della libertà, con Lucio Villari, Il tempo e la storia, Rai Tre  Dei delitti e delle pene, Dei delitti e delle pene,  Dei delitti e delle pene, Dei delitti e delle pene, Delle grazie  Dei delitti e delle pene, capitolo 27  I. Kant, La metafisica dei costumi, traduzione e note di G. Vidari, revisione di Merker, Roma-Bari, Laterza,   «Il marchese Beccaria, per un affettato sentimento umanitario, sostiene la illegalità di ogni pena di morte: essa infatti non potrebbe essere contenuta nel contratto civile originario, perché allora ogni individuo del popolo avrebbe dovuto acconsentire a perdere la vita nel caso ch'egli avesse a uccidere un altro (nel popolo); ora questo consenso sarebbe impossibile perché nessuno può disporre della propria vita. Tutto ciò però non è che sofisma e snaturamento del diritto».  Teatro genealogico delle famiglie nobili milanesi, su Hispanic Digital Library.  Felice Calvi, Il patriziato milanese, Milano. Nella genealogia settecentesca è indicato un Nicolò abbate.  Verri, Scritti di argomento familiare e autobiografico, G. Barbarisi, Roma, Franco Arese, Il Collegio dei nobili Giureconsulti di Milano, in Archivio Storico Lombardo, B., Ricerche intorno alla natura dello stile, Milano, Società tipografica de' classici italiani, B., Scritti e lettere inediti, Milano, Hoepli, B. Opere, I, Firenze, Sansoni, B., Opere, II, Firenze, Sansoni, Introduzione a Beccaria, Enza Biagini, Roma-Bari,Laterza, Antoine-Marie Graziani, Fortune de B., Commentaire, Dei delitti e delle pene Diritti umani Ergastolo Tortura Pena capitale Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  B. in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  B., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. B., su Enciclopedia Britannica, B., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. B., su Find a Grave.  Opere di B., su Liber Liber.  Opere di B. / B. (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di B.,. Audiolibri di B. su LibriVox.  Vita di C.Beccaria, su zam. V D M Coterie holbachiana V D M Illuministi italiani  Filosofia Letteratura  Letteratura Categorie: Giuristi italiani Filosofi italiani Economisti italiani Milano Milano Filosofi del diritto Illuministi Utilitaristi FUTILITARISTA ITALIANO -- Letterati italiani Oppositori della pena di morte Studiosi di diritto penale Criminologi italiani Storia del diritto Nobili italiani Studenti dell'Università degli Studi di Pavia. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Beccaria," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.  Delle idee espresse, e delle idee semplicemente suggerite. Un altra osservazione non meno importante che generale sarà intorno al diverso effetto che le idee accessorie pos sono produrre quando siano espresse coi termini loro corrispondenti, o quando siano semplicemente suggerite o destate nell' animo di chi legge o di chi ascolta. Espresse nuocerebbero al fascio intero del le sensazioni; destate solamente lo giovano, non solo perchè la picciola fatica che facciamo, e l'applauso interno del nostro ritrovato ci rinfranca l'attenzione sul restante, ma molto più perchè è legge della nostra sensibilità che tutt'altra forza abbiano le idee espresse e le taciute, e tutt'altra attenzione esigono da noi quel le che queste. Ora le attenzioni saranno tanto più lunghe o più frequenti, tanto più si nuocono tra di loro, e scemano l'attenzione al tutto; mentre per lo contrario quei lampi, rapidi e passeggieri di attenzione che balenano, in noi per tutte le idee espresse, e confusa per il tutto e debolissima sarà la percezione deile parti, o solamente ad alcune noi faremo idee accessorie e non espresse, accrescono delle sensazioni senza nuocere all'attenzione ed all'energia del tutto. Abbiamo semplicemente il numero dimostrato che la quantità d'impressione momentanea non deve eccedere che tre o quattro sensazioni ordinarie, perchè per tante e non più la mente umana è capace di una simultanea attenzione: la vivacità degli oggetti presenti non le concedono una maggior ampiezza ed u na maggiore comprensibilità. Nelle cose lette o ascoltate, in luogo della vivacità e della realità che è nell'oggetto quando è presente, vi è la vivacità e la realità della parola visibile o auditiva se noi dunque volessimo tutte le accessorie, che si tacciono, esprimere, veremmo ad offendere quella legge determina e limita la quantità d'impressioni simultanee, oltre la quale, o lo sforzo della mente si porterà su destate che le attenzione, cioè solamente di alcune l'immagine corrispondente alla parola si risveglierà nella mente, ed allora le altre parole rimanendo insignificanti. Se dunque una parola racchiude nel suo concetto molte e varie sensazioni, come 'spada', 'esercito', 'nave', ec. cosic chè la mente dalla parola medesima non sia determinata a considerar più l'una che l'altra delle sensazioni componenti  1 e terruzione al senso, e distruggeranno l'effetto delle altre in vece di aumentarlo., faranno i n 43 suc, ma sibbene sia piuttosto sforzata a co nsiderarle tutte in una volta, accaderà che condensando due o tre di queste parole intorno ad un'idea principale, vi saranno non due o tre accessorie soltanto unite e destinate ad aggiunger forza al la principale, ma invece un molto maggior numero, quante saranno le sensazioni egualmente comprese sotto i nomi di 'spada', 'esercito', 'nave', ec.: tutte queste varie e numerose sensazioni non essendo più immediatamente le une che le altre suggerite, tutte concorrono contemporaneamente ad associarsi colla principale; onde l'effetto reale che ne cede si è, che la fantasia nostra resta distratta é confusa. Per lo contrario, se invece de' nomi 'spada', 'esercito', 'nave', ec., si dicesse 'ferro', 'soldato', 'vele', e che questi nomi si condensassero attorno ad un'idea principale per formarne un senso, si osservi che le tre sole nozioni e precise sensazioni comprese nel proprio significato delle tres uddette parole si quelle ogni sono che immediatamente, e prima di altra, si risvegliano nella fantasia; saranno quelle che immediatamente si uniranno colla principale. Ma per forza di onde associazione non tra lascerà la parola di 'ferro' di suggerire rapidamente le altre sensazioni comprese sotto la parola 'spada'; quella di 'soldato', quelle di 'esercito'; quella di 'vele', quelle di 'navi'. Ma essendo priamente queste sensazioni suggerite pro associate colle parole 'ferro', 'soldato', e 'vele', ma con le idee che nuocere alla principale così facilmente. Ecco chiaramente spiegato ciò st che io intendo per idee suggerite e per idee espresse, mentre però tutta questa teoria sarà resa più evidente dopo che nel progresso io avrò parlato de' nomi speciali ed appellativi, e de' traslati. sono. E de sta que immediatamente risvegliano, non pos Le idee semplicemente suggerite non entrano nella sintassi della proposizione, la quale regge senza di quelle: non sono non SI. Accipite hanc animam, me que his exolvit e curis, quanta folla d'idee si risveglia in chi legge quelle sole parole, in quella occasione dette, dulces exuviae: la sintassi regge senza che si risveglino queste idee, onde la mente non trovasi affaccendata a raccapezzare un senso complicato e in molte parti diviso e coll'accennar sol tanto la spada di Enea sotto il nome di una spoglia, cioè di una cosa da lui portata e da lui ricevuta in dono, quanto teneri e contrastanti sentimenti non ci sentiamo fremere interiormente!  Egli è evidente che una medesima serie d'idee per intervalli di tempo più lunghi occupa la mente se siano espresse, di quello che se siano taciute, per chè un maggior tempo si consuma nella percezione della parola, per la durata della quale si continua la presenza dell'idea corrispondente di quello che sia con durevoli nella mente quanto le idee che eccitate sono dalle parole immediatamente, quantunque come le altre, alla occasione di quelle, si risveglino; onde con minore dispendio ditempo e di forzesi ottiene un più grande effetto. Quando VIRGILIO fa dire à Didone: 'Dulces exuviae dum futa, Deusque sinebant,  a rendere più tarda e più lontana la connessione tra le idee principali, il che renderebbe annoiante e faticoso il netto coucepimento del tutto, oppure essunto nella rapida ed affollata successio ne d'imagini che per forza di associa zione si eccitano reciprocamente. Tanto è ciò vero, che non sarà inutile il qui osservare che molte espressioni non so no preferibili alle altre, se non appunto perchè la sensazione auditiva o della parola è materialmente più dell' altra. È più bella e più nobile pressione la parola cocchio della carrozza non per es parola visibile breve l'azzardo capriccioso dell'esser meno comune ed avilita pressione, giacchè tant'altre che nelle bocche di tutti sieno continuamente; cio nonostante nè si rigettano, nè per meno belle son riputate, ma soltanto perchè è parola più breve, e l'idea da un più rapido segno è rappresentata; onde si ottiene lo stesso effetto con minore spesa di forza e ditempo. Ora se le idee taciute fossero tutte espresse, noi verremmo mente nostra dividerebbe in più tempi ciò che per l'unità dell'idea principale dovrebbe essere rinchiuso in un solo; il che rendendo l'accessorio principale, pro la durrebbe e confusione nella chiarezza, e noia nelle unioni diseguali e sproporzionate d'idee fatte nella mente nostra. Tanto è vero che il tempo (che altro nonè per noi che la successione delle idee degli esseri sensibili) è una quantità alla quale non la scienza del moto solamente, ma le scienze tutte e le belle ti e la politica debbono aver considerazione; perchè tutte le più fine e le più sottili ed interiori, egualmente che le più complicate e più grossolane ed esteriori operazioni dell'intelletto sotto l'inesorabile suo dominio si fanno e si manifestano. Fra la moltitudine delle idee accesso rie che si presentano, quali sceglieremo per essere espresse, quali serberemo per essere semplicemente destate? In primo luogo, tramolte accessorie analoghe e moltissimo simili fra di loro, e che si risvegliano reciprocamente ed infallibilmente l'una l'altra, una sola sarà l'espressa, le altre taciute; perchè se tutte fossero espresse, ciascheduna espressione replicando le idee di tutte le altre, vi sarebbe superfluità e ridondanza che fastidio produrrebbe e stanchezza, e d i spendio di tempo. La ripetizione delle idee accessorie non produce lo stesso. In secondo luogo, tra la moltitudine delle idee accessorie vi saranno, oltre le analoghe, quelle che sono più distanti, ciascheduna delle quali avrà le sue rispettive simili ed associate: di queste ognu na apre la mente ad una serie d'impressioni, e sono direi quasi capi -idee e c a pi- pensieri; queste saranno le espresse, perchè non si destano reciprocamente, ed  effetto della ripetizione delle idee principali; queste si rinfrancano come tali nella mente, e divengono perciò come un centro di luce che il tutto riscalda e rischiara; quelle ripetute annebbiano e dissipano l'attenzione dalle principali: per lo contrario, se una sola sia 1 espressa, le altre analoghe semplicemente destate, la quantità d'idee ed'impressione rinchiusa in una sola espressione diviene più grande, e per conseguenza più piacevole, restando picciola la insipida sensazione dell'udito l'occhio, che abbiamo tempo considerabile esige le idee e dell'immaginazione: così veniamo ad ottenere un più grand'effetto in più breve tempo; problema è solo l'oggetto de'meccanici, ma della morale e della politica, anzi di tutta la filosofia e del visto che un a che non to spese del   necessa  è necessaria l'espressione per eccitare, ossia perchè la mente possa percorrere tutte queste differenti progressioni d'idee. Sarà dunque eccellente la combinazione di quelle accessorie colla principale, in cui tutte le accessorie espresse siano ca pi-pensieri, e non molto analoghi ed associati tradi loro, e moltissimo colla principale per una delle tre indicate sorgenti per cui le idee vicende volmente si legano. Una riflessione soggiungo intorno al l'effetto delle idee espresse e taciute; cioè che tra una espressione e l'altra, per i limiti e la debolezza de'sensi esterni, tanto per mezzo dell'occhio quanto per mezzo dell'udito, corre un picciolo intervallo di tempo e, per così dire, di silenzio e di riposo: se vi sono idee desta te e non espresse, queste come lampi di mente riempiono questo vuoto senza stan chezza; ma se tutte sono espresse, si moltiplicano i vuoti e non si riempiono; il che porta diminuzione di piacere e stanchezza per l'aumentata fatica delle espressioni da leggersi o da ascoltarsi. Quanto più grandi epiù forti saranno le idee accessorie espresse, tanto più numerose pos ono essere le idee taciute, ma riamente destate da quelle, perchè l'efficacia delle prime tende e rinforza l'attenzione che con più rapidi voli slancia si ad abbracciare le idee non espresse senza pregiudicare all'interesse del tutto, e perchè espressioni più grandi e più forti fermano l'immaginazione di chi legge o d'ascolta, essendo manifesta legge della mente nostra di trovarsi obbligata ad impiegar un tempo maggiore nella considerazione delle idee a misura che sono più grandi e più forti: onde per questo tempo necessario, per questa dimora, per così dire, della mente su di un oggetto, quantunque egli medesimo per la forza é grandezza sua esiga tutto questo tempo maggiore di attenzione, cio nonostante la mente, dall'impeto concepito a percorrere una serie d'idee quasi trattenuta, più facilmente potrà ricevere altre idee rapidamente risvegliate all'occasione di espressioni forti ed energiche. Chi ben considera, e ritorna sulla esperienza dell'animo suo, potrà facilmente scorgere che sempre che un grande ed interessante o ggetto fermi il pensiero, e percuota improvvisamente l' immaginazione, questa dopo considerato quell'oggetto, nell'atto che si riscuote e si risveglia dall' inten sione nella quale trovavasi, per così dire, attuatae raccolta, non si abbandona su bito all'ordinaria impressione delle cose che le stanno d'attorno, ma sibbene de stasi in lei una moltitudine d'idee tutte relative non solo a quella straordinaria impressione che l'ha percossa, ma ancoraa se stessa, ed alle passioni dalle quali è dominata. È da ciò che i boschi, nei cupi e vari ravvolgimenti dei quali erra il pensiero, che le solitudini antiche dei monti ove signoreggia illimitata la natura, che la vista del mare che si allarga fra mille nazioni, oggetti immensi e tanto occupanti l'attonita immaginazione, som no ricercati da coloro che più amano di pascolare i loro pensieri, ed esercitar l'animo liberamente e senza distrazioni dal la considerazione di se medesimi; mentre coloro i quali odiano di rientrare in se stessi, e cercano fuggire in certo modo e sottrarsi dal sincerissimo accusatore pensiero, si gettano nel minuto e sempre u niforme vortice della vita comune, gli oggetti della quale sono atti bensi a spin  51 ľ 1 gertato l'animo fuori di se stesso in un continuo movimento, ma non a fermarlo, e renderlo attonito e pensieroso. Per lo contrario, più picciole e più deboli saranno le accessorie espresse; la scelta si farà su di quelle che ne risvegliano un minor numero, perchè la differenza tra le une e le altre essendo minore, e sovente più importanti e più forti potendo essere le destate che le espresse, si corre rischio che le idee dell'autore siano perdute divista, e confuso ed interrotto riesca l'effetto del tutto sopra le immaginazioni varie e non legate da sufficientemente forti ed esterne sensibili manifestazioni. Le deboli accessorie espresse, secondo abbiamo di mostrato, debbono essere molte, accioc chè il numero compensi la debolezza; m a molte idee espresse occupano un tempo ch' esclude molte idee taciute o sottinte se, altrimenti di troppo allontaneremo il concepimento dell'idea principale. Le accessorie forti, per una contraria ragio ne, debbono essere poche in ciascun m o mento d'impressione; m a poche forti la scierebbero del vuoto negli intervalli n e cessari dell'espressione,che da molte idee non espresse debb'essere supplito. Delle idee espresse, e delle idee semplicemente suggerite. Un altra osservazione non meno importante che generale è intorno al diverso *effetto* che una idea *accessoria* puo produrre quando è *espressa* col termino corrispondente, o quando è *semplicemente suggerita o *destata* nell'animo di chi ascolta. Espressa nuocerebbero al fascio intero della sensaziona; destata solamente lo giove, non solo perchè la picciola fatica che facciamo e l'applauso interno del nostro ritrovato ci rinfranca l'attenzione sul restante, ma molto più perchè è legge della nostra sensibilità che tutt'altra forza ha la idea espressa e la idea taciuta, e tutt'altra attenzione esigono da noi quella le che questa. Ora l'attenzione è tanto più lunga o più frequente, tanto più si nuocono tra di se, e scema l'attenzione al tutto. Mentre per lo contrario quei lampi, rapidi e passeggieri di attenzione che balenano, in noi per la idea espressa, e confusa per il *tutto* e debolissima è la percezione della *parte* o solamente ad alcune noi faremo idea accessoria e non espressa, accrescono della sensazioni senza nuocere all'attenzione ed all'energia del tutto. Abbiamo semplicemente il numero dimostrato che la quantità d'impressione momentanee non deve eccedere che *tre o quattro* sensazioni ordinarie, perchè per tante e non più la mente umana è capace di una simultanea attenzione. La vivacità dell'oggetto presenti non le concede una maggior ampiezza ed una maggiore comprensibilità. Nella cosa ascoltate, in luogo della vivacità e della realità che è nell'oggetto quando è presente, vi è la vivacità e la realità dell'*espressione* se noi dunque volessimo l'accessoria, che si tacce, esprimere, veremmo ad offendere quella legge determina e limita la quantità d'impressioni simultanee, oltre la quale, o lo sforzo del recipiente si porterà su destate che le attenzione, cioè solamente di alcune l'immagine corrispondente all'espresione si risveglie nella mente, ed allora le altre espressioni rimaneno insignificanti. Se dunque un'espressione racchiude nel suo concetto o senso molte sensazioni -- come 'spada', 'esercito', o'nave' -- cosicchè la mente dall'espressione medesima non sia determinata a considerar più l'una che l'altra delle sensazioni componenti e l'interruzione al *senso* della profferenza, e distruggeranno l'effetto delle altre espressione in vece di aumentarlo., faranno in suc, ma sibbene sia piuttosto sforzata a considerarle tutte le sensazioni in una volta, accade che, condensando l'espressione intorno ad un'idea *principale*, vi è un'idea accessoria soltanto unita e destinata ad aggiunger forza alla idea principale, ma invece un molto maggior numero, quante sono le sensazioni egualmente comprese sotto l'espressione 'spada', o 'esercito' o  'nave'. Le varie sensazioni, non essendo più immediatamente le une che le altre suggerite, concorrono contemporaneamente ad associarsi coll'idea principale. Onde l'effetto reale che ne cede si è, che la fantasia nostra resta distratta é *confusa*. Per lo contrario, se invece dell'espressione 'spada', o 'esercito', o 'nave', si dicesse 'ferro', o 'soldato', o 'vele', e che questa espressione si condensa attorno ad un'idea principale per formarne un senso, si osserva che la sola nozione e precisa sensaziona compressa nel proprio significato dell'espressione 'ferro', o 'soldato' o 'vele', si quelle ogni sono che immediatamente, e prima di altra, si risvegliano nella fantasia -- è quella che immediatamente si une coll'idea principale. Ma per forza di onde associazione non tra lascerà l'espressione 'ferro' di suggerire rapidamente altre sensazioni comprese sotto l'espressione 'spada'; quella di 'soldato', quelle di 'esercito'; quella di 'vele', quelle di 'navi'. Ma essendo priopiamente questa o quella sensazione *suggerita* propriamente, associata coll'espressione 'ferro' o 'soldato' o 'vele', ma colla idea che nuocere all'idea principale così facilmente. Ecco chiaramente spiegato ciò che io intendo per una *idea suggerita* e per una *idea espressa*, mentre però tutta questa teoria è resa più evidente nel nome o espressione speciale, l'appellativo, e nel traslato. E de sta que immediatamente risvegliano, non pos. Un'*idea semplicemente suggerita* non entra nella sintassi o forma logica della proposizione, la quale regge senza di quella. Non sono non. Quando Virgilio fa dire à Didone: 'Dulces exuviae dum futa, Deusque sinebant, accipite hanc animam, me que his exolvit e curis" --  quanta folla d'idee si risveglia in chi ascolta quelle sole espressioni, in quella occasione dette, 'dulces exuviae'. La sintassi latina regge senza che si risveglino quest'idea semplicemente suggerita, onde la mente non trovasi affaccendata a raccapezzare un *senso complicato* e in molte parti diviso e coll'accennar sol tanto la spada di Enea sotto l'espressione di una spoglia, cioè di una cosa da lui portata e da lui ricevuta in dono, quanto teneri e contrastanti sentimenti non ci sentiamo fremere interiormente!  Egli è evidente che una medesima idea per intervalli di tempo più lunga occupa la mente se è espressa, di quell'idea che se è taciuta, per chè un maggior tempo si consuma nella percezione dell'espressione, per la durata della quale si continua la presenza dell'idea corrispondente di quello che sia con durevoli nella mente quanto le idee che eccitate sono dall'espressione *immediatamente*, quantunque come le altre, alla occasione di quelle, si risveglino; onde con minore dispendio di tempo e di forze si ottiene un più grande effetto.  a rendere più tarda e più lontana la connessione tra le idee principali, il che renderebbe annoiante e faticoso il netto coucepimento del *tutto*, oppure essunto nella rapida ed affollate imagini che per forza di associazione si eccitano reciprocamente. Tanto è ciò vero, che non è inutile il qui osservare che un'espressione E1 non e preferibili ad altr'espressione E2, se non appunto perchè la sensazione auditiva o dell'espressione è materialmente più dell' altra. È più bella e più nobile pressione l'espressione 'cocchio' (o 'se p, q') dell'espressione 'carrozza' (o 'p o non q') non per l'azzardo capriccioso dell'esser meno comune ed avilita epressione, giacchè tant'altra che nella bocca di tutti è continuamente. Cio nonostante nè si rigettano, nè per meno bella è  riputata, ma soltanto perchè è espressione più breve e l'idea da un più rapido segno è rappresentata. Onde si ottiene lo stesso effetto con minore spesa di forza e di tempo. Ora se l'idee taciuta divienne espressa, noi verremmo la mente nostra dividerebbe in più tempi ciò che per l'unità dell'*idea principale* dovrebbe essere rinchiuso in un solo; il che rendendo l'idea accessoria una idea principale, pro la durrebbe e *confusione* nella chiarezza, e noia nelle unioni diseguali e sproporzionate dell'idea fatta nella mente nostra. Tanto è vero che il tempo, che altro non è per noi che la successione delle idee degli esseri sensibili, è una quantità alla quale non la scienza del moto solamente, ma le scienze tutte e le belle ti e la politica debbono aver considerazione. Perchè la più fina e la più sottile ed interiore, egualmente che la più complicata e più grossolana ed esteriore operazioni dell'intelletto sotto l'inesorabile suo dominio si fanno e si manifestano. Fra l'idea accessoria che si presenta, quali sceglieremo per essere espressa, quali sceglieeremo per essere *semplicemente destata*? In primo luogo, tra una accessoria analoga e moltissimo simile e che si risveglia reciprocamente ed infallibilmente l'una l'altra, *una sola* sarà l'espressa (l'acqua liquida), l'altra *semplicemente* taciuta. Perchè se 'liquida' è espressa, ciascheduna espressione replicando l'idea è  superfluità e ridondanza che fastidio produrrebbe e stanchezza, e di spendio di tempo. La ripetizione di una idea accessoria non produce lo stesso. Tra l'*idea accessoria* è, oltre l'analoga, quelle che è più distante (disparata), ciascheduna delle quali ha la sua rispettiva simile ed associata (acqua liquida, bambino non-adulto). Di questa ognuna apre la mente del co-conversatore ad una serie d'impressioni, e è direi quasi capi-idea e capi-pensiero. Questa è l'idea accessoria *espressa*, perchè non si desta reciprocamente, ed effetto della ripetizione dell'idea principale ('bambino'). Questa si rinfranca come tale nella mente, e divienne perciò come un centro di luce che il *tutto* ('il bambino è un'adulto') riscalda e rischiara. Quella (non-adulto) ripetuta annebbia e dissipa l'attenzione dall'idea principale ('bambino'). Per lo contrario, se una sola sia l'idea espressa, le altr'analoga *semplicemente destata*, la quantità dell'idea e dell'impressione rinchiusa in una *sola* espressione ('bambino' = umano non adulto) diviene più grande, e per conseguenza più piacevole, restando picciola la insipida sensazione dell'udito, che abbiamo tempo considerabile esige le idee e dell'immaginazione. Così veniamo ad ottenere un più grand'effetto in più breve tempo; Questo problema non è solo l'oggetto de'meccanici, ma della morale e della politica, anzi di tutta la filosofia! Abbaimo visto che un a che non to spese del  necessa  è necessaria l'*espressione* per *eccitare* (o comunicare), ossia perchè la mente possa percorrere la progressione dell'idea del discorso. Sarà dunque eccellente la combinazione di quell'idea accessoria coll'idea principale, in cui l' accessorie espresse siano capi-pensieri ('ha una calligrafia bellissima') e *non* molto analoga ed associata e moltissimo coll'idea principale ('è un pessimo filosofo') per una delle ndicate sorgenti per cui le idee vicende volmente si legano. Una riflessione soggiungo intorno al l'effetto dell'idea espresse e dell'idea taciuta. Tra una espressione E1 e l'altra, E2, per i limiti e la debolezza de' sensi esterni, tanto per mezzo dell'udito, corre un picciolo intervallo di tempo e, per così dire, di silenzio e di riposo. Se vi è  idea semplicemente destata e non espressa, questa come lampi di mente riempiono questo vuoto senza stanchezza. Ma se l'idea è espressa, si moltiplicano i vuoti e non si riempiono; il che porta diminuzione di piacere e stanchezza per l'aumentata fatica dalla quantita d'informazione dell'espressione totale (ill moto conversazionale) da interpretare. Quanto più grande e più *forte* ('bella calligrafia) è  l'idea accessoria espressa, tanto più numerosa puo essere l'idea semplicemente taciute, ma riamente destata da quelle, perchè l'efficacia dell'idea espressa tende e rinforza l'attenzione che con più rapidi voli slancia si ad abbracciare l'idea non espressa ('è  un pessimo filosofo') senza pregiudicare all'interesse dell'espressione totale, e perchè l'espressione più grande e più forte ferma l'immaginazione del co-discorsante, essendo manifesta legge della mente nostra di trovarsi obbligata ad impiegar un tempo maggiore nella considerazione di una idea ('è un pessimo filosofo?') a misura che è  più grande e più forte. Onde per questo tempo necessario, per questa dimora di processamento, per così dire, della mente su di un oggetto, quantunque egli medesimo per la forza e grandezza sua esiga tutto questo tempo maggiore di attenzione, cio nonostante la mente, dall'impeto concepito a percorrere un'idea quasi trattenuta, più facilmente puo ricevere altr'idea rapidamente risvegliata all'occasione di una espressione forte ed energica ('Ha bella calligrafia'). Chi ben considera, e ritorna sulla esperienza dell'animo suo, puo facilmente scorgere che sempre che un grande ed interessante oggetto fermi il pensiero, e percuota improvvisamente l' immaginazione, questa dopo considerato quell'oggetto, nell'atto che si riscuote e si risveglia dall' intensione nella quale trovavasi, per così dire, attuata e raccolta, non si abbandona subito all'ordinaria impressione delle cose che le stanno d'attorno, ma sibbene destasa in lei un'idea relativa non solo a quella straordinaria impressione che l'ha percossa, ma ancora a se stessa, ed alla passione dalla quale è dominata. È da ciò che i boschi, nei cupi e vari ravvolgimenti dei quali erra il pensiero, che le solitudini antiche dei monti ove signoreggia illimitata la natura, che la vista del mare che si allarga fra mille nazioni, oggetti immensi e tanto occupanti l'attonita immaginazione, sono ricercati da coloro che più amano di pascolare i loro pensieri, ed esercitar l'animo liberamente e senza distrazioni dal la considerazione di se medesimi. Mentre chi odia di rientrare in se stessi, e cerca fuggire in certo modo e sottrarsi dal sincerissimo accusatore pensiero, si getta nel minuto e sempre u niforme vortice della vita comune, gli oggetti della quale sono atti bensi a spingertato l'animo fuori di se stesso in un continuo movimento, ma non a fermarlo, e renderlo attonito e pensieroso. Per lo contrario, più picciola e più debole è  l'idea accessoria espressa. La scelta si farà su di quelle che ne risvegliano un minor numero, perchè la differenza, essendo minore, e sovente più importanti e più *forti* potendo essere l'idea destata che l'idea espressa, si corre rischio che le idea, intenzione, significato dell'autore è perduto (involontariamente) di vista, e confuso ed interrotto riesca l'effetto del tutto o l'espressione totale sopra l'immaginazione non legata da sufficientemente forte ed esterne sensibile manifestazione ('-- è  un pessimo filosofo'). L'idea debola accessoria espressa debbe essere molte, acciocchè il numero compensi la debolezza. Ma un'idea espressa ('bambino) occupa un tempo ch'*esclude* un'idea taciuta o sottintesa ('non-adulto'), altrimenti di troppo allontaneremo il concepimento di un'idea principale. L'idea accessoria forte, per una contraria ragione, debbe essere minima in ciascun momento d'impressione. Ma poche forti la scierebbero del vuoto negli intervalli n e cessari dell'espressione,che da molte idee non espresse debb'essere supplito. Dello espresso e dello semplicemente suggerito, un’osservazione non meno importante che generale è intorno al diverso effetto che una proposizione, non principale, ma *accessoria*, puo produrre quando *espressa* o quando è semplicemente suggerita dal conversatore, o destata nell'animo di chi con che conversa. Espressa nuocerebbero al fascio intero della sensazione; destata solamente lo giove, non solo perchè la picciola fatica che facciamo e 1'applauso interno del nostro ritrovato ci rinfrancano l'attenzione sul restante, ma molto più perche è legge della nostra sensibilità che tutt’altra forza ha una proposizione espressa e una proposizione taciuta o semplicemente suggerita, e tutt’ altra attenzione esigono da noi conversatori civile quella che questa. Ora l'attenzione è tanto più lunga o più frequente, tanto più si nuoce tra di se, e scema l’attenzione al tutto comunicato; mentre per lo contrario quei lampi rapidi e passaggeri d'attenzione, che balenano bruci per la proposizione accessoria *semplicemente suggerita* o destata e *non* espressa, accresce il numero di sensazione senza nuocere all’attenzióne ed all'energia del tutto comunicato. La quantità d’impressione momentanea non deve eccedere che tre o quattro sensazioni ordinarie, perchè per tante, e non più, la mente umana è capace di una simultanea attenzione. La vivacità di un oggett presente -- la spada di Enea -- non le concedono ima maggior ampiezza ed una maggiore comprensibilità. Nell'espresso, in luogo della vivacità e della realità che è nell'oggetto quando è presente, vi è la vivacità e la realità della *espressione* che representa (di modo iconico o altro) la spada d'Enea. Se noi dunque volessimo la proposizione accessoria che si taccie esprimere verressimo ad offendere quella legge che determina e limita la quantità d'impressioni simultanee, oltre la quale, o lo sforzo d'interpretazione si porterà su il tutto communicato (espresso e semplicemente suggerito) e confusa per il tutto e debolissima sarà la percezione delle due parti (l'espresso e lo semplicementee suggerito) o solamente ad alcune, noi faremo attenzione cioè solamente di alcune 1'immagine o concetto o segnato o significato o senso corrispondente all'espressione si risveglie nella mente, ed allora un altr'espressione rimanendo *insignificanti* o superflua, fa inter- ruzione al senso della proposizione comunicata, e distrugge l'effetto delle altre in vece di aumentarlo. Se dunque una proposizione espressa racchiude nel suo concetto molte e varie sensazioni, come "Questa spada e bella", "L'esercito e bravo", "La nave va," ec., cosicché la mente dalla proposizione espressa medesima noù sia determinata a considerar più l'una che 1'altra delle sensazioni componenti ma sibbene sia piuttosto sforzata a considerarle tutte in una volta accaderà che condensando due o tre di queste proposizioni intorno ad un proposizione *principale*, vi saranno non due o tre proposizioni accessorie soltanto unite e destinate ad aggiunger forza alla proposizione principale, ma invece un molto maggior numero quante saranno le sensazioni egualmente comprese sotto la proposizione espressa, "La spada e bella", "L'esercito e bravo," "La nave va", e tutte queste varie e uumerose sensazioni, non essendo più immediatamente le uno che le altre suggerito, tutte concorirono contemporaneamente ad associarsi colla proposizione principale; onde l'effetto reale che ne succede è, che la fantasia di nostro conversatore resta distratta e confusa. Per lo contrario, se invece della proposizione "La spada e bela", "L'esercito e bravo", "La nave ve", spa* da si dicesse "Il ferro e formidable", "Il soldato e bravo", "Le vele va", e che questi proposizioni si condensassero attorno ad una proposizione principale per formarne il senso complesso, si osservi che le tre sole nozioni e precise sensazioni comprese nel proprio significato o senso delle tre suddette proposizione espresse piu specifica sono quelle che immediatamente e, prima d’ ogn’ altra si risvegliano nella fantasia. Onde saranno quelle che immediatamente si uniranno colla principale. Ma per forza di associazione non tralascerà la parola di fer- ro di suggerire rapidamente le altre sensazioni comprese sotto la parola spada quella di soldato quelle di;, esercito quella di vele quelle di navi.;, Ma non essendo queste sensazioni suggerite propriamente associate colle parole ferro, soldato e vele, ma Con le idee che queste immediatamen- te risvegliano non possono nuocere, alla principale così facilmente. Ecco chiaramente spiegato ciò che io in- tendo per idee suggerite e per idee * espresse, mentre però tutta questa teoria sarà resa più evidente dopo ‘ che nel progresso io avrò parlato de’ nomi speciali ed appellativi, e de’ traslati. Ee idee semplicemente, suggerite   3o non entrano nella sintassi della pro- posizione la quale regge senza di, quelle: non sono durevoli nella mente quanto le idee che eccitate sono dal- le parole immediatamente, quantunque come le altre alla occasione di quelle si risveglino; onde con mino- re dispendio di tempo e di forze si ottiene uu più grande effetto. Quando VIRGILIO (si veda) fa dire a Didone: Dulces exuviae dum fata, Deusque sinebant, Accipite hanc animam, meque his exolvite curi», quanta folla d’idee si risveglia in citi legge quelle sole parole, in quella occasione dette, dulces exuviaes la sin- tassi regge senza che si risveglino queste idee, onde la mente non tro- vasi affacceudata a raccapezzare un senso complicato e in molte parti diviso; e coll* accennar soltanto la spada di Enea sotto il nome di una spoglia, cioè di una cosa da lui por- tata e da lui ricevuta in dono quanto teneri e contrastanti sentimenti noa ci sentiamo fremere interiormente! Egli è evidente che una medesi- ma serie d’idee per intervalli di tempo più lunghi occupa la menta se siano espresse, di quello che se siane taciute perchè un maggior tempo,  $T si cotìsuma nella percezione della pa- rola per la durata della quale si con- tinua la presenza deir idea corrispondente di quello che sia consunto, nella rapida ed affollata successione d’immagini che per forza di associa- zione si eccitano reciprocamente. Tan- to è ciò vero, che non sarà inutile il qui osservare ohe molte espressioni non sono preferibili alle altre appunto perchè la sensazione auditiva o visibile della parola è materialmen- te più breve dell’ altra. E più bella e più nobile espressione la parola cocchio della parola carrozza non per l’azzardo capriccioso dell’ esser meno comune ed invilita espressione, giacché tant’altre che nelle bocche di tutti sieno contiuuamente cionono-; stante nè si rigettano nè per meno belle son riputate, ma soltanto perchè è parola più breve, e l’idea da un più rapido segno è rappresentata; onde si ottiene lo stesso effetto con minore spesa di forza e di tempo Ora se le idee taciute fossero tutte espresse, noi verressimo a rendere più tarda e più lontana la connessione tra le idee principali il che rende-, rebbe annojaote e faticoso il netto, se non. Sa concepimento del tutto, oppure fa mente nostra dividerebbe in più tem- pi ciò che per 1’ unità dell’ idea principale [GRICE CENTRALITY] dorrebbe essere rinchiuso in un solo; il che rendendo 1’accessorio principale, produrrebbe e confusione nella chiarezza, e noja nelle unioni diseguali e sproporzionate d’ idee fatte nella mente nostra. Tanto è vero che il tempo (che altro non è per noi che la successione delle idee degli es- è una quantità alla qua- le non la scienza del moto solamente, ma le scienze tutte e le belle arti e la politica debbono aver considera- zione perchè tutte le più fine e le; più sottili ed interiori egualmente, che le più complicate e più grossolane ed esteriori operazioni dell’ intel- letto, sotto l’ inesorabile suo dominio si fanno e si manifestano. Fra la moltitudine delle idee accessorie che si presentano, quali sceglieremo per essere espresse, quali serberemo per essere semplicemente destate? In primo luogo tra molte accessorie analoghe e moltissimo simili fra di loro, e che si risvegliano reci- procamente ed infallibilmeute l* una l’ altra uua sola sarà 1’espressa > le y peri sensibili ) altre taciute perchè se tutte fossero; espresse, ciascheduna espressione re- plicando le idee di tutte le altre, vi sarebbe superfluità e ridondanza che, fastidio produrrebbe e stanchezza e dispendio di tempo. La ripetizione delle idee accessorie non produce lo stesso effetto della ripetizione delle idee principali queste si rinfrancano; come tali nella mente, e divengono perciò come un centro di luce che il tutto riscalda e rischiara quelle ripetute annebbiano e dissipano 1’attenzione dalle principali: per lo contrario se una sola sia 1’espressa le altre analoghe semplicemente destate, la quantità d’ idea e d’impressione rinchiusa in una sola espressione di- viene più grande, e per conseguenza più piacevole restando picciola la, insipida sensazione dell’udito e dell’occhio che abbiamo visto che uu, tempo considerabile esige a spese delle idee e dell’immaginazione: così veniamo ad ottenere un più grand’effetto in più breve tempo problema che; nonè solo l’oggetto de’meccanici ma della morale e della politica anzi, di tutta la filosofia. lu secondo luogo, tra la moltituaine dell’idee accessorie vi saran- no, oltre le analoghe, quelle che sodo più distanti, ciascheduna delle quali avrà le sue rispettive simili ed asso- ciate; di queste ognuna apre la mente ad una serie d’impressioni, e sono direi quasi capi-idee e capi-pensieri; queste saranno l’ espresse perchè non, si destano reciprocamente ed è ne-, cessaria F espressione per eccitare ossia perchè la mente possa percorre- re tutte queste differenti progressioni d’ idee. Sarà dunque eccellente la combinazione di quelle accessorie colla principale in cui tutte le accessorie espresse siano capi-pensieri, e non molto analoghi od associati tra di loro, e moltissimo colla principale per una delle tre indicate sorgenti per cui le idee vicendevolmente si legano. Una riflessione soggiungo intorno all’effetto delle idee espresse e ta- ciute; cioè che tra una espressione e F altra, per i limiti e la debolezza de’ sensi esterni, tanto per mezzo dell’occhio quanto per mezzo dell’udito, corre un piccolo interval- lo di tempo e, per così dire, di silenzio e di riposo se vi sono idee;  queste come lampi di mente riempiono questo voto senza stanchezza; ma se tutte sono espresse, moltiplioano i voti e non si riempiono il che porta diminuzio- mentata fatica delle espressioni da leg- gersi o da ascoltarsi. Quanto più grandi e più forti saranno le idee acces- sorie espresse tanto più numerose, destate e non espresse; ne di piacere e stanchezza per 1’au. possono essere le idee taciute, ma necessariamente destate da quelle, perchè l* efficacia delle prime tende e rinforza 1’attenzione che con più rapidi voli slanciasi ad abbracciare le idee non espresse senza pregiudicare all’interesse del tutto, e perchè espressioni più grandi e più forti fermano l’immaginazione di chi legge od ascolta, essendo manifesta legge della mente nostra di trovarsi obbli- gata ad impiegar un tempo maggiore nella considerazione delle idee a misura che sono più grandi e più forti: onde per questo tempo necessario, per questa dimora per così dire della,, mente su di un oggetto quantunque, egli medesimo per la forza e grandezza sua esiga tutto questo tempo maggiore di attenzione ciononostan-, Digitized by Google   36 te la mente, dall’impeto concepito percorrere una serie d’ idee quasi trat- tenuta più facilmente potrà ricevere, altre idee rapidamente risvegliate all’occasione di espressioni forti ed energiche: chi ben considera torna sulla esperienza dell’animo suo potrà facilmente scorgere che sempro che un grande ed interessante oggetto fermi il pensiero, e percuota improvvisamente l’immaginazione, questa do- po considerato quell’oggetto, nell’atto che si riscuote e si risveglia dall’intensione nella quale trovavasi, per così dire, attuata e raccolta non si, abbandona subito all’ordinaria impressione delle cose che le stanno d’ at- torno ma sibbene destasi in lei una, moltitudine d’idee tutte relative non solo a quella straordinaria impressione che l’ha percossa ma ancora a,, ed alle passioui dalle quali se stessa è dominata. E da ciò che i boschi nei cupi e varj ravvolgimenti dei quali erra il pensiero, che le solitudini an- tiche de’ monti ove signoreggia illimitata la natura che la vista del, mare che si allarga fra mille nazioni, oggetti immensi e tanto occupanti l’attonita immaginazione, sono ricer-, e ricati da coloro che piu amano di pa- scolare i loro pensieri, ed esercitar l’animo liberamente e senza distrazioni dalla considerazione di se medesimi; mentre coloro i quali odiano di rientrare in se stessi, e cercano fuggire in certo modo e sottrarsi dal sincerissimo accusatore pensiero si, gettano nel minuto e sempre uniforme vortice della vita comune, gli oggetti della quale sono atti bensì a spioger l’animo fuori di se stesso in un coutinuo movimento, ma non a fermarlo, e renderlo attonito e pensieroso. Per lo contrario, più picciole e più deboli saranno le accessorie espresse, la scelta si farà su di quel- le che ne risvegliano un minor nu- mero, perchè la differenza tra le mie e le altre essendo minore, e sovente piu importanti e più forti potendo essere le destate che l’espresse si, corre rischio che le idee dell’ autore siano perdute di vista e confuso ed, interrotto riesca l’effetto del tutto sopra le immaginazioni varie e non legate da sufficientemente forti ed esterno sensibili manifestazioni. Le deboli accessorie espresse, secondo ab- biamo dimostrato debbono essere, molte, acciocché il numero compenti la debolezza; ma molte idee espresse occupano un tempo eh* esclude molte idee taciute o sottintese, altrimenti di troppo alloutaneressimo il concepimento dell’ idea principale. Le ac- cessorie forti, per una contraria ragione debbono essere poche in cia-, scun momento d’impressione; ma po- che forti lascierebbero del voto ne- gl* intervalli necessarj dell* espressione che da molte idee non espresse debb’essere supplito. Cesare Beccaria. Keywords: implicatura conversazionale, Virgilio, l’implicatura di Didone.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Beccaria” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Becchi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’incubo – scuola di Genova – filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Genova). Filosofo genovese. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “Becchi is pretty controversial; a good reason why he is not invited to the New World for “Italian Studies”! – My favourite is his tract mocking Umberto Eco’s “Il pnedolo di Foucault,” “L’incubo di Foucault”! – But Becchi is a jurisprudential philosopher like Hart, and perhaps more than Hart did, knows what’s he’s doing! Laureato in filosofia, si è poi trasferito in Germania dove ha collaborato come assistente alla cattedra di Filosofia e Sociologia del Diritto della Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Saarland, e in seguito come borsista per il Deutscher Akademischer Austauschdienst (DAAD). Attualmente è Professore di Filosofia del Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Genova. Inoltre fino al  è stato professore presso l'Lucerna. Ha prodotto circa 200 pubblicazioni su temi concernenti la filosofia del diritto, la storia della cultura giuridica e la bioetica.  Nel  si avvicina al Movimento 5 Stelle, venendo definito dalla stampa l’“ideologo del movimento” ma a gennaio del  lo abbandona criticandolo duramente e scrivendo ad aprile il libro Cinquestelle & Associati. Di recente ha focalizzato il discorso politico sulla categoria del sovranismo ed in particolare sul concetto di sovranismo debole, detto althusiano; coniugando così, istanze federaliste e sovraniste in linea con la Lega di Matteo Salvini.  I suoi interventi di natura politica sono raccolti nel suo blog. Fino alla metà del  era noto al pubblico del piccolo schermo per le interviste e i talk show in cui dibatteva.  È attualmente editorialista di Libero e de Il Sole 24 ORE, oltre ad avere un blog sul sito de Il Fatto Quotidiano. Altre opere: “Morte cerebrale e trapianto di organi. Una questione di etica giuridica” (Morcelliana); “Quando finisce la vita. La morale e il diritto di fronte alla morte” (Aracne); “Giuristi e prìncipi. Alle origini del diritto moderno” (Aracne); “Il principio dignità umana” (Morcelliana), “Nuovi scritti corsari (Adagio Editore); “I figli delle stelle. L'Italia in moVimento” (Adagio); “Colpo di Stato permanente” (Marsilio); “Apocalypse Euro” (Arianna); “Oltre l'Euro” (Arianna); “Napolitano, re nella Repubblica. Per una messa in stato d’accusa (Mimesis): “Cinquestelle & Associati. Il MoVimento dopo Grillo (Kaos); “Referendum costituzionale. Sì o no. Le ragioni per il no e il testo della «controriforma» (Arianna); “Come finisce una democrazia. I sistemi elettorali dal dopoguerra ad oggi (Arianna); “Italia sovrana (Sperling & Kupfer); “Democrazia in quarantena. Come un virus ha travolto il Paese” (Historica)  Note    Biografia sul sito Genova Archiviato  in.  M5S, Grillo scomunica (di nuovo) Becchi: “Non ci rappresenta”. Lui: “Tolgo il disturbo”, ilfattoquotidiano,  Perché dico addio al Movimento 5 Stelle. Parla Paolo Becchi, formiche.net, 5 M5S, B. lascia il Movimento: “È diventato partito stampella di Renzi. È finito il sogno”, ilfattoquotidiano, 5 gennaio. 9 gennaio.  Per un’idea ‘federativa’ di Stato nazionale, in "ParadoXa", Skytg24, Becchi: “Repubblica? Il giornale dell’orfano”. Bellasio lascia lo studio. La redazione della tv si scusa con Calabresi, ilfattoquotidiano, Paolo Becchi  Blog ufficiale, su paolobecchi. wordpress. Opere di Paolo Becchi,.  Registrazioni di Bsu RadioRadicale, Radio Radicale.  Filosofia Politica  Politica Filosofo, Accademici italiani, Blogger italiani Genova Professori dell'Lucerna Professori dell'Università degli Studi di Genova. Paolo Aureliano Becchi. Paolo Becchi. Becchi. Keywords: l’incubo, filosofia politica, dignita, soveranita, giurisprudenza, filosofia della giurisprudenza, repubblica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Becchi” – The Swimming-Pool Library. Becchi.

 

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