Grice e Ranzoli: “going through the dictionary” – “Non il Little Oxford Dictionary, come volleva Austin, ma il Ranzoli! -- la scuola di Roma -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. DIZIONARIO © DI SCIENZE FILOSOFICHE MANUALI HOEPLI DIZIONARIO SCIENZE FILOSOFICHE LIBRAIO DELLA REAT CASA MILANO Pat RS Tipografia + L’Arlo della Stampa ", Successori Landi Firenze. Via Santa Caterina, 14. I. dizionario di filosofia di R. è stato accolto dal pubblico in modo estremamente lusinghiero. Di ciò attribuisco una minima parte ai pregi dell’opera di R. Il resto, il più, all'essere UNICA del genere nel nostro paese e al promettente risveglio filosofico. Ma, appunto per questo, R. ha sentito più vivo il dovere di riesaminarla con la più scrupolosa attenzione, per eliminarne quei difetti e apportarvi quei miglioramenti, che la rendessero meglio adatta al suo scopo. Ho quindi soppresso tutti gli argomenti che non riguardavano davvicino la filosofia o le sue parti; ho messo accanto ad ogni vocabolo il corrispondente francese, tedesco, ed inglese, talvolta anche latino e greco. R. ha posto in fine alla maggior parte degli articoli le opportune indicazioni bibliografiche. R. ha aggiunto gran numero di termini, sia nuovi sia previamente dimenticati, e dato più ampio svolgimento a quelli che lui pare richiederlo. Che in tal modo essa abbia raggiunto il suo assetto definitivo, sono ben lungi dal pensarlo. Opere come questa di R., specie se lavoro di uno solo, hanno il poco invidiabile privilegio di non essere mai compiute. Mende, sproporzioni, ripetizioni, lacune sone inevitabili. Bisogna accontentarsi di ridurle via via al minor numero possibile, Del rimanente, il dizionaro di R. s’ispira ai varii criteri. Tenersi al di sopra e al di fuori d’ogni preconcetto di scuola, presentando obbiettivamente le questioni e le idee che ai vocaboli sono legate e i vari atteggiamenti da esse assunti nella storia della filosofia. Sapere riuscire chiaro ed accessibile ad ogni media cultura, senza falsare per questo i problemi e ridurre al semplice ciò che di natura e di origine è complesso. Enumerare i diversi significati attribuiti ad ogni termine, senza pretendere di imporne uno per conto proprio. Tracciare, fin dove è possibile, la storia della parola e indicare, quando è opportuno, quale dei suoi significati è il più legittimo, o il più accettato, o il più accettabile. Ricordare, tra le espressioni proprie soltanto di un sistema o di un periodo filosofico, quelle che, pur conservando un valore storico e fisso, ricorrono con qualche frequenza nei saggi filosofici. Fare un’abile scelta, nelle terminologie delle scienze più affini, delle voci la cui conoscenza può essere utile e necessaria per lo studio della filosofia. Accogliere, senza pregiudizi puristici, tutti quei termini nuovi che hanno acquistato un certo diritto di cittadinanza, da qualunque parte essi vengano e qualunque sia la loro composizione, perchè è specialmente delle voci nuove – come l’ ‘implicatura’ di H. P. Grice -- che si viene a chieder notizia al dizionario ed è alle voci nuove che la registrazione nel dizionario può riuscir utile per fissarne în modo definitivo il significato, pertanto stravagante. Ispirarsi infine ad un certo criterio che direi della convenienza, per il quale, svincolandosi dalle strettoie d’una geometrica proporzionalità, si sappia a volta a volta e secondo l’importanza delle questioni trascorrer rapido o essere diffuso, limitarsi a una frase concira ο esaurire sufficientemente una discussione. A. Designa nella logica la proposizione universale affermativa, secondo i versi mnemonici classici: Asserit A, negat E, verum generaliter ambo — Asserit I, negat O, sed particulariter ambo, È anche adoperata nei trattati di logica per esprimere simbolicamente il soggetto della proposizione. Hamilton se ne vale per indicare la proposizione toto-parziale affermativa. Con la formola A -— A si suol esprimere il principio di identità, e con la formula A — non A il principio di contraddizione: con la prima formula si afferma l’identico dell’identico, con la seconda si significa che un giudizio che afferma quello stesso che nega è uguale a zero, ciod falso e nullo. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik; Hamilton, Lectures on logic, App. (Quantificasione del predicato). Abitudine. Lat. Habitus, Consuetudo; T. Gowoknheit; I. Habit; F. Habitude. È una manifestazione della legge generale, che la forza tende a dirigersi secondo la linea della minor resistenza, e si può definire come l'attitudine a conservare e riprodurre più facilmente le modificazioni anteriormente acquisite. Intesa in questo senso, l'abitudine comprende sia i fenomeni d’ adattamento fisico e biologico, sis la facoltà, acquistata coscientemente con I’ esercizio, di sopportare o di fare cid che non si poteva sopportare o fare da principio, o anche di far meglio ciò che si faceva male © con difficoltà. Lo Stewart la definisce « In facilità che la coscienza acquista, mediante la pratica, in tutte sue esercitazioni, sia animali che intellettuali ». Si formano così le abitudini peichiche, le abitudini mentali e le abitudini moral; il vizio e la virtà, in ultima analisi, non sono altro che abitudini morali; e il modo particolare che ogni individuo ha di considerare le cose, dipende spesso dall’ordine di associazioni mentali in lui prevalenti, Trattandosi di sensazioni cho accompagnano un atto, l'abitudine, diminuendo l’attività necessaria alla loro produzione, le rende a poco a poco inavvertite ; nello stesso tempo però diventano più precise e distinte, se non più intense, quelle che costituiscono il fine dell’ atto. Si suol distinguere, dal Maine de Biran in poi, le abitudini passive dalle abitudini attire: le prime sono quelle delle sensazioni, caratterizzate da diminuzione della coscienza, adattamento, sviluppo del bisoguo corrispondente; le seconde sono le abitudini delle operazioni, caratterizzato dalla facilità, dalla perfezione, dalla tendenza alla riproduzione involontaria. L’ Egger distingue le abitudini particolari ο speciali, che non con- cernono che un atto interamente doterminato, sempre il medesimo, e le abitudini generali, in cui 1) atto è variato, ma sempre di un medesimo genere ; questa distinzione cor- risponde alla distinzione già fatta dall’ Hòffding ο dal Berg- son tra le due specie di memoria, la memoria libera e la memoria automatica: ad es. l'abitudine di risolvere dei problemi, e l’abitudine di calcolare. Si suol distinguere anche l’abitudine dall’ abilità, che è l'abitudine diretta alla produzione d'un lavoro e implica la variazione e il perfezionamento, © dall’ attitudine, che è la semplice pos- sibilità di prestarsi a fare; non si dà abilità senza abitu- dine, nè abitudine senza attitudine. L’ abitudine ha molta affinità coll’ istinto, che si può considerare come un’ abitu- dine ereditaria protettiva per 1’ individuo o per la speci tuttavia alcuni filosofi moderni, ad es. il Murphy, inten- dono per abitudine la legge per la quale le azioni ed i caratteri degli esseri viventi tendono o ripetersi non solo - 3 — AB8-ABU nell’individno ma anche ne’ suoi discendenti. — Nel lin- guaggio scolastico habitudo significa attitudine, relazione, riguardo, capacità a qualche cosa; da qui le espressioni quoad habitudinem © quoad entitatem. Quando in una cosa si considera l’ essenza, la quiddità, questa allora si consi- dera quoad entitatem; quando invece si considera la po- tenza o capacità di fare che è nella cosa, si considera quoad Mabitudinom. Così fra Dio e l’uomo non ο) ὃ proporzione di entità ma di abitudine, perchè la distanza dall’ uno all’ al- tro è infinite e non hanno fra loro proporzione di entità, ma l'uomo può giungere a Dio mediante la conoscenza, e può aver relazione con lui, e quindi si dice che ha con lui proportionem habitudinis. Cfr. Maine de Biran, Influence de Phab. eur la faculté do penser, 1840, sez. 1, 11; D. Stewart, Works, ed. Hamilton, 1855, vol. II, p. 258; Egger, La parole intérieure, 1881, p. 207; L. Dumont, De Vhabitude, Revue phil., 1876, t. 1; Bourdon, L’habitude, Année pay- chol. 1901 (v. memoria organica, inclinazione, automatismo, csusalità). Absolute. Nel linguaggio scolastico equivale talvolta a simpliciter, © si adopera quando una cosa è denominata assolutamente come tale, senza aggiunte o limitazioni. cesi anche che una cosa è absolute tale, quando ha natura © secidenti che richiedono quella e non altra denomina- zione, ad es. la neve è bianca; dicesi invece che è respectire tale, quando è tale non per natura sua e in sò, ma in con- fronto a un’altra, ad es. un macigno dicesi respective pic- colo se lo si confronta con una montagna, Cfr. Cornoldi, Thesaurus philos., 1871. Abulia. Gr. 'ABouAla; T. Abulie, Willenslosigkeit ; I His: F. Aboulie. Sindrome di molte malattie mentali, che consiste in un indebolimento del volere e sembra dovuta al’ atrofia dei centri motori. L’ ammalate vorrebbe, ma sente di non poter eseguire la propria volontà ; senza pre- sentare alcuna impossibilità organica di movimento, ogli è incapace di decidersi a compiere qualsiasi atto, come man- giare, vestirsi, camminare, ecc. sebbene lo creda oppor- tuno, desiderabile, persino necessario. Si parla di molte forme d’abulia, non ancora ben definite, come 1’ abulia motrice, che è quella di cui ora abbiamo parlato, l’abulia intellettuale, che si manifesta con l’ indebolimento dell’ at- tenzione, l’abulia sistematizzata, che riguarda solo uns ca- tegoria di atti, eco. Recentemente lo Janet ha chiamato abulia delirante una speciale ossessione, riguardante gli atti stessi del soggetto, la quale, rispetto al suo contenuto, si distingue in cinque classi: ossessione del sacrilegio, del delitto, della vergogna di sd stessi, della vergogna del pro- prio corpo, della malattia. Dicesi infine abulia morale quella debolezza della volontà morale, per cui 1’ individuo, pur conoscendo il bene e desiderando seguirlo, non sa resistere agli appotiti e alle tendenze malsane; appartiene alla ca- tegoria delle pazzie morali, e tingue dalla cecità mo- rale in cui manca affatto la coscienza morale, e dall’ ane- stesia morale in cui il sentimento morale è torpido ο perciò incapace d’ influire sulla condotta. Quanto alla interpreta- zione psicologica delle abulie in genere, secondo il Ribot esse sono dovute a un indebolimento della sensibilità, le- gato alla depressione delle funzioni vitali; se gli amma- lati sono incapaci di volere « ciò succede perchè tutti i proponimenti che essi fanno non risvegliano in loro che impulsi deboli, insufficienti per spingerli ad agire ». Se- condo P. Janet |’ abulia sarebbe dovuta piuttosto ad una debolezza intellettuale. Perchè la mente voglia un atto e lo eseguisca decisa, deve avere l’ idea chiara e completa delle azioni richieste dal compimento dell’ atto stesso; ora, tale capacità sarebbe diminuita negli individui affetti da abulia, donde la difficoltà di compiere certi atti, benchè l'intelligenza ne abbia una nozione generale. Cfr. Th. Ri- bot, Les maladies de la volonté, 188%; P. Janet, Névroses ‘dica fires, 23 ed. 1904; Id., Étude sur un cas d’ahoulie, Aca-Acc Revue philos., 1891, pag. 258 e 384; Rivière, Contribu- tion à Pétude des abouties, Those de Paris, 1890-91 (v. ace- dia, aprosechia, aprassia, agorafobia). Acatalessia. Gr. ‘AxataXntia. Incomprensibilità del vero. È una delle tre parole che contengono le risposte ai problemi che si propone lo scetticismo pirronisno. Possiamo noi comprendere che cosa siano le cose? Noi, risponde Pirrone, non possiamo comprenderlo nè per mezzo dei sensi, md per mezzo della ragione, perchè i sensi ce le mostrano come appaiono a noi, non come sono, e la ragione #’ acquieta in ciò che le par conveniente. Nel medesimo senso Bacone contrappone ln catalessia o dubbio scettico, alla eucata- lessia o dubbio metodico: « Nos vero non acatalepsiam, sed eucatalepsis meditamur ». Cfr. R. Richter, Der Skepti- sirmus în d. Philos., 1901, vol. I; V. Brochard, Les scepli- ques grecs, 1887; Bacone, Nov. Org., I, 126 (v. epoca, atar- ransia). Accademia. Platone insegnò negli orti di Academo, i quali rimasero poi la sede della sua scuola, detta perciò Essa durò fino al VI seo. d. C., ὁ si divide in tre periodi : la vecchia Accallemia, ingolfatasi, con Speu- sippo, Xenocrate, Crantore, nella metafisica pitagoreggiante e in un astruso dommatismo; la media, enduta nello scot- ticismo con Carneade e Arcesilao; la nuova, tornata al pri- mitivo dommatismo con Filone di Larissa e Antioco d’Asca- lone. Cfr. L. Credaro, Lo sostticiemo degli accademici, 1893. Accadere. T. Ereignen, Geschehen; I. Happen. Usato sostantivamente 1’ accadere, contrapposto all’ essere, indi l’insieme dei fenomeni, dei caugiamenti che si verificano nella realtà. Nella storia del pensiero filosofico il problema dell’ essere e il problema dell’ accadere si svolgono paralle- lamente; ma il primo ad imporsi fu quello dell’ accadere, giacchè la meraviglia suscitata dal mutare incessanto delle cose fa il primo stimolo all’ indagine filosofica. Cir. Aristo- tele, Metaph., I, 2, 982 b, 12. Acc —6— Accessorio. T. Nebonstohliok; I. Accessory; F. Acoss- wire. Nella logica si oppone a essensiale, fondamentale, ne- ceesario e designa ciò che, pur avendo uns qualsisai rela- zione col soggetto di cui si tratta, non è nè essenziale alla maniera attuale di considerare il soggetto stesso, nö ne- cessario alla intelligenza di ciò che se ne dice, cosicchè si può anche lasciar da parte senza che per questo ne rimanga alterata l’idea ο diminuita la chiarezza del discorso che deve spiegarlo. Per ciò nella discussione o nella esposi- zione di nn argomento si deve far in modo che 1’ acces- sorio non nasconda o faccia dimenticare 1’ essenziale. Accidente. T. Acoidenz; I. Accident; F. Accident. Vo- cabolo usato nella filosofia aristotelica e scolastica. Si op- pone a essenza e a sostanza, © desìgna una qualità o mo- dificazione che non appartiene all’ essenza della cosa, che non è l’ espressione de’ suoi attributi fondamentali. Aristo- tele lo definì come ciò che aderisce ad un soggetto, ma non sempre nd necessriamento; Goolenio, traducendo la definizione di Porfirio, in uso poi presso tutti gli acola- stioi peripatetici dell’ eta di mezzo, determina 1) accidente come quod adent οἱ abest prate# subieoti corruptionem ; in altre parole, I’ accidente è ciò che arriva alla cosa (quod accidit) ciò che in essa si riscontra (ouu$eBrxéç) senza essere neces- sariamente legato alla sun idea. Così, si può concepire una roccia senza concepirla arrotondata: essere arrotondata, uguzza, ecc. è, rispetto alla roccia, un accidente. Alcuni filosofi distinguono due sorta di legami tra la sostanza ο l accidente : l'uno, detto prioologico, è quello che interoedo tra l'idea di accidente e quella di sostanza, 1’ altro, detto ontologico, è la connessione che intercede tra In sostanza stessa ο l’accidente, cioè a parte sui. Nel linguaggio sco- Inatico si sogliono anche distinguere : l’aocidens physicum, che ha entità distinta da ogni sostanza, e può essere abso- lutum, cho si riduco alla quantità ο allo qualità, e modale, che non può mai trovarsi fuori di un soggetto; l’a. sepa- -Ἱ -- Acc rabile, che si può facilmente separare dal soggetto, come il calore dal ferro, ο l’a. inseparabile, che non si può se- parare, o almeno difficilmente, come il verde dalla foglia; l'a. artrineecum che denomina un soggetto solo estrinseca- mente, come l’azione, e l’a. infrinsecum, che è inerente alla cosa di cui si chiama ncoidente, come il freddo della neve; Pa. logieum o predicabile, che è una qualità inerente al soggetto in modo contingente e non necessario, 6 l’a. metaphysicum ο pradicamentale, che è quello che deve ine- rire al soggetto per esistere, ma nel concetto fa astrazione dal modo di inerenza, se cioè sia necessario o contingente. Cfr. Aristotele, Metapk., IV, 30, 1025 n; Porfirio, Isagoge, VI; Goclenio, Lexicon philos., 1613, p. 26, 83 (v. caso, essenza, sostanza). ı Aocidente (sofuma di, conversione per). Dicesi soflama di arcidente quello che trae la sus origine da una propo- sizione difettosa nel nesso tra il predicato © îl soggetto, il primo dei quali non si congiunge a tutto il secondo nella sus unità, ma soltanto ad una parte non costituente la sus unità, cioè ad un accidente di esso soggetto. Es. l’arte oratoria ha spesso servito a trarre in inganno i popoli ο i giudici; dunque |’ eloquenza è riprovevole. Dicesi com- versione per accidente quella operazione logica con la quale un giudizio universale affermativo, il cui soggetto è meno «steso dél predicato, si converte in un giudizio particolare affermativo. Es.: tutti gli uomini sono mortali; conv. per e., alcani mortali sono uomini. Cfr. Port-Royal, Logi- que, I, 7; Masci, Logica, 1899, p. 216 segg. Accomodamento. T. Accomodation; I. Accomodation: F. Accomodation. O accomodazione; si chiama così l'atto fisiologico mediante il quale i muscoletti ciliari dell'occhio dànno alla faccia posteriore del cristallino la curvatura ne- eeesaria affinchè le immagini degli oggetti, posti a mag- giore ο minore distanza, si proiettino sulla retina e siano così dormalmente percepite. Quando la convessità del eri- ACE — 8 — stallino aumenta, l’ occhio à accomodato alla visione degli oggetti vicini, © viceversa quando scema, Un tempo si cre- deva che l’accomodazione dell’ occhio avvenisso per uno spostamento della retina in avanti e indietro, conforme alle diverse distanzo degli oggetti; Cartesio fu il primo ad emettere il concetto che la nostra capacità di vedere di- stintamente gli oggetti collocati a distanza dipenda dal- P attitudine insita nell’ occhio di poter modificare la lente cristallina; la dimostrazione di questa veduta teorica si ebbe due secoli dopo con Max Langenbeck, Cramer e Helmholtz. — Si dice dottrina dell’ accomodamento quella di molti teologi protestanti, i quali, basandosi sulla consta- tazione che il cristianesimo dovette, giunto in contatto coi vari popoli, modificarsi in parte secondo le loro tra- dizioni, costumi, oredenze, rigettano tutto ciò che nei do- cumenti evangelici non concordi con le loro vedute. Cfr. Helmholtz, Handbuch d. phyeiol. Optik, 2° cd. 1886-96; Wundt, Grundzüge d. physiol, Psychol., 1898, vol. II, p. 83: ‘Techernig, Optique physiol., 1898 (v. miopia, ipermetropia, punto prossimo, ecc.). Acedia (animi remissio, mentis enervatio). Così designa- vasi, nella teologia medievale, quella specio di depressione malinconica, di torpore dello spirito, che impedisce l’azione volitiva e coglie specialmente chi conduce vita solitaria e di meditazione. Tale disposizione d’ animo era afinovorata tra i peccati cardinali, per opposizione alla speranza posta tra le virtù cardinali. Nella psicologia moderna è considerata come una semplice anomalia della volontà. Cfr. Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 438 (v. abulia). Acervus (mucchio). Si dico così un antico sofisma, che Aristotele fa risalire a Zenone di Elea, e che consisteva in questa argomentazione: un mucchio di frumento, ca- dendo, non può produrre nessun rumore, perchè in tal caso si dovrebbe sentire il rumore d’ogni grano, e delle par- ticelle d'ogni grano, il che non accade; ma il mucchio non —9— AcH è che la somma dei singoli grani, che cadono senza produr rumore; danque, il mucchio di grano cadendo non produce in realtà alcun rumore, il quale è soltanto una parvenza sensibile. Codesto sofisma hs poi assunto varie forme, delle quali la più comune è la seguente: se a un mucchio di grano si leva un grano, resta ancora un mucchio; se se ne levano due, ugualmente, fino a conchiudere che con un solo grano si ha un mucchio di grano; se si osserva che un grano non basta a far un mucchio, si risponde che neppur due, tre, quattro, fino a conchiudere che cento, mille, ecc. grani. non fanno un mucchio di grano. Cfr. Ari- stotele, Physica, H. 5, 250 b, 20. Achille (sofsma di). Uno degli argomenti di Zenone di Elea contro la realtà del movimento. Aristotele lo espone così: « Un mobile più lento non può essere raggiunto da uno più rapido; giacchè quello che segue deve arrivare al punto che occnpava quello che è seguito ο dove questo non è più (quando il secondo arriva); in tal modo il primo conserva sempre un vantaggio sul secondo ». Zenone as- sumeva come esempio il piè veloce Achille inseguente una tartaruga; da ciò il nome dato all’ argomento. Esso fu poi formulato matematicamente nel seguente modo: Siano i punti A ο B distanti tra loro d’ una lunghezza — 1, ο mo- contemporaneamente nella stessa direzione con ve- locità disugaali, il oni rapporto sia — 9. Supponiamo che il punto B, più vicino alla meta, sia il meno veloce; dico che la distanza che li separa docrescerà sempre, ma non diventerà mai — 0. Infatti mentre il punto A in un primo movimento percorre la lunghezza 1, il punto B, che è 9 volte meno veloce, percorrerà una lunghezza =- ; ; così puro men- tre il punto A in un secondo movimento percorre la lun- 1 ghezza il punto B ne percorre la ga parte, cioè è Dopo un numero qualunque di movimenti, la distanza fra i due Aco — 10 — mobili non sarà mai = 0, ma sarà sempre espresss dalla frazione En Questo argomento, insieme agli altri coi quali Zenone nega la pluralità e il movimento, ba appassionato vivamente i filosofi, da Aristotele a Horbat. Ultimamente il Bergson lo confutava, dimostrando come esso abbia ori- gine dalla confusione tra il movimento e lo spazio per- corso dal mobile, poichè 1’ intervallo che separa due punti è divisibile infiuitamente, © se il movimento fosse com- posto di parti come quelle dell’ intervallo stesso, esso non sarebbe mai sorpassato: « Ma la verità è che ciascuno dei passi d’Achille è un atto semplice, indivisibile, ο che dopo un numero dato di codesti atti, Achille avrà sorpassato la tartaruga ». Cfr. Aristotele, Phys., VI, 9; Bergeon, Eesai sur les données imm. de la conscience, 1904, p. 85 segg. A contrario. Nella logica si designa così un ragiona- mento nel quale, in luogo di conchiudere per analogia semplice (a pars), si conchiude da contrario a contrario. Per es. se lo stesse cause, nelle stesse condizioni produ- cono gli stessi effetti, è naturale aspettarsi che cause con- trarie produrranno effetti contrari. Acosmismo. T. Akoemiemus; I. Aoosmism; F. Aoosmi- ame. Termine applicato ds Hegel al sistema di Spinoza, in opposizione ad ateismo, perchè il sistema spinoriano non nega l’ esistenza della divinità ma piuttosto fa rientrare il mondo in essa. Il termine è rimasto nell’ uso per indi- care il panteismo, ©, in generale, quei sistemi filosofici, come ad es. quelli di Malebranche, Berkeley, Fichte eco., che negano l’esistenza del mondo come realtà indipen- dente. Secondo il Windelband anche la filosofia eleatica è un acosmismo, in quanto essi nega la realtà delle cose, che l’esperienza offro in coesistenza e successione, per non affermare che la realtà dell’ Essere uno ed unitario; ; per i fisiopsicologi moderni ogni manifestazione più squisita del sentimento d’ amore non è altro che la manifestazione complessa d’un fatto semplicissimo ‘ 1’ attrazione di due elementi vitali, di due cellule, che tendono 8 completarsi e ringiovanirsi vicende- volmente. Fra i contemporanei, lo Spencer ha analizzato molto scutamente l’ amore sessunle, cercandone gli elementi costitutivi; egli dimostra come l’amore sia il più irresi- stibilo dei nostri sentimenti perchè è il più complesso, ex- sendo un aggregato immenso di quasi tutte le eccitazioni di cui siamo capaci. Infatti, oltre alle sensazioni © ni sen- timenti strettamente cgoistici, entrano a costituirlo le im- pressioni complesse prodotte dulla bellezza, lu stima di sè, il piacore del possesso, I’ amore dell’ approvazione, la sim- patia, l’ammirazione, la venerazione, l’affezione, il rispetto, il sentimento della libertà d’ azione. Già fin do Orazio Flacco si sono distinti cinque gradi o fasi psicologiche dell’ amore sessuale: rise, auditus, taotus, osculum, concubitue, I due primi gradi sono i più degni dell’uomo, i più adeguati alla raffinatezza del suo senso estetico; i tre ultimi, nei quali In voluttà raggiunge successivamente le forme più intense, gli nomini hanno iu comune coi bruti. Nel primo grado l’uomo subisce per vin degli occhi il fascino delle forme e delle movenze femminili; come esprime il nostro poeta nei due noti versi: E vien dagli oochi una dolcezza al core - Che intender non la può chi non la prova. TI senso uditivo opera nella seconda fase, e con tanto maggiore in- tensità quanto più l’uomo à civile e artisticamente eölto: E par che dalle sue labbia οἱ mova - Uno spirto gentile « pien d'amore - Che va dicendo all'anima: sospira. La fisiologia considera queste fari anecessive come prodotte dal progres- — 37 — Amo sivo diffondersi dell’ eccitamento afrodisiaco nelle diverso sfere sensoriali; dai lobi posteriori del cervello (centri vi- sivo e nditivo), esso si avanza ai lobi anteriori (centri sen- sitivo-motori), si sprofonda nei lobi inferiori (centri olfat- tivi) e si diffonde infine a tutto l’asse encofulo-spinale durante la consumazione dell'atto riproduttivo. — In senso teologico l'amore è il godimento che il credente prova nell’ intuizione di Dio; già per Platone l’amore (ἔρος) è l'entusiasmo puro, libero da ogni sensibilità, verso la co- noseenza delle Idoe, e particolarmente per la più alta di tutte, il Bene divino; per Plotino I’ amore per la divinità è la felicità massima dell’uomo. S. Agostino definisce lo stato dei beati come la più sublime delle virtù, 1’ amore (charita»);. nella beatitudine eterna, in cui non ο) ὃ da su- perare la resistenza del mondo e della volontà peccatrice, e in cui l’amore non ha più bisogno di acquietarsi, que- st’amore è una contemplazione ebra di Dio, Per 8. Tom- inaso la mèta suprema d'ogni sforzo umano è la visio divine essentie, da cui segue eo ipso l’amore di Dio; concetto che trovò il sno poeta in Dante, che lo portò a somma espressione di bellezza. Per il Cusano invece I’ anima, se vuol conoscer Dio, deve cessare di essere sè stessa, deve rinunciare a sè stessa; tale à lo stato del conoscere sopra- razionale, dell’ immedesimarsi dell’uomo in Dio, stato di eni il Cusano dice: esso è l’amore eterno (charitas), che vien conosciuto per mezzo dell’ amore (amor) ed amato per mezzo della conoscenza. Per Spinoza l’amor dei intellectualis è il risultato della conoscenza delle coso sub specie wierni- tatis; poichè da codesta specie di conoscenza « nasce una gioia accompagnata dall’ idea di Dio come causa, cioè l'Amore di Dio, non nella misura nella quale ci imagi- niamo Dio come presente, ma nella misura nella quale comprendiamo che Dio è eterno: è ciò che io chiamo: Amore intellettuale di Dio ». Codesto amore è eterno, poichè tale è la natura della conoscenza da cui nasce, 9 quantunque non abbia avuto cominciamento ha tutte le perfezioni del- l’amore; esso è infino una parte dell’ amore infinito con cui Dio ama sè stesso: « Dio ama sè stesso d’un amore intellettuale infinito. L’ amore intellettuale dell’ anima ri- guardo a Dio è l’amore di Dio stesso, amore di cui ama sè stesso, non in quanto è infinito, ma in quanto può es- sere spiegato dalla essenza dell’ anima umana considerata dal punto di vista dell’ eternità: ossia 1’ amore intellettuale dell’anima riguardo a Dio è una parte dell’ amore infinito di cui Dio ama sò stesso ». Per Malebranche ogni cono- scenza umana è una partecipazione alla ragione infinita, tutte le ideo delle cose finite non sono che determinazioni dell’ idea di Dio, tutti i desideri rivolti all’ individuale non sono che partecipazioni all’ amore, inerente necessariamente nello spirito finito, di Dio come principio del suo essere e della sua vita. — Amore ο odio sono la personificazione delle due forze cosmiche con cui Empedocle spiegava la formazione e In dissoluzione del mondo: l’amore è la causa per oni i quattro elementi originari, terra, aria, acqua ο fuoco, si mescolnno insieme ο dànno luogo alle cose par- ticolari, l’odio la causa per cui gli elementi si separano ο le cose spariscono. Cfr. Platone, Simp., 178 segg.; Rep. V, 479 sogg.; S. Agostino, De trin., VIII, 10; Spinoza, Ethica, 1. V, teor. 31 e segg.; Leibnitz, Nour. Eee, 1. II, cap. 20, $ 4; Luciani, Fisiologia dell’uomo, 1913, vol. IV, p. 81 segg.; Sfumeni, Arch. di fisiologia, Firenze, 1904, vol. I; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 311 segg.; Volkmann, Lehrbuch d. Peychol., 1894, II, p. 430. Amorfo. T. morph; I. Amorphous; F. Amorphe. Ciò che non ha forma sistematica, ordinata. I biologi dicono amorfa una sostanza organico ma non organizzata in cel- lule; i sociologi, per analogia, chiamano amorfe lo società costituite da un insieme di individui senza organizzazione nè differenziazione, o gli etologi amori quegli individui che mancano di nn temperamento determinato (sensitivo, — 39 — AMU-ANA volitivo o apatico) per mancanza di nnità nelle tendenze, negli istinti, nei desideri. Amusin. T. Amusio; I. Amusia; F. .imusie. Forma assai rara di amnesia parziale, che si verifica nei musi- cisti, e consiste o nella impossibilità di leggere la musica (a. vieira) pur rimanendo ln capacità di leggere i caratteri tipografici ; o nella impossibilità di cantare, ο di sonare il proprio stromento (a. motrice); o nella impossibilità di com- prendere con l'orecchio le nrie musienli (a. uditira). Cfr. T. Brissaud, Malattie dell'encefalo, trad. it. 1906, p. 98 e segg. Anagogia. Nella religione greca designava la festa per la partenza e il ritorno di una divinità, Nel linguaggio teologico indica quei processi che hanno per scopo di δυ- vreccitare il sentimento dei fedeli, intensificandone le mi- stiche aspirazioni; tali sarebbero i metodi per raggiungere lo stato di estasi religiosa. Il Leibnitz adopera il vocabolo anagoge come sinonimo di induzione (ἀναγωγή). Dicesi anagogico quello tra i quattro sensi della Serittura che è considerato come il più profondo e che consiste in un sim- bolo di cose costituenti il mondo divino. Analgesia. T. Analgesic, Analgie; I. -tnalgesia, Anal- gia; F. Analgésie. Sintomo frequente nelle malattie del si- stema nervoso; è sinonimo di algoanestesia, e consiste nella completa ο incompleta insensibilità al dolore, coesistente con la conservazione di altre sensazioni o di parte di ease. Essa può essere procurata anche per ipnotismo, in seguito a comando dell’ operatore. Non va confusa coll’ anestesia. La sua importanza, dal punto di vista psico-fisiologico, sta in ciò che essa può verificarsi anche quando rimangano in- tegri gli altri sensi cutanei (di contatto, di pressione, di caldo, di freddo), comprovando con ciò la tesi di Brown- Sequard, Funke, Mtinsterberg, che cioò esistano nella cute terminazioni nerveo speciali e nel sistema nerveo centrale apparati sensitivi distinti per le sensazioni del dolore, contro la tesi opposta, sostenuta dal Latye, Wundt, Richet, ecc., ANA — 40 — che gli organi periferici ο centrali per le sensazioni dolo- rifiche siano gli stessi che funzionano per le sensazioni tat- tili e termiche. Cfr. Kiesow, Aroh. it. de Biol., vol. XXXVI, 1901; Id., Zeitsohr. für Peychol., vol. XXXV, 1904; Alrutz, Atti del Congr. int. di Psicologia a Koma, 1906 (v. dolore, modalità, tono). Analisi. Τ. .inalyse; I. Analysis; F. Analyse. Il signi- ficato di questa parola è molto vago « molto vario. Ad ogni modo, ricorrendo alla sua etimologia, analisi significa scomposizione di un tutto ne’suoi clementi (ἀνα-λύειν -~ de- comporre), sintesi composizione di un tutto per mezzo de’suoi elementi (3uy-tidy1t = comporre insieme). Traspor- tate nel pensiero, si dice analitica ogui funzione che di- stingue in un tutto una o più parti, sintetica quella che combina parti diverse © ricostruisce un tutto risoluto, ο di unità preesistenti forma un tutto nuovo. Nella logica il procedimento 0 metodo analitico consiste nel partire dai fatti particolari per nasorgere ad una legge, prima igno- rata, che tutti li abbracci e li spieghi; il procedimento sintetico consiste nel partire da nn principio generale noto per trarne le conseguenze. Il primo procedimento, in cui si va dal meno al più, costituisce ’ indusione ; il secondo, in cui si va dal più al meno, la deduzione. Pure nella lo- gica, dicesi analitica’ la prova che va dagli effetti alle cause, sintetica © progressiva quella che va dallo cause agli ef- fetti; analitico il concetto le cui note sono sciolte dal loro logamo logico, sintetico se sono pensate secondo quel le- game. Nelle matematiche la parola Analisi fu un tempo sinonimo di Algebra, la quale, in quanto metodo, con- siste infatti nel supporre il problema risolto per dedurre Je condizioni della soluzione, cioè risalire dalla conseguenza cercata alle sue premesse; oggi l’Analisi designa special- mente il calcolo infinitesimale, per opposizione alla teoria delle funzioni. Cfr. Wundt, Logik, 1893, 1. II, C. 1: Ma- sci, Logica, 1899, p. 67. — 41 — ANA Analitica. Per Aristotele l’Analitica è l’arte dello scom- porre il pensioro nelle se porti; perciò dal secondo secolo d. Cristo in poi si dice Analitica quella parto dell'Organo di Aristotele che tratta dell’arte di ridurre il sillogismo nelle sue diverse figuro (Prime analitiche) © dà le regole della dimostrazione in generale (Ultime analitiche). Per Kant l’analiticn è la scienza delle forme dell’intendimento ; essa decompone tutta l'opera formale dell’ intendimento e della ragione nei suoi elementi e li presenta come i priu- eipt di ogni apprezzamento logico della conoscenza, ed è quindi, almeno negativamente, la pietra di paragone della verità, poichi bisogna secondo lo regole di essa control- lare e gindicare la forma di ogni conoscenza. L’analitica trascendentale è una delle due parti in cui è divisa la lo- gica del Kant. Essa ha per oggetto « di scomporre la no- stra facoltà totale di conoscere a priori nei concetti ele- mentari della scienza pura »; si distingue in Analitica dei concetti dell’ intendimento puro e Analitica dei principî dell’ intendimento puro: questa è la dottrina del giudizio, quella l’analisi delle facoltà dell’ intendimento, che ha per scopo di spiegnre In possibilità di concetti a priori, ricer- candoli unicamente nell’ intendimento stesso come in loro fonte vera e naturale. Cfr. Aristotele, Rhetor., I, 4, 1359 b, 10; Kant, Krit. d. reinen Fera., ed. Kehrbach, p. 82 segg. Analitici, sintetici (giudizi). Kant, seguendo l’an- tica distinzione, chiama analitici quei giudizi il cui predicuto è necessariamente contenuto nel pensiero del soggetto, e che quindi si ricava con una semplice analisi del soggetto medesimo; sintetici quelli il cui predicato è preso fuori del soggetto. Es. g. sint. il triangolo ha tre lati; g. an. Napo- leone morì a S. Elena. I giudizi sintetici possono, secondo Kant, essere a priori 0 a posteriori: sono sintetici a poste- rioni quei giudizi nei quali il fondamento del rapporto tra predicato e soggetto è l'atto stesso della percezione; in- veco nei sintetici a priori, cioè nei principi universali che danno la spiegazione dell’ esperienza, il fondamento è qual- cos’ altro, che dev’ essere cercato. Ma per Kant l’apriorità - è questo un punto essenzialissimo della sua dottrina - non significa qualche cosa che precede nel tempo I’ espe- rienza, bensì l’universalità di valore dei principi razioni universalità che trascende ogni esperienza e non si può in alcun modo fondare sul’ esperienza. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 151 segg.; Proleg., $ 18; O. Ewald, Kante methodologie, 1906. Analogie. T. Analogie; I. Analogy; F. Analogie. Nel suo significato comune l’analogin è la somiglianza più ο meno lontana esistente tra due o più cose o fatti ; nel senso primitivo è ugnaglianza di rapporti o proporzione matema- tica; nella logica l’analogia ο ragionamento analogico è un razioeinio col quale, date due coso aventi un certo nu- mero di caratteri comuni, un nuovo carattere che si rico- nosca appartenere all’ una di esse, viene attribuito ancho all’ altra. In altre parole, l’ analogia, a differenza dell’ in- duzione, conclude da particolare n particolare, inferendo da alcune somiglianze note altre che non sono note. Il tipo dell’analogia è il seguente: A (che è πι, n, 4) ὃ P Sèm,n,4 sıP. La conelusiono dell’ analogia è dunquo soltanto probabile; giacchè, per esser certa, bisognerebbe che il termine mag- giore fosso convertibile semplicemente (ciò che è m, n, q è A); il suo grado di probabilità cresce col diminnire dei punti di differeriza e del numero delle proprietà sconosciute. L’analogia può essere di identità o di coordinarione. La prima ha luogo quando fra due coppie di concetti esiste identità di rapporto ο di sostanza; ad es. l'estensione della legge della gravità terrestre a legge della gravitazione uni- — 43 — ANA versale. La seconda quando fra i due concetti esiste solo una identità di rapporto; ad cs. le analogie tra lo spazio visivo e il tattile, tra la propagazione del calore e quella del suono. E celebre 1’ analogia d’ identità con la quale il Franklin, movendo da alcune somiglianze fra il fulmine e l'elettricità, argomentd che anche quello, come questa, doveva essere attirato dalle punte metalliche. Analogie del- l'esperienza chiama Kant le regole secondo le quali dalle percezioni deve uscire l’unità della esperienza; esse si ap- poggiano su questo principio generale: |’ esperienza non è possibile che per la rappresentazione di un logame neces- sario delle percezioni. Tre sono i modi secondo i quali i fenomeni esistono nel tempo, e ciod durata, successione, e simaltaneità ; tre sono quindi le analogie dell’ esperienza. Prima anslogis : principio della permanenza della sostanza: «la sostanza persiste nel cambiamento di tutti i fenomeni ela sus quantità non aumenta nè diminuisce nella natura >. Seconda: principio della causalità: « Tutti i cangiamenti avvengono secondo In connessione degli effetti e delle cause ». Terza: principio di simultaneità secondo la legge d’azione reciproca: « tutte lo sostanze in tanto cho possono esser percepite come simultanee nello spazio, sono in una azione reciproca generale ». — Nel linguaggio scolastico analoga sono quelle cose delle quali il nome è identico, mentre la ragione significata dal nome è in parte identica in parte no, come Dio e la creatura rispetto all’ arte. Analoga at- tributionia sono quelle cose a cui conviene un nome comuno nel senso medesimo, ma per titolo diverso; analoga pro- portionalitatis quelle cose a cui conviene un nome comune con significato simile © con proporzione, come al mare, al cielo e all’ animo dell’uomo la serenità. Cfr. Aristotele, Anal. prior., II, 24; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kohr- bach, p. 170 segg.; Wundt, Logik, 1893, I, p. 402; P. Pa- guini, Le analogie, « Cult. filosofica » ottobre e novem- bre, 1908; Chide, La logique de l’analogie, « Rev. phil. » ANA _ 44 -- dicembre 1908; J. Sageret, L’analogie scientifique, ibid., gennaio, 1909. Analogismo. T. Analogiemus, Analogiererfahren; I. Ana- logiem; F. Analogieme. In generale, ogni indirizzo che si vale del ragionamento analogico per giungere alla cono- scenza di qualsiasi categorin di fenomeni. E quindi ana- logismo quell’ indirizzo sociologico, che concepisce la so- cietà come un organismo vivente, in cui gli individui rappresentano le cellule, © ricava lo leggi dell'organismo sociale dallo studio delle leggi dell’ organiamo biologico. In senso più ristretto analogismo equivale a idealismo reali- stico, monismo spiritualistico, antropomorfismo, ecc.; ossia quell’indirizzo filosofico cho concepisce ln realtà esterna per analogia con la realtà interna, cioè con la coscienza umona. Nella sua forma riflessa esso comincia col Leibnitz. per il quale appunto la natura delle monadi ci è resa in- telligibile per via dell’ analogia con i nostri stati interni; la legge dell’ analogia ci impone di professare ovunque il principio tout comme oi (simile ul tout comme chez nous di Holberg). Cfr. Leibnitz, Nour. Essaie, I, 1, Erdmann Ρ. 75 segg. ; Hiffding, Hist. de la phil. moderne, trad. franc. 1906, II, p. 367 segg. Anamnesi. Gr. ᾽Ανάμνησις. Nella dottrina platonica l’ansmnesi è la reminiscenza, ossia quel movimento per il quale lo spirito dall’opinione si innalza alla scienza. Esso infatti si produce spontaneamente alla vista dei ve- stigi della verità, della bellezza, dell'uguaglianza, del- l’unità dell'essere, che si riscontrano negli oggetti del- l'opinione; sembra quindi che codesti attributi ci siano conosciuti primitivamente e che noi non facciamo che ri- conoscerli. Da ciò viene che per Platone la filosofia non è che una reminiscenza. Con 1’ esempio del teorema di Pi- tagora, egli mostra che la conoscenza matematica non pro- viene dalla percezione sensibile, ma che questa fornisce soltanto l'uccisione per cui l’anima richiama alla memoria — 45 — ANA la conoscenza preesistente in essa, cioò avente un valore puramente razionale. Ora, se le idee preesistono nell’ anima alla percezione, l’ anima deve averle ricevute prima; e in- fatti le anime, prima della vita terrena, hanno, secondo Platone, veduto nel mondo incorporeo le puro forme della realtà, © la percezione di cose corporee simili richiama (se- condo le leggi generali dell’ associazione e della riprodu- zione) il ricordo di quelle imagini, dimenticate durante la vita corporea terrena; da ciò nasce l’ impulso filosofico, l’amore per le idee (dpwg), con cni l’anima #'innalza di nuovo alla conoscenza di quella vera realtà. Cfr. Platone, Men., 80 segg.; Fedro, 246 segg.; Fedone, 72 segg. Anarchia. T. Anarchismus; I. Anarchy; F. Anarchie. Secondo l'etimologia greca (& priv. ἀρχή --- comando) si- gnifica assenza di ogni autorità, di ogni legge, di ogni capo. Nella sociologia ai distingue 1’ anarchiemo politico, che ebbe per maestro Proudhon, e propugna l’ assoluta egua- glianza fra gli uomini, l'abolizione di ogni proprietà e autorità, meno la familiare, e la spartizione dei prodotti, ealcolati secondo le ore di lavoro; il comunismo anarchico, fondato da A. Herzen, M. Bakunin, ecc., che vuol tutto abbattere, famiglia, proprietà, stato, religione, per rag- giungere V’ amorfismo politico; il collettiriemo anarchico, che ammette un potere pubblico per la ripartizione dei pro- dotti derivanti dallo sfruttamento delle terre e delle mac- chine, per opera di associazioni di operai e d’agricoltori. Pietro Kropotkin tentò per ultimo di unificare le varie dottrine anarchiche ; il suo armonismo sociologico, sia che cerchi di fissare una presunta posizione scientifica dell’anar- chia, o tenti una valutazione critica dell’ ordinamento ro- ciale e politico presente, 0 si avventuri in previsioni sulla società avvenire, ha qualche parentela formalistica ed estrin- seca col sistema evoluzionistico dello Spencer, l’unico filo- sofo che abbia posizione nel corso normale della acienza da cui gli anarchici mntuino qualche detrito frammentario ANA-ANE li — 46 — di pensiero. Tuttavia l’armonismo sociologico del Kropotkin ha, dimostra lo Zoccoli, un carattere di troppo palese prov- visorietà empirica per poter assorbire ed acquietare le ten- dense di autonomia dottrinale, che si manifestano anche tra gli anarobici; nn esempio tipico lo offre la dottrina dell'americano Tucker, che giunge bensì allo stesso con- seguenze estreme del comunismo del Kropotkin, ma attra- verso premesse aspramente individualistiche in politica, in economia e in morale. Cfr. E. Zoccoli, L’anarekia: gli agi- tatori, le idee, i fatti, 1907. Anatomia e fisiologia comparate. Scienze fondate dal Cuvier, ma già intravvedute con precisione da Aristo- tele. Esse, fondandosi sullo studio comparativo delle vario forme organiche, cercano stabilire le leggi generali di pa- rentela fra i diversi gruppi © i modi probabili di evolu- ziono dei vari apparecchi dell’ organismo animale. Sebbene la natura delle due scienze sia molto nffine, cosicchè spesso si confondono, tuttavia scopo specifico della seconda è lo studio dello analogie esistenti tra i vari organi degli ani- mali, della prima è invece lo studio delle omologie. Si di- cono analoghi quegli organi che, sebbene djversi anato- micamonte fra loro, sono nei vari animali impiegati agli stessi usi, ul es., le branchie dei pesci, le trachee degli insetti, i polmoni dei mammiferi; si dicono omologhi quegli organi che, quantunque morfologicamente uguali, compiono nei diversi animali funzioni diverse, ad es. le autonne degli insetti, gli aculei dell’ istriee, le penne dogli uccelli. Cfr. R. Besta, Anatomia ο fisiologia comparata, 23 cd., Hoepli. Anatreptica (évatpénw = abbutto). L’ arte di rove- sciare le proposizioni di un avversario. Fa parte dell’ago- niatica, che è quella parte della dialettica che consiste in veri e propri certami o dispute (v. dialettica, erintica, maieu- tiva, ece.). Anestesia. l. Anisthesie; I. Anaesthesia; F. Anesthésie. Insensibilità a qualsiasi eccitazione, che pnd essere deter- — 47 — ANF minata da una lesione degli organi periferici (pelle) o dei centri nervosi (enogfalo, midollo spinale). Nel primo caso si ha l’a. periferica, nel secondo caso Va, centrale; è speciale se limitata ad una sola regione del corpo. Si dicono poi sistematiche quelle anestesie in cni il soggetto, pure avendo tutti i suoi sensi intatti, non percepisco che le sensazioni cho riguardano un dato oggetto, oppure è incapace di per- cepiro quelle cho si riferiscono a un dato oggetto. Aneste- simetro è lo strumento con cui si misura il grado della anestesia. — In senso figurato dicesi anestesia del senso mo- rale (ethische Farbenheit dei tedeschi) la mancanza di senso morale, che si riscontra in alcuni individui i quali pure non ignorano le leggi della moralità, ma sono impotenti a seguirle appunto perchè la loro coscienza morale non è sorretta e guidata da alcuna di quelle tendenze emotive, che spingono 1 uomo verso il bene; essi appartengono alla entegoria dei folli morali, © si distinguono dai ciechi mo- rali (ethische Blindheit dei tedeschi), che mancano affatto di coscienza morale, © dagli abnliei morali, nei quali le tendonze emotive verso il bono esistono, ma sono troppo. deboli per lottare contro quelle che spingono I’ individuo al soddisfacimento dei suoi appetiti e delle suc passioni. Cfr. Kraft-Ebing, Die Lehre ton mor. Wahnsinn, 1871; Da- gonet, Folie morale, 1878; Bonvecchiato, Il senso morale e la pazzia morale, 1883 (v. analgesia), Anfibolia. T. {mphibolie; I. Amphibolia; F. Amphibolie. Vocabolo greco, col quale si designa, nella logica, l'eq voco di senso risultante dalla costruzione di una frase, © dall’ nso di termini di doppio significato. Kant chiamava anfbolia dei concetti della ragion pura la possibilità di no- stitnire all’uso empirico dei principi dell’ intelligenza - che non hanno valore se non per rapporto agli oggetti del- l’esperienza - un uso trascendentale illegittimo; percio egli la chiama amfbolia trascendentale o fa una critica della monadologia leibnitziana, che considera come riposante au ANF-ANI — 48 — tale anfibolia. Cfr. Aristotele, Le soph. elench.; Kant, Krit. d. reinen Pern., ed. Kehrbach, p. 245. Anfibologia. T. Amphibologie; I. Amphibology ; F. Am- phibologie. E una forma di sofisma molto simile all’ anfi- bolis, ma si usa specialmente per indicare l’ ambiguità ri- sultante dall’ uso di certe forme sintattiche. Es. la frase latina « dico lupum mordere canem » è un’ anfibologia, perchè può significare tanto « io dico che il lupo morde il cane » quanto « io dico che il cane morde il lupo ». Anima. T. Seele; I. Soul; F. Ame, Prima che comin- einsse la speculazione filosofica, l’uomo s'era già volto ad esaminare quale fosse il substratum dei fenomeni dell’espe- rienza interna, e per prima cosa separò questo dal corpo, spintovi forse dai sogni, poi l’identificò col soffio dolla respirazione; tale infatti è il significato etimologico del latino animus, del sanscrito dtman, dal greco φυχή. Sorta la filosofia, il concetto di anima assunse via via vari ed op- posti significati, che si possono tuttavia ridurre a quattro fondamentali: 1° L’ anima è concepita come sostanza spi «rituale, semplice, inestesa, immortale, indipendente e di- stinta dal corpo; ciò costituisce lo spiritualismo, detto anche dualismo perchè pone la dualità fondamentale del corpo e dell’ anima, della materia ο dello spirito. 2° L'anima è considerata non come esistente per sè, ma come una sem- plice funzione dell'organismo; ciò costituisce il materia- liemo, che è monistico quando ammette la sola sostanza materiale e fa dello spirito una attività di ossa, dualistico quando considera 1’ anima come una sostanza materiale si- mile alla corporea. 3° L’ anima è considerata come I’ unica realtà, mentre tutte le altre cose non sono che una par- venza o una derivazione di essa; tale è la dottrina sostenuta dall’ idealismo o moniemo spiritualistico. 4° Infine l’ anima è identificata col corpo, i fenomeni psichici coi fisici, conside- randosi però gli uni e gli altri come manifestazione di un principio auperiore che li contiene e li domina, di un prinei- — 49 — ANT pio che è la sola roaltà; questa è I' ipotesi fondamentale di due sistemi, che, del resto, differiscono molto nel fondo: il panteirmo e il moniemo. A queste quattro vedute fondamen- tali si può aggiungere lu dottrina fenomenistica moderna, che trae le origini dallo scetticismo di Hume e dal criticismo di Kant. Essa abbandona alla metafisica ogni specalazione astratta sull'anima, limitandosi a studiarne scientificamente le manifestazioni. Non afferma che l’anima esista o non esista, ma soltanto che essu è un qualche cosa di scono- sciuto, di inconoscibilo forse; e che, in ogni caso, il pro- blems non potrà essere risolto con le ipotesi ο le conget- ture, ma con le ricerche minute, pazienti, positive dei Senomeni peichici. Affine al fenomenismo è l’attualiemo, ılot- trina contemporanea che nega nella coscienza qualunque sostrato permanente, affermando che i fatti psichici sono reali solo quando e in quanto sono attuali, e che questi essendo in continua successione, la realtà della concienza si risolve nella attualità dei suoi stati. Ad ogni modo la parola anima implica, sia dal punto di vista empirico o fe- nomenico che dal metafisico, una opposizione con I’ idea di corpo, e si distingue tanto dallo spirito quanto dal me: da quello in quanto contiene P idea d’ una sostanza indi- vidnale ed ha una estensione maggiore, applicandosi la parola spirito specialmente alle operazioni intellettuali ; dal me in quanto questo non è di essa che una parte. Aristo- tele chiama anima regetatica quella che produce la nutri zione, l'accrescimento, la riproduzione degli esseri viventi ; a. pensante quella che è il principio del pensiero, sin puro che discorsivo: a. sensitiea quella che è il principio della sensibilità, anche negli esseri irragionevoli. Bacone chiama a. sensibile uno sostanza puramente materiale, costituita dagli epiriti animali e propria tanto dell’uomo che dei bruti. Cfr. Platone, Filebo, cap. 30; Fedone, cap. 2: stotele, Je an., I, 2; Cicerone, De nat. deorum, III, 14, 3 Plotino, Enneades, V, 5; Bacone, De augm., IV, 3; Carte» 4 — Raxcout, Dirion. di scienze flosofiche. ANI — 50 — Principia philos., IV, 196; Holbach, System de la nature, 1770, vol. I, p. 118; Kant, Arit. dor reinen Tern., ed. Kir- chm., p. 324-337; Lotze, Microkoemus, 1879, vol. I, p. 101- 170; Vogt, Physiol. Briefe, 1845; Lange, Gesohichte d. Ma- terialismus, 1874; Wundt, Grundsüge d. pysiol. Psychologie, 1880, vol. I, p. 8 segg.; II, p. 453-463; Ferri, La psychol. d. l'association, 1883, p. 286-293; Mausdley, La physiol. de Veaprit, 1878, p. 75 segg.; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 8-23; Hamilton, Lectures on metaph., 1882, vol. I, p. 138 segg.; Spencer, Princ. of. peyohol., 1874, P. 11, $ 58, 59, 63; F. Bonatelli, Disoussioni gnoseologiche e note critiche, 1885; G. Sergi, L'origine dei fenomeni psichici, 1885; Ar- digò, Opere ΠΙ., I, p. 189 segg.; VII, 17 segg.; G. Villa, La psiool. contemporanea, 2* ed. 1911 (v. parallelismo, idealismo, priohe, io, immortalità, semplicità, unità, identità). Anima del mondo. Gr. Ἡ τοῦ παντὸς φυχή; Lat. Anima mundi; T. Weltseele, Wellgeiat; I. Soul of the world; F. Ame du monde. Dottrina propria specialmente di Platone e degli stoici. Secondo Platone, il mondo è opera della ragione; ina la ragione non può stare senz'anima; di qui l’anima del mondo che fu creata da Dio per prima, ο serve da me- diatrice fra I’ indivisibile o il divisibile, fra le ideo ο le cose sensibili. Per gli stoici, invece, il mondo è un im- menso corpo organizzato, fornito di un’ anima come gli organismi individuali: quest’ anima, costituita da un fuoco etereo purissimo, è, nello stesso tempo, la ragion seminale del mondo, il principio di universale attività, la provvidenza che sn tutto vigila, in una parola Dio stesso. Cfr. Pla- tone, Timeo, 34 b segg.; Aristotele, De anima, 407 a; Ci- corone, De nat. deorum, II, 8 (v. demiurgo). Animali (spiriti). Lat. Spiritus animales; T. Tiergeister, Nercengeister ; F. Esprits animaur. Secondo un’ antica dot- trina, durata lunghi secoli ma da tempo abbandonata, I’ at- tività sensoriale e motrice dell’ anima sarebbe determinata dagli spiriti animali, sostanza gassosn prodotta dal sangue — 51 — ANI e scorrente attraverso i nervi al cervello. Erasitrato, ni- pote di Aristotele, considerava gli spiriti snimali come pro- venienti dal cervello, gli spiriti vitali dal cuore; secondo Galeno gli spiriti animali derivano da una mescolanza del- l’aria aspirata dalle narici con gli spiriti vitali condotti dal cuore ai ventricoli laterali del cervello mediante le ar- terie, ed erano trasmessi dal cervello ai nervi per deter- minare il movimento e la sensazione. Tale dottrina, più o meno modificata, fu accolta da S. Agostino, 8. Tom- maso, Telesio, Bacone e Descartes, per il quale gli spiriti animali sono secreti dal cervello attraverso dei pori cho s’aprono nei ventricoli, e, sccumulandosi in queste cavità, eccitano I anima situata nella glaudola pineale; la volontà, a sus volta, muove gli spiriti animali dei ventricoli per mezzo della glandola pineale, e li distribuisce per la via dei nervi a tutte le parti del corpo: Notum eat, omnen hos motus musculorum, ut omnes sensus, pendere a nervis, qui sun! instar tenuium filamentorum aut instar parvorum tuborum, qui er corebro oriuntur; et continent, ut et iprum cerebrum, certum quendam aërem aut ventum subiilissimum, qui apiri- tuum animalium nomine ezprimitur. Lunghe discussioni se- guirono poi tra gli scienziati intorno alla natura, all’ ori- gine, alla sede degli spiriti animali; ma solo verso la fine dell’ ottocento si cominciò a sostituirli con I’ ipotesi della vis nervosa, o corrente meurilica, che propagandosi lungo il cilindrasse delle fibro trasporta le eccitazioni sensorie dalla periferia all’ encefalo ο le motorie dall’ encefalo alla periferia. Cfr. Telesio, De rer. nat., V. 5; Bacone, Nov. Org., Il, 7; Hobbes, De Corp., C. 25; Descartes, Pass. an., 1, 7; Vulpian, Leçons sur la physiol. du syst. nerreuz, 1868: Bastian, Le cerveau org. de la penade, trad. franc. 1888, II, Ρ. 111 segg. Animismo. T. Animiemus; I. Animiem; F. Animisme. Nella storia delle religioni, dicesi animismo la credenza nell'esistenza degli spiriti, da cui ogni cosa è animata: à ANN — 52 — una delle forme della religiosità primitiva. Si distingue dal fetieismo, che consiste nell’ adorazione degli oggetti mate- riali in oui si crede dimori uno spirito. Una forma affine di animismo consiste nella credenza che tutta la natura sia animata, senza che ciò implichi l’esistenza di agenti distinti dai corpi. Nella filosofia, designa quella dottrina che spiega tutti i fenomeni della vita ponendo a causa originaria di essi l’anima, principio ad un tempo della vita e del pensiero. L’ animismo filosofico 6’ oppone all’or- ganicismo, al meccaniciemo ο al vitaliemo, obbiettando al primo che la forza direttrice e creatrice, ch’ esso pure am- mette negli organi, se distinta dalla materia vivonte è una pura concezione metafisica, se identificata colla materia stessa, è, in fondo, l’anima; al secondo, che in ogni es- sero vivente esiste un’ idea direttrice e creatrice inesplica- bilo colla semplice trasformazione del movimento ; al terzo, cho I’ esistenza di due anime, la vitale e la ponsante, Puna accanto all’ altra © ignorantisi a vicenda, è incomprens bile e, ad ogni modo, più difficile a spiegare che non l’esi- stenza di un’ anima sola. Si distinguono due specie di ani- mismo filosofico: 1’ nna considera il corpo come prodotto © organizzato dall’anima, l’altra, più consona αἱ risultati della scienza moderna, e contraddistinta col nome di ani. miamo polizoista, considera ogni elemento anatomico vi vente (cellule), come un piccolo animale, cosicchè il corpo sarebbe prodotto dal consonso di tutte queste anime ele- mentari. Cfr. Tylor, La première civilisation, 1875; H. Spen- cer, Principî di sociologia, trad. it. Bibliotoca dell’ economi- sta, p. 145 sogg.; Hans Driesch, Il vitaliemo, atoria e dottrina, trad. it. 1911; Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1904, p. 264 segg. (v. cellulare pricologia, vita, duodinamismo). Annientamento. T. Vernichtung; I. Annihilation; F. Annihilation. Si distingue dal semplice cangiamento © de- signa il passaggio dall’ Essere al non-Essere; è quindi il contrario di oreazione, che è il passaggio dal non-Essere — 53 — ANO-ANT all’ Essere. Non sempre però il vocabolo è preso in senso assoluto (v. ecpirosi). Anoetico e dianoetico. Aristotele distingue le virtù in dianoetiche ed etiche, cioè virtù dell’ intelletto ο virtà del sentimento (4806): il loro carattere comune sta nel diventare qualità stabili della persona, ma mentre le prime provengono dall’ esperienza e dalla educazione, le seconde devono nascere dall’abitudine pratica dell’azione, che loro corrisponde. Due sole sono, in fondo, le virtù dianoetiche, cioè prodotte specialmente dall’intelletto: la sapienza (σοφία) © la prudenza (φρόνησις), secondo che l’operare normale dipende più dall intelligenza filosofica o da esperienza ο pratica. Il Rosmini, risuseitando con diverso significato i vocaboli già usati da Platone e da Aristotele, chiama modo anoetico il modo di pensar I’ essere prescindendo da ogni sua relazione con la mente, ed essere anoetico l’ essere così pensato; chiama invece essere dianoetioo ο modo dia- noetico quando 1’ essere è pensato colla sua relazione es- senziale alla mente, per mezzo della riflessione colla quale l’uomo s’accorge che I’ essere è essenzialmente intelli- gibile. Cfr. Aristotele, Eth. Nio., I, 18, 1103 a, 5; II, 1, 1103 a, 15 segg.; Rosmini, Nuovo saggio, 1890. Anomalia. T. Abnormität, Anomalie; I. Anomaly; F. Anomalie. Vocabolo ormai fuori d’ uso, preferendosi ad esso V altro di anormalità. Esso significa eccezione alla legge (a priv. ο vipog= legge); ma le leggi naturali non sof- frono eccezioni, e quelle che si dicono tali nou sono, in fondo, che leggi particolari esse medesime, avverantesi sia pure in un numero ristrettissimo di casi, ma sempre lo- gate al determinismo causale. In generale per anomalia si intende ogni fenomeno che si allontana dal tipo ordinario; in an senso particolare designa le deviazioni gravi d’un organo o di una funzione. Antagonismo. T. Antagoniemus ; I. Antagonism ; lagonieme. Si dicono antagonistiche due rappresentazioni che, ANT — 54 — nel momento della deliberazione volontaria, si manifestano alla coscienza con forza l’ una impulsiva l’altra inibitoria. Si dicono antagonistici due muscoli che, contraendosi, danno luogo a movimenti inversi. Sono antagonistiche due forze quando il momento della risultante è uguale alla differenza dei momenti dei loro componenti; sono invece sinergiohe quando il momento della risultante è uguale alla somma dei momenti dei loro componenti. Antecedente. T. Vorhergehend, Antecedens ; I. Antece- dent; F. 4ntéoédent. In un rapporto qualsiasi, logico o me- tafisico, dicesi antecedente il primo termine, conseguente il secondo. Così lo 8. Mill ha definito la causa come « l’an- tecedente invariabile e incondizionale di un fenomeno »; l’effetto in tal caso è il conseguente. Nel giudizio ipotetico dicesi antecedente lu prima parte, che enuncia la condizione, conseguente la seconda che enuncia il condizionato; nel giu- dizio se S è vero, P ὁ vero, 8 è l’antecedente, P il conse- guente. Nella psicologia e nella teoria della conoscenza cesi antecedente d’un fatto ο d’uno stato di coscienza, ogni fenomeno che li precede nel tempo. Nella medicina diconsi antecedenti gli avvenimenti individuali o ereditari che pos- sono spiegare certe anomalie attuali in un dato soggetto. Antecritico. Si suol designare così quel periodo della vita del Kant, che è anteriore alla pubblicazione della dis- sertaziono latina sul mondo sensibile e intelligibile, e alla libri pubblicati dal grande filosofo nel periodo antecritico, è manifesta l’iutluenza della filosolia wolfiana ο inglese. Ante rem. Che preesiste alla cosa. Alcuni scolastici realisti, che ammettevano cioè la realtà degli nniversali, dicevano, conformandosi alla dottrina platonica, che codesti universali sono ante rem, preesistono alle cose individuali idealismo, realismo, terminismo). Anteriore. T. Früher; I. Anterior, prior; F. ‘intérieur. In generale ciò che precede, che vien prima. Tuttavia oc- — 55 — ANT corre distinguere I’ anteriore aronologico, con cui si designa ciò che precede nell’ ordine del tempo, dall’anteriore lo- gico, che indica il termine da eni un altro dipende. Es. nella formazione geologica il periodo eolitico è cronolo; camente anteriore al paleolitico; nel ragionamento sillogi stico la maggiore è logicamente anteriore alla conclusione. Antesubietto. In generale, ciò che precede cronolo- gicamente o logicamente il soggetto. Il Rosmini chiama così l'essere, che è il soggetto dei soggetti, e distingue un antesubietto dialettico e un antesubietto ontologico. Il primo è quello che la mente prepone, nell’ atto del concepirle, a entità che sono supposte tali mentre non sono, come al nulla e all’ assurdo; ο, in altre parole, quell’antesubietto di cui la mente abbisogna per concepire le cose. Il secondo è invece quello che la mente prepone ai veri atti succes- sivi o ai termini dell’ essere. La mente concepisce poi le cose per I’ atto dell’ essere, e questo le appariace come as- solutamente essente ©, ad un tempo, come per sò intel- ligibile; dunque esso costituisce un antesoggetto ad un tempo ontologico ο dialettico. Cfr. A. Rosmini, Nuovo sag- gio, 1830. Anticipasione. T. Anticipation; I. Anticipation; F. An- ticipation. È il greco πρὀληψις, che Seneos tradusse con presumptiones. Secondo gli stoici, non esistono in resltà che i singoli, mentre gli universali non sono che concetti sog- gettivi, formati per astrazione. Alcuni di questi concetti, nati dalla percezione, sono comuni a tutti e perciò essi li chiamavano anticipazioni, non perchè li credessero innati - come a torto si interpreta da molti - ma per contrap porli a quelli la cui formazione richiede le norme della dialettica. Gli epicurei, che adottarono pure questa dot- trina, la intesero in modo alquanto diverso: secondo essi la conoscenza si fonda semplicemente sulle percezioni sen- sibili © sulla rappresentazione di più percezioni simili che rimangono nella memoria; le prime chiamavano sensazioni, ANT — 56 — le secondo anticipazioni. Il Gassendi ha ugualmente de- finita l’anticipazione oomprehensionem animi, opinionemve quandam congruam, sive mavis intelligentiam menti defizam,- existentemque quasi memoriam monumentumve cius rei, qua extroreum sapius apparuerit. — Anticipazioni dell'esperienza si soglion dire quelle congetture provvisorie, concepite a priori, che dovranno più tardi essere confermate o distrutte dai fatti e che servono intanto come idea direttiva, come punto di partenza delle esperienze. L'ipotesi sarebbe ap- punto un’ anticipazione sull’ esperienza. — Kant chiamava anticipazione della percezione îl secondo dei « principi del- intelletto puro », che si formula coeì : ogni fenomeno ha una quantità intensiva, vale a dire una gradazione. Nella fisica codesta quantità intensiva costituisce lu forza; dun- que tale proposizione è il principio a priori della dinamica. Cfr. Diogene Laer., VII, 154; Cicerone, De nat. deorum, I, 16; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 162, 169 (v. ipotesi, senso comune). Antiegoismo v. Altruismo. Antilogia. Gr. “Avtoyia; T. Antilogie; I. Antilology ; F. Antilogie. Artificio del linguaggio, mediante cui si riu- niscono due parole di opposto significato, o due giudizi che si escludono. L’ antilogia è uno dei tropi degli antichi filosoti scettici: tra le due proposizioni contradditorie e di ugual valore, che si possono sempre profferire d’ogni cosa, essi non affermavano nè l'una nd l’altra. Tale dottrina era riassunta nella seguente formola: Παντὶ λόγῳ λόγος ἀντιχεῖται. — Alcuni psicologici moderni designano con 1’ espressione antilogia della volontà il fatto per cui, anche negli individui normali, la volontà cosciente e razionale è spesso turbata da impulsi oscuri, da tendenze inesplicabili, che, quantunque ordinariamente represse, spingono tal- volta ad azioni irragionevoli e di cui non si aa dare spie- gazione. Il fatto è spiegato mediante I’ azione che l’ inco- sciente esercita sulla deliberazione volontaria. Cfr. Spitta, — 57 — ANT Die Willenbestimmungen und ihr Verhältnisse su dom impul- sicen Handlungen, 1881; Höffding, Peychologie, trad. frane. 1900, p. 447 (v. inooscionte). Antinomi. Setta di eretici cristiani, non molto diversa dal quietismo francese del secolo XVIII, la quale soste- neva che per salvarsi non è necessaria l’ osservanza della legge, ma basta la fede. Cfr. Dorner, Syst. of. christ. doctrine, 1. IV, p. 24 segg. Antinomia. Gr. Αντινομία; T. Antinomie; I. Anti- nomy; F. Antinomie. Vocabolo usuto originariamente nella teologin e nelle scienze giuridiche, per indicare In contrad- dizione tra due leggi ο principi nella loro applicazione pra- tica a un caso particolare. Goclenio la dice adoperata pro pugnantia seu contrarietate quarumlibet sententiarum sew pro- positionum. Kant adoperò per primo questo vocabolo, per designare le opposizioni contradditorie in cui incorre ne- cessariamente la ragione quando si esercita sopra certi con- cetti (&vri contro, vépog regola). L’ antinomia è composta di due proposizioni (tesi ο antitesi), le quali, sebbene siano contradditorie, possono essere giustificato da argomenti d'ugual forza. Quattro sono le antinomie della ragion pura, nelle quali cioè nrta V idea cosmologica, l’iden del mondo considerato come ultima condizione dei singoli fenomeni; le prime due sono dette dal Kant antinomie matematiche, le altre antinomie dinamiche: 13 tesi, il mondo ha un co- minciamento nel tempo e un limite nello spazio — anti- tesi, il mondo è infinito nel tempo e nello spazio; 2° t., In materia è composta di parti semplici — a., nessuna sostanza è assolntamente semplice; 3° {., si dà la libertà, cioè un’at- tività che non suppone alcuna causa anteriore, ο che de- termina tutta la serio degli effetti che κ’ intrecciano nel mondo — a., non vi è libertà nel mondo, ma tutto av- viene secondo le leggi naturali; 4* t., vi è nel mondo un essere assolutamente necessario, sia como parto sin come causa di esso — a., nulla esiste di assolutamente neces- ANT — 58 — sario, nd nel mondo na fuori di esso come sus causa. Oltre queste quattro, vi è un’ antinomia della ragion pratica, che consiste in cid: noi consideriamo come necessario l’ a0- cordo tra il bene e la felicità, ma questo accordo è irrea- lizzabile nelle condizioni della vita presente. Questa an- tinomia si risolve facilmente con la credenza in un mondo futuro, ove 1’ accordo potrà realizzarsi, mentre le antinomie della ragion pura sono insolvibili dalla ragione o dalla espe- rienza, essendo proprie di quel mondo metafisico dei nou- meni, in cni c'è vietato entrare. Cfr. Eucken, Geschichte d. philos. Terminologie, 1878; Kant, Krit. d. reinen Vern., Dialettica trascend., parte 2°; Krit. d. Urthetlekraft, $ 54 segg.; F. Evelin, La raison puro et les antinomies, 1906 (v. antitesi, critiolemo, dialettica). Antipatia. T. bneigung, Antipathio; I. Antipathy; F. Antipathie. Opposto a simpatia; come dice la derivazione etimologica (ἀντί-οοπίτο, πάθος-οπιοσἰοπο) significa una re- pulsione istintiva e cieca che allontana certi individui da certi altri individui o cose. Secondo Spinoza essa è un pro- dotto dell’ associazione delle idee, come la simpatia; egli spiega il loro carattere irrazionale, ammettendo che quando l’anima è eccitata da uno stimolo doloroso o piacevole dopo averne provato uno indifferente, il ripresentarsi di questo è seguito da dolore o piacere per pura contiguità nel tempo: « Da ciò comprendiamo come può accadere che noi amiamo 0 odiamo certe cose, senza alcuna cagione » noi nota, ma semplicemente, come si suol dire, per sil patin ο per antipatia ». Cfr. Spinoza, Ethica, teur. IX, seolio. | Antitesi. T. Antitheso; I. Antithesie; F. Antithèec. Nella retorica si dice così quella figura che consiste nella oppo- sizione non solo di due parole, ma anche di due pensieri; è un’ antitesi il detto di Socrate: tutti gli uomini vivono per mangiare, io mangio per vivere. Quindi, più che un ornamento retorico, I’ antitesi è un vero © proprio stro- — 59 — ANT mento di prova, di cni molto si valsero i filosofi. Così, le antinomie kantiane constano ciascuna di una tesi e di un’ antitesi, la prima che afferma un dato principio, la seconda che, con argomenti d’ ugual forza, lo nega. Nella filosofia di Fichte, l’antitesi è il non-Io, che si contrap- pone all’ Io fenomenico, tesi, e che |’ Io assoluto, vale a dire la sintesi, identifica con I’ Io fenomenico. Nel sistema Hegel }’ antitesi è il secondo momento del divenire. La sintesi, come si vede, è la proposizione che concilia la tesi e l’antitesi. Cfr. Aristotele, Phys., V, 1, 225 a, 11: Kant, Erit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 349; Hegel, Enoykl., $ 48; Fichte, Grund. d. gesamiem Wissonachaftslehre, 1802, pag. 35. Antitipia. T. Antitypia; I. Antitypia; F. Antitypie. In- dica la proprietà della materia di essere impenetrabile e resistente. La parola, ricavata dal greco, fu dapprima usata dal Gassendi, per provare, contro Cartesio, che l'essenza dei corpi non è soltanto l'estensione, ma anche l’impe- netrabilità. Anche il Leibnitz adopera, in senso più largo, questo vocabolo, che per lui significa quell’ attributo della materia per il quale essa esiste nello spazio, rimane im- mobile senza un intervento esterno, © oppone una resi- stenza passiva. Codesta antitipia costituisce la forza pas- siva della monade; in ciò il Leibnits fa consistere la materia prima: « materia est quod consistit in antitypia, sen quod penetrandi resistit ». Cfr. Leibnitz, Op. fil., ed. Erdmnann, 1840, p. 466, 691. Antropismo. T. Anthropismus; I. Anthropism; F. An- thropieme. Con questo nome l’ Haeckel designa quel com- plesso di idee erronee, con cui l’uomo si contrappone 4 tutto il resto della natura e considera sò stesso come il fine voluto della creazione organica e cume un essere per- fettamente diverso da quella e simile a Dio. L’antropismo comprende l’antropocentrismo, la credenza cioè che I’ uma- nità sia il centro e la causa finale dell'universo; l’antro- ANT pomorfismo, © la credenza in un Dio creatore del mondo, perfettamente uguale, nel pensiero e nell’ opera, all’ uomo ; © Vantropolatria, o |’ adorazione divina dell’ organismo umano. Cfr. E. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1902, p. 17 segg. Antropocentrico. Τ. Anthropocentrisoh; I. Anthropocen- trio; F. Anthropocentrique. È quasi sinonimo di teleologico, e si applica a tutti quei sistemi che fanno dell’ uomo il cen- tro dell’ universo, vale a dire il fine per il quale ogni cosa è stata creata e al quale ogni cosa è subordinata, Quindi, se- condo l’antropocentrismo, gli occhi sarebbero stati dati al- V uomo per vedere, il sole la luna © le stelle per illuminarlo di giorno e di notte, i minerali e i vegetali per nutrirlo, ece. In un senso più filosofico e più moderno è antropocentrico il pragmatismo o umanismo, il quale, subordinando la ve- rità delle conoscenze al loro valore pratico, alla loro uti- lità, fa della natura umana e dei suoi bisogni fondsmen- tali il centro dell'universo; il Troiano lo definisce infatti come « un sistema antropocentrico del sapere filosofico, sul fondamento d’una teoria delle attività, delle reazioni e dei prodotti dello spirito, studiato nella sua realtà di fatto, immediata ο storica ». Cfr. F. Ο. 8. Schiller, Humanism, 1903; P. R. Troiano, Le basi dell’ umanismo, 1906 (v. fine, geocentrismo, teleologia). Antropoidi. T. Menschenaffen, menschenähnliche Affen : I. Anthropoid; F. Anthropoides. Nel suo senso più generale indica l'ordine dei primati, che comprende l’uomo; in un senso più stretto, soltanto la famiglia delle scimmie somi- glianti all’ uomo. È il vocabolo dato dal Broca alla fami- glia delle scimmie più vicine all’ nomo, preferito all’ altro di antropomorfe. Secondo le classificazioni dei naturalisti moderni, questa famiglia appartiene alla classe dei mam- miferi e all’ ordine dei primati, a capo della quale sta l’uomo. Il Cuvier invece fa dell’ nomo un ordine a parte, © così pure il Canestrini, il quale colloca l’ nomo nell’or- dine dei bimani. Alla famiglia degli antropoidi appartengono i generi: Gorilla, Chimpanzé, Orango e Gibbon. Cfr. Broca, Sur Pordre des primates, 1869; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 24, 43 © sogg.; Canestrini, Antropologia, 1898, Ρ. 112 segg.; Morselli, Antropologia generale, 1888-1900. Antropolatria. T. Anthropolatrie; I. Anthropolatry: F. inthropolatrie. Fenomeno religioso assai raro, che con siste nell'attribuire onori e potenza divina a nomini vi- venti. Un esempio ci è dato dalle antiche tribù dell’ Asin, che veneravano pubblicamente i microcefali, collocandoli sugli altari e facendoveli rimanere lungamente immobili. Il voenbolo si usa anche per designare |’ adorazione cieca delle folle per certi uomini politici, agitatori, conquista- tori, 900. (v. antropismo). Antropologia. T. Anthropologie; I. Anthropology; F. Anthropologie. Per antropologia s'intende oggi la storia naturale dell’ uomo, ossia una monografia zoologica del ge- nere umano. Essa appartiene dunque allo scienze naturali. 1! Topinard dice: « La parola antropologia è di vecchin data ed ha sempre significato lo studio dell’ uomo; all'ori- gine dell’ uomo morale, più tardi dell’ uomo fisico. Oggi essa li comprende entrambi ». Il Broca la definisce: « la scienza che ha per oggetto lo studio del gruppo umano, considerato nel suo insieme, nei suoi dettagli e nei suoi rapporti col resto della natura ». Il De Quatrefages: « In storia naturale dell’ nomo fatta monograficamente, come Vintenderebbe un zoologo studiante un animale ». Il Ber- tillon: « una scienza pura e concreta avente per fine la conoscenza completa del gruppo umano considerato : 1° in ciascuno delle quattro divisioni tipiche, confrontate fra loro e con gli ambienti rispettivi, 2° nel suo insieme © nei suoi rapporti col resto della natura ». Secondo il Morselli, l’an- tropologia come scienza naturale comprende quattro gruppi distinti di scienze: 1° scienze aventi per oggetto L’umana natura (antropologia propriamente detta); 2° scienze aventi ANT — 62 — per oggetto le ranze (etnologia); 3° scienze aventi per og- getto i tipi ο gli individui nmanf (antropografia) ; 4° scienze aventi per oggetto i popoli (stnografia). Al terso gruppo appartiene anche l'antropologia criminale, che è la storia naturale dell’uomo delinquente, di cui studia la costitu- zione organica e psichica e la vita sociale o di relazione, confrontandolo coi caratteri offerti dall’uomo normale e dall’ uomo alienato. Essa quindi comprende una cranio- metria, una sociologia e una psicologis criminali. Nella speculazione antica e nella filosofia tedesca, specie dopo Kant, la parola antropologia ha un significato ancora più largo e metafisico, designando tutte le scienze che stu- diano una parte qualsiasi della natura umana, l’anima o il corpo, gli individui o la specie, l'umanità presente o la passata, Nella teologia designa quella parte della teo- logis dogmatica che ha per oggetto l’uomo nelle sue at- tuali e ideali relazioni con Dio, o l’uomo come soggetto del regno di Dio. Cfr. Kant, Anthropologie, 1872, Vorrede ; P. Topinard, L'anthropologis, 1884; A. Rosmiui, Antropolo- gia in servisio della scienza morale, 1857; E. Morselli, An- tropologia generale, 1888-1900; G. Canestrini, Antropologia, 1898; F. Del Greco, Vecohia e nuova antr. criminale, 1908; A. G. Haddon, Lo studio dell’ uomo, trad. it. 1910 (v. An- troposooiologia, biologia). Antropometria. T. AntAropometrie; I. Anthropometry ; F. Anthropométrie. Fa parte dell’ antropologia e designa V insieme dei processi di misurazione del corpo umano ο delle sue parti. Essa non si restringe però a studiare i ca- ratteri morfologici esteriori, ma entra anche nel campo psicologico, misurando la forza muscolare, le asimmetrie sensorie, la capacità respiratoria, ecc. « L’ antropometria moderna, dice il Livi, studia metodicamente le misure del corpo dell’ nomo per metterle in rapporto colle varie facoltà umane, per ricercare le leggi del suo sviluppo e le modifi- cazioni di questo a seconda della razza, dell'ambiente, dello — 63 — ANT stato di sainte o di malattia, e per trarne deduzioni seien- tifiche le quali, oltre a giovare alla scienza speculativo, possano pur portare un indiretto contributo al migliora. mento sociale, mostrando in quali condizioni lo sviluppo del corpo è meglio favorito, ed aver poi anche qualche ap- plicazione pratica nel campo della medicina legale ο del- l'amministrazione della ginstizia ». La denominazione è dovuto al Quetelet. Cfr. Charles Roberts, Manual of an- thropometry, 1878; R. Livi, Antropometria, 1900. Antropometrismo. T. Anthropometrismus ; I. Anthro- pometrism; F. Antropométrieme. Si adopera talvolta per indi- care quella forma estrema di soggettivismo, ο scetticismo, che consiste nel fare dell’ uomo la misura di tutte le cose; F uomo non conosce le cose come sono, ma le conosce come sono per lui, e solo per lui, nel momento della percezione: in questo momento esse sono per lui quali egli se le rap- presenta. L'espressione ha origine dalla sentenza di Pro- tagora: « l’uomo è la misura (μάτρον) di tutte le cose, sin di quelle che sono per quanto riguarda il conoscere come sono, sia di quelle che non sono per quanto riguarda il sapero come non sono ». Però non tutti gli storici della filo- sofia greca concordano nell’ attribuire a questa sentenza un significato scettico. ‘lutte il suo valore filosofico consiste infatti nell’estensione che si dà al concetto di uomo: se si assume come massima, la proposizione ha un significato generico, abbracciando tutti gli nomini in quanto tali, se si assume come minima ha significato individuale e si ri- ferisce a ciascun uomo per sò stesso; col primo ci troviamo innanzi ad una dottrina relativistica che, esoludendo la possibilità della conoscenza all'infuori delle nostre facoltà di conoscere, non nega la possibilità di raggiungere il vero ο quindi la legittimità della scienza; col secondo il vero è ridotto ad una mutevole apparenza individuale ed abo- lita effettivamente la conoscenza ο la scienza. Questa se- conds interpretazione è siata fino ad oggi accolta quasi ANT universalmente; ma contro di essa sono sorti in questi ultimi tempi il Peipers, il Lans, il Gomperz, ece., che fon- dandosi in parte sopra l’esame dei frammenti protagorei, in parte sopra una critica del Testeto platonico, credono invece di poter dimostrare rigorosamente la legittimità della prima. Tutto ciò prova, in ogni modo, che I’ uso di questo vocabolo può dar luogo ad equivoci se non accompagnato dalla dichiarazione del valore che ad esso si attribuisce. Cfr. Lans, Idealismus und positirismus, 1879-94, vol. I, p. 188 seg.; Grote, Aristotle, 1872, vol. II, p. 148 seg.; Gomperz, Les penseurs de la Grece, 1904, vol. I, p. 477 segg.; A. Levi, Contributo ad una interpretazione del pensiero di Protagora, 1906; C. Ranzoli, Sul preteso agnosticismo dei presocratici, « Rendic. del R. Ist. lomb. di scienze e lettero », vol. XLVII, fase. 19, p. 1068 segg. Antropomorfismo. T. Anthropomorphiemue; I. Anthro- pomorphism ; F. Anthropomorphisme. È, come indica I’ eti- mologia (ἄνθρωπος - - uomo, µορφή - - forma) la dottrina che concepisce e rappresenta la divinità colla forma e gli attributi umani. Esso succede al naturalismo, e de- signa uno stadio già abbastanza evoluto della religiosità, giacchè il concepire Dio sotto forma umana è qualche con di superiore al concepirlo sotto forma di una rozza forza naturale. Dicesi antropopatia quel modo o fase dell’antro- pomorfismo, che consiste nell’ attribuire alla divinità affe- zioni e passioni umane, © antropopoieri l’uttribuirle azioni umane, Nel cristianesimismo primitivo la concezione della divinità è ancora antropomorfica; i Padri e i Dottori della Chiesa si sforzarono di purificarla spiritualmente, con l’ap- plicazione dell’ interpretazione allegorica alle Scritture e del metodo negativo, o ria eminentiae, nella doterminazione degli attributi divini. Tuttavia, non sempre la teologia cat- tolien ha saputo evitare lo scoglio dell’ antropomortismo, pur facendo di Dio l’ essere invisibile, inconoscibile, incom- prensibile, ineffabile; I’ nome non può in fine rappresen- — 65 — AST tarsi Die che con forme simili alle proprie, od è per questo che alcuni teologi, per evitare lo scoglio dell’ agnosticismo, ammettono la legittimità di un prudente e limitato antro- pomorfismo. — Nella filosofa la parola antropomortismo si adopera talvolta, con valore nettamente polemico, per in- dicare tutte quelle forme di monismo spiritualistico ο idea- lismo realistico, che, in quanto tali, interpretano il mondo per analogia con lo spirito umano; a ciò si suol rispondere che, ove non si voglia rinunziare a conoscere, non si può far di meno di concepire la realtà in termini di coscienza, e che quindi sono antropomorfici tutti i sistemi filosofici, con l'aggravante in alcuni (materialismo, naturalismo, ecc.) di easer tali senza saperlo. — Il Rosmini chiama sofiema antropomorfita quel falso ragionamento con en gli epieurei e i pagani in genere attribuivano agli dei forma umana; gli dei sono beatissimi e non potrebbero essere senza aver la virtà; nd potrebbero aver la virtù senza la ragione; ma la ragione non si trova che in quell’ onte che ha forma umana, dunque gli dèi hanno forma umana. Il Rosmini considera tale ragionamento un sofisma, in quanto si fonda sopra la cognizione erronea e confusa del soggetto, traendo da esso delle conclusioni che ne sorpassano il valore. Cfr. T. Caird, Evolution of religion, vol. I, p. 289 segg., 367 segg.: Guelpe, Apologie den anthropomorphischen u. anthropopathi- schen Darstellung Gottes, 1842; R. Eucken, Geistige Strömun- gen der Gegenwart, 1909, p. 347 segg.; Ronouvier, Le per- sonalisme, 1903, p. 49 e segg.; Rosmini, Logica, $ 714 segg... 1853; A. Aliotta, L'aocusa di antropomorfismo, « Cult. filono- fica », nov. 1907 (v. analogiemo, ignoratio elenchi, infinito). Antroposociologia. T. Antkroposooiologie; I.Anthro- posociology; F. Anthroposouiologis. Nome col qualo oggi ni indien lo studio dell’uomo, in quanto tale studio comprende © forma il punto di partenza di tutte le scienze morali, della psicologia, dell’ etica, dell'estetica, della sociologia, dell'etnografis, della demografia, della storia, della pol 5 — Ranzoni, Dizion. di scienze flosofiche. APA — 66 — tica. Si distingue dall’ antropologia, scienza puramente zoo- logica, ed è affine all’ antropologia filosofica quale era con- cepita nella speculazione antica. L’antroposociologia è sorta da principio con carattere prevalentemente storico, che ap- pare in particolar modo nelle opere del Gobineau sull’ ine- guaglianza delle razze umane; attraversò poi una fase bio- logica, corrispondente ai grandi lavori di Darwin, che pose innanzi il principio della lotta per la vita e della selezione naturale, facendone la prima applicazione alle razze umane; in una terza fase bio-peioologioa, inizinta dal Broca, la legge della « selezione sociale » è assunta come principio esplica- tivo di tutti i fenomeni che si svolgono nella società e tra lo società umane; nella sna fuse attuale essa ha carattere antropometrioo, è rappresentata specialmente dal Lapouge, dall’Ammon, dal Muffang, dal Livi, e tende con le misu- razioni e le statistiche a dare base sperimentale alle « leggi » dell’antroposociologia, che sono soprattutto la selezione na- turale applicata all’ uomo nella sua modalità di selezione sociale, e la superiorità etnica intellettuale e morale del- Velemento dolico-biondo. Cfr. Ammon, L’ordre social ei ses bases naturelles, 1900; Lapouge Vaoter, L’aryen, son rôle social, 1899; D. Folkmar, Loçons d'anthropologie philoso- phique, 1900; Enrico Morselli, 1, antroposociologia, « Riv. di fil. e scienze affini », ott. 1900. Apagogia. In Aristotole l’äraywyr non significa che la riduzione di un problema ad un altro. Tuttavia comu- nemente designa una forma di ragionamento, che consiste nel provare la falsità delle proposizioni che si vogliono con- futare, deducendone delle conseguenze assurde e necessarie. Si dice anche deductio ad impossibile o ad absurdum in quanto doriva la verità della tesi da provare dalla impossibilità della sua negazione, Il Wundt ammette tre forme di prova npagogica, la disgiuntiva, la contraria, la contradditoria; la seconda però non è che una specie della prima, consi- stendo in uua diagiunzione che ammette due sole possibilità, — 67 — APA le quali in quanto contrarie si escludono, mentre la terza è quella che suol dirsi riduzione all’ assurdo. Il Masci mette pure una prova apagogica disgiuntiva, la quale con- siste nell’ esaminare tutte le possibilità diverse da quella che si vuol dimostrare, e dagli assurdi che ne derivano conchiude alla loro falsità, e da questa alla verità delln tesi. Cfr. Aristotele, Anal. pr., II, 25, 698, 20 © segg.; Wundt, Logik, 1893, vol. II, p. 68; Masci, Logica, 1899, p. 345 segg. A pari v. a fortiori. A parte ante, post rei. Termini propri della sco- lastica, che si applicano all'infinito, all’ eternità. L’ eter- uità non ha limiti nel passato, ed è I’ eternità a parte ante; non ha limite nel futuro, ed è l’ eternità a parte post. Dio contiene ambedue queste parti dell'eternità, l’anima umana soltanto la seconda. Pure nella scolastica dicevansi a parte rei quegli universali che vengono dalla natura della cosa © non dalla natura dello spirito che la conosce (v. aerum, idealirmo, realismo). Apatia. (ἀπάθεια). Significa, come dice |’ etimologia, mancanza di sentimento, d’attività mentale e morale, in- dolenza. Ha qualche cosa del quistismo. Per Epicuro essa vale assenza di dolore, ed è sinonimo di starassia da lui più frequentemente usato: si distingue solo dall’ atarassin in quanto indica specificamente quella imperturbabilità, che il sapiente raggiunge liberandosi dai sentimenti e dalle passioni (πάθη, affectus), che la vita ed il mondo suscitano nell'uomo. Anche per gli stoici la virtù coincide con l’apatia, con l’ essere scevro da affetti; se l'uomo non può impe- dire che la sorte gli procuri un piacere o un dolore, può però impedire che questi sentimenti diventino affetti, cioè passioni, negando loro il consenso con la forza della ra- gione, non reputando il primo come un bene e il secondo come nn male. Seneca determina così la differenza tra P apatia stoica e quella megarica: Noster sapiens vinci! qui Aro — 68 — dem incommodum omne, sed sentit; illorum ne sentit quidem. Clemente Alessandrino adopera questo vocabolo per indi- care la mortificazione della carne, la rinunzia ottenuta dopo le lotte contro i sensi. Cfr. Diogene Laer., V, 1, 8; Se neca, Ep. mor., I, 9,104. Apodittioa. T. Apodiktik; I. Apodiotio; F. Apodiotique. Quella parte della dialettica, che insegna il modo di dimo- strare la verità di un priucipio per mezzo del semplice ra- gionamento, senza ricorrere a prove di fatto. Secondo il Bouterwek l’apodittica è « la scionza dei fondamenti ultimi del sapere 6 in generale delle convinzioni assolute ». Le altre due parti della dialettica sono l’elenctioa, che ha l’of- ficio di confutare le affermazioni dell’ avversario, ο l’apo- logetica che ha lo scopo di difendere la verità contro le negazioni dell’ avversario. Cfr. Bouterwek, Ides einer Apo- diktik, 1799 (v. maioutioa, ironia, anatreptioa, agonistica). Apodittici (gindisi). Vocabolo già usato da Aristotele (Ἀποδεικτικός) e di nuovo introdotto nel linguaggio filo sofico da Kant, per contraddistinguere quoi giudizi che sono al disopra d'ogni contraddizione ed esprimono una verità di diritto, in essi pensandosi il predicato come ne- cessariamente pertinente al soggetto. Insieme agli assertori © ai problematici appartengono alla categoria della modalità, od hanno la formola: A deve esser B. Possono anche es- sere negativi, nel qual caso hanno la formola: A non può esser B, mentre i problematici negativi hanno per formola: A può non esser B. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 1, 24a, 30; Kant, Krit. d. reinen. Vern., ed. Kehrbach, pag. 54. Apologetica. T. -{pologetik ; 1. Apologetics; F. Apolo- gétique. Quella parte della teologia che ha per cémpito di provare la perfezione e la verità della religione cristiana, contro le religioni e le dottrine avversarie. Gli scrittori dei primi secoli della Chiesa essendosi per la maggior parto ocenpati di cid, son detti appunto apologetici. Essi com- paiono già nel secondo secolo, nel qual tempo la pubblica — 69 — APo-APP opinione veniva eccitata contro i cristiani da ogni sorta di calunnie, e lo Stato romano, strettamente unito alla re- ligione pagana, cominciava a procedere giudizialmente con- tro la nuova religione: gli apologeti respingono le accuse dei pagani, mostrano l’iniquità ο l’immoralità dei miti degli dèi, difendono il monoteismo e il dogma della re- surrezione, provano la verità della dottrina cristiana met- tendone in rilievo gli alti effetti morali. Si dice anche spo- logetica quella parte della dialettica che ha lo scopo di difendere la verità, di qualunque ordine essa sia, contro le negazioni dell’avversario. Cfr. Bardenhewer, Patrolo- gie, 1901; Harnack, Geschichte d. altohristlichen Literatur, 1898-1897; A. Rosmini, Apologetica, 1845. Aporema. Gr. Απόρημα, Una delle quattro specie in cui Aristotele distinse il sillogismo, considerando il fine logico che si propone chi lo adopera, L’ aporema è il sillogismo dubitativo (ἀπο-ρέω = dubito), quello cio’ che mostra 1 ugual valore di due ragionamenti contrari. Cfr, Aristo- tele, Top., VIII, 11, 162 a, 17. Aporetica v. Zetetica. Appercezione. T. Apperception; I. Apperoeption; F. Ap- perception. Parola di senso molto vario e molto vago. Car- tesio la adoperò per indicare l'ufficio della volontà nel rendere distinti e precisi gli stati della coscienza: « Rien qu'en regard de notre âme ce soit une aotion do vouloir quel- que chose, om pout dire, que c'est aussi en elle une passion @apperceroir co qu'elle veut ». Ma la parola fu veramonto introdotta nel linguaggio filosofico dal Leibnitz, ο usata poi, nel suo primitivo significato di un aocorgersi interno, immediato, da Kant, Herbart, Maine de Biran. Por Leib- nitz, infatti, le appercezioni sono percezioni chiare, ca- ratterizzato dalla riflessione © proprie soltanto dell’ uomo; come tali si distinguono così dalle percezioni propriamente dette, che noi proviamo senza riflettere ο che ci possono essere ripresentate dalla memoria, come dalle percezioni Ave πο — oscure, quali possiamo provarle nel sogno. L’ appercozione non è, per il Leibnitz, il prodotto di una facoltà speciale, bensì la percezione stessa allo stato più perfetto, rischia- rante ad un tempo I’ Io ο gli oggetti esteriori. Per Kant invece essa è completamente distinta dalla sensibilità, è l'atto fondamentale del pensiero e non rappresenta che sò stessa. La validità obbiottiva del rapporto temporale ο spaziale non può fondarsi, per Kant, che sulla sua deter- minazione mediante una regola dell’ intelletto; ma la co- scienza individuale non sa nulla di questo concorso delle categorie nella esperienza, o non assume cho il risultato di questa funzione come la necessità obbiettiva della sua concezione della sintesi spaziale ο temporale delle sensa- zioni. Quindi la produzione dell’ oggetto non avviene nella coscienza individuale, ma si trova in questa como sua base; ogni oggettività che l’ individuo sperimenta ha radico in un nesso che lo trasconde, e che, determinato dalla forma pura dell’ intuizione e del pensiero, pone ogni prodotte im- modiato dello spirito in un complesso di relazioni deter- minate; quosta attività sopraindividuale della vita rappre- sentativa è chiamata da Kant nei Prolegomeni « coscienza in generale » (das Bewusstsein überhaupt), © nella Critica . Agire su qualche coss è volere che qualche cosa sia, nel senso che la volontà se ne serve come mezzo per realizzare sò stessa, per penetrare nell’ intimità chiusa d’al- tri soggetti © interesearli a sè; la scienza del renlo è du que la scienza del soggetto dell’azione. Ma agendo n AzI-BAM — 128 — estraiamo da noi stessi il principio della nostra azione, e questo principio oltrepassa le esperienze nostre passate ; V operare genera la riflessione, ma questa non rimane ste- rile, bensì fa dell’azione una volontà libera: il nostro pen- siero attuale non è dunque che l’effetto e il mezzo del- l’azione. Da queste premesse il Blondel ricava importanti applicazioni di natura sia filosofica che religiosa. Cfr. Blon- del, L’Aotion, 1893; Id., Annales do la phil. chrétienne, giu- gno 1906; Cesca, La fil. dell’asione, ed. Sandron; Lamanna, La fil. dell’azione, in « Cultura filosofica », luglio 1913. BB. Nella logica formale questa lettera si dà per iniziale ai nomi mnemonici dei modi delle varie figure del sillo- giamo, che devono modellarsi sul modo Barbara, quando si vogliono ricondurre alla prima. E anche ussta nelle ar- gomentazioni logiche per indicare il predicato della pro- posizione. Bamalip o Bramalip. Termine mnemonico di con- venzione, con cui nella logica si designa un modo della «uarta figura del sillogismo, in cui la maggiore e la mi- nore sono universali affermative, la conclusione partico- lare affermativa, come indicano le tre prime vocali. Es. le rondini sono uccelli migratori - gli uccelli migratori tor- nano la primavera - dunque qualche rondine torna di pri- mavera. Come si vede, la conclusione è falsa; ma la let- tera B indica che, per esser provato, questo modo deve essere ricondotto a un Barbara della prima figura; e la lettera p che questa operazione si dovrà fare convertendo per accidente la conclusione. Questo modo può anche es- sere designato col termine Baralipton; in tal caso I’ ultima sillaba ton non ha alcun senso, essendo stata aggiunta per la misura del verso mnemonico. Corrisponde al γράµµασιν dei greci (v. conversione). Barbara. Termine di convensione maemenies, con eni i lo, designavano un modo della prima figura del sil- logismo, nel quale la maggiore, la minore e la conelusione sono proposizioni universali affermative, come indicano le tre vocali. Per es. tutti i corpi sono soggetti alla legge di gravità - tutte le stelle sono corpi - dunque tutte le stelle song soggette alla leggo di gravità. Corrisponde al vpénnata dei greci ο rappresenta il tipo perfetto del sil- logismo categorico. Barbari. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica si designa un modo della quarta figura del sil logismo. Come indicano le tre vocali, la maggiore e la mi- nore sono universali affermative, la conclusione particolare affermativa. È un modo analogo a Bamalip, colla differenza che non può essere ridotto al Barbara della prima figura. Baroco. Termine di convenzione mnemonica, che de- sigua un modo della seconds figura del sillogismo, nel quale la maggiore è universale affermativa, la minore ο In conclusione particolari negative. La lettera B indica cho, per provare questo modo, bisogna ridurlo a un Barbara della prima figura, la lettera ο che questa operazione si deve fare convertendo la minore per contrapposizione; r è eufonica. Es. Tutte le esagerazioni sono riprovevoli - vi sono delle passioni che non sono riprovevoli - dunqne vi sono delle passioni che non sono esagerazioni. Corrisponde all’ ἄχολον dei greci. Baroestesia. (βάρος = peso, αἴσθησις := sensazione). Il senso della pressione, che è dato dagli organi del sono tattile, di cui fa parte. Su questo senso il Weber aperi- mentò la legge psico-fisica, che fa poi verificate anche negli altri sensi e che suona così: il rapporto in cui de- vono trovarsi due stimoli della sensibilità tattile di pres- sione perchè abbia luogo la distinzione intensiva è di 1 a 14/5. Per ottenere una sensazione di pressione sul palmo della mano occorre almeno il peso di cinque cen- 9 — RaszoLi, Dizion, di scienze filosofiche. tigrammi ; per poter percepire distintamente due sensazioni suocessive di pressione, queste devono suocedersi con un intervallo di tempo, che non sia minore di una data quan- tità, variabile negli individui ο nelle località della pelle. Cfr. Fechner, Elements der Paychophysk, 2° ed. 1889. Bastoncini. T. Stibohen; F. Bätonnet. Corpuscoli ci- lindrici che rivestono la parete esterna della retina, ove sono disposti nel senso dei raggi della efera oculare. Non sono altro che le terminazioni dei nervi ottici, ed è sola- mente da essi che, secondo il Wundt, è ricevuta e tra- smessa l’ eccitazione della luce, mediante un processo chi- mico analogo # quello onde rimane impressionata la lastra fotografica. Questo processo dicesi asione fotochimica. La maggior parte dei psico-fisiologi condivide questa dottrina, considerando il complesso dei bastoncini della retina come P apparecchio recettore che funziona durante la visions cre- puscolare, e il complesso dei coni come 1’ apparecchio che funziona durante la visione diurna. Cfr. Wundt, Grundsüge d. physiol. Ῥοψολοῖοθίο, vol. II, 1902; Horing, Zur Lehre vom Liohtsian, 1878. Bentitudine. Gr. Maxapiéing; L. Beatitudo; T. Se- ligkeit; I. Blossednose; F. Béatitude. Stato di godimento continuo ed uguale, che alcuni filosofi ripongono nella con- tomplazione delle verità eterne, altri nel pieno possesso di sò stessi, altri nell’esser liberi da passioni e da dolori. Così gli stoici consideravano la beatitudine come stato ca- ratteristico del saggio, che racchiude tutti i boni nell'animo, disprezza le cose che gli altri desiderano, non si turba nè si piega per mutar di fortuna, «segue la natura come mae- stra, conformandosi alle sue leggi, vivendo come essa pre- serive ». Per Spinoza la beatitudo seu felicita» è « il riposo doll’ anima, riposo che nasce dalla conoscenza intuitiva di Dio ». Por la teologia cattolica la beatitudine à il premio che gli eletti ottongono nella vita celeste, e consiste nella visiono intuitiva, immediata di Dio uno e trino (risio bea- — 181 — Ber tifica), del Padre nella sua stessa natura e sostanza: vident divinam oesontiam visions intuitiva et etiam facials, nulla me- dianto oreatura in rations obiecti visi 8ο habente, sed divina essontia immediate se, nude, olare et aperte eis ostendente; quodque sio videntes, cadem divina essentia perfruuntur, neonon quod ex tali visione.... sunt vere beata, ci habent vitam et re- quiem cternam. Però, la determinazione dello stato futuro di beatitudine ha subito ‘delle oscillasioni nella filosofia cat- tolica; così 8. Agostino, malgrado il suo volontarismo, lo faceva consistere nella visio divina cosentie, seguito in ciò da Alberto Magno e da 8. Tommaso, ma Ugo di 8. Vit- tore aveva già definito il supremo coro degli angeli me- diante l’amore; ο S. Bonaventura aveva identificato la intuizione eterna con l’amore; Duns Scoto, procedendo oltre, insegnò che la beatitudine è uno stato della volontà, e precisamente della volontà tutta rivolta a Dio, cosiechè l’ultima trasfigurazione dell’ uomo non ènella intuizione, nella contemplazione, ma nell’ amore. Si distingue da fe- Hoità in quanto designa uno stato di gioia spirituale otte- nuto mediante uno sforzo, e implica 1’ idea della divinità © della vita futura. Alcuni psichiatri lo adoperano anche per indicare certi stati di intima contentezza, che si ac- compagnano talora all’ estasi, alla catalessia © alla ma Cfr. Spinoza, Ethica, I, teor. 49, scolio; IV, cap. 4; L. Bil- lot, De Deo uno ot trino, 1845, t. I, thesis XV, art. 11; H. Siebeok, Die Willensichre bei D. Scotus u. seinen Naohfol- gern, in « Zeiteobr. f. Philos. u. philos. Krit. », vol, 112, P. 179 segg. (v. amore, euforia). Bellezza. T. Schônkoit; I. Beauly; F. Beauté. Si suol distinguere la bellezza fisica, che è una riunione di forme, di contorni e di colori che piace all’ occhio, dalla bellezza morale, che è propria dell’ anima, dei sentimenti © dello azioni; e la bellezza statica, che risulta dalle lince, dalle forme, dalle proporzioni, dalla bellezza dinamica, che ri- sulta dai movimenti © dalla forza. Bri. "= 182 — Bello. T. Schön : I. Beautiful; F. Beau. Si può definire, formalmente, come ciò che suscita negli uomini quel par- ticolare sentimento che dicesi emozione estetica; oppure, ciò che piace universalmente. Infinite fnrono le definizioni del bello, che forma l’ oggetto di tutta una parte delle filo- sofia, l'estetica. Tuttavia queste definizioni si possono tutte ridurre sotto due grandi categorie: lo une pongono il bello come esistente in sè, e lo considerano come una proprietà dell’ oggetto; le altre invece lo considerano come un sem- plice prodotto della nostra attività mentale, che non esiste in sì stesso ma in noi. Per le prime il bello è dunque uni: versale, assoluto, per le seconde è relativo e mutabile coi tempi, coi luoghi e cogli individui. In Platone l’idea del bello 9 quella del bene sono strettamente congiunte; se ciò che attira da principio 1’ ammirazione dell’ anima è il hello fisico, le forme, i suoni, i colori, è perchè il bello risveglia in noi la reminiscenza d’un bene perduto, un bene che lo nostre anime possedevano quando, mescolate al coro dei beati, contemplavano il magnifico spettacolo delle Idee o essenze eterne, tra le quali brilla la Bellezza: « Caduti in questo mondo, noi 1) abbiamo riconosciuta più distintamente di tutte le altre, per mezzo del più luminoso dei nostri sensi. La vista è infatti il più sottile degli or- gani del corpo, e tnttavia non percepisce la saggezsa! ». Di quale ineffabile amore la suggezza empirebbe le anime nostre se la sua imagine si presentasse ai nostri occhi di- stintamente come quella della bellezza! « ma la bellezza soltanto ha ricevuto in sorte d’ essere al tempo stesso la cosa più manifesta ο la più amabile » (Fedro, 58, 250, a, b, ο). Aristotele non trattò del bello che incidentalmente, mentre vece penetrò con mirabile acume nell’ essenza dell’ arte; ma dal poco che egli lasciò seritto in proposito, sembra al Siebeck di poter dedurre che « si può già scoprire in Ari- stotele, come condizione essenziale del bello artistico (ed alla fine d'ogni bello in generale) quella proprietà, che — 133 — BEL cored poi d’esprimere Kant con la formola finalità sonza scopo, 9 che Schiller espresse chioramente nella sua dot- trina, secondo la quale il segno distintivo e il carattere formale del bello consiste nell’ impressione della libertà det fenomeno ». Per Plotino il bello è il tralucere dell’ essenza spirituale, ideale, attraverso la sia apparenza sensibile, © grazie appunto a questo irradiarsi della luco spirituale nella materia è bello tutto il mondo sensibile, ed è bello in esso l'individuo rappresentato ‘secondo il suo modello: , 1889. Catalettico (καταληπτικὀν). Secondo gli stoici, il eri- terio della verità è la rappresentazione che coglie con pie- nezza e con chiarezza l'oggetto, ο risiede nel catalettico, cio nella forza di convinzione immediata, ed insita ad una data rappresentazione. Cosi per Crisippo la rappresen- , tazione vera 0 concopibile, φαντασία καταληπική, non si manifesta soltanto essa stessa, ma manifesta anche il suo oggetto; essa non è altro, egli dice, che la rappresentu- zione prodotta da un oggetto reale ο in una maniera anu- loga alla natura di codesto oggetto. Cfr. Plutarco, De plac. phil, IV, 12; Diogene Laerzio, VII, 46 ο 50; Zeller, Philos, der Griechen, IID, p. 85. Cataplessia (xaté οπλἑσσω colpisco). T. Kataple. F. Cataplerio. Scomparsa repentina e violenta della sensi- bilità e del movimonto in qualche parte del corpo, in se- — 157 — Car "guito a qualche emozione intensa, specialmente la paura. Designs anche lo stato di torpore prodotto negli animali con processi analoghi a quelli dell’ ipnosi, quando codesto torpore determina nello membra degli animali dei fenomeni catalettici (v. analgesia, anostoria). Catari (x&tapo; --- puro). Setta di eretici oristiani, che si proclamavano gli unici depositari della pura dottrina. Secondo il Tocco le dottrine del catarismo, una delle eresie più infeste al cattolicismo, avrebbero avuto origine dal- l’antico manicheismo, diffuso in gran parte d’ Europa, for- nendo alla lor volta i materiali a tutte le successive eresie dell’ evo medio. Il catarismo si fonda essenzialmente sul dualismo religioso: il mondo è opera di due divinità, una buona e una cattiva; il bene deriva dal primo, il male dal secondo; nell’ uomo il corpo © l’anima sono prodotti dal primo e peroiò mortali, lo spirito dal secondo, quindi im- mortale. Cristo non è che puro spirito, quindi non ha corpo umano, nè soffrì passione © morte; egli è un arcangelo, mandato dal principio del bene a disperdere le menzogne del vocchio Testamento, opera del dio cattivo, e ad inse- gnare agli uomini la schietta verità. Cfr. F. Tocco, L'ere- ria nel medio-evo, 1884 (v. manichelemo). Catarsi (κάθαρσις --- pargazione). Grecismo col quale talvolta si designa il periodo di purgazione a cui, secondo V orfiemo, il pitagorismo e la filosofia platonica, erano sot- tomesse le anime dei defanti prima di essere ammesse alle sedi dei besti, o prima di dar vita a un nuovo corpo. Secondo Platone la cntarsi durava mille anni, perchè « di quante mai ingiurie ogni anima e a chiunque le abbi fatte, di tutte partitamente (deve) scontare la pena; ciò fare che cisscuna pena duri cent’ anni, tale essendo la mi- sura della vita umana affinchè scontino decupla la pena del loro peccato ». Virgilio ha seguito in questo, come in altri concetti, il filosofo greco, stabilendo così In durata della vita oltremondana: Has omnes, ubi mille rotam rol- Cat — 158 — vere per annos — Lethaoum ad fluvium deus svocat agmine ma- gno - Soilioat immemores, supera ut convera revisant — Rurews, et incipiant in corpora velle reverti. Aristotele usa la stessa parola in un particolare significato, prendendolo dalla me- dicina, dove per catarsi s’intendeva la cura di certi stati di eccitazione psichica col suono di melodie orgiastiche, ciod di melodie che producevano un maggiore eccitamento ; applicando questo concetto alla influenza della tragedia sull’ animo, egli dice che l’opera tragica mira, col modo onde rappresenta i suoi soggetti, « a raggiungere con la paura © la compassione la catarsi di codesti effetti ». E ciò deve intendersi nel senso, che l'efficacia psicologica della tragedia consiste nel risolvere i suddetti affetti in un gradevole fluire, che ingenera il sentimento di una de- purazione progressiva dal dolore, di una liberazione cre- scente di ciò che in esso è di opprimente, senza perciò eliminare |’ affetto stesso: quindi la tragedia non suscita soltanto la paura e la compassione, ma le purifica anche in modo ds far loro perdere il carattere di emozioni do- lorose per convertirle in piacevoli. Cfr. Platone, Fedone, 67 C, D, Rep., XIII, 615; Aristotele, Poet., VI; Bernays, Ueb. die arist. Theorie des Drama, 1880; Siebeok, Zur Ka- tharsis-frage, in Unters. z. Philos. d. Griechen, 1888, p. 163 segg.; C. Ranzoli, La religione e la filosofia di Virgilio, 1900, p. 185 seg. Catatonia. ‘I. Katatonic; I. Catatony; F. Catatonie. Nome creato dal Kahlbaum per indicare una malattia men- tale, caratterizzata specialmente da disturbi psicomotori. Si verifica più frequentemente nelle donne che negli uo- mini, tra il quindicesimo o il trentesimo anno. Più che una malattia a si i moderni psichiatri la considerano, in- sieme alla cbefrenia, come una forma della demenza pre- coce. Si inizi con accessi di esaltamento e di depressione, cui segnono stadi di stupore, di catalessia, stereotipia, eco- lulia, negativismo: il malato rimane lungamente immobile — 159 — Cat in posizioni «trane ed incomode, i suoi muscoli sono ri- gidi e di un caratteristico color cereo, i suoi movimenti sono lenti, incerti, legati, come se ad ogni istante una folla di rappresentazioni antagonistiche si facessero equi- librio nella sua mente, così da allontanare il periodo della determinazione. L'intelligenza può restare lucida ο sve- glia, ma di tratto in tratto vengono a intorbidarla idee deliranti, stadi di stupore, atti impulsivi e violenti. Cfr. Kahlbaum, Die Katatonie, 1874; J. Finzi, Compendio di psi- chiatria, 1899, p. 57, 121. Categoria. Lat. Predicamentum; T. Kategorie; I. Ca- tegory; F. Catégorie. Nel senso primitivo, usato da Ari- stotele, le categorie sono i predicati delle proposizioni. In senso generale sono le classi più alte in cui sono distribuite le idee o gli esseri reali, in seguito a un certo ordine di subordinazione e a certe vedute siste- matiche. I primi filosofi che abbiano ammesse delle ca- tegorie, furono, per non parlare dei filosofi indiani, i pitagorici, i quali ne contavano dieci, procedenti per op- posizione: il determinato e l’ indeterminato, il pari e il dispari, l’unità e la pluralità, il diritto e il sinistro, il maschio e la femmina, la quiete e il moto, ritto e il enrvo, la luce © le tenebre, il bene e il male, il quadrato ο le figure dai lati disuguali. Aristotele, ponendosi dal punto di vista grammaticale, distingue pure dieci cate- gorie: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il luogo, il tempo, la situnzione, In possessione, l’azione, la passione. Gli stoici non ne ammettevano che due: la so- stanza e la qualità. Plotino cinque nel mondo sensibil la sostanza, la relazione, la quantità, la qualità, il movi- mento; cinque nel mondo intelligibile: la sostanza, la quiete, il moto, I’ identità e la differenza. Tra i filosofi mo- derni, che hanno formulato delle categorie, tralasciando quelle del Descartes, di Porto Reale, eco., ricorderemo Kant, Jo Stuart Mill ο il Renonvier. Per il Kant le categorie sono Cat — 160 — dodici e rappresentano non le classi più generali nelle quali si distribuiscono le nostre idee, ma i modi più generali se- condo i quali la ragione costituisce i suoi giudizi; esse costi- taiscono i concetti fondamentali dell’ intendimento puro, le forme a priori della nostra conoscenza, rappresentanti tutto le funzioni essenziali del pensiero discorsivo. Ora quattro sono lo classi generali dei giudizi, quindi quattro le ca- tegorie principali: 13 qualità, 2* quantità, 83 relazione, 43 modalità; ognuna di queste contiene tre categorie su- bordinate: 1° l’unità, la moltiplicità, la totalità; 2* la realtà, la negazione, la privazione; 83 la sostanza, la can- salità, la reciprocità; 4° la possibilità, l’esistenza, la ne- cessità. Il Mill riduce tutte le cose nominabili a quattro classi, che propone di sostituire alle categorie aristoteli- che; sentimenti o stati psichici; la mente o anima che li esperimenta; i corpi esterni con le loro proprietà che ec- citano tali sentimenti; le succession e cocsistenze, le 80- miglianze e dissomiglianze tra i sentimenti stessi. Il Re- nouvier, che le definisce come le leggi prime e irreducibili della conoscenza, distingue nove categorie: relazione, nu- mero, posizione, suocessione, qualità, divenire, causalità, finalità, personalità. Ogni categoris esprime, secondo il Renouvier, una relazione nella quale si può trovare una tesi, un’ antitesi e una sintesi: ad es. nella successione In tesi è l'istante, l’antitesi il tempo, la sintesi la durata. Secondo l’Ardigò le categorie sono idealità strumentali, di origine empirica al pari delle altre idee, com’ è dimostrato dal fatto che esse pure variano da individuo a individuo, © nella storia della cultura, per vari rispetti; sembrano a priori perchè si vengono formando con processo inavver- tito nei primordi della vita psichica individuale, cosicchè al cominciare della riflessiono, lo troviamo già costituite in noi stessi. Secondo lo Schuppe le categorie, senza lo quali nulla può essere pensato, non sono una creazione dell? io, non vengono applicate ai dati dell’ intuizione, como credo — 161 — Kant, ma sono fin da principio esistenti nella nostra coscienza come determinazione dei dati, che non potrebbero divenire contenuti di coscienza senza essere distinti e connessi cau- salmente; si può dire dunque che le categorie sono a priori, in quanto non abbiamo bisogno di aspettare questo o quel dato particolare per dire che deve conformarsi alle leggi universali del nostro pensiero, ma ci sono date a posteriori, perchè non abbiamo altro modo di ricavarle se non dalla ri- flessione sul contenuto della nostra coscienza. Secondo il Cohen, il pensiero è spontanea produzione di sè stesso, per- chè il pensiero e l’essere sono identici; quindi è erroneo sostenere che la conoscenza si produca col plasmarsi di una materia empirica nella forma delle categorie, ma si deve riconoscere che il pensiero, non potendo aver nulla prima di sd da cui prends le mosse, produce con la sua stessa attività il suo indivisibile contenuto: questo è l’ unità at- tiva del gindizio, il cui contenuto non è la cosa (Ding) ma l'oggetto (Gegenstand), e che produce, con le sue diverse specie, le diverse formo di conoscenze e di oggetti. A questo tentativo di deduzione trascendentale delle categorie, la nuova scuola del Fries sostituisce l’analisi e l’osserva- zione dell’ intellotto umano, nella sua struttura comune n tutti gli individui; con essa risale dai comuni giudizi ai principî fondamentali che in essi sono impliciti (catego- rie), e la cui unità e complessità prova il loro essere co- noscenze immediate di natura non empirica. Cfr. Aristo- tele, Categ., 4, 1 b, 25; Top., I, 9; Simplicio, In cat., 16; Plotino, Fam. VI, 1, 25 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 95 segg.; J. 8. Syst. of logio., 1865, vol. I, 83; Renouvior, Kesaie de crit. générale, Logique, I, 184; Trendelenburg, Geschichte d. Kategorienlehre, 1841; Schuppe, Grundriss d. Erkenninistheorie, 1894, p. 36 segg.; Cohen, System d. philosophie, 1902, p. 14 segg., 79-100: Nelson, Die kritische Methode, 1906, vol. I; Ardigd, Op. AV, p. 7 segg. 11 — Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche. Cat — 162 — Categorioo. 'T. Kategorisoh ; I. Categorical ; F. Catégo- rique. Nella metafisica si dice categorico un giudizio che non dipende da alcun altro giudizio esteriore. Nella logica il gindizio categorico appartiene alla categoria dei giudizi di relazione ed esprime il rapporto di sostanza ed inerenza ; esso rappresenta la forma più generale di analisi e di sin- tesi del pensiero. Alla categoria dei giudizi di relazione appartengono inoltre il giudizio ipotetico e il disgiuntivo (v. imporatico). Categorumeni. Aristotele distingueva, oltre le dieci categorie, che sono i predicati, anche cinque categorumeni, ossia i predicabili, i predicati dei predicati. Sono: genere (Ὑένος), specie (εἴδος), differenza (διαφορά), proprio (Ἴδιον), acoidente (συμβεβηκός). Gli scoliasti greci li chiamavano ge- neralmente le cingue vooi (rèvte φωνάς), appunto per indicare che sono epiteti cho si possono dare allo dieci categorie, le quali invece sono le cose stesse che si predicano. Cia- scuna di queste cose, se si considera iu relazione con le idee esprimenti la sua divorsa catensione, può essere specie, differenza, genere, proprio, accidente o tutto questo insieme; così la quantità può essere un proprio di quantità, come del corpo è propria una quantità figurata, o un accidente, come è un accidente la quantità determinata di materia compo- nente il corpo di un uomo, il quale può essere più o meno grande. Il Rosmini ammette invece sette predicabili, di- visi in due classi, di cui la prima ha per base l’ estensione, la seconda la comprensione : alla prima classe appartengono l'onsenza universalissima, essere ideale indeterminato, idea dell’ essere (che è non solo fuori di tutti i generi, in quanto si predica di tutti, ma è anche a tutti superiore, 9 come per #2 esente dà una differenza mussima da essi), l’essensa generica, idea generica, genere, e l'essenza specifica, idea spe- citica, spocie; alla seconda la differenza specifica, che è ciò che la specie comprendo più del genere, il proprio, che è ciò che l'individuo comprendo di necessario più della specie, — 163 — Cau l’aocidente, che è ciò che di non necessario 1) individuo com- prende più della specie, il reale, che esce dal novero delle idee, ed è il massimo comprensivo come 1’ essere ideale è il massimo estensivo. Cfr. Simplicio, In Arist. Categ., 1534; Prantl, Gesohichle d. Logik, 1885, I, 395; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 97; Rosmini, Logica, 1853, § 413-416. Causa. T. Ursache; 1. Cause; F. Cause. La parola causa è adoperata comunemente per designare ciò che produce una cosa o un fatto, le loro condizioni necessarie, ciò, in- somma, senza di cui cosu e fatto non sarebbero. Boezio la definisce: causa est, quam de necessitate sequitur aliquid, seilicet oausatum. Guglielmo di Occam: causa sunt quibus positis sequitur effectus. Cartesio: Jam vero lumine naturali manifestum est tantumdem ad minimum esse debere in causa efficiente et totali, quantum in eiusdem causa effectu. Hobbes: «una causa è la somma o l’aggregato di tutti quegli ac- cidenti, sia nell’ agente che nel paziente, i quali concor- rono alla produzione dell’ effetto ». Malebranche: « La vera causa è quella tra la quale e il suo effetto lo spirito per- cepisce un legame necessario ». ('. Wolff: oausa est prin- cipium, a quo eristentia sive actualilas entis alterius ab ipso diversi dependet tum quatenua existit, tum quatenue tale existit. James Mill: « Una causa, o il potere di una causa, non sono due cose, ma due nomi per la stessa cosa; I’ idea di causa come esistente è seguìta irresistibilmente dall’ idea di effetto come esistente ». Kant: « una particolar specie di sintesi,... per cui da un 4 vien posto un Β da esso to- talmente diverso secondo una regola generale >; egli con- sidera la nozione di causa e di effetto come una delle forme dell’ intendimento, una delle condizioni sotto cui dobbiamo pensare; noi siamo costretti da una legge della nostra mente a disporre le impressioni della esperienza secondo ‘questa forma. Ora codesta idea comune di causa è costi- tuita da altre idee, di oni la critica filosofica, cominciando Cav dal Hume, ha esaminato il valore, La prima idea è quella di produzione: dicendosi che il fatto 4 è causa del fatto B, si intendo che il fatto 4 abbin prodotto il fatto B; così nel fatto del riscaldarsi di un pezzo di ferro (effetto) in seguito a colpi ripetuti di martello (causa), il primo di codesti fatti sarebbe prodotto dal secondo. Ora questa iden è errones : essa ha le sue radici nel sentimento dello sforzo volontario, mediante il quale sentiamo in noi la ca- pacità di produrre un fatto nuovo che altrimenti non si produrrebbe. Codesta capacità, codesta attitudine sogget- tiva noi la obbiettiviamo ponendola nelle cose. « La no- zione di causa, dice Maine de Biran, ha origine dalla co- scienza del potere della nostra volontà, che riconosce la volontà come causa delle nostre azioni; e con nna specie di analogia trasportiamo questo potere personale a tutte le operazioni della natura». Ma un'attività produttiva nelle cose è affatto inintelligibile: i colpi del martello e il ri- scaldamento del pezzo di ferro sono due fatti eterogenei, cosicchè per ammettere che il primo abbia prodotto il se- condo, bisognerebbe ammettere che questo fosse contenuto in quello o ne facesse parte; il che è nssurdo. La seconda idea è quella di necessità, ed essa pure è illegittima, in quanto non fucciamo che collocare nelle cose ciò che non è che un puro prodotto logico della nostra attività men- tale. Fuori di noi non esiste necessità, ma soltanto qual- che cosa di analogo da cui quell’ idea deriva; 6 ciod la costanza nella successione dei fatti. « Dacchè due avveni- menti d’ una certa specie, dice Hume, sono stati sempre ο in tutti i casi percepiti insieme, noi non ci facciamo più il minimo riguardo di presagire l’uno alla vista dell’altro allora chiamando I’ uno di essi causa e l’altro effetto, li supponiamo in uno stato di connessione: diamo al primo un potere per eni il secondo è infallibilmente prodotto, una forza che opera con la maggior certezza 9 con In più inevitnbile necessità ». La terza idea che entra a costituire — 165 — Cau il concetto di causa è appunto l’idea di successione. Essn è perfettamente legittima, e senza di essa non sarebbe nem- meno concepibile la nozione di causa, che è ciò per cui un’altra cosa è: se B precedesse 4, non potrebbe in nes- sun modo esser concepito come effetto. Da ciò la defi- nizione dello Stuart Mill, che la causa non è altro che l’antocedonte invariabile e incondizionato di un fenomeno. Che 1’ antecedente debba essere invariabile, è implicito nella nozione stessa di causa, perchè se la causa è quella che pone l’effetto, non può esser causa un antecedente al quale non sempre segue l’effetto, quando una causa ne- gativa non intervenga; che debba poi essero incondiziu- nato lo prova il fatto che due fenomeni possono succedersi invariabilmente, come il giorno e la notte, quando siano effetti collaterali di un altro fenomeno: nel qual caso, se v’ ha successione invariabile, non v’ ha però causalità. Ari- stotele distingueva quattro sorta di cause: la formalo o essenza, la materiale o sostrato, la efficiente o movente e la final; lo prime due furon anche dette talora intrinseche. Queste quattro cause si trovano attuate in ogni cosa, per- chè esse costituiscono, secondo Aristotele, i quattro prin- eipt fondamentali ed universali delle cose. Si abbia una statua: essa è fatta d’una certa materia, sia marino ο bronzo; è secondo un certo modello ο idea, giacchè lu statna non sarebbe statua senza una forma; © per mezzo della mano, ossia di uno stromento operante, efticiente; © dietro un dato scopo, giacchò non vi sarebbe la statua se lo scultore non si fosse proposto un qualche scopo. In Iti casi la causa efficiente, la finale « la formale si medesimano; infatti l’idea può costituire ad un tempo lo scopo, la forma e la causa efficiente d’ un essere. Quando la parola causa è adoperata senza qualificativo, essa de- signa sempre la causa efficiente, che Aristotele chinma la cansa nel senso primo e principale della parola. Si dice causa prima quella che non è, alla sua volta, eftetto d’ un'altra causn antecedente; cause seconde quelle invece che sono effetti di cause anteriori. La causa prima è Dio. La causa si dice prossima o immediata quando fra essa e il proprio effetto non v’ha termine o serie di termini intermedi; se questi termini vi sono la causa si dice lontana o mediata. Causa strumentale si disse il mezzo, lo stromento di cui si serve una causa intelligente per raggiungere il proprio fine. Causa esemplare si disse invece il modello, il tipo che I’ ar- tista cerca di imitare: nell’ idealismo platonico la causa esemplare à l’Idea. Causa univoca è quella che produce un effetto della medesima specie o natura, come il calore che riscalda; causa eguivoca, quella che produce un effetto di natura diversa, come l’alcoolismo che è causa di pazzia; cnusa estrinseca quella che si distingue realmente e ade- guatamente dall’ effetto, causa intrinseca le parti di cui un composto risulta, come l’anima e il corpo rispetto all’ uomo. Cfr. Aristotele, Meth., V, 2, 1013 a, 24 segg.; Sesto Emp., Ade, Math., IX, 228; Goclenio, Lezioon phil., 1618, p. 355; Cartesio, Mod., III, 18; Bossuet, Traité des causes, 1875; Chr. Wolff, Ontologia, 1736, $ 881; James Mill, Analysis of the phen. of mind., 1829, ο. 24; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 108; Hume, Essais philos., 1790, 1, 129 segg.; J. S. Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, ο. V (v. com- posizione delle cause, condizione, sofiemi di falsa causa, causa finale, causa occasionale, causalità, determinismo, ecc.). Causa finale. Lut. Causa finalis; T. Zweckursache ; I. Final cause: F. Cause finale. Lo scopo, la ragione per cui una coms è compiuta, per cui un fatto avviene. Lo scopo è il termine iniziale; ma siccome esso determina, come cuusa efticiente, la serie dei fatti che deve condurre al termino finale, così il termine iniziale diviene la causa finale. Finis ext prior in intentione sed posterior in ezocu- tione, dicevano gli scolastici. Si oppone a causa meccanica o naturale, che è quella che si realizza inconsciamente, senza la concezione del fine: nella causa finale si ha un — 167 — Cav rapporto di mezzo a fine, nella naturale un rapporto di causa ad effetto. Dicesi teleologico ο finalistico il metodo che consiste nello spiegare le cose mediante il fine per cui fu- rono create, e teleologia la dottrina delle cause finali. Nella storia della filosofia le cause finali furono intese principal- mente in tre modi; da principio I’ uomo considera sò stesso come centro dell’ universo, e crede che tutte le cose siano state create per servire di mezzo ai suoi fini; poi consi dera la natura come creata in vista di un fine, che non è l’uomo, che anzi trascende l'intelligenza umana, ma che si rivela nell’ ordine ο nelle leggi dell'universo; infine la finalità à ristretta agli organismi nei quali tanto gli organi che le funzioni tenderebbero alla conservazione della vita. La scienza moderna respinge come dannosa la ricerca delle cause finali, e dimostra che l'illusione teleologica trae ori- gine dall'azione volontaria, nella quale realmente si ha la rappresentazione di un fine che diventa a sua volta causa, « La nostra meraviglia alla vista della perfezione infinita e della finalità delle opere della natura, dice lo Schopenhauer, . deriva dal fatto che noi Ja consideriamo come consideriamo le nostre proprie opere. In queste la volontà ο l'opera sono di due specie differenti: poi, tra queste due cose, ce ne sono ancora due altre: 1° l'intelligenza, straniera alla volontà in sò stessa, e che è un mezzo che questa tuttavia deve at- traversare prima di realizzarsi; 2° una materia straniera alla volontà 9 che deve ricevere da essa una forma e rice- verla per forza, perchè codesta volontà lotta contro un’altra che è la natura stessa di tale materia. Tutto diversamente accade nelle opere della natura;... qui la materia, quando la si separa dalla forma, come nell’ opera d’arte, è una pura astrazione, un essere di ragione del quale non v’ ha alcuna esperienza possibile. La materia dell’opera d’arte è, al contrario, empirica. L’ identità della materia e della forma è il carattere del prodotto naturale; la loro diversità del prodotto dell’ arte >. E assai prima aveva seritto lo Spinoza: Cau — 168 — « Tutte le cause finali non sono altro che pure finzioni ima- ginate dagli uomini. Il primo difetto di codesta dottrina è di considerare come causa ciò che è effetto, e viceversa; in secondo luogo, ciò che per sua natura possiede l’anterio- rità, essa gli assegna un luogo posteriore ; infine essa ab- bassa all’ ultimo gradino della imperfezione cid che v’ ha di più elevato e di più perfetto ». Cfr. Platone, Filebo, 54 0; Aristotele, Metaph., V, 2, 1013 u, 29 segg.; Cicerone, De nat. deorum, |. 2; Spinoza, Ethica, I, appendice; P. Janet, Final causes, trad. ingl. 1883; Sully Pradhomme, I! problema delle cause finali, trad. it. 1903; E. Regalia, Contro una te- leologia fisiologica, « Archivio per l’Antropologia », 1897, XXVII, fasc. 3; Ardigò, Op. fil., II, 254 segg.; III, 288 segg.; IV, 244 segg. (v. antropooentriemo, geocentrismo, teleologia, finalità, fine). Causale. T. Causal, ursächlioh; I. Causal; F. Causal. ‘Tutto ciò che si riferisce alla causa: così ai dice legame causale, necessità causale, rapporto causale, eco. Con 1’ espres- sione complessità causale si indica che molte sono le cause che contribuiscono a determinare un fenomeno, cosicchè duto nu effetto non è data assolutamente la sua causa; n determinare la causa vera di un fenomeno vale I’ elimina- zione delle accessorio. Causalità. Lat. Causalitas ; T. Cansalitàt; I. Causality, Causation ; F. Causalité. Esprime il rapporto della causa all’ effetto. Dicesi causalità immanente quella di uns so- stanza o di un essere che produce, per propria azione, le proprie qualità ο modi; dicesi transitiva quella in cui l’azione enusatrice è concepita come passante da una sostanza ad un’altra. Dicesi causalità empirica quella in cui In causa è l’insiomo delle circostanze o dei fatti mediante i quali un fenomeno avviene sempre, e senza dei quali non av- viene mai; dicesi invece metafisica quella in cui la causa non è già nu fenomeno, ma una sostanza attiva come Dio, un potere spontaneo come la volontà. Il principio o legge — 169 — Cau di causalità è uno dei postulati fondamentali del pensiero, ο può enunciarsi semplicemente così: ogni fenomeno ha una causa; oppure: nulla vi ha senza causa. Lo Spinoza lo formula così: « Essendo data una determinata causa, ne risulta necessariamente un effetto; al contrario, se non è data alcuna causa determinata, è impossibile che un effetto si produca ». Leibnitz: « Nulla accade senza uns causa 0 almeno una ragione determinante, cioè qualche cosa che possa servire a render ragione a priori del porchè ciò è esistente invece che inesistente © del perchè ciò è così piut- tosto che in tutt'altro modo ». Kant lo formula in due modi differenti: 1° « Principio della produzione (Erzew- gung): tutto ciò che accade, o comincia ad essere, suppone prima di lui qualche cosa da cui risulta secondo uua re- gola »; 2° « Principio della successione nel tempo (Zeitfolge) secondo la legge di causalità: tutti i cangiamenti succe- dono secondo la legge del legame tra la causa ο l’effetto ». Schopenhauer lo chiama principio della ragion sufficiente del divenire, principium rationis suficientie flendi, e lo enun- cis così: « Quando si produce un nuovo stato d’ uno 0 oggetti reali, è necessario che sia stato preceduto da un altro stato, da cui risulta regolarmente, vale » dire tutto le volte che il primo ha Inogo ». Anche per il Lippe il prin- cipio di causalità è un caso speciale del principio di ragion sufficiente, ο si formula così: « Ogni cangiamento nel con- tenuto di una rappresentazione imposta, suppone un can- giamento nelle condizioni della rappresentazione stessa ». Il Wundt fa originare il principio di cansalità da un'azione re- ciproca (Weokseltoirkwng) tra il nostro pensiero e l’esperienza, e lo considera egli pure come una spplicazione del principio di ragion sufficiente al contenuto dell’ esperienza: « La leggo di causalità non è una legge d’ esperienza nel senso, che sin ottenuta mediante l’esperienza, ma soltanto nel senso che vale a priori per ogni esperienza, poichè il nostro pensiero può riunire e ordinare le esperienze solamente in quanto Cav — 170 — le raccoglie secondo il principio di ragion sufficiente. Per- cid il principio di causalità porta in sò il doppio carattere d’una legge e di un postulato >. Il principio di causalità, comunque enunciato, importa dunque due fondamentali conseguenze. Primo: negazione della possibilità di un co- mineiamento assoluto ; tutto ciò che incomineia ad essere ho la propria ragion d’ essere in qualche cosa d’ anteriore: nessun cangiamento si può produrre nel vuoto ο nel ri- poso ussoluto. Secondo: gli avvenimenti non derivano gli uni dagli altri senza regola © senza ragione, ma con uni- versale costanza ed uniformità; la causa A che ha pro- dotto un effetto 8, lo produrrà sempre, qualora, #’ intende, non intervenga l’azione d’una causa negativa; oid per l'assioma fondamentale, che cause simili, in circostanze simili, producono effetti simili. Il principio della uniformità della natura, come pure quello della continuità naturale e dell’ inerzia, non sono dunque che oorollari del principio di cuusalità, il quale trova la sua più profonda espressione nella legge della conservazione della forsa. — Accanto alla causalità fisica ο obbiettiva alcuni filosofi pongono la cau- salità psichica ο soggettiva : « Noi possiamo, dice il Wandt,. esaminare le nostre rappresentazioni, per un canto in rap- porto al significato obbiettivo che loro attribuiamo: allora le portiamo nella connessione della causalità naturale; ma noi possiamo anche ricercare le condizioni soggettive dei loro rapporti di simultaneità ο di successione ; allora en- triamo nella sfera della causalità psichica, che procede som- pre parallelamente alla causalità naturale ». La causalità psichica si distinguo dalla naturale o fisica in quanto non si risolve in un rapporto invariabilo di mutazioni, ma si rivela come nn principio di azione tendente sempre al consegui- mento di un fine, e per di più è suscettibile di accresci- mento e di sviluppo: gli atti e le funzioni psichiche ap- paiono come una vera © propria creazione del soggetto ο non hanno realtà fuori della sfera della coscienza indivi- — 171 — Cau duale. La causalità psichica si distingue dalla causalità psi- vofisica, che intercede reciprocamente tra psiche e organismo : secondo le dottrine materialistiche tale causalità è una vera trasformazione o continuità di nzione tra luna e l’altro, se- condo le altre dottrine è un puro rapporto di corrispondenza, o di successione, ο di fanzione (nel senso matematico della parola) tra atti appartenenti a due realità eterogenee, la pei- chica e l’organies. La causalità psichica si distingue infine dall’ interpsiohica che è la risonanza o il consenso tra lo varie coscienze individnali, per cni nella coscienza di cia- seuno si riflette lo stato mentale della totalità, Cfr. Spi- noza, Ethica, 1. I, ase. 3; Leibnitz, Teodioca, $ 44; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 108 seg.; Schopenhauer, l'eber die vierf. Wurzel d. Satzes v. e. Grund., cap. IV, $ 20; Hamilton, Lectures on metaph., 1859, vol. II, p. 376; J. Pe- tersen, Kausalität, Doterminiemus und Fataliemus, 1909; Lipps, Grendthatsachen d. Soolenlebons, 1873-94, p. 443; Wandt, Logik, 1893, I, p. 549-565; De Sarlo, La causalità psichica, « Coltura filosofica >, luglio 1909; B. Baglioni, 1 principio di causalità e' la causa, 1909. Causa occasionale. Lat. Causa oocasionalis; T. Gele- genheitsursache ; I. Oocasional cause; F. Cause ocoasionelle. E la dottrina con eni la scuola cartesia spiega i rapporti tra Dio e il mondo, e tra l’ anima, sostanza puramente pen- sante, e il corpo, la cui essenza consiste nell’ estensione. Data l’opposizione assoluta esistente fra queste entità, tali rapporti non sono spiegabili se non ammettendo che Dio, cioè la causa prima, all’ occasione dei movimenti dell’anima eccita nel nostro corpo i movimenti che a loro corrispon- dono, e all’occasione dei movimenti del corpo fa nascere nell’ anima le idee che li rappresentano © le passioni di cui essi sono l'oggetto. Dice Malebranche: « Non v’ ha al- euff rapporto di causalità tra un corpo ο uno spirito. Che dico! non ve n’ha alcuno da uno spirito a un corpo. Dico ancora più, non ve n’ha alcuno da corpo a corpo, nè du Cau — 172 — uno spirito ad un altro apirito.... Non v'ha dunque cho un solo vero Dio, e uns sola vera causa, che sia vera- monte causa, 6 non si deve imaginare che ciò che precede un effetto sia la vera causa ». L'importanza di questa dot- trina sta in ciò, che essa prepara la sostituzione del con- cetto critico di causalità sl concetto volgare, che cousiste nel pensare la causalità nella natura in base a quella del volere, e credere che tanto negli effetti del nostro volere quanto in quelli delle cause fisiche, noi cogliamo propria- mente una connessione necessaria ; 1’ occasionalismo pone invece in evidenza la mancanza di un tale nesso, o l’in- comprensibilità di esso, o meglio la pura effettività d’ ogni relazione causale tra fenomeni; il parallelismo tra anima © corpo; la costanza e uniférmità effettiva o sperimentale delle leggi naturali. I due maggiori rappresentanti del- l’occasionalismo furono Geulinex e Malebranche. Cfr. Land, rn. Geulincr und seine Philosophie, 1895; Malebranche, De la rech. de la verité, 1678, part. II, 8; Id., Pensieri meta- Asici, trad. it. Novaro, 1911, pag. 40-48; M. Novaro, La teoria della causalità in Malebranche, 1893. Causa sui. T. Selbetursache; I. First cause; F. Cause première. Nel linguaggio scolastico è la causa prima, la causa che non è essa pure un effetto. Concepito 1’ uni- verso come uns catena di cause ed effetti, retrocedendo ο si va all'infinito, ο si deve arrestarsi ad una causa che non è causata, la causa prima dalla quale discendo tatta lu serie degli effetti, Dio. « Ogni fenomeno deve avere unn causa, dice il Jevone, e questa causa di nuovo uns causa, finch? noi siamo perduti nella infinità del pussato e co- stretti a credere In una causa prima, da cui sia stato de- _ terminato il corso della natura ». A ciò si obbietta, che in primo luogo è per noi incomprensibile che una cosa sin causa ed effetto di sè medesima, e che secondariamente la nostra esperienza non ci dà che fenomeni, dei quali ve- dinmo soltanto il orescere, lo svilupparsi, il trasformarsi, — 178 — Cau-Crc non mai il nascere, e quindi il parlare di causa o origine prima è illegittimo e illusorio. ‘Nella dottrina del libero arbitrio anche la volontà umans è concepita come causa sui, Cfr. Alfarabins, Fontes quastionum, cap. III; Jevons, The principles of science, 1879, p. 221. Causazione. Vocabolo improprio, che designa l’azione per mezzo della quale una causa produce un determinato effetto; se la causa è mediata o lontana, si usa anche l’espressione di proceso causativo. Cecità. T. Blindheit; I. Blindness; F. Cécité. Può ensore totale, e cioè assenza congenita o acquisita del senso della vista. Può essere parziale, e in tal caso può essere limi- tata alla metà verticale degli oggetti, emianopsia, ο riguar- dare soltanto il color rosso, daltonismo, o alcuni colori, disoromatopsia, o tutti i colori, acromatismo. Il Munk chiama cecità psichica - e lo Charchot cecità mentale - lo stato degli animali in seguito alla distruzione o alla lesione grave dei lobi cerebrali; per effetto di tale distruzione l’ animale non comprende più il senso di ciò che intende e vede, non si spaventa se minacciato, non ascolta quando lo si chiama, mangia anche il cadavere d’un individuo della sua razza, ecc. Il Munk spiega tali fenomeni con la perdita delle imagini della memoria, che permettono di riconoscere e compren- dere le nuove eceitasioni. Dicesi ocoità verbale 0 alessia. uns forma di amnesia verbale che consiste nella perdita della memoria visiva della parola in quanto scritta, e di- pende da lesione o atrofia dei centri visivi superiori. 11 soggetto può parlare ma non leggere, queutunque le pa- role siano scritte sotto i suoi occhi ed egli ne comprenda perfettamente il significato. La cecità verbale si distingue dalla ceoità letterale, che consiste nella pordita della me- moria delle lettere soritte, © dalla cooità peichica delle pa- role, che consiste in ciò che l’ammalato può leggere le lettere e le parole, senza però capirne il significato. In senno fignrato naasi anche l’espressione ceità morale, per CEL designare V’assenza ο la degenerazione del senso morale, che si osserva in individui mentalmente deboli; i ciechi morali si distinguono dagli anestetici del senso morale che, al contrario dei primi, possiedono una coscienza morale, ma sono incapaci di obbedirla, perchè mancano delle ten- dense emotivo necessarie, e dagli abulioi morali che, pure possedendo tali tendenze, sono troppo deboli per lottare contro quelle che li spingono invece al soddisfacimento dei loro appetiti e delle loro passioni. Cfr. Ribot, Les maladies dela memoire, 1909; Id., Payohol. des sentiments, p. 298, 349; E. Brissaud, Malattie dell’ enogfalo, trad. it. 1906, p. 107 seg Celantes. Termine di convenzione mnemonica con cui si designa nella logica formale uno dei modi indiretti della prima delle tre figure del sillogismo, riconosciute da Ari- stotele. Come indicano le tro vocali, questo modo ha In maggiore e la conclusione universali negative, la minore universale affermativa. Questo modo è lo stesso del Ca- lentes della quarta figura, ma è ricondotto alla prima per la conversione della conclusione ο la trasposizione delle premesse. Celarent. Termine mnemonico di convenzione, che de- sigua un modo della prima figura del sillogismo, in cui, como indicano le tre vocali, la maggiore ¢ la conclusione sono proposizioni universali negative, la minore universale negativa. Es. Nessun essere mortale à infallibile -- tutti gli uomini sono esseri mortali - dunque nessun nomo è infal- libile. Corrisponde all’&ypaye dei greci. Cellula. T. Zelle; 1. Cell; F. Cellule. È Vindividualita or- ganica elementare; fu detta anche otricolo, granulo, ece.; Virchow la denominò focolare di rita. La parte essenziale della cellula è il protoplasma, sostanza granulosa, semi- finida, elastica, in cui si verificano la maggior parte dei fenomeni vitali della cellula, cioè le funzioni della vita vegetativa ο le funzioni della vita di relazione. Tali fun- zioni sono considerate dalla biologia moderna come ensen- — 175 — το ὅσν zialmente chimiche: la costituzione chimica della collula è determinata ma variabile, poichè allo stato normale eusa subisce delle continue diegregazioni e riparazioni; tra i molteplici fenomeni chimici che in essa si notano, il prin- cipale è una grandissima affinità per l'ossigeno, sia libero sia debolmente combinato. In seguito a questa instabilità chimica, ogni cangiamento di stato della cellula determina una eccitazione, e per conseguenza una risposta della cel- lula stessa alla irritazione, di temperatura, di elettricità e di pressione, secondo le quali possono operarsi le rea- zioni chimiche in cui consiste la vita della cellula. Tale è il punto di partenza di tutte le azioni di cui gli esseri viventi sono i produttori. La forza vi è condensata sotto la forma di energia chimica, e si manifesta al di fuori sia per nn movimento, sia per la luce, sia per l'elettricità, sia per il calore, sia per il pensiero. Ogni essere vivente è costituito ο da una cellula (unicellulari) o da un aggre- gato di cellule (pluricellulari); negli individui pluricellulari l’unità è data all’aggregazione del sistema nervoso, che generalizza le irritazioni e raccoglie in un centro le ecoi- tazioni sensibili e da esso tramanda le eccitazioni motri Cfr. Henneguy, Leçons sur la morphologie et la reproduotion de la cellule, 1896; Année peychologique, tomo II, 1896; Wer- worn, Fisiologia generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. ani- mismo, rita, vitaliemo). : Cellulare (pricologia). I. Collular psychology; F. Paycho- logie cellulaire. La psicologia delle cellule, di cui specialmente si ocenparono I’ Haeckol, il Werworn, il Binet. Secondo que- sta teoria, ogni cellula, sia vegetale che animale, sia isolata che facente parte d’un organismo pluricellulare, ha una vita psichica, ciod la fucoltà di sentire le eccitazioni di va- ria natura e di reagire a questi eccitamenti con determinati movimenti. La tesi fondamentale su cui la psicologia col- Inlare si fonda è: siccome la psiche dell’ animale è la ri- sultante di tutto 1’ organismo in funzione del quale si Cer ~ — 176 — svolge e si complica, così necessariamente tutti gli ele- menti dell’ organismo, che concorrono a formare questo prodotto, parteciperanno della sua proprietà generale, che è di essere cosciente, 9 le cellule di tutti i corpi avranno perciò la coscienza dei loro atti. A questa tesi perd fu op- posto che un prodotto qualsiasi non è dato dalla semplice somma delle sue unità elementari, e le qualità che lo ac- compagnano non corrispondono all’addizione delle qualità per cui si distinguono i suoi elementi ; ogui fenomeno, dice il Lewes, è un fatto emergente non semplicemente risultante, emerge cioè dalle unità combinate come un nuovo fenomeno con caratteri propri e specifici e irreducibili ; perciò è falso cavare dal fatto che la coscienza è il prodotto dell’ intero organismo, la conseguenza che anche lo parti di questo organismo saranno coscienti. Cfr. Werworn, Psycho-pAysiolo- gischen Protisten, 1889; Haeckl, Essai de payohol. cellulaire, trad. frano. 1880; Binet, La vie peychique des micro-organi- ames, in Lo félioleme dans Vamour, 1891; Lewes, Problems of Life and mind, 1879, cap. II; A. Groppali, Sociologia e psicologia, 1902, p. 103-180; G. Bilancioni, Za psicologia cellulare, 1903. Cellulari (teorie). Le teorio con le quali si è cercato di spiegare sia l’origine delle cellule, e quindi della vita, sin la formazione cellulare degli orgaui. Rispetto al primo problema, i moderni biologi propendono in geueralo a ri- tenere che la prima formazione cellulare non sia stata che rina semplice combinazione chimica; ciò sarebbe compro- vato dai tentativi fatti da alcuni fisiologi (Mantegazza, Monnier, Virchow), tentativi in parte riusci nere artificialmente, modiante combinazioni chimiche, una sostanza analoga al protoplasma e cupace di movimento. La vita si originerebbe per tal modo dalla materia inor- ganica. Quanto alla seconda questione, due sono le teorie principali: quella della Hibera formazione cellulare e quella della moltiplicazione cellulare. Secondo la prima, da un li- qnido formativo dotto Mastema, si forma liberamente ogni — 177 — CEN cellula, © cioè prima il nucleolo, poi il nucleo, poi la mem- brana, infine il liquido che riempie la cellula. Questa teoria è combattuta dalla maggior parte dei moderni biologi, per- chè la smentiscono vari fatti, fra cui quello che molte cel- lule giovani mancano di nucleo, e che nelle formazioni morbose molte cellule si formano per moltiplicazione di ‘altre preesistenti ; è quindi preferita l’altra teoria, che cioè ogni cellula non può originarsi che per moltiplicazione da un’altra cellula ad essa preesistente: omnis cellula ο cellula (Virchow). Così questo secondo problema si riconnette al primo. Cfr. Delage, La structure du protoplasme et les théo- ries sur Vhérédité, 1895; Werworn, Fisiologia generale, trad. it. 1897, p. 50 segg. (v. cellula, duodinamiemo, meccanismo, protoplaema, vitalismo, vita). Conestesi (xoivi — comune; αἴσθησις = sensazione). Lat. Coenassthesis; T. Gemeinempfindung, Gemeingefühl; I. Com: mon sensibility ; F. Sensations internes, Coencathéoie. Si adopera per designare tanto la sensibilità generale, sia interna che esterna, quanto l'insieme delle sensazioni interne ο della vita organica. Questo secondo è il significato più in uso. La cenestesi è quindi la totalità delle sensazioni prodotte nel cervello dagli stimoli che provengono da tutte le parti © da tutti gli organi del corpo. Il Wundt la definisco « il sentimonto complessivo nel quale «’ esprime lo stato ge- nerale della nostra buona o cattiva disposizione sensibile ». Solitamente infatti codeste sensazioni non sono che gli ele- menti di an sentimento generale di benessere 0 di malessere, che corrisponde allo stato degli organi medesimi ο la cui tonalità è in rapporto diretto con la composizione e la cir- colazione del sangue, con la secrezione maggiore ο minore delle glandule, con la rapidità o difficoltà della respirazione e della digestione, col rilassamento ο contrazione dei mn- scoli volontari ο involontari. Questi fattori agiscono tutti contemporaneamente, ed è perciò che il senso generale che ne risulta ci appare come semplice ed omogeneo, mentre 12 — Raxzots, Dirion. di scienze filosoficlie. CEN — 178 — in realtà è molteplico e quindi in sò medesimo vario. Le sensazioni cenestesiche sono le più oscure ed indeterminate, anche perchè, a differenza dello sensazioni esterne, non sono distinguibili nettamente nd allo stato normale, perchè troppo deboli, nd allo stato anormale, perchè troppo forti. Ordinariamente il senso generale è intonato dall’ azione predominante di questo o quell’ organo, senza però che ciò appaia alla coscienza. Cfr. Sully, Outlines of peychol., 1885, p- 109 sogg.; Wundt, Grundrise d. Peychol., 1896, p. 55, 189; Beaunis, Les sensations internen, 1889; Ardigd, Op. All, I, 423 segg.; IV, 378 segg. Cenogenesi. La teoria che ammette anche nell’ em- brione 1’ aduttamento a nuove condizioni di vita, che dà luogo a nuove forme mancanti nella figura originaria, tra- smessa dalla eredità, della forma stipite. Per tal modo i fenomeni dell’ ontogenesi, ο evoluzione individuale, si divi- dono in due gruppi: il primo, detto palingenesi, ci presenta dinanzi quelle antichissime condizioni di struttura che sono state trasmesse per eredità dalle forme-stipiti primitive; il secondo, detto conogenesi, altera l’ aspetto originario del processo evolutivo con l'introduzione di nuovi caratteri, mancanti nelle forme stipiti, e acquistati dalle forme em- brionali per adattamento alle condizioni speciali del loro sviluppo individuale. Tali caratteri nuovi diconsi cenogenie. Cfr. Haeckel, Antropogenia, trad. it. 1895, p. 621. Centrale. 1. Central; I. Central; F. Central. Si dice, per opposizione a periferico, di tutto ciò che è o avviene nel cervello, nel cervelletto, nel midollo allungato e spinale. Così per la visione si hanno degli organi periferici (occhio © sue parti, nervi ottici, ecc.) e degli organi centrali (i tu- bercoli quadrigemini del cervello, ecc.); lo stimolo che agi- sce sulla retina e determina, nel nervo ottico, una cor- tento nervosa centripeta, è un fenomeno periferico; la coscienza di questo stimolo (sensazione), che si desta nel cervello, è un fenomeno centrale. | Centralissasione (legge di). Una delle leggi di pro- gresso nel mondo organico: nell'evoluzione degli organismi, accanto al differenziamento, si verifica una subordinazione sempre maggiore delle parti e una crescente centralizza- zione delle fanzioni e degli organi. Centripeto e centrifugo. Dicesi centripeta una forza «diretta verso il centro di curvatura della traiettoria d’un punto materiale, e che mantiene il mobile su questa traict- toria; e forza centrifuga la reazione che un mobile assog- gettato a descrivere una curva fissa, esercita contro questa curva. Dicesi corrente nervosa centrifuga, ο, semplicemente, fenomeno centrifugo, quello che #’inizia in un centro ner- voso e si trasmette attraverso il cilindro assile d’ una fibra fino ad on muscolo o ad una glandola. La corrente cen- tripeta è invece quella che s’ inizia in un qualsiasi organo posto alla periforia del corpo e di IA si trasmette ad un ganglio ο ad una muses di sostanza grigia. Centro. T. Centrum; I. Centre; F. Centre. Nella psico- logia fisiologica diconsi centri ideatiti, per opposizione ai motori, quei centri della parte anteriore del cervello ove si fissano le imagini, e da cui partono le correnti interce- rebrali per i centri motori; e centri percettivi, quelle areo della superficio corticale del cervello in cui si raggruppa un maggior numero di cellule, e quindi di fibre nervone, legate ad un determinato organo di senso, dal quale rice. vono le eccitazioni. L'estensione di codeste zone è natural- mente in rapporto coll’ importanza del senso cui presiedono, ciod maggiore per il tatto, la vista, l'udito, minore per il gusto e l'olfatto. La loro costituziono non esclude che esistano in altre regioni del cervello altre cellule ed altre fibre collegate col senso medesimo. Dai centri percettivi sarebbero separati i centri motori, dai quali soltanto par- tono gli impulsi ai movimenti e in cui si fissano le imagini dei movimenti stessi. Nella meccanica razionale dicesi cen- tro dei momenti il punto per rapporto al quale si prendono CEN-CER — 180 — i momenti d’ un sistema di forze situate in uno stesso piano, ϱ centro delle forse parallele il punto per il quale passa co- stantemente la risultante di un sistema di forze parallele, quando si fa variare la loro direzione comune senza far variare la loro intensità o facendole variare proporzional- mente. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de la pensée, trad. franc. 1888; G. Sergi, La peychologie physiologique, 1888, 1. II (v. ciraonvoluzioni, localiszazione cerebrale). Centro di creazione, Alcuni segunci della dottrina del trasformismo biologico, tra cui il Darwin e l’ Haeckel, ri- tengono che ogni specie animale e vegetale non sia nata che una sola volta nel corso del tempo (origine omocrona) e in un solo punto del globo, detto perciò il sno centro di creazione. A questa legge si sottrarrebbero però, secondo V Haeckel, gli ibridi e gli individui di struttura semplice. Cfr. De Quatrefages, La specie umana, trad. it. 1871; Hae- ckel, I problomi dell’ unteereo, trad. it. 1903, p. 340 (v. mo- nogenismo). Cerebraxione. L’insiemo dei processi fisiologici del cervello che corrispondono alla attività psichica, Si dicono fatti di corebrazione incosciente, quei processi fisiologici del cervello che si svolgono senza dar luogo ni fenomeni psi- chici relativi, i quali appaiono improvvisamente solo alla fine dei processi medesimi @ come risultato di essi. Il pro- blema della cerebrazione incosciente, aftacciato da principio dal fisiologo Carpenter, è oggi assai discusso dai psicologi e dai fisiologi, e può formalarsi così: dobbiamo ritenere che alcuni stati del sistema nervoso, normali ο patologici, rappresentino vere interruzioni dei processi mentali, op- pure che i detti processi, pur subendo grandi oscillazioni d’intensità ο di lucidezza, da un massimo ad un minimo, non subiscano mai durante la vita alcuna interruzione as- soluta? La prima dottrina è sostenuta oggi du autorevoli psicologi come il Mtinsterberg e il Ribot; la seconda spe- cialmente da coloro che adottano l'ipotesi del parallelismo — 181 — Cen psico-fisico, estendendolo a tutti i processi specificamente vitali, o almeno a quelli del sistema nervoso, e in special modo alla parte del sistema impegnata nelle funzioni della vita animale o di relazione. Cfr. Max Dessoir, Das Unbewus- sten, 1910; Boris Sidis, Studies in mental dissociation, 1905; B. Hart, The conception of the subconscious, « Journal of abnormal psych. », IV, 1909-910; Aljotta, Atti del V Congr. int. di peicol. a Roma, 1906. Certezza. T. Gewissheit; I. Cortitude, Certainty ; F. Certi- tudo. Sia positiva che negativa, è sempre uno stato mentale, e quindi soggettivo, che consiste nella persuasione assoluta della verità cui l'intelligenza aderisce. 8. ‘Tommaso dice: Cortitudo nihil aliud ost quam determinatio intellectus ad unum. Essa ha per condizioni: la presenza di due o più mentalità dotate di un certo grado d’intensità; il legame di una men- talità, o d’un gruppo di esse, a un’altra; la coscienza di un legame energico, associativo, tra le due mentalità conside- rate. Si può avere anche la certezza della falsità di un giudizio o di una idea: si cognoscimus, dice Cr. Wolff, pro- positionem esse veram vel faleam, propositio nobis dioitur esse certam. Si suole distinguere; sebbene impropriamente, la certezza soggettica dalla oggettiva : quella è data dalla testi- monianza della nostra coscienza, irrecusabile per ciascuno di noi, ma che non può essere comunicata agli altri, non essendo fondata su ragioni valide per tutte le coscienze; questa, che è la certezza scientifica, e dicesi piuttosto eri- denza, non dipende da circostanze soggettive e può quindi essere condivisa da tutti. La distinzione tra certezza cd evidenza è posta talvolta in modo diverso, ad es. dul D’Alembert: « L’ evidenza appartiene propriamente alle idee di oui lo spirito percepisce immediatamente il le- game; la certezza a quelle il cui legame non può essere conosciuto che con l’aiuto d’un certo numero d’idee in- termedie, o, che è lo stesso, alle proposizioni la cui iden- tità non può essere scoperta che con un circolo più o meno Ces — 182 — lungo ». Si distinguono ancora varie specie di certezza: 1° quella logica ο metafisica, che riguarda l’ ordino immu- tabile dell’ ideale, dei supremi principi, ο si divide in intui- tiva, quando 1’ idea uppare immediatamente come evidente, e in razionale o discorsiva quando non diviene evidente che in seguito ad altre idee, cioè mediante un raziocinio; 2° quella fisica, che riguarda le coso sensibili, e può essa pure essere razionale se si ricava indirettamente dalla per- cerione, peroettita se si ha immediatamente; questa poi è psicologica quando la percezione si riferisce ad un fatto interno o psichico, eetefica quando si riferisce ad un fatto esterno; 3° quella didascalica, che si fonda sopra la testi- monianza ο autorità altrui, e pnd essere dottrinale 0 storica a seconda che riguarda fatti attestati da persone o dottrine tramandate da un maestro; 4° quella morale, che non bn un significato preciso, cosicchè per alcuni logici antichi designa ciò che solitamente dicesi certezza dottrinale e sto- rica, per altri è la certezza subbiettiva ο psicologica, per altri ancora quella che aderisce agli impulsi del sentimento e dell’ istinto, ο, per i più, la certezza con cni si aderisce alla verità dell'ordine morale. Cfr. S. Tommaso, In Hb. sent., III, dist. 23, qu. 2, 2; Cr. Wolff, Philos. rationalis, 1732, $ 564; D'Alembert, Disc. prélim. de 0 Enciolopédie, § 51; Joh. Volket, Die Quellen der menschlichen Gewissheit, 1906; Rosmini, Logioa, 1853, $ 217-220; A. Farges, La orisi della certezza, trad. it. 1911 (v. criterio). Cesare. ‘Termine mnemonico di convenzione, corrispon- dente all’&ypape dei Greci, con eni si designa, nella logica formale, quel modo della seconda figura del sillogismo, che lia la premessa maggiore universale negativa, la minore uni versale affermativa, ὁ la conclusione universale negativa. Es.: Nessun uccello è mammifero, I pipistrelli sono mammi- feri. Dunque i pipistrelli non sono uccelli. Si riconduce al Celarent della prima figura mediante la conversione della premessa maggiore. — 188 — Cat Chiaro. T. Klar, deutlioh; I. Clear, evident; F. Clair. Nella terminologia cartesiana è chiara l’idea che è presente e manifesta allo spirito, è distinta l’idea che è precisa ο ci fa differenziare l'oggetto a cui si riferisce da tutti gli altri di cui abbiamo conoscenza; tutto ciò di eni si ha una idea chiara e distinta è vero. Perciò la verità fondamentale è nel « cogito ergo sum »; esso infatti ha entrambi i carat- teri della chiarezza, perchè |’ Io è immediatamente pre- sente & sò stesso, della distinzione perchè 1’ Io è pensante e il pensiero costituisce la nota per la quale si distingue da tutte le altre conoscenze. Alle idee chiare si oppongono le oscure, alle distinte le confuse. Il Leibnitz ha adottato la stessa differenza, spostando un poco il significato delle espressioni: per chiara egli intende la rappresentazione che, diversa dalle altre, è atta al riconoscimento del suo oggetto; per distinta quella che è chiara fino nei suoi ein- goli elementi e fino alla conoscenza del loro rapporto. Le verità @ priori geometriche o metafisiche sono chiare e di- stinte, quelle a posteriori invece, ossia le verità di fatto, sono chisre ma non distinte: le prime sono quindi perfettamente trasparenti, congiunte con la convinzione dell’ impossibilità del contrario; nelle seconde si può ancora pensare il con- trario. Cfr. Cartesio, Prino. phil., I, 45; Med., III, p. 15; Leibnitz, De cogn., Erdm. p. 19; E. Grimm, Das Lehre von den angeborenen Ideen, 1873. Chimici (consi). Si dicono tali, per distinguerli dui mec- canici, quei sensi sopra i quali gli stimoli esercitano una asione chimica: tali sono la vista, il gusto © l'olfatto. Chirognomia. Gr. χείρ--- mano; Ύνῶμα = contrasso- gno, cognizione. La pretesa di predire il futuro relativa- mente a una persona e indovinarne il carattere e le at- titudini, coll’esame della mano e delle linee di essa. La psichiatria © l'antropologia hanno soltanto stabilito che Pirregolarit& dei solchi palmari, le dita in soprannumero © in numero minore, e la torsione o l’atrofia delle dita, Cix — 184 — specie il mignolo, rappresentano una stigmata degenera- tiva, e sono frequenti negli idioti, nei pazzi e nei crimi- nali. L’arte della chirognomia si crede tniziata dal filosofo Anassagora, Cinematica. (Gr. Κίνημα = movimento); T. Kinematik ; I. Kinematios; F. Cinématique. Vocabolo introdotto nell’ uso dall’ Ampère, in luogo dell’antico di foronomia, per desi- gnare lo stadio del movimento considerato astrattamente, prescindendo dalle cause e dalle circostanze nelle quali si produce. Essa si occupa di tutte le considerazioni che ri- guardano gli spasi percorsi nei differenti moti, i tempi impiegati a percorrerli, la velocità, eco. Fa parte della meccanica. Cfr. Ampère, Essai sur la philosophie des scien- ces, 1834. Cinestetiche (sensazioni). (Gr. Κίνησις - movimento; αἴσθησις — sensazione); T. Bewegungsempfindungen ; I. Ki- naesthetio; F. Sensations kinesthésiques. Le sensazioni provo- cate dai movimenti, e specialmente dalla contrazione dei muscoli volontari. Alcuni psicologi ammettono che noi sen- tiamo non lo sforzo delle contrazioni muscolari, ma il grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli per produrre una data contrazione. Che esista questo senso dell’inner- vazione è provato dal fatto che noi comunichiumo ai muscoli l’innervazione necessaria per produrre lo sforzo muscolare corrispondente alla resistenza che deve essere superata. D’ altro canto la psicologia sperimentale ha provato 1) esi- stenza del senso muscolare, con la scoperta di fibre mu- scolari sensitive e della sensibilità dei tendini, i quali, stimolati, danno movimenti riflessi. Cfr. Kreibig, Die fünf Sinne, 1907, p. 21 seg.; E. Mach, Grundlinien der Lehre von den Bewegungsempfindungen, 1875; H. C. Bastian, Le cerveau organe de la pensée, 1888, p. 279 segg.; Beaunis, Les sens. internes, 1889 (v. articolare, muscolare). Cinici. T. Cyniker ; I. Cyniques; F. Cyniques. Una delle scuole soeratiche minori, fondata da Antistene al Cino- — 185 — IR sarge. I cinici esngerarono le dottrine di Socrate, avondo per sola mira di affrancarsi dalla schiavitù esteriore ; infatti la loro dottrina si compendia tutta in una sola massima: vivere secondo natura, Essi sostenevano che la virtù basta per sè atesss a rendere felici, in quanto è appunto quella norma di vita che rende l’uomo indipendente fino al pos- sibile dalle vicende del mondo esterno, insegnandogli a sopprimere i desideri ο a limitare fino all’ estremo i bi- sogni. I cinici si possono riguardare come i precursori degli stoici. Nel linguaggio comune le parole cinico e cintemo sono rimaste per designare il disprezzo delle convenzioni sociali, dell’ opinione pubblica e anche della morale, sia negli atti sin nell'espressione delle opinioni; e ciò per il fatto che i filosofi cinici ponevano una radicale opposizione tra la na- tura e la legge o convenzione, conformendosi s quella nella condotta pratica. Cfr. Diogene L., VI, 2; K. W. Gôttling, Diogenes der Kyniker, « Ges. Abhandl. », I, 125 segg.; Zuc- cante, Diogene, « Cultura filos. », gennaio 1914; Windel- band, Storia della filosofia, trad. it., vol. I, p. 101 segg. (v. autarohia). Circoli tattili. T. Tasteirkel. Il Weber chiamò così quelle superfici della pelle ove le due punto del compasso, più o meno divaricate, si sentono come una punta sola; la distanza fra le due punte rappresenta il diametro del circolo tattile. Quanto maggiore è il grado d’acutenza della sensibilità tattile, tanto minore è il dismetro del circolo tattile. Il punto più sensibile del corpo è l’ apice della lin- gua, il cui il circolo hu il diametro di nn mm.; poi ven- gono le punte delle dita della mano che sentono le due punte dell’ estesiometro quando sono divaricate poco più di dne millimetri; seguono poi le labbra, la punta del naso, le guance, eoc., fino a che si arriva alla coscia e al braccio, ove il circolo tattile ba, secondo il Wundt, un diametro di 68 mm. Cfr. E. H. Weber, Annotationen anat. ot phys., 1834; Fechner, Elem. d. Poychophyeik, 1860; Wundt, Grund- Cir — 186 — silgo d. phys. Psychologie, 3* ed., I, 391, II, 10 segg.; Krei- big, Die fünf Sinne, 1907, p. 32-34 (v. esteriometro). Ciroolo solido. Lat. Ciroulus materialis. Nella logica di- cesi così quella operazione mentale, che consiste nel passare dalla cognizione virtuale o implicita del tutto, alla cogni- zione e all’ essme delle parti, per poi risalire alla cognizione attuale ed esplicita del tutto medesimo. Così lo zoologo al al quale si presenta un animale sconosciuto, prima lo co- nosce in modo implicito e indistinto, poi ne studia distin- tamente i caratteri, gli organi, le funzioni, ecc., infine raccoglie i risultati di questi suoi studi, in modo da avere dell’ animale una conoscenza più compiuta e sicura. Il cir- colo solido è detto anche regresso. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, pag. 242 segg. Circolo vizioso. Lat. Ciroulus vitiosus ; T. Zirkel, Zirkel- beweis; I. Cirole; F. Cercle ricieur. È un sofisma di ragio- namento, il quale consiste nel provare una proposizione, appoggiandosi sopra una seconda, la quale non può provarsi se non appoggiandosi sulla prima. Ad es. : alcune idee sono innate perchè anteriori dell’ esperienza, e sono anteriori al- l’esperienza perchd innate. Oggi lo si denomina più co- munemente petizione di principio, appunto perchè consisto nel postulare fin da principio quello stesso che si vuol di- mostrare; nel linguaggio scolastico il circolo vizioso dice- vasi anche oiroulus logious, Dicevasi poi ciroulus materialis © regressus demonstrationis il ragionamento con cui si prova la causa per gli effetti, e poi si provano gli effetti stessi mediante la causa, considerata più attentamente e meglio conosciuta, Cfr. Aristotele, Anal. pr., II, 5, 576, 18; Ma- sci, Logica, 1899, p. 374 seg. (v. diallelo). Circonvoluzioni cerebrali. F. Circonvolutione cére- brales. Rilievi a forma di pieghe che rivestono la superficie del cervello, o mantello cerebrale, determinato da solchi corrispondenti ο solssure. Si distinguono in cire. profonde, limitate dalle scissure primarie e secondarie, e circ. di pas- Cir raggio, che risultano da ramificazioni delle prime. Sembra esistere un certo rapporto tra lo sviluppo della intelligenza e la profondità e quantità dello scissure e circonvoluzioni cerebrali. La loro origine fu spiegata varismente : 1° per l’azione vascolare, cioè per l’azione meccanica esercitata dui rami arteriosi corrispondenti alle scissure; 2° per I’ ine- guale accrescimento della superficie cerebrale, crescendo la superficie nel foto più presto in direzione sagittale, ο de- terminando in tal modo una maggior tensione trasversale (Wundt); 3° per la sproporzione di acorescimento filogenetico tra oranio e cervello, poichè crescendo di più il cervello (specie nella corteccia grigia, in cui si esplica l’attività psichica) della scatola cranica che lo contiene, il primo è costretto a pieghettarsi dovendo rimaner compreso nella seconda. Questa ultima è forse la spiegazione più atten- dibile. Cfr. L. Clarke, Notes of researches on the intimate struoture of the Brain, « Proceed of the R. Society », 1863; Bastian, Le cerveau organo de la pensée, 1888, vol. II, p. 14 segg. Cirenaici. T. Kyrenaiker; F. Cyrénaiques. Una delle scuole socratiche minori, fondata da Aristippo di Cirene. Essi ponevano come bene incondizionato, come fino n sè stesso, il piacere attuale ο presente; fra i piaceri del corpo © quelli dello spirito preferivano i primi, come più intensi e più vivi, non trascurando però l'educazione dei secondi. Fondatore della scuola fu Aristippo, nato à rene intorno al 435 a. C., da famiglia ricchissima, e vis- suto qualche tempo ad Atene, dove divenne.scoluro ed amico di Socrate. Per quanto possa parer strano, egli non fece con la sua dottrina che svolgere nn elemento già contenuto nella filosofia del maestro. Per il quale, com’ & noto, non c’è contraddizione tra virtà ο felicità, anzi la virtù è il più delle volte indicata come il mezzo più sicuro per arrivare alla felicità; in un luogo dei Me- morabili, Socrate dimostra, ad esempio, che la tempe- CLa — 188 — ranza ci fa godere molto più della intemperanza, e che perciò quella, anche sotto il rispetto del piacere, è da pre- ferirsi a questa: a seguire la virtù piuttosto che il vizio si trova sempre da ultimo, se non da principio, il torna- conto. Aristippo prese dalla dottrina socratica questo con- cetto, che conveniva alla sua natura ο al suo temperamento, ~ portandolo alle estreme conseguenze. Egli però, se riteneva che ogni piacere, in generale, è buono per sò stesso © me- rita di essere cercato, insegnava anche che certi piaceri devono essere fuggiti per i dolori che arrecano, che non conviene violare le leggi per non incorrere nelle leggi pe- nali e nella disistima pubblica, e sovrattutto che l’uomo deve essere il signore del piacere non lo schiavo: « È si- guor del piacere non colui che se ne astiene e lo fugge, ma colui che ne usa senza lasciarsi trasportare, come è signore della nave o del cavallo non già colui che rifagge dall’adoperarli ma colui che li conduce dove vuole ». Morto Aristippo, la scuola continuò col nipote, poi con Teodoro l’ateo, con Anniceride e finì circa due secoli dopo con Egesia: ma l’insegnamento primitivo subì trasformazioni radicali, tantochd Teodoro pose come scopo dell’ uomo non più il piacere ma la gioia e la serenità dell’ anima, Egesia giudicò la felicità come irraggiungibile © descrisse con tanta officacia i mali della vita, che molti furon tratti dal suo insegnamento al suicidio, ond’ egli ebbe il soprannome di avvocato della morte, Πεισιθάνατος, e le autorità di Ales- sandria ebbero a proibirgli per questa ragione di tenere scuola, I cirenaici possono considerarsi i precursori dogli epienrei. Cfr. Cicerone, Aoadem., IV, 24; A. Wendt, De phi- losophia Cyrenaioa, 1841; G. Zuccante, I Cirenaici, « Riv. di fil. », marzo 1912 (v. edonismo, morale). Clan. T. Sippe; I. Clan; F. Clan. Nella sociologia si dà questo nome a tutte quello forme primitive di società, che ripossno sopra la parentela ed hanno costituzione guerriera © proprietà comune; in senso più ristretto, che è anche — 189 — Cia il primitivo, designs le tribù delle isole britanniche, e parti- colarmente gli Irlandesi e gli Higlanders di Scozia, viventi sotto il regime patriarcale. Cfr.. Durkheim, Année sociolo- gique, I, 9 e 31; Powell, ibid., IV, 125. Classificazione. T. Classification; I. Classification; F. Classification. È un'operazione logica, che consiste nel di- stinguere più oggetti o fatti in classi o gruppi, secondo i rapporti di somiglianza ο differenza. La classificazione dicesi sintetica quando parte da un oggetto complesso per discendere 9 oggetti meno complessi e agli elementi primi componenti; analitica se inverssmente; artificiale quando le completa conoscenza degli esseri che si classificano, si fonda sopra un numero ristretto di caratteri, scelti non secondo la loro importanza ma secondo la facilità di co- noscerli; naturale quando è fondata sopra la cognizione dei caratteri più importanti, palesi o occulti, permanenti ο evolutivi. Il concetto di evoluzione, divenuto fondamen- tale nella scienza moderna, ha dato luogo ad una nuova forma di classificazione, detta genetica, che è la più per- fetta in quanto considera le classi come il prodotto più o meno stabile, ma non assolutamente invariabile, delle va- riazioni causali delle proprietà ; perciò tutte le scienze ten- dono a costruire sul tipo genetico le proprie classifica- zioni, che hanno però diverso valore nelle scienze teoriche costrattive e nelle sperimentali: in quelle la genesi delle forme è una costruzione nostra e quindi può essere varia, in queste la genesi non è una costruzione nostra, ed è una, 9 quindi è una anche la classificazione genetica possibile. Cfr. Wundt, Logik, 1898, II, 40. Classificazione delle scienze. Per Aristotele, che fu il primo ad occuparsi del problema scientifico, tutte le scienze sono subordinate alla filosofia prima (φιλοσοτία πρώτη) detta poi metafisica, 9 queste scienze sono: la ieo- retica di cui fanno parte la matematica, la fisica, la atorin naturale; la pratica ciod la morale; In poetica cioè 1’ ente- Cia tica. Per gli stoici invece tutte le scienze si riducono a tre fondamentali: fisica, etica e logioa. La classificazione di Aristotele rimase in vigore fino a che durò incontra- stata l'autorità della sua filosofia, vale a dire fino al Ri- nascimento. Bacone, primo nell’ evo moderno, volle ten- tare una classificazione diversa, fondata sopra le tre grandi facoltà in oui egli divideva lo spirito : memoria, imagina- zione, ragione. Opers della prima è la storia, della seconda la poesia, della terza la filosofia ; quest’ ultima ha un triplice oggetto: Dio (teologia), l’uomo considerato sia generica- mente che nel corpo e nello spirito, e la natura, onde abbraccia lo matematiche, la filosofia naturale e la meta- ‘ fisica. Per Cartesio lo spirito nmano è come un albero, di cui la fisica è il tronco, la metafisica le radici, i rami le altre scienze, che si riducono a tre più importanti, ciod la medicina, la meccanica © la morale; la filosofia è tutto l’ albero. Notevole poi fu il tentativo di classificazione fatto dal Diderot, nel I° vol. dell’ Enciclopedia; genialissimo e compiuto quello dell’Ampère, che qui sarebbe troppo lungo ricordare, giucchè di suddivisiono in snddivisione egli giunge ad enumerare 128 scienze. Augusto Comte clas- sificò le scienze a seconda del loro grado di complessità e la rispettiva subordinazione, stabilendo la serio seguente: matematica, astronomia, fisica, chimica, biologia, socio- logia. La matematica vien prima, perchè Ja più generale ο più semplico e meno subordinata; la sociologia ultima perchè più particolare, più complessa, © richiede la cono- scenza di tutte le altre. Lo Spencer, tenendo conto del- Voggetto delle scienze, le distingue in astratte, che studiano i rapporti indipendentemente dai fenomeni e dagli esseri, come la logica e la matematica; conorste, che studiano gli stessi esseri naturali, come l'astronomia, la biologia, la psicologia, la sociologia; astratte-conorete, che studiano i fenomeni indipendentemente dagli esseri, como la mecca nica, la fisica © la chimioa. Tra i molti tentativi dei filosofi — 191 — CLa-CLE contemporanei per risolvere 1’ arduo problema, ricorderemo ancora quello del Naville, che divide tutto il sapere in tre grandi gruppi: 1° la teorematica, che comprende tutte le scienze delle leggi, e ciod la nomologia, le scienze ma- tematiche, fisiche e psicologiche, fra oui è la sociologia; 2° la storia umana; 3° la canonica, che comprende tutte le scienze delle regie ideali d’azione, e cioè le teorie dei mezzi ο delle arti, le scienze morali e l'etica propriamente detta. Ad ogni modp, la olassificazione più comune e praticamente usata, benchè poco scientifica, è la seguente: 1° sciense matematiche (aritmetica, geometria, algebra, meccanica, astronomia); 2° soiense fisiche (fisica e chimica); 3° acienze naturali (mineralogia, geologia, botanica, zoologia, antro- pologia, anatomia, fisiologia, etnologia, patologia, noso- logia); 4° scienze morali (scienze sociali, politiche, storiche e psicologiche). Claustrofobia. T. Alaustrophobic; 1. Claustrophoby ; F. Claustrophobie. Con questo nome, introdotto nella termino- logia scientifica dal Ball, si denomina quello stato patologico che consiste nell’ orrore per i luoghi chiusi. Gli ammalati non possono sopportare d’essere chiusi in una stanza, e certe volte nemmeno passare sotto una galleria o per una via stretta: essi dicono di soffocare, di non poter respi- rare, di sentirsi opprimere. La cluustrofobia è l'inverso dell’ agorafobia, ο l'una ο l’altra non sono che casi par- ticolari della fobia dei luoghi, o topofobia. Cfr. A. Verga, La Claustrofobia, « Rend. Ist. lombardo », 1878. Cleptomania. T. Kleptomanie, Stehltrieb; I. Cleptomany; F. Cleptomanie. Fenomeno patologico, che consiste nell’ im- pulso irresistibile a impossessarri di oggetti appartenenti ad altri, anche se di nessun valore e pur essendo nell’ am- malato la coscienza dell’ atto delittuoso che commette. In ciò sta la differenza tra il cleptomane e il pazzo morale: questi ruba seguendo i suoi istinti perversi, obbedendo volontieri ad nna volontà viziata per abitudine; quegli CLi-Con — 192 — invece cede ad un bisogno morboso intermittente, contro il quale cerca di lottare ο al quale non cede che a mnalin- cuore, come costretto da una forza più potente della sua volontà. Cfr. Tamburini, Riv. oliniea, 1876; E. Brissaud, Malattie del? enogfalo, trad. it. 1906, p. 108 segg. Clinanem. Con questo nome Lucrezio designa quella deolinazione degli atomi, che è I’ ipotesi fondamentale del sistema epicureo. Secondo Epicuro, nello spazio infinito sono diffusi in numero infinito gli atomi, che, essendo do- tati di peso, cadono verticalmente con la stessa velocità. Ma come si spiega allora la formazione delle cose e del mondo? In questa eterna pioggia di atomi bisogna ammet- tere che alcuni, in momenti © posti non determinati, de- viino spontaneamente dalla linea verticale e per quel tanto che basti a nrtare contro altri atomi vicini; questi, alla lor volta, producono per rimbalzo altri urti, e così via via finchè si producono degli addensamenti atomici, che, nel- l’infinita varietà delle combinazioni possibili, dànno luogo ai mondi e alle cose. Su questa infrazione della legge di causalità fisico, Epicuro fondava il libero arbitrio del volere, che egli riteneva indispensabile alla felicità : I’ atto volontario è in relazione coi motivi; così il primo come i secondi si riducono a moti atomici interni; mia siccome nei moti atomici c'è la libertà, così il passaggio dai se- condi ai primi non è una trasformazione meccanica di mo- vimento, bensì i primi si determinano spontaneamente, come spontanea è la declinazione atomica. Cfr. Diogene L., X, 184; Lucrezio, De rer. nat., II, 251-293; Brieger, Urbe- wogung der Atome, 1884; Giussani, Studi luoreziani, 1896, p. 124-169; Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella rita, 1913, p. 26-33 (v. atomo, atomismo, coniunota). Codivisione. Quando, nella divisione logica, il con- cotto dividente viene diviso successivamente sotto più d’un rispetto, l'insieme di tali divisioni costituisce una codivi- sione. La qualo per tal modo non è possibile, se non quando — 193 — Cox-Coa ciascan termine dividente sia atto ad essere suddiviso sotto il medesimo rispetto ο fondamento (v. divisione). Coesione psichica. Il legame maggiore o minore che unisee gli elementi da cui risultano le formazioni psichiche. Secondo 1’ Ardigd, la coesione massima à la percettiva, e specialmente quella che si forma tra una idea e la parola che l’esprime; è media la coesione che si ha nelle forma- zioni ideali, come è provato dalla varia significazione che una stessa parola riceve nell’ ideazione degli individui; minima è la coesione logica, che si avvera nel sogno, nella riflessione, nel ragionamento. La legge fondamentale è che la coesione sta in rapporto inverso con la complessità del lavoro mentale. Cfr. Ardigò, Op. fil, VII, 40 e segg. Cogito, ergo sum (penso, dunque esisto). È il principio dal quale prende le mosse la filosofia di Cartesio. Dopo aver rigettato come dubbie tutte le verità accettate o per autorità o per testimonianza del senso, trovò che una cosn sola era fuori d’ogni dubbio e poteva quindi servir di base inconcusss su cui fondare tutte le altre cognizioni: il dub- bio medesimo, vale a dire il pensiero, e quindi anche In certezza della nostra esistenza. Di tutto possiamo dubi- tare, egli diceva, ma non dubitare di dubitare, nè dubi- tare di esistere noi che dubitiamo. Lo stesso principio era stato altre volte affermato prima di Cartesio, ad es. da Β. Agostino, per il quale pure la conoscenza che I’ essere pensante ha del proprio esistere è immediata: Quando qui- dem, etiam si dubita, vivit, si dubitat, cogitat. Ugualmente 8. Tommaso: Nullus potest cogitare se non esse cum assensu in hoc enim, quod cogitat, percipit se esse. Campanella: Si nogas et divis me falli, plane confiteria, quod ego sum; non enim possum falli, si non sum.... Ergo nos esse et posse scire et volle est certissimum principium, deinde secundario, nos case aliquid et non omnia. Però, mentre per S. Agostino, 8. Tom- maso e Campanella la certezza che |’ anima ha di sò à In più sicura di tutte le esperienze, il carattere fondamentale 13 — RaxzoLt, Dision. di scienze filosofiche. CoL — 194 — della percezione interna, per cui questa ha il sopravvento gnoseologico sopra la percezione esterna, per Cartesio in- vece la proposizione oogito sum ha il significato di prima fondamentale verità di ragione più che di esperienza; la sua evidenza non è nemmeno quella di un sillogismo, ma quella di una immediata certezza intuitiva: prima quaedam notio quae ex nullo eyllogismo concluditur. La formula car- tesiana fu spesso modificata in sdguito, dandole maggiore impersonalità ed estensione: Cogito, ergo est (Schopen- hauer); Cogito, ergo sum αἱ est (Richl); Cogito, ergo res sunt (Boutroux). Cfr. 8. Agostino, De Trin., X, 14; 8. Tom- maso, Quaest. disp. de ver., 10; Campanella, Universalis philos., 1688, I, 3, 3; Cartesio, Med., II, 10, 11; Resp. ad. Obj., Il; Schopenhauer, Die Welt als. W. und Vorat., suppl. cap. IV; Riehl, Die philos. Kritioiemus, 1887, II, 2, p. 147; Boutroux, Rerue des Cours, 1894-95, II, 370. - Collettivismo. Kollektivismus; I. Collectiviem; F. Coliectivieme. Termine creato al Congresso di Bâle, nel 1869, per opporre al socialismo di Stato, rappresentato dai mar- xisti, il socialismo non centralizzatoro. Oggi perd il termine ha assunto un significato più largo, e indica la dottrina sociale e politica, che propugna l’avvento di una società nella quale sia abolita la proprietà privata, sia seso comune lo stromento del lavoro, ed ogni individuo abbia una ri- compensa proporzionata così alla sua capacità come al- l’opera sua, ma in maniera che ognuno abbia il sufficiente, in modo degno della umanità. La propriotà è amministrata direttamente dallo Stato, il quale ne distribuisce il frutto tra i suoi membri. Cfr. Schwflle, Bau und Leben d. socialen ‚Körpers, 1874; Y. Guyot, Le oolleotivieme futur et le sooialisme présent, 1906; F. E. Restivo, Il socialismo di Stato, ed. San- «ron; Ant. Labriola, Discorrendo di filosofia ο socialismo, 1898. Collettivo. T. Gesammnt, kollektir ; I. Collective; F. Col- leotif. Si oppone a distributivo e si distingue da generale. È collettivo ciò che è comune ad un numero determinato — 195 — Com di individui ed è una proprietà dell’ insieme ; è generale ciò che è comune ad un numero indeterminato di individui e appartiene a ciasouno d’essi. Perciò nella logica dicesi collettivo il termine che abbraccia una moltitudine d’indi- vidui senza riferirsi a ciascuno di essi (es. il 19 reggimento), generale il termine che abbraccia una moltitudine indefinita di individui a ciascano dei quali si riferisce (es. soldato). Quindi il termine collettivo è individuale, perchè, sebbene poses esser detto d’una moltitndine individuale presa in- sieme, non pud esserlo di ciascuno degli individui presi n parte. Combinatoria (ars). Quella parte della matematica, che ha per oggetto di formare per ordine tutte le combi- nazioni possibili di un numero dato di oggetti, di nume- rarle e studiarne le proprietà ο le relazioni. Con la stessa espressione il Leibnitz designava la medesima scienza, ap- plicata ad ogni categoria di conoetti, costituendo così la parte sintetica della logica (v. probabilità). Comico. T. Komische (das); I. Comical; F. Comique. Ter- mine generico in cui si comprendono tutti quei sentimenti che, nella ricca varietà delle loro sfumature, ai presentano a volta a volta come umoristico, ridicolo, ironico, grotte- sco, satirico, arguto, scherzoso, ecc., ed hanno quasi sempre per linguaggio emozionale il riso o il sorriso. Secondo In teoria di Platone, svolta poi da Hobbes e da Lamennais, e accettata fra noi dal Troiano, il sentimento del comico si risolve nell'orgoglio prodotto dalla percezione improv- visa della nostra superiorità; così chi ride alla commedia si crede privo del difetto di cui ride e si sente superiore al personaggio che ne è macchiato. Invece per Aristotele il comico è un difetto che nd fa soffrire nà nuoce; questa definizione fu poi modificata da Cartesio ο svolta recente- mente dall’ Ueberhorst, che risolve il comico nel « segno @ una caftiva qualità d’una persona, se abbiamo In co- scienza di non possedere un difetto della steran perio e Com — 196 — non sono provocati in noi sentimenti fortemente sgrade- voli ». Analoga a questa è la definizione del Bergson, per il quale le oomique est 06 oôté de la personne par lequel elle res- semble à une chose, ost aspeot des événements humaine qu'imite, par sa raideur d'un genre tout partioulier, lo mécanieme pur et simple, Vautomatieme, enfin le mouvement sans la vie; esso sorge infatti quando negli atti che non sono essenziali per Is vita manca quella vigile agilità di corpo, di spi- rito e di carattere che la società richiede; ossia quando l’automatismo imita la vita. Secondo un’altra dottrina, accennata prima ds Cicerone e da Quintiliano, svolta oggi dal Penjon, il comico è la libertà, ciò che rompe la rego- larità e l'uniformità della vita, sense spaventarci nd dan- neggiare noi ο altri; » questo tipo si possono ricondurre molte dottrine, come quella di Kant, che fa originare il comico dall’improvviso risolversi in nulla di una grande aspettazione; quella dello Schopenhaner, che lo riconduce ad un disaccordo subitamente avvertito tra un concetto ¢ gli oggetti reali che esso ha suggerito; quella di Giampaolo, cho lo risolve nell’ assurdo roso sensibile perchè manifesta una contraddizione; quella dello Spencer, che lo riconduce ad un contrasto tra oggetti grandi © piccoli; quella del Lipps, che lo fa originare da un contrasto tra la cosa attesa © quella che si presenta. Invece per il Sully il comico non è che il giuoco, cioè il considerare quel che si presenta davanti al? anima nostra como un oggetto di divertimento, un og- getto che non si deve prendere sul serio; per il Bain è l’ac- crescimento di energia prodotto dalla liberazione di una gravità forzata; per il Philbert è un errore subito rettificato, nascendo quando noi siamo ad un tempo ingannati e disin- gannati, quando « con un solo sguardo vediamo I’ errore, tutte le sue cause © il vizio di queste cause >. Tra le dot- trine più recenti ricorderemo infine quella di A. Momigliano, che, dopo aver esaminato con nentezza le forme fondamen- tali dol comico o lo definizioni fino ad ora proposte, conclude — 197 — - Com che « il sentimento del comico nasce dal compiacimento este- tico col quale si rileva inaspettatamente il lato debole di un oggetto o nn contrasto che rende manifesti un’ imperfezione © un malanno imputabili all’ uomo o alla sorte ». Cfr. Franz Jahn, Das Problem des Komischen, 1905; Ueberhorst, Das Ko- mische, 1896-1900; Lipps, Payohol. d. Komik, « Philos. Mo- natshefte », 1888, XXIV; Dugas, Peyohol. du rire, 1902; Sully, Essai sur le rire, 1904; Bergson, Le rire, 1904; Bé- nard, La théorie du comique dans l’esthétique allemande, « Re- vue philos. », 1880-81, vol. X, XII; C. Hanau, Del riso e del sorriso, « Riv. di fil. scientitica », 1889, vol. VIII; F. Masci, Psicol. del comico, « Atti della R. Acc. di s. 11. e p.», 1889; A. Momigliano, L'origine del comico, « Cultura filo- sofica », luglio ο sett. 1909; Giulio A. Levi, Il comico, 1912 (v. ironia, umorismo). Comparazione. T. Vergleichung ; 1. Comparison; F. Com- paraison. Alcuni psicologi, tra oui 1’ Höffding, considerano la comparazione come la forma fondamentale dell’ atto di conoscere, il carattere che distingue il pensiero dagli altri fatti di coscienza; pensare è comparnre, cioò trovare della diversità o della somiglianza. È una comparazione di dif- ferenza la sensazione, una comparazione di somiglianza 1’ atto del riconoscimento, una comparazione di somiglianza © differenza’) associazione, ecc. Nella logica diconsi com- parative quella specie di proposizioni implicite o complesse, che costituiscono un paragone ed equivalgono 8 due pro- posizioni. Ad es.: l’altruismo è il più nobile dei sentimenti (- l’altruismo è un sentimento nobile - questo sentimento è più nobile di ogni altro). Cfr. Haffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 61, 148 (v. pensiero). Complesso. T. Zusammengesetzt, complex; I. Compler; F. Complexe. Nella logica si dice complesso un termine quando designs due o più idee, e complesss una propo- sizione quando consta di due o più membri. Un sillogismo è complesso, quando uno almeno dei termini della conclu- Com — 198 — sione essendo complesso, le parti componenti questo ter- mine si trovano separate nelle premesse. Complicazione. T. Complication ; I. Complication ; F. Com- plication. Il Wundt, seguendo 1’ Herbart, chiama complica- zione quella forma di associazione simultanea che avvieno fra imagini di specie differenti. Nella scolastica il termine complicazione era adoperato nel senso di implicito; perciò dicevasi che Dio è la complicazione del mondo e il mondo l’esplicazione di Dio. Cfr. Nicola Cusano, Docta ign., 11, 3; Herbart, Lehrbuch s. Peychol., 1850, ο. 3, p. 22; Wundt, Grundriss d. Psyohol., 1896, p. 275. Composizione delle cause. Principio logico, analogo al principio fisico della composizione delle forze. Esso si formula in questo modo: I’ effetto totale di più cause riu- nite insieme è identico alla somma dei loro effetti sepa- rati. Sarebbe però arbitrario dare a questa legge la stessa estensione della legge fisica sopra accennata, e applicare a tutti i fatti, specie a quelli d’ordine fisiologico e psi- cologico, il concetto della composizione puramente mecca- nica delle cause (v. p. es. legge di Weber). Compossibile. T. Compossibel; 1. Compossible; F. Com- possible. La relazione tra due esseri possibili simultanea- mente e di fatto. Due esseri separatamente possibili non sono sempre e necessariamente compossibili, in quanto la possibilità di fatto di ciascuno d’ essi può distruggere la loro compossibilità logica, Il termine, giù conosciuto dagli sco- lastici, fu adoperato specialmente dal Leibnitz. Cfr. Gocle- nius, Lexicon philos., 1613, p. 425 a; Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 718 segg. Composto. Lut. Compositum ; T. Zusammengesetst ; I. Com- pound; F. Composé. Ciò che risulta di più parti. Nella logica diconsi composti quei giudizi che esprimono una relazione di giudizi e si possono perciò risolvere in due o più giudizi semplici senza alterarne il valore. Quindi i giudizi composti si suddividono soltanto secondo le forme della relazione, cioè — 199 — Com la categories e l’ipotetica, ο secondo la composizione di cia- scuna di queste due forme con l’altra. Si avranno dunque due classi di giudizi composti: quelli a relazione semplice © quelli a relazione composta ; più una terza di giudizi con- tratti. La prima classe contiene i gindizi : categorico-con- giuntivi, categorico-copulativi, categorico-divisivi, ipote- tico-congiuntivi, ipotetico-copulativi, ipotetico-divisivi; la seconda i giudizi: categorico-ipotetici, categorico-disgiun- tivi, ipotetico-disgiuntivi ; la terra i giudizi: entimematici © tetici. La forma disgiuntiva non dà luogo a forme com- poste, se non congiungendosi alle altre due, dalle quali differisce soltanto per la natura del predicato. — Gli sco- lastici dicevano compositum physioum quello che risulta da parti reali tra loro realmente distints; compositum meta- physicum quello che risulta di parti reali, distinte soltanto razionalmente ; substantiale compositum naturale quello che risulta di sostanze, le quali per intenzione di natura sono ordinate a costituire qualche cosa, ad es. P uomo, che con- sta di snima e di corpo; substantiale compositum superna- turale quello che risulta di sostanze le quali, benchè non ordinate per natura loro a costituire qualche cosa, hanno però attitudine ad essere innalzate da Dio a questo, ad es. l’unione delle due nature, umana e divina, in Cristo. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 186 segg.; Goclenio, Lericon phil., 1613 (v. giudizio). Comprensione. Lat. Comprehensio; T. Inhalt; I. In- tension ; F. Comprekension. Dicesi comprensione, 0 tenore, o contenuto di una idea l'insieme dei caratteri ο delle qua- lità che essa designa; vale a dire, in altre parole, l’in- sieme delle determinazioni o degli elementi da cui quel- V idea risulta. Così la comprensione dell’ idea triangolo è data dalle determinazioni di figura, estensione, tre angoli, ecc., che entrano a costituirla. Siccome ciascuna di queste de- terminazioni può determinare tutte le altre, così i logioi significarono Il rapporto che lega tra loro le parti della Com — 200 — comprensione col simbolo algebrico della moltiplicazione, nella quale ogni fattore moltiplica tutti gli altri. Quindi: comprensione di A = a x LX c, ossia abc. L'operazione con cui si aggiunge qualche nota ad una idea, accrescendono la comprensione, dicesi determinazione; V oporazione in- versa dicesi astrazione. Cfr. Aristotelo, Anal. post., I, 4, 738, 35; Drobisch, Neue Darst. d. Logik, 1887, $ 25 (v. estensione). Comune, T. Gemein; I. Common ; F. Commun. Ciò che appartiene contemporancamente a più oggetti; si appono al proprio, che è il carattere che appartiene a un individuo e non si riscontra in nessun altro. Si distingue il comune reale o fisico (ad es. il sole è il centro comune del sistema solare) dall’ ideale o logico (ad es. le leggi biologiche sono comuni a tutti gli esseri viventi). Il nome comune è quello che denota un insieme di qualità; si oppone al nome pro- prio, che non indica alcuna proprietà, ma soltanto designa. Per idea o nozione comune si intende tanto quella che può essere attribuita ad un numero indefinito di oggetti dif- ferenti, quanto quella che si trova in tutti gli spiriti. Gli scolastici distinguevano i sensibili comuni dai sensibili pro- pri: i primi sono i fenomeni che possono essere percepiti da più sensi, come la forma, 1’ estensione, il movimento, ecc., i secondi i fenomeni che non possono essere percepiti che da un solo senso, come il suono, il sapore, il colore, l'odore (v. senso comune). Comunismo. T. Kommunismus; I. Communiem ; F. Com- munirme. Quella dottrina politica od economica, che ripeto le sue origini dal Morus, Campanella, Morelly e propugna un ordinamento sociale in cui siano comuni tanto lo stru- mento del lavoro come la ricchezza prodotta, cosicchè cia- scun uomo lavori per quanto può © consumi secondo i suoi bisogni. Secondo alcuni Platone sarebbe il padre del co- munismo, avendone esposto il disegno nella Repubblica; mu, in realtà, l’idosle platonico dello Stato si fonda sul prin- — 201 — Com cipio dell’ aristoorazia della oultura, che appare specialmente in questo: per la gran massa del terzo stato non si pre- tende se non l'abilità ordinaria della vits pratica, mentre 1) educazione che lo Stato ha il diritto e il dovere di avere nelle suo mani per formare i cittadini socondo i suoi fini, si volge soltanto alle altro due classi, degli insegnanti ο dei militari. Questi debbono avere comunanza di vita e di beni, affinchè nessun interesse personale faccia ostacolo all’ adempimento dei propri doveri a profitto della collet- tività. Vero padre del comunismo può invece considerarsi il Morelly, che a sua volta ο) ispirò alle utopie di Moro e Campanella, 8 il cui sistema può riassumersi così : proprietà comune dei terroni, del domieilio, degli strumenti di lavoro © di produzione; educazione accessibile a tutti; distribu- ziono del lavoro secondo le forze © dei prodotti secondo i bisogni, senza tener conto alcuno della capacità ο dell’ in- gegno; riunione degli individui in numero di mille almeno, affinchè, lavorando ciascuno socondo le proprie forze e con- sumando secondo i propri bisogni, si stabilisca una media di consumo cho non sorpassi le risorse comuni, © una risul- tante di lavoro che le renda sufficientemente abbondanti ; abolizione delle ricompense pecuniarie; istituzione di un codice pubblico di tutte le scienze, nel quale non αἱ ug- giungerà nulla alla metafisica © alla morale oltre i limiti prescritti dalle leggi; l'istruzione dei fanciulli è fatta in comune, in un vasto ginnasio, è impartita dai padri e dalle madri, comincia si cinque e termina ai dieci anni, dopo di che i giovani passano nelle officine ove ricevono I’ istru- zione professionale, Il comunismo si distingue in comunismo autoritario e comunismo anarokioo. Non va confuso col collet- tivismo. Cfr. Pöhlmann, Geschiohte des antiken Sozialismue und Kommunismus, 1901; A. Sudre, Histoire du communieme, 1850; Marx © Engel, Man. dei comunisti, 1847 (v. anarchia, ro- cialiemo). Comunità v. reciprocità. Con — 202 — bile. ‘T. Begreiflich; I. Conoerable ; F. Conoeva- ble. Tutto ciò di cui lo spirito può formarsi la nozione, quindi tutto ciò che non racchiude contraddizione. Il campo del concepibile è illimitato, entrando in esso tanto l’én- telligibile, vale a dire ciò che è oggetto soltanto del pen- siero astratto, quanto il sensibile, vale a dire ciò che è og- getto della sensazione. Nella possibilità logica si ha la concepibilità dei contradditorii, ma soltanto perchè manca la ragione di decidere quale dei due sia vero, non perchè siano veri entrambi. Secondo alcuni filosofi la concepibi- lità è testimonio di verità, ad es. Cartesio: « Avendo no- tato che in questa proposizione: io penso, dunque esisto, non vi è nulla che mi assicuri che io dica la verità, se non il vedere chiarissimamente che per pensare bisogna essere, gindioai di poter prendere come regola generale, che lo cose che noi concepiamo in modo chiarissimo ο distintissimo, sono tutte vere, ma che vi è solo qualche difficoltà nel Len discernere quali siano quelle che noi concepiamo di- stintamente >. Anche per Hume « è una massima stabilita nella metafisica, che tuttocid che la mente concepisce, in- clude l’idea dell’ esistenza possibile, ο, in altre parole, che nulla noi imaginiamo che sia assolutamente impossibile ». Cfr. Cartesio, /iscorao al metodo, trad. it. 1912, p. 73-74; Hamilton, Discussions ou philosophy, 1852, p. 596 (v. incon- cepibile, incomprensibile, inconosoibile). Conospire. T. Hegreifen; I. Conceive; F. Concevoir. Al- cuni logioi distinguono I’ atto del ragionare e del giudicare dall’ atto del concepire, che sarebbe il semplice pensare una data cosa senza nd negare nd affermare. Altri obbiettano che nella coscienza non può essere separato 1’ atto del con- cepire da quello del giudicare, perchè concepire una qual- siasi cosa è un rappresentarsela, e quindi affermare qualche cons che le uppartieno. Il Baldwin propone di restringere il significato del vocabolo, usandolo solo per designare la conoscenza del generale in quanto distinto dagli oggetti — 203 — Cox particolari cui si applica. Cfr. Logique de Port-Royal, ed. Charles, p. 37; Taine, De U Intelligenoe, 1870, II, 76 (v. con- cezione). Concetto. T. Begriff; I. Conception, Concept ; F. Concept. È la tradnzione latina del σύλληψις greco (συν «= con, λαμβάνω =: prendo), con cui si volle indicare che mediante il con- cetto apprendiamo il significato della cosa. Ordinariamente per concetto si intende la sintesi ideale o tipica di una cosa ο d’un fatto, ottenuta mediante il confronto delle rappresentazioni ο |’ astrazione delle note identiche. Secondo altri, il concetto, essendo l’unità delle note essenziali del- l'oggetto, ottenuta mediante l’astrazione e la determina- zione, presuppone il giudizio e si definisce appunto come il sistema dei giudizi, che su quell’ oggetto si son fatti ο si possono fare, Il principio unificatore del concetto può essere intrinseoo, cioò l’unità fisica ο ideale della cosa stessa, od estrinseoo, cioè una rappresentazione schematica o una parola o una espressione composta di più parole. Gli ele- menti del concetto si dicono rote ο determinazioni. Bisogna però distinguere il concetto logico dal psicologico; questo è per lo più costituito da imagini frammentarie, da aspetti dell’ oggetto che più interessano un dato individuo, per la sus cultura, il sno temperamento, le sue abitudini men- tali, la sua educazione, e varia perciò da individuo a dividuo ο durante la vita dello stesso individuo; invece il concetto logico, sintesi di tutto le note dell’ oggetto, è uguale per tutti i pensanti, ossia obbiettivo ο universale, 1] concetto logico esprime l’essenza della cosa; secondo lo Stuart Mill quella che noi diciamo l’ essenza della cosa è 1’ insiemo delle note del concetto; secondo altri l’ essenza è data sol- tanto dalle note permanenti dell'oggetto; per altri ancora V essenza è il complesso delle qualità primarie della cosa, che indica quello che la cosa è nell’ ordine delle altre cose © in relazione ad esse. I caratteri fondamentali del concetto logico sono tre: 1° di essere costituito non tanto da con- Cox — 204 — tenuti qualificativi che stanno da sò, quanto da indi relazione, cioè di somiglianze e differenze, di essere in- somma un sistema di rapporti; 2° di essere universale, sia soggettivamente in quanto non si ha che un solo concetto d’una cosa, sia oggettivamente in quanto vale per tutti gli oggetti che denota; 3° di essere neoessario soggettiva- mente, appunto perchè non si può avere che un solo con- cotto d’una cosa, oggettivamente in quanto esprime la legge intima della cosa. Kant distingue il conostto, che è ogni relazione generale senza essere assoluta, dalle idee ο dati assoluti della ragione, e dalle intwisioni, che sono le nozioni particolari dovute ai nostri sensi. Egli li distri- buisce in tre classi: ο. puri, che non tolgono nulla dalla esperienza (es. la nozione di causa); ο. empirici, che sono formati esclusivamente coi dati dell’ esperienza (es. la no- zione generale di colore); ο. misti, formati in parte sui dati dell’ intelletto puro, in parte su quelli dell’ esperienza. Come le intuizioni sono impossibili senza una forma sen- sibile, così le cognizioni vere e proprie sono impossibili senza una forma intellettuale, cioè senza i concetti : perciò, egli dice, le intuizioni senza i concetti sono cieche, i con- cetti senza le intuizioni sono vuoti. Nel pensiero filosofico il concetto cominciò ad assumere grande importanza con Socrate. Opponendosi al relativismo dei sofisti, egli cercò un sapere che dovesse valere per norma ugualmente per tutti, un elemento costante ed unitario che ognuno deve riconoscere, e lo trovò nel concetto (λόγος); la scienza è quindi pensare per concetti, e il fine di ogni lavoro scien- tifico la determinazione dei concetti, la definizione. Per Platone l'oggetto della scienza è l’idea, 1’ essere incor- poreo che viene conosciuto mediante i concetti; poichè i concetti, in cui Socrate aveva trovato l'essenza della scienza, non sono dati come tali nella realtà percepibile, essi devono formare una seconda realtà, una realtà inma- teriale, e la conoscenza loro non può essere che una remi- — 205 — Cox niscenza, onde l’ anima richiama alla memoria conoscenze preesistenti in essa. Per Aristotele invece ogni concetto si forma analiticamente da un concetto superiore, 0 ge- nere prossimo, mediante l’aggiunta di una nota speciale, © differenza specifica: questa deduzione del concetto è la definizione; naturalmente, la definizione dei concetti in- feriori si riferisce a concetti generalissimi, che si sottrag- gono ad ogni deduzione e spiegazione. Gli stoici cercarono di analizzare psicologioamente il concetto, che per essi ha origine dalla percezione, o per sè stesso o mediante par- lari motivi psicologici, aut wen, aut coniunotione aut si- militudine aut collatione; solo i concetti più generali, κο- tiones communes, sono innati. Nel sistema dell’ Herbart il concetto ha una grande importanza : egli infatti, opponen- dosi agli idealisti che sostenevano esser compito della filo- sofia di derivare la realtà da un principio unico, attribmì alla filosofia uno scopo essenzialmente oritico, e cioè l'esame © l'elaborazione dei concetti su cui è fondata la scienza rpe- rimentale, per ripulirli da quelle contraddizioni che falsano la giusta rappresentazione della natura; i concetti stessi sono per lui delle idealità logiohe, che non esistono che nella nostra astrazione, non essendo che rappresentazioni nelle quali astraiamo dal modo come psicologicamente si sono prodotte. Per Hegel invece il concetto « non è semplice- mente una rappresentazione soggettiva, ma |’ essenza storsa della cosa, il suo in sò;... le forme logiche del concetto sono il vivente spirito della realtà »; egli lo definisce come « la li- bertà e la verità della sostanza », « l’ assolutamente con- creto >, « l’universale in cui ogni momento è il tutto, perchè esso è il per sò ed in sò determinato ». Per Schopenhauer il concetto è la rappresentazione di una rappresentazione, in quanto non è nessuna rappresentazione data, ma ha In sna natura nel rapporto con le rappresentazioni ; esso costituisre classe particolare, diversa toto genere dallo rappresenta- zioni sensibili ed esistente solo nello spirito nmano. Per il Con — 206 — Wundt il concetto è « la fusione di una singola rappresen- tazione dominante con una serie di rappresentazioni omo- genee, fusione compiuta mediante 1’ appercezione attiva »; osso infatti sorge © si sviluppa mediante il prevalere di elomenti, che sono percepiti con la maggiore chiarezza, la scelta delle rappresentasioni da sostituire, 1’ oscuramento degli elementi rappresentativi mescolati con gli elementi dominanti, l’oscuramento degli elementi stessi e la loro sostituzione con segni verbali esteriori. Per l’Avenarius anche il concetto ha un valore psicologico, non essendo che un caso particolare del principio dell’ inerzia dominante nella vita psichica; esso infatti rappresenta un risparmio di energia, rendendo possibile alla coscienza di abbracciare con un minimo sforzo un gran numero di oggetti, e di condensare economicamente concetti © leggi particolari in concetti e leggi più universali. Per lo Schuppe è concetto «tuttociò che 1’ uomo pensa come significato di una parola, in quanto vengono pensati come unità molteplici predicati realmente conosciuti »; esso esiste obiettivamente perchè contenuto nella percezione, nella quale lo cogliamo come un elemento di essa; la realtà concreta è la qualità sen- soriale in un punto determinato dello spazio ο del tempo; ciascuno di questi elementi (qualità, spazio, tempo), isolato dagli altri è un concetto astratto. Secondo il Croce il con- cetto puro deve distinguersi dai paeudoconoetti ο finzioni con- cettuali: queste hanno per contennto o un gruppo di rappro- sentazioni (es. gatto, casa, rosa) o nessuna rappresentazione (es. triangolo, moto libero); di quello invece « è da dire n volta a volta che ogni imagine 6 nessuna imagine è sim- bolo di easo »; il carattere fondamentale del concetto puro è la conoreterza; il concetto è universale-concreto; chè se è trascendente rispetto alla singola rappresentazione, è, poi, immanente nella singola, ο perciò in tutte le rappresen- tazioni. Cfr. Platone, Terteto, 201 D e sogg.; Aristotele, De an., IT, 1, 412 b, 16 © segg.; Cicerone, De fin.. TIT, 381 — 207 — Cox Acad., U, 7; Kant, Krit. d. reinen Vorn., ed. Reolam, p. 77, 88; Herbart, Psychologie als Wissenschaft, 1887, 1; J. Stuart Mill, Examination of Hamilton, 1867, p. 274 segg.; Hegel, Enoyol., 6105, 108, 154, 157-164; Schopenhauer, Die Welt ala W. und V., 1. 1, 69; Wundt, Logik, 1893, 1. I, p. 46 segg.; Aven: Philosophie ale Denken, 1903, p. 24 segg.; Schuppe, frrundriss d. Erkenntnistheorie, 1894, p. 81 segg.; B. Croce, Logica come soiensa del concetto puro, 1909, p. 15-84; A. Ma- rueci, Di aloune moderne teorie del concetto, «Riv. di fil. », mag- gio 1914 (v. idealismo, nominalismo, realismo, sermonismo). Conoettualismo. T. Conceptualiemus ; I. Conceptualiem ; F. Conceptualisme. Dottrina della scolastica, che sta fra il realismo e il nominalismo, e fu creata da Abelardo. Con- ciliando la teoria dei nominalisti, che sostenevano essere gli universali e le qualità astratte dei corpi un puro nome, un semplice flatus rocis, e quella dei realisti, che conside- ravano gli universali come le sole e vere realtà, Abelardo sostenne che codesti universali, sebbene non posseggano nna realtà a sè, indipendente dal nostro spirito, hanno tuttavia, in quanto concetti o nozioni astratte, una esi- stenza logica e psicologica, « Ogni individuo, dice Abelardo, è composto di forma e di materia. Socrate ha per materia l’uomo 9 per forma la socratità. Platone è composto d’ una materia simile che è l’uomo ο d’una forma differente che è la platonità, e così degli altri uomini. E come la socratità, che costituisce formalmente Soorato, non è in nessuna parte fuori di Socrate, ngualmente codesta essenza d’uomo che, in Socrate, è il sostrato della socratità, non è in nessuna parte altrove che in Socrate, e così degli altri individui. Per specie io dunque intendo, non codesta sola essonza d’ uomo che è in Socrate o in qualche altro individuo, ma tutta la collezione formata da tutti gli individui di codesta natura ». L’ universale esistente nella natura è appunto, per Abelardo, codesta collezione, codesta molteplicità identien- mente determinata, che diventa concetto unico solo nella Cox concezione del pensiero umano; ο poichè tale molteplicità degli individui si spiega col fatto che Dio ha creato il mondo secondo imagini preesistenti nel suo spirito, così nel concettualismo abelardiano gli universali esistono an- zitutto in Dio come conoeptus mentis prima delle cose, poi nelle cose stesse come identità dei caratteri essenziali degli individui, infine nell’ intelletto umano quali suoi concetti. Alcuni considerano anche la dottrina di Kant come un vero © proprio concettualismo. Concettualisti nel vero senso della parola furono, oltre Abelardo e Durand de St. Pourgain, Locke, Reid, Brown. Dice il Reid: « Quella universalità che i realisti considerano essere nelle cose stesse, e i nomi- nalisti nel solo nome, i concettualisti considerano essere nd nelle cose nè nel nome soltanto, ma bensì nelle nostre concezioni >. Cfr. Abelardo, Opera, colleg. Cousin, p. 542; Reid, Works, 1863, p. 406; Windelband, Storia della fil., trad. it, 1913, p. 349. Concezione. T. Konoeptior, Begriffebildung; I. Conception: F. Conception. Non ha un significato ben definito nella pai- cologia. Alcune volte si adopera in opposisione a giudizio, per indicare l’atto con cui pensiamo o ci rappresentiamo un oggetto senza nd affermare nd negare. Altre volte è ussta in opposizione a percezione, per significare l’atto con cui ei rappresentiamo un dato oggetto che non è presente; in tal caso sarebbe analoga » rappresentazione. Codesta op- posizione è adottata specialmente nel realismo razionalistico, secondo il quale noi non percepiamo che fenomeni e qualità, sia fuori che dentro di noi, ma, eccitata da essi, la mente concepisce la sostanza; tale concezione, del tutto irreduci- bile ai fatti che ce la suggeriscono, è la condizione della nostra conoscenza delle cose, è una delle leggi necessarie del pensiero, per cui non possiamo pensare al fenomeno Renza riferirlo all’ essere. Altre volte ancora il termine concezione à nento per designare le idee astratte e i concetti, per op- posizione a sensazione e rappresentazione sensibile. Diconsi — 209 — Cox talvolta concezioni comuni i principi del ragionamento, in quanto tutti gli uomini li concepiscono e li seguono. Cfr. Boirac, L'idée de phénomène, 1894, p. 294 (v. concepire). Concesionismo. T. Konceptioniemus ; I. Conoeptioniem ; F. Conceptionisme. Designa tutte quelle dottrine che, come le intermediariste, considerano il mondo esteriore non come percepito immediatamente tal quale, ma come concepito dal nostro spirito mediante processi particolari. Si ado- pera quindi per opposizione al peroesionismo, dottrina so- stenuta specialmente dagli scozzesi e dagli eolettici fran- cesi, i quali consideravano come irreducibile il sentimento di obbiettività contenuto nella sensazione, e a codesta ore- denza accordavano un valore rappresentativo. Cfr. Mac Cosh, The intuitions of the mind, 1882. Conclusione. Lat. Conclusio; T. Schluss, Sohlussate, Conclusion; I. Conclusion ; F. Conclusion. O illasione; à la terza proposizione di un sillogismo, tratta dalle premesse in cui è contenuta. Perchè il raziocinio sia giusto, la con- elusione deve derivare, e necessariamente, dallo premesse, nè deve enunciare cosa diversa da quella che nelle pre- messe è enunciata. Da premesse entrambe particolari ο entrambe negative, non si pnd ricavare alcuna conclusione, nè si può ricavare una conclusione negativa da premesse affermative. La conclusione è negativa quando una delle premesse è negativa, particolare quando nna delle premesse è particolare. Cfr. Wandt, Logik, 1893, vol. I, p. 270 segg. (5. conseguenza, sillogiemo). Concomitansa. T. Konkomitanz; I. Concomitance; F. Concomitance. Quando due circostanze si sccompagnano "uns l’altra, e sono ο simultanee ο immediatamente suc- cessive, diconsi concomitanti. La concomitanza può essere diretta o inversa: p. es. |’ altezza della colonna di mercurio nel barometro è in ragione diretta del calore; il volume dei gas è in ragione inversa della pressione. l’ud ossere ancora accidentale, p. es. il crescere dei matrimoni ο della 14 — Raxzorı, Dizion, di scienze filosofiche. Cox — 210 — criminalità, e necessaria p. es. il crescere del tono del suono e il crescere del numero delle vibrazioni nell’ unita di tempo. Cfr. C. Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 80 © segg. Concordanza (metodo di). T. Methode der Uobereinatim- mung: I. Method of agreement; F. Méthode de concordance. Uno dei quattro metodi di ricerca induttiva proposti dallo Stuart Mill. Esso consiste nel paragonare tra loro diffo- renti casi in cui il fenomeno che si studia avviene, © si fonda su questo canone logico: se due o più casi di un dato fenomeno hanno comune soltanto una circostanza, questa circostanza, nella quale soltanto tutti i casi con- cordano, è la causa o l'effetto di quel fenomeno. Ad es. dovendosi cercare la causa della combustione dei corpi, si vede che alcuni bruciano neil’ aria, altri nel cloro, come il fosforo © l’arsenico, altri nei vapori di zolfo, come il rame e il ferro, ma hanno in comune una circostanza : la viva combinazione chimica della sostanza che brucia con quella nella quale brucia; essa sarà dunque la causa della combustione. Questo metodo serve specialmente nei casi in oni l'esperimento è impossibile, ma non da il criterio decisivo della causalità, perchè la semplice concordanza di due fenomoni non basta per autorizzarci a porre il primo come causa © il secondo come effetto: essi potrebbero es- sere entrambi semplici effetti collaterali di due altri feno- meni, oppure il secondo potrebbe essere effetto di una causa rimasta occulta, per quanto presente in tutte le osserva- zioni. Cfr. J. 8. Mill, System of Logic, 1865, 1. III, o. 8, $ 1. Concordanza nella differenza (metodo di). I. Joint method of agreement and differenco. Detto anche dell'accordo nella differenza, di differenza indiretta, di concordanza nega- tira, della concordanza ο della differenza riunite. È un metodo complementare di ricerca induttiva, suggerito dal Mill, consistente nella riunione del metodo di concordanza e di quello di differenza. Esso si fonda su questo canone — 311 — Con logico: se due o più casi in cui il fenomeno avvione hanno soltanto una circostanza comune, mentre due ο più casi in cui quello non avviene nulla hanno di comune tranne |’ assenza di questa circostanza, la circostanza nelln quale soltanto le due serie di casi differiscono è l’effetto © la causa o parte essenziale della causa di quel fenomeno. Ad es. strofinando in un ambiente asciutto con un panno di lana della ceralacca, della resina, dell’ ambra, del vetro, essi attirano i perzetti di carta essendo cattivi conduttori dell’ elettricità; strofinando nelle stesse circostanze un me- - tallo, che è buon conduttore della elettricità, la carta non resta attirata; dunque, I’ essere cattivi conduttori dell’elet. tricità è la cansa per cui quei corpi attraggono i pezzetti di carta. Cfr. J. S. Mill, System of Logic, 1865, 1, III, ο. 8, ϕ 4. Concorrensa vitale. Ha lo stesso valore della espres- sione « lotta per l’esistenza » più frequentemente usata, Concreto. T. Concret; I. Concrete; F. Conoret. Secondo il Trendelenburg, questa parola à d’origine latina ο si- gnificò da principio denso, spesso. Si adopera infatti in opposizione di astratto, per designare un soggetto che è rivestito di tutte le sue qualità, ed ha una esistenza reale indipendente e non quella che spetta ad un puro prodotto del pensiero quale è l’astratto. Nella terminologia scola- stica dicevasi coneretum il composto di sostanza ο forma, da cui si attribuisce al soggetto una qualche denomina zione; concretum metaphysicum quello in cui la forma non si distingue realmente dal soggetto; concretum physicum quello in cui si distingue veramente, ma pure gli è ine- rente; conorelum logioum quello in cui non gli è inerente. Per Schopenhauer il termine ha un significato speciali «I concetti che non si applicano alla conoscenza intuitiva in modo immediato, ma solamente con I’ intermediario di uno ο più altri concetti, furono chiamati astratti per eccel- lonza, mentre al contrario quelli che hanno il loro fonda- Cox — 212 — mento immediato nel mondo dell’intuizione sono stati chia- mati conoreti ». Cfr. Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862; Schopenhauer, Die Welt als eoe., ed. Reclam, I, ὁ 9. Condizionale. T. Bedingt; I. Conditional; F. Condi- tionnel. Una proposizione ο giudizio è condisionale quando la posizione del predicato è condizionata ο dipendente dalln posizione del soggetto; la sua formula è: se A à B, C à D. Un sillogismo è condizionale ο ipotetico quando ha per premessa maggiore una proposizione condizionale; esso è soggetto alle seguenti regole: se la minore afferma la con- dizione, la conclusione afferma il condizionato, ma se la minore nega la condizione non ne segue necessariamente che la conclusione neghi il condizionato ; se la minore nega il condizionato, la conclusione nega la condizione, ma se la minore afferma il condizionato, non ne segue che la conclusione affermi la condizione. Kant chiama imperativo condizionale ο ipotetico quello che enuncia che un atto è un mezzo relativamente a un certo fine. Condizione. T. Bedingung; I. Condition; F. Condition. Si suol distinguere condisione da causa: questa è la potenza attiva che produce l’effetto, mentre la condisione è ciò senza di cui la causa non agirebbe. Es. il crescere della temperatura è la cansa del crescere della colonna di mer- onrio nel termometro: 1’ essere il termometro stesso esposto alla temperatara, la condizione del crescere del mercurio. Ma questa distinzione vale soltanto quando si consideri la causa come un quid che produca I’ effetto; se invece, se- condo il concetto fenomenistico, la causa è riguardata come il semplice antecedente invariabile e incondizionato di un fenomeno, la causn del fenomeno stesso non è che l'insieme delle sue condizioni. Altri intendono la condizione nega- tivamente, e cioò come quella che non produce l’effetto, mn modifica o anche elimina |’ azione di una causa: p. es. l'umidità rispetto all’ esplosività della polvere. Ma la di- stinzione, in questo caso, è puramente soggettiva, dipen- — 218 — Con dendo dal fissarsi dell’ osservazione sopra l’azione di una piuttosto che di un’altra causa: così volendosi studiere, invece che l’esplosività delle polveri, l’ azione della umi- dità sopra I’ esplosività di esse, la medesima umidità che prima appariva semplice condizione appare come causa. In un senso più preciso dicesi condizione la circostanza man- cando la quale un fatto non può prodursi. In questo senso usaai l’espressione conditio sine qua non, abbreviazione del- 1’ antica formula dello Zabarella: conditio necessaria sine qua non Zabarelle est causa αυοταλική, sine qua res esse non po- test. In senso kantiano, spazio e tempo sono condizioni dell'esperienza, perchè soltanto per esse noi possiamo rap- presentare la varietà delle sensazioni con unità sintetica: tempus non esi objectioum.... sed subjectiva conditio per na- turam montis humana necessaria qualibet sensibili certa lege sibi coordinandi. Nel linguaggio matematico le condizioni di un problema sono tuttociò che particolarizza una solu- zione generale; si suppone quindi che il problema, rima- nendo il medesimo nella sua essenza, potrebbe essere ristretto nelle sue soluzioni mediante altre proposizioni limitative. Cfr. Goolenius, Lezioon phil., 1613, p. 435 a; Kant, De mundi sonsibilis, III, 14, § 5. Conflitto dei doveri. Widerstreit; I. Confliot; F. Conflict. Bi verifica quando alla scelta dell’ individuo si presentano due o più doveri fra loro inconciliabili; il con- fitto dei doveri è quindi un conflitto di motivi, ossia un conflitto di rappresentazioni (v. deliberazione). Confasione mentale. T. Hallucinatorisohe Verwirrtheit ; I. Hallucinatory confusion; F. Confusion mentale. Sindrome di varie malattie mentali, caratterizzata da disordini sen- sori, disorientamento rispetto al luogo, al tempo, alle per- sone, turbamento nel decorso delle rappresentazioni, incoe- renza nel linguaggio, annebbiamento del pensiero. Secondo alcuni storici della psichiatria, essa è ciò che Ippocrate chiamava frenite, Sauvage paraphrosyne, Ploquet paracope. Con Si distinguono tre forme-di confusione mentale: una alluci- natoria, caratterizzata dall’insorgere di gran numero di allucinazioni che dominano il malato; una astenioa, che ri presenta prevalentemente con l’ esaurimento; e una logor- roica o maniaca, caratterizzata da fuga d’ ideo, e quindi di parole, senza aleun ordine o nesso logico. Cfr. Dagonet, Nouv. traité des maladies mentales, 1894, p. 328-347; Cha- slin, La confusion mentale, 1895. Congenito. T. Angeboren ; I. Congenital ; F. Congenital. Per opposizione ad aoguisiti, diconsi così quei caratteri che l'individuo porta con sè dalla nascita, e che ha ereditato dai genitori o acquistato accidentalmente nel corso della sua esistenza embrionaria. Congettura. T. Vermuthung; I. Conjecture; F. Conjecture. Ha molte affinità con l'ipotesi e consiste in una conelu- sione che si cava da dati incerti, ο che per sò stessa, pur essondo certi i dati, non è nd legittima nd sicura. La con- gettura ha un grado minore di probabilità dell'ipotesi, della quale è una anticipazione. Si dicono razionali quelle con- getture che dipendono da principi logici ο outologici. Se- condo il Cusano, il pensiero dell’uomo, non conoscendo se non ciò che ha in st, non possiede per la conoscenza del mondo se non congetture, ossia i soli modi di rappre- sentazione che scaturiscono dalla sus propria natura; 8 la conoscenza di questa relatività di tutte le affermazioni po- silive, il sapere del non sapere, come primo gradino della dotta ignoranza, è |’ unica via per arrivare, oltre la scionza razionale, alla comnnione conoscitiva inesprimibile, imme- dinta, con la divinità. Cfr. Cusano, De doota ignorantia, 1884; F. Fiorentino, ZI rinaacimento filonofico nel quattrocento, 1885, cap. IL Congiuntivi (giudizi). Diconsi tali, per opposizione a copulatiri, quei giudizi che sono composti nel predicato, che hanno cioè più predicati i quali possono tutti conve- nire, per quanto disparati, allo stesso soggetto. Possono — 215 — Cox essere affermativi ο negativi, categorici ο ipotetici; la lore formula è: A è tanto B che C e D (v. composti). Coni. T. Kegel; I. Cone; F. Cône. Corpuscoli di forma conica che, insieme ai bastoncini, formano lo strato su- perficiale della retina; sì gli uni come gli altri non sa- rebbero che un prodotto di secrezione, una formazione eutioulare delle cellule visive. Sono in numero minore dei bastoncini e servono alla sensaziene del colore; quella della luce ha luogo nei bastonoini. Questi costituiscono 1) apparecchio che funziona durante la risione orepusco- lare, quelli 1’ apparecchio che fanziona durante la risione diurna ed ha la capacità di destare le sensazioni croma- tiche quando è stimolata da raggi di media intensità, e di produrre la sensazione del bianco quando è stimolata da determinate miscele di raggi luminosi o da raggi mono- cromatici di eccessiva ο di debole intensità. Cfr. Wundt, Grundzüge der physiol. Psychol., vol. II, 1902; Hering, Zur Lehre vom Lichtsinn, 1878. Connotativo. T. Connotativ, mitbezeichnend; I. Connota- tive; F. Connotatif (da notare cum, cioò notare una cosa con ο più un’altra cosa). Lo Stuart Mill, risuscitando una vec- chia © opportuna distinzione scolastica, disse connotativi quei nomi che designano un soggetto ed implicano un at- tributo, non-connotatiri quelli che significano un soggetto solamente o un attributo solamente. Quindi non sono con- notativi i nomi propri (America, Napoleone...) perchè de- signano un soggetto solamente, e i termini comuni astratti (bianchezza, virtù...) perchè designano un attributo au- lamente. Sono invece connotativi tutti i nomi conoreti ge- nerali (bianco, virtuoso...) perchè designano una intera classe per mezzo di uns qualità comune. Così bianco de- signa tutte le cose bianche e implica ο connota I’ attribute bianohesza ; il termine bianco non è affermato dell’ attri- bato, bensì delle cose bianche; ma quando noi |’ affermiamo di questi soggetti (le cose bianche) implichiamo o conno- Cox — 216 — tiumo che l'attributo bianchezza loro appartiene. In altro parole il nome connotativo esprime il soggetto direttamente, gli attributi indirettamente, esso denota i soggetti © con- nota gli attributi. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1. III, Ρ. 364; J. 8. Mill, Syetem of logic, 1865, 1. I, 3, § 5. Conoscenza. T. Erkenninise, Konninisa; I. Knowledge; F. Connaissance. Per quanto in sd stessa indefinibile, si può dire che la conoscenza esprime un peculiare rapporto tra la mente © qualsiasi oggetto, per eni quest’ultimo, oltre ud esistere per sò, esiste per una coscienza. Essa è dunque una operazione attiva dello spirito, che si' compie sotto determinate condizioni e suppone tre termini: un soggetto che conosce, un oggetto conosciuto e una determinate re- lazione tra l’uno ο l’altro. La conoscenza dicesi: a po- atoriori, se acquistata mediante l’esperienza; a priori, ο pura, o trascendentale se consiste di cognizioni innate; intuitiva, se ottenuta direttamente ο per sè stessa; discor- siva, o razionale, ο inferenziale se ottenuta mediante altre conoscenze. Il problema della conoscenza, il problema cioè del rapporto tra V essere e il pensiero, 1’ oggetto e il sog- getto, la cosa conosciuta e ciò che conosce, fa sempre oggetto delle ricerche dei filosofi, ma andò sempre più allargandosi col progredire del pensiero ed è divenuto fondamentale nella filosofis moderna specialmente dopo Kant. I primis- simi filosofi della Grecia non gli diedero molta importanza; essi infatti lo risolsero nel modo più ovvio, dicendo che lo spirito riceve l’ imagine o l'impronta delle cose come uno specchio o un pezzo di cera; per tal modo le sensa- zioni non sono che copie fedeli delle cose sensibili. Mn prima ancora di Socrate, i sofisti #’avvidero della diffe- renza tra le nostre sensazioni © lo cose esterne, e, diri- gendo la speculazione dei filosofi sopra il soggetto che sente, spostarono il centro di gravità del pensiero umano, facendolo convergere dalla natura, intorno alla quale fino a quel tempo s'era affaticato, sopra di sè. L'importanza della riforma — 217 — Con socratica sta nell’ aver essa determinato I’ essenza della co- noscenze in maniera chiara e decisiva. I sofisti insegna- vano che vi sono soltanto opinioni, che valgono solo per ogni individuo; Socrate cercò un sapere che, di fronte al mutamento ed alla moltiplicità delle rappresentazioni in- dividuali, dovesse valere come norma ugualmente per tutti, e lo trovò nel concetto. Anche gli antichi pensatori ave- vano avuto un senso vago del fatto che il pensiero ra- zionale, cui dovevano la loro conoscenza, fosse qualche cosa di essenzialmente diverso dall’ ordinaria rappresente- zione sensibile del mondo e dall’ opinione tradizionale; ma non avevano potuto elaborare questa differenza di valore nè psicologicamente nd logicamente. Socrate intuì chiara- mente che, se dev’ esservi un sapere, bisogna trovarlo sol- tanto in ciò in cui coincidono tutte le rappresentazioni individuali. Da allora comincia ad impostarai il vero ο proprio problema della conoscenza, da allora si costituisce, se non di nome, di fatto, quel ramo importantissimo del supere filosofico detto gnossologia 0 toria della conoscenza. La gnoseologia ha appunto per oggetto la ricerca dell’ori- gine, della natura, del valore e dei limiti della nostra fa- coltà di conoscere; si distingue quindi dalla peicologia pro- priamente detta, che si limita a descrivere i fatti psichioi nel loro sviluppo e nel loro intreccio, senza ceroarne il valore in rapporto alla realtà, ο dallo logica, che non fa che determinare le norme dell’applicazione dei principi gnoseologici senza cercarne l’origine. Dalla scuola dei so- fisti venendo sino αἱ criticismo lantisno, sl fenomenismo dello Stuart Mill, al realismo trasfigurato dello Spencer, al realismo psicologistico dell’Ardigò, al solipsismo degli idealisti contemporanei, il problema della conoscenza ebbe soluzioni ed orientasioni infinitamente diverse, che qui au- rebbeimpossibile risasumere. Ci limitiamo quindi ad esporre, seguendo una chiara e sintetica classificazione del Musci, i prineipali sistemi gnoseologiei. Questi si distinguono in- Con — 218 — nanzi tutto secondochè ripongono la verità nella sensazione © nel?’ intelligenza, © considerano lu sostauza ultima del reale come materiale o spirituale; secondo il primo rap- porto i sistemi si distinguono in sensisti o empiristi ο in razionalisti, secondo il secondo in materialisti e idealisti. Se l’oggetto è considerato come trascendente, il razionalismo e V idealismo prendono la forma del teiemo, se è conside- rato come immanente prendono la forma del panteismo ο del naturalismo. 1 idealismo può essere a sua volta o par- ticolarista 0 universalista, secondo che ammette, come Pla- tone, idee reali ο distinte ο archetipi, o ammette un pro- cesso logico, uno sviluppo o sistema ideale uno e continuo; © può essere spiritualismo, se ripone la realtà ultima in una forma di coscienza, 9 considera tutte le relazioni este- riori, e il mondo naturale in generale, come fenomeno di realtà, che sono coscienze elementari. All’ idealismo si op- pone il realismo, che ripone l’ essonza della realtà nell’ in- dividuale assoluto, che non può essere oggetto di nessuna percezione, nella monade, nell’ ente semplice, nell’ atomo inetafisico. A tutti questi sistemi, che possiam dire posi- tivi, si possono aggiungere quelli negativi, i cui tipi prin- cipali sono: la sofiatioa, che afferma la potenza della ra- gione indifferente alla verità, lo soetticismo, che considera la ragione incapace della verità, 6 il misticismo, che, negando alla ragione il potere di raggiungere le verità ultime, lo attribuisce al sentimento o alla rivelazione soprannaturale. Cfr. Nutorp, Forschungen sur Geschichte des Erkenntniepro- blom bei den Alten, 1884; Β. Muene, Die keime der Erkenninis- theorie in der vorsophistisohen Periode der griechischen Phi- losophie, 1880; Freitag, Die Entrioklung der griechischen Erkenntniathoorie bir Aristoteles, 1905; De Wulf, Histoire de la phil. médierale, 1905; H. Höffding, Histoire de la phil. moderne, trad. franc. 1906; A. Franck, Pilosophes moder- nes étranger ot francais, 1893; I. E. Merz, History of europ. thougt in the 19 century, 1904; Masci, Logica, 1899, p. 17 — 219 — Con negg. ; C. Guastella, Saggi sulla teoria della conoscenza, 1905 ; B. Varisco, La conoscensa, 1904; Ardigò, Op. ΛΙ., V, 15 segg.; VII, 26 segg.; IX, 237 segg. (oltre ai vocaboli citati, v. an- cora: assoluto, agnosticiemo, eoomomioa teoria, percesioniemo, conoazionismo, intermediariste, nativiemo, solipsiemo, critioismo, dogmatismo, pluralismo, soggettivismo, parallelismo, pampeichi- smo, fonomenismo, soggetto, oggetto, noumeno, ecc., ecc.). Conoscibile. T. Erkenndar; F. Connaissable. Tutto ciò che realizza le condizioni necessarie per essere conosciuto, sia mediante la ragione, sia mediante la sensazione e l’im- maginazione. La sfera del conoscibile è uguale a quella del concepibile, ma molto più vasta di quella dell’ intelli- gibile, che è ciò che può essere conosciuto soltanto dalla ragione, dall’ intelletto puro. Conseontiva (imagine). T. Nachempfindung, Naokbild : I. Afterimage, after sensation; F. Image conséoutive. Con V espressione imaginé ο sensazioni consecutive si suol designure la persistenza allucinatoria d’una sensazione, dopo l'arresto della eccitazione che l’ha provocata. Il fenomeno si ve- rifica specialmente nel senso della vista, ove si distinguono imagini consecutive positive © negatice. Le prime sono quelle che presentano una pura e semplice continuazione della sensazione provocata dallo stimolo luminoso; così, movendo rapidemente un tizzone ardente, si ha la sensazione di una linea luminosa, che è dovuta al prolungamento della sen- sazione che il tizzone provoca nei diversi punti della re- tina. Le negative si distinguono dalle positive, perchè gli oggetti luminosi che hanno provocata la sensazione paiono oseuri, e gli oggetti colorati paiono del colore complemen- tare; così se si chiudono gli occhi dopo aver gnardato una finestra, dopo un certo tempo essa pare oscura; se si chiu- dono gli occhi dopo aver fisssto un oggetto rosso, esso pare di color verde azzurro. Questi fatti si spiegano per mezzo della stancherza della retina. Cfr. Kreibig, Die fünf Sinne des Mensohen, 1907, p. 121 segg. Cox — 220 — Consecuzione. T. Consecution; I. Consecution ; F. Consé- cution, Termine usato dal Leibnitz per designare’ |’ associa- zione delle idee, che è fornita dalla memoria e imita la ra- gione, dalla quale però deve essere ben distinta. Nella consecuzione, infatti, una imagine richiama automatica mente un’altra imagine, ma tra le due non v’ha alcun legame logico. « La memoria fornisce una specie di con- seouzione alle anime, che imita la ragione, ma che vuol esserne distinta. Noi vediamo che gli animali, avendo la percezione di qualche cosa che li colpisce e di cui hanno avuto la percezione simile in precedenza, s’ attendono per la rappresentazione della loro memoria ciò che vi è stato unito in codesta precedente percezione, e sono portati a sentimenti simili a quelli che avevano allora, Ad es.: quando si mostra il bastone ai cani, ‘ai ricordano del dolore che ha loro causato 9 guaiscono e fuggono ». Nel suo significato somune, la consecuzione è la successione immediata di due fatti. Cfr. Leibnitz, Monadologie, $ 46. Conseguente. Lat. Consequens; T. Konsequent, folgend: I. Consequent; F. Conséquent. Un atto qualsiasi dicesi conse- guento quando sta in rapporto con altri che lo precedono; un ragionamento è conseguente quando le idee che lo co- stituiscono derivano logicamente l’una dall’ altra e tutte in- sieme da un principio comune. Nella logica si dice conse- guente il secondo termine d’un rapporto, ο antecedente il primo. Conseguenza. Lat. Consequentia; T. Folgerung, Conse- quenz; I. Inference, Consequence; F. Conséquence. Una pro- posizione che risulta logicamente da un’ altra proposizione © du più proposizioni, ed è così strettamente legata ad esse, che non si può affermare o negare quella senza ac- cettare o respingere questa. Una conseguenza è sempre formalmente vera, purchè, s'intende, sia stata dedotta conforme alle norme logiche; ma può essere materialmente falsa, se tali sono le premesse. La conseguenza si distingue — 221 — Cox dalla conclusione perchè questa risulta necessariamente, la conseguenza risulta semplicemente; tuttavia, perchè un atto, una ides, una cosa possano dirsi la conseguenza di un antecedente, non basta che esse lo seguano acciden- talmente e casualmente, ma bisogna che risultino da quello, e che quindi a lui siano legate ds una relazione costante, vale a dire da una legge. Consenso. Lat. Consensus, Consensio; Τ. Übereinstimmung; I. Consent; F. Conséntement, Agrément. Molte volte, come prova della verità di determinate dottrine, libero arbitrio, immortalità dell’ anima, realtà del mondo esterno, ecc., ai invoca il consenso universale, cioò il convenire della mag- gior parte degli uomini in quella credenza. In omni re con- sensio generis humani pro veritate habenda est, dico Cicerone. Ciò però non basta per provare la loro verità; il consenso dei più è accordato solitamente alle idee tradizionali e alle attestazioni immediate, spesso illusorie, del senso; tutte le verità nuove debbono infatti combattere contro il con- senso del maggior numero. — Alcune volte consenso 0 oon- sensue si adopera figuratamente, e vale armonia, solidarietà delle parti d’un tutto, degli organi d’un organismo. Cfr. Aristotele, Eth. Nioom., X, 2, 1173 a; Cicerone, Tusou- lano, I, 15 (v. senso comune). Conservazione. T. Erhaltung; I. Conservation ; F. Con- servation. Con questo vocabolo si designa il problema della conservazione del mondo dopo la oreazione, problema molto discusso nella teologia e nella vecchia metafisica, e che si riassume tutto nello spiegare in che cosa consists l’azione di Dio nella conservazione. Secondo gli uni (cartesiani) In conservazione non è che una creazione continuata, Omnia qua exiatunt, a sola vi Dei conservantur, dice Cartesio; vi ha la sola differenza, che mentre colla creazione Dio ha pro- dotto la nostra esistenza dal nulla, colla conservazione ro- stiene in ogni istante codesta esistenza affinchè non rientri nel nulla. Secondo gli altri, invece, Dio ha conferito ml Cox ogni essere, dalla creazione, la facoltà di continuare la propria esistenza; il mondo è quindi un orologio che, una volta caricato, continua a camminare per tutto quel tempo che Dio s'è proposto di lasciarlo andare. La prima solu- zione è conforme alla dottrina ortodossa, già sostenuta da ,8. Tommaso, per il quale,tutte le cose create sono così stret- tamente congiunte al creatore, che se per poco egli si re- stasse dal conservarle, cesserebbero di esistere rientrando nel nulla donde uscirono: dependent esse oujuslibet orealurae a Deo ita quod nec ad momentum subsistere possent, sed in nihi- lum redigerentur, nisi operatione divinae virtulis conservarentur in esso. Come lu trasparenza Inminosa dell’aria scompare appena che i raggi del sole cessano d’illuminarla, così, dice Β. Tommaso, ogni cosa creata si dileguerebbe se la potenza divina si ristasse dall’ animarla. Cfr. S. Tommaso, Sum. theol., I, qu. CIV, srt. I; De Potentia, qu. V, art, I; Cartesio, Prino. phil., I, ΧΙΙ (v. oreazione). Conservazione dell'energia. T. Erhaltung der Ener- gio: I. Conservation of energy: F. Conservation de l'énergie. Uno dei principî fondamentali della scienza moderna, detto anche delln persistenza della forza. Siccome però il voca- bolo forsa ha nella meccanica un significato preciso, in- dicando la massa moltiplicata per 1’ accelerazione, si suol preferire la prima espressione. Fsso afferma che « in tatti i fenomeni la somma delle forze vive e delle energie poten- ziali è costante >. Questo principio, che è } espressione più profonda della legge di causalità, e la base della teoria dell'evoluzione, fu in origine constatato dal Mayer soltanto nell'equivalenza tra il movimento meccanico e il calore; poscia fu esteso a tntte le altre forme di energia, che costi- tuiscono la luce, il calore, 1’ elettricità, il magnetismo, eco. Non bisogna tuttavia scordare, che ciò non autorizza a con- siderare l’ energia cinetica come il fondamento di tutte le altre, perchè con ugual diritto si potrebbe conchiudere che calore, Ince, 600, non sono che manifestazioni diverse della — 223 — Cox stessa energia elettrica; l’equivalensa di tutte le forme di energia, nota l’Ostwald, lungi dall’autorizzarei a ridurre una di queste forme all'altra, le pone tutte sullo stesso piano. Di più, il principio della conservazione dell’ energia, per quanto serva a rendere concepibile la natara, in sè stesso è una ipotesi indimostrabile, in quanto non è appli- cabile che ai sistemi chiusi, a quei sistemi cioè che non rice- vono alcuna azione dal di fuori, nd agiscono al di fuori; ora la nostra esperienza non ci offre nè potrà mai offrirci delle totalità assolutamente chiuse ed isolate. In secondo Inogo, per essere una esplicazione generale dei fenomeni naturali, dovrebbe aver avuto una conferma sperimentale in tutte le forze della natura, mentre noi non conosciamo nè co- nosceremo mai il contenuto totale della natura. Cfr. A. E. Haas, Die Entwickelungsgeschichte des Satz von der Erhal- tung der Kraft, 1909; W. Ostwald, L'énergie, trad. franc. 1910, p. 87 segg.; E. Naville, La physique moderne, 1890, p. 14 segg.; B. Varisco, Scienza e opinioni, 1901, p. 205 segg. Consoggetto. Ciò che è percepito unitamente al sog- getto. Secondo il Rosmini, nella percezione che noi abbiamo del nostro corpo come consoggetto, si sente il paziente, 08- sia il paziente sente sò stesso in esso © con esso; invece uella percezione di un ente come straniero al soggetto si sente l’agente. L'ente estraneo al soggetto dicesi eséra- soggetto; come tale, © quindi come agente, può essere per- cepito da noi il nostro corpo, quando cioò determina come ogni altro corpo esteriore un’ azione su qualcuno.dei nostri cinque sensi. Cfr. Rosmini, Pricologia, 1846, vol.I, p.97 segg. Contatto. Lat. Contactus ; T. Berührung, Kontact ; I. Con- tact; F. Contact. Posizione relativa di due corpi la cui stanza è la più piccola possibile. Il problema se vi siano azioni a distanza, o se tutte avvengano per contatto, fu dn principio un problema metafisico e religioso, in quanto si connetteva con l’altro dell’azione di Dio sul mondo: se si considera quale condizione del movimento il contatto Con — 224 — del motore col mosso, come può conciliarsi la pura spiri- tualità, che costituisce l’ essenza dell’ essere divino, con la materializzazione dell’ azione sua, οἱοὸ col movimento della materia? Nei tempi moderni esso è divenuto un problema essenzialmente scientifico, la cui difficoltà sta in ciò, che un contatto geometrico rigoroso non è osservabile, perchè non potrebbe aver luogo che tra due corpi continui senza parti distinte, mentre è noto che tutti i corpi percettibili, senza eccezione, constano di particelle separate; mentre, d’ altro lato, per accertare un’ azione veramente a distanza bisognerebbe sperimentare nel vuoto assoluto, ο assicnrarsi che all’ azione il mezzo non prenda alcuna parte essenziale, due cose del pari impossibili. — Le sensazioni di coutatto appartengono al senso tattile, come pure quelle di tempera- tnra e di pressione: per mezzo di esse si apprezza la na- tura dello stimolo, cioè dell’ oggetto, il duro, il molle, il gnssoso, il liquido, il levigato, l’aspro, l’appuntito. — Nella terminologia scolastica si distinguono due specie di con- tatto: 1) contactus suppositi ο immediatio suppositi, che si verifica quando colui che opera è immediatamente, per l'entità sua, congiunto a chi riceve l’azione, quale è Dio a qualsiasi cosa su cui operi; 2) contactus virtutis ο immediatio tirtutis, quando l’ agente, mediante la sua virtà, arriva a chi riceve |’ azione, come il sole all’ aria mediante la luce. Cfr. 8. Tommaso, Summa theol., I. qu. 75, 1; Avenarius, Philosophie ala Denken der Welt, 1908, 2* ed., pag. 3 segg.; Wundt, Logik, vol. II, p. 268; Windelband, Storia della fllo- rofia, trad. it. 1918, I, p. 302 segg.; R. Varisco, Scienza ο opinioni, 1901, p. 182-145. Contemperasione. È la dottrina, detta anche della soa- rità vittoriosa, con la quale alcuni teologi hanno cercato di conciliare la libertà del volere umano con la provvidenza © la prescienza divina. Le nostre azioni sono libere; ma Dio, nella ana infinita bontà, riesco a farci compiere certe azioni determinato ο ponendoci in circostanze tali da ren- — 225 — Cox dere quelle azioni necessarie, ο suseltando in noi pensieri ο sentimenti che a quelle azioni ci spingono. E dunque una suggestione, o, meglio, uns seduzione che Dio eser- cita su di noi, e dalla quale ci lasciamo docilmente con- durre per la soavità © l'abilità onde è esercitato. Cfr. C. Jourdain, La filosofia di δ. Tommaso, trad. it. 1860, p. 132 segg.; L. Friso, Filosofia morale, 1898, p. 210. Contemplazione. Lat. Contemplatio; T. Contemplation : I. Contemplation ; F. Contemplation. Termine proprio del mi- sticismo, che designa quello stato nel quale } anima, libera da ogni tarbamento dei sensi, esercitata da lunghe medi- tazioni, si assorbe tutta nella visione serena e bentifica del mondo spirituale, della sorgente d’ogni verità. Per Ugo di 8. Vittore i tro gradi dell'attività intellettuale sono cogitatio, meditatio, contemplatio, e corrispondono ai tre occhi dati all’ uomo: il corporeo, per conoscere il mondo mate- riale; il razionale, per conoscere sè stesso nella propria intimità; il contemplativo, per conoscere il mondo spiri- tusle ο la divinità. Anche la contemplazione è una risio intellectualis, un vedere spirituale, che solo comprende di- rettamente la verità suprema, mentre il pensiero a tanto non arriva. La contemplazione si distingue dall’ estasi e dalla riflessione ; dall’estasi perchè non annienta, come que- sta, ogni attività dell’anima, dalla riflessione perchè, mentre questa implica la ricerea di una verità non ancora intera- mente conosciuta, quella invece à la visione della verità già posseduta ο splendente in tutto il suo fulgore dinanzi agli occhi. Cfr. Plotino, Enn., VI, 9, 3; R. di 8. Vittore, De cont., V, 2 ο 14. Contiguità. I. Contiguität, Berührung; I. Contiguity; F. Contiguité, Nol linguaggio comune designa la vicinanza di due oggetti nello spazio. Per analogia, nella logica In contignità indica la relazione tra due concetti, compresi sotto un terzo comune e tra i quali passa la minima dif- forenza possibile: ad es. tra il violetto e 1’ indaco nei sette 15 — RaxzoLi, Dizion. di scienze filosofiche. colori dello spettro solare. La relazione di contiguità (che alcuni dicono con minor precisione di contingenza) è quindi possibile soltanto in una serie discreta, potendosi sempre, in una serie continua, concepire tra i due termini uno in- termedio. Pure per analogia, nella psicologia la contiguità di due fatti di coscienza è la loro simultaneità o il loro succedersi immediatamente. Quando i due fatti sono simul- tanei, cioò contigui nello spazio, ciascuno dei due tende poi a richiamare I’ altro; quando sono successivi, cioè con- giunti nel tempo, il primo tende n richiamare il secondo; ciò costituisce appunto In legge di contiguità, che è una delle leggi dell’ associazione, già descritta da Aristotele ο elevata poi a grande importanza da Hume e dalla scuola scozzese. Cfr. Aristotele, Je memoria, II, 451; Hume, Essay on human understanding, sez. III; Bain, Mental and moral science, 1884, p. 150 sogy.; Höffding, Paychologie, trad. frane. 1900, p. 205 segg. Contingenza. T. Contingenz, Zufälligkeit: I. Contin- gency; F. Contingence. Si oppone a necessità; questa si ap- plica a tutti gli esseri o agli avvenimenti che non possono non essere, quella agli esseri o avvenimenti che potreb- bero anche non essere: quod potest non esse. Un avveni- mento futuro è contingente quando, allo stato presente delle cose, ln sus realizzazione o non realizzazione sono ugualmente compossibili. Un fatto si considera, per ri- spetto ad una legge generale, contingente, quando con- siste non nell’ applicazione di questa legge, ma in qualche circostanza particolare a questo ο quell’ oggetto individuale a cui si applica. La contingenza è dunque, in generale, la possibilità della esistenza. Possibile quidem et contingens idem prorsus sonant, dice Abelardo. Si tratta però di nna possibilità pura ο indeterminata, cio di una vera e pro- pria indifferenza tra l’ essere e il non essere, ben distinta quindi dalla possibilità concreta, la quale si oppone non alla necessità ma alla attualità, ο conduce, in assenza di — 227 — Cox fattori negativi, alla compiutezza finale dell’ essere. Tale possibilità pura, come capacità di ricevere determina- zioni contradditorie, fu aramessa da Aristotele nella ma- teria; come la forma priva della materia è l'atto puro, l'essere che permane identico a sè stesso, così la materin priva della forma è la para possibilità del? essere © del non essere, che nulla vieta si determini in tm modo o in un altro. Quindi per Aristotelo nella materia è la vera causa dell’ accidente, del fortuito; in essa stanno lo altime differenze che separano individuo da individuo, poichè di- scendendo dai generi alle specie via vin più particolari, scompaiono le differenze essenziali 9 nou restano infine che ‘nelle accidentali di colore, grandezza, cor. Andando an- in là, Duns Sooto definisce P’individualitä come il contingente, ossia quello che non si deve derivare da una ragione generale, ma solo constatare come attuale; lo forma particolare è per lui qualche cosa di originariamente reale, di cui non si deve chiedere il perchè. Come contingenza assolnta è concepito l’atto volontario nella dottrina tra- dizionale del libero arbitrio di indifferenza ; dice ad es. Pietro Lombardo: arbitrium quia sine coactione et necensitate valet appetere rel eligere, quod ex ratione deorererit. E Goclenio : roluntan ut fertur sine coactione in aliqua re; nam roluntar potent relle vel non velle. E Malebranche: la puissance de rouloir ou de ne par vouloir, ou bien de vouloir le contraire. Secondo il Leibnitz vi sono due sorta di verità: le verità di ragionamento, che dipendono dal principio di contrad- dizione e sono necessario; lo verità di fatto, che dipen- dono dal principio di ragione sufficiente e sono contingenti. Secondo il Mill questa distinzione non si può faro perchè tutte le verità, in quanto tali, sono necessario; se nelle verità di ragionamento il contrario sembra inconcepibile, mentre è concepibile nelle verità sperimentali, ciò dipendo dal’ essere lo prime effetto di una forte associazione sta- bilitari fra due {deo in forza dell’ abitudine, mentre per lo cora Cox — 228 — seconde quest’ abitudine non si è ancora formata. Infatti le verità razionali, ad es. gli assiomi matematici, sono le generalizzazioni più facili e più semplici, la cui esperienza non fu mai contraddetta, e che perciò hanno in sè tutta la forza di cui la nostra credenza istintiva è capace. Del resto, la storia del pensiero umano dimostra che ciò che è inconcepibile in un’ epoca è concepibile in altra epoca, © viceversa. — Dicesi dottrina della contingenza dei futuri quella secondo la quale gli atti e gli avvenimenti, che di- pendono dal libero arbitrio dell’uomo ο dall’ intervento della Provvidenza, non sono necessari, perchè nè sono retti da leggi naturali, nè hanno la loro ragion d’essere in atti antecedenti. Quindi possono realizzarsi ο non realizzarsi. Cfr. Aristotele, Meth., IX, 7, 5; VI, 2, 2; Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862, vol. II, p. 198 segg.; J. S. Mill, Examination of Hamilton, 1867, p. 560 segg.; Ο. Ran- zoli, IL caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 31 segg., 114 segg. (v. causalità, necessità, ragione). Contingenza (filosofia della). F. Philosophie de la con- tingence. O anche contingentismo, 0 idealismo conténgentiata : quell’ indirizzo della filosofia francese contemporanea, che nega la necessità delle leggi della natura, sostituendo la spontaneità, la creazione libera, lu contingenza al determi- nismo meccanico. Essa si riconnette per un lato con la filo- sofia della libertà, per l’altro con la nuova critica della scienza: dalla prima, iniziatasi con la dottrina kantiana del primato della ragion pratica e svolta in Francia da Paul Janet, Secrétan, Ravaisson, accetta la concezione morale ed estetica dell’ universo; dalla seconda, promossa in spe- cial modo dal Mach, trae gli argomenti contro la necessità della legge. Secondo il Boutroux, il più tipico rappresen- tante di questo indirizzo, « i principj superiori delle cose anrehbero ancora delle leggi; ma delle leggi morali ed oste- tiche, espressioni più o meno immediato della perfezione di Dio, preesistenti ai fenomeni e anpponenti degli agenti — 229 — Cox dotati di spontaneità »; codeste leggi non hanno in sò nulla di assoluto e di eterno, non sono che abitudini provvisorio contratte dall’ essere, il quale tende a persistervi ricono- scendo in esse l’impronta dell’ ideale; ma il trionfo com- pleto del Bene ο del Bello farà scomparire queste imagini artificiosamente fisse di un modello vivente e mobile, so- atituendo alla legge necessaria il libero sforzo della volontà verso la perfezione con la libera gerarchia delle anime. La scienza, con la rigidità delle sue formule, non hw valore obbiettivo; essa è soltanto lo sforzo per adattare le cose alla legge d’identità del pensiero e per renderle docili al compimento della nostra volontà. Codesto adattamento ap- pare già nella logica, Il pensiero porta in sò le leggi della logica pura, ma poichè la materia che gli è offerta non si conforma ad esso adattamento, cerca di adattare la logic alle cose creando un insieme di procedimenti e di simboli che rendano intelligibile la realtà. Le leggi della logi pura, ed eme sole, sono necessarie ed obiettivamente va- lide; però lasciano indeterminata la natura delle cose a cui si applicano. La sillogistics invece non ha in sò alcuna ga- ranzia di validità obbiettiva, ma il fatto che i nostri ra- gionamenti riescono, ci prova che, nel fondo delle cose, c'è un che di analogo all'intelligenza umana; e come in noi, accanto alla intelligenza, v’ ha un complesso di facoltà at- tive, così possiamo pensare nelle cose un principio di at- tività ο di spontaneità. Salendo poi dalle scienze astratte verso le più concrete, ci allontaniamo sempre più dalla no- cessità ed evidenza logica. Dalle leggi matematiche allo leggi della meccanica ο da queste alle leggi della fisica, della chimica, della biologia, della psicologia, della soci logia, ecc., crescono la complicazione ο il grado di conti genza. Il che prova dunque che la realtà viva ο conoreta non può esser racobiusa nei nostri quadri mentali; che la necessità della legge vale solo per i principj logici, mentre nei processi della natura dominano la libertà ὁ la sponta- Cox — 230 — à; che In scienza, se soddisfa il nostro bisogno d'evi- ο d universalità logica, è condannata a lasciar fuori che v ha di più reale nelle cose, ossia il loro aspetto qualitativo, la loro trasformazione incessante, U atto di crea- zione che è nella loro essenza come nel fondo dell’ anima umano. Tra gli altri maggiori rappresentanti del contin- gentismo, il Poincaré ha cercato in special modo di mo- straro il carattere puramente convenzionale, economico, delle leggi e dei concetti scientifici; il Milband di porre in luce il valore soggettivo della certezza logica, che non può estendersi al dominio della realtà perchè, senza il con- tributo dell’esperionza, i principj logici non possono darci deduttivamente il contenuto di nessuna conoscenza; il Bergson, portando all’ estreme conseguenze lu reazione contro l’intellettualismo, risolve la realtà in un flusso cessante di forme nuove senza direzione determinata, flusso che la nostra intelligenza ba, per i suoi bisogni pratici, immobilizzato, e che noi non potromo quindi conoscere se non spogliandoci il più possibile d’ ogni forma intellet- tuale, ritirandoci nella nostra aninia profonda per innue- desimarci con la stessa attività creatrice. Cfr. P. Janet, Lex causes finales, 1874; Ravuisson, La fil. en Franco au XIX siècle, 1889; Boutroux, De la contingenoe des lois de la na- ture, 1899; Id., De l’idée de loi naturelle, 1901; Milhaud, Ex- sai sur les conditions et len limites de la certitude logique, 1894; Bergson, L'érolution créatrice, 1907; F. Masci, L’idealirmo indeterminiata, « Atti della R. Acc. di s. mor. e pol. di Na- poli », 1898; A. Levi, L'indeterminismo nella fil. franc. con- temporanea, 1904; Petrone, 1 limiti del determinismo scien- tifico, 1900; Tarozzi, Della necesnità nel fatto naturale ed umano, 1896; ©. Rauzoli, Sulle origini del moderno idealiemo. « Riv. di fil. e scienze affini », maggio 1906; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, 19 p. 133-196 (v. eco- nomica teoria, empirinmo, esperienza, idealinmo, intuizione, tempo, vitaliamo). — 231 — Cox Continuità (principio di). T. Stetigkeit; I. Continuity; F. Continuité. La gloria di aver primo intuito ed esposto questo principio è universalmente atiribuita al Leibnitz (di cui è celebre il detto in natura non datur saltus), che con- siderava la natura come una serie continua di mona quali sono in numero determinato, ed h loro, e tutte insiome costituiscono una serie continua di differenze infinitamente piccole: ogni monade tiene il suo luogo, nessuna nasce di nuovo, nessuna perisce ; due mo- uadi identiche non si possono trovare; quindi levata una inonade, tutta la cutena si rompe. Questa bella legge della continuità, come il Leibnitz stesso la chiamò, importa dun- que che nel mutamento non vi hanno salti fra i due stati, il vecchio e il nuovo, perehè 1’ intervallo tra l’uno e l’altro è riempito da un numero infinito di stati intermedi; e che non esiste una dirersità senza che esista pure una intinità di intermediari. Fra le applicazioni particolari più impor- tanti che il Leibnitz fece di questa legge, vi ha la sco- perta del calcolo, differenziale, in virtù di cui la disugua- glianza è come una infinitamente piccola uguaglianza, la parabola un’ ellissi, di cui un foco sia infinitamente lon- tano dall'altro. Applicata alla meccanica, la quiete nou è più I’ opposto del moto, ma non è che un movimento in- finitamente piccolo, e la forza morta non è che un ris elementaris, una forza viva sul cominciare. Applicata alla natura, il Leibnitz ammette non solo una connessione gra- duale tra le varie specie d’animali, ma anche una grada- zione intermedia tra il vegetale ο l’animale. — Nella scienza contemporanea, il principio della continuità dinamica, uni: versale, dei fatti, è il fondamento del concetto del della natura, in cui il fatto biologico continua il fatto tisico, ο il fatto psichico il biologico, e il fatto sociale il psichico, così nel rispetto doll’attualità come in quello della potenzia- lità. Integrazioni di questo principio sono la logge di causi- lità, di evoluzione, dell’unità della materia, della persistenza, unità Con — 232 — trasformazione, equivalenza e unità della forza. Cfr. Loib- nitz, Nour. Ess., ed. Gerhardt, IV, 398; V, 49; Monad., 61; Kant, Krit. d. reinen Vernunft, ed. Reclam, p. 165 segg.; Dithring, Logik und Wissenschaftstheorie, 1878, pag. 198. Continuo. Lat. Continuum; T. Stetig; I. Continuous; F. Continue. Si dice continuo un oggetto le cui parti ο ele- menti costitutivi sono legati tra loro in modo che non ri- manga tra essi alcun vnoto. Essendo gli oggetti materiali © ideali, così si distingue il continuo corporale e il cof- tinuo ideale. Sono continui lo spazio e il tempo, la ma- teria e la forza; discontinui il numero e la quantità. Nel linguaggio scolastico distingnevasi il continuum permanens dal ο. successioni : il primo è quello le cui parti esistono insieme, come un bastone; il secondo quello le cai parti passano senza interruzione, ed hanno la continuità nel senso di non interrotta, successione, come il creato. Se- condo 1’ Herbart, è continuo soltanto lo spazio fenomenale, quello ciod dove sono rappresentate le nostre sensazioni e che è in noi; è invece discreto lo spazio intelligibile, nel quale esistono i reali, e che è quindi reale. Cfr. Herbart, Lohruch sur Peychol., 1850, p. 67 segg.; Varisco, Scienza e opinioni, 1901, p. 136 segg.; E. Borel, Le continu ma- thém. et lo cont. physique, « Scientia », 1909, VI. pp. 21-85 (v. quantità). Contradditorio. Lat. Contradictorius; T. Widerspre- chend, oontraditorisch ; I. Contraditory; F. Contradictoire. Due proposizioni si dicono contradditorie quando, avendo entrambe lo stesso soggetto e lo stesso predicato, differi- scono in qualità ο quantità; tutti gli A sono B, qualche A non è B, oppure: nessun A è B, qualche À è B. Non pos- sono essere entrambe vere, nd entrambe false; quindi se luna è vera l’altra è falsa, se luna à falsa l’altra è vera. ‘Trattandosi di due proposizioni singolari, basta che difte- riscano nella qualità per essere contradditorie: A è B, 4 non è B (v. contrario). — 233 — Cox Contraddisione. Gr. ‘Avtipuotc; Lat. Contradiotio; T. Widerspruch, Contradiction ; 1. Contradiotion; ¥. Contra- diction. Quell’ atto dello spirito mediante il quale si afferma ο si nega la stessa cosa; il suo schema è dunque il se- guente 4 = non A. La contraddizione può essere formale, implicita e in adjeoto. La contraddizione è formale, ο in terminis, quando i due giudizi ο le due nozioni contrad- ditorie sono espresse ; implicita quando uno dei due giu- dizi o nozioni, pure non comparendo, deve essere supposto come priucipio o come conseguenza di ciò che si enuncia; in adjeoto quando attribuisce al soggetto una qualità che ne è esclusa per la sua stessa definizione. La contraddi- zione tipica è la formale; ma il pensiero non vi incorre mai, quando trovasi in condizioni normali; può bensì in- corrervi per la complessità dell'argomento, che non gli permette di avvertire la contraddizione. L’ antinomia è una forma di contraddizione in adjeoto, dipendente dall’ essero una proprietà, che si attribuisce a un soggetto, inconci- linbile con esso per altra proprietà che gli è essensiale, u che è affermata nel suo concetto. Cfr. Aristotele, De inter- prot., C. 6; Herbart, Hawpipunkte der Metaphysik, 1806, p. 6-14 (v. assurdo). Contraddizione (principio di). Aristotele, che lo con- siderava come il principio più certo di tutti, lo formulò in questo modo: non è possibile che la stessa cosa ine- risca e non inerisca nella stessa cosa, simultaneamente ο sotto il medesimo rispetto. In altre parole, questo prin- cipio esprime che due proposizioni, di cui l’una afferma ciò che I’ altra nega, non possono essere considerate come vere entrambe, e che quindi in tal caso il pensiero è nullo: A= non À = sero. Il Leibnitz formulò diversamente il principio di contraddizione in questo modo: À non è non - A. Come si vede, mentre questa formula concerne il rapporto tra soggetto e predicato contradditori d’uno stesso gin- dizio, quella aristotelica concerne il rapporto tra due giu- — 234 — contradditori d’identico contenuto; perciò la formula leibnitziana integra 1’ aristotelica, estendendo il valore del detto principio non al solo giudizio ma a tutto il campo della conoscenza. Secondo alenni filosofi, ad es. gli elen- tici, il principio di contraddizione, come quello di iden- tità, non ha un solo valore formale e soggettivo, ma anche uno realo ed oggettivo; vale a dira che esso non sarebbe un semplice canone cui il pensiero si deve conformare, ma un principio obbiettivo con cui si può determinare la na- tura del reale. Invece gli eraclitei negarono loro ogni va- lore, sia logico che obbiettivo, e l’antien disputa, spon- tasi col prevalere della logica aristotelica, fa rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel e dall’ Herbart. Per Eraclito l'unica cosa permanente nel diveniro incessante delle cose è l'armonia degli opposti; nella sau retorica poetica il flutto delle cose è una lotta incessante dei contrari, e questa lotta è la madre delle cose; tutto ciò che sembra essere è il prodotto di movimenti ο di forze opposte, che mercà In loro azione mantengono |’ equilibrio ; così I’ nniverso è ad ogni momento un’ unità, che si suddivide e poi ritorna in xè, una lotta che trova la sun conciliazione, un difetto che trova la sua compensazione. Nei tempi moderni, questo concetto della coincidentia oppositorum fu ripreso da Gior- dano Bruno e dalla metafisica idealisticn succeduta n Kant. Così per Fichte, se il mondo deve esser concepito come ragione, il suo sistema deve essere sviluppato da un pro- blema originario, da una esigenza che ciascuno deve essere nello stato di adempiere : questa esigenza è l’autocoscienza. ossia pensa te stesso. Questo principio può svilupparsi solo fino al punto, in cui si mostra che fra ciò che deve av- venire e ciò che avviene c'è ancora una contraddizione, da cui nasce un nuovo problema, ¢ così di sèguito : il me- todo dialettico è così un sistema in cui ogni problema ne produce uno nuovo; di fronte a ciò che la ragione vuol fornire, sta in essa stessa un ostacolo, © per superarlo essa — 235 — Cox sviluppa una nuova fanzione; questi tre momonti sono detti fesi, antitesi © sintesi. Così il mondo della ragione diventa l’infinità dell’ ontogenesi, e la contraddizione tra il dovere e il fare viene spiegata come 1’ ensenza realo della ragione stessa; tale contraddizione è necéssaria ed inevi- tabile, appartenendo alln natura della ragione; e poichè soltanto la ragione è reale, la contraddizione viene cost spiegata come reale. In tal modo il metodo dialettico, tra- sformazione metafisica della dialettica trascendentale di Kant, si mette in opposizione con la logica formale; le re- gole dell’ intelletto, che hanno il loro fondamento nel prin- cipio di contraddizione, sono sufficienti per l’ elaborazione ordinaria delle percezioni in concetti, gindizi ο sillogismi, ma insufficienti per la costruzione speculativa. Il metodo dialettico fu perfezionato da Hegel, per il quale l’ essenza dello spirito è di sdoppiarsi in sè stesso e di ritornare da questa separazione alla sua unità originaria; la ragione è non solo in sè come semplice realtà idenle, ma anche per sè: essa manifesta 6 stessa come qualche cosa di altro, di- venta un oggetto diverso dal soggetto, e questo esser altro è il principio della negazione. Il cancellare questa diversi il negare la negazione, è la sintesi di questi due momenti: così ogni concetto si converte nel suo opposto, ὁ dalla con- traddizione di ambedue deriva il concetto più elevato, che ha poi la stessa sorte di trovare uu’ antitesi, che richiede una sintesi ancora più alta, e così di sèguito. Per I’ Her- bart, tutto al contrario, il principio più alto di og sare è, che ciò che è contradditorio non può essere veru- mente reale. Ora, poichè i concetti con cui pensiamo l’esperienza sono in sè contradditori, ne viene che la filo- sofia, la quale ha per compito di rintracciare il reale vero, assoluto, dovrà essere una elaborazione dei concetti dell’ espe- rienza; ossa deve trasformarli secondo lo rogole della logica formale (ο non v’ha altra logica che quella formale) finchi sia conosciuta la realtà scevra di contraddizioni. Cfr. Aristo- Con tele, Metaph., III, 2, 996 b, 28 ο segg.; Leibnitz, Monado- logie, 31; Theod., I, § 44; Kant, Krit. d. reinen Vern., od. Reclam, p. 151 segg.; Herbart, Hauptpunkte d. Motaph., 1806; Id., Einleitung in die Philos., 1813, p. 72-82; Hart- mann, Ueber did dialektische Methode, 1868; F. Paulhan, La logique de la contradiction, 1909; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 176, 108, 173; II, 69 segg. (v. essere, nulla, realtà). Contrapposizione. Lat. Contrapositio; 'T. Kontraposi- tion; I. Contraposition ; F. Contraporition. Quell’ operazione logica per cui si converte una proposizione, aggiungendo il segno della negazione ai due termini. La contrapposi- zione della proposizione particolare negativa è poco utile © poco usata; maggiore importanza ha invece la conver- sione delle universali affermative, perchè dà modo di con- trollare se I’ attributo è legato necessariamente al soggetto, vale a dire se l’ universale affermativo enuncia una verità. Così, convertendo per contrapposizione la proposizione: tutti i pesci sono muniti di branchie, si ha tutti gli animali non muniti di branchie sono non pesci, da cui si vede che l'essere muniti di branchie è un carattere essenziale dei pesci. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1855, vol. I, p. 584; Masci, Logica, 1899, p. 225. Contrario. Gr. 'Evavriov; Lat. Contrarius; T. Con- trär: I. Contrary; F. Contraire. Si dicono contrarie due proposizioni che, avendo uguali soggetto © attributo ed essendo entrambe universali, differiscono nella qualità, vale a dire l'una è negativa l’altra è affermativa; tutti gli 4 nono B, nessun A è B. Possono essere entrambe false, non entrambe vere; dato dunque che sia falsa una, non si può iuferirne che l’altra è vera; ma dato che sia vera una si deve inferirne che l’altra è falsa. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 107-109 (v. contradditorio). Contrasto. T. Kontrast ; I. Contrast ; F. Contraste. Nella psicologia designa quel fenomeno ottico, che il Chevreul — 287 — Cox ha espresso nella legge seguente: quando I’ occhio vede contemporanesmente due colori contigui, li vede nel modo più dissomigliante possibile quanto alla loro composizione ottica ο quanto alla altezza del loro tono. Infatti, se si pongono vicine delle striscie di carta coperte d’ una tinta uniforme di grigio di diverse intensità, ogni striscia sem- bra più chiara dal lato ove essa tocca una striscia più scura, e più scura dal lato ove tocca una striscia. più chiara; se si metto una riga bianca su nn fondo nero, questo fondo pare più nero in prossimità della riga. Ciò per l'intensità; quanto alle sfumature, se noi collochiamo una striscia di carta verde sopra un fondo grigio, questo fondo sembra rosso, essendo il rosso il colore complemen- tare del verde; le nubi bianche in cielo azzurro sembrano giallognole; le ombre degli oggetti al momento del tra- mouto sembrano turchine, perchè la Ince inviata in tal momento dal sole è aranciata, Tutti questi fenomeni di contrasto si spiegano colla teoria di Joung e Helmholtz, che cioè nella retina si trovino tre specie di fibre, ognunn delle quali viene stimolata a preferenza da uno dei tre co- lori fondamentali (rosso, verde, violetto), e che quindi tutte le possibili sensazioni di colore risultino dalla combinazione delle tre sensazioni fondamentali. — L'associazione per oon- trasto è uno dei tre casi fondamentali d’ associazione delle idee descritti da Aristotele. Nella psicologia moderna non la si considera che un modo subordinato dell’ associazione per rassomiglianza ο per contiguità ; infatti i contrasti rien- trano sotto una medesima idea comune, ad es. fl nano e il gigante sotto quella della statura media; di più, il corso della vita implica dei contrari che si succedono, si toccano rasformano l’nno nell’ altro, come il giorno succede alla notte, la gioia alla tristezza. Secondo I’ Hüffding, nello associazioni per contrasto avrebbe parto prevalente il sen- timento, determinato sempre dall’ importante contrasto del Pincere ο del dolore; a una forte tensione succede or: Cox — 238 — riamente un periodo di stanchezza e tendenza a di- rigere il nostro interesse in senso opposto: « Così potrebbe spiegarsi il bisogno che si prova di passare. dall’ imagine della luce a quella della oscurità, dall’imagine del grande a quella del piccolo ». Cfr. Wundt, Grundriss d. Psychol., 1896, p. 302 seg.; Kreibig, Die fünf Sinne des Menschen, 1907, p. 113-115; James Mill, Analysis of the phenomena of the human mind, 1869, I, p. 113 segg.; Höffding, Paycho- logie, trad. franc. 1900, p. 213 segg. Contratti (giudizi). Quelle forme di giudizio in cui è ta- ciuto il predicato o il soggetto, o in cui il soggetto è pura- mente indientivo, o in cui tutto il giudizio è contratto in un nome. Bi distinguono in entimematici © tetici (v. composti). Contratto sociale. F. Contrat social. Espressione en- trata nel linguaggio filosofico dopo la pubblicazione del- l’opora del Rousseau, Del contratto sociale, ο principio di diritto politico (Amsterdam, 1762). Il contratto sociale è il tacito patto che gli uomini primitivi fecero tra di loro, ri- nnnziando ai propri diritti, per affidare ad un potere pnb- blico e supremo la tutela degli individui ο il mantenimento della pace sociale. Secondo il Rousseau, il problema fon- damentale che s'impone agli uomini, quando lo stato pri- mitivo di natura non può più sussistere, è il seguente: « Trovare una forma d’associazione, che difenda ο protegga con tutta la forza comune la persona o i beni di ogni as- sociato, e mediante la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca tuttavia che a sè stesso e resti libero come pri Tale è il problema fondamentale di cui il contratto sociale dà la soluzione. Le clausole di questo contratto sono talmente determinate dalla natura dell'atto, che la più piccola modificazione le renderebbe vane e di nessun offetto; per guisa che, sebbene non siano forse mai state formalmente enunciate, sono dovunque le stesse, dovnnque tacitamente ammesse e riconosciute, finchè, essendo il patto sociale violato, ognuno rientri nei suoi primitivi — 239 — Cox riprenda la propria libertà naturale ». Questa dottrina era giù stata svolta precedentemente da Epicuro, dal (irozio, dal? Hobbes. Il contrario del contratto è lo statuto sociale, cioè i rapporti legali che si stabiliscono tra gli nomini per il solo fatto che essi appartengono a una determinata classe sociale, oppure si trovano in una data situazione alla quale la loro volontà non può nulla mutare. Cfr. Rousseau, Du contrat social ou principes du droit politique, 1762 (v. con- trattualiemo, società). Contrattualismo. ‘I. Kontraktualismue; I. Contractua- lism ; F. Contraotualisme. Sotto questo nome si raccolgono tutte le dottrine che fanno originare la società, e quindi la morale, il diritto, lo Stato, da un generale contratto ο da primitivi accordi contrattuali. Questa idea trovasi già esplicitamente formulata in Epicuro, per il quale la so- cietà politica non è una formazione naturale, ma è creata a ragion veduta dagli uo! in base ad un contratto, συνθήκη, che essi fanno per non danneggiarsi scambievol- mente; perciò le leggi sono derivate in ogni singolo caso da un accordo rispetto alle comuni utilità; in sò non v'è niente di giusto ο d’ingiusto, e poichè è evidente che nel contratto fa prevalere il proprio vantaggio chi ha intelli- gonza maggiore, così sono in generale i vantaggi del sa- piente che si presentano come i motivi della legislazione. ‘Tale concetto fu poi ripreso da Occam, da Marsilio, da Hobbes, che gli diede il massimo sviluppo: egli pone l’egoi- «mo come fondamentale nell’ uomo, e considera lo stato naturale come il bellum omnium contra omnes, nel quale si dice bene ciò che soddisfa il proprio egoismo, male ciò che lo contrasta; ma poichè una condizione simile offendo lo stesso egoismo, recando morte e danno, gli nomini s' ac- cordano tacitamente di trasferire il proprio diritto natu- rale ad un terzo, che rappresenti, la forza di tutti: questo è lo Stato, che fa la zione, non più relativa ma ns- solnta, tra bene © male, tra lecito e illecito, tra religione Cox e superstizione: il bene à l’ azione legale, il male l’azione illegale; la religione è l'adorazione legale di Dio, la su- perstizione |’ adorazione illegale ; entrambe le autorità, ci- vile e religiosa, sono incarnate nel sovrano. Mentre Hobbes giunge così alla giustificazione dell’ assolutismo, Rousseau ricava dalle stesse premesse delle conseguenze democratiche e liberali: per lui l’ uomo è originariamente buono e do- minato da sentimenti sociali, quindi il principio della tra- slazione e della rappresentanza deve essere limitato fino al possibile, mentre a tutto il popolo si deve riconoscere direttamente |’ esercizio della sovranità. Dopo la rivoluzione francese il contrattualismo decadde, ma per risorgere ai giorni nostri sotto diversa forma, Oggi non si ammette più, in generale, un contratto alle origini della società, ma alla fine, cioè come mata da raggiungere non come punto di partenza; la storia dell’ incivilimento dimostra infatti che all’origine non sono gli individui arbitri dei propri de- stini, ma certi gruppi complessi tenuti saldi dall’ autorità di un capo, e che l’ autonomia individuale si viene mano mano attuando col perfezionarsi della vita sociale fino a rendere I’ individuo artefice consapevole delle proprie situa- zioni giuridiche e delle stesse forme vincolanti del vivere civile. Questa nuova concezione è dovuta specialmente al Summer Maine, che, a conelusione dello sue ricerche sulle società primitive, fa consistere il movimento delle società progressive nel trapasso da un primiero regime di status ad un regime di contratto; ed è svolta poi in varie forme dallo Spencer, dal Fouillée, dal De Greef, dal Bourgeois, occ, Cfr. Diogene L., X, 150 segg.; Jellinek, Allgemeine Staat- alehre, 1905; G. Del Vecchio, Su la teoria del contratto so- ciale, 1906; G. Dallari, I! nuoro contrattualismo nella filo- sofia sociale e politica, 1911; P. Gentile, Sulla dottrina del “contratto sociale, 1913 (v. contratto sociale). Controprova. T. Gegenbeweis; I. Counterproof; F. Con- tre-éprenve. Una delle applienzioni del metodo di differenza, — A1 — Cox che Bacone chiamò inrersio erperimenti. Consiste nel ripe- tere inversamente una esperienza per confermarne i risul- tati. Es.: per determinare la funzione dei nervi perife- rici, si fa agiro uno stimolo sui nervi periferici di un animale, ed è facile accorgersi che detto stimolo ha dato luogo alla sensazione. Controprova: ai recide la fibra stessa ο si fa agire ancora lo stimolo; in tal caso non si ha più la sensazione. Si conchiude che la continuità della fibra è necessaria per avere la sensazione. Cfr. Bacone, Nuovo or- gano, 1810, p. 66 segg. Controversisti. I Padri del secondo periodo della Pa- tristica, così designati perchè non si limitano, come quelli del primo periodo, a difender la religione cristiana dagli assalti del paganesimo, ma attaccano anche le dottrine av- versarie ο specialmente il gnosticismo. I principali contro- versisti farono Ireneo e Tertulliano (v. Patristica). Convenienza. T. Ubereinstimmung, Angemessenheit, Con- renione ; I. Propriety; F. Convenance. Significa, in generale, accordo o armonia tra due ο più termini. Nella morale ln convenienza è ciò che non ha un carattere di obbligato- rietà costante, ma conviene soltanto a certe circostanze în virtù d’una regola normativa. Così gli stoici dicevano azione conceniente In giusta scelta e il retto uso che il saggio sa fare di quelle cose che stanno fra il bene e il male, che non possono nè giovare nè nuocere, che non meritano di essere cercate nè fuggite, come la vita, le ricchezze, ecc. Leibnitz chiama prinotpio della convenienza, la saggezza di- vina rivelantesi specialmente nelle leggi del movimento : « E meraviglioso che, con la sola considerazione delle cause efficienti o della materia, non si potrebbe dar ragione di tali leggi del movimento. Poichè io ho trovato che bisogna ricorrere alle oause finali e che codeste leggi non dipendono dal principio della necessità, come le verità logiche, aritme- tiche e morali, ma dal principio della conreniensa, vale a dire dalla scelta della saggezza ». Kant chiama principia con- 16 — Raxzom, Dirion. di scienze filosofiche, Cox — 242 — venientiæ quelle proposizioni, che non trovauo la loro giusti- ficazione nè nell'esperienza, nè in deduzioni a priori, ma si raccomandano per la loro opportunità, facilitando ed esten- dendo V uso empirico dell’ intelletto; tali principî, da lui esposti nella Dissertazione, divengono poi nella Critica della r. pura i principî dell’intelletto puro, come quelli della rego- larità del divenire e della permanenza della sostanza. — Il Rosmini chiama convenienza metafisioa gli argomenti, per lo più morali, sui quali si fondano le persuasioni delle verità dell’ ordine etico ; la convenienza metafisica non riguarda in fatti P uno ο l'altro ente, ma l'essere universale stesso, ο Dio. Sebbene tali argomenti si fondino sull’idealità della cosa, importano una necessità e servono di fondamento alla fede. Cfr. Diogene L., VII, 130; Stobeo, Kel., 11, 158; Cice- rone, De fin., III, 6; Leibnitz, Prino. de la nat. οἱ de la grace, 1714; Rosmini, Logica, 1853, $ 1124-26; L. Nelson, Unters. üb. die Entwickelungsgeschichte d. kantischen Erkenntniatheo- rie, in « Aband. d. Fries'schen Schule », 1909, fuse. I. Convergenza. T. Conrergenz. Zusammenlaufen ; I. Con- vergency; F. Convergence. Una delle leggi dell’ evoluzione del mondo organico, che si contrappone alla legge della divergenza. Mentre per questa da forme uguali si vengono svolgendo forme differenti, come adattamento a differenti fanzioni ο condizioni biologiche, per la logge della conrer- genza du forme originariamente (lifforenti si svolgono gra- datamente forme somiglianti, in seguito all’ adattamento a fanzioni © condizioni di vita uguali. Aleuni biologi, col vocabolo convergenza indicano invece le rassomiglianze non ereditarie tra gli esseri organizzati, che hanno una ragione nell’ adattamento ad analoghe condizioni di ambiente. — Nolla matematica dicesi convergente una serie la cni somma tende verso un limite finito, quando il numero dei suoi termini aumenta indefinitamente. Conversione. Gr. Αντιστροφή: Lat. Conversio; T. Con- version, Umkehrung; 1. Conversion; F. Conversion. Quell’opo- — 243 — Cor razione logica con cui da una proposizione 8ο ne forma una seconda, la quale ha per soggetto il predicato della prima, e a predicato il soggetto della stessa. Es.: qualche A è B, qualche B è A. Dicesi conversione semplico quella che ni fu conservando la quantità stessa del soggetto, il quale ha la medesima estensione del predicato; conversione per accidente quella in cui la quantità del nuovo soggetto muta, avendo esso maggiore estensione del soggetto della prima propo- jone; conversions per contrapposizione quella che si fa ng- giungendo il segno della negazione si due termini. Es.: 1° tutti gli organismi respirano; tuiti gli esseri che respirano sono or- ganismi; 33 tutti gli uomini sono mortali; alcuni mortali sono uomini; 33 tutti i pesci hanno branchie; tutti quelli che non hanno branchie son sono pesci. Si convertono sem- pre semplicemente le proposizioni universali negative, non si convertono le particolari negative. Gli scolastici hanno espresso le leggi della conversione nei due seguenti versi innemonici: F E I Simpliciter conrertitur, E v A per accid. — Alto por Contrap. Sio fit converaio tota. Cfr. Kant, Logik, 1800, p- 184 vegg.; l'oberweg, Logik, 1874, $ 80; Masci, Logica, 1909, p. 215 segg. Coprolalia. T. Koprolalie; 1. Coprolalia ; F. Coprolalie. Stato patologico, che appare in varie malattie mentali, tal- volta anche nella pubertà, ο si manifesta con nn impulso continuo e irresistibile a pronunciare bestemmie ο a tener discorsi osceni. L’impulso a diro bestemmie si suol anche «denominare teoblasfemia. Cfr. G. Pontiggia, Osservazioni pri- cologiohe intorno alla coprolalia, « Riv. di filorofia ο acienze affini », maggio 1901. Copula. T. Copula; I. Copula; F. Copule. Quella parte del giudizio che unisce il predicato al soggetto. Spesso In copula è compresa nell’ attributo, quando questo è eapreaso da un verbo attributivo; ad es. : l'umanità progrediace l'umanità è progrediente. Alcuni logici sostennero che non può esservi una copula negntiva, perchè In negnzione è il Cop-Cor — 244 — toglimento della copula non una copula, e perchè officio suo è di unire il predicato al soggetto non di disgiungerli. A ciò altri logici risposero che la unità domandata dal giudizio non è un amalgama materiale di più cose, ma la semplice relazione di due o più elementi concettaali, che il pensiero può abbracciare in un solo atto; ora tale unità si ha tanto con l'affermazione quanto con la negazione. La copals, espressa dal verbo essere, è detta dai logici terzo elemento del giudizio, essendosi essa formata dopo il pre- dicato © il soggetto; infatti, nel periodo intuitivo delle lingue, il concetto del predicato è verbale, esprime cioè tanto la qualità come l’attività; in seguito i due concetti si staccarono, e l’attività astratta, separata da ogni qua- lità, costituì fl terzo elemento del giudizio. Cfr. B. Erdmann, Logik, 1892, vol. I, p. 860; Ch. Sigwart, Logik, 1873, vol. 1, P. 119 (v. grammatica, linguaggio). Copulativi (giudizi). Per opposizione ai oongiuntivi, di- consi tali quei giudizi che sono composti nel soggetto, in cui cioè un solo predicato è affermato ο negato di più sog- getti. Il suo tipo è: tanto 4 che B che C sono D. Il giu- dizio copulativo negativo è detto anche remotivo. Oltre la forma affermativa e negativa, può assumere anche quella categorica 6 ipotetica (v. composti). Corollario. Lat. Corollarium ; T. Corollar; 1. Corollary: F. Corollaire. Verità che risulta naturalmente da una pro- posizione già dimostrata, e non ha bisogno di appoggiarsi su una dimostrazione particolare. Si adopera anche per in- dicare una proposizione di minore importanza ο di minore estensione dedotta da una proposizione principale. Corpo. Lat. Corpus; T. Körper; I. Body: F. Corps. Per corpo si intende un reale che ha una data forma, una data massa ed occupa un dato posto nello spazio. Gli ele- menti costitutivi del corpo sono dunque: estensione, massa, imponetrabilità. Riguardo ai suoi rapporti con noi, i meta- fisici oggettivisti definiscono il corpo come In causa este- — 245 — Cor riore alla quale attribuiamo le nostre sensazioni ; in altre parole, nn dato corpo è da me conosciuto per il numero delle sensazioni che da esso ho avuto, ma codeste sensa- zioni le considero come prodotte da qualche cosa che non solo esiste indipendentemente affatto dalla mia volontà, ma che è anche esterno ai miei organi e alla mia coscienza; ora, codesto qualche cosa di esteriore, codesto qualche cosa che permane anche collo scomparire delle mie sensazioni e che determina le leggi secondo cui le sensazioni stesse sono legate, è il corpo. La spazialità o estensione è gene- ralmente considerata come l'attributo fondamentale dei corpi; così I’ Hobbes definisce il corpo: quioquid non de- pondens a nostra cogitatione cum spatii parte aliqua coincidit vel ceztenditur. Per Cartesio il concetto di corpo coincide con quello d’ una grandezza spaziale, ogni corpo è un fram- mento dello spazio; per Spinoza il corpo è « un modo che esprime in‘ maniera certa © determinata 1’ essenza di Dio, in quanto questi è considerato come la cosa estesa ». Per altri invece il corpo non è che un gruppo di sensazioni, o pinttosto di possibilità di sensazioni, riunite insieme se- condo una legge costante; non v’ ha quindi in esso alcun substratum che serva di sostegno agli attributi. Secondo il Berkeley il corpo è ciò che vien percepito, ciò che si vede, si tocca, si odora; il suo ose coincide col suo peroipi, con la somma delle sue proprietà, dietro le quali non esiste una sostanza che in esse appaia; la realtä dei corpi con- siste nol fatto che le loro idee sono comunicate da Dio agli spiriti finiti, © la serie in cui Dio suol far questo è da noi detta legge naturale; la differenza tra i corpi reali e i corpi imaginarii o sognati sta in ciò, che questi ultimi vengono rappresentati solo în uno spirito singolo, in se- guito a una imaginazione, sia meccanica sia volontaria, senza che essa gli sin comunicata da Dio. Secondo il Con- dillao un corpo è « uno collection de qualités que vous tou- chez, toyes, etc. quand l'objet est présent: quand l'objet est Cor — 246 — absent, c'est le souvenir des qualités que vous aver touchées, rues, eto. Secondo Kant i corpi sono un’ unione, una sin- tesi di forme intellettuali e di sensazioni, le prime delle quali vengono dal nostro intendimento, le seconde dalla suscettività del nostro senso. Il Rosmini definisce il corpo « una sostanza che produce in noi un’ azione, ch’ è un sen- timento di piacere o di dolore, avente nn modo costante, che chiamiamo ostensione ». Gli Scolastici distinguevano : il corpus organioum, o corpo istramentale, cioè il corpo che consta di parti, di cui l’anima sensitiva si serve come di strumento; il corpus mathematioum, nns quantità che consta di tre dimensioni, lunghezza, larghezza ο profondità; corpus naturale, nna sostanza composta di materia prima e forma sostanziale, naturalmente esigente lo tre dimensioni. Cfr. Ari- stotele, Phys., III, 5, 204 b, 20; Goclenius, Lex. philosophi- cum, 1613, p.481; Hobbes, De corp... 8, 1; Cartesio, Princ. phil, I, 4; Spinoza, Ethica, II, def. I; Locke; Ess., III, cap. 10, $ 15; Berkeley, Princ.. XVIII; Condillse, Extrait raisonné, 1886, p. 50; Kant, Proleg., $ 49; Rosmini, Nuoro saggio, 1830, IT, p. 366 (v. atlante, conoscenza, essenza, 80- stanza, materia, attualismo, fenomenismo, realismo, idealismo, dinamismo, energismo, ecc.). Corporale. Si oppone generalmente a spirituale, per do- signare tntto ciò che partecipa della natura dei corpi, che ha una estensione, che occupa nno spazio determinato e che può esser causa di sensazioni. Si nppone anche a mo- rale per indicare 1’ insieme dei bisogni, dei sentimenti, dei desideri, degli appotiti provenienti dal nostro organismo, inerenti alla nostra natura materiale e contrastanti colla nostra natura spirituale. Corpuscolo. T. Corpuskel, Körperlein; 1. Corpuscle; F. Corpusoule. Termine assai vago, con cui si designavano, per il passato, le porzioni minime del mondo corporeo. Così per Descartes i corpuscoli sono gli elementi del mondo mu- teriale, ossia lo parti dello spazio non più realiter divisi- — 247 — Con bili, ma anch'esse, matematicamente, divisibili all'infinito; quindi non esistono atomi. Oggi si adopera per desiguare alcuni piccoli elementi corporei, anche visibili, come: i corpuscoli tattili, che si trovano in alenne papille della cute, contengono la terminazione d’unn fibra nervosa, e sono considerati come organi del tatto: e i corpuncoli del Paoini, visibili anche ad occhio nudo, cho contengono le ramifica- zioni d’ una fibra nervosa sensitiva, © sono consideruti come organi di sensibilità generale. — Dicesi dottrina ο filosofia corpuscolare la teoria cho spiega i fenomeni fisici complessi mediante particolari aggruppamenti o posizioni di parti- celle invisibili per la loro piccolezza. Correlazione delle forze. Questa espressione è ana- loga all’ altra di trasformazione dei movimenti, adoperata più frequentemente. Col nome di forza si designa infatti lu causa di un movimento; ma una causa di movimento non può essere determinata altro che per i suoi effetti, che sono movimenti, e per la leggo della sua azione, che non è che lu legge del movimento. Corrispondenze (ἰοογία delle). Lat. ('orrespondentia : T. Entaprochung, Übereinstimmung; 1. Correspondence; F. Cor- respondance. La teoria che considera l’ universo come com- posto d’un certo numero di regni analoghi, i cui clementi rispettivi si corrispondono, e possono quindi servirsi re- ciprocamente di simboli, rivelare le loro proprietà, o anche agire l’ uno sull'altro per simputia. Cfr. Swedenborg, (la- via héerographica aroanorum per riam representationum el cor- respondentiarum, 1784. Corruzione. Gr. Bsopd: Lat. Corruptio; T. Vergehen : 1. Corruption; F. Corruption. In seuso tisico indica comu- nemente l'alterazione delle sostanze, in senso morale la degenerazione del costume. Nella filosofia si usa special- mente per indicare la dottrina greca della distruzione op- posta alla generazione (γένεσις). Secondo Aristotele, la cor- ruzione, che è l'avvenimento per cui una cosa cessa di Con — 248 — esser tale che si possa ancora chiamarla con lo stesso uome, avviene in tutte le cose terrestri, mentre i cieli soltanto sono incorruttibili; infatti i corpi materiali sono tutti co- stituiti di due specie di elémenti, di cui gli uni sono do- tati di movimento rettilineo all'insù, gli altri di movi- mento rettilineo all’ ingitt; la sostanza dei cieli è inveco dotata del solo movimento circolare; essendo i due movi- menti dei corpi terrestri contrari, e la contrarietà impli- cando corruzione, i corpi terrestri sono corrattibili, mentre i corpi celesti sono incorruttibili perchè ove à un movi- mento solo non può esistere contrarietà. Però tanto Ari- stotele quanto gli altri filosofi greci intendevano per cor- ruzione non ls sparizione della materia, ma soltanto la sus «dissoluzione e disgregazione; gli elementi delle cose non nascono nò spariscono. Cfr. Aristotele, De generatione et corruptione, trad. franc. 1866. Corsi e ricorsi. La celebre dottrina sullo svolgimento della storia, esposta dal Vico nella Scienza nuova, special- mente nella seconda edizione (1735). Socondo il filosofo napoletano, il peccato originale ο la caduta spinsero gli uomini ad un primitivo stato innaturale di abbrutimento, © stato ferino; ma la divina Provvidenza, valendosi di certi sensi naturali radicati nel loro animo, come il senso religioso e il pudore, © mediante gli stimoli dell’ utilità ο del bisogno, li guidò alla vita sociale, e quindi, gradata- mento, all’ incivilimento. Tre sono i gradi e le età uttra- verso cui passa ogni popolo per giungere alla civiltà; lu prima è l'età degli dei ο patriarcale, in cui, non essendovi un potere sociale, i deboli sono perseguitati dai forti empi © si rifugiano sotto la protezione dei forti pii, i quali riuniscono tra loro, dando così luogo ai primi stati; la se- conda è l'età degli eroi, ed è caratterizzata da lotte con- tinuo tra i nobili discendenti dei forti, e i plebei, discen- denti dei deboli; la terza è degli womini, ed è iniziata dalla vittoria dei plebei, che ottengono I’ eguaglianza ci- Corvile e politica, è retta a governo popolare o monarchia civile e governato da leggi dinanzi alle quali tutti i cit- tadini sono uguali. Ora, non solo ogni popolo è passato attraverso questi tre periodi, ma siccome la loro civiltà va soggetta a dissolvimento, così ogni popolo deve ripercor- rere gli stessi stadi. La storia non è dunque che un avvi- cendarsi di queste tre età, con un ciclo fatale di οογ e ricorsi. Va notato però che questa periodicità di ripetizioni non ha nulla, nel pensiero del Vico, di quella rigidezza matematica che venne ad essi obbiettata, ο che si trova invece in sociologi modernissimi, ad es. nel Gumplowicz : « Identità in sostanza d’ intendere, dice il Vico a tal ri- guardo, diversità nei modi di spiegarsi ». Cfr. Vico, Prinoipî di rienza nuova, 1735, 1. I; R. Flint, G. B. Vico, trad. it. 1888; B. Croce, La filosofia di G. B. Vico, 1911; Gumplowiez,= La lutte des races, 1893 (v. palingenesi). Corteccia ο strato: grigio, 0 sostanza corticale ο grigia, è una sostanza di colore grigiastro, costituita specialmente di cellule, la quale riveste la superficie del mantello ce- rebrale e nell’ interno ne forma i gangli. Il suo spessore varia tra i 22 © i 28 mm.; il massimo si ha in quel tratto che è attorno alla scissura di Rolando (ivi sarebbero i cen- tri peico-motori), il minimo nel lobo occipitale; ha più spessore nel maschio che nella femmina e diminuisce con l'avvicinarsi della veochiaia. E costituita di vari strati sovrapposti, diverai per I’ aspetto delle cellule ο per la disposizione delle fibre nervose che fra quello si intromot- tono: lo strato più superficiale dicesi molecolare, quello sottoposto dicesi delle piccole cellule piramidal delle grandi cellule piramidali, l’ultimo delle cellule simorfe. Cfr. Bastian, Le oerveau organe de la pensée, 1888, vol. II, Ρ. 4 segg. Corticale. Dicesi di tutto ciò che avviene nella cor- teccia grigia del cervello, nella quale sembrano localizzarsi le funzioni psichiche superiori. Cosa. T. Ding; I. Thing; F. Chose. Questo termine ha un significato latissimo, indicando tutto cid che può es- sere penssto, supposto, affermato o negato. Nella dottrina della conoscenza si adopera tanto in apposizione a fatto per designare una realtà statica, costituita da un sistema sup- posto fisso di qualità e di proprietà coesistenti, quanto in opposizione a pensiero per designare il reale esteriore in genere, sia statico sia dinamico, coesistente ο successivo. Può significare tanto il reale esterno quale apparisce alla nostra esperienza sensibile, quanto ciò che riesce inacces- sibile al nostro ponsiero ed è quindi fuori d’ogni espo- rienza. In questo secondo caso si usa, specialmente dal Kant in poi, I’ espressione di cosa in #2 0 noumeno. La cosa in sè si oppone alla cosa per noî, alla cosa in quanto ci appare, cioë al fenomeno: esen à quindi il sostrato assolu- tamente fisso delle qualità, il soggetto che permane sotto il mutare dei fenomeni, il reale, insomma, di cui noi non cogliamo che le apparenze. Perciò metafisicamente la cosa in sè è sinonimo di sostanza; ne differisce solo in quanto questa può essere applicata anche allo spirito (sostanza spirituale), quella invece importa sempre una certa idox di obiettività. Il concetto della cosa in sè è molto antico nella storia della filosofia; così già Pitagora parla di ciò che esiste per sè stesso, καθ΄ αὐτὸ; Democrito ascrive agli atomi una esistenza per sè stessi, ἑτεῖ ; Aristotelo distingue l'essenza concettnale della cosa da ciò che è in sò stestia; uguale opposizione è posta poi dagli scolastici tra ese in ro è in intelleotu; Gregorio di Nissa nega che noi possiamo conoscere 1 essero in sè stesso delle cose esteriori: « guar- dando le cose cho ci appaiono, non dnbitiamo che esistano per ciò che vediamo, ina siamo tanto lontani dal compren- dere 1’ essenza di ciascuna di esse, quanto se non cono- scessimo col senso il principio che ci appare ». Cartesio afferma che le impressioni sensibili non si riferiscono alle coso come sono in «è stesse: Satis erit, ai advertamus, sen- — 251 — Cos euum percoptiones non referri, nisi ad istam corporis humani cum mento coniunctionem, et nobis quidem ordinarie exhibere, quid ad illam externa corpora prodesso possint, aut nooere; non autem, nisi interdum et ex accidenti, nos docere, qualia in seipeis existant. Condillac afferma ugualmente che « noi non vediamo lo cose in sè stesse. Forse esse sono estese e provviste di sapore, suono, colore, odore, forse anche non hanno nulla di tuttocid. Io non affermo nè I’ una cosa nè l’altra, e attendo la prova che siano come ci appaiono © che siano invece totalmente diverse ». Ma la differenza tra cosa in sè © cosa per noi o fenomeno diviene fonda- mentale nella filosofia di Kant; dato cho l’ unico oggetto della conoscenza umana è l’esperienza, il fonomeno, data cio la natura delle forme dell’ intaizione © del pensiero, ne segue « che nulla in generale di ciò che è intuito nello spazio è una cosa in sè, e che nemmeno lo spazio è una forma della cosn,... bensì che gli oggetti non sono da noi conosciuti in sè stessi e che ciò che noi conosciamo non sono che pure rappresentazioni (Forstellungen) della nostra sensibilità, la cui forma è quella dello spazio e il cui vero correlato, ossia la stessa cosa in sè, non è perciò da noi nè conosciuta nè conoscibile ». Tuttavia, dice Kant, non ο) è contraddizione a pensare la cosa in sì; se si pensi una intuizione di specie non ricettiva, una intuizione produt- tiva non solo delle forme ma anche del contenuto, i suoi oggetti dovrebbero essere non più fenomeni ma cose in sè; la possibilità di questa facoltà non si può negare più di quel che se ne possa affermare la realtà, Le cose in si sono dunque pensabili in senso negativo © quali oggetti di una intuizione non sensibile, come concetto-limite dell’eupe- rienza. Ma la dottrina kantiana della cosa in sè, intorno alla quale si sviluppa poi tutta la filosofia tedesca, fu va- riamente intesa, da- alcuni accolta, da inolti combattuta. Cfr. Aristotele, Metaph., I, 5; V, 18, 1022 a, 26; Gregorio Niss., Contra Eun., XII, 740; Cartesio, Prino. phil., Il, 3; Cos — 252 — Condillac, Traité des sensations, 1866, IV, 5, § 1; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reolam, p. 57 segg.; A. Tumarkin, Kante Lehre vom Ding an sich, « Archiv fur Gesch. d. Phil. », aprile 1909; Th. Loewy, Die Vorsellung des Dinges auf Grund der Erfahrung, 1887; O. Liebmann, Kant und die Epigonen, 1865; Ardigd, Z’ inoomosoibile di H. Spencer ο il noumeno di E. Kant, 1901 (v. agnostioismo, conoscenza, corpo, limite, ori- licismo, neo-oriticismo, realismo). Coscienza. T. Bewusstsein, Gewissen; I. Consciousness, Conscience; F. Conscience. È questo uno dei vocaboli di si- gnifloato più vario e incerto nella terminologia filosotica, Etimologicamente (consoientia da consoire = conoscere in- sieme) non designa altro che un accordo tra diversi indi- vidui nel conoscere le stesse cose o fatti; poi, per analogia, V’ accordo, l’unità che si rivela in uno stesso individuo tra i suoi stati attuali e quelli che non lo sono più, tra il pre- sente e il passato. Noi possiamo distinguere tre significati fondamentali che si attribuiscono alla parola coscienza: quello volgare, quello morale © quello peicologico. Va no- tato, però, che la coscienza non è propriamente definibile, essendo la radice di ogni conoscenza, il dato fondamen- tale del pensiero, irreducibile in elementi più semplici. Volgarmente, si usano le espressioni « avere coscienza dei propri atti, del proprio valore », « coscienza di scien- ziuto >, « coscienza nazionale, popolare, umana, stori- ca», ece., per indicare ln consapevolezza piena che un individuo o un gruppo di individui può avere di qualche cosa, Ancora più comune è l’uso della parola coscienza nel significato morale, espresso nei modi di dire « lo speo- chio della propria coscienza » « il testimonio della coscienza » «la voce della coscienza » « mancanza di coscienza », ecc. Ora, la coscienza morale, che i tedeschi distinguono col nome di Gewissen, si rivela principalmente nell’ individuo col compiacimento per le buone azioni compiute, col rimorso per lo cattive, e col giudizio interno sopra un conflitto di — 253 — Cos motivi. Essa dunque accompagna le azioni morali, e non ci dà soltanto il criterio per giudicare gli atti nostri, ma è pure la base del nostro giudizio intorno alle azioni sl- trai, in quanto sono buone o cattive; questo giudizio, ri- ferendosi sempre all’antore dell’ ato, dicesi imputasione. La coscienza morale è quindi concepita come il tribunale davanti a oni sono giudicati affetti, pensieri ed azioni: non bisogna però credere che essa sia qualche cosa di sta- bile, esistente in sò e indipendente dai sentimenti e dai giudizi pei quali si avverte il carattere morale degli af- fetti, ecc. ; al contrario, essa ei identifica cogli stessi fatti psichioi nei quali si manifesta e con essi è varia © muta- hile. La coscienza psicologica, che i tedeschi chiamano Bewusstsein, non è altro che la nota caratteristica dei fe- nomeni interni o psichici, per cui essi si distinguono da quelli esterni o fisici : ad un grado assolutamente inferiore, essa consiste nel pnro fatto di avvertire una data modi- ficarione avvenuta in sò stesso; ad nn grado superiore implica la distinzione dell’ oggetto modificante; nel suo massimo aviluppo è la contrapposizione dell’ oggetto sentito al soggetto senziente. Quest’ ultimo grado di coscienza non esiste nell’ animale ed è proprio soltanto dell’ uomo adulto normale: esso dicesi anche autocoscienza, 0 suicosciena, 0 coscionsa personale, 0 coscienza dell’ Io. Riguardo alla sua natura, le ipotesi principali possono ridursi a tre: quella apiritualiatioa, secondo cui la coscienza è la sostanza stessa dello spirito, che è tale in quanto ha coscienza di sè; op- pure una facoltà originari dello spirito, un’ entità meta- fisica spirituale, unica, semplice, identica, esistente in sè © per sè; quella materialistios, secondo cui la coscienza non è che un fenomeno secondario (epifenomeno) nel meccani- amo della vita psichica, la quale invece è costituita essen- zialmente dall’ attività nervosa, dal fenomeno fisiologico ; quella positfvistica, che, opponendosi sia allo spiritualismo che al materialismo, la considera come un fatto nuovo e Cos — 254 — distinto di cui si devono studiare i rapporti, senza con- fonderlo coi fatti materiali, che l’ esperienza ci rivela come opposti agli spiritnali, ο senza trascendere l’esperienza, che non ci può far conoscere nd la sostanza dello spirito nè una facoltà originaria di esso. Quanto alla genesi della coscienza, secondo l'ilosoiemo primitivo tutto il mondo è animato, e tutto quanto è fornito di movimento è pure fornito di coscienza. A questa dottrina dei primi filosofi greci, si accosta il pampsichiemo moderno di Ernesto Hiickel, secondo il quale ogni atomo materiale, ‘come centro di forza, è dotato di un’ anima costante, di movimento ο di sensibilità, cosicchè la coscienza o anima dell’uomo non è che la somma delle anime elementari delle sue cellule, composte appunto di protoplasmi molecolari ο queste di atomi. All’opposto il cartesianismo o automatismo attribuisce In coscienza soltanto all'uomo, negandola anche agli ani- mali, che debbono essere considerati come macchino ο au- tomi. Per altri invece, la coscienza non è una proprietà esclusiva dell’uomo, ma si estende a tutti gli animali e persino alle piante. Secondo altri ancora, la materia ina- nimata possiede nna vita psichica latente, potenziale, che diviene attuale per effetto dell’ organizzazione biologica. Infine nell’ evoluzionismo dello Spencer, la coscienza sorge da una differenziazione dell’ energia universale, fondamen- talmente unica, e fa la sua prima apparizione nell’ atto riflesso, considerato como il crepuscolo della vita psichica. Quanto poi alle dottrine psicofisiologiche sulla sode della coscienza, possiamo ridurle a due: quella che la pone sol- tanto nel cervello, e quella che la considera come proprietà di tutto il sistema nervoso, e cioò anche del midollo spi- nale ο dei centri inferiori. Cfr. Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, III, 2, 7; James Mill, Analysis of human mind, 1869, I, p. 224: Kant, Κε. d. reinen Vern., ed. Re- clam, p. 76 segg., 127 segg.; Fechner, Über die Seelenfrage, 1861, p. 199 segg.; Hneckel, Der Monismus, 1898, p. 23 segg.; — 255 — Cos Wundt, Grundrim d. Psychol., 1896, p. 238 segg.; Joël, Lehrbuch d. Peychol., 1896, p. 111 segg.; Sergi, La peyool. physiologique, trad. franc. 1881, p. 223 segg.; Bonatelli, La coscienza e il mocoanesimo interiore, 1870; Ardigo, L'unità della coscienza, 1898; Id., Op. fil., III, p. 68 segg.; IV, p. 373 segg. (v. cellulare psicologia, anima, autocoscienza, psiche, spirito, io, dualismo, monismo, parallelismo, ecc.). Cosmogonia. T. Kosmogonie; I. Cormogony ; F. Cormo- gonie. Dottrina scientifica, filosofica o religiosa che spiega l'origine e la formazione del mondo. Tatte le religioni an- tiche, specie le orientali, hanno fatto larga parte alla co- smogonia. La scienza moderna ha sostituito alle poetiche immaginazioni primitive 1’ ipotesi di Kant, Herschel e La- piace, la quale, sebbene non possa ritenersi definitiva, esclude ogni intervento sovrannaturale © spiega la forma- zione del mondo con le leggi puramente meccaniche. Se- condo questa ipotesi, lo spazio nel quale si muove il sistem solare era occupato da una materia cosmica gassosa, ugual- mente tesa © indifferenziata, la quale, irraggiando conti- nuamente calore, si condensò a poco a poco intorno a un punto centrale destinato a diventare il sole. Per virtù della condensazione le molecole dei gas erano attratto con ve- locità sempre maggiore in un immenso giro Întorno all'asse del sistema; ma, nello stesso tempo, lu forza centripeta eresceva in proporzione, cosicchè bilanciandosi le due forze, si venne a costitnire intorno al nucleo centrale un primo anello rotante, poi un secondo, poi un terzo... i quali erano destinati a divonire i futuri pianeti del sistema so- lare. In virtù di qualche perturbazione astronomica, al- cuno dei segmenti di codesti corpi anulari diventava più denso degli altri, esercitando una forza di attrazione sem- pre crescente, finchè rompeva a suo profitto la zona d materia gassosa © la condensava intorno 4 sd sotto forma di atmosfera concentrica. Nel nuovo pianeta, per la forza d’impalsione primitiva delle sue molecole, il moto era di- Cos — 256 — venuto doppio: il pianeta continuava a girare intorno al sole e incominciava nello stesso tempo a rotare intorno al proprio asse. Così l’intero sistema planetario avrebbe in tempi remotissimi fatto parte del sole. Alla dottrina 00- smogonica del Laplace furono rivolte molte obiezioni, che giustificano i numerosi tentativi sia di perfezionarla sia di sostituirle ipotesi più soddisfacenti. Così secondo il Faye V universo si riduceva in origine a un caos generale, estre- mamente rado, formato da tutti gli elementi della chimica terrestre; questi materiali, sottomessi alle loro mutue at- trazioni, erano da principio animati da movimenti diversi, che hanno determinato la sua separazione in brandelli o nuvoloni, i quali hanno conservato uns traslazione rapida © rotazioni intestine più o meno lente: da tali miriadi di brandelli caotici sarebbero nati per progressiva condensa- zione i diversi mondi dell’universo. Secondo il Du Li- gondòs, al principio esiste un vero e proprio caos costi- tuito da un gran numero di masse moventesi a caso e che per caso vengono ad urtarsi tra di loro; essendo tali urti inevitabili, ne risulta una concentrazione della nebulosa con la tendenza alla formazione di un nucleo centrale, e un appiattimento dello sferoide, che è la nebulosa caotica iniziale: dal nucleo centrale avrà origine il sole, e i ma- teriali esterni formeranno intorno ad esso una specie di disco lenticolare equatoriale che, appiattendosi sempre più, diverrà anch’ esso instabile e potrà finalmente trasformarsi in anelli donde nasceranno poi i pianeti. Invece secondo il See i pianeti non sono stati formati da frammenti della nebulosa solare, ma sono di origine esterna, ossia corpi estranei che, venendo a passare vicino al sole, sono stati da esso catturati per effetto della resistenza della vasta atmosfera di cui un tempo era circondato ; allo stesso modo la Inna non proverrebbe da un frammento della nebulosa terrestre, ma ad una certa epoca sarebbe stata catturata dalla terra. Secondo PArrhenius gli astri si scambiano Ince, — 257 — Cor elettricità, materia e persino germi viventi; la pressione di radiazione che emana dai corpi luminosi ο che ha la proprietà di respingere i corpi leggeri, caccerebbe dal sole piccolissime particelle, spingendole fino alla terra, ai pi neti e alle più lontane nebulose ; queste particelle finireb- bero per agglomerarsi formando le meteoriti, le quali, pe- netrando nella massa delle nebulose, diverrebbero centri di condensazione intorno ai quali la materia comincerebbe a concentrarsi: donde I’ evoluzione stellare, che va dn una prima fase di oscurità quasi completa attraverso un pe- riodo di splendore a una fase di decadenza, che si chinde con an inorostamento finale. Cfr. Kant, Allgemeine Natur gesohiohte u. Theorie des Himmels, 1755; Laplace, Exposition du système du mondo, in Œuvres, 1884, t. VI, p. 498 segg.; H. Faye, Sur l'origine du monde, 1896; Du Ligondèe, For- mation mécanique du système du monde, 1897; Seo, Rescar- ohes on the erolution of the stellar system, 1910; Arrheniua, L'évolution den monde, 1910: Ardigd, La form. nat. nel fatto del sint. solare, 1876; A. Aliotta, Le nuove teorie v0- amogoniche, « Cultura filosofica >, maggio 1912. Cosmologia. T. Kosmologie; I. Cosmology ; F. Comolo- gie. Termine entrato nel linguaggio filosofico e scientifico specialmente dopo Kant; significa dottrina del mondo con- siderato come un tutto armonico. Nel Wolff designa lo studio delle leggi generali dell’ universo e della sua costi- tazione complessiva, sia dal punto di vista metafisico che da quello scientifico: cosmologia generalia eat soientia mundi neu universi in gonere, qualenus soilicet ona idquo comporitum atquo modificabile est. Per Kant la « cosmologia razionale » è la scienza dell'oggetto, vale a dire il Invoro della ragione per cogliere nella sna unità ’ insieme di tutti i fenomeni; invece In « psicologia razionale » è ln scienza del soggetto pensante. La cosmologia ha per oggetto l’iden razionale del mondo, come la psicologia l’idea del Me. Nella lingua filosofien classicn 1’ espressione cosmologia razionale designa 17 — Ἠλκκοια, Dision. di scienze filosofiche. Cosla parte della metafisica che tratta della natura fondamen- tale © dell’origine delle cose sensibili. Cfr. Wolff Chr., Co- amologia generalis, 1737, $ 1; Kant, Metapk. Anfangagrunde d. Nat., 1876, Vor. Cosmologico (argomento). È uno degli argomenti a po- steriori dell’ esistenza di Dio, che dalla caducità e contin- genzu del mondo conclude alla esistenza di un Essere as- soluto come creatore 0 primo motore dell’ universo. Si può anche formulare nel modo seguente: il mondo è un sistema di mezzi e di fini, come dimostrano |’ ordine ο l'armonia che vi regnano; ogni sistema di mezzi e di fini è l’effetto di una causa, e d’una causa intelligente che sappia disporre i mezzi a quei fini, e che sappia con- copire il fine quando non esiste ancora in realtà; dunque il mondo è l’effetto d’una Causa intelligente, Dio. Esso fn formulato la prima volta da Aristotele, il quale afferma la necessità di un primo motore immobile, πρῶτος κινοῦν ἀκίνητος, che muova il mondo, non per una specie di im- pulso meccanico che ad esso comunichi -- nel qual caso sa- rebbe insieme movente © mosso - ma per l’ irresistibile at- trattiva della sua bellezza, per l’inestinguibile desiderio che suscita di sè nelle cose. Da allora I’ argomento fu for- mulato in modi diversi, e il suo valore spesso combattuto. Kant lo respinge perchè trova in esso questi due princi- pali errori: « 1° Ἡ principio trascendentalo che conchiude dal contingente a una causa, principio che non ha valore che nel mondo sensibile, ¢ che non ha più nemmeno significato Suori di questo mondo. Infatti, il concetto puramente intel- lettuale di contingenza non può produrre alcuna proposi- zione sintetica come quella di causalità, il principio della quale non ha valore oi neo che nel mondo sensibile; vece bisognerebbe che sorvisse appunto a uscire da questo mondo. 2° Il ragionamento che consiste nel conchiudere dal’ impossibilita d’ una serie infinita di cause date le une sopra le altre nel mondo sensibile, ad uns cansa prima; i principi d’ uso razionale non οἱ antorizzauo a conchiudere così, nemmeno nell’ esperienza, là ove codesta catena non può essere prolungata ». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 6 6 segg. ; Cartesio, Prino. phil., I, 14, 20, 21; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 476 seg. (v. oause finali, storico, fisico, ideologico, ontologico). Cosmopolitismo. T. Kormopolitismus ; 1. Cormopoli- tiem ; F. Conmopolitieme. La dottriua della fratellanza uni- versale, che respinge ogni distinzione di nazioni e di razze, considerando tutti gli uomini come cittadini d'una sola città, come appartenenti ad una sola patria,.il mondo. Il casmopolitismo, prima che dal oristianesimo, fu bandito nella società pagana dalla scuola stoica, che di fronte allo smembramento politico dell’ umanità, insegnò che lo Stato ideale non conosce limiti di nazionalità o di Stato storico, ma è ina comunità razionale della vita di tutti gli uomini, alla quale appartiene ogni uomo, purchè saggio, sin esso barbaro, ro, ο schiavo, perchè tutti gli uomini sono fra- telli. Cfr. Sencen, Ep., 95, 52; Ogereau, Le ayntème phil. den Stoioiens, 1885, cap. VIII. Cosmos (κόσμος == nniverso). L'univers considerato come un tutto armonico e ben ordinato. L'espressione, che in origine significava ordine, fu attribuita per la prima volta al mondo dai pitngoriei, per i quali U’ armonia, sim- holeggiats dall’ ottava musicale, risultava dall'unificazione del molteplice e dall’accordo dei dissenzienti. Cfr. Plu- tarco, Plas., II, 1; Renouvier, Manuel de phil. ano., 1, 200. Cosmotetico (ideulismo). I. Cosmothetic idealism. Ter- mine creato dall’ Hamilton, per designare la dottrina che si rifiuta di ammettere una coscienza immediata di qualche cosa fuori dello spirito, civ’ In conoscenza del non-io. Gili idealisti cosmotetici si distinguono, alla lor volta, in due classi: quelli che ammettono una entità rappresentativa pre- sente allo spirito, ma non nua semplice modificazione men- tale, come Democrito, gli scolastici, Malebranche, Newton; © quelli che non riconoscono altro oggetto immediato della percezione che uno stato dello spirito, come Leibnitz, Con- dillac, Kant. Cfr. Hamilton, Lectures on metaph., 1859, I, p. 295 (v. idegliemo). Costume. T. Sitte, Sittlichkeit ; I. Custom; F. Coutume. Una ripetizione regolare di atti, comune ad una intera col- lettività ed alla quale nessuno degli appartenenti alla col- lottività stessa può sottrarsi, senza incorrere nel biasimo degli altri o nella punizione inflitta dal Potere. L’ impor- tanza del costume appare dal fatto che du esso deriva, per graduale evoluzione, la moralità e che ad esso si conforma V ideale etico. Il costume si distinguo dall’ abitudine, in quanto questa è puramente individuale, © dall’ uso, che, ‘pur essendo comune a tutta una società, manca tuttavia di quel carattere di imperatività che è proprio del costume. Cfr. Kunt, Krit. d. pr. Vern., ed. Reclam, p. 37; Wundt, Grundries d. Peyohol., 1896, p. 359 segg. Creazione, T. Schöpfung, Schafen; I. Creation; F. Créa- tion. Termine teologico e metafisico, col quale si designa Vatto per cui la Divinità ha prodotto il mondo e gli esseri che in esso si trovano, senza l’aiuto di alcuna materin preesistente. Quanto al modo di questa creazione, secondo il racconto mosaico essa fu successiva, avendo richiesto sei giorni; secondo altri invece fu istantanea, non compor- ‘tando la potenza di Dio il bisogno del tempo: quindi tutto avrebbe ricevuto in un medesimo momento la vita e 1’ esi- stenza, ο i sei giorni non dovrebbero intendersi che come lo sei mutazioni attraverso le quali passò la materia, per formare l’ universo quale oggi lo vediamo. Ad ogni modo, nella filosofia cristiana la derivazione del mondo da Dio è posta non come necessità fisica 0 logica dello sviluppo dell'essere, ma come un atto di libera volontà, e quindi la ereazione del mondo non è per essa un processo eterno, ma un fatto isolato, temporaneo. Il concotto di libertà del volere aveva significato da prima, con Aristotela, In capa- — 261 — Cre cità di una decisione fra diverse possibilità date, indipen- dentemente da ogni costrizione esteriore; con Epicuro aveva pot assnnto il significato metafisico di una attività acausale dell'individuo; applicato all’assolnto ο considerato come proprietà di Dio, divieno nella filosofia cristiana il concetto della orcasione dal nulla, trasformato nella dottrina di una generazione acausale del mondo dalla volontà di Dio. Men- tre per la maggior parte dei filosofi anteriori al cristiane- simo, In materia preesiate alla Divinità, la quale non fa che ordinarla e plasmarla come un artista (Demiurgo); per i tilosofi cristiani creare vuol dire trarre qualche cosa dal nalla, non in maniera da fare che il nulla sia la materia la causa dell’ essere, ma facendo che l’essere succeda al nulla, fit post nikilum, come il giorno succede all’ aurora, viout post mane fit meridice. Alls massima, comune nel mondo pagano, che er nihilo nihil fit, essi oppongono che la onnes prima, universale ed infinita, si distingue appunto dalle cause seconde per codesta potenza, che esclusivamonte le appartiene, di trarre le cose dal nulla. Tra le molte prove dirette a dimostrare la potenza creatrice della divinità, basti ricordare questo due: 13 gli esseri finiti non esistono per forza propria e spontenes; essi dunque ricevono I cni- stenza da un essere infinito, che la possiede per eccellenza ; ora, essendo Dio il solo essere esistente per sò, tutti altri esseri hanno ricevuto da lui l’esistenza ; 2° gli effetti sono proporzionati alle loro cause; il primo di tutti gli effetti à l'essere, sia perchè è il più generale sin perel procede tutti gli altri; dunque, como gli effetti particolari dipendono da cause seconde, la partecipazione dell'essere rimonta fino alla causa prima, e come un re, signore su- premo nei suoi Stati, sovrasta a tutti i depositari della sua autorità, così Dio vince tutte le cause inferiori, ο mentre questi danno origine ad accidenti fugaci, In sua potenza giunge fino u dare esistenza al nulla. La scienza moderna considera la dottrina della creazione come assurda e contrad- ditoria e lo oppone V evolusione, che implica lo sviluppo del- l'essere per cause © leggi proprio. Tuttavia alcuni teologi cercano conciliare il dogma della creazione con la dottrina dell’ evoluzione, distinguendo una oreatio prima, detta anche creazione vera, cioè la creazione diretta della sola materia in- forme, la quale, essendo dotata di certe ragioni causali, diede luogo alla oreatio secunda, detta anche creazione derivatica, cioè allo sviluppo delle innumerevoli forme esistenti, per cui le creature multiformi farono create indirettamente e media- tamente per opera di cause occasionali. — Con I’ espressione oreatio continua gli scoluatici e i cartesiani designavano l’azio- ne con cui Dio conserva il mondo nell’ esistenza, azione che è ugualo a quella con cui primitivamente 1’ ha prodotto dal nulla: « Dal fatto che nel momento precedente esistevo, dico Cartesio, non segue in nessun modo che io debba esi- stero anche nel momento attualo, cosicchè una qualche causa deve avermi creato di nuovo pure per questo secondo momento, cioè deve avermi conservato ». Ugualmente Spi- noza: « Da ciò segue che Dio non è soltanto la causa per cui le cose cominciano ad esistere, ma anche quella per oni perseverano nell’ esistenza, ossia, per servirmi del ter- mine scolastico, Dio è la causa essendi delle cose ». — Di- cesi teoria delle creazioni periodiche la dottrina con cui l'Agussiz spiega l'origine e la diversità delle specie: ogni specie è stata crenta da Dio e ne rappresenta un partico- lare concetto; ma poichè sulla superficie terrestre vi sono rapporti di continua convivenza fra specie ο specie, fra piante ed animali, fra i viventi e le condizioni di vita, il suo intervento si effettua ad intervalli di tempo e in de- minati punti della terra, cosicchè si hanno creazioni pe- jodiche in differenti centri di creazione, Cfr. Alberto Ma- guo, Sum. de creat., I; S., settembre 1910 (v. agnosticimo, cononcenza, corpo, 0088, noumeno, neo-oriti- cirmo, dommatismo). Cromatiche (sensazioni). Si dicono tali le sensazioni visive date dai sette colori dello spettro solare : rosso, aran- cisto, giallo, verde, turchino, indaco, violetto. Al rosso, corrisponderebbero cirea 450 bilioni di vibrazioni al m”, della lunghezza di 688 milionesimi di mm. ciascnna; al violetto 790 bilioni della lunghezza di 393 milionesimi di mm. Da Aristotele fino ai giorni nostri sono state formu- late molte ipotesi per spiegare la percezione dei colori ; lo più accreditate sono quella di ‘I. Joung, perfezionata da Helmboltz, quella del Wundt e quella di Hering. Secondo la teoria Joung-Helmholts, esistono nella retina tre distinte fibre nervose recettrici, © nei centri differenti elementi per- cettori, quelli pel rosso, pel verde e pel violetto ; ciascun colore fondamentale sarebbe capace di eccitare i tre ele- menti recettori, ma in grado differente secondo la diversa * lunghezza d'onda. 11 Wundt ammette invece che ogni qual volta la retina è eccitata da uno stimolo esterno, ai può eccitare sia un processo cromatico, in funzione specialmente della lunghezza d'onda, sin un processo acromatico, in fim- Cro-DaB — 272 — zione specialmente dell’ ampiezza delle vibrazioni} l’ecci- tamento cromatico sarebbe un multiforme fenomeno foto- chimico, gradualmente varinbile colla lunghezza d’ onda delle vibrazioni e provocato da stimolazioni di media in- tensità. Secondo Hering esistono negli elementi sensibili della retina tre diverse sostanze fotochimiche visive, sede di due opposti processi contemporanei, uno assimilativo, l’altro dissimilativo: quando prevale quello si hanno le sensazioni del nero, del verde, dell’aszurro, quando pre- vale questo le sensazioni del bianco, del rosso, del giallo; quando i due opposti processi si fanno equilibrio, si ha In sensazione del grigio ο del bianco, Cfr. Wundt, Grundeüge dor phys. Paychologio, 1903, vol. II; Hering, Zur Lehre vom Lichtsinn, 1878; Schenck, Pflügers Arch., 1907, vol. 118 (v. aoromatiche, acromatopsia, bastoncini, coni). Cronotopo (xpévor --- tempo τόπος — spazio). Questo termine si adopera qualche volta per indicate I’ unità dello spazio e del tempo ideali. Cruciale v. erperimentum orucia. D Dabitis. ‘Termine mnemonico di convenzione, col quale nella logica formale si indica quel modo indiretto della prima figura del sillogismo, in cui, come indicano le vo- cali, ls maggiore è universale affermativa, In minore © In conclusione particolari affermative. A questo modo pnd os- sere ricondotto il Dibatis della quarta figura, mediante la conversione della conclusione e la trasposizione delle pre- messe. Es. Dabitis : i delinquenti nati sono individui anor- mali - qualche uomo d’ingegno è delinquento nato - dunque qualcho nomo d’ingegno è individuo anormale. Es. Dibati«: qualche uomo d’ingegno è delinquente nato - tutti i de- linquonti nati sono individui anormali - dunquo qualche individuo anormale è uomo d’ ingegno. — 273 — Dar-DaR Daltonismo. T. Daltonismus: I. Daltonism; F. Dalto- nieme. Una delle forme più comuni della discromatopsia. Consiste nella cecità per il color rosso, o nella difficoltà di distinguerlo dal verde. È così chiamata dal chimico in- glese Dalton, che ne fu affetto © per primo la desorisso o la definì. L’ Helmholtz lo chiamò aneritropsia. — In senso figurato dicesi daltonirmo morale (ethische Farbenblindheit dei tedeschi) quella forma di pazzia morale, in ui I’ individuo non ignora ciò che la probità impone e la moralità proi- bisce, ma è incapace di tradurre le sue conoscenze teo- riche nella condotta pratica, perchè non sorretto da quelle tendenze emotive che spingono l’uomo verso il bene. — In senso pure figurato e polemico usasi talvolta 1’ espres- sione daltonismo intellettuale per indicare l'incapacità di comprendere certe idee, di valutare la gravità e I’ caten- sione di problemi, che altri giudica invece importanti. Cfr. J. Dalton, Res. della soo. fil. di Manchester, t. I, ot- tobre 1794; Dagonet, Folie morale, 1878; Mendel, Die mo- ralische Wahnsinn, 1876. Darapti Termine mnemonico di convenzione, col quale si designa quel modo della terza figura del sillogismo in cui la maggiore e la minore sono proposizioni universali affermative, la conelusione particolare affermativa, Fs, Tutti i pesci sono vertebrati. Tutti i pesci sono animali acqua- tici. Dunque alcuni animali acquatici sono vertebrati. Si riconduce al Darii della prima figura mediante la conver- sione parziale della premessa minore; corrisponde all’&rast dei logici greci. Darii. Termine mnemonico di convenzione, col quale si designa quel modo della prima figura del sillogismo, in cui la maggiore è una proposizione universale affermati la minore e la conclusione particolari affermativo. Es. Tutte le azioni automatiche sono incoscienti. Qualcheazione umana è automatica. Dunque qualche azione umana è incosciente, A questo modo vengono ricondotti tutti { modi delle altre 18 — Ranzots, Dizion. di scienze filosofiche. Dar — 274 — tre figure comincianti per In lettera D; corrisponde al γραφίδι dei logici greci. Darwinismo. Τ. Darwiniemus; I. Dariciniom; F. Darwi- nieme. Non dovrebbe mai usarsi in luogo di trasformismo cd evolusionismo ; esso infatti indica la teoria del trasfor- mismo biologico come fu inteso ed esposto da Carlo Darwin, il quale spiegò l’origine comuno di tutte le specio di ani- mali o piante da semplici forme stipiti primitive, mediante il principio della selezione nuturalo 0 sopravvivenza del più adatto, necessaria conseguenza della rapida riproduzione degli organismi ο della concorrenza per la vita: tra gli organismi sopravvivono soltanto quelli che, nella lotta che devono sostenere per la sproporzione completa tra il loro accrescimento e la misura del mezzo di nutrizione dispo- nibile, possono variare in modo ad essi favorevole, cioè conformo allo scopo. Il presupposto della teoria è quindi, accanto al principio della eredità, quello della variabilità : a ciò κ) aggiunge la concezione, che oggi è modificata dalla dottrina delle variazioni improrvise del De Vries, di gran- dissimi spazi di tempo per l’accumularsi delle variazioni infinitamente piccole. Il Lamarck invece, esponendo prima del Darwin la teoria della discendenza, poneva come fat- tore principale lo condizioni esterne di vita e 1’ uso e non- uso degli organi. L'importanza filosofica del darwinismo consiste nell’ aver dato una spiegaziono puramente mec- eanien dello finalità, che formano il problema della vita organica; così il concetto della soleziono fu applicato poi alla sociologia, alla psicologia, alla storia ο da molti è con- #iderato come il solo metodo scientifico. La dottrina darwi- niana ha molti precursori fino dall’antichità. Anassimandro ammetteva la trasformazione degli organismi per adatta- mento alle mutate condizioni di vita; Empedocle insegnava che gli animali hanno avuto origine qua ο là senza regola, in formo strane ο grottesche, ¢ che poi sopravvissero solo gli adatti alla vita; Aristotele riconosceva il principio della — 275 — Dar lotta dell’esistenza, scrivendo che « gli animali sono in guerra tra loro, quando abitano gli stessi luoghi ο si ci- bano dello stesso nutrimento, ο se il nutrimento non è sufficiente, essi si battono, anche tra quelli della stessa specie »; Lucrezio ebbe chiaro il concetto della variabilità della specie e descrisse con grande esattezza lo sviluppo intellettuale progressivo dell’ uomo; Francesco Bacone in- tui la possibilità di trasformazione delle specie vegetali, ο propose anzi 1’ esperienza di variare le specie per vodere come esse si siano moltiplicate ο diversificate; Cesaro Vanini riconobbe la variabilità delle piante domestiche, suppose perciò che anche gli animali possono tramutarsi, intuì il parallelismo tra embriologia ed evoluzione e di- chiarò esplicitamente che 1’ uomo deriva dalla scimmin per la graduale trasformazione dell’ atteggiamento quadrupede di questa nella stazione bipede di quello; Giordano Bruno lasciò scritto l’ aforisma che compendia tutta In dottrina, una epecio alterins est principium, © affermò persino il pa- rallelismo tra lo sviluppo della specie ο quello dell’ indi duo. Tra i precursori più immediati basti ricordare il Buffon, che segnalò nettamento In verosimiglianza delle variazioni lente e progressive « per gradi sfumati, spesso imperce bili > e fu un trasformista convinto; Diderot, Goethe, Era- smo Darwin, che sostenne prima del nipote Carlo il princi pio del trasformismo, accennando all’origine di tutte le specie da forme-stipiti primitive, estremamente semplici € analo- ghe al filamento embrionale », cio all’ovolo e allo sperma- tozoo. Ἡ massimo rappresentante del darwinismo classico è, oggi, Ernesto Haeckel. Cfr. Darwin, Origin of speciea by means of natural selection, 1859; Id., The deacent of man, 1883: G. Novicow, Critica del darwinismo rociale, trad. it. 1910: C. Fenizia, Storia ο bibliografia evoluzioniatica, ediz. Hoepli (v. neo-daricintemo, neo-lamarckismo, traaformirmo, ecc.). Datisi. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo della terza figura DAT-Drc — 276 — del sillogismo, in cui la maggiore è una proposizione uni- versale affermativa, la minore e la conclusione proposi- zioni particolari affermative. Es.: ogni azione umana è determinata dallo stato psico-organico dell’ agente - qualche azione umana sfugge all’imputabilità - dunque qualche cosa che sfugge all’ imputabilità è determinato dallo stato psico-organico dell’ agente. Questo modo corrisponde al- } ἁσπίδι dei logici greci, e può essere ricondotto al Darii della prima figura mediante la conversione semplice della premessa minore. Dato. T. Gegeben; I. Given: F. Donné. Indica in gene- rale ciò che è immediatamente presente alla coscienza, prima che lo spirito lo elabori; nella scienza i dati sono i fatti ο i principi indiseutibili che servono come punto di partenza. Dicesi dato della sensazione il contenuto della sonanzione stessa, prodotto dal funzionamento dei centri” nervosi in seguito all’azione di uno stimolo centripeto, interno o esterno. I daf della conoscenza sono, alla lor volta, i dati delle sensazioni stesse, cioò i materiali sui quali opera l’attività sintotica dello spirito. In un problema diconsi dati gli elementi cogniti, mediante i quali si debbono de- terminare gli elementi incogniti. Decisione. T. Entscheidung; I. Decision; F. Ireision. Quel momento della volizione, ossia dell'atto singolo di volere, che segue alla deliberazione © risolve il conflitto dei motivi mediante il definitivo prevalere di una idea-fine. Solo determinate rappresentazioni hanno in un dato indi- viduo potenza impulsiva all'atto, e nello stesso individuo l’impulsività di tali rappresentazioni può variare colla di- sposizione sua del momento. In generale la massima im- pulsività è propria delle idee fisse, la minima delle idee astratte; ma per essere normalmente impulsiva, un’ idea dove essere organizzata nolla psiche dell’ individuo. La de- eisione, detta anche scelta ο risoluzione. è preceduta dalla deliberazione 0 seguita dalla esecuzione. — 277 -- Dec-bkb Deolinazione. La deviazione degli atomi dalla loro linca verticale, secondo la dottrina di Epicuro. Bacone chiama tarola di declinazione, oppure tarola d’ assenza, quel metodo che consiste nel confrontare i casi in cui il fenomeno nv- viene, con altri, simili nel rimanente, in cui quello non avviene. Corrisponde al metodo della differenza di Stuart Mill (v. caso, olinamen, differenza). Deduzione. T. Deduction, Ableitung; I. Deduotion; F. Deduction. Forma di ragionamento, che consiste nel par- tire da un principio generale noto per trarne delle conse- guenze particolari; si oppone all’ inducione, che consiste invece nel partire dai fatti particolari per ascendere a un principio, prima ignorato. La deduzione rappresenta dunque il procedimento sintetico, Ι’ induzione V’ analitico. Si κυ- gliono tuttavia distinguere due forme di deduzione, la sin- tetica © V’ analitica; la prima procedo da principi semplici e trae dalle loro combinazioni conseguenze complesse, la seconda consiste nella risoluzione di un concetto complesso nei suoi elementi, o nella trasformazione di un concetto mediante una diversa disposizione o combinazione dei suoi elementi (nd es. la risoluzione delle equazioni), ο nella so- atituzione di un elemento del concetto complesso dal quale dipende la verità che si vnol dimostrare. La deduzione analitica à usata specialmente nelle matematiche, gin essa si applica a quelle verità cho possono essere dimo- strato con semplici operazioni logiche sopra altre verità in cui sono contenute. La forma della deduzione, sia ossa analitica o sintetica, è il sillogismo. La deduzione, come metodo di ricerca, occupa un posto centrale nella logien aristotelica, posto cho essa ha conservato finchè durò, να] pensiero filosofico e scientifico, il dominio di Aristotele. Ac- cogliendo la dottrina socratico-platonica delle idee, Aristo- tele ammette che il vero essere è I’ elemento universale, ϱ la sua conoscenza è il concetto; mn laddove Platone aveva fatto dell’ universale, che il concetto conosce, a del Der — 278 — particolare, che viene percepito, due mondi totalmente di- versi, senza rapporto tm di loro, Aristotele pone invece come ufficio fondamentale della scienza di cercare quel rap- porto di derivazione del particolare dall’ universale, che renda capace la conoscenza concettuale di comprendere o apiegare l'oggetto della percezione e al tempo stesso di di- mostrarlo o provarlo. Lo spiegare e il provare sono, per Aristotelo, la stessa cosa e si esprimono con la stessa pa- rola « deduzione », ossia «derivazione: infatti 1’ universale che, in quanto vero ente, è la causa dell’ accadere, quello da cui il particolare, oggetto della percezione, deve essere spiogato, è nel pensiero la ragione da cui il particolare deve essere provato; per tal modo la deduzione dol dato della percezione dal suo principio universale costituiaco tanto la spiegazione scientifica dei fenomeni del mondo reale quanto il processo logico della loro dimostrazione. Du cid si comprende l'importanza data da Aristotele al sil- logismo, che è la deduzione di un giudizio da due altri; ο come egli non #bbia rivolto la sua attenzione se non a quella forma di sillogismo, che esprime la subordinazione del particolare all’ universale, e come infine abbin consi- derata più valida di tutte ed originaria la prima figura del sillogismo, nella quale il principio della subordinazione è espresso puramente © chiaramente. — Kant chiama dedu- zione trascendentale la giustiticazione del fatto, che dei con- cetti a priori sono applicati agli oggetti della esperienza; tale one dicesi trascendentale per opposizione alla empi- rica, che consisterebbe nello scoprire tali concetti mediante riflessione fatta sull’ esperienza stessa. Ufr. Aristotele, anal. pr., II, 25, 69 a, 20; Wundt, Logik, 1893, II, p. 29 segg.; Kant, ΑΗ. d. reinen Fern., ed. Reclam, p. 103-104; H. Majer, De Syllogistik des Aristoteles, 1900; Rosmini, Logica, 1853, p. 170 seg., 270; Masci, Logica, 1899, p. 423 segg. Definito. Come contrario di indefinito, è ciò a cui pos- sono essere © sono dati dei limiti, essendo indetinito ciò — 279 — Der che non ha dei limiti assegnabili. Si distingue dal finito, che è ciò che ha dei limiti assegnati. Nella definizione di- cesi definito ο definiendo il concetto da definire, cho funge da soggetto nel giudizio con cui è formulate la definizione. Definizione. T. Definition, Begriffabestimmung; I. Defini- tion; F. Définition. E l’ analisi o la determinazione del con- tenuto di un concetto, espressa in un giudizio il cui sog- getto è il concetto da definire (definito ο definiendo), ο il predicato (definiente) quel gruppo di note mediante le quali il primo vien definito. ‘Tra queste note basta scegliere quelle che sono sufficienti a distinguere il concetto sia dai con- cetti congeneri sia da quelli che fanno parte di altri ge- neri; a tal uopo servono il genere prossimo, cioè quel genere che più s'avvicina, come tale, alla comprensione del de- finiendo, e la differenza specifica, cioè l’ insieme delle qua- lità che lo distinguono dai concetti coordinati. Codesta determinazione risale ad Aristotele, per il quale la defini- zione è la formula che esprime l’ essenza della cosa, essenza che si compone appunto di genere e di differenza. Il me- todo della definizione può essere positivo ο negativo ; il primo consiste nel riunire nella definizione l’intero gruppo di note che il definiendo abbraccia, il secondo nel determinare i caratteri che devono da esso escludersi. I logici chiamano nominale la definizione che spiega il significato di una pa- rola, che determina soltanto ciò che si deve intendere con una data espressione; reale quella che si riferisco invece al valore intrinseco del definiondo ; analitica ο determina- tiva quella che espone gli elementi costitutivi del detiniendo in quanto sono per sò stessi determinativi ; genetica quella che espone il processo con cui la cosa definita si forma, © può essere genetica indicativa ao la formazione della coss è da noi indipendente, genetica costruttiva se noi stessi pos- siamo formarla, Però il significato di questi termini è ben lungi dall’ essere fisso; così per Leibnitz le definizioni no- minali sono quelle che permettono solamente di distinguere Der — 380 — un oggetto dagli altri, le reali o causali quelle che mostrano la possibilità del definito, cioè la sua assenza da contraddi- zione. Kant distingue ancora le definizioni analitiche, che ana- izzano un concetto anteriormente formato, e le definizioni sintetiche che servono Α formare primitivamente un concetto ; egli chiama poi reali le definizioni « che non solo rendono chisro un concetto, ma anche nello stesso tempo la sua ob- biottiva realità ». Nella logica algoritinica si distinguono due specie di definizioni indirette; l’ una per astrazione, che cousiste nell’ indicare a quali condizioni si ha l’uguaglianza d’una funzione logica, come quando si defigisce la massa ο la temperatura indicando le condizioni d’ uguaglianza di tali grandezze ; l’altra per postulati, che consiste nel de- finire un insieme di nozioni enunciando, come assiomi ο postulati, le relazioni fondamentali che questi termini ve- rificano © che costituiscono i fondamenti necessari e suf- ficienti della loro teoria. Il Liard distingue due gruppi di detinizioni : le une geometriche, o formali, ο sintetiche, ver- vono a costituire la materia d’una scienza ὁ ne rappre- sentano quindi il punto di partenza; le altre empiriche, o materiali, o analitiche, servono u riassumere le conoscenze ottenute induttivamente e costituiscono perciò un punto d’urrivo. Gli errori più comuni della definizione sono l’an- gustia, che consiste in ciò, che il definiente contiene qualche nota che non appartiene a tutta I’ estensione del definito ; V ampiezza nell’ inverso ; la sovrabbondanza, nell’ aggiungere note superflue rispetto al fine di distinguere il concetto dato da tutti gli altri. Cfr. Aristotele, Top., VII, 5; Anal. post, 11, 3, 7, 10; Leibnitz, Nour. Eusais, 1. III, cap. 3, $ 19; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Roclam, p. 225, 55%; G. Burali-Forti, Congrès de philos., 1900, III, 289; L. Liard, Des défin. géometriques οἱ dea déf. empiriques, 1903; G. Vai- lati, La teoria aristotelioa della definizione, « Riv. di fil. ο scienze aftini », novembre 1903 (v. tautologia, diallelo, in- definibile). Degenerasione. T. Entartung; 1. Degeneration; F. IX- générescence. Indica in generale l'alterazione d’un organo © d’un orggnismo, per oni esso è condotto ad uns forma giudicata inferiore. In modo più preciso si può definire: un’ alterazione organica e funzionale, che degrada dal tipo normale ed è trasmissibile per eredità; o anche: l’inde- bolimento dei caratteri iniziali della specie a cui un essere appartiene. Il merito di aver introdotto nella psicologia il concetto della degenerazione è dello psichiatra francese B. Morel, che ne trattò in un libro rimasto celebre. Tut- tavia il significato della parola non è ancora molto preciso, dandole alenni, come il Max Nordon, una grande esten- sione, ed usandola altri per indicare così il processo come gli effetti della deviazione di uns specie o di un organo dal suo tipo normale. Secondo il Sergi, la degenerazione consiste nel fatto di individui e di loro discendenti, i quali, nella lotta per 1’ esistenza non cssendo periti, sopravvivono in condizioni inferiori e sono poco atti a tutti i fenomeni della lotta susseguente. La degenerazione è un fatto essen- zialmente ereditario ; l’ ereditarietà morbosa indebolisce a lungo andare il potere di una famiglia, cosicchd il deca- dimento fisico ο mentale si trasmette nei discendenti finchè la famiglia scompare. Ma è anche un fenomeno acqui potendo derivare dall’ambiente, da uno stato patologico costituzionale, dall’ arresto o deviazione di sviluppo, dal- V alterazione di un viscere più o meno importante alla vi- talità dell'individuo; è merito del Morel di aver dimo- strato appunto come vi siano delle cause deyencratrici della specie © della famiglia, quali le intossicazioni con a capo I’ alcolica, U ambiente sociale, lu miseria, certe professioni industriali insalubri, certi climi, con a capo il palustre, ecc. La degenerazione si imprime con stimmate somatiche, fisio- logiche e psicologiche. Tra le prime sono più appariscenti la microcefalia, le deformazioni del cranio, 1’ asimmetria facciale, le orecchie ad ansa, la dentatura irregolare, il Deo — 282 — progenoismo, il prognatismo; tra lo seconde In balbuzie, lo strabismo, il mancinismo, l’analgesia, il ritardo di svi- luppo nelle varie funzioni, |’ esagerazione dei riflessi, spe- ciali idiosinerasie del gusto e dell’ odorato, la gracilità, V idrocefulo, i sogni spaventosi, il sonnambulismo. Tra le note psichiche, 1’ onicofagia, l’onanismo, la mancanza d’ar- monia tra le tendenze, il difetto di attenzione, la mancanza di volontà, la tendenza alla menzogna, I’ egotismo, la cri- minalità, la scarsezza di senso morale, l'avidità del me- raviglioso. Il Sergi distinguo una piccola e una grande de- generazione del carattere : nella prima 1’ individuo si mostra indeciso nelle sue azioni, cade spesso nel turpe e tutto ur- rischia per coprire lo sconvenienze della propria condotta ; nellu seconda rimane annullata la personalità morale e l’in- dividuo si trascina nel più completo servilismo. Dal punto di vista dello sviluppo intellettuale i degenerati si sogliono distinguere in due categorie: i degenerati inferiori (idioti, imbecilli, futui) e degenerati superiori (squilibrati, mut- idi). I degenerati superiori non presentano, a differenza dei primi, insufficienza di sviluppo mentale, chè anzi non à raro rilevare in ossi una notevole attitudine alle arti, ad es. alla letteratura, alla pocaia, più eccezionalmente alla scienza; ciò che li caratterizza è invece lo sviluppo ineguale delle diverse facoltà, per cui, a lato di alcune eminenti, altre sono rimaste allo stato embrionale, cosicchè nella loro mente si originano con somma facilità dello idee morboso di gran- dezza, alimentato dal vivo sentimento di vanità che è in tutti i deboli. Cfr. B. J. Morel, Traité des dégénérencenes de V'expèce humaine, 1857; Moreau de Tours, La psychologie morbide dane ses rapports aveo la philos. de Vhistoire, 1860; E. Reich, Veber Entartung des Menschen, 1868; Dallemagne, Dégénéré et déséquilibrés, 1895; Maguan et Debove, Les dégé- nérés, 1895; G. Sergi, Le degenerazioni umane, 1888; F. Mu- gri, La degenerazione oonsiderata nella sua ouusa, 1891; Max Norduu, Degenerazione, trad. it. 1894 (v. atariemo, reversion’). — 283 — Dei-Det Deismo. T. Deirmun; I. Deiem; F. Deine. 1 vocaboli deismo è teismo, derivanti il primo dal latino, il secondo dal greco, hauno etimologicamente lo stesso significato. ‘Tuttavia, benchè entrambi indichino la credenza nell’ esi- stenza di una Divinità personale, intelligente, distinta dal mondo, col primo, usato la prima volta dal Toland, si suol più propriamente designare una credenza filosofica che non poggia sulla rivelazione e non riconosce vincoli di dogmi. In modo diverso lo intendeva il Kant; egli infatti chiama tei- smo la credenza in una Divinità libera, creatrice dol mondo sul quale esercita la sun Provvidenza, e deismo la semplice credenza in una forza infinita e cieca, inerente alla mutoria © causa di tutti i fonomeni che in essa avvengono, Il Clarke stabilisce invece quattro spocie di doisti: quelli cho ammet- tono puramente I’ esistonza di una Divinità, negandole ogni azione sul mondo e sull’uomo; quelli che ammettono anche la Provvidenza divina, ma pongono l'indipendenza della mo- ralità dalla religione; quelli che ammettono l’idea del du- vere © della Provvidenza divina, ma nogano ogui sanzione oltremondana; quelli che ammettono tutte le verità della religione naturale, rigettando il principio di autorità e lu rivelazione. Quest’ ultimo è forse il significato oggi più in uso. Cfr. Clarke, Traité de Vertstence et des attribute de Dieu. 1828, 6. II, p. 21 segg.; Kant, Arit. d. reinen Vern., ed. Re- clam, p. 494-495; Eucken, Geschiote d. philos. Terminologie, 1879, p. 94; Ueberwog, Die Neue Zeit., 1896, I, p. 153. Deliberazione. I. Ueberlegung; 1. Deliberation : F. I liberation. Il primo dei momenti dell’ atto volontario. oppone in generale a impulsione. Esso è costituito dal pe riodo di esitazione tra la rappresentazione dell’ atto pen- sato come fine, o tra l'eccitazione, e il suo compimento. Le rappresentazioni che in questo periodo di tempo en- trano fra loro in conflitto diconsi motiri: i sentimenti, le tendenze, gli istinti che a quelle si uniscono, prendendo parte al conflitto medesimo, diconsi mobili. 11 prevalere di Den — 284 — uno ο di un gruppo di motivi ο mobili dà poi Inogo alla decixione, cui consegue 1’ esecuzione. Cfr. Jodl, Lehrbuch d. Paychologie, 1896, p. 742. Delirio. T. Delirium; 1. Delirium; F. Délire. Sotto il me di stati deliranti si comprendono quei disturbi psi- chici, che si manifestano nello malattie infettivo, negli av- velonamenti acuti, negli stati di profondo esanrimento, e i cui sintomi principali sono : ottuudimento della coscienza, vovitazione motoria, confusione mentale, allucinazioni, spe- vie visive e uditive. Possono durare poche ore come al- cune settimane. Quando questi sintomi hauno' intensità maggiore e sono accompagnati da febbre più ο meno alta, insonnia nssoluta, contrazioni fibrillari, rifinto di cibo, oce si ha il così detto delirio acuto. Quando poi lo ideo deli- ranti non sono fugaci © sconnesse, ma formano un tutto organizzato in serio logica, si hanno i delirii sistematizzati, i cui tipi principali sono: delirio di negazione, delirio di persecuzione, delirio ipocondrinco, delirio di grandezza, delirio di antorimprovero, ece. Si distingne infine un de- lirio di gelosia, che apparisce nella paranoia alcolica. Cfr. Kraepelin, Peyohiatrie, 4* ed. 1893, p. 254 segg.; Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 352 segg. Delitto. T. Verbrechen; I. Crime; F. Crime. Designa in generale ogni infrazione alla legge penale, ed implica u utto che tendo in qualsiasi modo a nuocere alla vita so- ciale. I criminalisti però sono ben langi dall’intendersi circa la dofinizione del dolitto, la sun natura ei suoi ratteri costanti. Così per il Franck è dolitto qualunque uttucco alla sienrezza ο alla libertà sia della società sia degli individui; per il Carrara il delitto si definisce la in- frazione della leggo dello Stato promulgata per proteggere la sicurezza dei cittadini, risultante da un atto esterno dell’uomo, positivo o negativo, moralmente imputabile ; per il Garofalo è delitto ogni offesa ai sentimenti della pietà e della probità; per Ferri il delitto è un attacco alle condi- zioni naturali d’esistenza dell’ individuo e della società; per il Colajanni e il Berenini sono delitti le azioni determinate da motivi individuali e antisociali, che turbano le condizioni @ esistenza e offendono la moralità media d’un popolo a un momento determinato ; per il Tarde I’ idea del delitto implica essenzialmente, naturalmente, quella d’un diritto ο d’un do- vere violato; il Durokheim definisce il delitto ogni atto che, & un grado qualunque, determina contro il suo autore quella reazione caratteristica che chiamasi pena, ecc. Tutte queste definizioni si bassno su caratteri variabili, come i senti- menti, i diritti, i doveri, le leggi penali, le forme sociali, mentre, per servire di base sicura alla scienza penale, do- vrebbero dare della nozione in discorso 1) elemento fisso ο valido in qualunque luogo e a qualsiasi epoca. Sembra per- cid preferibile a tutte la definizione dell’ Hamon : ogni atto cosciente che lede la libertà d’agire d’ un individuo della stessa specie dell’ autore dell’ atto è un delitto. Cfr. F. Car- rara, Programma del corso di diritto criminale, 1871; A. Ma- rucci, La nuova filosofia del diritto criminale, 1904; E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto ο della procedura penale, 1884; R. Garofalo, Il delitto come fenomeno sociale, nel vol. Per lo onoranze a F. Carrara, 1899, p. 321 segg.; Colajanni, Sociologia oriminale, 1889; A. Hamon, Déterminiame et re- sponsabilità, 1898. Demagogia (δῆμος -= popolo — &ywyé = che conduce). T. Demagogie; I. Demagogy; F. Démagogie. Etimologien- mente designa quella forma di governo in cui il potere è in mano della moltitudine; ma si adopera quasi sempre in senso cattivo per indicare la tirannia esercitata dalla Plebe, giunta al potere, sopra le altre classi sociali. Demenza. T. Psychische Schicdchezustinde, Blödsinn, Schwachsinn; 1. Mental weakness, dementia; F. I)tmence. Termine molto generale, con cui si indies l’indebolimento © Vottundimento acquisito e irrimediabile delle facoltà in- tellettnali. Si presento come sindrome di diverse malattie Dem — 286 — mentali, e può essere generale e parziale, permanente e progressiva. Va notato però che l’ indebolimento caratteri- stico della demenza colpisce quasi sempre contemporanea- mente le tre grandi funzioni psichiche, l'intelligenza, il sentimento, la volontà. I disturbi della intelligenza si ma- nifestano col diagregarsi del legame associativo delle idee, con P incoerenza del lingnaggio ο della scrittura, con In perdita della capacità di fissare e rievocare i ricordi; i di- sturbi dell’ affettività con 1’ indebolimento di tutti i sen- timenti ideali o rappresentativi, e col distraggersi progres- sivo degli affetti familiari ο del senso morale; i disturbi della volontà con } apatia ο l’indifferentismo che caratte- rizza gli stati dissociativi della personalità. Le forme prin- cipali di essa sono: la d. precoce, cho si presenta nella gioventà e si può esplicare con stadi di esaltamento di depressione ο di delirio; la d. senile, caratteristica della tarda otà e che si accompagna naturalmente agli altri fe- nomeni d’ involuzione fisiologica della vecchiaia; In d. pa- ralitica, che è la più ricca e la più varia di fenonieni psi- cologici. Infine la demenza si può presentare come stato terminale dell’ alcoolismo, dell’ epilessia, dell’ antenza, © della frenosi circolare. Cfr. Ziehen, Paychiatrie, 1894, p. 335 segg. Demiurgo. Nel sistema di Plutone, il demiurgo (3n- wovpy4¢ = operaio) è Dio, la ragione divina, che guar- dando alla idea del Bene dà forma al mondo, ordina la materia che già prima esisteva, gli impone il movimento cireolare, gli infonde l’anima e, per renderlo rompre più simile all’esemplare suo eterno, lo dota infine del tempo: «Quella cosa di cui il demiurgo effettua la forma e la funzione, guardando sempre, per servirsene come di mo- dello, a ciò che è allo stesso modo, è necessario che riesen per questo sempre bella. Se dnnque questo mondo è bello © il demiurgo è buono, è evidente che questi ha gnaraato l'esemplare eterno.... Ma questi era per sna natura eterno, — 287 — Dex e ciò non poteva adattarsi in alcun modo a chi aveva avuto nascimento. Egli escogita quindi di fare una imagine mo- bile dell’ eternità, e mentre ordina il cielo, fa dell’ eternità, che resta sempre nell’ uno, una imagine dell’ eternità (αἰώ- νιον εἰκόνα), che si muove secondo il numero, quello che noi abbiamo chiamato il tempo ». Anche gli gnostici adot- tarono la dottrina del demiurgo, il quale anche per essi è il mediatore tra lo spirito © la materia, che trovansi in originario contrasto. Tale ufficio è a lui attribuito in quanto è l’ultimo degli eoni, quello cioè che è più vicino alla materia e perciò in immediato contatto con ébsa. Cfr. Pla- tone, Timeo, 37 d, 41 A; Senofonte, Mem., IV, 11, 13; Fraccaroli, I! Timeo. 1906, p. 220, n. 3 (v. Dio, esemplare. creazione). Democrazia. T. /emocratie: I. Democracy; F. Démo- eratie. Per Aristotele è quella forma di governo in oui i liberi e i non ricchi costituiscono la maggioranza e occu- pano il potere supremo; l’oligarchia è, all'opposto, quella forma di costituzione politica in cui il potere è nelle mani dei pochi © dei ricchi. Oggi designa lo stato politico, nel quale la sovranità appartieno alla totalità dei cittadini, senza distinzione di nascita, di fortuna o di capacità. Ari- stotele è favorevole al governo popolare, specialmente per la ragione che esso utilizza In maggior somma di attitu- dini individuali; anche in ciò egli si pone contro a Platone, che considerava lo Stato democratico come peggiore d’ogni altro, la libertà ο 1’ uguaglianza como origine perenne di turbamenti, d’ingiustizia, di corruzione, persino nel seno delle famiglie: « Io voglio dire che il padre #’abitus n trattare il figlio come uguale, e persino a temerlo; che questi s’ nguaglia al padre e non ha rispotto nd paura per gli autori dei suoi giorni, perchè altrimenti la sua libertà ne soffrirebbe; che i cittadini e i semplici abitanti o gli stessi stranieri aspirano agli stessi diritti. Sotto un tale governo il maestro tome e tratta con riguardo i suoi di- Dem — 288 — scepoli: questi si ridono doi loro maestri ο dei loro sor- veglianti. In generale, i giovani voglion essere pari ai vecchi e lottare con essi in propositi e in azioni. Ma I’ ul- timo eccesso della libertà in uno Stato popolare è quando gli schiavi dell’ uno e dell’ altro sesso non sono meno li- beri di quelli che li hanno comperati ». Nei tempi moderni Montesquieu, ponetrando il vero spirito del governo po- polare, dice che « nella democrazia il popolo è, sotto un certo riguardo, il monarca, sotto certi altri il suddito; esso non può essere monarca che per i suoi suffragi, che sono le sue volontà; la volontà del sovrano à il sovrano stesso »; perciò mentre non occorre molta probità nel governo mo- narchico e nel dispotico, perchè la forza delle leggi nel- l'uno, il braccio del principe nell’ altro, reggono tutto, nella democrazia è necessaria la virtù. Cfr. Platone, Rep., Ve VI; Aristotele, Polit., 1. III, c. 5, 6; Montesquieu, Esprit des lois, 1748, 1. II, 11 © 111 (v. aristocrazia). Demone, demoniaco. Nel linguaggio filosotico la pa- rola demone è usata talvolta per indicare il genio familiare da cui Socrate dicevasi ispirato e che egli stesso chiamava, con parola da lui creata, δαιμόνιον. Sulla sua precisa na- tura molto si è disputato e si disputa ancora; secondo alcuni essa ha in Senofonte, il più diretto discepolo di So- crate, lo stesso significato di Θεός, come la parola Baluov in Omero, laddove in Esiodo i δαιµόνες sono geni inter- mediari tra l’uomo e la divinità; altri invece, fondandosi sopra i dialoghi platonici, sostengono doversi ammettere cho Socrate credesse davvero all'esistenza di geni fami- liari; altri ritiene che Socrate usasse questo neologismo per significare 1’ analogia esistente tra i suoi presentimenti interni, ispiratigli dalla divinità, e i demoni della mito- login greca; altri, specialmente psichiatri e fisiologi, upi- nano che Socrate softrisse di allucinazioni visive ο uditive ϱ #’imaginarso di parlare con uno spirito; altri infine, fon- dandosi sui della psicologia, risolvo le — 385 — Dew ispirazioni demoniache avvertite da Socrate nelle sugge- stioni del subcosciente, che in tutti i mistiei assumono una speciale vivacità e si presentano all’ introspesione nella forma di un fantasma, di una individualità estrinseca, di cui essi sentono continuamente la presenza negli strati pro- fondi della loro anima. — In un senso analogo a quello . sonofonteo, Goethe chiama demonisco (das Zimonische) la rivelazione del divino nel mondo, I’ inaccessibile che ci circonda e del quale’ sentiamo dovunque l’affiato miste- rioso; esso si manifesta nei modi più diversi in tutta la natura visibile e invisibile, nella pittura, nella poesia e più ancora nella musica « perchè essa sta così in alto cho nessuna intelligenza le si può avvicinare, e gli effetti che produce dominano ciascuno senza che nessuno sin in grado di rendersene ragione ». Cfr. Senofonte, Mem., I, 1v; Pla- tone, 4pol., 31 D; Cicerone, De dirin., I, 54, 122; Fouillée, Hist. de la phil., 1884, p. 74; Luciani, Fisiologia dell'uomo, 1913, vol. IV, p. 499; Eckermann, Gesprioke mit Goethe, ed. Reclam, 1, 207 segg.; II, 166; C. Ranzoli, 1 agnosticiemo nella fil. religiosa, 1913, p. 48 segg. Demoniaci. Setta di erotici cristiani, i quali ritene- vano che alla fine del mondo sarebbero stati salvi ancho i demoni, cioè gli angeli ribelli a Dio. Demonismo. M. Dimonismus; I. Demoniem ; F. Démo- nisme. Con questo nome si designa quello stadio della ev luzione religiosa, in cui i fenomeni naturali sono spiegati come effetto della lotta continua di spiriti, alcuni buoni ed altri cattivi, di cui è popolato il mondo. Il domonismo è anteriore al politeismo; in esso gli spiriti non hanno nome, non hanno forma umana, non hanno storia personale, sono adorati negli alberi, nel vento, nelle nubi. Quando, sotto In spinta del bisogno religioso, egsi acquistano un nome, for- ma umana e storia personale, il demonismo si trasforma in politeismo e in mitologia. Cfr. Durkheim, Les formes élé- mentaires de la vie religieuse, 1912; F. B. Jevons, L'idea di 19 — RANZOLI, Dizion. di seienze filosofiche. DEM-DEO — 290 — Dio nelle religion’ primi dualiemo). Demonstratio quo, dem. quid. Termini della scola- stica, con cui si desigus quell’ argomentazione nella quale si va dall’ effetto conosciuto ancora imperfettamente alin causa, © si trova l’ esistenza della causa ma non la ana na- tura (demonstratio quo, cioè quod est). La natara della causa si scopre per mezzo delle considerazioni della mente, che la confronta con tutte le parti e condizioni dell’ effetto. Dalla causa di cui così si conosce In natura, si argomenta poi all'effetto (demonstratio quid o propter quid) cosicchè tanto nell’ una quanto nell’ altra argomentazione si va dal più al meno noto. Cfr. Goclenius, Le. phil., 1618, p. 504; Rosmini, Logica, 1853, $ 708. Denotazione. I. Denotation; F. Dénotation. Lo Stuart Mill, facendo rivivere una abbandonata distinzione scola- stica, chiama connotativi quei nomi che servono a deno- tare un soggetto o una classe di soggetti, e nello stesso tompo implicano, οοπποίαπο un attributo. Sono connotativi tutti i nomi comuni astratti ο i nomi propri. Cfr. Stuart Mill, System of logic, 1865, vol. I, cap. II, § 5 (v. conno- tatiri). Deontologia (τὸ δέον --- ciò che si deve fare). T. Ixon- tologie, Pflichtenlehre; 1. Deontology; F. Déontologie. O trat- tato dei doveri, è il titolo dell’opera postama del Bentham, nella quale è esposto il suo sistema di morale. Exsondo fine della vita il piacere, cho chiamasi utilità in quanto di- venta regola delle nostre azioni, la misura del valore mo- rale di una azione si dove basare sul valore effettivo che essa ha di promuovero il piacere ο la folicità. « Un piacere © un dolore, dice il Bontham, possono essere produttivi o sterili. Un piscere può essero produttivo di piaceri o di dolori, o di entrambi: per contro, un dolore può esser pro- luttive di piaceri, di dolori, ο di entrambi. Il compito de contologin consiste nel pesarli ο nel tracciare, in , 1914, p. 19 segg. (v. religione. — 291 — Drr-Drs base al resultato, la linea di condotta che bisogna tenere ». In tal modo la scienza morale si riduce tutta al calcolo deon- tologioo. Oggi la parola deontologia è adoperata per designare la teoria dei doveri, e di quelli specialmente relativi ad una data situazione sociale. Cfr. Bentham, /eontology or the mience of morality, 1834 (v. intoresne). Depersonalissasione. F. /)épersonalisation. Fenomeno di sdoppiamento della personalità, che si presenta in vario malattie mentali © in cui il soggetto ha l'illusione di di- venire un altro, pure sentendosi rimanere lo stesso dive- nendo due. Il vocabolo è anche usato per designare quella speciale ossessione, in cui V individuo sente come sparire la propria personalità, perdersi il proprio io. Cfr. Dugas, Un cas de depersonalisation, « Revue philos. », maggio 1898; Bernard-Leroy, Sur Pillusion dite dépersonalisation, Tbid., agosto 1898. Descrittivi (giudizi). Alcuni logici chiaman tali quei giudizi in cui il predicato è una proprietà del soggetto ο snole essere espresso grammaticalmente da un aggettivo. Descrizione. T. Beschreibung; I. Description: F. De- scription. Nella logica designa quella operazione per cui si definisce una cosa dai segni apparenti che sono propri di essa. La descrizione non è una vera e propria definizione, ma una indicazione definiente, ο si uen appunto per quelle nozioni che, o in sè stesse o perchè imperfettamente co- nosciute, non si possono definiro. Minus acourata definitio, descriptio dicta, ea est, secondo i logici di Porto Reale, quae rem facit notam per aocidentia, propria, atque ita determinat, ut nobis possimua illius ideam formare, quae illam ab omni alia re distinguat. Le definizioni della storia naturale sono per la maggior parte indicazioni definienti per carattori estrinseci. Cfr. Logique du Port-Royal, ed. Charles, II, 12; Hamilton, Lectures on logic, 1860, lez. XXIV, pp. 12, 20 (v. definizione, locazione, distinzione, indefinibile, cavatteri- stica). Des — 292 — Desiderio. T. Begehren, Begehrung ; I. Desire; F. Désir. La rappresentazione effettiva di un atto sperimentato di- rettamente o indirettamente come piacevole, il quale tende per conseguenza a rinnovarsi. Il desiderio è quindi qualche cosa di meno generale e di più specifico della tendenza; il desiderio, dice I’ Höffding, non è che una tendenza co- mandata da rappresentazioni chiare. Del resto esso fu va- riamente inteso dai filosofi; per Leibnitz è la tendenza a’ una rappresentazione all’ altra, per Condillac una atti- vità dell’ anima rivolta alla soddisfazione di un bisogno, per Cr. Wolff una inclinazione dello spirito verso un og- getto percepito come un bene. Secondo Kant, la facoltà di desiderare sarebbe la « facoltà di esser causa, mediante le proprie rappresentazioni, della realtà delle rappresenta- zioni stesse ». Per Hobbes è un movimento che si compie nella sostanza cerebrale, «tale movimento si chiama ap- petito ο desiderio quando l’ oggetto è gradevole, avversione quando è naturalmento spiacevole, timore rispetto al dolore che se ne attende »; per Locke il desiderio è « il disagio che si prova per l’assenza di qualche cosa il cui presente pos- sesso reca con sè l'idea di un piacere »; per Bain è « uno stato mentale costituito da un motivo di agire, sia esso un piacere o nn dolore, attuale o ideale, senza averne la capacità; esso è quindi uno stato di intervallo ο sospen- sione tra motivo ed esecuzione »; per lo Spencer è « un sentimento ideale, che si manifesta quando il sentimento reale, a cui corrisponde, non è stato per lungo tempo spe- rimentato ». Il desiderio si distingue dall’ appetito, il quale non è che la tendenza fondamentale a cercare il piacere © fuggire il dolore; e dalla volontà, perchè mentre questa implica l'attuazione del fine, quello è semplicemente la tendenza all’ atto e non ne implica I’ effettuazione. In altre parole, mentre il desiderio è passivo la volontà è attiva; perciò il primo è per il Kant una eteronomia, la seconda una autonomia. Cfr, Leibnitz, Op. phil., Erdmann, p. 714 a; — 293 — Des-beT Condillac, Traité des sens., 1886, I, 3, 1; Wolff, Pryohol. em- pirica, 1738, 6579; Kant, Krit. d. prakt. Vern., ed. Reclam, p. 67; Hobbes, Human nature, 1650, cap. XI, $3; Locke, Human understanding, 1877, II, xx, 6; Bain, Mental and mor. science, 1884, p. 368; Spencer, Princ. of peychol., 1881, 1,$51; Höffding, Psyohologie, trad. frano. 1900, p. 312, 422. Desitive (proposisioni). Si oppongono alle incettire, ed esprimono che una cosa ha finito di essere, o di possedere una dats proprietä,.ad un dato momento. Contengono per- ciò due proposizioni, che possono essere contestate seps- ratamente, e di cui una riguarda lo stato anteriore, I’ altra lo stato posteriore. Determinativo. T. Bestimmend; 1. Determinative; F. Dé- terminatif. Diconsi determinative quelle proposizioni inci- dentali © composte, implicite o esplicite, le quali conten- gono un inciso che ne determina il significato e cho non si può togliere: ad es. l’uomo, che ha commesso delle colpe, merita punizione. Se l’inciso non fa che spiegaro il significato, e può esser tolto, lu proposizione dicesi esor- nativa. Pure nella logica, dicesi determinative 1’ addizione che sumenta la comprensione di un termine semplice, e, quindi, ne restringe l'estensione. Cfr. Logique du Port- Royal, ed. Charles, II, cap. vi. Determinazione. T. Bestimmung; I. Determination: F. Détermination. Indica in generale la specificazione dei caratteri che distinguono un concetto da altri concetti del medesimo genere. Si oppone ad astrazione rerticale, © de- signa 1’ operazione logica con cui si aumenta la compren- sione di an concetto, dimiauendone I’ estensione. Consiste nell’ aggiungere una nota al concetto; ma questa aggiunta non è affatto arbitraria, dovendo tale nota essere compa- tibile colla sostanza logica del concetto. Ad es. al concetto governo si potrà aggiungere la nota costituzionale o asso- luto, ma non la nota verde ο salato. — Dicesi ancora de- terminazione o decisione quel momento dell’ atto volontario, Der — 294 — in cui si risolve il conflitto dei motivi per il definitivo provalere d’ una ides fine. Determinismo. T. Determiniemue; I. Determiniom; F. Déterminieme. Termine di uso recente nel linguaggio filo- sofico, nel quale fa introdotto primitivamente dalla filo- sofia tedesca. Si oppone 4 indeterminiemo ο libertiemo, e designa la dottrina secondo la quale ogni fenomeno, com- preso quello della volontà, è determinato dalle circostanze nelle quali si produce, è l’effetto necessario di una causa, per modo che, dati quegli antecedenti, ne risultano neces- sariamente quei conseguenti. 11 determinismo non è dunque altra cosa che il principio di causalità : le stesse cause nelle stesso circostanze producono gli stessi effetti. Si suol di- stinguere il determinismo cosmico o fisico, dal determinismo psicologico o volontario; il primo riguarda i fenomeni fisici © del mondo esterno, il secondo i fenomeni psichici ο del mondo interno. I] primo è il postulato di tutte le scienze della natura: esse infatti non hanno altro oggetto che In ricerca delle leggi; ora la legge, cioè il rapporto invaria- bile tra due fenomeni, può essere ricercata solo a condi zione che si creda che ogni fenomeno è invariabilmente preceduto, © invariabilmente seguito, da altri fenomeni; ο tale appunto è la formula del determinismo. Nella sua espressione più rigorosa, esso porta a considerare il pas- sato ο l'avvenire come valutabili in funzione del presente, cosicchè, per usare l’ esempio dell’ Huxley, una intelligenza sufticionto « conoscendo le proprietà delle molecole di cui ora composta la nebulosa primitiva, avrebbe potuto predire lo stato della fauna dell’ Inghilterra nel 1868, con pari cer- tezza di quando si predice ciò che accadrà al vaporo della respirazione durante una fredda giornata d’ inverno »; ο, secondo l’esempio non meno celebre del Du Bois-Reymond, si potrebbe dallo stato attuale del mondo conchiudere sia « in qual momento I’ Inghilterra brucerà il sno ultimo pezzo di carbone », sin « chi ora la maschera di ferro », sia tutt'e — 295 — Der duo le cose. Il determinismo volontario non è che nn caso 0 una specie del determinismo universale: esso onuncia che tutte le azioni dell’ numo sono determinate dai suoi stati anteriori, senza che la sus volontà possa cambiare nulla à questa determinazione; l’uomo dunque non ha li bitrio, e, se egli crede di possederlo, non ne possiede che V apparenza. Gli atti volontari sono determinati dal potere impulsivo e inibitorio dalle rappresentazioni : la scelta di- pende dalla rappresentazione che ha impulsività maggiore. Se si potessero conoscero, disse Kant, tutti gli impulsi che muovono la volontà di un uomo, anche i più leggeri, ο prevedere tutte le occasioni esterne che agiranno su lui, si potrebbe calcolare la condotta faturn di questo uomo con quella stessa esattezza con cui si calcola un eclissi di sole o di luna. Si distinguono varie forme di determinismo volontario : il d. teologico, per cui i nostri atti sono un pro- dotto dell’azione divina, della predestinazione, della grazia, della provvidenza; il d. intellettualistico, detto anche pei- cologico, che ripone l’asione determinativa nell’ intelligenza, facendo di ogni atto la pura conseguenza di un giudizio, cosicchè l'atto è buono o cattivo a seconda che il giudizio è logicamente retto o errato; il d. sensistico 0 sensualistico. che fa delle sensazioni |’ unica causa necessaria degli atti; il d. idealistico, nel quale |’ idea in sè, nssoluta, agisce libe- ramente e determina gli atti umani senza vincolo alcuno con la resltà materiale. Molte volte si è confuso e si con- fonde il determinismo col fataliemo : ma mentre in questo gli avvenimenti sono predeterminati ab eterno in mod no- cessario da un agente esteriore, in quello il potere è col- locato nell’ agente medesimo; in altre parole meutre nel fatalismo la nutura è sottomessa ad una necessità trascen- dente, nel doterminismo la necessità è immanente e si con- fonde con la natura stessa. Oltre al determinismo per il quale il conseguente è determinato dai suvi antecedenti ο } insieme dalle sue parti, che è il determinismo meoeamico, το ar-Der-Dia — 296 — Claudio Bernard ha mostrato che per spiegare gli orga- niemi viventi bisogna faro appello a un’ altra specie di de- terminismo, ove l’ insieme determina le suo parti e il con- seguente i suoi antecedenti; questo determinismo nuovo, che il Bernard chiama un determinismo superiore, si può anche chiamare un determinismo finalista. Cfr. Kant, rit. d. reinen Vern., ed. Rechun, p. 481 segg.; Laplace, Introd. à la théorie dea probabilités, 1886 ; CI. Bernard, Introduotion à Pt. de la physiol., 1865; Fouillée, La liberté οἱ le détermi- nisme, 1873; A. Hamon, Déterminieme et responsabilité, 1898; A. Lalaudo, Note sur Vindétermination, « Revue de métaph. », 1900, p. 94; Petrone, I limiti del determiniamo scientifico, 1900; Ardigò, La morale dei positiviati, 1892, p. 118 segg. (v. au- tonomia, contingenza, equazione, indeterminismo, predetermini- smo, libero arbitrio). Determinismo economico v. materialismo storico. Dialettica (διά — attraverso, λέγω — raccolgo). T. Dia- lektik; I. Dialectic; F. Dialeotique. Per gli antichi era |’ arto di raggiungere © cogliere il vero mediante la discussione delle opinioni. Infatti Platone, nel Cratilo, dice: « colui che sa interrogare e rispondere, come lo chiameremo, se non dialettico » E Aristotele, nella metafisica: « la dialettica tasta, dovo la filosofi conosce ». Non va dun- que confasa con la Logica (quantunque nel medio evo de- signasse appunto la logica formale per opposizione alla retorica) che è una scienza vera e propria, la scienza del ragionare. La dialettica non è che un’ arte polemics, con la quale si apre la via alla scienza; essa muovo dalle opi- nioni comuni intorno ad un dato oggetto, le prova sl mar- tello della critica, ne mostra lo lacnne, le difficoltà, gli errori, in modo da apparecchiare il terreno alla indagine scientifica. — Nell’ emanatismo di Proclo il principio dia- lettico è quello in base al quale si altera In derivazione logien del particolare dall’ nniversale, della pluralità dal- l'unità; tale derivazione implica da un Into la somiglianza — 297 — Dia del particolare all’ universale e quindi la permanenza del- l'effetto nella causa, dall’ altro la contrapposizione di que- sto prodotto come qualche cosa di nuovo e indipendente, € infine, per questo rapporto antitetico, la tendenza del particolare alla sua origine; i tre mumenti del processo dialettico sono dnnque il persistere, il derivare, il ritor- nare, ossia unità, differenza © unità del differente. — Nel razionalismo di Abelardo la dialettica ha per compito di distinguere il vero dal falso; quindi, mentre per Anselmo la dialettica si limita a rendere comprensibile all’ intelletto il contenuto della fede, per Abelardo essa ha anche il di- ritto critico di decidere, nei casi dubbi, secondo le sue regole: così nel suo seritto Sic et mon egli oppone luna l’altra le opinioni dei Padri, per distraggerle a forza di dialettica e per trovare infine ciò che è «degno di fede in ciò che è dimostrabile. — Per Pietro Ramo la vera din- lettica ha anzitutto per compito di scoprire ciò che può la natura 6 come essa procede nell’ impiego della ragione, poscia di insegnare ad esporre con ordine, metodo ed elo- ganza il proprio pensiero: « In tal modo la dinlettica, dopo esser stata allieva della natura, ne diventerà per così dire la maestra; poichè non v’ha natura così ener- gica © forte, che non lo diventi ancora più medianto In conoscenza di sè ο la descrizione delle proprio forze; ο non v’ha natura così debole e Innguente che non possa, col soccorso dell’ arte, acquistare maggior forza ed ar- dore ». — Kant, nella terza parte della Critica della ra- gion pura, che egli chiama Dialettica trascendentale, esamina l'illusione naturale che ci spinge alla metafisica, cioè a cercare l’Assoluto e penetrare nel regno dei noumoni; la fncoltà che ci spinge a ciò è la Ragione, la quale può mantenersi entro i limiti dell’ esperienza, ridncendo alla maggiore unità possibile In molteplicità delle cognizioni, ma può anche pretendere di trarre da concetti puri delle cognizioni sintetiche, indipendentemente du ogni intui- Dia zione; è in questo modo che sorge la dialettica, cioè la metafisica dogmatica, ed è in questo modo che la ragione diventa trascendente. Quindi per Kant la parola dialettica significa non solo |’ illusiono della ragione, ma anche lo studio e la critica di codesta illusione. — Per Schleier- macher la dialettica è la dottrina del sapere in quanto diviene, la filosofia. Ogni sapere è volto a rilevare l’iden- tità del pensiero e dell’essere; ma nella coscienza umana essi procedono separati come fattore ideale ο fattore reale di essa, come concetto ¢ come intuizione, come funzione organica e funzione intellettuale; solo il loro piono ac- cordo darebbe la conoscenza, perciò tale accordo, non mai pienamente raggiunto, rappresenta lo scopo assoluto, incondizionato, remotissimo, del pensiero, il cui sapere vuol diventare, ma non mai diventa, completo. La dialettica, come dottrina del sapere che diviene, suppone però In realtà di tale scopo irraggiungibile dal nostro pensiero : questa realtà, identificazione del pensiero con l'essere, Dio. — Per 1’ Hegel la dialettica è « I’ applicazione scienti- fica della logica inerente alla natura umans »; siccome poi le forme del pensiero sono le forme del reale, così la dialet- tica è « la vera e propria natura delle determinazioni del- l’intelletto, delle cose e, in modo generale, di tutto il finito »; 0488 consiste essenzialmente nel riconoscere |’ inseparabilità dei contradditori e nello scoprire il principio di codesta unione in una categoria superiore. Egli chiama momento dia- lettico sia la contraddizione stessa, sia il passaggio da un ter- mine all’altro di codesta contraddizione. — ll Balnsen chiama dialetticg reale la contraddizione posta nella stessa essenza delle volontà individuali (nelle quali la realtà si ri- solve) per cui uns è sdoppiata in sè stessa, essendo con ciò irrazionale e infelice; tale contraddizione è inaccessibile al pensiero logico, il quale per tal guisa è incapace di ab- bracciare un moudo che consiste nella volontà contraddito- ria di sè; ciò rende impossibile anche la liberazione parziale — 299 — Dia ammessa da Schopenhauer, e quindi la volontà in indistruttibile dovrà soffrire indefinitamente in esistenze sempre nuove il tormento di questa autolacerazione. — Il Gourd chiama dialettica la serie delle fasi successive per- corse dallo spirito che, allontananilosi per gradi dalla co- scienza primitiva, costruisce progressivamente il mondo della scienza, quello della morale e quello della religione. Il Rosmini distingne il dianoetioo dal dialettico: quello è ciò che la mente suppono nelle sue operazioni, e che non è tale in sè stesso, cioè prescindendo dall’ operazione della mente; questo è ciò che Ia mente produce nolle cose in sé essenti, per modo che la mente stessa concorre colle sue operazioni a fare che la cosa sia tale in sè stessa com'è. Quindi, mentre il dialettico è il prodotto di una mera fin- zione mentale, il dianoetico è il prodotto vero di una cau- sazione. Cfr. Senofonte, Memor., IV, 5, 12; Platone, Sof., 258, C, D; Republ., 598 E, 534 B; Aristotele, Anal., I, ıv, 468; I, v, 77 a; Metaph., Il, 1, 995b; H. Kirchner, / Prooli metaphysica, 1846; Abelardo, Dialeotica, ed. Cousin: P. Ramus, Institutionen dialeoticae, 1549; Sobleiermacher, Dialektik, 1908; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 88 segg.; Hegel, Enoycl., $ 10, 81; Hartmann, Ueber die dialektische Methodo, 1868; Jal. Bahnsen, Der Widerpruch im Wisson und Wesen der Welt, 1881; J. Gourd, Les trois dia- leotiques, « Revue de metaph. », 1897, p. 1-9; Rosmini, Idcologia, 1858, t. IV, pag. 313 segg.; F. De Sarlo, Un ri- torno alla dialettica, « Cultura fil. », febbraio 1907 (v. con- traddizione, divenire, oriatica, ironia, maieutica). Diallelo (ἀλλήλων - ’uno per l’altro, mutunmente). Ha due significati un poco diversi; nel linguaggio degli scettici antichi esso è uno dei tropi ο motivi di dubbio, ο consiste in ciò che non è possibile la dimostrazione di alcun prin: cipio, di alcuna verità, perchè In dimostrazione deve fou- darsi sopra un criterio, e il criterio ha esso pure bisogno di essere dimostrato. Più tardi il significato della parola Dis-Dic — 300 — 8’ à venuto generalizzando, cosicchè con essa si intende ora qualsiasi circolo vizioso, qualsiasi definizione d’ una cosa per sò stessa. Cfr. Prantl, Geschichte der Logik, 1855, I, 494. Dibatis. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa uno dei modi della quarta figura del sillogismo, che ba la maggiore e la conclusione particolari affermative, la minore universale affermativa. Esso si riconduce al Dabitis della prima figura. Dicotomia. T. Dichotomie: I. Dicotomy; F. Dichotomie. E l'argomento attribuito a Zenone di Elea, e col quale egli voleva dimostrare che se |’ essere è multiplo, deve cesere infinitamente grande e composto di un numero in- finito di parti. Infatti ciascuna delle parti dell’ essere deve avere una grandezza ed essere separata dalle altre; ora, siccome lo spazio è il luogo dei corpi, e il vuoto non può quindi esistere, è necessario che tra codeste parti separate altre ne esistano per separarle; e tra queste altre ancora, ο così via via all’ infinito. Egli perciò concludeva che la pluralità è impossibile e che non esiste che I’ unità. — Nella logica dicesi dicotomia la divisione che consta di due soli membri dividenti. Ogni divisione può essere ridotta a una dicotomia per opposizione logica, ponendo come primo membro il genere con l’ aggiunta di una differenza speci- fica e contrapponendo a questo il genere stesso più la ne- gazione di quella; ad es., gli animali sono vertebrati o non vertebrati. La dicotomia si può fare ancora per distinzione, quando il fondamento della divisione non consente che due modalità: ad es. gli orgunismi sono piante o animali. Cfr. Aristotele, Physica, V, 9; Plutone, Polit., 262 A; Masci, Logica, 1899, p. 304 seg. Dictum de omni aut de nullo. E la formola con cui gli scolastici esprimevano il principio fondamentale del sillogismo, traducendo l’ espressione aristotelica: κατὰ πάντος À μηδενὸς κατηγοραῖσθαι. Esso significa che: ciò che si afferma di un tutto molteplice, si afferma pure dei Dip-Drr singoli, e ciò che di un tutto molteplice si nega, si nega anche dei singoli. Cristiano Wolff lo formula più esplici- tamente così: Quicquid de genere vel specie omni afirmari potest, illud etiam afirmatur de quovis sub illo genere rel illa specie contento: quioguid de genere vel specie omni negatur, illud etiam de quovis sub illo genere vel illa specie contento negari debet. A questo principio altri preferiscono quollo proposto dal Kant: nota note est nota rei ipsins; questo principio però è la stessa cosa di quello aristotelico, che cioè: ciò che si afferma si nega del predicato si affer- merà o negherà pure del soggetto. — Gli stessi scolastici, con l’espressione: a dicto simpliciter ad dictum secundum quid, e viceversa, designavano quella specie di sofisma di ragionamento, che consiste nel passare dul senso assoluto di un termine al relativo, e dal relativo all’ assoluto; ad es. una piccola dose di stricnina può essere salutare (a dioto secundum quid) ina non ne deriva che la stricnina, in qua- lunque dose, sia una sostanza benefica (ad dictum simp! citer). Cfr. Aristotelo, Topie., I, 3; Reth., I, 2, 3, II, 1, 22; Cr. Wolff, Philos, rationalis sive logica, 1732, $ 346 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 253; Rosmini, Logica, 1853, p. 166 segg. (v. rillogismo). Didattica. 1. Didaktik ; I. Didaotios; F. Didactique. 1 signa propriamente la scienza dell’ insegnamento; stingue dunque dalla pedagogia, che è vocabolo assai più recente e il cui significato odierno fu espresso in passato con In parola diduttica. La didattica si divide in due parti: una generale, che tratta della scuola, dei suoi fini, del suo ordinamento, dei suoi metodi ; l’altra particolare, che ri- guarda le singole materie d'insegnamento (v. pedagogia, pedologia). Differente. T. Perschieden; I. Different; F. Different. Si dice di un'entità che possiede qualche cona di comune con un’altra, ma che ha pure qualche cos di proprio, per cui si distingue dall’ altra: questo proprio è la difere Dir — 302 — Il differente si distingue dal diverso, che si adopera per di- stinguere due entità senza però indicare che differiscono in qualche cosa ο in tutto tra esse. A designare poi la più generale varietà che possa notarsi tra lo entità, fu adope- rato nella terminologia scolastica il termine altro, che signi- fied il fatto di entità che non variano punto di essere, ma variano di semplice relazione. Cfr. Aristotele, Met., V, 10, 1018 b, 1 segg.; Hume, Treatiee on human nature, 1874, I, seg. 5, p. 27 (v. alterità). Differenza. Gr. Διαφορά; T. Unterschied, Liferenc ; I. Difference ; F. Différence. Tutto ciò che serve a distinguere una cosa da un'altra, un concetto da un altro. Si suol distinguere in formale e materiale: quella è il più che ri- sulta dal paragone di un concetto meno astratto con un altro più astratto, questa il più che risulta dal paragone di due quantità. Gili scolastici distinguovano ancora la difie- tonza in: oostitutica, che è quella onde un dato genero si costituisco; dibisiva, quella per la quale un genere si divide; communis, la semplice differenza di luogo ο di tempo, per cui una cosa differisce da sò ο dalle altre; propria, 1’ ncoi- dente inseparabile dal soggetto, per il quale differisce dal resto; propriissima o maxime propria, quella per la quale un essore è essenzialmente distinto dagli altri. — 11 metodo della differenza è uno dei quattro metodi di riceren induttiva sug- xeriti dal Mill. Esso consiste nel paragonaro i casi in cui un fenomeno avviene con altri, simili nel resto, in cui quello non avviene, e si fonda su questo canone logico: se un caso nel quale il fenomeno da osaminarsi s' avvera e un caso in coi il medesimo non si verifica, hanno comuni tutte le circostanze ad eccezione d’una sola € questa s’ incontra soltanto nel primo caso, questa circostanza per In quale soltanto i due casi differiscono è l'effetto o la causa ο una parte nocessaria della cansa del fenomeno. Eeso riposa sul principio, che tutto che non può essere eliminato è collegato al fenomeno 1 rapporto di enusalità, ed è molto utile quando con l'esperimento si può riprodurre, modificondola, una serie di fenonieni. Così, nelle esperienze fisiologiche, il taglio della fibra essendo seguito dall’ assenza della sensazione nonostante In presenza dello stimolo, prova che la conti- nuità della fibra è parte essenziale della causa della scn- sazione. Ma quando la produzione e la soppressione della causa non è in nostro potere, o quando la soppressione della cansa trae con sò necessariamente il subentrare d’una causa nuova, al metodo di differenza si deve sostituire quello di concordanza, o quello di concordanza e differenza riunite. — Dicesi differenza specifica quell’ insieme di qua- lità per cui una specie ai distingue da un’ altra, apparte- nente allo stesso genere. Essa perciò riguarda la connota- zione delle idee: ciò che alla connotazione del genere si deve aggiungere per avere la specie, costituisce la differenza spe- cifica. Nell’ idea di uomo, che è connotata dall’ idea di ani- male (genere), la differenza specifica à data dalle qualità di ragionevole, a posizione eretta, ecc. Cfr. Stuart Mill, System of logic, 1865, III, cap. 8; Masci, Logica, 1899, p. 284 segg. Differenza personale v. equazione personale. Differensiamento. T. Diferenzierung; I. Differentia- tion; F. Différenciation. Una delle leggi che reggono I evo- luzione stories del mondo organico. Essa esprime tanto la tendenza comune a tutti gli esseri del mondo organico di avolgersi differentemente in grado sempre più elevato, e di ullontanarsi perciò dal tipo comune primitivo, quanto il risultato di tale operazione. Il differenziamento è tanto fisiologico, ossia divisione di lavoro, quanto morfologico, ossia divisione di forma. Secondo il Darwin tale tendenza ha la sua causa nella lotta per In vita. Cfr. Spencer, Firat principlos, 1884, cap. XV. Dilemma (31ç— due volte, λήµµα- - proposizione). T. Di- lemma; I. Dilemma ; F. Dilemme. Forma di argomentazione, che consiste nel porre l'avversario tra due alternative dalle quali si cava una conelnaiono medesima e contraria all'av- Dim — 304 — versario stesso, che per ciò non ha più via d’ uscita. Di- cesi anche argomento cornuto, e le due proposizioni corna del dilemma; se invece di duo le proposizioni sono tre si ha il trilemma, se quattro il quadrilemma, ecc. Ha due forme fondamentali: nella prima, detta modo ponente ο di- lemma di costruzione, la premessa maggiore ipotetico-con- giuntiva stabilisce una conseguenza unica per tutti i casi possibili dell’ ipotesi, la minore mostra che non sono pos- sibili altri casi fuori di quelli considerati, la illazione af- ferma la necessità della conseguenza ; nella seconda, detta modo tollente ο dilemma di distruzione, la maggiore è ipo- tetico-diegiuntiva ο determina tutte le conseguenze possi- Lili dell ipotesi, la minore è remotiva e mostro che nessuna di esse è possibile, la conclusione nega quindi la validità dell’ ipotesi. Schema della prima: tanto se è «4, quanto se è Bo C.... à M; ma à 4 0 Bo C; dunque à M. Schema della seconda: se M è, d0 4 0 BoC; ma non è A, nè B, nè C; dunque non è M. Perchè il dilemma sia valido occorre che la disgiunzione sia completa e siano considerati tutti i casi possibili; ο che il rapporto di condizione a condizionato sia vero © necessario, cosicchè la conclusione non si possa ritorcere. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1885, I, 110: Masci, Logica, 1899, p. 266 segg. Dimaris o Dimatis. Termine di convenzione mnemo- nica, con cni nella logica formale si designa quel modo della quarta figura del sillogismo, nel quale la maggiore © la conclusione sono proposizioni particolari affermative, la minore universale affermativa. Es. Qualche azione vir- tuosa resta senza premio. — Tutte le azioni virtuose sono lodevoli. — Dunque qualche cosa che è lodovole rimane senza premio. Si riconduce al modo Dari della prima figura mediante la trasposizione delle premesse e la conversione semplice della conclusione. Dimensione. T. Dimension: I. Dimension; F. Dimen- sion. Nella geometria designa nna grandezza renlo che, si — 305 — i Dim-Dix sola sia con altre, determina la grandezza d’una figura misurabile. Nell’ aritmetiea generale designa un numero reale, che è uno degli elementi costitutivi d'un numero complesso. Dimostrazione. ‘I. Demonstration, Boweis ; I. Demon- atration: F. Démonstration. 11 ragionamento mediante il quale si verifica quali conseguenze dipendono da certe pre- messe, © da premesse vere si deduce la verità di una con- clusione : le premesse diconsi argomenti, la verità da dimo- strarsi tesi 0 teorema. A seconda del modo di derivazione può essere diretta ο indiretta : nel primo caso la derivasione è dai principi e dalle cause reali, nel secondo dalla im- possibilità del contradditorio. La diretta pnd essere dedut- tiva, induttiva, entimematica, analogica ; la indiretta può avere la forms contradditoria e la disgiuntiva. La indiretta dicesi anche apagogioa © riduzione all’ assurdo. Si dice di- mostrazione ad hominem quell’ artifizio della discussione per cui si parte da un principio, non in quanto sia vero in sè, ma in quanto è ritenuto vero dall’ avversario, cosicchè questo è costretto ad accettaro la tesi se non vnol cadere in contraddizione con sè stesso. Cfr. Lotze, Logik, 33 od. 1881, p. 271; Rosmini, Logica, 1853, $ 539 segg. (v. demon- atratio, entimema, analogia, apagogia, prora). Dinamica. T. Dynamik; I. Dynamics; F. Dynamique. Quella parte della meccanica razionale che studia la com- posisione dei moti a cui danno luogo le forze motri l’altra parte è la sfatioa, che stadia invece la composi- zione delle forze (indipendentemente dai moti che sono ca- paci di produrre) considerate come grandezze e riferite ad una unità di misura della medesima specie. La dinamica si distingue alla sua volta in cinetica, che studia la com- posizione dei moti relativamente alla traiettoria, che essi determinano nello spazio, ed in energetica, che studia la composizione dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre lavoro. Metaforicamente 1’ }ler- 20 — RanzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. Dix . — 306 — bart chiama dinamica degli stati di coscienza il loro rap- porto allo stato di trasformazione © di movimento, © il Comte dinamica sociale il progresso delle società umsne. Dinamismo. T. Dynamismus; I. Dynamism; F. Dyna- misme. Ogni sistema filosofico che pone come sola realtà le la forza, riducendo la materia a un semplice centro inesteso di forza, © spiegando la diversità ο l’ ar- monia del mondo mediante le leggi della forza. Si oppone al meccanismo, che pone come distinti l'essere e In forza, , considerando il primo come passivo rispetto alla seconda, la quale agisce su di esso dal di fuori; il meccanismo ri- duco quindi tutti i fenomeni naturali al movimento della materia ponderabile ed eterea. È nn dinamismo il sistema del Leibnitz, che considera |’ estensione come una pura astrazione ο riduce la materia alla monade, forza semplice, originaria, differenziata in sò stessa, considerando pure l’anima come una monade o una forza. Una moderna forma del dinamismo è 1’ energismo (Ostwald) che considera l’ener- gin come una vora e propria sostanza, come |’ unica resltà, © si distingue dal dinamismo perchè al concetto antropo- logico di forza sostituisce quello scientifico di energia, e dal meccanismo perchè nega la realtà della materia e la riduce all'energia. Cfr. W. Ostwald, Chemische energie, 1893 ; Die Überwindung d. wissenschaft. Materialiemue, 1895 (v. at- tiviemo, attualismo, mobilismo, meccanismo). Dinamogenesi. T. Dynamogenetisch ; I. Dynamogenetio ; Dynamogène. Generazione della forza. Deve intendersi senso relativo, cioò il passaggio dell’ energia dallo stato potenziale allo stato attuale; unn generazione di forza dal nulla contrasterebbe col principio della conservazione del- Vonergia. — Nella psicologia dicesi logge della dinamogenesi, quella per cui ogni stato di coscienza tende a continuarsi in un movimento. Questa legge costituisce il fondamento dello moderno dottrine fisio-psicologiche sulla volontà, la quale si considera come il risultato di due forze antago- Dix-Dro nistiche; un movimento è eccitato ο inibito per l'azione dinamogenetica del piacere ο inibitoria dol dolore, secondo comporta l’esperienza per la quale l’individuo distinguo il danno dall’ntile. Cfr. Ardigd, Opere fil., V, p. 503 segg.; VI, 213 sogg. (v. ideeforze). Dinamometro. Strumento destinato a misurare le forze, 6 quindi il lavoro che producono. Si conoscono varie specie di dinamometri, che si fondano però tutti sullo stesso prin- cipio. La parte essenziale di essi è costituita da una molla di cui si può notare la flessione; ogni forza che, applicata allo strumento,. produce la stessa flessiono di un peso di n chilogrammi è detta una forza di » chilogrammi. Appli- cando all’ apparecchio stesso un grafografo, si ha il dina- mografo, il quale traccia schematicamente il gra di forza © di tonicità muscolare e indica il grado di perfezione del senso muscolare. Cfr. Année psyohologique, 1899, p. 337 segg. Dio. T. Gott; I. God; F. Dieu. La natura di Dio, la sua esistenza, i suoi rapporti col mondo, i suoi attributi, farono e sono concepiti in modi infinitamente diversi nelle varie religioni e nei sistemi filosofici. Quasi tutti, è vero, lo considerano come 1’ Ente supremo, del quale è impos- sibile pensare il maggiore ; ma quest’ Ente pnd essere con- cepito come creatore del mondo (creazioniemo, emanatismo) © come un semplice ordinatore della materia, osistente ab eterno come lui, © per il cui ordinamento si vale d’un intermediario (demiurgo); può essere concepito come im- manente al mondo, con la cui sostanza è identificato (pan- teiemo), e come trascendente il mondo, du cui è sostanzial- mente distinto; si può negargli ogni azione sul mondo e sull’ uomo (deismo, epioureismo), 9 si può farne un'entità personale, intelligente, che interviene incessantemente negli avvenimenti naturali ed umani (teismo, proveidenca) ; si può credero in una divinità unica e soln (monoteismo), o in vu’ unien divinità in tre persone (triploteismo, mistero della trinità), o in dno divinità di cui una rappresenta il prin- Dio — 308 — cipia del bene, l’altra quello del male (dualismo, mani- oheiemo) ο in più divinità fornite di diversi attributi ο ge- rarchicamente disposte (politeiemo); si può oredere che la sua esistenza non abbia alcun bisogno di essere in alcun modo provata, in quanto I’ intuizione di Dio è conereata alla nature intelligente, così da essere il fondamento e Pinisio di ogni altra cognizione (ontologismo), ο si può so- atenere I’ incapacità della ragione umana a dimostrare tale verità, che essa deve ricevere dalla rivelazione ὁ dalla tra- dizione che la trasmette (rivelacioniemo, tradisionalismo), ο si può invece dimostrarne l’esistenza sia con argomenti a priori (ontologico, ideologico, morale) sia con argomenti a posteriori (metafisico, teleologico ο cosmologico). Quanto al modo come Dio fu concepito dai principali filosofi, per So- crate esso è uno, immenso, eterno, presente nel mondo come l’ anima è presente nel corpo: « esso vede nello stesso tempo tutte le cose, comprende tutto, è presente ovunque e voglia sopra ogni cosa ». Per Platone è l’idea del Bene, l’iden più elevata a cui tutte le altre αἱ subordinano come mezzo © quindi la causa finale di ogni accadere. Per Aristotele è il primo motore immobile, la forma più alta © il fine più alto, che muove ogni cosa non per impulso meccanico ma per 1’ irresistibile attrattiva della sua bellezza; esso è una attività che risiede puramente in sò stessa, ossia il pen- siero puro, che non richiede niente altro come oggetto ma che ha sè stesso per contenuto sempre uguale, dunque il pensiero del pensiero; con ciò Aristotele pone lo basi del monoteismo spiritualistico, giacchè Dio è posto come Es- sore antocosciente distinto dal mondo e come I’ elemento immateriale. Per gli stoici è la forza originaria univer- sale, in cui sono contenute parimente la causalità e la fina- lità di tutte lo cose e di tutto I’ accadere; come forza pro- Auttrice © formatrice Dio è la ragione seminale, il principio della vita cho si svolge nella molteplicità dei fenomeni, e in questa funzione organica Dio è anche In ragione cho — 309 — Div crea e guida secondo uno scopo e quindi, rispetto a tutti i processi particolari, è la provvidenza sovrana. Nel neo- platonismo è 1’ essere primitivo assolutamente trascendente, l’unità perfetta snperiore anche allo spirito, intinito, in- comprensibile, inesprimibile. Per S. Agostino è 1’ unità as- soluta, la verità che tutto abbraccia, 1’ Essere supremo, la suprema bellezza, il supremo bene: « Prendete questo ο quel bene particolare, 9 vedete lo stesso Bene se po- tete; così voi vedrete Dio, che non è buono per un altro bene, ma che è il Bene di tutto cid che è buono ». Per Scoto Erigena è l'essenza sostanziale di tutte le cose, i quanto possiede in sò stesso le vere condizioni dell’ essere: « Nulla di ciò che è, è veramente in sò stesso; Dio solo, che solo è veramento in sè stesso, dividendosi in tutte le cose, comunica ad esse tutto ciò che in esse risponde alla vera nozione dell’ essere ». Per Nicolò Cusano è I unità di tutti gli opposti, la coincidentia oppositorum, 1’ aseoluta realtà in cui le possibilità sono realiszate come tali, mentro ognuno dei molti finiti è solamente possibile in sè, ο reale solamente per lui; in ognuna delle sue manifestazioni il Deus implicitus unico è insieme il Deus explicitus diffuso nella molteplicità, il finito ο l’infinito, il massimo e il mi- nimo. Per Boehme è il primo principio e la causa del mondo, il quale non è che l’essenzialità di Dio stesso fatta creatura; ugualmente per Giordano Bruno, Dio è la causa formale, efficiente ο finale dell’ universo, l'artista che agisce senza interazione e trasforma il suo interno in vita rigogliosa. Per Cartesio è 1’ ens perfeotisnimum, 1’ essere i finito che lo spirito umuno comprende con certezza intu tiva nel suo proprio essere imperfetto ο finito. Por Spinoza è l'essenza universale delle cose finite, 1’ ens realissimum che consta di infiniti attributi, ma che non esiste se non nelle cose, come loro essenza generale, e nel quale tutte le cose esistono, come modi della sua realtà. Per Male- branche Dio è il ἔκορο degli spiriti, come lo spazio è il Inogo Dir — 310 — dei corpi ; ogni conoscenza umana à una partecipazione alla ragione infinita, tutte le idee delle cose finite non sono che determinazioni dell’ iden di Dio, tutti i desideri rivolti all’individusle non sono che partecipazioni all’ amore di Dio come principio dell’ essere e della vita. Per Leibnitz è lu monade centrale, la monde suprema nella serie ininter- rotta che va dalle più semplici fino agli spiriti, e che pere rappresenta 1’ universo in tutta la chiarezza e la distin- zione. Per Fichte è I’ Io universale assolutamente libero, l'ordinamento morale del mondo; per Scheiermacher è l'identità del pensiero con Vessere, che, in quanto tale, non può ossere oggetto nè della ragione teoretica nd della ra- gione pratica, ma che tuttavia costituisce lo scopo usso- luto del pensiero ; per Schelling è la ragione assoluta 0 l'indifferenza di natura e di spirito, di oggetto e soggetto, perchè il principio più alto non può essere determinato nè realmente nd idealmente e in esso debbono cessare tutti i contrasti; per Hegel è lo spirito ussoluto, 1’ Idea, delle oui determinazioni il mondo è uno svolgimento. Cfr. 8. Rei- nach, Der Ursprung des Gottesidee, 1912; Allen, Grant, The- evolution of the idea of God, 1897; F. B. Jevons, L'idea di Dio nelle religioni primitive, trad. it. 1914; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, passim (v. assoluto, ateismo, agnosticismo, creazione, essere, fede, fideismo, pan- teismo, teismo, ecc.). Diplopia. T. Doppelsehen ; I. Diplopia; F. Diplopie. Ano- malia della visione, che consiste nel vedero gli oggetti doppi. Ciò deriva dal mancato parallelismo degli assi vi- suali, per cui l’iminagine dei due oggetti, che si produce sul centro della macchia gialla, non è quella di uno stesso punto dell'oggetto. Dicesi unche ἀΠίοροία. Dicesi diplopia monoculare la visione doppia degli oggetti con un solo oc- chio in determinate condizioni ; secondo G. Miiller essa di- pende dai diversi campi di fibre di cui si compone ciascuno strato del cristallino; secondo Brücke dalla aberrazione di — 311 — Dir sfericità dello superfici dell’ apparecchio diottrico ; secondo Verhöff dalla aberrazione stessa associata a un certo grado di astigmatismo, Cfr. Helmholtz, Handbuch d. physiol. Optik, 2° ed. 1886-96 ; Techering, Optique physiologique, 1898. Diritto. T. Recht; I. Right; F. Droit. In generale è tutto ciò che è permesso, sis moralmente, sia dalle leggi scritte ο dai regolamenti riguardanti gli atti considerati, virtà di una espressa dichiarazione o anche del prin- cipio che ciò che non è proibito è permesso. Già l’Ali- ghieri lo definì come realie ot personalis hominis ad homi- nem proportio, quae servata hominum sorvat socictatem, et corrupta corrumpit. Positivamente αἱ può definire come quel- Y insieme di norme irrefragabilmente obbligatorie, le quali, munite di sanzione e fatte valere dall’ autorità dello Stato, regolano le azioni degli individui e dei gruppi sociali, allo scopo di assicurare il rispetto, la retribuzione, il soccorso reciproco e la subordinazione delle persone nei rapporti più importanti della vita sociale; più brevemente, il diritto è una facoltà o pretesa cut la legge ο la consuetudine assi- curano un carattere ooattivo, per il caso che venga di- sconosciuta. Il diritto presuppone il dovere e viceversa: ad ogni dovere in una persona corrisponde un diritto, il diritto necessario per il compimento di questo dovere. Ca- rattere essenziale di entrambi è che implichino la respon- sabilità. Dicesi diritto naturale quello assolutamente intrin- seco alla natura umana, e che quindi non può esser tolto in nessun modo; diritto positivo quello che risulta da una convenzione e non esiste se non in forza di questa. Per diritto naturale s'intende anche il diritto virtuale, e por diritto positivo quello riconosciuto fissato e garantito. Il problema del diritto naturale sorge con la sofistica greca, quando 1’ esperienza della vita pubblica e la conoscenza delle differenti legislazioni dei diversi popoli, spinse u ri- cercare se esiste qualche cosa di valido sempre ὁ dovun- que; © poichè i filosofi anteriori avevano chiamato natura, Dir — 312 — φὺσις, l'essenza delle cose eternamente uguale sotto tutti i cangiamenti, così si argu) che da questa. natara sia de- terminata anche una legge superiore ad ogni cangiamento © differenza, ben distinta dai precetti fondati per conven- zione umana © validi solo temporaneamente © in un am- bito ristretto. Nel diritto romano questa legge naturale è poi definita quod natura omnia animalia doouit, e il diritto delle genti quod naturalie ratio inter omnes homines consti- init. Per 8. Tommaso il principio fondamentale del diritto naturale è il bisogno della socialità, essendo l’uomo ma- turaliter animal sociale; lo stesso principio vale, più tardi, anche per il Grozio, che fa consistere il jus mafurale in ciò che la ragione conosce come in un armonia con la na- tura socievole dell’uomo e che quindi è deducibile da essa. Per Hobbes il diritto naturale è la libertà che cisseuno possiede di adoperare ad arbitrio la propria potenza per la conservazione della propria natura, e quindi di faro tutto quelle cose, che sembrano condurre a tale scopo : « Nello stato di natura è permesso di fare a ciascuno ciò che @ lui piace; nulla di ciò che l’uomo può fare è in sè stesso ingiusto ; 4ο una persona danneggia un’altra, non esistendo tra esse alcun patto, si potrà dire che quella fa torto a questa, ma non che le faccia un’ ingiustizia ». Ana- logamente, per Spinoza il diritto naturale è In stessa po- tenza della natura: Ezistit unuaguisque summo naturae jure, et consequenter summo naturae iure unuaquisque oa agit, quae ex suae naturae necessitate sequuniur; atque adeo summo na- turae iure unusquisque iudicat, quid bonum, quid malum sit, suacque utilitate ex suo ingenio consulit, seseque vindioat, et id, quod amat conservare, et id, quod odio habet, destruero conatur. Per Locke il diritto è una potenza morale; il di- ritto naturale ha tre gradazioni : ins strictum, che si esprime col comando neminem ledere; probitas ο equità, col comando suum ouiquo tribuere; pistas col comando honeste vitere. Per Kant e per Fichte il principio del diritto naturale è — 313 — Dir la reciproca limitazione delle sfero di libertà nella vita esteriore degli individui, cosicchè, per usare lo parole di Fichte « io debbo riconoscere in ogni caso fuori di me l'essere libero come tale, debbo cioè limitare la libertà mia mediante il concetto della possibilità della libertà sua ». L’Herbart fonda il diritto sopra l’iden pratica della di- sapprovazione che consegue alla perturbazione dei rapporti armonici tra la propria volontà e l’altrai; il diritto è per- ciò « l’ unanimità di più voleri, pensato come regola che evita i conflitti ». Per il Wundt il diritto, al pari del lin- guaggio, del mito e del costume, coi quali da principio è strettamente connesso, non è il risultato di un accordo ar- bitrario, « ma un prodotto naturale della coscienza, che lia la sus fonte perenne nei sentimenti © nelle tendenze suscitato dalla convivenza degli uomini »; esso si sviluppa in tro stadi auccessivi, dei quali il primo è quello delle intuizioni giuridiche naturali, il secondo della codificazione, il terzo della sistematizzazione dei diritti. Secondo l’Ar- digò il diritto naturale è la stessa giustizia potenziale astratta, da cui deriva la giustizia legale, è lo stesso ideale del diritto, solo imperfettamente realizzato nelle singole formazioni storiche della società; il diritto naturale corri- sponde quindi alle idealità sociali universe, ossia tanto av- verate già nella coscienza umana, quanto a quello che po- tranno avverarsi in sèguito. Da ciò deriva: 1° che il diritto positivo è determinato ο giustificato dal natnrale ; 2° che il diritto naturale è imperscrivibile ed ba un valore tru- scendente assoluto, corrispondendo al ralore trascendente axsoluto della natura di cui è il prodotto; 3° che il diritto naturale è universale al pari della natura umano, con In quale si svolge parallelamente ; 4° che il diritto naturalo è infinito, essendo una potenzialità inesauribile nella serie e nelle forme dei suoi svolgimenti. — Esistono varie specie di diritti: quello pubblico, che è il diritto garantito dalla minsecia d’ una pena ο ogni sna infrazione è colpita di- 314 rettamente dal Potere; quello privato, per il quale il Po- tere non ha azione diretta, ma che è interesse stesso dei cittadini osservare e fare osservare; quello costituzionale, che determina la forma politica dello Stato e i rapporti giuridici tra i governanti ο i governati per l'esercizio della sovranità; quello ecclesiastico, che regola materie ri- guardanti la Chiesa; quello internazionale 0 diritto delle genti, che può essere pubblico o privato, a seconda che regola i rap- porti tra i vari Stati, o tra i cittadini di uno Stato estero © lo Stato nel quale essi dimorano. Cfr. Puffendorf, De jure nature et gentium, 1672; Lasson, Syst. d. Rechtsphilosophie, 1882; B. Brugi, Introd. enciclopedica alle scienze giuridi. che, 1907, p. 66-194; Ardigò, Opere fil., vol. III, p. 181-257 ; vol. IV, 173 segg.; G. Delveochio, I! concetto del diritto, 2° ed. 1912. Disamis. Termine di convenzione mnemonica, con cui nella logica formale si designa quel modo della terza figura del sillogismo, nel quale la maggiore e la conelusione sono proposizioni particolari affermative, la minore universale affermativa. Es. Qualche fibra nervosa trasmette delle onde centrifughe. Tutte le fibre nervose provengono dalle cel- lule. Dunque qualche cosa che deriva dalle cellule trasmotto delle onde centrifughe. Corrisponde all’ioéxig dei logici greci, e può essere ricondotto al Dari della prima figura mediante la trasposizione delle premesse e la conversione semplice della maggiore e della conclusione. Disattensione. T. Unachtsamkeit ; I. Inattention; F. Inattention. È un complemento necessario dell’uttenzione alla quale non possono pervenire tutti gli stimoli. Si suole distinguere la disattenzione primitira, che è la semplice assenza d'attenzione, e la secondaria. che è determinata dall’ essere l’attenzione concentrata sn un oggetto, ed à tanto più forte quanto più intensa è la concentrazione del- l’attenzione. Quando la disattenzione diviene persistente © si presenta come effetto di esaurimento nervoso assume — 315 — Dis carattere patologico e dicesi aprovessi 0 aprosechia; in essa I’ attonzione non può mantenersi anche per poco, e, se for- zata volontariamente, determina nel soggetto capogiri, ce- faleo, vomiti, ecc. Nei casi di demenza, come nell’idio- tismo, imbecillità, ebefrenia, ece., l’attenzione è totalmente soppressa. Cfr. Ziehen, Leitfaden der physiol. Paychologie, 2% ed. 1893, p. 166 seg.; Ribot, Prychologie de l'atten- tion, 1889. Discorsivo. T. Discursir; I. Disoursive; F. Disoursif. Si oppone a fntuitivo, per designare In conoscenza o il ra- gionamento mediato, mentre la conoscenza intuitiva è quella che avviene per un atto immediato, subitaneo, di cui il processo sfugge. Nel ragionamento discorsivo, il pensiero passa dal principio alla conseguenza, dalle premesse alla conolusione; nel ragionamento intuitivo, invece, il pen- siero non formula alcuna dimostrazione, © la conclusione appare immediatamente nella sua evidenza. Gli scolastici avevano già distinto queste due forme di procedimento mentale; essi chiamavano cognitio disoursira, paragonan- dola ad un movimento, quella che trascorre da idee note a idee meno note; cognitio intuilira sia quella fatta per la specie propria, ossia per l’imagine propria dell'oggetto stesso, sia quella riferenteni all’ oggetto realmente pre- sente; così è intuitica la cognizione del sole mentre lo ve- diamo, e quella che i beati banno di Dio. Cfr. Cr. Wolf, Philosofia rationalis, 1732, § 51; Wundt, Logik, 1898, vol. I, pag. 139. Discreto. T. Diskret; I. Discrete; F. Discret. Latinismo che significa diviso, separato, e αἱ applica tanto allo spazio come alla quantità dei numeri; in questo caso ha il va- lore di discontinuo. Dal punto di vista filosofico, una gran- dezza è discontinua se è composta di elementi dati, me- diante i quali essa è costruita nel pensiero. Nella logien diconsi discretire quelle proposizioni composte ed esplicite, appartenenti al tipo delle congiuntire, che esprimono una Dis — 316 — distinzione avversativa; ad es. non è nuvolo ma sereno. Di- consi anche avversative. Cfr. Logique de Port-Royal, ed. Char- les, II, 9 (v. continuo, numero, quantità). Discriminazione. T. Unterscheidung; I. Disorimina- tion; F.' Discrimination. Termine d’origine inglese, che in- dica V atto con cni si distinguono l’uno dall’ altro due oggetti del pensiero concreto. Si adopera specialmente nella psicologia per significare il differente grado di intennità av- vertito in due momenti di una medesima sensazione. Per mezzo di opportuni esperimenti, la psicologia fisiologica cerca appunto di determinare quali sieno le più piccole differenze percepibili di sapore, di temperatura, di peso, d’ intensità luminosa, di altezza o intensità di suono. Se- condo il Bain, la discriminazione è una proprietà delle sen- suzioni muscolari, per mezzo della quale ha origine la co- scienza. Essendo la coscienza unità e differenza insieme, noi mancheremmo delle sue condizioni se avessimo una sen- sazione sola o due sensazioni con un intervallo in mezzo. Cir. Bain, The senses and the intellect, 1890; Wundt, Grundzüge d. physiol. Psychologie, 1893, I, p. 348. Discromatopsia. T. Dyschromatopsie; I. Dyschroma- topsia; F. Dyschromatopsis. Acromatopsia parziale, 0 cecità per alcuni colori (specie il rosso, il verde ο il violetto) mentre gli altri sono normalmente percepiti. La forma più comune della diseromatopsia è il daltonismo, o cecità per il color rosso (v. cromatiche). Disgiunzione. T. Disjunction ; I. Disjunction ; F. Dis- jonction. Carattere d’ una alternativa i cui termini si eselu- dono reciprocamente. Il giudizio disgiuntivo è una forma dei giudizi di reciproca dipendenza; la sun formola è: 4 è Bo Co D; oppure, nella forma negativa: 4 non è nv B, nè €, nd D, Per essere valido, è necessario che non vi siano altro possibilità oltre quelle espresse nella disgiunzione, ο, in altre parole, che l'enumerazione disgiuntiva sia com- pleta; e che le parti disgiunte si escludano, cioè siano — 817 — Dis coordinate e non subordinate. I sillogismi disgiuntivi sono quelli nei quali la maggiore è una proposizione disgiuntiva ; se è categorico-dingiuntiva (A è ο Bo Co D) il sillogismo ‘esi oategorico-diagiuntivo; ne In maggiore è ipotetico diegiuntiva (se A è ΗΒ, oC è D, 0 E è F) dicesi ipotetico- disgivntivo. Regola comune a tutte le forme dei sillogiemi disgiuntivi è che se la minore nega tutti i membri disgiunti della maggiore, la conclusione nega l’antecedente della maggiore. Il dilemma non è che un sillogismo disgiuntivo, in cui la minore negando tutti i dne membri disgiunti della maggiore, la conelusione nega il soggetto della maggiore. Cfr. Wandt, Logik, 1898, vol. I, p. 154 segg.; Rosmini, Lo- gioa, 1858, $ 445 (v. remotiro). Disgrafia. T. Dyegraphie; I. Dyographia; F. Dyagra- phte. Una delle forme dell’ amnesia verbale, che si vorifien nella demenza, nell’ alcolismo, nella paralisi. 1’ ammalate non è più capace di tracciare che una serie di lineo in- certe ed inintelligibili, oppure la sua scrittura vien nasu- mendo una forma elementare, inzaccherata da continui agorbi, come nei bambini. Dicesi disgrafia emozionale quella che non dipende da alterazioni centrali, ma da sentimenti, come timore, soggezione, ecc., ed è transitoria al pari di questi. Cfr. Séglas, Les troubles du langage, 1892; Lombroso, Grafologia, 1895, p. 111 segg. (v. agrafia). Dismnesia. T. Dysmnesie: I. Dysmnesia ; F. Dyemnesic. Anomalia dolla memoria che consisto nell’ abolizione di par- ticolari categorie di ricordi, come i nomi propri, i segni, i numeri, le figure e così via via. Nella paralisi progres- siva essa si verifica sempre, attuandosi secondo le leggi psicologiche illustrate dal Ribot: 1° i ricordi più recenti scompaiono prima degli antichi; 2° i ricordi più compli- cati si disgregano prima dei più semplici, e quindi gli astratti prima dei concreti; 3° le ideo scompaiono prima dei sentimenti; 4° i ricordi che più resistono sono quolli organizzati fin dalle primo fasi dello aviluppo mentale. Dis Cfr. Sollior, Les troubles de la memoire, 1894; Ribot, Les maladies de la memoire, 9* ed. 1904. Disparato. Lat. Disparatus; T. Disparat; F. Disparate. Nella logica diconsi disparati due tormini, fra i quali non esiste alcuna relazione. Però la disparatezza non si'può mai dire assoluta, potendosi sempre trovare un qualche rispetto, sotto il quale i due concetti cessano di essere tra loro disparati. Per Boezio i termini disparati sono quelli diversi ma non contrari. Per Leibnitz due concetti sono disparati quando nessuno dei due contiene 1’ altro, quando cioè non sono nella relazione di genero a specio. Cfr. Prantl, Gesohichte à. Logik, 1855, t. 1, 686; Leibnitz, Inédita, ed. Con- turat, p. 53 ο 62. Dissociazione. T. Dissoziation ; I. Dissociation; F. Dis- sociation. Alcuni psicologi distinguono dissociazione da astra- zione; la prima consiste nell’ analizzare o separare gli ele- menti che compongono la percezione o la rappresentazione senza alterarne il valore; la seconda invece nel ricavare dagli elementi stessi una nozione generale, che non può più essere un oggetto di percezione o di rappresentazione. Si suole anche opporla alla associazione per designare l’ope- razione negativa e preparatoria della immaginazione crea- trice, mentre l’ associazione è l'operazione positiva e co- struttiva. La dissociazione trovasi già in germe nella sensazione 6 nella percezione, come prova il fatto, dimo- strato dell’ Helmholtz, che nell’ atto della visione molti particolari non vengono perccpiti, essendo indifferenti ai bisogni della vita; ma nell’immagine tale lavoro si in- tensifica, ed è soltanto dopo un’ opera incessante stinzioni, soppressioni e corrosioni, che gli elementi dis- sociati di un tutto possono entrare in molte combinazioni a alla dissociazione succede l'associazione. 11 Renda distin- gue tre forme principali di dissociazione: la d. conoscitira, cho, smussando le imagini, decomponendo l’integralità dello serio rappresentative, permette che la reviviscenza — 319 — Dis degli stati passati sia, in parte, una nuova creazione, e che sintesi novelle rinnovino incessantemente il contenuto dello spirito, elevandolo dall’angusta percezione dell’indi- viduo alle idee astratte; la d. effettiva, che, rompendo ‘ l'equilibrio dei sentimenti, pone alla nostra attività nuovi valori ed imprime ad essa nuove direzioni; la d. conatira, che, agendo sulle coordinazioni motorie, dovute ad anno- ciazioni anatomo-fisiologiche tra centri del sistema neuro- motorio e centri del sistema neurosensorio, permette nuovi adattamenti e nuovo serie sinergiche. Nella psicologia pa- tologica dicesi dissociazione il disgregarsi degli elementi della personalità unitaria, per cui la coscienza si soinde in due coscienze separate, che coesistono o si succedono al- ternativamente. L’ espressione è usata specialmente da quei psicologi e psichiatri che considerano la nostra attività psichica complessiva come risultante dalla continua colla- borazione coordinata del cosciente col subcosciente, dell’ io supraliminale con l'io subliminale; in tal caso gli edoppia- menti della personalità risulterebbero dalla dissociazione ubnorme dei processi psico-fisici coscienti dai subcoscienti, ο dall’esaltamento funzionale di questi ultimi, in modo da costituire un nuovo centro psichico cosciente, vale a dire una nuova personalità distinta. Altri psicologi, fondandosi sopra la dottrina segmentale, considerano la dissociazione della personalità come primitiva e propria di tutti gli no- mini anche in condizioni normali; essa si rivelerebbe nel dissenso che talvolta si produce in noi tra l’io cosciente che ragiona e il subcosciente che si esprime in forma di vaghi sentimenti, nelle ineguaglianze di carattere e di con- dotta proprie specialmente dei giovani, nel fatto, illustrato da W.James, del senso di presenza che continuamente av- vertono le persone dotate di sentimento mistico religioso. Cfr. Boris Sidis, Studies in mental dissociation, 1902 ; Myere, The human personality, 1902; Morton Princo, The dissocia- tion of a personality, 1906; J. Sully, Les illusione der senses Dis — 320 et de l'esprit, 1889; W. James, Prinoipî di psicologia, trad. it. 1901; A. Renda, La dissociazione peicologioa, 1905. Distanza (percezione o giudizio di). T. Abatand: I. Di- stance; F. Distance. Secondo la dottrina nativista, le no- stre sensazioni ci fanno apparire fin dal principio l'oggetto © della percezione sensibile come situato ad una certa di- stanza. Secondo la dottrina genetica ο empirica, primitiva- mente enunciata dal Berkeley, la percezione della distanza deriva da un'associazione che si stabilisce tra le sensa- zioni e le rappresentazioni della vista, del tatto e del senso cinestetico, associazione cho diviene poi abituale e indis- solubile. Ciò è provato dal fatto che 1’ apprezzamento della distanza rimane imperfetto nel bambino fino al secondo o terzo anno, e che i ciechi nati, sppena operati, non sono assolutamente capaci di apprezzarla. In codesta valutazione la base è nel senso tattile e nelle sensazioni muscolari che vi si accompagnano: la distanza è data per noi dalla serio più o meno grande di sensazioni cinestetiohe che noi pro- viamo quando moviamo le nostre mani ο il nostro corpo intero verso un oggetto. À queste poi si associano le sensa- zioni del movimento che gli occhi devono fare per accomo- darsi agli oggetti più ο meno lontani. Cfr. Bérkeley, Theory of vision, 1709; W. James, Perception of space, « Mind », 1887; Höffling, Peyohologie, trad. franc, 1900, p. 254 segg. Disteleologia. T. Dysteleologie. Significa in generale mancanza di finalità. L’ Haeckel chiama così la dottrina darwiniana degli organi rudimentali, perchè essa, dimo- atrando I’ esistenza di organi che si sono atrofizzati perchè non compiono più alcuna funzione, prova che gli organi stessi ‚non esistono per un fine predeterminato, ma sono creati dall’ esercizio ο che quindi la dottrina delle cause finali (feleologia) è insussistente. Cfr. Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 359 segg. Distinto. T. Verschioden, Deutlich; I. Distinot; F. Di- atinot. Intrinseenmente è distinto ciò di eni lo spirito vedo — 321 — Dis nettamente tutti gli elementi costitutivi, e in senso proprio si dico della visione ὁ delle imagini visuali. Nella termi- nologia cartesiana è chiara una conoscenza che è presente e manifesta a chi la considera con attenzione; è distinta invece la conoscenza che non contiene nulla più di ciò che è chiaro, che è quindi precisa e differente da tutte le altre. Peroid a chiaro si oppone osewro, a distinto confuso; unn idea è confusa quando può essere scambiata con altre, come avviene delle idee complesso; ma l'essere confusa non esclude che possa essere chiara, mentre non può mai es- sere distinta senza essere chiara. Cfr. Descartes, Princ. phil., I, 43. Distinzione. T. l’atersohoidung, Verschiedenheit; I. Di- stinction; F. Distinotion. Questo termine ha, nella logica, vari significati. Innanzi tutto designa quella forma di de- finiziono approssimativa esplicativa, che si adopera per quei concetti che sono, per qualsivoglia ragione, propriamente indefinibili, e dei quali, quindi, non si può far altro che distinguerli dai concetti affini. Il modo migliore della di- zione è l'opposizione coi simili, purchè il concetto ne- gativo ο il positivo abbiano lo stesso genere prossimo ο Puno sia determinato dalla negazione della diferensa del- l'altro, Es.: le parallele sono rette, che giacciono sullo stesso piano e prolungate indefinitamente dai due lati, non # incontrano mai. In senso analogo intendevano In distin- zione gli scolastici, per i quali però essa aveva un uso essenzialmente dialettico: essi infatti chiamavano distii zione l’ operazione per cui, prima di rispondere ad un dato argomento nel quale si era adoperata una parola in doppio senso, si distinguono questi due sensi e si definiscono esat- tamente, e poi si mostra come la conclusione, vera per un senso, non conviene per l’altro, o come è falaa per en- trambi i sensi e non sembrava vera che a motivo della confusione. Per ricordare questo genere di risposta, gli scolastici avevano fatto questo verso: Diride, defini, con- 21 — Ranzoti, Dizion, di scienze filosofiche. Dis — 322 — cede, negato, probato. — Descartes, e prima di lui gli sco- lastiei, ennmeravano due forme di distinzione: la distin- zione di ragione, cioè quell’ operazione mentale per cui si considerano separatamente cose che nella realtà sono unite ed inseparabili; la distinzione reale, che è quella che si fa negando uns cosa di un’altra, ed esiste nelle cose stesso, indipendentemente cioè da ogni operazione mentale; questa seconda distinzione aveva tre specie; da oosa a coda, come da Dio all’ uomo, da modo a modo, come da bianco à nero, da modo a cosa come da corpo a movimento. — Nel sistema filosofico dell’ Ardigò la legge della distinzione è la legge su- prema di ogni formazione naturale. Tanto nella psiche come nel cosmo, l'evoluzione formativa consiste in un passaggio incessante da un indistinto a un distinto, che in quello era contenuto; quindi ogni momento della fase evolutiva è un «distinto verso la precedente e un indistinto verso la susse- guente; e risalendo indietro per le diverse fasi che si sono succedute, si trova sempre che l’ ultimo è una distinzione sul precedente, all’ infinito. Così tutte le formazioni distinte del- l’attuale sistema solare sono ottenute mediante la distin- zione da un unico indistinto primitivo (nebulosa) donde a poco a poco emersero e nel cui seno giacevano; e tutta la ricchezza del contenuto psichico della coscienza individuale è un distinto operatosi a poco a poco coll’ esperienza del pri- mitivo indistinto, con cui s’ inizia la vita psichica di ogni individuo. Ma questi indistinti primitivi non sono tali che relativamente; infatti la stessa nebulosa solare apparisce formatasi da un tutto immensamente più grande, }’ uni- verso, ed è un distinto rispetto ad un indistinto che le sta sopra, dal quale procode: 1’ indistinto supremo dato dall’ assoluta uniformità fondamentale della materia e della forza, che è quindi medesimezza e continuità; 1’ indistinto, in un altro senso, della continuità dello spazio e del tempo, in quanto la mutazione della materia implica la continnità dello spazio, e lo sviluppo della forza rappresenta Ja con- — 323 — Dis-Div tinuità del tempo. Da ciò consegue che ogni cosa ο fatto, compresa la rappresentazione psicologica, è contenuta nel continuo dello spazio e del tempo, ed è rappresentata dal punto d’intersecazione di due linee infinite, la linea dello spazio e la linea del tempo. Cfr. Descartes, Princ. phil.,I, 60; Goolenio, Lezicon phil., 1613, p. 595; Ardigò, Opere fil., IT, 81 segg.; III, 437 segg.; IV, 43 segg.; VI, 190 segg.; Espinas, La phil. expérimentale en Italie, 1880, p. 81 segg. ; Hòffding, Philosophes contemp., trad. franc. 1908, p. 37 segg. Distributivo. Lat. Distributéous; T. Distributin; I. Di- stributico; F. Distributif. Si oppone a collettivo ed indica ciò che è comune ad una pluralità di individui ed appar- tiene a ciascuno di essi, mentre collettivo indica ciò che è comune ad un insieme determinato di individui ed è una proprietà del gruppo. Dicesi perciò giustizia distribu- tiva quella che riguarda i rapporti fra i singoli cittadini di uno Stato e la distribuzione dei beni comuni da con- dividere, che si debbono distribuire proporzionatamente ai meriti. Diteismo. Sistema religioso che consiste nell’ ammet- tere l’esistenza di due divinità, rappresentante I’ una il principio del bene, l'altra il principio del male, ugnalmente primitivi ed eterni. La lotta continua tra queste due di- vinità, e il prevalere dell’ una o dell’ altra, spiega I’ esi- stenza del bene e del male nel mondo: Secondo l’Ardigò, il diteismo rappresenterebbe il secondo periodo dell’ evo- luzione religiosa. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 73 (v. catari, dualiemo). . Divenire. Lat. Fieri; T. Werden; I. Becoming: F. De- venir. Si contrappone ad Essere inteso come ciò che per- mane immutato, e designa lu mutazione, il cangiamento, la serie dei passaggi da uno stato all’altro. Il problema se la realtà consista nel rimanere o nel mutarsi, nell’ Es- sere o nel Divenire, fu già posto dai primi filosofi greci. Secondo Parmenide ο In senola elentica, soltanto I’ Eanore Div — 824 - _ è reale, quindi il non-Essere non è possibile, come non è possibile il diventare; I’ Essero è unico, eterno, infinito, semplice, immutabile, indivisibile; esso è il sostrato del cangismento, la sostanza che rimane mentre le qualità mutano. Secondo Eraclito, invece, il reale consiste nel mutarsi, nel trasformarsi continuamente, nel Divenire ; la permanenza dell’ Essere non è che pura illusione; la realtà è come un fiume che sempre scorre. L’ antica disputa tra eleati e eraclitei fu rinnovata nei tempi moderni dall’ Hegel © dall’ Herbart: questi negò il Divenire in quanto credette implicasse la realtà del nulla; quello negò l’ Essere, po- nendo l’ equazione: Essere affatto indeterminato == non-Es- sero. « Si prenda il divenire, dice Hegel, ciascuno può rappresentarselo. Si accorderà che, quando lo si analizza, vi si trova la determinazione dell'essere, come anche del suo contrario, il nulla; si accorderà infine che queste due determinazioni si trovano riunite in una sola e medesima rappresentazione. Il divenire è, quindi, l’unità dell’essere e del nulla». Il divenire sarebbe soppresso se si ammet- tesse la verità del principio che nulla può renire dal nulla; ma Hegel considera tale proposizione come fondata sul- l'identità astratta dell'intelletto: « Non sarebbe difficile provare che l’unità dell’ essere © del nulla si trova in tutti gli avvenimenti, in tutti gli ogguiti 9 in tutti i pen- sieri. Bi deve dire, dell'essere e del nulla.... che non v’ha nessuna cosa nel cielo e sulla terra che non li contenga entrambi. Quando si parla d’una cosa reale, queste due determinazioni, essere ο nulla, vi si tradncono mediante l'elemento positivo ο l'elemento negatiro ». Cfr. Platone, Cratyl., 1402 A; Aristotele, Metaph., IV, 5, 1010 a, 12 segg.; Hegel, Encicl., § 88 segg.; Logik, $ 88, 89 (v. cangiamento, mobilismo, essere, nulla, ente). Divergenza (legge della). 'T. Divergenz; 1. Divergence; F. Divergence. Una delle leggi che ai verificano nell’ evo- luzione del mondo organico, per In quale In molteplicità — Div e la varietà delle forme viventi s’ à venuta costantemento aumentando dai tempi più remoti sino al presente. Dicesi divergenza personale quella che intercede tra gli organismi © conduce alla formazione di nuove apecie ; essa ha origine dalla divergensa dei tessuti, per cui da cellnle primitivamente uguali si sviluppano tessuti disuguali; e la divergenza dei tessuti si basa a sua volta sulla divergenza cellulare, che ha origine dal fatto fisiologico della divisione di lavoro delle cellule stesso (v. convergenza). Diverso. Gr. “Etepoc; Lat. /τεγονο; T. Versohioden ; I. Divers; F. Divers. Nel senno aristotelico il diverso è tutto ciò che, essendo reale, non è identico. Gli scolastici dice- vano primo-dirersa quelle cose che non convengono in nessun genere, tranne in quello universalissimo dell’ essere; diversa © differentia solo numero le cose che hanno entità diverso in una specie medesima, come gallo e gallinn; diversa ο differentia εροοίο le cose che hanno diverse definizioni es- senziali nello stesso genere, come, nel genere animale, l’uomo e il bruto; diversa o differentia genere quelle che si classificano in predicamenti diversi, come il coraggio e la pietra. Distinguevano poi la diversitas physica, che nei termini delle proposizioni negative, in quanto dire con verità che l’una cosa non è l’altra, dalla diver- sitas logica, che si ha in quei termini delle proposizioni affermative i quali, sebbene non differiscano da parte della cosa indicata, pure vengono intesi sotto nn concetto dif- ferente. — Alcuni distinguono il diverso dal differente, ii quanto, pure implicando una differenza intrinseca ο qua- litativa fra due oggetti, non determina lu specie o il grado della differenza stessa. Cfr. Aristotele, Mefaph., V, 10, 1010 b, 1 seg.; Crist. Wolff, Ontologia, 1736, $ 188 (v. alte- rità, altro, differente, indiscernibili). Divinità. T. Gottàeit; I. Dirinity; F. livinitd. Si ado- pera quasi sempre come sinonimo di Dio; tuttavia alcuni distinsero il significato dei due vocaboli, intendendo col Divprimo 1) essenza divina e col secondo Dio in quanto essere personale. Tale distinzione trovasi ad es. in Eckhart, per il quale la Divinità, causa prima di tutte le cose, trascende V esistenza ο la conosgenza, manca di ogni determinazione, è il niente; essa si rivela nel Dio unitrino, e il Dio esi- stente e conoscente crea dal nulla le creature, le cni idee egli conosce in sè, perchè questo conoscere è il suo creare. Questo processo di autorivelazione appartiene all’ essenza della Divinità, la quale, come essenza creatrice, non è reale se non in quanto conosce sè stessa in Dio e il mondo come realtà creata. Cfr. Stöokl, Geschichte d. Phil. des Mittelal- ters, 1864-66, vol. II, p. 1098; Leibnitz, Monadologie, 47. Divisibilità. T. Theilbarkeit; I. Dirinibility; F. Divi sibilité. La proprietà di un essere di poter venire scom- posto in un certo numero di parti. Si suol distinguere la divisibilità fisica dalla matemation: questa, essendo una pura operazione mentale, non ha limiti assegnabili ed è quindi indefinita; quella invece è definita, ciod può avere dei limiti, arrivando un punto in cui non è più pratica- bile. Secondo l’atomismo la divisibilità dei corpi è con- cretamente limitata, in quanto essi consistono di parti ultime indivisibili, atomi. Per Cartesio, dalla incapacità del nostro intelletto a rappresentarsi una divisibilità i finito, non segue che essa non debba realmente darsi. Se- condo Spinoza la sostanza infinita è indivisibile, e « non si può concepire con verità nessun attributo della sostanza, dul quale risulti che la sostanza possa essere divisa »; in- fatti, la sostanza così concepita sarebbe divisa in parti, che © conserveranno la natura della sostanza, 0 non la con- serveranno: nel primo caso ogni parte dovrebbe essere in- finita, e causa di ad, ο costituita da un attributo speciale, cosicchè da una sola sostanza si potrebbero costituirne molte, il che è assurdo, e di più le parti così ottenute non avrebbero nulla di comune col tutto da cui proven- gono, e il tutto potrebbe esistere secondo lo suo parti; nel — 827 — Div socondo caso ne risulterebbe che, dividendo tutta In so- stanza in parti uguali o disuguali, essa perderebbe la na- tnra della sostanza ο cesserebbe di esistere. Secondo Hobbes lo spazio e il tempo non sono divisi all’ infinito, ma si dà soltanto un minimum divisibile. Secondo Leibnitz il continuo è divisibile all’ infinito, cosioch® non esistono atomi ma monadi spirituali inestese. Berkeley combatte l’idea della divisibilità infinita, perchè è « una palese contraddizione dire che una estensione o una grandezza finita constino di infinite parti »; quando noi diciamo che una lines è divisibile all'infinito, intendiamo solo una linea di lun- ghezza infinita. Kant rappresenta il dibattito sotto forma di antinomis, la seconda delle antinomie della ragione: tesi: ogni sostanza composta consta di parti semplici, ο non esiste nel mondo che il semplice 0 ciò che di esso si compone; antitesi: non esiste alcuna cosa semplice nel mondo. Kant risolve questa, al pari della precedente an- tinomia, affermando che spazio, tempo, semplicità, com- plessità sono soltanto determinazioni che hanno valore per la cosa in quanto fenomeno, cosicchè il principio del terzo escluso perde il suo valore quando si faccia oggetto della conoscenza qualche cosa che non può mai diventar tale, come 1’ universo. Cfr. Aristotele, Phye., III, 7, 207 b; Spi- noza, Ethios, 1. I, teor. ΧΙΙ, x11; Hobbes, De corp., ο. 7, 13; Berkeley, Prinoipl., ΟΧΧΙΝ segg.; Kant, Krit. d. reinne Fern., ed. Reolam, p. 360 seg., 411 segg. . Divisione. Gr. Ataigesig; Lat. Divisio; T. Hinteilung : 1. Division; F. Division. L'operazione logica per mezzo della quale si determina l’ estensione di un concetto, enu- merando gli oggetti a cui si riferisce. Essa consiste in una proposizione in cui il soggetto (dividendo) è il genere, e il predicato 1’ enumerazione delle specie contenute sotto quel genere. Perchè l'operazione sia perfetta, occorre che i mem- bri dividenti esauriscano tutta l'estensione del diviso e che il concetto da dividersi possegga una nota, detta fun- Div-Doc — 328 — damentum divisionis, la quale sia suscettibile di varietà. So questo fondamento è preso tra le note essenziali del con- cotto, la divisione dicesi naturale, so è preso tra le acci- dentali artificiale. — Dicesi divisione del lavoro 1’ organizza- zione economica in cui il lavoro totale da compiere è ripartito tra i cooperatori, in modo che ciascuno compin sempre uno stesso genere di lavoro, per il quale acquista così una abi- lità particolare. — Il Rosmini chiama sofisma dell’ assurda divisione quello in cni cadde Zenone quando sostenne che, se un moggio di miglio cadendo in terra manda rumore, dove mandarlo anche ogni granello di miglio; ed il Leibnitz. quando pretese che, se peroepiamo il fragore del mare, dob- biamo percepire anche quello d’ ogni goccia d’acqua che lo compone. Cfr. Hamilton, Lectures on logic, 1860, 11, 32 segg.; Wundt, Logik, 1898, II, p. 40; Rosmini, Logica, 1853, pe 384 κ. (v. sorito, nota, dicotomia, tricotomia, suddivisione, codivisione). Divisivi (giudizi). Forma di giudizio composto, che esprime la risoluzione completa del concetto del soggetto nelle sue parti; ad es. i lingnaggi sono parte monosilla- bici, parte agglutinanti, parte a flessione. Possono essere divisivi anche i giudizi ipotetici, e tanto nell’ ipotesi come nella tesi, indicando nel primo modo in quanti casi la tesi è vera, nel secondo a quale condizione è sottoposto nn certo numero di cose o di eventi: es. 1° se un uomo sente rimorso per il male e compiacimento per il bene fatto, è responsabile delle proprie azioni; 2° se un animale è ver- tebrato, possiede uno scheletro interno cartilaginco od osseo, una colonna vertebralo, un tubo intestinale com- plesso, sangue rosso che circola entro vasi e simmetria bi- laterale evidente. Docta ignorantia. Espressione resa celebre da Nicola Cusano, per il quale l’uomo, di fronte alla vera essenza delle cose non possiede che congetture, cioè solo i modi di rappresentazione che scaturiscono dalla sua propria natura; — 329 — Dor la conoscenza di questa relatività di tutte le affermazioni positive, il sapere del non sapere, come primo gradino della dotta ignoransa, è l’unica via per arrivare alla comunione conoscitiva inesprimibile, indesignabile, immediata con I’ Es- sere vero, cioè con la divinità. Dio infatti, mancando di attributi positivi, non può essere conoscinto che in questo modo: 44 hoc ductus sum, ut inoomprohensibilia incompre- hensibiliter amplooterer in doota ignorantia.... Supra igitur nostram apprehensionem in quadam ignorantia nos doctos case convenit. Perciò la doota ignorantia è la perfoota soientia. L'espressione era già stata adoperata da 8. Agostino, 8. Bo- naventura e in genere da tutti i teologi che, nella deter- minazione dell'essenza divina, adottavano la teologia nega- tiva. Cfr. N. Cusano, De doota ignorantia, ed. P. Rotta, 1913, 1, 26; II pref.; III, peror.; P. Rotta, Il pensiero di Niccolò da Cusa nei suoi rapporti storici, 1911 (v. agmostiolemo, Dio, teologia). Dolore. T. Schmerz; I. Pain; F. Douleur, Uno dei due poli opposti del sentimento, il quale si manifesta sempre sotto forma di piscere o di dolore e nel numero infinito degli stati intermedi che li ricongiungono. 11 dolore’ e il piacere, essendo dati immediati della coscienza, sono per sè stessi indefinibili; soltanto se ne possono stabilire le cause 6 le condizioni. In generale, il dolore dipende dalla intensità degli stimoli; quando l’ eccitazione è troppo in- tensa, cosicchè essa passa il limite di adattamento dell’ dividno, si ha uno stato di dolore determinato dall’ alte- razione dei tessuti. Oltre che da eccesso di funzione, il dolore può essere anche determinato da innzione di un or- gano, cioò da mancanza di funzione ; lo Spencer ha chiumato questo dolore negativo, il primo dolore positivo. Va notato però che, mentre per alcuni psico-fisiologi, Lotze, Wundt, Richet, ecc., gli stessi nervi ed organi di senso che ser- vono per le sensazioni cutanee sono capaci di destare sen- sazioni di dolore, per ultri, come Milnsterberg, Frey, Kie- Dor. — 330 — sow, esistono invece nella cute terminazioni nervee speciali, © nel sistema nervoso centrale apparati sensitivi distinti per le sensazioni di dolore. Gli studi più recenti tendono à far prevalere quest’ ultima dottrina, che si bass special- mente su queste constatazioni : a) nell’ uomo può scomparire per cause anormali la sensibilità dolorifica, restando integre le altro modalità specifiche del senso cutaneo ; d) alcune regioni della cute mancano del tutto di punti dolorifici, tantochè non reagiscono con sensazioni di dolore neanche con l'applicazione di stimoli meccanici od elettrici assai intensi; ο) la soglia della sensibilità per gli stimoli dolo- rifici è diversa, ossia più alta o più bassa, di quella per gli stimoli meccanici. La sede anatomica del dolore sa- rebbe, secondo alcuni, il midollo allungato, secondo altri il midollo spinale: ad ogni modo, per avere una sensa- zione di dolore è necessario che l’ eccitazione sia trasmessa nd un centro nervoso da una fibra afforente; ove queste fibre mancano (cervello, polmoni, ecc.) si può avere qual- siasi alterazione senza che ossa sia avvertita come dolore. In gonerale, i tessuti organici interni posseggono una sen- tà al dolore minore degli esterni. Il dolore suscitato du uno stimolo lungo il decorso di una fibra, viene rife- rito alla periferia, e non solamente allo parti malate ma anche alle vicine; questa proprietà di érradiarei del dolore, ne rende difficile la localizzazione. Diconsi appunto dolori riflessi quelli erroneamente proiettati alla superficie cor- porea dagli organi interni malati; questo fatto, già osser- vato dal Lange, fu ampinmente studiato dallo Head, che formulò la legge seguente: « Quando uno stimolo doloritieu viene applicato ad un punto poco sensibile, il quale sia in intima connessione centrale con un altro punto più sen- sibile, il dolore che si desta è sentito più intensamente nella sede di maggiore sensibilità, invece che là ove la sen- sibilità è minore © in cui lo stimolo fu effettivamente ap- plicato ». Le principali modificazioni fisiologiche accompa- — 331 — Dom guanti il dolore sono: diminuzione delle fanzioni vitali, rallentamento dei battiti del cuore, turbamento delle funzioni digestive, brevità delle inspirazioni, arresto dei movimenti v agitazione motoria. Però la sensibilità dolorifien non è uguale in tutti gli animali; alcuni negano che essa esista negli infimi, mentre è certo che aumenta proporzional- mente all’ elevarsi della loro struttnra fino a raggiungere il suo massimo nell’ uomo; perciò il dolore è considerato come una funzione della intelligenza, una sovrapposizione psichica ai riflessi protettivi subcoscienti. La distinzione comune tra dolore fisico e dolore morale si considera ille- gittima, essendo entrambi da un lato fatti fisici e organici (in quauto anche il dolore morale implica un processo fisio- logico corrispondente) e dall’ altro fatti psichici, in quanto non sono conosciuti che come stati di coscienza. La sola differenza è nella complessità: il primo infatti è semplice ο risulta da sensazioni immediate (ad es. il dolore dei denti), il secondo è inveoe indiretto e accompagnato da un certo numero di rappresentazioni e di ricordi (sd es. il rimorso). Cfr. Wundt, Grundries d. Psyohol., 1896, p. 55; Killpe, Grundriss d. Peyohol., 1893, p. 93; Kiesow e Penzo, trchi für Payohologie, vol. XVI, 1910; Höffäing, Peyoho- logie, trad. franc. 1900, p. 294 segg.; Penzo, Atti della R. Aco, delle Scienze di Torino, vol. LXV, 1911; I. Ioteyko, Peycho-physiologie de la douleur, 1908 (v. piacere, male, sen- timento). Domma (da δόγμα, che significava da principio sem- plicemente opinione plausibile e poscia le decisioni politiche dei re o delle assemblee popolari). T. Dogma; I. Dogma; F. Dogme. Nel suo significato comune questa parola de- signe una opinione imposta da un'autorità collocata al di fuori © al di sopra d’ogni critica e d'ogni esame. Nella religione cristiana il domma è una verità rivelata ds Dio © come tale direttamente proposta dalla Chiesa alla nostra credenza. La rivelazione, sorgente del domma, è sia quella Dom — 332 — completamente esplicita, manifestante la verità divina nel suo proprio concetto, sie quella parzialmente esplicita ο implicita, che contiene οἱοὺ le verità stesse come parti co- stitutive ina non le fa conoscere formalmente. Perchè una verità rivelata sin un domma, deve essere proposta diret- tamente da una definizione solenne della Chiesa o dall’in- segnamento del sno magistero ordinario 6 universale; suo carattere fondamentale è l’immufabilità, per cui deve ri. manere fino alla fine dei tempi senza subire nel suo conte- nuto alcuna modificazione sostanziale. Essendo comunicato al? uomo da Dio stesso. il domma fornisce una conoscenza obbiettiva delle verità divine. Contro questo carattere di ob- biettività, lo Schleiermacher prima, poi il Ritschl, il Saba- tier, ece., sostennero che la rivelazione divina è in ogni uomo un fatto di esperienza intima, e il domma un’ ima- gine ο un simbolo che traduce approssimativamente i sen- timenti dell’ individuo ο esprime, In via media, le impres- sioni degli individui formanti una comunità, ed è quindi essenzialmente mutabile. Tra i cattolici, il Loisy considera i dormi como una semplice interpretazione dei fatti reli- giosi e la riveluzione come la coscienza acquisita dall’ uomo dei suoi rapporti con Dio; il Laberthonnière ammette l’espe- rienza religiosa come sorgente prima di tutte le verità re- ligiose e considera la rivelazione come una conoscenza di Dio nella nostra stessa realtà vivente; il Le Roy attri- buisce al domma un puro senso negativo, in quanto esso esclude © condanna certi errori piuttosto che non deter- mini certe verità, e un valore essenzialmente pratico, in «quanto enunoia delle prescrizioni di condotta. Cfr. G. Goyan, L'Allemagne religieuse, 1898, p. 96 segg.; Loisy, Autour Wun petit livre, 1903, p. 195 segg. ; Id., Quelques lettres den questione actuelle, 1908, p. 162; Laberthonnière, Essai de phil, religieuse, 1908, p. 120; Le Roy, Dogme et critique, 1907, p. 6-15; Ch. Guignebert, L’érolution dee dogmes, 1910 (v. fideimno, immanentiemo, modernismo, ecc.). — 338 — Dom Dommatica oristiana. È 1’ insieme dei dommi su cui poggia la religione cristiana, e che vennero preparati, de- finiti ο sviluppati dai Padri della Chiesa, dai Concili o dai Papi. Essi si possono ridurre a tre fondamentali: Gesù è uomo e Dio; Dio è uno e trino; l’uomo, caduto per ef- fetto del peccato, è redento per mezzo della grazia. Gli altri dommi non hanno che una importanza secondaria ο sono semplici corollari di questi tre. Dommatismo. T. Dogmatismus; I. Dogmatiem ; F. Dog- matisme. Nel linguaggio comune indica la tendensa a consi- derare come assolutamente vere le proprie opinioni, a non accettare su di esse alcuna discussione, rigettando a priori come false tutte le opinioni opposte. — Inteso come me- todo, il dommatismo consiste nel partire da principii aprio- ristiei, sui quali non si ammette dubbio nd discussione, e ricavarne delle conseguenze senza curarsi se sono 0 no d’ac- cordo coi fatti e con l’esperienza. Questo metodo fu in onore specialmente nella filosofia scolastica. — Nella dot- trina della conoscenza si adopera il termine dommatiemo in opposizione a sosttioismo © misticismo ; il primo, cioè il dommatismo, ammette la possibilità della scienza, vale a dire la possibilità di conoscere la realtà qualo essa è; il secondo la pone in dubbio e crede quindi che l’ uomo debba astenersi da qualsiasi affermazione; il terzo afferma che la verità è bensì conseguibile dall’ uomo, ma purchè egli, ab- bandonato I’ uso della ragione, sappia assorbirsi tutto nella contemplazione della divinità (cioè della verità suprema) perdendo il sentimento della propria esistenza. Il oriticismo, sorto con Emanuele Kant, ruppresenta un’ attitudine in- termedia tra il dogmatismo ο lo scetticismo : « la critica, dice Kant, non è opposta al procedimento dogmatico della ragione nella conoscenza pura in quanto scienza.... ma al dogmatismo, cioè alla pretesa di avanzarsi in una cono- scenza pura ricavata da semplici conoetti (la conoscenza filosofica) appoggiandosi su principî che In ragione impiega Dor — 334 — da lungo tempo, senza ricercare in qual modo e con quale diritto essa è arrivata ad affermarli ». — Alonni distinguono il dogmatismo propriamente detto, positivo, dal dogmatismo negativo, ο scetticismo; la filosofia antica è sempre dogma- tica, in un senso © nell’ altro, © in ciò si distinguo dalla filosofia moderna. — Dicesi dogmatismo morale quella forma di prammatismo sentimentalistico, la quale afferma che: tutte le nostre conoscenze spontanee sono l’ espressione dei nostri desideri, delle nostre azioni ; tali conoscenze servono a proporre alla nostra attività morale dei problemi che, se- condo la solazione volontariamente scelta, determinano dei nuovi stati, una nuova attitudine intellettuale; il valore metafisico o realistico della nostra conoscenza è dunque legato alla maniera morale con cui noi ci comportiamo ri- guardo ad esseri, che non subordiniamo al nostro egoismo, ma trattiamo come fini in sò atessi. Cfr. Ch. Wolff, Philos. rationalis, 1732, § 40; Kant, Arit. d. reinen Vern., ed, Re- clam, p. 46 segg. ; Laberthonnière, Le dogmatieme moral, in « Essais de phil. religieuse », 1908, p. 76 (v. oriticismo, neo- oritioiemo, realismo, idealismo, solipeiemo, conoscenza, ecc.). Dottrina. T. Lehre; I. Dootrino; F. Doctrine. Nel suo significato più generale designa il complesso degli insegna- menti d’ uno scienziato, d’ un filosofo ο d’ una scuola acien- tifica o filosofica, Si distingue perd da sistema, che è un organismo ideale in cui le parti sono logicamente coordi- nato fra loro 9 subordinate ad un principio generale, e da teoria, che ha valore propriamente speculativo mentre la dottrina può averne anche uno pratico. — Kant distingue In dottrina dalla critica: questa ha per oggetto di deter- minare il valore e la portata delle nostre conoscenze a priori, ossia puramente razionali; quella le raccoglie in un sol tutto e le coordina in un sistema. La dottrina si distingue alla sua volta in metafisica della natura, che considera i principi della ragione nella loro applicazione al mondo este- riore, © metafisica dei costumi, cho li considera mella loro applicazione alle nostre azioni. Nella dialettica trascenden- tale Kant dimostra che nè la psicologia razionale, nd la teologia razionale, nè la cosmologia razionale sono possi bili come dottrine ma soltanto come discipline, poichè sin V idea psicologica, che la teologica e la cosmologica sono principi regolativi, non mai costitutivi. — Nella teologia per dottrina s'intende: a) oltre l’ insieme delle verità dogma- tiche, anche 1’ insegnamento non rivelato, oggetto non di un atto di fede ma di assentimento fermo, che la Chiesa definisce come necessario per la difesa ο 1’ esplicazione delle verità rivelate; 5) ciò che la Chiesa non definisce esprer- samente, ma solo loda o raccomanda come utile per la pro- posizione dell’ insegnamento rivelato. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 18 segg. Dovere (τὸ dioy= l’obbligatorio). T. Pflioht ; I. Duty; F. Devoir. Non è altra cosa che l'obbligazione morale, ο, come tale, è implicito nell’ idea di giustizia, in quanto questa ha una efficacia diretta sul soggetto. In senso con- creto un dovere è una regola determinata d'azione, una obbligazione definita. Nella storia della filosofia il concetto del «dovere comincia ad essere determinato con gli stoici; esso si presentò loro necessariamente, in quanto ricondu- cevano l’attività particolare alla legge generale della na- tura e quindi l’attività appariva prescritta dalla legge. Essi distinguevano due specie di doveri, assoluti © medi, corri- spondenti alle due specie di beni: quantunque solo il bene sia comandato incondizionatamente, tuttavia può essere moralmente’ consigliabile anche ciò che è desiderabile. Dico Cicerone: Porfeotum ofleium rectum, opinor, vocemus, quo- niam Grasci κατόρθωμα, hoc autem commune officium vocant. Atque ea sic definiunt, ut rectum quod sit, id officium perfeotum esse definiunt; medium autem officium id ease dicunt, quod cur faotum sit, ratio probabilis reddi posit. La più comune ed antica classificazione dei doveri è quella fatta a seconda dei loro oggetti: verso noi stessi, verso i nostri simili, verso Dio. Fra i primi sono quelli verso la nostra inte- grità fisica ο psichica, verso la nostra costituzione orga- nica, intellettuale, morale; fra i secondi, quelli verso la famiglia, verso la società, verso lo Stato, o di fratellanza morale verso le altre nazioni, cioè doveri internazionali. Altra classificazione importante è quella in doveri atretti ο perfetti, © doveri larghi ο imperfetti; i primi sono quelli che non lasciano alcuna libertà nella applicazione, i secondi quelli la cui applicazione è lasciata invece all’ apprezza- mento dell’ individuo. Si distinguono anche i doveri posi- tivi, che consistono in azioni che si devono compiere, dai negativi, azioni da cui si deve astenersi. Ricordiamo infine la distinzione fondamentale fra doveri giuridici, che sono imposti dalle leggi, si appoggiano sulla forza, ed hanno una sanzione definita nelle leggi punitive, e doveri morali, che hanno una sanzione indefinita nella pubblica opinione © nella coscienza dell’ individuo. Dicesi materia 0 contenuto del dovere l’atto che si deve compiere, e forma il carat- tere di necessità pratica che tale atto riveste nella nostra coscienza. Per Kant la materia del dovere si deduce dalla sua forma; il dovere è infatti la necessità di faro un'azione per rispetto alla legge, ο dn qui sgorga la suprema legge morale, ossia 1’ imperativo categorico, cho si formula così: agisci in modo che la massima della tua azione possa di- ventare una norma universale di condotta. Ma perchè siavi una legge che comandi senza eccezione, occorre che siavi in natura qualche cosa di valore assoluto, che cioè si im- ponga sempre come fino; tale è l’uomo, unico essere ra- gionevole della natura; perciò l'imperativo categorico si modifica così: agisci in maniera da trattar sempre I’ uma- nità come fine, sis nella tua che nell’ altrui persona, © dn non servirtene mai come mezzo, Occorre ancora che la vo- lontà dia la legge a sò, sia autonoma, perchè solo a tal patto accetterà la legge senza alcun altro interesso; da ciò la terza formola doll’ imperativo categorico : opera in modo — 337 — Dua che la tua volontà possa considerare sè stessa come det- tante, con le sue massime, leggi universali. Per Fichte V’Io è la volontà morale e il mondo è il materiale sensi- bile del dovere, ossia tale che in esso noi possiamo essere attivi; quindi non l'essere è la causa dell’ agire, ma per l'agire 1’ essere è sorto, ο tatto ciò che è non pnd conce- pirsi se non per ciò che dere essere: « L'unico sicuro e de- finitivo fondamento di tutte le mie conoscenze è il mio dovere. Questo è l'in #è intelligibile, che, mediante la legge della rappresentazione sensibile, si converte nel mondo dei sensi ». L’urto (Anstoss) che ci obbliga a porre il mondo esterno, non è altro che il nostro dovere, o il mondo stesso il materiale per l’attività della ragione pra- tica. Per l'Ardigò l’imperativit del dovere ha la sun ine naturale nella impulsività delle idealità sociali, mediante un processo formativo di cui non s’accorge l’in- dividuo, il quale solo avverte la formazione già compiuta ed è perciò indotto a credere nella primitivita del sno ren- timento del dovere; in breve, l'obbligatorietà del dovere non è che la ricordanza assommata e indistinta, ma ine- vitabile, del dolore incontrato eseguendo atti che riescono di danno ai consoci; il dovere morale nasce quindi dal dovere giuridico, fino a diventare una forma contitutiva della psiche dell’ individuo, avverandosi così il fatto, che sembra paradossale, del convertirsi dell'attività volontaria da fondamentalmente egoistica, qual'è da principio, in virtà disinteressata. Cfr. Diogene L., VI, 1, 107-109; Ci- cerone, De ofleis, I, 3, $ 8; Kant, Arit. d. prakt. Vern., ed. Reolam, p. 103 segg.; Fichte, Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 224; G. Marchesini, La dottrina positiva delle idealità, 1913, p. 93 segg.; Ardigò, Op. /l., III, p. 132 segg. (v. au- tocoscienza, autonomia, dialettica, etico, idealismo, moralismo, realtà). Dualismo. T. Dualiemus; I. Dualism; F. Dualisme. Si oppone a monimo, e designa qualsiasi dottrina, sia filo- 22 — RaxzoLi, Dision. di scienze filosofiche. Dua — 338 — sofica che religiosa, che spiega o un dato ordino di cose © di fatti, o tutto l'insieme delle cose © dei fatti, I’ uni- verso, come la risultante di due principi, di due tendenze, di due canse distinte ed opposte, ο perciò irredueibili 1’ una all’ altra. Un dualismo religioso è la religione di Zoroastro, che attribuisce tutti gli avvenimenti del mondo alla lotta di dne potenze contrarie, primitive, eterne, indipendenti l'una dall'altra, di cui l’una, Ormurd, è l’autore del bene, l’altra, Abrimane, del male. Il dualismo filosofico, qnale fu inteso dai filosofi greci, da Pitagora a Platone, da Ari- stotelo agli stoici, consiste nel considerare l’origine ο la natura dell’ universo mediante due principi ο sostanze af- fatto opposte: la materia, assolutamente amorfa e passiva, © lo epirito, potenza attiva ed animatrice. Dicesi dualismo spiritualistico la dottrina, posta sotto forma precisa da Car- tesio, che considera l’anima ο il corpo come due sostanze etorogenee, agenti reciprocamente l’ una sull’ altra, Questa dottrina, detta anche dell’ influsso fisico, si oppone alle vario forme di monismo, sia spiritualislico : il corpo non è che uns forma ο un prodotto d’ uno ο più esseri psichici ; sia malerialietico : l’anima non è che una forma ο un prodotto del corpo; sia pricofisico : l’ anima © il corpo non sono che due aspetti differenti di un solo e medesimo essere. Nella teoria della conoscenza dicesi dualismo ogni dottrina che faccia originare le nostre conoscenzo da due fonti; ad es. quella del Locke, che dalla sensazione fa derivare la co- noscenza del mondo corporeo, dalla riflessione In conoscenza dolle attività dello spirito. Spesso il términe dualismo è adoperato in opposizione a naturaliemo © a panteismo, per indicare la dottrina che pone due ordini distinti di realtà : una spirituale, trascendente, eterna, senza causa, l'altra, che della prima è un riflesso, materiale, temporanea, creata. Cfr. Th. Hyde, Historia rel. ret. Pers, 1700, ο. 9; Cartesio, Princ, phil., I, 60; L. Stein, Dualiemus oder Moniamua, 1909 (v. anima, coscienza, manicheiemo, parallelirmo). — 339 — Dus Dubbio. T. Zweifel; I. Doubt; F. Douts. Lo stato di perplessità in cui trovasi l'intelligenza quando rimane so- spesa senza negare nè affermare. Il dubbio presuppone l’esistenza di due gindisi contradditori, considerati en- trambi come possibili, tali cioè che nessuno dei due por- segga ragioni sufficienti per essere aocettato ο respinto. Il dubbio si oppone alla certessa, che è una persnasione ferma conforme alla verità, © ni distingue dalla probabilità, che è una specie di avviamento alla certezza. Si distinguono due sorta di dubbio: quello assoluto ο definitivo, che è il vero e proprio dubbio scettico, e non ammette possibilità di conoscenza e di soienza; quello provvisorio, o metodtoo, © filosofico, che, da Cartesio in poi, è divenuto il ‘prin- cipio fondamentale del metodo scientifico, e consiste nel respingere qualsiasi opinione anteriormente accettata, 80- spendendo ogni giudizio fino che la verità non siasi im- posta allo spirito con evidenza assolata. I! dubbio meto- dico trovasi già in Socrate: opponendosi al dubbio scettico dei sofisti, che riguardava la possibilità della scienza e la realtà delle cose, egli proolama la necessità di sottoporro a revisione ogni opinione, per antica ed antorevole che sia, per eliminarne le contraddizioni, correggerla, comple- tarla: così il dubbio, che nella sofistica era stromento di distruzione dell’ antica filosofia, diventa con Socrate il punto di partenza della filosofia nnova. Più tardi, anche 8. Ago- stino cerca la via della certezza attraverso il dubbio, e le stesse teorie scettiche gliene aprono la via; dubitando, egli dice, io dubitante so di esistere, di ricordare, di conoscere, di volere, perchè il dubbio contiene gid in sè la preziosa verità della realtà doll’ essere cosciente, e le ragioni del dubbio si fondano sulle nostre rappresentazioni anteriori, ο nella valutazione dei motivi del dubbio si sviluppa il nostro sapere, il nostro pensare, il nostro giudicare, Ana- logamente per Cartesio, la ricerca è figlia del dubbio © ge- neratrice della conoscenza e delle convinzioni salde © co- Dus — 340 — scienti. Nel Discorso sul metodo ogli dice come dal dubbio gli sia derivato il primo impulso alle sue meditazioni : tot enim mo dubiis totque erroribus implicatum coso animadverti, ut omnes diacendi conatus nihil aliud miki profuisse judicarem, quam quod ignorantiam meam magis magisque detezisse. L'unica via di liberazione dal pregiudizio ο dall’ errore, che inge- nerano il dubbio, è questa: non aliter videmus posse liberari, quam si semel in vita, de ite omnibus studeamus dubitare, in quibus vol minimam inoortitudinia euspicionem reporiomus. Il dubbio deve in primo luogo attaccare le cose sensibili © la loro esistenza, invadere le dimostrazioni matematiche e i loro principî, non risparmiare alcuna delle nostre cono- scenze, finchè non incontri un limite insuperabile in sè stesso, il dubbio, dellaycui esistenza non è possibile du- bitare; e da questo punto fermo cominois in Cartesio, col cogito ergo sum, tutta la fase ricostrattiva delle conoscenze chiare ο distinte non più attaccabili dal dubbio. — Si suol distinguere anche il dubbio normale dal patologico, il quale a sua volta è distinto dal Ribot in dubbio drammatico ο Sollia del dubbio. Il dubbio drammatico è quello che pre- cede le grandi conversioni (S. Paolo, Renan, ecc.) ed è co- stituito da un lavono intellettuale lungo e da principio latente, che scoppia alla fine col crollo delle credenze an- tiche © il costituirsi delle nuove. Cfr. ΒΑ. Agostino, De vita beata, 7; Solil., II, 1 segg.; De rer. rel., 72 segg.; Cartesio, Specimen philos. seu dissertatio de methodo, 1764, p. 3; Princ. philos., IV-V; P. Sollier, Le doute, 1909; G. Zuccante, In- torno al principio informatore e al metodo della filosofia in Soorate, « Riv. di fil. », febbr. 1904 ; Alemanni, Intorno a una psicologia del dubbio, Ibid., maggio 1908; R. Mondolfo, Il dubbio metodico e la storia della filosofia, 1905 (v. acata- lesnia, autocoscienza, ironia, epooa, testimonianza, achepsi, dom- matiamo, diallelo, dicotomia, tropi). Dubbio (follia del). T. Zweifelsuoht, Grübelsucht ; I. Doub- ting mania; F. Folie du doute. Stato morboso di perplessità Duocontinua, che ha tro gradazioni diverse; nel primo il ma- lato si sente continuamente irresoluto, non sa giungere ad alcun risultato definitivo, è sempre tormentato dal biso- gno di corcare il perchè di tutto, di rivolgersi domande senza fine (mania del perchè); questa ruminazione psicolo- gica, come la chiamò il Legrand du Saulle, si traduce poi negli atti, cosicchè il malato non osa far nulla senza ti- mori, ansie © precanzioni infinite; da ultimo questi fe- nomeni possono assumere carattere ipocondriaco, che si rivela con il dubbio eterno di non poter far nulla, di es- sere affetti da una malattia cronica, di aver mancato al proprio dovere, di essere male edncati, importuni, indi- soreti. A seconda poi del contenuto dei problemi, che l’ammalato si propone, si hanno casi: di dubbio metafisico, quando riguardano l’ essenza delle cose, l’origine ο il per- chè della creazione, οσο. di dubbio realista, quando le que- stioni mentali più comuni si riferiscono alla ragion d’ es- sere di certi organi, perchè l’acqua bagni, perchè la terra non sia assorbita dal more, ecc.; di sorupolo, in cui 1 dividuo è nella continna preoceupazione di non aver adem- piuto bene ai propri doveri, o di non aver fatto bene ciò che ha fatto, ο d’ essere responsabile di qualche sciagura tocestn alla propria fantiglia, Cfr. Legrand du Saulle, La Jolie du doute, 1875; Ribot, Les maladies de la volonté, 1883, γ. 60 segg. Duodinamismo. Quel sistema vitalistico, che spiega il fenomeno della vita come il prodotto di an principio o anima distinta dagli organi corporei non solo, ma anche dal!’ anima pensante. Esso si trova per la prima volta in Platone. Le dottrine sue furono poi riprodotte da Galeno, e, più tardi, da Bacone, Gassendi, Buffon. Tra i filosofi moderni il duodinamiemo, variamente modificato, fu w- guito specialmente da Maine de Biran, Jouffroy, Ahrena (v. animismo, archeismo, meccanismo, elettrovilaliemo, vita, protoplasma, vitaliemo). Der — 342 — Durata. T. Dauer; I. Duration; F. Durée. Di solito indica il tempo in cui avviene un fenomeno senza inter- ruzione, ossia una lunghezza determinata, costituita dai mutamenti continui della successione; |’ interruzione della durata di un fenomeno dicesi intervallo. Invece gli scola- atici, ispirandosi al concetto comune, secondo il quale una coss che dura non cambia e non ha quindi, in quanto dura, nè prima nè poi, intendevano la durata come un permanere in ezistentia. Essi distinguevano la duratio intrinseca, che è In permanenza della coss nell’ esistenza sua, ossia l’esistenza perseverante, dalla duratio extrinseoa, che à il movimento del primo mobile, da cui sono regolate le durate intrinseche. Per Spinoza è « la continuazione indefinita dell’esistenza » ; per Locke è « l’ intervallo tra l’ apparire di due rapprosen- tazioni nella coscienza ». Per Cartesio la durata si distingue dal tempo, in quanto questo non sarebbe altro che la mi- sura della durata di un fonomeno, o la parte della duruta, durante la quale un fenomeno avviene: quindi il tempo sarebbe una cosa soggettiva, la durata avrebbe uno realtà oggettiva, in quanto le cose realmento durano. Leibnitz oppono il tempo alla durata come lo spazio alla estensione: la durata è l’ordine di successione tra percezioni reali, come la massa estesa è ens per aggregationem, sed ex uni- tatibue infinitis; il tempo è invece un continuum quoddam, sed ideale, in cui possono essere prese frazioni pro arbitrio. La genesi delle due nozioni è inversa: in aotualibus nimplicia aunt anteriora aggregatis, in idealibue totum est prius parle. Per Clarke « il tempo è una durata senza principio ο senza fine nella quale si succedono i fenomeni »; da cui seguo che la anecesione è il rapporto delle durate finite comprese nella durata infinita del tempo, e che il tempo è metatisi- cumente anteriore alle durate successive che lo riempiono. Per Cristiano Wolff è la eristentia. qua rebus pluribus nuo- cemivis quid cœnietit, veu eristontia rimultanea cum rebus plu- ribus xuccesiris ». Per Berkeley « la durata di uno spirito — 343 — Dur finito deve essere valutata secondo il numero delle idee 0 delle attività che in esso si succedono |’ una all’ altra ». Anche per Hume « la rappresentazione della durata discende sempre dalla successione di oggetti matabili e non può mai essere introdotta ‘nello spirito da qualche cosa di uniforme © di immutabile >. Per Kant il permanente (das Beharrliche) è il sostrato della rappresentazione empirica dello spazio; « mediante il permanente soltanto 1’ essere ricevo quella grandezza costituite dalle diverse parti della serie tempo- rale, che si chiama durata ». Per il Boirno la durata in abetraoto è la concezione della possibilità di successioni nelle cose, perchè, senza un rapporto con la successione, la durata non sarebbe misurabile e xi confonderebbe con l’esistenza; la durata concreta involge, di più, un rapporto di simultaneità col successivo, ossia il permanere identico della cosa, mentre le altre cose mutano. Per il Bergson la durata si oppone al tempo in quanto la prima è il carattere stesso della successione, quale è immediatamente appresa dalla coscienza, mentre il secondo è l’idea matematica che noi ce ne facciamo per ragionare e comunicare coi nostri si- mili, traducendola in imagini spaziali ; quindi In durata è per lui il tempo concreto, il tempo reale, costituito da una pura successione di cangiamenti qualitativi senza alcuna tendenza ad esteriorizzarsi gli uni rispetto agli altri, senza alcuna parentela col numero, l'hétérogeneité pure sane au- cune parenté aveo le nombre. Cir. Suarez, Metaph. disputa- tiones, 1751, 50, 1,1; Spinoza, Cog. metaph., I, 4; Ethica, 1. II, def. 5; Locke, Ese., II, cap. 14, $ 3; Cartesio, Princ. philos., I, 57; Leibnitz, Nouv. Een, II, cap. 14; Letiren de Leibnitz οἱ de Clarke, ed. Janet, t. II, p. 647; Ch. Wolf. Philosophia prima, 1736, $ 578; Berkeley, Prino., XCVIIL; Hume, Treat., Il, ser. 3; Kant, Krit. d. reinen Vern., p. 176: Boirac, L'idée du phénomène, 1894, p. 128 segg.; Bergson, Essai sur lee données imm. de la conscience, 1904, p. 74-78 (v. aevum, cangiamento, istante, mobiliemo. tempo). Ebk-Ecc — 344 — E. Nollu logica formale si adopera per designare la pro- posizione universale negativa (nessun 4 è B), e, nelle pro- posizioni complesse e modali, 1’ affermazione del modo e la negazione della proposizione. Nella dottrina dell’ Ha- milton sulla quantificazione del predicato, designa la propo- sizione toto-totale negativa (nosrun 1 è nessun B). Cfr. Hn- milton, Lectures on logic, 1860, app. II, p. 288. Ebefrenia. T. Hebephrenie; I. Hébéphrénie. Una dello forme sotto cui si manifesta la demenza precoce. Compare soltanto nell’ età giovanilo e più frequentemente nell’ nomo che nella donna. Ha gradazioni che vanno da disturbi in- significanti dell’ intelligenza ο dell’ affettività alle altera- zioni più profonde della psiche, manifestantesi con alluci- nazioni e idee deliranti malinconicho, esaltamenti improv- visi, movimenti senza scopo e sonza ordine, logorrea. Il curattere più tipico dell’ ebofrenia è 1’ indifferenza assoluta per l’ambiente, verso il quale il malato uon reagisce che debolmente e lentamente. Cfr. Daraszkiewiez, Ueber Hobe- phrenic, 1892 (v. demenza, oretinismo, idiotiamo, imbecillità). Bcoeità. T. Diesheit; I. This-nes; F. Eoceité. Giovanni Dune Scoto opponendosi a 8. Tommaso, che poneva la forma intellettiva come base della individualità, sostenne che la sorgento vera della individuazione non consiste in deter- minazioni accidentali ed esteriori, ma nel profondo stesso della ossenza, in una ultima realitas, che nella persona umana è la volontà. Questa ultima e profonda nota diffe- renziule, che si può solo constatare come attuale ma non derivare da una ragione universale, che trascende la co- noscenza οἱ è peroiò indefinibile, fu detta dagli scolari dello Scoto haccoeitas, o anche ecocitas : exsu è la traduzione del τὸ τοδέ τι di Aristotele, e, per quanto sia intraducibile, come indefinibile è la realtà, si potrebbe tradurre come: — 345 — Ecc questa cosa qui, il qui. L’ecceità degli Scotisti si contrap- pone alla quidditä dei Tomisti, che è perfettamente tradu- cibile. Cfr. Prantl, Gesohiohte d. Logik, 1855-70, III, 219, 280; Goclenius, Lex. philos., 1613, pag. 626. Bocettuative (proposizioni). T. Auenchmend; I. Ezceptive; F. Ezoeptice, Quelle proposizioni implicite 9 composte, che di un soggetto generale affermano universalmente un predi- cato, ad eccezione d’ nna ο più specie d’ individui. La sua formula è: tutti gli 4, fuorchè a, sono B. Eccitazione, T. Reis, Erregung; I. Ezoitation ; F. Ezci- tation. In generale significa risvegliare, mettere in azione una forza, ma si usa specialmente per designare quello stato caratteristico delle cellule nervose, che consiste in particolari modificazioni di natura ancora ignota, determi- nate dall’ azione di speciali agenti che si dicono stimoli. La modificazione costituisce lo stato di eccitazione; I’ atti- tudine a subirla costituisce 1) eccitabilita. L’ estremità delle fibre eccitate dicesi estremità di eccitazione, l’altra estremità cui l'eccitazione viene trasmessa dicesi estremità d'azione. Il limite minimo di intensità dello stimolo, che è necessario varcare per ottenere I’ eccitazione, dicesi soglia della ecoi- aumento minimo dello stimolo al di sopra della soglia, ca- pace di produrre un aumento della eccitazione, dicesi soglia della differenza. L’ eccitazione nervosa, entro certi limiti, cresce col crescere dell’ intensità degli stimoli L’ occita- zione di una celluls ο di una fibra nervosa non si può ar- guire che dai fenomeni da essa provoesti nei centri nervosi © negli organi periferici (sensazione, contrazione musco- lare, secrezione delle glandole, ecc.) non essendo note le condizioni fisiche e chimiche che costituiscono lo stato di eccitazione. Il grado di eccitabilità si desume dal grado della eccitazione prodotta da uno stimolo di intensità in- feriore a quella necessaria per produrre una eccitazione di grado massimo: il grado di eccitazione xi desume dagli μοι, — 946 — effetti della medesima. L’ eccitazione si trasmette lungo le fibre, purchè in esse non sis avvenuta alcuna discontinuità anatomica; tale trasmissione si fa tanto in via centripeta che in via centrifuga. L’ eccitazione delle cellule nervose può essere di tre forme: riflessa, prodotta dalla eccitazione d’una fibra centripeta ; automatica, prodotta dall'azione dei liquidi che bagnano i centri nervosi; prichica, emozione, volontà, ecc. Cfr. Wundt, Grundriss d. Peychol., 1896, p. 299; Höffding, Peyohologie, trad. frane. 1900, p. 140 segg.; Richet, Reckerches sur la sensibilità, p. 42 segg., 168 segg. (v. irritabilità, quantità, atimolo). Eolettiamo. T. Eklekticismus; 1. Eolecticism ; F. Eoleoti- me. Sistema che risulta da un insieme di dottrine sparse nei differenti sistemi e coordinate armonicamente tra loro; quando la coordinazione manca non si ha più I’ eclettismo ma il sinoretismo. Nella storia della filosofia 1’ eclettismo comincia a manifestarsi verso la fine del II secolo d. C.; col diffondersi delle scuole nei grandi rapporti della vita dell’ impero romano, svanì lo spirito scolastico, venne meno la polemica e sottentrò invece il bisogno dell’ adattamento © della fusione: platonismo, aristoteliamo e stoicismo pre- sero a base comune la concezione teleologica del mondo per combattere l’epicureismo. Minore importanza filosotica, ma maggiore importanza storica ebbe 1’ eclettismo a Roma: accogliendo la filosotia greca i Romani, con criterio essen- rialmente pratico, dedussero 1’ una dopo I’ altra dai sistemi delle vario scuole le dottrine da loro accettato: così av- venue in Cicerone, in Varrone ο in parte nel gruppo dei Sestii. Nel pensiero moderno l’eclettismo risorge, oltrechè nei seguaci del Leibnitz, nella scuola psicologica francese restaurata da Vittorio Cousin (1791-1867) col nome di eclet- tica, consolidata dai seguaci di lui col nome di spiritua- liatica: essa ha avuto un dominio quasi incontrastato in Francia per gran parte del secolo XIX, costituendo la filo- sofia ufficiale delle accademie ed avendo a rappresentanti — 347 — Eco uomini illustri come Jul. Simon, E. Vacherot, C. Secrétan, Ad. Franck, E. Caro, ecc. Il suo punto di partenza è il seguente: ogni uomo possiede un senso del vero, che si suol chiamaro senso comune, ragione, coscienza, spirito umano, ecc. ; esso è competente ο infallibile rispetto alle verità eterne, che giacciono inconscie ‘e latenti in cia- scuno di noi; i sistemi filosofici non sono che frammenti di codesta verità, portati alla piena coscienza dalla rifles- sione; dato il grande numero e la grande varietà dei si- stemi filosofici fino ad ora succedntiei, si può conchiudere che, frammento per frammento, essi hinno portato alla luce tutta la verità filosofica, la quale dunque esiste oggi sia inconscia nel nostro senso comune, sia chiara ma di- spersa nella storia della filosofia; per scoprirla non può esserci che un metodo: la storia, unn volta giudicata dal senso comune, lascerà un residuo che sarà lo stesso senso comune, la verità allo stato di coscienza piena e chiara. Eclettica quanto alla sua formazione, per le fonti svariate cui ha attinto, ms esclusiva ο dommatica pel sno fine, di rinnovare col metodo psicologico la tradizione spirituali stica interrotta dsl predominio del sensualismo, la scuola eclettica francese ha potuto, in grazia al suo metodo, fra- zionarsi in tanti centri minori, senza perdere una costante intonazione spiritualistica e senza ricorrero ad altra rive- lazione che a quella psicologica. Cfr. Windelband, Geschichte d. Philos., trad. it, 1913, vol. I, p. 203 seg.; Saphary, L'école colootique et V éoole française, 1844; A. Fresnean, L'éclooti- sme, 1847; Jouffroy, De l’éolectisme on morale, 1825; P. Junet, Victor Cousin et son œuvre, 1885, cap. XVII; De Ruggero, L'eoletiismo francese, « Riv. di filosotia », aprile 1910. Boolalis. T. Echolalie, Echonprache; I. Echolalia, Echo- phasia; F. Hoholalie. Fenomeno psicologico che si verifica in alcune malattie mentali, specialmente nella catatonia, nel? afasio, disfasia, ecc. Consiste in ciò che 1’ ammalato neynists una tale suggestibilità, du ripetero fedelmente ogni parola che in sua presenza è pronunciata, ο, in luogo di rispondere alle domande rivoltegli, ripete le domande stesse. Aleune volte, poi, si dà il caso curiosissimo che Vammalato, sentendo pronunziare dei numeri in somma, moltiplicazione, oce., non ripeta i numeri stessi, ma il ri- sultato della operazione. Cfr. Séglus, Les troubles du lan- gage, 1893; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 369 segg. Economia. T. Ökonomie; I. Economy; F. Économie. Nel suo significato più generale, si può definire come la dispo- sizione delle parti di un tutto necessaria n far sì che, con i minimi mezzi, il tutto medesimo raggiunga una determi- nata finalità. In questo senso si può quindi parlare tanto di economia della famiglia, dello Stato, della società, quanto di economia doll’ universo, del corpo umano, di un sistema filosofico, di un’opera scientifica ο letteraria. Per coonomia politica intendesi la scienza dei fenomeni e la determina- zione delle leggi che concernono la distribuzione delle rio- chezze, nonchò la loro circolazione e consumazione in quanto questi fenomeni sono lognti a quello della distribuzione; ο, più brevemente, la scienza dell’ ordine sociale della ric- chezza. — Nelle grandi controversie, sorte prima e dopo la tissazione del dogma cristiano della Trinità, si designava con questo vocabolo l'uguaglianza delle tre persone in una sola natura divina. Economica (concezione della scienza). Con 1’ espressione concezione economica ο biologioa della scienza o della cono- scenza, si indicano tutte quelle dottrine contemporanee, so- stenute specialmente da scienziati come Maxwell, Hertz, Mach, Avenarins, Dubem, Poincaré, eco., che muovono dal concotto che l’origine e quindi anche l’essenza dell’attività conoscitiva, come di qualsiasi altra attività e funzione orga- nica, ha il suo fondamento nel grado d’utilita per l’ organi- smo, nella rispondenza ad un bisogno vitale; cosicchè le idee, i principi, lo ipotesi, ecc. non sono se non convenzioni, stro-* menti il cui valore sta soltanto nel loro grado di utilità — 349 — Eco © di comodità, non nella loro correlazione con una realtà per sè stante. E le varie forme di conoscenza, mentre sono in relazione con i nostri bisogni, rappresentano le vie per agire in modo più efficace e proficno; noi arriviamo a co- strnire i vari oggetti dell’ universo e ne determiniamo le qualità, le proprietà, le attitudini, riferendoci sempre alle maniere în cui riescono a farci operare in un modo piut- tostooh® in un altro, considerandoli come occasioni ο motivi della nostra condotta. L’Avenarius, ad esempio, riduce tutto lo sviluppo della conoscenza al principio del- P inerzia ο del minimo consumo d'energia: l’anima non impiega in una percesione più forza di quella che necessaria e, quando si trova innanzi a una pluralità di appercezioni, dà la preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo stesso effetto o con uno aforeo uguale prodnce un effetto maggiore. Il Mach assegna alla scienza un solo ufficio biologico, quello ciod di daro al- l’uomo un orientamento completo in mezzo al complicato intreccio dei fatti naturali; così i concetti non sono che schemi suggestivi di azioni adatte, il valore delle ipotesi delle definizioni ο degli assiomi scientifici sta tntto nel modo semplice ed economico di ordinare le leggi ricnvato dall’esperienza, il principio di causalità non è che un inola- mento arbitrario delle circostanze che più ci interessano per i nostri fini pratici, il tempo scientifico o astratto è una semplice parola con cni ci risparmiamo la fatica d’una serie complessa di relazioni. Per il Duhem la scienza fisica non altro si propone che di darci un sistema di proposi zioni matematiche, dedotto da un piccolo numero di prin- cipi, che hanno per fine di rappresentare più semplicemente, più completamente e più esattamente che sia possibile 1’ in- sieme delle leggi sperimentali. Il principio comune da ‘ni muovono i sostenitori di questa dottrina, è che la cono- scenza emerga da quel fondo di esperienza diretta, in cni pro- priamente consiste la realtà e in cui, non essendoci dintin- Eoo-Ecr — 350 — zione tra jo e non-io, non è nemmeno da parlare di co- noscenza © di realtà: quest’ultima è appresa nell’ atto stesso che è vissuta. La conoscenza vers ο propria, in quanto si pone di faccia alla realtà, all’ esperienza genuina, non è che una sovrastruttura, che diviene più artificiale a misura che ¢’ allontana dal dato immediato (sensazione), e quindi anche più convenzionale, più simbolica, più astratta, Cfr. Mach, Erkenninis und Irrthum, 1905, p. 162 segg.; Id., Dio Mechanick in ihrer Entwickolung, 1901, p. 6 segg., 80 segg.; Avenarius, Philosophie als Denken der Welt, 1903, p. 3 segg.; Duhem, L'évolution de la mécanique, 1908 1 A. Aliotta, La reazione idealistioa contro ia scienza, 1912, p. 68-110; H. Höffding, Philosophes contemporaine, trad. franc. 1908, p. 93 segg.; F. De Sarlo, I problemi gnoseolo- gici nella fil. contemp., « Cultura filosofica », nov. 1910; Masci, Scienza e conoscenza, 1911. Economismo storico v. materialismo storico. Eopirosi (ἐκ-πυρόω - abbrucio). È la dottrina dell’ im- braciamento universale, che gli stoici tolsero da Eraclito, facendone unn purte essenziale del loro sistema. Secondo gli stoici, Dio è ad un tempo fuoco, anima del mondo, e ragione seminale: all’ origine delle cose, la materia uni- versale assorbita nel fuoco divino, è uniformemente tesa © occupa un immenso spazio nel vuoto infinito; ma poi, per via di graduale raffreddamento e condensazione, da codesto fuoco vengono formandosi i diversi elementi, la terra ο gli astri, gli uomini © le coso; costituito così il mondo, esso attraversa tutte le età e tutti gli avvenimenti possibili, dopo di che ritorna di nuovo nel seno del fuoco divino, che tutto invade e tutto penetra. Dio allora regna solo ο si concentra nella contemplazione di sò stesso; ma Len presto egli si accinge alla formazione di un nuovo mondo, che si risolverà esso pure nel fuoco, e poi ad un altro, ο così via via all'infinito: ο ogni nuovo mondo cor- risponde esattamente a quelli che l'hanno preceduto e a quelli che lo seguiranno, perchè l’esenza divina è sempre la medesima. Cfr. F. Ogereau, Le syst. philosophique des Stoi- ciens, 1885, cap. III (v. πιοπίηπιο, cosmogonia, palingenesi, panteismo, stoioimho). Edonismo. T. Hedoniemus; I. Hedoniem ; ¥. Hédonisme. Dottrina morale che identifica la virtù col piacere (ἡδονή) © sostiene non esistere altro bene che il piacere e ultro male che il dolore. Nella storia della filosotis 1’ edonismo è rappresentato specialmente dalla dottrina di Aristippo di Cirene, secondo il quale unico bene per I’ uomo è il piacere attuale ο presente, il piacere più vivo e immediato; è in- differente quale sia l’oggetto del piacere, tntto dipende solo dal grado del piacere, dalla forza del sentimento di soddisfazione, che si trova per lo più nel godimento sen- suale dell’ immediato presente; la speranza d’ an bene fu- turo è sempre unita all’ ingnietudine dovuta all’ incertezza del destino, © perciò non è un vero bene. L’ edonismo non va confuso nd con I’ atilitariemo, nè con l’ eudemoniemo, poi- chè il primo al piacere immediato sostituisce l'interesse ο P utile, il secondo pone come fine ultimo la felicità, che consiste in un piacere il cui valore deve essere giudicato dalla ragione (v. Cirenaioi). Educazione. T. Ersichung; I. Education; F. Education. Fu variamente intesa e definita. Secondo Kant, è lo s luppo nell’ uomo di tutta la perfeziono che comporta la sua natura; per lo Spencer è la preparazione alla vita com- pleta; per lo Stein è I’ evoluzione armonica ed uguale dello facoltà umane; per il Joly è la totalità degli sforzi che hanno per scopo di dare all’ uomo il possesso compiuto ed il buon uso delle sue facoltà, ecc. Come è facile vedere, si confonde bene spesso il fatto della educazione con In scienza della educazione ; questa è la serie delle operazioni con le quali si educa, quella il risultato di tali operazioni. In questo secondo senso, che è il solo legittimo, si può dire che l'educazione non è altro che un’ abitudine buona EFR-EFF e perfezionatrice, sia negativa che positiva: negativa in quanto contrasta con le tendenze riprovevoli, positiva in quanto crea delle speciali attitudini ed abilità fisiche, in- tollettuali e morali già possedute dalla società in genere. Si distingue perciò un'educazione fisica ο del corpo, una educaziono éntellettuale ο dell’intelligenza, e una educa- zione morale ο del carattere. All’ efficacia dell’ educazione possono contrastare I’ eredità ο V ambiente; tuttavia so co- desti fattori spesso si rivelano con forza irresistibile (specie nelle nature estreme, idioti, geni, degenerati), più spesso ancora l'educazione riesce a modificarli radicalmente. — Di- costruite mediante le sensazioni si trasformano, si preci- sano, si completano e ϐ) organizzano con gli altri fenomeni psichici ; con la stessa espressione si indicano anche i mezzi con cui s' insegna a correggere gli errori (illusioni) che derivano dalla costituzione stessa degli organi sensori, a di- stinguere lu diversa qualità e intensità delle sensazioni, a conoscere le sensazioni simili, ad apprezzare le distanze, ecc. — Nol linguaggio teologico dicesi eduoazione dirina quella che l’uomo riceve da Dio, per effetto della rivelazione; essa coincide con l’origine del mondo, à data e continuata parte con parole parte con fatti; ha quattro fasi, Porigi- naria, la patriarcale, la mossica e la cristiana; quantun- quo queste fasi si debbano riguardare come un solo tutto strettamente connesso, poichè attraverso esse si svolge il piano divino dell'educazione, tuttavia le prime tre si consi- derano come fasi preparatorie dell'ultima, la più perfetta di tutte, perchè manifestazione diretta di Dio (v. pedo- logia, didattica, pedagogia). Efettici (épextixot). Con questo nome furono designati qualche volta gli scettici (v. zetética). Effetto. T. Wirkung, Effekt; I. Effect; F. Effet. Ciò che è prodotto da una causa. Un avvonimento qualainai ai co cepisce come effetto quando lo si considera come comin- ciante ad esistere, ossia quando si pensa la sus nuova esi- stenza come una mutazione o come una operazione: L'effetto i distingue dall’ accidente perchè, mentre questo si consi- dera come una cosa sola colla sostanza e ls determina, l’ef- fetto si concepisce invece come separato dalla causa cd appartenente ad altro essere. Gli scolastici chiamavano effectus primarius o intrinsecue il composto concreto 0 In denominazione, che risulta dalla forma unita ad un sog- getto capace: ad es. l’effetto primario del calore, per cui l’acqua si riscalda, è l’acqua calda stessa; effectua secon- darius © extrinscous qualsiasi effetto positivo ο negativo, che risulta dall’ unione della forma nel soggetto, in modo da essere adeguatamente distinto dalla forma o da restarle estrinseco, ad es. l'allontanamento del freddo dall’ acqua. Efficace. T. Firksam; I. Efficace; F. Efficace. Usato come sostantivo, designa il potere che ha la causa’ di produrre l'effetto; non è dunque che I’ obbiettivazione dello sforzo che proviamo nell’ agire, la virtualità dell’ effetto nella causa, costituita dall’ aspettazione di B che abbiamo visto segnire costantemente ad A. Si suol opporre l’ efficace alla condizione, che è ciò senza di cui la causa non agirebbe, e alla occasione, che è il semplice concorso delle circostanze in presenza delle quali la causa agisce (v. causa). Efficiente. T. Bewirkende; I. Efficient; F. Eficiente. Du Aristotele in poi dicesi causa efficiente, per opposizione alla finale © alla oocasionale, il fenomeno che ne produce un al- tro, o l’ essere che produce un’ azione. Alcuni distinguono la causa efficiente dalla efficace: questa produce I’ effetto senza nulla perdere o cedere della propria natura, o della propria efficacia d’agire ulteriormente, quella produce I’ ef- fetto trasformandosi in esso parziahnente ο totalmente. — Gli scolastici dicevano concorrere eficienter ο effeclire ad alcunchè, l’operare immediatamente I’ azione; concorrere directive, dare le norme dell’azione; concorrere finaliter dare la ragione finale dell’azione. 2A — RarzoLi, Dizion, di scienze filosofiche Eco — 354 — Egoismo. T. Egoiemus, Selbatliebe, Selbateucht ; I. Egoiem, Selfishness} F. Égoïsme. Nel suo senso più proprio designa V amore di sb stessi, che è naturale ed inevitabile, che no- compagna l'individuo dalla culla alla tomba e che, se può dar luogo a sentimenti bassi e volgari, è anche 1’ unico fondamento delle azioni 6 dei sentimenti più generosi. Nel suo significato più comune, per egoismo si intendo invece l'umore assoluto ed esclusivo di sè, onde I’ individuo non cura che sd stesso anche a prezzo del danno altrui. All’ egoi- smo si oppone l’alfruismo o antiogoismo, che consiste nel- } esercizio dell'attività propria al benessere altrui, ed è pure, come l’egoismo inteso in senso proprio, fondamen- tale, primordiale ed essenziale nella condotta umana, avendo la sua origine nell'organismo stesso, in quanto comincia con la propagazione della specie. Secondo Hobbes l'egoismo è l'impulso fondamentale dell’uomo, ognuno tendendo a conservare sè stesso o ad estendere In propria forza fin dove può; nello stato di natura esso domina sfrenato, e cià che lo soddisfa si chiama hene, ciò che lo contrasta si chiama male; ma poichè da ciò ne deriva la lotta di cia- senno contro tutti, che offende lo stesso egoismo indivi duale, è stato fondato lo Stato come contratto per la mu- tua garanzia dell’ anto-conservazione. Lo Spinoza accettò questa teoria, ma introducendola nella sua metafisica le diede una importanza più ideale: anche per Ini P essonza «ogni volere è il suum esse conservare, ma poichè ogni modo finito appartiene ugualmente ai due attributi, spirito e corpo, così il suo istinto di conservazione αἱ rivolge tanto alla sua attività cosciente, ossia al sto sapere, come alla sus afferma- zione nel mondo corporeo, ossia al sno potere: per tal modo Pimpulso fondamentale di ogni vita volitiva individuale vien riferito all'identità baconiana di sapere e potere. Nella filo- sofia sociale dell'illuminismo 1? egoismo è assunto pure come fondamentale; per il Mandeville, ad es., la vitalità del si- stema sociale si fonda tutta sopra In lotta dl interessi degli — 355 — Eco individui, e la forza impulsiva nella civilizzazione è solo l'egoismo; non è quindi da meravigliare se la cultura si manifesta non mediante nn elevamento delle qualità morali, ma solo con un raffinamento dell’ egoismo; la fe- lieità dell'individuo non »' accresce per effetto della ci- viltà, perchè se ciò accadesse, l'egoismo ne rimarrebbe indebolito, mentre su questo punto si fonda il suo pro- gresso. La morale evoluzionistica dello Spencer è basata tutta sopra il gioco di questi tre sentimenti: Pegoismo, che- ha per oggetto l’ interesse individuale; 0 allrujemo, che ha invece per oggetto il benessere degli altri e della società: l'ego-altruiemo, che rappresenta una via di merzo tra il primo e il secondo ο mediante il quale si produce 1 ar- monia tra l’ individuo e il suo ambiente. Ora la evoluzione morale non tende a sacrificare l’egoiamo all’altruismo, bensì a contemperare le due forme tra loro: e cioè I’ individuo si modifica per adattarsi sempre meglio all’ ambiente ro- ciale, e questo si modifica a sua volta per soddisfare sempre meglio alle necessità dell’ individno. E tanto immorale l’as- soluto altruismo come I’ egoismo esclusivo: l'individuo non deve vivere soltanto per sè, ma neppure soltanto per gli altri, poichè neppure agli altri può essere debitamente ntile se non cerca nella cura di sè stesso le condizioni adatte a tal fine. Dall’ egoismo pratico o morale, del quale abbiamo ora parlato, si distingue l'egoismo teoretico 0 aolipsiamo, dot- trinn gnoseologica secondo la quale ogni singolo apirito non è certo che della sun propria esistenza, non può at- fermare che sè stesso; lu realtà di tutto il resto è pro- blematica, nè pnd essere affermata: « Un egoista, dice Ch. Wolft, è nello stesso tempo un idealista, e non considera il mondo colloeato in altro spazio che nel proprio pensiero ». Però questo significato della puroln egoismo, comune nel secolo 18°, oggi non à più in nao, ndoperandosi invece le espressioni solipsismo, idealismo soggettivo, nihiliamo, eve. Cfr. Ch. Wolff, Fernünflige Gedanken, 1725; Sidywi EGo-ELa — 366 — Methods of elhios, 1877, p. 88, 116, 194; Bain, Mental and moral soience, 1884, p. 598 seg.; Spencer, The data of ethice, 1879; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 323 segg.; Ardigò, Opere fil., vol. III, p. 11-14, 204 segg. (v. odoniemo, egotismo, idealismo, illuminiemo, unioismo, utilitarismo, in- torease). Egotismo. I. Egotism; F. Égotisme. Gli inglesi chin- mano così il grado più profondo dell’ egoismo in cui, per una specie di ipertrofia dell’ io, ogni sentimento nobile, ogni tendenga altruistica è distrutta, I’ affettività è quasi annientata e predominano soltanto le passioni più basse. I’ egotiamo è una delle stimmate psicologiche della dege- nerazione, anzi la fondamentale secondomolti psichiatri, i quali riconducono ad essa tutti i caratteri propri della condotta dei degenerati, come lo sviluppo eccessivo della sensibilità morale, la smania di richiamare su sò stessi l’attonzione altrui, la misantropia e la diffidenza che ri- ‘sultano dal non trovare nei rapporti sociali le desiderate soddisfazioni dell’ amor proprio. — In un altro senso, più letterario che filosofico, per egotismo s’ intende l’analisi particolareggiata fatta da uno scrittore della propria in- dividualità fisica e mentale. Quest’ uso risale allo Stendhal: «Se questo libro non annoia... si vedrà che I’ egotismo è un modo di dipingere questo cuore umano, nella cono- scenza del quale abbiamo fatto dei passi da gigante dal 1721 in poi, ecc. ». Cf. Stendhal, Souvenirs d’ égotieme, p. 81; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 480 segg. ; Lombroso, Pazzi ο anomali, 2° ed. 1889. . Eguaglianza v. uguaglianza. Elaborazione. T. Ferarbeitung ; I. Elaboration; F. Ela- horation. Le attività ο facoltà di elaborazione della cono- scenza si distinguono da quelle di acquisizione: queste sono costituite dall’ esperienza, sia interna che esterna, mediante cui si acquistano i materiali della conoscenza, quelle dall'astrazione, dall’immaginazione costruttiva ο ELE riproduttiva, dall’ associazione, ecc., che trasformano e or- ganizzano i materiali stessi. Bleatismo. T. Eleatirmua; I. Hleatiom: F. Eloatiome. Senola filosofica greca, iniziata da Senofane (569 a. Cr.) © proseguita da Parmenide, Zenone e Melisso. 11 problema che essa cerca risolvere è quollo del cangiamento. Oppo- nendosi ad Eraclito, per il quale la realtà è lo stesso can- giamento, il moto, il puro diventare, gli eleati sostengopo che il vero Resle è uno ed immutabile e che lo cose mol- teplici ο variabili non sono se non illusioni del nostro senso. Per Senofane codesto Uno immutabile, eterno, per- fottissimo è Dio, 1’ nnico Dio e l’ unico reale ad un tempo; per Parmenide invece è 1’ Essere assolutamente intelligibile, che riempie lo spazio: « Bisogna ammettere in maniera ax- soluta, egli dice, o l'essere o il non-essere; la decisione su questo soggetto è tutt’ intera in queste parole: è 0 non è. Ora, non si può conoscere il non-essere, poichè è impor- sibile, nd euprimerlo con parole; non resta dunque che una cons: porre l’ essere © dire esso è, ἔστι. In questa via, molti sogni si presentano per mostrare che I? essere è senza nu- scita © senza distrazione; che è un tutto d’ una sola specie, senziî limiti, immobile, che non era nd sarà, poichè frat- tanto è tutto intero ad un tempo, e che è nno, senza di- scontinnità ». Melisso e Zenone, discepoli di Parmenide, ne svolsero lo dottrine, il primo in modo diretto e positivo, con rigoroso ordine scientifico, il secondo in modo indiretto, cor- cando di dimostrare gli assardi nei quali si cade inevitabil- mente se si ammette la pluralità del reale e la possibilità dol moto. Cfr. Ritter, Geschichte d. jonischen Philosophie, 1821: G. Fraccaroli, I lirici greci, 1910, p. 139 segg.; Windel- band, Storia della filosofia, trad. it. 1918, vol. I, p. 42 segg. ‘Elemento. T. Element; I. Element; F. Élément. Deriva, secondo il Trendelenburg, dalla corrnzione del latino olo- mentum, che il Vossio fa venire da una antica voce cleo per oleo= cresco; secondo altri deriverehbe invece dal EL — 358 — greco Όλημα (Όλη = materia) ο da ἄλημα — pulviscolo di farina. Nel suo significato proprio designa le parti ultime, costitutive della materia, che non sono passibili di ulte- riore decomposizione, e in questo senso è adoperato dai fisici. Nel suo significato astratto si adopera per designare le parti più semplici ed essenziali di qualunque scienza ο dottrina. I filosofi antichi chiamavano elementi le sostanze ogiginarie da cui ogni cosa deriva e in cui ogni cosa si corrompe ; per Empedocle tali sostanzo erano quattro: aria, acqua, terra © fuoco, ὁ questa dottrina fu seguita fino al Lavoisier. Con la parola elemento alcuni intendono, nella psicologia, una faccia o una particolaro qualità di un fe- nomeno © di uno stato di coscienza; i sonsisti e gli em- piristi intendono invece la sensazione pura e semplice ; altri infine, come l’Ardigò, intendono per elemento psichico la sensazione minima (protoestema). Ad ogni modo, è chiaro che anche nella psicologia, come nella nostra conoscenza presa nel sno insieme, la nozione di elemento è aftatto re- lativa, perchè il limite dinanzi al quale ci arrestiamo non è un limite se non per noi, che può essere sorpassato dugli altri osservatori e nelle epoche successive. Cfr. Goclenius, Lexicon philosophicum, 1613, p. 145; Trendelemburg, Élementa logioes aristoteleæ, 1878; H6fding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 24, 112; Wundt, Grundriss d. Paychol., 1896, p. 33- 36; V. Alemanni, L'elemento peichico, 1903; Ardigò, Op. fil. vol. VII, p. 34 segg. (v. protoestema). Elenoo (ἔλεγχος — confutazione). È l’esume contrad- ditorio col quale Socrate confuta gli errori © distrugge la falsa sapienza. La parola è rimasta appunto per indicare il ragionamento refutativo ; dicesi anche redarguizione. Por ignoratio elenchi intendesi quella specie di sofisma, che con- siste nel dimostrare ο refutaro una cosa diversa da quella che è in questione. Cfr. Aristotele, Anal, pr., II, 20, 66 L, 11; Logique du Port-Royal, parte III, cap. XIX (v. elenotica, ironia). — 359 — Elenctica. Una delle tre arti speciali della dialettica, intendendo per dialettica l’arte del ragionamento. Essu ha l'ufficio di confatare le proposizioni false, ed ha per antecedente opposto l’ affermazione dell’ avversario, che si deve abbattere. Si distingue dall’ apodittica, altra parte della dialettios, in quanto suppone un avversario, fa- uso di sillogismi puramente formali in cui le premesse, o una di esse, sono tolte all'avversario, e può risalire ai pri principi. Essa si vale dell’ spioherema e dell’ elenco: il primo obbliga l'avversario a cadere nella contraddizione, il se- condo lo convince d’ esservi caduto. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 841 (v. maieutica, ironia, anatreptica, agonistica, apo- logetica). ‘Eliminazione. T. Elimination; I. Elimination; F. Éli- mination. L'operazione logica che si compie nella ricerca scientifica, per fissare i rapporti di causalità tra i feno- ineni, sceverando le circostanze essenziali dalle non essen- ziali alla produzione del fenomeno stesso. Consiste nel moltiplicare il più che sia possibile le ‘osservazioni © gli esperimenti, in modo da ottenere la separazione degli elu- menti causali da quelli che non lo sono, cioè dalle circo- stanze accessorie e dai concomitanti casuali. L’ eliminazione ha il suo fondamento logico sopra questi tre assiomi della causalità: ogni antecedente, che non può essere eliminato senza che l’effetto scompaia, è causa ο fa parte di essa; ogni antecedente, che può essere eliminato senza che l’ef- fetto scompaia, non è causa nd fa parte di essa; un an- tecedente e un conseguente, che variano correlativamente in qualità e quantità, sono in rapporto causale tra di loro. I quattro metodi induttivi dello Stuart Mill, si basano cs- senzialmente sopra l'eliminazione: il metodo di concor- danza ha il suo fondamento sopra il secondo nssioma della causalità; il metodo di differenza sul primo; il metodo delle variazioni concomitanti sul terzo; il metodo dei residui è il risultato della applicazione di tutti tre. Cfr. Hncone, No- ELi-Ema — 360 vum organum, II, 18; Stuart Mill, System of logic, 1865, III, 8, $ 3 (v. causa). Eliocentrico. (#Atoç = sole). È detto così il sistema astronomico di Copernico e Galileo, che pone nel centro del nostro sistema planetario il sole, e della terra fa un pianeta che gira intorno a sò stesso © al sole. Geocentrico era invece il sistema astronomico degli antichi, che poneva la terra come centro dell’ universo. Elioteismo. T. Eliotheismus; I. Eliotheism; F. Elio- va di monoteismo naturalistico, che riconosce nel sole l’incarnazione di Dio; forma analoga, ma meno importante, è il selenoteismo ο culto della luna. La scienza moderna riconosce, secondo alcuni, il fondamento dell’elioteismo, in quanto la vita umana, come ogni altra forma di vita organica, si deve ricondurre in ultima analisi al sole raggiante: 1’ astrogenia dimostra che ogni corpo celeste, compresa la terra, è una parte staccata dal sole; e la fisiologia insegna che l’origine della vita organica sulla terra è la formazione del plasma, e che questa sintesi da semplici combinazioni inorganiche avviene soltanto sotto l’azione della luce solare. Cfr. Haeckel, I problemi dell’ uni- verso, trad. it. 1902, p. 885 seg. (v. vita). Emanatismo o emanazionismo v. emanazione. Emanazione. T. Emanation; I. Hmanation; F. Ema- nation. Dottrina filosofica e religiosa dell’ Oriente, secondo la quale da Dio sortirono e sortono tutti gli esseri che co- stituiscono l’ universo, senza che per questo la sostanza divina diminuises o si esaurisca mai. L’ emanatiswo si trova nella religione di Zoroastro, nella Cabbala e nella mitologia ebraica. Esso assume formu veramente filosofica nel neoplatonismo di Plotino, secondo il quale il Tutto nasce per l'irraggiamento intorno a sò (nepidapdtc) del- P Uno immobile, cioè dell’ Unità suprema incomprensibile e ineffabile. L’immediata produzione dell’ Uno è il Noo (9οῦς), cioè I’ intelligonza, che emana da quella come la — 361 — Ens-Enı luce dal sole; dal Noo emana l’anima del mondo, ο da questa emanano le anime individuali. Qui si ferma il gra- duale irraggiamento dell’ Uno ; perchè se è vero che l’ anima produce il corpo, la materia, che ne è il sostrato, non è più Ince ma ombra. Distingnendo emanazione dell’ essenza ed emanazione della forza, la filosofia di Plotino è definita come un emanatiemo dinamico. Cfr. Plotino, Enn., II, 4,10 segg.; V, 1, 3 segg. (v. oreasionismo, cabbala, logos, x00, demiurgo). Embriologia. I. Embryologie; I. Embryology; F. Em- bryologie. Quella parte della biologia che studio il modo di generazione e sviluppo degli esseri. Con questo termine si designa aucora lu formaziono embrionale © lo sviluppo dell’ essere medesimo, che consisterebbe nella ripetizione compendiata delle vicende storiche attraversate dalla specie, dal genere, dalla famiglia, dall’ ordine o dalla clusse rispet- tiva, durante la sus evoluzione diflerenziativa: in altre parole l’ embriologia, ossia la morfogenesi individuale, non sarebbe che il risssunto della genealogia, ossia della mor- fogenesl atavica. Cfr. Bergh, Vorles. üb. allgemoine Embryo- logie, 1895; (i. Cattaneo, Embriologia e morfologia generale. od. Hoepli (v. filogenesi). Emianopsia o emiopia. T. Hémianoprie, Cecità par- ziale, in cui il soggetto non vede che In metà destra ο In meta sinistro degli oggetti che guarda; resta abolita per tal modo metà del campo visuale. Dipende da una lesione delle fibre del nervo ottico, nel tratto che va dal chiasma alla corteccia cerebrale. La lesione determina |’ aboliziono della visione nella parte corrispondente del campo vinivo, ο cioè destra se la lesione è a destra, sinistra se è n si- nistra. Cfr. Techernig, Optique physiol.. 1498 (v. aocomoda- mento, binooulare, diplopia). Eminente. T. i/berragend, Hervorragend: I. Eminent; F. Éminent. Nella teologia dicesi ria eminentiæ, per oppo- sizione alla via remotionis o negationix, la determinazione Emo — 362 — della natura © degli attributi divini mediante 1’ aflerma- zione in grado sommo di tutto I’ essere e di tutte le per- fezioni che esistono nelle creature. Nella Scolastica unn causa è detta contenere eminenter I’ effetto quando è molto più perfetta di esso, non contenendone i difetti e le im- perfezioni; lo contiene invece formaliter quando ha la stessa natura dell’ effotto. Nel linguaggio di Cartesio, 1’ esistenza ominente è l’esistonza in tutta la sun realtà; I’ esistenza ‚formale è V esistenza in sè; l’esistenza obbiettira è l’esi- stenza per il pensiero e nel pensiero, cioè come oggetto doll’ iden. L'esistenza eminente possiede quindi tutta In renltà o perfezione che è nell’ esistenza formale, e oltre. Siccome tutto ciò che vi ha di resle nel mondo vieno da Dio, così il mondo esiste eminentemente in Dio. Il Ber- keloy, dopo aver negata I’ esistenza dei corpi, pone, ispi- randosi a Cartesio, una causa eminente delle idee che loro corrispondono; questa cansa è Dio, cosicchè le idee del mondo esterno non sono che il linguaggio col quale Dio parla agli spiriti finiti, per regolarli nella loro vita pratica. Cr. Heinrich, Dogm. theol., 1879, t. III, $ 166; Goclenius, Lexioon phil.. 1613, p. 146; Descartes, Troirième meditation, $ 17 © 18; Berkeley, Treat. on the prino., 5 segg.; Ch. Wolf, Philos. prima site ontologia, 1736, $ 845. Emozionale (linguaggio). T. Ansdruoksbewegungen; 1. Expression of emotion; F. Expression de l'émotion. Quell’ in- sieme di modificazioni organiche e di movimenti istiutivi, cho costituiscono l’aspetto fisico delle emozioni, ο, in quanto appaiono esteriormente, servono a indicare le corrispon- denti emozioni, per l'esperienza che ne abbinmo. ‘Tali mo- dificazioni e movimenti, appunto perchè possono richiamare per wwociuzione negli altri individui lo stato psicologico corrispondente, diconsi segni emozionali, o patognomici, v eapressiri. Il Darwin ha spiegato I’ espressione delle emo- zioni con questi tre principi: 1° associazione delle abitudini utili: le azioni che sono utili a soddisfare certi desideri ο Emo bisogui, si associano cou questi in modo che, riprodu dosi questi anche in circostanze diverse, quelle pure si ri- producono; 2° azione diretta del sistema nerroso: quando un centro nervoso è fortemente cccitato, la sua energia o ri- bocca in certe determinate direzioni v è apparentemente sonpesa; 3° l’antitesi: quando si hanno stati opposti ni pre- cedenti, tendono a prodursi movimenti opposti ni prece- denti, benchè inutili. Questi princip non sono da tutti accettati, ed il Wundt ha ad essi sostituito i tre seguenti: dell’ associazione delle sensazioni analoghe, dell’ innerva- zione diretta e del rapporto del movimento colle rappre- sentazioni sensoriali. Ad ogni modo, le espressioni orga- niche delle emozioni hanno una ragione protettiva, anzitutto perchè servono di deviazione alla forte eccitazione nervosa, secondariamente perchè, specio nelle popolazioni primitive, esse avevano lo scopo della difesa, orano l’inizio della lotta. Questo fatto si riferisco alla legge seguente: un sentimento represso e quindi non troppo intenso, dà luogo al principio di quell’ atto u cui darebbe luogo il sentimento stesso qua- lora raggiungesse un certo limite d’ intensità, e non forse frenuto. Cfr. Darwin, The expression of the emotions, 1865, cap. 1; Spencer, Principles of psychology, 1881, vol. II, p. 545 segg.; Wundt, Grundzüge der physiol. Peyohol., 1893, vol. II, Pp. 504 segg.; Hiffding, Psychologie, trad. frane. 1900, Ρ. 126 segg. Emosione (e - che vien da, motio - movimento). T. Affekt, Gemiithabewegung ; I. Emotion; F. Emotion. Dosigna, nella psicologia moderna, uno stato della medesima natura del sentimento, ma molto più forte di esso in quanto sorge d'improvviso e durante un certo periodo di tempo κ’ im- pone allo spirito, arrestando l'associazione libera e natu- rale delle rappresentazioni. La passione non à che una emo- zione divenuta irresistibile 6 persistente. Secondo alcuni psicologi moderni (Lange, James, Ribot, Mosso) l'origine dell’ emozione si ricondurrebbe a movimenti organici; l’cle- Emo — 364 — mento affettivo, che fa parte di esse, non sarebbe così at- tribuito al pensiero, ma si ridurrebbe alla sensazione, alla cenestesi, in altre parole al riecheggiare nella coscienza di più o meno profonde alterazioni somatiche. Per tal nudo l'emozione risulterebbe di questi tre momenti : rappresenta- zione della cansa; movimenti puramente riflessi del corpo, modificazioni vasomotrici, contrazioni muscolari; coscienza dei movimenti organici. Ad appoggio di questa teoria si os- serva che, se di un'emozione qualsiasi, ad es. la gioia, si tol- gono le sensazioni organiche, 1’ emozione svanisce e non ri- mane che un'idea pura; ο che, d’altro canto, se si producono artificialmente i concomitanti fisiologici dell’emozione stessa, non solo si vedrà apparire l'emozione medesima, ma essa cer- cherà e troverà una causa immaginaria, come avviene negli ubriachi ο nei malinconici. Tra questa teoria somatica della ernozione e la teoria tradizionale ο intellettualieta (secondo la quale lo stato mentale sarebbe la oansa delle modificazioni organiche) sta la dottrina intermedia, secondo la quale l’emo- zione sarebbe la sintesi complessiva di un particolare stato organico e di un particolare stato psichico, agenti reciproca mente l’uno su l’altro. Le emozioni farono classificate in de- pressive e diesaltamento, che sono le due forme principali sotto cui si manifesta il loro carattere fisiologico ; Kant chiamò le prime steniohe, lo seconde asteniche. Si dicono emozii potiori quei piaceri ο dolori intellettuali, che si godono per la sola superiorità della intelligenza: tali sono Ve. logica, che è esaltativa quando è costituita dal piacere della ri- cerca e della scoperta del vero, depressiva quando risulta dalle pene dol dubbio e dall’ avversione dell’errore: Pe. ente- tica, che risulta dalla contemplazione del bello naturale ed artistico (esalt.) e del sublime (depres.); Pe. morale, che sorge dalle azioni conformi (esalt.) o non conformi (depres.) all’ ideale del bene; l’e. religiosa, che ha origine dal sen- timento del legame che unisce il nostro allo spirito mi- sterioso, di cui riconosciamo la dominazione sul mondo ¢ sn noi stessi. Cfr. Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, p. 130; Anthropologie, 1872, § 71, 72, 74; Wundt, Grundzüge d. physiol. Payohol., 1893, II, p. 405 segg. ; Grundriss d. Pay- chol., 1896, p. 199 ; Jodl, Lehrbuch d. Payohol., 1896, p. 692; Bain, The emotions and the will, 1865; Spencer, Prino. of peyohol., 1881, II, p. 514 seg.; Sully, Outlines of peychol., 1885, p. 454; W. James, La théorie des émotions, 1908; Lange, Les émotions, trad. franc. 1895; Th. Ribot, La Φεγολοὶ. des sentiments, 6* ed. 1906; Sergi, Lee émotions, trad. franc. 1901; Mosso, La peur, trad. franc. 1886; Ar- digd, Op. fil., V, p. 506 segg.; F. B. Jevons, L'idea di Dio nelle rel. primitive, 1914, p. 24-27 (v. emosionale, sentimento, passione). Empirioo. Gr. Ἐμπειρικός: T. Empivisch; I. Empi cal; F. Empirique. Vocabolo usato nei primi secoli dell'era nostra per indicare nna scuola di medici, che si dicevano ἐμπειρικοί per opposizione ad altri detti λογικοί. Entrò poscia nel linguaggio filosofico, per designare ciò che np- partiene all'esperienza, sia esterna che interna; si oppone quindi a innato, rasionale, a priori. Talvolta si oppone an- che @ sistematico per indicare ciò che è un risultato im- mediato dell'esperienza e non si deduce da alonna altra legge ο proprietà conosciuta, Nell’ uso kantiano empirico si contrappone a puro, © indica ciò che nell'esperienza to- tale non deriva dalle forme o dalle leggi dello spirito stesso, ma allo spirito è imposto dal di fuori. Cfr. Sesto Empirico, Aypot. pyrr., I, cap. 34; Ade. Logiooa, II, $ 191, 327; Kant, Krit. d. reinen Vern., od. Reclam, p. 49. Empiriooritieismo. T. Empiriokritioiemus; I. Empi- rioeritieism ; F. Empiriocriticieme. Il sistema filosofico del- l’Avenarius, detto anche filosofia dell'esperienza pura, in quanto si propone di ristabilire l’esperienza pura con un processo di eliminazione di tuttocid che è un'aggiunta ar- bitraria del pensiero, di spiegare psicologienmonte e fisio- logicamente la genesi dell’ illusione metafisica. Secondo Emp esso, tutto lo sviluppo della filosofia © della conoscenza si riduce al principio dell’ inerzia, del minimo consnmo di forza, che in rapporto alla vita psichica si esprime corì: il contenuto delle nostre rappresentazioni dopo una nuova appercezione, ha la massima somiglianza possibile col con- tenuto anteriore. In quanto poi l’aninia è soggetta alle con- dizioni dell’esistenza organica e ai bisogni dell’adattam questo principio diviene una legge di sviluppo: Pani non impiega in una percezione più forza di quella che sin necessaria, e, quando si trova innanzi a una pluralità di apporcezioni, dà la preferenza a quella che con nuo sforzo minoro produce lo stesso effetto, o con uno sforzo uguale produce nn effetto maggiore. Questa tendenza dell'anima al risparmio di forza, spiega la legge di assimilazione, per cni il nuovo è ricondotto all’antico, il noto all’ignoto; e spiega la creazione dei concetti, che con un unico sforro di coscienza ci rendono possibile di abbracciare nn grande numero di oggetti. In tutte le scienze agisce questo prin- cipio, facendo sì che i concetti e lo leggi particolari siano condensati in concetti e leggi più universali; la filosofia, che vuol darei un concetto universale del mondo, è In meta ultima a cui conduce il bisogno di risparmiare l'energia della coscienza. Man mano che si procede innanzi, si minano le aggiunte inutili all'esperienza, aggiunte che sono di tre specie: le mitologiche, che pongono nel dato reale In forma di tutto il nostro essere; le antropopatiche, che attribuiscono agli oggetti i nostri sentimenti; le in- tellettnali o formali, che aggiungono all'esperienza certe forme proprie dell’ intelletto umano (causa, sostanza, ece.), La pnrificazione delle due prime è oggi quasi completa per effetto dell’evoluzione scientifica; purificare l’esperienza anche dalle terze, ecco il cémpito della critica dell’espe- rienza pura, la quale «i contrappone quindi alla critica della ragion pura di Kant, che ha affermato invece la ne- di tali forme por la spiegazione dei fenomeni, Que- — 867 — Emp sti tre momenti della conoscenza, al pari d’ogni altra forma di attività psichica, anche rudimentale, si riducono a tre fasi successivo della serie vitale, cui corrispondono tre fasi della serie psichica. Le tre fasi vitali sono : 1° turbamento dell'equilibrio organico normale ; 2° processi intermedi per ristabilirlo ; 3° ristabilimento di esso e delle condizioni fa- vorevoli alla conservazione dell'organismo. Le tre fasi pai- chiche corrispondenti sono: 1° momento di insoddisfazione, per il presentarsi di valori psichici, che, in contrapposto n ciò che tinora si è caratterizzato reale, vero, abituale, ecc., hanno il carattore dell’ inaspettato, del nuovo, del proble- matico, ecc.; 2° ricerca di ciò che è reale, evidente, noto, sicuro; 3° chiusura della ricerca col raggiungimento del vero. Cfr, Avenarius, Kritik d. reinen Erfahrung, 1888-90; Der menschliche Weltbegrif, 1891; Philosophie ale Denken der Welt gemass dem Princip des Kleinston Krafimasses, 1908 ; Petzold, Einführungn in die Philos. d, reinen Erfahrung, 1904; Hôtiding, Philosophes contemporains, 1908, p. 119-122; Aliot- ta, Riccardo Avenarius, « Cultura filosofica », maggio 1908; Id., La reazione idealistira contro la sciensa, 1912, p. 68-110 (v. economica concezione). Empirismo. T. Empirimus; 1. Empiriciem; F. Empi- risme. Dottrina psicologica, che fa derivare tutte le nostre conoscenze dall'esperienza sia esterna che interna (rifles- sione). Bi dice quindi empirismo, o anche sperimentalirmo «_positiviemo, quell’ indirizzo scientifico e filorofico che con- sidera come solo oggetto di conoscenza il fenomeno, ο come solo metodo di ricerca l'osservazione, l'esperimento © induzione. L’empirismo psicologico si oppone all'in- natiemo e nl razionalismo, che considerano alenne idee fon- damentali ο i principi supremi della ragione, como ante- riori all'esperienza e ad essa irreducibili. Si distinguo anche dal sensiemo, che pone la sensazione esteriore come la fonte unica di tutte le nostre conoscanze, mentre l'em- pirismo propriamente detto lo fa derivare dn due sorgenti: END — 368 — l’esperienza esterna, ciod le sensasioni, © l’esperienza in- terna, cioè la riflessione. Il massimo rappresentante del- l’empirismo fu Giovanni Locke, del seusismo il Condillac. Dicesi empirismo radicale la dottrina che, considerando i principi, le leggi, ο le forme della conoscenza come conven- zionali, o come aventi un puro valore economico di co- modità, d’uso, vuol liberarne la conoscenza stessa per ri- salire all’esperienza pura, al fatto bruto che solo La valore reale, ossia alla sensazione; per essu infatti l'universo è ito di clementi sensoriali, i quali, secondo che si uns ο in altra maniera, ci danno le deter- minazioni più diverse della realtà, quali l’io, da una parte, © il non-io dall'altra, nelle sue varie forme ο specifica- zioni (v. economica, empiriocriticiemo, innatismo, prammati- smo, sensazionalismo). Endictioa. Quella parte della dialettica che ha per scopo di stabilire le proposizioni (ἐνδαικτική) ; appartiene all’agonistica, cioè l’arte dei certami dialettici. Oggi è vo- cabolo poco usato. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 841. Endofasia. T. Endophasie; I. Endophasy; F. Endopha- sie. E la successione delle immagini verbali, con le quali si suole esprimere una successione di pensieri, ma che ri- mangono allo stato psicologico, senza dar luogo si movi- menti vocali, quando tali movimenti importerebbero nna perdita di tempo e di forza. Dicesi anche linguaggio inte- riore ed ha nei vari individui tipi fissi, a seconda che caso è costruito su imagini acustiche, visive, motorie, ece. In alcune malattio mentali codesto linguaggio interno si intensifica a poco n poco, finchè, estendendosi I’ eccita- zione all’ elemento psico-motore, l’individno, pensando, dovo articolsre intensamente nel suo interno le parole; se l’irritaziono cresce ancora, si ha la formazione di un im- pulso prico-motore che va agli organi esterni della favelia, a l'infermo ha delle vere allucinazioni verbali paico-mo- trici: da ultimo la stimolazione si scarica per le vie mo- — 369 — END-Exr trici, © si ha l’articolazione completa © la pronunzia di- stinta delle parole. Cfr. Ballet, Le langage intérieur et lee formes do l'aphasie, 1886; Saint-Paul, Finde sur le langage in- térieur, 1892; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438 segg. Endogamia. T. Endogamie; I. Endogamy: F. Endoga- mie. Forma di costituzione famigliare, in cui più nomini ai uniscono con la stessa donna scelta nel seno della tribù. Secondo Mac Lennan l’endogamia rappresenta una delle primissime fasi dell’ evolnzione della famiglia: essa na- rebbe infatti snoceduta immediatamente alla promiscuità, perchè, praticandosi nelle tribù 1’ infanticidio ed essendo più frequente il sacrificio delle femmine, più deboli, ne segni che, per rimediare a questa deficienza di donne, si dovette ricorrere ο al matrimonio poliandrico nell’ in- terno della stessa tribù, o al rapimento di donne a tribit nemiche. Cfr. Mac Lennan, Studies in ancient history, 1878 ; Starke, La famille primitive, 1891 (v. emgamia, elerimo, lerirato, matriarcato, poliandria, famiglia). Endolinfa. T. Endolymphe; I. Endolymph; F. Endolym- phe. Liquido trasparente, che riempie le cavità del labi- rinto membranoso dell’ orecchio interno. È più denso della perilinfa, contenuta nel labirinto osseo, in cni stanno lo terminazioni nervose del nervo acustico. Secondo molti psicofisiologi, Cyon, Mach, Ewald, essa avrebbe una grande importanza nel produrre le sensazioni di equilibrio e della orientazione nello spazio. Cfr. Cyon, Recherches our ler fonctions des canaux nemi-circulatres, 1878; Mach, Grundlinien der Lehre von den Bewegunsenpfindungen, 1874; R. Ewald, Pflügers Arch, vol. LV, 1895. Energia. T. Energie: I. Energy: F. Énergie. Por Ari- stotele la materia è la potenza (ὀύναμις) © ad essa si con- trappone l’onergia, che è l’atto, l’effetto realizzato nell'opera (νέργεια): questa si distingne alla sus volta dalla ente- lechia (ἐντελέχεια), che accenna propriamente allo tato di perfezione in cai la sostanza si trova nituata, mentre 24 — RanzoLI, Dizion. di acienze filosofiche. Ένα — 370 — Penergia accenna alla reale attività che essa esercita. — Nella scienza moderna dicesi energia la forza capace di lavoro; ed è attuale o cinetica quando il punto materiale cui è applicata trovasi in moto effettivo; potenziale 8e il punto materiale non è in moto, ma può effettivamente imprenderlo ; Venergia totale di un sistema materiale ad un momento dato è la somma delle sue energie potenziali. Energetica dicesi perciò quella parte della dinamica, che studia la composiziono dei moti delle masse, che nel loro cammino sono capaci di produrre lavoro. Cfr. Aristotele, Metaph., IX, 6; Phys., VIII, 5; De an., II, 5; Georg Helm, Dio Energetik nach ihrer geschichtlichen Entwickelung, 1898 (v. energiemo, forsa, morimento, laroro). Energie specifiche (legge delle). T. Specifische Sinne- senergie; I. Specific energy; F. Énergie xpeeifique des sens. Sotto la denominazione di « legge delle energie specifiche degli organi di senso » si intende la dottrina svolta pri- mitivamente da Giovanni Müller nel 1840, secondo la quale le diverse modalità delle sensazioni non dipendono dalla differenza degli stimoli esterni che le eccitano, bensì dalla natura specifica degli orguni. Essa è sinteticamente rias- santa nello seguenti proposizioni : a) Per effetto di canse esterne noi non possiamo avere alcuna specie di sensa- zione, che non possiamo ugualmente avere senza dette canse per la sensazione degli stati dei nostri nervi (ad es. nella allucinazione, nel sogno, nelle sensazioni soggettive); 5) La medesima causa interna, 0 la medesima causa esterna, produce sensazioni differenti nei diversi sensi in ragione della loro propria natura o delln sensibilità specifica di essi (nd es. l’iperemia produce fosfeni agli occhi, tintinnio agli orecchi, ece.); 0) Le sensazioni proprie a ciascun nervo sensoriale possono essere provocate da molteplici influenze sin interne sia esterne; la sensazione è la trasmissione alla coscienza non di ana qualità o di uno stato dei corpi esterni, ma di una qualità, di uno stato del nervo sen- soriale, determinato da una causa esterna, o queste qua- lità sono differenti nei differenti nervi sensoriali (la sen- sazione del suono, ad esempio, è Venergia o qualità del nervo acustico, e non ha nalla di comparabile con le vi- brazioni dell’aria); d) È ignoto se le cause delle energio diverse dei nervi sensoriali abbiano sede in loro stessi ο nelle parti del cervello o del midollo spinale in cui ter- minano; ma è indubitato che le parti centrali dei nervi di senso nel cervello sono capaci di provocare le sensa- zioni proprie di ciascun senso, indipendentemente dai cor- doni nervosi. Questa dottrina, svoltasi sotto 1’ influenza della teoria kantiana delle forme a priori della sensazione, ha suscitato molte discussioni ο ancor oggi è assai dibat- tuta sin dai psicologi che dai fisiologi. Cfr. J. Müller, Manuel de phyeiologie, trad. franc. Jourdan et Littré, I, 711; Goldscheider, Die Lehre ron den spezifischen Energien, 1881: Weismann, Die Lehre v. d. per, Sinnesenergien, 1895; Jodl, Lehruch d. Payohol., 1896, p. 182 segg. Energismo. Ί. Energismus; F. Energieme. Nella filo- sofia morale si oppone a edoniemo, e designa quella dot- trin che pone come fine della volontà l’attività della vita; tale dottrina è specialmente sostenuta dal Paulsen. — Nella metafisica o filosofia generale, designa quella dot- trina che tutta la realtà ridnco all’ energia, considerata come una vera e propria sostanza (intendendo por sostanza ciò che v'ha di permanente nel mondo esterno). Si con- trappone tanto al mecoaniemo, in quanto nega la realtà della materia, che si riduce alla energia, quanto al dinamismo, in quanto al concetto soggettivo di forza sostituisce quello ob- biettivo e scientifico di energia. Tale dottrina è sostenuta oggi specialmente dall’Ostwald, che la fonds su queste con- siderazioni: la sola cosa conosciuta e conoscibile è l'energia, nella quale si esaurisce lo stesso concetto di materia; infatti ogni nostra conoscenza del mondo esterno non è dovuta che all’azione sui nostri sensi delle energie; poichè non solo noi ENE — 372 — abbiamo dell’energia una esperienza diretta nello sensazioni dello sforzo muscolare, ma ciò che noi vediamo non è che un lavoro chimio, prodotto dall'energia luminosa, ciò che noi udiamo è il lavoro che le oscillazioni dell’aria com- piono nell’orecchio interno, se tocchiamo un corpo fermo sentiamo il lavoro meccanico che è impiegato nella com- pressione della punta del nostro dito ο dell'oggetto; mentre gli altri concetti fisici, massa, quantità di moto, ece., la cui grandezza sottostà alla legge della conservazione, si applicano solo a un determinato campo di fenomeni na- turali, tutto ciò che noi ssppiamo del mondo esterno lo possiamo esprimere in termini d’energia, la quale ci appa- risce dunque come il concetto più generale che la scienza abbia finora formato ; esistono delle energie specificamente diverse, oltre le quali non è necessario andare per cer- care il sostrato della materia nella forza o nella cosa in sè, essendo tali energie la realtà ultima e unica. Que- ste energie specifiche sono di forma, di volume, di di- stansa, di movimento: nd es. si può diminuire il volume di un corpo con una compressione fatta in modo da con- sorvarne la forma, spendendo dell’ energia, che sarà re- stituita dal corpo, quando esso riprenderà il volume di prima, e che possiamo chiamare energia di volume. Ma il concetto di energia offre ancora il mezzo di sistemare sia i fenomeni biologici, che si riducono à trasformazioni di energie le quali, a differenza di ciò che accade nel mondo organico, hanno la proprietà di conservare il sistema; sia i fenomeni psichici, i quali non devono già considerarsi come concomitanti dei processi energetici del cervello, so- condo la teoria del parallelismo psico-fisico, ma comeun’ener- gia dovnta alla trasformazione dell’ energia chimica del cor- vello, e che sottostà alle stesse leggi delle altre forme. Il fatto che tutti i processi Bsici si possono rappresentare come trasformazioni d'energia, si spiega appunto ammet- tendo che In coscienza è esan stessa energia — la forma — 373 — ENO-ENT più alta e più rara che ci sia nota - e comunica questa sua proprietà all'esperienza esterna. Cfr. F. Paulsen, Ein leitung in die Philos., 2° ed. p. 482; W. Ostwald, Chemi- sche Energie, 1893; Die Uberwindung d. wissenschaftl. Mate- rialismus, 1895; Aliotta, La reasione idealiation contro la scienza, 1913, p. 468 sogg.; R. Nasini, La chimica fisica, 1907, p. 31 (v. attivismo, materia, meccanismo, dinamismo). Enoteismo. T. Henotoinnue. Max Müller .chiama così quello stadio primitivo della religione, in cui si adorano oggetti diversi presi a volta a volta isolatamente come rappresentazioni di un Dio (alç-évéç). Si distingue quindi tanto dal monoteiemo, che è la credenza in un Dio unico © solo (μόνος), quanto dal politeiemo che è ls credenza in più divinità gerarchicamente disposte a seconda della loro potenza e dei loro attributi. Cfr. Max Müller, Forlesunyen κ. d. Entw. d. Rel., p. 158 sogg., 291 segg. Ente. Lat. Æns; T. Sein; Dasein; Woson; I. Boing; F. Être. Tutto ciò che è. Ha quindi lo stesso significato di essere, col quale è sempre usato promiscuamente, sebbene alcuni filosofi, tra cui il Rosmini, credano debbano distin- guersi. Gli scolastici chiamavano ene per se quello che ha una essenza sola, ad es. l’uomo; one por acoidens quello che consta di più enti in atto, o di enti di diversi predi- camenti, ο di un predicamento solo ma ordinati fra loro naturalmente, ad es. un bosco di alberi; ene rationis lo- gioum quello che si finge col pensiero pur avendo qualche fondamento nelle cose; ene rationis pure obiectum una chi- mera impossibile a realizzarsi. — Lente crea I’ esistente è la formula fondamentale dell’ ontologismo giobertiano, ne- condo il quale oggetto dell’ intuito intellettuale è lo stesso Ente (Dio), che crea le cose particolari. Infatti Dio solo 3, perch’ egli solo ha in sè stesso la ragione del suo essere; il mondo non è, ma esiste, perchè la ragione del sno essere non l’ha in sò, ma fuori di sè, cio in Dio, che produce il mondo per creazione. Per tal modo l’origine della cono- ENT — 814 — scenza si connette all’ origine delle cose, e l'atto creativo, quale ci vien fornito dall’ intuito, è ad un tempo la radice da cui germogliano tutte le conoscenze ¢ tutte le esistenze. — Mentre il soggetto della formula giobortiana è l'Ente reale, il soggetto di quella del Rosmini è l'Ente possibile indeterminatissimo, vale à dire l'essere spogliato di qualsi determinazione. L’ idea di quest’ Ente risplendo di coni nuo nella nostra mente, e per mezzo dei giudizi primitivi (giudizi percettivi) noi la riconosciamo attnata negli oggetti particolari; per tal modo 1’ Ente cessa di essere puramente possibile o ideale e diventa reale ed attuale. L’ idea del- l'Ente non è dunque soggettiva, ma oggettiva, in quanto il suo oggetto si identifica da ultimo col Reale assoluto. Cfr. Gioberti, Introd. allo studio della filonofia, 1840; Pro- tologia, 1857; B. Spaventa, La filosofia di Gioberti, 1863; B. Labanca, La mente di Ῥ. Gioberti, 1871; Rosmini, Nuoro saggio sull'origine delle idee, 1855; A. Paoli, Esposizione r gionata della filosofia di A. Rosmini, 1789; Th. Davidson, The philosophical xyatem of 4. Rosmini, 1882. Entelechia. Lat. Entelechia: T. Enteleohie; 1. Entele- chy: F. Entéléchie. Aristotele distingue. nel riguardo del- Voperare, la materia, che chinma potenza (δύναμις), forma che chiama entelechin (ἐντελέχεια). e l'energin (2vépyeta). L’entelechia si distingue dall'energia, in quanto quella ncconna propriamente allo stato di perfezione in cui la sostanza si trova attuata, questa alla reale attività che exsa esercita. Però Aristotele adopera la parola entelechia in due significati: 1° come atto compiuto in opposizione ad atto che sta per compiersi, ὁ come perfezione che ri- sulto da codesto compimento; 2° come forma o ragione che determina l'attualità d’una potenza. Perciò chiama l’anima ora la forma, ora l'entelechia di ogni corpo na- turale organizzato, avente in sè la vita in potenza. — Il Leibnitz diede il nome di entelechie alle monadi, perchè esse non agiscono una sull'altra, mu bastano a sè stesse, — 375 — ENT avendo in sò la sorgente delle loro azioni interne. « Si potrebbe dare il nome di Entelechie a tutte le sostauzo semplici ο monadi create, perchè esse hanno in sò una certa perfezione (ἔκουσι τὸ ἐντελές); c'è una sufficienza (αὑτάρχεια) che le rende sorgenti delle loro azioni interne, © per così dire degli automi incorporei ». Come si vede, Leibnitz usa la parola entelechia nel significato di potenza prossima. Cfr. Aristotele, Metaph., II, 4, 415 b; IX, &, 1058 a; Leibnitz, Theodicea, I, $ 89; Monadologie, $ 18. Entimema (ἐνθυμέομαι — ripensare). T. Enthymem ; I. Enthymeme; F. Enthymème. Aristotele chiamò così una brevissima argomentazione sillogistica in cui, da un vero- simile ο da un segno, si ricava una conclusione non usso- Intamente certa. Siccome in queste forma di argomenta- zione era tacinta une premessa, supposta come nota, così i logici posteriori, cominciando, paro, da Quintiliano, che enumerò i vari significati della parola, chiamarono e chin- mano entimema quella qualunque forma di sillogismo eun- tratto in cui sia sottintesa una delle due premesse. Quando In premessa taciuta è la maggiore, l’entimema dicesi di primo grado, quando è la minore di secondo grado. Es. 1° grado: Anche gli animali sono di carne e d’ossa — dunque soffrono se maltrattati; qui è taciuta la maggiore: tutti gli esseri di carne e d’ossa soffrono se maltrattati. Es. 2° grado: Tutti i fenomeni naturali sono soggetti alla emusalità — dunque anche la volontà; qui è taciuta la minore: la rolontà è un fenomeno naturale. Aristotele chi poi sentenza entimematica quella in cui le due proposizioni dell’entimema sono contratte in una, e reca fra gli altri questo esempio: mortale, non serbare odio immortale. Diconsi infine giudizi entimematici quei giudizi categorici contratti, che mancano di soggetto o che hanno un sog- getto puramente indicativo (questo, quello); altre volte tutto il giudizio è concentrato nel verbo, il cui soggetto è indeterminato nella mente (piove, lampeggia). Cfr. Ari- Exr — 376 — stotele, Anal. pr., II, 27, 70 a, 10; Quintiliano, Inst, or., cup. X, $ 1; Masci, Logica, 1899, p. 258 seg. Entimematica (prora). Aristotele chiama così la prova dal probabile e dai segni: per probabile intende una pro- posizione ritenuta vera dall’opinione comune, ma non vera assolutamente, per segno intende una proposizione o ne- cessaria o probabile, che ha la proprietà di dimostrarne un’ altra. E necessario il segno che à effetto necessario o causa unica della cosa significata, in modo che solo posto il segno sia la cosa, e posta la cosa sia il segno; in tal caso la prova è certa: ad es. lo psichiatra, dalla presenza in un individuo di deliri organizzati, che durano lunga- mente e non terminano in demenza, trae la prova che l’in- dividuo è un paranoico. È probabile il segno quando non indica necessariamente una cosa sola, sia perchè è un par- ticolare cui si dà un valore generale, sia perchè è un ge- nerale che si assume per provare l’esistenza di un indi- viduale: la prova basata su questi segni può quindi condurre in errore, come, ud es. se dall'essere stato il Cellini grande artista e rompicollo si conchiudesse che tutti i grandi artisti sono rompicolli, ο se dall’uver sco- perto un'arma indosso a un imputato si conchiudesse sen- z'altro che è colpevole. Ad ogni modo, la prova dai segni ha uso larghissimo nella scienza ed è assai utile: tutta una parte della medicina, la semiotica, prende nome da essi. Cfr. Aristotele, Top., I, 1, 100 a, 27; Anal. pont., II, 24, 85 b, 23 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 333 seg. Entità. Lat. Entitas; T. Wesenheit, Entität; I. Entity: F. Entité. Vocabolo proprio della filosofia scolastica, rica- vato dal participio del verbo esse (il τὸ ὃν dei greci). Vale essenza o forma. Gli scolastici lo usavano infatti per designare il genere, il modello supremo immutabile di cui gli individui non sono che le copie imperfette ο pusseg- gere, la natura indeterminata che rivesto tutto le forme senza esaurirsi mai. Così l'umanità era l'entità dell’uomo. — 377 — ENT-ENU D vocabolo è usato oggi in un senso ben diverso: ussu designa un essere sostanzialmente distinto e indipendente, per opposizione alla qualità, alla proprietà, all’ attributo, all’aceidente, che non possono esistere che in un essere 0 per un essere. Entoptiche (imagini) v. imagine. Entusiasmo. T. Enthusiarmus, Begeisterung ; I. Enthu- siam; F. Enthowsiasme. In Platone e Aristotele significa ispirazione o esaltazione divina dell’ anima. Per Shafte- sbury l'entusiasmo per tutto ciò che è vero buono e bello, l'elevazione dell’anima ai valori più universali, la rinunzia alla vita egoistica dell'individuo, costituisce la sorgente prima della religione naturale; la quale è così una vita superiore della personalità, un sapersi una cosa sola coi grandi nessi della realtà. Locke oppone l’entusiasmo, ossia l’impeto dell imaginazione, alla ragione, che è la rivela- zione di quella parte di verità che Dio ha messo alla por- tata delle facoltà naturali dell’ nomo: voler scoprire il vero con l’entusiamo, vorrebbe dire perciò distruggere la ra- gione ο la rivelazione, sostituendo ad esse le vane ombre della fantasia umana. Barthelemy Saint Hilaire distingue l'entusiasmo dalla spontaneità: questa è la potenza inte- riore a cui l’anima s’abbandona ciecamente, ed è un fatto generale che appartiene a tutti gli uomini: quello ne è uns particolarità ed avviene solo in alcuni uomini. Cfr. Kant, W. W., V, 280; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, II, 179. Enumerazione. T. 4ufedhlung ; I. Enumeration; F. Enumération. L'induzione non è che un sillogismo in cui in luogo del termine medio è data l’enumerazione incom- pleto ο completa delle sue specie. Quando l’enumerazione dei concetti specifici del genere non ne esaurisce l’esten- sione, l’ induzione è imperfetta e la conclusione è soltanto probabile. La probabilità aumenta quando l’ enumerazione nou è dei concetti specifici, ma degli esemplari di un'unica Eon-Epı specie. Secondo alcuni, le prime nostro induzioni, non po- tendo fondarsi sopra un principio che non è ancor dato, si sostengono semplicemente sul numero dei casi, che presentano la proprietà che si attribuisce al genere; por- ciò tali induzioni furono dette per enumerationem simpli- cem. Cfr. Bacone, Noe. org., I, $ 105; De Dignitato, V, cap. II; J. 8. Mill, Syst. of logio, 1865, 1. III, cap. 3, § 2; Rosmini, Logica, 1853, $ 726 (v. induzione). Boni (aiöveg -- le eternità). Lat. derum; T. don. Gli gnostici chiamavano così, a causa della loro eternità, le emanazioni ο proiezioni che, secondo la loro dottrina, col- mavano l'intervallo tra la materia e lo spirito, mettendo in contatto questi due principi, da essi concepiti come op- posti ϱ irredueibili. Gli eoni si combinavano in sisigie ο in pleromi. Cfr. Eusebio, Praep. ev., XI, 18; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 313 weg., 330 seg. Epagoge, epagogico. 'T. Epagogik ; I. Fpagogio; F. Épagogique. Con questo termine, ancora in uso, Aristotele designava il procedimento induttivo; la parola induzione (induotio), fa, secondo Quintiliano, introdotta nel linguag- gio filosofico da Cicerone, come corrispondente alla greca ἐπαγωγή (da ἐπί = verso, ἄγω = conduco). Tuttavia, il significato primitivo del termine non è sicuro; secondo alcuni designava quel modo di ragionare nel quale si so- stiene una tesi con più ragioni ed esempi; secondo altri (Buddeo, ‘Trendelenburg) fu tolto dalla lingua militare, nella quale indicava il procedere d'una schiera di soldati in fila serrata. Ad ogni modo, oggi essa indica I’ indu- zione formale o aristotelica, che va dalle leggi particolari alle generali, e si distingue dall’induzione baconiana che va dui fatti alle leggi. Cfr. Aristotele, Top., I, 12, 105 a; Anal. pr., Il, 25; Cicerone, De intent., I; Trendelenburg, Elementa logicer aristoteleae, 8" cd. 1878. Epicherema. Gr. Ἐπιχείρημα: T. Epicherem; I. Epi- cheirema: F. Épiohéràme. Come dice la radice etimologica, — 379 — Epi è un sillogismo nel quale è aggiunta la prova di una ο di entrambe le promesse. Es. I pesci sono vertebrati (per- chè hanno una colonna spinale). La triglia è un pesce. Dunque la triglia è un vertebrato. È detto anche dai lo- gici sillogismo catafratto ; Aristotele, che lo considerava come una forma di ragionamento sul verosimile, lo disse sillo- gismo dialettico. Il Rosmini distingue due specie di epi- cherema, il probabile ο il dimostrativo, il primo oonclu- dente a probabilità, il secondo a necessità; entrambi sono usati dall’ arte di confutare ο elenotica, ed hanno per scopo di obbligare l'avversario a cadere nella contraddizione. Cfr. Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 15; Rosmini, Lo- gica, 1853, p. 314 segg. Epicureismo. T. Epikureismus; I. Epiowreanism ; F. Epi- cureisme. Scuola filosofica fondata da Epicuro in Atene tre secoli a. C., e durata fino sl quarto secolo dell’ era nostra. 1 suoi seguaci più noti sono Metrodoro, Ermarco, Poli- strato, Apollodoro, Diogene di Tarso. Fedro; in Roma Amafinio, Pomponio Attico e T. Lucrezio Caro, che ne espone le dottrine del suo insuperabile poema De rerum natura. L’epicureismo, come quello che fu 1’ unica filosofia irreligiosa dell’antichità, fu oggetto d’ogni sorta di acense © d’una guerra accanita prima da parte delle altre scuole filosofiche, poi della Chiesa cristiana, cosicchè ancor oggi epicureo è sinomino di eretico, crapulone, gaudente. Lu critica ha dimostrato non solo infondato codeste accuse, ina ha fatto risaltare come nell’epicureismo aleggi lo spi- rito scientifico proprio dei tempi moderni. Esso infatti oselude ogni intervento divino e ogni finalità nella na- tura, nella quale non imperano che cause naturali; pone il criterio del vero nella certezza data dalla sensaziono, e il fine supremo della condotta fa consistere non già nel piacere grossolano e immediato dei sensi, ma nella feli- cità, che è data, per ciò che riguarda il corpo, dall’ as- senza del dolore (ἀπονία), per ciò che concerne l’ animo Epi — 880 — dalla tranquillità (&tapafia). Per questi suoi caratteri, quando l’ascetismo cristiano comincia a declinare col- l’aprirsi dell’ età moderna, la dottrina d’ Epicuro risorge : essa fa capolino prima in Montaigne, poi apertamente è diffusa in Francia dal Gassendi ; ricostratte in Inghilterra dall’ Hobbes, rinasce più tardi in Helvetius, D’ Holbach, Saint-Lambert e ispira infine gli utilitaristi inglesi da Ben- tham a Stuart Mill. Delle varie dottrine epicuree è fatta esposizione in questo vocabolario alle parole anticipazioni, alarassia, canonica, caso, coniunola, eventa, olinamen, oacu- mina, Dio, eudemonismo, intermundia, inane, idoli, atomi amo, ecc. La parola epicureismo è anche adoperata per designare, in opposizione & stoicismo, tutti quei sistemi di morale che pongono come norma suprema dell’operare il piacere o l'interesse. Cfr. Gizycki, Ueber das Leben und die Moralphilosophis des Epikur, 1879; W. Wallace Epiou- roanimm, 1880; Guyau, La morale d’Epioure, 1878; Gius- sani, Studi luoreziani, 1896. Epifenomeno. T. Begleiterserscheinung; 1. Epipkenomenon: F. Epiphénoméne. Dato un insieme di fenomeni, costituenti una specialità fenomenica distinta, se a questi s’aggiungo un fenomeno nuovo, che può anche mancare © che, colla sua presenza ο colla sua assenza, non muta il carattere precedente dell’ insieme, codesto fenomeno dicesi più pro- priamente epifenomeno ossia fenomeno sovreggiunto. Quindi nella medicina si dà questo nome ad un sintomo, che si manifesta in una malattia già riconosciuta © si aggiunge agli altri sintomi presentatisi prima. Nella psicologia si chiama epifenomeno il fatto di coscienza, la coscienza, quando si crede che essa non sia costitutiva della attività psichica, ma semplicemente un fenomeno addizionale, ag- giunto al fisiologico, e che può anche non comparire senza che per questo ln funzione psicologica sia distrutta. I se- gusci del materialismo psico-fisico, considerando il fatto psicologico e il fatto fisiologico - cioè lu funzione del si- — 381 — Err stema nervoso centrale - come due diversi aspetti, il primo interno e il secondo esterno di una medesima attività, considerano i fatti di coscienza come semplici epifeno- meni. Per i seguaci della dottrina somatica dell’emozione, questa, risolvendosi essenzialmente in una alterazione or- ganica, in una reazione vasomotoria, lo stato di coscienza emotiva è un semplice epifenomeno. Cfr. Ribot, Les ma- ladies de la personalité, 163 ed., 1899, Introd.; Les mala- dies de la mémoire, 313 ed., 1909, cap. I, 1; W. James, La théorie de l'émotion, trad. franc. Dumas, 1903, Introd. Epigenesi. T. Epigencse; I. Fpigenesis; F. Épigénène. Dottrina che sostiene essere ogni nuovo individuo l’effetto di un progressivo e regolare sviluppo del corpo organico, che fu formato dalla fecondazione nel seno dell'organismo generatore; in contrasto colla dottrina detta della prefor- mazione dei germi, secondo la quale il germe sarebbe un individuo estremamente piccolo, ma già completamento for- mato, esistente attualmente nel generatore, e contenente alla sua volta una serie indefinita di altri germi sempre più piccoli, gli uni involti negli altri, di modo che ogni individuo conterrebbe in sè stesso tutte le generazioni cho da lui possono sortire. Per la dottrina dell’epigenesi, do- vata a G. F. Wolff, lo aviluppo embrionale non consiste in uno svolgersi di organi preformati, ma in una catena di neoformazioni, in cui ciascuna parte si forma dopo l’al- tra e tntte compaiono in una forma semplice, che è affatto diversa da quella ulteriormente evoluta. Cfr. (i. F. Wolff, Theoria generationis, 1759; E. Haeckel, Anthropogenie, 4° ed. 1891, p. 28 segg. Episillogismo. T. Epieyllogiemus; I. Episyllogiem; F. Episyllogisme. Sillogismo aggiunto, che ha per premessa maggiore o minore Ia conclusione d’un sillogismo (v. po- Lisillogismo). Epistematico (ἐπιστήμη --- scienza). Qualche volta si adopera per designare il procedimento deduttivo, che dai Eri-Ero — 382 — principi generali ricava delle conseguenze particolari; in opposizione ad epagogico, che è il procedimento inverso, © induttivo, per cui dai fatti o dalle leggi particolari si sale ai principi © alle leggi generali. Quindi dicesi episte- matica quella scienza che procede per deduzioni e per sillo- gismi, in opposizione 8 scienza sperimentalo ο induttiva. Epistemologia. T. Wissemschaftslehre ; I. Epistemology; F. Épistémologie. La filosofia delle scienze. Essa stabilisco gli oggetti d’ogni scienza, determinandone i caratteri diffe- renziali, ne fissa i rapporti e i principt comuni, le leggi di sviluppo e il metodo particolare. Si distingue dalla teo- ria della conoscenza ο gnoseologia, in quanto questa studia la conoscenza nell’ unità dello spirito, nelle forme univer- sali © nel meccanismo interiore, mentre I’ epistemologin unalizza le conoscenze a posteriori, nella diversità dello scienze © degli oggetti. La distinzione però non è sempre osservata, specie dai filosofi inglesi. Cfr. R. Flint, Agno- aticiem, 1903, p. 10, 13. Epoca (da ἐπόχειν — sospendere, tacere). Gr. Ἐποχή: T. Epoche. La famosa dottrina dello scetticismo pirroniano; significa sospensione ο astensione dall’affermare ο dal negare intorno all'essenza di qualsiasi cosa, In altro parole l’epoca è il dubbio scettico. Constatato le antinomie della ragione e la disparità delle opinioni umane, Pirroneconsiglia l’uomo a sospendere il suo assenso circa la natura delle cose in sè stesse, le leggi e i rapporti invisibili degli es- seri; egli deve aooontentarsi di considerare le cose sem- plicemente secondo la diversa impressione che gli arrecano. L'epoca ha una portata teorica © pratica; teorica perchè preserva l'intelligenza dalle contraddizioni; pratica perchè l'assenza della contraddizione significa la pace © la sere- nità dello spirito. Cfr. Sesto Empirico, Pyrrà. Hypot., I, 188 segg.; Galluppi, Lezioni di logioa e met., 1854, II, p. 250-55 (v. aoatalesia, afasia, diallelo, dicotomia, dom- matiemo, tropi). — 383 — Epo-Equ Epoptico. Si adopera talvolta in significato di esote- rico. Infatti nella scuola di Pitagora gli epopti erano quelli fra gli allievi che, avendo sostenuto le prove stabilite ο possedendo in modo completo la dottrina del maestro, fu- cevano parte della società stessa; gli altri erano conside- rati come esterni alla scuola, come semplici aspiranti ad : entrarvi. Così dicesi epoptioa quella parte del sistema filo- sofico di Platone e anche di Aristotele, che era destinata soltanto agli scolari più fedeli e più intelligenti (v. aoroa- matioo, esoterico, ezoterico). Equabilità. Con questo vocabolo, riferito al tempo, il Rosmini designa ls medesima quantità d’ azione ottenuta con un grado costante di intensità. Infatti la durata suc- cessiva è da noi concepita come lu possibilità, che mediante un grado dato di intensità, si ottenga una data quantità di azione; in altre parole, dentro una durata qualsiasi, la quantità di azione sarà proporzionata alla intensità del- l’azione. Questo rapporto costante può essere espresso Zi cui 1° desigi @ la quantità d’azione, 8 la durata successiva. Cfr. Rosmini, Nuovo raggio sull'origine delle idee, sez. V, par. V, ο. VI; Id., Peioologia, 1848, vol. II, parte II, p. 189-205 (v. du- rata, momento). Equazione. T. Gleichung ; I. Equation; F. Equation. Nella matematica si chiama uguaglianza l’espressione al- goritmica composta di due membri, in cui il valore del- l’uno è il risultato delle operazioni eseguite nell’altro. Si chiama poi equazione quella uguaglianza, specialmente let- terale, nella quale in uno dei due membri si ha una let- tera il oui valore non è conosciuto (incognita) e lo si vuol determinare a mezzo della espressa uguaglianza. Equazione del mondo. T. Weligleichung; F. Equation du monde. La formula del determinismo rigoroso, che conce- pisce l’accadere così definito in ogni ana fase, da consi- nella seguento formola: T= il tempo, Equ — 384 — derare il passato e l’avvenire come esattamente valutabili in fanzione del presente. Il Laplace la esprime così : « Una intelligenza che, in un istante dato, conoscesse tutte le forze da cui la-natura è animata e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono, se fosse abbastanza vasta per sottoporre codesti dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’ uni- verso ο quelli dell'atomo più leggero; nulla sarebbe in- certo per essa, © l'avvenire, come il passato, sarebbe pre- sente a’ snoi occhi ». E l’Huxley, in modo ancora più concreto: « Se la proposizione fondamentale dell’ evolu- zione è vera, che cioè il mondo intero, animato ο inani- mato, è il risultato della mutua interazione, secondo leggi definite, delle forze possedute dalle molecole di cui era composta la nebulosa primitiva dell’ univereo, allora non è men certo che il mondo attuale riposava potenzialmente nel vapore cosmico, e che una intelligenza sufficiente avrobbe potuto, conoscendo le proprietà delle molecole di codesto vapore, predire ad esempio lo stato della fauna dell Inghilterra nel 1868, con pari certezza di quando si predice ciò che accadrà al vapore della respirazione du- rante una fredda giornata d'inverno ». Il determinismo viene così a convertirsi in un predeterminiamo, che si distin- gne dal teologico solo perchè la necessità è posta come immanente alla natura. Molti però intendono il determi nismo causale non come una monotona ripetizione del- l’identico, ma come una mutazione incessante nella durata, come uno svilnppo continuo di forme nnove; e non lo fanno cominciare arbitrariamente dalla nebulosa primitiva, ma lo estendono all’ infinito nel tempo e nello spazio. Così inteso il determinismo è la negazione perfetta al prede- terminismo e la sua espressione il contrario preciso di quella del Laplace: ogni fenomeno naturale, emergendo dal seno dell’ infinito e rappresentando il realizzarsi di nna serio infinita di possibilità, è l'equazione dell'infinito, ossin i 0 — 385 — 5 Equ l’imprevedibile, l’indeterminabile; cosicchè l’ipotesi di uno spirito infinito, che in base alla conoscenza attuale della natura ne ricostruisca a priori la storia passata, e lo svolgimento futuro, è, oltrechè inutile e indimostrabile, anche assurda. Cfr. Laplace, Introd. à la théorie analytique des probabilités, 1886, p. VI; Renouvier, Hist. et solution des problèmes metaphysiques, p. 168 segg. ; Bergson, L'éro- lution créatrice, 103 ed. p. 41 segg.; Stanley Jewons, The principles of science, 1877, vol. II, cap. XII, $ 9; C. Ran- zoli, Il caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 130 segg. Equazione personale. T. Personalgleiohung ; I. Perso- nal equation; F. Equation personelle. È la differenza di tempo con cui uno stesso stimolo è'sentifo da diverse persone. La constatazione di questo fatto, che diede il primo impulso alle ricerche della psico-fisica sulla durata dei fenomeni psichici, fa fatta la prima volta all’ Osserva- torio di Greenwich. Si osservò che un assistente incaricato di segnare il momento del passaggio delle stelle sul filo, teso sopra Voculare del canocchiale e coincidente col me- ridiano del luogo, notava costantemente il passaggio delle stelle un minuto secondo più tardi dell’Osservatorio stesso. Fatte le opportune indagini, si potd constatare che codesta differenza si verifica sempre quando osservazioni simili vengono fatte do diverse persone, e si inventarono appa- recchi appositi per misurare 1’ equazione personale, diversa nei diversi individui, ma pressochè costante nello stesso individuo; la misurazione di essa serve a correggere i dati «lolle osservazioni individnali. Cfr. Fechner, Elemente der Payohopysik, 1860 (v. tempo di reazione). . Equilibrio. T. (lechgewicht, Aequilibrium; I. Fquili- brium ; F. Équilibre. È la relazione esistente fra due corpi contigui, i quali, pur possedendo uno stato determinato di tendenza al movimento, rimangono tuttavia in riposo. In un senso più generale, e non puramente meccanico, si ‘lice che esisto equilibrio fra dne cause di canginmento, 25 — RANZOLI, Dizion, di acienze filosofiche. Eu - — 388 — qualunque siano queste cause e quel cangiamento, quando un sistema semplice o complesso, sottomesso a queste cause, non ne subisce alcun canginmento. Non bisogna tuttavia confondere l'equilibrio col riposo: un sistema è in riposo quando non è sottomesso ad alcuna causa nè interna nd esterna di canginmento. L'equilibrio si distin- gue ancho dall’ inerzia, perchè, mentro il concetto di equi- librio è una pura costruzione dello spirito, possibile solo in quanto esiste il concetto negativo di assenza di equi- librio, il concetto negativo di energia è d'ordine pura- mente ideale, non esistendo materia sprovvista d’ inerzin. — Nel dinamismo volontario 1’ equilibrio corrisponde alla perplessità in cui ci troviamo, quando la nostra volontà è sollecitata in senso opposto da motivi e mobili uguali ; la possibilità, in simile caso, della scelta, costituisco una prova di quella che dicesi libertà d’equilibrio. — Alouni psi- cologi chiamano senso dell'equilibrio quel sentimento par- ticolare, che avrebbe sede nel cervelletto o nella base dei canali semi-circolari, per cui è possibile conservare al proprio corpo la giusta posizione © orientazione nello spa- zio; questo senso scompare in alonne malattie, © può es- sere sperimentalmente abolito negli animali mediante la distruzione di determinate parti del sistema nervoso cen- trale, Cfr. Mach, Grundlinion d. Lehre von den Bewegung- sempfindungen, 1878; Grasset, Los maladies de l'orientation et de l'équilibre, 1901; Paulhan, Esprit logiques οἱ caprite Sanz, parte II, cap. I, $1; L. Amoroso, Sulle analogie tra l'e. meccanico e l'e. sconomico, « Riv. di filosofia », aprile 1910. Equipollensa. T. (‘leichgeltung: I. Equipollence; F. Équi- pollence. È la relazione che intercede tra due concetti che si contengono a vicenda, che hanno cio la stessa enten- sione. Per alenni logici, due concetti equipollenti non sono che il medesimo concetto espresso con parole diverse; per altri, invece, sono equipollenti due concetti che hanno In stessa estensione ma divers comprensione, che cioè con- — 387 — Equ-Ere notano diversamente lo stesso oggetto che denotano. Cfr. Rosmini, Logios, 1853, $ 389-391 (v. oonnotatiri). Equivalenza. T. Aequiralenz ; I. Equivalenoy ; F. Equi- valence. Si dicono equivalenti due cose, ad es. due figure geometriche, quando non differiscono in nulla relativa mente all'ordine di ideo o al fine pratico che si considera. Equivalente meccanico del calore dicesi il numero dei kilo- grammetri necessari in un corpo o in un sistema termica- mente isolato, per accrescere d’una caloria la sus quantità di calore. Siccome la legge della conservazione della forza fu scoperta ο formnlata primitivamente nell’ equivalenza tra il lavoro meccanico e il calore, così la logge stessa di- cesì anche legge di equivalenza. Equivoco. T. Aequivok ; I. Equivocation; F. Équivoque. E equivoca una parola quando ha più significati diversi, univoca quando non no ha che uno. Sopra il significato equivoco d’una parola si possono fondare molti sofiemi verbali, come l’anfibologia, la fallacia divisioni, l'accento, eco. Cfr. Aristotele, Categ., I; Metaph., IV, 4 (v. omonima). Eredità. T. Vererbung; I. Heredity; F. Hérédité, 11 fatto del trasmettersi delle proprietà degli organismi nei loro discendenti per mezzo della riproduzione. La aus formula ideale è: il simile produce il simile; oppure, como pro- pone l’ Haeckel: l'analogo produce l'analogo. Vi sono d specie principali di eredità: la immediata, ciod la trasmis- sione diretta dei caratteri fisici ο psichici dei genitori ai figli; la atavioa, ciod la riapparisione di caratteri scom- parsi da tempo più o ineno lontano. Vi sono pure due forme principali: la similare cioè la trasmissione inaltorata degli stessi caratteri, e la dissimilare, cioè la metamorfosi dei caratteri da una generazione all'altra. L'eredità può trasmettere tanto i caratteri normali che gli anormali; questa, che è detta eredità patologica, può avere due forme: l'una, detta eredità di germe, è la trasmissione diretta della malattia : l’altra, dotta eredità di terreno, è la tramminione ERE — 388 — di una predisposizione speciale a determinate malattie; alcuni biologi esclndono però l’esistenza della eredità di germe, non ammettendo che la seconda forma. Fra le leggi più generali dell'eredità sono: quella della eredità adattata ο aoguisita, per cui l'organismo può tranmettere ai discendenti delle proprietà che egli stesso ha acquistato durante la ana vita, © quella dell'eredità costituita ο ia- sata, per cui tanto più sicuramente si trasmettono le pro- prietà acquisite quanto più a lungo durano le cause che le determinarono. Dicesi eredità omoorona, quella che si manifesta alla stessa età; e. omotopa, quella in cni i ca- ratteri si riproducono in siti corrispondenti del corpo ; ο. anfigona, quella per la quale tanto il padre che la madre riproducono nei figli i loro caratteri personali ; ο, sessuale, In logge per cni eiasonn sesso trasmette soltanto »’ suoi discendenti del medesimo sesso i suoi caratteri sessunli socondari ; e. abbreviata, per cui si saltano nell’ontogenesi alcune fasi o forme della filogenesi. Varie sono le ipotesi escogitate per spiegare i fenomeni ereditari, ma si può dire che nessuna ha raggiunto la certezza di una vera © propria dottrina scientifica. Sembra però indubbio che la trasmissione ereditaria avvenga per un passaggio diretto, dagli ascendenti ai discendenti, di una sostanza materialo apportatrice, se non dei singoli caratteri, almeno di una disposizione primigenia, onde quei caratteri vengono poi detorminati nel successivo differenziamento della cellula- figlia (quando l'organismo è monocellnlare), nella molti- plicazione e nell’ ulteriore differenziamento dei blastomeri © delle cellule elementari dei tessuti ed organi (quando l'organismo è pluricellulare). Questa sostanza materiale è il plasma germinatito, che la maggioranza dei biologi pone nel nucleo delle cellule sessuali, nucleo che perciò è stuto denominato l'organo della eredità. Quindi In trasmissione caratteri sarebbe dovuta alle minime particelle della sostanza vivente, siano esse le gemmule di Carlo Darwin. — 389 — Ekk-Eki le plastidule di Haeckel, i biofori di Weissmann, i granuli di Altmann, i eitoblasti di Schlater, ecc. Cfr. A. Weiss- mann, Das Keimplasma, eine neue Theorie d. Vererbung, 1894; P. Lucas, Traité de V'hérédité naturelle, 1847-50; Yves Délage, La structure du protoplasme et les théories de V'hérédité, 1895; ‘Th. Ribot, L’hérédité payohologique, 1884; G. Portigliotti, L'erodità comsanguinca, 1901 (v. pangonesi, perigenesi, idio- plasma, germiplasma, epigencsi, embriologia, filogenesi, ecc.). Ereditarietà. La potenzialità ο la virtualità degli or- gnnismi a trasmettere i loro caratteri ai discendenti per mezzo della riproduzione. Si distingue dall’eredità, che è il fatto reale ed attuale della tramissione dei caratteri dai genitori ai figli. In altre parole, l’ereditarietà indica una facoltà di cui l'eredità è l'esercizio. Eristica. Gr. Ἐριστική: T. Eristik; I. Erietio; F. Eristi- que, L’arte di disputare per disputare, di contraddire l’av- versario ad ogni affermazione, senza l'intenzione positiva di provare qualche cosa. Sarebbe la degenernzione della dia- lettica. L’eristica trasse l’origine, secondo il Winokelinann, dagli enigmi e dai logogrifi che i savii della Grecia usn- vano proporsi, ancora prima che sorgesse la filosofia ; fiorì specialmente nella scuola di Megara, fondata da Euclide; i filosofi che appartennero a codesta scuola furono detti eristici, appunto perchè disputatori sottili e spesso sofistici. Tattavis non bisogna confondere l’eristica colla sotistica, giacchè quella è una derivazione di questa. Tra gli argu- menti dell’ oristica rimasero celebri specislmente due, il «mucchio » e la « testa calva », la cui idea si fa risaliro n Zenone, adattandosi alle argomentazioni per cui si dimo- stra che è impossibilo la formazione delle grandezze me- diante parti piccolissime. Uno dei più inosanribili nel tro- vare simili bisticei fa il megarico Diodoro Crono, del quale è rimasta la dimostrazione contro il concetto di possibi- lità: possibile è solo il reale, perchè un possibile, che non diventa reale, si dimostra appunto per ciò impossibile. Un Erm-Ekk — 390 — esempio di ciò che fu l’eristica ci è rimasto nell'Eutidemo di Plutone 6 nel nono dei Topici d’Aristotele. Malgrado il significato cattivo del vocabolo, il Rosmini usa Ta parola cristioa per indicare quolla parte della logica, che insegna l’arte di contendero con ragioni ed argomenti. Cfr. Dio- gene L., II, 107; Sesto Empirico, Adv. math., X, 85 segg.; Cicerone, De fato, 7, 13; A. G. Winckelmann, Platonie Buthydem., 1833, Prolegom. ο. Il; Rosmini, Logica, 1853, p. 310-315 (v. agonistica). Ermetismo. T. Hermelismus; I. Hermotiem ; F. Hör- métisme. L'insieme delle dottrine religione, scientifiche ο filosofiche contenuto nei libri attribuiti dagli Egiziani a Hermes Trismegisto o Mercurio. Questi libri, in cui è rius- sunta l’antica sapienza egiziana, furono riuniti la prima volta © tradotti in lingua latina da Marsilio Ficino ; però la loro antenticità è nessi dubbia. Cir. Marsilio Ficino, Morcurii Triemogisti liber de potestate et sapientia Dei, 1471. Errore. T. Irrtum; 1. Error; F. Erreur. E un ragio- namento falso ο un'opinione erronea, cho si distingue dal sofiema, in quanto, mentre quello può essere involontario © nou dissimulato, in questo invece l’errore è più o meno abilmente rivestito delle apparenze del vero, ¢ come vero si cerca di farlo accettare agli altri. Da ciò seguo che l’er- rore non è mai affermato come tale; per una mente che erra, tutto quello che è affermato sembra vero e l'errore non esiste. Esso comincia ad esistere solo quando è stato scoperto. Nessun giudizio, quindi, può essore un errore per sè, ma tale divonta solamente dopo che è stato cor- retto. Per Cartesio il problema dell'errore sorge dal princi pio della reraoitas Dei, non potendosi comprendere come la divinità perfetta abbia potuto formare la natura umana tale che possa errare; egli ammette che solo le idee chiare © distinte esercitano una forza così preponderante sullo spi rito, che questo non può non riconoscerle, mentre di fronte alle rappresontazioni oscure © confuse esso conserva illi- — 391 — Ekk mitata l’attività del suo libero arbitrio: così nasce Per- rore, quando l'affermazione © la negazione si snccedono arbitrariamente, dato un inateriale di giudizio indistinto e oscuro. Per Spinoza Perrore è una mancanza di cognizione, cosicchè l’anima, in sè stessa considerata, non commette mai alcun errore: « Cus) quando guardiamo il sole, imn- gininmo che si trovi a una distanza di circa cento piedi da noi, e tale errore non consiste in codesta imaginazione sola, ma in ciò che noi, mentre imaginiamo così il sole, igno- riamo la causa di tale imaginazione, così come la vera lontananza del sole ». Per Leibnitz l’errore è una privatio: «Io vedo una torre, che di lontano mi pare rotonda mon- tre è quadrata. Il pensiero che la torre sis quale mi up- pare, discende in modo naturale da ciò che vedo, ο quando rimango fermo in tale ponsiero, tale affermazione è un falso giudizio ». Per Hume invece l'errore consiste in uno soambio di rappresentazioni tra loro somiglianti; per Kant in un inavvertito influsso della sensibilità sopra 1’ intel- letto, che fa sì che « noi ritenismo per oggettivo il fon- damento puramente soggettivo dei nostri giudizi © scam- biamo quindi la pura apparenza della verità con la verità stessa ». Per il Rosmini l'errore consiste nell’assenso dato in senso contrario alla ragione; può quindi essere tanto un assenso gratuito, quando si dà ad un giudizio che pu esser falso, quanto uns conseguenza dell’assenso gratuito, quando è concesso sopra una ragione falsa; quando l’uomo dà l'assenso mosso da una ragione falsa e mediante un atto di libero arbitrio che dichiarò falso il vero, e vero il falso « questo libero arbitrio, che invece di soguire la ra- gione data dall’intelligenza ne crea una (falsa) da vt, col- locandosi nel luogo dell’intelligenza, è la facoltà dell’er- rore. La forza di questa facoltà dell’ errore è tale che non si può assegnarle limiti determinati, e però In storia della umanità dimostra che, verificandosi certe condizioni, ella si estende a dare l’assenso alle cose più strane e in- — 392 — credibili, ο a negarlo alle più credibili e certe ». Por il Bradley tutto è upparenza nel mondo del pensiero umano, quindi tutto vi è errore, ma in ogni errore c’è una parto di verità, come in ogni verità c'è una parte di errore; onde si possono distinguere vari gradi, secondo che è no- cossario sottoporre l'apparenza ad una nuova sistemazione per trasformarla in esperienza assoluta. Nel panteismo del Royce l’errore consiste nella inadeguatezza dello stadio at- tuale del processo volitivo ad esprimere il suo vero fine; poichè il fine non è sempre chiaramente presente alla co- scienza, ma si passa da uno stato vago e indeterminato di inquietudine ad uno definito di volontà e di risoluzione, uttraverso il quale sono possibili gli errori riguardo al- l'intelligenza del nostro fine; in breve, l’errore è un con- trasto tra la mia volontà parziale e il proposito finale che ho liberamente scelto. — Con l’espressione errore dei sensi, si designavano una volta quelle che oggi si dicono illusioni na- turali dei sensi, come quella del sole che a noi sembra veder girare intorno alla terra, di un bastone per metà immerso nell'acqua che appare piegato, ecc. Nella psicologia speri- mentale dicesi metodo degli errori un metodo che serve per stabilire i rapporti che passano in una scala di sensazioni tra ognuna di queste © gli stimoli corrispondenti. Esso può avere due procedimenti : uno, detto degli errori medi, è fondato sul principio che, quanto più piccola è la dif- forenza dell’eccitamento percettibile nella sensazione, tanto piccola sarà anche quella differenza di eccitamento, che non è percettibile; il secondo è fondato sul futto, che quando si fanno agire su un dato organo di senso due stimoli poco diversi I’ uno dall'altro, per le oscillazio della sensibilità di difforenza, o per altro, ora appare più forte il primo del secondo, ora all’inverso. Cfr. Descar- tes, Med., IV; Prine. phil., I, 31 segg.; Spinoza, Ethica, II, teor. XVII, XXXIII, XXXV, scol.; Leibnitz, Theod., I, B, 432; Hume, Treat., Il, sez. 5; Kant, Log., p. 77; Rosini, Logica, 1853, p. 25, 53 sogg.; Royce The world and tho in- dividual, 1901, vol. I, p. 327, 384, 389; F. C. 8. Schiller, L'errore, « Riv. di filosofia », aprile 1911; A. Marchesini, L'arte dell'orrore, 1906; E. Mach, Conoscenza ed errore, trail. it., Sandron. Esatto. T. Ezakt; I. Exact; F. Exact. Dicesi esatta una enunciazione, quando è adeguata a ciò che essa deve enunciare; in questo seriso esatto αἱ oppone quindi ad am- biguo. Nelle enuneiazioni che si riferiscono alla misura, l’esattezza consiste nell'essere la misura nd inferiore nd au- periore alla grandezza misurata. Diconsi esatte così le scienze matematiche, perchè, secondo la profonda intuizione del Vico, della materia di queste scienze, cioè le forme e i nu- meri, noi stessi siamo gli autori, noi stessi creandole per mezzo del ragionamento puro: esse quindi sono assoluta- mente vere 9 certe, mentre ciò non può dirsi delle scienze sperimentali, le cui conoscenze non sono che approssima- tive, essendo subordinate al grado di acutezza dei nostri sensi o alla perfezione dei nostri strumenti. Escatologia. T. Eschatologie; I. Eschatology; ¥. Esoha- tologie. Nella teologia dogmatica si designa così la dot- trina delle ultime cose, le quali, secondo alcuni teologi, sono tre: risurrezione, giudizio, caugiamento della terra. In generale dicesi escatologia ogni dottrina che riguardi il destino finale dell’uomo e dell'universo, ο in questo senso il vocabolo è adoperato, oltrechè nella teologia, an- che nella scienza e nella filosofia. Esclusive (proposizioni). Quelle proposizioni complesse © implicite, le quali esprimono che un dato predicato con- viene a quel solo soggetto: ad es. Dio è uno solo. Pos- sono essere rese esplicite, equivalendo a dne proposizioni: ad es. Dio è uno, e non più di uno. In generale, tutte le proposizioni affermative sono implicitamente esclusive, perchè negano tutto ciò che ripugna alla coesistenza col predicato attribuito al soggetto; questa negazione impli- Est — 394 — cita è di due maniere: 1° Rispetto ad alcune cose, il pre- dicato che si afferma del soggetto ha semplicemente la relazione di esclusività, onde quelle cose rimangono escluse semplicemente; ad es. dicendosi « questo è un circolo », si esolude l’altra prop. contraria « questo è un quadrato ». 2° Rispetto ad altre cose, ciò che si afferma nella propo- sizione non ha semplicemente la relazione di esclusività, ma anche quella di correlatività, in quanto ciò che viene affermato, nello stesso tempo che esclude quelle cose, im- plicitamente le afferma esistenti come correlativo; ad es. l'affermazione dell’effetto inchiude implicitamente l’affer- mazione della causa. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, p. 152. Esecuzione, T. Ausführung, Ezeoution; I. Ezeoution ; F. Erdoution. Nel processo d'ogni singolo atto volontario (ro- lisione) dicesi esecuzione il momento terminale del processo medesimo, ossia l’atto che consegue al prevalere definitivo d'una idea-fine nel conflitto dei motivi. L'esecuzione rappre- senta nol processo volitivo il lato meceanico o materiale; la parte psicologica ed essenziale di esso è costituita invece dalla deliberazione ο dalla scelta (v. deliberazione, volontà). Esemplare. T. Exemplar; I. Exemplary; F. Exemplaire. Nei processi di finalità intelligente, in cui l’attività del- l'ossere è diretta con mezzi noti ad un fine noto, dicesi causa esemplare il fino alla cui realizzazione l’essero tondo, © causa efficiente l’attività stessa che tale fine realizza. Si suol distinguere anche la causa esemplare dal fino: quella si ha quando l’attività dell’agento è essa stossa lo scopo, questo quando invece l’attività non è che un mezzo di cui lo scopo prefisso sarà l’offetto. Nella filosofia platonica lc idee sono modelli, paradigmi, cause esemplari delle cos, © quindi esistono per sò; ma esse non hanno causalità of- ficiento e perciò questa deve trovarsi accanto a loro e con- correre con loro alla formazione del mondo; tale causa efficiente, che Platone toglie dulla credenza religiosa, è il Demiurgo (v. causa finale, finalità, fine, teologia). — 395 — Est Esistenza. T. Existenz, Dasein; I. Existence; F. Kzi- stence. Lo stato di una cosa in quanto esiste. Ha una mag- giore ostensiono dei concetti di realtà ed attualità; si op- pone al concetto di nulla, ed anche a quello di essenza in quanto questa è soltanto l'insieme degli attributi senza i quali la cosa non si potrebbe concepire, ma che non ba- stano n far sì che in realtà sia; in altre parole, l'essenza della cosa, una volta concepita, basta per dimostrarne lu realtà intrinseca, ma non la sussistenza. Dicosi esistenza per sè 0 in sè il fatto d’essere indipendentemente dalla conoscenza, sia dalla conoscenza attuale, sia da ogni co- noscenza possibile; esistenza contingente, quella che non è contenuta nell’ossenza, esistenza necossaria quella che è contenuta. In questo senso il realismo dell'età di mezzo insegna che tra l'essenza e l’esistenza osiste un rapporto diretto, cosicchè quanto maggiore è l'universalità tanto maggiore è il grado della realtà, e Dio, che è l’essere più universale, è anche l’essere assolutamente realo, ene rea- lissimum ; su ciò Ansolmo di Canterbury fonda, nel suo Mo- nologium, la prova ontologica dell’esistenza di Dio, che si può riassumere così: mentre ogni singolo ente può anche essere pensato come non esistente, e perciò deve la realtà del suo essere ad un essere assoluto, questo, in quanto tale, devo essere pensato come esistento unicamente per sun propria essenza (ascitae), dove osistero ciuè per neces- sità della sua propria natura. In questo senso ancora, dice Spinoza: « Alla natura della sostanza appartiene l'esistenza. Infatti una sostauza non può essere prodotta da alcuna altra cosa; essa sarà dunque causa di sò, ossia la sun essenza in- volgo necessariamente |’ esistenza, cioò alla sua natura ap- partiene d’osistore. — L'esistenza di Dio © lu sua ossonza sono una sola e medesima cosa. — L'essenza delle coso pro- dotte da Dio non involge l’esistenza ». Per Spinoza quindi, come per gli scolastici, l’esistenza è un predicato della coën ; per Kant invece essa non può essere un predicato, gine- Esı-Esp chè il soggetto deve essere presupposto come esistente da tutti i predicati: « L'esistenza è l'assoluta posizione di una cosa e si distingue da qualunque predicato, che come tale può essere posto sempre ad un’altra cosa in modo puramente relativo... Quindi l’esistenza non è manifesta- mente un predicato reale, cioè il concetto di un quid che possa essere mentalmente aggiunto al concetto di una cosa. Essa è la pura posizione d'una cosa o di certe de- terminazioni in sò stesse.... Cento talleri reali non con- tengono la minima cosa di più che cento talleri possibili ». Psicologicamente, il concetto di esistenza ha le sue radici nel sentimento del proprio io, che rimane continuamente presente fra il comparire e scomparire delle altre cose ; sentimento che viene poi trasportato per astrazione alle sensazioni stesse, riguardate come oggetti fuori di noi, e csteso infine a tutti quegli oggetti i cui effetti ci indicano un rapporto qualunque di distanza o d'attività con noi stessi. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik, 1855-70, t. III, p. 217 segg.; Spinoza, Hthioa, 1. I, theor. VII, XX, XXIV; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 472 segg. ; H. Spencer, Princ. of psychology, 1881, $ 59, 467 (v. es sere, ento, divenire, realtà, nulla, sussistonca). Esistenziali (giudizi) v. tetici. Esogamia. Quella forma primitiva di matrimonio po- liandrico, in cui le donne vengono rapite alle tribù ne- miche. Il matrimonio per cattura pare fosse determinato dalla scarsezza delle donne, poichè, praticandosi presso quelle tribù l’infanticidio, le più spesso sacrificato erano lo femmine. L’esogamia segna un passo nell’ evoluzione della famiglia, in quanto porta una limitazione alla po- liandris. Cfr. Starke, La famille primitive, 1891 (v. endoga- mia, Ἰοτίγαίο, eterismo, matriaroato, famiglia). Esoterico v. esoterico. Esperienza. T. Erfahrung; I. Experience; F. Experience. Nella logica designa il metodo sperimentale, ο comprende — 397 — Esp quindi tanto l'esperimento propriamente detto quanto l’os- servazione. Nella psicologia per esperienza s'intende In nostra facoltà di conoscere i fenomeni e si distingue in esperienza esterna cioè la sensazione, ed esperienza interna, ossia la coscienza; in un senso ancora più generale, ma sempre psicologico, per esperienza #’intende il fatto di provare qualche cosa, in quanto ciò non è nn fenomeno transitorio ma qualche cosa che arricchisce il nostro pen- siero, ad es. esperiensa sociale, esperienza religiosa, ecc. Nelle scienze biologiche il termine ha un significato assai più vasto, intendendosi con esso l'insieme dei caratteri che l'individuo viene acquistando, nel sno adattamento all’am- biente © alle condizioni d’ osistenza; siccome tali caratteri possono trasmettersi per eredità nei discendenti, rimanendo acquisiti alla specie, così ai distinguo nna esperienza indi- viduale © una esperiensa specifica. Nell’empiriocriticismo © nelle dottrine economiche della conoscenza, dicesi arperienza pura la conoscenza liberata da tutte le sovrastrutture e le aggiunte inutili, dalle forme artificiali proprie soltanto del- l'intelletto umano (cansa, sostanza, tempo, ecc.), e ridotta in tal modo al puro dato immediatamente vissuto (sonsa- zione), a quel fondo di esperienza genuina e diretta in cui propriamente consiste la realtà. Cfr. Hodgson, The meta-- physio of experionoe, 1898; Avenarius, Kritik d. reinen Er- Sahrung, 1904; Ardigò, Opere fil., vol. III, p. 266 segg. ; VI, 196 segg. Esperimento. T. Experiment; I. Experiment; F. Erpé- rience, Ezpérimentation. Coll’osservazione noi non facciamo che assistere allo svolgimento dei fenomeni, quali si pro- ducono in natura; l'esperimento consiste nell’intervonire nei fenomeni stessi, riproducendoli nelle condizioni più favorevoli per essero studiati. L'esperimento è dunque nina osservazione artificiale, e costituisoo un mezzo di ri- cerca superiore all'osservazione; infatti con esso possiamo produrre ripetutamente un fonomeno, isolurlo dalle cause Esp — 398 — perturbatrici, variare indefinitamente le circostanze della sun produzione, studiarlo partitamente sotto tutti i suoi aspetti. Il merito di aver introdotto l’esperimento nella ricerca scien- tifica, più che a Bacone e a Cartesio, vuol essere attribuito ai grandi genii del nostro Rinascimento, specio a Galileo; a lui si deve se la scienza, abbandonato il metodo aprioristico, adottò quell’ indirizzo sperimentale che doveva squarciare tanta parte del mistero ond’ era avvolta la natura; con lui 1’ esperimento non è solo una accorta domanda alla natura, ma à una operazione consapevole del suo scopo, onde le forme semplici dell’ sccadere vengono isolate, per essere sottoposte alla misurazione. Va notato però che non sem- pre l'esperimento è possibile, perchè in moltissimi casi In causa non è in nostro potere o non possiamo adoprarla in modo che la ricerca sia fruttifora. Cfr. J. Stuart Mill, Syst. of logie, 1865, 1. III, cap. VII; A. Valdarnini, It metodo ape- rimentale da Aristotele a Galileo, 1909. Esplicativo. T. Erklärend, erplioativ; I. Erplicatire : F. Ezplicatif. Che serve ad esplicare, vale a dire a descri- vere ciò che era sconosciuto o a mostrare che un dato di conoscenza era implicito in una o più verità già ammesse. Per distinguerle dalle normative (logica, etica, estetica, ecc.), si dicono esplicative tutte le scienze naturali, le quali non hanno per compito di stabilire una norma suprema, ma in- vece di cercaro la causa per cui certi fenomeni naturali ei producono e per cui essi si spiegano. Alcuni logici chis- mano esplicativi quei gindizi in cui il predicato comprende nella propria estensione il soggetto, sta a sè, e suole gram- maticalmente essere espresso da un sostantivo. Esplicito. T. Explicit, ausdrücklich ; I. Explicit; F. Expli- cite. Una nozione o un giudizio si dicono espliciti quando sono formalmente espressi nella proposizione. Le proposi- zioni esplicite appartengono alle proposizioni composto e possono essere congiuntive, disgiunlire, causali, condizionali e incidentali, Diconsi exponihili quelle proposizioni impli- — 399 — Ess cite © complesse, che si possono rendere esplicite. Si distin- guono in esclusire, ecoettuative, comparative, reduplicatire, determinatice, esornative. Essenza. T. Wesen; I. Essence: F. Essence. Come la parola sostanza (substantia) è la traduzione del greco bro- xslpsvoy, così l'essenza (essentia da cars = essere) è la tra- dazione esatta, data da Cicerone, del greco οὐσία (da εἷ- va: ossere). Ma nella filosofia greca essa non ebbe mai un significato preciso; usata per designare ciò che è sotto l'apparire dei fonomeni, ciò che persiste identico sotto la varietà ο la molteplicità di quelli, ciò che esce dal domi- nio della osservazione sensibile per entrare in quello della conoscenza razionale, l'essenza fu per tal modo identifi- cata colla sostanza. Qualche volta soltanto fn adoperata per indicare ciò che αἱ aggiunge alla sostanza per darle determinazione e concretezza, e senza di cui la sortanza rimano una vuota astrazione, una semplice possibilità. Kant ne precisò meglio il valore, riducendola tuttavia ad una pura nozione logica; egli infatti distinse In essenza una cosa dalla sua natura; quosta designa ciò che v'ha di reale nella cosa che ci rappresentiamo, e non può es- sere constatata che per mezzo dell'esperienza ; quella in- voce è determinata dalla semplice nozione che noi abbiamo della cosa, 9 può essere pienamente illusoria : « L'essenza, egli dice, è il primo principio interno di tutto ciò, che appartione alla possibilità di una con... L'essenza è il contenuto di tutte le parti essenziali di una cosa, o In sufficienza (Hinlängliohkeit) del loro carattere di coordina zione e di subordinazione... Pereid αἱ riduce al primo con- cetto fondamentale di tutti i caratteri necessari di una cosa ». Ugualmente il Fries: « L'insieme dei caratteri, che stabiliscono il contenuto di un concetto, ai chiama an- cho l'essenza logica di questo concetto ». Codesto carat- tere logico e puramente astratto dell’ amenza — tant verso da quello attribuitole dalla filosofia green — ai trova Ess — 400 — per la prima volta negli scolastici. I quali considerarono la sostanza, sprovvista di ogni forma, come una realtà at- tuale, una esistenza positiva, ο l’essenza come l’ insieme delle qualità espresso dalla definizione, o dalle idee che rappresontano il genere e la specie, Così per G. Seoto l’es- senza è quod perfootionem nature, quam definit, complet ac perficit. Per Duna Scoto, substantia duplex cet esse, sc. cose ementice et existentiæ. Individuum.... per se et primo ezietit, ossentia nonnisi per aocidene. Anche Cartesio conservò In distinzione fra i due vocaboli; ma, opponendosi agli sco- Instici, considerò l'essenza non come una semplice astra- zione, ma come il sostrato vero e reale di tutte le qualità ed i modi sotto i quali noi percepiamo un essere parti- colare, riserbando l’idea di sostanza, che è il grado più alto della realtà © dell'essere, a Dio. Ora, sottraendo dai corpi cid che non è essenziale, ciod i modi e le qualità sensibili, noi giungiamo u coglierne la vera essenza, ed è l'estensione ; come sottraendo ciò che non è essenziale dalla coscienza, si giunge a coglierne l’essenza, cioè il pensiero. Per Spinoza l'essenza d’ una cosa comporta ciò che, es- sendo dato, fa necessariamente che In cosa esista, © che, essendo tolto, fa necessarinmente che la cosa non esista, vale a dire ciò senza di cui la cosa non pnd nd esistere nd essere concepita, e reciprocamente, ciò che senza la cosa non può nd esistere nd essere concepito; quindi al- l'essenza dell’uomo non appartiene I’ essere della sostanza « perchè l’essere della sostanza comporta l’esistenza ne- cessarin, cosicchè se appartenesse all'essenza dell’ uomo, data la sostanza anche l’uomo sarebbe dato necessaria- mente, cosicchè l’uomo esisterebbe necessariamente, il che è assurdo. Da ciò risulta che l'essenza dell’uomo à costi- tuita da certe modificazioni degli attributi di Dio ». Per Malebranche l'essenza di una cosa è « ciò che si conce pisce di primitivo in codesta cosa, da cui dipendono tutte lo modificazioni che in ossa si notano ». Locke, riforen- — 401 — Ess dosi alla noziono scolastica della essenza, dice: « La pa- rola essenza ha quasi perduto il suo primitivo significato, e in luogo della reale costituzione delle cose è stata quasi interamente applicata alla costituzione artificiale di genere © specie »; rifacendosi perciò al significato proprio ο pri- mitivo, che si riferisco allo stesso esse della cosa, per es- senza egli intende « ciò per cui una cosa è quello che è, la reale costituzione interna, per lo più sconosciuta, della cosa, da cui dipendono le sue qualità conosciute ». Per Leibnitz è «la possibilità di ciò che si pensa »; per.J. Stuart Mill «la totalità degli attributi designati mediante la pa- rola >; per Rosmini « ciò che si comprende nell’ iden di una qualche cosa »; per Ardigò « un gruppo più o meno stabilmente connesso di dati fenomenici, ossia l’aggruppa- mento di quegli atti coscienti, che accade si trovino co- stanti nella rappresentazione dell'oggetto ». Cfr. Prantl, Geschichte der Logik, 1855-70, III, 116 segg.; Aristotele, Met., VII, 4, 1030 a, 18 segg.; Cartesio, Princ, phil., I, 51 segg.; Spinoza, Ethica, II, def. II, teor. X, corol.; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, 11, 1; Locke, Essay, 11, cap. 3, $ 15; Leibnitz, Mouv. Kes., III, 3, $ 19; Rosmini, Nuoro saggio sull'origine del idee, 1830, II, p. 217; Ardigò, Op. fil, I, p. 63 segg.; 128 segg. (v. aocidente, sostanza, materia, forma, concetto, modo, attributo, ecc.). Essore. T. Sein, Soiendes, Wesen; I. Being; F. Être. L'idea di essero è considerata come la più universale ο quindi come la più semplice; perciò è in ad stessa inde- finibile. Si è contrapposto all’essere: il nulla, considerato come principio ugualmente necessario ο primitivo dell’ex- sere, ma che non è, come idea, concepibile dalla nostra intelligenza se non in un senso puramente relativo; il di- renire, ciod il cangiamento, mentre l’essere è la stabilità: Vesistere, ossia 1’ essere renle distinto dall'essere inmagi into Vexsera in sò, insomma ehe non nario ο semplicemente possibilo. Si è d vale a dire In sostanza, il soggetto, 28 — Raxzon, Dizion. di scienze filosofiche, ha bisogno per essere di essere in un’altra coss, dall’essere per #2, che è ciò che, oltre essere in ad, non deriva la propria esistenza da un altro essere. Dicesi essere puro quello che è considerato indipendentemente dai suoi modi © dalle sue determinazioni; essere supremo, Iddio, conce- pito come assoluto, realissimo, infinito, necessario, immu- tabile ed uno, riassumente in sò sia la forma ideale che la reale e la morale; essere intelligibile ο logico, l'essenza © l’idea della cosa, cui si attribuisce una unteriorità logica rispetto all’essere conoreto nel quale si manifesta. Il con- cetto dell'essere comincia ad elaborarsi con la scuola elen- tica, e specialmente con Parmenide, per il quale l’essere è l'unico reale, l’unico nesoluto intelligibile, principio, condizione, legge e oggetto essenziale del pensiero, eterno, infinito, semplice, immutabile, indivisibile, perfettissimo, identico con la sua iden. Per Democrito l’ossere si fra- ziona negli atomi, per Platone #' identifica con le idee ; Aristotele definisce l’esistente como l’essere che ei sviluppa nei fenomeni stessi, cosicchè l’essere delle cose, conosciuto nel concetto, non possiede nessun’ altra realtà oltre l’in- sieme dei fenomeni in cui esso si realizza. Per Stratone © per gli stoici 1’ essere è determinato come la più alta delle categorie; per 8. Agostino l'essere reale è soltanto quello che permane immutabile, quindi la divinità; per 8. Tommaso il nostro intelletto conosce naturalmente l’es- sore, sul quale si basa la conoscenza dei principi primi: per Leibnitz noi possediamo l’idea dell’essere, perchè noi stessi siamo degli esseri e quindi troviamo l'essere in noi; per Kant essere non è il concetto di qualche determina- zione che possa aggiungersi all’ idea di una cosa, ma è solo il fatto di porre una cosa o certe determinazioni in # «tosse. Per Hegel l'essere puro è l’astrasione pura, V’ essere assolutamente indeterminato ; « ma l’ essere naso- Intamento indeterminato è 1’ essere che non è nulla, 1’ es- sere ὁ altra corn che l’essore, l’essoro e ciò cho non è — 403 — Est l'essere, in una parola 1’ essere e la sua negazione, il non- essere ». Secondo il Rosmini l’idea d’essere è innata e tutte le idee acquisite procedono da essa; egli distingue l’ensere necessario in sè, in tre forme; essere ideale, in quanto comparisce come oggetto e illumina le menti: es sere morale, in quanto determina il soggetto a sentire ed operare, secondo la norma dell’essero ideale; essere reale, in quauto comparisce come soggetto attivo che sente pas- sioni ed azioni. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., cd. Ro- clam, p. 237, 472; Hegel, Logik, $ 86 segg.; Dauriac, Farai sur la cat. d’être, « Aunée philos. », 1901; Rosmini, Nuoro saggio null’ origine dell’ idee, 1830, II, p. 15 segg. (v. ento, ontologia, divenire, nulla, esistenza, essenza, sussistenza, acvi- dente, sostanza, vuoto, ecc.). Estasi. T. Ekstase; I. Kontaxy; F. Eztase. 1 teologi la definiscono come un rapimento dello spirito, nel qualo l’anima umana, chiusa ad ogni voce terrena, comunica di- rettamente con Dio. « Si chiama estasi, dice il Bontronx, uno stato nel quale ogni comnnicazione col mondo esterno è rotta e l’anima ha il sentimento di comunicare con un oggetto interno che è l'essere perfetto, l'essere infinito, Dio.... L’estasi è la riunione dell’anima e del suo oggetto. Neasun intermediario più tra essi : l’anima lo vede, lo tocca, lo possiede, è in lui come l'oggetto è in Ini. Non à più In fede che crede senza vedere, à più della scienza stessa, la quale non coglie I’ essere che nella sua idea: è una unione perfetta, nella quale l’anima si sente esistere pio- namente, per ciò atesso che si dona e si rinuncia, poichè quello a cni si dons è l’essere ο In vita stessa ». La scienza In considera come un semplice stato di monoideismo, di an- nientamento della volontà e della personalità, in cui l’indi- vidno è fuori di ad, (ἀξίστημι = uscir di sè stesso). Un’unica rappresentazione, straordinariamente intensa, domina l’in- dividuo assorbendone tntta l’attività e staccandolo dal mondo sonsibile. Questo stato pnd casera raggiunto ο na- Est — 404 — turalmente o con processi artificiali, di cui abbonda la let- teratura filosofica © religiosa dell'Oriente. Gli estatioi si distinguono in santi e demoniaci, a seconda del genio che li invade. — Plotino e Filone ebreo ponevano il supremo grado della virtù speenlativa nell’estasi, cioè noll’assorbi- mento del nostro essere individuale e del nostro pensiero stesso, in Dio o nell’Uno: « L'anima non vede Dio, dice Plotino, che confondendo, facendo svanire l'intelligenza che in essa risiede.... Nessun intervallo più, nessuna dua- lità, tutt'e due non.fanno che uno; impossibile distin- guere l’anima da Dio, finchè essa gioisce della sua pre- senza; l'intimità di questa unione è imitata quaggiù da coloro che, amando ed essendo amati, cercano di fondersi in un solo essere ». Cfr. Plotino, En». III, 11; A. Merx, Idee und Grundlinien einen Allgemeiner Geschichte d. Myatik, 1893; P. Janet, Une extatique, « Bull. Inst. psychol. », 1901; Bou- troux, Le myeticisme, « Ibid. >, 1902 (v. monoideismo, ipno- tismo, misticismo, suggestione). Estensione. T. Ausdehnung ; I. Extension; F. Erten- sion. Si distingue alcune volte l'estensione dallo spazio; quella ci è data dalle sensazioni tattili © cinestetiche, mu- scolari e visive, che noi abbiamo sia della forma e dimen- sione degli oggetti, sia del rapporto esterno tra di loro, in quanto coesistono, ossia della distanza; questo non è al- tro che l’oggettivazione del rapporto dei coesistenti, in quanto implicano la distanza e l'estensione. Oppure, lo spazio è il luogo reale, o ideale di tutti i corpi, la cui estensione non è che una porzione limitata di spazio; questo è illimitato, e le sue parti sono capaci di qualsiasi forma, senza averne, per sò stesso, alcuna. Secondo Hume l'estensione è « idea di punti visibili o tangibili distri- buiti nello spazio »; secondo Kant essa non appartiene alle coso in sò, ma è nna forma » priori dell’ intuizione; se- condo Hartmann e Lotze l’estonsione non appartiene alle sensazioni primitive, ma è il prodotto di una funzione del- — 405 — Est l’anima, che colloca spazialmente gli oggetti esteriori; se- condo il Bain l’estensione risulta dal movimento delle no- stre membra, a cui s’associano i movimenti d’accomodazione degli occhi. Il Rosmini distingue 1’ estensione dall’ esteso : con la prima intende lo stesso spazio considerato indipen- dentemente dai corpi, col secondo il corpo che occupa una parte dello spazio, vale a dire della estensione; la prima è infinita, immobile, indivisibile, ossia continus ed immo- dificabile, il secondo è invece misurabile, mobile, divisi- bile, modificabile. Quanto al concetto di estensione, inteso in senso generale, come comprendente ciod anche l’esteso, esso risulta secondo il Rosmini da due relazioni essenziali: considerata in sò stessa, l'estensione risulta da un rapporto di esterioritä di parti, per cui le une sono fuori delle altre ο tra un punto e l’altro è un dato continuo maggiore ο minore, per cui i punti non si possono toocar mai; con- siderata in rapporto col principio senziente, essa è n Ini condizionata e a lui inesistente, perchè il principio sen- ziente apprende l’esteso in un modo inesteso. — Dicesi estensione, ο afora, © ambito di un concetto, l'insieme di tutti i concetti di oui il concetto dato è una determin: zione; ο, in altre parole, l’insieme di tutti i concetti nei quali il concetto dato è compreso e dei quali può essere af- fermato come attributo. Ad es. l'estensione del concetto uomo è data dai concetti europeo, asiatico, africano, fran- cese, ecc. I logici esprimono il rapporto delle parti del- l'estensione tra di loro mediante il simbolo dell’ addizione; ciò perchè, come gli addendi, le parti dell’ estensione xi escludono tra loro, e sommate insieme costituiscono il tutto. Cfr. Bain, The »ensen and the intellect, 1870, p. 371 sogg.; Ueberweg, System der Logik, 1874, $ 53; Rosmini, Psicolo- gia, 1848, vol. II, p. 177 segg. (v. comprensione, distanza, spasio). Estensivo. ‘I. Ertonsir; I. Extensive; F. Ertensif. Tutto ciò che occupa uno spazio; si oppone quindi ad intensiro. Est — 406 — I fatti di coscienza sono per loro natura inten: surazioni psicometriche non rappresentano quindi che una rappresentazione estensiva dell’intensivo. Secondo Kant una grandezza è estensiva quando la rappresentazione delle parti rende possibile la rappresentazione del tutto, e quindi la precede necessariamente; e intensiva quando non è ap- presa che come unità, e la quantità non vi può essere rappresentata che avvicinandosi più ο meno alla negu- zione. Soglia estensiva del tatto, dicesi il diamotro dei oir- coli tuttili, rappresentato dalla superficie del derma in cui le due punte del compasso di Weber, o estesiometro, sono sentite come una punta sola. Cfr. Kant, Arit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 164 seg.; Fechner, Elemente d. Pay- chophyeik, 1860. Esteriore. T. scussor, Aussen; I. External; F. Esti- rieur. In generale, ciò che sta al di fuori di un’ altra cosu. Dicesi mondo esteriore o non-io il mondo sensibile, vale a dire l'insieme degli oggetti distinti da noi ο che sono la cause delle nostro sensazioni; il mondo interiore o Vio ci è conosciuto invece per mezzo della coscienza. Secondo il realismo ingenuo, che s'accompagne invincibilmente al- l'esercizio della nostra attività conoscitiva e pratica, il mondo esterno, le sue leggi e proprietà hanno una esi- stenza altra dal nostro pensiero o indipendente dallo per- cezioni che ne sbbiamo, le quali percezioni appsiono come la copia più ο meno osatta del mondo reale. Ma fin dal priucipio i filosofi groci cercarono di doterminare, sotto le mutevoli apparenze dol mondo esteriore, il fondo unico e permanente, il vero reale da cui tutte le mutazioni pro- vengono e in cui tutte di nuovo si risolvono; stabilirono così un'antitesi tra ciò che @ © ciò che appare, tra espe- rienza ο riflessione, tra verità e opinione. Da allora, due problemi si imposero con forza sempre maggiore al pen- siero filosofico: dato che noi sinmo chiusi nella nostra co- scienza, dato che nella coscienza non ci sono che stati di — 407 — Est coscienza, come possiamo affermare l’esistenza di un mondo esteriore alla mostra coscienza? Dimostrata l’esistenza di questo mondo, qual'è la sua natura, quali le sue proprietà © in qual modo sono da noi conosciute? Naturalmente, le risposte furono diversissime: per alcuni filosof noi non possiamo affermare con certezza che gli stati della nostra coscienza, cosicchè l’esistenza di un mondo esterno è per lo meno ipotetica; per altri la sua esistenza è in dubbio, ma quale sia in sò stesso noi non potremo mai conoscere; per altri il mondo esterno, essendo pure di natura ‘spiri- tuale, è conoscibile per analogia col nostro spirito, ece. (v. conoscenza, soggetto, oggetto, realirmo, idealismo, semelipsi- smo, percesionismo, ecc.). Esteriorità (giudizio di). Con questa espressione, usata specialmente nella filosofia francese, si desigua quell’ atto con cui proiettiamo fuori di noi le modificazioni produtte in noi dai sensi, attribuendole ad esseri distinti da noi ο di cui le nostre sensazioni sarebbero le qualità. È dunque la credenza nella esistenza del mondo esteriore, che si uni- sce alla sensazione e ci dà la percezione esteriore. Si con- trappone al giudizio d’ interiorità, che è l’atto con cui gli stati psichici vengono riferiti al soggetto, cioè come pro- pri di Ini (v. percesione). Esteriorissasione. T. Veriusserlichung ; I. Externaliea- tion; F. Extériorisation. Con 1’ espressione estertorizzazione della sensibilità si designano alcuni fenomeni, non bene chiariti, nei quali la sensibilità di un individuo, durante il sonno ipnotico, si trasferirebbe fuori di lui, così da sentire, ad es. il dolore d’una puntura in una data re- gione del corpo, quando la punta non sia giunta aueoru a contatto con essa © sia tenuta alla distanza di qualche centimetro dalla regione stessa. Col termine esteriorizza- zione si suol anche designare la proiezione della modificu- zione determinata dal senso, cioè dal dato della sensazione, fuori di noi, all'oggetto che di essa è In causa oggettiva; Esr — 408 — è con tale esteriorizzazione, che avviene specialmente per le sensazioni visive e uditive, che noi acquistiamo la co- noscenza del mondo esterno. Cfr. Ardigò, It fatto psico- logico della percezione, in Op. fil, IV, p. 343 segg. (v. per- cezione, soggetto, oggetto, realismo, idealismo). Estesiometro. Strumento assai semplice, che servo a misurare ln sensibilità tattilo, ed è derivato dal compasso di Weber. Esso si compone di dne punte di metallo, fis- sate a perno sopra un’asticella divisa in millimetri : le due punte, messe più o meno divaricate a contatto col derma, sono sentite come una o come due, a seconda della mag- giore o minore sensibilità della parte toccata. Cfr. Fech- ner, Elemente d. Peychophysik, 1860 (v. circoli tattili). Estetica (αἴσδησις = sensazione). T. Aesthetik; I. do- athetios; F. Esthétique. La scionza del hello, o filosofia del- l’arte, Il nome e la dignità di scienza le vennero dal Baumgarten, discepolo di Cristiano Wolff; tuttavia, fuori che per coloro i quali, come il filosofo tedesco, conside- rano il bello come una sensazione o un sentimento, il nome non sembra molto appropriato, data la sua etimo- logia; infatti fu pdoperato dal Kant nella Critica della ra- gion pura per designare lo studio della sensibilità ο delle forme pure del senso. Nell'antichità le questioni relative al bello, non si distinguono da quelle anl bene ο sul vero; perciò lo studio di esso fa parte della morale, della lo- gica e della politica. Il solo Plotino ci ba lasciato un trat- tato veramente importante intorno al hello, che egli con- sidera come il trionfo dello spirito sulla materia: degli altri Platone non se ne oconpa che saltuariamente, Ari- stotele lo studia soltanto in rapporto alla tragedia, 8. Ago- stino nella musica, Longino nella rettorica, Orazio nella poesia, Quintiliano nell’arte oratoria. Nei tempi moderni lo studio più poderoso intorno all'estetica fu fatto da Ema- nuelo Kant, che si giovò delle ricerche compiute preceden- temente dai sensisti inglesi, dal Winckelmann e dal Les- — 409 — Est sing. L'estetica di Kant, che entra nella Critica del giu- dizio, si distingue in due parti, di cui l’una si occupa del Bello l’altra del Sublime; tanto l’uno che l’altro sono og- getto dei giudizi estetici, che hanno per carattere comune di essere disinteressati, di non dare conoscenza, di riguar- dare l'oggetto solo in quanto è rappresentato, e di pre- tendere al consenso universale sebbene non siano logi: Kant distingue accuratamente il bello dal sublime, dal vero, dal buono e dall’aggradevole; quanto al criterio del bello, egli lo fonda sopra uns particolare sensazione, ren- dendolo così affatto soggettivo. — L'estetica, intesa in senso largo, comprende tre parti: una generale, che deter- mina i caratteri dell’ idea del bello, la natura e il fine del- l’arte in generale; una spooiale, che fissa la natura, i li- miti, la posizione e le norme delle arti particolari; una storica, che studia l'evoluzione dell’arte nelle diverse epo- che dell'umanità, Cfr. Baumgarten, Aesthetica, 1759; Kant, Krit. d. Urteilakraft, 1878, p. 39 segg., 56 segg.; Lipps, Grundlegung d. Aesthetik, 1903; Id., Die aesthetisohe Betra- ohtung, 1906; Dessoir, Aesthetik und allgemeine Kunaticis- senschaft, 1906; M. Neumann, Einführung in die Acsthetik d. Gegenwart, 1908; Ch. Lalo, Introd. à l'esthétique, 1912; Id., L'esthétique experimentelle contemporaine, 1908; 8. Wi- tasek, Prinoipi di estetica generale, trad. it. Sandron; Man- fredi Porena, Che cos'è il bello, 1905; G. Fanciulli, La co- soienza estetica, 1906; A. Rolla, Storia delle idee estetiche in Italia, 1904; B. Croce, L'estetica come scienza dell’ capres- sione, 1909; A. Tari, Saggi di estetica ο di metafisica, a cura di B. Croce, 1910 (v. dello, comico, sublime). Estetismo. T. Acethetismus; I. Acstheticiem; F. Esthe- firme. Nell’ estetica dicesi estetismo o estetioismo, per op- posizione a storicismo, quell’ indirizzo che attua la critica d’arte con criteri esclusivamente estetici; per esso l’arte è opera d’ intuizione e quindi dev’ essere oggetto d’ intui- zione da parte del critico, mentre i dati storici sono un iugombro e un ostacolo alla impressione immediata, In filosofia dicesi così, in senso dispregiativo, quel modo di ragionare, di speculare, di discutere il quale consiste in un semplice giuoco di parole ὁ di idee, in un formalismo vuoto ed astratto che, per quanto possa sembrare talora clegante, non fa procedere d’un passo la ricerca del vero. Esso è dunque più che altro una tendenza, che ha lo sue origini nella coltura e nello attitudini mentali dell’ indivi- duo. Kant la chiamava filodozia. Infine, la parola estetiamo usasi talora in senso non dispregiativo, per denominare quei sistemi filosofici che pongono nell’ universo una finalità mo- rale ed estetica, che considerano come vera realtà non la ne- cessità dol fenomeno ma il mondo illuminato dalla luce del- l’idea di libertà © di bellezza, e fanno quindi dell’ ispira- zione artistica il vero stromento della filosofia; in tal senso è estetismo la filosofia del Ravaisson, per il quale « la bel- lezza, e specialmente la più divina e la più perfetta, con- tiene il segreto del mondo », e il processo cosmico, anzichè un meccanismo di moti necessari ed eterni, è la perenne creazione di un’opera d’arte meravigliosa; ed è un este- tismo il sistema del Boutroux, per il quale le leggi naturali non hanno nulla di assoluto e di eterno, risolvendosi în «leggi morali ed estetiche, espressioni più o meno imme- diate della perfezione di Dio, preesistenti ai fenomeni e supponenti degli agenti dotati di spontaneità >. Cfr. Kant, Krit. d. r. Vern,, prof. alla 33 ed., § 16; Ravuisson, La phil. on France, 1889, p. 322; Boutroux, Science et phil., « Revue do metaph. >, nov. 1899; A. De Rinaldis, La coscienza del- ‘Parte, 1909; G. Natali, Storicismo ed estetioismo, « Riv. di filosofia », ottobre 1909 (v. verbaliemo). Estrasoggetto. Il Rosmini designa così l'insieme delle cose estranee al soggetto intelligente, e che come tali ven- gono da lui percepite al di fuori; però, appunto per questo atto percettivo, l’estrasoggettivo diviene in qualche modo soggettivo. Il nostro stesso corpo può venir percepito da noi sia soggettivamente, mediante il sentimento fonda- mentale per cui sentismo la vita essere in noi, sia estru- soggettivamente mediante i cinque sensi per cui esso è percepito come qualunque altro corpo © non come parte- cipe egli stesso di sensibilità. Cfr. Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I, p. 97 segg., 157 seg. (v. oenestesi, ente). Estrinseco. T. Auesserlich; I. Extrinsio, extrinscval ; F. Extrinedque. In generale, ciò che non è compreso nel. l'essenza dell'essere © nella definizione dell’ides di cui si tratta. Nella logica diconsi estrinseche o esterne le denom nazioni, che consistono in rapporti della sostanza con qual- che altra cosa che non è essa stessa. Bi dice che una cosa © un'azione hanno un ralore estrinseco, quando non sone per sè stesse un fine, ma valgono soltanto come mezzo ad un’altra cosa. Cfr. Logique de Port-Royal, parte 1, cap. 2. Eterismo. T. Heterismus ; I. Heteriem; F. Hélérieme. Il Bachofen designs con questo nome, entrato ormai nella terminologia sociologica, lo stato iniziale di vita promiscua in cui si trovò l’umanità. In tale stato, descritto gid u colori tanto vivi da Luerezio, non esisteva alcuna forma di istituzione sociale o familiare, e gli uomini vivevano in lotte continue tra di loro, fomentate sopratutto dal pos- sesso delle donne. All’ eterismo sarebbe succeduto il primo embrione di famiglia, a base materna. Cfr. Bachofen, Jas Mutterecht, 1861 (v. matriaroato, esogamia, endogamia, leri- rato, famiglia). Eternità. T. Ewigkeit ; I. Eternity; F. Éternité. In senso filosofico, l'eternità è l’immutabilità, ciò che è superiore ud ogni variazione. Perciò il tempo, anche se concepito senza principio e senza fine, è infinito ma non eterno, perchè esso perpetuamente trascorre è diviene. L’eternita è l'es- sere, quale fu già concepito dai filosofi greci, 1’ essere perfetto, uno, immutabile, senza successione, e quindi senza tempo. In questo senso Boezio distingue |’ eterno dal perpetuo : « Eternità è l’intero e simultaneo possesso Ere — 419 — di una vita interminabile; ciò meglio si paless dal con- fronto di essa con le cose temporali. Tutte le cose che vi- vono nel tempo presente procedono dal passato ‘e’ vanno al futuro, © ninna è collocata nel tempo in modo da po- ter abbracciare tutto lo spazio della propria vita, poichè non possiede ancora il domani, ha già perduto I’ jeri, e nella vita d’oggi vive un incerto e transitorio momento. Se adunque si misura la vita di chi è soggetto al tempo... alla stregua della eternità, non giungo a tal punto ds do- versi stimare eterna; e quantunque comprenda uno spazio infinito, pure non tutto lo abbraccia, mancandogli il pas- sato © il futuro.... Se pertanto vogliamo dar nomi giusti alle cose, chiameremo Dio eterno e il mondo perpetno ». Una distinzione analoga è fatta da 8. Agostino: « Si recto discornuntur acternitas ot tempus, quod tempus sine aliqua mobili mutations non est, in aeternitate autem nulla mutatio cal, quis non videat, quod tempora non fuissent, nisi oreatura fierot, quae aliquid aliqua mutatione mutaret? » In un senso più comune, l’eternità è invece il tempo senza limiti nd nel passato, nd nel futuro. Nella scolastica l'eternità era appunto concepita in questo modo, © perciò era distinta in aeternitas a parte ante, ossia il tempo infinito già tra- scorso, © aeternitas a parte post, ossia il tempo infinito che deve trascorrere; all'anima umana non era attribuita che questa seconda eternità, a Dio entrambe. Per Giordano Bruno il mondo è eterno e soltanto lo sue forme sono mu- tabili; per Spinoza l'eternità è propria della divinità e dei suoi attributi, che perciò sono immutabili; Kant sopprime la contraddizione tra an tempo infinito e l’origine del teınpo, considerando il tempo come una forma oggettiva, valida soltanto nel dominio dei fenomeni: perciò le due proposizioni: « il mondo ha prineipio nel tempo », « il mondo non hs alcun principio » sono ugualmente false. Cfr. Aristotele, Phys, IV, 12, 221 b; Boezio, De consol. phil, V, 6; 8. Agostino, De cir. Dei, XI, 4, 6; Bruno, — 413 — Ers-Erı De la causa, disl. V; Spinoza, Ethica, I, def. vin, teor. 7, 19, 20, ece.; Kant, Krit. d. reinen Fern., ed. Reolam, Ρ. 354 ségg. (v. aevum, durata, tempo). Eterogeneo. I. Heterogen, ungleiohartig ; I. Hoterogencous ; F. Hétérogene. Ciò che è composto di parti che diversificano tra loro in qualità; 1’ omogeneo è invece ciò di cui tutte le parti sono della stessa natura. Secondo lo Spencer, l’evo- luzione consiste in un passaggio dall’ omogeneo all’ etero- geneo, dall’ indifferenziato al differenziato. Cfr. Spencer, First principles, 1884, cap. XIV-XVIII (v. indistinto, evolu- sionismo). Eterogenesia. T. Heterogenesie; 1. Heterogenesy ; F. Hété- rogènesie. Nella biologia si designa con questo termine una qualsiasi deviazione organica, consistente in una anomalia nel numero degli organi ο nella loro posizione. — Por con- trapposizione ad omogenesia, che è la proprietà per cui due organi di sesso opposto tendono a fecondarsi reciproca- mente, il Broca chiama eterogenesia 1’ impossibilità di fecon- dazione tra due germi di sesso opposto, pur avendosi I’ nc- coppiamento. — Col termine eterogenia si designa invece la generazione animale senza genitori, cioè la generazione spontanea (v. omogenesia, teratologioo, ibridismo). Eteronomia (ftep0¢ = diverso, νόμος = legge). T. Hete- ronomie; I. Heteronomy; F. Hétéronomie. Può essere adope- rata in due modi diversi: nell’ uno vale anomalia, devia- zione delle leggi ordinarie, nell’ altro si contrappone ad autonomia e designa il fatto di un essere che non ha in sò stesso la ragione e la possibilità di operare, ma è sot- toposto passivamente all’azione di cause esterne, che gli si impongono ο lo dominano (v. libero arbitrio, delermini- amo, autonomia). Etica, Gr. Ἠθική; Lat. Ethioa; T. Kthic; I. Ethica; F. Ethique. E sinonimo di Morale; questa infatti vieno dal latino mos, quella dal greco 790g, che significano entrambi costume, abitudine. Aleuni vorrebbero forse riservata a de- Ern — 414 — signore la scienza morale, serbando la parola Morale a de- signare il fatto della morale, la moralità; altri chiamano etica ogni dottrina naturalistica senza principj speculativi nd obbligazione mistica, morale ogni dottrina che pretende fondare sopra principj teorici una teleologia ideale e nna obbligazione; altri ancora propongono di chiamare etica la scienza cho ha per oggetto immediato i giudizi di valuta- zione sugli atti detti buoni o cattivi, etologia o etografia la scienza che ha per oggetto la condotta degli uomini, indi- pendentemente dal giudizio che gli nomini fanno di codesta condotta, e morale l’ insieme delle prescrizioni ammesse ad un’ epoca e in ‘una società determinata, lo sforro per con- formarsi a codeste prescrizioni, l'esortazione a seguirle. I filosofi kantiani distinguono generalmente l'etica dalla morale, ponendo la prima al di sopra della seconds: « La morale in generale, dice Schelling, pone un comando che non si rivolge che all'individuo, e non esige che l’asso- Inta personalità dell’imdividuo; l’etien pone un comando che snppone una società d’ esseri morali e assicura la per- sonalità di tutti gli individui per ciò che essa esige da ciascuno d’ essi ». Per Hegel l'etica designa specialmente il regno della moralità, la morale il dominio dell’ inten- zione soggettiva. Cfr. Schelling, Sämélioho Werke, I, 25 Bulletin de la soo. frang. di philosophie, Anno V, n. 7 (v. bene, morale). Etnografia. T. Etnographie; 1. Ethnography: F. Ethno- graphie. Questo vocabolo si cominciò sd usare etl princi- pio del secolo scorso, specie dal Campe, come sinonimo di descrizione dei popoli e delle razze umane. Il Wiseman la definì come la classificazione delle rarze per mezzo dello studio comparato dei linguaggi. L’etnografia appartiene allo scienze antropologiche, e nella parte generale tratta le questioni relativo alle origini, alle migrazioni, ni carat- teri fisici © psichici dei popoli; nella parte speciale studia i rapporti dei vari popoli coi tipi fondamentali, la storin, le manifestazioni sociologiche e religiose, i fenomeni bio- logici. Cfr. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 7, 433 (v. an- tropologia). Etnologia. T. Ethnologie; I. Ethnology; F. Ethnologie. Questo vocabolo sorse più tardi di etnografia ο designa, secondo il Broca, quel ramo delle scienze antropologiche che s’occnpa della « descrizione particolare ο determina- zione delle razze, lo studio delle loro somiglianze ο diffe- renze, così sotto il rapporto della loro costituzione fisica come sotto quello dello stato intellettuale e sociale, la ri- cerea delle loro affinità attuali, della loro ripartizione nel presente e nel passato, del loro compito storico, della loro parentela ‘più ο meno probabile ο della loro posizione ri- spettiva nella serie umana ». Non bisogna dunque confon- derla con l'etnografia, che è la parte descrittiva ο gene- rale della scienza dei popoli. Cfr. Topinard, Anthropologie, ethnologie et ethnographie, « Bull. soc. d'anthropologie », 1876; Id., Anthropologie, 1884, p. 8 seg.; F. Griibner, Me- thode der Ethnologie, 1911. T. Ethologie; I. Ethology: F. Ethologie. Nome dato dallo Stuart Mill alla scienza dei caratteri individuali, che altri designa col nome di caratterologia. Si fonda Λο- pra la psicologia, ma se ne distingue in quanto questa hn per oggetto la conoscenza delle leggi semplici dello spi- rito in generale, ed è peroid una scienza d'osservazione e d’ esperimento, l’etologia invece è una scienza interamente induttiva, cercando di seguire le operazioni dello apirito nelle combinazioni complesse determinate dalle circostanze. Lo scopo fondamentale della etologia è la classificazione dei tipi dei caratteri. La classificazione più antica ο comune è quella ippocratico-galenica che, basandosi sulla credenza che 1’ indole degli individui dipendesse dal prevalere nell’ orga- nismo degli umori (sangue, flemma, bile gialla ο bile ner) riconosce quattro caratteri fondamentali: sanguigno, bilioro, melanoonico, flemmatico. Molti filosofi moderni accettano, Eup-Eur — HR — consistere la felicità nella calma, nella tranquillità, nella liberazione dalle passioni e dai desideri, ο nell’ estasi, che è una immedesimazione con Dio (stoicismo, neoplatoni- amo); infine l’eudemonismo pessimistioo ο negativo, per il quale la vita è intrinsocamente infelicità e non merita quindi di essere vissuta. Per Kant la morale eudemonisticn è il tipo della morale falsa, perchè è eieronoma, ossia per- chè rende la ragione pratica dipendente da qualche cosa data esteriormente ad essa; la morale vera non può dipen- dere da nessuna volontà esistente empiricamente, non dove essere un mezzo in servizio di altri scopi, è, in altre pa- role, un precetto puro, un imperativo categorico ; lo sforzo verso Ja felicità non è un bisogno della ragione, esisto em- piricamente, cosicchè ogni morale eudemonistica mena al- Vesplicito imperativo ipotetico, risolvendo le leggi morali precotti della prudenza ; se, dico Kant, la natura avesse vo- Into destinarci alla felicità, avrebbe fatto meglio a fornirei di istinti infallibili, invece che della ragion pratica della coscienza, che è incessantemento in conflitto con i nostri impulsi. Cfr. Aristotele, Ethica, 1. 1 ο 10; Kant, Grundlegung zur Metaphysik der Sitten, 1882, IV, 395; Paulsen, System der /hik, 1888, t. I, 1. 11, cap. 1; M. Heinze, Der Eudämoniemus der Griechischen Philosophie, 1383; Bain, Mental and moral science, 1884; A. Marrot, Life and happines, 1889; Wundt, Eihik, 1892, p. 508 segg. (v. attivismo, energiemo. interesse, piacere). Eudemonologia. T. Kudämonologie; I. Eudaemonoloyy; F. Eudemonologie. Dottrina che tratta della felicità che con- segue al bene morale, e del modo di svolgerla, Coscienza endemonologica, si dice il giudizio che gli esseri intelli- genti fanno del proprio stato di piacere; 6 bene endemo- nologico la stessa felicità che κ’ accompagna al bene morale. Enforia. Termine usato especialmente nella psichintri per designare quello stato di intima serenità ο di conten- tozza, che è proprio di alenne malattie mentali, specie della mania e della forma espansiva della demenza para- ica, ma che può anche ensere l’effetto iniziale di corte sostanze, come l’oppio, la morfina e la cocaina. Lo stato di euforia varia da un soggetto all’altro, secondo I’ ecci- tabilità individuale del sistema nervoso contrale, l’educn- zione, la cultura, ece.; in generale, caso consiste nella soppressione di ogni percezione dolorosa, eccitamento delle funzioni intellettuali, dimenticanza di ogni noia ο dolore morale, senso di dolce calore al capo e di leggerezza delle membra. Cfr. Quincey, Confensions of a english opiumeater, 1890; Chambord, I morfinomani, trad. it. 1894. Evemerismo. T. Euhemerismus; I. Euhemeriem ; F. Erhé- mérisme. Dottrina religiosa, che ebbe molti partigiani cos fra gli antichi come fra i moderni. Ni denomina così dal nome del suo fondatore Evemero, filosofo della scnola ci- renaica, che visse nella seconda metà del secolo IV n. C. Egli sosteneva che tutte le leggende intorno agli dei erano stato avvenimenti reali, ma terrestri e umani; 6 cho gli dei stessi altro non erano se non uomini vissuti in tempi remoti, i quali, avendo colpita l’imaginazione degli uo- mini o per la loro virtà, ο per il loro coraggio, 0 per ln loro forza, erano stati dopo morte divinizzati. Così Giove sarebbe stato un antico ro di Creta, come proverebbe l’esi- stenza in codesta isola della sua culla. Ma la moderna scienza mitolo; ha dimostrato falso codesto modo di spiegare l'origine dei miti. Cfr. Cicerone, De nat. deorum, 1, 42. Eventa. Lucrezio, traducendo i συμπτώματα di Epi- euro, chiama così, distingnendolo dai coniunota, lo pro- prietà o qualità eventuali delle cose, che sono estranee alla corporeità di esse, che cioè « possono anche mancare sonza cho perciò una cosa cessi di exsero quello che è ». Tali sarebbero, per l’nomo, lo schinvità, In povertà, In ricchezza, la libertà, ecc. Siccome poi tali erenta noi li pensiamo in relazione al tempo, così il tempo e V erento Evi-Evo — 420 — degli eventi; vale a dire che il tempo si concepisce non in relazione coi corpi, ma coi caratteri eventuali dei corpi, ο che mentre questi si conoscono per mezzo dei sensi, il tempo non si conosce che per una inferenza dai sensi. Cfr. Lucrezio, De rer. natura, 1. I, v. 449-463; Diogeno Laerzio, X, 38, 51 (v. accidente, attributo, adiafora). Evidenza. T. Evidenz; I. Evidence; F. Evidenoe. Bi può definire come una verità così chiara e manifesta per sè stessa, che lo spirito non può rifiutarvisi. L’evidenza di- cesi razionale quando risulta da un ragionamento, sensibile © sperimentale quando risulta dalla constatazione di un fatto. Si distingue dalla certezza, che è nno stato pura- mente mentale, © cioò lo stato del pensiero che si crede in possesso della verità; ma questo può esser dato anche dall’errore, mentre soltanto la verità può essere evidente. Epicuro pone come criterio del vero il sentimento della necessità con cui la percezione entra nella coscienza, ossia quell’ esser manifesto, quell’ evidenza (ἐνάργεια) con cui l'ammissione del mondo esterno è legata nella funzione dei sensi; ogni percezione come tale è vera ed incontestabile, sussisto per sò stessa indipendentemente da qualsiasi mo- tivo. Cartesio pone l’evidenza come criterio della verità ; nulla è vero se non ciò che è evidente, e tutto ciò cho. è evidente è vero; a sua volta è evidente tutto ciò che è chiaro e distinto come la coscienza di sò, quod lumine naturali clare et distinote percipitur; ora, essendo solo giu- dice dell’ evidenza delle cose lu ragione, essa dove infine decidere tanto di ciò che è la verità come di ciò che è l'errore. Questo principio della certezza egli lo contrap- pone al principio d’antorità, che aveva dominato durante tutta P etd di mezzo. Cfr. Diogene L., X, 32, 52; De- scartes, Princ. phil, I, 45; Wundt, Logik, 1893, I, 74-78 (v. cogito ergo sum). Evoluzione. T. Evolution, Entiriokelung: 1. Evolution; F. Frolution. Termine dal significato molto vago, che può in- - 421 — Evo dicare tanto lo sviluppo lento e graduale per opposizione a rivoluzione, quanto la trasformazione da forme basse © semplici a forme più alte e perfette, quanto lo svolgi- mento di un principio interno, originariamente latente e che a poco a poco si manifesta all’esterno. Nel linguag- gio filosofico il vocabolo è usato più spesso ad indicare un processo di trasformazione, diretto in un senso costanto © percorrente una serie di fasi, delle quali si può assegnare in precedenza la successione; questo processo può attuarsi tanto nella roaltà materiale (mondi, organismi) quanto nella realtà spirituale (diritto, moralità, linguaggio, arte, religio ne), ma implica sempre una variazione così in senso quali- tativo come in senso quantitativo; e poichè ogni sistema che si svolge è unità ‘nella molteplicità, 1’ accrescimento si riferisce così all’unità come alla molteplicità (intogra- zione e differenziazione). Cfr. Richard Gaston, L'idée d’éro- lution, 1902; Romanes, L'evoluzione mentale dell’ uomo, trad. it. 1907; De Sarlo, Il significato filosofico dell’ eroluzione, « Cultura filosofica », Inglio 1913 (v. eroluzionismo, darwi- nismo, neo-lamarkismo, progresso, trasformismo, ccc.). Evolusionismo, T. Ecolutioniemus, Entwiokelungatheorie; I. Evolutioniem; F. Frolutionisme. Dottrina filosofica, da non confondersi col trasformismo, e che pone l'evoluzione per spiegare tutti i fenomeni naturali cogli organici. Lo Spencer, che si considera come il capo dell’evoluzionismo definisco l'evoluzione così: « un'integrazione di materia accompagnata da una dispersione di movimento, durante la quale la materia passo da una omogeneità indefinita © incoerente ad una eterogeneità definita ο coerente, ο durante la quale anche il movimento, che è conservato, subisco una trasformazione analoga ». Mediante tale pro- cesso dalla nebulosa primitiva, che rappresenta il mus- simo dell’ indeterminatezza ο della omogeneità, si è for- mato il sistema solare; poi sul piccolo globo della terra si sono venite distendendo masso viventi le quali, sotto- Ey EXO — 422 — poste a diverse influenze, si sono differenziate, dando luogo alle specie multiple delle piante ο degli animali; in que- sto mondo animale, per una differenziazione sempre cre- scente, s'è venuta svolgendo la vita dello spirito: linguag- gio, religioni, istituzioni politiche, arti, scienze, ecc. Si hanno così tre forme principali di evoluzione: inorganica, organica, e superorganica. Ma va notato che lo Spencer considera l'evoluzione come l'ipotesi più accettabile, non come una legge avento valore ussoluto; e che per di più ossa non ci svela, secondo lo stesso filosofo, la natura in- tima e la genesi delle cose in sè, ma soltanto la loro ge- nesi in quanto si manifestano allo spirito umano. Cfr. Spen- cer, First principles, cap. XVII; Baldwin, Derelopement and erolution, 1902; Richard Gaston, L'idée d'évolution dane la nature et dans l'histoire, 1902; Delage et Goldsmit, Les théories de l'évolution, 1910; E. Clodd, I pionieri del- l'evoluzione, trad. it. 1909; V. Ducceschi, Evoluzione mor- fologica ed er. chimica, 1904; C. Fenizia, L'evoluzione bio- logica e le sue prove di fatto, 1906 (v. cosmogonia). Ex concessis. Termine della scolastica, con cui si de- signa quella forma di argomentazione sillogistica nella quale la premessa maggiore, quantunque falsa, è accordata per vora. Tale argomento non dimostra quindi per sè ma re- lativamente, 0, come dice Clemente Alessandrino, conclu- dere ex concessia est raliooinare, conoludere autem ex veris est demonatrare. Cfr. Clemente A., Strom.. VIII, 771. Exoterico. Gr. Ἐξωτερικός; T. Ezoterisch ; I. Eroteric; F. Exoterique. Da principio il vocabolo, che signitica esterno, fu adoperato per indicare i libri aristotelici d’ argomento non strettamente scientifico, per opposizione ai libri eno- terici. In generale dieosi esoterica una dottrina che vien in- segnata soltanto agli iniziati, mentre ai profani ne è resa impossibile la conoscenza per ln voluta oscurità sotto cui è velata. Più specialmente dicesi esoterico I’ insegnamento filosofico che Aristotele impartiva la mattina ai propri di- — 423 — Exr-ExT scepuli, i quali venivano ammessi nell'interno della scuola dopo aver assistito all'insegnamento più elementare: que- sto, detto per contrapposizione ezoterico, era impartito in- vece la sera, e trattava questioni più facili ο d'interesse più generale, assistendovi un pubblico più largo. Codesta distinzione sembra fosse esistita anche nell’ insognamento di Platone e nella scuola di Pitagora. In questa infatti erano detti esoterici gli alliovi cho avevano penetrata pio- namente la dottrina del maestro, eroterioi i novizi. Cfr. Bo- nitz, Index aristotelious, 104 a, 44-105 L, 49 (v. epoplico). Experimentum crucis. Quando lo scienziato cunce- pisce un dubbio sul valore reale d’una causa presunta, o trovasi incerto tra due ipotesi ugualmente possibili, dove produrre dei fatti che si possono spiegare soltanto con l'intervento di quella causa, o che lo costringono a re- spingere una delle due ipotesi, e ad accettare l’altra, ‘Tale è l’esperienza che Bacone disse oruciale « pigliando la si- militudine, come dice egli stesso, da quelle croci alzato nei bivj, le quali segnano le separazioni delle strade ». Cfr. Nov. organon, 1, II, cap. XXXVI (v. instantiae, crucis). Extrasensibile, I. Eztrasensible; F. Extrasensible. Non bisogna confonderlo col sorrasensibile. La sensibilità ci ri- vela soltanto uns piccola porzione del mondo, esterno, pui- chò vi sono nella nostra conoscenza di esso degli elementi non presenti ai sensi; questa parte dell'ordine esterno cle nou ci è data direttamente dalla sensazione, e che noi cre- diamo esistere, costituisce un’ esistenza extrasensibilo, lu quale ci è rivelata, secondo il Lewes, da varie induzioni, | È infatti tra le infinito impressioni che colpiscono i nostri sensi, soltanto alcune di esse corrispondono agli stati di coscienza, sicchè la sfera sensibile è troppo limitata per abbracciare sia la totalità obbiettiva sia quella piccola parte di essa che si trova in contatto con l'organismo : ne consegue che la sfera della conoscenza non è limitata solo alle impressioni sensibili, ma si estende anche alle Exr-Fac — 424 — inforenze, che sono ricombinazioni e riproduzioni di tali impressioni; quindi la conoscenza sensibile è estesa al- l’extrasensibile. Oltre poi questo mondo sensibile ο extra- sensibile, i metafisici ammettono una terza regione sovra- sensibile, che è preclusa affatto all'esperienza dei'sensi ed sporta soltanto alla fede ο alla intuizione intellettuale. Cfr. Lewes, Probleme of life and mind, 1875, vol. I, pr. I, cap. III, p. 253 sogg. F. Nellu logion formale è adoperata nei tro ultimi dei quattro versi mnemonioi che designano lo figuro del sil- logismo, per indicare cho ogni modo espresso in una pa- rola cominciante per codesta iniziale, può ossore ricondotto, con processi logici speciali, a qual modo della prima figura, cho è espresso in una parola cominciante per l’ iniziale medesima (Ferio); tali sono: Festino, Felapton, Fesapo, Fresison. Facoltà. T. Vermögen, Seelenvermögen; I. Faculty; F. Fa- culté. Per facoltà dell'anima s'intendono quelle forze spe- ciali cho esistono nell’ anima, per cui essa è atta a fare qualche cosa, quelle potenze misteriose © spontaneo di cui i fatti psichici sono l'effetto. Si sogliono distinguere in pamire, come la sensibilità, ο attire, come In volontà. Le facoltà passive sono dette più comunemente capacità, ri- sorbando il vocabolo proprietà alla semplice predisposizione della materia inorganien a divenire soggetto di un dato fonomeno, o ancho alla capacità della materia organica di dar luogo a fenomeni fisici e chimici. Dice ? Hamilton: « Facoltà, facultas, è derivato dal latino arcaico facul, la forma più antica di facilée, du cui è formato facilitas. Fssa è limitata in senso proprio al potere attivo, e quindi è applicata abusivamente alle più passive affezioni dello spi- rito, alle quali capacità è più propriamente limitato ». An- — 425 — Fac che per il Murphy le facoltà sono essenzialmente attive: . Boirae, L'idée de phénomène, 1894 (v. altualivmo, feno- menismo, mobilismo, sostanzialivmo). Perio ο ferioque. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo della prima figura del sillogismo, nol quale la maggiore è uni- versale negativa, la minore particolare affermativa, la con- elusione particolare negativa. Es.: I pazzi non sono esseri normali. — Qualche uomo di genio è pazzo. — Punquo qualche uomo di genio non è essere normale. Corrisponde — 439 — FER-Fis al τεχνικός dei logici greci ο ad esso vengono ricondotti tutti i modi delle altre figure che cominciano con la stessa lettera (v. sillogismo, figura, termine). Ferison. Termine mnemonico di convenzione, con cui si designa nella logica formale quel modo della terza figura del sillogismo, che ha la maggiore universale negativa, la minore particolare affermativa, la conclusione particolare negativa. Es.: Nessun delinquente è virtuoso. — Qualche delinquente è uomo colto. — Dunque qualche uomo colto non è virtuoso. Corrisponde al φέριστος dei logici greci, ο si può ricondurre al ‘Ferio della prima figura mediante la conversione semplice della minore. Fesapo. Termine mnemonico di convenzione, con cui si designa nella logica formale quel modo della quarta figura del sillogismo, in cui la maggiore è universale negativa, la minore universale affermativa, la conclusione particolare negativa. Es.: Nessuna azione volontaria è priva di fine. — Ogni fenomeno privo di fine è meccanico. — Dunque qualche cosa che è meccanico non è azione volontaria. Si può ridurre al Ferio della prima figura mediante la con- versione semplice dello due premesse e la conversione per accidente della conclusione. Fespamo. Termine mnemonico di couvenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo dalla quarta figura del sillogismo, che ba, como indicano le vocali, la premessa maggiore universale negativa, lu minore unive sale affermativa, la conclusione particolare negativa (v. fo- supo, fapesmo). Festino. ‘Termine muemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa quel modo della seconda figura del sillogismo, nel quale la maggiore è universale” negativa, la minore particolare affermativa, la conclusione particolare negativa. Es.: Nessun uccello è mammifero. — Qualche animale che vola è mammifero. — Dunque qual- che animale che vola non è uccello. Corrisponde nl pétptov dei logici groci ο si può ricondurre al Ferio della prima figura mediante la conversione semplice della promessa maggiore, Feticismo (faotitiue = fattizio). T. Fetischglauhe, Feti- schimus; I. Feticiam ; F. Fétichieme. La forma più grossu- lana dell’animismo, quale si riscontra nelle religioni dei popoli primitivi e selvaggi. Esso consiste nell’adoraziono di un oggetto inanimato (feticcio) che si crede dimora di uno spirito. Soltantochè, mentre nell’animismo gli spiriti degli esseri naturali possono staccarsi dal loro involuero visibile e spaziure liberamente por l’aria, nel feticismo in- vece lo spirito del feticcio © la sua forma sensibile costi- tuiscono una sola ο medesima cosa. E poi errore designare col nome di feticismo la semplice ailorazione degli oggetti naturali, come il sole, i fiumi, gli alberi, gli animali, poi- chè il feticcio ha per carattero essenziale di appartenere materialmente all’ uomo, di essere da lui scelto e lavorato ο d'essere trusportabile a volontà. Il Comte attribuisce al feticismo una estensione particolure. Egli lo considera como la faso inizialo ¢ più importante dello stadio teologico, il fondamento di ogni sistema religioso, ο riguarda lo stesso panteismo germanico dei suoi tempi come un feticismo più generalizzato © sistematizzato. Nella sua religione posi tiva, egli colloca la Terra col sistema solare nella trinità positiva chiamandola il maggiore dei Feticci, mentre lo spazio è il Gran Mezzo e I’ Umanità il Grand’ Essere, Cfr. F. Schultze, Der Fetisohismue, 1871; A. Comte, Catéchieme ponitiviete, 1851; Système de politique positive, 1854, vol. IV (v. animismo, elioteismo, pantelismo, religione). Fideismo. T. Glaubensphilosophie ; I. Faith-philosophy ; © F. Fidéieme. Con questa parola si indicò, sul principio del secolo scorso, il tradizionalismo religioso promosso dal- P Huet, dal Bautain ο dal Lamennais, cho faceva dell’ in- telligenza una facoltà snprema e speciale, contrapponendola alla ragione: questa ci fa conoscere soltanto le apparenze — dl Fip senza nulla dirci intorno alla vera natura dello cuse, quella invece, prendendo per baso la parola rivelata, della quale permette di cogliere il senso esoterico, dà all'uomo Ii tuizione diretta della realtà spirituale, dell’assoluta verità. Più precisamente furon detti fideisti quei seguaci del La- mennais, che attribuivano alla fede, all’autorità della ri- velazione divina, un officio esclusivo nell'acquisto d’ una vera certezza dei principj della ragione. Per estensione, oggi la parola fideismo viene applicata a tutte le dottrine che ammettono delle verità di fede accanto o sopra le ve- rità di ragione; quindi è spesso identificato con 1’ imma-ı nentismo, col prammatismo, con |’ anti-intollettualiemo, ο si riconduce, sotto tutte le sue forme, alla dottrina della fede | fiduoiale propria del luteranismo primitivo. La fede fidu- ciale ο giustificante, che Calvino chiama agnitio erperimen- | talis, è un'esperienza interiore, che si distingue come tale dalla fede nei dogmi, e sussiste anteriormente ad ogni atto intellettaale ; è insomma una certezza immediata, non le- gittimata da un motivo, che possa formularsi con un giu- dizio che la preceda. Qui si rivela il senso delle espressioni comuni al fideismo contemporaneo: Dio è il riassunto delle nostre esperienze religiose; la religione è una vita; lo formule religiose non forniscono che l’espressione esteriore © formale dell’impressione interiore, ecc. Poichè la fede tiduciale è di sua natura soggettiva, in quanto l'oggetto di essa si risolve nel contenuto degli stati rappresentativi dell’esperienza interiore. Il fideismo, già condannato più volte nel passato, subì ugnal sorte ai giorni nostri sotto il pontificato di Pio X, che nell’enciclica Pascendi domi- nici gregis così lo definiva: « Dinanzi a questo inconosoi- bile, 0 sia esso fuori dell’uomo oltre ogni cosa visibile, 0 si celi entro l’uomo nelle latebre della suboosciensa, il bi- sogno del divino, senza alcun atto previo della mente, se- condo che vuole il fideismo, fa scattare nell'animo già in- chinato a religione un certo particolare sentimento; il Fie — 442 — qualo, sia come oggetto, sia come causa interna, ha im- Plicata in sò la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio. A questo sentimento appunto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio della religione ». Per queste ripetute condanne, che dànno alla parola un carattere peggiorativo, molti fra gli stessi fideisti vorrebbero fosse abbandonata. Cfr. Calvino, Insti- tution chrétionno, 1562, 1. III, cap. II, p. 385; Lamennais, Ewai wur Vindifférence on matière de religion, 1820, t. II, p. 37, 70, 80 sogg.; A. Richard, Zamennais ot son école, 1881, p. 139 segg.; C. Ranzoli, Il fideiemo, in Linguaggio dei filosofi, 1912, p. 213-227 (v. oredenza, fede, modernismo, ra- gione). Figura. T. Schlussfigur: I. Figure; F. Figure. Nella lo- gica dicesi figura (σχῆμα) d’un sillogismo, la disposizione cho essa presenta riguardo alla posizione del termine medio nollo premesse. Essendo quattro le posizioni possibili, quat- tro sono le figure. Nella prima il termine medio è sog- getto nella promessa maggiore © predicato nella minore: nella seconda è predicato in entrambe le premesse; nella terza soggetto in entrambe ; nella quarta predicato nella maggiore e soggetto nella minore. Per ricordare facilmente la definizione delle quattro figure, fu costruito il seguente verso mnemonico, nel quale eub è abbreviazione di audiec- tum © prae di praedicatum : sub prae: tum prac prac; tum sub sub; denique prae sub. Le prime tre figure si debbono ad Aristotele; l’ultima venne attribuita da Averroò a Ga- leno, ma essa si considera concordemente come inutile & artificiale. Il sillogismo di prima figura è il vero tipo del ragionamento deduttivo, perchè va dalle condizioni al con- dizionato, dalla causa all’ effetto, dalla leggo al fenomeno: per esser valido deve aver sempre la maggiore universale © lu minore affermativa. Quelli di seconda figura debbono aver sempre la maggioro universale ο una delle due pre- mosse negativa. Quelli di terza figura debbono avere la — 443 — Fin maggiore uffermativa © la conclusiono particolare. 1 sillo- gismi di seconda e terza figura possono essere ridotti alla prima, secondo le regole già fissate da Aristotele. Cfr. Ari- stotele, Anal. pr., I, 4, 5, 6; Kant, Logik, 1880, $ 67-69; Masci, Logica, 1899, p. 244 segg. (ν. sillogivmo, modo, ter- mini, premessa, conclusione, forma). . Filodoxia. T. Philodozio; 1. Philodozy; F. Philodorio. Kant chiama così quella specie di dilettantismo filosofico, che oggi dicesi estetiemo filosofico, il quale consiste nel ri- durre la filosofia ad un vacuo simbolismo, in cui più che la verità d’una dottrina se ne riceroa l'eleganza e alla ri- cerca del vero si sostituiscono le discussioni sottili ed oziose: « Quelli che rigettano il suo metodo (del Wolf) ο tuttavia non ammettono nemmeno il procedimento della critica della ragion pura, non possono avere altra inten- zione che quella di sbarazzarsi completamente dei legami della scienza, di cangiare il lavoro in gioco, la certezza in opinione, e la filosofia in filodossia ». Anche Platone aveva adoperato il vocabolo filodossi, contrapponendolo u filosofi, ma non nel medesimo senso di Kant. Per filodossi (Φιλόδοξοι) egli intendeva coloro che si compiacciono ο s’accontentano dell’apparenza delle cose, della moltitudine dei fatti particolari e relativi, mentre i filosofi risalgono all’ossenza © all’ idea. Cfr. Platone, Repubblica, 1. V, 480; Kant, Krit, d. reinen Vern., prof. alla 33 vd., § 16 (v. esto- tirmo, verbalismo). Filogenesi (yivasıs τῶν φυλῶν). T. Philogencse; 1. Phy- logeny; F. Phylogénèse. Indica l'evoluzione ο lo sviluppo della apecio, in opposizione ud omtogenesi, che indica lo sviluppo dell’ individuo. Socondo Haeckel ο i darwinisti moderni, l'evoluzione ontogenetica è il riassunto della ovo- luzione filogenetica, l’embriologia uns ricapitolazione molto rapida e breve della geneologia ; vale a dire che un in- dividuo di una data specie, prima di raggiungere il suo completo sviluppo, deve trascorrere in breve tutte lo fusi Fin MM di ovoluzione organica e psichica attraverso cui passò pre- codentemente la specie alla quale appartiene. Questa è detta dall’Haeckel legge biogenetica fondamentale. Cfr. Vial- leton, Un problème de l’évolution, 1908; Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 100 segg. (v. embriologia, ontogonesi, darwiniemo, trasformismo, eredità, ecc.). Filoneismo (φίλος = amico, viog = nuovo). L'amore per il nuovo, che si contrappone al misoneismo, che è l'odio per tutto ciò che è nuovo. Quando il filoneismo diviene esagerato, dicesi più propriamente neomania, a cui si contrappone la neofobia. Filosofema. Gr. Φιλοσόφημα; T. Philosuphem ; I. Phi- losophema; F. Philosophème. Una delle quattro specie nelle quali Aristotele distinse il sillogismo, per rispetto al fine che si propone chi lo adopera. Esso è il sillogismo dimo- strativo, che si propone la dimostrazione della verità, Nel- l’uso comune indica dottrina o teoria filosofica; ma per lo più è adoperato in senso dispregiativo, e vale sotti- gliezza da filosofo dialettico. Cfr. Aristotele, Top., VIII, 11, 162 a, 15. Filosofia. Gr. Φιλοσοφία; I. Philosophie; I. Philosophy; F. Philosophie. Stando ad una antica leggenda, raccolta da Diogene Laerzio e da Cicerone, il primo a chiamare la filosofia con questo nome fu Pitagora, secondo il quale Dio soltanto poteva essere sofo, ciod sapiente, e 1 uomo semplicomente filosofo, cioè amante della sapienza, deside- roso d’imparare; per spiegare questo termine nuovo, avendo paragonata la vita alle grandi fiere a cui la gente aecur- reva da ogni parte della Grecia, gli uni per concorrere nei giochi, gli altri per vendere e per comperare, gli altri in- fine per il solo piacere di vederne lo spettacolo, aggiun- gova: qui ceteris omnibus pro nihilo habitis, rerum natura studiose intuerentur, hos se appellare sapientiae studiosos ; id est enim philosophos. Di tale racconto dubitano i critici mo- derni; ma è certo, ad ogni modo, che quelli che poi si — 445 — Fin dissero filosofi furono chiamati soff e sofisti fino a che tale vocabolo non cadde in discredito; cho le parole filosofia e filosofare si trovano usate, nel significato che poi eb- bero sempre, soltanto nelle scuole socratiche, delle quali è proprio anche fl concetto della incompiuterza del sapere umano; © che, infine, l’uso delle parole medesime, ancora fluttnante in Platone ο in Aristotele, non si fissò defini- tivamente che cogli stoici. Da quel tempo in poi, della * filosofia fu dato un numero grandissimo di definizioni, e in modi diversissimi furono intesi il suo compito, il suo oggetto, le sue parti, i suoi metodi, i suoi rapporti con le altre branche dello scibile; tuttavia, attraverso la di- versità degli indirizzi ο dei sistemi, ha conservato uu ca- rattere fondamentale ο costante, cho la differenzid sempre da ogni altra forma di sapere. Dalle scuole indiane agli ionici primitivi e da questi ai positivisti e ai neo-criticisti moderni, In filosofia rappresentò sempre 1’ unificazione snprema delle conoscenze, la sintesi totale dei risultati particolari d’ogni altra soienza, la matrice perenne dei problemi scientifici, lo studio delle verità più alto o più complesse, che riguardano l'essere e il conoscere, il mondo © Pesistenza, il reale ο l’ideale, lo spirito e la materia. Se- condo il vecchio paragone, l'universo è per le scienze uno spocchio in frantumi; la filosofia, raccostando i frantumi, cerca di intravedere l’imagine comune. Il compito della filosofin è dunque quello dell'unità; essa è l’organizza- zione dei pronunciati ultimi d’ ogni altra scienza, e dei con- cotti problematici che ne sorgono, in un sistema esplicativo ottenuto mediante la subordinazione loro ad un dato unico, che ne dà ragione. Ciò, come ha dimostrato l’Ardigò, attra- verso tutta la storia della filosofia, dagli inizi ai nostri giorni. Agli inizi della filosofia le cognizioni furono sistemate nel concetto generico del mondo, che si cercò spiegare prima col principio dell’animazione, poi con quello del numero, indi con quello dell'ente; In sintesi o il problema filosofico fn per- Fr — 446 — ciò da prima fisico, poi matematico, indi metafisico. Forma- tisi poi dall’indistinto primitivo del mondo i concetti di- stinti della materia, del pensiero e della moralità (da cui la fisica, 14 logica e l'etica) sorse il problema del loro ac- cordo, che la filosofia ceroò spiegare unificando i tre con- cetti nel principio del trascendente, concepito ora como intelligenza ordinatrice, ora come forza creatrice, ora come sostanza dei fenomeni. Nella filosofia moderna i dati of- ferti dalle scienze sperimentali vennero unificati nel con- cetto della natura, spiegata ora come attività logica, ora come pura materia dotata delle sue proprietà fisiche. Nella filosofia attuale, infine, l’esplicazione della natura è fatta mediante il principio dell’evolusione, in cui la natura ap- pare come un'entità primitiva trasformantesi nelle sue forme definite ascendenti. Da tutto ciò si possono ricavare aleuue eonelusioni, che pongono in maggior luce il carat- tero fondamentale e perenne della filosofia: 1° la filosofin è soltanto la concezione del problema da essa riguardato © il tentativo non ancor riuscito della sua soluzione; in altre parole l'unificazione filosofica non ha che un valore problematico, relativo, provvisorio mentre la soluzione dei problemi stessi costituisce le scienze particolari ; 2° la filo- sofia precede quindi le scienze, offrendo loro i problemi da risolvere, succede alle scienze, come complesso dei pro- blemi superiori generali ai cui presupposti le scienze si riferiscono, durerà finchè dureranno le scienze, raccogliendo il problematico insorgente perennemente allato della sco- perta positiva; 3° la filosofia non consiste dunque în un semplice inventario generale dei dati ultimi delle scienze particolari; 4° non consiste, come altri credono, nel sem- plice insieme delle scienze non fisiche, quali l’etica, l’este- ca, la psicologia, eco.; 5° non consiste nemmeno in un insieme di principi aprioristici, imponentisi per la loro in- trinseca evidenza metafisica, anteriori alla scienza positiva essa inattacenbili; 6° 0 neppure si risolvo, come molti — 447 — Fin credono, in tante filosofie speciali quante sono lo scienze par- ticolari. Per ricordare ora alcune delle principali definizioni della filosofia, nella Grecia sei erano specialmente celebri, secondo Hamilton : la filosofia è la conoscenza delle cone esistenti, in quanto esistenti ; è la conoscenza delle cose di- vino ed umane; à una meditazione della morte; una somi- glianza della divinità in quanto è competente all’ nomo; l’arte delle arti e la scienza delle scienze; l’amore della sa- pienza. Per Cicerone la filosofia è la conoscenza divinarum humanarumgue rerum, tum initiorum causarumque cuiuaque rei. Por S. Tommaso la filosofia abbraccia tutte le verità accossi- bili mered il solo lume naturale, ed è l’opera della ragione applicata alla ricerca della verità: de quibus philosophicae di- aciplinae tractant, secundum quod sunt oognoscibilia lumine na- turalis rationis. Per Bacono, come già per Aristotele, essa è sapere razionale, scienza nol significato più generale della parola: Philosophia individua dimittit; neque Impressionen pri- mas individuorum, sed notiones ab illis abstractas compleoti- tur... atque hoc proreua ofleium atque opificium rationin. Anche per Cartesio la filosofia è sapienza, sia pratica ain scientifica: Philosophiae voce sapientiae studium denotamus, et per sapientiam non solum prudentiam in rebue agendis intel- ligimus, verumetiam perfeolam omnium eorum rerum, quan homo potest novisne, sciontiam, quae et vitae ipsine regula rit, et valetudini comservandae, artibusque omnibus inveniendin in- serviat. Per il Shaftesbury è « lo studio della felicità »; per il Berkeley « lo sforzo verso la sapienza e la verità»; per Cristiano Wolff « la scienza dei possibili in quanto por- sono essere ». Per Kant è la conoscenza razionale da con- cetti puri, « la scienza degli scopi ultimi della ragione umana », « una solenza dello più alte massime aull’ uso della nostra ragione ». Per Hogel la filosofia è, formal- mente, « la considerazione dell’oggetto mediante il pen- siero >, dal punto di vista del contenuto In scienza del- l'assolnto « l’iden cho pensa sò stessa, In verità conna- Fi — 448 — pevole ». Per Galluppi è « la scienza del pensiero umano »; per Rosmini « la disciplina che tratta de’ primi principî », ed è ideologia se si considera l'ordine che ha col pensiero umano, teologia razionale se si considera 1’ ordine assoluto degli oggetti cogniti; per Comte « l’esplicazione dei feno- moni dell’ universo »; per Spencer «il sapere completamente unificato »; per Lewes « la sistemazione delle concezioni fornito dalla scienza »; per Renan « lo studio della natura e dell'umanità »; per Paulsen « il contenuto di tutte le cono- scenze scientifiche »; per Wundt è lo sforzo « di raggiungere una intaizione universale del mondo e della vita, che soddisfi le osigenze della nostra ragione e i bisogni del nostro sen- timento >. — Dicesi filosofia naturale l’ interpretazione sinte- tica dei fatti fisici o del mondo esterno; filosofia prima o generale la filosofia propriamente detta, cioè l’interpretn- zione totale dell'universo, della sua origine, della sua nn- tura, del sno fine; filosofia della storia quella che studia In società nel sto movimento e cerca interpretaro i fatti storici riconducendoli ad un principio unitario ; filosofia del diritto quella che ha per oggetto la ricerca dell origine del diritto, delle sue forme, della sua evoluzione; filowofia delle scienze quella che stabilisce gli oggetti d’ogni scienza, de- terminandone i caratteri differenziali, fissandone i rapporti e i principi comuni, le leggi di sviluppo e il metodo par- ticolare; filosofia scfentifica quella che, basandosi sopra la relatività della conoscenza, rigetta ogni dato aprioristicn, esclade ogni dottrina dogmatica intorno al reale assolnto, e corca costruiro la sintesi filosofica appoggiandosi sui ri- aultati dello scienze particolari: in senso analogo si usano le espressioni filosofia dell'esperienza © filosofia epertmentale. Con le espressioni filosofia zoolagica, filorofia biologica, filo- sofia della chimica, ecc. si sogliono designaro quelle parti di ciascuna scienza che, per la loro astrattozza e genern- lità, perdono il loro carattere strettamente scientifico ο sperimentale, per nequistare un valore speculative e filo- — 449 — Fix sofico. Alcune volte si usano le espressioni filosofia morale in luogo di etica e filosofia dell'arte in luogo di estetica. Altre volte il termine filosofico è adoperato in luogo di si- stema o indirizzo filosofico, come quando si dice filosofia dell'azione, filosofia della contingenza, filosofia dell''imma- nensa, 909. Con le espressioni filosofia verbale 0 filosofia lette- raria si suol designare ciò che Kant chiamava filodozia, ο che altrimenti dicesi rerbaliamo o catetiemo filosofico, vale a dire quella filosofia che si compiace delle vacne esereita- zioni rettoriche, che ricerca più 1’ eleganza della forma che In solidità della sostanza, che si esaurisce, insomma, nello stu- dio delle parole trascurando quello delle cose. Cfr. Hamti- ton, Lectures on metaphysica, 1859, vol. 1, p. 51 segg.; Ucher- weg-Heinze, Grundries d. Geschiohte d. Philosophie, I, $ 1; F. Paulsen, Einleitung in die Philosophie, 1896, p. 19 seggi; Waundt, Einl. in die Philos., 1901, p. 1-10; Windelband, Storia della filosofia, trad. it., Sandron, I, p. 1-28; Id., Prä- Indien, 3% ed. 1907, p. 1 segg.; Galluppi, Lezioni di logica e met.,1854, vol. I, p. 7-61; Rosmini, Ideologia e logica, 1853, vol. IV, p. 308 seg.; Ardigò, Op. fil., II, p. 442 seggi; IV, 285 segg. (v. metafisica, sociologia, psicologia, logica, morale, estetioa, pedagogia, didattica, dommatismo, ontologia, teleologia, teonofia, epistemologia, assoluto, conoscenza, anima, criticiemo, positivismo, ccc., ecc.). Finale. T. Letst, endlich; I. Last, final; F. Final, Lo scopo per cui una cosa è compiuta, per cni un avvenimento è de- terminato; si oppone a causa mecoanica 0 naturale, che è quella che si reulizza incoscientemente, senza la concezione del fine. Talvolta finale si oppone a iniziale, per indicare ciù che riguarda la cessazione d’un fenomeno nel tempo. Scopo finale dicesi quello che non è mezzo per rapporto ad aleun altro fine ulteriore (v. oguae finali, finalità, fine, teleolog Finalismo v. teleologia, cause finali, fine, finalità. Finalità. T. Zeokmässigkeit, Finalität: I. Finality: F. Finalité, Una serie di cause od effetti, che fa capo nd um 20 — Ranzo14, Dizion, di scienze filosofiche FIN — 450 — determinato scopo con l’azione di determinati mezzi. Di- cesi finalità immanente quella che #’ identifica con l’attività dell'essere che, con determinati mezzi, realizza determi- ti fini; finalità trascendente quella che si realizza in un essere per una attività diversa da lui; finalità organica quella che si realizza negli esseri organizzati senza 1’ in- tervento di alcun fattore psichico, in virtù soltanto della loro struttura organica; finalità effettiva quella che si rea- lizza nell’animale in seguito all’appetito fondamentale, che lo spinge a cercare il piacere e fuggire il doloro; finalità intelligente quelin degli animali superiori e dell’uomo, che sî rivolge con mezzi noti ad un fine noto. — Il principio di finalità, col quale alcuni filosofi vogliono integrato quello di causalità, si enuncia così: ogni fatto ha il proprio fine. Esso trovasi già in Aristotele, che lo esprimeva dicendo: ἡ φὺσιξ οὐδὲν µάτον ποιεῖ = In natura non fa nulla in- «arno. Occorre notare però che Aristotele non dava alla pafola φύσις il senso universale che oggi si dà alla parola natura, e che molti filosofi escludono che l’esistenza della finalità possa dar Inogo ad un principio, vale a dire ad una proposizione universale e necessaria. L'esistenza della fina- lità, in quanto distinta dalla causalità efficiente, sembra casere una verità d'esperienza, specialmente interna; per- ciò Kant ne fa un'ipotesi direttiva, un concetto norma- tivo: « Il concetto di una cosa considerata come un fine in sè della natura, non è un concetto costitutivo dell’in- tendimento o della ragione; ma può servire di concetto regolutore per il giudizio riflesso e, secondo una analogia lontana con la nostra propria causalità, nella sua tendenza generale verso i fini, servire di guida alla riceroa d’og- getti di questa speci ». Altri invece, come il Lachelier, considera che l’esistenza di cause finali nel mondo è un principio razionale, che, senza avere il carattere assoluto del principio di causalità, ο però sin un elemento indi- spenanbile del principio dell’ induziono, sin una logge che B — 451 — risulta, como quella delle cause efficienti, dal rapporto dei fenomeni col nostro spirito. Cfr. Aristotele, De an., III, 12, 434 a, 31; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, I, § 65; J. La- chelier, Du fondement de induction, cap. VI; Goblot, Fonotion et finalité, « Revue phil. », 1899, II, p. 505 (v. cause finali, fine, pantelinmo, teleologia). Fine. Gr. TéAoç; Lat. Finis; ‘Il’. Zweck, Endzweck; 1. End; F. Fin. Lo scopo per cui una cosa è compiutn; tro- vasi al principio non alla fine della serie causative. In ogni processo di finalità si distinguono, infatti, tre mo- menti successivi: un termino iniziole, un termine finale, e uno o più termini intermedi, che diconsi messi. Siccome il termine iniziale determina come causa efficiente la serio dei fatti che debbono condurre al termine finale, così il termine iniziale stesso dicesi fine. « Il concetto di fine, dico l’Hartmann, si forma primamente dall’esperienza che ognuno fa sulla propria attività spirituale cosciente. Un fine è per mme un processo futuro da me concepito e voluto, il qualo io non sono in grado di attuare direttamente, ma sì solo per vin d’intermedii causali (mezzi). Se questo processo futuro io non lo penso, per me ora non esiste ; se non lo toglio, io non me lo propongo n fine, anzi m'è ο indifferente o repugnante; se io posso attuarlo direttamente, scompare il termine causale in- termedio, il mezzo, e con ciò sfuma anche il concetto di fine, che consiste unicamente nella relazione verso il mezzo, poichi: in tal caso l’azione consegue immediatamente dal volero ». Ma per quanto riguarda la natura intrinseca del fine, per nl- cuni esso non può essere che un pensiero, un'idea, cioò l’idea del termine finale; secondo altri può anche essero chiamato fine un fatto incosciente, come l'istinto, il bisogno, la priea- zione. Nella morale dicesi fino ogni bene soggettivo ο ogget- tivo In eni acquisizione determina la volontà all’atto ; dicesi fine primario quello senza del quale l'atto non avverrebbe; fine secondario quello che alletta soltanto ad agire; fine dell'opera (finin operis) quello cho è inerente all'essenza stessa dell’atto che si compie; fine dell’operante (finis ope- rantis) quello che è il vero © proprio fine ed è estrinseco all’azione, essendo liberamente voluto dall’agonte; finis cujus quello per raggiungere il’ quale l'agente si muove; finis qui il bene che si vuol conseguire ; finis cui la per- sona 0 il soggetto a cui si procura il finis qui. — Dicesi regno dei fini, per opposizione a regno della matura, l’in- siome degli esseri ragionevoli come fini in sò stessi, © i fini obbiettivi che questi esseri debbono proporsi, ciod i loro doveri. L'espressione risale a Kant, il quale per re- gno (Reich) intende « il legame sistematico degli esseri ra- gionevoli mediante leggi obbiettive comuui >; ora, gli es- seri ragionevoli sono, per la loro ragione, degli esseri enpnei di porsi dei fini, e, per il carattere incondizionato di talo ragione, dei fini in sè stessi; può dirsi quindi regno dei fini il sistema che comprende sotto una medesima le- gislazione i fini degli esseri ragionevoli, che sono essi stesai dei fini in 62, e anche i fini che questi esseri possono pro- porsi sotto la condizione di rispettare in sò medesimi e negli esseri loro simili la dignità di essere dei fini in sè. Noll’azione volontaria Kant distingueva i fini materiali, ο oggetti particolari del desiderio, e che sono tutti relativi alla natura particolare della facoltà di desiderare, dai fini formali ο obbiettivi, che sono presentati dalla ragione come ‘oggetti assoluti del dovere. I primi dànno luogo agli im- ipotetici, i secondi all’imperativo categorico. Di- consi fini secondari o relativi quelli che non sono che merzi al raggiungimento di altri fini; fine ultimo ο assoluto quello nel quale #’nrresta definitivamente l’attività, non essendo un mezzo per rapporto nd un fine ulteriore. Va notato però che molti respingono codeste espressioni come intrin- secamente contradditorie ; infatti il fine, se è veramente tale, non può non essere sempre ultimo per rispetto alla volontà che se lo propone, @ se si ummotte che possa esservi un fine che non sia ultimo, esso non è più nn fine ma un mezzo, — 453 — Così puro, se per fine « assoluto » s'intende « sciolto da ogni legame o rapporto », non si capisce come possa pon- sarsi un fine assoluto dal momento che il fine è, per de- finizione, pensabile soltanto in rapporto con la volontà; quindi fine assoluto non può significare altro che fine in sè, fine senza rapporto con la volontà, oggetto non più del volero mu del pensiero, che in tal caso deve ammet- tersi come identico col volere stesso. Cfr. Goclenius, Le- zicon philosophicum, 1613, p. 583; Kant, Grundlegung zur Met. der Sitten, 1882, § 97-111; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 3° ed. 1869, Introd.; Wundt, Logik, 1893-95, 1, 577 segg.; Sigwart, Logik, 1889, vol. II, p. 251 segg.: Riehl, Der philosophische Kriticismus, 1887, vol. II, t. 2, p- 337; Vidari, I concetti di fine e di norma in etica, « Riv. di filosofia », aprile 1911 (v. cause finali, toleologia). Pinito. T. Endlich; I. Finite; F. Mini. Come opposto ad infinito, dicesi di ciò che ha limiti assegnati. Si distinguo dal definito, che è ciò cui possono essere dati o sono dati dei limiti (v. infinito). Fisica. T. Physik; I. Physics, Natural philosophy; F. Phy- sique. Per i lunghi secoli nei quali dominò la classifica- zione aristotelica del sapero, questa parola fu usuta in contrapposizione a metafisica, per designare tutto l'insieme di cognizioni riguardanti i fenomoni esterni, l’ universo sensibile. Il termine fisico si adopera ancor oggi in oppo- sizione a priohioo, spirituale, morale, per indicare l’insiome doi fenomeni che appartengono al corpo, alla materia, ο sono oggetto dell’osservarione esteriore. Con Paccrencersi delle cognizioni, mediante l'applicazione del metodo spe- rimentale, l'antica fisica si venne dividendo in due gruppi distinti: la storia naturale, che si limita alla semplice de- serizione della natura, © la filosofia naturale, che stadia le cause ο le leggi dei fenomeni di natura. La fisica, intesa nel sno significato moderno, appartiene a questo secondo gruppo, in quanto è la scienza che ha per oggetto le pro- Fis — 454 — prietà generali dei corpi nei loro stati diversi e le modi- ficazioni che ossi subiscono per lo varie azioni cui possono cavere assoggettati. La distinzione della fisica dalla chimica © dalla meccanica va sempre più attenuandosi, ed esse su- rebbero destinate, secondo alcuni scienziati, a divenire tanti capitoli d’ una scienza più generale, la meccanica mo- lecolare. — Alcuni teologi chiamano argomento fisico quella fra le prove a posteriori dell'esistenza di Dio, che dalla constatazione delle cause seconde, conclude alla necessità d'una Cavea prima. Questo argomento si può formulare sillogisticamente cos): so si ha una serie o una concate- nazione di fenomeni, che sono ad un tempo causa ed ef- fetto, è necessario ammettere una Causa che non sia can- sata, cioè che non sia un effetto, che sin insomma una Causa prima; ora nel mondo si osserva appunto questa serie di euuso; dunque è necessario ammettere una Causi prima esistente in virtù propria, cioè Dio. Cfr. Bacone, No- tum Org., II, 9; L. Poincaré, La physique moderne, ed. Flum- marion (v. filosofia, materia, causa sui, Dio, assoluto, © gli argomenti ontologico, ideologico, morale, metafisico, storico). Fisiognomica. ‘I. Physiognomik ; I. Physioynomonics ; F. Physiognomonie. O fisiognomonia. In Aristotele φυσιογνω- μονεῖν significa giudicare dei caratteri in base ai segni esteriori. Per G. E. Schulze è l’arte « di conoscero dai ca- ratteri esteriori del corpo le abilità, le inclinazioni, naturali ed acquisite, le buone o le cattive qualità di un individuo ». In generale, la fisiognomonia è la scienza dei rapporti tra il carattere e l’aspetto fisico dell'individuo, e in particolar modo tra il carattere e i tratti del viso. Cfr. Schulze, Pay- chische Anthropologie, 1819, p. 74; A. Borse, L’Aysiognomi- sche Studien, 1899. Fisiologia. T. Physiologie: 1. Physiology; F. Physiologie. Anticamente era lo studio della natura sia animata che inanimata; nei tempi moderni è divenuta la scienza che descrive, localizza e interpreta i fenomeni della vita, se- — 455 — Fis condo la legge della causalità nataralo. Essa è il fondamento di tutte le soienze biologiche, e nella parte generale studia i problemi della vita in genere, nella parte speciale esamina le funzioni dei diversi spparati in una determinata specie organica. Come scienza fisico-chimiea dei viventi, la fisiv- logia comprende lo studio comparato dei fenomeni vitali dei regetali, degli animali, dell’ uomo ; vi sono infatti dei fe- nomeni vitali comani a tutti i viventi, fenomeni che hanno per sostrato materiale le cellule, valo a dire le unità morfolo- giche più semplici. La fisiologia cellulare rappresento quindi il fondamento di tutta la fisiologia, perchè le funzioni dei tessuti, degli organi e degli apparati, si riducono in ultima analisi all'attività vitale degli svariati elementi cellulari da cui risultano; tanto la fisiologia vegetale, che la fisiologia animale ed umana, attingono dalla fisiologia cellulare le co- noscenze relative alle funzioni elementari, e se ne valgono come basi per lo studio delle funzioni complesse e speciali dei diversi tessuti, organi ed apparati. Cfr. Luciani, Fisio- logia dell’uomo, 3" ed. 1908, vol. I, Introd. (v. animiemo, cel- lula, cellulari teorie, meocanismo, protoplaema, vita, vitaliemo). Pissazione. T. Zwang-Vorstellungen ; I. Imperative ideas : F. Obsessions, Stato mentale caratterizzato obbiettivamento dall’ indeoisione dello spirito, dalla tendenza al dubbio, agli sorapoli esagerati e senza fondamento, da una specie di debo- lezza della volontà, che rende l’indi viduo incapace di resistore à certi impulsi, oppure di decidersi e di compiere certi atti fra i più comuni e semplici. Psicologicamente pare dovuto ad una diminuzione della facoltà di sintetizzare le impres- sioni e i ricordi, per compiere quegli atti coordinati e voluti che costituiscono la regolare manifestazione della nostra ut- tività mentale. Caratteristica di tutte le fissazioni è d’ essere ncoompagnate da consnpevolezza di sè stesse ο quindi du angoscia più ο meno viva; l’ammalato ha perfetta cono- scenza del proprio stato, riconosce la natura patologica dei fenomeni cui va soggetto, ma è impotente a liberarsene. Fos — 456 — G. Folret, partendo dal concetto psicologico, ammette tro categorie di fiesasioni: le intellettuali, le emotive, le istin- tire, u seconda che si tratta di una idea fissa, di una paura, o di un impulso irresistibile. Il Morselli, accettando in parte quosta olassificazione, le distingue in quattro grappi: 1° follin del dubbio, ο paranoia indagatoria © interroga- torin; 2° fobie ο paure morbose ; 3° impulsi, che determi- nano ud atti per il predominio morboso di una tendenza: 4° abulie, ο impotense generali o parziali nel funzionamento della volontà. Cfr. Folret, Congr. int. di psichiatria di Pa- rigi, 1889, p. 33 segg.; Morselli, Manuale di semejotica, 1885, vol. I; Pierre Janet, Hist. d’une idée fire, « Revue philos. », febbraio 1894. Fobia. T. Phobie, neurasthonische Angesustinde; I. Pho- bia; F. Phobie. Nel linguaggio comune equivale a pauni osagorata o ingiustifienta; nel linguaggio scientifico è una forma di psicosi degenerativa, consistente in un timore istintivo irragionevole cho assale l’ammalato in certo cir- costanze, in presenza di dati oggetti, al pensiero di corti possibili avvenimenti, ed è sempre accompagnato da un sonso di ansia più o meno vivo. La natura delle fobie vu- ria infinitamente o ogni giorno so ne descrivono nuove va- rietà; tutte però rivelano lo stato mentale che loro serve di substrato, cioè l’emotività eccessiva, tantochè alcuni psichiatri la designano col nome di paranoia rudimentaria. Possono raggrupparsi in sei classi: 1° paura dei contatti, caratterizzata dalla oppressione che l’ummalato prova nel toccare determinati oggetti, monete, pomi delle porte (me- tallofobia), spilli (belonefobia), oggetti a punta (aoutofobia), pezzi di vetro o perle (oristallofobia), ecc. ; 2* paura mor- bosa degli spazi o topofobia, si tratti di spazi larghi e aperti (agorafobia), o di spazi chiusi e oscuri (claustrofobia), di precipini (cremnofobia), di alture (aorofobia); 3% paura mor- bosa di esseri viventi o biofobie, si tratti di certi animali come ragni, topi, rospi (zoofobia), ο della presenza di una — 457 — Fon donna (ginefobia), ο di un uomo (pirifobia); 43 paura mor- bosa concernente l’ambiente fisico esterno da cui si temono danni, como lu vista dell’acqua, dei flumi e ruscelli (idro- fobia), del fuoco dei fiammiferi (pirofobia), dei lampi ο dei tuoni (astrofobia); 5* timori istintivi riferibili ad atti Asio- logici od a possibili impotenze, come la puura di non poter stare in piedi (stasofodia), di non poter cammivare (baso- Sobia), di non poter muoversi dal letto (atremia), ecc.; 6* in- fine il gruppo numeroso delle patofoble © delle nosofobie, fra cui la paura di essere avvelenati con gli alimenti, con tossici imaginari contenuti negli abiti o negli oggetti esterni (tossicofobia), di essere deformi (diemorfobia), di esser sepolti vivi (tafefobia), ecc. Secondo la moderna psichiatrin, le fo- bie costituiscono quasi sempre delle stigmate psichiche della degenerazione, ma possono anche essere conseguenza di un semplico stato neurastenico, sia ereditario sia prodotto du stati di esuurimento leggero, e rimediabile, del cervello. Cfr. Friedmann, Ueber den Wahn, 1894; Gélineau, Les peur morbides, 1894; Lombroso, Alcune nuore forme di malattio mentali, « Arch. di peichistria », 1881; Morselli, Kir. di fre- niatria, 1887. Pondamento.T. Grund, Begründung, Grundlage; I. Foun- dation; F. Fondement. In generale, significa ciò su cui riposa un certo ofdine di conoscenze; più specialmente, indica sia ciò che giustifica un'opinione, che determina l’assen- timento dello spirito ad una serie di affermazioni, sin In. proposizione più generale ο più semplice, da oui si può de- durre un insieme di conoscenze ο di precetti. Fondamonto dolla morale dicesi il principio da cui si deducono le verità morali particolari in un dato sistema otico; ο, più in ge- nerale, ciò che legittima per la ragione il nostro ricono- scimento d’una verità morale. Il fondamento della divisione logica (fundamentum divisionis) è quella nota del concetto dividendo, che è suscettibile di varietà. Il fondumento del- 1’ induzione è quel principio generale, che rende possibile © For — 158 — legittiuo l’attribuire a tutta l’estensione del genere che s'è riconosciuto soltanto in alcune sue specie. Tale principio sarebbe, secondo gli empiristi, quello della co- stanza e uniformità delle leggi naturali; anche eso però si forma per induzione, quindi è uecessario ammettere che le prime nostre induzioni si facciano per enumerationem aim- plicem, si appoggino ciod soltanto sopra il numero dei casi, Per gli aprioristi invece anche le verità sperimentali si fon- duno sopra le verità originarie, i principi supremi di ragione, nei quali è contenuta la giustificazione dei processi induttivi (v. enumerasione). — Forma. T. Form, (iestalt; I. Form; F. Forme. Aristotele dlistinse per primo in ogni cosa la materia (Όλη) dalla forma (1806), considerando la prima come l’ente in potenza, τὸ Zuväneı ὄν, 9 la seconda come l’ente in atto, τὸ évepyeta ὃν. Egli distinse anche la forma dalla figura (µορφή) cho è la più semplice determinazione della materia, ciò che v ha di più elementare nella forma; e la materia dalla sostanza, che è ciò che esiste in sè © non in altro. Ora le sostanze sensibili sono prodotte dall’ unione della materia colla forma; perciò la materia è una sostanza potenziale, © per divenire attuale occorre che sia limitata e determi- nata, e tale carattere le è dato dalla forma. Dunque lu forma è la sostanza in attualità, la materia à la sostanza in virtualità. Il dualismo posto da Aristotele fra queste due entità oggettive, materia e forma, non fu superato nè ila lui nò dai filosofi successivi. Nella filosofia scolastica il termine forma ha un uso larghissimo, servendo a tradurre εἴδος, µορφή, obsia, παράδειγµα. Per determinarlo, gli sco- lustici aggiungevano al termine stesso un gran numero di epiteti, come: f. metaphysica, l’ essenza sostanziale d’ ogni cosa; f. corporeitatia, l’organizzazione delle parti del corpo degli esseri viventi, onde questi sono atti a ricevere l’anima, organizzazione considerata quale sostanza distinta dal corpo e perciò detta organizationem substantialem ; f. accidentalie. quella che sopraggiunge ad un soggetto completo nel suo essere di sostanza; f. eubstantialis, una realtà sostanziale distinta dalla materia, ordinata per sò in modo da costi- tuire colla materia prima la sostanza corpo naturale, cui «dà il suo essere ο la sua operazione specifica; f. materialis, quella che è inseparabile assolutamente dalla materia, che dipende da essa nella sua esistenza e nella sua operazione; J. spiritualia U anima intellettiva, che oltrepassa la materia, © se dipende da essa per alcune operazioni inferiori, ne è indipendente quanto alla esistenza e nelle operazioni più elevate; f. assistons quella che non è porzione della cous, mu presiede soltanto al moto di essa; f. informane quella che è ricevuta dalla materia e costituisce una cosa sola con essa, Giordano Bruno accetta l’ iden aristotelico-scolnatica di forma; soltanto le forme esterne mutano, egli insegna, tuentre le forme interne o forze permangono immntabili; si devono distinguere la forma prima, che dà la figuro, si estende parzialmente ed è dipendente dalla materia (ad os. la forma materiale del fuoco), dalla forma inestess (anima) © indipendente dalla materia (intelletto), come parti di un medesimo principio; dove è la forma, ivi in un certo senso è tutto; dove è l’anima, lo spirito, la vita, è il tutto, Ba- cone spogliò il termine del suo significato antico, cercando di dargli un senso nuovo, che servisse di base ad una teoria della natura: Nos enim, quum de formis loquimur, nil aliud in- telligimus, quam leges illas et determinationes aotus puri, quae naturam aliquam rimplicem ordinant et constituunt… Qui for- mas novit, is nalurae nnitatem in materiis dissimillimis com- plectitur. Nella filosofia moderna, specio dal Kant in poi, i due vocaboli, materia © forma, farono trasportati dall’ es- sere al conoscere, e perciò il loro significato mutò radi- caliente: infatti per materia della conoscenza intendesi oggi tutto il contenuto obbiettivo di essa, © per forma della conoscenza intendesi, nel senso logico, nou altro che il modo dell’ attività del pensiero che si fissa come pro- For — 460 — dotto logico, e, in senso gnoseologico, la funzione forma- trice della sensibilità ο del pensiero. Così nel giudizio dicesi forma lu relozione di convenienza o discrepanza tra sug- getto © predicato; nella proposizione la forma è il verbo che esprime la relazione dei due termini, soggetto ο pre- dicato; nel sillogismo dicesi forma il nesso intrinseco e la mutua dipendenza che hanno fra loro le tre proposizioni; nella legge morale In forma è il modo con cui essa impone i suoi principi, che si manifesta in un comando (imperativo positivo) o in un divioto (imperativo negativo). Cfr. Aristotele, Metaph., IX, 6; De an., II, 1; De ooolo, IV, 3, 4; Goclenius, Lexicon phil., 1613, p. 588-593; 8. Tommaso, Sum. theol., ΠΠ, 18, 1.0.; Bacone, N. Org., II, 3, 17; Bruno, De la causa, dinl. II, IV; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclum, p. 49 (v. formalismo). Formale. T. Förmlich, formal; I. Formal; F. Formel. Ciò che è indipendente dalla materia, © riguarda soltanto la forma, Dicesi verità formale 1’ armonia del pensiero con sò stesso, © verità materiale la conformità del pensiero con la cosa a cui si riferisce. Dicesi logica formale quella che considera soltanto la forma del pensiero, cioè il modo come gli olementi di questo sono tra loro combinati, e logica materiale quolla che considera anche il contenuto del pen- siero, e cioò i rapporti delle idee in relazione con le cose. Cartesio disse esistenza formale quella in sè, fuori d’ ogni idea, per opposizione all'esistenza obbiettiva, che è l’ esi- atenza per il pensiero © nel pensiero, Kant distinse i fini delle azioni in materiali o soggettivi © formali ο obbiet- tivi: quelli sono gli oggetti particolari del desiderio, questi sono presentati dalla ragione ad ogni essere razionale come gli oggetti assoluti del dovere; i primi dànno luogo agli imperativi ipotetici, i secondi all’imperativo categorico. Formalismo. T. Formalismus; I. Formalism: F. For- malisme. Nella filosofia si adopera per designare quei si- stemi o quelle dottrine che si fondano sopra un principio puramente formale, e che scambiano le parole con le cose. Ad es. dicesi formaliemo matematico, la dottrina di Pita- gora, che facendo dell’ unita il principio formale e della molteplicità il principio materiale d’ogni esistenza, cambin tutte le differenze di essonza in semplici determinazioni di grandesza. Dicesi pure formaliemo la filosofia naturale di F. Bacone, per il quale ogni conoscenza della natura ha lo scopo di comprendere le canse delle cose, le prime delle quali sono le cause formali, perchè 1’ necadere ha radice nelle forme, nelle nature delle cose; così, quando |’ indu- zione baconians ricerca la forma dei fenomeni, ad es. la forma del calore, per forma e’ intende l’essenza permanente dei fenomeni. Il vocabolo formalismo fu usato originarin- mente per indicare la particolare soluzione del problema degli universali sostenuta da Duns Scoto; per codosto filo- sofo, tra l’individualità della cosa ο la sua essenza uni- verrale non esiste che ana distinotio formalie; l'individuo è V ultima forma di ogni realtà, mediante il quale soltanto esisto la materia universale © che quindi non si può de- rivare da una forms generale ma solo constatare come nt- tuale. Cfr. Duns Scoto, In lib. sent., 2, dist. 3, qn. 6, 15; Bacone, Novum organum, 1. II; Sigwart, Logik, 2° od., vol. II, 6 93, 3 Formaliter. Termine usato specialmente nella filosofia scolnatica, e con significati assai differenti. Talvolta ha idon- tico significato (li ensentialiter, ο per correlativi aooidentaliter © materialiter : si dice infatti che un predicato appartiene ad nn soggetto formaliter, quando non potrebbe sussistere nè osser concepito senza di esso, ad es. la ragionevolozzn all'uomo; si dice che gli appartiene aooidentaliter quando } easenza è raffrontata con predicati accidentali, materia- liter quando è raffrontata con attributi o parti della com, che sono come materia del soggetto indifferente a cost tnire quella cosa o quell’ altra. Talora ha il significato mentalmente, vale n dire accondo le formalità che distin- For — 462 — guiamo soltanto col pensiero, e in tal caso ha per corre- lativo realiter. Altre volte formaliter si dice della cosa con- siderata in sè, e allora ha tanti correlativi quanti sono quelli coi quali una cosa pnd confrontarsi : se si confronta con l'oggetto, obiective; se con l'esemplare secondo cui una corn è fatta, eremplariter; se col fine correlativo, fina- liter, ece. Altre volte ancora val quanto tere e proprie, ed allora ba per correlativi apparenter, metaphorice. Si ado- pera infine, assieme con virtualiter ed eminenter, per riferirlo alle cause in quanto contengono la perfezione dell’ effetto: quando nella causa si trova la natura dell’ effetto, come nel fnoco il calore, l’effetto dicesi contenuto formaliter nella cansa; quando non si trova, come la statua nella mente dello scultore, l’effetto dicesi contenuto rirtualiter nella causa; quando la causa è molto più perfetta, cioè scbvra del tutto dalle imperfezioni che si trovano nell’effetto, come Dio rispetto alla creatura, allora dicesi eminenter. Cfr. Go- clenio, Lextoon philos., 1613, p. 593 seg.; Prantl, Geschichte der Logik im Abendlande, 1855-70, vol. III, 216. Fortiori (a). La dimostrazione a fortiori è quella che prova al di là della tesi o verità da dimostrarsi. Però se il provar troppo, quando è esatto, è utile, bene spesso costituisce un vero e proprio sofisma (v. argomento, quod nimis probat). Forza. T. Kraft, Gewalt; I. Force; F. Force. Intesa nel senso psicologico, essa non è altro, secondo molti filosofi moderni, che la sensazione di resistenza, ο ciò che è sup- posto casere la causa della sensazione di resistenza; ed an- che volgarmente è sinonimo di aforzo. « Esiste in noi, dice il Condillac, un principio delle azioni nostre, che sentiamo ma non possiamo definire: è chiamato forza. Noi siamo attivi del pari in relazione a tuttooid che codesta forza pro- duce in noi ο al di fuori. Lo siamo, ad esempio, quando riflettiamo e quando facciamo muovere un corpo. Per nna- logia noi supponiamo in tutti gli oggetti che producono — 463 — For qualche cangiamento, una forza che conosciamo ancor meno, e siamo passivi in relazione alle impressioni che essi fanno su di noi ». Il Maine di Biran riconduce il concetto di forza alla coscionza della propria capacità attiva, alla « apperce- zione interna immediata o coscienza d’ una forza, che è il mio mo e che serve di tipo esemplare tutte le nozioni ge- norali e universali delle cause, delle forze ». Il Bain, analo- kamente al Mill e allo Spencer, la definisce. « il sentimento che noi proviamo quando spieghiamo la nostra energia mu- scolare, sia resistendo, sia producendo noi stessi il movi- mento ». Nel senso meccanico la forza è una grandozza suscettibile di misurazione, il che sarebbe impossibile se si riducesse ad un puro conoctto psicologico. Ma, anche nel senso meccanico, essa fu intesa e definita in modi di- versi. Per Cartesio è ciò che dicesi oggi più propriamente impulsione o quantità di movimento; per il Leibnitz nel concetto di forza era compreso anche quello di lavoro e di energia: « La forza attiva, che sta di mezzo tra la facoltà di agire e l’azione stessa, suppone uno sforzo, © con questo entra in operazione da sò stessa, senza aver bisogno @ altro ausiliare che la soppressione dell’ ostacolo. Il che si può rendere comprensibile con 1’ esempio d’un corpo grave teu- dente la corda che lo sostiene ». Nella meccanica modern la forza è definita comunemente come la causa che modifien o tende a modificare lo stato di movimento o di riposo di un punto materiale; quando il punto materiale non è sottomesso nd alcuna forza, ο è in riposo, ο, se si muove, il suo movi- mento è rettilineo ed uniforme, e ciò perchè egli non pnd modificare da sè stesso la propria velocità nò in grandezza nè in direzione. Tuttavia, anche il definire la forza come la causa del movimento non sembra esatto, innanzi tutto perchè la causa non è misurabile, in secondo Inogo perchi la forza esercitata da un sistema su un mobile non dipende solamente dallo stato intrinseco del sistema, ma anche dullo stato dol mobile ο dalle ano relazioni col sistema esteriore. Fre — 464 — Due forze si dicono uguali quando, applicate ad uno stesso corpo nelle stesse circostanze, producono il medesimo ef- fetto ; forze mutue le forze uguali e contrarie che due punti esercitano V uno sull’ altro; forza omtrifuga la reazione che un mobile, assoggettato a descrivere una curva fissa, oser- cita contro questa curva; forza contripeta In forra diretta verso il centro di curvatura della traiettoria di un punto materiale, © che mantiene il mobile su questa traiettoria; forza d'inerzia una forza uguale ο opposta a quella che produce l’accolerazione di un mobile. Cfr. Condillac, Traité den sensations, 1886, I, cap. 2, $ 11; Leibnitz, Op. phil., Erdm., p. 121; Maine de Biran, Oeuvres phil., 1841, vol. ΠΠ, 5; Spencer, First princ., 1870, $ 31; Ardigò, Op. fil., I, p. 104 segg.; IL, p. 49 segg. (v. materia, energia, potenza, lavoro, dinamismo, ecc.). Freison o fresinon. Termine mnemonico di conven- zione, con cui si designa nella logica formale quel modo della quarta figura del sillogismo, che ha In premessa maggiore universale negativa, la minore particolare affor- mativa, la conolusione particolare negativa. Es.: Nonsun savio è superbo. — Qualche superbo è dotto. — Dunque qualche dotto non è savio. Prenastenia (φρήν -- mente, ἀσθένεια =- debolezza). T. Phrenaathenie ; I. Phrenasthonia; F. Phronasthenie. Man- canza ο deficienza di vita mentale, determinata da arresto di sviluppo. Comprende due forme o gradazioni fondamen- tali: V imbecillit& © l’idiotismo, più tutte quelle forme di debolezza di mente, congenita 0 acquisita, che attira vol- garmente in chi la possiede il titolo di scemo, zuccone, te- sta dura, eco. Cfr. A. Verga, Frenastenici ed imbecilli, 1877 (v. ehefrenia, catatonia, idiotiemo, demenza, eco. Frenologia. T. Phrenologie; I. Phrenology; F. Phréno- logie. Questo nomo, che non dovrebbe mai usarsi in luogo di psichiatria, designa In dottrina di Gall e Spursheim, che ebbe gran favore nella prima metà del secolo scorso ed — 465 — Fre-Fox è ora quasi completamente abbandouata. La fronologia è V arte di scoprire il carattere ο l'intelligenza dell’ individuo mediante l'esame della forma del suo cranio, e si fonda sopra la supposizione che lo spirito sia costituito di tante facoltà innate, emozioni © tendenze affatto distinte tra di loro; che ciascuna di esse abbia la propria sede, pure in- dipendente ο distinta, in una regione o organo della cor- teccia corebrale; che quanto più sviluppata è una di questo facoltà, tanto più voluminoso sia il centro cerebrale corri- spondente ; che, infine, il maggiore o minor volume dei singoli centri si riveli ulla superficie dol cranio, mediante corrispondenti rilievi, bozze, depressioni, prominenze, ecc. Le facoltà ammesse dal Gall, e i corrispondenti organi, sono ventinove, delle quali una si trova nel cervelletto (senso sessuale), cinque nel cervello posteriore, sette nel medio, sedici o diciassette nell’ anteriore. Quantunque In frenologia si fondasse su presupposti assurdi - giustifica bili con l'ignoranza in cni trovavansi allora la fisiologia © l'anatomia del sistema nervoso - essa ha contribuito tuttavia n perfezionare la moderna dottrina delle loca- lizzazioni cerebrali. Cfr. Bastian, Le cerveau org. de la pensée, trad. franc. 1888, vol. 11; Ch. Blondel, La peycho-physiolo- gio de Gall, 1914. Fresison. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa uno dei modi della quarta figura del sillogismo. È lo stesso che freison. Frisesomorum. Termine mnemonico di convenzione, con cui nella logica formale si designa in modo indiretto della prima figura del sillogismo. Come indicano le vocali delle tre prime sillabe, la premessa maggiore è una pro- posizione particolare affermativa, la minore nniveranle no- gativa, la conclusione particolare negativa. Lo due ultime sillabe sono semplicemente eufoniche. Funzione. T. Funktion; 1. Function; I. Fonction. I norale, l'esercizio di nos determinato forma di atti 30 — Rawzout, Dizion, di scienze filosofiche. Fus più particolurmente, l’attività propria e caratteristica eser- citata da un organo in un insieme le cui parti sono in rapporto di mutna dipendenza. Nella fisiologia dicesi fun- zione ogni fenomeno che si comple nell’organiamo e con- corre a realizzare un determinato risultato, necessario alla conservazione dell’ individuo e della specie. Si distin- guono fanzioni di tessuti, di organi, di apparecohi. Le fanzioni generali della vita sono: la nutrisione per cui gli individui, nei limiti assegnati alla loro specie, crescono e si mantengono in vita; la riproduzione per cui la serie degli individui si perpetua moltiplicandosi nel tempo e nello spazio; le fanzioni di relasione, per cui gli individui sentono e si muovono, ponendosi così in relazione col mondo ambiente. Per analogia il termine stesso fu poi estero agli elementi e agli organi sociali; perciò si parla dolla funzione sociale nel genio, della funzione ‘dello Sta- to, ecc. Nella matematica due quantità variabili sono dette funzioni l’una dell’altra, quando |’ nna è legata all’ al- tra per modo, che variando l’una varia anche l’altra in modo perfettamente determinato, ma diverso a secondn dei casi. Così, considerando z, variabile indipendente, come tale che possa assumere tutti i valori possibili sd ognuno di questi valori dovrà corrispondere un valore determi- nato di y. Tale proprietà, dal Lagrange in pol, si indica con In formula y == f(x). Cfr. Goblot, Fonotion et finalità, « Revue philos. », 1899, II, 695; Lebergue, Legona sur 7’ in- tégration, 1904. Fusione delle sensazioni. F. Fusion des sensations. Tl carattere qualitativo unitario che risulta da due senan- zioni in determinati rapporti quantitativi. Così è possibile ottenere nna sensazione olfattiva qualitativamente nuova dalla fusione psichica di due o più odori applicati contem- poraneamente nella mucosa nasale. Ma è specialmente nel campo dell’ adito che essa ha importanza, e lo Stumpf se ne serve per spiegare, contro 1’ Helmholtz, la consonanza — 467 — Fer ο la dissonanza degli intervalli musicali. Sarebbero disso- nanti quegli intervalli che non sono capaci di fondersi in una percezione sonora unitaria, di guisa che anche un orec- chio non musicale è capace di distinguere due suoni simul- tanei; consonanti quelli capaci di raggiungere una fusione perfette. Però non tutti i psico-fisiologi accettano questa spiegazione, e molti, pur accettando il concetto che dotti fenomeni stiano in rapporto con la maggiore o minore fu- sione delle sensazioni elementari, fanno dipendere la furiono stessa non da processi psichici centrali, ma da un fatto pe- riferico, consistente in un nuovo fenomeno periodico, riaul- tante dalla composizione delle vibrazioni di duo suoni. Cfr. Stumpf, Tompeyokologie, 1890, 1. II, p. 64, 128; Helmholtz, Die Lehre von den Tonempfindungen, 5° ed. 1896; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 133; C. Zambiasi, Un capitolo di acustica musicale, « Nuovo Cimento », serie V. vol. IX, 1905. Futuro. T. Zukunft; 1. Future; F. Futur. La noziono di tempo risulta di tro elementi, che rispondono ad at- teggiamenti diversi del nostro pensiero: il passato, cioì la memoria, il presmte cioè il fatto attuale, il futuro ossin il fatto atteso. Il passato è già il non-essere, il presente è l'essere, il futuro è il possibile concepito relativamente alla nostra esperienza. — Diconei futuri contingenti, per opposizione a futuri necessari, quegli avvenimenti che, es- sendo opera della Provvidenza divina o del libero arbi- trio, non hanno un legame necessario coi fatti precedenti : «1 filosofi convengono oggi, dice il Leibnitz, che la ve- rità dei faturi contingenti è determinata, eiod che i fu- turi contingenti sono futuri, oppure che essi accadranno, che esai si verificheranno: poichè è ugualmento sicure che il futuro sarà, come è sicuro che il passato è stato ». Cfr. Platone, Timeo, 37 e, 88 a; Aristotele, Paye, IV. ο, 1x e segg.; Leibnitz, Teodioen, I, 36 (v. durata, intante, tempo). Generale. T. Allgemein; I. General; F. Général. T'er- mino generale è quello che abbraccia un numero indefinito di individui, » ciascuno dei quali ai riferisce: ad es, sco- laro. Si distingue dal termine collettivo, che abbraccia un numero determinato di individui senza riferirsi a nessuno di essi, ad es., scolaresca. Si distingue anche da wnirer- sale, che si può attribuire soltanto ai giudizi, i quali di- consi universali quando V attribute è affermato ο negnto di tatta 1) estensione del soggetto : perciò è universale ogni gindizio che abbia per soggetto un termine singolare ο indi- viduale (che sono l’ opposto di generale) in quanto l’indi- vidno, che possiede l' estensione minima, non può esser preso in parte dell’ estensione. Cfr. J. S. Mill, System of logio, 1865, 1. I, $3; Wundt, Logik, 1898, vol. I, 96. Generalizsasione. T. Verallgemeinerung; 1. Generali- zation; F. Généralisation. Quell’ operaziono mentale con oni si estende un dato astratto a più oggetti indefinitamente. La generalizzazione implica dunque 1’ astrazione; isolato, con l’analisi mentale, dagli elementi che compongono un tutto, un dato elemento, questo che è un astratto; diventa un generale quando, appartenendo a più altri oggetti, ne estondiamo la nozione anche ad essi, cioò lo pensiamo come ad ossi proprio. Cfr. H. Ebbinghaus, Psychologie, trad. franc. 1912, p. 176 segg.; Arohiv. f. (esante Psychologie, vol. 8, 9, 12 (v. idea, astrazione). Generazione. T. Erzeugung, Generation ; I. Generation : F. Génération. L’atto del generare, sia in senso biologico sia in senso logico ed epistemologico; nel suo senso più largo è il cambiamento da un termine negativo a uno po- sitivo, o dal non essere all’ essere. Definizione per genera- zione 0 genetica à quella che costruisce una figura con nn movimento determinato di un’altra figura già conosciuta; ad“es.: il cerchio è una fignra piana generata dalla rivo- Inzione d’una retta rigida intorno nd una delle proprie estremità. Generatio æquirooa 0 generazione spontanca è una espressione che ha due significati ben diversi: per il passato desiguava il nascere spontaneo di esseri viventi, specie in- setti, senza bisogno di ova o di germi preesistenti; e questa cosa fu dimostrata falsa dalle esperienze del Redi e dello Spallanzani. Oggi per generazione spontanea ο abiogencsi si intende l’origine sulla terra della sostanza viva dalla sostanza inanimata; tale origine spontanea, che è un pre- supposto della concezione monistico-meccanica ο materia- listica della vita, è intesa in due modi: ο gli esseri viventi nascono direttamente dalla materia inorganica per una im- provvisa aggregazione di composti chimici evoluti a buso di carbonio, i quali si oristallizzano attorno ad un contro di forza, così de assumere subito i caratteri di forme ri- producibili ; oppure, e questa è l’ ipotesi più accettata, alla compares di esseri monocellulari organizzati precede un periodo di combinazioni chimiche fra gli stessi elementi, per le quali si formano gradualmente quelle sostanze che si dicono proteiche ο la cui molecola complessa si costituisce attorno ad un atomo di carbonio. Quantunque lu dottrina dolls generazione spontanen si presti a molte obbiezioni, è tuttavia ammessa ds molti scienziati perchè preferibile a quella della oreasione dell’ essere vivente dal nulla, per opera d’un potere esterno al mondo, o a quella dell’ilo- zoismo, cioè In esistenza eterna ὁ continua della vita. Nella terminologiascolasticadistinguevansi varie spocie di generazione: generatio conversiva, quella per la quate un soggetto viene trasportato da una forma ad un’altra, ad es. il calore in movimento meccanico; g. mufativa, per la quale la materia presupposta nella generazione passa dalla negazione di qualche forma alla sua realizzazione, ad es. l’acqua che da torbida diventa limpida; g. pura, simpler, pracoiea, per la quale viene prodotto un corpo dalla mu- Gun — 470 — torfa allora creata, in cui cioè non precedette forma ο pri- vazione di sorta, nd es. le generazioni avvenute nel primo istante della creazione del mondo. Cfr. Richerand, Nuori elem. di fisiologia, trad. it. Dall’Aqua, pref., $ v; Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I, p. 246 segg.; G. Pfitiger, Ueber die physiologische Verbrennung, « Archiv für gesammte Phy- siol. », 1875, vol. X; Id., Élém. de physiol. générale, trad. franc. 1884; Haeckel, I problemi dell’ univereo, traduzione jana 1903, p. 353 segg. (v. monera, organiciemo, vita). Genere. Lat. Genus; T. Gattung, Genus; I. Genus; F. Genre, In sonso generale il genere, come lo definisce lo Stuart Mill, è € una classe che si distingne dalle altre, non solo per qualche proprietà definita, ma per una serie sconosciuta di proprietà in numero indefinito, di cui le prime sono V indice ». In senso logico il genere è quello che si predica di molte specie differenti in qualche cosa, 0, come breve- mente lo definisce Cr. Wolff, eimilitudo specierum: in una serie di idee, in cui l'estensione va decrescendo ed au- menta quindi la comprensione, l'idea più ostesa ὁ meno comprensiva è nn genere rispetto alle meno estese e più comprensive, 6 l’idea meno estesa è una specie rispetto alle più estese di cui comprende tutte le proprietà. Ad es. nella serie: materia, organiemo, animale, vertebrate, uomo, curopeo, V iden di organismo rappresenta il genere rispetto ail animale, che è In specie e che dell’ organismo com- prendo tutti gli attributi. Nella stessa serio diccni genere promimo quel genere cho più #i avvicina, come tale, ad uns data idea; ad es., animale rispetto a vertebrato, mu- teria’ rispetto ad organismo. Ciò che sotto un rispetto è genere, sotto un altro rispetto è specie; ad es, uomo è go- nere rispetto ad europeo, ed è specie rispetto a vertebrato. Ora, i metafisioi dicono genere sommo (τὸ γενικώτατον γένος — summum genus) quello che contiene tutti gli altri generi © non è contenuto in nessuno, ossia l’idea assolutamente estensiva; tale sarebbe, socondo alcuni, I’ essere, secondo - «τι — GEN altri la sostanza, ο l’ unità, ο il bene, eco. L’ idea assolìel- mente specifica, ossia assolutamente comprensiva, è I’ dividuo. — Nella biologia il genere à pure 1’ insieme di pi specie presentanti qualche punto di contatto; l'insieme di più generi è la famiglia; tra il genere e la famiglia si ain- mettono talvolta dei sottogeneri. Nella nomenolatura binomia © denominazione duplice stabilita da Linneo, ogni specie di animale o di pianta è designata con due nomi, di cui il primo esprime il genere, il secondo la specie e serve n stinguerla dalle oongeneri. Cfr. Aristotele, Metaph., V, 28, 1024 a, 29 segg.; Crist. Wolff, Philos. rationalis sive logica, 1732, $ 234; Kant, Logik, 1800, p. 150; J. 8. Mill, System of logie, 1. IV, cap. 6, $ 4. Genesi. Gr. Γένεσις; T. Genese; I. Genesis; F. Genèse. Significa generazione, origine, formazione, principio. Iu greco indicava più specialmente divenire, produzione; in tal senso si distingue da origine, in quauto ogni genesi suppone una realtà preesistente e un punto di partenza, che ne è l’origine. Genetico. T. Genetisch ; I. Genotio; F. Génétique. Che ri- guarda la genesi di un essere, di un concetto, di una isti- tuzione. Il metodo genetico consiste nel ricercare le orig; © la formazione di un dato fenomeno, di una data dottri o scienza. La definicione genetica è quella che definisce un concetto nel modo stesso onde esso si costruisce; dicesi gonetica indicatita, se il costituirsi degli elementi non di- pende da noi ma è opera della natura, genetica ricostruttiva se possiamo congiungere noi stessi gli elementi costitutivi dell'oggetto, come quando si definisce il ciliudro: una figura generata da un rettangolo, che compio una rivo- luzione completa girando intorno ad uno dei suoi lati. La olassificasione genetica è quella che dispone i gruppi secondo una diversificazione progressiva, e considera le classi come prodotto più o meno stabile, ma non del tatto invariabile, delle variazioni causali delle proprietà. GEN Μο | itrine evolutive ha reso genetiche tanto } © naturali quanto le sociologiche e mo- È. Philos. rationalis, 1732, $ 195; Maso 8 segg. | om 2. vende; L Genius; F. Genio, Esistono molte definizioni del genio, cho riflettono i modi diversi di in- tenderne e spiegarne la natura: tutti però convengono nel considerare il genio come la forma più alta di sviluppo che l'intelligenza, l’imaginazione, il sentimento o il vo- lere possono raggiungero in un individuo umano, come la più compiuta espressione della psiche umana. Si distingue dal’ ingegno, che è più comune e, so comprende e crea, non è nelle sue crensioni così spontaneo e originale come il genio, nd suscita intorno a sè, tra i contemporanei ο presso i posteri, quel consenso ο quell’ammirazione, che rendono immortale il genio. Si distingue anche dal falento, che è in un uomò quella inclinazione complessiva, che gli è propizia a causa delle speciali diresioni delle sue doti di fantasia e d’intelletto. Le ricerche teoretiche sul genio non cominciano che con la psicologia moderna; nei tempi antichi esso è studiato piuttosto biograficamente, come în Plutarco, e in Platone, che nei suoi dialoghi fa rivivere la figura del maestro immortale. Secondo la nota defini- zione, attribuita dal Littré al Buffon, « il genio non è altra cosa che una grande attitudine alla pazienza ». Secondo d’ Holbach è « la facilità di cogliere l'insieme e i rapporti negli oggetti vasti, utili, difficili a conoscere ». Per Cri- stiano Wolff è soltanto « la-fcilità di osservare la somi- glianza delle cose ». Per Kant il genio artistico è « una intelligenza cho opera come la natura »; il segreto ο la ca- ratteristica delle creazioni geniali sta in ciò, che lo spirito che crea con uno scopo, lavora tuttavia come la natura che crea senza uno scopo e senza un interesse; nel campo dell'attività razionale umana, il genio è la sintesi della livertà e della natura, della finalità » della necessità, della — 473 — GKN funzione pratica e della funzione teoretica. Anche per Schel- ling il genio, come la più alta sintesi di tutte le attività della ragione, consiste nella finalità senza scopo del creare; in altre parole, l'essenza della ragione si realinza piena- mente soltanto mediante 1’ attività cosofente-incosciente del genio arlistico, in quanto esso supera quei contrasti tra at- tività cosciente © incosciente, che fanno sì che Pio teo- retico e l’io pratico, tra essi racchinso, non raggiunga mai, normalmente, il suo scopo. Per Schopenhauer il genio è la capacità di penetrare con la pura intuisione nella realtà obbiettiva delle cose, di sepnrarsi per un certo tempo dalla propria personalità per essere puro soggetto conoscente. Per il Cousin il genio, specie quello artistico, è caratte- rizzato da due cose: anzitutto dalla vivacità del bisogno di creare, poi dalla potenza creatrice ; il vero genio non riesce a dominare la forza che ha in sè, soffre nel conte- nere cid che prova, cosicchè « se è stato detto che non v ha uomo superiore senza un grano di follia, tale follia, como quella della croco, è la parte divina della ragione ». Per Lombroso il genio è, con la delinquenza e la pazzia, uns sottospecie di una specie psicologica abnorme, unu nevrosi degenerativa di natura epilettoide; questa teoria ha suscitato un vivace dibattito, non ancora chiuso, 0s- servandosi da alcuni che la genialità non è certamente In coratteristica dei folli, da altri che il dispendio mentale da cui sorge l’opera del genio espone facilmente a forme nervose degenerative, le quali dunque non sarebbero causa ma effetto della genialità, da altri ancora che alle condi- zioni di assoluta squisitezza ὁ delicatezza del sistema ner- voso si debbono sia le attitudini geniali sia le degenera zioni nervose, ma che le une e le altro, se sorgono su un terreno comune, non si debbono perciò considerare come vincolate tra loro da un rapporto di causalità. Cfr. Holbach, Syst. de la nature, 1770, vol. I, p. 127; Cr. Wolff, Paycholo- gia emp. 1198, $ 476; Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, Geo — AU — p- 187; Schopenhauer, Die Welt als, oce., suppl., 1. IIT, cap. XXXI; V. Cousin, Du vrai, du beau οἱ du bien, part. III, cup. V; Moreau de Tours, Payool. morbide, 1859; Lombroso, L'uomo di genio, 1888; Id., Genio e degenerazione, 1908; Id., Origine e natura dei genii, 1902; Padovani, Che cox’ è il genio, 1907; Id., Le origini del genio, 1909. Geocentrico. 1. Geocentrisoh; F. Géocentrique. L’an- tico sistema tolemaico, che poneva la terra come il punto centrale fisso dell'universo, intorno a cui si muovono il sole, la luna e le stelle. Il geocentrismo si ricollega stret- tamente all’altro errore antico dell’antropocentrismo, per cui l’uomo considera sò stesso come scopo finale prestabilito della creazione, e crede che tutta la natura sia stata creata per servire & lui (v. oause finali, finalità, oliooentriemo) Geografia. T. Erdkunde, Geographie; I. Geography; F. Géographie. Scienza che ha per oggetto la descrizionc della superficio della terra, la determinazione della sua veru forma, la distribuzione delle piante e degli animali, delle zone occupate dai diversi popoli, linguaggi, religioni, ecc. Si distingue perciò la geografia fisica, matematica, biolo- gica (zoologica, botanica, etnologica), sociologica (econo- , politica, linguistica, ece.). Geologia. Ί. Erdbildungskunde, Geologie ; I. Geology; F. Géologie. La, scienza che studia la struttura interna della terra, i suoi periodi di formazione, desumendoli dall’ esame della crosta terrestre e dalle leggi fisiche e chimiche. Eas sorse quando cominciò seuoterai la fede nelle leggendo n saiche sulla creazione, verso la fino del secolo diciottesimo, οἱ è giunta oggi u stabilire i periodi principali nella storia della terra, a spiegure la formazione dei fossili, a escludere l’ intervento dei miracoli e delle cause sovrannaturali nella formazione del nostro pianeta. Cfr. K. A. Zittel, Geschichte d. Geol. und Paläontologie, 1899 (v. cosmogonia). Geometria. T. Geometrie; I. Geometry; F. Géométrie. Quella parte delle scienze matematiche che ha per oggetto — 475 — Gro lo studio delle forme ο delle -figure che si possono tric- ciare nello spazio. Secondo il Comte l'oggetto della geo- metria è la misura indiretta delle grandezze; infatti nelle «quantità non direttamente misurabili, conosciuti alcuni dei rapporti tra gli elementi di cui una figura è composta, essendo tali elementi necessari, mediante essi αἱ determi- mano tutti gli altri. La geometria distinguesi in pura e analitica: quella, senza valersi delle formule algebriche, studia direttamente le figure mediante spostamenti, sovrap- posizioni ed uguaglianze; questa allo studio diretto delle figure sostituisce delle semplici formule algebriche, fon- dandosi sulla scoperta di Cartesio, che cioè ad ogni figura corrisponde una equazione e ad ogni equazione una figura. Alla geometria pura si connette la descrittiva, cioè 1’ arte di rappresentare delle figure solide mediante le loro proio- zioni sopra due piani perpendicolari. Fino ol principio del secolo XIX la geometria enclidea era considerata il modello porfetto d’ogni certezza scientifica; il razionalismo carte- siano, ispirandosi al detto di Keplero, ubi natura ibi yeo- metria, l'aveva posto # fondamento d’ogni sapere intorno alle cose idealizzate nella pura estensione ed aveva persino preteso con Spinoza di costruire una morale more goome- trico demonstrata. Ma con l'Helmbolte, il Lobatchewsky, il Riemann, il Bolyai, ecc. cominciò ad affermarsi la ponsibi- lità di altri spazi oltre quello euclideo, e quindi di geo- motrie diverse da quella di Euclide. Ciò diede origine à vivact discussioni filosofiche, non ancora sopite, tra empi- risti e neo-kantiani, intorno alla natura dello spazio, nl- Y origine degli assiomi, alla possibilità 0 meno di rappre- sentarsi intuitivamente lo spazio non euclideo. Altre vedute non meno importanti si annunziarono in questi ultimi tempi circa la natura e il metodo della geometria. Così secondo il Pieri la geometria deve affermarsi sempre più come lo stu- dio d'un certo ordine di relazioni logiche, liberandosi dai legami che ancora la legano all’ intuizione e divenendo con Gen — 476 — ciò scienza puramente deduttiva ed astratta. A questa nuova elaborazione logica della geometria, contribuì specialmente, tra noi, il Peano; secondo il quale il calcolo geometrico con- siste in un sistema di operazioni da eseguirsi su enti geo- metrici, analoghe a quelle che l’algebra fa sopra i numeri © permette di esprimere con formule i risultati di costru- zioni geometriche, di rappresentare con equazioni propo- sizioni di geometria e di sostituire una trasformazione di equazioni a un ragionamento ; come si vede, questo calcolo ha analogie con la geometria analitica, dalla quale però dif- ferisce in quanto i calcoli non si fanno, come in quella, sui numeri che determinano gli enti geometrici, ma sngli enti stessi. Cfr. Klein, Porlesungon über nicht-suolidischen Geome- trie, 1893; Halstead, Bibliografy of hyperspace and non-ewoli- dean geometry, « American journ. of. math. », vol. I, p. 261 segg.; Veronese, Fondamenti di geometria a più dimensioni, 1891, p. 565 segg.; Vonola, La geometria non-cuolidea, 1905; Peano, I prinoipii di geometria logicamente esposti, 1889, p. 3 segg.; Aliotta, La reazione idealistios, 1912, p. 389 segg. (v. euclideo, matematica, metageometria, spazio, superficie). Gerarchia. T. Hierarchie; I. Hierarchy; F. Hiérarchie. Una serie di esseri ο di fatti, sia reali cho ideali, disposti in modo che ciaseuno dipende dai precedenti e comanda ai susseguenti o li determina, li spiega. In tal senso par- lusi di gerarchia delle scienze, gerarchia delle funzioni xin fisiologiche che sociali, gerarchia delle specie biologi che, ece. (v. olagnifoazione delle wienze, seriazione dei fen. sociali). Germiplasma (teoria del). E la teoria con la qualo il Weissmann spiega l'eredità. L’ essere organizzato è costi- tuito di soma 0 plasma somatico, da cui si sviluppano tutti i tessuti del corpo, ο di germiplasma, o plasma germinale, di cui una parte viene impiegata nella riproduzione οἳο- ditaria, dando luogo ai nuovi individui. Ora, non essendovi aleuno scambio, nessuna comunicazione tra queste due — 417 — Go specie di plasma, e le qualità acquisite interessando esclu- sivamente il primo, ne viene come necessaria conseguenza la negazione dell’ ereditarietà dei caratteri acquisiti. Ed è appunto per questa conseguenza, che la teoria del Weiss- mann ha suscitato infinito discussioni e critiche nel mondo scientifico. Cfr. A. Weissmann, Des Koimplaema, cino neue Theorie d. Vererbung, 1894 (v. eredità, panmizia, neolamar- kismo). Gionchiti o gioachimiti. Setta di eretici medioevali, fondata dall'abate Gioacchino e originata, secondo il Tocco, dalle dottrine della Chiesa greca 9 ancor più da quelle del catarismo. Il gioachismo divide In storia dell’ umanità in tre grandi periodi, nel primo dei quali regnò il Padre, nel secondo il Figlio, nel terzo sarà per regnare lo Spirito; questo terzo periodo sarà contrassegnato della luce piena della grazia, della libertà ο della carità, impererà un van- gelo più perfetto e la verità sarà colta attraverso le mol- teplici allegorie della Bibbia, abbandonandone | interpre- tazione letterale. Cfr. Tocco, L'eresia nel medio oro, 1884 (v. alimariolans). Gioia. T. Freude; I. Ioy; F. Joie. È un sentimento di piacere, che non è localizzato in nessuna regione de- terminate dell’ organiamo, e al quale s’unisce, secondo l'Hôffding, una tendenza involontaria a mantenere e con- servare l'oggetto del piacere. Fa intesa e definita varia- mento dai filosofi. Per Spinoza è « la passione per la quale l’anima passa a una perfezione maggiore », mentre la tri- stezsa è la passione per cui discende sd una minore. Por Cartesio à « una gradevole passione dell'anima, nella quale consiste il godimento che essa ha del bene, che le impres- sioni del cervello le presentano come suo »; esiste anche una gioia puramente intellettuale, « che viene nell’ anima per la sola azione dell’ anima e che si può dire essere nnn gradevole emozione eccitata in lei stessa, nella quale con- siste il pincere cho essa ha del bone, cho il suo intendi- Giu mento le presenta come proprio ». Per Locke « la gioia è un piacere che l’anima prova quando considera il possesso di un bene presente o futuro come assicurato ; e noi siamo in possesso di nn bene quando esso è talmente in nostro potere, che possiamo goderne quando vogliamo ». Per il Galluppi la gioia è una passione, che nasce quando |’ og- getto nmato si riguarda come presente; quando si riguarda invece come vicino, e certo ad ottenersi, si ha l’allegrezza alla gioia si oppone la tristezza, all’ allogrezza lx mestizin. Per il Godwin è uno stato di piacere mentale, detorminato specialmente da sensazioni piacevoli e dai loro oggetti, dalle conoscenze di ogni specie, da ogni sorta d'esercizio. Il Berg- son insiste sul carattere di pienezza o totalità della gioin, per oui essa si estende a tutto il contenuto della coscienza « La gioia interiore non è, più che la passione, un fatto psicologico isolato, che occuperebbe da principio un angolo dell’ anima e a poco a poco gundagnerebbe terreno. Nel suo grado più basso, essa somiglia molto ud una orienta- zione dei nostri stati di coscienza verso l'avvenire. Poi, como se codesta attrazione diminuisse la loro pesanterza, le nostre idee © sensazioni si succedono con maggiore ra- pidità; i nostri movimenti non costano più lo stesso sforzo. Intino, nella gioin estrema, le nostre percezioni ei nostri ricordi acquistano una qualità indefinibile, paragonabile a un calore 0 a una luce, e così nuovi che a certi momenti, ritornando su noi stessi, proviamo come uno stupore di ensero ». Cfr. Cartesio, Les passions de l'âme, II, 91; Spi- nora, Ethica, lib. IIT, teor. XI, scolio; Locke, Essay, II, cap. 20, $ 7; Galluppi, Lesioni di logioa e metafisica, 1854, II, p. 841; Godwin, Active principles, 1885, p. 9, 18; Bergson, Essai sur les données imm. de la conscience, 1904, p. 8; G. Dumas, La tristesse é la joie, 1908. (Giudizio. T. Urteil; 1. Judgement; F. Jugement. Essendo un atto primitivo della mente, ο quindi nasolntamante mi generis, non è propriamento detinibile. La dofinizione più — 479 — Gru comune, già usata da Aristotele, « quell’atto per cui ni af- ferma ο si nega » è essa pure una tautologis, perchè I’ af- fermare ο il negare costituisce appunto il giudizio. Nè più felici sembrano le altre definizioni, che citiamo a caso e senz’ ordine cronologico rigoroso; Malebranche : la perce- zione del rapporto che si trova tra due 0 più cose; Baylo: l’atto col quale affermiamo o neghiamo qualche cosa di un’nltra; Locke: l’atto con cui si uniscono ο ri separano due idee; Kant: è l’idea dell’ unità di coscienza di difte- renti idee, ο l’idea del loro rapporto in quanto compongono una nozione; Hobbes: è l’espressione del rapporto tra il significato di due nomi; Wuridt: è la decomposizione d’ una rappresentazione nei suoi elementi; Hamilton : giudicare è riconoscere la relazione di congruenza o di incongruenza in cui stanno tra di loro due concetti, due cose individuali, ο un concetto e un individuo; Munsel: un atto di compara- zione tra due dati concetti riguardo la loro relazione ad un oggetto comune ; J. 8. Mill: la pertinenza di un attributo o di un grappo di attributi, ad un altro attributo o gruppo di attributi; Galluppi: un pensiero, col quale noi pensiamo che un oggetto è o non è di tale o tal maniera; Rosmini P affermazione (possibile o reale) d’ un atto in sò, che si fa, sia poi un atto essenziale, ο sostanziale, ο accidentalo, po- sitivo ο negativo, occ.; Masci: un rapporto predicativo tra concetti; Hòfiding : un legame di nozioni fatte con coscienza © limpidezza; Volkelt: un semplice atto di relazione; Berg- mann: la decisione sul valore di una rappresentazione. Nel giudizio si distinguono tre elementi costitutivi: il soggetto che è il concetto da determinarsi ; il predicato che è il con- cetto che serve a determinare il soggetto; la copula che è la relazione tra il predicato e il soggetto. Secondo alcuni logici, quest’ ultimo non è elemento essenziale del giudizio © può anche mancare. Varie furono le classificazioni pro- posto dei gindisi, perchò vario fu il modo onde il giudizio stato considerato; ma la classificazione più universalm Gv — 480 — accettata è quella che, abbozzata primitivamente da Ari- stotele, completata dai logici posteriori, fa poi raccolta in una tavola dal Kant. Essa divide i giudizi in quattro classi, secondo la qualità, la quantità, la relazione, la modalità. Sotto il primo rispetto i giudizi sono: affermativi, negativi. infiniti; sotto il secondo universali, particolari, individuali : sotto il terzo calegorici, ipotetici, disgiuntivi; sotto il quarto problematici, assertori, apodittici. La qualità © quantità doi giudizi vengono designate per brevità colle lettero a, ο, secondo i versi mnemonici: Asserit a negat €, verum ge- neraliter ambo. Assorit i negat ο, sed partioulariter ambo. Il Kant distingue anche i giudizi in analitici ο sintetici. Alla classificazione kantiana alcuni vogliono aggiungere questa: giudizi narrativi, esplicativi, descrittivi. La classificazione kantiana dei giudizi vale porò soltanto per i giudizi semplici; i giudizi composti furono da altri divisi in tre classi: a re- lazione omogenea, a relazione etorogonea, giudizi contratti (v. le rispettive definizioni). Cfr. Kant, Krit. d. reinen Fern., ed. Reclam, p. 33 segg.; Logik, $ 17; Hamilton, Lectures on metaph., 1859, I, p. 204 segg., II, 271 segg.; Mansel, Me- taphysios, 1866, p. 220 segg.; Hôffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 285; Id., La base peyohologique des jug. lo- giques, « Revue philos. », 1901, t. II; Ueberweg, System der Logik, 1874, § 67; Volkelt, Erfahrung und Denken, 1886, p. 157 segg.; Wundt, Logik, 1893, vol. I, p. 136 segg.; Gulluppi, Lezioni di logica e motaf., 1854, vol. I; p. 65; Ro- amini, Logica, 1853, p. 87; Masci, Logica, 1899, p. 158 segg.; Calò, Conoezione fetica ο conoesione vintetioa del giudizio, « Cultura filosofica », agosto 1908; S. Tedeschi, Sulla fun- zione conoscitiva del giudizio, « Ibid. », gennaio 1910. Giustizia. T. Gerechtigkeit; I. Justice; F. Justice, È la più grande delle virtà sociali, l’espressione più alta del sentimento di simpatia, Essa trae origine dal concetto di uguaglianza ο di reciprocità, e si compendia nel precotto evangelico: non fare agli altri cid che non vorresti fosse — 481 — Gru fatto a to stesso. Infatti già i pitagorici, cioè i primi filo- sofi che studiarono il concetto della giustizia, ls fecero consistere nel contraccambio, nella proporzione, 6, in con- formita al loro simbolismo matematico, 1’ assimilarono al numero quadrato, ἡ δικαιοσύνη ἀριθμὸς ἰσάχις ἴσος. Con ciò è dato, quantunque in modo generalissimo, il concetto della giustizia come di una combinazione fra termini uguali © contrapposti; essi facevano consistere la giustizia nel- 1’ uguale moltiplicato per 1’ uguale, ο nel numero quadrato, perchè essa rende lo stesso per lo stesso. Anche Aristotelo affermava che il giusto è il legittimo ο 1’ uguale, 1’ ingiusto l’illegittimo ο l’inuguale; e i Romani, col termine gin- stizia, designavano ciò che è esatto, imparziale, propor- zionale. La giustizia scaturisce dal seno stesso della 80- cietà, assumendo forme sempre più pure e perfetto, ο si personifica nel Potere, che ha l'ufficio di tutelarne il ri- spetto e l’applicazione anche con la coazione materiale. Si distingue quindi la giustisia sociale, che risiede nel Po- tere, dalla giustizia potenziale (ο equità), corrispondente alla idealità che nasce da prima nell’ individuo ο si riflette nella società. La giustizia si distingue ancora dalla carità ο be- neficonza, che si compendia nel precetto: fa agli altri ciò che vorresti fatto a te stesso. Fra le classificazioni delle varie forme di giustizia, la migliore sembra ancora quella aristotelica, che distingue: 1. la ginstisis distributiva (τὸ δίκαιον daveperix6v) che riguarda i rapporti fra i cittadini d'uno stato ei beni comuni da condividero, che si devono distribuiro secondo il merito; 2. la ginstisia correttiva (τὸ δίκαιον διορθωτικὀν) che riguarda specialmente l’applica- zione delle leggi e veglia non alla loro formazione ma al loro adempimento; 3. la giustisia retributiva (τὸ δίκαιον αντιπαπονθός) che può essere o penale o civile o comniu- tativa in quanto è l’ uguaglianza pura e semplice, ο l’equi- valenza dei beni scambiati, dei mutui servigi. Cfr. Aristo- tole, Motaph., I, 5, 985 b, 29; EtMoa, V, 1, 1129 a, 6 segg.; 31 — RaNzoLI, Dizion, di scienze filosofiche; Gra-Gno — 482 — Zeller, Phil6s. d. Griechen, I, p. 391-426; Diels, Die Fragm. der Vorsokratiker, 1906, vol. I, p. 239 segg.; Romagnosi, L'antica morale filosofica, 1838, p. 195 segg.; Troiano, Dot- trine morali di Pitagora ο di Aristotele, 1897, p. 58 segg.; Ardigò, Opere fil., IV, p. 54 segg.; Z. Zini, Giustizia, 1906; B. Donati, Dotirina pitagorica e aristotelica della giustizia, « Riv. di fil. », novembre 1911. Glandola pienale. T. Zirbeldrüse; F. Glande pinéale. Organo atrofizzato ο rudimentario, di forma conico-ovolare, di colore rossastro, che si alsa davanti ai lobi ottici, tra l'encefalo anteriore e quello posteriore. Cartesio od altri filosofi ne fecero la sede dell'anima: Kem acourate erami- nando, dice Cartesio, mihi videor ovidonter cognovisse, partem cam corporis, in qua anima ezerosi immediate suas functiones, nullatonus osso oor, neque etiam totum cerebrum, sod solum- modo mazime intimam partium eius, qua est certa quaedam glandula admodum parva, sita in medio subatantiae ipeius, et ita suspensa supra oanalem, por quem spiritus oavitatum ce- rebri anteriorum communicationem habent cum spiritibue po- uterioris, ut minimi motus, qui in illa sunt, multum possint ad mutandum oursum horum spirituum, σὲ reciproce minimac mutationes, quae accidunt cursui spirituum multum inserviant mutandie motibus huiue glandulae. Invece per i moderni naturalisti essa non è che il rudimento di un occhio im- pari, mediano, chiamato occhio parietale per la sua posizione rispetto alle ossa omonime, In parecchi vertebrati inferiori, ad os. nei rottili, esso è più che rudimentale, potondovisi discornere le varie parti degli occhi ordinari. Cfr. Cartesio, Pans, an., I, 31 seg. (v. animali spiriti). Gnomica (filosofia). Nel suo significato generale designa quella forma di sapienza che non è sistematizzata in un tutto logicamente coordinato, ma s' esprime in proverbi, sentenze, aforismi, con forma popolare sia in prosa che in poesin. In un significato più ristretto, designa la primitiva morale dei Greci, quale trovani già esposta nei versi di — 483 — Gxo Omero, nel poema di Esiodo, nella poesia gnomica pro- priamente detta di Solone, di Focide, di Teognide e nelle sentenze de’ sette Savi, conservate dalla tradizione. Cfr. Diogene Laerzio, I, 1, 40 segg.; Aristotele, EtMoa Nie., V, 3. Gnoseologia. T. Gnoseologie, Erkerntnistheoris ; I. Gno- s0logy ; F. Gnostologie, Guosiologie. Nome dato dal Banm- garten a quella parte della filosofia che tratta della dottrina della conoscenza, vale a dire dell’ origine, della natnra, del valore e dei limiti della nostra facoltà di conoscere. La parola è caduta quasi in disuso nella terminologia tedesca, che preferisce la parola Erkenniwistheorie — teoria della co- noscenza; è invece d’ uso comune negli altri linguaggi filo- sofici, sebbene con qualche oscillazione di significato. La gnoseologia non va confusa nd con la peicologia nd con la logica: sebbene abbiano per oggetto comune lo studio del pensiero, tuttavia la psicologia considera il pensiero stesso come un'attività dello spirito; la logica lo riguarda come mezzo delle conoscenze mediate, il quale condnoe alla ve- rità ο all'errore a seconda che è usato bene o male; la gnoseologia lo studia in rapporto all’ oggetto, per vedere se © in che limiti ce ne può dare In conoscenza. La gno- seologia si distingue anche dalla epistemologia, che è lo stadio critico dei principi, delle leggi, dei postulati e delle ipotesi scientifiche. Circa la sua importanza, è indubbio che da Kant in poi casa occupa una posizione centrale nella filosofia, tantochè per alcuni essa è tutta quanta la filosofin ; nessun filosofo oggi può accingersi a discutere di questioni metafisiche senza aver prima chiarita la sua posizione ri- guardo ai problemi gnoseologici. I quali, trascurati ο sot- tomessi a presupposti metafisici nella filosofia antica ο me- dievale, cominciano ad assumere unu posizione autonoma ο fondamentale con l’ empirismo inglese, specialmente con Locke: « La mia intenzione, egli dice, è di ricercare 1’ ori- gine, la certezza ο 1’ estensione del sapere umano, come pure i fondamenti e lo fasi gradunli della credenza, della Gyo — 484 — opinione e dell’ assenso ». Mentre Cartesio, Malebranche, Spinoza, eoc., si erano affaticati intorno al problema del rapporto tra anima e corpo, tra spirito e materia, Locke, giudicando tale problema come insolubile, si propone in- voce di determinare con quali mezzi giungiamo a cono- acere tanto lo spirito che il corpo, e, con la distinzione tra le qualità primarie e le secondarie, con l’analisi di- struttiva dell'idea di sostanza, getta le prime basi di tutte le discussioni gnoseologiche, le quali terranno occupata Ja mente dei filosofi nei due secoli seguenti. Occorre però aggiungere che non tutti i filosofi moderni convengono sulla necessità, anzi sulla legittimità della gnoseologia. Hegel aveva già osservato: « L’esame della conoscenza non può farsi altrimenti che conoscendo ; questo cosidetto stromento richiede di essere esaminato non altrimenti che conoscendolo. Ma voler conoscere, prima di conoscere, è cosa tanto assurda quanto il sapiente proposito di quello scolastico, di imparare a nuotaro prima di arrischiarsi nel- l’acqua ». Oltre la scuola dell’ Hegel (la quale però non è tutta concorde nel seguire in questo il maestro) anche quella del Fries nega la legittimità della gnoseologia, considerando In possibilità della conoscenza non come un problema, ma come un fatto, in quanto il criterio della verità dei giudizi ata nella conoscenza immediata, quale ci è data dalla perce- zione che è originariamente assertoria: se la possibilità della conoscenza fosse un problema, per risolverlo dovremmo avero un criterio, mediante l'applicazione del quale si potesso de- cidere se una conoscenza è vera o no; questo criterio sarebbe una conoscenza 0 no; nel primo caso richiederebbe a sun volta un altro criterio per poter decidere della sus validità, nel secondo caso, se cioò non fosse conosciuto, come po- tremano conoscere che è un criterio della verità? Cfr. Locke, Essay, I, cap. I, $ 2; Hegel, Enoyol., $ 10; A. Phalen, Das Ærkenninisproblem in Hegels Philosophie, 1912; Riehl, Die philosophiache Kriticismus, 1879, vol. II, 1. I, p. 11; Eigler, — 485 — Gxo-Goc Einführung in die Erkenntnistheorie, 1906; È. Cassirer, Das Erkenntnisproblen in d. Philos. u. Wissenschaft, 1906-1907 ; .ibhandlungen der Friewechen Schule, 1909-1912, vol. III, fase. IV; Ardigò, Op. jil., vol. I, pref.: V, 15 segg.; Do Sarlo, I problemi gnoseologici nella. fil. contemp., « Cultura filosofica », settembre 1910. Gmosi. T. Guosis; I. Gnosis; F. Gnose. Indica quella scuola teologica e filosofica, sorta nei primordi del oristin- nesimo, la quale voleva giungere dalla pura fede nel fatto (πίστις), alla vera conoscenza (γνῶσις) di Dio, della natara e dol destino degli esseri, mediaute lo studio dello diverse religioni ο il confronto della religione cristiana colle prece- denti. Varie sono le forme di gnosticismo, che si distinguono a seconda della religione a cui ciascuna dà la preferenza: quindi si ha una gnosi cristianizzante, cui appartennero Saturnino e Marcione; una paganizzante, cui appartennero Carpoerate e Manete; una giudaizzante, cui appartonnero Valentino e Basilide. Combattuta dalla Chiesa cristiana, da cui la separavano profonde divergenze, essa si spenso dopo un breve periodo di apparente fecondità. Perd, se- condo aleuni scrittori cattolici, la gnosi « ha gettato nel- P atmosfera intellettuale una quantità di idee teologiche © di idealità morali, che hanno contribuito potentemente alla diffusione del cristianesimo dopo averne minacciato l’esistenza ». Le origini della gnosi fnrono attribuito dui SS. Padri a Simon Mago; i caratteri fondamentali di talo scuola sono: il dualismo tra spirito e materia, e la dottrina del Demiurgo. Cfr. Harnach, Lehrbuoh der Dogmengeschiohte, 1894, I, p. 220 segg.; F. Bonaiuti, Lo gnosticismo, 1907 (v. eoni, Noo, Logo, Demiurgo, pleroma, nisigia). Gnosticismo v. gnosi. Goclenico (eorite). Il tipo progressivo del sorite, In cui formola si deve a Rodolfo (ioclenio; è 1’ inverso del tipo regressivo, formolato da Aristotele. La sua formola è: C= D, B— C, 4 == B, dunque A= D. Ad es.: l’ovo- Gra — 486 — luzione è perfezionamento ; la civiltà è evoluzione; la mo- ralità è civiltà; dunque la moralità è perfezionamento. Cfr. Goclenius, Isagoge inorganon Aristotelis, 1598, p. 2, ο. 4; Lotze, Grundzüge d. Logik, 1891, p. 46 (v. sorite). Graduasioni medie (metodo delle). Uno dei metodi adoperati per verificare lu leggo di Weber sul rapporto tra la sonsaziono ο lo stimolo. Siccome 1’ intensità della sen- sazione cresce in proporzione aritmetica, quando l’inten- sità degli stimoli cresce in proporzione geometrica, così, trovando una sensazione media tra due sensazioni a’ in- tensità differente, l'intensità aritmeticamente modia tra le duo sensazioni dovrà corrispondero ad una intensità geo- metricamente media tra i due stimoli. In ciò consiste il metodo dello gradazioni medie, proposto dal Wundt. Cfr. Wundt, Grundzüge d. Psyoologie, 1893, p. 356 segg.; Id., Grundriss d. Payohol., 1896, p. 299. Grafico (metodo). T. Graphische Methode; I. Graphio mo- thod; F. Méthode graphique. Consiste nel rappresentare me- diante traccinti o grafiche i fatti che si stanno studiando. Il metodo grafico ha ricevuto e riceve sempre nuovo appli- cazioni, estendendosi esso sia ai fatti puramente fisiologici che ai psicofisiologici, nei quali i movimenti corrispondono a particolari stati psichici. A seconda dei fenomeni di cui si vogliono raccogliere le indicazioni grafiche, variano na- turalmente gli strumenti, fra cui ricordiamo gli psicografi, gli ergografi, i grafografi, i miografi, gli sfimografi, i pleti- smografi, i pressiografi, ecc. In tutti, ad ogni modo, le grafiche sono fissate in bianco sul fondo nero di una carta annerita per mezzo d’una fiamma fuliginosa, ο rese indo- lebili mediante un bagno di vernice. Grafologia. ‘I. Graphologie; I. Graphology ; F. Grapho- logie. Quantunque } etimologia della parola sembri indicaro come oggetto di questa scienza lo studio della scrittura sotto tutti i suoi aspetti, tuttavia, nel concetto dei suoi più noti cultori, essa si restringe a cercare i rapporti che — 487 — Gra esistono tra il carattere di un individuo e la sua scrittura, per cavarne norme generali onde poter inferire in ogni caso dalla scrittura -- che è la traduzione immediata dal pen- siero - la conosconza del carattere dello scrivente. Tre sono le ricerche che la grafologia compio in ogni seritto: 1. i sogni generali, dati dall’ insieme dello scritto; 2. i segni particolari, dati dalla punteggiatara, dalle paraffe, dai filetti, dalle lettere; 3. le risultanti, vale a dire lo con- clusioni generali derivanti dal confronto dei vari se grafologici. La grafologia studia, oltre agli soritti degli individui normali, anche quelli dei delinquenti, dei geni e dei pazzi. Cfr. Erlenmayer, Die Schrift, 1879; Goldscheider, Dio Physiologie und Pathologie ste Handschrift, 1891; Cro- pieux-Jamin, L'écriture οἱ le caraotère, 1879; Lombroso, Grafologia, 1895. Grafo-motore (centro). Il centro grafo-motore è situato sotto il piede della seconda circonvoluzione frontale del- 1’ emisfero cerebrale sinistro ; la sua distruzione determina la agrafia, ossia la perdita della memoria dei movimenti necessari alla scrittura. La scoperta di questo centro è do- vuta ul Broca, allo Charcot e alla sua scuola: alcuni fisio- logi, però, non ammettono I’ esistenza di un centro psichico distinto per l’impulsione e la coordinazione dei movimenti della scrittura, altri lo ripongono nel midollo all’ altezza del rigonfiamento anulare. Cfr. Ch. Bastian, Le cerregu or- gane de la pensée, trad. franc. 1888, vol. HI, p. 64 #ogg. Grammatica. 1. (irammatik, Sprachlekre ; 1. Grammar; F. Grammaire. E la forma del linguaggio, mentro il voca- bolario no è la materia. Le forme grammaticali esprimono lu funzione essenziale del pensare, la quale consiste nel porre in relazione; quindi esse sono in continuo reciproco rapporto con lo sviluppo del pensiero stesso. Da principio non esi- stono che parole, cioò segni per rappresentare gli ogget: © le relazioni logiche sono significate sia con la disposi- zione delle parole sis adoperando certe parole ad esprimere, Gra — 488 — oltrechè oggetti, anche rapporti. In seguito le disposizioni di parole diventano costanti e le parole adoperate ad espri- mero rapporti perdono il loro significato indipendente fino ad aggiungersi come affissi alle parole dinotanti oggetti. Intine I’ orguuismo grammaticale, sotto l’azione incessante del pensiero, si fa completo: mediante il solo cambiamento del suono (/lessione) ogni parola è un’ unità modificata se- condo le suo relazioni grammaticali, ed una parto del di- scorso determinata, avente un’ unità sia lessicale che gram- iuaticale. Lu grammatica, come scienza delle regole che le necessità logiche, l’uso e la vita sociale hanno imposto agli individui nol?’ impiego del linguaggio, comincia con i so- fisti, specialmente con Prudico, Ippia ο Protagora; quali maestri d’ eloquenza politica essi dovevano insegnare, in prima istanza, come si parla bene e trasformando la re- torieu da arte tradizionale in soienza, si dedicarono a ri- cerche intorno alle parti del discorso, all’ uso dello parole, alla sinonimia e all’ etimologia, e furono così i creatori della grammatica. Cfr, Marty, Ueber eubjeotlose Sätze und das Ver- käliniss der Grammatik zu Logik und Paychologie, « Wiert. fur Wiss. Philosophie >, VIII, Jahrg. 1884, 1° art. p. 73; A. Marty, Rech. sur lee bases de la grammaire οἱ de la phil. du langage, 1908; Binet et Salmon, Langage οἱ pensée, 1909 (v. linguaggio, giudizio, emozionale, eco.). Grazia. T. Gnade, Anmutk; I. Grace; F. Grice. Questo vocabolo ha due significazioni ben distinte, una teologica ο l’altra estetica, Nella teologica la grazia divina è uno dei dogmi della religione cristiana, definito dai teologi come il dono sovrannaturale e gratuito concesso da Dio agli uomini, per condurli alla eterna salvezza. Esso si ricollega strot- tamente col dogma della caduta dell’uomo ο del peooato originale; questi due dogmi sono dovuti entrambi a 8. Ago- stino, che li difese dagli assalti © dalle false interpretazioni delle sette ereticali. Grande estensione diede poi al dogma della grazia S. Tommaso, che la considera necessaria al- — 489 — Gra PP uomo per compiere quella parte sovrannaturale del suo destino, che consiste nella visione divina; © tale necessità, inerente alla sua condizione di creatura, si è ostesa, per il peocato originale, anche a quelle azioni che non oltre- passano la natura delle sue forze: « Nello stato di natura innocente l’uomo non aveva bisogno che una virtà di gra- zia si aggiongesse a quella di natura, se non per fare © per volere il bene sovrannaturale; ina nello stato di na- tura corrotto, ne ha bisogno per due riguardi: primo per rimanere terso dalla macchia della colpa, secondo por cor piere un beno di ans virtb sovrannaturale che sia mei torio ». Così l’aiuto della grazia è nocessario per osserva i precetti della leggo divina, per amare Dio, per non pec- caro, per uscire dai lucci del peccato, per perdurare nel bene © infine per rendersi degni di ricoverla allorchè non si possiede. A che wi riduco allora il compito dell’uomo e la libertà del suo volere? Per conciliare questo dogma con la dottrina del libero arbitrio, i teologi distinsero varie specie di grasin: la grazia interiore, che ispira all’ nomo buoni pensieri, pie risoluzioni, © lo porta a fare il bene; la grazia abituale, cho risiede nella nostra anima, renden- dolu cara a Dio © meritevole dell’ eterna felicità; la grazia attuale, che è una operazione per la quale Dio illumina la mente e muove la volontà nostra a fare un’opera buo: superare una tentazione, adempiere un precetto; la grazi afficace, che opera infallibilmento sulla volontà e alla quale l'uomo non resiste mai, malgrado la libertà che ba di re- sistere; la grazia sufficiente che dona alla volontà abbastanza forza per fare il bene, ma alla quale l’uomo può resistere, rendendola così inefficace. — Nell’ estetica la grazia è qual- che cose di distinto ο talora indipendento dalla bellezza, tantochè, come osservò già il Winkelmann, ossa si trova anche in quelle forme che non sono belle ed è un mezzo di supplire alla mancanza del bello. Generalmente, la grazia è considerata come la bellezza di ciò che è piccolo, fragile, Gus — 490 — gentile; oppure come la bellazsa del morimento, compren- dendo in questa espressione anche le forme fisse, nelle quali la suggestione del movimento sia non solo assai viva, ma anche principale. Per lo Schelling la grazia nell’ arte à P espressione dell anima: « Dopo che l’arte ha dato alle cose il carattere che loro imprime l’ aspetto dell’individualità, fa un passo ancora; dà loro la grazia che le rende amabili, facendo che esse sembrino amare. Oltre questo secondo grado, non ve n’ha che uno, che il secondo annuncia ο prepara; è di dare alle cose un’ anima, con cui esse non sembrano più soltanto amare, ma amano. La grazia nel- Parte è l’espressione dell’ anima ». Per lo Spencer invece la grazia è la bellezza del movimento, che non riveli uno sforzo ο che sia vario di direzione, di volocità ο di com- posizione: questa varietà spiega l’etorna freschezza della grazia. Il Guyau, accostandosi allo Schelling, fa consistere la grazia in uno stato della volontà, della volontà soddisfatta o che è portata a soddisfare altrui: ovvero nell espressiono del?’ amore, perchè par che amie perciò è amata. Secondo il Masci, il sentimento del grazioso è un sentimento gaio, che rifugge dalla serietà ο dalla gravità, © suppone un con- trasto oggettivamente e felicemente superato, di forma non di sostanza, di sò stesso inconsapevole; esso ha per fattore psichico essenziale la porcezione dell’ingenuità che non con- fini con la dabbenaggine, che non offra motivo di disistima ο di sprezzo. Cfr. 8. Tommaso, 1*, 33, qu. CIX, art. 2,3 e segg.; Jourdain, La fil. di S. Tommaso, trad. it. 1860, p. 203 segg.; Schelling, System d. transcend. Idealiomus, 1801; ‘Taine, Phi- losophie de Vart, 1880; Guyan, L'art au point de vue sociolo- gique, 1884; Masci, Psicologia, 1904, p. 392 segg. (v. bello, comico, estetica, provvidenza, premozione, scienza media). Gusto. T. Gesohmach ; I. Taste: F. Goût. Senso chimico col quale si percepiscono i sapori. Di questi si distinguono quattro fondamentali: l'amaro, il dolce, l'acido, il salato, ai quali alcuni aggiungono il metallico © V alcalino. Le sen- — 491 — Gus sazioni gustative sono molto complesso; quelle che ordi- nariamente si riguardano come sensazioni di gusto, sono un misto di sensazioni di gusto, di tatto, di olfatto © di temperatura. Infatti la mucosa boccale possiede papillo gustative solo in alcune parti, come la punta e i margini luterali della lingua, ls parto superioro 6 la superficie au- teriore dol palato; nelle altre parti non vi sono che cor- puscoli tattili. I nervi del gusto sono il linguale, che servo per il gusto della parte anteriore della lingua, e il glosso- faringeo per le altre parti della lingua ο della bocca. — In , per gusto ο buon gusto ο) intende la coltà di gindicare intuitivamente ο sicuramente i valori estetici, specialmente in ciò che essi hanno di corretto © delicato. Per il Shaftesbury ο l’ Hutcheson il gusto è lu facoltà fondamentale non solo estetica ma anche eticn; l’uomo possiede, secondo essi, un sentimento naturale ο profondo tanto per il buono quanto per il bello, che non sono quindi oggetto di conoscenza razionale, ma di un in- timo consenso insito nella stessa natura dell'individuo. Per il Reid anche il gusto è sottomesso a leggi: « Quelli che sostengono che non v’ ha nulla d’assoluto in materia di gusto, e che il proverbio che dei gusti non si devo di- sputare è di applicazione illimitata, sostengono un’opinione insostenibile ; con le medesime ragioni si potrebbe soste- nere che non c'è nulla di assoluto in materia di verità ». Kant inveco distingue il buono dal bello, in quanto il primo è ciò che coincide con la nonna finale rappresentata nella legge morale, il bello invece à ciò che piace senza concetto, come godimento affatto disinteressato ; quindi è impossibile una dottrina estetica, v'è soltanto una critica del gusto, ciod nua ricerca intorno alla possibilità del va- lore aprioristico dei giudizi estetici; il gusto è infatti per Kant « la facoltà di giudicare di un oggetto o di una rap- presentazione mediante un piacere o uno stato sgradevole, senza ‘alcun interesse ;... una capacità puramente regola- — 492 — tiva di giudicare la forma nell’ unione dol molteplice nella fantasia »; pord, la sentenza che dei gusti non si può di- sputare, vale solo nel senso che in questioni di gusto con la prova concettuale non si ottiene nulla, il che non esclude che sia possibile in ciò nn appollo a sentimenti di valore universal. Per l'Herbart i giudisi del gusto hanno un va- lore necessario ο universale, d’ indimostrabile evidenza, © «si riferiscono sempre ai rapporti dell'esistente; quindi In morale è per lui un ramo dell’ ostetica, in quanto questa si risolvo nella dottrina doi giudizi estetici intorno ai rapporti della volontà umana. Cfe. Hutcheson, Philosophiae mordlis institutio oompendiaria, 1754; Reid, Works, 1817, V, 215 seg.; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, 1, $5; Blencko, Kants Un- terecheidung den Sohönen rom Angenchm, 1889; Wundt, Vòlker- psychologie, 1900, vol. 1; Kiesow, Atti del IV Congr. int. di pricologia, 1906; Windelband, Storia della fil., trad. it Sandron, 1, 328; Höflding, Prychol., trad. frane. 1900, p. 130 ο segg. 1. Nella logica formale designa le proposizioni particolari affermative (qualche À è 3). Nella teoria della quantifica- zione del predicato indies lo proposizioni parti-parziali af- formative (qualche οἱ è qualche 1), mentre la lotters greca ı designa le proposizioni parti-totali afformative (qualche .1 è tutto B). Ibridismo. F. Hybridisme: I. Hybridiem. 1, accoppin- mento fecondo di due individui più o meno diversi tra di loro. Diconsi ibridi i prodotti stabili ο instabili delle specio tra loro, e meticci i prodotti delle varietà o delle razze. Nel linguaggio comune, però, ai riserba il nome di meticci prodotti della fecondazione fra le diverse razze umane. Sem- bra eselusa la possibilità di fecondazione tra individui ap- partenenti a ordini differenti ; è invece accertata fra indivi- Ipe dui di differenti generi, i cui prodotti sono indefinitamente fecondi, © di differenti speoie, i oui prodotti possono essero infecondi, come i mali ei bardotti, 0 fecondi, come i piocoli della lepre ο del coniglio, del cane e del lupo, del cano e della volpo. Si ha 1’ ibridiemo unilaterale quando il maschio d'una specie dà Inogo & meticci fecondi con la femmina @ un’altra specie, mentrechd una femmina della prima con un maschio della seconda è sterile; 1 ibridiemo collaterale quando i meticci di primo sangue sono sterili, mentro quelli di secondo sangue sono indefinitamente fertili, così da dar luogo mediante i collaterali a una nuova razza; P ibridiemo diretto quando i meticci di due ordini sono in- definitamente fecondi. I fenomeni di ibridismo, non ancora pienamente spiegati, vi intrecciano ad altri importanti pro- blemi della filosofia zoologica, riguardanti la fissità, l’unità, l’origine della specie, il concetto delle olassifionzioni zoolo- giche, l'eredità, 1’ affinità sessuale, eco. Cfr. A. Suchotet, L'hydridité dana la nature, 1888 (v. omogenesia, monogenismo, poligeniemo, varietà, specie, ecc.). Idea. T. Idee, Vorstellung; I. Idea; F. Idee. Comune- mente per idea si intende ciò che non è reale se non in quanto è pensato, ciò che esisto soltanto nel pensiero © per il pensiero; e si suol anche opporla alla sensazione, alla percezione, alla imagine, in quanto designa i prodotti generali ed astratti dell’ attivita dello spirito. Ma nella storia della filosofia l’ides assume significati assai diversi ed implica varie ed importanti questioni riguardanti la sun origine, la sua natura, i suoi rapporti col reale, eco. Quanto alla varietà dei significati, da principio Ἴδέα equivale nella lingua greca a forma visibile, aspetto; da ciò anche il si- gnificato di forma distintiva, di specie nel significato cho questa parola ebbe presso gli scolastici : perciò Democrito chiama gli atomi anche ἰδέαι, e Dionigi Massimo definisce le idee species vel formas aelernas et incommutabiles rationes, secundum quas et in quibus visibilio mundus formatur et regitur. IDE — 494 — Affine a questo è il significato che Platone dà alla stessa parola, come vedremo più avanti; il passaggio si può co- gliore in questa definizione di Goclenio : Idea signifioat spe- ciem seu formam, sou rationem rei eziernam ; generatim idea est forma seu exemplar rei, ad quod respiciens opifez affoit id quod animo destinarat. Per Kant invece ha un valore diffe- rente: « Per idea io intendo un concetto necessario della ra- gione, al quale nessun oggetto adeguato pnd esser dato nei sensi »; tali idee sono, per Kant, quelle d’unità assoluta del soggetto, di sistematizzazione completa dei fenomeni (com- prondente le quattro « idee cosmologiche ») e di ridusione all’ anità di tutte le esistenze, ideo alle quali corrispondono rispettivamente l’anima, il mondo e Dio. In senso psico- logico l’idea equivale al concetto, considerato come feno- meno mentale in una determinata coscienza; alcuni psico- logi la distinguono dal concetto solo perchè, mentre l’idea astratta può essere d’una qualità o d’ una proprietà, il concetto è l’idea d’ una cosa ο d’un fatto, e in quanto tale raccoglio in sè, come in una sintesi ideale, quegli ele- menti che devono costantemente associarsi per costituire la conn 0 il fatto. Già con la tarda scolastica, ma più spe- cialmonte a partire dal sec. XVII, la parola idea si adopera anche per indicare ogni oggetto del pensiero in quanto pensiero, în opposizione sia al sentimento, all’ istinto, alla volontà, ciod ai fenomeni psichici non intellettuali, sia alla cosa, all'oggetto esistente per sè, indipendentemente dalla conoscenza che ne abbiamo. Infine, tanto nel linguaggio comune che in quello filosofico, ides è adoperata ad indi- care progetto, disegno, invenzione, opinione, teoria, come appare dallo espressioni « aver ’ idea di compiere qualche com », « idea della filosofia trascendentale », « le idee filo- sofiche dominanti », « le ideo politicho di un uomo >, ece. Per questa varietà di significati, 1’ Hamilton dichiarava giustamente che è impossibile serbare a questa parola un uso tecnico, e che non si può usarla se non nel senso vago — 495 — Ipr nel quale racchiude le presentazioni dei sensi, le rappre- sentazioni dell’ imaginazione e i concetti ο nozioni dell’ in- tendimento: « Le idee, parola e cosa, sono state la orur philosophorum, dacchè Aristotele lo mandò nd imballare fino ai giorni nostri >. Quanto alla natura 6 all’origine delle idee, per Platone esse sono i veri reali, che non esistono come semplici enti del pensiero, ma sono sostanziate in sè, immutabili ed universali; esse costituiscono i tipi, i modelli esemplari ed eterni delle cose, le quali non sono che imi- tazioni delle idee, e partecipano del reale solo in quanto partecipano delle idee ; esse non possono venir apprese che dalla ragione, e costituiscono una gerarchia al sommo della quale sta l’idea del bene, cioè il bene stesso, dal quale le altre idee ricevono realtà e intelligibilitä. Per Aristotele invece le idee non hanno una realtà separato dalle coso individuali © sd esse anteriore, ma son poste in esse me- desime; soltanto gli individui sono i veri sussistenti sò, vere sostanze; l’universale esiste, ma nell’ individuo; V idea non è un semplice vocabolo, ma associata ad un vo- cabolo viene a fissare ciò che hanno fra loro di comune più individui della medesima specie. Da allora in poi le due teorie rimasero sempre di fronte, ο si combntterono specialmente nella scolastica sotto il nome di realismo la prima, conosttualismo o nominalismo la seconda. Più tardi sorsero le varie dottrine circa l’origine delle idee: secondo l’ innatiemo esse sono contenute nello spirito anteriormente ad ogni esperienza; secondo il seneemo sono invece il pro- dotto della nostra esperienza sensibilo; secondo 1’ empi- rismo derivano pure dall’ esperienza, ma non soltanto da quella esterna o sensibile, ma anche da quella interna ossia dalla coscienza; secondo la dottrina pricogenetioa dello Spen- cer, derivano non solo dall’csperionza dell’individuo mn an- cho da quella della specie, accumulata, organizzata ο tra- amessa sotto forma di virtunlitä psicologica. « La dottrina generale della ovoluzione, dico lo Spencer, concilia 1’ ipo- Ine — 496 — tesi sperimentale e quella intuisionistica, ciascuna delle quali è parzialmente vera, ma insostenibile per sò stossa. Nel sistema nervoso certe relazioni prestabilite esistono at- traverso la trasmissione, rispondendo a relazioni dell’ am- biente assolutamente costanti, assolutamente universali. In questo senso esistono ‘‘ forme dell’ intuizione ”, ciod ele- menti di pensiero infinitamente ripotati finchè sono dive- nuti automatici e impossibili ad abbandonarsi. Queste re- Inzioni sono potenzialmente presenti avanti la nascita nella forma di determinate connessioni nervose, antecedenti e in- dipendenti dalle esperienze individuali, ma non indipendenti da ogni esperienza, essendo state determinate dall'esperienza di precedenti organismi ». Secondo il Condillac, sensista, non esiste una demarcazione netta tra sensazioni ed idee; queste non sono iu fondo che sentimenti esistenti nella memoria che li riproduce; così, parlando dell’ idea di spa- zio, ogli dice: « La sensazione sia attuale che passata di solidità è sola per sè stessa sontimento ed idea ad un tempo. È sentimento per la relazione che ha con l’anima, che essa modifica; è idea per la relazione che ha con qualche cosa @ esteriore.... Tutte le nostre sensazioni ci appaiono come lo qualità degli oggetti che ci circondano; esse dunque le rappresentano, e perciò sono dello idee ». Secondo il Locke, empirista, le idee si dividono, quanto alla loro origine, in semplici 9 composte : le primo nascono dalla sensazione sola, ο dalla riflessione sola, ο dall'una e dall'altra unite; le seconde invece derivano dalle primo; colle idee semplici noi ci rappresentiamo le qualità dei corpi, sis primarie che secondarie, le composte si distingnono in modi, sostanze ο relazioni, Però alla parola idea Locke dà un significato assai vasto: « Tuttocid che lo spirito percepisce in ad stesso, o è l'oggetto immediato della percezione, del pensiero, o dell’intendimento, io chiamo idea. La parola serve per qualunque oggetto dell’ intelletto, quando l’uomo pensa, qualunque sin ciò che ocenpa lo spirito nel suo pensare ». — 497 — Ir Lo stesso significato dà alla parola il Berkeley, per il quale non esistono che gli spiriti e le loro funzioni, cioò idee e volizioni; ma idee astratte, in quanto tali, non esistono nello spirito, non sono che finzioni scolastiche, la loro apparenza deriva dalla espressione verbale; in realtà non esistono che rappresentazioni singole, e alcune di queste, grazie alla somiglianza ο all’ uguaglianza della denomina- zione, possono rappresentare anche altro, simili a loro. Da- vid Hume si appropriò questa dottrina, e distinse le impres- sioni originarie dalle loro copie : le idee non sono che copie di impressioni, imagini sbiadite (faint images) ο non c’è idea che si sia prodotta altrimenti che come copia di una impressione, 0 che abbia altro contenuto fuori da quello che ha tolto dall’impressione. Secondo Kant, esistono nello spirito leggi e forme invariabili, che sono ls condizione necessaria del pensiero: di queste forme le une, le categorie, si applicano al mondo fenomenico e sensibile, le altre, le idee, hanno un oggetto trascendente e puramente intelli gibile: ora, siccome le idee sorpassano i limiti dell’ espe- rienza, non sono che forme logiche che regolano l’intel- ligenza, ο tutt'al più non esprimono che uns possibilità. L’ Hegel invece, accostandosi a Platone, non considera P idea come una mera entità logica, bensì come la più alta realtà, per mezzo della quale tutto si spiega, 1’ essero 9 la conoscenza, la natura e il pensiero, e nella quale tntto ha la propria ragione e il proprio fondamento; da idea in sò, potenza non ancora evoluta, diventa idea per sà, ossia natura, che si evolve per gradazioni infinitesime e con- tinue, finchè torna in sè, si fa spirito cosciente, dando luogo alla filosofia dello spirito, alla famiglia, alla società, alla moralità e al diritto. Per il Rosmini I’ idea è « I’ essere possibile presente allo spirito; la sua presenza è appunto l’esser noto: non ha altro effetto che far conoscere che cosa è essere »; l’idea e il sentimento sono i duo primi clementi di tutto le cognizioni, che sono alla lor volta anticip: 22 — Ranzotı, Dizion. di acienze filosofiche. IE — 498 — @ ogni deduzione e d’ogni argomentazione; ogni appli- cazione dell’ idea dell’ essere nd uns data notizia è una riflessione, Per il Gallappi l’idea è « un elemento del giu- dizio »; egli distingne le idee in accidentali od emensiali: sia le une che le altre sono, in quanto idee, un prodotto della meditazione sui sentimenti, ma mentre per le prime non tutti gli uomini hanno i sentimenti necessari alla loro formazione, nessun nomo manca dei sentimenti necessari per la formazione delle seconde; sono ideo essenziali quella dol proprio io, quella del proprio corpo e quella di un corpo esterno, nonchè tutte quelle idee che l’azione feconda della meditazione può sviluppare da queste e che si trovano in tutti gli nomini i quali hanno 1’ uso della ragione. Per l'Ardigò l’idea è una « reduplicazione della sensazione »; la sua di- sformità dalla sensazione dipende unicamente dalla ripetuta elaborazione specificatrice onde è uscita, ma i caratteri di universalità ο di infinità, che all’ idea si attribuiscono con significazione metafisica, sono propri anche della sensazione, che è riproducibile senza terntine ο riferibile ad un numero illimitato di oggetti; gli uffici principali dell’ idea sono tre: 1° è il campo mentale dei particolari, che in essa si inqua- drano como în una rappresentazione unica comnne, per il rapporto fondamentale dolla loro somiglianza ; 2°è una rir- tualità infinita di rappresentazioni ulteriori; 3° è un segno di operazioni già eseguite o di formazioni già ottenute. — Quanto alla classificazione delle idee, essa è impossibile nei riguardi dei loro oggetti, che variano all’infinito ; per rispetto alla qualità ο forma si distinguono in vere e false, chiare ο oscure, distinte e confuse, semplici e composte, astratte ο concrete, individuali e collettive, particolari e generali ; ri- guardo ai loro caratteri, si sogliono distinguere in contin- genti, che hanno per oggetto cose che possono essere e non essere, © necessarie, che hanno per oggetto cose che non pos- sono non essere : le prime sono determinate, particolari, in- dividnali, le secondo sono invece universali; nn’ idea con- — 499 — IDE tingente e particolare dicesi idea relativa, una necessaria ο universale dicesi idea ansoluta. Cfr. Platono, Tim., 51 D; Rep., VI, 507 B; Fedr., 247 C; Aristotele, Met.;I, 9, 991 n, 11 segg.; Bacone, Nor. Org., I, 23; Cartesio, Med., III, 4 5; Locke, Essay, I, cap. 1, $ 8; Berkeley, Prino., I; Hume, Treat., I, sog. 1; Kant, Arit. d. reinen Fern., p. 274 segg.; Hamilton, Discussions on phylosophy. 1852, p. 69; Spencer, Prino. of psychology, 1881, I, p. 467 negg.; Ro- mini, Peioologia, 1848, t. II, p. 264 segg.; Id., Logica, 1858, Ρ. 85 segg.; Galluppi, Elem. di filosofia, 1820-27, t. II, p. 9; Id., Lezioni di logica e metafisica, 1854, t. III, p. 999 segg.; Ardigò, Op. fl.. I, 219 segg.; II, 461 segg. (v. associazione, archetipo, entelechia, idealimmo, ecc.). Ideale. T. Ideel, Ideal; I. Ideal, Standard; F. Ideel. Quando si oppone a reale, designa ciò che non ha una esi- stenza obbiettiva, ma esiste soltanto come idea, cioè in quanto pensato. In questo senso Goclenio lo definisce esse alicniun in mente secundum epeciem, in qua, ut obiectiro prin- eipio, res cognoscitur. Per i platonici l'ideale costituisce una specie di mondo perfetto ed eterno, anteriore e aupe- riore al mondo visibile, ove quello talora si riflette fuga- cemente ϱ sempre in forma molto lontana dalla perfezione. Per ideale si intende ancora il modello astratto, il tipo generale ο perfetto della cosa; © nell’ agire morale cd ar- tistico, il tipo di perfezione che lo apirito costrpisco come fine da raggiungere, l’idea che si vuole rappresentare nella materia. Nell’ arte I’ ideale risponde, secondo Hegel, al bi- sogno di uscire dal finito, di volgere lo sguardo ad una sfera superiore più pura ¢ più vera, dove spariscono tutte le opposizioni ο le contraddizioni del finito, dove la libertà, svolgendosi sonza ostacoli e senza limiti, raggiungo il ano scopo supremo. Questa è Ia ragione dell’arto ο la sua realtà è l'ideale: « La necessità del bello nell’ arte ο nella poesia risulta perciò dalla imperfezione del reale. La missione del- l'arto è di rappresentare, sotto forme sensibili, lo ariluppo Ie — 500 — libero della vita © sovra tutto dello spirito. Allora soltanto il vero è liberato dalle circostanze accidentali e passeggere, sciolto dalla legge che lo condanna a percorrere la serio delle coso finite; allora giunge ad una manifestazione esteriore, che non lascia scorgere i bisogni del mondo prossico della natura, ad una rappresentazione degna di lui, che ci offre lo spettacolo d’ una forza libera, non di- pendente che da sò stessa, avente in sò stessa la propria destinazione © non ricevente le proprie determinazioni dal di fuori ». Nella moralità I’ ideale è più propriamente un modello proposto al nostro agire sociale; ma ciò cho lo sorregge è, anche qui, il senso dei limiti opposti dalla realt& che ci circonda al nostro volere, e il bisogno di snperarli. « Il sentimento di questa limitazione, dice il Wandt, risveglia, riguardo alla attività creativa del vo- lere, la rappresentazione che il nostro volere è I’ organo di un volere infinitamente perfetto, per la cui attività sol- . tanto diventa intelligibile l’ illimitata capacità di sviluppo del pensiero ο della attività umana. Così si convertono le norme volitive nell’ ideale, che, non mai raggiungibile, deve esser sempro oggetto di aspirazione ». 1,’ ideale si sposta infatti da ogni istante; la realtà di oggi è l’incar- nazione dell’ ideale di ieri, come l'ideale di oggi sarà In realtà di domani. In questo senso l’ ideale è In concezione del possibile © dell’ infinitamente possibile; quantunque non esista che nell’ idea, è vero in quanto sia fondato sulla conoscenza positiva di quanto I’ essere ha di essen- ziale. Cfr. Goclenius, Lex. philosophioum, 1618, p. 209; Ho- gel, Poétique, trad. frano., p. 45 segg.; Wundt, Logik, 1893, II, p. 514; Colozza, 1) imaginasione nella acienra, 1900, p. 104 segg.; P. Gaultier, L’ideal moderne, 1908. Idealismo. T. Idealismus; I. Idealiem ; F. Idéalieme. Ter- mine di significato molto generale e vario, con cui si de- signano quei sistemi filorofici che considerano la sostanza ultima del roale come spirituale; oppure cho considerano — 501 — Ip 1 idea sia come principio della conoscenza, sia come prin- cipio tanto della conoscenza quanto della realtà. L’idea- lismo si oppone quindi al materialismo, che considera la so- stanza ultima del reale come materiale, © al realismo, cho sostiene la validità della percezione immedista del mondo esteriore come tale, l’esistenza dell oggetto sia quale noi lo percepiamo, sia come causa delle nostre sensazioni. L’ idea- liemo si divide anzitutto in due specie; luna, detta idea- lismo gnoseologico, psicologico, soggettivo, spiega il mondo per l’attività immanente dello spirito sulle proprie rappre- sentazioni; l’altra, detta idealismo obbiettivo, metafisico, rea- listico, ammette, al contrario del primo, un mondo realo indipendente dalla conoscenza che ne abbiamo, ma lo consi- dora di natura spirituale, cioò come una forma di coscienza: perciò è detto anche spirifualiemo, ο monismo spiritualislico, iu quanto per esso non v'ha altra realtà che quella spi- rituale. Le forme dell’ idealismo metafisico sono varie: se il principio spiritunle è da esso concepito come trascen- dente, l’idealismo dicesi teistioo, se immanente panteistico © aucho naturalistico; ο particolarista se ammette con Plu- tono idee reali distinte ο archetipi, unirersalista so ammette con Hegel uno sviluppo o sistema uno e continuo, deter- ministico in quanto per esso l’idea in sò, assoluta, lo spi- rito, determina gli atti umani senza vincolo alcuno con la realtà materiale (natura). A quest’ ultimo si oppone l’idea- lismo contingentistico o indeterministico, che estendendo ni fatti del mondo fisico la libertà colta direttamente noi fatti della coscienza, considera il determinismo scientifico v la necessità naturale come illusioni della nostra mento, e ri- duce gli stessi principi logici ad nn semplice stromento soggettivo, col quale cerchiamo di rendere intelligibile la realtà ponendo in essa un ordine che corrisponda alle no- stre esigenze conoscitive ; fiorisce attualmento in Francia, è sorto da lontane origini kantiane e da un più diretto influsso sia dell’ idealiamo pluralistico del Lotze sia del- IpE — 502 — 1° idoalisiuo finalistico, ο teleologion, 0 estetico del Ravaisson, del Lachelier e di Paul Janet. A seconda poi della forma di coscienza posta a fondamento della realtà, l’idealiemo può essere sensistion 0 empirico, volontaristico, razionalistion 0 panlogistico; il primo risolve la materia in una possibilità permanente di sensazioni e lo spirito nella possibilità perma- nento degli stati interni (J. 8. Mill); il secondo concepisce la volontà non solo come il principio della vita dello spirito ma anche como il fondamento reale ed assoluto di tutte lo cose (Schopenhauer); nell’ ultimo il mondo esteriore risulta dallo sviluppo sia di esseri pensanti, di ragioni individuali sia di una ragione cosciente universale, sia infino di un si- stema di idee indipendenti dalle coscienze, incosciente al- meno per lo coscienze umane, © che si pone come un oggetto per rapporto ad esse: è il movimento dialettico dello spirito obbiettivo (Fichte, Schelling, Hegel). Ma nelle scuolo filo- sotiche che succedettero a Kant, © per designaro lo scuole medesime, si è fatto ο si fa un vero abuso del termine ideali- smo. La stossa dottrina kantiana - che il suo autore chiamò idealismo trascendentale dei fenomeni, porchd considera tutti i fenomeni come rappresentazioni ¢ non come cose in sè, 6 ritiene il tempo © lo spazio come condizioni nostre - è de- nominata ora idealismo critico, perchò risulta da un'analisi ca dei poteri umani di conoscenza; ora idealismo ra- zionalistico, perchè risolve la sostanza in un rapporto, che il pensiero impone a priori ai fenomeni; ora idealismo agnostico, in quanto ammette l’esistenza in sè dello cose ma nega all’uomo la possibilità di conoscerlo. Le dottrine di Fichte, Schelling, Hegel ο Schopenhauer sono comples- sivamente denominato ora idealismo metafisico, ora iden- lismo trascendentale, in quanto negano con Kant che spazio, tompo, materia, ece. siano determinazioni del realo o cou- dizioni delle cose in sè; ora idealismo assoluto, in quanto per essi le cose sono interamente prodotte dall'attività del pensiero individuale ο universale ; ora idealismo noumenico — 503 — lo (noumenal idealiem), in quanto interpretano il mondo nou- menico come un conoscibile mondo mentale. Ciascuna di tqueste dottrine ricevo poi delle denominazioni non meno oscillanti ; la più comune è quella che caratterizza la dot- trina di Fichte come idealismo soggettivo, o etico, in quanto colloca V’ ideale, principio d’ ogni esistenza, nel soggetto morale considerato come assoluto; quella di Schelling como oggettiro, © esletico, in quanto fa della natura ο dello spi- rito due manifestazioni di un essere originario, superiore all'oggetto © al soggetto e a tutti i contrari che in esso coincidono; quella di Hegel come assoluto, o logico, in «quanto, mediante la tesi della convertibilit del reale nol razionale © del razionale nel reale, rappresenta la formu- lazione ultima v compiuta dell’idealismo metatisioo. Oggi però si dà un significato un po’ diverso alle espressioni idvalismo critico e idealismo etico, che designano due im- portanti indirizzi della filovofia contemporanea; entrambi muovono dal concetto kantiano, che non la realtà doter- mina l'atto conoscitivo, ma questo mira a costruir quella, o, come diceva Kunt, che non la natura detta le suo leggi al ponsiero, ma questo & quella: ma mentre I’ idealismo eritico non si propono la giustificazione del processo cren- tivo della realtà, limitandosi a spiegare l’illusorietà dei concetti di realtà, di obiettività, di sostanza, ecc., I’ idea- lismo etico crede di poter indicare il motivo fondamen- tule dell’ esplicuziono dell'attività dello spirito nelle sue vario forme, motivo che sarebbe appunto l'esigenza mo- rale; per l’idenlismo etico non è I’ essere la categoria fon- damentale atta a servirci di guida nella costruzione del mondo, ma il dorer essere, come risulta sia dall’ esame della funzione conoscitiva (essendo ogni giudizio una decisione volontaria che richiede un apprezzamento), sia dalla rifles- sione critica au) concetto di realtà (la quale realtà, indi- pendentemente dall'atto mentale che la pone e l’afferma. non è cho nna possibilità, e si riduce quindi a ciò che Ipk — 504 — roclamu l’atto mentale). Idenlismo ontologico, o anche idea- livmo teologico, fa detto il sistema del Rosmini e del Gio- berti, secondo cui l’idea dell’ Essere, che s’ identifica in ul- timo col reale assoluto, splende di continuo alla nostra mente, è oggetto d’un atto ο visione immanente del nostro spirito, in quanto la applichiamo in ogni nostro atto intel- lettivo. L’ idealismo guoseologico, portato alle sue estreme conseguenze, dicesi più propriamente soliprismo 0 semetip- sismo: esso sostieno la realtà non dei soggetti, ma del solo soggetto pensante; dato infatti che il mondo osteriore non esiste, non è che la nostra rappresentazione, anche gli altri soggetti non avranno altra realtà che il mio pensiero, di modo che io non posso affermare che una cosa: la mia usistenza porsonale. Affine all’ idealismo solipsistico è quello che oggi dicesi idealiemo personalistico 0 anche pluralistico ; accanto alla mia coscienza personale esso riconosce I’ esi- stenza di altre coscienzo, risolvendo così la realtà in tanti centri spirituali o persone, in rapporto di coesistenza e di interazione. Esso ha molti punti di contatto con la dottrina del Berkeley, che comunomente si denomina idealismo s09- gettito © metafisico ο ancora spiritualiemo assoluto, montre Kant lo chiamò idealismo dogmatico, contrapponendolo al- l’idealismo problematico di Cartesio. Finiamo avvertendo ancora che, per tutte queste espressioni, In terminologia filosofica è estremamente vaga, arbitraria e fluttuante. Cfr. Laas, Idealismus und Positiviemus, 1884; R. B. Perry, Pro- sent philosophical tendencies, 1912; A. Fouilléo, Le mouve- ment idealiste οἱ la reaction contre la soience positite, 1906 ; L. Branschwiog, L'idéalieme contemporain, 1905; Masci, 1) idealismo indeterminista, « Atti della R. Aco. di Napoli », vol. XXX, p. 96 segg.; G. Villa, Z’idealismo moderno, 1905 ; A. Chiappolli, Dalla oritica al nuovo idealismo, 1910; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la scienza, 1912; C. Ran- zoli, Le forme storiche dell’ idealismo ο del realiemo, in Lin- guaggio dei filosofi, 1918, pp. 59-104. — 505 — Ipk Ideasione. T. Ideation; I. Ideation; F. Idéation. Si ulo- pera talvolta per designare genericamento il lavoro cogi- tativo, il processo psicologico e logico per cui si vengono formando e svolgendo lo idee; oppure il processo per cui una sensazione diventa idea. Altre volte ha significato più ristretto ancora, designando lo sviluppo di una determinata serio di atti mentali. Il Rosmini, in base al suo idealismo antologico, definisce l’ ideazione quella funzione della mento ner mezzo della quale nella specie piena di nn ente indi vile, ο considerato como tale, ossa trova altre spocie picne, aon perchè si comprendano in casa belle © formate, ma Derchè sono in essa contenuti i loro rudimenti, dei quali la mente si servo por formarle. Cfr. Rosmini, Pricologia, .848, vol. II, p. 272 segg.; Sergi, La psychologie physiol., irad. franc. 1888, p. 143 (v. ente, essere, specie). Idee-forze. F. Idées-foroes. Il Fouillée chiama filorofia lello idee-forze la propria dottrina, che attribuisce alle idee in quanto tali una azione sugli altri fenomeni, per oppo- riziono a tutto le altre dottrine evoluzionistiche (Spencer, 3oin, Maudsley, Huxley) che nell’ evoluzione non introdu- sono alcun fattore di ordine mentale, e considerano i fatti pichici come semplici risultati collaterali senza influonza propria, como fenomeni sovragginnti ο epifenomeni super- iciali, incapaci di contribuire in nulla al corso delle cose. V espressione di idee-forze egli 1’ usa per racchiudervi tutti i modi d’influenza possibile che l’idea può avere, per op- josizione alle ideo inattive che non entrano per nulla nel isultato finale e non sono che simboli. La parola idea poi, 10n è presa nel senso stretto di stato di coscienza rappre- æntativo d’un oggetto, ma nel senso largo di stato oscienza intellettualo, affettivo e appetitivo. La forza di questo idce non consiste nel creare dei movimenti nuovi € direzioni nuove di movimenti ; essa non è cho l’attività osciente, la legge psichica cho collega la volizione col pen- sero © col sentimento; questa forza psichica è infatti la Ink — 506 — sola propriamento detta, perch’ le forze meccanicho uon sono che movimenti. Cfr. A. Fouillée, Morale des idees- forces, 1908 ; Id., La psychologie des idées-forces, 1893; 1d., L'évolutionnisme des idées-forces, 1890. Idee rappresentative. F. Idées représentatives. Dicesi teoria delle idee rappresentative la teoria secondo la quale tra la coscienza ο l'oggetto esteriore conosciuto da essa, non c'è relazione immediata, ma soltanto relazione indi- retta per mezzo d’un fertium quid, l’idea, che è ad un tempo lo stato ο l'atto della coscienza, da una parte, ο la rappresentazione dell’ oggetto conosciuto dall'altra. Quosta tworia fu sostenuta da Cartesio, Locke, Reid; ma 1’ ospres- sione con cui si indica sembra aver avuto origino dalla polemica di Arnauld contro Malebranche. Cfr. Arnauld, Dee vraies ot des fausses idées, od. J. Simon, p. 38-39. Identità. Gr. Tastöryg; Lat. Identitas; T. Identität; 1. Identity; F. Identité. Il porsistere dell’ nuità della cosa, attraverso il variaro degli attributi, degli accidenti o dei modi. L'identità di due cose è la luro medesimezza, la mancanza di qualsiasi differenza tra loro; tale identità as- soluta è giudicata impossibile da molti filosofi, in quauto, perchò duo coso siano realmente due, occorre che almeno siano fuori l'una dall’ altra, cioè difteriscano almeno nella situazione; due cose assolutamente identicho non potreb- bero duuque essere che la stessa cosa. L'identità nel primo senso, cioè la persistenza dell’ unità della cosa, è conside- rata como il carattere essenziale della sostanza, ciò che distingue la sostanza dai fenomeni. Si suol distinguere l'identità della materia inorganica, da quella dell’ organica © del? anima umana; la prima non è che la persistenza delle molecole di cui la materia si compone, la seconda risiede nella organizzazione e nella vita stessa. Quanto al. l'identità dell’ anima, ο identità personale, essa è, seconde molti filosofi, la sorgente medesima della nostra idea d’iden- tità: « L'identità personalo, dice il Reid, è l'identità per- — 507 — Ins fotta; essa non ammetto gradi diversi; essa è il tipo ο la misura naturale di tutte lo altre identità, che sono imper- fette. La nozione generale d’identità deriva dalla credenza nella nostra identità personale. Dove percepiamo una grande somiglianza, siamo indotti a collocare codesta identità reale con cui siamo tanto familiari. La credenza nell’ identità delle altre persone non è che una congettura; la credenza nella nostra propria identità è nna certezza invincibile. L'iden- tità degli oggetti del senso non è mai perfetta, poichè tutti i corpi sono divisibili e in porpetuo cangiamento; ma, quando il cangiamento è graduale, noi lasciamo all'oggetto il suo nome di prima e diciamo che è il medesimo og- getto ». Secondo gli spiritualisti, U identità dell’ anima è uns conseguenza della sua natura spirituale, semplice, inestesa, che non può dar luogo nd ad aggiunte ο sostitu- zioni nd a cambiamenti successivi ; © ci è anche confermata, sin dalla percezione dell’ Io, sia dalla memoria, sia dalla previsione del futuro, per il quale lnvoriamo in rapporto alla nostra coscienza del passato, sia dalla possibilità del- l’imputabilità morale delle uzioni compiute in ogni tempo © condizione della vita. L' dell’ anima è nogata dai materialisti ο dai fenomenisti, per i quali V anita dell’ lo non è che la tà della co- scienza, il connettersi dei fatti psichici successivi; quin PP Io, se è uno, è nello stesso tempo molteplice, in quanto è la sintesi effettiva per cui ogni singolo fatto psichico è riforito 0 alla somma dei precedenti © alla sorio cui appar- tione: in tale costante riferimento risiede il sentimento del- l'identità del proprio Io: « Lo spirito, dice Hume, è una specio di teatro ove ogni percezione fa la propria comparsa, passa e ripassa, in un continuo cangiamonto.... E questa metafora del teatro non deve ingannarci; à In successione delle nostre percezioni che costituisce il nostro spirito, ο noi non abbiamo alcuna idea, nemmeno lontana e confusa, del teatro in cui codeste scene sono rappresentate. Il fonda- Ips — 508 — mento della nostra credenza nell’identità personale è in co- desto legame e in codesto passaggio facile delle nostre idee, prodotto dai principi di associazione, di causalità, di conti- guità, di somiglianza >. — Gli scolastici distinguevano due spocie d'identità: P identitae realis, che compete alle cose indipendentemento dalla operazione dell'intelletto, come quella che compete agli attributi divini; 1’ identitas rationa- lie, cho deriva da un atto della ragione o in esso consiste, come quando concepiamo medesima la natura di due uomi- ni, sebbene l'abbiano realmente distinta. — Dicosi filosofa dell'identità (Identitäts- Philosophie) ogni dottrina, in gene- ralo, che ammetto l'identità originaria ο sostanziale dello spirito e della matoria, del pensiero e dell’ essere, del sog- gotto ο dell’ oggotto in un terzo quid, oppure li considera come due aspetti di un solo e medesimo essere. Più parti- colarmente, dicesi filosofia dell’ identità 1’ idealismo assoluto dello Schelling, che pone come fondamento del reule un As- soluto, suporiore a tutti i contrari che în esso coincidono : esgo è quindi P identificazione perfetta e l’unità del soggetto © doll’oggetto, del reale e doll’ ideale, dello spirito ο della natura, che si attun poi nell'universo, passando per tutto le ditteronziazioni possibili: « La untura, egli dico, deve ossoro Jo spirito visibile, lo spirito la natura invisibile. Qui adun- que, nell’assoluta identità dello spirito in noi e della natura fuori di noi, deve risolversi il problema, del come una natura fuori di noi sia possibile ». « Il primo passo alla filosofia ο la condizione senza la quale non si può entrare addentro in essa nemmeno una volta, è questa veduta: che I’ asso- luto Ideale sia anche l’ assoluto Renle ». L’idontità anso- lata fu ammessa anche da altri filosofi, che la concepirono sia, come il Bruno, qualo immanenza dell’ uno nel molte- plice, sia, come lo Spinoza e l’ Hegel, ‘qual immanenza del molteplice nell’ uno. « L’ordine © la concatenasione delle idee, dico Spinoza, è identico all’ ordine e alla concatena- zione delle cose... Da ciò risulta che la potenza del pen- — 509 — IDE siero di Dio è identica alla sua potensa attuale d'azione, ossia che tuttocid che risulta formalmente dalla natura in- finita di Dio, risulta obiettivamente, in Dio, dall’ idea di Dio nell’ identico ordine e nell’ identica concatenazione. ... La sostanza pensante © la sostanza estesa non sono che una sola e medesima sostanza, compresa ora sotto un at- tributo ora sotto 1’ altro. Così un modo dell’ esteso e l’idea di codesto esteso non è che una sola e medesima cosa, ma espressa in due maniere differenti ». L’ essere, dice Hegel, è nella sun essenza intima pensiero, © il pensiero nelle sue prodazioni è una cosa sola con } essere: « questa unità del concetto e dell’ essere è ciò che stabilisce il concetto di Ρίο». 11 primo filosofo che affermò I’ identità assoluta del pensiero con l'essere fu Parmenide, per il quale non ο) ὃ pensiero il cui contenuto non corrisponda all’ essere, pensare ed essere sono lo stesso, τὸ γὰρ αὐτὸ vosty ἐστίν τε xal εἶναι. --- Nella matematica diceei identità una uguaglianza, sis quando i termini sono interamente espressi, sia quando l'eguaglianza sussiste qualunque sia il valore attribuito alle lettere. Cfr. Aristotele, Phye., 25r, 116 D; Met., V, 29, 1024 b, 32 segg.; Spinoza, Ethica, 1. II, teor. VII, corol., scolio; Humo, Treatiso on human nature, 1739, V, 6; Roid, Works, 1827, vol. III, cap. IV; Schelling, Naturph., 1803, p. 64 segg.; Hogel, Enoyol., $ 51; Rosmini, Psicologia, 1846, t. I, p. 90 segg.; Ardigò, L'unità della coscienza, 1898; A. Rey, Identité et réalité, « Rev. de metaphysique », luglio 1909 (v. anima, spirito, indiscernibili, emanatiemo, panteiemo, s0- atanzialità, ecc.). Identità (principio di). Il principio razionale che af- ferma l’identico dell’ identico: ciò che è, è, ciò che non è, non è; oppure: il medesimo è il medesimo, l’altro è l’altro. Si anole esprimere con In formula: A -= 4. Tut- tavia questa formula, che esprime una identità nssoluta, non sembra propria, in quanto è applicabile solamente ai giudizi noi quali il secondo termine è la ripetizione del IDE — 510 — primo; ora tali giudizi sono semplici tautologie, non espri- mono la formula generale del pensare ma ne sono la ne- gazione. Perchè l'identità riesca feconda nel lavoro cono- soitivo deve essere intesa relativamente, ciod secondo certi limiti del contenuto e dell’ estensione dei concetti. In altre parole non il riferimento dello stesso allo stesso, bensi il riforimento di nozioni o cose, che in parte e sotto un ri- spetto coincidono, mentre nel resto e sotto altri rispetti diversificano. In questo caso soltanto, infatti, non è sol- tanto logica ma legittima ed utile la sostituzione dell’ iden- tico, Il principio d'identità fu formulato in diversi modi dai filosofi; G. Buridano : quodlibet eat vel non est; Cartesio: impossibile est idem simul esse ot non ease ; Locke: lo steso è lo stesso; Leibnitz: ogni cosa è ciò che essa è; Cr. Wolff: idem ene est illud ipsum ens, quod ene, seu omne A est A; Schelling: la proposizione A = A è possibile soltanto me- diante l’atto espresso nella proposizione Io = Io; Lotze: ogni contenuto pensabile è uguale a sè stesso ο diverso da ogni altro. Por l Hamilton la sua importanza logica sta in ciò, che esso è il principio di ogni affermazione ο di ogni definizione logica: « Esso esprime la relazione di totale medesimezza (eameness) in cni un concetto sta con tutti i suoi caratteri costitutivi, e la relazione di parziale medesimezza in cni sta con ciascuno di essi. In altre pa- role, esso dichiara l’ impossibilità di pensare il concetto e i suoi caratteri come reciprocamente diversi ». Nell’ onto- logismo del Rosmini il principio d'identità acquista un valore particolare: esso infatti esprime I’ ordine dell’ essere e deriva dal principio di cognizione (I essere è oggetto del- l'intelligenza), perchè si conosce l'ordine dell’ essero in quanto la mente conosce V’ essere, si conosce che 1’ essere è essenzialmente uguale a sò stesso in quanta si conosce l’essenza dell’ orsere. Cfr. Schelling, Syet. d. trans, Idea- lismus, 1801, p. 55 segg.; Lotze, Grandziige d. Logik, 1891, Hamilton, Lecturer on logic, 1860, p. 79 segg.; Ra- — 611 — Ipe smini, Nuoto saggio, 1830, II, p. 15 sogg.; Id., Logioa, 1853, $ 337-349. Ideologia. T. Ideologie, Denkgebilde; I. Ideology; F. Ideologie. Con questo nome il Destutt de Tracy ed altri con Ini designano la soienza del pensiero, in quanto non implica, come la psicologia, lo studio dell’ anima, che è una delle cause su cui specula la metafisica, nè, come la meta- fisica stessa, riguarda la natura degli esseri, le cause prime piuttosto che le loro manifestazioni fenomeniche, ma com- prende soltanto lo studio degli effetti, l’analisi dei fono- meni, l'inventario metodico del contenuto della coscienza. Secondo il Galluppi, l'ideologia è « la scienza delle idee essenziali all’ umano intendimento >, quali sarebbero I iden del proprio me, quella del proprio corpo, quelle di possi bilità, durata, sostanza, attributo, eco.; egli dichiara di preferire questo vocabolo a quello più antico di ontologia, © scienza dell’ essere in generale, perchè « l'ontologis sup- pone che le nostre idee corrispondano esattamente agli oggetti in sò stessi: questa supposizione non è niente filo- sofiea: sarebbe stato necessario premettere una questione preliminare sul valore di queste nozioni di cui tratta 1’ on- tologia. Bisognava cercare come lo spirito umano può per- mettersi di passare dalla regione del suo pensiero ο delle aue idee a quella dell’ esistenza. L'ideologia stessa, spiegando l’origine di queste nozioni essenziali allo spirito nmano, avrebbe somministrato i dati per la soluzione del proposto problema... L'ideologia dunque non è che ¥ ontologia ra- gionata e filosofica. E un’ ontologia poggiata sopra una base solida ». Secondo il Rosmini è « la scienza del lume intel- lettivo, col quale l’uomo rendo intelligibili a sè stesso i sensibili, da cni trae l’universo sapero >; essa è scienza for- male, ha per principale fondamento 1’ osservazione interna © tratta dell’ essere oggetto della mente, vale n dire del- l'unione dello apirito umano coll’ essere intelligibilo sotto forma d’ iden e di concetto. Secondo il Franck l'ideologin Ipe-Inı — 512 — à « la scienza delle idee considerate in sè stesse, cioè come semplici fenomeni dello spirito umano ». Secondo il Win- delband, non è improbabile che il Destutt de Tracy abbia tolto il nome di ideologia dalla Wiseonschaftelehre del Fichte. Alcane volte però alla parola ideologia si dà un significato diverso, angi opposto, in quanto designa una scienza di pura astrazione, un insieme di ragionamenti aprioristici, di idee pure. Cfe. Destutt de Tracy, Éléments d'idéologie, 1801, I, p. 5; Galluppi, Elementi di filosofia, 1820-27, U, p, 2; Id., Lezioni di logica e metafisica, 1854, t. III, p. 982 segg.; Ro- smini, Ideologia e logioa, 1853, t. IV, p. 458 segg.; Id., Pricologia, 1846, t. I, p. 23 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. Sandron, II, p. 142 4, 369 segg. Ideologioo. Ί. Ideologisch; I. Ideologioal ; F. Idéologique. Tutto cid che riguarda le idee, il pensiero in generale; così dicosi evolnzione ideologica, fattore ideologico, ecc. Dicesi argomento ideologico una delle prove a priori dell’esistenza di Dio, ricavata dalla eternità delle idee. Esistono delle verità, che sono indipendenti dal mondo in cui si realiz- zano © dalla coscienza nostra che le contempla; deve dunque essorvi una mente eterna di cui sono oggetto essenziale, ο in cui risiedono ab aeterno, altrimenti la loro nocessità ed oternità non avrebbe fondamento (v. Dio, ontologico, mo- rale, fisico, cosmologico, storico). Ideorrea. Stato di disgregazione mentale, costituito da fuga di rappresontazioni e da ideazione confusa, esube- ranto, senza legame logico, Si manifesta in alcune malattio mentali e costituisce il lato interno della logorres. Cfr. Da- gonet, Nour. traité des maladier mentales, 1894, p. 828 segg. Idiosinorasia (ἴδιος: == proprio, civ = con, xp&atg temperamento). T. Idiosynorasie; I. Idiosynorasy, Idiocrasy; F. Idiosynerasie. In sonso proprio designa le disposizioni individuali n sentire in modo particolare l’azione degli agonti esteriori, apecio dei medicamenti; ma si adopera anche per designare l'insieme dolle varietà individuali cho — 58 — , Ini-Ipo si incontrano negli individui di una medesima specie, e costituiscono il temperamento. Non va confusa con I’ idio- sincrisi, con cui si designano un insieme di fenomeni di- versi che si manifestano spontaneamente in uno stesso in- dividuo. Idiotismo. T. Blödeinnigkeit; I. Idiotiem ; F. Idiotisme. Uno doi gradi infimi di debolezza mentale; appartiene al gruppo delle frenastenie ο arresti di sviluppo. L' idiota fu definito come un essere estrasociale ; esso infatti presenta una inettitadine assoluta al lavoro ordinato, non prova al- cun interesse per l’ambiente che lo circonda, è incapace di concepire rapporti sociali elevati ο di provare sentimenti nl- truistiei, non ha altra preoconpazione che di soddisfare i propri bisogni fisici; i suoi sensi sono straordinariamente ottusi, specie il tattile e il dolorifico ; 1’ affettività rudimen- taria ο irregolare; i movimenti lenti ed impacciati. L’idiota si distingue psicologicamente dall’ imbecille, perchè, pur es- sendo l’uno e l’altro dei deboli di spirito, il secondo ha imaginazione disordinata, associasioni rapide e incoerenti, attenzione desta ma instabile, grande concetto di sè stesso unito ad insofferenza per ogni lavoro ordinato. Per idioti- amo morale si suol intendere la cecità morale, ossia l’as- senza totale © Patrofia degli impulsi altruistici, sociali, estetici ; si distingue dalla follia morale, che consiste invece in impulsi anormali. Cfr. Sollier, Psychologie de l’idiot et de T'imbéoile, 1891 (v. obefrenia). Idolatria. T. Abgötterei; I. Idolatry; F. Idoldirio. Con- siste nell’ adorazione delle imagini come se fossero le stesso persone divine, ed è propria delle religioni primitive o dei popoli selvaggi. Essa ha origine dal simbolismo religioso. Da principio imagine divina, appena fabbricata, non è compresa che como un semplice simbolo; poi a poco a poco, continuando ad essere adorata, perde la sua natura di emblema ο di semplico analogia, per identifienri con l'oggetto reale del culto. Cfr. F. B. Jevona, L' idea di Dio 23 — Raxzorı, Di . di scienze filosofiche. Ino — 514 — nelle vel. primitive, trad. it. 1914, p. 4, 14 (v. feticiamo, religione, simbolismo). Idoli. Lat. Idola; Gr. Et2oXa. Bacone chiama così, nella prima parte del suo Organo, quelle anticipazioni ed errori che la mente umana aggiunge alla esporienza, falsando in tal modo il concetto della natura. « Gli idoli e le nozioni false, che invasero l’intelletto umano e vi gettarono radici profonde, non solo ingombrano le menti degli uomini in modo che la verità a mala pena vi può trovare accesso; ma anche se lo trovasse, ricompariranno di nuovo nella riforma delle scienze e saranno moleste, qualora gli nomini, preavvisati, non si muniscano al possibile contro di esso ». Egli enumera quattro classi di idoli da cui bisogna guar- darsi: 1. idola tribus, che sono inerenti alla stessa natura umana in generale, perchè l’anima dell’ uomo è come uno specchio male aggiustato, che, mescolando la propria na- tura a quella degli oggetti, li altera e li deforma; 2. idola spocus, che derivano dall’ individualità propria di ciascuno, perchè ciascuno di noi è prigioniero nello speco profondo dei suoi pregiudizi; 3. idola fori, che sono dovuti al lin- gnaggio e si assorbono col commercio degli altri nomini ; 4. idola theatri, che s’imparano nelle varie scuole filosofi- che, le quali sono appunto come tante finzioni teatrali, che l'autore ha cercato di rendere verosimili senza riuscirvi. Purificata l’esperienza da tutte queste illusioni, cossa il cömpito della parte negativa della logica (pars destruens) e comincia quello della parte positiva, che consiste nel riordinare i materiali ottenuti con l’ esperienza. Cfr. Ba- cone, Novum Organum, I, ΧΧΧΝΙΙΙ segg.; Do Dignitate, 1. V, cap. ıv, $ 8-10. Idolologia. T. Eidolologie. Una delle quattro parti cni di- videsi, secondo l’ Herbart, la metafisica. Essa move dall’ Io, di cui cerca levare In contraddizione, ο contiene quindi le fondamenta essenziali della psicologia. La parola idolologin si adopera anche con significato dispregiativo, per indicare una scienza di fantasmi, nna scienza costituita di astrazioni e di imagini vnote. Cfr. Herbart, Allgemeine Metaphysik, 1828, 1, p. 71. : Ignava ratio (ἀργὸς λόγος). Gli antichi logici chin- mavano così quel sofisma, che si fonda sopra una cogni- zione confusa ed erronea del soggetto. Cicerone ne reca questo esempio: se il fato ha predestinato che tu guarisca, guarirai, se ha predestinato che tn muoia, morrai, adoperi o no il medico; ma è certo che si compirà P ana o l’altra di queste due predestinazioni del fato, dunque à inutile che tn adoperi il medico. Il Rosmini chiama tale sofiama il pigro e lo pone nella categoria dei sofismi che derivano dall’ infinito non compreso: con esso infatti si parte dalla presupposizione di conoscore la maniera di operare del- lente infinito, non volendo confessare d’ignorarla, ο αἱ attribnisce quindi alla causa prima la maniera d’operaro delle canse seconde, che sole si conoscono. Cfr. Cicerone, De fato, 12, 28; Rosmini, Logica, 1853, § 714-715. Ignorabimus. La celebro formula con cui il fisiologo E. Dubois-Reymond esprimeva l’insolubilità assolta dei problemi metafisici, opponendola all’ ignoramus provvisorio della scienza intorno ai problemi d'ordine materiale. Co- dosti problemi insolubili ο enigmi dell’ unirersn sono sette: l'essenza della materia ο della forza; l’origine del movi- mento; l’origine delle sensazioni elomentari ; la libertà del volere; l’origine della vita; la finalità della natura; l’ori- gine del pensiero ο del linguaggio umano. La parola igno- rabimua è divenuta poi il simbolo usuale dell’ agnosticismo scientifico. Va notato, infine, che il punto di partenza del- l’agnosticismo sia del Dubois-Reymond sin di molti altri scienziati, è il presupposto che la sola vera scionza rin In meocaniea e cho conoscero significhi soltanto formulare meccanienmento: ogni voluta teleologien, estetica o valu- tativa è nna concezione antropomortica, dalla quale bisogna liherarsi per non considerare il mondo che sotto l'aspetto Ton — 516 — quantitativo del movimento delle masse materiali. Cfr. Du- bois-Reymond, Über die Grenson des Naturerkennens, 1872; 1d., Die sieben Welträtsel, 1882; De Sarlo, Studi sulla fil. con- temporanea, 1901, p. 2 segg.; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo, i suoî significati e le sue forme, in Linguaggio dei filosofi, 1913, p. 105-154. Ignoranza. Lat. Ignorantia; T. Unwissenheit; I. Igno- ranco; F. Ignorance. Assenza di conoscenza intorno a qualche cosa. Gli scolastici ne distinguevano tre specie: ignorantia negativa ο simplicis negationis, la semplice mancanza di una conoscenza che non si è obbligati a possedere, ad es. In filosofia per una donna; i. privativa ο privationis, la man- eanza della conoscenza in chi è atto o obbligato ad averla, ad es. la storia della filosofia per un filosofo; i. pravae di- apositionis, U’ errore contrario alla conoscenza che uno devo avore, ossia l’ ignoranza colpevole. — Con I’ espressione dotta ignoranza (doota ignorantia), già usata da 8. Agostino, S. Bonaventura e resa celebre da Niccolò da Cusa, s'intende quel sapere di non sapere, che, nelle cose inacceı alla mente umana, come la natura di Dio, costituisce I unica forma di conoscenza © il segno della vera sapienza. Cfr. S. Agostino, Epist. ad Probam, Migne, ep. 130, C. 15, $ 28; Uchinger, Der Beyrif docta ignorantia in seiner geschichil. Entwicklung, « Arch. f. Gesch. d. Phil. », vol. VIII, 1895;. P. Rotta, Il pensiero di Niccolò da Cusa, 1911. Ignoratio elenchi (ἄγνοια ἐλέγχου). Termine della scolastica, con cui si designa quel sofisma, detto anche della questione sbagliata, che trao origine dal credere falsamento che l'opinione dell’ avversario sia contradditoria alla pro- pria, mentre non è. Con lo stesso nome si sogliono designare anche quei sofismi che si fondano sopra I’ ignoranza delle regole della contraddizione e della confutazione: come, nd esempio, se uno ignorasse che fra 1’ esser doppio dell’ uno © non esser doppio del tre non v’ ha contraddizione, perchè non è esser doppio e non doppio sotto lo stesso rispetto : ILL— 517 — 1 por tal modo la confutazione cho uno vi fondasse su non sarebbe che apparente. Cfr. Aristotele, Anal. pr., II, 20, 66 b, 11; De soph. elench., 6, 168 a, 18; Logique de Port- Royal, III, 19. Ignotum per ignotum. Espressione della scolastica, con cui si designa quella fallacia di ragionamento che con- siste nel pretendere di dimostrare nna cosa ignota per mezzo di un’altra ugualmente ignota, « Questa pretensione di far conoscere una cosa nota per un'altra ignota, osserva il Rosmini, è frequente ne’ semidotti, che nl ragionamento sostituiscono un gergo, che sorprende gli inesperti, una delle tanto arti della vanità umana ». Cfr. Rosmini, Logica, 1853, p. 278. Illasione v. conclusione. Illuminismo. T. Aufklärung. Si denomina così quel largo e complesso movimento degli spiriti, verificatosi nel sec. XVIII ed estesosi a tutti i popoli di cultura europea, che ha questi principali caratteri: disdegno per le sotti- gliezzo dialettiche, conceziono pratica della filosofia come sapienza della vita, studio apparsionato dei problemi ri- guardanti l'essenza dell’uomo 6 la sua posizione nel mondo; ricerca della possibilità e dei limiti della conoscenza scien- titica; penetrazione della filosofia nella cerchia della cultura generale e sua fusione col movimento letterario. L’ illumi- mo 8'inizia in Inghilterra, ove, dopo il periodo rivolu- zionario, la lotteratura e la filosofia avevano raggiunto un grande sviluppo; di qui passa in Francia, acquistandovi un carattere più vivace e una tendenza decisamente ribello contro l'ordinamento contemporaneo dello Stato ο della Chiesa; dalla Francia si diffonde poi in Germania, già in- tollettualmento preparata a riceverlo e dove esso raggiungo la sun più nobile espressione nella poesia tedesca. Corifeo dell’ illuminismo inglese è Giovanni Locke, perchè seppe trovare una forma piana e popolare di esposizione empirico- psicologica per le linee generali della concezione cartesiana. ILL — 518 — Del’ illuminismo francese è pioniere Pietro Bayle, il cui Dizionario promuove la tendenza della cultura verso lo scetticismo religioso; Voltaire è il grande scrittore che a questa tendenza diede la più eloquente espressione. La Germania era già conquistata al movimento dell’ illumini- smo mediante la filosofia del Leibnitz ο il gran successo cattedratico ottenuto da Cristiano Wolf ; qui, per mancanza d’un pubblico interesse unitario, lo idee dell'illuminismo assunsero nel campo psicologico, politico e religioso una grande varietà, ma senza un nuovo spirito creatore, finchè non furono portate a maggiore altezza dal movimento poe- tico ο dalla grande personalità di un Lessing e di un Herder. «Cfr. E. Zeller, Geschichte d. deutschen Philosophie seit Leib- nilz, 1873; Leslie Stephen, History of english thought in the 184 contury, 1876; Ph. Damiron, Mémoires pour servir à l'histoire de la philosophie au 18me sidole, 1858-64; Windel- band, Storia della flosofia, trad. it. 1913, vol. I, p. 85 segg.; II, p. 115 segg. Illusione. T. JUusion, Täuschung; I. Ilusion; F. Illusion. Fenomeno psicologico, che dipende, como l'allucinazione, da una sovreceitazione dei centri corebrali ο periferici; ma mentre l’allucinazione consiste nel porre come realo ciò che è puramonte mentale, 1’ illusione consiste invece nol percepire l'oggetto diverso da quello che realmonto è, as- suciando alla sensazione di esso imagini latenti nei centri sensitivi. L'illusione si può dunque definire quel fenomeno per cui s’intograno i dati sensibili attuali con dati mentali preformati, non conformi alla reale natura dell'oggetto. «Ρος illusione s’ intonde, dice lo Zichen, quella sensazione per la quale esiste realmente uno stimolo esteriore, ma cho non corrisponde qualitativamente a codesto stimolo ». Secondo I’ Ebbinghaus, il processo psicologico dell'illusione può svolgersi in due modi diversi; nell’ uno « vi è con- traddizione tra la realtà obbiettiva, quale noi la preve- diamo in base alle leggi della vita psichica, ed uno dei — 519 — IuL suoi stati occezionali dovuto alle loggi della natura >; nel- l’altro « le impressioni prodotte sono modificate e deviate nel senso delle rappresentazioni esistenti, cosicchè le stesse eccitazioni obbiettive sono percepite in modo diverso a se- conds doi pensieri © delle conoscenze relativo a quelle che già si posseggono ». La distinzione fra illusione e allucina- zione non è sempre praticamente possibile, perchè non sem- pre si può dire se si tratti di nn oggetto esterno falsamente percepito, o di una rappresentazione formatasi noi centri cerebrali indipendentemente dal mondo esterno. D'altro cuuto, spesso le illusioni si convertono gradatamente in al- Incinazioni: « Il grado dell’ illusione, dice il Sully, cresco proporzionalmento al orescere della forza dell’ elemento imagiuntivo rispetto alle impressioni attuali, finchè nelle illusioni sregolste del pazzo la quantità delle impressioni attuali diventa evanescente. Quando questo punto è rag- giunto, l’atto della imaginazione si mostra come un pro- cesso puramente creativo, ossis come una allucinazione ». L’ illusione apparisce in parecchie malattio mentali, spe- cie nella paranoia tipica ο nella mania. In quest’ ultima gran parte della sintomatologia è costituita appunto dalle illu V ammalato vede gli oggetti rovesciati, impic- cioliti o smisuratamente ingranditi, scambia 1) infermiore con un amico, un parente, una persona illustre; un mobile, un bicchiere, assume ai suoi occhi delle proporzioni fanta- stiche © spaventose; i minimi rumori che giungono al suo orecchio diventano schiamaszi sssordunti o musica piace- volissima ; le bevande hanno talvolta il gusto di nettaro delizioso, tal’ altra di un liquido avvelenato. Ms l'illusione può avvenire anche negli animali e nell’ uomo solo per of- fetto di distrazione o di suggestione. Si dicono iMusion gli amputati quelle per cui, per un tempo più o meno lungo dopo l’amputezione di uu arto, l'individuo sente |’ arto stesso al sno posto abituale e prova acuti dolori, specio alla ana estremità. Questo fatto, secondo alcuni, è di na- IL — 520 — tura puramente intellettuale; secondo altri dipenderebbo dalla irritazione delle fibre nervose contenute nella cica- trice del moncone. Diconsi illusioni della memoria, per di- stinguerle dalle sensoriali, quelle per cui i ricordi non sono più giustamente associati fra loro nella loro successione nel tempo, ο ai ricordi esatti si mescolano prodotti della fantasia; e quelle per cni si riconosce falsamente ciò che in realtà è percepito o conosciuto per la prima volta. Di- così #llusione di Aristotele quella per cui, quando #’ incrocin il dito indice col medio ο s’interpone tra i polpastrelli delle due dita una pallina posta sul tavolo, sembra di tovcare due distinte pallino; illusione paradossale quella che si verifica talvolta nella misura della sensibilità tat- tile per mozzo del compasso di Werber e che consiste nella falsa percezione di duo punte, quando in realtà vi è lo stimolo d’una sola punta; illusione del Rivers quella nella quale, toccando con due baochettino i due bordi dello ditu che nell’incrociamento guardano lateralmente, si ha l’im- pressione di una bacchetta nelle dita; ilusioni ottiohe-geo- metriche, tutti quegli errori di giudizio che commettiamo sorvendoci dell’ occhio come misura della grandezza, errori il cui studio entrò nella scienza spocialmente con l’Oppel ο P Helmholtz, od è oggi oggetto importante di ricerca in tutti i Inboratori di psicologia sperimentale ; osso sono spie- gato como prodotte sia dai movimenti degli occhi (Wundt, Binet), sia dall’ irradiaziono (Lehman), sia da cause psicolo- giohe (Lippe, Benussi). Infine, estendendo illegittimamente il significato della parola, si parla talora di illusioni logiche, metafisiche, estetiche e morali : le prime sarebbero i sofismi, le seconde gli scambi dei fenomeni con le cose stesse, le terze gli scambi dello rappresentazioni artistiche degli oggetti con gli oggotti stessi, dolle apparenze gradevoli con la verità, lo ultime quelle con cui circondiamo la vita di speranze, desi- deri, aspirazioni, ecc. Cfr. Mach, Sitsungaber. d, Wiener Akad., 1861; Lipps, Raumäntelik u. geom. opt. Täuschungen, 1897 ; — 521 — ILL-ILo Th. Zichen, Leitfaden d. physiol. Psyoologie, 1893, p. 182; Wandt, Grundries d. Peychol., 1896, p. 274 segg.; Sully, Outlines of Paychol., 1885; Id., Illusions, 1881, p. 120; Ebbinghaus, Préois de psychologie, trad. franc. 1912, p. 168- 171; M. Foucault, 1 illusion paradozale, 1910; Ardigò, Op. fil., IV, 381 segg.; Botti, R. Aco. delle scienze di Το- rino, 1908-1908; A. Pegrassi, Le illusioni otticho nelle figure planimetriche, 1904 (v. riconoscimento, poramneria). Illusionismo. T. Iusioninmus; I. Illusioniem ; F. Ilu- sionisme, Con questo termine, che ha sempre significato peggiorativo, #’ indicano talvolta le dottrine che risolvono la conoscenza nel fenomeno, o non ammettono altra cer- tezza che quella che l'individuo ha dei propri stati di co- scienza, considerando quindi il mondo esterno como nn puro fantasma mentale. S’applica anche alla dottrina di Cartesio, Malebranche, Fénelon, che pono il mondo esterno como problematico. Dico il Fénelon: Tous ces 6ires, dis-je, peurent avoir rien de réel et n'être qu'une puro illusion qui κο passo toute entière on dedans de moi seul, Talvolta è dotta illusionismo anche la dottrina dello Schopenhauer, in quanto considera la natura estoriure, così come ci appare estesa nollo spazio o perdurante nel tempo, come un fantasma, un fo- nomeno cerebrale. Cfr. Fénelon, De Vezistenoe et des attr. de Dieu, 1861, p. 120. Ilosoismo (Όλη = materia, {Gov — animale). T. Hylo- zotemus; I. Hylozotem; F. Hylozoisme. Dottrina filosofica la quale considera come inseparabili la materia ο il principio della vita e pono quindi la materia come vivente, sin in sò stessa sia in quanto partecipa all’azione di un’ anima del mondo. Il vocabolo fu usato la prima volta dal Cudworth, la cui dottrina delle nature plastiche è ilozoistica. L’ ilozoismo si distingue dal materialismo ο dallo spiritualismo in quanto nè fa risultare la vita da una combinazione meccanica di parti preesistenti, nd la fa derivare da un principio superiore o separato, Dio, Idea, Spirito, cho formi © vivifichi la ma- Ima teria, ma considera la materia come attiva 0 vivente, do- tata cioè di spontancità ο di sensibilità. L’ ilozoismo è dot- trina propria della scuola ionica, e più tardi della stoica. ‘Tra quella e questa sta l’ilozoismo di Stratone di Lump- sco, che concepisce la forza divina come immanente nella natura stessa, In quale contiene in sò le cause della gene- razione e della dissoluzione : Strato, qui omnem vim dirinam in natura sitam esse censet, dice Cicerone, quae oausas gi- gnendi, augendi, minuendi habeat, sed careat omni sensu et figura, Esso ricompare poi, con caratteri diversi, nei filosofi naturalisti del Rinuscimento, e in F. Glisson, H. More, Diderot, Buffon, Robinet. Nei tempi moderni I’ ilozoismo ha assunto, specialmente con Czolbo, Noiré ο con 1’ Hae- ckel, la forma più scientifica del pampsichismo. Cfr. Aristo- telo, De An., I, 1,3; Cicerone, De nat. deorum, I, 13; A. G. Pari, Ricerche analitico-razionali sopra la fisica, l'analisi ο la vita della molecola chimica, 1834; Hacckol, Natürliche Schopfungageschiohle, 1889, p. 20 segg. (v. genorazione, me- diatore plastico). Imaginazione. T. Einbildungskraft, Phantasie; 1. Ima- ginalion; F. Imagination. Nol suo senso più largo è l'atti- tudino a riprodurre delle sensazioni passate; in senso stretto è la facoltà di croare delle nuove rappresentazioni concrete. Il primo significato è il più antico; così Hobbes dico che ima- ginatio nihil aliud est re vera quam propter obieoti remotionem languoscena vel debilitata sensio ; Cr. Wolf: faoultas producendi perceptiones rerum sensibilium absentium faoultates imaginandi seu imaginatio appellatur; Galluppi: « l'imaginazione è In potenza dello spirito di avere nell’assenza di un oggetto sen- sibilo la sua idea ». Il Reid restringeva ancor più il signifi- cato del vocabolo, ritenendo che soltanto le sensazioni visive potessero servire di materia alla imaginazione. Per 1’ Ha- milton « l' imaginazione, nel suo più largo significato, è la facoltà rappresentativa dei fenomeni sia del mondo esterno sia dell’ interno »; egli nota giustumente cho « imaginazione è parola ambigua, in quanto esprime sia 1’ alto dell’ ima- ginare, sia il prodotto dell’ atto medesimo, ciod 1’ imagine imaginata ». La stessa osservazione fa James Mill: « L'ima- ginazione ha due significati. Essa designa sia una certa at- tività, sia la potenzialità di una attività. Sono due significati che è assai necessario non confondere ». Per materia 0 conte- nuto dell’ imaginazione si intende l’insieme delle sensazioni che entrano a costituirla; por forma dell’ imaginazione si intendono invece lo operazioni di accrescimento, diminu- ziono, sostituzione, dissociazione e associazione con cui lo spirito trasforma le imagini. Quasi tutti i psicologi mo- derni sono concordi nel distinguere due forme fondamentali di imaginazione : l'una, detta riproduttita ο rappresentativa, è quella che consisto nella semplice riproduzione delle ima- gini passate; l’altra, detta oreatrice, novatrice, incentiva, produttiva, costruttica è quella che si vale del materiale offerto dall’ esperienza per oreare imagini nuove, medianto le operazioni psicologiche dell’ astrazione, della determina zione e della combinazione. Tra questo due forme princi pali, alcuni pongono una forma intermedia, detta com! natrice, che consiste nel decomporre e ricomporre, più o meno coscientemente, le rappresentazioni, in modo da 80- stituire al reale il fantastico. Le ricerche della moderna psicologia dimostrano che I’ imnginaziono non crea nessun nuovo contenuto; così il cieco nato non può avere imagini visivo; anzi il Jastrow ha provato che se la vista si perdo fra il quinto e il settimo anno, i centri visivi subiscono un regresso funzionale, per cui la facoltà della imagina- zione visiva si perde gradatamente. Molti psicologi unifi- cano l’imaginazione riproduttiva alla memoria, riserbando alla creatrice il nome di imaginazione: altri invece la vo- glion distinta dalla memoria in quanto montre in quella è assente ogni idea del passato, e la rappresentazione dell’og- gotto è talmente viva e distinta da sembraro cosa presente, nella memoria è essenziale ο caratteristico il riforimento al Ima — 524 — passato. Il Wundt distingue invece 1) imaginaziono in attira © passiva: l’attiva è quella in cui la volontà opera una scelta fra le varie rappresontazioni che si offrono alla oo- casione di una uguale dissociazione, e per tal modo com- para, conforme a un piano, il particolare per convertirlo in un tutto; è passiva quando noi ci abbandoniamo al gioco delle rappresentazioni eccitate nel nostro spirito da una rappresentazione generale qualunque. Analoga a que- sta, è la distinzione dell’ imaginazione in rolontaria ο an- lomatica, oppure quella in sensitiva ο intelletlica ο riflessa. Altra divisione comunissima è quella dell’ imaginaziono in viviva, uditica ο motrice: essa si fonda sul fatto che lo imagini dotate di maggior chiarezza o precisione sono quelle prove- nienti dalla vista, dall’ udito e dal senso muscolare, o che individuo prevale quella di queste tre forme di ima- ginazione, che corrisponde alla maggiore finezza d’ uno dei suoi sensi. Ricordiamo infine che, rispetto all’ oggetto cui si applica, l’imaginazione inventiva à stata distinta nello tro varietà di artistica, scientifica ο pratica, ciascuna delle quali comprende tante speoie quanti sono i gruppi di arti, di scienze ο di attività in cui si estrinseen In vita dello spirito. Cfr. Hobbes, De corp., ο. 25 ; Crist. Wolf, Payohol. empirica, 1738, 692; Galluppi, El. di filosofia, 1820, vol. I, p. 181; Hamilton, Reid's Works, 1863, p. 291, 809; J. Mill, «Anal. of the hum. mind, 1871, II, 239; Wundt, Grundzüge à. phys. paychol., 1893, vol. II, p. 1 segg.; Ribot, Kesai eur l'imagination creatrice, 1900; L. Dugas, L'imagination, 1903; A. Schöppa, L’imagination, sa nature et son importance pour la vie mentale, 1909; G. A. Colozza, 1 imaginazione nella scienza, 1900; A. Murchesini, 1? imaginazione creatrice nella filosofia, cd. Paravia (v. imagine, fantasia, dissociazione). Imagine. T. Bild, Vorstellung; I. Image; F. Image. In senso ristretto è il contenuto d’una presentazione ο rappre- sentazione, specialmente visiva. In senso generale è sino- nimo di rappresentazione e di percezione mediata, © indica il — 525 — Ins fatto del riprodursi di sensazioni passate senza lo stimolo diretto dell’ oggetto sensibile. Il sorgere delle imagini è de- terminato non da uno stimolo esterno o interno, ma da ımo stimolo intorcerebrale, e condizionato al persistere dello impressioni sensibili. Le sensazioni che più facilmento si ri- producono sono quelle della vista e dell’ udito; ma si hanno anche imagini tattili, olfattive, termiche, muscolari, occ. Dicosi imagine retinica quella proiettata dagli oggetti culla retina; imaginé postume quelle prodotte da un oggetto in movimento, la oni velocità è tale che, prima che sia esanrita l'eccitazione prodotta da una località dell'oggetto mede- simo, sorge I’ eccitazione della località vicina; imagini ipna- gogicke quella serie di imagini allucinatorie ο illusorio che costituiscono il sogno; imagini entoptiche le sensazioni vi- sive prodotte da una eccitazione della retina, detorminata «a un qualunque stimolo che non siano le vibrazioni In- minose, come l'alterazione dei tessuti, l’ applicazione di sostanze chimiche, la pressione, ecc.; fmagini conecoutire quelle che persistono nell’ occhio quando è cessato lo sti- molo diretto dell’ oggetto esterno. Lo imagini consecutiv dovuto forse ni processi chimici della retina, per i quali si ha la visione, sono dapprima negatire ο complementari, per divenire poi positire ο di ugnal colore; vale a diro cho da prima gli oggetti chiari appaiono neri, i nori chiari, i colorati del colore contrario o complementare ; poi le im gini sia eromatiche che acromatiche tornano a comparire colle stosso proprietà di colore e di chiarezza degli oggetti reali. Cfr. J. Philippe, L'image mentale, 1903 ; E. Peillanbe, Les images, 1911 (v. contrasto, stroboncopio, stimolo, imagi- nazione). Imbecillità. T. Schwachsinn; I. Imbecillity, Mental wea- chness; F. Imbécillité, Appartione al gruppo delle frenastenie o arresti di sviluppo psichico, ¢ presenta una grande varietà sin di formo cho di gradi. Vi è l’imbecillità morale, in cni, rimanendo intatta o quasi l'intelligenza, è profondamente Im — 526 — turbata l’affettività, scarso e quasi nullo il senso morale, debole V inibizione; l’imbecillità geniale, in cui, fra mezzo al turbamento di alenne attività psichiche, altre presentano un grado anormale di sviluppo, come la memoria, specie musicale, e ’ attitudine a determinati lavori manuali; 1’ im- becillità parziale, che colpisce solo una sfera della vita psichica; l’imbecillità totale che la colpisce tntta. Si può dire che tante sono le forme d’imbecillità quanti i caratteri umani ο che gli elementi comuni a quasi tutte sono I’ insta- bilità dell’ attenzione, la debolezza delle capacità logiche, la mancanza d'iniziativa ragionata e l'irregolarità della condotta. Cfr. Sollier, Payohologie de l’idiot et de Vimbécile, 1891 (v. ebafrenia, idiotiemo). Imitazione. T. Nachahmung; I. Imitation; F. Imitation. Psicologieamente indica ogni fenomeno psichico, cosciente © no, che ha per carattere di riprodurre un fenomeno psi- chico anteriore. Nell’ estetica, 1’ imitazione della natura fu considerata per lungo tempo, cominciando da Platone e da ‘Aristotele per venire fino al Batteux, come l'essenza del- Parte. Così per Aristotele la radice psicologica dell’ arto sta nel piacero che si prova nell’ imitazione, piacere che, in ultima analisi, non è che un effetto dell'impulso a co- noscore, in quanto noi riconosciamo nell’ imagine 1’ oggetto rappresentato ; 1’ imaginazione artistica ai elova al di sopra dell’imitazione comune in quanto Jo sue imagini non ritrag- gono gid le cose e le azioni, offerte dalla realtà, come pure copie o riproduzioni, ma come rappresentazioni della vera essenza di esse, non come sono, ma come potrebbero ο do- vrebbero essere, ola ἄν γένοιτο; in tal modo l'imitazione estetica ottiene che i sentimenti, suscitati dall'opera d’arte secondo la sua particolare natura, abbiano nello spettatore un’ eco di purità e di pienezza. La teoria dell’arte como imi- tazione è ancora accettata da molti, a malgrado delle gravi obiezioni rivolto contro di essa in ogni tempo; si è detto infatti che l'imitazione della natura è non solo una inntile — 527 — Im ripetizione di ciò che la natura stessa offre spontaneamente, ma è anche umiliante per l’uomo, che di fronte ad essa sento tutta la propria inferiorità; 1) imitazione è tanto più fredda quanto più vicina all’ originale, e, come ha fatto no- tare Kant, il canto dell’usignuolo, imitato dall’uomo, ci di- spiace non appena ci accorgiamo che è opera di un uomo; limitazione può forse giustificarsi nella pittara ο nella scul- tura, ma come sarebbe possibile nell’architettura, nella mu- sica, nella poesia? Si è osservato ancora che nella natura 0’ anche del brutto, e che, come scrisse lo Schelling « gli imitu- tori hanno l'abitudine di appropriarsi i difetti dei loro mo- delli piuttosto e più facilmente delle loro bellezze, perchd i primi sono più facili a cogliersi, più evidenti, più afferra- bili; perciò noi vediamo che, in tal senso, gli imitatori della natura imitano più spesso il brutto che il bello ed hanno persino una notevole predilezione verso il primo ». Hegel ha osservato che il vero piacere dell’uomo è nel creare non nell’imitare, e che l’arte risponde anzi al bisogno di sor- passare la realtà, idealizzandola: « Il principio dell’ imita- zione, essendo puramente esteriore e superficiale, è distrutto «quando si spieghi dandogli per fine l'imitazione del dello quale esiste negli oggetti. Limitazione deve essere fedele e nulla più. Parlare d’ una differenza tra gli oggetti come belli o brutti, è introdurre nel principio una distinzione che non contiene... La missione dell’ arte è di rappresentare, sotto forme sensibili, lo sviluppo libero della vita, e specialmento dello spirito. La verità nell’ arte non può dunque essere In semplioe fedeltà, a cui si limita quella che dicesi l’ imitazione della natura ». Tra le argomentazioni dei moderni segnaci dolls teoria della imitazione, rtporteremo soltanto questa d'un psicologo contemporaneo, l’Höffding: « La forma più semplice dell’ imaginazione artistica, è l’imifazione della natura, e, in un certo senso, non la sorpassa mai. Ben cogliere ο ben rendere il roale in tutta la sua ricchezza ο la sua individualità è un compito che non si può assolvero IMM — 528 — se non a condizione che l’intuizione e |’ imaginazione ab- binno raggiunto il loro più alto sviluppo. È questa la parte di realismo contenuta in ogni arte e che si manifesta ora come studio del dato, freddo ed imparziale, ora come una cenriosità simpatica e desiderosa di ben comprenderlo. Senza questa parte di realismo, l’arte vaga nel vuoto ». — Nella sociologia l’ imaginazione ha assunto una grande impor- tanza col Tarde, per il qualo la legge dell’ imitarione à il principio fondamentale su oui la vita sociale si regge: come il fotto meccanico elementare è la comunicazione e la mo- dificazione di un movimento determinato dall’azione di una molecola ο di una massa sopra un’ altra, così il fatto sociale elementare è « la comunicazione e la modificazione di uno stato di coscienza per l’azione di un essere cosciente esercitata sopra un altro ». I} Baldwin, che in parte concorda con le idee del Tarde, distinguo queste forme di imitazione: imitazione cosciente, in cui quello che imita sa che imita; sug- gestione imitativa, in cui chi imita non ha coscienza d’ imi- tare; imitazione plastica, ossia la conforinità subcosciente a tipi di pensiero e di azione, come avviene nelle folle; auto- imitazione, o imitazione di sò stesso con sò stesso; imitazione semplice e i. persistente, la prima delle quali si compie rapi- damente, mentre la seconda richiede una serie di sforzi per riusciro; imitazione istintiva ο i. volontaria, determinate da un atto di volontà o da un istinto. Cfr. Siebock, Arietotele. trad. it. Sandron, p. 140 segg.; Hegel, Système des beauz- arts, trad. franc. Bénard, t. I; Höffding, Psychologie, trad. frane. 1900, p. 240 segg.; Battenux, Les beauz-arte réduits à un même principe, 1747; Tarde, Les lois de l'imitation, 1890-95; Id., La logique sociale, 1895; Baldwin, Mental derelopment in the child and the race, 1895; Id., Social and ethical interpr. in mental development, 1897; G. Pistolesi, L’imitazione, 1909. Immanente. T. Immanent; I. Immanent: F. Immanont. Si oppone n trascendente ο n transitiro, qualche volta anche a esterno, e designa in generale ciò che risiede nell’ essere, — 529 — Imm l’azione per cui essere produce degli effetti in ed stosso. In un significato metafisico si applica a Dio, considerato como la causa sostanziale ed immanente di tutte le cose (pantei- smo); quindi tra Dio e il mondo non v’ ha alcuna distinzione. In senso psicologico si applica alle azioni umane, ο precisa- mente a quelle che non escono dai limiti della coscienza, che non si manifestano con effetti esteriori : così è imma- nente il pensiero, transitiva la volontà, almeno quando muove il corpo. L’ilozoismo consiste nel considerare In vita come una proprietà della materia ο quindi immanente alle cose; il dinamismo considera invece la forza come imma- nente all’essere. Gli scolastici contrapponevano l’aotio imma- nens all’actio transiens ; le azioni immanenti sono quelle, dice Goclenio, per quas passim, id est, subiectum non trasmutatur. Spinoza dice che « Dio è la causa immanente e non tran- sitiva di tutte lo cose. Tutte le cose che eslstono, esistono in Dio e devono essere concepite da Dio. Dunque Dio è la causa delle cose che esistono in lui;... inoltre fuori di Dio non esiste alcuna sostanza, alcuna cosa che esista in sè;... dunque Dio è la causa immanente di tutte le cose e non la loro causa transitiva ». Per Kant sono immanenti i principî la cui applicazione è strettamente racchiusa nei limiti dell'esperienza possibile; e l’uso di questi principi nel mondo dell'esperienza si chiama uso 4mmanente. Cfr. Goelenio, Lezicon phil., 1613, p. 1125 ; Spinoza, Ethica, 1. I, teor. 18; Kant, Proleg., § 40 (v. immanentismo, immanenza). Immanentismo. T. Immanentimus; I. Immanentiem : F. Immanentisme. Quell’ indirizzo della filosofa religiosa contemporanea, che considera la religione come nn risultato spontaneo di esigenze inestinguibili dello spirito umano, esigenze che trovano la loro soddisfazione nell'esperienza tima e affettiva della presenza del divino in noi ; esso perciò rigetta come convenzionale la rappresentazione astratta © frazionaria del reale, e non ammette le prove concettuali e discorsive dell’ esistenza di Dio. Esso si proclama in per- 34 — RanzoLi, Dizion. di si ‚nze filosofiche. Imm — 530 — fetto accordo con la tradizione, sia patristica, sia acolnstien: la prima infatti, considerando Varistotelismo como esizialo alla professione dell’ortodossia cristiana, ritenne la fede suftì- ciente a sd stessa; la seconda, pur caratterizzata dal soprav- vento preso dal realismo logico sull’intuizionismo mistico, non dimenticò mai l'argomento morale quando volle provare le realtà dello spirito, i loro valori e i loro destini. Tuttavia V immanentismo fu condannato dall’ enciclica Pascendi do- minioi gregis, che ne fissa così i due errori caratteristici : a) l'opinione che il sentimento religioso sorge per immanonza ritale dalle profondità della subcoscienza, e cho in tale im- manenza sta il germe di ogni religione; b) l'opinione cho Dio è immanente nell’uomo, il che implica logicamente cho l’azione di Dio si confonde con quella della natura ο che non csiste sovrannaturale. Contro queste acense gli immanen- tisti obbiottano che esse falsano In loro dottrina, la qualo non è quel grosso errore che 1’ enciclica sembra credere, ma anzi è la via seguita per giungere al divino da tutta la migliore tradiziono cristiana. Cfr. E. Thamiry, Les deux aspeots de Vimmanence et le problème religieux, 1908; La- berthonnière, Saggi di filosofia religiosa, trad. it. 1907; It programma dei modernisti, 1908, p. 97-112 (v. agnosticiamo, credenza, fode, fideiemo, immanensa, modernismo). Immanenza. T. Immanens ; I. Immanence; F. Immanence. Carattere di ogni attività che risiede nell’ essere, e trova nell’ essere stesso il suo principio e il sno fine. Si può con- siderare sotto due aspetti : quello dell’ immanenza assoluta, che esolude la possibilità di qualsiasi influenza esteriore snl soggetto dell'attività immanente, il quale sarebbe come un sistema chiuso in sè, indipendente, sufficiente a sò stesso; quello dell’immanenza relativa, per cni l’attività immanente nel soggetto ha bisogno, per esplicarsi, di arriochirsi di dati esteriori ο implica per ciò stesso l’ esistenza di un trascen- dente. — Dicesi filosofia dell’ immanenza (Immanensphiloso- phie), l'indirizzo rnppresentnto da W. Schuppe, Rehmke, — 581 — Imm Leclair, Schubert-Soldern, eeo., sorto nella seconda metà del secolo scorso in Germania, secondo il quale l’ universo è immanente nella coscienza dell'individuo, non essendovi altro realtà che la percezione immediata della coscienza personale. Per esso non è quindi vera scienza se non quella del fatto, cioè della sensazione pura; l'oggetto non è co- nosciuto che come contenuto della coscienza e il soggetto non è che il centro delle relazioni degli oggetti; i concetti sono di origine sensibile e la loro obiettività non è altro che la permanente possibilità di certi gruppi di sensa- zioni, di fronte al variare di tutto il resto: « Per la teoria della conoscenza, dice lo Schubert-Soldern, il mondo non è altro che ciò che è dato immediatamente nel complesso della coscienza (Betrusstecinezusammentang).... È vuota pre- tesa quella di poter andare oltre.... La coscienza è rile- vabile soltanto per il suo contenuto; nulla è per sì, nd come cosa nd come proprietà... ciod come la cosa atta ad avere corcienza di altre cose, als die Fähigkeit dieses Dinges sich anderer Dinge bewusst zu sein oder zu werden ». Questa dottrina ha stretta affinità col fenomenismo e con l'empi- rismo radicale ο empiriocriticismo : tutte queste dottrine tendono infatti a ridurre tutta la realtà a quella sperimen- tale, identificando poi l’esperienza col complesso dei fatti e stati di coscienza, ed escludendo sia la trascendenza del- l'oggetto rispetto alla coscienza individuale, sia la trascen- denza di esseri ο cause sottostanti all’ insieme dei fenomeni costituenti l’universo. — Dicesi principio d’immanenza la proposizione che sta a base dell’immanentismo; essa è espressa in modi differenti dal Le Roy e dal Blondel. Secondo il primo, essa esprime che « la realtà non è fatta di porzioni distinte, sovrapposte; tutto è interiore a tutto ; nei minimi dettagli della natura o della scienza, l’analisi ritrova tntta la natura e tutta la scienza; ciascuno dei nostri stati e dei nostri atti involge la nostra anima intera e la totalità dello sue potenzo; in una parola, il pensiero s'implica totalmento in ciasenno Imm — 532 — dei suoi momenti ο gradi »; quindi per noi non esistono mai dei dati puramente esterni, ο l’esperienza, anzichè un’acqui- sizione di cose a noi straniere, è invece un passaggio dall’im- plicito all’ esplicito, un movimento in profondità che rivela ricchezze latenti nel sistema dol sapere. Per il Blondel il principio d’immanenzs consiste in questa affermazione, cho N. Tommaso enuncia senza alcuna restrizione, gisechd lu formula persino a proposito dell’ ordine sovrannaturale : Nihil potest ordinari in finem aliquem, nisi pracezistat in ipso quaedam proportio ad finem. « Io non ho fatto altro, dice il Blondel, che tradurre codesta verità essenziale ed univer- sale, ricordando che nulla infatti può entrare nell’ uomo se non corrisponde in qualche modo αἱ suo bisogno d’ espa sione, qualunque sia del resto l’origine e la natura di desto appetito ». Cfr. Le Roy, Dogme et oritique, p. 9-10; Blondel, Lettre eur l’apologetique, p. 28; Bulletin de la Société française de phil., agosto 1908, p. 325 segg.; Schubert-Sol- dern, Grundl. d. Erkenntnistkeorie, 1884, p. 64-67; Schuppe, Erkenntnistheoretische Logik, 1878, p. 63-69; Lans, Idealiemus und Positiviemus, 1879, vol. I, p. 183; A. Polazza, Guglielmo Schuppe e la filosofia dell’ immanenza. 1914. Immaterialismo.T. Immaterialiemus; I. Immaterialiem ; F. Immaterialisme. Termine erento da Berkeley per opposi- zione a materialismo. Si dice di tutte quelle dottrine gno- scologiche e metafisiche, che considerano 1’ osistenza della inatoria come una semplice parvenza, una illusione dei no- stri sensi; l’esistonza dei corpi si riduce al loro esser por- copiti: esse est percipi. È immatorialiamo la dottrina di Pla- tone, per il quale la realtà superiore dell’ essere, la ver essenza (οὐσία) conosciuta dal pensiero, è il mondo immn- terinle delle idee; montre il mondo materiale costitaisee uns sfera inferiore, la sfera del divenire (Ὑάνεσις), oggetto della percezione @ della opinione. Anche l’idealismo me- tnfisico del Berkeley è un vero o proprio immaterialismo. Cr. Berkeley, Dialogues betwen Hylas and Philonous, 1713, — 533 — IMM d. 111; B. Croce, L’immaterialismo del Berkeley, « La Critica», 1909, p. 77-81. Immediato. 1. Unmittelbar ; I. Immediate; F. Immédiat. Ciò che si realizza senza bisogno di intermediari. Perciò dicesi inferenza immediata l'operazione logica con cui da un giu termedi ; conoscenza immediata o intui alla discorsiva, dicesi quella che lo atto unico © non con una successione di atti; successione im- mediata quella in cui il finire del primo fenomeno è l’istauto stesso in cui il secondo comincia ; contatto immediato quello che osiste fra due corpi sovrapposti che coincidono gev- motricamente per una superficie, una linea o un punto. Immediazione. Lat. Immediatio. Nel realismo ontolugico si designa con questo termine la conoscenza immeiliata, cioè l'identità del soggetto e dell’ oggetto. Immediatio virtatin, nel linguaggio scolastico, si ha quando V’ agente si con- giuuge al paziente nell’operare per virtù ed energie pro- pria, senza intervento di altra virtù intermediaria, Immensitä. T. ('nermesslichkeit ; I. Immensity; F. Im- mensité. Uno degli attributi di Dio, che consiste nol tro- varsi egli presente in ogni luogo per la sua potenza, senza tuttavia essere esteso nello spazio, e nell’ agiro sopra tutti i punti dello spazio, senza trovarsi sostanzialmente in al- cenno. Secondo altri tilosofi 1’ immensità divina non sarebbe che lo spazio infinito, che è puro un attributo di Dio (v. elernità). Immoralismo. T. Immoralismus; I. Immoraliem ; F. Im- moralismo. Termine creato dal Nietzsche, che con esso vu- leva intitolare la terza parte del suo libro sopra La rolontà di potenza. Ora si applica sia alla dottrina dol Nietzsche stesso, sia ad ogni dottrina che sostenga che la moralità, nel significato comune della parola, debba essere sostituita da una scala di valori affatto diversa, e anche opposta nella maggior parte dei punti, In questo senso il termine jo se ne ricava un altro senza il sussidio di giudizi in- a, per opposizione Imm — 534 — immoralismo non sembra usato adeguatamente, giacchè tali dottrine, anzichò sopprimere la moralità, vogliono sostituirla con una nuova, Il Fouillée distingue l’ immoralismo dal- V amoraliemo ; questo non ammette che giudizi di fatto, ne- gundo i giudizi di valoro, e în tal modo nega esplicitamente la morale; quello, invece, non solo noga l’esistenza della morale, ma pretende che la condotta debba essere regolata da valori che sono én opposizione con la morale, che sono antimorali. È chiaro, ad ogni modo, che il significato del termine amoralismo à relativo al senso attribuito alla pu- rola moralità. Cfr. A. W. Benn, The morale of a immoraliat, «Int. jurnal of Ethics », gennaio 1909; A. Fouillée, Nietz- sche et Pimmoralisme, 2° ed. 1902. Immortalità. T. Unsterblichkeit; I. Immortality ; F. Im- mortalité. Crodenza antichissima, che si congiungo a quella dell'esistenza di Dio, ο che fu esposta per la prima volta in tutta la sua purezza da Platone. Essa osprime la pro- prietà essenziale dell’ anima umana di non vivero una vita legata alle leggi del tempo, di non avere ciod nd principio nè fine. Si riconnotte alle altre proprietà essenziali del- l’anima, che sono l’unicità, l'identità, 1’ inestensione, V im- materialità. Le prove principali per dimostrarla sono tre: 1. prova ontologica o metafisica: l’anima principio inesteso della vita intellettiva distinto del corpo, non potrebbe esser fatta perire nd da Dio, come dimostra la teodicea, ne da un’ intima corruzione, perchè semplice, ud dagli agenti na- turali, perchd l’atto, con cui essa è unita al corpo, è im- modiato © nulla potrobbe frapporvisi ; 2. prova pricologica : essondo la natura di un ossere appropriata al suo destino, © la brevità o gli ostacoli della vita non permettondo di raggiungere quello sviluppo per il quale ogni funzione psi- chiea sembra csser fatta, bisogna ammettere una nuova vita sovrasensibile ο infinita în oui s’attui codesto ideale di perfezione; 3. prova morale: la logge morale ci obbliga a praticare la virtù: prima delle virtù è la giustizia, che — 535 — Imm dev’ essero osservata non solo nei rapporti recipruci degli nomini, ma ancho dallo stesso autore della legge morale verso tutti; ora, siccome in questa vita non sempre la virtà è premiata © il vizio è punito, è forza ammettere l'esistenza di un’ altra vita in cui si attui l'ideale di giu- stizia. Quanto al modo come 1’ immortalità è stata intesa dai principali filosofi, Socrate si comportò da scettico di fronte alla fede nell’immortalità personale, come appure doll’ Apologia platonica. La dottrina filosofica dell’ immor- talità personale è prosentata per la prima volta da Platone, per il quale.l’ anima, se appartiene al mondo inferiore del divenire come principio della vita e del movimento, me- diante la vera conoscenza partecipa anche delle idee della realtà superiore, dell'essere permanente: essa ha quindi uns posizione intermedia, ο cioè non l'essenza infinitamente immutata delle idee, ma una vitalità che sopravvive al cangiamento, vale a dire l'immortalità, le cui prove più efficaci Platone deduce appunto, nel Fedone, dallo parentela dell’ anima con I’ eterno per la conoscenza che essa ha delle idee. Per Aristotele è immortale solo una « parte » del- l'anima, cioè l'intelletto attivo, che rappresenta l’unità pura, comune » tutti gli nomini, della ragione, e, in quanto non divenuto, è imperituro; invece l'intelletto passivo, in quanto è il modo fenomenico individuale dato nella disposizione na- turale dell'individuo © determinato dalle circostanze della aus esperienza personale, passa con gli individni stessi. Por gli stoici l’anima individuale, non ossendo che una parte dell’ anima generale del mondo, ha una autonomia limitata nel tempo e la sua ultima sorte è di essero riassorbita, nell’ eepirosi finale, nello spirito divino univoreale ; quanto alla durata dell'immortalità individuale, alcuni stoici Pat- tribuirono a tutte le anime fino alla conflagrazione finale del mondo, altri la riserbarono solo ai sapienti. Per gli apolo- geti cristiani 1’ immortalità dell’ anima è una grazia divina, per 8. Agostino è una conseguenza della sua partecipazione Inn — 536 — alle verità eterno, per Alberto Magno deriva dall’ casero Vanima ex se ipsa causa, indipendente dal corpo, per 8. Tom- maso dall'essere l’anima una forma separata, cioè una intel- ligenza pura, immateriale. Per Spinoza l’anima umana è oterna perchò v’ ha necessariamente, in Dio, un concetto o un’ idea cho esprime l'essenza del corpo umano, e codesta idea è perciò nocessariamente qualcho cosa che si riferisce all'essenza dell'anima; « poichè ciò che è concepito dall’es- senza di Dio con una necessità eterna è qualche cosa, questo qualche cosa che si riferisce all'essenza dell’anima, è neccs- sariamonte oterno ». Per Leibnitz non v’ha mai genorazior intra nd morte porfetta, consistente cioè nella separazi dell’ anima, 0 cid che noi diciamo generazioni sono sviluppi © acerescimenti, cid che diciamo morti sono involuzioni ο diminuzioni; perciò « si può dire che non solo l’anima, specchio d’ un universo indistruttibile, è indistruttibile, ma tale è anche l’animale, sebbene la sua macchina perisca sovente in parte ο lasci o prenda delle spoglio organiche ». Por Kant è un postulato della ragion pura pratica, della possibilità ciod, per un essere finito, di realizzare la per- fezione moralo, sotto la forma di un progresso indefinito vorso la santità: « La conformità della volontà alla legge moralo, ossia la santità, è una perfezione di cui nessun ossere ragionevole è capace nel mondo sensibile, in nessun momento della sua esistenza. E poichò casa è tuttavia una osigenza praticamente necessaria, bisogna dunque cercarla in un progresso indefinitamente continuo verso codosta per- fotta conformità; 0, secondo i principi della ragion pura pratica, è necessario ammettere codesto progresso pratico come l'oggetto reale della nostra volontà. Ora, codesto progresso indefinito non è possibile che supponendo una esistenza 9 una personalità dell'essere ragionevole persistenti indefinitamente, ossia ciò che si chiama immortalità del- l’anima, Il sommo bene non è dunque praticamente pos- sibile che con la supposizione dell'immortalità dell'anima, — 537 — | Ina la qualo, essendo quindi inseparabilmente legata alla leggo morale, è una possibilità della ragion pura pratica ». Per lo Schopenhauer solo l'individuo muore, mentre la specie è immortale; l’ individuo è 1’ espressione nel tempo della spe- cie, che è fuori del tempo: « La specie rappresenta uno de- gli aspetti della volontà come cosa in sd; essa rappresenta, a tal riguardo, cid che v’ ha d’ indistruttibile nell’ individuo, vivente;... essa contiene tutto ciò che è, tutto ciò che fu, tatto cid che sarà ». Per Lotze |’ immortalità non può es- sere teoreticamente dimostrata; solo si può ritenere come universalmente valido il principio, che tutto ciò che una volta è nato, devo durare eternamente, finchè ha uu im- matabile valore per rapporto all’ universo. L’ immortalita dell’ anima è naturalmente negata da tutti quei sistemi che funno dell’ anima una funzione del corpo; è ammessa, ma nel senso di una sopravvivenza impersonale, dal panteismo; non è negnta nd affermata dal fenomenismo, dal parallelismo psico-fisico © da tutti quei sistemi di psicologia scientifica, che dell’ anima studiano soltanto le manifestazioni, abban- donando alla metafisica il problema della sua origino, della sua essenza ed immortalità. Vi sono però due fatti positivi, ammessi dai segusci della psicologia empirica (Spencer, Ribot, Wundt, ecc.) che possono corrispondere al concetto religioso e metafisico dell'immortalità dell’ anima: uno è l’oredità psicologica per cui l'individuo, insiemo al sistema nervoso, erodita anche l'attitudine a riprodurre certi stati di coscienza acquisiti dalla specie. L'altro, ben più impor- tanto, è che ogni coscienza individuale, passando sulla terra, lascia di sò una traccia sia pur lieve, la quale si concatenn con tutta la serie dei processi psicologici della storia; si ha così una trama psicologica, cho, passando da una generazione all’altre, abbraccia tutta la storia dell'umanità, costituendo una vera ed eterna continuità morale. Cfr. Platone, Fed., 84 C-95, 78-80, 62 segg.; Mon., 80 sogg.; Aristotele, De an.. IH, 5, 430 a, 22 segg.; Ogereau, Le syat. phil. des stoiciens, Inv — 538 — 1885, cap. IV; Haruach, Dogmengesohiohte, 1894, I, 493 vegg.; Kant, Krit, d. prakt. Vern., dialect., 2* parte, IV; Lotze, Grundsüge d. Peychol., 1894, p. 74; W. James, Human immor- tality, 1898; J. Frazer, The belief in immortality and the worship of the dead, 1913; O. Lodge, La survivance humaine, 1912; F. H. Myers, La personalità umana ο la sua sopravvivenza, trad. it. 1908; Fournier d’Albe, L'immortalità escondo la scienza moderna, trad. 18. 1909; Chambers-Janni, La nostra vita dopo la morte, 1910; A. Crespi, Il concetto dell’ immortalità ; stato attuale del problema, « Il Rinnovamento », IV, p. 229 sogg.; F. De Sarlo, Il problema dell’ immortalità, « Cult. filosofica », marzo 1910 (v. anima, coscienza, materialismo, spirituali- amo, ecc.). . Impenetrabilitä. T. Undurohdringlichkeit; I. Impenetra- bility; F. Impendirabilité. Una delle proprietà fondamen- tali ed essenziali della materia, per cui due corpi non pos- sono occupare nello stesso tempo un medesimo spazio. Si distingue dalla resistenza, che è una nozione d’origine spe- rimentale, derivando, secondo le analisi del Condillac, Bon- not, Maine de Biran, dall’ esercizio del nostro potere motore. Alcuni filosofi, in Inogo della nozione di impenetrabilità, adottano quella della resistenza nello spazio per l’espressione dell'essonza della materia, in quanto essa non pregiudica la soluzione di un altro grande problema riguardante la ma- teria: se cioò gli elementi della materia hanno una gran- dezzu fissa o se la loro estensione è puramente virtuale. Una moderna dottrina considera infatti gli elementi della materia como semplici centri di forza, comprossibili fino ad essere ridotti ad un punto materiale, vale a dire ad unu sfera il oui raggio è zero: però l’annientumento del vo- lume non toglierebbe ad essi il loro potero d'espansione, cosicchè, diminuita la compressione, la loro forma, rimasta virtuale, potrebbe attuarsi. Cfr. Uphues, Paychol. der Erken- nens, 1893, I, p. 84; Condillac, Traité des sensations, 1886, p. 15, 45 (v. dinamismo, energismo, meccanismo, materia). — 539 — Imr Imperativo. T. Imperatir ; I. Imperative; F. Impératif. Una proposizione che esprime una determinazione della volontà sia mediante una formula (tu deri), sia per mezzo dol modo imperativo di un verbo, I comandi-o imperativi sono per Kant di due specie: ipotetici, quando consigliano un'azione come mezzo per ottenere un dato fine: catego- rici, quando enunciano un’ azione buona per sè stessa, che ha cioè un valore intrinseco e deve quindi compiersi indi- pendentemonto da qualsiasi altra considerazione. Gli impe- rativi ipotetici possono poi alla lor volta essore problematici © axsertori: i primi sono delle regole, che esprimono nn fino che può essere proposto, ma non necessariamente, i s0- condi non sono che consigli, ed enunciano un fine che non è necessario ma che tutti si propongono. L’impera- tivo categorico, in cui la leggo morale si esprime, non è nè una regola nò un consiglio ma un ordine, quindi è apo- dittico, vale a dire incondizionato 0 assoluto; esso nou nasce dall'esperienza, ma è un fatto della ragiono, è I’ ele- mento a priori della moralità, la forma che tutte le nostre azioni debbono rivestire perchè abbiano il nome di morali; la sua formola è: opera in modo che la massima della tua azione possa diventare una norma universalo di condotta. Ma l'esistenza d’ una legge assoluta implica nella natura l'esistenza di un qualche cosa di valore pure assoluto, che cioè 8’ imponga sempre come fine; ora questo qualche cosa à appunto l’uomo, come l’unico essere ragionevole della natura, o quindi la forma dell’ imperativo categorico si può modificaro così: agisci in maniera da trattar sem- pre l'umanità como fine, e di non servirtene mai como mezzo 0 strumento. Ma perchè la volontà non accetti la legge spintavi da alcun altro interesse, occorre che tale leggo essa stessa la dia a sè, che sia cioè autonoma; da ciò la terza forma dell’ imperativo categorico : agiaci in ma- niera che la tua volontà possa considerarsi da νὸ come detta- trice di leggi naturali. Por Fichte l'essenza dell’ Lo è l'atto Imp — 540 — rivolto in sò stesso ο determinato da sò stesso empirica con tutti i suoi oggetti nou è che il materiale per l’attività della ragion pratica, è l'Io che esplica la sua tendenza n crearsi un limite, che esso supera, per obbiettivarsi; quindi l'essenza dell’ Io è l autonomia della ragione pratieu ο culmina noll’imperativo categorico, in quanto tntto ciò che esiste non può concepirsi che per ciò cho deve essere, è il materiale sensibilo del dovere: « Non appena Io è posto, tutta la realtà è posta; tutto devo osser posto nell’ Io; l'Io deve ossero assolutamento indi- pendente, ma ogni cosa deve da lui dipendero. E dunque richiesto l’accordo degli oggetti con l'Io; o l’assoluto Io, appunto per il suo assoluto casero, è cid che esso richiede, l'imperativo categorico di Kant ». Quindi Fichte accetta l'imperativo catogorico kantiano nolls formula « opera se- condo la tua coscienza », come punto di partenza per una dottrina morale, cho deduco i doveri dal contrasto dell’ im- pulso naturale e di quello morale, che si presenta in ogni lo. Cfr. Kant, rit. d. prakt. Vern., 1898, p. 22; Fichte, Grundlage d. ges. Wissonackafislehre,.1802, p. 240; Cresson, La morale de Kant, 1897, p. 1-50. Impersonale. I. Unpersönlich; I. Impersonal; F. Im- personel, Obbiettivo, imparziale, non individuale. Dicosi teoria della ragione impersomale, quella cho ammetto che la ragione d’ ogni individuo non è che il riffesso di una Ragiono univorsale alla quale esso partecipa; questa Ra- gione può essero intesa como trascendente, ο in tal caso è la stessa Di nella quale lo verità eterno sono sem- pro sussistonti, o como immanente in quanto è In stossa in tutti e non è propria di ciascuno, ossia è in ciascuno, ossenzialmente, In concezione dell’ infinito, dell’ universale, dell’ immutabile. Impersonalismo. 'T. Impersonaliemus; I. Impersona- liom; F. Impersonalisme. Dottrina che nega ο distrugge la personalità. Alcuni filosofi, fra cui il Renouvier, danno — 541 — Imp questo epiteto alla filosofia evoluzionistica, la quale nega la personalità ponendola come transitiva (v. personaliamo). Implicito. T. Mitinbegrifen; I. Implicit; F. Implicite. Si oppone a eeplicito © a formale, e designo una noziono © un giudizio che sono contenuti in un’altra nozione e giudizio, senza essere formalmente espressi. I giudizi im- pliciti ο complessi, detti anche esponibili perchè si possono rendere espliciti, possono assumero varie forme: esclu- sivi, ecoottuativi, comparativi, redaplicativi, determinativi e esornativi. Dicesi contraddizione implicita quella che si riconosce deducendo dalle proposizioni formulate una con- traddizione nei termini. Nella terminologia scolastica impli- ite © explicite valgono quanto confuse © distincte: così le note essenziali dell’uomo si conoscono implicite nel definito homo, ed explicite nella detinizione animale ragionerole; negli atti della volontà le due stesse parole equivalgono a directe e indirecte: chi vuole bere troppo vuole 1’ ubriachezza im- plicite, chi vnol bere per ubriacarsi vuole l’ubriachezza stessa explicit Impossibilita v. possibile. Impressione, T. Eindruck, Reiz; I. Impression, Feeling: F. Impression. Si snol distinguero 1’ impressione dalla sensa- zione: quella è il semplice fatto fisiologico della eccitazione di un organo di senso in seguito all’azione dello atimolo, «esta è Il fatto di coscienza che aogne all’ eccitazione mo- desima. Talvolta si usa invece di cocitazione: tal’ altra, specie nel linguaggio comune, si usa per opposizione a riflessione ο a giudizio, per indicare uno stato complessivo di coscienza, presentante un tono affettivo caratteristico, che risponde a una azione esteriore: n questo uso si ri- collegano i termini imprersioniemo © impressionista. In un senso analogo, per impressione #’ intende qualche volta I’ im- pronta fatta dagli oggetti esteriori sulla coscienza: Corpus Aumanum, dice in tal senso Spinoza, multa pati potent mu- tationes, et nihilo minus relinere obiectorum Impressionen veu Imp — 542 — vestigia el consequenter casdem rerum imagines, Hume oppone l’impressione, considerata como presentazione, alla idea, con- siderata come rappresentazione: la prima d il fatto di coscienza che si presenta per la prima volta, la seconda è il riprodursi dol fatto medesimo: « Sono improssioni, egli dice, tutte lo nostre sensazioni, passioni ed emozioni, quando fanno la loro prima comparsa nello spirito ». Tutte le rappresenta- zioni derivano dalle impressioni, dalle quali ei distinguono soltanto per un minor grado di vivacità; perd le impres- sioni possono essere di due specie, ciod originali ο riftessive, a seconda che sono impressioni di sensazioni o impressioni di passioni : « Le impressioni originali ο impressioni di sen- sazioni sorgono nello spirito senza nessuna percezione au- tecodente, dalla costituzione del corpo, dagli spiriti animali ο dalla applicazione degli oggetti agli organi esterni. Lo impressioni secondario ο riffessite derivano da alcune di codeste impressioni originali o immediatamente per l’in- terposizione della loro idea ». Cfr. Spinoza, Ethica, 1. III, post. II; Hume, Treatise on human nature, 1874, I, sez. I. Impulso. T. Trib, Impuls; I. Impulse; F. Impulsion, In un senso generale, il Destutt de Tracy lo definisco como «la proprietà per cui i corpi, quando sono in movimento, comunicano il proprio movimento ogli altri corpi che in- contrano ». In senso psicologico, per impulso s' intendo co- munemento una spinta irriflessa ο irrefrenabile ad agire: in questo senso si parla di atti impulsivi, caratteri impuleiri, ecc. In un senso più ristretto, l’impulso è l’inizio d’ ogni atto volontario positivo, il comando volontario onde l’idea si traduce in movimento. Se esso è in eccesso ο in difetto si hanno, secondo il Ribot, due forme anomale del volere: nel primo caso le forme d’ impulsività irresistibile, cosciente © incosciente, nelle quali l'individuo è como trascinato da un volero diverso dal suo, e al qualo, in taluni casi, vor- rebbe, ma non può resistere; nel secondo caso le varie forme doll’ abulia, dell’ agorafobin, della follin del dubbio, — 543 — Txp-Inc in cui l'individuo è incapace di mnovere la propria vo- lontà. Cfr. Ribot, Les maladies de la volonté, 1901, p. 35 segg., 71 segg. Imputabilità. T. Zurechendarkeit; I. Imputability; F. Imputabilité, Si confondono spesso la colpabilità © la respon- con In imputabilità. Questa pnd essero intesa in due modi: 1° ciò che permette di stabilire il conto d’un agente; la responsabilità si riferisce, in questo senso, al carattere dell’agente, l’imputabilità implica in più la considerazione dell’atto © quella dell’ intenzione; 2° ciò che costituisce pro-- priamento il rapporto dell’ atto all’ agente, astrazion fatta, un lato, del valore morale di questo, e, per l’altro, della sanzione che può seguirno. Cfr. J. Hoffe, Die Zurech- nung., 1877; Landry, La responsabilité pénale, p. 118 ogg. (v. delitto, pena, responsabilità). In adjeoto. Termine della scolastica, con oui nella lo- gica ai designa quella forma di contraddiziono, cho esiste fra il sostantivo e la qualità che gli viene attribuita. Corì, secondo alcuni filosofi, la dottrina che sostiene l’ esistenza dei fatti psichici incoscienti è una contraddizione in adjeoto, poichè ogni fenomeno psichico, in quanto tale, à necessa- riamento avvertito dal soggetto, ossia è cosciente. Cfr. (io- elenio, Lezicon phil., 1613, p. 983. Inane. In Lucrezio significa vuoto, ed è, come in Epi- euro, sinonimo di spazio e di luogo. Infatti secondo gli atomisti lo spazio à, come la materia, un reale: à il puro luogo o l'estensione pura dove i corpi materiali, che sono estesi, possono trovar posto, ciod possono estendersi. Vuoto © materia sono due realtà fondamentali opposte : I’ essonzu del primo consiste nella penetrabilità, nella intangibilità, l’essenza della seconda nella impenetrabilità e nella tan- gibilità (v. epieuroismo, vuoto). Incertessa. T. Ungewissheit; I. Unoertainty; F. Incer- titude. Non bisogna confonderla col dubbio © colla proba- bilità. L'incertezza è quello stato mentale in eni trovasi Inc — 54 — la mente quando ragioni contrarie si disputano l’ assenso, © quando l’assenso stesso non è che provvisorio ο ac- compagnato da timore di sbagliare. Se fra queste ragioı contrarie esiste perfetto equilibrio, allora si ha il dubbio; se una ha qualche preponderanza sulle altre, si ha la pro- babilità (v. oertessa). Incettive (proposizioni). F. Propositions inoeptives. Quelle proposizioni composte, implicite o esplicite, le quali affer- mano che un dato predicato appartiene ad un dato sug- ‘getto, © che esso ha cominciato ad appartenergli ad un termina o spiega il significato, ο si può ο non si può to- si può togliere l’ inciso diconsi determinatire; quelle che gliere diconsi esornatice. . T. Neigung; I. Inclination; F. Inclina- . Si può definire come la tendenza spontanea ο costante la definisce: determinatio generalis appetitus ab aliquie zioni: le egoistiche, o personali ο individuali, che mirano soltanto all’appagamento dei propri desideri; lo altrui- atiche, rivolte al bene altrui; le superiori, cho hanno per oggetto dei fini impersonali, © possono essero estetiche, scientifiche, morali, religiose. Malebranche no distinguo tre specio, cho αἱ trovano più o meno in ogni uomo: 1° I clinazione per il bene in generale, « che costituisce il prin- cipio di tutto lo nostre inclinazioni naturali, di tutte nostre passioni ο persino di tutti gli amori liberi della no- stra anima, perchè da questa inclinazione per il bene in generale ricaviamo In forza per sospendere il nostro con- senso riguardo a beni particolari »; 2° 1’ inclinazione per — 545 — Inc la conservazione del nostro essere; 3° l’inclinazione per le altre creature, che sono utili a noi stessi o a quelli che amiumo. Kant distingue l'inclinazione «dalla propen- sione (Hang): questa è la possibilità soggettiva del sorgere di un dato desiderio, che precede la rappresentazione del suo oggetto; quella è il desiderio che abitualmente oc- cupa un individuo; in altre parole, la propensione è la predisposizione a desiderare un piacere, che, dopochà è stato sperimentato dal soggetto, produce 1’ inclinazione. Analoga distinzione si fa tra inclinazione e istinto : questo consiste nella immediata suggestione di atti o di senti- menti determinati, anche senza la coscienza del fine a oni mirano; quella pone un fine, in modo più o meno deter- minato, senza che vi sia necessariamente la rappresenta zione dei mezzi da impiegare per raggiungerlo. Si distingue infine l'inclinazione dalla passione, in quanto questa è una delle forme intense di quella, ed è caratterizzata dalla rot- tara dell'equilibrio che esiste normalmente nell’ insieme delle inclinazioni umane. Cfr. Wolff, Phil. practica, 1739, vol. II, $ 985; Malebranche, Rech. de la rerité, IMI, 11; Kant, Anthropologie, 1800, v. 78 (v. attitudine, tendenza). Incommensurabile. T. /ncommensurabel ; 1. Incommen- surable; F. Incommensurable. Due grandezze diconsi incom- mensurabili quando non hanno una misura comune, quando non possono essere espresse in funzione della stessa unità, quando non esiste alcun numero, nè intero nè frazionario, il quale, essendo contenuto un numero intero di volte nel- luna, sia contenuto un numero intero di volte anche nell'altra. Siccome quanto più l’unità presa a misura è piccola tanto maggiormente essi s'accosta alle quantità incommensurabili, così si può dire che due quantità incom- mensurabili hanno per comune misura una quantità infini- tamente piccola (v. infinitesimale, integrale). Inconcepibile. T. Unbegreifbar: I. Inconceivable; Inconcerable. Termine usato specialmente dal Reid, da 35 — RavzoLI, Dizion. scienze filosofiche. Ixc — 546 — l Hamilton e dallo Stuart Mill; indica in generale ciò che la mente non può rappresentarsi. Si distingue dall’inintel- ligibile, che è ciò che non soddisfa la ragione, quantunque sia perfettamente concepibile, e dall’ inconoscibile, che è ciò che, per sna natura, trovasi fuori della sfera d’ ogni conoscenza possibile. Alcuni filosofi intendono per incom- prensibile ο inconcepibile cid che è ultimo, quindi irre- duoibile ; così i concetti supremi della scienza, essendo ul- timi, resistendo cioè ad ogni ulteriore analisi, riduzione ο ragionamento, sarebbero per sè inconcepibili, quantunque mediante essi ogni cosa si renda concepibile. Quanto alla distinzione dell’ irreducibile ο inconcepibile dall’ inconosei- bile, essa non è adottata da tutti i filosofi; mentre per V Hegel, ad es. l'essere è l'assoluto incomprensibile in quanto è presuppostò da tutti i concetti (da tutte le determinazioni logiche) ma non presuppone nessun altro concetto, è poi = lo stesso essere -- l’ assolutamente oonoscibile come risul- tato dell’ assoluto processo logico, analitico e sintetico: per lo Spencer, invece, i concetti ultimi delle scienze (spazio, tempo, materia, forza, coscienza) sono inconoscibili perchè inconcepibili, e non costituiscono che dei simboli o segni di un quid, che non si sa che cosa sia. Cfr. J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. VI; Spencer, Prine. of pay- chol., 1881, vol. II, p. 406 seg. (v. assoluto, agnosticixmo, inconoscibile, noumeno). Incondizionato. T. Unbedingt: I. Unconditional, Uncon- ditioned; F. Inconditionné. Ciò che non è soggetto ad alcuna condizione, e che quindi ha in sè stesso le ragioni di es- sere, © di essere ciò che è, Tuttavia il termine - che fu introdotto nel linguaggio filosofico dell’ Hamilton, come comprendente i significati di infinito e d’ assoluto - è anche usato in senso relativo, per designare il rapporto di con- dizione a condizionato esistente fra due fenomeni, che non sono poi condizionati da un altro fenomeno, di cui siano effetti collaterali. Per I’ Hamilton invece I incondizionato — 547 — Inc oppone ul condizionato, ο condizionalmente limitato, il cui contradditorio, cioè l’incondizionalmente limitato, in- chinde evidentemente due casi : 1’ incondizionalmente limi- tato ossia l'assoluto, e l’ incondizionalmente illimitato ossia V infinito: « Quattro opinioni, dice l’ Hamilton, si possono enumerare riguardo all’ incondizionato come oggetto im- mediato di conoscenza e di pensiero: 1° L'incondizionato è inconoscibile ed inconcepibile, essendo la sna nozione puramente negativa del condizionato, il quale soltanto può essere in modo positivo concepito ο conosciuto. 2° Esso non è oggetto di conoscenza, ma la sua nozione, come un principio regolativo della mente stessa, è più di una mera negazione del condizionato. 3.° Esso è conoscibile ma non concepibile; può essere conosciuto mediante uno sprofon- darsi nell’identitä dell’ assoluto, ma è incomprensibile per la coscienza e per la riflessione, che sono soltanto del re- lativo ο del differente. 4° Esso è conoscibile e concepibile dalla coscienza e dalla riflessione, sotto la relazione, la di ferenza ο In pluralità ». L’ Hamilton afferma la prima di queste quattro opinioni, considerando l'infinito e l’ asso- luto, cioè Dio, come impensabili e oggetto solo della cer- tezza morale, che dà la credenza; pensare è infatti con- dizionare, « il pensiero non può trascendere la coscienza, la è possibile soltanto sotto le antitesi di un soggetto e di un oggetto del pensiero, conosciuti solo in correla- zione e limitantisi a vicenda; poichè tutto ciò che noi conosciamo del soggetto e dell’ oggetto è solo, in ciascuno la conoscenza del differente, del modificato, del fenome- nale ». Perciò la filosofia non può essere che una filorofia del condizionato. la quale « nega all’ uomo la conoscenza sia dell’ assoluto sia dell’ infinito, © sostiene che tutto ciò che noi immediatamente conosciamo, ο possiamo conoscere. è soltanto il condizionato e il relativo, il fenomenico, il . La dottrina del condizionato è una filosofia che pro- fessa la relntività della conoscenza, ma confessa I’ assoluta Inc — 548 — ignoranza ». Questo agnosticismo dell’ Hamilton fu messo poi a servizio della teoria della rivelazione dal Mansel, che considerò i dogmi come affatto inconcepibili per la mente umana; ed esercitò In sua efficacia anche in altri indirizzi filosofici dell’ Inghilterra, per esempio sulla dot- trina dello Spencer e sui rappresentanti del positivismo. Cfr. Hamilton, Discussions on philosophy, 1852, p. 12-14; Stuart Mill, La philosophie de Hamilton, trad. franc. 1869, p. 4 sogg.; Monk, Sir W. Hamilton, 1881, p. 83 segg.; Mansel, The limite of religious thought, 1858 (v. condizione). Inconoscibile. T. Unerkennbar ; I. Unknowable; F. In- connaissable. Ciò che per sun natura non può essere oggetto di conoscenza. Si distingue dall’ ignoto, che è lo sconosciuto © può sempre divenire oggetto di conoscenza; dall’ inintel- ligibile, che è ciò che non soddisfa In ragione ; dall’ incon- cepibile, che è ciò che non si può nemmeno pensare. L’ in- conoscibile è invece ciò che, pur essendo reale, sfuggirebbe per ipotesi a tutti i modi della conoscenza, sia intuitiva, sia discorsiva, sia immediata, sia mediata, sia fondata sulla coscienza e sull'esperienza, sia fondata sul ragionamento. Per alcuni l’affermazione della realtà dell’ inconoscibile è assurda, tale affermazione racchiudendo già una qualche co- noscenza di ciò che è dichiarato inconoseibile; altri ne ammettono la legittimità, osservando che, allorchè si af- di non veder nulla nella notte completa o nella luce accecante, si sa pure che la notte e lu luce esistono ; altri, come l’Ardigò, lo respingono sia perchè ricavato da una errata concezione della relatività della conoscenza (ogni stato di coscionza essendo per sd stesso una cognizione, che non diventa relativa se non a posteriori, ciod dopo che l'esperienza associatrico ha costituito i due concetti op- posti del me e del non-me) sia perchè il preteso incono- scibile si risolve nell’ iguoto, ossia nel generico mentale dato dalla owervazione e ricorrente per associazione colla rappresentazione della realtà; altri infine, come il Berg- — 549 — Isc son, sostengono che essendo l’ universo della stessa na- tura dell’Io, è possibile conoscerlo mediante uno spro- fondamento sempre più completo in sò stessi, cioè con « una conoscenza che coglie il suo oggetto dal di dentro, che l’appercepisce tal quale ϱ) appercepirebbe esso stesso ne c la sua esistenza non facessero che una sola ο medesima cosa, © che è quindi una conoscenza ns- soluta, una conoscenza d’assoluto ». Lo Spencer pone a base del suo sistema l’inconoscibile, che egli considera come una realtà, ricavandolo dai quattro modi della re- latività del pensiero: 1° la cognizione di un dato consiste nel suo riferimento ad un genere superiore; ora, perchè possiamo conoscere il dato del genere massimo al qualo arriviamo, è necessario cho tale genere non sia riferibile ad uno superiore, sia cioè inconoscibile; 2° la cognizione di un dato implica che se ne pensi la relazione, la difte- renza e la somiglianza con altri dati; ora, siccome In causa , l'infinito e 1’ assoluto non possono essere comparati ad altro perchè unici, così sono inoonoscibili ; 3° la cogni- zione di un dato implica il riferimento di un soggetto ad un oggetto, quindi, se la manifestazione soggettiva appare relativa alla oggettiva, © questa a una condizione sua non conoscibile, ne segue che I’ inconoscibile è la condizione della conoscenza; 4° le sensazioni non sono che un semplice relativo ad un diverso che ne è causa; ne viene la conseguenza che tale diverso, del quale non possiamo conoscere che 1’ effetto in noi, è un inconoscibile. Cfr. Spen- cer, First principles, 1900, cap. IV; Id., Princ. of poycho- logy, 1881, cap. XIX; W. James, À world of pure experience, « Journal of philosophy », sett.-ott. 1904; Bergson, Introd. à la métaphysique, « Revue de métaph. >, gennaio 1903 ; J. Laminne, La philos. de Vinconnatssable, 1908 : 8. De Do- miniois, La dottrina dell'evoluzione, 1881, p. 56 segg.; Mor- , I conostti ultimi della rel. e della fil. secondo E. Spencer, « Riv. di fil. scientifica », genn. 1884 ; G. Carini, II problema Inc — 550 — dell inconosoibile nella fil. scientifica, « Id. », dic. 1891; Ar- digò, L'inconoscibilo di H. Spencer, in Op. fil., II, p. 239 segg.; Id., La dottrina spenceriana doll’ inconoscibile, Ibid., VIII, p. 18 segg.; Id., It noumeno di Kant ο U inoomoscibile di H. Spencer, Ibid., p. 117 segg.; C. Ranzoli, La fortuna H. Spencer in Italia, 1904, p. 41-60 (v. agnostioiemo, in- concepibile, incondizionato). Incosciente. T. Unberwsst; I. Unconscious; F. Inoo- seient. Parola di valore molto vario, tantochd Willy Hell- pach ne enumera otto significati. Nel suo senso più generale si dice d’ogni essere che non possiede alcuna coscienza, ad es: gli stomi materiali, i vegetali, ecc. In senso morale si dice d’un uomo incapace di riflettere, di ripiegarsi su sè stesso, di rendersi conto di ciò che fa © delle conse- guenze dei propri atti. In senso scientifico si dice di quei fatti psicologici che, come i sociali, i giuridici, gli este- tici, eec., possono essere studiati al di fuori della co- scienza, come cose, perchè s’ impongono alla coscienza di ciascuno e sono soggetti ad un determinismo. In senso psicologico s’applica a quei fenomeni ο processi psichici, non sono avvertiti dall’ individuo in cui si svolgono; questi processi molti psicologi contemporanei attribui- scono una grande importanza, spiegando con essi la telepa- tia, il medianismo, l’sutomatismo, i sogni, le dissociazioni della personalità, ecc. Si confonde spesso l incosciente col suboosciente, generando non pochi equivoci : il subeoseiente è propriamente ciò che è oggetto di coscienza debole e perciò sfugge, oppure ciò che attualmente non è avvertito dal soggetto, ma che il soggetto stesso può affermare come tale che fu cosciente nel passato, sia perchè diviene chia- ramente cosciente in séguito, sia perchè riconosciuto come la condizione di fatti successivi chiaramente coscienti ; Vincosciente è invece ciò che sfugge interamente alla co- scienza, che è radicalmente inconscio, anche quando il sog- getto cerca di coglierlo © vi applica la propria attenzione. — 551 — Inc Così inteso, possiamo distinguere con il Dwelshauvers sei grappi di fatti psichici ai quali si applica l'appellativo di incoscienti: 1° L’inconsciente nell’ atto del pensiero (ad es. l’attività sintetica che trasforma le sensazioni in rappresentazioni, e queste in concetti); 2° L’ incosciente della memoria nella percezione ; 3° L’ incosciente della me- moria per impressioni e sentimenti latenti (ad ex. il motivo che fa apparire un dato ricordo e non un altro, rimane inco- sciente); 4° L’ incosciente dell’ abitudine ; 5° L’ incosciente della vocazione (disposizione a un’arte, a un mestiere, ma- nifestantesi imperiosamente nell’ infanzia); 6° L’ incosciente nella vita affettiva. Ma altri psicologi, sia fenomenisti sia spiritualisti, ammettono che ogni fatto psichico, anche della natura più elevata, può sussistere allo stato incosciente; i primi però, dal Carpenter in poi, cercano di ricondurli al fatto fisiologico, al chimismo nervoso, alla cerebrazione in- cosciente. I fenomenisti si fondano, in generale, su questi fatti: 1° alcune volte ci sentiamo o tristi o lieti senza av- vertirne il motivo; riflettendo, scopriamo poi codesto mo- tivo, che esisteva dunqne anche prima di essero avvertito allo stato incosciente; 2° la soluzione d’ nn problema o @’ una questione è apparsa alcune volte improvvisamente al pensiero degli scienziati; ciò vuol dire che tale soluzione è scaturita da un lavoro mentale incosciente; 3° alcune volte, discorrendo o pensando, si giange a conclusioni di cui non si avvertono le premesse; ciò significa che codeste premesse esistono, ma allo stato incosciente; 4° nn’ idea, presente, al sopraggiungere di altre idee scom- pare per poi ricomparire nuovamente: non avrebbe potato se in tutto questo tempo non avesse continuato ad esistere allo stato incosciente. A ciò si suole rispondere genericamente che la coscienza non è gid un epifenomeno, un qualche cosa che s’agginnge al fatto psichico ο pnd anche mancare, ma è il carattere essenziale dei fatti psi- chici, cosicchè fatto psichico vuol dire fatto cosciente: por- Inc — 552 — ciò l’espressione fatti « psichici incoscienti » è assurda come quella di vita morta, movimento fermo, ecc. Questa opi- nione è ammessa anche dagli spiritualisti, i quali però negano che la coscienza sia il carattere distintivo di tutto ciò che è psichico; infatti l’ anima, secondo essi, esiste al di fuori dei fenomeni, come principio non solo dei fatti psichici ma anche di tutta la vita animale, cosicchè le ope- razioni profonde dell’ anima, essendo pur sempre di natura psichica, dovranno sfuggire alla coscienza, Il Leibnitz, con la sua teorin delle petites perceptions incoscientes fu il primo a impostare nella tilosotia il problema dell’ incosciente. « Bi- sogna considerare, egli dice, che noi pensiamo, tutto in un tempo, ad una grande quantità di cose, ma non porgiamo attenzione sc non ui pensieri più distinti; nè potrebbe es- sere altrimenti, chè se tenessimo conto di tutto, dovremmo pensare attentamente ad una infinità di cose nello stesso tempo, che seutiauo ugualmente e fanno impressione sui nostri sensi. E non basta: qualcosa rimane di tutti i nostri pensieri passati, e nessuno di essi potrebbe mai venire can- cellato completamente. Ora, quando dormiamo senza aver sogni, o quando siamo storditi da qualche colpo, da una caduta o da qualche altro accidente, si forma in noi una quantità di piccole percezioni confuse; e la morte stessa non potrebbe avere effotto diverso sulle anime degli ani- , le quali debbono senza dubbio prima o poi ripigliare percezione distiuta ». « Tutte le impressioni hanno il loro effetto, ma non tutti gli effetti son sempre osservabili ; così, quando mi volto da un lato piuttosto che da un altro, è xpesso a cagione di un complesso di piccole impressioni, di cui nou ho coscienza, le quali rendono un movimento un po' più malagevole di un altro. Tutte le nostre azioni indeliberate resultano da un concorso di piccole percezioni, dalle quali anche procedono le nostre abitudini e passioni, che hanno tanta influenza sulle nostre deliberazioni; queste disposizioni percettibili si formano a poco a poco, e senza — 558 — Inc le piccole percezioni inafferrabili non le avremmo in nessun siero privo d’ogni coscienza: « è così assolutamente inin- telligibile dire che un corpo è esteso senza parti, come dire che qualche cosa pensa senza averne coscienza ». Anche per Kant « avere delle rappresentazioni e non averne co- scienza, sembra una contraddizione, perchè come sappiamo di averle senza esserne coscienti ? » Però egli ammette che possiamo avere una coscienza indiretta di certe rappre- sentazioni; egli le chiama rappresentazioni osoure. Per 1 Herbart esistono delle rappresentazioni assolutamente in- , sprofondate sotto la soglia della coscienza. Per V Hartmann 1’ Incosciente è una vera realtà, anzi 1 essenza della realtà, il principio unico comune, attivo ed intelli gente insieme, che si manifesta nella materia e di cui gli non sono che l'apparenza; per rapporto a noi esso è incosciente, in sè è supracosciente. Del resto, con V espressione « Incosciente » l’ Hartmann intende anzitutto l’attività psichica in genere, in quanto resta fuori della sfera della, coscienza, ο più propriamente 1) unità del rap- presentare © del volere (alle quali due attività si riducono secondo lui le funzioni psichiche) in quanto sono incon- sapevoli, e perciò anche I’ unico soggetto degli atti psi chici inconsapevoli; ma questo soggetto, essendo uno solo non pure per ciascun individuo, rua anche per tutti gli individui, ne viene che I’ « Inconscio » da ultimo risulta essere non tanto I’ astratto di tutti i soggetti psichici in- consapevoli e il nome collettivo di questi, quanto piutto- sto l’unico principio sostanziale di cui i singoli non sono se non manifestazioni fenomeniche. Secondo il Paulsen V essenza delle rappresentazioni incoscienti sta « nella pos- sibilità di divenire coscienti. Sono potenzialmente perce- zioni interne, proprio come i momenti fisici che sono per- esterne potenziali >. Secondo l’Ardigò, fatto psichico essendo sinonimo di fatto cosciente, poichè il fatto psichico IND — 554 — è l’avvertimento di una modifienzione, dire fatto psichico incosciente val quanto dire vita morta 0 movimento fermo. Anche W. James si schiera contro i sostenitori dell’ inco- sciente, combattendo i dieci presunti argomenti o gruppi di argomenti che sono stati addotti in sostegno di esso. Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, I, p. 77, 80; Lo- cke, Essay, 1. II, cap. I, sez. 19; Kant, introp., I, $ 5; Hartmann, rit. Grundlegung d. transo. Realismus, 1886, p. 70; Id., Philosophie de l'incoscient, trad. franc. 1877, vol. II, p. 287 segg.; A. Faggi, Filosofia dell’ incosciente, 1900; F. Bonatelli, La filosofia dell’ inconscio di E. von Hartmann, 1876; Paulsen, Einleitung in die Philos., 1896, Ρ. 127 segg.; Willy Hellpach, Unberousstes oder Wechaelioir- kung, « Zeitzchr. für Paychol. », XLVIII, p. 238; Patini, Coscienza, nubooscienza, incoscienza, « Riv. di psicol. appli- cata », VI, 1910, p. 24; W. James, Prine. of Payohol., I, cap. VI; Dwelshanvers, La ayntése mentale, 1908, p. 78-1145 Ardigò, Op. fil., V, p. 56 segg. (v. automatismo, dissociazione, subcosoienza, subminimale). Indefinibile. T. Unerklärlich, unbestimmbar ; I. Undefi- nable; F. Indéfinissable. Un’ idea, una nozione, un oggetto possono essere indefinibili in senso assoluto e in senso re- lativo. Sono assolutamente indefinibili i dati della sensi- bilità, perchd del tutto soggettivi e incomunicabili ; le idee più generali ed astratte, che si possono spiegare soltanto per mezzo delle idee opposte ο degli esempi; i concetti astratti semplici, che non includono nè genere nè differenza. Sono indefinibili in senso relativo quegli oggetti delle scienze spe- rimentali, che, allo stato attuale del sapere, non sono an- cora conosciuti in modo sicuro e preciso, © quelle nozioni che posseggono un numero grandissimo di note di uguale importanza, cosicchè riesce impossibile enunciarle nel defi- niente in modo da individuare il definiendo (v. definizione). Indefinito. T. Unbegrenzt, unendlich; I. Indefinite; F. Indifini. Si oppone a finito e si distingue da infinito. In- — 555 — Inp fatti da Cartesio in poi per indefinito si intende ciò che non ha limiti assegnabili, sia relativamente a noi, sia nella natura delle cose stesse; ciò che col pensiero si può mol- tiplicare o dividere, estendere o restringere, senza trovar mai alcun ostacolo cho possa arrestare tali operazioni; quindi il definito è ciò di cui il limite © la forma sono ο possono essere fissati. Per infinito si intende invece ciò che manca affatto di termine, di fine, ciò di cui non solo non si possono assegnare i limiti, ma che ha appunto per carattere ο natura di non soffrire limitazioni. Distinguo inter indofinitum οἱ infinitum, dico Cartesio, iludque tantum pro- prie infinitum appello, in quo nulla ex parte limites inveniuntur, quo sensus solus Deus est infinitun; illa autem, in quibus sub aliqua tantum rationem finem non agnosco, ut ertensio epatit imaginarii, multitudo numerorum, divieibilitas partium, quan- titatia ct similia, indefinita quidem appello, non autem finita. quia non omni ex parte fine carent. L' indetinito di Cartesio è dunque un infinito parziale e relativo, che si contrap- pone alla infinità totale ed assoluta di Dio. Una distin- zione in parte analoga si trova in Spinoza, che tra l’as- soluta infinità di Dio e il finito pone come termini intermedi, che li colleghino, i modi infiniti, che partecipano dell’ in- finito e del finito ad un tempo; questi modi, ad es. lo spazio, sono infiniti solo sotto un certo aspetto, mentre Dio è infinito sotto tutti gli aspetti, in tutti i suoi attri- Duti, ene absolute infinitum, hoo est eubetantia constane infi- nitie attributie, quorum unnmquodque aelernam et infinitam cesentiam exprimit. Secondo il Renouvier, 1’ indefinito è V infinito in potenza e in quanto tale s’ oppone all’ infinito in atto: « Per opposizione all'infinito attuale, 7’ infinite dei possibili è ciò che si chiama indefinito ». Lo spazio, sc- condo alcuni, è infinito, perchè non si potrebbe concepirlo come limitato; la serio dei numeri è invece indefinita, per- chè l'operazione mediante la quale formiamo un nuovo numero, cioè l’aggianta di una unità, è sempre identica Inp — 556 — a sò stessa; e pure indefinita è la divisibilità matematica, giacchè non sono concepibili le parti d’ una grandezza senza grandezza, nè che sia indivisibile ciò che ha una grandezza. Cfr. Cartesio, Resp. ad I obi., $ 10; Id., Prinoipia phil., I, 26, 27; Spinoza, Æthioa, def. VI; Pillon, Année philos., 1890, p. 112; Ardigò, Infinito ο indefinito, « Riv. di filosofia », genn., marzo 1909; R. Menasci, Infinito ο indefinito in Car- tesio, « Ibid. », maggio 1911 (v. infinito, indeterminato, numero). Indeterminato. T. Unbetimmt; I. Indeterminate: F. In- déterminé. Ciò che può assumere un numero indefinito di determinazioni differenti. Non va confuso con I’ indefinito, che si dice in special modo della quantità, mentre P in- determinato si riferisce alla qualità. Un problema è inde- terminato quando le soluzioni soddisfacenti alle condizioni sue sono in numero indefinito. Un numero è indeterminato quando si sa che è un numero, senza sapere quale numero. Il Rosmini chiama sofiemi dell indeterminato quelle fallacie che derivano dalla indeterminazione del soggetto. Tali sono, ad esempio i sofismi che si formano sulla divisibilità dello spazio, del quale si conclude che è composto di punti sem- plici perchè è divisibile all’ infinito; ora, è erroneo sup- porre che la divisione indefinita dello spazio debba essere di necessità finita ο infinita, come è erronea la supposi- zione che esso sia veramente divisibile, poichè le parti gliele dà l’uomo con 1’ imaginazione, e con I’ imaginazione può presentarsi un numero indeterminato di queste parti, cioè un numero finito ma sempre aumentabile, perohè dopo ogni atto d’imaginazione se ne può fare un altro. Cfr. Ro- smini, Logica, 1853, $ 71T (v. indefinito). Indeterminismo. T. Indeterminiemus; I. Indeterminism ; F. Indéterminisme. La dottrina che considera l’atto volon- tario come assolutamente spontaneo, come un fenomeno senza causa. Si oppone al determinismo, che è In dottrina che considera ogni fatto, compresa la volontà, come legato ai suoi antecedenti da una legge necessaria e costante. Si distingue, secondo alcuni, dal libertismo, che è la dottrina che non considera l’atto volontario come un fenomeno senza causa, ma sostiene essere la volontà stessa una causa prima. Dicesi indeterminiemo idealistico 1’ indirizzo, rappresentato in Francis dal Bontroux e dal Bergson, che estende la libertà e la spontaneità anche si fenomeni del mondo fisico, consi- derando la necessità naturale e il determinismo scientifico come illusioni della mente, © riducendo gli stessi principi logioi ad un semplice stromento soggettivo, col quale cer- chiamo di rendere intelligibile la realtà, ponendo in essa un ordine che corrisponde alle nostre esigenze conoscitive: se si ammettesse l'impero della causa sn tutto il reale, non si potrebbero spiegare la varietà, la novità, i processi ascendenti dell’ evoluzione, tutto si ridurrebbe a combina- zioni meccaniche di elementi identici preesistenti; nella realtà si verificano dunque sintesi creative, produzioni originali, la vita sussiste per sè, per sò sussiste lo spirito ο l'uno e l’altro principio si attuano spontaneamente, per un dinamismo che è a loro intrinseco. Cfr. Boutroux, La contingence des lois de la nature, 1899; Bergson, 1) érolu- tion créatrice, 1907; A. Levi, L’indeterminismo nella filosofia JSranoese contemporanea, 1904 ; F. Masci, L’ideatinno indeter- minista, 1898; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1918, I, p. 423 sogg. (v. autonomia, contingenza, determini- amo, libero arbitrio, nocessitiemo). Indifferensa. T. Gleichgültigkeit : I. Indifference ; F. In- différence. Questo vocabolo ba valori differenti nella psicolo- gia, nella morale e nella metafisica. Nella psicologia diconsi stati indifferenti quegli stati psichici che non contengono nè piacere, nd dolore, nd una mescolanza dell’uno e dell’altro. 19 esistenza di simili stati è ancora discussa tra i psicologi. Secondo il Reid « oltre le sensazioni che sono gradevoli o sgradevoli, esistono ancora un gran numero di sensazioni indifferenti. A queste noi prestiamo sì scaraa attenzione, che Inn — 558 — non hanno nome e sono immediatamente dimenticate, come se esse non fossero mai avvenute; occorre molta attenzione ai propri stati mentali per essere convinti della loro esisten- za». Anche il Bain ne ammette l’esistenza, considerando come tipico in proposito il sentimento di sorpresa: « Uno stato affettivo può avere una considerevole intensità, senza essere nè piacevole nè doloroso; tali stati sono nentri ο indifferenti. La sorpresa è un esempio familiare. Ci sono sorprese che ci rallegrano, altre che οἱ addolorano; molte sorprese non producono nè l’una cosa nè l’altra ». Quasi tutte le sensazioni ed emozioni passano, secondo il Bain, traverso un momento d’indifferenza; fra le emozioni sgra- devoli, l’amore e la gioia del potere hanno delle fasi di puro eccitamento ; l’amore della madre per il suo bambino è per lungo tempo un puro stimolante, che assorbe l’atten- zione di lei senza arrivare al piacere. L’Hamilton e il Sully pongono in dubbio l esistenza di tali stati; il Ribot, dopo aver analizzata la questione, conclude « io inelino verso In tesi degli stati d’indifferenza »; PHöffding invece, dopo aver confutata la tesi, conclude: « La supposizione di stati neutri proviene non solo dal negligere gli stati più deboli di pia- cere 9 dolore, ma anche dal confondere uno stato generale di spirito con l’ effetto prodotto da alcune rappresentazioni ed esperienze particolari. Molte impressioni e rappresenta- zioni vanno 9 vengono senza suscitare sentimenti valuta- bili © senza avere una influenza ben netta sul nostro stato affettivo generale, ma questo stato generale è ugualmente determinato in ogni istante dal predominio sia del piacere, sia del dolore ». — Secondo i moralisti antichi esiste una categoria di cose, che stanno fra le buone e le cattive, lo quali si possono fare o non fare con uguale sicurezza di coscienza: tali cose indifferenti gli stoici chiamavano adia- fora, 9 designavano col nome di adiaforia lo stato di indif- ferenza dell’ anima del saggio, che non prova nè desiderio nd avversione. Lo stesso stato era anche designato col — 559 — Ixp nome di apatia e di ataraseia. — Con |’ espressione libertà di indifferenza si sono intese, nella storia della filosofia, cose ben diverse: che la volontà è libera di determinarsi senza alcun motivo o ragione; che la volontà, avendo pre- senti due beni commensurabili tra loro, può rimanere in- differente al maggiore o minor valore di essi ed operare senza tenerne conto: che la volontà ha la libertà di sce- gliere tra due beni fra loro uguali, ossia non differenti; che, infine, la volontà posta tra i due ordini incommensura- bili, s’ appiglia all’ uno pur potendo operare differentemente da quello che fa. Col vocabolo indifferentismo ο dottrina doll’ indifferente (nel senso di non differente) 8’ intende quella forma attenuata di realismo scolastico, rappresentata spe- cialmente da Abelardo di Barth, il quale ammetteva come veramente esistente soltanto il singolo, ma, al tempo stesso, sosteneva che ogni singolo porta in sè, come determina- zioni della sua propria natura, certe proprietà o gruppi di proprietà, che ha comuni con altri; questa somiglianza reale, consimilitudo, è 1’ indifferente in tutti questi indivi- dui; ο così pure il geuere si trova indiferenter nella sua specie, e la specie indifferenter nei suoi esemplari. — Nella filosofia dell’ identità dello Schelling, 1’ indifferenza è il pri cipio comune per la natura 9 per lo spirito, per l’ oggetto e per il soggetto, vale a dire per la ragione obbiettiva e per la ragione soggettiva; esso è perciò la ragione assoluta, che, essendo il principio più alto, non può essere deter- minata nò realmente nò idealmente, e in essa devono ces- sare tutti quei contrasti, che nel mondo dei fenomeni hunno origine dal preponderare nei singoli individui del fattore reale o di quello ideale: « Il primo passo alla filosofia, dice Jo Schelling, e la condizione, senza la quale non si può pe- netrare in essa nemmeno una volta, è la veduta, che I’ as- soluto Ideale è anche l’assoluto Reale». Cfr. Diogene L., VI, 104; Seneca, Ep., 13, 10; S. Agostino, De 140. arb., 1; Al- berto Magno, Sum. theol., II, qu. 58; Leibnitz, Theodiode, Inp I, $46; Reid, Intel. powers, 1863, p. 311; Schelling, Säm. Werke, vol. V, p. 353 segg.; Prantl, Geschichte d. Logik, 1855-70, vol. II, p. 188 segg.; Bain, The emotions and the will, 1865, p. 13: Sully Peyoology, 1885, p. 449; Ribot, Peychol. des sentiments, 63 ed. 1906, I parte, cap. V; Héfiding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 380 segg. (v. libertà, libero arbitrio, indeterminiemo, determinismo). Indiscernibile. T. Ununterscheidbar; I. Indisoernible : F. Indiscernable. Sono indiscernibili due oggetti del pen- siero quando non si distinguono I’ uno dall’ altro per nes- sun carattere intrinseco. Secondo il Leibnitz due esseri reali differiscono sempre per qualità intrinseche, non pos- sono mai essere totalmente simili, perchè la qualità d’un essere non essendo altra cosa che la sua essenza, questa perfetta somiglianza non sarebbe altra cosa, che l'identità; in altre parole, due cose indiscernibili non sono che una: due cose, per esser due, debbono avere qualche differenza di qualità: « Bisogna sempre che, oltre la differenza di tempo e di luogo, v'abbia un principio interno di distinzione, ο, sebbene v’ abbiano parecchie cose della medesima specie, è pur sempre vero che non se ne danno mai perfettamente si- mili; perciò, nonostante il tempo e il luogo (cioè a dire la relazione esterna) ci servano a distinguer le cose che non distinguiamo sufficientemente per sò medesime, esse non sono meno distinguibili in sò ». In ciò consiste il principio identitatis indincernibilium, al quale Kant obbietta che due cose, anche perfettamente simili, non possono confondersi quando non esistano nè nel medesimo Inogo nd nello stesso istante; la differenza numerica, cioè la ditferenza temporale e spaziale, basta alla distinzione degli esseri, e senza di essa tutte le altre non contano nulla. Cfr. Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, p. 208 segg.; /d., Monadologia, 9; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclami, p. 253 segg. (v. identità). Individuale. T. Individuelle; I. Individual; F. Indivi- duel. Cid che appartiene all’individuo. Dicesi individuale — 561 — Inn il termine che non si può predicare che d’un solo sog- getto; si oppone al termine collettiro, che designa un tatto composto d’un numero determinato di individui, conside- rato come indiviso. Dicesi individuale fl gindizio, in cui il concetto del soggetto è preso nel senso di unità indi- visibile: questo À è B. Può essere tanto singolare che σοῖ- lettiro: questo afferma che il prodicato conviene al soggetto solo in quanto è una totalità numericamente indeterminata © determinata di parti - ad es. tutti gli scolari sono la scolaresca - quello che il predicato conviene al soggetto come unità indivisibile, che non può esser posto nella forma quantitativa discreta, ad es.: Garibaldi fn il più grande con- dottiero italiano (v. generale, universale). Individualismo. T. Individualiomus; I. Individualiem ; F. Individualisme. Indica in generale ogni dottrina e ogni tendenza che afferma il valore irreducibile dell’ individua- lità, sin fisica sia morale, In sua autonomia intrinseca, sin di fronte ai gruppi sociali sia nell’ordine naturale sia in quello esplicativo. Come tendenza pratica 1’ individualismo può essero sin manifestazione del carattere personale (ad es. le grandi personalità dell’arte, della scienza, della po- litica, eoc.), sia impronta di tutto un popolo (ad es. i po- poli latini) ο di un’ opoca storica (ad es. il Rinascimento). Come dottrina l’individualismo può essere metafisico, meto- dologico, sociologico ed etico. Il primo consiste nello spiegare la realtà come un insieme di elementi eterogenei, ausai- stenti per sè; è sinonimo di pluralismo. Il secondo è la dottrina che spiega i fonomoni sociali e storici con le leggi della psicologia individuale, con gli effetti risultanti dalla attività cosciente degli individui; tale ad es. la dottrina del Tarde, che considera come fatto sociale elementare limitazione, ossia la comunicazione di uno stato di co- scienza per l’azione di un individuo cosciento sopra un al- tro. L’ individualismo sociologico è la dottrina per la quale In società non è fine a ad stossa, nd atromento d’un fine 36 — RANZOLI. Dirion. di scienze Alosofiche. Inn — 562 — superiore agli individui che la compongono, ma ha per oggetto il bene di questi, la loro felicità ο il loro perfe- zionamento: non dunque gli individui per la società, ma la società per gli individui. L’individualismo etico ο po- litico si oppone al comunismo, al socialismo, al collettiviemo, e designa ogni dottrina sociale e politica che propugnn una maggioro libertà dell’ individuo, una limitazione al- l’azione dello Stato nella tntela ο nella protezione dell’ in- dividuo. Condotto alle sue estreme conseguenze, acquista la forma dell’ individualismo anarchico. Cfr. E. Fournier, Essai sur Vindividwalieme, 1901; A. Schatz, L’individua- lismo économique et social, 1908; G. Palante, Combat pour Pindividu, 1904; G. Calò, 1? individualiemo etico nel oc. XIX, 1906; G. Vidari, 1? individuatiemo nelle dottrine morali del seo. XIX, 1909. Individuazione (principio di). Lat. Prinoipium indici- duationis. Il fattore doterminante dell’ individualita, il ca- rattere intrinseco che costituisce 1’ esistenza individuale. La determinazione del principio d’ individuazione fa uno dei problemi più discussi, specialmente nelle scuole reali- stiche del tredicesimo secolo. Aristotele, per il quale le cose tutte constano di materia © di forma, fa consistere anche l individuo nell'unità dell’ una ο dell’ altra, nel ei nolo, com’ egli diceva, dei duo universali. Però il problema non era in tal modo risolto, e risorgova sotto altra forma : se l'individuo risulta dall’ intreocio della materia e della forma, quale dei due fattori è il determinante © quale il determinato, quale, insomma, il prinoipium individuationie? Per Alberto Magno prima, e per S. Tommaso poi il principio individuante è la materia, che è incomnnicabile e deve csi- stere in un dato tempo e Inogo, mentre la forma è comu- nicabilo a più individui; ma non la materia indefinita, bens quella determinata in un luogo ο in un istante (hic et nunc). Inveco per Duna Scoto ο gli scotisti l’individun- lità non pnd consistere nella materia, come quella che ο — 563 — Inp è indefinita, o non può distinguere un individuo da un altro, o è definita per la quantità che ha, e in tal caso V individuazione è fondata sopra una dimensione acciden- tale ο mutabile; le vere sorgenti dell’individuazione stanno nel profondo stesso della essenza, in un’ ultima realitas, che è indefinibile © che per ciò con parola intraducibile dissero hacocoitas ο ecceitas. Questa fu contrapposta alla quiddità dei tomisti, che si può inveco definire. Quanto alla per- sona umana, mentre il fondamento della sua individualità è, per i tomisti, nell’intelletto, per gli scotisti invece è nella volontà, concepita come affatto indipendente sin da motivi esterni, sia da quelli dell’ intelletto, sia dalla stessa azione divina. Per Npinoza il principio dell’ individuazione è una limitazione dell’ infinito: omnis determinatio est negatio. Per Leibnitz consiste nell’ esistenza stessa, che fissa ciascun essere a un tempo particolare, in un luogo incomunicabile a due esseri della medesima specie: « Il principio d’indi- riduasione si riduco negli individui al principio di distin- zione... Se due individui fossero perfettamente simili ed ugnali, e, in una parola, indistinguibili per sò medesim non ai avrebbe principio di individuazione; ed oso pur dire che non si avrebbe differenza individuale o distinzione a’ in- dividui, posta quella distinzione ». Per Schopenhauer i prin- cipt d’ individuazione sono il tempo e lo spazio « grazie ni quali ciò che è simile ed identico nolla sua essenza e nel suo concetto appare tuttavia come diverso, come multiplo, l'uno accanto all’ altro © l’uno dopo l’altro: easi sono dunque il principio d’ individuazione ». Cfr. Aristotele, Me- taph., XII, 8, 1074 ο, 33; S. Tommaso, Summa theol., I, + qu. 86, 1; Id., De principio indiriduationie, opp., Romac, 1750, t. XVII; Duns Scoto, In Hb. sent., 2, dist. 8, qu. 6, 11; Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, I, p. 209; Schopen- haner, Die Welt, 1, § 23. Individuo. Gr. "Atopoy; Lat. Individuum Eingelding, Etnsehoesen ; I. Individual; F. In Indiridunm, du, Nel xuo Inp — 564 — senso più generalo è individuo ogni essere distinto da un altro e persistente il medesimo. Quaedam separari a quibu- adam non possunt, cohaerent, individua sunt, dice Senoca. Che esistano individualità assolute, cioè esseri aventi ognuno in sè la ragiono del proprio sussistere e persistenti lo medesime eternamente, è ammesso da alcune dottrine, ad es. l’atomi- smo, il pluralismo, οσο.’ ed è negato invece dal monismo, per il quale ogni individnalità è una coordinazione più ο meno unitaria e sempre transitoria di parti, il cui sussi- stero ο il cui operare è un riflesso dell’ ossere e dell’ agire universale. In senso strotto per individuo #’ intende ciò che vive per sè stesso, ed ha un tale accentramento e coordi- namento di fanzioni, che non può essere diviso in parti senza perdere il suo nome e lo sue qualità distintivo. Si so- gliono distinguere lo condizioni generali dell’ individualità, ossia i limiti oltre i quali nessuna esistenza individuale è possibile, da ciò che costituisce il principio stesso della indi- viduazione - detto dagli scolastici principio d’ individuazione © haccceitas 0 quidditas - ciò insomma che distingue l’indi- viduo d’ una specie da tutti gli altri individui della me- desima specie. Tale principio d’individuazione varia col variare delle categorie degli esseri. Infatti, se negli esseri intelligenti esso consiste nella coscienza della propria per- sona distinta da qualunque altra, negli esseri incoscienti è costituito essenzialmente dal punto che essi occupano nello spazio © dall’istante in cui hanno cominciato nel tempo. Alle differenze di spazio e di tempo, dette anche difforonze numeriche, si aggiungono poi le diversità di forma € di natura, onde le condizion generali della vita ο del- l'organismo si realizzano negli individui di una med specio. Nella biologia la nozione di individuo, che si ri- connette ad altri importanti problemi della biologia gone- rale, fu distinta dall'Ilaeckel in tre spocie: 1. individuo morfologico 0 formale, dato da ogni manifestaziono unitaria di forma che costituisce un tutto, i eni clementi costituonti Inp — 565 non possono separarsi, nè dividersi in parti, senza soppri- merne il carattere essenziale; 2. individuo fisiologico o fun- zionale, detto anche bion, consistento in quella manifesta- zione unitaria di forma, che può, per un tempo più o meno lungo, avere in modo perfettamente indipendente nna esi- stenza propria, esternata in ogni caso colla più generale di tutte le funzioni, la conservazione di sè stesso; 3. in- dividuo genealogico, che non è più, come questi dne, una unità di-spazio ma di tempo, ed è costituito dalle serie chiusa delle sue variazioni spaziali. Cfr. Ardigd, Opere fil., IT, 233 segg.; VI, 139 segg.; F. Puglia, L’indiriduo in no- ciologia, « Riv. di filosofia», sett. 1902; G. Brunelli, ZI con- cetto di individuo in biologia, « Ibid. », nov. 1904; Do Sarlo, La nozione d'individuo. « Cultura filosofica », genn. 1908 (v. individuazione, indiscernibili, personalità). Indivisibile. T. Untheildar; I. Indivisible; F. Indivi- sible, Nella filosofia aristotelica sono chiamati indérisibili gli oggetti della cognizione diretta ο sintetica, i quali si presentano come un tutto senza divisione d’una parte dal- l’altra; l'intelligenza è appunto la facoltà di conoscere gli indivisibili. S. Tommaso, seguendo le traccie di Aristotele, distinguo due scienze: la prima degli indivisibili, che è poi la cognizione diretta delle essenze © nella quale non ο) è mai errore, poichè non può esistere il falso nella conoscenza di ciò che è semplice; la seconda delle cose divise ο com- posto dall’ intendimento, ed è la scienza riflessa, poicl V intelligenza riflettendo sulle prime sue percezioni ο ideo, le analizza 9 compone, ¢ in tali operazioni cade in orrore. Gli scolastici chiamavano indirisibile quantitatie quello che manea di corpo; i. secundum quid quello che manca di corpo quanto ad una o ad un’altra dimensione, come la linen © la superficie; i. simpliciter quello che manca di corpo sin in sè, sia quanto ad ogni division; i. negatire quello che non ha parti nd può averle, e é. priratire quello che non ha parti ma può o deve averle. — 566 — Indusione. Gr. Ἐπαγωγή: Lat. Induotio; T. Induction ; 1. Induotion; F. Induction. Nel suo significato più ampio è quel procedimento di riduzione dalle conseguenze al principio © dagli effetti alla causa, il quale mira a scoprire e formulare le premesse dallo quali le conseguenze e i casi singoli si pos- sono dedurre ; è dunque l’operagione inversa della deduzione. Ma nella storia della filosofia l’induzione fu intesa in modi diversi. Per Socrate è il processo con cui, mediante il con- fronto delle idee particolari e delle rappresentazioni sensi- bili individuali, si ginnge ad una determinazione generale astratta, che si possa applicare al problema speciale pro- posto. Per Aristotele è il ragionamento che procedo dal particolare all’ universale, che afferma d’ un genere ciò che si a appartenere a ciascuna delle specie di questo genere ; ossa sta in rapporto inverso alla deduzione, perchè per Ari- stotele cid che secondo la natura della cosa è l'originario, quindi il generale, appare per la conoscenza umana come P elemento posteriore, da acquisire, mentre il particolare, l'elemento che è più vicino a noi, è, secondo la vera os- senza, l’elemento derivato, I’ elemento posteriore. Bacone criticò questa dottrina, mostrando come codesta induzione per onumerationem simplicem non sia scientifica e non possa mai escludere completamente la possibilità d’un caso par- ticolare che la distrugga. Egli concepisce invece l’ induzione come il procedimento che va dal fatto alla legge, da ciò che fu osservato in un tempo e in un luogo a ciò che è vero sempre od ovunque: « Poichè quella induzione che segue ad ima semplice enumerazione è alquanto puerile; con- chiudo così come può da quei pochi particolari, che lo vion fatto di avere alle mani, sempre in pericolo che un caso contrario la distrugge. Ma quella induzione, che farà a dimostrare lo acienzo e le arti, deve disgregare le qualità collo necessarie eccezioni ed esclusioni, e, fatta la conve- niente separazione delle negative, giudicare a tenore delle affermative ». L’induzione baconiana è anche dotta soien- — 567 — Inv tifica, quella aristotelica formale. Più tardi Hume la ridusse ad un semplice procedimento psicologico, fondato sulla ten- denza della nostra mente a credere, anche sulla testimo- nianza di un caso solo, che i casi futuri saranno simili a quelli sperimentati ; tendenza giustificata, a sua volta, dalla nostra esperienza del passato: « Esiste nua specie di ar- monia prestabilita tra il corso della natura ο la successione delle nostre idee; e quantanque le potenze e le forze onde la prima è governata ci siano del tutto sconosciute, i nostri pensieri e le nostre concezioni non cessano, alla fine, d’aver sempre seguìto lo stesso cammino delle altre opere della natura. L’ abitudine è il principio con cui tale corrispon- donza è stata effettuata ». Infine lo Stuart Mill, persuaso che l’induzione completa non ha altro valore che quello dell’ in- duzione per semplice enumerazione, diede la teoria logicu dell’ induzione, mostrando come il suo fondamento - sul quale si accese una discussione non ancor chiusa - sis il postulato dell’ uniformità delle leggi di natura, fondato a sua volta su quella formula del principio di causalità, la quale esprime che cause simili in condizioni simili produ- cono effetti simili. Egli distingue quattro forme che sem- brano di induzione ma non sono tali: l’ induzione descrittiva, che è la semplice ricostruzione di nna imagine complessiva da iniagini parziali ; I’ induzione per enumerationem simplicem, che è una semplice raccolta di osservazioni; 1’ induzione completa, che constata una pura uniformità di fatto; infine l’induzione dal modo attuale d’azione di una causa sl suo modo d’nzione in altro tempo, che è piuttosto l’applica- ne deduttiva di unu legge nota a un caso particolare. Esclusi tutti questi procedimenti, rimane |) induzione in- completa, quella cioè che non scopre il fatto soltanto, ma che da un certo numero di fatti osservati trae una logge, la quale ui estende a tutti i casi omogenei possibili. Cfr. Senofonte, Mem., IV, 6, 13 segg.; Aristotele, Anal. pr., II, 23, 25; Bacone, Novum org., 104 sogg.; Hume, Essais, Ink — 568 — 1790, t. II, 89, 69; J. 8. Mill, Syst. of logic, 1865, 1. III, cap. 2; Galluppi, Lesioni di logica ο metaf., 1854, I, pagg. 190-205; F. Enriquez, Problemi della scienza, p. 201 (v. enumerazione, epagoge, metodi indullivi). Ineffabile. Gr. "Abbnoc; Lat. Ineffabilio. Nell’ emana zionismo filosofico proprio dello gnosticismo e della scnola d’ Alessandria, è ordinarismente designata in questo modo - perchè non può essere definita, non possedendo alcun attributo determinato - la sostanza unica dalla quale sor- tono l’essere e il non essere, lo spirito © la materia, il principio di inerzia e quello della vita. Lo stesso vocabolo passò poi nella Patristica e nella teologia cattolica por esprimere l’innominabilità divina. Così per Β. Clemente, Dio è indimostrabile e incomprensibile perchè ineffabile, où è ineffabile perchè non è nd genere, nè differenza, nd specie, nd individuo, nè accidente, nd ciò in cui qualche cosa accada; ora, poichè per nominare una cosa qualsiasi è necessario che essa appartenga a uno di questi predi- cati, così Dio non può essere nominato, Cfr. 8. Clemente, Strom., 1, cop. XXIX. Inerensa. T. Lukdrenz; I. Inherence; F. Inhérence. Lu relazione che passa tra il fenomeno e la sostanza, fra la qualità e il soggetto. Inhaerero est existere in aliquo, dice Goclenio, ut in subjeoto, a quo habet actualem dependentiam inhaositam ; aocidens ease in subieoto per intimam prassentiam. Perciò l’ inerenza del fonomeno ο accidente si oppone alla sussistenza della sostanza. Kant: « Quando si attribuisce un'esistenza separata a codeste determinazioni reali della sostanza (agli accidenti), per esempio al movimento in quanto accidente della materin, si chiaina questa esistenza inerensa, per opposizione all’ esistenza della sostanza, che si chiama sussistenza. Ma da ciò nascono molti malintesi e si parla con maggiore esattezza se non si designa I’ ac- cidente che come il modo onde l’esistenza d’una sostanza è determinata positivamente ». Si dicono quindi giudii — 569 — Inn @ inerenza tutti quelli che affermano 1’ appartenenza di una qualità ad un soggetto, ad es.: Tizio è buono. Cfr. Goclenio, Lezioon philos., 1613, p. 244 segg.; Kant, Krit. d. reinen Vorn., ed. Reclam, p. 178 (v. giudizio). Inerzia. T. Trigheit, Beharrungecermigen ; 1. Inertia; F. Inertio. La legge dell’ inerzia della materia, che à il centro di tutte le concezioni della fisica moderna. L’ espressione risale a Keplero, il quale pose il principio che un corpo non può passare da sè stesso dall’ immobilita al movimento. Galileo lo complet, aggiungendo che un corpo non può modificare da sò stesso il proprio movimento nd passare dal movimento alla immobilità. Un movimento, dice Ga- lileo nei Discorsi, non può crescere che se gli si comunica ana forza novella, nd può diminuire che se gli si oppone un ostacolo, in entrambi i casi, quindi, sotto l’azione di cause esterne; se queste cause sono tolte (dum externas causas tollantur), il movimento continuerà con la velocità acquisita. E ciò si riconduce, per Galileo, ad un principio più generale, il principio delle semplicità, per il quale «la natura non opera con molte cose quello che può ope- rar con poche ». La legge dell’ inerzia fu formulata dal Newton nel modo seguente: ogni corpo persevera nello stato di riposo o di movimento uniforme in linea retta nel quale si trova, a meno che qualche forza non agisca eu lui e lo costringa a cambiare stato. Tuttavia, non esistendo nella natura il riposo assoluto, essa può essere più breve- mente esposta così: nessun corpo ha il potere di modifi- caro il proprio movimento. Per inertiam materiae ft, dico Newton, ut corpus omne de statu suo vel quiescendi vel mo- vendi difloulter deturbetur; unde etiam vie incita nomino si- gnificantisrimo vis inortiae dici possit. Perd, anche formulate in questo modo, è sempre una ipotesi indimostrabilo, ginc- chè l’ esperienza non può offrirci il movimento senza fine d’un corpo sottratto all’azione d’ ogni causa straniera. Ma essa ha grande importanza filosofica, giaochè esclude nella Ink — 570 — materia l’esistenza di alcun elomento psichico, di alcuna possibilità di produrre dei fonomeni psichici, ο d’alenua spontaneità. D'altro canto essa costringe a ridurre la con- cezione dei corpi a degli clementi meccanici, e quindi è lu base dell’unità della materia, della trasformazione e conservazione della forza © dell’ esplicazione matematica dei fenomeni. Non tutti gli scienziati accettano questa leggo, che rende impossibile la spiegazione meccanica della vita © della coscienza; così per il Moleschott « uno dei ca- ratteri più generali della materia è di potere, in circostanze propizie, mettersi in movimento da sd stessa ». Nella filosofia contemporanea il principio dell’ inerzia è stato trasportato dai fenomeni naturali ai procossi mentali, ο considerato come uns vera 9 propria legge generale della coscienza. Così por il Mach la storia del processo scientifico è uno svolgimento razionale e continuo di un processo perma- nente di semplificazione © di abbreviazione, che permette in ultimo di condensare tutto il sapere riguardante il mondo naturale nelle poche formule della meccanica, la quale scienza segnerebbe il massimo della semplicità e dell’ armonis meu- tale. Per l’Avenarius tutto lo sviluppo della filosofia e della conoscenza si riduce al principio dell’ inersia, cioè alla tendenza dell’ anima al risparmio di forza: l’anima non impiega in una percezione più forza di quella che sin ne- cessaria, e, quando si trova di fronte ad una molteplicità di appercezioni, dà la preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo stesso effetto, 0 con uno sforzo uguale produce un effetto maggiore. Per l'Ardigò la legge d'inerzia ο del laroro abbreriato, che rendo possibile lu scienza, si attua nel mondo delle idee, in quanto ogni idea “« à un segno di operazioni già eseguite ο di formazioni giù ottenute, © quindi è il mezzo del lavoro mentale abbre- vinto; onde gli abiti mentali in genere ο la scienza pro- priamente detta ». L'idea può infatti richiamarsi come un semplice niews, come un semplice sentimento vago di un — 57 — In ritmo rappresentativo, senza la coscienza distinta dei mol- tissimi dati in esso e con esbo associati e dei quali con- tiene quindi la virtualità; tale sentimento può dunque considerarsi, dice l’Ardigò, come la formula mentale cho indica in modo abbreviatissimo il lavoro ripetuto, lungo e faticoso, onde si ottenne, e che per essa può rifarsi in modo agevole e pronto ogni volta che si voglia. Cfr. Gali- leo, Opere, ed. Firenze 1842, XIII, p. 200 segg.; Nowton, Nat. phil, principia math., 1687, Introd., def. III; Mole- schott, La ciroulation de la rie, 1870, lett. 17; E. Naville, La phyrique moderne, 1890, p. 199 segg.; Wohlwill, Die Entdookung dos Beharrungagesetzee, « Zeitschr. f. Vülkerpay- chologio », XIV-XV; Avenarius, Philosophie ala Denken der Welt gemase dem Princip des kleisten Kraftmaavees, 1876; Höffding, Philosophes contemporains, 190%, p. 93-122; Ar- digi, Opere filosofiche, vol. V, pag. 327-361 (v. empirioeri- tioiemo). Infantilismo. Termine generico, con cui si desiguano quegli stati di deficienza ο insufficienza intellettuale ο af- fettiva, che dipendono da arresto ο involuzione di sviluppo psichico, e si manifestano nelle forme © nei modi di sen- tire, di pensare e di agiro propri dell'infanzia. Quindi l'incapacità di raccogliere ed elaborare le esperienze della vita, la mancanza di continuità nelle rappresentazioni men- tali ο΄ di legame logico nelle idee, il difetto di inibizione © di impulsi sociali, che può esistere accanto ad una per- fetta conoscenza delle leggi della morale, Ad un grado più pronunciato si hanno le vere e proprio frenasteuie, che possono assumere le forme dell’ imbecillità ο dell’ idiotismo (v. ebefrenia). Inferensa. Lat. Illatio; T. Inferiren: 1. Inference, Il- lation; F. Inférence, O raziocinio, è 1’ operazione mentale per cui si passa da uno ο più giudizi dati ad un nuovo giudizio che ne risulta. « La maggior parte dello proposi- zioni, dice lo Stuart Mill, nelle quali noi crediamo, siano Inv — 572 — esse afformative o negative, universali, particolari ο sin- golari, non sono eredute per la loro propria evidenza, ma sul fondamento di altre allo quali abbiamo già dato l’us- sonso e dalle quali si dice che esse sono inferite. Inferire una proposizione da una ο più proposizioni precedenti; pre- stare ad essa credenza o esigerla come conclusione da qual- che altra; è ragionare nel senso più generale del termino ». ; più precisamente I’ intendimento è « la facoltà posseduta dallo spirito di conoscere gli oggetti esterni senza formarne imagini corporee nel cervollo per rappresentarseli ». Per Locke « si chiama intondimento In capacità di pensare ». Per Leibnitz « l’intendimento cor- rispondo a quello che presso i latini è dotto inteleotus, e l'esercizio di questa facoltà si china intellezione; consi- stento in una percezione distinta, congiunta n quella fa- coltà di riflettere cho manca alle bestie ». Per il Robinet «à la facoltà d’ appercepire un oggetto, di averne P idea, mediante la vibraziono d’ una fibra intellettuale ». Por il Reid « I’ intendimento comprende i nostri poteri contempla- tivi, per cui percepiamo gli oggetti, li concepiamo o ricor- diamo, li analizziamo ο li associamo, giudichiamo e ragio- niamo intorno ad essi ». Dopo di Kant il significato del vocabolo torna di nuovo ad oscillare. Per Fichte è una en- pacità station, in quanto è la fissazione dei prodotti della imaginazione; per Schopenhaner è la facoltà di legare tra loro le rappresentazioni intuitivo conformemente al prin- cipio di ragion sufficiente, montre la ragione è la facoltà di formare dei concetti astratti ο di combinarli in giudizi e ragionamenti; per Herbart è « la capacità dell’ nomo, di — 601 — Int collegare il suo pensiero con la proprietà del ponsato ». Per il Rosmini P intendimento è la sola facoltà che ha per termine un oggetto; intendendo per oggetto un termine veduto o intuito per modo, che non abbia alenna relazione con l’intuente in modo assoluto. Per questa sua proprietà l’intondimento si distingue specialmente dalla sensibilità, che involge una relazione immediata del sentito col sen- ziente, di maniera che non si può concepire che quello stia senza questo. Cfr. Malebranche, Rech. de la vérité, 1712, 1. III, cap. I, ὁ 3; Locke, Ess., II, cap. VI, § 2; Leibnitz, Nuovi saggi, trad. it. 1909, p. 145; Robinet, De la nat., 1766, I, p. 288; Reid, Works, 1863, p. 242; Kant, Ærit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 76 eegg., 129 segg. ; Fichte, Grundlage d. ges. Wiss., 1802, p. 201 segg.; Schopenhauer, Die Welt, 1,$ 4 ο 8; Herbart, Peyohologic ale Wiss., IT, $ 117; Rosmini, Nuoto saggio, 1830, II, p. 73; Id., Logica, 1853, p. 78 segg. (v. intelletto, intelligenza, intuizione). Intensità. T. Intensitàt; I. Intonsity ; F. Intensité. Ogni quantità che non è la durata, nd l’ estensione, nd la qu tità discreta, ο che quindi non può essere nd misurata, me- diante unità omogenee, nd numerata, Nella psicologia di- così quantità della sensazione la sua maggiore o minore intensità: ma tale quantità non è traducibile o misurabile essendo, come la sensazione, affatto soggettiva. Essn nta in rapporto con l'intensità degli stimoli, e varia da un grado minimo, dotto soglia della coscienza, a un grado massimo, detto vertice ο cima della coscienza. I,’ intensità della sensazione sta in rapporto inverso con l’intonsità del sentimento: più è forte l’ elemento affettivo e più sva- nisce l’elemento di percezione sensibile o di conoscenza. L'intensità della volontà, cioè il suo grado di energia, sta in rapporto inverso dell'estensione dei motivi, ciod del loro numero. Secondo alcuni psicologici, non si pnd par- laro di intensità degli stati di coscienza, e quelle che sem- brano differenze di intensità non sono che differenze di Int — 602 qualità; così il Brentano, F. A. Müller, Bons, ecc. s0- stengono che l'apparente intensità delle sensazioni non è che una certa loro qualità, mediante la quale apprez- ziamo le quantità degli stimoli, e che il carattere quan- titativo delle sensazioni è una ripercussione del loro uso sulla loro natura. Con maggior vigore quosta tesi è soste- nuta dal Bergson, per il quale i fatti psichici sono delle pure qualità, che mancano quindi di granderza; se a noi sombra di percepirne la varia intensità è perchè le riferiamo ad una quantità esteriore, cioò ad una estensione, quasi di uno spazio compresso che si dilati ; così la luce di due candele è una sensazione qualitativamente diversa dn quella di una, ma noi, ponendo la causa nell’ offetto, diamo a questa differenza, che è solo qualitativa, un carattere quan- titativo; lo stesso si verifica anche nolle afere più alte della vita psichica, nelle emozioni estetiche e morali, che la no- stra coscienza, rivolta all’esterno, traduce erroneamente in termini di spazio. Altri psicologi, come il Fouillée, so- stengono per contro che ogni atto o stato di coscienza è dotato essenzialmente d’un grado d’intensità irreducibile sia all’ estensione, sia alla qualità, benchè sia sempro accom- pagnalo da variazioni estensive e qualitative. Cfr. Wundt, Grundriss d. Paychol., 1896, p. 36 segg. ; Fouilléo, Psychol. des iddes-foroes, 1893 t. I, cap. I, $ 2; Bergson, Essai sur les donneds imm. de la conscience, 1904, p. 1-55; Masci, Quan- tità e misura nei fenomeni psichici, « Atti della R. Aoc. di Napoli », 1915 (v. estensivo, intenaivo). Intensivo. T. Intensiv; I. Intensive; F. Intensif. Si op- pone a estensivo © designa ciò che non ha estensione ma soltanto una intensità, e che quindi non può essere nu- merato, uè misurato con quantità omogenee. Intenzionale. T. Absichtlich ; I. Intentional; F. Inten- tionnel. Si oppone a involontario, casuale, ecc., 9 designa l'azione determinata da una intenzione, vale a dire pre- concepita e voluta, Nel linguaggio scolastico intentionaliter — 608 — Int significa il modo con cui la cosa conosciuta trovasi nel conoscente; l'i. primo si ha quando la cosa conosciuta si considera direttamente come è in natura, ad es. il cavallo è animale; l’i. seoundo quando la cosa si considera non secondo il modo di essere in natura, ma secondo qualche rapporto attribuitogli dall’ intelletto, ad es. il cavallo è specie. Intenzione, T. Intention, .ibsicht; I. Intention; F. In- tention. L'insieme dei motivi psichici determinanti 1’ in- dividuo ad un atto, Consiste nell’ associare all’ idea del- l'atto, concepito come fine, le idee che vi si riferiscono « che riguardano non solo i mezzi necessari per compierlo, ma anche i motivi per cui si compie, i quali sono spesso una sola cosa con le conseguenze dell'atto. Nell’ apprez- zamento morale di un'azione non basta quindi la consi- derazione della sus natura esteriore, ma è essenziale la valutazione dei motivi psichici che l’hanno determinata nel quali è il primo fondamento della responsabilità. Un solo pensiero che baleni nel concerto mentale disponente ad un atto, può alterare il grado della responsabilità pro ο contro il soggetto operante. Alcuni filosofi, ad es. il Bentham, distinguono tra intenzione e motivi : quella com- prende tutta la preparazione psicologica dell’ atto, le ra- gioni pro e contro, questi soltanto le prime, ossia le cause che ci inducono all’ atto. Il problema dell’ intenzione con- siste nel sapere se, per giudicare il valore morale di un atto, si deve fondarsi esclusivamente sopra l'intenzione che l’ha promosso, oppure se si deve tener conto ugual- mente delle conseguenze che l’atto ha avuto © del suo carattere specifico; la dottrina che sostiene la prima so- luzione dicesi intenzionalismo. — Nel linguaggio della sco- lastica intenzione, intentio, valo quanto cognizione ; inten- zione formale si diceva l’ applicazione dello spirito ad un oggetto di conoscenza, intenzione obbiettiva il contenuto stesso del pensiero al quale lo spirito si applica; inten- Int — 604 — zione roluntatis l'atto della volontà che presuppone |’ or- dino della ragione ordinante alcunchè ad un fine; inten- zione intellootus il concetto con cui l’ intelletto conosce una cosa; prime intenzioni quelle qualità concepite nelle cose, per le quali le coso stesse si distinguono, e che consistono © in relazioni della sostanza con qualche cosa di diverso © sono concepite in una sostanza sola; lo studio delle prime intenzioni appartiene alla metafisica, Si dicevano invece seconde intenzioni le qualità o denominazioni este- riori, ricavato non dai rapporti tra le cose, ma da qualche maniera di concepirle ; il loro studio appartiene alla logica. Cir. Martineau, Types of ethioal theory, 1866, vol. Il, p. 252 sogg.; Prantl, Geschichte d. Logik, 1870, III, p. 149, 293 segg. (v. responsabilità). Interesse. T. Interesse; I. Interest; F. Intérét. La sua formula più comune è: procurarsi la più grande somma di piacere possibile per il tempo maggiore possibile. Secondo alcuni filosofi, esso è il fine supremo di tutto le azioni umane, il criterio col quale si misurano il bene ο il male, il giusto © l’ingiusto, il vizio e la virth : « Se l’ universo fisico è soggetto alle leggi del movimento, dice 1’ Helve- tius, l'universo morale è soggetto del pari allo leggi del- l’intoresse. L’ interesse è sulla terra il potente incanta- tore, che trasforma davanti agli occhi d’ ogni crentura la forma di tutti gli oggetti ». Non bisogna confondere però l'interesse col piacere, ϱ la morale dell’ interesse ο utilitarismo con la morale del piacere o edonismo. Questo, rappresentato specialmente da Aristippo o dalla scuola cirenaica, pone come unico bene per l'uomo, e quindi come principio supremo della morale, il piacere attuale e presento, il piacere più vivo © immediato. Quello, rap- presentato da Epicuro, Bentham, Stuart Mill, ecc., pure non separando il bene dal re, insegna che talora bi sogna sapersi privare d’un piacero immediato e sottomet- tero ad un dolore attuale, in vista d’ un piacere più grande — 605 — Int © d’un dolore minore; e che nei piaceri bisogna saper di- stinguere non solo la quantità ma anche la qualità, pre- ferendo ai pinceri del senso quelli dello spirito e del cuore, più nobili e duraturi quantunque meno intensi. Per rag- giungere l'interesse è quindi necessario saper frenare le proprie inclinazioni naturali, apprezzare le conseguenze dei propri atti e fore un calcolo razionale dei fini; per rng- giungere il piacere basta abbandonarsi all'impulso dei propri istinti animali. La formula completa dell’ interesse è dun- que questa: cercare il pincere seguito dal minor dolore, ο il dolore seguito dal maggior piacere; fuggire il pincere seguito da un maggior dolore o il dolore seguito da un minor piacere. Cfr. Diogene L., X, 129, 141: Helvetins, De V Esprit, 1758, 11; Bentham, Deontology, 1834; J. S. Mill, Utilitarianism, 1863 (v. aritmetica, egoismo, eudemoni- mo, utilitarismo, ecc.). Intermediariste. Si designano così tutte quelle dot- trine realistiche, proprie della filosofia antica e medioovale, che fanno della percezione l'intermediario fra due realtà distinte: le cose da un lato ο lo spirito dall’ altro. Tali sono la teoria degli idoli, sostenuta da Democrito ο dagli epicurei, © la dottrina delle apeci sensibili, assai diffusa nel- Vevo medio. Le dottrine intermediariste si dicono anche della percezione mediata, per opposizione alle dottrine per- cezionistiche, o della percezione immediata (v. conoscenza, concesionismo). Intermondi. Gr. Metaxéopta ; Lat. Intermundia; T. In- termundien. Così chiamavano gli epicurei latini gli spazi noti, o spazi intercosmici, che separano gli infiniti’ mondi tra di loro. Questi mondi erano abitati dagli dei, in nu- mero pure infinito, ο formati di atomi finissimi, ma im- imutabili, scevri di bisogni, di cure ο di pericoli, così du porgere al saggio 1’ ideale della felicità compiutamente at- tuato. Cfr. Diogone L., X, 89; Luorezio, De rer. nat., V, 146 segg. INT — 606 — Intimo. T. Innern, Innig; I. Internal, Inmost; F. In- time. Essendo il superlativo del comparativo interior, in- dien sempre ciò che v’ha di più intimo in una data cosa © fatto. Per senso infimo il Maine do Biran e ia maggior parte degli eclettici francesi intendevano la coscienza, ossia la conoscenza immediata che ciasenno ha dei propri fatti psichici. Secondo il Maine de Biran, noi non apprendiamo mai negli oggotti esterni direttamente 1’ essere, ma soltanto le parvenze di questo; mentre di noi stessi apprendiamo in qualche modo 1’ essere in quanto ci sentiamo atti lonti, in quanto abbiamo il sentimento immediato di fare uno sforzo per vincere non solo la resistenza dei corpi esterni, ma del nostro corpo stesso: « Questo fatto è pri- mitivo, perchè non possiamo ammetterne nessun altro prima di esso nell’ ordine della conoscenza, ο i nostri stessi sensi esterni, per divenire gli stromenti delle nostre prime co- noscenze, devono osser messi in azione dalla atessa forza che crea lo sforzo. Questo sforzo priniitivo à di più nn fatto di senso intimo; poichd si constata interiormento dn sè stesso senza uscire dal termine della sua applicazione immediata © senza ammettere alcun elemento estraneo all’ inerzia stessa dei nostri organi ». Anche per il Galluppi, senso intimo equivale a senso interno, e consiste tanto nel sentimento involontario dell’ io, quanto nella riflessione vo- lontaria sul’ io; esso ci dà la verità primitiva io penso, cioè io sono esistente allo stato di pensiero, principio d’ evi- denza immodiata e perciò indimostrabile. Cfr. Maine de Biran, Fondements de la peyohol., 1859, p. 49; Galluppi, Lezioni di logioa ο metaf., 1854, I, p. 84 segg. Intrinseco. Ί. Innerlich, eigen; I. Intrinsical; F. In- trinsèque. Si dice che una cosa ha un valore intrinseco quando por sè stessa è un fine, non un mezzo per altra cosa; si dico dimostrazione dall’ intrinseco quella che dimostra la convenienza dei termini estremi della tesi, e analizzandola col mettere a fronte lo parti, no fa sortire la verità dal — 607 — Int suo stesso contenuto, mentre la dimostrazione dall’ estrinseco dimostra che la proposizione è vera con argomenti estranei al suo contenuto, come ad esempio l'autorità altrui; si dicono denominazioni intrinseche o interne quelle qualità della cosa che le sono essenziali e cho vengono concepite in una sostanza soln, ed estrinseohe quelle che, pur essendo essenziali, consistono in relazioni della sostanza con alcun- chè di diverso. Introspezione. T. Selbstbeobachtung ; I. Introspection ; E. Introspection. Nella psicologia designa 1’ osservazione di sè stessi mediante la riflessione. Il metodo introspettito, ο soggettivo, ο diretto consiste appunto nel valersi della os- sorvazione interna per lo studio dei fenomeni psichici. Fu specialmente il Wolf, la cui scuola dominò in Germania per tutto il secolo diciottesimo, che avviò In psicologia per la strada del metodo introspettivo; egli infatti ere- deva che solo osservando sè atesso l'individuo può arrivare a cogliere la natura intima dei fatti della propria coscienza, e tale principio derivava direttamente dalla distinzione tra senso interno od esterno, per cui solo al primo spettava la conoscenza dei fatti dello spirito, mentre il secondo apriva all’ uomo la conoscenza della natura esterna. Poi fu- rono elevate molte obiezioni contro la legittimità del mo- todo introspettivo: 1° Ogni osservazione richiede una dun- lità di osservante e di osservato, mentre nell’ introspezione la coscienza dovrebbe essere ad un tempo ossorvanto ed osservata; il Comte insiste sulla profonde abrurdité, que présente la roule suppowition ni évidemment contradictoire de l’homme se regardant penser. 2° L'osservazione introspet- tiva è limitata agli stati di media intensità, giacchè quelli troppo deboli le sfuggono, quelli troppo intensi assorbono tutta la nostra energia psichica, 3° I fatti psichici non esistendo che nel tempo, cioè come pura successione, non possono mai essore osservati che come riproduzione, come ricordo: « Non è in poter nostro, dice lo Stnart Mill, di ne- INT — 608 — certaro, con qualsiasi diretto processo, ciò che la coscionza ci dice quando le sue rivelazioni sono nella loro pristina purezza, Essa si offre alla nostra ispezione soltanto come esiste ora, quando codeste rivelazioni originali sono so- verchiate © sepolte sotto una montagna di nozioni acquisite © di percezioni ». 4° L'osservazione introspettiva, essendo racchiusa nel soggetto, non può avere valore scientifico, cioè universale: « A cagione delle differenze individuali degli osservatori, dice 1’ Höffding, nulla ci garantisce che essi veggano realmente una sola e medesima cosa; poichè, qui, l'oggetto non è situato fuori di loro nè dentro di loro, ma ciascuno lo porta in sè stesso ». 5° La coscienza è soggetta ad nn gran numero di illusioni di lacune, che la rendono uno stromento assai imperfetto : « La coscionza, nostro principale stromento, dico il Taine, non è sufficiente, nel suo stato ordinario ; non è più sufficiente nelle ricerche psicologiche di quello che sia I’ occhio nudo nelle ricerche ottiche. Poichè la sus sfera non è grande; le sue illusioni sono molte e invincibili ; è necessario provare e correggere continuamente la sua evidenza, assisterla sempre da vi- cino, presentarle gli oggetti in una luce vivida, ingran- dirli, e costruire per suo uso una specie di microscopio e di telescopio ». A malgrado di ciò, la maggior parte dei psicologi ammette il valore dell’ introspezione, che sola ci dà il fatto psichico in sè stesso, riconoscendo però che essa dove essere completata e integrata dalla osservazione esterna. Cfr. Ch. Wolff, Philos. rationalie, 1872, § 31; Id., Peyohologia empirica, 1738; A. Comte, Cours de phil. pos., 1830, III, p. 766 segg.; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton, 1867, p. 171; Taine, On intelligence, trad. ingl. 1871, p. X; Höffding, Prychologie, trad. frane. 1900, p. 20 © sogg.; A. Padoa, Le- gittimità e importanza del metodo introspettivo, « Riv. di filo- sofia », aprile 1913 (v. osservazione, riflessione, ppicologia). Intuitivo. T. Jntuitir, anschaulich ; I. Intuitive; F. In- tuitif. Kant chiama intuitiva ogni cognizione cho si basa — 609 — INT sopra la intuizione, che ciod è ottenuta immodiatamente ; discorsiva quella che è formata dal passaggio da un’ idea ad un’altra, o che risulta dalla comparazione di più no- zioni ο termini. La prima è simultanea, la seconda snc- cossiva; con questa conosciamo i rapporti degli oggetti tra di loro, con quella cogliamo gli oggetti stessi. Dicosi ragionamento intuitivo quello in cui la conolusione è ot- tenuta immediatamente, senza bisogno di ricavarla dalle premesse; si ammette da alcuni che in tal caso la conclu- sione sia preparata da nn lavoro cerebrale incosciente, che, dal lato fisiologico, corrisponde a ciò che sarebbero le pre- messe dal lato psicologico. Gli assiomi matematici non sono ragionamenti intuitivi; se in essi manca la dimostrazione, non è perchè questa non sia necessaria, ma perch’ non è possibile (v. incosciente, intuisione). Intuizione. Lat. Fntuitus, Intuitio; T. Anschauung; I. Intuition; F. Intuition. Una delle parole dal significato più vago e fluttuante, sebbene essa esprima sempre ed essen- zialmente un atto psicologico immediato, una manifesta zione subitanea e indubitabile di cui il processo sfugge. « Intuizione è adoperata, dice l’ Hamilton, a denotare l’ap- prensione che noi abbiamo delle verità evidenti per sè stosse, l'immediata coscienza di un oggetto, una cono- scenza intima ». Noi possiamo distinguere quattro accezioni diverse di questo vocabolo, volgare o pratica, artistica, teologica e filosofica. Nel senso rolgare l’ intuizione è una disposiziono naturale a cogliere subito e bene il lato pra- tico © vero di nna cosa, a comprendere ciò che è da farsi © da evitarsi. Nol senso ardstioo non è se non cid che dicesi anche creazione geniale, estro, © che tradotto nel- l'opera d’arte la rende tanto più suggestiva quanto me- glio riesce ad essere dagli altri evocata. Nel senso feolo- gico, che è l'originario, esprime una conoscenza immodiata di Dio ottenuta non mediante I’ intelligenza ma por virtù dolla grazia divina, prima ο dopo la morte. Nel senso ‚flo- 39 — Ranzoti, Dizion. di scienze filosofiche. Int — 610 — sofico, infine, pur esprimendo sempre un atto immediato di conoscenza, ha assunto aspetti cd importanza diversa nei vari sistemi. Per Cartesio è intuizione ogni atto per mezzo del quale lo spirito considera un’ idea, comprenden- dola non successivamento ma in un medesimo momento e tutta intera; quindi l'opposto dell’ intuizione è la dedu- zione, nella quale lo spirito inferisce successivamente un dato da un altro. Hz quibus omnibus colligitur.... nullas vian hominibus patere ad cognitionem certam veritatis preter eri- dentem intuitum et necessariam deductionem : item etiam, quid sint nature illa simplices de quibus in octava propositione. Atque perspiouum cat intuitum mentis tum ad illas omnes ertendi, tum ad necessaria illarum inter se conneriones co- gnoscendas, tum denique ad reliqua omnia qua intellectun pra- cine, vel in ne ipro, rel in phantasia esse experitu. Locke © Leibnitz danno all’intuizione il significato cartesiano : « Tal- volta, dico il Locke, lo spirito coglie la somiglianza o l’in- congruenza di due idee immediatamente e per sd stesse, senza l'intervento di null’ altro; e ciò io penso che pos- siamo chiamare conoscenza intuitiva. Perchè in essa lo spi- rito non fatica a provare o a esaminare, ma percepisco la verità come gli occhi percepiscono un punto Inminoso sol- tanto con I’ essere diretti verso esso. Così Ja mente per- cepisce che il bianco non è nero, che un circolo non è un triangolo, che tre ὃ più di dne ed uguale ad uno più due. Da queste intuizioni dipendo ogni certezza ed evidenza di tutta la nostra conoscenza ». Por In scuola scozzese, 9 così puro per l’eclettismo francese, è una credenza che si prosenta in modo spontaneo al nostro spirito, anteriormente a qual- siasi riflessione ο ragionamento, che anzi la presnppon- gono; sono conoscenze intuitive la nostra credenza in- crollabile nella renltà degli oggetti ostoriori e della nostra cristonza, o la nostra spontanen partecipazione allo verità supreme, che dominano « regolano I’ esperienza. « L'anima doll’ umanità, dice il Cousin, è un’ anima poctica che scopre — 611 — Int in sè stessa i segreti degli esseri, e li esprime con canti profetici che echeggiano d’ età in età. Allato dell’ umanità è la filosofia, che ascolta con attenzione, raccoglie le sue parole e, per così dire, le nota; e quando il momento del- V ispirazione è passato, le presenta con rispetto al mira- bile artista, che non aveva la coscienza del proprio genio © che spesso non riconosce la propria opera ». Per Kant à intniziono ogni conoscenza che si riporta immediatamente a degli oggetti, quindi è sempre uno stato passivo della coscienza, intuitus nompe mentin nostre semper est passirun. Egli distingue due specie di intuizioni: lo empiriche, che si riportano agli oggetti per mezzo delle sensazioni, sia interne che esterne, e quelle pure che sono la forma delle empiriche, e rispondono alle nozioni dello spazio e del tempo. Kant nega l’esistenza di ana intuizione intcllet- tuale « vale a diro di una intuizione di natura tale, da daro l’esistenza stessa dell’ oggetto, ο che, per quanto noi possiamo comprenderlo, non può appartenere se' non all’ Es- sere supremo ». Le intuizioni sensibili non dànno vera co- gnizione; anzi lo forme dello spazio ο del tempo, in esse contenute, non hanno valore necessario ed universale se non quando diventano materia di una sintesi superioro tellettualo, facendo in queste la parte modesima che in esse fanno le sensazioni. Fichte e Schelling ammettono in- voce delle intuizioni intellettuali; ma per Fichte tali in- tuizioni non sono quelle negate da Kant, ciod intuizioni doll’ essere, delle cose in ad, bens) intuizioni degli atti: « To non posso fare un passo, nd nn movimento della mano ο del piedo, senza l'intuizione intellettuale della coscienza di me stesso in queste azioni. Non è che mediauto V’ in- tuizione che io so di agiro; mediante essa soltanto distin- guo la mia azione ο, in questa, mi distinguo dall’ oggotto proposto alla mia aziono ». Talo intuizione è il fondamento della vita cosciente, in quanto ci fa comprendere che que- sta, in ad modosima, non è cho atto puro. Schelling at- Int — 612 — tribuisce, al contrario di Kant, la massima importanza nel proprio sistema alla intuizione intellettuale. La quale egli considera come un atto indefinibile, trascendente, mediante il quale l'intelletto coglie, nella sua identità, l'assoluto, nella cui natura assolutamente semplice ed ina ‘riunisce tutti i contrari, como spirito e materia, reale ed idealo, libertà e necessità: « Una intuizion è una produzione libera e nella quale sono identici ciò che produce e ciò che è prodotto. Una tale intuizione sarà detta intuizione intel- lettuale, in opposizione con l’ intuizione sensibile, che non appare come producente il suo oggetto e nella quale perciò il fatto d’ applicare l'intuizione è differente da ciò sn cui codesta intuizione porta. All’ intuizione intellettuale cor- risponde l’io, poichd non è se non mediante la conoscenza dell’ io per sè stesso che l’ io medesimo come oggetto è posto.... L’ intuizione intellettuale è l’ organo di ogni pensiero tra- scendentale. Poichè il pensiero trascendentale consiste nel * darsi liberamente un oggetto che, altrimenti, non è og- getto ». Anche per Schopenhauer ο) è una intuizione intel- lettuale; anzi ogni intuizione è intellettuale, valo a dire ci mette in presenza della realtà, facendocela cogliere di colpo © senza concetti : « L’ intendimento solo conosce intuitiva- mente, il modo immediato e perfetto, la maniera d’ agire di una leva, di una carrucola, ecc. ». La forma più perfetta del- V intuizione è la contemplazione estetica, nella quale colni che contempla lascia momentaneamente tuttociò che fa la sua individualità, e non agisce più che come nn puro sog- getto conoscente, nello stesso tempo che coglie la natura metafisica dell’ oggetto contemplato, vale a dire la sua Idea. Per Rosmini e Gioberti |’ intuito intellettuale è un atto © visione immanente del nostro spirito, e oggetto suo è per il primo 1’ Ente possibile, da cui traggono realtà tutti gli oggetti, per il secondo lo stesso Ente che crea gli og- getti particolari, cioè Dio. « L’atto della intelligenza è duplice, dice il Rosmini, cioè |’ atto primo che ha per sno — 613 — termine I’ essere indeterminato e gli atti secondi. Coll’atto primo, col quale è costituita l’ intelligenza, il soggetto non fa che ricevere irredistibilmente, cioò aver presente l’es- sere... In tutti gli atti secondi, opera il soggetto già co- stitnito intelligente. Se dunque per cognizione si intendono quelle notizie che gli vengono dalle sue proprie operazioni mentali, non si può dare il nome di cognizione alla no- tizia dell’ essere indeterminato, quale sta presente nell’ in- tuito. Pare che anche il comune degli nomini riserbi a questo solo (atto implicante il giudizio) il nome di cogni- zione: chè certo il comune degli uomini non pensa alla prima intuizione e però del tutto non ne parla. Comeo- chessia importa distinguere bene la prima intuizione dalle intellezioni che vengono approsso, nelle quali solo si rav- visa movimento intellettuale ». Por il Bradley V’ intuiziono à un’ esporienzs spirituale dell’ assoluto, un’ esperienza im- mediata © conoreta nella quale tntti gli elementi dell’ uni- vorso - sensazione, emozione, pensiero, volere - sono fusi in un sentimento comprensivo; però di questa intuizione noi non possiamo avero che un'idea astratta, perchè è impossibile ad esseri finiti vivere pienamente la vita del- l'assoluto; a noi è dato soltanto formarcene una certu idea, risalendo a quel sentimento primitivo ο diffuso, in cui non è ancora sopravvenuta nessuna distinzione di sog- getto e oggetto e nessuna differenziazione di elementi. Infine il Bergson dà all’ intuizione un valore analogo all’ istinto ο al senso artistico, in quanto ci rivela ciò che gli esseri sono in sò stessi, per opposizione all'analisi ο alla conoscenza scorsiva che ce li rivela dal di fuori: « Si chiama intuizione quella specie di simpatia intellettuale per cui οἱ si trasporta all’ interno di un oggetto, per coincidere con ciò cho bn di unico 9 per conseguenza d’inesprimibile. Al contrario. P analisi è l’operazione che riporta l'oggetto a elementi già noti, cioè comuni a questo oggetto ο ad altri. Anu- lizzare consiste dunque nell’ esprimere una cosa in fun- Int — 614 — ziono di cid cho essa non è ». La funzione abituale della scienza positiva è V analisi, mentre la metafisica deve fon- darsi sull’ intuiziono; ora « c'è una realtà che noi after riamo tutti dal di dentro, per intuizione e non per sem- plice analisi: è la nostra propria persona nel suo scorrere attraverso il tempo - è il nostro io che dura. Noi possiamo non simpatizzare intellettualmente con nessuna altra cosa, ma simpatizziamo di certo con noi stessi ». Cfr. Descartes, Regule, XII; Locke, Kes., IV, 11, 1; Leibnitz, Nowe. Ees., IV, cap. 2, $ 2; V. Cousin, Frag. de phil. contemp., p. 34; Kant, De mund. sens, son. I, $ 10; Krit. d. reinen Vern., od. Reclam, p. 76, 88; Fichte, Thatsachen und Bewusstseins, in 8. IP., 1845, vol. IL, p. 541 segg. ; Schelling, Säm. Werke, 1856, I, p. 316 seg.; III, 369; Hamilton, Lect. on logic, 1860, I, p. 127; II, p. 73; Rosmini, Psicologia, II, pag. 275 s0gg.; Teosofia, IV, p. 388-391; Sistema filos., $ 16, 17; Bradley, Appearance and reality, 1883, p. 159 segg.; Berg- son, La fil. dell’ intuizione, trad. it. 1909, p. 17-19; Me Cosh, The intuitions of the mind, 1882; C. Pint, Insufficence des philos. de l'intuition, 1908; M. Winter, Note sur Pint. en mathématique, « Rev. de metaph. », nov. 1908; E. Lugaro, La base anatomica dell’ intuizione, « Riv. filosofica », 1908, p. 465 sogg.; P. Carabellese, Intuito e sinteri primitiva in 4. Rosmini, « Riv. di fil. », genn. 1911, genn. 1912. Intuisionismo. T. Intuitionismus; I. Intuitionalieme ; F. Intuitionisme. Ogni dottrina che si fonda sopra l’ intui- zione, nei vari significati che questa parola può assumere © nelle diverse sue applicazioni sia alla teoria della cono- scenza, sia all'etica, all’ estetica, alla religione. Si oppone à razionalismo, intellettualinmo, empirismo. Storicamente si applica all'indirizzo rappresentato dalla scuola scozzese e dall’ eclettismo francese, indirizzo detto anche filosofia del- P intuizione, in quanto fonda la conoscenza sopra I’ intui- nmediata delle verità razionali e superiori all’espe- rienza, e considera V’ esistenza della realtà materiale come zione — 615 — Inv direttamente conosciuta, non inferita o costruita. Oggi l’intuizionismo è rappresentato, nella religione, da alcuni indirizzi del modernismo cattolico e protestante, nella filo- sofia dalla maggior parte delle dottrine neo-idealistiche. Cfr. E. H. Schmitt, Kritik d. Philon. rom Standpunkt der in- tuitiven Erkenntnis, 1908; J. 8. Mill, Exam. of Hamilton, 1867, cap. XIV, $ 1; F.C. 3. Schiller, Humanism and intuitioninn,- . Ri- guardo all’origine e alla natura dell’ Io, per gli spiritualisti in genere esso è un principio sostanziale, assolutamente nnico e identico, è l’anima in quanto percepisce sò mede- sima percipiente come identica a νὰ percepita. Dice Car- tesio: Eraminantes enim, quinam simus nos, qui omnia, quae a nobis diversa sunt, supponimus falsa esse, perspisque vide- mus, nullam eriensionem, neo figuram, nec motum looalem, nec quid simile, quod corpori tribuendum, ad naturam no- atram pertinere, sed cogitationem solam. Per gli empiristi invece non è un primum ma un poi, che risulta dal con- nettersi dei fatti psichici successivi, ed è quindi nello stesso tempo uno © molteplice. Così, secondo il Condillac l'Io non è che la collezione delle sensazioni; per il Taine la proprietà, comune a tutti i fatti di coscienza, di appu- rirei come interni, astratta da questi fatti o trasformata dsl lingnaggio in sostanza; per il Ribot è il sentimento complesso e confuso del nostro organismo individuale. Nel sistema di Fichte e di Hegel, l'Io ha un significato par- ticolare. Con esso il Fichte non intende l'Io individuale, ma lo stesso essere assoluto, che non è originato da altra cosa ma pone originariamente sò stesso, ο quindi per de- terminarsi pone il non-Io; determinatosi così, ne resta Io — 618 — determinato anche il non-Io, cosicchè l'Io e il non-Io si determinano reciprocamente; per tal modo dal seno dell’ Io ο del pensiero hanno origine lo spirito ο la materia, l’anima ο il corpo, l'umanità e la natura, « L’Io al pari del non-Io sono prodotti entrambi dall’ attività originaria dell'Io... L' lo come intelligenza in generale dipende da un non-Io indeterminato, ὁ solo mediante e in virtù di tale non-Io è intelligenza... L’Io, considerato come abbracciante lu sfora totale, assolutamente «determinata, delle relazioni, è sostanza ». Per I’ Hegel l’Io è quella estrinsecazione del- l’assoluto per cui esso, raccogliendosi nella umanità depo @ essersi sparso nella natura, si rivela a sè medesimo: « Il pensiero come soggotto rappresentato è pensante, e l’espros- sione semplice del soggetto esistente come pensante è I’ Io. Ma } Io astratto come tale è il puro rapporto con sì stesso, in cui si fa astrazione dal rappresentare, dal sentire, da ogni situazione, come da ogni particolarità della natura, del talonto, dell'esperienza, vce. ». Schopenhauer distingue l'Io teoretico dall’ Io rolitivo ο pratico : il primo consiste nel punto unitario della coscienza e non è che la funzione conoscitiva del secondo: «Il volere rappresenta la radice, l'intelletto la corona dei rami, mentre la ceppaia, punto di indifferenza di entrambe, sarebbe 1’ 1ο, che, come punto finale comune, appartiene così al volere come alla intel- ligonza. Questo Io è il soggetto identico pro tempore del conoscere e del volere... Esso è il punto temporale d’ini- zio e di collegamento della totalità dei fenomeni, vale u dire della obbiettivazione del volere ». Secondo il Galluppi Posistenza dell'Io è una verità primitiva di fatto, che no: si può dedurre o dimostrare per razi i Plo, cioè il mio essere, il soggetto di ciò che sento in mo, fa parte dello stesso atto semplice per il quale ho coscienza delle mic modificazioni ; solo in séguito « V analisi separa il sog- getto dalle modific la sintesi riconduce questo a quello, e le diverse verità primitive doll’ intellettuale ο del — 619 — lo morale dell’ uomo si mostrano ». Secondo il Rosmini, gli atti mentali con cui l’anima giunge ad esprimersi nell’ Io, sono anzitutto una percezione intellettiva che il soggotto ha della sua propria anima, in secondo luogo, le varie ope- razioni di cui l’anima è principio; infine, la coscienza che ha l’anima della propria identità fra sè percipiento ο sè operante ο atteggiata a operare. Per I’ Ardigd I’ lo e il non-Io sono un punto d'arrivo non uu punto di par- tenza, sono cioè una distinzione operatasi per 1’ espo- rienza nel medesimo indistinto primitivo, la sensazione: il primo risulta dal raccogliersi e riprodursi in un ritmo co- mune delle sensazioni costanti prodotte dall'attività or- ganica, il secondo dal raccogliersi delle sensazioni acci- dentali o discontinuo prodotte dagli stimoli esterni. Ancho per i seguaci della dottrina economica o biologica dolla conoscenza la distinzione tra Io © non-lo è uno sdoppin mento che la coscienza, per i suoi fini pratici, opera sugli elementi sonsibili, che per sè non sono nö oggettivi nè soggettivi: « Non I’ Io è primario, dice il Mach, bens) gli elementi (sensazioni). Gli elementi formano l'Io. Io spe- rimento sensibilmente del verde, significa che l’elemonto verde si manifesta in un certo complesso di altri elemonti (sensazioni, ricordi) ». 11 Bergson distinguo 1’ lo superficiale © simbolico dull’ Io profondo : questo è durata reale, libera creazione di qualità sempre nuove, quello una soprastrut- tura artificiale imposta dallo esigenze della vita pratica: «ΛΙ disotto della durata omogones, simbolo ostensivo della du- rata vera, una psicologia attenta scopre una durata i cui elomenti si componetrano; al disotto della molteplicità nu- morica degli stati coscienti, una molteplicità qualitativa ; al disotto doll’ Io a stati ben definiti, un Io in cui successione implica fusione ο organizzazione. Ma noi ci contentiamo il più spesso del primo, cioè dell'ombra dell’ Io proiettata nello spazio omogeneo ». Molti psicologi contemporanei chiamano Io subliminale l'insieme delle sensazioni interne Ive — 620 — oscure ο dei motivi subeoseienti, che costuiscono in noi una personalità sotterranea la quale influisce continuamente sopra 1’ Jo eupraliminale, costituito dall'insieme dei pen- sieri, delle sensazioni ο dei motivi coscienti; socondo il Myors ο i suoi soguaci, P Io subliminale è il nucleo fon- damentale ο il motore della personalità umana, tantochè da esso deriverebbero in massima parte le tendenze abituali ο istintive, gli impulsi delle nostre azioni, i prodotti spon- tanei del genio, © con esso si spiegherebbero i fenomeni di disintegrazione della personalità, di sdoppiamento della coscienza, di suggestione ipnotica, di telepatia. In senso analogo si distingue nella psicologia patologica l'Io pri- mario, normale © costituito di stati di coscienza lucid dall' Jo secondario, anormale ϱ subcosciente; questi duo Io covsistono nell’ individuo ignorandosi totalmente, come si verifica nella così detta scrittura automatica e nei casi di personalità alternante. Cfr. Cartesio, Prino. phil., I, 7; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 294, 302; Fichte, Syst. d. Sittenlehre, 1798, p. 110 segg.; Grund. d. ges. Wissens- chaftslehre, 1802, p. 9-11; Hegel, Enoyol., $ 20; Schopen- hauer, Die Welt, vol. II, ο. 19, 20; Galluppi, Lezioni di logica e metafisica, 1854, II, p. 617 segg.; Rosmini, Psico- logia, 1846, I, p. 52 segg.; Bergson, Essai eur le données, 1904, p. 96 segg. ; Ardigò, Op. fil, I. 144-50; V, 161 segg.; Mach, Beit. z. Anal, d. Empfindungen, 1886, p. 17; Myors, The human personality, 1902; G. Geley, L’étro suboosciente, 1905; M. Princo, The dissoolation of a personality, 1906; P. Janet, L'automatiome peychologiguo, 1910; A. Aliotta, Atti del V Congr. intern. di pric. a Roma, 1906 (v. essere. soggetto, oggetto, dualismo, coscienza, spirito, spiritualismo, monismo, parallelismo, ecc.). Iperalgesia. T. Hyperalgesie: I. Hyperalgesia; F. Hy- peralgosio. Sovreccitazione della sensibilità dolorifica. Se- condo aleuni psico-fisiologi esistono nella superficie della cute delle zone o arco iperalgesiohe, le quali non corrispon- — 621 — Ire dono ai territori di distribuzione periferica dei nervi cutanei, © la cui sensibilità si desta quando gli stimoli dolorifici ragiscono in aree, ad esse congiunte centralmente, di mi- nore sensibilità; ciò dimostrerebbe I’ esistenza di nervi ed organi specifici del dolore, cosicchè la sensibilità dolorifien sarebbe un quarto senso, che insieme a quelli del caldo, del freddo e del contatto, costituisce la sensibilità cutanoa generale. Cfr. Kiesow, Arok. it, de Biol., vol. XXXVI, 1901; Alrutz, Atti del V Congr. int. di peiool. a Roma, 1906. Iperestesia. T. Hyporüsthesie ; I. Hyporacstesia; F. Hy- peresthésie. Sovreceitazione anormale della sensibilità di un organo o di una regione; essa prende dei nomi diversi a seconda degli organi sensori nei quali appare: così di- cesi iperormia l’iperestesia del senso olfattivo, iperacusia quella del senso acustico, ipergeusia quella del senso gu- stativo, iperafia quella del senso tattile. Si manifesta 80- litamente con una grande intensità delle sensazioni, che le rende moleste al soggetto. Il Myers chiama iperesteria della visione cerebrale l’esasperata attività delle sfere visive corticali, promossa da stimoli interni di ignota natura, che agiscono durante il sonno incompleto risvegliando dei #o- gni costituiti da visioni subbiettive vivaci, nette, colorate. Cr. Myers, The human personality, 1902 (v. anestesia, sogno). Ipermetafisica. T. Hypermotaphysik. Il Kant oppone alla vera metafisica, che conosce i limiti della ragione umana, l’ipermetafisica che tali limiti vuol sorpassare va- gando nel campo delle imaginazioni senza fondamento. Un senso analogo ha la parola metempirica, oggi più usata, proposta dal Lewes. Cfr. Kant, W. W., t. VIII, p. 576 seg. Lewes, Probl, of life and mind, 1875, t. II, pag. 17. Ipermetropia. T. Übereightigkeit. Difetto della visione, che consiste in cid che i raggi paralleli dell’ asse ottico non fanno foco sulla retina, come nell’ occhio normale, ma al di quo di essa. Quindi il punto di lontananza, che per l'occhio normale si trova all'infinito, per I’ ipermetropico si trova al Ing — 622 — di là dell'infinito, cioè non esiste, perchè solamente i raggi convergenti possono fare foco sulla lente senza sforzo di accomodazione. L’ipermotropis è prodotta da poca enr- vatura dello superfici di rifrazione e da eccessiva cortezza dell’ asso ottico. Cfr. G. Abelsdorff, Das Auge des Menschen, 1907, p. 59 segg. (v. aocomodamento, emmetropia, presbiti- emo, punto). i Ipermnesia. T. Hypermnesie; I. Hypermnesia; F. Hy- permuésie. È il contrario di amnesia, e designa uno stato di sovreccitazione anormale della memoria. Può essere go- nerale o parziale: quella consiste nel subitanco e passeg- gero ritorno di un gran numero di ricordi, dipendente dalla maggior rapidità della circolazione cerebrale; si verifica frequentemente noi casi di febbre acuta, nell’ eccitazione maniaca, nell’ estasi, nell’ipnotismo e talvolta anche nel- V isterismo e nel periodo d’incubazione di certe malattie mentali. Lo ipermnesie parziali consistono nel ritorno di alcune categorie di ricordi, ad es. di un fatto, di una lingua dimenticata, © risultano quasi sompre da cause morbose. Cfr. Ch. Bastian, Le oeroeveau, trad. franc. 1888, vol. IT, Pp. 220 segg.; Ribot, Les maladies de la memoire, 313 ed. 1909 (v. amnesia). Iperorganico. I. Hyperorganical; F. Hyperorganique. Alcuni sociologi della scuola analogico-organica, fra i quali lo Spencer, chiamano la società iperorganismo o auperorga- nismo, in quanto travano in essa un legame di analogia con l'organismo individuale e in quanto essa continua l'evoluzione organien. Generalmente iperorganismo desi- gua ciò che è superioro all'organismo; così nel dualismo spiritualistico, l’anima, lo spirito, è un principio iperor- ganico, in quanto domina il corpo (v. analogico-organico). Iperpiano v. iperspazio. Iperspazio. I. Hyperspace; F. Hyperespace. Spazio ipo- tetico, superioro a quello tridimensionalo che i aqusi ri- volano, e che ha proprietà diverse dello spazio ancliden. — 623 — Ipr-Ipn Date » variabili, ogni gruppo di valori particolari di queste varinbili è nn elemento (punto) in uno spazio a n dimen- sioni (6 κ). Invece di considerare » variabili, se ne possono considerare n + I, © i rapporti di n di esse all’ ultima; il punto di 6 n resta determinato dai valori di tali rapporti © i valori corrispondenti della n + 1 variabili possono chiamarsi coordinate omogenee del punto: ora, una equa zione lineare omogenen fra queste coordinate dicesi iper- piano ed 8 n iperspazio. Cir. Klein, Vorlesungen über nicht- euclidischen geometrie, 1893; Russel, An essay on the foundation of geometry, 1897; Halstead, Bibliografy of hyperspace, « Amo- rican journ. of math. », vol. I, p. 261 segg.; II, p. 65 segg.; Veronese, Fondamenti» di geometria a più dimensioni, 1891; Vonola, La geometria non-suclidea, 1905; M. Boucher, Essai sur Vhyperespace, 1903 (v. metageometria, non-euclideo). Ipertrofia. T. Uobernährung; I. Hypertrophy; F. Hy- pertrophie. L'aumento della nutrizione, ο quindi della di- mensione degli organi, in seguito all’ attivo esercizio di ossi. Ipertrofia dimensionale: la legge stabilita dal Roux, secondo oni l’anmentata attività di un organo determina nm ingrandimento di esso in quella ο quelle direzioni, nelle quali avviene l'aumento di lavoro; ad es, nelle ossa lunghe la sostanza ossea si concentra alla periferia che deve so- stenere lo sforzo maggiore, ritirandosi dal centro dove } eceitamento fanzionale è minimo, per cui l'osso diventa tubolare. Nel senso contrario agisce la leggo dell’ atrofia dimensionale (v. biomeccanica). Ipnotismo.T. Hypnotiemus; I. Hypnotism; X. Hypnotisme. Vocabolo creato dal Braid, che fra i primi lo studiò, vorso la seconda metà dol secolo scorso. Designa l’ insieme di quoi fenomeni che si riattaocano al sonno artificiale 0 pro- vocato nei nevropatici. Il merito di aver sottomesso co- desti fonomeni ad una accurata analisi sperimentale spetta allo Charcot ο alla ana scnola. Egli distinguo nel sonno ipnotico due stati, il grande ο il piccolo ipuotismo. Ἡ grande Ipo — 626 — Ipostasi (ὑπό = sotto, στάσις = dimora). T. Hypostase; I. Hypostasis; F. Hypostase. Nella filosofia, specie in quella alessandrina, e nella teologia, si usa per designare la so- stanza che sta sotto i fenomeni, ciò di cui i fenomeni non sono che la manifestazione esteriore. Infatti la parola la- tina sub-stantia è la traduzione letterale della parola greca ipostasi, Così secondo i teologi, nella SS. Trinità vi sono tre ipostasi distinte, mentre la divinità di Gesù Cristo è l’unità ipostasica, sotto la dualità delle nature divina ed umana, — Nel linguaggio filosofico corrente, fare un’ ipo- stasi o ipostatizsare, significa dare concretezza ο realtà este- riore ad un dato, che è proprio soltanto del pensiero, che è una pura astrazione. Cfr. Alberto Magno, Summa theol., I, qu. 43, 2; S. Tommaso, Summa theol., I, 29, 1 ο. (v. κο- atanza, essenza, astrazione). Ipotesi. Gr. Ynößeoıs; Lat. Hypothesie; T. Hypothese ; I. Hypothesis; F. Hypothèse. Secondo Platone l’ ipotesi è la supposizione di un principio universale, che si mette a fondamento di un altro. Per Aristotele è un ragionamento che riposa sopra l'assunto che, se 4 è vero, B deve es- sere ammesso in conseguenza; se dunque À è vero, B à ricavato per ipotesi. Secondo Cartesio l'ipotesi è una pro- posizione accolta senza constatarne la verità o la falsità, come principio da cui ricavare un insieme di proposizioni : « Affinchè ciascuno sia libero di pensare ciò che gli pia- cerà, desidero che quello che scriverò sia preso solo come ipotesi, molto lontana forse dalla verità; ma anche se ciò fosse, crederei aver fatto molto se tutte le cose che ne sono dedotte sono interamente conformi alle esperienze ». E contro questo metodo che Newton protesta, rifiutando di usare di simili ipotesi: Rationem vero harum gravitatis pro- prietatum ex phanomenis nondum potui deduoere, et hypotheses non fingo. Quicquid enim ex phanomenis non deducitur, hy- pothesis vocanda est; et hypotheses seu metaphysioæ, seu phy- sica, scu qualitatum occultarum, seu mechanicæ in philosophia — 627 — Ipo N experimentali locum non habent. Secondo il Turgot invece, lo ipotesi sono una condizione del progresso intellettuale; se ve ne sono di false e di arbitrarie, si distruggono da sè medesimo: « Tutte le volte che si tratta di trovare la causa di un effetto, non è se non per via d’ipotesi che si può giungervi, quando l’effetto solo è conosciuto. Si risale, come si può, dall’ effetto alla causa per cercare di conchiudere a ciò che è fuori di noi. Ora, per divinare la cansa di un effetto, quando le nostre idee non ce la pro- sentano, bisogna imaginarne una; bisogna verificare più ipotesi ο provarle ». Secondo A. Comte « le ipotesi vera- mente filosofiche devono presentare costantemente il ca- rattere di semplici anticipazioni su ciò che l’esperienza e il ragionamento avrebbero potuto svelare immediatamente se le circostanze del problema fossero state più favorevoli ». Secondo il Lotze l'ipotesi è una congettura con cui cer- chiamo di indovinare un dato di fatto non contenuto nella percezione, ma che erediamo debba esistere in realtà perchè la perceziono co lo presenta come possibile. Se- condo la definizione del Mill, l'ipotesi è una supposizione imaginata senza prove o con prove insufficienti, în vista di «dedurre delle conclusioni che siano d’ accordo coi fatti reali. Constatato questo accordo I’ ipotesi è verificata. Si sogliono distinguere lo ipotesi «peoiali ο ideo direttrici, dallo grandi ipotesi ο ipotesi esplicative: quello stanno al principio dello scienze, in quanto servono come idea direttiva delle investigazioni, queste stanno al culmine della scienza e sono una interpretazione generalo delle esperienze. In- fatti le conclusioni ultime di molte scienze, come I’ unità delle forze fisiche, I’ unità della materia, la formazione del sistema solare ο del nostro pianeta, |’ atomiamo, l’ evolu- - zione, ecc. non sono che grandi ipotesi, più o meno pro- babili ed alcune affatto inverificabili. Molti scienziati si mostrano contrari all’ uso dell'ipotesi, in quanto introdu- cono nello sperimentalismo scientifico un elemento arbi- Io. — 628 — trario ed a priori; va però notato che, mentre l’a priori della pura ragione è, ο pretende di essere, immutabile © assoluto, quello dell’ ipotesi è di sus natura mutabile, prov- visorio, relativo, e non ha valore se non in quanto può essere direttamente o indirettamente comprovato dall’espe- rienza. Quindi non ogni ipotesi è legittima, e la sua in- troduzione è sottomessa a leggi rigorose, che costituiscono lo condizioni d' ammissibilità dell’ ipotesi. Le principali di queste condizioni sono: che l'ipotesi non inchiuda con- traddizione nè in sè stessa, nd con altri principt noti ¢ certi, nd coi fatti che deve spiegare; che sia semplice, « scelta tra quelle che hanno più diretta attinenza coi fatti: che riguardi possibilmente una causa reale, non agenti ima- ginari, o non abbia una forma troppo affermativa. Quanto alla sua verificazione, essa varia, secondo il Naville, a se- conda che l'ipotesi è razionale, sperimentale ο esplicativa : nel primo caso si deve far concordare logicamente il prin- cipio razionale supposto coi principi già stabiliti; nel se- condo non si deve che constatare la realtà del fatto prima imaginato ; nel terzo si devo dedurre le conseguenze © conı- parare queste coi fatti. Secondo il Poincaré vi sono ipo- tesi verificabili con l'indagine matematica e sperimentale, ipotesi valide solo come mezzi per fissare le nostre cono- scenze, ο ipotesi che non sono vere ipotesi, ma definizioni o convenzioni mascherate. È da queste ultime che le acionze traggono il loro massimo vigore; noi non concepiamo il numero, la grandezza, lo spazio, la materia, se non tra- verso ipotesi le quali sembrano avere dell’ arbitrario e che sono accettate, non già come la rappresentaziono della realtà, bensì come un mezzo comodo, naturale, logico (per la logica umana) di rappresentarei la realtà; non è la realtà che ci dà quei concetti, senza dei quali nulla sapremmo, siamo noi che ce li creiamo © li usiamo per convenzione. In generale, l’oggettività della conoscenza è in ragione inversa della sua universalità; il fatto bruto è il più og- — 629 — Ipo gettivo, ma da questo in là l’oggettività diminuisce gra- datamente a misura che cresce la generalizzazione; il fatto stientifico è già meno oggettivo e più ipotetico del primo, e dal fatto scientifico alla legge, ο da questa ai principt è un procedimento continuo verso il soggettivismo © verso il convenzionalisno. Questi concetti del Poincaré sono con- divisi ed anche accentnati dai rappresentanti dell’ empi- rismo radicale, dell’ empiriocriticiemo ο dell’ energismo. Così per l’Ostwald non si può ragginngere il fondo vero delle cose se non attenendosi alla pura constatazione dei fatti offerti dall'esperienza, e costruendo una scienza libera da ipotesi, eine Aypothesenfreio Wissenschaft; le ipotesi sono, infatti, delle semplici imagini con cui arbitrariamente si aggiungono ni fenomeni dei caratteri che non ci sono dati dall’ esperienza ο non potranno mai dimostrarsi oggettiva- mente, imagini scelte in guisa da rappresentare con le loro proprietà le proprietà analoghe dei fenomeni; ora, il solo modo adeguato di rappresentare completamente un feno- meno à il fenomeno stesso ; ogni rappresentazione per mezzo di altri fenomeni, più o meno analoghi, contiene necessa- riamente elementi estranei. Cfr. Platone, Fed., 100 A segg.; Kep., VI, 510 B; Aristotele, Anal. post., I, 2; Anal. prior., I, 10, 30 b, 32; Cartesio, Prino. phil., 11, 44, 45; IV, 204- 206; Newton, Philos. mat. prino. math., 1687, ad finem; Comte, Cours de phil. pos., I, lez. 28; Lotzo, (irundsiige d. Logik, 1891, p. 84; Stuart Mill, Syst. of logic, 1865, II, 17; È. Naville, La logique de l'hypothèse, 1895; Ostwald, Por- lesungen über Naturphilosophie, 1902; Id., Die Uberwindung des wissenehohaft. Materialismus, 1895 ; Poincaré, La valeur de la science, 1908; Id., La science et l'hypothèse, 1909; C. Ranzoli, Leggo, principio, ipotesi, in « Linguaggio dei filo- sofi », 1913, p. 228-244. Ipotetico. T. Hypothetisch; I. Hypothetical; F. Hypo- thétique. In generale si riferisce a tutto ciò che è supposto arbitrariamente, che ha bisogno di essere dimostrato con Ips — 630 — prove. — I giudizi sono ipotetici quando esprimono che la posizione del predicato è condizionata ο dipendente dalla posizione del soggetto. La loro formula è : se 4 à, è (non è) B. in cui la prima parte, che contiene la posizione del sog- getto, dicesi ipotesi, la seconda, che contiene quella del predicato, tesi. Il giudizio ipotetico, insieme al categorico e al disgiuntivo, appartiene alla forma dei giudizi di re- lazione. — Diconsi ipotetici puri quei sillogismi in cui In maggiore, la minore e la conclusione sono giudizi ipotetici: essi hanno, teorioamente, tanto figure © modi quanti il gin- dizio categorico, ma sono praticamente d’uso assai limitato. Diconsi ipotetico-categorici, quei sillogismi di eni la mag- giore è un giudizio ipotetico, la minore un gindizio cate- gorico che afferma l’antecedente o nega il consegnente della maggiore, e la conclusione un giudizio categorico che afferma il conseguente o nega l’antecedente della maggiore; esso ha quindi due modi fondamentali: il po- nente (ponendo ponens), che seguo il tipo della prima figura del sillogismo categorico, © il tollente (tollendo tollens) che segue il tipo della seconda. — Nella matematica si di cono ipotetici quei problemi la cui validità dipende dal-" l’analisi necessaria a risolverli, ed assoluti quelli che sono indipendenti dall’analisi. — Kant chiama ipotetici quegli imperativi che sono subordinati ad una condizione, ed enuncinno che un atto è un mezzo relativamente ad un certo fine. Cfr. Kant, Logik, 1800, p. 163; Wundt, Logik. 1893, I, p. 182. Ipsedicitismo. Vocabolo creato dalla espressione ipre dizit, adoperato per designare In tendenza a jurare in verba magistri, nd ammettere in tutta la sua estensione il prin- cipio di autorità (v. testimonianza). Ipse dixit. Durante il medio evo, Aristotele era ri- guardato como giudice inappellabilo del vero, perchè si credeva che egli nvesse raggiunto il limite massimo della sapienza, conoscendo tutto quanto all’ nomo è dato co- — 631 — Iro noscere. Quindi il criterio assoluto della verità d’ ogni dottrina era 1’ essere contenuta nelle opere d’ Aristotele, l'essere stata detta da lui: ipse dixit, egli disse. Questa espressione fu creata forse dal più grande commentatore arabo d’ Aristotele, Ibn Roschd conosciuto sotto il nome di Averroè, il quale faceva precedere ai propri commenti un compendio del testo d’ Aristotele, preceduto sempre dalla parola Κάῑ = disse. Col Risorgimento ο col deca- dere della scolastica finisce codesta cieca sottomissione all’autorità del filosofo greco, 9 si comprende che la ve- rità va cercata, come disse il Galilei, non nei libri d’Ari- stotele, ma nel gran libro sempre aperto della natura. La inza moderna non esclude del tutto il valore della te- stimonianza, ossia del principio di autorità, perohè se chi coltiva una data disciplina dovesse rifare da capo tutto ciò che prima di lui è stato fatto, sarebbe impossibile il pro- gresso scientifico; tuttavia essa si uniforma pur sempre alla massima di Bacono: veritas filia temporis non auotori- tatie (v. aristoteliamo). Ironia. Gr. Εϊρώνεια; T. Ironie, Ferepottung ; I. Irony; F. Ironie. Si definisce come quella forma del comico, nella quale inaspettatamente ci compiacciamo di trovar celato il biasimo sotto la lode o sotto la rappresentazione ogget- tiva, oppure l’ incredulità sotto la credenza, ο, viceversa, la lode sotto il biasimo e la credenza sotto la credulità. In ogni forma d’ironie (pura, satirica, benevola, ecc.) è infatti essenziale un compiacimento più o meno esagerato, col quale si rileva un difetto o un contrasto, ο che, nella sua esagerazione, cela un compiacimento affatto opposto a quello rivelato dall’ironista. — Nella storia della filosofia la parola ironia è usata ad indicare il processo metodico confatativo, ο negativo, adoperato da Socrate nelle sue dispute. Esso con- sisteva nel fingersi ignorante davanti a persone che gode- vano fama di essere sapienti o si presumevano tali ; tale igno- ranza egli la sapeva sostenere per i tratti stessi del suo viso e Ink — 632 — con la semplicità delle domande, ingenue in apparenza ma così sottilmente incalzanti nella sostanza, da far cadere in- fine l'interlocutore in un viluppo di assurdità manifeste ο da costringerlo a negare quanto prima aveva asserito. Così gli avversari vedevano rovinare la loro pretesa scienza, smantellata sotto i colpi della dialettica socratica. E tale era l'intento che Socrate proponevasi col suo metodo cri- tico dell’ ironia: comunicare agli altri quel dubbio che era anche in lui intorno alla verità delle proprie ed altrui opi- nioni. « Credi tu, dice Socrate a Menone, a proposito dello schiavo che aveva preso a catechizzare, ch’ei si sarebbe messo a cercare ed imparare ciò che si credeva di sapere pur nol sapendo, se prima non fosse caduto nel dubbio, accorgendosi di non sapere e sentendo desiderio di saper veramente? Pon mente adesso come egli, movendo da questo dubbio e facendo la ricerca con me, ei ritroverà il vero, non altro che io l’interroghi, non già che gli insegni >. Nei dialoghi socratici di Platone è l’ironin che prevale; in quelli di Senofonte è invece il metodo positivo o maieu- tica, Cfr. Senofonte, Mem., I, 3, 8; Acad., II, 15; Pla- tone, Menone, XVIII, 84 CD; Zuccante, Metodo di filosofare di Socrate, in Saggi filosofici, 1902; Paulhan, La morale de P ironie, 1909, p. 142 segg.; G. Palante, 2’ ironie, « Revue philos. », feb. 1906; A. Momigliano, L'origine del comico, « Cultura filosofica », sett. 1909 (v. agonistica, anatreptica, endiotica, eristica, ecc.). Irraggiamento v. emanazione. Irrazionalismo. T. Irrationalismus ; I. Irrationalism ; F. Irrationalisme. Nella filosofia religiosa è quell’ indirizzo che considera la ragione impotente a penetrare nelle cose divine ed estrasensibili, e può avere tante forme quanti sono i mezzi o stromenti che esso ritiene idonei alla co- noscenza religiosa, siano essi la fede fiduciale o giustificante (fideismo), la tradizione (tradizionalismo), il sentimento (sentimentalismo), ecc.: si oppone sia al razionalismo as- — 633 — Iur soluto, che ritiene la ragione capace di costruire, con le sole sue forze, un sistema di conoscenze che ha valore non solo di scienza © di filosofia, ma anche di religione; sia al semi-razionaliemo, che riconosce due stromenti ο fonti della verità, la ragione e la fede, e quindi due ordini di verità, le verità di ragione ο le verità di fede. Nella me- tafisica l’irrazionalismo è dottrina per la quale l'universo è irrazionale, ossia tale che non pud essere ridotto ngli schemi logici della ragione ; si oppone specialmente al pan- logiemo, per il quale invece tutto ciò che è razionale è reale, © tutto ciò che è reale è razionale. Forme di irra- zionalismo sono l’ idealismo oggettivo dello Schelling, il ro- lontarismo dello Schopenhaner ο il mobiliemo contempo- raneo. Cfr. C. Ranzoli, I! linguaggio dei filosofi, 1913, p. 217 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad. it., vol. II, Ρ. 343-351. Irritabilità. F. Irritabilit. Questo vocabolo fu intro- dotto nel linguaggio filosofico dall’ Haller, per designare ‘quella proprietà dei muscoli che oggi dicesi contrattilità, © cio l'attitudine dei muscoli stessi di reagire allo sti- molo con uns contrazione. Poscia passò a designare I’ at- titudine del muscolo a reagire allo stimolo, attitudine che con la contrattilità non costituisce che due forme di un’unica proprietà: il muscolo non si contrae se non è irritabile, © non si può dire che sia irritabile se non si contrae. Pre- sentemente per irritabilità si intende la proprietà fonda- mentale della materia organica di reagire ad eccitamenti, per rispondere con una reazione propria agli stimoli. La reazione di ogni tessuto è il risultato delle reazioni mi- nime dei singoli elementi di cui il tessuto si compone: Virritabilita è dunque la proprietà fondamentale delle cel- lule viventi. Variando le reazioni minime, varia anche la reazione complessiva: così |’ irritabilità del tessuto musco- lare consiste nel contrarsi, quella del tessuto vascolare nel necernere, quella del tessuto nervoso nel sentire. La natura Iso-Ist — 634 — specifica della reazione della cellula non dipende dalla na- tura dello stimolo, ma da quella della cellula stessa. L’at- tività delle cellule ο dei tessuti è sempre determinata da uno stimolo. Tuttavia gli organismi hanno la proprietà di muoversi da sd stessi, senza In eccitazione immediata del di fuori: questa proprietà dicesi «pontaneità ed è costituita dalla scarica della forza muscolare immagazzinata, in se- guito all’azione di modificazioni interne, che costituiscono lo stimolo. La spontaneità è dunque relativa non assoluta ; essa differisce dall’irritabilità non qualitativamente ma quantitativamente. Cfr. Werworn, Fisiologia generale, trad. it. 1907, p. 50 segg. (v. protoplasma, rita, vitalismo, ecci- tazione). Isostenia. Vocabolo dell’antico scetticismo, ancora usato per indicare il bilanciarsi delle ragioni pro e contro in un dato argomento. La conclusione ultima cui giunse tutta l’antica scuola scettica, da Pirrone d’Elide a Sesto Empirico, fu infatti che lo ragioni pro ο contro, intorno a qualsiasi oggetto, si equilibrano ed hanno forza uguale; ‘Timone di Flio, discepolo di Pirrone, disse ciò isostenia delle ragioni (ἰσοσθένια τῶν λόγων), 9 tale vocabolo è ri- masto nel linguaggio filosofico. Cfr. C. Wachsmnth, De Ti- mone phliasio, 1859. Istante. Gr. Τὸ viv; T. Augenblick ; I. Instant; F. Ins- tant. L'attimo attuale, il punto determinato e indivisibile della durata, © che quindi sfugge ad ogni misurazione: esso è il limite comuno tra due durate successive. Il pre- sente è un istante, che sta fra il passato, che è già un non-essere, © il futuro, che è il possibile pensato in reln- zione alla nostra esperienza. Tra tutti i filosofi, Aristotele è senza dubbio quello che ha analizzato con maggiore acu- tezza il problema dell'istante, nel quale #’ accentra il pro- blema del tempo. Per Aristotele l'istante è sempre diverso per la sua forma, perchè ora è in questo punto ora in altro punto diverso del tempo, ma è sempre lo stesso per la sua — 635 — Ist materia, cioè in quanto istante, perchè implica sempre un anteriore e un posteriore, o, in altre parole, perchè è sem- pre ugualmente fine del passato e principio del futuro. Così si spiega come il tempo, al pari del movimento, sia sem- pre diverso e sempre lo stesso. Se l'istante non fosse il tempo non sarebbe, come se fl tempo non fosse l'istante non sarebbe; non solo, ma è per l'istante che il tempo è continuo ed eterno. Tempo ed istante si implicano a vi- cenda come il movimento e il corpo mosso; infatti « sono entrambi simultanei; © come il movimento e il corpo mosso sono simultanei, tali sono anche il numero del corpo mosso € il numero del movimento; poichè il tempo è il numero del movimento, e 1) istante, come il corpo mosso, è in certo modo l’unità del numero, μονὰς ᾽αριθμοῦ ». L’ istante è ul tempo come il punto alla linea: come I’ istante dete nina U’ anteriorità e lu posteriorit del movimento, e quindi divide il prima e il dopo, così il punto divide la linea essendone il principio e l’ estremità; come l'istante non è una porzione del tempo, quantunque determini il tem- po, così il punto non è una parte della linea, quantun- que generi la linea. Da ciò si comprende come Aristotele chiami l’istante un semplice accidente del tempo; infatti sotto un certo rapporto esso non è numero, ossia non è tempo, perchè mentre il numero serve a numerare le cose più disparate, l’istante serve solo a limitare cid di eni è limite; ma sotto un altro rapporto esso pure è nu- mero, perchè può applicarsi indifferentemente a tutti i movimenti e a tutti i corpi. Cfr. Aristotele, Phys. IV. 10-12; Covotti, Le teorie dello spazio ο del tempo nella fil. greca, « Annali della R. Scuola Norm. di Pisa », 1897, vol. XII (v. fempo). Istanza. Lat. Instantia; T. Instanz; I. Instance; F. Instance. Cartesio dava questo nome al nuovo argomento che si aggiunge alla risposta ad una obiezione : « Ho tra- seurato di rispondere al grosso libro d’ istanze che 1’ autore Ist — 686 — delle quinte obbiezioni ha prodotto contro le mie rispo- ste... ». L'istanza, così intesa, può consistere sia in una nuova obbiezione, sia in una confutazione della replica. Bacone dà a questa parola il valore di fatto osservato ed accertato, caso particolare, esempio. Egli divide le istanze in positive, negative e prerogative; le prime sono quelle che danno luogo ad una induzione per enumerationem simplicem, le seconde sono i casi o il caso particolare contrario, che la distruggono; le ultime il fatto o i fatti di tal natura, che bastano a garantirla. L'istanza prerogativa, che à il fondamento della legge, può offrirsi da sola alla osserva- zione; ma per lo più lo scienziato deve andarla a cercare, e tale ricerca si opera per mezzo dello esperimento. Cfr. De- scartes, Lettre à Clerselier, ed. Ad. et Tannery, IX, 202; Bacone, Nor. Org., Il, 21 segg. ; De Augmentis, V, 2 (v. istan- tie, induzione, experimentum cruoie). Isterismo. T. Hysterismus; I. Hysteriem, Hysteria; F. Hystérieme. Forma di malattia nervosa, ricca dei più sva- riati fenomeni psichici, che si manifesta specialmente nella gioventù, più nelle donne che negli uomini, e colpisce pro- fondamente la personalità. Secondo gli studi più recenti, esso sarebbe determinato da una specie di intorpidimento, diffuso o localizzato, passeggero o permanente, dei centri cerebrali, che si traduce con manifestazioni trofiche, visce- rali, sensitive © sensoriali, motrici © psichiche, a seconda dei centri colpiti; ο con crisi transitorie, con stimmate per- manenti o con accidenti parossistici, a seconda delle sue variazioni, del sno grado e della sua durata. Si distingue il grande isterismo dal carattere isterico; questo si rivela nella grande mobilità dell’ umore, nella forma vacillante © instabile della volontà, nella leggerezza dei giudizi ο degli affetti, nella incostanza dei propositi, nella facile distrai- bilità ed emotività, nella tendenza alla bugia e all’inganno. Il grande isterismo è caratterizzato da oscuramento della coscienza, idee deliranti, illusioni ed allucinazioni, muta- — 637 — Ist bilità massima dell’nmore, convulsioni, nevralgie, anestesie e iperestesie locali e generali, insonnia, vertigini, ece. In tutte le forme di isterismo si osservano poi : le lesioni più © meno gravi della personalità, la grande attitudine a ri- cevere la suggestione (che agisce nella subcoscienza) e il sonnambulismo naturale. Tuttavia gli autori che in questi ultimi tempi hanno tentato di definire I’ isterismo, cerca- rono di raccogliere tutti codesti sintomi intorno ad un fe- nomeno morale; Moebius e Stritmpell considerano come iste- iche le modificazioni patologiche del corpo determinate da idee, da rappresentazioni, e lo definiscono « un insieme di malattie da idea, da rappresentazione mentale » ; altri in- sistono sullo sdoppiamento della personalità, sui fenomeni di dissociazione mentale, sull’ ufficio delle idee subco- scienti, ecc. Si può dire con Pierre Janet che l’isterismo è una psicosi « appartenente al gruppo delle malattie men- tali da insufficienza cerebrale, ed è specialmente enratte- rizzata da sintomi morali, il principalo dei quali è un in- debolimento della facoltà di sintesi psicologica ». Ne viene che un certo numero di fenomeni elementari, sonsazioni ed imagini, cessano di essere percepite e sembrano escluse dalla percezione personale, donde una tendenza alla scis- sione permanente e completa della personalità, alla forma- zione di parecchi gruppi indipendenti gli uni dagli altri: questo stato favorisce la formazione di idee parassitarie, che si sviluppano isolatamente all’ infuori della coscienza personale e si manifestano coi disturbi più svariati d’ap- parenza fisica. Cfr. Ribot, Les maladies de la volonté, 1901, pag. 115 segg.; Moebius, Ueber d. Begriff d. Hysterie, 1888 : Pierre Janet, L'automatisme psychologique, 1889; Id., Ane- sthesie et dissociation, « Revue philos. », 1887 (x. autnco- soienza, autosoopia, suggestibilità). Istinto. Τ. Instinkt; I. Instinct; F. Instinct, È un insieme di abitudini protettive, formatesi lentamente a traverso l'evoluzione della specie e fissatesi progressivamente negli Ist — 688 — individui della specie medesima. Il Reid lo definisce « un impulso naturale a certe azioni senza avere nessuna no- zione del fine, senza deliberazione e assai spesso senza nessun concetto di ciò che si fa ». Kant: « la necessità in- teriore della facoltà di desiderare il possesso di un oggetto prima di conoscerlo; ossia un bisogno affettivo di fare o godere qualche cosa, di cni tuttavia non si ha alcun con- cetto ». Bain: « il nome dato a ciò che si fa anteriormente all'esperienza e all’educazione ». Spencer: « un’ azione ri- flessa appropriata; esso può essere più descritto che definito, perchè non si può tracciare una linea netta di demarcazione tra esso © la semplice azione riflessa ». Romanes: « ter- mine generico comprendente tutte quelle facoltà psichiche le quali conducono alla esecuzione cosciente di azioni che sono adattative nel carattere, ma sono perseguite senza necessaria conoscenza delle relazioni tra i mezzi impiegati 9 il fine raggiunto »; egli chiama istinti primitivi quelli che risultano direttamente dalla struttura primitiva dell’essere vivente, o che non sono dovuti che alla selezione, e istinti secondari quelli che costituiscono un automatismo derivato, acquisito mediante adattamenti intelligenti, Il Bastian in- vece raggruppa gli istinti in tre grandi classi, a seconda «he dipendono da stimoli provenienti direttamente o in- «direttamente dal canale alimentare (ad es. il modo di ri- cercare © catturare la preda), ο dagli organi generatori (ad es. la costruzione dei nidi, I’ incubazione, ece.), 0 da tutto intero l'organismo, sia nella parte esterna che nell’ interna (ad es. lo svernamento e |’ emigrazione). Carattere essen- ziale dell’ istinto è l'utilità, sia per l'individuo che per la specie; un istinto nocivo non è più un vero istinto. secondo il Bergson questo carattere di utilità (che però è uegato da alcuni biologi, che citano esempi di istinti inutili © addirittura nocivi) consiste nell’ uso degli organi, laddove il carattere della intelligenza sta nella capacità di fabbri- care degli stromenti artificiali: 7’ istinto compiuto è una fa- — 639 — Ist coltà di utilizzare e anche di costruire degli atromenti organiz- zati, l'intelligenza compiuta è la facoltà di fabbricare e im- piegare degli stromenti inorganici. Il carattere meccanico del- l'istinto è apparso così prevalente, che per lungo tempo è prevalso il concetto, elevato a legge, che I’ istinto fosse in ragione inversa dell’ intelligenza; oggi però la maggior parte dei psicologi e dei naturalisti conviene col Romanes nel respingere codesta legge, e nell’ ammettere invece che V istinto s’ accompagna a quel grado d’ intelligenza che pro- cede per singoli casi, e che è in continua cooperazione con la scelta naturale © col meccanismo. L’ atto istintivo si di- stingue dal riflesso, perchè mentre questo è puramente fisiolo- gico e riguarda solitamente un solo organo, quello ha anche un fattore psichico, ciod il sentimento, e implica l’impiego di più organi; si distingue dal volontario perchè è d’ ordinario uniforme e non snppone la netta rappresentazione del fino; si distingue infine dall’ abitudine perchd questa è acquisita quello è innato. Tuttavia è indubitabile che 1’ istinto, oltre che fatto ereditario, è anche fatto d’ acquisizione, nd si po- trebbe comprenderne l’origine ammettendo la sola trasmis- sione ereditaria: infatti l'eredità non crea, ma soltanto con- serva ciò che già esisto; 1’ eredità soffre numerose eccezioni, mentre l’ istinto non ne soffre alcuna; l'eredità trasmette an- che le tendenze nocive, mentre l’istinto è sempre utile. Dol resto, che l’istinto possa ossere acquisito è dimostrato, oltre- chè dalle modificazioni che esso subisce per gli adattamenti locali, anche dall’ efficacia dell’ addomesticamento, che può deprimero o distruggere istinti esistenti ο crearne di nuovi. Ora, i principali fattori che concorrono a formare l’istinto sa- rebbero: l'imitazione, l'adattamento, l’intelligenza e l’espe- rienza individuale, intesa, quest’ ultima, come qualche cosa di più semplice dell’ esperienza riflessa e pienamente co- sciente, che è propria soltanto dei vertebrati superiori © dell’uomo. Cfr. Reid, On the intell. powers of man, 1785, MI, 2; Kant, Anthropologie, 1872, I, $ 78; Bain, Menta? Isı-Ira — 640 — and moral science, 1884, p. 68; Spencer, Prino. of psycho- logy, 1881, I, p. 482 segg.; Romanes, L’évol. ment. chez los animauz, cap. XII; Bastian, The brain as an organ of mind, 1884, p. 227 ; Bergson, L’évol. ordatrice, 1912, cap. IL: G. Bohn, La nouvelle peychol. animale, 1911; T. Wasmann, Istinto e intelligenza nel regno animale, trad. it. 1908; F. Mi sci, La formazione naturale del? intinto, « Atti della R. Acc. di Napoli », 1898. Istologia. T. Hystologie; I. Hystology; F. Hystologie. L’anatomia microscopica, che studia gli organi del corpo umano nei loro elementi componenti e stabilisce i rapporti dei vari tessuti (hista ο tela). L’ istologia moderna si fonda sulla teoria cellulare, per la quale sia nell’ uomo che nel- l’animale, sia nell’ organismo sano che nell’ammalato, tutti i tessuti si compongono degli stessi elementi morfologici microscopici, le cellule, le quali nascono tutte per una di- visione ripetuta spesse volte, da una cellula unica, sem- plice, dalla cellula stipite o dalla cellula ovo fecondata (v. cellula, cellulari teorie, vita, generazione). Istorismo. O storicismo. T. Historiemus; F. Historisme. Scuola filosofica ο suciologica, che gli avvenimenti della storia, il diritto, i costumi, le azioni umane, le diverse dottrine, vuole siano giudicate non nel loro valore intrin- seco, ma nel loro clima storico, vale a dire in rapporto all’ ambiente sociale, di cui esse sono il prodotto. In questo senso l’istorisno si oppone al razionalismo; ma essendo talvolta usato anche a indicare la concezione hegeliana, per cui l’accadere è un processo essenzialmente storico spirituale, si oppone a naturalismo. Cfr. Andler, Les ori- gines du socialisme d’État en Allemagne, 1. I, c. I, $ 2-4 (v. eatetiomo, storicità). Italica (scuola). Talvolta si chiama così la scuola pita- gorica perchè fiorì nella Magna Grecia, e specialmente a Crotone, colonia dorico-achea. — 641 — Lav-LecL Lavoro. T. Arbeit; I. Work; F. Travail. In senso ge- nerale è ogni attività legata ad uno sforzo ο diretta ad uno scopo utile, oggettivo o soggettivo; in senso mecca- nico il prodotto di una forza costante per il cammino che percorre il suo punto d’applicazione nella direzione di quo- sta forza. Dicesi lavoro elementare il prodotto di questa forza per il cammino che percorre il suo punto d’appli- cazione e per il coseno dell’angolo che la direzione della forza fa con la direzione del cammino. Dicesi lavoro virtuale il lavoro elementare d’una forza in un movimento virtuale ο ipotetico; il principio del lavoro virtuale, usato nella sta- tica e già intravvisto da Galileo, consiste in ciò, che quando un sistema di pnnti materiali è in equilibrio, se gli si im- prime un movimento virtuale compatibile con i legami stabiliti tra i suoi differenti punti, la somma algobrica dei lavori virtuali di tutte le forzo al quale è sottomesso è uguale a zero. Diconsiipotesidi lavoro o idee di lavoro (wor- king ideas) quelle ipotesi e quei concetti scientifici, che non rappresentano la vera natura delle cose, non corrispondono a nulla di reale, ma hanno il semplice valore di finzioni utili, di simboli artificialmente costruiti per agire sulla realtà; secondo alconi indirizzi filosofici contemporanei, tutte le leggi scientifiche e persino le categorie intellet- tuali (causalità, sostanza, forza, spazio, tempo, ecc.) non sarebbero che ipotesi di lavoro. Cfr. Bradley, Appearance and reality, 1893, p. 284 (v. economica concezione, empirio- eriticiemo, ipotesi). Legalità. T. Gesetzlichkeit, Genetemässigkeit; I. Legality; F. Légalité. In senso generale, conformità alle leggi posi- tive. Per rapporto alla legge morale, Kant distingue In legalità dalla moralità: questa è la conformità soggettiva ο volontaria dell’atto con la legge morale, quella la con- 41 — Rawzout, Dirion. di scienze filosofiche, Lea — 642 — formità oggettiva dell’ atto alla legge stessa, in quanto cioè l’atto compiuto è quale appunto doveva compiersi. Può dunque aversi nello azioni la moralità senza la lega- lità ο viceversa: si ha il primo caso quando in buona fede si fa ciò che essa proibisce di fare, il secondo quando si fa ciò che la legge comanda per un motivo diverso che l’ob- bedienza dovuta alla legge. Cfr. Kant, Krit. d. pr. Vernunft, D 126 segg.; Id.,The monist, gennaio 1910. Legge. Gr. Nönog; Lat. Lez; T. Gesetz; I. Law; F. Loi. Il concetto di legge ha subito molte variazioni nella storia del pensiero umano, le quali tutte permangono como gnificazioni diverse dello stesso vocabolo. Agli albori della speculazione filosofica, la leggo era considerata come un comando impartito ai fatti naturali da virtà divine occulte © dirpotiche; poscia prevalse il concetto etico-giuridico, per cui si considerarono le leggi naturali come norme impar- tito ai fatti da una volontà sovrannaturale, alla stessa guisa che il legislatore impone ai cittadini, con regola im- mutabile, i propri voleri. Con gli stoici, l’idea di legge è trasportata per la prima volta dai fatti morali si natu- rali, con la scuola epicurea essa cominciò a considerarsi come la manifestazione spontanen della realtà intima dei fenomeni. Ma il concetto naturale di legge nel senso mo- derno non comincia che verso il seicento; allora per loggo #' intese il rapporto costante fra termini, che sono rispet- tivamente condizionati e condizionanti. Ai nostri giorni la nozione di legge ha assunto una generalità anche mag- giore, ο significa uniformità di rapporto, o anche solo di posizione, tra più cose, fatti, proprietà. La logge non è altro, per la acienza modorna, che la concordanza dei fatti in una medesima condizione, vale a diro il fatto stesso portato allasuamassima goneralitä. Così l’Ardigò definisce la logge ; — 648 — Lee il De Greef « il rapporto necessario esistente fra ogni feno- meno e le condizioni nelle quali esso apparisce >; il Vignoli «l’ invariabilità nell’ evoluzione © molteplicità dei feno- meni », eoo. Però non tutti i filosofi concordano nel dare alle leggi naturali un valore rappresentativo della realtà; secondo alcuni indirizzi filosofici contemporanei (contingen- tismo, empiriooriticiemo, prammatiemo, ecc.) esse sarebbero delle semplici ipotesi, dello idee di lavoro, senza alcuna correlazione con una realtà per sò stante e costruite solo per ordinare în modo semplice ed economico le esperienze © per servire si bisogni dell’azione. Si sogliono distin- guere: leggi etico-giuridicho, naturali, matematiche e stori- che. Le prime non sono causali come le leggi naturali, ma riguardano un’ azione possibile © sopportano la contrad- dizione; le leggi matematiche non sono causali ο quindi non soffrono eccezioni; le leggi storiche sono causali come le naturali (per chi considera la storia come scienza), ma assai più complesso e meno precise per il maggior intreccio © la maggior dipendenza dei fatti storici tra di loro. Se- condo alcuni pensatori, le leggi sociali, che appartengono al gruppo delle leggi storiche, non sarebbero assolute, fisse ο immutabili come le leggi fisiche, ma soltanto em- piriche, di tendenza © di gruppo ; empiriche perchè non fon- date su un numero sufficiente di fatti; di tendenza perchè esprimono soltanto la direzione generale delle forze so- cinli, sonza poter affermare se la loro direzione perdurerà ο inuterà, ο in qual modo muterà; di gruppo perch? pos- sono essero appliente soltanto a masse o aggregati di in- dividui. Cfr. Kant, Krit d. pr. Vernunft, 1. I, ch. I, § 1; Wundt, Logik, 33 ed., 1. II, p. 22; E. Boirac, L'idée de phénomène, 1894, p. 198 s0gg. ; L. Weber, Sur diverses acoe- ptions du mot loi, in Revue philosophique, maggio ο giugno 1894; A. Pagano, Vicende del termine e del concetto di legge nella filosofia naturale, « Riv. filosofica», sett. 1905 (v. diritto, determinismo, empiriocriticiemo, ipotesi. Lem-Lis — 644 — Lemma. Gr. Λῆμμα = proposizione; T. Lehnsats, Hüdfs- sate; I. Lemma; F. Lemme. Proposizione che si ammette come dimostrata in quanto serve a preparare la dimostra- zione di un'altra proposizione, che bisogna provare e con la quale tuttavia non ha alcun rapporto diretto. Quest’uso della parola sembra risalire a Euclide; mu già Aristotele Vadoperava per indicare le premesse del sillogismo, τὰ AFppara τοῦ συλλογισμοῦ. Oggi si usa anche ad indicare una proposizione press a prestito da un’altra scienza o da un’altra parte dello stesso sistema, dove ha la propria dimostrazione. Cfr. Aristotele, Top., VIII, 1, 156 b, 21; Fries, System der Logik, 8 Auf. 1837, p. 294 (v. dilemma, dimostrazione). Letargia. Gr. Ληθαργία, da λήθη = oblio, ἁργία —ina- zione; T. Lethargie, Schlafeucht; I. Lethargy, Trance; F. Lé- thargie. Una delle fasi del sonno ipnotico, la seconda stando alla teoria dol grande ipnotiemo, sostenuta dallo Charcot ο dalla sun scuola. Lo stato letargico è caratterizzato da ancatesin quasi generale, esagerazione dei riflessi © riso- Inzione muscolare completa, cosicchè ogni più debole ec- citazione meccanica determina la contrazione (v. ipnotiemo, catalessia, sonnambuliemo, suggestione, 900.). Levirato. Mac Lennan chiama così quel sistema di matrimonio praticato dalle antiche tribù a famiglia polian- drica esogamica, secondo il quale un uomo doveva sposare In vedova del suo fratello morto senza prole, per assicu- rargli una posterità. Il levirnto segna un passo notevole nell'evoluzione della famiglia, in quanto un gruppo di uomini prima nomici © poi succossivamente tra loro fra- telli, coabitano con uno stessa donna, stringendosi al patto prima detto. Cfr. Mac Lennan, Studies in ancient history. 1878 (v. esogamia, endogamia, matriarcato, famiglia, cco.). Liberalismo. T. Liberalismus; I. Liberalism; F. Libe- ralisme. In senso politico-roligioso è la dottrina compendiata nella nota formula cavonriana «libera Chiesa in libero — 645 — Lis Stato ». In senso strettamente politico, la dottrina secondo la quale ai cittadini dev'essere garantita libertà di pen- siero e di parola, sicurezza da ogni arbitrio governativo; il che significa che il potere legislativo e giudiziario deb- bono essere indipendenti quanto è possibile dall’esecutivo. In senso economico, la dottrina che sostiene non dover lo Stuto intervenire nelle relazioni economiche tra cittadini, grappi sociali, nazioni (mediante premi, dazi protettivi, ecc.), le sue funzioni non essendo nd industriali nd commerciali. Cfr. Royce, Psiohol. Rev., V, 1898, 188; © una serie di art. di vari autori in Reo. de metaph. et de morale, 1892-1893. Libero arbitrio. Lat. Liberum arbitrium indifferentia ; T. Willenafretheit; I. Freewill; F. "Libre arbitro. La libertà del volere, ossia la possibilità conoreta che l’uomo possc- derebbe di determinarsi in modi svariatissimi ο indifferen- temente, vale a dire senza legami con la necessaria azione delle cause determinanti. In altre parole, libero arbitrio vuol dire che la decisiono tra duo possibilità opposte ap- partiene esclusivamente alla volontà dell'individuo, senza che per nulla possano influire su tale docisione la pressiono multiforme ο continua dell'ambiente esteriore © la lotta interna dei diversi motivi e mobili. Arditrium, dice Pietro Lombardo, quia sino coatione et necessitate valet appetere vel eligero, quod ex rations decreverit. È Malobrancho : la puis- sanoe do vouloir ou de ne pas rouloir, ou bien de voulvir le contraire. E Bossuet: plus je recherche en moi-mémo la raison qui me détermine, plus je sens quo je n’en ai auoune autre que ma soule volonté; je sens par là clairement ma liberté, qui consinte uniquement dans un tel choiz. Libero arbitrio significa adunquo spontaneità, assenza di causalità ; ogni dottrina che ammette nell’ uomo il libero arbitrio dicesi indeterminiemo, contingentismo, 0 libertiemo. Anche i deterministi ammettono lu libertà del volere, ma semplicemento come una possi- bilità astratta: infatti essendo In libertà la possibilità di coordinaro i mezzi al compimento del fine, ed essendo la Lis — 646 — volontà non altro che la possibilità di una simile coordi- nazione cosciente, è chiaro che senza libertà non ο) ὃ nem- meno volontà non essendoci possibilità di coordinazione. Ma tale possibilità è puramente astratta, perchè nel caso conereto una data decisiono è l’effetto necessario di deter- minati motivi: astrattamente io posso ora scrivere e non sorivere, ma in realtà perchè smetta di scrivere occorre si verifichino quelle condizioni che non si verificano mentre scrivo. Oltre la maniera tradizionale di intendere il libero arbitrio - ciod quale assoluta spontaneità, quale libertà@indifferenza,quale eocezione del principio di causalità - ve n’ha una più moderna che lo intende come autonomia della ragione, dalla quale la volontà dipende. Per Kant l'autonomia è la volontà che, indipendentemento da ogni mobile, si determina da sò stessa ad agire, cioò in virtà della sola forma univeraalo della legge morale, fuori da ogni motivo sensibile; come la nostra conoscenza si regge sopra condizioni @ priori, così anche la nostra condotta morale deve dipendere dalla volontà morale © dalla sua legge morale; quindi drückt das moralische Ge- setz nicht anderes aus ala die Autonomie der reinen praktischen Vernunft, d. i. der Freiheit, ossia la legge morale non esprime che l'autonomia della ragion pura pratica, vale a diro In libertà; l'autonomia del volero è « quella proprictà del voloro, por cui osso è una logge a sè modesimo (indipon- dento da ogni propriotà dell’ oggetto del volere) ». Il prin- cipio dell’autonomia è dunque: scegliere in modo, che le massime della propria scelta siano nollo stesso tempo com- prese nel volere medesimo conic legge nnivorsale. Se- condo l’Ardigò ogni attività specitica è un'autonomia in quanto è la trasformazione della forza esteriore, do- vuta alla proprietà di cui ogni essere è dotato, cioè alla costituzione naturale dell’ essere stesso: è un’ autonomia perchè la forza esteriorehadovutotrasformarsi secondo la proprietà dell’ essere, il quale per tal modo trova in sè — 647 — 118 stesso la ragione e la possibilità di operare. L’autonomia del vegetale è la vita, del bruto è la priche, dell’uomo è l’idea, che è l’autonomia massima, perchè è la formazione naturale più complessa, che si sovrappone, in quanto tale, alle formazioni inferiori, dominandole, e rappresenta la maggiore specializzazione ο indeterminatezzs di azioni. L'autonomia è dunque libero arbitrio, pur non negando la legge universale della causalità: è arbitrio, in quanto è la forma speciale di attività, che ha in sò stessa la ra- gione di essere e domina le sottoposte, è libertà perchè non è la possibilità unica della eteronomis, ma è un nu- mero svariatissimo di possibilità. Per il Bergson, invece, la libertà è lo stesso potere onde il fondo individunlo ο inesprimibile dell’ essere si manifesta © si crea nei propri atti, potere di oui noi abbiamo coscienza come d’una realtà immedintamente sentita, © che caratterizza un ordine di fatti in cui i concetti doll’ intelligenza, in special modo l’idea di determinazione, pordono ogni significato: « si chiama libertà il rapporto dell’ io concreto con l'atto che osso compie. Questo rapporto à indefinibile, precisamente perchè noi siamo liberi: si analizza infatti una cosa, ma non un progresso; si decompone l'estensione, ma non la durata... Per ciò ogni definizione della libertà darà ra- gione al doterminismo ». Cfr. P. Lombardo, Opera omnia, 1855, t. II, d. 25, 5; Malebranche, De la rech. de la verité, 1712, I, p. 1; Bossuet, Traité du libre arbitre, 1872, e. II; Kant, Arit. d. prakt. Vorn., 1878, 1, $8, e Grundl. 2. Met. d. Sitt., 1882, p. 67; Fonsegrive, Eseat sur le libro ar- bitre, sa théorie et son histoire, 1889; G. Biuso, Del libero arbitrio, 1900; Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 118 sogg.; Bergson, Essai sur les données imm. do la conscience, 1904, p. 167 (v. determinismo, indelerminismo, libertà, epon- taneità, fatalismo, scionza media, motivi, causalità, ecc.). Libero esame. È una delle forme della libertà di coscienza, e consiste nella facoltà di costruire da sè stesso Lis — 648 — il sistema delle proprie credenze, o nello scogliere quelle tra le credenze già costituite cho più talentano, senza che alcuna autorità le imponga con violenza sia fisica che morale. Libertà. T. Freiheit; 1. Liberty, Freedom; F. Liberté. Designs, in generale, l'assenza di ostacoli al compimento di un fine: siccome poi all’ assenza di ostacoli corrisponde la possibilità di coordinare i mezzi al fine, così per libertà si può anche intendere la possibilità di coordinare i mezzi necessari al compimento di un fine. Quando però à attri- buita agli esseri incoscienti, non essendo quivi possibile la concezione del fine, designa soltanto l'assenza d’ osta- coli al compimento d’una azione: ad es. un corpo dicesi libero quando nessun ostacolo si oppone al suo movimento. Kant chiama libertà intelligibile, 0 nowmenica, ο trascenden- tale, quella che consiste in ciò, che l’esplicazione d’ogni fonomeno dato è duplice: a) in quanto questo fenomeno appare nel tempo, si deve collegarlo a fenomeni anteriori dai quali risulta, secondo leggi che lo determinano rigoro- samente in rapporto a questi; b) i fenomeni così collegati non essendo cose in sà ma semplici rappresentazioni, hanno inoltre delle cause non temporali che non sono fenomeni, © il loro rapporto a codeste cause costituisce la libertà. Riguardo alla libertà umana si suol distinguere: 1° la li- bertà psicologica ο libertà morale, che non è altro che la libertà del volere, ossia la possibilità di determinarsi senza motivo o di scegliere liberamente fra motivi di egual forza; 2° la libertà fisica che non è se non la semplice possibilità dei movimenti del corpo; ne è privo chi è colpito du pa- ralisi, atassia locomotrice, acinesia, eco.; 3° libertà perso- nalo che è la stessa cosa della precedente, ma dipendo da cause esteriori all’individuo; manca di essa chi è in car- cero; 4° libertà cirile cioò la possibilità di esercitare i diritti civili; 5° libertà politica che consiste nella facoltà dei cit- tadini di governarsi con proprie leggi. Alla libertà politica, — 649 — Lis-Lin intesa in senso largo, cioò quale facoltà concessa come tto universale agli individui di esercitare la propria uttività con la maggior sicurezza, appartengono: la libertà di coscienza 0 di pensiefd, che è la libertà degli individui di manifestare le proprie opinioni, di difenderle, propagarle criticando le contrarie, tenendosi lo Stato assolutamente neutro, specie in materia religiosa; la Ubertà di stampa, che è la forma più alta ο più moderna della libertà di co- scienza; la Ubertd di parola, la libertà d’ associazione, 900., che sono tutte forme della libertà di pensiero. Cfr. Spi- ποσα, Ethica, IV, 68, ο tutto il 1. V De liberiate; A. Comte, Catéohieme, positiviste, 4e entretien; Déolaration dee droite de l'homme, 1879 art. 11; Kant, Krit. d. prakt. Vernunft, Kritische Beleuchtung, dal $ 7 alla fine; A. Fonillée, Li- berté et determinisme, 5° ed. 1907; F. Masci, Coscienza, vo- lontà, libertà, 1884. Libertismo. I. Libertarianiom ; F. Libertieme. Si adopera talvolta invece di indeterminiemo, per designare tutte quelle dottrine che ammettono la libertà del volere. Fn usato dal Bergson per designare la categoria di dottrine di cni fa parte il suo sistema. Cfr. Revue de métaph. et de morale, vol. VIII, p. 661 (v. necessitiemo). Linguaggio. T. Sprache; I. Language; F. Langage. Iu senso generale è linguaggio ogni espressione degli stati interni di un essere vivente ad un altro, mediante sogni o movimenti. In senso più stretto è un sistema di segni, adeguato a significare i pensieri che i membri d’una so- cietà vogliono comunicarsi; codesti segni, essendo sempre uguali, servono appunto a legare e rievocare gli elementi sempre diversi delle rappresentazioni, da cui si formano le idee generali: « Ciò cho la natura, dice l Ebbinghaus, non offre all’uomo, cioò dei segni costantemente simili, congiunti regolarmente alle percezioni per metà identiche e per metà variabili, egli l’ha creato ricavandolo da sè stesso. L'uomo ha trovato così il mezzo per estendere il Lin — 650 — pensiero astratto e condurlo al più alto punto di perfezione imaginabile. Codesta creazione è il linguaggio ». Porò se- condo la dottrina religiosa il linguaggio non sarebbe già una creazione dell’uomo, bensì ffn dono immediato fatto da Dio all'uomo; secondo un’altra dottrina il linguaggio sarebbe una scoperta ο una invenzione fatta da principio da un uomo di genio; invece per la moderna psicologia il lin- guaggio è un prodotto psicologicamente necessario ed evolu- tivo della coscienza collettiva. I linguaggi si distinguono in naturali © artificiali ο convenzionali: nei primi l'associazione tra il segno e l’idea è spontanea, involontaria, tanto per colui che significa, quanto per quello cui vien significato ; nei secondi invece questa doppia associazione è arbitraria. Sono linguaggi naturali la mimics, l’onomatopea, e, in genere, i segni emosionali o patognomici, che esprimono al di fuori le emozioni dell’animo; sono artificiali tutti gli algoritmi e i linguaggi articolati evoluti. Secondo 1 ipo- tosi di Darwin e Spencer, il linguaggio convenzionale ha origine dal naturale: dapprima gli uomini si servivano del gosto indicativo ο imitutivo, poi nd esso accompagnarono il suono pure imitativo (onomatopea), infine, utilizzati più largamente i movimenti del gesto e dell’ articolazione, sorso il linguaggio a forma fonetica, in oui ciascun carattere è il segno d’un suono. La forma fonetica fu preceduta dul- V ideografica, in cui ogni carattere osprime direttamento un’ idea, o dalla mimica cioò dal gesto. Si distinguono anche tro tipi fondamentali di linguo: le monosillabiche composte di sillabe ciascuna delle quali rappresenta un’ idea ustratta; lo agglutinanti composte di radici ciascuna delle quali esprime o una idea generale o una accessoria; lo lingue a flesione composte di parole ciascuna delle quali esprime un’ iden principale modificata da una accessoria. Dicesi linguaggio emozionale quell'insieme di modificazio- ni organiche e di movimenti istintivi, che costituiscono l’aspetto fisico delle emozioni, ο, in quanto appaiono este- — 651 — Lim riormente, servono a indicare le corrispondenti emozioni, per l’esperienza che ne abbiamo. Dicesi linguaggio interiore la successione dello imagini verbali, con cui si suole espri- mere una serie di pensieri, ma che rimangono allo stato psicologico, senza dar luogo ai movimenti vocali, quando tali movimenti importerebbero una perdita di tempo e di forza. Cfr. Marty, Uber den Ursprung der Sprache, 1896; H. Paul, Prinzipien der Sprachgeschichte, 3* ed. 1898; Re- nan, L'origine du langage, 1858; Saint-Paul, Étude sur le langage intérieur, 1892; H. Bachs, Cerveau et langage, 1905; Ebbinghaus, Psychologie, trad. franc. 1912; H. Piéron, La nuova concesione dell afasia, « Rivista di scienza », 1909, VI, 420 segg. (v. grammatica, emosionale, grafo-motore, amnesia). Limitativi (giudizi). T. Beschränkonde Urthcile. Sotto il rispetto della qualità il Kant distingue i giudizi in af- fermativi, negativi, e limitativi ο indefiniti, la cui formula è: .4 è un non B. Questi giudizi hanno il predicato ne- gativo a differenza dei negativi che hanno la negazione nel verbo; perciò il soggetto è pensato nell’ estensione di un concetto indeterminato, che ha la sola determinazione negativa di essere al di fuori di un concetto positivo e determinato. Quindi tali giudizi sono limitativi in quanto limitano l’estonsione del predicato possibile di 4, essendo enso predicuto posto al di fuori della estensionedi 8; ο sono indefiniti in quanto non determinano a quale nozione, posta fuori dell'estensione di B, si riferisca il soggetto .1. Ora, siccome l’includere una nozione nella sfera, sia pure indefinita, degli esclusi dall’estensione di un’altra no: costituisce un atto positivo del pensiero, così il giudizio limitativo non può confondersi col negativo. l’erò questa dottrina fu molto combattuta e per molti logici il giudizio indefinito è la stessa cosa del negativo. Cfr. Kant, Krit. d. rei. Vernunft, ed. Reclam, Osservazioni sulla tavola delle forme del giudizio, $ 1. Lim-Loc * — 652 — Limitazione. T. Beschränkung, Limitation; I. Limita- tion; F. Limitation. Una delle categorie di Kant; essa si subordina, insieme alla realtà e alla negazione, alla cate- goria della qualità. Limite. T. Grenze; I. Limit; F. Limite. Originariamente il punto, la linea o la superficie assunta a determinare la separazione tra due porzioni di spazio; esteso poi per me- tafora al tempo, all’azione, alla conoscenza, 900. Terminus sive limes est id, dice Chr. Wolff, ultra quod nihil amplius iure conoipere licet ad candom pertinens. — Nella psicologia dicesi limite dell? eccitamento il grado minimo d’ intensità dell’ eccitazione al quale corrisponde l'intensità minima della modificazione di coscienza, e sotto il quale la sensa- zione non ha più luogo; d’uso più comune è l’espressione soglia della coscienza, proposto dall’ Herbart. — Nella gno- seologia dicesi limite della conoscenza, la determinazione della sfera del conoscibile. Perciò Kant chiama il noumeno, e precisamente quello in senso negativo, un concetto li- mite, in quanto, sebbene si presenti necessariamente al nostro pensiero, tuttavia è affatto indeterminato, servendo a limitare le nostre cognizioni entro i fenomeni: Der Be- griff eines Noumenon ist bloss cin Grenzbegriff, um die An- massung der Sinnlichkeit einzuschränken, und also nur von negatirem Gebrauche. — Nella matematica dicesi limite una grandezza finita a cui una grandezza variabile può avvici- narsi indefinitamente senza poterla mai superare. Cfr. Wolf, Philosophia prima site ontologia, 1836, $ 468; Kant, Kr. d. rei. Vernunft, p. 235; Wundt, Physiol.-Paychol., 43 ed., I, }. 334 segg. (v. inconcepibile, inconoscibile, subminimali). Localizzazione. Ί. Localisation ; I. Localisation ; F. Lo- calisation. Processo psicologico con cui ci rappresentiamo lo qualità sensibili, e quindi gli oggetti percepi occupanti nel nostro corpo, o in rapporto ad esso, una po- sizione spaziale determinata. — Dicesi looalizzazione nel pas- sato il processo psicologico mediante il quale si determina — 653 — Loc il tempo relativo ai nostri ricordi. — Nella logica dicesi localizzazione o looasione quest’ operazione mentale, che consiste nel richiamare l’idea della classe alla quale l’og- getto appartiene, o, in altre parole, nel collocare un’ idea in una più generale in cui è compresa. È una delle indi- enzioni definienti, e viene usata per quelle nozioni che in sò stesse sono indefinibili o che non sono ancora sufficien- temente conosciute per poter essero definite. Cfr. Ribot, Maladies de la memoire, C. 1; Bain, The Senses and the In- telleot, 8° ed., p. 415 segg. Localizzazione cerebrale. T. Corticale Localisationen ; I. Cerebral Localisations; F. Looalisations cérébrales. Dottrina secondo la quale le diverse attività psicologiche, sensazione, memoria, linguaggio, ece., corrispondono al fanzionamento di centri o zone determinste della corteocia cerebrale. Il Gall fa il primo a considerare il cervello come un’ insieme di organi distinti, in ciascuno dei quali ha sede una de- terminata facoltà; ma la sua frenologia, fondata su eriteri * cervellotici, non è più accettata da alcuno. Tuttavia, con la scoperta fatta in seguito’ del centro della favella nella seconda circonvoluzione frontale sinistra, e cogli ulteriori progressi dolla fisiologia sperimentale, il concetto delle localizzazioni cerebrali è risorto: nel senso però che, so esistono gruppi cellulari distinti con speciali fanzioni psi- chiche, ciò non esclude che a un dato fatto psichico, specio fra i più elevati, non contribuiscano più centri, essendo il cervello un'unità, una associazione di parti sinergiche, non già nn mosaico di piccoli cervelli. Quanto alla deter- minazione locale dei vari centri psichici, essa è ancora molto incerta, ο varin a seconda degli osperimentatori. Cfr. Broea, Sur la siège de la faculté du langage articulé, 1861; Nothnagel u. Nauyn, Ueber die Localisation d. Gehirnkrank- heit, 1887; Ferrier, The Funotions of the Brain, 1876; Mnnk, Ueber die Functionen der Grosshirnrinde, 2* ed. 1890 (v. fre- nologia, grafo-motore, centro). Loe — 654 —Logica. Gr. λογική; T. Logik; I. Logic; F. Logique. Si può definire come la scienza delle forme del pensiero in quanto sono ordinate alla conoscenza; oppure come la scienza che ha per oggetto di determinare quali, tra le operazioni mentali dirette alla conoscenza del vero, siano valido © quali no; è dunque una scienza normativa, o precettiva, o dimostrativa. Altri la considerano come scienza ed arte ad un tempo, o come la scienza dell’arte del pen- sare; scienza in quanto fissa dei principi, arte in quanto insegna ad applicare delle norme. Secondo alcuni la logica è scienza puramente formale, cioè considera soltanto la forma del pensiero, il modo come gli elementi di questo sono fra loro combinati; secondo altri è anche materiale, cioò riguarda anche il contenuto del pensiero. Forse l’opi- niono più ragionevole è quella di coloro che nella logica riconoscono entrambi questi caratteri, inscindibili l’ uno dall'altro, e giudicano che una logion puramente formale non servirebbe alla scienza, ο una logica puramente ma- teriale si confonderebbe col sapere obbiettivo, cioè con la scienza. Si suol distinguere là logica naturale, ossia la lo- gion spontanen che ciascun omo porta con sò, dalla logien riflessa ο scientifica; la logica docens © la logica utens, In prima dello quali à la scienza delle forme del ponsiero, la seconda l’arte delle forme stesse in quanto praticata. Di- cesi logica pura sia la logica formale, sin la logica pro- priamento detta in quanto distinta dalla psicologia delle funzioni mentali dirette alla conoscenza, sia, in senso kantiano, l’analisi critica dei principî puri dell intendi- mento; login genetica lo studio genetico della conoscenza, considerata come funzione psichica; logica reale il modo di ragionare in quanto effettivamente #’asereita. Ordina- rinmente la logica è distinta in duo parti: Ja prima tratta dello forme logiche elementari, cioè del concetto, del gin- dizio e del raziocinio, la seconda tratta dell’ applicazione dello forme logicho ni fini spociali delle scienze, e costitui- — 655 — Loe sce la metodologia. Aristotelo è considerato a buon diritto come I’ inventore della logica, la quale, tolti i metodi inven- tivi, è rimasta fino ai nostri giorni quale egli la concepì ed espose nei sei libri ad essa dedicati, che i suoi discepoli chiamarono poi Organo. Prima di lui se ne ha soltanto qualche scarso accenno nei sofisti e nella dialettica pla- tonica; la logica indiana del Nyäya di Gotama, se fu anteriore ad Aristotele, non fa certo da lui conosciuta, nè alcuna efficacia ebbe sul movimento intellettuale euro- peo. Dopo di Aristotele, lo stndio della logica continuò sia nei suoi discepoli ο continnatori, sia nelle scuolo con- trario, specialmente negli stoici, che per i primi le diedero il nome che poi ebbe sempre; nel loro sistema essa conti- tuiva la parto fondamentale, procedendo la fisica ο l’etica. Attraverso tutto il mondo antico l’antorità della logica aristotelica durò immutata; e si accrebbe ancor più du- rante Veta di mezzo, specialmente dopo che Alberto Magno © S. Tommaso so no fecero commentatori, valendosi degli importanti Invori degli Arabi. Col cadere del dispotismo aristotelico, verso la fine del sccolo XV, anche 1’ Organo decadde. Bacone, incolpandolo di aver arrestato fino allora il progredire della scienza, gli contrappone un Nuoro Or- gano, una nnova logica, che si fonda non più sul sillogismo ma sull’induzione. Per vero, la teoria dell’ induzione era conosciuta anche da Aristotele, che l'aveva ancora appli- cata; Bacone non fece che allargarno l'applicazione e fia- sarne le regole, che più tardi furono ridotto n forma più rigorosa ο precisa dallo Stuart Mill. Ancho la riforma del metodo propugnata da Cartesio, o seguita poscia dai suoi fedeli discopoli di Porto Reale, non intaccava la logica aristotelien, in quanto non facova cho aggiungervi un me- todo per scopriro la verità. Ma da allora in poi lo studio della logica decaddo: ridotta a una semplice arte, fu confusa colla psicologia, e soltanto la chiara distinzione fatta dal Kant tra la forma e la materia della conoscenza, valse à Loc — 656 — ricondurla alla primitiva purezza di scienza formale. Nel secolo XIX molti ed importanti lavori furono pubblicati sulla logica, rimanendo pur sempre intatto il fondo ari- stotelico: basterà ricordare, oltre quelli dello Stuart Mill, del Bain, del Wundt, Ia teoria della quantificazione del predicato dell’Hamilton, e il tentativo di applicare alla logica i metodi ο le formule della matematica. Questo ten- tativo ha dato origine a un largo movimento di studi, in virtà dei quali la logics formale, prendendo in prestito dall’algebra il metodo e il simbolismo, si è costituita sotto la.doppia forma di calcolo delle classi e di calcolo delle proposizioni, ritrovando tra i due rami sorprendenti ans- logie ed estendendosi in modo da divenire una logica ge- norale di tutte le relazioni; e siccome i rapporti più semplici © più elementari si trovano nelle teorie matematiche, era naturale che si applicasse ad analizzare ο verificare il con- catenamento delle proposizioni e a dimostrare gli assiomi matematici, riducendoli a principi puramente logici. Questa parentela tra la logica 6 la matematica, già intuita dal Leibnitz, si converte per alcuni in una vera e propria iden- tità originaria; tale concetto è sostenuto ad os. dal Russel, per il quale tutte le proposizioni matematiche ai fondano su otto nozioni indefinibili e venti principi indimostrabili, che sono anche le nozioni primitive ο i principt della lo- gica. Altri filosofi contemporanei vanno ancora più in là, facendo della logica la base non solo della matematica, ma anche dell’otica e dell'estetica, e in generale d'ogni forma di cognizione; così per il Cohen anche nel campo della moralità ο dell’arto vi sono conoscenze pure, il cui fon- damento deve ricercarsi nel pensiero e che solo nell’ idea ritrovano la consapevolezza di sb medesimo, die Idee dat dar Selbstbewusstsein des Begriffe. Un nuovo indirizzo della lo- gica, opposto, în certo senso, a quelli ora ricordati, è rap- presentato dalla logica psicologica, che allo studio astratto del pensiero puro vuol sostitnire l’ analisi della realtà — 657 — Loa concreta e vivente del pensiero cho si svolge negli indi- vidui singoli, la conoscenza della funzione conoscitiva nelle sue forme ascendenti di sviluppo, e non solo nel momento strettamente logico o discorsivo, ma anche nelle suo forme prelogiche. Questo concetto è sostenuto specialmente dai prammatisti, secondo i quali la logica è stata finora una pseudoscienza di quel processo non esistente e impossibile, che suol chiamarsi pensiero puro, in nome del quale ci si è imposto di bandire dalla nostra mente la più piccola traccia d'interesse, di desiderio, d’ emozione, come la più perniciosa causa d’errore; invece non v’ ha ragionamento che non abbia origine da una interna passione dell’animo, che non si fondi sopra una credenza più o meno sentimen- tale, sopra un bisogno soggettivo. Anche per il Baldwin accanto alla logica formale ο aristotelica, che si propone di riconoscere le leggi del ragionamento valido partendo da alcuni presupposti psicologici, e alla logica deduttiva © dialettica, che cerca d’identificare il pensiero e la realtà, anzi di dedurre uno dei due termini dal’ altro, deve sor- gere una logica induttiva, psicologica, genetica, che deve considerare il pensiero come « un principio vivente, attivo nel mondo, che compio il lavoro che è destinato a fare, © costituisce uno sforzo nel movimento dell'universo dello cose, che la scienza © la filosofia aspirano a conoscere >. Cfr. J, Stuart Mill, A System of Logic, 63 od. 1865; A. Bain, Logic, Deductive and Inductive, 1870; Hamilton, Lectures on Logic, 1860; Wundt, Logik, 33 ed. 1893-1895; Prantl, Ge- schichte der Logik im Abendlande, 1855-1870; Trendelenburg, Logische Untersuchungen, 1862; Rosmini, Logica, 1853 ; Gal- luppi, Lezioni di logica e metafisica, 1854; Masci, Logica, 1899; Liard, Les logiciens anglais contemporains, 1878; De- wey, Logioal conditions, 1903; Baldwin, Thought and thing, vol. I, 1906; Russel, The principles of mathematics, vol. I, 1903; B. Croce, Logica come acienza del concetto puro, 1909 ; P. Harmant et A. Van de Waele, Les principales théories de la 42 — RanzoLı, Dizion. di scienze filosofiche. Loa — 658 — Logique contemporaine, 1909 (v. oanonéoa, geometria, logistica, dialettica). Logicismo. T. Logieismus; I. Logioism; F. Logioieme. Dottrina che fa della logica il principio ο il fondamento @ ogni filosofia; tale sarebbe, ad esempio, la dottrina del Cohen, per il quale la logica è la base non solo della ma- tematica, ma anche della morale, dell'estetica ο di tutte la filosofia, perchè il pensiero puro è l’attività generatrice @ ogni processo reale 6 d’ ogni suo fondamento. Però è ter- mine d’uso raro ed equivoco; 8’ applica talvolta, impropria» mente, al sistema hegeliano. Non è da confondere con logi- amo, vocabolo col quale ο) indica ogni pensabile, in quanto promuove l’attività raziocinativa, deliberativa, riflessa del- V individuo: « Un fenomeno psichico, dice l’Ardigò, è un eatema o un conscio sotto un riguardo ; è un’ idea ο un tipo sotto un altro; od è un logiomo o una cogitazione energe- tica sotto un altro ». Cfr. Cohen, Syst. d. Philosophie, 1902, I, p. 37 segg.; Ardigò, Estoma, idea, logismo, « Riv. di filo- sofia », maggio 1911 (v. panlogiemo). Logico. T. Logisch; I. Logioal; F. Logique. Qualcho volta si oppone a pricologico 9 a gnoseologioo, per indicare il pensiero in quanto non lo si considera in sò stesso, come un'attività dello spirito (psicologico) nd in rapporto al- l'oggetto (gnoseologico), ma come mezzo delle conoscenze modiate, che condnco alla verità o all’ errore a seconda che è adoperato bene o male. Si oppone anche a morale: In certenza logica è quella che si fonda sopra dei ragionamenti dednttivi, la certerza morale invece quella che non può es- sore dimostrata, fondandosi sul sentimento dell’ individno. In generale dicesi logico tutto ciò che è conforme alle esi- genre dolla ragione. Logistica. T. Logistik; I. Logistic; F. Logistique. Nome proposto al Congresso di filosofia di Ginevra, 1904, da Itel- son, Lalande e Couturat, per indicare la logica simbolica, Ὁ matematica, 0 algoritmica. Cfr. L. Conturat, Compte rondu — 659 — Loe du deuxieme Congrès de philosophie, « Revue de métaph. et de moral », 1904, p. 1042. Logorrea (λόγος == discorso, péw = scorro). È un feno- meno che si avvera in varie malattie mentali o consiste in una fuga di parole, determinata da questi tre fatti: 1° incapacità del malato di tener ferma la propria atten- zione sopra le singole immagini; 2° seguirsi di idee asso- ciate tra loro soltanto da rapporti esterni; 3° eccessiva facilità con cui queste idee si traducono nell’ espressione verbale. La logorrea non è da confondere con la logoclo- nia, che indica quel disturbo del linguaggio, che si osserva nella paralisi progressiva, e consiste nella frequente ripeti- sione di parole come da una serie di movimenti clonici degli organi della favells. Cfr. E. Kraepelin, Trattato di psichia- ria, trad. it., p. 158 segg. (v. ideorrea). Logos. Gr. Λόγος; T. Logos; I. Logos; F. Logos. Si- gnifica, in greco, parola e discorso; ora, siccome la parola è la. rivelazione del pensiero, e il pensiero stesso è, come dice Platone, il discorso che la mente fa con sè intorno alle coso che considera, così lo stesso termine passò a si- gnificare l'intelligenza, la ragione: « quod graece λόγος dicitur — osserva S. Agostino -- latine et rationem et rerbum significat ». Eraclito chiama λόγος la ragione cosmica, in virtà della quale tutto accade ο alla quale ogni cosa à sottomessa. Aristotele intende per λόγος sia il concetto sia la ragione, e distinguo l’é£w dal ἔσω λόγος, che è nel- “l’anima; l'2pSòc λόγος è poi la retta ragione, il giusto senso morale. Platone distingue nell’ anima umana tre parti: la ragione o Logos, che è la signoreggiante ed abita nel capo; l’animo ο θυμός (l’animus dei latini) che ha sede nel petto; infine la parte appetitiva, o ἀπιθυμία, che ha sede nella regione addominale. Per gli Stoici il Logos è ad un tempo il principio attivo intrinsecato nel mondo, Dio, e il fuoco artefice: esso raduna le ragioni individuali © le ragioni seminali, perciò è Logos comune 9 Logos sper- Lor-Lum — 660 — matico. In Filone il concetto del Logos non è ben definito, essendo ora una funzione di Dio, ora un’ ipostasi ; esso è Logos inarticolato in quanto racchiude le potenze di Dio, Logos articolato in quanto manifestazione particolare del mondo delle idee. Per Plotino, infine, il Logos è l’imme- diata produzione dell’ Uno, l'intelligenza che rappresenta l’immagine o la parola di Dio, Col cristianesimo il Logos diventa l’eterno figlio di Dio, in cui la sapienza e il po- tere di Dio sono manifestati, e che s'incarna nella per- sona del Gesù storico. Hegel chiama Logos il concetto, la cosa esistente in sè © per sè, la ragione di ciò cho è: diean und für sich seiende Sache, die Vernunft dessen, was ist. Cfr. Heinze, Die Lehre vom Logos in d. griech. Philos., 1872; Eraclito, Fram. 2; Aristotele, Anal. post., I, 10, 76 ὃ, 24; Stein, Die Psychologie d. Stoa, 1886-1888, t. I, 49 segg.: Harnach, Dogmengeschiohte, 3° ed. 1894, I, 488, 491 segg. (v. omanatiemo, demiurgo, noo). Lotta per la vita. Con tale espressione (struggle for life) il Darwin designava la concorrenza per le condizioni necessarie d’esistenza, che si verifica tanto tra gli animali come tra i vegetali, e che, determinando la selezione na- turale, è fattore essenziale dell'evoluzione tanto in un regno che nell’ altro. Infatti in codesta lotta per l’esistenza soccombono i meno adatti, i quali perciò muoiono senza lasciare discendenti, mentre vincono, sopravvivono ο si riproducono i più adatti: ne sortiranno quindi delle ge- nerazioni che recheranno, sempre più rafforzati per l’ere- dità, quei caratteri per cui i loro antenati riportarono la vittoria sui loro competitori. Darwin, On the origin of Spe- cies by means of natural Selection, 1859; De Lanesson, La lutte pour l’ezistence et l’évolution des sociétés, 1903 (v. adat- tamento, selezione, variabilità, darwinismo, ecc.). Lume naturale. Lat. Lumen naturale; T. Natürliches Licht; I. Natural light; F. Lumière naturelle. Sinonimo di ragione, in quanto insieme di verità evidenti per sò stesse ; — 661 — Luo si oppone al lumen gratia, che ha origine dalla rivelazione largita da Dio agli nomini; quella è detta anche lumen inferins, quosta lumen superius. L'espressione è di largo uso presso gli sorittori cristiani dei primi secoli, e rimase poi sempre, sia nel linguaggio teologico che in quello filosofico. Così Cartesio chiama lumen naturale la capacità di aver ideo chiare ed evidenti delle verità teoretiche, anche in- dipendentemente dall’osperienza. Fénelon: cette lumière ait, que les objecte sont vrais; il ne faut point la chercher au dehors de soi: chacun la troure en soi-même. Leibnitz: pour revenir au vérités neossaires, il cat généralement vrai, quo nous ne le connoissone que par cette lumière naturelle, ot nullement par les expériences des sons. Cfr. Β. Agostino, De baptismo parv., I, 25; Cartesio, Medit., III; Fénelon, De Vexistence ot des attribute de Dieu, 1861, p. 152 segg.; Leib- nitz, Nouveau essais, 1704. Luoghi comuni. Gr. Τόποι: Lat. Loot communes; T. Gemeinplätze; I. Commonplace topics; F. Lieux commune. Nella logioa si designano con questo nome i titoli gene- rali sotto cui possono essere riportati i differenti modi d’ar- gomentazione che si usano nelle discussioni. L’ espressione di luogo comune è propria dei latini (loci communes) ; con essa infatti Cornificio tradusse per la prima volta, secondo V Encken, la parola topica che Aristotele aveva adoperato per intitolare un suo libro, nel quale sono appunto indi- cati i Inoghi ove si trovano gli argomenti, che si adope- rano nella ricerca non del vero, ma del verosimile. I luoghi comuni onumerati da Aristotele, ciod la definizione, il ge- nere, il particolare, 1’ accidente, eco., furono poi detti in- trinsoci, ai quali si aggiunsero gli estrinseci, cioè le leggi, i titoli, il giuramento, la testimonianza, eco. Cfr. Logique do Port-Royal, parte 93, cap. XVII; R. Eucken, Gesohichte d. philosophisoen Terminologie, 1879, p. 51. Luogo. Gr. Τόπος! T. Ort; I. Place; F. Liew. Indica in generale In situazione, il posto occupato dai corpi; si Luo-Mac — 662 — distingue quindi dallo spazio e dall’estensione. Per gli ato- misti invece, luogo è sinonimo di vuoto ο di spazio, es- sendo da essi lo spazio concepito come un reale, al pari della materia, ciod il puro luogo, l'estensione pura. Car- tesio distingue il luogo esteriore dal luogo interiore: questo è lo spazio occupato da un corpo, vale a dire il corpo stesso in quanto ha per attributo l’estensione, quello è la sem- plice situazione di tale spazio, determinata dallo relazioni che ha con gli altri corpi. Cfr. Cartesio, Principes de la philosophie, II, 14 (v. estensione, inane). M M. Nolla notaziono usuale dei sillogismi designa il tor- mine medio. Nei versi mnemonici i cui termini designano i modi validi delle quattro figure del sillogismo, è adope- rata per designare che la ridnzione d’un modo delle tre ultime figure ad uno della prima, deve essere fatta me- dinnte la metatesi delle promesso. Ad es. il modo inCa- lemes della quarta figura deve in tal guisa essere ridotto al modo in Celarent della prima (v. sillogismo, modo, pre- messa, termini, conversione). Macrocosmo.Gr. paxpò; = grande, κόσμος = universo ; T. Macrocosmus; I. Maorocosm ; F. Macrocosme. Questa pa- rola si trova da principio nei medici greci e fu popolariz- zata in Occidente da Boezio, secondo 1’ Eucken. Si usa solitamente per designare 1’ universo, in corrispondenza al microcosmo, che è }’ essere individuale, il quale considerato isolatamento presenta un tutto sistematico, come un colo universo. Il concetto della corrispondenza tra V indi- viduo ο il tutto trovasi già in Platone, in Aristotele, negli Stoici, poi in Boezio, Cusano, G. Bruno, Leibnitz. Così per Bruno, non solo l’uomo ma ogni monade o sostanza in- dividuale è una manifestazione immediata dello vita in- finita: l’universo ha in ed tutto l'essere ο tutti i modi di ca- — 663 — Mac sere;... ed ogni cosa dell’ universo comprende in suo modo tutta l'anima del mondo, la quale è tutta in qualsivoglia parte di quello. Ugualmente per Leibnitz ogni monade individuale riflette in sò come uno specchio tutto } universo, Cfr. Stein, Die Psyohol. d. Stoa, 1886-1888, I, 207, 441; G. Bruno, De la causa, principio e uno, in Dialoghi metafisici, 1907, p. 242, 244; Leibnitz, La monadologia, 1714. Maggiore. T. Oberiegrif, Maior; I. Major term; F. Majeur. Nel sillogismo dicesi maggiore il termine che ha l'estensione maggiore, © maggiore la premessa che con- tiene, come soggetto o come predicato, il termine mag- giore. Nei sillogismi ipotetici o disgiuntivi la maggiore è quella delle due premesse cho contiene l'ipotesi o la di- agiunzione. Nella conclusione il termine maggiore fü sem- pro da predicato (v. termini). T. Magie; I. Magic; F. Magie. Nollo religioni primitive è un insieme di pratiche (incanti), che conferi- scono ad un individuo o ad un gruppo di individui il po- tere eccezionale di operare miracoli e prodigi, sia nell’ in- teresse dell’ individuo sia in quello della comunità. Secondo una dottrina ormai caduta, la religione sarebbe derivata dalla magia e non ne rappresenterebbe che una specio ; se- condo un concetto più scientifico, i riti magici non sono che una degenerazione dei riti roligiosi, operatasi, in virtù di cause particolari, solo in alcuni popoli orientali. Nel Ri- nascimento la magia assunse carattere di dottrina filosofica e religiosa, e si diffuso nel mondo occidentale specie por opora di Cornelio Agrippa; essa era un insieme di principi o di norme pratiche tendenti a sviscerare o dominare lo forze di- vine che si occultano nella natura. Si distingueva in: elemen- tare, cho scrutava lo forze occulto degli elementi corporci ; celeste, che ricorcava l’ influsso dello stello; dirina, cho si valeva della fede e delle cerimonie religiose. Alla prima ricerca era di sussidio l’ alchimia, alla seconda l'astrologia, alla terza la tenrgia. Magia naturale dosignò per lungo . MAG-Mar — 664 — tempo la fisica sperimentale; Bacone indicava con tale espressione delle operazioni che dipendono dalla conoscenza della causa formale, in opposizione a quelle che non ri- chiedono che la conoscenza d’ una causa efficiente, mentro il meccanismo intimo del fenomeno da produrre resta οὐ- culto, Cfr. M. del Rio, Disquisitionee magice, 1599, 1. I, cap. 2; Porta, Magia naturalis, 1558; Bacone, De dignitate οἱ augmentis scientiarum, 1829, 1. III, ο. 5; Frazer, The Gol- den Bough, 2* ed. vol. I, p. 62 segg., 220 segg.; C. Fos- soy, La magie assyrienne, 1902; A. Lang, Magic and reli- gion, 1901; Hubert et Mauss, Faquisse d’une théorie générale de la Magie, Année sociologique, VII, 1902-1903. Magnetismo animale. T. Thierischer magnetismus; I. Animal magnetism ; F. Magnetismo animal. Fluido che si cre- deva emanare dal sistema nervoso di certe persone, e ine- diante il quale si cercavano spiegare i fenomeni detti oggi di ipnotismo, di suggestiono © di telepatia. Ἡ nome ο l’idea di questo fluido, causa pretesa dell’ azione del pensiero a distanza, fu tolta per analogia del fluido magnetico, cui si attribuiva l’azione a distanza dei corpi elottrizzati. Cfr. Sallis, Der thierischo Magnetismus, 1887. Maieutica. Gr. Μαιευτική; T. Maieutik; I. Maieutios ; F. Maieutique. Nelle sue conversazioni filosofiche, Socrate usava due metodi o procossi: quello negativo dell’ ironia © quello positivo della maieutica, detta poi anche ostetricia. Dopo aver distrutto, col primo, le ragioni degli avversari, o averli convinti della loro ignoranza, egli li conduceva, per mezzo di opportune interrogazioni, a scoprire i vori che tenevano nascosti nelle profondità dello stesso loro spi- rito, li aiutava, insomma, a partorire (yatebopat) quelle idee che esistevano latenti in loro medesimi. Perciò l’ arto di Socrate non è di infondere in altri le idee proprie, ma di risvegliare nogli altri le loro stesse idee; |’ arte sua 80- miglia dunque a quella di sua madre, la levatrice Fena- rote, anzi è senz'altro un’ arte di lovatrice. « Come le le- — 665 — Mar vatrici aiutano a partorire le donne, dice Platono nel Teeteto, così egli gli uomini, con questa differenza però che egli non fa da levatrice ai loro corpi, ma alle loro anime par- torienti ». E ciò prova come Socrate non avesse dottrine filosofiche determinate, che potesse ϱ volesse comunicare come maestro; aveva invoce vivissimo il sentimento della necessità del sapere, e questo voleva formaro ad ogni costo, facendo per ciò assegnamento sopra la suaabilità dialet- tica e sulla spoutaneità naturale, sulla primigenia attività dello spirito umano, che appunto con quella sua abilità si proponeva di secondare e di svolgere. Cfr. Platone, Tee- teto, VI, 148 E segg.; Senofonte, Memor., IV, 4, 5-52; G. Zuccante, Intorno al principio informatore ο al metodo della filosofia di Socrate, « Riv. di fil. ο scienzo af. », fob- braio 1902 (v. agonistica, eristioa, endeictioa, elenotica). Male. T. Uebel, Böse; I. Evil, Wrong; F. Mal. In senso genorico è tutto ciò che è oggetto di biasimo o di disap- provazione, tuttociò a cui la volontà ha diritto di opporsi per reprimerlo o modificarlo. In senso astratto, o meta- fisico, il male non è che una negazione, una imperfezione, una mancanza, 1’ opposto cioò del bene che è la perfezione, l'accordo tra il fine degli esseri e il loro sviluppo. Così per Plotino il male non è per sò stesso qualche cosa di esi- stente positivamente, ma è l'assenza del bene, il non essere; il non essere a sua volta è la materia priva di proprietà, lo spazio vuoto e oscuro. Anche per S. Agostino solo il bene ha una esistenza reale nel mondo, e il male nelle creature è una caduta, una mancanza, una privazione del bene; dottrina accettata poi da S. Tommaso, che considera il malo come la perdita di quel beno che un essere dovrebbe possedere, remotio boni privative aocepta malum dicitur, out privatio visue cavitas dicitur. Furono distinte due spe- cie di mali: il male fisico, cioè il dolore, derivante sia da una alterazione del corpo, sia dai bisogni non soddi- sfatti della intelligenza e dell’affettività, ο il male mo- Max il — 666 — rale, che fa inteso in vari modi, o come trasgressione volontaria della legge prescritta dalla coscienza, o come il demerito, cioè il diritto al castigo come conseguenza dell’azione immorale compiuta, ο come l’ abbassamento della dignità individuale in seguito all’azione stessa, Nelle religioni dualistiche il male è concepito come un principio necessario, eterno ed assoluto come il principio del bene, © gli avvenimenti del mondo attribuiti alla lotta dei due principi contrari. La teodicea è quella parte della teologia che cerca scagionare la divinità dell’esistenza del male. Già con Platone o con gli stoici il problema della toodicen comincia ad essere trattato: si Deus est, unde malum? si non est, unde bonum? La soluzione più celebre di questo problema è dovuta al Leibnitz, che, raccogliendo ο coor- dinando gli argomenti svolti in precedenza dagli altri pen- satori, sostiene casere il male una conditio sine qua non del bene: « Il male, egli dice, si può intendere metafisicamente, fisicamente ο moralmente. Il male metafisico consiste nella somplice imperfezione, il male fisico nella sofferenza, il male morale nel peccato. Ora, quantunque il male fisico e il male morale non siano necessari, basta che in virt delle vorità sterne siano possibili. E poichè codesta immensa regione di verità contiene tutte le possibilità, è nocessario ci una infinità di mondi possibili, che il male entri in molti di ossi, ο che persino il migliore di tutti ne contenga; è ciò che ha determinato Dio n permettere il male ». Cfr. 8. Agostino, De civit. Dei, XI, 22; 8. Tommaso, S., I, q. XLVIII, art. 3; Chr. Wolff, Verniinftige Ged. v. Gott, 1733, I, § 1056; Leibnitz, Fesais de Théodicee, 1710, I, $ 23, 25 (v. ottimismo, pessimismo, dolore, sentimento). Mania. Gr. Mavia; T. Manie; 1. Mania; F. Manie. Per quanto sia vario il significato di questa parola, tuttavia la maggior parte degli alienisti la considerano ormai come una sindrome di malattie mentali, che può anche non ao- compagnarsi a disturbi di coscienza, ed è caratterizzata da — 667 — Max grande varietà di umore, agitazione motoria, facile distrai- bilità, logorrea, esaltamento. Può essere oronica e transi- toria; nel primo caso può durare non ostante lievi oscil- lazioni qualche anno, nel secondo caso poche settimane soltanto ο anche pochi giorni. Alcuni psico-patologi am- nfettono anche una mania idiopatica, come psicosi autonoma caratterizzata da un accesso di stato maniaco, stabile ο “permanente, e la distinguono in due ‘gruppi: ipomania, ο eccitazione maniaca, consistente in una semplice esalta- zione delle funzioni cerebrali e soprattutto del tono sen- timentale, senza incoerenza, senza delirio, senza allucina- zioni; delirio aouto, caratterizzato da grande agitazione, obnubilazione intellettuale, incoerenza caotica delle parole ο degli atti. Dicesi mania ragionanta quell’anomalia men- tale, che si rivela con una sovrattività delle funzioni in-tellettnali, bisogno imperioso di agire e di muoversi, con- tinua concezione di nuovi progetti in gran parte assurdi © ridicoli, prodigalità senza limiti, mendacio; mania dege- nerativa una psicosi degenerativa, caratterizzata special- mente da perdita più o meno completa del senso morale, idee ambiziose, tendenze distruttive. Cfr. Mendel, Die Ma- nie, 1881; Krafft-Ebing, Die Melancholie, 1874; Magnan, Leçons oliniques sur les maladies mentales, 1899, p. 379 segg.; Campagne, Traité de la manie raisonnante, 1869; J. Finzi, Compendio di psichiatria, 1899, p. 149-78. Manicheismo.T. Manichäismus; I. Manicheirm; F. Ma- nichéieme. Dottrina filosofica e religiosa, insegnata nel terzo secolo dell’ dra nostra da Mauicheo, sacerdote cristiano. Il fondamento di questa dottrina è il dualismo, per cui tatti i fenomeni dell’ universo sono attribuiti alla lotta fra due principî ugnalmente primitivi, eterni ed assoluti, il bene e il male; perciò dicesi anche manicheismo ogni dottrina filosofica che ammette due principi cosmici eoeterni, l'uno del bene, l’altro del male. Sembra però che nel manichei- smo genuino il principio del male non fosse altro che la Man-Mas — 668 — materia, considerata come eterna, ma concepita come la negazione (privazione) opposta all’ affermazione, conforme- mente ad idee filosofiche già diffuse nel mondo antico. Cfr. 8. Agostino, Confese., VII, 3; F.C. Bauer, Mani- chälsches Religionssystom, 1881 (v. catari, dualismo, mae- deiemo). Mantica (Μαντεύομαι --- profetizzo). L’ arte di preve- dere il futuro, arte che negli stadi inferiori della religiosità : è tutt'uno con la magia. Nella filosofia stoica ha grande importanza e costituisce una parte della fisica: secondo gli stoici, una causalità ineluttabile collega nel mondo tutte Je cose e gli avvenimenti, © tutti li conduce ad una causa prima, che è la causa delle cause, ciod Dio ο la necessità; dato questo legame, ogni avvenimento è segno di quello cho gli succede, lo preindica; ora l’anima umana, essendo una parte dell’ anima del mondo, della divinità, è capace di questa preindicazione o predizione, nella quale può es- sere anche affinata dallo studio ο dalla osservazione. Ci- cerone, nei libri De divinatione, ci ha lasciato molte notizie intorno a codesta arte. Cfr. F. Ogereau, Le systéme philo- sophique des Stoiciens, 1885, cap. IX (v. magia, profetismo). Marginale. T. Grens; I. Marginal; F. Marginale. Ciò che trovasi ai confini d’una regione, sia essa la coscienza, lu personalità, eco. In questo senso usansi anche in eco- nomia le espressioni utilità marginale, margine di coltiva- zione, eco. Cfr. F. Myers, Human Personality, 1903, I, Introd. $ 14; Fawcott, Manual of political theory, 1863, L II ο. IL. Massa. T. Masse; I. Mass; F. Masse. Nol linguaggio comune designa la quantità di materia contenute in un corpo, © questo fu anche il significato attribuitole dalla scienza. Però, siccome gli stati della materia sono molte- plici, codesta quantità non può essero misurata dal volume dei corpi, che è mutabile, ma soltanto dal loro peso (p). Anche il pesa varia col variare del luogo ovo è valutato, — 669 — Mas-Mar mentre la quantità di materia rimane costante; ma sic- come col variare del peso varia, e nello stesso rapporto, anche l’ accelerazione (9) dovuta alla pesantezza, e quindi il quoziente del peso d’ un corpo dovuto all’ accelerazione è una quantità costante, così nella meccanica razionale per massa si intendo: il quoziente che si ottiene dividendo il peso di un corpo per l'accelerazione dovuta alla pesan- tezza, essendo il peso e 1’ accelerazione misurati in un me- desimo luogo: + = m. Però le nuove dottrine sulla co- stituzione elettronica della materia vengono modificando sempre più la nozione classica di massa; gli elementi degli atomi che si dissociano perdono non solo le qualità spe- cifiche dei corpi da cui provengono, ma anche la massa, misurata dal peso, cosicchè ogni distinzione tra pondera- bile © imponderabile viene a scomparire. Cfr. G. Le Bon, L'evolution de la matière, 1905, p. 14-15. Massimizzazione della volontà. È la formola su- prems della morale utilitaria di Geremia Bentham. Ogni tomo è spinto ad agire dalla ricerca del massimo interesse proprio; ma siocome l'interesse di cisseuno è legato n quello di tutti per ls simpatia © la sanzione, così procac- ciando la felicità nostra noi sumentiamo la somma totale della felicità umana; perciò si diranno morali quegli atti che mirano a procacciare la massima felicità del massimo numero. Cfr. J. Bentham, Deontology, 1834. Matematica. Gr. Μαθηματική; T. Mathematio; I. Mathe- matics; F. Mathématique. La scienza delle relazioni astratte. I pitagorici, che usarono primi questo nome, designavano con esso tutto il conoscibile, tutta la scienza da loro pos- sednta; e ciò è naturale, poichè essi consideravano il nu- mero come l’ essenza stessa della cosa, e tutte le cose ed i fenomeni riducevano si numeri, alle combinazioni ο pro- prietà dei numeri. Mutati poi 1 criteri scientifici, ο sérte, con Aristotele, le scienze natnrali, l'oggetto della mate- Mar — 670 — matica fu ridotto ai numeri, alle figure, alle grandezze in genere, © alla determinazione dei loro rapporti. Tale è ri- masto poi sempre l’oggetto della matematica, il cui o6m- pito consiste, secondo il Comte, nella misura indiretta dei valori: « tutti i calcoli matematici consistono nella risola- zione di alcuni valori sconosciuti ο ricercati in altri cono- soiuti ο dati; tra questi ultimi ο i primi deve esistere un rapporto reale o supposto ». Essa si differenzia da ogni altra scienza non tanto perchè si occupa soltanto della quantità, come perchè è scienza non causale, essendo lo sue verità fuori del tempo e indipendenti dalla nozione di forza. Nelle matematiche si distinguono: la matematica propriamente detta e la fisico-matematica, formata di ele- menti di matematica pura e di fisico, come la meccanica ο l'astronomia. La matematica propriamente detta si di- vido a sua volta in due gruppi, il primo dei quali com- prende 1’ aritmetica, 1’ algebra elementare, 1’ algebra supe- riore, e riguarda soltanto le idee di quantità, di numero e di rapporto, senza supporle in alcun oggetto particolare © senza riferirsi alle nozioni di forma o di grandezza con- creta; il secondo è costituito dalla geometria, che è la scienza delle proprietà dell’ estensione. Il metodo proprio dello scienze matematiche è quello deduttivo; 1’ induzione non ha in esse che rado applicazioni di cui 1’ esompio più importante è quello del Bernouilli, detto della conclusione da n ad n + 1. L'importanza della matematica tra le altro scienze va sempre più crescendo, 9 sempre più generale si va facendo l’ applicazione dei suoi metodi agli altri campi del sapere. Ciò massimamente perchè la quantità è una proprietà essenziale della realtà, © le qualità doi fenomeni sono quasi sempre dipendenti dalla quantità. Ciò non to- glie che non sia arbitraria 1’ applicazione universale delle matematiche da alcuni tentata, poichè, osserva il Masci, non esistendo la quantità a sò, ma come quantità di qnal- che cosa, la spiegazione quantitativa delle qualità deve — 671 — Mar arrestarsi ad un punto in eui le qualità devono essere supposte indipendentemente da ogni ragione quantitativa. Cfr. Comte, Cours de philosophie positive, 1830-1842; Poi caré, articoli in « Revue de métaph. et de mor. », 1898- 1901; Masci, Logica, 1899, p. 474-484; Cohen, Logik der reinen Erkenntnis, 1903, p. 102 segg.; A. Lalande, Letturo nella filosofia delle scienze, 1901, p. 66 segg. (v. funzione, geometria, integrale, iperspario, numero, problema). Mateologia (µάταιος = vano; inutile). Significa scienza vana, che non ha fondamento nella realtà, come l’ alchimia, la magia, l'astrologia, la mantica, eco. Dicesi anche ma- toosofia. Materia. Gr. fry; T. Materie, Stoff; I. Matter; F. Ma- fière. Questo termine hs due significati affatto distinti, a seconda che si contrappone a forma o a spirito. La con- trapposizione di materia a forma è propria della filosofia antica, specialmente aristotelica; in essa per materia ϱ) in- tende non una sostanza in generale, ma una certa specie di sostanza, οἱοὸ la sostanza materiale, quella che si ma- nifesta ai nostri sensi, in contrasto con la nostra attività cosciente: in altre parole, 1’ oggetto in quanto lo si op- pone al soggetto. La contrapposizione di materia a forma è rimasta tuttavia anche nella filosofia moderna, ma con diverso significato : trasportate, specie dopo Kant, dall’ es- sere al conoscere, per materia della conoscenza si intende ora tutto il contenuto oggettivo di essa, vale a dire lo sensazioni, le percezioni sensibili e intellettuali, i con- cetti, ece.; per forma della conoscenza #’ intende poi, nel senso logico, il modo dell’ attività del pensiero che si fissa come prodotto logico, e nel senso gnoseologico, la funzione formatrice della sensibilità e del pensiero. Tornando ora alla filosofia antica, la materia è dunque per ossa 1’ essere indeterminato in generale, che la forma poi determina, è il fondo comune delle cose, da cui tutte sortono e in cni tutte riposano: tale fondo comune per gli ionici primitivi Mar — 672 — è l’acqua, l’aria, ο il fuoco, per Anassimandro l’ infinito miscuglio primitivo, per Democrito un composto di pieno © di vuoto, d’ atomi e di spazio. Platone fa della materia l'opposto dell’ idea: questa è 1’ essere, quella il non-essere, questa à il medesimo, quella 1’ altro. Aristotele la considera come I’ ente in potenza, mentre la forma è l’ente in atto: l’attuale è dunque la materia determinata ο configurata mediante la forma. Codesto dualismo posto da Aristotelo tra forma © materia non fu mai superato dalle filosofie auc- cessive; ma con lo schiudersi dei tempi moderni, il pro- blema assume una orientazione diversa, e la materia, con- trapposta allo spirito, non designa più che 1’ insieme dei corpi, ciò di cui i corpi sono fatti, l'essere ο la sostanza alla quale attribuiamo le qualità sensibili. Per Cartesio ma- teria © spirito sono realtà ugualmente sostanziali, ma es- senzialmente distinte per natura; 1’ essenza della prima à P estensione, della seconda il pensiero. Sorse quindi il pro- blema se noi possiamo conoscere realmente le qualità di codesta materia. Esso fu risolto dai cartesiani con la di- stinzione delle qualità della materia in primarie o assolute, e secondarie o relative: le prime, cioè l’ estensione, la figura, la divisibilità, il movimento, sono inerenti si corpi stessi e quindi indipendenti dai sensi; le seconde come i colori, i sapori, gli odori, sono variabili e semplici modi della nostra sensibilità. Questa distinzione fu accettata anche dal Locke ο dalla scuola scozzese: il Leibnit la completò, aggiungendo all'estensione l’antitipia come com- plemento necessario dell’ essenza della materia. Ad entrambe queste soluzioni si oppone la filosofia critica: l’ estensione non è che una forma della sensibilità; la conoscenza della materia in sò stessa è irraggiungibile; i fenomeni materiali da noi conosciuti sono puramente soggettivi e dipendenti dalla natura ο dalle forme della nostra sensibilità. Kant distinse infatti la materia come fenomeno, dalla materia come nowmeno, ossia la materia in sò: questa è nasoluta- — 618 — Mar mente inaccessibile alla nostra conoscenza, rimane fuori dal campo delle nostre idee; il nostro spirito non coglie che il fenomeno relativo e variabile, e completa la cono- scenza imponendogli le forme assoluto della sensibilità. 11 neo-criticiemo ha accettato i risultati generali del cri- ticismo: la materia non è che una nostra supposizione necessaria per spiegare i fenomeni cho si manifestano ai nostri sensi, ma non ci è direttamente conosciuta nella sua realtà; noi non potremo mai concepirla quale à in ed, ma solo in rapporto alle nostre sensazioni e alla necessità del nostro pensiero. Ma oltre al problema gnoseologico ο metafisico, la materia involge anche un problems fisico, riguardante la natura di codesta materia. La scienza mo- derna risolve il problema in tre modi principali: con l’ato- mismo, ciod la dottrina che concepisce la materia como composta di sostanze realmente distinte, infinitamente pic- cole, indivisibili e tuttavia estese, separate da intervalli vuoti, impenetrabili le une alle altre, incapaci di movi- mento spontaneo e capaci soltanto di trasmetterlo, influen- zandosi reciprocamente con forze attrattive e repulsive; col mecoaniemo, che nega l’ esistenza degli stomi materiali e riduce la materia al movimento, ad un finido cioè con- tinuo, omogeneo, nel quale il movimento determinerebbe delle unità apparenti, dei vortici, degli anelli turbinanti ; col dinamiemo, la dottrina ciod che pone come ultimg ele- mento della materia, non l'atomo ma il centro di forza, ossia un punto invisibile intorno a oui irraggiano in tutte le direzioni delle linee di forza, per mezzo delle quali ogni punto è in relazione con tutti gli altri punti dell’ universo. Cfr. Platone, Timeo, 48 E, 49 A, 50 C, D; Aristotelo, Me- taph., VII e VIII; Cartesio, Prino. phil., II, 23; Locke, An essay conc. hum. understanding, 1877, 1. III, c. 10, $ 10 ο 15; Leibnitz, Nouv. Essais, 1704, IV, ο. III; Kant, ΚΙ. d. r. Vernunft, od. Reclam, p. 31 segg.; Ostwald, Ch ache energie, 1893, p. 5 segg.; Le Bon, L’evolution de la ma- 43 — RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche. Mar — 674 — tière, 1905; E. Naville, La matière, 1908 ; Ardigò, Opere filo- sofiche, I, Ρ. 103 segg., II, p. 49 segg. (v. energismo, mate- rialiemo, dualismo, monismo, spiritualismo, inerzia, energia, impenetrabilità, massa, essenza, sostanza, ecc.). Materiale. Τ. Stoflich, körperlich; I. Material; F. Ma- tériel. Tutto ciò che riguarda la materia, che è della natura della materia; può essere contrapposto tanto a formale quanto a spirituale, con signiflcasioni naturalmente diverse. Così nei sistemi filosofici dell’antichità il principio materiale è la materia prima e originaria delle cose; ad 98. per Anas- sagora il principio materiale sono le omeomerte, il principio formale il vodg ο l'intelligenza; per Parmenide i fenomeni fisici si spiegano con due principj materiali, la Ίμοο e le tenebre, e un principio formale che li combina in differenti rapporti, l’amore. Si dice poi verità materiale la conformità del pensiero con la cosa a cui si riferisce, ϱ verità formale l'armonia del pensiero con sò stesso ; logioa materiale quella che riguarda la materia o il contenuto del pensiero, ο lo- gica formale quella che ne considera esclusivamente la forma, cioò il modo come i suoi elementi sono fra loro combinati. Nella meccanica dicesi punto materiale il corpo di cui le dimensioni sono supposte infinitamente piccole, restando tuttavia dotato delle proprietà generali della ma- teria, quali l’impenetrabilità ο il peso. Materialismo. T. Moterialienas ; I. Materialiem; F. Ma- térialieme. Il termine compare per la prima volta all’epoca di Roberto Boyle. È la dottrina che nega l’esistenza di sostanze spirituali e non ammette altra sostanza che la materia, concepita in vari modi nei vari sistemi materis- listici, ma che ha sempre per carattere fondamentale d’es- sere un insiemo di oggetti individuali, rappresentabili mobili, figurati, occupanti ciascuno un luogo dello spazio. Matertaliste dicuntur philosophi, dico il Wolff, qui tanium- modo enti a materialia sive corpora eziatero affirmant. E Baum- garten: Qui negat erisientiam monadum cat materialista uni- — 675 — Ματ versalis. Qui negat eziatontiam monadum universi, e. g. huiue partium est materialista cormologione. Questa dottrina, como mostra il Lange, si incontra tra i più antichi tentativi d’una concezione filosofica del mondo. Si distingnono perd nel materialismo due forme o fasi: il primitivo, che po- trebbe anche dirsi dualistico, il quale, pur distinguendo il corpo dall'anima, considerava sì l'uno che l’altra come sostanze materiali; esso si trova nella filosofia presocra- tica, nello stoicismo, nell’epicureismo e persino nei 88. Pa- dri anteriori a S. Agostino; il moderno o monfstico, che sopprime codesta dualità tra materia e spirito, tra corpo ed anima, riguardando la seconda come una funzione ο un aspetto del primo. Con estensione forse illegittima del vocabolo, molti filosofi moderni chiamano materialismo ogni dottrina che, pur riconoscendo l’irreducibilità del fatto psichico al fatto fisico, considera tuttavia la nature, il mondo esteriore în genere, come sprovvisto di coscienza ο retto da leggi puramente meccaniche. Così per lo Scho- peuhauer ogni controversis sopra l ideale si riferisco al- l esistenza della materia, perchè, in fondo, è la realtà ο l’idealità di questa che è disoussa: « La materia, come tale, esisto puramente nella nostra rappresentazione, ο è indipendente da essa? In quest’ultimo caso sarebbe la ma- teria la cosa in sò, e chi ammette una materia esistente in sò, deve essere, per conseguenza, materialista, ciod deve fare della materia il principio di esplicazione di tutte le cose ». Con l’espressione materialismo peloofisico, si inten- dono sia le dottrine che, basandosi sull constatazione empirica del parallelismo esistente tra la serio dei fatti psichici e la serie dei fatti fisiologici o fisici, considerano però i primi come semplici epifenomeni; sia le dottrine che, pur ammettendo la perfetta originalità delle due se- rie, la psichica e la fisica, © considerando quindi la prima come irreducibile alla seconda, dà però la preferenza dal lato teorico o scientifico alla serie fisica. Il materialismo si Mar — 676 — basa, in generale, su due argomenti fondamentali: 1° sui rapporti tra corpo ed anima, ossia tra sistema nervoso ο coscienza; ovunque si abbia sistema nervoso αἱ ha coscienza. mancando il sistema nervoso manca la coscienza, variando il sistema nervoso varia la coscienza; dunque il sistema nervoso è causa della coscienza; 2° sulla dottrina della con- servaziono della materia e dell’ energia; nella natura nulla si crea e nulla si distrugge; ogni fenomeno non è che In trasformazione di un’altra forza prima in altro modo esi- stente; il fenomeno psichico non sorge quindi dal nulla, ai riconduco esso pure ad una trasformazione di materia ο di forza. Oltre a questi argomenti positivi, ve ne hanno due negativi: 1° l'impossibilità di una rappresentazione spaziale in un’ anima semplice ο inestesa; 2° l’ inconcepi- bilità di una azione reciproca fra due sostanze oterogenee. Cfr. Chr. Wolff, Peychol. rationalis, 1738, § 33; Baumgarten, Metaphyrica, 1739, $ 395; Büchner, Kraft und Stoff, 1883; Schopenhauer, Die Welt ale W. und Vorst., ed. Reclam, II, p. 30 segg.; Eucken, Geschiokte, d. philon. Terminologie, 1879, p. 132, n. 3; Höffding, Peyohologie, 1900, p. 11-15, 75 segg.; Lange, Geschichte der Materialismue, 1896; A. Faggi, I! ma- _terialiemo peicofisico, 1901; F. Masci, Il materialismo peioo- fisico, « Atti della R. Acc. di Napoli », 1901; Ardigd, Opere fil., I, 209 segg., IX, 306 (v. anima, coscienza, spirito, mo- nismo, dualismo, parallelismo, influsso fisico, ecc.). Materialismo storico. Espressione creata dall’ En- gels per designare la dottrina di Carlo Marx. Oggi si ap- plica ad ogni indirizzo sociologico, che considera tutti i fenomeni sociali come produzioni scaturenti dal sottosuolo dei rapporti economici (rapporti di produzione, di distri- buzione e di circolazione della ricchezza). Per dimostrare la cansalità dei fenomeni sociali, esso si fonda principal- mente su queste tre condizioni: il fatto economico è di sua natura esclusivamente umano; è il più somplice di ogni altro fatto sociale; precede cronologicamente tutti gli altri — 677 — Mar fenomeni della convivenza umana. Conseguenza immediate di tale dottrina, è che l’espandersi continuo dell’ energie produttivo determina coi rapporti sociali esistenti molte- plici contrasti, i quali, divenuti a poco a poco irreconci- liabili, erompono in un conflitto che si enuncia in un cangiamento dello forme politiche, religiose, artistiche, scientifiche, filosofiche © si compie collo spostarsi dei rap- porti economici. In tal modo procederebbe il cammino ascendènte della storia e della civiltà. Va notato però che, oltre coloro che sostengono rigidamente codesta causalità diretta ο immediata del fenomeno economico (Loris, La- fargue, ecc.), vi sono altri che la concepiscono come un rapporto di interdipendenza, ammettendo che i fenomeni giuridici, politici, religiosi, ecc. si svolgano sì in funzione del fenomeno economico fondamentale, ma che, una volta prodotti, possano per reazione esercitare una efficacia de- terminatrice sopra il fenomeno onde hanno tratto I’ ori- gine (Engels, Labriola). All’ espressione impropria di ma- terialismo storico, dovuta al fatto che esso sorse come opposizione all’ idealismo storico, alcuni vorrebbero che si sostituiasero lo altro: determinismo sconomico, sconomiemo atorico, concezione materialistica della storia, ecc. Il Croce, ad es., sconsiglia « questa denominazione di materialismo, che non ba ragione d’ essere nel caso presente, © che fa nascere tanti malintesi », mentre potrebbe utilmente so- stituirsi con quella di concezione realistica della storia. Il Labriola trova invece ln denominazione opportuna, in quanto compendia l’origine storico-psicologica della dot- trina, nata nol pensiero di Marx e di Engels quando tro- varono che il matorialismo tradizionale sino al Feuerbach non spiegava la storia; dal panto di vista della crisi in- terna, che subirono il Marx e P’Engels, il nome dunque non è secondo il Labriola indifferente, anzi rileva 1’ ori- gine della dottrina e la sua posizione di fronte # quelle contemporanee, che si sforzarono disuperare i limiti del- Mat-Maz — 678 — V idealismo. Cfr. Engels, Horn Eugen Dühring’s Umwalsung dor Wissenschaft, 83 ed., p. 12; Marx, Zur Kritik der politi schen Oekonomie, 1859, pref.; P. Lafarguo, Le dsterminisme économique de K. Marz, 1909; E. Rignano, Le matérialieme Mstorique, « Riv. di scienza », 1908, V, p. 114 segg.; A. Lo- ria, La sociologia, 1901, p. 192; B. Croce, Materialismo sto- rico ed econ, marz., p. 34 seg.; Ant. Labriola, Soritt di filos. ο di politica, ed. Croce, p. 242-6; A. Asturaro, 1 mat, storico ¢ la sociologia, 2° ed. 1910; E. Fabietti, Il mat. storico, 1910; R. Mondolfo, Il mat. storico in F. Engels, 1912, cap. X. Matriarcato. Dal Bachofen în poi fu chismata così dai sociologi quella fase primitiva dell'evoluzione sociale, in cui la famiglia fa centro non al padre ma alla madro, cho ha nell’organiszazione domestica l'autorità suprema, governa essa sola la casa, adempie le funzioni religiose ed impera nelle deliberazioni della comunità. Il matriaroato, che vive ancora tra le tribù Irochesi dei Seneca, e le oui reminiscenze si trovano in tutti i miti, le leggende e le letterature primitivo, sarebbe dovuto, secondo alcuni, alla promiscuità primitiva, che rende impossibile la ricerca della paternità, secondo altri alla struttura organica del- l’economia primitiva, in cui la produzione, che si riassume tutta nell’ agricoltura, rimane affidata esclusivamente alle donne. Cfr. J. J. Bachofen, Das Mutterreoht, 1861; Starke, La famille primitive, 1891; Westermark, Lo matriarkat, in Annales d. l’Inst. int. de Sociologie, t. II, 1895; G. Maz- zarella, La condizione giuridica del marito nella famiglia matriaroale, 1899 (v. famiglia). Masdeismo. 0 religione di Zorosstro ο dell’ Iran. E un politoismo mitologico, dominato dal principio del dua- tismo, in cui il Dio che comanda le divinità buone è Ormurd, quello che comanda le onttive è Arimane. L’obbligazione morale consiste nel dovero dell’uomo di allearei alla di- vinità buona nella sua lotta continua contro la divinità cattiva (v. dualismo, manicheismo). — 679 — Μκ-Μκο Meo v. D. Meccanica. T. Mechanik; I. Mechanics; F. Mecanique. La scienza che ba per oggetto lo studio dei movimenti e delle forze che li producono. Si divide in meccanica ra- sionale ed applicata: la prima non è che la teoria astratta delle leggi dei moti e delle forze, la seconda è la teoria delle macchine. Lo studio del moto indipendentemente dalle cause che lo producono (forze) costituisce la cinema- tica. La meccanica razionale si divide poi in statica e di- namioa: la prima studia la composizione delle forze con- siderate come grandezze riferite ad una unità di misura della medesima specie, la seconda studia la composizione dei movimenti cui dan luogo le forze motrici. La dinamica si divide a sua volta in cinetica, che studia la composizione dei moti relativamente alla traiettoria che essi determinano nello spazio, e in energetica, che studia la composizione dei moti delle masse che nel loro cammino sono capaci di pro- durre lavoro. Cfr. Hertz, Die Prinsipien der M. in neuem Zusammenhage dargestellt, 1894; Mach, Die M. in ihrer Ent- wickelung, 1883; Dühring, Kritische Geschichte der allgemei- nen Prinsipion der M., 8" ed. 1887 (v. energiemo, massa, mo- vimento). Meccanico. T. Meohanisch; I. Mechanical; F. Mécani- que. Opposto a telcologioo indica ciò che si attua indipon- dentemente da ogni finalità, per virtù di leggi necessarie. Opposto a dinamico © a energetico, cid che escludo dalle cose la nozione di forza, considerata come un residuo di nozioni antropomorfiche. Si dicono sensi meccanici, per di- stinguerli dai chimici, quei sensi sopra i quali gli stimoli esercitano un’azione puramente meccanica: tali sono il tatto e l'udito. Cfr. A. Rey, L’énergetigue et lo mécaniene au point de vue de la connaissance, 1907. . Meccanismo. T. Mechanismus, Mechanistische Weltan- ‘echauung; I. Meoanism ; F. Méoanieme. In senso metaforico, ogni processo nel quale si può determinare, con l’analisi, Mec — 680 — una serio di fasi subordinate ο dipendenti l’una dall'altra; così dicesi meccanismo della coscienza, meccanismo della memoria, meccanismo dell’ imaginazione. Dicesi anche mec- canismo o meccanioismo la dottrina fisica © filosofica, che escludendo ogni potenza occulta, ogni finalità, ripone nel solo movimento la natura intima della materia ο tutti i fenomeni dell’ universo riconduce al movimento: omnis ma- teriao variatio, sive omnium eins formarum diversitas pendet a motu (Cartesio). Il meccanismo concepisce la materia 0 come un composto di atomi, o come un fluido continuo e omoge- neo; tutte le modificazioni che avvengono in essa, tutti i cambiamenti, la diversità dei corpi e dei fenomeni, non sono dovuti che a diversità di movimento. Si oppone, in questo senso, al dinamismo, che identifica la materia con la forza, © spioga ogni fenomeno naturale con le leggi della forza; si oppone anche all’energiemo, che tutto riconduce a ma- nifestazioni di un’ unica energia. Nella filosofia antica il meccanismo à rappresentato nella sua forma più precisa dal- l’atomismo di Democrito © di Epicuro; nei tempi moderni dalla fisica © fisiologia di Cartesio, che poteva afferma- re: terram totumque huno mundum instar machinae descripsi. — Dicesi mecoaniemo vitale ο iatromeocaniemo la dottrina fisiologica che riconduce pure i fenomeni biologici al mo- vimento, considerandoli come il semplice risultato delle stesse leggi che governano il mondo inorganico: questa dottrina, che forma la base della moderna fisiologia, op- ponendosi all’ antico e al nuovo vitaliemo, fu intravvista già nel seicento dal nostro Borelli, per il quale « animalium operationes fiunt a causis et instrumentia et rationibus mecha- nicis ». Quando poi anche i fenomeni psichici sono consi- derati como semplici movimenti molecolari della sostanza nervosa, come pura funzione organica, si ha il materialiemo. Cfr. Cartesio, Prinoipia phil., parte II, art. 3; Lamettrie, L'homme machine, 1848; J. Ward, Naturalism and agnosti- cism, 1903; A. Rey, La philosophie moderne, 1908, p. 173 segg.; — 681 — Mep J. Loeb, The mechanistic conception of life, 1912; C. Gua-— stella, Filosofia della metafisica, 1905, t. II, p. LXXXVI segg. Modiato. T. Mittelbar, vermittelt; I. Mediated; ¥. Μέ- diat. Ciò che si compie con qualche intermediario. La nostra conoscenza del mondo esteriore è mediata, perchè si compie per mezzo della sensazione; la coscienza è in- vece la conoscenza immediata dello modificazioni che av- vengono in noi. Il sillogismo dicesi inferenza mediata, perchè si compie con |’ intermediario di una proposizione che esprime la constatazione della natura di ciò cui il principio generale, espresso nella maggiore, si applica. La rappresentazione dicesi anche percezione mediata, per- chè, a differenza della percezione sensibile, si rinnova nell’ assenza di uno stimolo esterno che direttamente la provochi. Mediatore plastico o natura plastica. F. Média- teur plastique. È il principio col quale il Cudworth, opponen- dosi tanto alle dottrine meccaniste quanto a quelle che fanno intervenire la divinità in ogni fenomeno naturale, spiega i movimenti dei corpi, la forma di cui essi sono snscettibili, i fenomeni della generazione e della vita. Codesto principio, intermedio tra Dio e il mondo, è di natura spirituale ma privo di libertà, di sensibilità e d'intelligenza; esso penetra in tutte le parti della materia e lavora senza posa sotto la guida della di a realizzaro l’ordine del mondo. Il Le Clere lo definisco come « un essere, il quale ha in sò stesso un principio di attività, e che può agire per sò stesso egualmente sull’anima che sul corpo; un essere, il quale avverte l’anima di ciò che accade nel proprio corpo per mezzo delle sensazioni che esso vi produce, ο che muove il corpo agli ordini dell’ anima senza nondimeno sapere il fine dello sue azioni ». Questa dottrina, dopo aver susci- tato gran numero di discussioni, è caduta da tempo, per la sua stessa contradditorietà; come già notava il Gal- luppi, codesta sostanza media, che non è nè semplice nò Mxp-Mra — 683 — composta, nd spirito nd corpo, si risolve in un assurdo; non vi è mezzo tra due proposizioni contradditorie, ο per- ciò il mediatore plastico deve necessariamente essere sem- plice o non semplice, ma in qualunque dei due casi la difficoltà di spiegare il commercio tra l’anima e il corpo ri- nasce. Cfr. P. Janet, De plastica natura vi apud Cudworthum, 1848; Id., Essai sur le médiateur plastique de Cudwort, 1860 ; Le Clero, Bibliothèque choisie, t. II, art. 2, n. XII; Gal- luppi, Lesioni di logica 6 metafisica, 1854, vol. II, p. 606-609 (v. demiurgo, meccanismo, vita). Medio. T. Mittel (Begrif); I. Middle (term); F. Moyen (terme). Nel sillogismo dicesi medio il termine che ha la estensione media e serve come termine di confronto tra il termine maggiore e il minore. Esso si trova tanto nella premessa maggiore che nella minore, ed è escluso nella conclusione. Tutto il valore del sillogismo dipende dalla scelta del termine medio (v. termini). Megacosmo v. macrocosmo. Mogalomania. Gr. μέγας = grande, pavla = follia; T. Mogalomanie; I. Megalomania; F. Mégalomanie. Detta anche delirio di grandezza, o delirio ambizioso. E costituita da una specie di ipertrofia della personalità, per cui l’am- malato, in grazia dell’ aumentata attività psichica, si ri- tiene di alta nascita, di elevata posizione sociale, provvisto di grandi ricchezze, capace di riuscire in ogni più difficile impresa. In molti casi si trova associato al delirio di per- secuzione. Cfr. Kraepelin, Trattato di psichiatria, trad. it., p. 182 segg.; T. Regis, Précis de psychiatrie, 1909, p. 434. jopsichia. Vocabolo usato già da Aristotele per designare quel giusto sentimento di sò stessi, del proprio valore e delle proprie attitudini, che è condizione indi- spensabile per lo sviluppo delle virtualità contenute nella propria natura; è vocabolo poco in uso, quantunque serva & designare assai moglio della parola orgoglio quel retto apprezzamento della propria capacità, il quale suppone non — 688 — Mel soltanto che l’individuo si giudichi degno di grandi cose, ma che lo sia in effetto. Col vocabolo mioropsichia lo stesso filosofo designava il sentimento opposto, ciod la sfiducia in sò stessi, per cui l'individuo non compie tutto il bene e le belle azioni che egli avrebbe potuto compiere, giudi- candosene incapace. La megalopsichia non è da confondere con la megalopsia, anomalia del senso della visione, per cui gli oggetti sono peroepiti di dimensioni più grandi del reale. Cfr. Parinaud, Ancsthéste de la rétine, 1886; G. Marchesini, Il dominio dello epirito ο il diritto all'orgoglio, 1903. Melanconia. T. Melancholie, Ticfrinn, Molina; I. Mo- lanoholia; F. Mélancolie. Psicosi che si manifesta ad accessi, talora improvvisamente in seguito ad un grave dispiacere © ad una viva emozione, talora dopo un graduale aumento di impressionabilità © di depressione affettiva. Essa può assumere varie forme, ma in tutte il carattere fondamen- tale consiste nell’ esistenza morbosa di una emozione spia- cevole, di un senso vago più o meno cosciente di oppres- sione, di ansietà, di tristezza, d’impotensa; è dunque una malattia della sensibilità morale, iniziantesi con una alte- razione dél tono sentimentale, e che non diventa se non in via secondaria ο episodica ung malattia della intelligenza. Gli antichi 18 chiamarono così perchè credettero che fosse determinata da un annerimento della bile (µέλας =: nero, χολή = bile). Da Esquirol in poi è chiamata anche lipe- mania (λύπη =- tristezza); però molti psicopatologi distin- guono le due forme, in quanto nella melanconia i disturbi mentali sono appunto derivati, mentre nella lipemania sono primari. La melanconia semplice è costituita dal ral- lentamento dei processi psicomotori, e quindi dalla len- tezza dello azioni, dalla fatica che esse importano, per cui il soggetto è assalito da un senso generale di impo- tenza che lo abbatte 6 ne rende triste l’umore. Nella me- lanoonia allucinatoria a questi fenomeni si aggiangono idee deliranti ο specialmente allucinazioni cenestetiche di vaoto, Mem — 684 — © dolls mancanza di qualche organo. Nella melanconia au- siosa ο agitata lo allucinazioni conestetiche determinano uno stato di ansia, idee ipocondriache di negazione, di piccolezza ο d’auto-rimprovero; l’ammalato credo d’ es- sere perseguitato, rovinato nei propri interessi, tradito nei propri affetti, colpevole dei maggiori delitti e meritevole dei più grandi castighi ο della eterna dannazione. Infine nella melanconia stupida la difficoltà delle espressioni mo- torie determina gli stati stuporosi. Cfr. Krafft-Ebing, Die Molanoholie, eine klinische Studie, 1874; Christian, Etude sur la mélancolie, 1876; Roubinowitech et Toulouse, La mélan- colic, 1897; Morselli, Manuale di somejotios, II, 210 segg. Momoria. T. Gedächtnis, Erinnerung ; I. Memory; F. Mé- moire. Nel suo significato più elevato, che è anche il più comune, designa la funzione o la facoltà per oui si con- servano, si riproducono, si riconoscono e si localiszano gli stati psichici passati; per generalizzazione, ogni conserva- zione del passato d’un essere vivente nel suo organismo. Gli psicologi distinguono però varie forme di memoria; la memoria organioa o muscolare, la memoria affettiva ο la me- moria propriamente detta ο intellettiva. La memoria orga- nica, che è più semplice, consiste nella proprietà apparte- nente ai tessuti dell'organismo, specialmente al muscolare © al nervoso, di conservare e riprodurre automaticamente dei movimenti già eseguiti; questa proprietà è general- mente spiegata con l’ammettere nell'elemento nervoso la persistenza della modificazione avvenuta, sia dinamica, fisica ο chimica. La memoria affettiva consiste nel riprodursi, in- sieme agli stati intellettuali, degli stati affettivi (omozioni ο sentimenti) coi quali erano primitivamente associati; si ossorva però che è più facile l’evocaziono degli stati in- tellettuali che non quella dei sentimenti associätivi, ο che, in ogni caso, gli stati affettivi ricordati hanno sempre mi- nore intensità degli attuali; altra logge generale è che i sentimenti associati ai sensi della vista © dell'udito, alla — 685 — Μαν rappresentazione libera e all’attività libera del pensiero, sono più facili a riprodurre che quelli che οἱ vengono dai sensi inferiori © specialmente dall'esercizio delle nostre fanzioni vegetativo. La memoria propriamente detta è un fatto assai complesso, quantunque presupponga la stesss baso fisiologica della memoria organica, ο si risolve, come vedemmo, nelle operazioni della conservazione, riproduzione, riconoscimento © localissazione; condizioni generali delle due prime sono la durata e l'intensità degli stati psichici, per cui questi tanto più facilmente persistono e rivivono quanto maggiormente e più a lungo hanno agito; il rico- noscimento è il confronto e il rapporto d’identità stabilito tra lo stato psichico attuale e lo stato psichico analogo cho fa attuale nel passato; la localizzazione è il riferimento dello stato psichico ad un punto preciso del passato, rie- vocandone il luogo, I’ ora, le circostanze. Nella memoria intellettuale si distinguono anche in vari tipi: il tipo vi- sivo, nel quale si fissano © si riproducono più facilmente le imagini visive, quali il colore, l’aspetto, In forma este- l tipo uditivo meno frequente, in cni tutto ciò a cui si pensa è rappresentato nella lingua dei suoni; il tipo motore, in oui la memoria è prevalentemente costituita da imagini di movimenti. Per Aristotele la memoria nasce dalla sensazione al pari della fantasia, © si spiega come questa mediante il movimento che la sensazione lascia nel- l’anima e che dura un certo tempo; si distingue dalla rappresentazione sensibile, in quanto è accompagnata dal sentimento che la rappresentazione stessa è esistita già prima nel nostro spirito, il che spiega come la memoria non esista che negli animali che posseggono il senso del tempo. Per S. Tommaso la memoria è una facoltà del- l’anima, e serve al giudizio come la fantasia ai sensi: la fantasia raccoglie le sensazioni ο le raggruppa man mano che si presentano, la memoria riunisce ο conserva gli atti stabiliti dal giudizio, per riprodurli o spontaneamente o Mau — 686 — per mezzo della riflessione. Per Spinoza la memoria « non è altra cosa che una certa concatenazione delle idee, che involgono in 68 stesse la natura delle coso esistenti fuori del corpo umano, concatenazione che si produce nell'anima secondo l’ordine e il legame delle modificazioni del corpo umano ». Per Locke la ‘memoria è una specie di retenti- Vità (refentivenese), 9 consiste in una forza particolare pos- seduta dalla coscienza, di risvegliare le rappresentazioni già possedute, ma poscia svanite ο poste in disparte; per- ciò « le idee che sono più spesso rinfrescate da un fre- quente ritorno degli oggetti ο delle azioni che le produ- cono, si fissano meglio nella memoria e vi rimangono più chiaramente e più lungamente ». Per Kant la memoria può essere meccanica, consistente nella semplice ripetizione letterale, ingegnosa, consistente nel fissare mediante l’as- sociazione certe rappresentazioni con altre, che non hanno con le prime alcuna parentela intellettiva, © giudiziosa, che non è se non la tavola d’una disposizione sistematica nel pensiero; in generale « la memoria si distingue dalla sem- plice imaginazione riproduttiva, in quanto, potendo ripro- durre spontaneamente le rappresentazioni passate, l’anima non è con ciò un puro gioco di esse ». Per James Mill la memoria è un’ ides, formata mediante l'associazione di particolari in un certo ordine: « quando penso a qualsiasi caso di memoria, trovo sempre che l’idea o la sensazione, precedente il ricordo, era una di quelle destinate, secondo la legge dell’associazione, a richiamare l’idea involta nel caso di memoria; ο che appunto per l’idea ϱ sensazione precedente, l’idea-ricordo è stata realmente portata nella coscienza >. Per l’ Hamilton la memoria « è la conoscenza immediata di un pensiero presente, conoscenza che implica una credenza sssoluta, che questo pensiero rappresenta un altro atto di conoscenza che è stato ». Anche per J. 8. Mill l'atto della memoria implica una simile credenza più una speciale aspettazione: « la rimembranza di una sensazione, — 687 — Mem anche se non riferita a nessuna data particolare, involge la suggestione e la credenza che una sensazione, di cui quella è una copia o rappresentazione, esistette attualmente nel passato; © l’aspettasione involge la credenza, più ο meno positiva, che una sensazione o un altro sentimento, a cui direttamente si riferisce, esisterà nel futuro ». Per il Galluppi, il riferimento al passato, o riconoscimento, ottenuto mediante l'associazione del ricordo con un altro stato di coscienza, è l’unico carattere per cui la memoria si distingue dall’ imaginazione: « Chiamo memoria la fa- coltà di riprodurre le percezioni degli oggetti, che sono stati altra volta sentiti, e che nel momento attuale sono assenti, © di riconoscerle. La memoria non è dunque una facoltà diversa dall’ imaginasione, ma è la stessa imagina- rione, la quale nel suo esercizio eseguisce esattamente la legge dell’ associazione delle idee ». Per l’Ardigd la me- moria è un fatto fisico-psichico, consistente nel ridestarai delle impressioni per il rinnovarsi in una data ares cere- brale di un ritmo fisiologico; ogni atto memorativo è una totalità di parti concorrenti, di eccitamenti cerebrali che confiniscono, e il ridestarei di un’ idea consiste nel ripro- dursi di questi moti sinergioi ; il riconoscimento, essenziale nella memoria, nasce dal sovrapporsi di due atti psichici, ed ha esso pure la sua base fisiologica nella persistenza delle disposizioni cerobrali. Cfr. Aristotele, De an., I, 4, 408 b, 17; 8. Tommaso, Summa theol., I, qu. 79, 6; Spi- noza, Ethioa, Ἱ. II, teor. 18, scol.; Locke, Eas., II, ο. 10, $ 2; Kant, Antrop., I, $ 32; James Mill, The hum. mind, 1871, p. 821; J. 8. Mill, Ezam. of Hamilton, 1867, p. 241; Galluppi, Lezioni, 1854, II, p. 744 segg.; Wundt, Grundriee der Peyohologie, 1896, p. 290 segg.; Höffding, Esquisee d’ une ‚psychologie, 1900, p. 186 segg.; Ardigò, Opere fil., V, p. 212 segg., VI, 23 segg., VII, 252 segg.; G. Dandolo, La dot- trina della momoria nella psicologia inglese, 1891; H. Bergson, Matière οἱ mémoire, 2° od.; W. F. Colegrave, Memory, an Men 688 — induotice study, 1899; Van Biervliet, La memoire, 1902; P. Sollier, Le problème de ta memoire, 1900 (v. amnesia, au- tomnesia, automatismo, punti di ritroro, riconoscimento, ri- produzione delle sensazioni, eco.). Mentale. T. Seclisoh, psychisch; I. Mental; F. Mental. Termine vago, che si contrappone ad organico, fisico, sen- sibile, eco., per designare tutto ciò che concerne lo spirito, o appartiene allo spirito, mentre alcune altre volte si rifo- risce all’ intelligenza, come distinta dalla attività psichica in generale. Mentalità. T. Mentalität, Geistesriohtung; I. Menta- lity; F. Méntalité. Qualsiasi fenomeno ο atto della mente. Però si adopera quasi sempre por indicare soltanto le pro- duzioni della intelligenza più lontane dalla sensibilità ο più complesse, quali la rappresentazione, l’idea, il con- cetto. Ha quindi un’estensione minore del termine prichi- cità. Spesso si usa anche ad indicare l’insieme delle di- sposizioni intellettuali, delle tendenze affettive ο delle credenze fondamentali di un individuo o di ün popolo; ad cs. la mentalità di Mazzini, la mentalità tedesca. Mensogna. T. Lüge; I. Lie, Falsehood; F. Mensonge. Si definisce come un fatto psicologico, di suggestione o nou (si può mentire con gesti, lacrime, ecc.), con cui si tende più o meno intenzionalmente a introdurre nello spi- rito degli altri una credenza, positiva o negativa, che non sia in armonia con ciò che l’autore suppone essere una verità. Vi sono due specie di menzogne: le negative, che consistono nella dissimulazione di ciò che può fornire un indice della realtà; lo positive, che consistono nella crea- rione di finzioni intercalate dall’immaginazione della realtà. La menzogna, che è quasi fenomeno normale nella prima infanzia, pnd assumere aspetto patologico in alcune malat- tie mentali, come I isterismo e la mania ragionaute : 1) am- malato prova una vera voluttà nel dire bugie, ο questo bisogno è in lui tanto radicato, che spesso diventa e si — 689 — Mer-MRT serba bugiardo anche contro il proprio interesse. Cfr. Hein- rot, Die Lüge, 1834; Max Nordau, Die konventionellen Lügen der Gegenwart, 1893; Delbrück, Die pathologische Lüge und die psychische abnormen Schwindler, 1891; G. Marchesini, Le finzioni dell'anima, 1905. Merito. T. Verdienst; I. Merit; F. Mérite. E, in senso largo, il diritto ad una ricompensa, che compete all’ agente in seguito ad un’ azione buona compiuta. In senso teolo- gico è ciò che sorpassa lo stretto dovere, e costituisce una specie di eredità morale dell’ individuo. Siccome esso im- plica il libero arbitrio © la responsabilità, così le dottrine deterministiche al concetto di merito sostituiscono quello di accrescimento nella dignità, che l’azione morale com- piuta conferisce all'agente, e che, accrescendo il suo va- lore sociale, allarga la sfera de’ suoi diritti e quindi della sua libertà. Mosologia. T. Mesologie; I. Mesology; F. Mesologie. Scienza che studia i rapporti e le reciproche influenze che uniscono gli esseri all’ ambiente tellurico, climatico, fisi- co, ecc., in cui vivono. Metafisica. T. Metaphysik; I. Metaphysics; F. Méta- physique. Questa parola fa usata primitivamente da An- dronico di Rodi, per designare quelli dei libri di Aristo- tele, da lui ordinati, che vengono dopo i libri fisici: τὰ μετὰ τὰ φυσικά. Nel medio evo l’ espressione fu adoperata per indicare la σοφία o φιλοσοφία πρώτη di Aristotele, che ha per oggetto τὸ By 7 ὄν, ο che egli stosso definisce ἡ τῶν πρῶτων ἀρχῶν xal αἰτιῶν θεωρητική. Perciò In parola me- tafisica rimase ad indicare in generale quella parte eccelsa del sapere umano, che tratta dell’ essenza ultima delle cose, © cerca spiegare il mondo ο l’esistenza valendosi del me- todo aprioristico, partendo cioè dall’ essere in sò, dall’ ente necessario © perfetto, e quindi reale. Ma il suo significato è ben lungi dall’ essere fisso : ora indica la conoscenza degli esseri che non cadono sotto i sensi, come Dio e l’ anima; 44 — RanzoLt, Dizion. di scienze filosofiche. Mer — 690 — ora lo studio delle cose in sò stesse, per opposizione alle apparenze che esse presentano; ora la conoscenza delle ve- rità morali, dell’ ideale, del dover essere, considerati come costituente un ordine di realtà superiore a quello dei fatti © contenenti la loro ragion d’ essere; spesso per metafisica β΄ intende la conoscenza sssoluta che si ottiene con I’ in- tuizione diretta delle cose, per opposizione al pensiero di- scorsivo, oppure la conoscenza mediante la ragione, con- siderata come l’ unica capace di raggiungere il fondo stesso delle cose. Alcune volte è adoperata per designare il com- plesso delle questioni filosofiche più generali e più difficili, altre volte per indicare la tendenza a sillogizzare, sd astrarre, a cavare delle conclusioni da premesse arbitrarie. Così per 8. Tommaso la metafisica è la scienza di tutto ciò che ma- nifesta il sovrannaturale, ossia le cose divine: Aliqua scientia adquisita est circa res divinas, soilicet scientia metaphysica. Per Bayle à la soience spéoulative de l’étre. Per Platner essa ricerca non ciò che è reale secondo U esperienza, ma soltanto ciò che è possibile e necessario secondo la pura ragione. Per l’ Herbart è invece la dottrina dell intelligibilita dell’ espe- rienza; per Galluppi la scienza delle sotenze; per Schopenhauer ogni conoscere che si presenta come sorpassante la possibilità dell’ esperienza, 6 quindi la natura, o V apparenza delle cose quale οἱ è data, per apriroi uno spiraglio su ciò da cui questa è condizionata; per il Trendelenburg à la scienza che con- sidera ciò che v' ha di universale negli oggetti di ogni cepe- rienza; per il Mo Cosh è la scienza che investiga le intuizioni originali ο intuitive della mente, per esprimerle, generalissarle, 6 determinaro quindi che cosa sono gli oggetti rivelati da esse; per il Ribot è una collesione di verità poste al di fuori e al di sopra di ogni dimostrazione, perchè sono il fondamento di ogni dimostrazione ; per il Ferrier è la sostitusione delle idee vere - cioè delle verità neosssarie di ragione — agli errori dal. l'opinione popolare; per il Liard è la determinazione dell’as- soluto che sta sotto ai fenomeni, la scoperta della ragione del- — 691 — Ματ V osistenza; per W. James un ostinato tentative di pensare ohlaramente e coerentemente; per il Bergson è la scienza ohe non si ferma al relativo, oggetto doll'intelligenza, ma raggiunge l'assoluto mediante l'intuizione. Nella storia della filosofia mo- derna furono molte le obbiezioni mosse alla metafisica ο vari i modi onde fu considerata: Bacone ne fece una parte della scienza della natura, separandola dalla filosofia prima ο ri- ducendols alla conoscenza sperimentale delle cause astratte ; Locke e Hume ne dimostrarono la nullità, in quanto si occupa di problemi che trascendono l'intelletto umano ; Kant la ridusse alla cognizione filosofica dei concetti în unità sistematica, mostrando come la cosmologia, la psi- cologia e la teologia razionale non facessero che aggirarei in continue contraddizioni, ο come l’ ontologia fosse di- stratta dalla relatività della conoscenza: « Tutti i nostri ragionamenti che pretendono uscire dal campo dell’ espe- rienza sono illusor! ο senza fondamento... Non solo l’idea di un Essere supremo, ma anche i concetti di realtà, di sostanza, di causalità, quelli di necessità nell’ esistenza, perdono ogni significato, 6 non sono più che dei vani titoli di concetti, senza contenuto alcuno, quando ci arriechiamo 8 uscire con essi dal campo delle cose sensibi L'in- tendimento, quindi, non può fare de’ suoi principt a priori, © persino di tutti i*suoi concetti, che un uso empirico, © mai un uso trascendentale.... L’uso empirico d’un con- cetto s’applica semplicemente ai fenomeni, cioò a degli oggetti dell’ esperienza... Tutti i concetti, e con essi tutti i principî, per quanto a priori, si riferiscono dunque a delle intuizioni empiriche, vale a dire si dati d’una espe- rienza possibile ». Più tardi la metafisica fa combattute dalle scienze naturali, dal materialismo tedesco e dal po- sitivismo, specie da Augusto Comte, il quale la conside- rava come un semplice stadio storico, ormai sorpassato, della conoscenza umana. Tra i positivisti posteriori manifestò tuttavia una spiccata tendenza a ridonare alla Mer — 692 — metafisica il suo valore: alcuni infatti, specialmente i po- sitivisti italiani (Angiulli, Villari, Ardigò, ecc.), credono possibile una nuova metafisica, la quale, abbandonato il vecchio apriorismo, stia o come critica logios della cono- scenza, 0 come investigazione ‘degli elementi primitivi, o come coordinazione totale dello scienze; altri, come i neo- kantiani, la considerano come un bisogno inerente alla ragione di completare il mondo reale con un mondo ideale, © la collocano quindi tra la religione e la poesia. Un ten- tativo di trasformare la metafisica compì il positivista in- glese Lewes. Egli distingue nella cosidetta metafisica due parti: la empirica, che è la sistemazione ultima dei risul- tati delle scienze, e la metempirica, che designa ciò che sta oltre i limiti dell’ esperienza. La prima è legittima, ed ha nn valore simile alle scienze, poichè se queste hanno per oggetto le leggi dei fenomeni, quella ha per oggetto le leggi delle leggi; la seconda, cioò la metempirica, è ille- gittima perchè non ha alcuna base e dev’ essere esclusa dal dominio della filosofia, lasciandole soltanto un valore soggettivo psioologico-estetico. Perciò non è vero che i problemi metafsici siano insolubili : essi sono solubili, pur- chè in essi si separi la parto metempirica dalla empirica, © s’applichi a questa il metodo scientifico o positivo. Oggi si può dire ormai scomparso il senso dispregiativo della parola metafisica, conferitole dalle critiche di Kant e del positivismo primitivo; essa è infatti adoperata comune- mente per indicare la filosofia propriamente detta, la filo- sofia în quanto non si identifica nò con la psicologia, nò con la logica, nd con l'etica, ma è una riflessione sui problemi generali relativi ai somni principi dell’ interpre- tazione del mondo e all’ intuizione universale della realtà che su di essi si fonda. Cfr. Aristotelo, Metaph., III, 1, 982 b, 9-10; 8. Tommaso, Contr. gent., I, 4; Bayle, Système de philosophie, 1875, p. 149; Platner, Philosophische Aphori- amen, 1790, I, $ 817; Herbart, Allgemeine Metaphysik, 1828, — 693 — Mer I, 215; Galluppi, Elementi di filosofia, 1820-27, II, 5; Scho- ponhauer, Die Welt a. W. u. Vorst; ed. Reclam, I, suppl. cap. XVII; Liard, La soîenoo positiro et la métaphyeique, 3° p., cap. VII; W. James, Textbook of peychology, 1906, epilogo; Bacone, Do dignilate et augmentis soientiarum, 1829, 11, 4; Kant, Krit. d. r. Vernunft, 1% ο 2" pref. e Metodol. trascend. ; Fouilléo, L'avenir de la métaphysique, 1889; Vol- kelt, Über die Möglichkeit der M., 1884; Ardigd, La peico- logia come scienza positiva, 1882, p. 130; Id., Il rero, 1891, p. 10 segg.; Id., La ragione, 1894, p. 465 segg.; A. Comte, Cours de philos. positive, 1877, I, p. 15 segg.; Angiulli, La Alosofia ο la ricerca positiva, 1869; Lowes, Problemes of life and Mind, 1875, I, p. 5 segg.; Bergson, Introd. à la mé- taph., in « Revue de métaph. », 1903, p. 4 segg.; F. De Sarlo, I diritti della metafirica, « Cultura filosofica », lu- glio 1913 (v. assoluto, filosofia, metodologia, ipermetafisica, poritiviemo). Metafisico. Dicesi argomento metafisico quella prova dell’ esistenza di Dio, che consiste nel partire dalla consta- tazione dell’esistenza di qualche cosa, del mondo ο di noi stessi, per concludere all’ esistenza dell’ Essere necessario, cioè di Dio. Infatti, se questo qualche cosa che esisto è contingente, dovrà la sua esistenza ad un altro essere, ο questo ad un altro, finchè perverremo a dover ammettere P esistenza di un Essere necessario; se questo qualche cosa è necessario, allora è Dio stesso. Che 1’ Essere necessario, sia Dio, si prova col fatto che essendo necessario, cioè in sd stesso e in modo assoluto, è anche perfetto;. non pnd quindi essero il mondo, cho è imperfetto e contingente; dunque sarà Dio. Punti metafisici chiamò il Leibnitz lo monadi, perchè, a differenza dei punti fisici, sono inesteso. Il Comte chiama metafisico il secondo doi tre stadi succes- sivi attravorso i quali passa l'intelligenza umana; in esso i fonomeni non sono attribuiti, como nel primitivo stadio teologico, alla volontà di esseri sovrannaturali. imaginari, Mer — 694 — ina sono spiegati mediante entità astratte, cioò cause, forze, sostanze. Bisogno metafisico dicesi |’ aspirazione del- l’anima umana verso l'invisibile, il sovrannaturale, il tra- scendente, aspirazione che, secondo alcuni pensatori, non può essere distrutta dalla scienza o dalla ragione, perchè si muove in un’orbita che alla ragione non è dato pone- trare: « L'uomo à il solo essere, dice lo Schopenhauer, che si meraviglia della sua propria esistenza; 1’ animale vive nel suo riposo e non’ si meraviglia di nulla. Codesta meraviglia, che si produce specialmente in faccia alla morte, © alla vista della distruzione e della sparizione di tutti gli esseri, è la sorgente dei nostri bisogni metafisici; è per essa che l’uomo è un animale metafisico ». Cfr. Leibnitz, Die philos. Schriften, ed. Gerhardt, IV, 398; Comte, Cours de phil. positive, 1889-42, vol. I; Schopenhauer, Die Welt, vol. II, ο. 17 (v. gli argomenti ontologico, ideologico, morale, fisico, cosmologico, storico). Metageometria. T. Metageometrie e Metamathematik; I. Metageomeiry; F. Métageometrie. La geometria che, con- siderando falso il postulato di Euclide delle parallele, con- cepisce diversi spazi possibili, che non hanno le proprietà dello spazio euclideo. Il postulato euclideo ai enuncia così: 11 giugno 1910; Th. Flournoy, Archives de Psychologie, V, 1906, p. 298 (v. dissociazione, incosciente). Metempirico. T. Metempirisok ; I. Metempirical; F. Mé- tempirique. Indica etimologicamente ciò che è al di là della natura, © quindi tatto ciò che sorpassa i limiti d’ ogni esperienza possibile. Altro volte si oppone a metafisica em- pirica, © designa quella parte della metafisica cho tratta i ciò che sta oltre i limiti dell’ esperienza, e non ha quindi un valore scientifico, ma soltanto estetico e psicologico. Il termine fu proposto appunto con questo significato dal Lewes, che alla motafisica empirica ascrive lo studio degli oggetti ο delle loro relazioni in quanto ci sono conosciuto ed esistono nel nostro universo; alla metafisica metempi- rica le costruzioni ideali dell’imaginazione. Cfr. G. H. Lewes, Problemes of life and mind, 1875, I serio, I, p. 5, 10, 17 (v. ipermetafisica). Motempsicosi. T. Scelenwanderung, Metempaychose; I. Metempsyohoses; F. Métempeychose. Dottrina secondo la quale l’anima, dopo la morte del corpo, trasmigra succossiva- mente a rivestire altri corpi 6 a dar vita ad essi. Questa dottrina, che nella eua forma rudimentaria fa propria di tutti i popoli primitivi, si trova specialmente nelle antiche religioni filosofiche dell’ Egitto, dell’ India © della Grecia, in ciascuna delle quali assumo aspetti differenti. Secondo gli Egiziani l’anima umana, dopo la morte, entra suceos- sivamente e per il corso di tre millenni in tutti gli ani- mali che vivono sia nell’ aria, sia nell’ acqua, sia nella terra; alla fine del terzo millennio ritorna a vivificare un corpo umano, per poi ricominciare lo suc trasmigrazioni attraverso il rogno animale, e così via via all’ infinito. Se- condo gli Indiani, inveco, l’anima umana passa da un corpo ad un altro finchè non s'è del tutto purificata, così da poter ritornare a componetrarsi con la divinità da cui è — 697 — Mer discesa; se durante queste successive esistenze essa pra- tica la penitenza e segue la scienza, passa in corpi sempre più perfetti e quindi torna più presto a Dio; se invece segue il male, al contrario. Nella Grecia la dottrina della metempsicosi fu insegnata da Pitagora e nei misteri, od esposta anche da Platone: l’ anima umana, dopo la morte del corpo che la racchiude, va nei regni d’ oltretomba per ritornare poi, dopo mille anni di purgazione, a rivestire un nuovo corpo in armonia con la vita precedentemente trascorsa; soltanto l’anima pura del saggio non compie queste trasmigrazioni, ma vola ad abitare con gli Dei per tutta l’ eternità. Verso la metà del secolo scorso la dot- trina della metempsicosi fu rimessa in onore da tre pen- satori di idee assai diverse: Pietro Leroux, che sostenne la rinascenza eterna delle stesse generazioni ο quindi dello- stesse anime umane in diversi individui ; Carlo Fourier cho allargò la cerchia delle trasmigrazioni dell’ anima oltro i confini del mondo, in una sfera sovramondana ove ogni essere avrebbe natura più sottile e sensi più delicati; Allan- Kardec, il fondatore dello spiritismo metafisico, che pone la metempsicosi a base delle sue invenzioni sul mondo degli spiriti. Cfr. Platone, Timeo, 90 E segg.; Diogene Laerzio, VIII, 1, 31 segg.; Schlosser, Über die Seelenwan- derung, 1781; P. Leroux, De l'humanité, de son principe et de son avenir, 1840; Fourier, Théorie de l'unité universelle, 1841; G. Athius, Idea vera dello epiritiemo, 1895, p. 65 segg. (v. apoteosi, catarsi, nirvana, immortalità). Metessi. Partecipazione. La usò Platone per esprimero che le cose sono una partecipazione (µέθεξις) delle Ideo. Ai tempi nostri questa parola fu adoperata, con lo stesso significato, dal Gioberti (v. mimesi). Metodi induttivi. Quei metodi che conducono alla determinazione delle leggi causali doi fatti. Allo Stuart Mill si deve la dimostrazione più precisa di codesti me- todi, che prima di lui erano gid stati intuiti da Bacone, Mer — 698 — ο che altri, come ad es. l’ Herschel, avevano esposto con molto minor precisione. Quattro sono i metodi suggeriti ed illustrati dal Mill per la ricerca della causa dei feno- meni: metodo di concordanza, di differenza, dello variazioni concomitanti ο dei residui, ai quali si aggiunge un quinto metodo complementare, detto della concordanza nella dif- Serenza. Tutti questi metodi si fondano sull’ eliminazione: infatti per essi è causa ciò che non può essere eliminato senza che sia pure abolito l’effetto, non è causa ciò che può essore eliminato senza che 1’ effetto sia abolito. Da ciò appaiono le lacune dei metodi induttivi, poichò non sempre la causa è capace di produrre I’ effetto. D’ altro canto ossi hanno il difetto di presupporre che ad ogni effetto corri- sponda una sola causa, © che possano essere distinti net- tamente gli effetti di ciasonna causa da quelli di tutto le altro. Perciò nella ricerca scientifica i quattro metodi del Mill vogliono ossere integrati da norme complementari d’in- dagine e dal metodo deduttivo. Cfr. J. Stuart Mill, A System of Logio, 1865, I, o. VIII segg.; Masci, Logica, 1899, p. 410 segg. Metodo (µετά ο 626ç— in via). T. Methodo; I. Me- thod; F. Méthode. La direzione che si imprime ai propri pensieri per giungero ad un risultato determinato, ο spe- cialmente alla scoperta della verità e alla sistemazione delle conoscenzo. Methodus nihil aliud esse videtur, dice lo Zaba- rella, quam habitus intelleotualis instrumentalis nobis inser- viens ad rerum cognitionem adipiscendam. E la Logica di Porto Reale: ars bene disponendi seriem plurimarum oogita- tionum. Vi è il motodo naturale, che è quello che vien sug- gcrito a ciascuno nei singoli casi dalla propria intelligenza, © il motodo riflesso 0 scientifico che è una parte della lo- gica. Questo si divide in sistematico © inrentivo: il primo studia le forme mediante le quali si ottiene I’ ordinamento più utile delle conoscenze, il secondo studia i procedimenti per cui questo conosconze si possono ostendere, passando — 699 — Mer dal noto all’ ignoto. Il primo, oltre alla coordinazione delle conoscenze, ha anche il cémpito di determinare le prove della dimostrazione, di analizzarne i procedimenti, stu- diarne il valore: ciò costituisce il metodo dimostrativo. Il secondo può exsore analitioo 0 sintetico : quello consiste nel sopararo, in un complesso di relazioni note tra il noto ο Y ignoto, le relazioni ignote che vi sono dissimulate ; quello nel ricercarle al di fuori delle relazioni note © comporro con queste. Dicesi didascalico il metodo che à volto a co- municare © insegnare altrui la verità; deontologico quello che guida lo studioso alla ricerca del perfetto esemplare delle cose; apologetico quello che insegna a difendere la vo- rità contro le obiezioni, © elenctico quello che insegna a confutare gli errori. Dicesi metodo maieutico quello ado- perato da Socrate, consistente nel condurre gli uomini, per mezzo di opportune interrogazioni, a scoprire i veri che tengono nascosti nelle profondità del loro stesso spirito, a risvegliare le loro stesse idee; metodo risolutivo © com- positivo i due momenti del metodo galileano, il primo dei quali consiste nell’investigare i processi più semplici ma- tematicamente determinabili e ricavarne un'ipotesi, il se- condo nel mostraro deduttivamente che l’ipotesi posta con- corda con altre esperienze; metodo geometrico l'applicazione ai problemi filosofici del processo dimostrativo euclideo procedente per definizioni, assiomi, teoremi, corollari, ap- plicazione fatta specialmente dallo Spinoza nell’ Etica; me- todo oritioo 0 trascendentale, per opposizione al dogmatico, quello adoperato da Kant, consistente nell’ assumere come punto di partenza l'indagine della forma sotto la quale i principi razionali si prosentano di fatto, ed esaminarne il valore secondo la capacità, che essi posseggono in sè, di essere applicati universalmente e necessariamente all’espe- rienza; metodo dialettico, sin l’arte polomica che, movendo dalle opinioni comuni intorno ad un dato oggetto, le prova al martello della oritica, ne mostra gli errori, in modo da Mer . — 700 — preparare il terreno all’ indagine soiontifica, sia il metodo usato da Fichto e da Hegel, consistente nel procedere per tre momenti, tesi, antitesi ο sintesi, ossia nel convertire ogni concetto nel suo opposto ο derivare dalla loro contraddi- zione il concetto più elevato, il qualo poi trova un’altra antitesi, che richiedo una sintesi ancora più alta, così di seguito. Metodo dei rapporti chiama 1’ Herbart il pro- prio metodo di eliminazione delle contraddizioni, che sono nel fondo dei nostri concetti più generali; siccome la con- traddizione deriva sempre dall’esseroi dati come unici dei concetti i cui elementi opposti non possono realmente pen- sarsi come uno, così il metodo dei rapporti consiste nel considerare il soggetto non come uno, ma come un insieme, cioò come un sistema di rapporti; esso si compondia in questa regola: quando una cosa deve essere pensata, © non può essere ponsata come una, si pensi come molte. Cfr. Za- barella, Opera philosophica, 1623, De meth., I, ο. 2; Logique d. P. Royal, IV, 2; Cartesio, Discorso sul metodo, trad. it. 1912; Fries, System der Logik, 1837, p. 508 segg.; B. Erd- mann, Logik, 1892, I, 11 segg.; Rosmini, Logica, 1853, $ 749 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 410 sogg. (v. agonistica, dia lettica, eristica, maieutica). Metodologia. T. Methodenlehro; I. Methodology ; F. Mé- thodologie. Quella parte della logica che studia le regole generali per mezzo delle quali le varie discipline estendono ed ordinano le proprio conoscenze. La metodologia si di- vide dunque in due parti; la parte ordinativa ο sistematica, che fissa lo norme della definizione, della divisione, della classificazione, della prova induttiva ο dodattiva, diretta © indiretta, e la parte estensiva o inventiva, che fissa lo norme doi metodi di ricerca, induttivi e deduttivi, propri @ ogni scienza, Per metodologia trascendentale Kant intende la determinazione dello condizioni formali di un sistema perfetto di ragion pura; © per metodologia della ragion pura pratica l’arte con cui le leggi dolla ragion pratica pura — 701 — Mer-Mrz possono entrare nell’ animo umano e influire sulle sue mas- sime, ossia l’arte onde la ragion pratica obbiettiva può anche diventare ragion pratica soggettiva. — Nel sistema dell’ Herbart, la metodologia è la prima delle quattro parti in cui distinguesi la metafisica: ossa tratta del metodo dei rapporti, col quale si possono togliere le contraddizioni che viziano i nostri concetti fondainentali della natura. Le altre tre parti sono l’ontologia, la sinecologia ο 1’ idolologia. — Dalla metodologia distinguesi la metodica, che è quella parte della pedagogia che tratta in generale del metodo d’ insegnamento ; l'applicazione della metodica alle singole materio da insegnarsi costituisce la didattioa. Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 544; Krit. d. prakt. Vernunft, 1878, p. 181; Herbart, Einleit. in die Philos., 1834, $ 13; Bain, Eduo. as. a science, 1% ed., p. 230-357; E. Wagner, Darstellung d. Lehre Herbarts, 1896, $ 30 segg.; Wundt, Logik, II, 1881; Sigwart, Logik, 1890, IL. Metriopatia. La misura del piacere mediante la ra- gione. Nella morale platonica la natura del bene è fatta consistere nella metriopatia : la felicità non consiste infatti nè nel solo piacere nè nella sola ragione. Porfirio contrap- pone la metriopatia all’ apatia ο alla teoria: la prima è il cémpito delle virtù politiche, ed è propria dell’ uomo giu- sto, la seconda è lo scopo delle virtù catartiche e propria dell’uomo demoniaco; la terza è il mezzo per oui l’anima si rivolge al Noo ed è propria di Dio. Cfr. Porfirio, Ieagoge, 1887 (v. catarsi, edoniemo, eudemoniemo, morale). Mezzo. T. Mitte, Umgebung; I. Mean; F. Milieu. Cid che è collocato tra due o più cose, e in special modo ciò che è ad ugual distanza tra duo estremi; tale, nol senso aristotelico, è la virtù: µεσότης τις ἄρα ἐστιν ἡ denti. Due secoli prima Confucio aveva detto: « L’ uomo superiore si conforma alle circostanze per seguire il mezzo... L'uomo volgare non teme di seguirlo temerariamento in tutto e per tutto. » Talvolta adoperasi anche, in modo improprio, per Merz — 702 — ambiente, ad indicare 1’ insieme delle condizioni e dei fattori tra i quali un fenomeno si produce o un essere vive. In un processo di finalità, il mezzo è il termine intermedio o la serie dei termini intermedi, che sta fra il termine iniziale, con cui il processo stesso comincia, ο il finale, con cui finisce. Cfr. Confucio, Tokoung-young, trad. franc. Remusat, 1817, XI, 3, II, 2; Aristotele, Etica a Nicomaoo, II, 5, 1106 b, 27. Mezzo escluso (principio del). Lat. Prinoipium eziusi tertii; T. Satz des ausgeschlossenen Dritten ; I. Principle of excluded middle; F. Prinoipe de milieu ezolu. O anche prin- cipio del terzo escluso, è uno del principî logici fondamentali © principî supremi di ragione. La sua formula è: 4 è ο non è B; cioè tra questi due giudizi uno deve esser vero, perchè essendo essi contradditori, non vi ha una via di mezzo, una terza possibilità, Secondo il Fries esso si esprimo così: ad ogni oggetto appartiene un conoetto ο il suo contrad- ditorio. Secondo Hegel: di due prodicati contradditori uno soltanto appartiene a un qualche cosa, 9 non si dà un terzo. Secondo B. Erdmann: quando un giudizio affermativo è dato come vero, il suo contradditorio negativo è falso, ο viceversa. Secondo il Rosmini: tra due note contraddittorio non c'à alown mezzo. Contro questo principio furono mosse molte obbie- zioni. Si disse, ad esempio, che alcune volte è possibile la vis di mezzo; così se si dicesse che un oggetto può essere © bianco ο nero, si può rispondere che può anche esser gri- gio. In questo caso però le due idee sono contrarie non contradditorie, essendo non-bianco il contradditorio di bianco, 9 non è possibile che un oggetto colorato, se non è bianco, sia neppure non-bianco. Fu obbiettato ancora che due giudizi contradditori possono essere entrambi falsi quando il soggetto non esiste (es. Garibaldi passeggia — Garibaldi non passeggia) ma un giudizio è sempre formu- lato nell’ ipotesi che al soggetto si attribuisca una qualche forma di realtà, anche puramente imaginativa. Cfr. Fries, — 708 — Mic-Mia System der Logik, 1837, p. 176; Hegel, Enoyklopädie, 1870, $ 119; B. Erdmann, Logik, 1892, I, 366 ; Rosmini, Logica, 1853, § 345; Masci, Logica, 1899, p. 56 segg.; Herbart, De principio logico exlusi medii, 1842. Microcosmo. T. Mikrocosmos; I. Microcosm; F. Mi- oroccsme. Si usa generalmente in opposizione a macrocosmo (universo) per designare l’uomo, che, considerato in sò stesso, presenta un tutto organizzato, un piccolo universo. 1) espressione trovasi per la prima volta in Aristotele: ἂν μικρῷ κόσμφ ylvetat, καὶ dv neydAp. Per il Leibnitz ogni individuo è un microcosmo, in quanto ha per sò un valore universale, contiene tutto l'universo; in ogni individuo si ha continuità di stati, come in tutto l'universo si ha una continuità di monadi: « Codesto legame di tutte le cose create con ciascuna, e di ciascuna con tutte, fa sì che ogni sostanza semplice ha dei rapporti che esprimono tutte le altre, © che essa è quindi un perpetuo specchio vivente dell’ universo.... Ogni corpo risente dunque tutto ciò che si fa nell'universo; talmente, che colui che vede tutto po- trebbe leggere in ciascnno ciò che si fa dovunque, e per- sino ciò che s'è fatto ο si farà, osservando nel presente ciò che è lontano sia secondo i tempi sia secondo i luo- ghi ». Cfr. Aristotele, PAys., VIII, 2, 252 b, 26; Leibnitz, Philos. Schriften, ed. Gerhardt, III, 349; Lotze, Microcosmo, trad. it. 1911 (v. maorocosmo, monade, monadismo). Micropsia. Alterazione patologica del senso della vi- sione, per eni gli oggetti sono percepiti con dimensioni minori del vero. È il contrario della megalopsia, in cui gli oggetti sono percepiti di dimensioni maggiori del vero. Si verifica talvolta nell’ isterismo. Cfr. Pierre Janet, Nevroses et idées fixes, 3" od. 1904, I, 277 segg. Migliorismo. T. Meliorismus; I. Melioriom ; F. Mélio- rieme. O ottimismo relativo, è la dottrina che non considera il mondo come il migliore dei mondi possibili, alla ma- niera dell’ ottémismo assoluto (Leibnitz), ma sostiene che il Mir — 704 — mondo, pur potendo contenere un po’ meno di male, è tut- tavia buono, Il vocabolo sembra dovuto a Giorgio Eliot; fu adoperato in senso analogo dallo Spencer (the melioriat tiew.... that life... is on the way to become such that it will vela mor pleausure than pain) © diffuso da James Sully : con questo io intendo la fede che afferma non solo il nostro potero di diminuire il male, ma anche la capacità di acorescere la somma del bene positivo. Si contrappone al pejoriemo ο pessimismo relativo del? Hartmann, il quale sostiene che il mondo val meno che niente, l’ordine vi è continuamente turbato dalla volontà, ma vi è un potere incosciente che tenta di ristabilirlo © vi riesce eliminandone la coscienza; si distinguo quindi dal pessimismo assoluto (Schopenhaner) per il quale il mondo è il peggiore dei mondi possibili e la vita non è che un pianto continuo, essendo 1’ uno e l’altra opera di una volontà assurda. Cfr. Spencer, in Contemporary Review, luglio 1884, p. 39; I. Sully, Pessi- mism, a History and Criticiem, 1877, p. 399. Millenarismo. T. Milleniumslehre; I. Millenarianiem, millenarian doctrine; F. Doctrine millénariste. Dottrina cho, fondandosi sulla predizione dell'Apocalisse, insegnava che Gesù Cristo doveva regnare temporaneamente sulla terra, insieme ai santi, durante un periodo di mille anni, che si sarebbe chinso col giudizio universalo. L'origine di questa credenza nel millenium, che sorse nei primi secoli del Cri- stianesimo e trovò seguaci in molti Padri della Chiesa, è in parte ebraica e in parte cristiana. Già le profezio con- tenute nelle sacre scritture, promettovano agli Ebrei che Dio, dopo averlì dispersi tra le varie nazioni, li riunirebbe un giorno di nuovo in un regno di pace e di felicità; ora, avvicinando queste previsioni alle parole con cui Cristo annunciava il suo ritorno e il suo regno glorioso, molti ebrei, convertiti al cristianesimo, fondarono il millenarismo. Il quale, sebbene combattuto dai Padri che fondarono il dogma, non scomparve mai del tutto; esso risorse verso — 706 — ΜΙΝ-ΜΙΟ la fine del secolo IX dell’era nostra, predicando la fine imminente del mondo, e, più tardi, alleatosi col oomuni- smo, preparò, insieme con altre sètte di esaltati, la rivo- luzione inglese del 1648. In tempi ancora più vicini a noi, il millenarismo risorge specialmente nella società inglese, ove scrittori come Worthington, Bellamy, Towers profetizzarono per l’anno 2000 l’inizio del nuovo millennio di felicità © di giustizia, annunziato dall’Apocalisse. Cfr. Apooaliese, XX, 1-3; Schürer, Lehrbuch d. nontestamentlichen Zeit-Geeoh., 1881, $ 28, 29; Towers, Illustrations of profecy, 1796, t. II, cap. I; A. Sudre, Histoire du communisme, 1850, p. 182 segg. Mimesi. T. Nachahmung, Naohiffung ; I. Mimetiem ; F. Mimétisme. Imitazione, Platone adopera questa parola per indicare che le cose sono un’imitazione (µίμησις) delle idee; anche il Gioberti usò lo stesso vocabolo nello stesso significato. Per i pitagorici invece le cose erano una imi- tazione dei numeri. — Per mimesi o mimetismo s'intende nelle scienze biologiche il fenomeno per cui certi animali rivestono, sia temporaneamente sia stabilmente, il colore dell’ ambiente nel quale vivono; o anche la somiglianza superficiale tra animali anatomicamente diversi gli uni dagli altri, dovuta sia alle medesime condizioni d’esistenza sia ad altre cause. Cfr. Platone, Parmen., 132 d.; Sesto Emp., Pyrr. ip, III, 18; Gioberti, Protol., 1858, II, p. 3 segg. (v. idea). Minore. T. Unterbegrif, Untersats, Minor; I. Minor; F. Mineur, Mineure. Nel sillogismo dicesi minore il termine che ha l'estensione minore, e minore la premessa che con- tiene, come soggetto ο come predicato, il termine minoro. Nella conolusione il termine minore fa sempre da soggetto © viene perciò designato con la letters 8. Nel sillogismi dis- giuntivi la minore è quella delle due premesse che esclude uno dei membri disgiunti; nei sillogismi ipotetici quella che afferma la condizione o nega il condizionato. Miopia. T. Kurssiohtigkeit; I. Myopia; F. Myopie. Di- fetto della vista, determinato da eccessiva curvatura dello 45 — Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche. Mie-Mis — 706 — superfici di rifrazione, o da maggior densità dei mersi diottriei, per oui i raggi paralleli fanno foco non sulla retina, come nell’ occhio normale, ma al disopra della re- tina. Quindi il punto di lontananza, anzichè all'infinito, si trova poco lontano dall’ occhio, cosicchè riesce impos- sibile distinguere gli oggetti lontani. Cfr. I. 8. Wells, Dis. of the Eye, 1883, p. 629 (v. accomodamento, emmetropia, punto). Miracolo. T. Wunder; I. Miracle, Wonder; F. Miracle. Originariamente, tutto ciò di cui l’uomo si meraviglia, ogni fatto che desta sorpresa; poscia, un fenomeno che è con- siderato, per il suo carattere, superiore ai poteri della na- tura o dell’uomo, e perciò manifestazione di una volontà sovrannaturale, della quale è segno ο testimonianza. Que prater ordinom communitor statutum in rebus quandoque di- vinitus flunt, dico 8. Tommaso. David Hume lo definisco: la trasgressione d' una legge di natura, eseguita per una to- lizione particolare della divinità ο per la mediazione di qualche agonte invisibile. Secondo il Le Roy la nozione di miracolo s'appoggia su questi quattro punti: 1° non si dà il nome di miracolo che a un fatto sensibile, e a un fatto ecce- zionale, straordinario; 2° non si dà il nome di miracolo che a un fatto significativo nell’ ordine religioso; 8° per- chd un fatto sia detto miracolo deve essere inserito nella sorio fenomenica ordinaria, pur facendo contrasto con essa; 4° perchè un fatto sia detto miracolo, bisogna che non sia nè prevedibile nè ripetibile a volontà. Cfr. 8. Tommaso, Contra gentiles, III, 101; Hume, Eeeaia, 1790, II, p. 234 n; Le Roy, in Annales de philosophie chrétienne, ottobre 1906 ; Μο Cosh, The Supernatural in relation to the Natural, 1872 ; R. Schiattarella, Miracoli e profeste, 1899. Mistero. Gr. Μιστήριον; T. Mysterium; I. Mystery; F. Mystère. Nello religioni antiche i misteri erano un insieme di pratiche, di riti ο di dottrine di natura segreta ο ri- servate agli iniziati. Nella teologia cristiana i misteri sono — 707 — Mis verità indimostrabili ο incomprensibili, rivelato da Dio © come tali imposte direttamente dalla Chiesa ai fedeli. An- che nella scienza si parla talvolta di misteri, ma in senso relativo; nel senso cioè di un ignoto qualsiasi, che può venir conosciuto © spiegato, e non è quindi contrario alla ra- gione; 1’ introduzione del mistero assoluto ο religioso nella sclensa costituisce il misticismo. Tuttavia i teologi sosten- gono che i misteri della religione non sono contrari alla ragione, ma al disopra della ragione, ciod ad essa trascen- denti: la ragione non vede, con le sole sue forze, la verità che essi esprimono, ma non vede per questo l’impossibi- lità di tale verità. Il concetto del mistero cominciò infatti a determinarsi nella teologia, quando si rese palese il dua- lismo tra la soienza ellenistica ο la tradizione religiosa, tra la filosofia d’Aristotele e le dottrine specifiche del cristia- nosimo. Con piena coscienza di questo dualismo, Alberto Magno cercò di dimostrare, che tutto ciò che in filosofia si conosce mediante il lumen naturale è valido anche in teolo- gia; ma che l’anima umana non può conoscere pienamente se non ciò, i cui principî porta in sò stessa, e che perciò in quei casi in cui la conoscenza filosofica non è in grado d’arrivare a una decisione definitiva © deve restare inde- cisa davanti a possibilità diverse, decide la rivelazione. Duns Scoto, andando più in là, pose una separazione netta fra filosofia © teologia, allargò la cerchia dei misteri della teologia, inchiudendovi persino il principio della creazione © quello dell’ immortalità dell’ anima. Cfr. Maywald, Die Lehre von der zweifachen Wahrheit, 1871; Sainte-Croix, Re- cherches hist. ot orit. eur les myslöree du paganieme, 1817; Le Roy, Dogme et critique, 1907; I. A. Pioton, The mystery of matter, 1873; A. D'Ancona, Le origini del teatro italiano, 1891; Chiappelli, La dottrina della doppia verità ο i suoi riflessi recenti, « Atti della R. Acc. di Napoli >, 1902. Mistica. Scnola filosofica e teologica sorta, sotto I’ in- flusso delle idee neo-platoniche, nel seno della Scolasticn Mis — 708 — del secondo periodo, e importantissima perchd diede luogo, per puro zelo religioso, alla separazione e al contrasto tra le verità di ragione e le verità di fode, che prima si fon- devano in un’ unica verità. Per la Scolastica la rivelazione è fissata come autorità storica, per la Mistica è invece un tuffarsi, libero da ogni mediazione esterna, dell’ individuo ‘umano nel primitivo principio divino. La Mi distin- gue nella fede due elementi: la cognizione, ossia il conte- nuto (fides quae oreditur) © l’affetto, ossia l’atto soggettivo del credere (fides qua oreditur). Ora, nella fede è importante soltanto questo secondo elemento, quindi si rende affatto inutile ogni ricerca razionale sul contenuto della fede stessa. Tuttavia non è da disprezzare anche la cognizione, che passa per tro gradi: cogitatio, meditatio, contemplatio; la prima guarda il mondo con 1’ occhio del corpo, la secondn guarda in noi stessi, la terza, che è la cognizione vera, lo affissa in Dio; questi tre gradi corrispondono rispetti- vamente alla materia, all’ anima, a Dio. Sotto tal rapporto può dirsi che la Mistica ο la Scolastica si integrano a vi- cenda: come la contemplazione mistica può benissimo di- ventare un capitolo della dottrina del sistema scolastico, così anche 1’ estasi mistica può presupporre I’ edificio dot- trinale como suo sfondo teorico. Cfr. H. Router, Geschichte d. religiosen Aufklirung im Mittelalter, 1875; Helfforich, Die christliche Mystik in ihrer Entwickelung und ihren Denkma- len, 1842; H. Delacroix, Études d'histoire et de psychologie du mystioieme, 1908; R. Steiner, Il oristianesimo quale fatto mistico, trad. it. 1909 (v. conoscenza, credenza, fideiemo), Misticismo. T. Mystik, Mysticismus; I. Mysticiem; F. Mysticisme. Nel suo significato più generale è la credenza nella possibilità di conoscere Dio, l'infinito, la verità as- soluta immedistamente, senza il sussidio dell’ intelligenza, con un puro impeto di sentimento o con uno sforzo di volontà. Il termino fu diffuso nel linguaggio religioso ο filosofico dallo pseudo Dionigi l’Areopagita, cho, nol trat- — 709 — Mir tato eni nomi divini, dopo aver dimostrato che per rag- giungere 1’ essere in sò stesso bisogna sorpassare le imagini sensibili, le concezioni e i ragionamenti dell'intelletto, afferma che codesta perfetta conoscenza di Dio risulta da una sublime ignoranza ο si compio in virtà di una incomprensibile uniono;... codesta assoluta ο felice ignoranza non è dunque una privazione, ma una superiorità di scienza. Tale scienza Dionigi chiama la dottrina mistica che spinge verso Dio e unisco a lui pev una specio d’inisiazione che nessun masstro può insegnare. Il punto culminante del misticismo è l’estasi, stato nel quale, essendo interrotta ogni comunicazione col mondo esteriore, l’anima ha l'impressione di comunicare con un oggetto interno, che è l’essere infinito, Dio. Tale fenomeno, che i teologi considerano come un effetto della grazia divina, è spiegato dalla scienza come uno stato di monoideismo, analogo al sonno ipnotico, ottenuto mediante la concentrazione dell’ attenzione in un unico pensiero © spiegabile mediante la leggo psicologica notissima che: uno stato completamente uniforme e sempre uguale conduce alla soppressione della coscienza. — Per estensione dicosi misticismo ogni dottrina, sia filosofica che scientifica, cho si ispiri più al sentimento e all’intuizione che alla osserva- zione e al ragionamento; e misticismo ancora ogni credenza a forze, influssi © azioni impercettibili ai sensi ο tuttavia reali. Cfr. Heppe, Geschichte der quietistischon Mistik in der katholisohen Kirche, 1875; R. A. Vaughan, Hours with the Mystics, 3° ed.; E. Boutroux, Le mysticieme, Bulletin do PInst. psychologique, gennaio 1902; J. Pachen, Peycholo- gio des mystiques chrétiens, 1909; E. Troilo, Il misticiemo moderno, 1899; Ernesto Lattes, II misticismo nelle tendenze - individuali ο nelle manifestazioni sociali, 1908; C. Ranzoli, L' agnosticiemo nella filosofia religiosa, 1912, p. 177 segg. (v. comoscenza). Mito. Gr. Müdoc; T. Mythus; I. Myth; F. Mythe. IL Vi- gnoli lo definisce come « la spontanea e fantastica forma Mir — 710 — nella quale ’ umana intelligenza e le umane emozioni raffi- gurano sè, © lo cose tutte; © l’ obbiettivazione psico-fisica dell’uomo nei fenomeni tutti, che egli può apprendere e percepire ». Per il Simrock il mito è « la forma più antica nella quale lo spirito popolare pagano conosce il mondo © le cose divine». In senso generale è mito ogni racconto favoloso, d’origine popolare e non riflessa, in cui gli agenti impersonali sono rappresentati sotto forma d’ esseri perso- nali; in senso stretto è la descrizione d’un fenomeno natu- rale considerato come l’espressione di un dramma divino, ο P incorporazione d’una idea morale in un racconto dramma- tico. Nei due casi, ciò che è permanente ο frequente nella natura o nell’umanità, è ricondotto ad un avvenimento com- piuto una volta per tutte, e il dramma, sebbene inventato, è ritenuto come reale. Questo carattere d’ingenua credulità, per oui si tengono come reali dei fatti puramente immaginari, è essenziale nel mito, e lo distingue nettamente dalla favola, dall’allegoria © dalla parabola. In queste si ha pure un’ idea morale racchiusa in un racconto drammatico; ma esse sono opera di riflessione metodica, e non pretendono di essere credute reali, Il mito si distingue anche dalla leggenda, che non ha per carattere necessario l’interpretazione d’un fenomeno naturale ο l’incorporazione d’un’ idea morale, Nolla scienza contemporanea, del mito sono date tre spie- gazioni diverse: sociologica, psicologioa, psico-sociologica. La prima, sostenuta dal Durkheim ο dalla sua scuola, si fonda sul principio metodico fondamentale che i fatti religiosi, al pari dei fatti giuridici, morali, economici, non sono che fatti sociali, prodotti di stati d’ anima collettiva, spiogabili quindi non in base alla natura umana in generale, bensì in base alla natura delle società allo quali vengono riferiti; ogni gruppo sociale pensa, sente, agisce diversamente da quel che farebbero i suoi membri isolati ; diotro il mito si scorge sempre il gruppo sociale che sogna, desidera e vuole; il mondo dei miti ο degli dei non è cho l’obbiettivazione — m1 — Mir del pensiero collettivo, la proiezione al di fuori che la co- scienza del gruppo sociale fa delle rappresentazioni, che essa stessa si è formata sotto lo stimolo dei suoi desideri e delle sue esigenze. La dottrina psicologica, sostenuta dal Tarde, sostiene invece che i miti, al pari di tutte le altre produ» zioni sociali, sono di origine individuale e si sono diffusi per imitazione dapprima esclusiva, poi espansiva © prose- litistica; i miti e le religioni non si compongono di altri ele- menti che non siano desiderii ο credenze: il bisogno di certezza, il bisogno di sicurezza costituiscono la duplice fonte della religiosità, il cui fine è quello di stabilire negli individui © nei popoli un’ « immense convinzione », quella dell’esistenza di Dio, e un’ « immensa speranza », quella dell'immortalità dell’ anima. Tra queste due opposte dot- trine sta la dottrina intermedia, o psico-sociologica, del Wundt, per il quale mito, linguaggio e costume sono pro- dotti della psiche collettiva e ripetono, in forma più ampia ed elevata, gli elementi tutti della vita psichica individuale; il linguaggio infatti contiene la forma generale delle rappre- sentazioni viventi nell’ anima sociale, © le leggi delle loro connessioni; il mito racchiude in sò il contenuto originario di quelle rappresentazioni, costituito dalla concezione com- plessiva dell’ universo, quale la coscienza del popolo se I’ è formata sotto l’azione dei suoi sentimenti e impulsi; il costume contiene le direzioni generali della volontà col- lettiva risultanti da tali rappresentazioni ο sentimenti. Ciò che contraddistingue il pensiero mitico è la facoltà personi- ficatrice, che proviene, secondo il Wundt, dalla fantasia, la quale hu due fattori essenziali : « l’appercezione anima- trice », per cui si proietta nell’ oggetto la coscienza del soggetto, sì che questi si sente uno con quello, e la forza intensificatrice del sentimento propria dell'illusione, forza per la quale tra tutti gli elementi di cui risulta P’intuisione di un oggetto, non quelli obbiettivi, bene) quelli subbiettivi determinano il grado d’ intensità delle impressioni emotive Mix-MNE — 713 — che accompagnano I’ intuizione dell'oggetto. Ciò spiega quel carattere importantissimo delle rappresentazioni mitologi- che, per cui gli oggetti di essi appaiono come realtà im- mediatamente date; caraitere che dimostrerebbe, secondo il Wundt, l'infondatezza delle teorie che considerano i miti © come simboli o come tentativi di spiegazione dei fenomeni. Un secondo carattere del pensiero mitologico è la sconfinata facoltà associatrice, derivante dalla mancanza di impedi- menti, che la riflessione poi oppone. Cfr. Wundt, Grundriss der Psychologie, 1889, p. 356 segg.; Id., Fölkerpsyohologie, 1900-1909, t. Il; Simrock, Handbuch d. deutschen Mytholo- gie, 1869; Tardo, Les lois de l’imitation, 1890; Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, 1895; 1d., De la definition des phénomènes religieux, in « Année sociologique », anno II, p. 1 segg.; Saussure, Lehrbuch d. Religiongesch., 1887-89; Bréal, Mélanges de mythologie et de linguistique, 1877; E. Vignoli, Mito e soiensa, 1879; Edward Clodd, Mito e sogni, trad. it. 1905; 8. Reinach, Cultes, mythes ot religions, 1905-12; E. La- manna, Mito e religione nelle dottrine socio-prichiohe contempo- ranee, « Cultura filosofica », gennaio 1912. Mixoteismo. L’Hasckel chiama così tutte quelle formo della credenza in Dio, che contengono mescolanze di rap- presentazioni religiose di specie diversa ed in parte diret- tamente contradditorie. Più che una forms di religione teorica, il mixoteismo è una forma pratica che risulta dalle varie influenze di natura diversa cui va soggetta la psiche religiosa dell’individuo. Cfr. Haeckel, I problemi dell’ uni- verso, trad. it. 1913, p. 389 segg. Mneme, T. Mneme; F. Mnème. Termine proposto dal Semon per indicare la proprietà inerente alla sostanza vi- vente di conservare, come tali ο nelle loro relazioni, I’ in- sieme delle eccitazioni ricevute dal mondo esteriore. Il Loeb «9 l’Ardigò adoperano invece il termine isteresi per indicare la traccia lasciata nel protoplasma dalle eccitazioni ante- riori. Cfr. Semon, Die Mneme, 1904; Id., Die mnemischen — 13 — Mxe-Mos Empfindungen, 1909; Loeb, Fisiologia comparata del cervello, trad. it., p. 967; Ardigò, L’inoosciente, « Riv. di filosofia », maggio 1908. Mnemonica. T. Mnemonik, Gedächtnisskunst; I. Mne- monice; F. Mnémoteohnie. L’ arte della memoria: essa consta di un insieme di norme pratiche e processi artificiali, diretti a rendere integra, pronta, tenace la memoria delle cose e si fonda essenzialmente sopra le leggi dell’associazione delle idee. Il primo dei metodi mnemonici conosciuti, inventato da Simonide, dicesi topologico : esso consiste nell’associare le idee astratte ad altre idee, i cui modelli sono oggetti sensibili o presenti in un medesimo tempo. Cfr. Plebani, 1) arte della memoria, 1899. Mnemotecnia. Lo stesso che mnemonica. Mobile. T. Bewegliohes, Boweggrund; I. Moveable body, Mo- ver; F. Mobile. Ciò che può esser mosso. Aristotele chiama ogni cosa mobile, xivobpevoy, in quanto cangia, e motore, κινοῦν, in quanto è causa del cangiamento. — Nella psicolo- gia diconai mobili tutti quei fenomeni affettivi -- desideri, predisposizioni, istinti, abitudini - che entrano nella de- liberazione volontaria, esercitando la loro influenza nella determinazione all’atto; si distinguono dai motivi, che sono i fenomeni intellettuali (rappresentazioni) i quali entrano tra loro in conflitto al momento della deliberazione. Ol- trechd nell’atto volontario, il mobile entra anche negli atti compiuti per tendenza, ed è costituito, secondo P’Höffding, dal sentimento provocato dall’idea del fine, non dal sen- timento provocato dall'idea che la realizzazione sarà se- guita per noi da un piacere. — Nell’ astronomia antica dicevasi primo mobile la volta celeste, che credevasi solida e recante incastrate le stelle: essa si moveva intorno alla terra, quindi nel suo giro portava seco gli astri. Cfr. Ari- stotele, Περὶ φυχῆς, III, 10; Höffding, Psychologie, 1900, p. 424; P. Janet, Traité de philosophie, 4° ed., Psychologie, o. IV, p. 311. Mos-Mop — TU — Mobilismo. F. Mobiliene. Termine proposto dal Chide e accolto dalla Società francese di filosofia, per indicare la dot- trina secondo la quale il fondo delle cose è non soltanto in- dividuale e multiplo (pluralismo), ma in continuo movimento, in continua via di trasformazione e senza leggi fisse, così da rendere inefficace ogni tentativo d’organizzazione razio- nale. Il Chide considera tale dottrina come la conclusione necessaria di tutta la filosofia moderna, tendente a esolu- dere dal reale ogni unità, immutabilitä e razionalità, a fare della realtà stessa una creazione continua non diretta ad uno scopo determinato, ma avente valore per sè, e a porre quindi la durata, il cangiamento, come la sostanza stessa delle cose. Tre dottrine avrebbero condotto specialmente, secondo i mobilisti, a tale posizione: la dottrina hegeliana, che col- loca il movimento nel senso stesso dell’ universo, il quale si sviluppa perciò in sintesi sempre nuove e con leggi che forse non raggiungeranno mai la loro formula definitiva; la dottrina darwiniana, che toglie dal cangiamento ogni finalità e pone l’irrazionale ovo prima imperava la ragione; la dottrina bergsoniana, che libera infine il cangiamento dalla sun ultima crosta deterministica e meccanica, facendo della contingenza, della durata pura, la stoffa stessa del reale. Ad ogni modo tale concetto è già espresso nel πάντα ptt di Eraclito. Cfr. Chide, Lo mobilieme moderne, 1908; Do Sarlo, I diritti della metafisica, « Cultura filosofica », luglio 1912, p. 450 segg. (v. attiniemo, attività, asione, cangiamento, encrgismo, vitaliemo). Modali (proposizioni). T. Modal; I. Modal; F. Modales. Quelle proposizioni che osprimono la modalità, ossia i punti di vista più generali sotto cui possono presentarsi alla nostra intelligenza gli oggetti del pensiero. Tali punti di vista essendo quattro, cioè la possibilità, l'impossibilità, la contingenza © la necessità, le proposizioni modali fondamen- tali, quali Aristotele stesso le definì, sono quattro. Siccome poi ogni modo per esser affermato o negato, ad ogni pro- — 715 — Mop porzione modificata può ugualmente essere affermativa ο negativa, così vi sono sedici specie di proposizioni modali, che gli Scolastici espressero in quattro termini mnemonici di convenzione: purpurea, iliaco, amabimus, odentuli. Le quattro proposizioni espresse in ciascuno di questi termini sono equivalenti ed hanno lo stesso significato: nei ter- mini stessi A indica l'affermazione del modo e quella del diotum; U la negazione di entrambi; ZV’ affermazione del modo e la negazione del dictum; I viceversa. Cfr. Aristo- tele, Anal. pr., I, 2, 24 b, 31; Logique de Port-Royal, 2 p., o. VIII; Hamilton, Leotures on Logic, 1860, ο. XIV. Modalità. T. Modalitàt; I. Modality; F. Modalité. Una delle categorie di Kant, sotto la quale si comprendono le tre categorie subordinate della realtà, della necessità ο della possibilità. Questa classificazione fu tojta da Kant dalla clas- sificazione dei giudizi, che rispetto alla modalità, cioò al modo onde è affermata o negata la relazione tra predicato e soggetto, si distinguono in assertori (4 è B), apodittioi (A deve esser B) © problematici (A può essere B). Gli assor- tori esprimono dunque la realtà della relazione tra predi- cato © soggetto, i problematici la possibilità, gli apodittici la necessità. Ora la realtà non è altro che il contenuto dell’ osperienza; la necessità, logicamente, è V inconcepi- bilità del contradditorio, obbiettivamente 1’ unità delle con- dizioni non impedite; la possibilità dal puuto di vista lo- gico è la conoepibilità dei contradditori in quanto manca a noi la ragione per decidere quale di esai sia vero, e dal punto di vista obbiettivo è la presenza di parte soltanto delle condizioni necessarie perchè una cosa sia. La classi ficazione dei giudizi secondo la modalità risale ad Aristo- tele, ma egli non usò tal nome e nemmeno i suoi com- mentatori. Avendo poi i grammatici detti modi del verbi le significazioni di realtà, possibilità e necessità ottenute mediante modificazioni dei verbi stessi, i logici, da Boezio in poi, tradussero con la stessa parola 1) espressione sopra Mop — 716 — riferita dei commentatori aristotelici. — Nella psicologia, per modalità della sensazione #’ intende, dall’ Helmholtz in poi, la natura irreducibile delle sensazioni date dai diversi organi, per cui non è possibile il passaggio dall’ una al- l’altra, nd è possibile col confronto di stabilire tra loro una maggiore o minore somiglianza, e anche un semplice rapporto di intensità. La gualità è invece una differenza meno profonda, cosicchè le differenze qualitative tra sen- sazioni della stessa modalità non esoludono il passaggio dall’ una all’ sltra nè il confronto per giudicare della loro maggiore o minore somiglianza e intensità (ad es. tra i colori dello spettro). Cfr. Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 92, 202-3; Wundt, Logik, 1893, I, 199; Tren- delenburg, Logische Untersuchungen, 1864, II, 156 segg.; Helmholtz, Physiol. Optik, 2* ed., p. 778 segg., 372 segg.; Wundt, Physiol. Poycologie, 3* ed. I, p. 491 segg. (v. inten- sità, qualità). ‘Modelli (teoria dei). La dottrina, sostenuta specialmente dai fisici inglesi (Faraday, Thomson, Lodge, Maxwell) e im- plicante gravi problemi gnoseologici, secondo la quale non è possibile comprendere i fenomeni, la natura delle cose ma- teriali, senza formarsene una rappresentazione concreta, senza costruire un modello meccanico che la imiti. Si op- pone alla dottrina sostenuta dal Rankine, Mach, Ostwald, Duhem, che vorrebbe invece bandire qualsiasi imagine concreta per ridurre le teorie fisicho ad un puro sistema di nozioni astratte ο di rapporti matematici. « Il mio oggetto, dice il Thomson, è di mostrare come si possa in ogni ca- tegoria di fenomeni fisici, che dobbiamo considerare, ο qualunque siano questi fenomeni, costruire un modello meceanico che soddisfi alle condizioni richieste. Quando noi consideriamo i fonomeni d’ elasticità dei solidi, sentiamo il bisogno di presentare un modello di questi fenomeni... Io non sono mai soddisfatto finchò non ho potuto costruire un modello meccanico dell’ oggetto che studio; se ho po- — 717 — Mop tuto fare un modello meccanico, comprendo; finchè non ho potuto fare un modello meccanico non comprendo; ed è per questo che io non intendo la teoria elettromagnetica della luce». Però, secondo altri soguaoi della stessa dot- trina, il modello non consiste in un meccanismo vero e proprio, che simula in qualche modo i fenomeni, copian- foli, ma in una imagine simbolica del fenomeno, tale che le conseguenze logiche di essa siano sempre le imagini delle conseguenze necessario del fenomeno nell’ ordine na- turalo; cosa possibile, questa, appunto perchè esiste una certa armonia tra la natura e il nostro spirito, come l’espe- rienza di tanti secoli oi dimostra. Da noi il Pastore, ap- plicando queste vedute alla logica, dà loro un più largo significato filosofico: egli considera In ragione umana come un modello tra gli altri modelli, che fanziona deducendo da certi principî tutte le consoguenze possibili, allo stesso modo come il fisico mette in funzione il proprio modello per scoprirne le proprietà; i modelli, una volta costruiti ragionano, come la mente umana, sempre © solo in una maniera, dandoci quella stessa evidenza di verità che il nostro pensiero riconosce al calcolo © alla dimostrazione logica astratta. Cfr. Hortz, Die Princ. der Mechanik, 1899, Einl., p. 133 segg.; Thomson, Notes of lectures on molecular dynamics, 1884, p. 131; Duhem, Les théories modernes de l'électricité, 1891, p. 16; A. Pastore, Logica formale dedotta dalla considerazione dei modelli meccanioi, 1906 ; Id., Del nuovo spirito della scienza e della filosofia, 1907 (v. concetto, imagine, empiriocritioimo). Modernismo. T. Modernismun; I. Modernism; F. Mo- dernieme. Quell’ insieme di tendenze ο di dottrine, filoso- fiche, teologiche © sociali, che sono venute svolgendosi in questi ultimi anni dal seno del cristianesimo cattolico ο protestante, mirando a porlo in armonia coi bisogni della vita © del pensiero moderno. Dal punto di vista filosofico ο teologico molte sono le dottrine comprese sotto questa deno- Μου — 718 — minazione (immanentismo, fideismo, sentimentalismo, ecc.), derivate però quasi tutte dall’ idea fondamentale del card. Enrico Newman del « primato della coscienza ». L’enciclica Pascendi dominioi grogis (8 sett. 1907) le condannò tutte in blooco, additandole come sintesi di tutte le eresio, come prodotto di superbia e d’ignoranza, e riassumendone gli errori in due fondamentali, I’ agnosticismo e l’ immanenz& vitale. Per il primo « la ragione umana è ristretta intera- mente nel campo dei fenomeni; .... per la qual cosa non è dato a lei d’innalzarsi a Dio, nd di conoscerne }’ esistenza, sia pure per mezzo delle cose visibili. E da oid si deduce che Dio, riguardo alla scienza, non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia, non deve mai reputarsi og- getto storico ». Negata così la teologia naturale, i motivi di credibilità, la rivelazione esterna, la religione non può trovarsi che nella vita, nel cuore dell’uomo; di qui l’im- manenza vitale: « il bisogno del divino, senza verun atto previo della mente, secondo che vuolo il fideismo, fa scat- tare nell’ animo già inclinato alla religione un certo par- ticolar sentimento ; il quale sia come oggetto sia come causa interna, ha implicata in sò la realtà del divino e congiunge in certa guisa l’uomo con Dio: A questo sentimento ap- punto si dà dai modernisti il nome di fede, e lo ritengono quale inizio di religione ». Cfr. Ritschl, Reokifertiguag und Versöhnung, 3° ed. 1888; C. Ranzoli, L’ agnosticismo nella filosofia religiosa, 1912; R. Murri, La filosofia nuova e l’en- ciolica contro il modernismo, 1908 ; *** Il programma dei mo- dernisti, risposta all’ enciclica, 1908; Tyrrel, Modiosvalismo, 1909; Id., II cristianesimo al bivio, 1910; Laberthonnière, Saggi di filosofia religions, trad. it. 1907; *"* Lettere di un prete modernista, 1908; E. Newman, Lo sviluppo del dogma oristiano, trad. it. 1908. Modificazione. T. Zustandsänderung, Modification; I. Modification; F. Modification. In senso proprio, dicesi mo- dificazione ogni modo che ha la sua causa non nella natura — 19 — Mop essenziale del soggetto, ma è l’effetto d’ uns causa este- riore o distinta dal soggetto medesimo. Perciò la modi- ficarione non va confusa col cambiamento, in quanto essa non cambia nd distrugge la natura specifica della cosa, che non cos di essere quello che è. Modo. T. Modus, Sohlusemodue; I. Mood, Modo; F. Mode. I modi ο aocidenti d’un essere sono le qualità non essen- ziali ο mutabili, quelle che possono esistere, non esistero e variare senza che per questo l'essere scompaia 0 cessi di essere quello che è; le qualità essenziali si dicono in- vece attributi. L'estensione è un attributo della materia; P aver essa una forma 0 un’altra è un modo. In senso più generale per modo s'intende qualsiasi modificazione d’un soggetto. Così Goclenio lo definisce come roi quadam de- terminatio; © Spinoza: substantia affectiones, sive id quod in alio est, per quod etiam concipitur. — Dicesi modo del'sillo- gismo la forma che egli ha riguardo alla quantità ο alla qualità dolle due premesse e della conclusione. Ora, le com- binazioni della qualità e della quantità nei giudizi dànno quattro specie di giudizi, indicati con le vocali 4, E, I, 0; queste quattro specie dànno sedici combinazioni binarie; essendo quattro le figure del sillogismo, si avranno ses- santaquattro modi per tutte lo figure. Ma di questi, qua- rantuno sono contrari alle regole del sillogismo e non dànno conclusione: quindi i modi coneludenti ο cioè validi si ri- ducono 8 diciannove, dei quali quattro appartengono alla prima figara, quattro alla seconda, sei alla terza, cinque alla quarta. Tali modi validi sono enunciati nei seguenti versi mnemonici, che, con qualche variante, si trovano per la prima volta nelle Summulæ logicales di Pietro Ispano: Barbara, Celarent, Darii, Ferioque, Priors — Cesare, Ca- mestres, Festino, Baroco Seounde — Tertia, Darapti, Di- samis, Datisi, Felapton — Bocardo, Ferison habet. Quarta insuper addidit — Bramantip, Camenes, Dimaris, Fesapo, Fresison, L’artifizio di questi versi sta in ciò, che le vo- Mor — 720 — cali di ciascun vocabolo denotante un modo indicano la qualità e la quantità delle premesse © della conclusione ; le consonanti - meno nella prima - indicano, se sono ini- ziali, a qual modo della prima figura quel dato modo si deve ridurre per dimostrarne la validità (così l'iniziale di Calomes indica che deve esser ridotto a Celarent), se non iniziali (e, m, p, ο) con quale operazione logica la ridu- zione relativa deve esser fatta: e cioò, 4 per conversione semplice, m per metatesi delle premesse, p per conversione accidentale, ο per proposizione contradditoria. Cfr. Goclenio, Lezioon philosophioum, 1613, p. 694 segg.; Spinoza, Ελίσα, def. V} Locke, Essays, 1877, 1. II, ο. XII, $4 (v. figura, pre- messe, termini, conclusione e le vocali 6 consonanti indicate). Molecola. T. Moleküle; I. Molecule; F. Molécule. La più piccola porzione di materia costituita di atomi, alla quale’ si concepisce poter giungere nella divisione d’un corpo omogeneo, semplice o composto, senza alterarne In natura. Secondo 1’ Eucken, la molecola fa distinta netta- mente dall’ atomo per la prima volta dal Gassendi. Da Avogadro in poi si sogliono distinguere le molecole énte- granti, che constano di atomi, dalle molecole costituenti, cho sono gli atomi stessi; nei corpi composti le molecole in- tegranti constano di molecole costituenti eterogenee, nei corpi semplici di molecole costituenti della stessa specie. Nella chimica dicesi molecola la quantità più piccola di un corpo che possa esistere allo stato libero, © che è chi- micamente divisibile. Il Buffon chiamava molecole organiche i complessi atomici possedenti la capacità della conservazione ο della riproduzione; con questo presupposto, egli conside- rava tutta la vita organica come una attività di tali mo- lecole, sviluppata per contatto col mondo esterno. Più tardi il Lamarck, elaborando questo principio, tentò di spiegare la trasformazione degli organismi dalle forme inferiori alle superiori con la sola azione meccanica del mondo esterno, mediante l’ adattamento all’ ambiente. Con significato ana- — 721 — MoL-Mom logo il Verworn chiama molecole biogene le particelle dotate di attività vitali elementari, cioè di assimilazione, dissi- milazione e riproduzione ; nella concezione monistico meo- canica della vita esse rappresenterebbero un ipotetico stadio di transizione tra il formarsi delle sostanze proteiche, la cui molecola complessa si costituisce attorno ad un atomo di carbonio, e il formarsi dei primissimi organismi, costituiti appunto da una aggregazione di molecole biogene. Cfr. Eu- cken, Geschichte der philos, Terminologie, 1879, p. 86; Nan- mann, Über Moleküle, 1872; Würtz, Histoire des doctrines chimiques, 1872; Th. Fechner, Über die physikal. und philo- sophische Athomenlehre, 1864; Svedberg, Die Existenz der Mo- lekille, 1912 (v. atomica, vita, vitalismo, cellulari teorie). Molteplicità. T. Vielheit, Mannigfaltigkeit; I. Multi- plicity; F. Multiplioité. Carattere di ciò che comprende ele- menti diversi e separabili. È il correlativo di unéfa, senza la quale sarebbe inconcepibile, la molteplicità non essendo altro che il complesso di più unità, Secondo alcuni filosofi la molteplicità è 1’ essenza della natura corporea; altri in- vece distinguono la molteplicità reale dalla potenziale: la prima è accidentale, essendo il semplice rapporto di coe- sistenza di più oggetti, e non è proprietà reale della na- tura corporea se non quand’ è possibile imaginarla nell’esten- sione continus di cui il corpo è fornito (v. pluralismo, unità, quantità). Momento. T. Moment, Augenblick; I. Moment; F. Mo- ment. Non è che l'abbreviazione di movimento; e siccome la durata si misura per mezzo del movimento, così nel linguaggio comune il momento è quella parte di durata, che si misura per mezzo del più piccolo movimento per- cepibile. Però questo momento si concepisce spesso come qualche cosa di provvisoriamente statico, che rimane per un istante fermo: quindi l’ idea comune di momento è con- tradditoria. Nella meccanica il momento di una forza ri- spetto ad un punto è il prodotto della stessa forra per la 46 — RANZOLI, Dizion: di scienza Alosofichs. Mon — 722 — distanza da quel punto. Nella filosofia fa nsato spesso come sinonimo di stadio, fase, periodo di una successione o pro- cesso di fenomeni: con ciò il vocabolo fa condotto al suo significato etimologico. Nel sistema dell’ Hegel gli elementi ο le esistenze diverso non sono che momenti o forme tran- sitorie del movimento universale dell’ Idea, la quale ha tro momenti fondamentali: idea in sò, idea per sò o natura, idea che torna in ed o spirito. Lo spirito a sua volts ha tre momenti: soggettivo ο individuale, oggettivo o uni- versale, assoluto ο divino. Cfr. Locke, Essay, 1877, 1. II, ο XIV, $ 10; Hegel, Enoyolopädie, 1870, $ 145 (v. dialet- tica, istante, idea, pantetemo). Monade. Gr. Μονάς — unità; T. Monade; I. Monade; F. Monade. Termine antichissimo, già usato da Pitagora, che nell’ unità fa consistere il principio e l’ essenza d'ogni cosa: ἀρχήν μὲν ἁπάντων µονάδα. Platone lo applioò poi alle idee, Sinesio e Sabellio a Dio, monado delle monadi ; Giordano Bruno fa della monade il minimum indivisibile della sostanza, monas rationaliter in numoris, essentialiter in omnibue. Ma il termine fa reso celebre dal Leibnitz. Questo filosofo, opponendosi al dualismo di Cartesio e al monismo di Spinoza, sostenne che le sostanze sono più d’una e tutte attive, cioò forze, che l'estensione non è l'essenza del corpo ma un qualche cosa di derivato e suppone quindi gli elementi dalla cui opposizione si forms. Se anche questi elementi sono estesi, bisogna dividerli in altri, e così via via finchè si arrivi ai punti non più fisici ma metafisici, agli elementi primi delle cose, alle monadi. « La monade, dice il Leibnitz, non è altra cosa che una sostanza sem- plice, che entra nei composti; semplice, cioè senza parti. Ed è necessario esistano delle sostanze semplici, poichè ci sono dei composti; infatti il composto non è che un am- masso 0 aggregatum di semplici. Ora, là dove non ci sono parti, non ο) è nd estensione, nè figura, nd divisibilità pos- sibile; © codeste monadi sono i veri atomi della natura e — 723 — Mon in una parola gli olementi delle cose.... Non c'è mezzo per spiegare come una monado possa essere alterata 0 can- giata nel suo interno da qualche altra creatura, perchè non si potrebbe trasportarvi nulla, nd concepire in essa alcun movimento interno che possa ossoro eccitato, diretto, aumen- tato ο diminuito là dentro, come può avveniro nei composti dove c’è cangiamento tra lo parti. Le monadi non hanno fine- stro attraverso le quali qualche cosa possa entrare in osse © uscire. Gli accidenti non potrebbero staccarsi nd girare fuori delle sostanze, come facevano nel passato lo specio sensibili degli scolastici. Così, nd sostanza nè accidento può entrare dal di fuori in una monade. Bisogna che ciascuna monade sia differente da ogni altra; poichd non si danno mai nella natura due essori cho siano l’uno porfettamente como l’altro, ο dove non sia possibile trovaro una differenza in- terna o fondata sopra una denominazione intrinseca ». La monade è danque una forza semplice, originaria, differenziata in sò stessa, ο non dal di faori ; quindi noi non possiamo sa- pere per esperienza quale sia questa determinazione interna di ciascuna monade, ma soltanto indurlo per analogia, at- tribuendo alle monadi ciò che troviamo nell’ anima nostra. E siccome nell’ anima noi troviamo la percezione ο rap- presentazione (vocaboli che per il Leibnitz sono sinonimi) così ogni monade avrà una forza rappresentativa. Che cosa rappresenta? Sè, © tutte le monadi. Sè, in quanto attiva, e tutte lo monadi in quanto limitata. Cfr. Diogene Laer., VIII, 25; Stobeo, Kol., I, 2, 58; Goclenio, Lezicon phil., 1613, p. 707; G. Bruno, De tripl. minimo, 1591, I, 2, 4; Leibnitz, Monadologie, 1714; Id., Discourse de métaphysi- que, 1686. Monadismo. T. Monadismue; I. Monadiem; F. Mona- dieme. La dottrina leibnitziana delle monadi. Essendo la monade, cioè 1’ elemento primo delle cose, un punto me- tafisico inesteso, una forza semplice, originaria, differen- ziata in sè stessa, consogue dal monadismo il dinamismo ; Mon — 724 — essendo invece I’ atomo il punto fisico, dotato di proprietà meccaniche, la conseguenza dell’ atomismo à il meccanismo. Per monadologia «’ intende invece qualunque trattato ο dot- trina sulle monadi; tale nome fu dato dall’ Erdmann al libro del Leibnitz nel quale era esposta la dottrina delle monadi. Mondo. Gr. Késyog; Lat. Mundus, Orbie; T. Welt; I. World; F. Monde. In senso generalissimo V’ insieme di cid che è, la totalità delle cose e dei fatti. Primitivamente, il sistema ordinato costituito dalle terra ο dagli astri. Nella teologia, la vita sociale degli uomini, contrapposta alla vita spirituale ο religiosa, considerata come il dominio degli appetiti carnali, della dissipazione e del peccato. Mondo sensibile dicesi 1’ insieme delle cose che sono 0 possono es- sore oggetto di percezione, quale 1’ individuo se le rappre- senta anteriormente ad ogni critica; mondo intelligibile è invece l insieme delle realtà ο essenzo corrispondenti alle apparenze sonsibili, e quali 1’ esperienza scientifica ο filo- sofica conduce a pensarle. Anima del mondo dicesi il prin- cipio dell’ unità e dell'ordine del mondo, concepito per analogia con l’ anima individuale ; fu ammessa da Platone, dagli stoici, da Plotino. Monera. Il più semplice degli organismi viventi, s00- perto e descritto dall’ Haeckel. Le monere hanno forma sferica, mobile, © risultano costituite di una piccola masss mobile di plasma senza struttura, ο protoplasma. Si distin- guono in fitomonere, vegetali, e soomonere, animali; queste, secondo 1’ Haeckel, deriverebbero da quelle, le quali alla lor volta sarebbero nate per generazione spontanea. Cfr. Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1903, p. 506 (v. generazione spontanea, cellula, cellulari teorie). Monismo (μόνος --- solo). T. Monismus, Einkeitalehre, Monistische Weltanschauung; I. Monism; F. Monieme. Ter- mine molto vago, col quale si sogliono designare in ge- nere quel sistemi filosofici che ammettono una unità o — 725 — Mon identità fondamentale, e spiegano quindi tutti i fenomeni per mezzo d’un solo principio o d’ uns sola sostanza. Fu introdotto nella terminologia filosofica da Cristiano Wolf, che con esso designava quelle dottrine che pongono una essenza unica di tutte le cose, sia lo spirito puro o la pura natura: moniste diountur philosophi, qui unum tantummodo aubstantiæ genus admittunt. In generale si oppone a dualismo, e spesso designa la dottrina panteistica, secondo la quale il tutto è uno. — Si adopera anche, in special modo nella lingua inglese, per designare quella moderna dottrina del parallelismo psicofisico, secondo la quale l’anima e il corpo, la coscienza © il cervello, il mondo dello spirito e quello dei corpi, si sviluppano come espressioni differenti di un solo e med essere: dato, da un lato, il parallelismo © la proporzionalità esistenti tra l’ attività cosciente e l’at- tività cerebrale, e riconosciuta, dall’ altro, la differenza tra queste due forme di attività, si conchiude che entrambe devono avere per base una identità fondamentale, che si esprime sotto una duplice forma. — Il monismo psicofisico differisce dal moniemo materialistioo, secondo il quale lo spi- rito non è che una forma o un prodotto del corpo, e dal moniemo spiritualistico, secondo il quale il corpo non è che una forma o nn prodotto d’ uno ο più esseri psichioi. — Mo- nismo concreto chiama 1’ Hartmann la propria dottrina, se- condo la quale solo gli attributi dell’ essere sono vari ο molteplici; © moniemo energetico 0 energiemo dicesi la dottrina dell’ Ostwald, per la quale non v’ha che una sola realtà, l'energia, di cui materia, gravitazione, calore, elettricità e pensiero non sono che modi. — Moniemo meccanico è } espressione con cni viene indicata la dottrina di Ernesto Haeckel, secondo il quale la forza e la materia, in virtà della loro inseparabile unione, sono i due principi primi- tivi di ogni esistenza; Dio è identico al mondo; nulla è superiore alla natura; ogni atomo, come centro di forza, è dotato di un’ anima costante, di movimento e di sensibi- Mon — 726 — lità: dai loro incontri fortuiti ο dallo loro combinazioni si formano le anime-molecole (inorganiche) e le animo dei protoplasmi molecolari (organiche) o da queste risultano le anime-cellule; l’anima umana non è che la somma delle anime elementari delle cellule. — Con l’ espressione di mo- nismo concettuale vien designata la dottrina del De Roberty, secondo il quale non v’ ha alcuna distinzione fra spirito © materia, tra mondo esterno © mondo interno, uniti da un rapporto di perfetta uguaglianza; il movimento non è che uno degli aspetti dell’osistenza successiva © discontinua, è tempo oggettivato, coscienza proicttata nello coso che riempiono il fuori di noi; il monismo meccanico non à che una ripercussione del monismo logico. — Il Fouillée e il Guyau chiamano il proprio monismo immanente e natura- lista, per distinguerlo da quello dello Spencer che essi de- signano come trascendente © mistico: secondo il Fouillée, il pensiero e il suo oggetto non sono che un’ unica entità; ogni cosa contiene già il germe del pensiero o delle vo- lontà che in noi si manifestano; la volontà dispersa in tutto l’ universo non ha che da riflettersi progressivamente su sè stessa, ed acquistare così una maggiore intensità di coscienza, per divenire in noi sentimento e pensiero. — hegeliana, infine, la parola monismo è adoperata a designare quel sistema generale di filosofia, che concilia le antitesi in una sintesi superiore. In senso ana- logo, per opposizione a pluralismo, dicesi monismo I’ idea- lismo inglese d’origine hegeliana, specio quello del Bradley, che afferma l’unità del mondo, l’esistenza dell’ assoluto, 1 intelligibilità essenziale dell’ essere, il carattere puramente apparente e superficiale della molteplicità sensibile, dell’in- dividualità e della durato. — In un senso molto più largo, in quanto designa non una dottrina ma una tendenza gene- rale, è inteso il monismo dalla rivista « The Monist », fondata nel 1900 da Hegeler ο da Paul Carus per sostenere questi concetti: 1° sopra ogni oggetto non esiste che, una verità — 727 — Mox sols, determinata virtualmente dal principio, intemporale, indipendente da ogni desiderio e da ogni azione individuale; 2° tutte le verità concordano tra di loro, qualunque sia il loro dominio e la loro origine ; 3° la conoscenza scientifica © la fede religiosa possono essere conciliate integralmente senza nulla perdere del loro contenuto essenziale. Cfr. Cr. Wolff, Peychologia rat., 1732, $ 32; F. Masci, It materialismo psicofisico, 1901; Haeckel, Der Monismus ale Band swischen Religion u. Wissenschaft, 1893; Eucken, Die geistige Sirö- mungen dor Gegenwart, 1909, sez. C, cap. I; Ostwald, Die ‚Energie, 1908; Id., Vorlesungen über Naturalphilosophie, 1901; Güschel, Der Monismus des reinen Godankens, sur Apologie der gegenwärtigen Philosophie, auf dem Grabe ihres Stifters, 1832; Wartenberg, Die monistische Weltanschauung, 1900; A. Fouillée, La pensde et les nouvelles écoles anti-intelleota- listes, 1911; Le volontarisme intelleotualiste de M. Fouillée, in « Rev. philosophique >, gennaio 1912; e in « The Monist >, Haeckel, Our monism, 1912; Morgan, Three aspects of mo- nim, 1894; Woods Hutchinson, The Holiness of instinct, 1896; R. Benzoni, Esame orit. del concetto moniatico ο plu- raliatico del mondo, 1888; G. Nicolosi, La psicologia del mo- nismo, 1899; Ardigd, Monismo metafisico e monismo scientifico, in Opere fil., IX, p. 426 segg. (v. anima, assioma d’eteroge- noità, ideo-forse, materialiemo, spiritwalismo, 600.). Monofisiti. T. Monophyeiten; I. Monophysites; F. Mo- nophysites. Setta di eretici cristiani, che neguvano a Gesù Cristo la duplice natura umana e divina, sostenendo aver posseduto soltanto la seconda. Cfr. Dorner, Christliche Glau- denslehre, LI, 1880. Monogenismo. T. Monogenismus; I. Monogenism; F. Monogénisme. Dicesi così, in opposizione a poligenismo, la dottrina ortodossa che ammette che tutte le razze umane derivano da un solo centro di produzione, e furono determi- nate dall’ influenza dell'ambiente nel breve spazio di tempo trascorso dalla creazione del mondo, conforme all’ attesta- Mox — 728 — zione della Bibbia (Genesi). Tutte lo razze umane discen- derebbero infatti da una sola coppia, Adamo ed Eva, e poi dalle tre coppie salvate dal diluvio; ο tutte le specie ani- mali discenderebbero pure da un numero corrispondente di coppie salvate nello stesso tempo. Fra gli ultimi e più au- torevoli difensori dell’ unità della specie umana è da ricor- dare il De Quatrefages, secondo il quale le specie zoologiche sono immutabili nel loro tipo fisico © delimitate nelle loro circoscrizioni dal loro carattere d’omogenesia nel proprio seno ο d’eterogenesia al di fuori; l’uomo sarobbe stato creato, da principio, in condizioni sconosciute, per I’ in- tervento d’ una volontà soprannaturale; le razze umane non sono che varietà dovute all’ influenza dell’ ambiente ο agli inoroci; per il loro posto elevato © la religiosità che è soltanto loro propria, esse occupano nella serie zoologica un posto a parte, il regno «mano. Col comparire successivo dolla dottrina del trasformismo, il problema dell’ unità ο della molteplicità della specie ha perduto ogni importanza, ο meglio, va posto in altri termini: dato che le specie va- riano all'infinito passando dall’ una all’ altra per una in- finità di transizioni, © ammessa la derivazione dell’uomo da qualche forma animale anteriore (scimmie), resta a ve- dere se i tipi umani elementari sono usciti da più antenati pitecoidi o antropoidi, o derivano da un solo ceppo rap- presentato da un solo dei loro generi. I partigiani del mo- derno monogenismo sostengono questa seconda ipotesi, che sembra però suffragata da ùn numero minore di prove del- l'ipotesi contraria. Col nome di monogenismo 0 monogonia si dosigna anche quel modo di generazione animale, che consiste nella separazione dal corpo dell'individuo gene- ratore di una parte di esso, che si sviluppa poscia così da dar luogo ad un nuovo individuo. Cfr. A. De Quatrefages, La spocie umana, trad. it. 1871; Id., Rapport sur le progrès de Vanthropologie, 1867; Id., Leçons professées au Muséum, « Revue des cours scient. », 1864-1868 (v. poligenismo). — 729 — Mon Monoideismo. T. Monoideismus; I. Monoideism; F. Mo- moïdeisme. Vocabolo cresto dall’ Horwiez, col quale si desi- gna quello stato psicologico, proprio del sogno, dell’ estasi € del sonno ipnotico, in cui una sola idea ο rappresenta zione prevale, e quindi un solo ordine di associazione men- tale. Il Ribot lo adopera per indicare lo stato di concentra zione e d’ organizzazione della coscienza intorno ad una idea dominante, che à proprio dell’attensionc; ma si usa anche per indicare lo stato patologico dell’ ides fissa. Cfr. Pierre Janet, Nevroses ot idées fizes, 2° ed. 1904; Preyer, Die Entdeckung des Hypnotismus, 1881, p. 14 segg., 81; A. Lehman, Die Hypnose, 1890, p. 44 segg. Monolatria. Secondo alcuni storici della religione, il monoteismo sarobbe stato preceduto nell’ evoluzione del sen- timento religioso dalla monolatria, cio’ 1’ adorazione di un solo idolo. Monomania. T. Monomanie; I. Monomania; F. Mono- manie. Anomalia mentale, in cui l'intelligenza e |’ affotti- vità sono alterate in un solo e determinato ordine di sen- timenti e di idee, rimanendo sane in tutti gli altri. La psichiatria moderna ha abbandonato il nome e il concetto di monomania, dovuto dall’ Esquirol; essa la considera come un semplice gruppo di sintomi della follia degene- rativa, comprendendoli tutti sotto il nome di passia im- pulsiva, o, come vorrebbe il Morselli, di parabulie costitusio- nali coatte. Tra le forme più comuni sono da ricordarsi la cleptomania, ο tendenza morbosa e irresistibile al furto; la dipsomania, impulso a bere specialmente bevande forti od alcoliche; l’onomatomania, bisogno imperioso di ripetere una parola sempre presente alla monte, o tendenza ad at- tribuire a certe parole un significato funesto ο una influenza preservatrice ; la piromania, impulso ad appiccare incendi; la olastomania, impulso a compiere atti di distrazione; la monomania suicida, quasi sempre ereditaria e manifestan- tesi alla stessa età nei vari individui della stossa famiglia; Mon — 730 — 1a monomania omicida, che si attua con la mancanza di qual- siasi motivo per spiegar l’atto ο alla quale l’ammalato, che ne comprende tutta l’orridezza, non sempre è capace di resi- stere; costituite tutte da impulsi irresistibili a fare qualche cosa senza averne chiaro motivo. Cfr. Esquirol, Des maladies mentales, 1839; Prichard, Treat. on Insan., 1836, p. 26 segg.; Krafft-Ebing, Psychiatrie, 1883; Ribot, Le maladies de la vo- lonté, 1888; Morselli, Manwale di som., t. II, p. 635; Tam- burini, Monomania impulsiva, « Riv. di freniatria >, 1877. Monoteismo. Gr. μόνος = solo, $aög--Dio; T. Mo- notheismus ; I. Monotheiem; F. Monothéieme. La credenza in un Dio unico e solo; non è da confondersi con l’enofeirmo, che è quel primissimo stadio della religione in oui si ado- rano oggetti diversi presi a volta a volta isolatamente come rappresentazioni di un Dio. Si oppone al dualismo orien- tale, che è la credenza în due principi supremi, ugualmente primitivi e irreducibili, il principio del bene © quello del male; © al politeismo, cioè la credenza in più divinità. Be- condo aleuni il monoteismo conterrebbe come sue spocie il panteismo, il teiemo.e il deismo; però, quantunque la parola monoteismo non implichi nd escluda V idea della personalità, contiene almeno l’idea di unità, e la forma più alta e più reale di unità di cui noi abbiamo esperienza è la personalità; quindi, allorchè si parla di monoteismo sì pensa sempre, e con ragione, a un solo Dio personale. L' Haeckel distinguo un monoteismo naturalistico e un mo- noteismo antropistioo: il primo consiste nell’ incarnazione di Dio in un fenomeno della natura solenne, dominante su tutto (sole, luna); il secondo consiste nell’ umanizza- zione dell’ ente supremo, al quale, sia pure in forma al- tissima, sono attribuiti sentimenti, pensieri e attività come ul? uomo. Cfr. P. D’ Ercole, II toismo, 1884; Haeckel, I pro- blemi dell’ unicerao, trad. it. 1908, p. 384 segg.; Höffding, Filosofia della religione, trad. it. 1909, p. 148 sogg. (v. elio- teismo, monolatria, mosaiciemo). — 731 — Mon-Mor Montanismo. T. Montanismus ; I. Montanism; F. Mon- tanisme. Setta cristiana del secondo secolo, fondata da Mon- tano, che combinsva la credenza nella continuità dei doni miracolosi degli Apostoli e nella ispirazione personale di Montano, con l'attesa della prossima seconda venuta di Cristo e la pratica di un rigoroso ascetismo. Cfr. Bonwetsch, Geschichte d. Montaniemus, 1881. Morale. Gr. Ἠθικός: Lat. Moralis; T. Sittlich, ethisch, moralisch; I. Moral, ethical; F. Moral. Può significare tanto ciò cho è conforme alla morale, quanto ciò che ri- guarda sia i costumi, sia le norme d’ azione ammesse in una data epoca in una doterminata società. Opposto a fisico, materiale, corporale, indica ciò che è relativo allo spirito e alla coscienza; opposto a logico o a intellettuale ciò che ri- guarda l’ azione e il sentimento. Dicesi giudizio morale quello che si pronunzia sopra il valore etico d’una azione; ar- gomento morale quelle provo tradizionali del libero arbitrio © dell’esistenza di Dio che si ricavano dall’ esigenza mo- rale; senso morale il particolare sentimento che fa distin- guere il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto; stati- stica morale quel ramo della statistica che si occupa delle azioni volontarie dell’uomo; pazzia morale una perversione patologica della coscienza e del carattero morale, senza al- terazione notevole delle funzioni intellettuali ο specialmente senza illusioni o allucinazioni. Cfr. Cabanis, Rapports du physique et du moral de l'homme, 1802 ; Kant, Krit. d. prakt. Fernunft, ed. Reclam, p. 149 segg.; Quetelet, Physique s0- ciale, 1869; Drobisch, Die moraliste Statistik, 1867; F. Hut- cheson, Inquiry into the original of our ideas of beauty and virtue, 1725; Delbrück, Die pathologische Lüge, 1891; Bleuler, Über moralische Idiotie, « Vtljsch. fur gerichtl. Med. », 1898. Morale. T. Sittenlehre, Hthio; I. Ethice; F. Morale. O filosofia morale o etica, è quella parte della filosofia che de- termina le leggi della condotta umana; essa infatti ha per oggetto di stabilire il fine verso il quale devono rivolgersi Mor — 782 — le azioni degli individui, ο di giudicare in qual rapporto stiano le azioni stesse col conseguimento di quel fine. Si definisce anche la teoria razionale del bene ο del male; oppure la scienza della volontà e della condotta morale. Si sogliono distinguere: la morale pura, o toorioa, 0 generale, che tratta dei principî generali, della natura ed essenza del bene morale; la morale pratica, o speciale, o applicata, che è l'applicazione dei principi generali ai casi partico lari, lo studio dei mezzi atti a raggiungere il bone morale, a mantenerlo e a svolgerlo; la morale eudemonologica, che tratta della folicità che consegue al bene morale; la mo- rale psicologica, che studia l’azione morale nel suo mocca- nismo interno, nelle suo basi psichiche, e cioè la coscienza morale, il sentimento morale, la volontà, il carattere e In personalità morale ; la morale sociale, che studia l’ azione stessa nelle sno basi e nei suoi fattori esterni o sociolo- gioi, il costume, la famiglia, le classi sociali, lo stato, eoc. Si suole infine distinguere la morale individuale, che tratta dei doveri verso sò stessi, dalla morale sociale che tratta dei doveri verso gli altri, e dalla morale religiosa che tratta dei doveri verso Dio; questa parte della morale che tratta dei doveri dicesi anche morale deontologica ο deontologia. Quanto alla classificazione dei diversi sistemi di filosofia morale, ricorderemo anzitutto quella acutissima del nostro Rosmini, cho partendo dal principio che la moralità risiede nel rapporto di convenienza che passa tra l'ordine razio- nale e l'ordine fisico, divide tutti i sistemi in soggettivi e oggettivi; alla prima categoria appartengono quei sistemi che traggono comunque il principio della morale dagli ele- menti costitutivi della natura umana, siano questi le forzo fisiche, le tendenze sensitivo-animali o le inclinazioni ο af- fezioni razionali (edonismo, materialismo, sensismo, sentimen- taliamo, associazionismo, utilitariemo, eudemonismo, ecc.); alla seconda categoria appartengono quei sistemi che pongono l'imperativo della moralità, la forza obbligante del prin- — 133 — Mor cipio morale in qualche cosa di estraneo e superiore all’ uomo (ontologismo, morale teologica, legiemo, ecc.). Una classifica zione meno minuta, ma fatta con uno spirito sasai più eri- tico e positivo, è quella del Wundt, che, ponendosi dal punto di vista del fine imposto alla condotta umana, di- etingue i sistemi morali in eferonomi ο autoritativi, nei qnali il fine della condotta è imposto da un comando esteriore, © in autonomi nei quali il fine stesso soaturisce dalle di- sposizioni originarie e da condizioni materiali di sviluppo; gli autonomi si dividono alla lor volta in evolusionistici ο eudemonistici, a seconda che 1’ azione morale fa parte di una evoluzione il cui termine ultimo è lo scopo veramente su- premo dell’ attività, ο ba invece per scopo il possedimento di beni immediati che 1’ individuo stesso ο i suoi compagni devono godere; infine ambidue questi sistemi si dividono in individualisti © universalisti, a seconda che i beni o la perfezione da conseguire si restrihgono all’agente ο si esten- dono a tutti i soci e all’ umanità. In questi ultimi tempi una geniale e comprensiva classificazione fu proposta da Giovanni Vidari che, distinte le dottrine morali in meta- fisiche © scientifiche, a seconda che poggiano la morale sopra una concezione filosofica del mondo e della vita o sullo studio dei fatti, divide le prime in materialistiche, pantet- atiche © teistiche, le seconde in individualietiche-psicologiche © sociologiche; la concezione materialistica dà luogo all’edo- nismo individuale (Epicuro, D’Holbach), la panteistica all’ edo- nismo universale se il panteismo è materialistico (stoici, Spi- nota) all’ odonirmo universale se è idealistico (Hegel), la teistica al perfarioniemo (Leibnitz) ο all’ edonismo individuale (Paley); le concezioni individualiste psicologiche (Bentham, 8. Mill, Bain) hanno per carattere comune di proporsi la ricerca non della natura del bene, ma degli impulsi e dei processi dai quali la moralità deriva; le concezioni socio- logiche, allargando I’ indagine dall’ individuo alla specto e alla società, danno Inogo al biologiemo (Spencer, Stephen) Mor — 734 — al determiniemo economico (Marx, Loria) e alle dottrine sto- rico-psicologiche (Ardigd, Wundt, Höffding, Baldwin, Paul- son, 000.) che sono oggi le prevalenti ο cercano di stabiliro le basi scientifiche della morale dallo studio delle condi- zioni storiche di sviluppo della vita associata, considerata sotto l'aspetto psicologico. Cfr. Ständlin, Gesch. 4. Moralphi- losophie; Sidgwick, Outlines of the history of Etichs, 1886; Id., The methods of ethics, 2* od. 1877; Lecky, History of european morale, 2* ed. 1869; Wundt, Ethic, 2° ed. 1892; Paulsen, System der Ethio, 3" ed. 1893; Rosmini, Principî della scienza morale, 1857; Id., Storia comparativa e critica dei sistemi in- torno alla morale, 1837; Ardigd, La morale dei positivisti, 1892; L. Friso, Filosofia morale, 1893; Vidari, Etica, 1902 ; Marchesini, La dottrina positiva delle idealità, 1913. Moralismo. T. Moralismus ; I. Moraliem; F. Moraliame. Opposto a immoraliemo, il riconoscimento d’ una legge mo- rale obbligatoria. In senso generale, ogni dottrina o ten- denza etica, che considera la perfezione morale non soltanto come l’idealo supremo, ma anche come la suprema renltà. Questa dottrina proviene forso dalla influenza esercitata dalla filosofia di Kant, il quale elevò per primo la perfezione morale al di sopra di tutte lo realtà possibili e di tutte le nozioni concepibili, ponendola come irreducibile a tutto il resto e come fondamento di tutto il resto. Fichte chiama la propria dottrina moralismo puro, in quanto pono a fon- damento supremo della filosofia una legge dell’ azione ο non dell’ essore. In quest’ ultimo senso il moralismo coin- cide, nella speculazione contemporanea, con 1’ cnergismo, l’attivismo, l’ idealismo etico; una delle sue forme più ca- ratteristiche è il moralismo umanistico, il quale parte dal concetto che l’uomo, essendo un essere sociale e morale, deve subordinare al dovere sia il conoscere che l’agiro, pur riconoscendo la distinzione tra la verità e la virtù, tra l’ essere e il dovere. Cfr. Krug, Handbuch. d. Philos., 1832, p. 271; Fichte, Darstellung der Wissenschaftslehre, 1801, — 735 — Mor $ 26; A. Fouillée, Le moralismo de Kant et l'amoralieme con- temporain, 1905; Id., Nietzsche οἱ Vimmoralieme, 2° ed. 1902 (v. attivismo, energiemo, prammatiemo). Moralità. T. Sittliohkeit; I. Morality; F. Moralité. Si può definire come la conformità soggettiva © spontanen all’ ideale morale; si distingue © in parte si contrappone alla legalità, che è In conformità oggettiva alla logge giu- ridica. La determinazione dei caratteri della moralità, ο In sua distinzione dal diritto, costitnisco una dello questioni più importanti e più discusse dalla filosofia etico-ginridica. Secondo la dottrina di Kant, che forse è ancor oggi la più aocettata, si è nel dominio della moralità quando si ubbi- disce alla legge per un sentimento interno, che ci spinge a compiere il dovere per il dovore, si è inveco nel campo del diritto quando si compie nn dovere non per un impel- lente motivo psicologico, ma per la coazione propria delln legge ο per altre cause. Secondo il Romagnosi la moralità non mira, come il diritto, a rafforzare la colleganza ma a santificare la umanità; ha una maggiore estensiono del di- ritto, contemplando l’uomo in tutte le sue posizioni e re- lazioni; considera soprattytto gli eterni motivi doi volori umani gli effetti buoni o cattivi che ne derivano. Se- condo lo Spencer, nella sfera della moralità impera la be- neficenza positiva ο negativa, mentre in quella del diritto domina la giustizia, che impone doveri esclusivamente no- gativi; la beneficenza, che è sempre libera e spontanen, rappresenta una leggo secondaria e deve rimanere una fun- zione privata, in quanto mira ad aumentare la prosperità sociale, mentre la giustizia rappresenta la legge primaria dell’ armonica cooperazione sociale, e viene perciò imposta coattivamente dallo Stato. Secondo l’Ardigò, infine, tanto ‘ la moralità cho il diritto germogliano dallo idenlitä socia] ma mentre la giustizia propriamente detta (cioò quella eser- citata dallo Stato, con sanzione punitiva e responsabilità corrispondente) importa nell’ individuo subordinato P’iden- Mor-Mos — 736 — lità corrispondente al dorere giuridico, la giustizia impro- priamente detta (cioò quella delle reazioni della conve- nienza, con sanzioni indefinite e responsabilità morale) importa negli individui coordinati lo idealità corrispondenti al dovere morale. Cfr. Kant, Krit. d. pr. Vern., 1878, p. 37, 39 segg.; Spencer, The data of ethics, 1879; Romagnosi, Gemosi del diritto pubblico, 1805; Ardigd, Opere fl., I, 211 segg., IV, 18 segg. Morfinismo. T. Morphiumsucht; I. Morphiniem ; F. Mor- phinisme. Intossicazione cronica, accompagnata da disturbi psichici 6 determinata dall’ uso continuato della morfina. L'azione paralizzante di codesto veleno sull’ apparato neu- romuscolare, modifica profondamente il carattere dei ma- lati, indebolendone la memoria e la volontà, rendendoli proclivi all’ ozio ο alla fantasticheria, ο determinando ta- lora il sorgere di allucinazioni tattili e cenestetiche ; anche la sfera affettiva viene alterata, i sentimenti familiari ο morali si ottundono, fino a condurre talvolta ad azioni de- littuose. Cfr. Levinstein, Die Morphiumeucht, 3° ed. 1883; Pichon, Le morphinieme, 1890; J. Finzi, Compendio di peiohia- tria, 1899, p. 84, 87. Morfologia. T. Morphologie; I. Morphology; F. Mor- phologie. Scienza che studia le forme degli animali e dei vegetali, la loro struttura, il loro significato e la loro ori- gine. Tali forme, già spiegate o mediante una forse so- prannaturale creatrice, o per mezzo della forea vitale ο della causa finale, si considerano nella moderna biologia evoluzio- nistica come somplici fenomeni naturali spiegabili per mezzo di leggi meccaniche. Cfr. Haeckel, Gen. Morphologie, 1868. Mosaicismo. Il monoteismo giudaico, quale fu fondato da Mosd sedici secoli avanti Cristo, © il oui valore storico consiste nell’aver dato origine alle due grandi religioni mediterranee che dominano il mondo: il cristianesimo e il maomettismo. Gli studi di storia comparata delle religioni hanno ormai assodato che anche il monotelrmo giudaico — 737 — Mor è il prodotto d’ una lunga evoluzione, le cui fasi pit im- portanti furono prima 1’ animismo poi il politeismo. Cfr. Gruenesein, Der Ahnencultue n. die Urreligion Yeraels, 1900; Charles, 4 critical Aystory of the doctrine of a future life in Israel, 1900; E. Ferrière, Paganisme des Hébreux juequ'à la captivité de Babilone, 1890. Motivo. T. Motir, Beweggrund; I. Motive; F. Motif. In generale ciò che muove; psicologicamente ogni impulso che produca ο tenda a produrre un'azione. Negli antecedenti della volizione, si dicono motiri, per distinguerli dai mo- Dili, i fenomeni intellettivi (rappresentazioni) che entrano in conflitto e determinano quindi l'atto volontario ; i mo- Dili sono invece i fenomeni affettivi, che s’ accompagnano sempre, secondo alcuni psicologi, agli intellettivi. Cr. Wolf definisco i motivi come ratio suffioiene volitionis ao nolitionis. Per Holbach sono motivi « gli oggetti esteriori o le idee interiori che fanno nascere codesta disposizione (di volere) nel nostro cervello ». Per il Bentham sono motivi in senso largo « tutte le cose che possono contribuire a far sorgere qualsiasi specie d'azione, o anche a presentarla »; în senso stretto « qualunque cosa che, influenzando la volontà di un essere sensitivo, è supposta servire come mezzo por deter- minarlo ad agire, o per trattenerlo volontariamente dal- Vagire in qualsiasi ocensione ». L’ Hüffding distinguo il motivo come forza determinante differente da noi e dalla nostra natura, dal vero e proprio motivo volontario, che non è che noi stessi presi sotto una forma o sotto una faccia detorminata: « I nostri motivi sono delle parti di noi stessi, che appartengono ora al nostro io reale, ora al lato del no- stro essere più vicino alla periferia ». Il Wundt distingue i motivi attuali dai potenziali: « Noi chiamiamo attuali tutti quei motivi che raggiungono concretamente una efficacia nel volere, potenziali invece quelli che, in quanto elementi della coscienza poveri di sentimento, rimangono inefficaci ». Il Sergi definisce i motivi come « gli stimolanti della vo- 47 — Raxzout, Dizion. di scienze filosofiche. Mor — 738 — lizione, quando sono passati nella coscienza dell’ agente sotto una forma psichica ». Cfr. Wolff, Psyohologia empirica, 1738, $ 887 ;eBentham, Introd. to the prino. of moral, 1823, p. 161 segg.; Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 450; Wandt, Etik, 1892, p. 440; Sergi, La psyohol. physiologique, trad. frano. 1887, p. 419. Motore. T. Beweger, Bewegend ; I. Mover, Motor; F. Mo- teur. In generale, ciò che muove. Come sostantivo si usa quasi solamente per tradurre I’ espressione aristotelica: τὸ πρῶτον κινοῦν, τὸ κινοῦν ἀκίνητον, il primo motore, il mo- tore immobile, cioò Dio, che è causa d’ogni mutamento ο d’ogni divenire nel mondo, senza essero egli stesso s0g- getto ad alcun mutamento: « C’ ὃ qualche cosa che muove eternamente;... è un essere che muove sonza esser mosso, essere eterno, essenza pura, © attualità pura. Ora, ecco come esso muove. Il desiderabile ο l’ intelligibile muovono senza esser mossi; e il primo desiderabile è identico al primo intelligibile. Poichè l'oggetto del desiderio è ciò che par buono, e l’oggetto primo della volontà è ciò che è buono, Noi desideriamo nna cosa perchò ci sembra buona, piuttostochò ci sembri tale perchè la desideriamo. II prin- cipio, qui, è dunque il pensiero; ora, il pensiero è messo in movimento dall’ intelligibile... L'oggetto immobile muove come oggetto dell’amore, e ciò ch’ esso muove imprime il movimento a tutto il resto. Ora, per ogni essere che si muove ο) ὃ possibilità di cangiamento. 1 essere che im- prime questo cangiamento è il motore immobile. Il motore immobile è dunque un essere necessario; ο, in quanto ne- cessario, è il bene ». — Diconsi centri ρείσο-πιοίογέ, o sem- plicemente centri motori, o sono motrici, quelle regioni della corteccia cerebrale che presiedono ai movimenti di- versi del corpo. La loro esportazione o distruzione deter- mina delle paralisi, la cui estensione corrisponde all’esten- sione della zona corticale distrutta. Sul’ esistenza di zone motrici distinte dalle sensorie, sembrano concordare i fisio- — 739 — Mor-Mov logi, i quali però discordano circa l’ ubicazione delle zone stesse. — Diconsi fibre motrici ο efferenti quelle che tra- smettono l’impulsione nervosa centrifuga ai muscoli e alle ghiandole; sensazioni motrici ο cinestetiche le sensazioni che accompagnano i movimenti del corpo, dovuti alla contra- zione dei muscoli o alla trazione esercitata sni legamenti muscolari ; imagini motrici le sensazioni stesse che si ripro- ducono senza lo stimolo periferico che direttamente le pro- vochi; memoria motrice la memoria dei movimenti ; imagi- nazione motrice, quel tipo d’imaginazione che consiste nel predominio delle imagini di movimento ed è specialmente caratterizzata, per quanto riguards le parole, dal fatto che l'individuo le rappresenta sotto la forma dei movimenti d’articolazione con cui le pronuncerebbe. Cfr. Aristotele, Metaph., III, 8; XI, 6-7; Albertoni ο Stefani, Fisiologia umana, ed. Vallardi, p. 590 segg.; Ribot, Maladies de la colonté, 153 ed., cap. III; Haffding, Peychologio, 1900, p. 235 segg. (v. localizzazione). Motorium commune. Per analogia al sensorium com- mune, alcuni psicologi designano così quell’ insieme di centri motori cerebrali, che si troverebbero nella parte parietale © nella posteriore della corteccia corebrale, ο la cui stimo- lazione per parte dei centri percottivi ο ideativi, posti nella parte anteriore del cervello, dà luogo ad uns corrente cen- trifaga, che determina i movimenti volontari. Il motorium commune sarebbe quindi un magazzino di movimenti vir- tnali organizzati. Cfr. Bastian, Le cerveau organe de la pen- see, trad. franc. 1888, vol. II, p. 169-200. Movimento. T. Bewegung; I. Morement, Motion; F. Mou- rement. Cambiamento di posizione nello spazio considerato in funzione del tempo e possedente quindi una velocità definita, Si sogliono distinguere tre specie di movimenti : quelli dei corpi formanti una massa più o meno coe- rente, che è trasportata da un luogo dello spazio ad un altro; quelli che si prodncono nell’ interno di un corpo Mov — 740 — di cui l'insieme continua ad occupare relativamente lo stesso luogo di spazio, ma di cui le molecole e gli atomi si muovono; quelli del fiuido (etere) che si suppone riem- piro gli intervalli che separano i corpi gli uni dagli altri, e le molecole o gli atomi di ogni corpo. Il movimento è di sua natura continuo, poichè se un punto materiale è tra- sportato da una posizione ad un’altra, deve passare neces- sariamento per tutti i ponti della linea che unisce le due posizioni considerate. Il movimento dicesi assoluto quando è riferito a degli oggetti realmente fissi nello spazio; è rélatiro se è riportato ad oggetti considerati come fissi dal- l'osservatore, ma trasportati con lui in un movimento co- mune. Questa distinzione è però affatto teorica, non es- sendo il movimento assoluto cho un’ astrazione: infatti nell’ universo quale ci è dato dall’ esperienza non esiste un punto realmente fisso οὗ al quale si possa riportare In posizione degli altri punti. Dicesi movimento istantaneo quello compiuto da un corpo solido durante un tempo in- finitamente piccolo; uniforme quello in cui gli spazi per- corsi sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerli ; uniformemente rariato quello in cui la velocità cresce ο de- cresce di quantità proporzionale ai tempi. — Il concetto del movimento comincia ad assumere importanza nell’ esplica- zione della natura già con i primi filosofi greci, con Era- clito che lo pone come essenziale della realtà, con la scuola eleatien ο con Zenone, che lo nega mediante argomenti ancor oggi discussi, con Democrito, che lo considera una proprietà originaria dell’atomo, con Platone che lo distingue dal cangiamento, infine con Aristotele, che lo introduco a spiegare il momento del passaggio dalla potenza all’ener- gia. Per Aristotele il movimento non è il puro cangiamento esterno di Inogo, ma ogni processo di passaggio dalla ma- teria alla forma, che presuppone però sempre, nell'incontro del fattore attivo col passivo, un mutamento anche spa- ziale, cosiechè in questo senso il movimento consiste alla — nl Mov fine nell’attività della forma che è nella materia; è il movi- mento che fa passare 1’ essenza ο il contenuto della materia dallo stadio della pura possibilità alla realtà. Il movimento, quindi, è già energia, essendo il processo d’ attuazione di ciò che nella materia esisto come disposizione ; ed è anche, per lo stesso motivo, il passaggio da uno stato al sno op- posto. Aristotele distingue poi queste specie di movimento © cangiamento: il quantitativo, 0 d’ accrescimento e dimi- nuzione; il qualitativo, ο di trasformazione d’ una sostanza © d’uno stato in un altro; e lo apasiale; ο di traslazione, che è continuo (συνεχής) © può essere rettilineo, circolare e misto. Gli scolastici accettarono quasi tutti la concezione aristotelica del movimento: Movers est ezistere do potentia in actum, dice Β. Tommaso; movens dat id quod habet mobili, inquantum facit ipsum esse in actu. Cartesio non ammetto invece altro movimento che quello di traslazione, come proprietà della materia sia animata sia inanimata, e lo de- finisce : actio qua corpus aliquod ex uno loco in alium migrat. Egli vuol costruire con figura 6 movimento tutta la realtà fisica, considerando quest’ultimo come il fenomeno che con- tiene la spiegazione di tutti gli altri; ammettere invece delle , novembre 1899. Neutri (stati). Gli stati psichiei caratterizzati dalla in- differenza del sentimento, e ciod privi di qualsiasi stato di piacere o di dolore. Molti psicologi negano l’esistenza di tali stati, poichè, secondo essi, ciò condurrebbe ad ammet- tere implicitamente la discontinuità della vita psichica, la quale è invece costituita da un flusso continuo di piaceri e di dolori. Fra coloro che ammettono l’esistenza degli stati neutri si possono distinguere due indirizzi diversi: gli uni sostengono col Wundt che essendo il piacere e il dolore i due poli opposti della coscienza, si dovrà andare dall’ uno all’altro passando per uno stadio di assoluta in- differenza; gli altri, come il Bain, si appoggiano sull’espe- rienza interna, che ci attesta l’ esistenza di molti stati privi affatto di tono e colorito sentimentale. Cfr. Reid, Intel- lectual Powers, 1863, p. 311; Wundt, Grundzüge der phy- siologischen Psychologie, 1893; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 380 segg.; Horwiez, Psychol. Analysen, 1878, II, 2, p. 26; A. Bain, The emotions and the will, 1865, p. 13. Nevroglia o cemento nervoso. È un tessuto di so- stegno che tiene fermi gli elementi nervosi centrali e degli organi di senso. Consta di cellule speciali molto ramificate: codeste ramificazioni, a forma appiattita ο filiforme, en- trano fra gli elementi nervosi ed hanno varia disposizione nelle varie porzioni del sistema nervoso centrale o degli organi di senso. Cfr. E. W. Taylor, A contribution to the study of human nerroglia, in « J. of exper. med. », 1897, II. Nihilismo. T. Nichilismus; I. Nihiliem; F. Nihilisme. In generale qualunque dottrina conchiuda all’ annienta- mento, alla negazione, al nulla. Così si dice nihiliemo mo- Nir — 760 — rale la dottrina dell’antico buddismo, che predicava la soppressione della sensibilità, il disperdersi della persona- . lità per gli infiniti abissi dell’essere; nihilismo logico quello di Hegel, che nelle prime categorie della Logica afferma V identità dialettica dell’ essere e del non-essere; nihilismo gnoseologico quello che nega la possibilità della conoscenza e della verità. L’ Hamilton dico nihiliete, per opposizione a realiste, quelle dottrine che non ammettono una realtà sostanzialo corrispondente alle percezioni esteriori ; in que- sto senso equivale perciò a solipriemo ο idealiemo soggettivo. Nel linguaggio comune per nihilismo si suol intendere il co- munismo anarchico dei rivoluzionari russi, Cfr. W. Hamil- ton, Leotures on metaphysics, 1859, I, p. 293-294; Nietzsche, Wille zur Macht, 1. I, cop. I. Nirvana. Dottrina propria della religione buddistica; secondo le parole di Buddha stesso, il nirvana à « l’esi- stenza spogliata di ogni attributo corporeo e considerata come la suprema ed eterna beatitudine ». Il nirvana non à dunque l’ annientamento, ma 1’ identificazione dell’ io in- dividualo col principio supremo dell’ universo, lo sprofon- darsi © il confondersi della personalità nell’ esistenza uni- versale. Questo è il fine supremo ο la suprema felicità cui l’uomo deve aspirare: egli non la raggiunge subito dopo la morte, ma dopo un periodo di trasmigrazioni successive dell’ anima sua in altri corpi, periodo che è tanto più breve quanto più esso si sottopone alla penitenza, quanto più pratica la virtà, la carità, l'umiltà, la rassegnazione. Il vocabolo nirrana fu popolarizzato nei linguaggi occidentali dallo Schopenhaner, che lo usò per esprimere il nulla del mondo: «I buddisti impiegano con molta ragione, egli scri- ve, il termine puramente negativo di nirevîna, che è la ne- gazione di questo mondo (sansira). Se il nirvana è definito come niente, ciò non significa se non che questo mondo © sansira non contiene alcun elemento proprio, che possa servire alla definizione o alla costruzione del nirvana... — 761 — NoL-Nom Noi riconosciamo volentieri, che ciò che rimane dopo l’abo- lizione completa della volontà non è assolutamente nulla per quelli che sono ancora pieni di volontà di vivere. Ma per quelli nei quali la volontà s’ è negata, il nostro mondo, questo mondo reale con i suoi soli e con la sua via lattea, che cos'è? Nalla ». Cfr. Max Müller, Die Bedeutung von Nirwana, in « Essays >, 1869, vol. I, p. 242 segg.; Obry, De nirvana bouddhique, 1863; R. Davids, Buddhiem (Wil- liam and Norgate), p. 170 segg.; G. Lo Forte, Budda, 1904, p. 50 segg.; Schopenhauer, Die Welt ale IV. und. Vorat., ed. Reclam, 1. IV, suppl. cap. XLI (v. catarsi, metempsioosi). Nolontà. Lat. Noluntas (Ennio, 8. Agostino, 8. Tom- maso); T. Noluntas, Nolentia, Nolitia ; I. Nolition; F. lonté. Termine poco in uso, ma proposto da alcuni filosoti moderni per indicare non la mancanza di volontà, ma la volontaria resistenza ad una impulsione, l'arresto d’un atto in via di compiersi se la volontà non |’ ostacolasse. Chr. Wolff: nolitio et aversio sensitiva non sunt actiones pri- ratiræ, sed positive. Il Renouvier la contrappone alla rer- tigine normale, che nel meccanismo volitivo è l’attività spontanea sorgente del movimento muscolare, attività di- retta dall’ uomo con un’ azione di arresto, analoga a quella @ un regolatore che apra o chiuda I’ uscita ad una energia che esso non crea. — Molti però non approvano l’ uso di questo termine, anzitutto perchò è un duplicato inutile di inibizione, poi perchè si oppone per la sua forma a vo- lontà, mentre impulsione © inibizione sono i due fattori da cui la volontà risulta. Cfr. Chr. Wolff, Philos. pratica universalis, 1738, I, $ 38; Renouvier et Prat, Nourelle mo- nadologie, 5* parte, art. 91. Nominalismo. T. Nominalismus; I. Nominalism; F. No- minalisme. Si oppone a realiemo, e designa quella dottrina secondo la quale gli universali, cioò i generi e le specie, non hanno alcuna esistenza nella realtà, © soli reali sono gli oggetti individuali e particolari. Vi ha un nominalismo Nom — 762 — medievale o scolastico, e un nominalismo moderno. Il no- minalismo scolastico, che trasse origine da un passo del- l’Isagogo di Porfirio, è di due specie: P uno, che è il no- minaliemo in senso stretto, considera le idee generali come semplici flatue vocis, ciod nomi coi quali ci riferiamo ai vari ordini di cose, sebbene in realtà noi non possiamo mai rappresentarci che degli individui; l’altro, che prende il nome di concettualiemo, sostiene che gli universali, pur es- sendo nomi tomuni designanti qualità che non esistono che negli individui, hanno tuttavia, in quanto concetti, una realtà nello spirito di chi li pensa. Entrambi però si op- pongono al realismo, ed hanno per motto: unitersalia post rem. Il campione più risoluto del nominalismo fa Roscel- line, del concettualismo Abelardo. Nella filosofia moderna il problema della realtà delle idee generali si è spostato: infatti i nominalisti moderni sostengono che il significato del nome generale non è che un sapere virtuale, essendo la possibilità dei singoli conoreti dalla rappresentazione dei quali risulta, e con ciò s’ oppongono ai concettualisti, pei quali il significato del termine generale è un concetto tuale. Fra il numero indefinito dei singoli conereti di cui il nome richisma l’imagino, esso deve essere, secondo i nominalisti, affermato degli uni e negato degli altri; per tal modo il suo significato non consiste che in tendenze e ripugnauze, che risultano da una moltitudine di associa- zioni anteriori. — Una forma radicale di nominalismo è sostenuta oggi in Italia dal Guastella; per esso non esi- stono concetti; noi non possiamo avere altro che rappre- sentazioni di oggetti o fatti particolari, determinati nello spazio © nel tempo; ciò che chiamiamo idea generale ο concetto è semplicemente un nome che può riferirsi a più oggetti individuali simili, « un nome di classe, col corteg- gio delle rappresentazioni associate, pronunciato ο inteso mentalmente ». — Dicesi nominalismo scientifico 1’ insieme delle dottrine contemporanee che, nella teoria della scienza, — 763 — Nom sostituiscono le idee di convenzione, di comodità, di ab- breviazione del lavoro mentale, a quelle di verità e cono- scenza del reale; con l'antico nominalismo logico esso non ha in comune che di rifiutare ogni valore obbiettivo ai nostri concetti, e quindi alle leggi scientifiche. — Dicesi nominalismo sociologico non già, come potrebbe sembrare, la teoria che definisoe la società come una somma d'in- dividui accidentalmente avvicinati, ma quella dottrina che riconduce analiticamente il fatto sociale alla relazione inter“ personale, reciproca e consolidata. Essa fa poggiare la socio- logia comparata sulla psicologia interpersonale. Cfr. Prantl, Geschichte d. Logik im Abendiando, 1855-70, II, 78 segg.; Haureu, Histoire de la phil. soolastique, 1872-80, I, 260 segg.; Exner, Über Nominalismus und Realismus, 1841; Köhler, Realismus und Nominalismus in ihrem Einfluss auf die dogma- tischen Systeme der Mittolalters, 1858; Woodworth, Imagelees thought, « Journal of philos., psychol. and 8. meth. », 1906, n.° 26; Hoernlé, Image, idea and meaning, « Mind », gen- naio 1907; Binet, La pensée sans images, nel vol. L'étude exp. do l'intelligence, 1903; Le Roy, Soience ot philosophie, « Revue de métaph, », nov. 1899; Sur la valeur objeotire den lois physiques, « Bulletin de la Soc. de philosophie », 1901; C. Guastella, Saggi eulla teoria della conoscenza, 1907, I, p. 78; A. Levi, La resurrezione del nominalismo, « Cultura filos. », aprile 1907 (v. concetto, imagine, universali, terminiemo). Nomogonia. L’Ardigd chiama così quella parte della scienza positiva delle leggi morali, che studia la forma- zione storica, graduale e progressiva, delle idealità umane. La parte puramente descrittiva, o delle forme osservate nel presente, dicesi nomografia; la parte che studia le loro trasformazioni relative al tempo © al luogo, dicesi nomo- logia. La nomografia si divide poi in geografica e etno- grafica, in quanto studia la distribuzione delle diversità nomografiche per le varietà dei luoghi e delle razze umane. Cfr. Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 162 segg. " Nox — 764 — Non-essere. T. Nichtseiendes, Nicht-sein ; I. Non-being ; F. Non-être. Sinonimo di nulla, non-ente, non-reale, Inteso in senso assoluto, è impensabile e indefinibile come non è definibile 1’ Essere assoluto. Il nostro Bertini lo compren- deva fra le sue quattordici categorie; altri ancora lo con- siderano come la categoria suprema, superiore all’ Essere. Gli eleatici, ammettendo che ogni pensare si riferisce ad un ente, che forma il suo contenuto, consideravano il non-es- sere o non-ente, τὸ μὴ éév, come tale che non può essere © non può essere pensato; siccome però per ente essi inten- devano la materialità, lo spazio pieno, così per non-ente intendevano lo spazio vuoto, τὸ xevév, e la loro proposizione equivaleva a ciò che lo epasio vuoto non può essere. Gli ato- misti, da Democrito a Lucrezio, ammettevano inveco l’esi- stenza tanto del reale, dell’essere inteso materialisticamente come il pieno, il solido, quanto del non-essere, cioè il vuoto, che è indefinito, e nel cui seno turbinano gli atomi; le cose risultano da una mescolanza del reale e del non-reale. Kant analizzd il concetto del non-essere, distinguendone quattro specie, a seconda che rappresenta la negazione di una delle sue quattro categorie: nell’ordine della quantità, si ha il nessuno, l’ons rationis; nella qualità la privazione, il nihil privativum; nella relazione il vuoto, ene imagi- narium; nella modalità il contradditorio, cio il nihil κο- gaticum. Per Hegel 1’ essere puro è identico al non essere, perchè di esso non si può nulla affermare senza con ciò negarlo, « quindi I’ essere puro è 1’ essere assolutamente in- determinato. Ma l’essere assolutamente indeterminato è l'essere che non è nulla, è l'essere e altra cosa che l’es- were, l’essore e ciò che non è 1’ essere, è in una parola Vessere e la sua negazione, il non-essere ». Nel divenire, Vessere come tutt’ uno col nulla, il nulla come tutt’ uno con l'essere, sono soltanto evanescenti (rerachwindende); il divenire coincide, mediante la sua contradizione in sò, con l’unità nella quale entrambi sono tolti : il suo risultato à — 765 — quindi l'essere determinato. Cir. Hegel, Logique, trad. franc. Vera, $ 87 sogg.; Encykl., $ 89; Ormond, Basal concepts in philosophy, 1896 (v. dialettica, essere, divenire, inane, nulla). Non-euclideo. La geometria euclidea è fondata sul po- stalato di Euclide delle parallele, postulato che si enuncia così: se una retta ne incontra due altre, contenute in uno stesso piano, e forma con queste angoli interni da una stessa parte la cui somma è minore di due retti, tali due rette prolungate indefinitamente #’ incontreranno da quella parte ove la somma dei due angoli è inferiore a due retti La geometria detta non-enclidea presenta idee nuove sulla teoria delle parallele, assumendo per principio fondamentale che il postulato di Euclide non è, in quanto tale, una verità che possa dedursi logicamente dalle altre, ma ne è indipen- dente; esso quindi si può supporre falso, e da tale suppo- sizione si può venire alla concezione di diversi spazi possi- Dili, che non hanno le proprietà dello spazio euclideo. Ctr. Helmholtz, Urprung u. Bedeutung d. geom. Ariome, 1876; Gino Fano, La geometria non euclidea, « Rivista di scienza », vol. IV, 1908 (v. iperapazio). Non-io v. Io. Non-me v. Io. Noo ο Nous. È I italianizzazione del greco νοῦς. che signitica intelletto, pensiero. Fu usato da alcuni, ad es. da Platone, indifferentemente con Logo; tuttavia quest’ ultimo designa più specialmente il pensiero in quanto è unito alla sua espressione verbale. Per Anassagora il vodg è il prin- cipio ordinatore e moderatore del mondo; esso è un ele- mento corporeo, omogeneo in sè, increato, imperituro, jaso in una fine distribuzione in tutto il mondo, ma diverso da tutte le altre materie non solo per grado, es- sendo la più fine, la più leggiera, la più mobile, ma anche per sostanza, essendo materia pensante, che si muove da sù e muove gli altri elementi nel modo che si dà a conoscere nell’ ordine del mondo. Per Platone il νοῦς (ο λογιστιχὀν). Noo-Nor — 766 — © è quella delle due parti dell’anima che corrisponde al mondo dell» idee, quindi l'elemento razionale, la sede del sapere e della virtù corrispondente. Per Aristolele il vo5ç è l’intel- letto, che può essere attivo © passito ; il primo è la pura at- tività intellettuale, l’unità pura, comune a tutti gli nomini © fondamentale, della ragione ; il secondo invece è il ma- teriale della percezione, che deriva dall’ esistenza corporea dei singoli uomini, varia col variare delle loro esperienze, e fornisce alla ragione le passibilità ο le circostanze della sua funzione, Cfr. Platone, Fed., 97 B; Aristotele, Met., I, 3, 984 b; Simplicio, Phys., D., 38 (v. emanazione, intelletto). Noologia. Trattato intorno alla mente; per il Crusius noologia è la psicologia, per l’ Hamilton la solenza della ragion pura, per 1’ Eucken la scienza della vita creatrice dello spirito, per il Mentré l’analisi ο la classificazione dei differenti tipi di spirito, la ricerca dei loro legami e dello loro interazioni. Noologico dicesi di tutto ciò che si rife- risce al pensiero, alla intelligenza, alla ragione. Ampère distingueva le scienze in due categorie fondamentali : noo- logiohe, che trattano delle cose spirituali e di tutto ciò che ha rapporto con lo spirito; cosmologiche, che trattano delle leggi della materia. Cfr. Reid, Works edited by sir W. Ha- milton, 1848, nota A, $ V; Mentré, Lo Spectateur, giugno 1911, p. 284; Ampère, Philosophie des scionoes, 1834. Normale. T. Normal, gewöhnlich ; I. Normal, Customary; F. Normal. In senso rigoroso, è normale ciò che à quale dev’ essore, cid che è conforme alla regola, In generale è normale ciò che si verifica più frequentemente, ciò che si presenta abitualmente col presentarsi di determinate cir- costanze. Nella biologia dicesi normale un organo, una funzione, una struttura, quando, pur rappresentando una eccezione, sia tuttavia protettiva per l'individuo ο per la specie, risultando dall’ adattamento dell’ essere vivente all’ ambiente e alle condizioni d’esistenza (v. anomalia, to- ratologia). — 767 — Nor Normativo, Norma. T. Vormatir, normgebend ; I. Nor- mative; F. Normatif. Dicesi normatiro tutto ciò che concerne una norma, o che corrisponde & una norma, Si adopera tal- volta come sinonimo di imperativo e di obbligatorio, ma er- roneamente, perchè la norma non ha di necessità carattere obbligatorio. La norma si distingue infatti dalla legge, che esprime ed esaurisce la natura propria della cosa, e dalla regola, che è l'enunciazione del rapporto espresso dalla legge, ma colla trasformazione della causa in mezzo e del- l'effetto in fine, quindi col riferimento ad una attività che può intervenire rendendo attuale il rapporto espresso dalla legge; la norma rappresenta invece la modificazione pos- sibile di un soggetto, la quale è avvertita come una esi- genza, come un qualche cosa di desiderabile, ma la cui assenza non implios per sè stessa la non esistenza del soggetto alla cui attività essa si riferisce. La norma im- plica, secondo il Liebmann, la libertà del volere, ossia una potenza capace di elevarsi al di sopra del meccanismo na- turale; le stesse leggi logiche ed estetiche intanto si tra- sformano in legge, in quanto il pensiero e la fantasia sono considerate in dipendenza della volontà, che si propone di raggiungere i fini propri del pensiero e delle funzioni este- tiche. — Il Wundt designa con questo nome quelle scienze le quali, come la logica, la morale e l'estetica, stabiliscono al pensiero o all’azione una norma suprema, che è la verità per la logica, il bene per la morale, il bello per 1’ estetica. Si distinguono dalle altre, dette naturali ο esplicative, perchè non ricercano la causa dei fenomeni ma indagano il fine degli avvenimenti e non hanno una applicazione che nella sfera umana, nella quale soltanto codesti fini possono es- sere concepiti e raggiunti. Si distinguono anche dalle scienze pratiche, perchò queste non si occupano tanto di stabilire una norma suprema, quanto di dettare i mezzi per rag- giungere un determinato stato ο abilità. Cfr. W. Wundt, Ethio, 1886, $ 1 dell’ Introd.; Id., Logik, 1893, II, 513 segg.; Nor — 768 — Liebinann, Gedanken und Thatsachen, 1899; De Sarlo, Causa ο legge naturale, « Cultura filosofica », aprile 1908. Nota o determinazione. Gr. Texuyptov; T. Merkmal ; I. Notion, Nota; F. Notion, Nota. Dicesi di ogni elemento che serve a costituire il concetto. Questo infatti si definisce come la sintesi ideale o tipica d’una cosa o d’un fatto, ottenuta mediante il confronto delle rappresentazioni e l’astrazione delle note identiche. L'insieme delle note di un concetto costituisce, secondo il Mill, quella che noi diciamo I’ es- senza della cosa; secondo altri |’ essenza à data soltanto dalle note permanenti dell'oggetto; per altri ancora 1’ es- senza è il complesso delle qualità primarie della cosa, che indica quello che la cosa è nell’ordine delle altre cose e in relazione nd esse. Fra le note del concetto si dicono comuni quello che si trovano in più altri concetti, proprie quelle che lo distinguono dagli altri con cui ha note co- muni, disparate quelle che se si riducono a concetti a sò non presentano alcun elemento comuno, disgiunte quelle che importano reciproca negazione. Riguardo al valore dello singole note rispetto al concetto, si dice genere quel com- plesso dello note di un concetto, che sono considerate come sostanziali rispetto a tutte le altre; differensa la nota pri- maria costitutiva ed esclusiva di un concetto; proprietà quella che non è primaria ma costitutiva ed esclusiva; at- tributo quella che è soltanto esclusiva; modo quella che è costitutiva soltanto di una particolare specificazione del concetto ; accidente quella che può essere e non essere, con- tenendo il concetto soltanto la possibilità indeterminata di essa. Ad es., nel concetto di triangolo, il genere è la nota essere una figura chiusn rettilinea; la differenza è d'avere tre lati e tre angoli; la proprietà è che i suoi angoli in- terni sommati sono uguali a due retti ; 1’ attributo che gli angoli esterni presi insieme sono uguali a quattro retti; il modo la proprietà pitagorica; l’ accidente l'essere grande © piccolo, disegnato ο reale. Dicesi deferminazione 1’ ope- — 769 — Not-Nou razione con cui si aggiunge una nota ad un concetto, ac- erescendone la comprensione e diminuendone 1’ estensione; astrazione l operazione inversa. Cfr. Aristotele, Rethor., I, 2, 1357 b, 14; Fries, System der Logik, 1837, p. 120 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 105 segg. Nota notae est nota rei ipsius. Formula esposta in più luoghi da Aristotele come principio generale del sil- logismo. Alcuni filosofi, come Kant ο Hamilton, la oppo- sero al principio scolastico espresso nella formula: diotum de omni aut de nullo. Tuttavia la formula kantiana si ri- duce facilmente a quella scolastica, che ciod: ciò che si dice del predicato si predica pure del soggetto, pradicatum pradicati est pradicatum subieoti. Cfr. Aristotele, Kateg., 3, 1 b, 10; Hamilton, Leotures on Logik, 1860, app. VI, 11; Kant, Krit. d. r. Vern., ed. Kehrbach, 253. Noumeno (τὸ νοούμανον = ciò che è concepito dall’ in- telligenza). Vocabolo reso comune dal Kant e già adoperato da Platone parlando delle idee (voobpeva). Se io ammetto, dice Kant, delle cose che siano dei puri oggetti dell’intendi- mento (Verstand) ¢ che tuttavia possono, in quanto tali, esser dati ad una intuizione, quantunque non intuizione sensibile,... tali cose sarebbero chiamate noumeni (Intelligibilia). Il nou- meno è dunque l’intelligibile, la cosa in sè, l'oggetto quale noi supponiamo che esista in sò stesso, senza alcuna relazione con noi; si oppone al fenomeno, che è la par- venza, l’oggetto quale è formato per mezzo della espe- rienza © quale possiamo rappresentarcelo mediante le im- pressioni del senso. Però Kant distingue due specie di noumeni: nowmeni in senso positivo, cioè gli oggetti di una possibile intuizione intellettuale, che 1’ uomo non solo non ha, ma di cui non può vedere nemmeno la possibilità; noumeni in senso negativo, ciod tutte le cose non percepibili coi sensi, quali sarebbero appunto gli oggetti cui noi ri- feriamo le nostre parvenze. Nè la prima nd la seconda specie di noumeni sono conoscibili, poichè di essi non v’ ha 49 — RaxzoLI, Dizion. di scienze filosofiche. Noz — 770 — nd intuizione intellettuale nd intuizione sensibile; chd seb- bene il concetto del noumeno negativo si presenti neces- sariamente al nostro pensiero (in quanto |’ apparenza della cosa presuppone la cosa) esso tuttavia è affatto indeter- minato, è un concetto che serve a limitare le nostre co- gnizioni nella cerchia dei fonomeni. È da notare però che Kant - ed è questo il punto oscuro della sus dottrina — concepisce la cosa in sò come tale, che si trova in rela- zione necessaria col fenomeno, di cui è il sostrato intel- ligibile; nella Critica della rag. pura egli afferma spesso « che le cose hanno una duplice esistenza, fenomenica e noumenica; che esso esistono prima in sò stesse, poi nei loro rapporti con noi; e che la loro esistenza noumenica è il fondamento doi fenomeni che ce le rivelano ». Ora, ciò è fare più che un uso limitativo del concetto di nou- meno; infatti, fenomeno e nonmeno sono così posti, in un - certo senso, come una sola e medesima cosa còlta sotto due aspetti, ora quale è in sò, ora quale appare alla sen- sibilità ο al pensiero. Cfr. Kant, Krit, der rein. Vern., A 248, 287; B 334, 307; Krit. d. prakt. Vern., ed. Kirchmann, « Beleucht. der Anal. », 114-115; Platone, Timeo, 51 D (v. agnosticiemo, conoscenza, limite). ‘Nozione. Lat. Noscere — conoscere; T. Gedanke, Voretel- lung, Begriff; I. Notion; F. Notion. Ha un significato molto vasto 9 molto vago; forse per questo è frequentemente usato in filosofia. Può infatti adoperarsi come sinonimo di iden, di oggetto presente nel nostro pensiero, ma del quale nulla affermiamo o neghiamo; e come sinonimo di principio supremo di ragione, cioò di concetto esprimente una verità universale © necessaria. Qualche volta indica l insieme delle conoscenze elementari che si hanno intorno à un fenomeno o insieme di fenomeni. Nella logica si ado- pera per designare gli elementi che costituiscono la ma- teria del giudizio, e che si esprimono nel linguaggio per mezzo dei termini, come il giudizio stesso per mezzo della — ΤΠ -- Ne. proposizione. L’ Helmholtz distingue nel senso della vista la intuizione ο la nozione (Anschauung), che è la percezione accompagnata dalle sensazioni corrispondenti, dall’ impres- sione (Perception), che è una nozione che non contiene nulla di ciò che non proviene immediatamente dalle im- pressioni del momento, ossia una nozione tale che potrebbe formarsi senza alcun ricordo di ciò che prima si avrebbe veduto, e dalla rappresentazione (Vorstellung), che è l’ima- gine che la memoria ci presenta di un oggetto assente; quindi una sola e medesima nozione può essere accompa- gnata da sensazioni corrispondenti a gradazioni diversis- nime; 9 per conseguenza la rappresentazione e l’impres- sione possono combinarsi in rapporti molto differenti per formare una nozione, Cfr. Helmholtz, Physiolog. Optik, 1867; Wundt, Grundriss d. Payohol., 1896, $ 17 B; Berkeley, Princ. of Human Knowledge, 1871, part. I, $ 142. Nulla. Lat. Nihil; T. Niohte, Nicht-sein; I. Nothing, Non-being; F. Rien, Néant. O'non-essere; fu ammesso da alcuni filosofi e negato da altri. Gli elesti, che primi for- mularono i principii d’identità e di contraddizione, dettero a tali principii un valore ontologico, obbiettivo, cercando di determinare con essi la natara del reale; perciò sosten- nero che l’essere soltanto è, che il nulla non è possibile, © che quindi è impossibile il mutamento e il diventare, i quali implicano la realtà del nulla. Gli atomisti identifi- carono il nulla col vuoto, cioè il puro luogo ο l'estensione pura; Platone, come ammette il correlativo oggettivo di idea, così ammette anche la realtà del nulla (non = materia) come correlativo della idea del nulla; gli eraclitei, infine, opponendosi agli eleati, considerano il nulla come principio del diventare. L'antica disputa tra gli elenti © gli eraclitei si rinnovò nei tempi moderni tra 1’ Herbart, che nega il divenire in quanto implica In realtà del nulla, © 1’ Hegel che identifica l'essere affatto indeter- minato col nulla, « Il puro essere, dico 1’ Hegel, forma il NUM — 772 — cominciamento, perchè esso è così pensiero puro, come è, insieme, l'elemento immediato, semplice © indeterminato; ο il primo cominciamento non può essere niente di me- diato e di più precisamente determinato. Ora, questo puro essere è la pura astrazione, o, per conseguenza, è l’ asso- lutamente negativo, il quale, preso anche immediatamente, è il nulla, Reciprocamente, il nulla, considerato come co- desto immediato eguale a sò stesso, è il medesimo che l'essere. La verità dell’ essere come del nulla è perciò l’unità d’en- trambi. Questa unità è il divenire ». Ad ogni modo, si può osservare contro la teoria eleatico-herbartiana, che il prin- cipio di continuità elimina dal divenire la nozione del nulla introducendovi quella del differenziale, e cho d’altro canto la realtà del divenire senza il nulla è provata dai princi, della persistenza della forza, della indistruttibilita della ma- teria, ece.; contro 1’ Hegel, che il correlativo oggettivo del nulla è la negazione, e che l'essere affatto indeterminato è una negazione satratta, la quale non si pensa nel divenire reale, ove ogni negazione (della realtà preesistente) è un nuovo essere e una nuova determinazione. Cfr. Sesto Em- pirico, Adv. Math., VI, 65, 77 sogg.; Diogene Laerzio, IX, 44; C. Wolff, Vernitnftige Gedanken, 1738, I, $ 28; Hegel, Eneyklopädie d. philos. Wissensoh., 1870, $ 86-88; Rosmini, Pricologia, 1846, vol. I, p. 274-75; Masci, Logica, 1889, p. 54 segg. (v. essere, divenire, inane, negazione, non-essere). Numero, T. Zahl; I. Number; F. Nombre. Data l'idea di unità © la proprietà che essa possiede di poter essere aggiunta a sò stessa, da questa successiva addiziono si ottiene una serie di quantità determinate, che è il numero. Numerus est acervus ex unitatibus profueus, dice Boezio. La serie dei numeri è #llimitata © discontinna o disoreta: il- limitata perchè l'operazione mediante la quale formiamo un nuovo numero, cioò l'aggiunta di una unità, è sempre identica a sè stessa; discreta perchè si passa da una unità a un’altra senza transizione, per quanto il passaggio possa — 773 — Num essere impiccolito mediante numeri frazionari; questo pas- saggio non potrebbe sparire se non nel caso in cui l’unità su cui si opera fosse nulla, ma ciò è contro l'ipotesi. Il numero è quindi una quantità discreta, ο perciò da prin- cipio il numero è concepito come avente un carattere es- senzialmente conoreto; solo più tardi si concepirono nu- meri astratti, i cui elementi, se sono semplici unità senza comprensione, mantengono però il loro carattere di unità, cioè d’individualità distinta da tutte le altre. Soltanto nel calcolo differenziale il numero è concepito come una quan- tità continua, colla supposizione arbitraria d’una quantità infinitamente piccola, minore d’ogni quantità data senza però essere nulla. — Nella storia della filosofis al numero fa ‘attribuita una importanza metafisica, specie nei sistemi di Pitagora, di Platone e di Giordano Bruno. Peri pita- gorici i numeri non sono soltanto la forma secondo cui son fatte le cose, ma costituiscono la vera essenza delle cose stesse, talchò tutto in sostanza è numero; il numero di- spari ο illimitato è l’imperfetto, cioè il male, il numero pari ο limitato è la perfezione, cioè il bene; l’arinonia, cioè l'unione dei contrari, forma le singole cose ο il mondo intero. In Platone la teoria dei numeri non è che la tra- duzione della teoria delle idee; egli distinguo i numeri sensibili, cioè le coso reali © contingenti, i numeri mate- matici, immobili ed eterni, propri del mondo intellettuale, ο i numeri ideali, ciascuno dei quali è essenza e corrisponde ad una determinata classe di esseri; i numeri ideali gene- rano quindi i sensibili ed i matematici, ed essendo concreti non possono-dar luogo ai calcoli. Giordano Bruno, infine, considera l’universo come un sistema di numeri; l’ ui verso è uno, sebbene sia infinito © consti d’infinite parti, in ciascuna delle quali abita la forza infinita, la quale si presenta come triade: Potenza, Sapienza, Bontà. In ciò Bruno riflette lo spirito del Rinascimento, nel quale, per P intlusso delle antiche dottrine platoniche ο neo-platoni- Num — T4 — che, i numeri @ il loro ordinamento si ripresentano come elementi essenziali del mondo fisico, contro la dottrinn aristotelico-stoica delle forze qualitativamente determinate, delle forme interne degli oggetti, dello qualità occulte. Il libro della natura appare scritto in cifre ο I’ armonia dello cose quella del sistema dei numeri; tutto è ordinuto da Dio secondo la misura ο il numero, ogni vita è uno svi- luppo di rapporti matematici. Questo matematicismo ra- sionalistico -- che diventa una fantastica mistica dei numeri in Bouillée, in Cardano, in Pico, in Reuchlin - non mancò di continuatori nei secoli successivi; ancor oggi Ermanno Cohen proclama che « il’detto profondo di Pitagora, fl nu- moro è la misura di tutte le cose, rimane sempre V’ eterna guida del pensiero, perchè il numero è il principio della produzione del contenuto, è la sorgente perenne onde sca- turisce l'oggetto ». Ma nel pensiero moderno e contempo- raneo, il problema del numero è un problema essenzial- mente gnoseologico, la cui soluzione è cercata ora nel razionalismo leibniziano, ora nell’ intuizionismo kantiano. Per il Wundt il vero sostegno dell’ idea di unità, da cni ha origine il concetto del numero, è il singolo atto del pensiero, der einselne Denkact ; la funzione del numero non è che una particolare manifestazione della funzione logica del pensiero, che collega i singoli utti mentali, astraendo totalmente dal loro contenuto ; ogni cifra rappresenta quindi una serio di atti mentali di qualsivoglia contenuto, o che si sono realmente succeduti, 0 la cui successione si indica come un problema, la cui soluziono deve avvenire nella stessa maniera onde il nostro pensiero riunisce continua- mente rappresentazioni singole in una aggregazione di unità: « Il concetto di numero è ciò che rimane come co- stante dopo l'eliminazione di tutti gli elementi variabili, il legame dei singoli atti di pensiero in quanto tali, astra- zion fatta da ogni contenuto ». Per il Jerusalem l’origine del concetto di numero sta da un lato nelle proprietà ob- — 1% — Num biettive delle cose, dal’ altro nella funzione del giudizio; gruppi di oggetti somiglianti debbono prima attrarre la nostra attenzione; l'osservazione di tali gruppi ci obbliga poi a ripetere un identico giudizio denominativo; ma la ripetizione non è arbitraria, bensì è determinata dal nu- mero degli individui compresi nel grappo: « Ogni numero è una sintesi. Esso consiste di unità, ma è un tutto che riunisce in sè i singoli oggetti ο mediante tale riunione diventa un nuovo centro dinamico, nel quale sono imma- nenti le forze create primitivamente con tale riunione. Ma tale sintesi raggiunge sufficiente stabilità solo a condizione che il gruppo permanga sempre riunito e con la ripetizione dei singoli atti giudicativi venga di nuovo intuito ο con- cepito insieme come una totalità ». Per il Masci il numero non è una intuizione ma una epicategoria, in quanto è una forma generale della quantità senza individualità propria, una determinazione implicita nell’ idea di qualsivoglia ente reale come tale: « Tutto ciò che è reale è numerabile, e insieme il namerare è la forma pid generale e più estrin- seca della funzione di sintesi e di analisi in cui consiste il pensare. Ma come sintesi ed analisi estrinseca è indif- ferente alla qualità ¢ alla natura della realtà. In questo carattere estrinseco, aggregativo, che distingue quel pen- sare che è numerare, sta la differenza tra l’idea di nu- mero e le altre due categorie (di sostanze e di causa), e per questo si può dire che il numero sia una categoria av- ventizia, una epicategoria ». Cfr. Aristotelo, Metaph., XIII, XIV; Alb. Magn., Summa thool., I, qu. 42, 1; Kant, Arit. d. rei. Fern, A 143, 147, B 182, 186; Michaëlis, Über Kants Zahlbegrif, 1884; Id., Über Stuart Mille Zahlbegriff. 1888; Helmholtz, Zahlen und Messen, in Philos. Aufaiitze, E. Zeller gewidmet, 1887; Wundt, Logik, 1898, I, 468; Jerusalem, ie Urteilafunotion, 1895, p. 254; Couturat, Je l'infini mathématique, 1896 ; Id., art. in Revue de Métaphysi- que, 1898, 1899, 1910; Whitehead et B. Russel, Principia Num-0BB — 776 — mathomatica, 1910; A. Lalande, Letture sulla filosofia delle scienze, trad. it. 1901, p. 66 segg.; F. Masci, Sulla natura logica dello conoscenze matematiche, 1885 (v. infinitesimale, matematica, quantità). ο O. Nella logica formale designa le proposizioni partico- lari negative (qualche 4 non è B); nella logica dell’ Hamil- ton designa le proposizioni parti-totali negative (qualche 4 non è nessun B). Obbiettivare. T. Objektiviren; I. To objective; F. Obiec- tiver. Considerare il soggettivo come oggettivo, porre fuori di noi ciò che è in noi. Obbiettivare il dato della sensa- zione (percezione) significa proiettare al di fuori della co- scienza le modificazioni prodotte dai sensi sulla coscienza medesima; o in altre parole, riferire la sensazione ad una causa oggettiva. L’allucinazione consiste nell’obbiettivare falsamente le modificazioni della propria coscienza, nel ri- ferire il dato soggettivo ad una causa oggettiva che non esiste. Schopenhauer chiama il mondo un obiettivarsi del volere, e il mondo la sua obbiettità. Cfr. Riehl, Der philo- sophisohe Kriticiemus, 1876, II, 2, p. 56; Ardigò, 1 fatto psicologico della percezione, in Opere fil., IV, 1907, p. 357 segg.; Schopenhauer, Die Welt a. W. u. Vorst, ed. Re- clam, I, $ 45, 30 (v. oggetto). Obbiettivismo v. oggettivismo. Obbiettività. T. Objektivität; I. Objectivity; F. Objecti- cité. Carattere di ciò che è obbiettivo. Designa comune- mente l'attitudine a cogliere il significato reale delle cose ο dei fatti, a giudicare gli uomini ο gli avvenimenti in- dipendentemente dalle proprie attitudini mentali, dai pro- pri sentimenti, inclinazioni e passioni. Nella psicologia per obbiettività della percezione s'intende il suo riferimento della modificazione organica (sensazione) alla causa che — T7 — Ons VP ha prodotta, per cui si pone come esterna al soggetto senziente la realtà di un oggetto che agisce come stimolo. Cfr. Ardigò, Il fatto psicologico della percesione, Op. til., IV, 1907, p. 357 segg.; Laas, Idealismus und Positiviemus, 1884, III, p. 45-68. Obbiettivo v. oggettivo. Obbietto v. oggetto. x u Obbiezione. T. Einwurf, Einwand; I. Obieotion; F. Objection. Argomento che si pone innanzi per abbattere una opinione, una dottrina, ο per dimostrarne la parziale falsità. Del suo uso nelle discussioni, dice il Rosmini: « Chi obietta deve produrre un’ obiezione alla volta, e non passare ad una seconda fino che la prima non è chiarita efficace ο inefficace ». Cfr. Rosmini, Logica, 1858, $ 856. Obbligasione. T. Verpflichtung ; I. Obligation; F. Obli- gation. Da principio l'obbligazione è un legame di diritto, in virtù del quale una persona è costretta verso un’altra a fare o non fare qualche cosa: vinoulum jurie quo neces- sitate adstringimur alicujus rei solvende. Dal punto di vista morale l'obbligazione è la coscienza che l’uomo, in quanto essere capsce di scelta tra il bene e il male, ha di dover obbedire a una norma; si suol definire come una restri- zione della libertà naturale, prodotta dalla ragione, i cui consigli sono altrettanti motivi che determinano gli uomini ad agire in un modo piuttosto che in un altro. L’obbli- gazione è dunque la necessità propria delle leggi morali, e della massima fra tutte, la giustizia. L’obbligatorietà propria della giustizia, è la giustizia interiore, che non differisce sostanzialmente dalla esteriore o sociale; il ri- spetto che si ha dentro di sò per la giustizia, non è in- fatti che un’eco del rispetto che si ha per ogni idealità sociale che la rappresenti. Ora tale rispetto s’ impone tanto, che la giustizia è, nell’ uomo morale, obbligatoria per sè stessa, cioò acquista un’ etticacia morale direttiva nel dominio stesso dello pure intenzioni. È, dice l’Ardigò, Occ — 778 — un senso di tensione, un’espansione interna, invincibile, un bisogno di compiere le nostre ideo mediante gli atti, senza di che il senso di obbligazione non è perfetto e non è propriamente completo il pensiero; la sua origine sta nella ricordanza assommata e indistinta del dolore provato eseguendo atti che riescono di danno ai consoci, cosicchè il dovefe morale, in ultima analisi, nasce dal dovere giu- ridico fino a diventare una forma costituzionale della psi- che dell’individuo. Cfr. Planiol, Traité de droit civil, 3* ed., I, p. 678; Ardigò, La morale dei positivisti, 1892, p. 122 segg.; R. Bianchi, L’obbligasione morale, 1903; G. Fulliquet, Essai sur Vobligation morale, 1898; Fred Bon, Über das Sollen und das Gute, 1898. Occasionali (cause) v. cause occasionali. Occasionalismo. T. Ocoasionaliemus ; I. Oocasionalism ; F. Ocoasionalisme. La dottrina delle cause occasionali, se- condo la quale causa vera e prima d’ogni accadere è Dio, mentre i singoli eventi sono soltanto occasioni per altri eventi, ma non li producono; con essa specialmente si ceroò di risolvere il dualismo posto da Cartesio tra l’anima e il corpo. Questa dottrina, sostenuta dal Clanberg, Geu- liner e Malebranche, si oppone a quella cartesiana del- Vinflusso fisico, fondandosi specialmente sopra la ragione che, non essendo possibile che operi chi non ha la co- scienza di operare, un influsso reciproco tra anima e corpo è impossibile, perchè I’ uomo non può averne coscienza. D'altro canto, nessun corpo ha la forza di muovere sè stesso, e uno spirito finito non può col mezzo della pro- pria volontà muovere nessun corpo. Tra spirito e corpo non c'è dunque alcun rapporto. Essi soffrono ed operano quei cangiamenti, che in loro avvengono, ognuno da sè, nell’ambito proprio e secondo leggi proprie. Eum, qui cor- pus et mentem unire roluit, simul debuisse statuere et menti dare cogitationes, quas obsercamus in ipsa ex oocasione mo- tuum sui corporis esse, el determinare corporis eius ad eum — 779 — Occ modum, qui requiritur ad eos mentis voluntati subiciendos. Davanti al mondo lo spirito è un inerme spettatore ; ma Dio fa sì che quando succede un cambiamento nello spi- rito, cioè nel pensiero, ne succeda uno di corrispondente nel corpo, cioè nell’estensione, e viceversa; i due orologi costruiti allo stesso modo dallo stesso artefite ~ secondo l’imagine del Geulinox, che più tardi Leibnitz volle riven- dicare a sò - 8’ accordano perfettamente ma non per virtù loro, absque nulla oawsalitate, qua alterum hoo in altero cau- sat, sed propter meram depentiam, qua utrumque ab cadem arte et simili industria constitutum est. Cfr. Clauberg, Opera philosophioa, 1691, p. 219, 221; Pfleiderer, Leibnitz und Geu- linez, 1884; La Forge, Traité de Vesprit de l'homme, 1674, Pp. 129; Geulinox, Opera philosopkioa, 1891, I, sez. Il, § 2; Malebranche, De la recherche de la verità, 1712, II, 6, 7, III; L. Stein, Antike und mittelalterliche Vorläufer des Ocoasio- naliemus, 1899 (v. occasione, cause occasionali). Occasione. T. Gelegenheit, Veranlassung; I. Oocasion: F. Oocarion. Nel linguaggio comune è il concorso fortuito di circostanze favorevoli alla produzione di un avveni- mento. Si distingue dalla condisione, che è una circostanza senza la quale l’effetto non si sarebbe prodotto, e dalla causa, considerata come la produttrice diretta e necessaria dell'effetto. Il Malebranche per occasione intendeva sem- plicemente l’antecedente costante di un fatto, non la causu efficiente del fatto. L'unica causa efficiente è Dio; nel mondo sensibile o materialo non vi sono nè forze, nè forme, nd capacità, nd vere qualità da cui possa risultare l’effetto; vi sono soltanto occasioni che Dio fa succedere affine di operare in questa o quella materia. Cfr. Male- branche, Entretione métaphysiques, 1871, VII, 159 segg. Occulto. T. (ieheim, Occult; I. Ucoult; F. Ocenlte. Si dicono occulte le scienze, o pretese scienze, che hanno per oggetto la conoscenza del futuro, la sua predizione, e il compimento di azioni che escono dalle leggi ordinarie della Occ — 780 — natura. Si distinguono in dirinatorie, che cercano scoprire l'avvenire mediante }’ interpretazione di certi segni ο av- venimenti, e tali sono la mantica, la chiromanzia, l’astro- manzia, ecc.; e in taumaturgiche, quali la cabbala, la ma- gia, l’ermetica, la demonologia, che hanno lo scopo di allontanare il male e procurare il bene, mediante regole e pratiche speciali. Diconsi potense ocoulte gli esseri imagi- nari e nascosti con cui si spiegarono i fenomeni naturali, qualità ooculte quelle che si presentano allo spirito come una proprietà data, irreducibile © inesplicabile, cause oc- culte quelle forze inosservabili, sia sovrannaturali che na- turali, con cui, nella filosofia medievale, si credeva spiegare la natura delle cose. Ls dottrina delle qualità occulte, delle forze qualitativamente determinate, è caduta nel Rinasci mento, il quale, sotto l'influsso della letteratura antico, specialmente delle opere neo-pitagoriche, sostituisce ad essa il concetto quantitativo ο numerico : il libro della natura è seritto con cifre, l'armonia delle cose d'quella del sistema numerico, tutto è ordinato da Dio secondo la misura e il numero, ogni vita è uno sviluppo di rapporti matematici. Questo principio, liberato dallo strano simbolismo che rag- giunge il vertice in Bouillé, Cardano, Pico, ece., costituirà poi la base metodica della scienza moderna. Tuttavia, V espressione qualità ooculte è sopravvissuta per molto tem- po, e fu adoperata anche dal desismo agnostico per indi- care le forze prime e sconosciute dei fenomeni: On dest moqué fort longtemps, dice il Voltaire, des qualités oooultes ; on doit se moquer de ceux qui n'y croient pas. Répetons cent fois que tout principe, tont premier resnort de quelque autre que ce puisse être du grand Demiourgor, est occulte et caché pour jamais au mortels. Ce plomb ne deviendra jamais argent; cet argent ne sera jamais or ; cet or ne sera jamais diamant Quelle physique corpusoulaire, quels atomer déterminent ainsi leur nature? Voun n’en sarez rien; la cause sera éternellement occulte. Tout ce qui vous entoure, tout ce qui est dana vous, — 781 — Ori-OG& est un énigme dont il went pas donné à l’homme de deriner le mot ». Cfr. Voltaire, Œurres complètes, 1817, t. II, par. II, p. 1471; Schopenhauer, Satz rom Grunde, 1878, $ 20; Net- tesheim, Philosophia occulta, 1510. Ofiti. Uno dei nomi col quale fu indicata la Gnosi nel primo nascimento, e col quale si alludeva al culto del ser- pente, la cui dialettica aveva talmente intrecciato il bene col male, che l'uno non poteva distinguersi dall’altro. — Dicesi offolatria una specie della zoolatria, ο adorazione degli animali, propria di alcune religioni dei popoli primi- tivi e selvaggi; essa consiste nel culto dei serpenti, e si riscontra nell'antica religione egiziana e nelle religioni di alcuni popoli selvaggi dell’Africa. Cfr. Honig, Die Ophi- ten, 1889. Oggetti (teoria degli). 'T. Gegenstandtheorie. Espressione usata primitivamente dal Meinong, e adottata poi dalla sua scuola, per indicare quella forma contemporanea di razionalismo, che sostiene la necessità dello stadio dei puri oggetti del pensiero, come le somiglianze, le uguaglianze, le diversità, i complessi, le relazioni matematiche; ossia di quelle essenze razionali, che si possono elaborare a priori, indipendentemente da ogni considerazione d’esistenza ob- biettiva, e che non possono quindi essere oggetto delle scienze empiriche, le quali trattano invece della realtà esistente obbiettivamente. La teoria degli oggetti non esi- stenti (tra i quali il Meinong include persino gli oggetti impossibili, come il quadrato rotondo, la materia ineste- sa, ece.) ha una sfera propria, che, tende ad allargarsi sempre più, fino a raccogliere tutte le conoscenze a priori; queste non stanno in antagonismo con le conoscenze em- piriche, ma le integrano, come mostra la matematica ap- plicata; ma per quanto le due forme di conoscenza in pratica possano compenetrarsi, si devono tener distinte teoricamente le due afere, per poter meglio elaborare e raf- finare i mezzi di ricerca, tenendo presenti i loro caratteri Oa — 782 — distintivi. Cfr. Meinong, Ameseder, Mally, ecc., Untersu- chungen sur Gegonstandtheorie und Psychologie, 1904; 8. Te- deschi, Un’ equivalente aprioristica della metafisica, « Riv. filo- sofica », 1908, vol. XI, p. 289 segg.; Losacco, La teoria degli obietti ο il rasionalismo, « Cultura filosofica », 1910, fasc. IV, p. 184 segg.; Aliotta, La reazione idealistica contro la soienza, 1912, p. 372-385. Oggettivismo. T. Objektiviemus; I. Objoctiviem ; F. Obie- cticieme. Dati i vari © spesso opposti significati della pa- rola oggetto, anche il termine oggettirismo può essere va- riamente applicato. In generale designa quei sistemi filosofici che identificano la cognizione con l’Essere, e pongono quindi come unica la verità e la scienza nell’oggetto ο nel soggetto; e quelle dottrine morali che ammettono che la moralità ha una esistenza propria, al di fuori e al di sopra delle opinioni, della condotta e della coscienza de- gi individui. Nel linguaggio comune, l’oggettivismo è l’at- titudine a vedere le cose come sono, a giudicarle serenn- mente, a non deformarle per partito preso o per ristrettezza di spirito. Oggettivo. T. Objektiv; I. Objective; F. Objectif. Si op- pone a soggettiro © designa tutto ciò che riguarda I’ og- getto ο che esiste come oggetto. Avendo il termine oggetto mutato radicalmente di signifiesto, anche il termine og- gettivo assunse significazioni diverse. Nella lingua della scolastica, da Duns Scoto in poi, per oggettivo #’ intende non una realtà sussistente in sò stessa, bensì ciò che co- stituisco una rappresentazione della coscienza; questo si- gnificato rimane fino al Baumgarten, ma alcuni, come il Renouvier, vorrebbero continuar a chiamare oggettivo « ciò che si offre come oggetto, ciod viene rappresentati- vamente nella coscienza, e soggettivo ciò che è della na- tura del soggetto, sia d’un rappresentato qualunque in quanto la conoscenza vi scorge qualche cosa di distinto dal suo atto proprio, e d’un supposto dato în qualche — 783 — Oca modo fuori di essa, senza di essa ». In generale però oggi dicesi oggettivo ciò che è esteriore alla coscienza, che è al di fuori del pensiero, che esiste indipendentemente dal pensiero. Il metodo oggettiro nella psicologia, si contrap- pone al soggettivo ο introspettico, e consiste nello studio dei fatti psichici quali si manifestano negli altri uomini, negli animali, nell’individuo normale e nell’anormale, nel fanciullo ο nell'adulto. Cfr. Eucken, Geschichte d. phil. Terminologie, 1879, p. 68, 203, 134; Renouvier, Essais de Critique gen., Logique, cap. I; Bechterew, Les problèmes et les méthodes de la peychologie objective, « Journal de Pey- chologie », nov. 1909; Kostyleff, Les travaux de l’école pey- chologique russe, « Revue philosophique », nov. 1910; Liard, La science positive οἱ la métaphysique, 1879, 1. II, cap. I, II. Oggetto. T. Gegenstand, Objekt; I. Objeot ; F. Objet. Si op- pone a soggetto, ed è la traduzione latina del greco ävzı- xelpevoy, usato dla Aristotele. Però lo Stagirita usava que- sto termine in un senso affatto opposto al nostro e ciod per designare ciò che è pensato, ciò che è rappresentato © nella coscienza; usava invece il termine 5xoxelpevoy (che i latini tradussero subiectum) per indicare ciò che è reale, la sostanza che è il sostrato dell’azione, l'essere unico © identico che si manifesta nei fenomeni multipli ο muta- bili. Tale siguificato si mantenne durante tutto il me- dicevo ο si trova ancora in Cartesio e Spinoza. Così per Cartesio la realtà oggettiva è quella dell’iden sola, ο della cosa in quanto non è considerata che nel pensiero; egli chiama poi realtà formale ο attuale quella dell'oggetto stesso delle nostre idee © realtà eminente quella che è su- periore sia all'idea che all'oggetto, e contiene in potenza ciò che in essi è di fatto. Spinoza l’ usa nello stesso si- gnificato: « Un'idea vera deve corrispondero esattamente all'oggetto che essa esprime, ossin (e ciò facilmento si comprende da sè) che ciò che è contenuto oggettivamente nell’ intelligenza deve necessariamente esistero nella na- Occ * — 784 — tara ». E anche il Berkeley: « I fenomeni naturali non sono che apparenze naturali, ο son dunque quali li ve- diamo e li percepiamo. La loro natura reale e la loro na- tura oggettiva sono dunque identiche ». Ma nel sec. XVIII ο al principio del XIX, il significato dei due termini mutò radicalmente, ο d’allora in poi per oggetto si intese ciò che è reale, che esist in sè, indipendentemente dal pensiero, © per soggetto l'io che pensa, che rimane uno © identico attraverso i suoi fenomeni mutevoli e multipli. Questo cambiamento nel significato assunto dai due termini, è do- vuto principalmente a Kant e a Fichte, col primo dei quali assunse tanta importanza il problema della cono- scenza, ossin dei rapporti tra il pensiero e la realtä. « Spatium non est aliquid obiectivi, seu realise, dice ad es. Kant, sed eubjectioum et ideale, et natura mentis stabili lege proficiscens ». Però la distinzione tra soggetto © oggetto deve essere intesa come una distinzione di diritto; ossia l'oggetto non può essere, in senso assoluto, cid che è in sò stesso, fuori del nostro spirito e d’ogni spirito, perchè un'esistenza che non è affermata da una coscienza ο spi- rito è inconcepibile; © nemmeno ciò che è rappresentato in comune da tutti gli spiriti, perchè tale accordo può anche verificarsi per ciò che è falso; bensì, ciò che è il fondamento stesso dell’accordo degli spiriti, ciò che è in «2 nella nostra coscienza © in tutte le coscienze, per op- posizione non a ciò che è fuori d’ogni coscienza, ma a ciò che, in una coscienza qualunque, è pura rappresentazione contingente e passeggera. Cfr. Aristotele, De an., III, 2, 426 b, 8; Id., Metaph., IV. 5, 1010 b, 33 segg.; Encken, Gesch. d. phil. Terminologie, 1879, p. 134, 204; Cartesio, Medit., 1685, III, 11; Spinoza, Ethica, 1677, 1. I, teor. xxx, dimostrazione; Berkeley, Siri, $ 292; Kant, De mundi sensibili atque intelligibilio forma et principiie, $ 15: Id.. Krit. d. rein. Vern., A 780, B 808; Fichte, Grundlage d. ger. Wissenschaftelehre, 1802, p. 20-40, 131 segg.; Bulletin de la — 1785 — ους soc. française de phil., giugno 1912 (ν. conoscenza, coscienza, criticiemo, io). Olfattive (sensazioni). T. Geruchsempfindungen; I. Sen- sations of emell; F. Sensations olfaotives. Hanno per organo la regione superiore delle cavità nasali, per stimolo le par- ticelle delle sostanze odorose trasportate dalla corrente aerea a contatto con le superfici olfattive, per contenuto l’odore. Le qualità degli odori sono, a differenza dei sapori, in nu- mero straordinariamente grande, tantochè non solo manca una vera classificazione scientifica e una scala degli odori (la classificazione più accettata è ancora quella di Linneo) ms non siamo neanche capaci di segnalare con appellat diversi le qualità differenti degli odori, e per esprimerci dobbiamo servirei dei nomi delle sostanze vegetali ο ani- mali che li emanano. Si suol distinguere la finezza del- l'olfatto, ossia la cnpacità di distinguere le piccole diffe- renze d’intensità degli odori, dall’acuità olfattiva, ossia la capacità di percepire minime quantità di sostanze odorose; quest’ultima si misura per mezzo dell’olfattometro, deter- minando i valori liminali dell’eccitamento olfattivo rispetto ai singoli odori. Dicesi ogfresologia (ὄσφρεσηις = odorato) quella parte della psicologia che ha per oggetto lo stu- dio delle sensazioni olfattive; anosmia (ὀσμή =. odore) l’in- capacith, congenita o aequisita, di percepire gli odori; paraosmia le sensazioni olfattive allucinatorie; iperosmia l'abbassamento abnorme della soglia della sensibilità del- l'olfatto, per cui possono essere avvertiti odori che normal- mente non si avvertono. Una caratteristica delle sensazioni olfattive, sta nel loro legame con la sfera dei sentimenti; tutti gli odori che funzionano come stimoli determinanti riflessi nella sfera della vita vegetativa e riproduttiva de- terminano costantemente un sentimento di piacere. Un’al- tra caratteristica sta nella loro capacità di rievocare per associazione l’imagine visiva di Inoghi e di avvenimenti. Cfr. Cloquet, Osfresologie, 2° ediz. 1821; Zwardemaker, 50 — RanzotI, Dizion. di scienze filosofiche. OLI-OnE — 786 — Physiologie des Geruches, 1895; Nagel, Revue scientifique, 8 « 15 maggio 1897. Oligarchia (ὀλίγος = pooo). Forma di governo, in cui il potere supremo risiede nelle mani di pochi individui appartenenti all’aristocrazia. Platone la distingueva però dall’aristoorasia, perchè mentre in questa una classe go- verna nell’ interesse comune, nell’oligarchia governa invece nell'interesse proprio. Cfr. Platone, Repubblica, V ο VI (v. aristocrazia, demoorasia). Omeomeria (ὁμοιομέρεια). Elementi primitivi non per- cettibili, divisibili all’ infinito e qualitativamente differen- ziati, con la cui aggregazione Anassagora spiegava la formazione dei vari esseri. Le omeomerie sono dunque verse dagli atomi di Democrito, indivisibili e privi di ogni differenza qualitativa, e diverse pure dagli elementi di Em- pedocle, differenziati in quattro sole qualità primitive. Per Anassagors ogni qualità è originariamente sostantiva: il ferro, il legno, le ossa, il sangue, ecc., sono composti di particelle similari ed originariamente costituite così. Da principio queste particelle erano mescolate tutte insieme, in una specie di caos universale; perchè le diverse cose potessero formarsi, era necessario che il movimento si in- troducesse nella massa infinita e indifferenziata, distin- guendo ciò che era confuso e producendo le forme diverse; ora, la causa di questo movimento è, per Anassagora, un’al- tra materia speciale e singola, più leggera e più fina degli elementi, capace di muoversi da sè e quindi di natura pei- chica, autrice della bellezza e dell’ordine del cosmo e quindi intelligente: tale materia pensante Anassagora chiama ra- giona ο intelligenza, vodg. Dal momento in cui essa penetrò nel caos, il turbine della vita si estese in successive spi- rali in tutte le regioni del mondo, continua ancora, come indica la rotazione del cielo, ο continuerà senza interru- zione. Il nome di omeomerie fu dato alle qualità primitive da Aristotele; Anassagora le chiamava invece semi (σπέρ- — 787 — OMN para). Cfr. Aristotele, De gen. et corr., I, 1; Simplicio, In Phys. Arist., {. 38; Lucrezio, De rer. nat., I, 890. Omniscienza. T. Allwissenheit ; I. Omniscience ; F. Om- niscience. Uno degli attributi della natura divina. Si deve intendere nel senso che Dio conosce non solo ciò che è accaduto nel passato e che socade nel presente, mn anche ciò che accadrà nell’avvenire; e che codesta conoscenza è diretta, immediata, perchò Dio non vede gli avvenimenti del mondo fuori di lui, come uno spettatore, ma li cono- sce in sò stesso, perchè egli n'è l’autore. L’omniscienze si basa sal principio della perfezione divina. Aristotele, infatti, aveva già detto: « Dio non è altro che l’attualità dell’i telligenza; tale attualità presa in sò stessa ne costituisce la vita perfetta ed eterna ». E 8. Tommaso: « Intendero e conoscere è la essenza medesima di Dio, éntelligere Dei est sua essentia ». E da notare però, che la concezione ari- stotelica di Dio come pensiero che pensa sò stesso, come pensiero del pensiero, era stata sviluppata da alcuni suoi di- scepoli nel senso, che Dio non conosce nessun altro oggetto che non sia il suo stesso pensiero, e quindi non conosce il mondo. Contro questa illazione insorsero prima i Padri, poi S. Tommaso, per il quale Dio, che ha distinta coscienza di sè medesimo e delle sue perfezioni, conosce anche le cose create e periture, vedendole però nella sua infinita essenza. L’uomo non può conoscere i corpi se non fanno impres- sione sopra i suoi sensi; ma a Dio basta contemplare ln propria illimitata potenza, perchò in lui, fonte prima ed sesoluta della vita, tutti gli esseri si concentrano come of- fetti nella loro causa, unde cum virtus divina ne estendat ad alio, eo quod ipse est prima oausa effectiva omnium entium, necense est quod Deus alia a #2 cognoncat. Analogamente dice il Bossuet: « Dio non intende che sò stesso, e tutto intende in sè stesso, perchè tutto quello che egli è, ο da lui si di- stingue, si ritrova in lui come nella propria causa ». Cfr. Aristotele, Metaph., XII, 9; Gerson, De consol. theologie, in Omo — 188 — Opera omnia, 1706, t.1; 8. Tommaso, 8. Yheol., I, q. 22, a. 2; Leibnitz, Essais de Théodioée, 1710, © la Corrispondance aveo Clarke, 1715-16; Bossnet, De la connaissance de Dieu, ο. IV, art. 8 (v. prescienza). Omogeneo. T. Gleichartig ; I. Homogeneous; F. Homo- gène. Cid che è composto di parti ο elementi qualitativa mente identici ; si oppone ad eterogeneo, che è ciò le cui parti sono di natura differente. Lo spazio ed il tempo sono, se- condo alcuni filosofi, essenzialmente omogenei, perchè la dif- ferenza delle loro parti può essere nella grandezza non nella qualità. Secondo lo Spencer il processo evolutivo, sia 00- smologico che biologico e sociologico, consiste in un pas- saggio dall’omogeneo all’eterogeneo, mediante un processo continuo di differenziazione e quindi di specificazione. Cfr. Spencer, First principles, 1884, cap. XIV-XVIII (v. erolu- zioniemo). Omogenesia. F. Homogenesie. Il Broca chiamò così, in opposizione a eterogenesia, quella proprietà organica in virtù della quale due germi di sesso opposto tendono a fecondarsi reciprocamente, dato che tra di loro non intercorra una di- stanza zoologica troppo pronunciata. L’ omogenesia è abor- tira quando la fecondazione avviene, senza però che il feto giunga a maturità; agenesica quando dà luogo a prodotti, i quali però sono sterili tra di loro o con gli individui dell'una ο dell’altra razza madre; disgenerica quando i pro- dotti sono infecondi tra di loro, ma fecondi con individui del’ una o dell’altra razza madre, dando luogo a prodotti pure sterili; paragenesica quando i prodotti sono sterili tra di loro, ma fecondi con individui dell’ una o dell’ altra razza madre, dando luogo a nuovi prodotti indefinitamente fecondi, così da originare una nuova razza; eugenssioa quando i prodotti sono indefinitivamente fertili, cosicchè la nuova razza si produce direttamente. Cfr. Topinard, L’an- thropologie, 1884, pag. 382 segg. (v. ibridiemo, dimorfismo sessuale, razza, pecie, varietà). — 789 — Omo-Ont Omonimia. Uno dei sofismi verbali, che si fonda sopra l'ambiguità dei termini. Consiste infatti nell’ adoperare una parola in più significati senza distinguerli. Tale sa- rebbe il ragionamento per cui il Berkeley, basandosi sulla constatazione che una medesima idea può sparire dalla mente ο poi tornarvi, concludeva alla esistenza di uno spi- rito universale in oui tutte le idee avessero la loro sede permanente; qui è confuso evidentemente il medesimo in quanto numero, col medesimo in quanto specie. Cfr. Aristo- tele, Metaph., IV, 4; Id., Categ., 1 (v. incosciente). Onirologia. T. Onirologie; I. Onirologg; F. Onirologie. Può designare tanto quella parte della psicologia che si oo- cupa dei sogni, quanto il discorrere che si fa sognando. Viene usata comunemente nel primo significato, nel quale non vuol essere confusa colla omérocrisia o oniroorifica, che è la pretesa arte di interpretare i sogni. L’onirologia, come stadio psicologico dei sogni, si basa essenzialmente sull’os- servazione introspettiva; il suo metodo classico, divenuto tale dal Maury in poi, è quello della notazione immediata, che consiste nel trascrivere immediatamente, essendosi ri- svegliati all'improvviso, le imagini del sogno che sono an- cora fresche nello spirito. Altro metodo è quello della nota- sione ripetuta, che consiste nel constatare l'evoluzione subita dal sogno nella memoria, traserivendo il medesimo sogno a diversi intervalli di tempo. Si sono infine proposti dei metodi che sembrano scostarsi dai precedenti, in prima linea Vexperimento: il soggetto che si addormenta in condizioni speciali (sottoposto alla pressione di guanti ο di nastri, ο dopo una viva impressione ottica, οσο.) deve riempire, al risvegliarsi, un apposito questionario. Altri ha raccoman- dato le inchieste; ma i risultati sono sempre scarsi, perchè i questionari comportano solo un numero limitato di do- mande assai semplici, Cfr. Tissié, Les révee, 1890; 5. Freund, Die Traumdentung, 1900; J. Bigelow, The mystery of sleep, 1897; Jastrow, Le subcoscient, trad. franc. 1908; Vascide, ONT — 790 — Le sommeil οἱ les réres, 1911; M. Foucault, Le rêve, études et observations, 1906; De Sanctie, I sogni, studi prie. e cli- nici, 1899. Ontogenesi. T. Ontogenesis; I. Ontogenesis, Untogeny : F. Ontogénèse, Ontogénie. Si adopera per opposizione a filo- genesi, ο indica lo sviluppo dell’ individuo vivente dalla sun primitiva forma embrionaria allo stato adulto. Tale svi- luppo non sarebbe altro, secondo l’ Haeckel, che una rica- pitolazione, una ripetizione abbreviata dello sviluppo della specie, ciod della filogenesi. Cfr. Haeckel, I'problemi del- V universo, trad. it. 1904, p. 81 segg.; Vialleton, Un pro- blème de l'évolution, 1908 (v. embriologia). Ontologia (tv, ἔντος + ciò che è, ente). T. Ontologie: I. Ontology; F. Ontologie. La scienza che studia 1’ essere come tale, P essere considerato in sè stesso, indipenden-- temente dai suoi modi di manifestarsi. Fu detta anche on- tosofia ο filosofia prima. Il Clauberg la definisce quale soientia que contemplatur ens quatenus ens est, hoo est, in quantum com- munem quamdam intelligitur habere naturam.... (qua) omnibua οἱ singulis entibus suo modo inest. Cristiano Wolff, più breve- mente, scientia entis in genere, seu quatenus ens est ; suo côm- pito è di dimostrare que entibus omnibus sive absolute, sito eub data quadam conatitutione oonveniunt. Spesso ontologia è sinonimo di metafisica, quando si considera 1’ essere in sè come principio di tutte le cose; ma per 1’ Herbart, ad es., essa non costituisce che una delle parti della meta- fisica, la quale ha il cömpito generale di liberare i concetti dalle contraddizioni. Al nome ontologia il Galluppi vuol sostituito quello di ideologia, perchè la stessa nozione di essere, nonchè quella di esistenza, di possibilità, di sostanza, di attributo, ecc., sono idee essenziali dello spirito umano, delle quali si deve esaminare l’origine e il valore, per ve- dere con qual diritto noi affermiamo la loro oggettivit «L'ideologia dunque non è che l’ontologia ragionata e filo- sofica. È un'ontologia foggiata sopra una base solida ». Al- — 791 — ONT tri filosofi soppressero l’ontologia, incorporandola nella teologia, altri ancora ridussero la prima alla seconda. Il Rosmini, opponendosi ad entrambi, ne distingue i domini, definendo l’ontologia la teoria dell’ essere comune, oppure la teoria dell’ essere in tutta l'ampiezza della sua pos- sibilità, e la teologia la teoria dell’ essere proprio, cioè Dio stesso. Egli formula il problema ontologico in questi cinque modi: trovare la conciliazione delle manifestazioni dell’ ente col concetto dell’ ente ; trovare una ragione suf- ficiente delle diverse manifestazioni dell’ente; trovare la equazione tra la cognizione intuitiva e quella di predica- zione; conciliare le antinomie che appariscono nel pensiero umano: che cosa sia ente e che cosa sia non ente. L’on- tologis, secondo lo stesso filosofo, precede la cosmologia, che è la scienza dell’ ente finito, il quale è possibile sol- tanto dopo la conoscenza dell’ essere in universale, oggetto della ontologia, e si distingue dall’ ideologia, che si riferi- sce pure all’ essere, ma lo considera come pura ed assoluta idea, nella quale tutte le altre si contengono. Cfr. Clau- berg, Motaphysica, 1646, cap. I, 1-2; Cr. Wolff, Philosophia prima sive ontologia, 1736, $ 1, 8; Baumgarten, Metaphy- sica, 1739; $ 41; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854, vol. III, p. 982 segg.; Rosmini, Nuovo saggio aull’ori- gino delle idee, 1830, vol. II, p. 1 segg.; Id., Logica, 1853, $ 847 (v. essere, ente, assoluto, anoetico, possibile, filosofia, metafisica, metodologia, eco.). Ontologico (argomento). Una delle prove a priori del- l'esistenza di Dio. Essa fu enuncista la prima volta da 8. Anselmo d’Aosta in questo modo: quando lo stesso ateo pronuncia la parola Dio, se sa quello che dice deve avere il concetto di nn essere del quale îl maggiore non si può pensare (quo nihil maius cogitari potest); ma questo essere non sarebbe tale, non sarebbe il massimo degli esseri, se fosse solamente pensato, se mancasse di esistenza, poichè in tal caso noi potremmo pensarne un altro esistente, ed ONT — 792 — esso sarebbe certo maggiore; dunque non si può supporre che Dio non esista: « Se dunque codesto oggetto al disopra del quale non ο) ὃ nulla, fosse solamente nell’ intelligenza, sarebbe tuttavia tale, che avrebbe qualche cosa al di sopra di lui; conclusione che non potrebbe essore legittima. Esi- ste dunque certamente un essere al di sopra del quale non si può nulla imaginare, πὸ nel pensiero, nd nella realtà ». Descartes diede più tardi un’evidenza matematica a que- sto argomento, partendo dalla nozione che abbiamo di un Essere perfetto: come nell’ idea di triangolo è conte nuta l’idea che la somma dei suoi angoli valga due retti, così nell’ idea d’un essere perfetto è contenuta l’idea di esistenza, essendo l’esistenza una perfezione. Spinoza prende l'argomento ontologico come base e proposizione iniziale del suo sistema: Per oausam sui intelligo id, ouiue cssentia involvit existentiam, sive id, ouius natura non potest concipi nisi eziatone. — Deus sive substantia neosssario existit, perchè posso existere potentia est; quindi de nullius rei exiatentia entis absolute infiniti seu perfeoti, hoo est Dei. Infine il Leibnitz formulò l'argomento così: Dio è per definizione Vessere necessario; ora l'essere necessario esiste perchè il suo concetto racchiude necessariamente 1’ esistenza ; dunque Dio esiste. Infine l’ argomento ontologico fu criti- cato da Kant, il quale, pur riconoscendolo il migliore di tutti, negò ad esso qualsiasi valore oggettivo. L'esistenza, dice Kant, non fa parte del contenuto del pensiero, ma bens? lo controlla © lo necessita; il possibile non contiene nulla più del reale, e cento talleri reali nulla più di cento talleri possibili, hundert wirkliche Thaler enthalten nicht das Mindesto mehr als hundert mögliche; se jo penso un essere come la massima realtà, rimane pur sempre da chiedere se esso esista 0 no: « Il concetto di un essere supremo, conchiude Kant, è un’ ides utilissima per molti riguardi; ma appunto perchò non è che un'idea, è del tutto inca- pace di estendere da sola la nostra conoscenza per rap- — 793 — ONT-Orı porto a ciò che esiste.... Codesta prova ontologica tanto vantats, che pretende dimostrare per via di concetti l’esi- stenza di un essere supremo, perde dunque tutta la sua fa- tica, e non si diventerà più ricchi in conoscenze con delle semplici idee, di quello che diventerebbe ricco in denaro un mercante se, nel pensiero d’aumentare la sua fortuna, aggiungesse alcuni zero al suo libro di cassa ». Cfr. 8. An- selmo, Proslog., 2, 3; Cartesio, Medit., V; Spinoza, Ethica, 1. 1 def. I, teor. XI, scol. ; Leibnitz, Mém. de Trévour, 1701; Kant, Krit. d. rei. Vern., ed. Kehrbach, p. 468-475; C. Gua- stella, Filosofia della metafisica, 1905, vol. I, app. al cap. VI, $ 6 (v. gli argomenti cosmologico, fisico, ideologico, mo- rale, storico). Ontologismo. T. Ontologismus ; I. Ontologiem; F. Onto- logisme. Non deve confondersi con ontologia, che ha un si- gnificato più generale. Designa talvolta quella scuola filo- sotica, che vuol far precedere l'ordine reale all’ ordine psicologico delle conoscenze, ossia che i metodi e i prin- cipt della filosofia vuole siano cercati nell’ oggetto ο non nel soggetto. Ma più comunemente il vocabolo è adoperato a denominare la filosofia del Gioberti, che, opponendosi allo psioologismo iniziato da Cartesio e continuato dalla filo- sofia moderna, sostiene che noi dobbiamo cominciare con la suprema ed obbiettiva intuizione della mente: Ens oreat existentias ; il prendere come punto di partenza |’ esame della coscienza ο dei processi del conoscere, trasporta la filosofia al di là della sua sfera e conduce logicamente al sensismo, al protestantismo, all’ ateismo, Cfr. Ueberweg- Heinze, Grund. d. Gesch. d. Phil., 83 ed., II, p. 328; Cour- not, Essai sur les fond. de nos conn., 1851, t. I, p. 307; Gioberti, Introduzione allo studio della filosofia, 1850, t. I, p. 272 segg. (v. ente, psicologismo). Ontosofia. Sinonimo poco usato di ontologia. Opinare. T. Meinen, Vermuthen; I. To opine; F. Opiner. Consiste nel ritenere per vero ciò che si presume soltanto Orr — 794 — probabile, cid di cui non si possiedono le ragioni per es- sere perfettamente certi. È quindi un atto soggettivo, che si distingue dal sapere, che consiste nella certezza di una verità o di un ordine di verità, basste sulla ragione o sulla esperienza; © dal credere, che consiste nell'accettare come vero ciò che è indimostrato ο ciò che l’ autorità altrui ci impone di considerare come vero. Quindi si hanno due forme del credere: quella scientifica, in cui l’indimostra- bilità di un dato proviene dall’ essere esso fondamento di ogni dimostrazione (assiomi, postulati), e quella religiosa, in cui il dato manos di ogni prova e non si accetta che per l'autorità altrni. E falso dunque voler porre questa seconda come base della prima (v. critica, dubbio, fede). Opinione. Gr. Δόξα; Lat. Opinio; T. Meinung; I. Opi- mion; F. Opinion. Non bisogna confonderla con la cono- scenza, con la oredenza, con la conrinsione. La conoscenza è determinata da motivi sufficienti; la credenza da motivi insufficienti, che però non tolgono la persuasione di pos- sedere la verità; la convinzione è una credenza spiccata- mente tenace e sicura; l'opinione infine non è che una credenza incompleta, in quanto si fonda su motivi che sono insufficienti e si riconoscono come tali. « L’ opinione, dice Kant, è il fatto di ritenere qualche cosa come vero, con la coscienza d’ una insufficienza soggettiva e obbiettiva di tale giudizio ». Già prima Cicerone l’ aveva definita imbe- cillam assensionem, 8. Bonaventura assenzio anime generata ex rationibus probabilibue, ο Cristiano Wolff propositio in- aufficienter probata. L'antica sofistica aveva ridotto ogni pensiero ad opinione; se la verità è l'opinione individuale, ogni cosa prende norma e valore dal soggetto; da ciò il detto di Protagora: « l’uomo è la misura di tutte le cose ». A codesto scetticismo 6’ oppose da prima Socrate, che foce consistere il vero sapere non nell’ opinione, ma nel cono- scere i concetti delle cose; poscia Platone, che, mante- nendo il divario tra l'opinione (δόξα) che deriva dai sensi — 1795 — OPP-ORD € la cognizione (ἐπιστήμη) che è data dai concetti, feco corrispondere all’ opinione i fenomeni mutevoli, ai concetti ciò che v' ha di costante nell’ avvicendarsi dei fenomeni, cioè la realtà, 1’ essenza, l’ Idea. Cfr. Platone, Zepubl., V, 477 B, 478 B, Meno 97 E; Aristotele, Met., VII, 15, 1039 b, 33; Cicerone, Tusc. disp., IV, 7; 8. Bonaventura, In lib. sontent., 3, d. 24, art. 2, 2; Cr. Wolff, Philosophia rationalis, 1732, $ 602; Kant, Krit. d. r. Vern., A 822, B 850 (v. an- tropometrismo, concetto). Opposizione. T. Gegensatz, Gegensetzung, Opposition; I. Opposition; F. Opposition. Una delle tre specie principali di relazioni immediate tra le proposizioni ; essa ha luogo tra le proposizioni identiche di contenuto, ma diverse di qua- lità, o diverse di qualità e modalità insieme, potendo essere identica ο diversa la quantità. L'opposizione può essere contraria, contradditoria ο suboontraria. Sono opposte con- trarie le proposizioni universali d’identico contenuto ma di qualità opposta, e le proposizioni apodittica negativa e apodittica affermativa. Sono opposte subcontrarie le propo- sizioni particolari d’identico contenuto e di qualità opposta, e ngualmente le problematiche affermative e le problemati- che negative. Sono opposte contradditorie quelle d’identico contenuto ma diverse di qualità e quantità, e ugualmente l’apodittica negativa e la problematica negativa, Si dicono infine opposte subalterne le proposizioni d’ identico conte- nuto e qualità ma di diversa quantità, e ugualmente le apodittiche e le problematiche della stessa qualità e con- tenuto. Cfr. Ueberweg, System d. Logik, 1874, $ 97; Masci, Logica, 1899, p. 201 segg. (v. contrappoxizione, conversione). Ordine, T. Oränung; I. Order ; F. Ordre. Una delle idee fondamentali della intelligenza. Si pnd definire come la nozione o la comprensione d'una coerenza qualsiasi, fon- data sopra un rapporto quantitativo, qualitativo, mecca- nico o teleologico. — Il Cournot ha distinto I’ ordine logico dall'ordine razionale: il primo consiste nell’ incatenare i ORG — 796 — fatti secondo I’ ordine lineare, che è quello del discorso; il secondo nel mettere in luce la relazione secondo la quale i fatti, le leggi e i rapporti, oggetto della nostra cono- scenza, si concatenano e procedono gli uni dagli altri. — Nella logica matematica l’ ordine seriale è l’ esistenza tra più termini d’ una relazione transitiva asimmetrica. — L’or- dine della natura è l’ insieme delle ripetizioni manifestate sotto forma di tipi o di leggi dagli oggetti percepiti. — 1) ordine sociale è l'insieme delle regole alle quali i cit- tadini debbono conformarsi, e la sottomissione dei citta dini a codeste regole. I giuristi distinguono l’ordine giu- ridico dall’ ordine pubblico, considerando questo come un fine rispetto al quale il primo è un mezzo; mentre, infatti, l'ordine giuridico è un sistema di condizioni che non pos- sono non esistere in ogni società, l'ordine pubblico è un bene, che si ottiene © si mantiene solo a patto di osser- vare certe determinate condizioni, è quello stato di cose che rappresenta la normalità della vita collettiva di una determinata società. Cfr. Cournot, Essai sur le fond. de n. connais., 1851, $ 17, 24, 247; L. Couturat, Les principes des mathématiques, cap. II; Bergson, L’évolution oréatrice, 1912, cap. III, Le désordre et les deux ordres; A. Levi, La société et l'ordre juridique, 1911; Ardigd, Opere fil., I, 88-91; II, 263-265, 269-277. . Organicismo. T. Organicismus; I. Organicism; F. Or- ganioisme. Sistema o dottrina che spiega i fatti della vita, della sensibilità ο del pensiero come pure funzioni organiche, senza ammettere l'intervento nd del principio spirituale, nè del principio vitale. Gli organicisti non riconoscono che l’esistenza della materia organizzata, provvista però di forze e proprietà che non esistono negli esseri inor- ganici; ogni organo è animato da una forza particolare che, componendosi con tutte le forze simili, mantiene la vita totale: la vita è U’ insieme delle forze che resistono alla morte, dice il Bichat. Questa dottrina ebbe ed ha illustri — 1797 — ORG sostenitori, fra oni it Bichat, Robin, Broussais © Claudio Bernard. — Nella sociologia dicesi organicismo la dottrina secondo la quale le società sono organismi analoghi agli esseri viventi, e la sociologia un ramo della biologia. Pla- tone ο Aristotele tra gli antichi, Spinoza, Herder, Schelling ed altri filosofi della storia, raffigurarono la società come « an corpo vivente » sottoposto alle leggi indeclinabili della nascita, della crescita e della morte; il Comte e lo Spencer cercarono di dare una consistenza scientifica a codesto con- cetto, determinando le analogie e le somiglianze tra l’or- ganismo individuale e quello sociale; lo Schüfie spinse l’analisi ancora più in là, e trattò addirittura della ana- tomia, fisiologia, psicologia, patologia e terapia del corpo sociale. Cfr. Snisset, Recherches nouvelles sur l’dme, « Rev. d. denx-mondes », 15 agosto 1862; Espinas, Les sooistés animales, 1878, Introd. ; Comte, Cours de phil. pos., 1877, t. IV, p. 172 segg.; Schüfle, ita ο struttura del corpo so- ciale, « Biblioteca degli economisti », serie IIT, vol. VII; A. Rey, La philosophie moderne, 1908, p. 177-78; Novicow, Les castes et la sociologie biologique, « Rev. philos. », 1900, II, 373 segg.; Bouglé, Le proods de la sociologia biologique, Ibid., 1901, Il (v. anima, materialismo, moniemo, paralloli- amo, ritalirmo, meccanismo, organico). Organico. T. Organisch, Organisirt; I. Organio; F. Or- ganique. Tutto ciò che appartiene all’ organismo; si oppone 3 inorganico, psichico, intellettuale, eco. Ad es., una malattia mentale presenta delle alterazioni organiche, come l’atrofia d’un organo o la distribuzione d’un tessuto, e dei feno- meni psichici corrispondenti, come le idee deliranti, le al- Ineinazioni, 900, Il concetto di organico si contrappone a quello di inorganico: infatti, sebbene i corpi inorganici e gli organici siano soggetti alle stesse leggi generali della materia, tuttavia gli elementi costitutivi dei primi o sono mescolati meceanicamente 0 entrano in combinazioni chi- miche binarie, i secondi contengono principalmente com- ORG — 798 — binazioni ternarie e quaternarie con carbonio; le particelle ultime dei primi si attengono reciprocamente sia per forza di attrazione che per affinità chimica, quelle dei secondi sembrano invece combinate, sostenute, elaborate, consu- mate, trasformate da un agente di natura diversa di quelle inorganiche, agenti che alcuni chiamano forza organica o vi- tale, pure considerandola come un semplice concetto astratto, ipotetico e provvisorio. Organico si distingue infine da or- ganizzato 9 da aggregato: sono organiche tutte le sostanze prodotte dalla vita di qualche organismo e che non esi- stono nel mondo inorganico (linfa, albumins, proteina, siero del sangue, ecc.); tuttavia possono essere omogenee, indivisibili, giacenti 1’ una accanto all’ altra, cioò non or- ganizzate ο amorfe. I muscoli, i nervi, le glandole sono invece sostanze organiche e organizzate insieme, perchè in essi si ha la riunione di sostanze eterogenee in un tutto, la cui ragione sta in un tipo razionale. Infine, le particelle aggregate di un corpo inorganico esistono semplicemente le une accanto alle altre, senza cercare di riunirsi a vicenda, © senza cessare d’ essere quello che sono se separate. Cfr. Cournot, Essai sur le fond. de nos connaissances, 1851, t. I, p. 269 segg.; Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909, sez. B, $ 2 (v. fisiologia, generazione, cellulari teorie, duodinamismo, meccanismo, organioismo, vita, vitaliemo). Organo. T. Organ, Werkzeug ; I. Organ; F. Organe. Una doterminata unione di tessuti per una determinata fun- zione, della quale sono strumento; la riunione di tessuti uguali per una funzione più elevata costituisce il sistema: così si ha il teseuto nervoso, degli organi nervosi (es. il cer- vello) e il sistema nervoso. Quando un organo è formato di un solo tessuto dicesi semplice (es. alcune glandole) quando di più tessuti composto (es. il fegato). La riunione di tutti gli organi in un tutto, capace di vita, dicesi or- ganismo; ora, nessun organo ha in sò la ragione della pro- pria esistenza, ma la trae dal tutto al quale appartiene, — 799 — ORI perciò il fine ultimo dell’ organo non è la sussistenza pro- pria, ma quella di concorrere al mantenimento dell’ intero organismo. — Nella logica il termine organo o organum significa trattato di logica. Gli antichi commentatori diedero questo nome ai libri logici d’Aristotele, intendendo con ciò di significare che la logica è lo strumento (ὄργανον = stro- mento) per la ricerca della verità. Bacone intitolò la pro- pris opera principale Novum Organon appunto per signiti- care che egli vuol contrapporre una nuova logica a quella aristotelica; oggetto di questa nuova logica è, come dice il sottotitolo, I’ interpretazione della natura ossia del regno dell’uomo (de interpretations naturae, sive de regno hominis). Kant distinse l'organo, ossia il metodo di ogni disciplina in particolare, dai canoni del pensiero in generale. Cfr. Kant, Krit. d. rei. Vern., ed. Kehrbach, p. 43; Fries, System der Logik, 1837, p. 13. Orientazione. T. Urientirung ; I. Orientation; F. Orien- tation. In generale, la coscienza delle relazioni spaziali del nostro corpo con gli oggetti che lo circondano, coscienza dovuta sia alle sensazioni visive, sia alle tattili, musco- lari, uditive, eco. — Dicesi senso della orientasione la co- scienza che hanno molti animali e alcune razze umane in- feriori, della direzione da seguire per recarsi attraverso luoghi sconosciuti ad un punto noto. Questo senso avrebbe sede nei canali semicircolari dell’ orecchio, e funzionerebbe mediante avvertimenti dati dalla differenza di pressione dell’ endolinfa contenuta nei canali stessi. — Dicesi ilu- sione della orientasione quell’ anomalia della coscienza nor- male della direzione, che consiste nel mutarsi dei punti dello spazio circondante il soggetto, in modo da esser cam- biato tutto il suo ambiente fisico, ma senza che sia al- terata la nozione dei rapporti spaziali degli oggetti gli uni rispetto agli altri. Cfr. Cyon, Recherches sur len fonct. des oanaux »emioiroulaires, 1878; Peychol. Rer., 1897, IV, 341, 463; Hüfiding, Esquisse d’une paychologie, 1900, p. 256 ORI-ORO — 800 — segg.; Grasset, Les maladies do l'orientation et de Vequili- bre, 1902. Origine. T. Ursprung; 1. Origin; F. Origine. In gene- rale cominciamento, prima manifestazione d’ un fatto, qual- che cosa che 6’ inizia nel tempo; talvolta però significa la ragion d’ essere di un avvenimento, il fatto elementare che ne spiega un altro. Tra i problemi tradizionali riguardanti l'origine sono da ricordarsi i seguenti: Problema dell’ ori gine delle idee: sono esse un prodotto di esperienza sensi- bile ο, le fondamentali almeno, fanno parte della costitu- zione stessa del nostro spirito e, in quanto tali, esistono a priori? Problema dell'origine della oosoiensa: è essa un at- tributo dello spirito, o una proprietà dell’ organizzazione evolntiva della materia organizzata, o la concentrazione d'una coscienza diffusa in tutto l’ universo? Problema del. l'origine del male: se Dio esiste, donde ha origine il male? Problema dell'origine della vita: è la vita il prodotto del semplice gioco di reazioni fisico-chimiche, o di un principio che ha natura e leggi proprie, diverse da quelle meoca- niche? Problema dell'origine della specie: le specie viventi, animali ο vegetali, furono prodotte tali e quali da una crea- zione, e restano immutabili, ο ei trasformano in modo che rin’ unica specie sia passata storicamente dalle une alle altre? (v. idea, oosoiensa, male, vita, specie, innatismo, empi- riemo, 600.). Orismologia (ὡρισμός — definizione). Trattato intorno ai vocaboli tecnici e alle espressioni proprie d’una data scienza ο arte. È sinonimo di terminologia. Orottero. La linea o il punto che congiunge i punti dello spazio che fanno imagine su punti identici delle due retine, in una data posizione dell’ occhio. L’ esistenza dei punti identici si ammette per spiegare la visione semplice degli oggetti, benchè le loro immagini si formino su am- bedue le retine, ed è provata dal fatto che, se si sposta l'occhio con un dito mentre si guarda un oggetto, l’og- — 801 — Osc-0ss getto è visto doppio. L’ orottero varia perciò a seconda della posizione degli occhi: così quando gli assi visuali si trovano sul piano orizzontale e sono convergenti, 1’ orot- tero è rappresentato da un circolo che passa per il punto fissato e i due centri ottici; quando invece gli assi visuali si trovano nel piano orizzontale e sono fra di loro paral- leli (come allorchè si guarda il lontano orizzonte) l’orot- tero è rappresentato dal piano che passa per i medesimi. Cfr. Tschering, Optique physiologique, 1898 (v. binoowlare, campo, emianopsia, diplopia). Oscuro. T. Dunkel; I. Obscure; F. Obsour. Nel linguaggio cartesiano oscuro si oppone a chiaro e si distingue da con- fuso: un’ idea è oscura quando per essa non riusciamo a differenziare un oggetto dagli altri, è confusa quando per ossa differenziamo un oggetto dagli altri, ma non abbiamo la conoscenza degli elementi di ouf è composto. « Dico che una idea è chiara, scrive il Leibnitz, quando è sufficiente a distinguere la cosa e riconoscerla; così, se avrò un’ idea ben chiara di un colore, non mi avverrà di prendere un altro colore per quello che cerco, e, se avrò l’idea chiara di una pianta, la discernerò dalle piante consimili; e, se ciò non è, l’idea è oscura ». — Gli scolastici designavano con l’espressione obscurum per obscurius quella forma di petizione di principio, che consiste nel dimostrare ciò che è oscuro per sè con ciò che è ancora più oscuro. Cfr. Leib- nitz, Nouveaux essais, 1704, 1. II, cap. 29, $ 2; Peirce, Com- ment rendre nos idées olaires, « Rev. philosoph. », genn. 1879. Osservazione. T. Beobachtung; I. Observation ; F. Obser- vation. È l'atto mediante il quale lo spirito si applica a un fatto o a un insieme di fatti, allo scopo di conoscerli e di spiegarli. Si distingue dallo sperimento in quanto questo è attivo, perchè sperimentando si interviene nei fatti pro- ducendoli o modificandoli, mentre |’ osservazione è passiva, in quanto consiste nella semplice constatazione dei fatti; la distinzione però non è assoluta. Si diversifica anche dal- 51 — Raxzorı, Dizion. di acienze filosofiche. Oss — 802 — l’attensione, perchè mentre in questa può mancare in quella è essenziale il desiderio di una esplicazione ulteriore del fatto osservato. — Si distinguono due forme d’osserva- zione: la comune, abbandonata all'esercizio degli organi di senso individuali, © la metodica, assistita da speciali mozzi che ne accrescono la portata, integrata da ragionamenti che ne svolgono il valore, conformata a regole costanti per la scelta degli oggetti e delle condizioni opportune d’ esa- me, controllata dai risultati ottenuti da diversi osserva- tori. — L'osservazione può anche essere esterna e interiore © psicologica. L'osservazione esterna è la base delle scienze fisiche ο naturali, ed è essenziale in alcune di esse, come ad es., nell’ astronomia. L'osservazione esterna deve essere metodica, cioè procedere regolarmente da nA oggetto all’al- tro, precisa ciod fare un giusto calcolo della quantità dei fatti, esatta ciod nulla trascurare. L'osservazione interiore © introspezione fu adoperata nello studio dei fenomeni psi- chiei, primamente dalla sonola scozzese, indi dagli eclet- tici francesi ο dagli associazionisti inglesi, ma fa combat- tuta da A. Comte, il quale sostenne essere assurdo che si possa nello stesso tempo essere il soggetto osservante e l'oggetto osservato. Con ciò il Comte veniva a negare la possibilità di ogni conoscenza dello spirito per mezzo della coscienza. Tuttavia codesta conoscenza à un fatto d’espe- rienza comune, ed oggi il metodo introspettivo, aiutato fin dove è possibile dall’ esterno, è ancora il metodo pro- prio della psicologia. Cfr. Senebier, L'art d'observer, 1802; Ribot, Contemporary english psychology, 1873, p. 84, 323; Sully, Outlines of peyohology, 2° ed. 1885, p. 6, 7; C. Ber- nard, Introd. à V étude de la med. ezpor., 1865, 1. I, cap. 1; Masci, Logica, 1899, p. 402 segg.; A. Padon, Legittimità € importanza del metodo introspettivo, « Riv. di filosofia », aprile 1913 (v. introspezione, riflessione, psicologia). Ossessione. T. Besessenheit; I. Obsession; F. Obsession. La presenza nello spirito di una rappresentazione, o d’una — 803 — Orr associazione d'idee, che la volontà non riesce ad allonta- nare se non momentaneamente, che impedisce agli stati antagonistici di presentarsi e intorno alla quale vengono a raccogliersi tutte le associazioni. Si verifica spesso nella malinconia religiosa, caratterizzata da un delirio di onses- sione o di possessione, in cui l'individuo si sente circon- dato da demoni o tutt’ nno con essi. Secondo il Régis e il Tamburini tutte le varietà di ossessione si riferiscono ad un disturbo della volontà e si possono raccogliere in due gruppi: 1° ossessioni impuleive, in cui la volontà è lesa nella sua forza di arresto; 2° ossessioni abuliche, in oui la volontà è less nella sua energia generale di attività. Cfr. Pitres et Régis, Les obsessions οἱ les impulsions, 1902; Ray- mond et Janet, Les obsessions αἱ la peychasthénio, 1903; Régis, Manuel de méd. ment., 3" ed., p. 257-296; Tambu- rini, Riv. aper. di Fren., IX, 1883, p. 74 ο 297; Pierre Ja- net, Névroses οἱ idées fixes, 2* ed. 1904, cap. I. ο Ottimismo. T. Optimismus; I. Optimiem ; F. Optimieme. Vocabolo usato per la prima volta dai padri gesuiti di Trevoux nel render conto della teodicea del Leibnitz, e reso più tardi popolare dal Voltaire col suo Candide ou Popti- mismo (1758). Vi ha un ottimismo naturale © un ottimismo filosofico. Il primo si può definire come là disposizione, quasi sempre innata, dovuta allo stesso temperamento, a cogliere il lato buono delle cose, a giudicare benevolmente degli uomini e degli avvenimenti. Il secondo, che ha forse le sue intime radici nel primo, è la dottrina secondo la quale sull'universo tutto va per il meglio e noi viviamo nel migliore dei mondi possibili. Esso ha una data rela- tivamente recente nella storia del pensiero, ed è più che altro una dottrina teologica e metafisica; esso infatti con- siste nello scagionare la divinità, creatrico del mondo, dell’esistenza del male nel mondo e nel dimostrare Ja necessità del male medesimo. Noi troviamo accennato, è vero, il problema dell’ottimismo in alcuni filosofi antichi e Orr — 804 — dell’ eta di mezzo. Così, già Platone insegnava che il De- miurgo non ha potuto creare che ciò che è più bello e più buono; Plotino che il male e il dolore non sono che specie negativo e conducono ancor meglio al bene; 8. Cle- mente che il male è solo azione, non sostanza (οὐσία), e che il mondo quale Dio l’ha creato è perciò originaria- mente buono; 8. Agostino che in quantum est, quidquid est, bonum est. Ma una trattazione compiuta del problema sotto tutti i suoi aspetti, nelle sue relazioni con l’idea di Dio, di Grazia e di Provvidenza divina ο di libertà umana non si ha che col Leibnitz. Secondo il filosofo tedesco, la con- tinuità e l'armonia che si osservano nel mondo sono pre- stabilite da Dio, il quale, nell’ opera sua creativa, non ha agito a caso, ma ha scelto tra le creature possibili quelle che corrispondevano meglio al suo fine: « Dalla perfezione suprema di Dio consegue che, producendo l'universo, egli ha scelto il miglior piano possibile, nel quale esista la più grande varietà col più grande ordine; il terreno, il luogo e il tempo meglio governati; il maggior effetto prodotto coi mezzi più semplici; la maggior potenza, la maggior conoscenza, la maggior felicità e bontà nelle creatare che l'universo potesse comportare. Poichè tatti i possibili pre- tendendo all'esistenza nell’ intelletto divino, in proporzione delle loro perfezioni, il risultato di queste pretese deve essere il mondo attuale il più perfetto che sia possibile. E senza di ciò non sarebbe possibile spiegare perchè le cose siano avvenute così piuttostochè altrimenti ». Ma se Dio ha scelto il miglior mondo possibile, perchè esiste il male? Il male, risponde il Leibnitz, può essere metafisico, fisico o morale. Il male metafisico è la limitazione, che non può non esistere perchè ogni monade creata deve averla. Il male fisico è il dolore, che è pure necessario perchè senza di esso non csisterebbe il piacere; infatti il dolore nasce dallo sforzo per passare da uno stato all’altro, e senza que- sto sforzo non ci sarebbe azione © quindi nemmeno piacere, — 805 — Orr-P che consiste appunto nella coscienza dell’ azione. Infine il male morale è il peccato, ed è esso pure una condizione indispensabile: il peccato nasco da una rappresentazione oscura; dalla rappresentazione oscura si sviluppa la cono- scenza chiara, la quale è la condizione prima della mors- lità; dunque, senza il peccato non esisterebbe la moralità, e quindi neanche il bene. Così Dio è pienamente giustifi- cato. Oggi il problema dell’ottimismo ο del pessimismo ha perduto il suo primitivo significato: si è infatti ricono- sciuto che il bene e il male, il piacere e il dolore sono condizioni necessarie l'uno dell’ altro; che il dolore ha un officio biologico, in quanto ci avverte dell’alterazione de- gli organi, e ci è di stimolo al perfezionamento fisico e morale. Ad ogni modo si pud dire che la scienza moderna, essendo a base evoluzionistica, ammettendo οἱοὸ un per- fezionamento indefinito della specie e della società, è es- senzialmente ottimistica. Cfr. Platone, Zimeo, 30 A; Plotino, Enn., III, 2, 5; 8. Clemente, Strom., IV, 13, 605; 8. Ago- stino, De vera relig., 21; Id., Confess., VI, 12; Leibnitz, Prinoipes de la nat. et de la grâce, 1879; Id., Theodioea, 1710, $ 416; I. Duboc, Der Uptimiemus ala Weltanschauung, 1881;- Sully, Pessimism, 1877, p. 399 segg. (v. dolore, piacere, migliorismo, pereimiemo, bene, male, armonia, teodicea). P. Nei versi mnemonici delle tre ultime figure del sil- logismo categorico, questa lettera indica che la riduzione al modo della prima figura deve essere fatta mediante con- versione per accidente di una delle due premesse o della conolusione ; ad es.: Darapti della terza figura si converte nel Darii della prima mediante la conversione per acci- dente della minore. La stessa lettera si usa nello espres- sioni simboliche delle proposizioni per indicare il predi- cato, e nelle espressioni simboliche del sillogismo per PAG-PAL — 806 — indicare il termine maggiore, che nella conclusione fa ap- punto da predicato (v. figura, modo, termini, sillogismo). Paganesimo. T. Paganismus; I. Paganism; F. Pagani- sme. Termine generico per indicare tutte le religi teriori al cristianesimo, o diverse dal cristianesimo, fatta eocezione però del giudaismo e dell’ islamismo. Esso ebbe origine nei primi secoli del cristianesimo, per il fatto che il politeismo romano conservava i suoi più tenaci difen- sori tra gli abitanti delle campagne. Ancor oggi il ter- mine è usato spesso in senso dispregiativo, applicandosi a tutte le forme più basse della religiosità, Paleontologia. T. Palsontologie; I. Paleontology; F. Paléontologie. La scienza dei fossili. Essa ha origini re- centi, da quando cioè col Convier e col Lamarck, si co- minciò a riconoscere che le impronte e le reliquie di animali © vegetali estinti conservateci in stato pietrificato sono veri e propri documenti per la storia degli organismi: essi infatti ci dànno notizia della forma ο della struttura di piante e di animali, che sono gli antenati o i precursori degli organismi ora viventi, oppure linee laterali estinte. Prima invece s'era creduto che le pietrificazioni di piante ο di animali non fossero che scherzi di natura (ludus na- turae) o prodotto di uno sforzo creativo (vis plastica), «ο modelli inorganici di cui si servì il Creatore prima di creare gli esseri organici. Cfr. K. A. Zittel, Geschichte d. Paläontologie, 1899 (v. cosmogonia, geologia). Palingenesi. Gr. πάλιν = di nuovo, γένεσις = gene- razione; T. Palingenese; I. Palingenesis; F. Palingenèse. E vocabolo proprio della filosofia religiosa e vale rinasci- mento, rigenerazione. Si applica tanto all'individuo, come all’umanità e all'universo. L'idea della palingenesi si trova nel fondo di quasi tutte le religioni filosofiche. Così nel bramanismo il mondo passa attraverso continue alternative di creazione e di distruzione, corrispondenti alla veglia ¢ al sonno di Brahma; in esso Vichnou rappresenta il prin- — 807 — Par cipio della palingenesi universale, in quanto interviene in certe epoche per salvare il mondo da Civa, principio della distruzione: « Mentre Brahma veglia il mondo vive e si muove; ma quando il Dio dorme, quando il suo spirito è in riposo, l’ universo svanisce; tutti gli esseri cadono nel- l’inersia; essi sono dissolti nell’ anima suprema, perchè colui che è la vita di tutto l'essere sonnecchia dolcemente, privato della sua energia. Così, passando a volta a volta dal sonno alla veglia e dalla veglia sl sonno, esso fa na- scere costantemente alla vita tutto ciò che ha il movimento ο tutto ciò che non l’ha; poi esso lo annienta e rimane immobile ». Nel cristianesimo l’ umanità risorge dalla sua caduta per opera di Gesù Cristo, © risorgerà tutta intera alla fine dei tempi, sotto nuovi cieli e in una nuova terra; nelle antiche religioni orientali, il male fa discendere l’no- mo, dopo morto, nel corpo di nn animale irragionevole, mentre il bene può farlo in seguito salire nelle sfere luminose della felicità. L’ idea della palingenesi si trova anche nel sistema di Pitagora e più in quello degli Stoici: « L'anima razionale, dice Marco Aurelio, vaga sull’ali della speonla- zione per l’ universo intero, comprende e vede che nulla di nuovo vedranno quelli che verranno dopo di noi e che nulla di nuovo videro mai i nostri maggiori, ma bensì che in un certo qual modo chi è giunto alla età di cin- quant’anni, per poco ingegno che abbia, può dire di avere già visto tutte le cose passate e future, poichè esse sa- ranno della medesima sorte ». Nei tempi moderni, Scho- . penhauer ha sostenuto la rinascita degli stessi individui nell’ umanità. In Federico Nietzsche la palingenesi eterna costituisce ad un tempo la base e il coronamento della filosofia del superuomo, la grande idea che Zarathoustra annuncia da prima ai discepoli raccolti intorno a lui da- vanti alla caverna della montagna, e che poi rivela alle masse convocate in festa: « Tutti gli stati che questo mondo può raggiungere, esso li ha già raggiunti, e. non Par-Pa — 808 — solamente una volta, ma un numero infinito di volte ». Alcuni scienziati moderni, ispirandosi al principio fonda mentale della termodinamica, concepiscono la storia del- l'universo come un processo ciclico di degradazioni ο di rigenerazioni della materia e dell’ energia, processo nel quale le identiche fasi si ripeterebbero eternamente a di- stanze immense di tempo: «Se i mondi muoiono, dice il Becquerel, è sempre per far posto a dei nuovi mondi. Di- venta così possibile all'evoluzione dell’ energia, della ma- teria, e dei mondi, di percorrere un ciclo perpetuo, un ciclo nel quale noi non vediamo nè cominciamento nd fine ». Cfr. M. Aurelio, I ricordi, 1. XI, 1; Schopenhauer, Die Welt als W. und Vorst., Reclam, suppl. VI, cap. LXI; Nietzsche, Werke, 1895-97, VII, p. 80, XII, p.122; G. Beoquerel, L’évo- Iution de la matière et des mondes, « Rev. scientifique», 25 nov. 1911; 8. Arrhönius, L'évolution des mondes, 1910, p. 218, 223; G. Le Bon, L'évolution des forces, 1907, p. 99 segg.: ©. Ranzoli, Il caso nel pensiero e nella vita, 1913, p. 169-1 (v. anamnesi, metempsicosi, nirvana, palingenetici). Palingenetici (caratteri). Fra i caratteri ereditari, al- cuni sono dovuti alle condizioni di sviluppo o all’adatta- mento all'ambiente esterno, che si manifestano negli indi- vidui di una data specie; altri invece sono dovuti ad una trasmissione abbreviata o semplificata, e partecipano del- V intima organizzazione dell'individuo e della specie: i primi si dicono cenogenetici, i secondi palingenetici. La denominazione è stata proposta dall’ Haeckel. Cfr. Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 107, 193 (v. filo- genesi, variabilità). Pampsichismo. T. Panpeychismus; I. Panpsyohiem; F. Panpsychisme. Ha due significati fondamentali. In senso stretto, è la dottrina filosofica secondo la quale la co- scienza o psiche non è proprietà dei soli organismi supe- riori, ma è comune a tutta la materia. Fra i moderni, il principale sostenitore di codesta dottrina è Ernesto Hae- — 809 — Pam ckel, il quale considera ogni atomo materiale come prov- visto di un’anima costante: dalle combinazioni multiple di questi atomi si formano le anime-molecole, e le anime dei protoplasma molecolari, organiche, da cui risultano le anime-cellule ; per tal modo tutta la natura è cosciente, sia l’organica che l’inorganica. Questa forma di pampsi- chismo si riconnette all’ iloroismo dell’antica scuola ionica. In senso largo, ma con significato polemico, si adopra come sinonimo di monismo epiritualistion ο idealiemo realistico, 9 indica perciò tutti quei sistemi filosofici che considerano la materia come un complesso di fenomeni psichici, sppog- giandosi sia sopra il concetto della subbiettività delle qua- lità della materia, sia sopra 1’ impossibilità di concepire il mondo se non per analogia con noi stessi, cioè col nostro spirito. Così il Guastella definisce come pampsichismo ogni sistema « che afferma che la materia non esiste, ma che tutto è spirito; che ciò che ci apparisco come mondo ma- teriale non è in sò stesso che un mondo di esseri psichici; che non vi hanno in realtà particole di materia e movi- menti, ma in luogo di essi spiriti e fenomeni psichici ». Inteso in questo senso, il pampsichismo ha lo stesso punto di partenza dell’ilozcismo, in quanto entrambi identificano la forza fisica con la psichica; ma mentre questo fa dello spirito una proprietà costante della materia, il pampsichi- smo aggiunge che la materia è una apparenza, e il realo non è che lo spirito. Si distingue anche dall’ idealismo sog- gettiro © dal fenomenismo, sppunto perchè, lasciando agli oggetti materiali un’ esistenza indipendente, afferma che non sono materiali che in apparenza, mentre in realtà non sono che spirito. Quests forma di pampsichismo ha, a differenza della prima, un posto assai largo nella meta- fisica moderna, sopra tutto nel periodo più recente, per la cresciuta coscienza delle difficoltà del realiamo comune ; esso è ammesso da Leibnitz, Schopenhauer, Maine de Bi- ran, Rosmini, Gioberti (nella seconda forma della sua filo- Pan — 810 — sofia), Lotze, Want, Clifford, Wallace, Taine, eco. Cfr. Haeckel, Naturliche Sohopfungageschiohte, 1889, p. 20 segg.; in C. r. del Congrès de Phil. de Genève, 1904, C. A. Strong, Quelques considérations sur le panpeychieme, Th. Flournoy, Le panpsychisme ; Guastella, Filosofia della meta- fisica, 1905, t. I, p. 144 segg. (v. coscienza, anima, monismo, peicologia cellulare). Panenteismo. Gr. x2v= tutto, iv = in, θεός = Dio; T. Panentheismus; I. Panentheiem ; F. Panenthéieme. Voca- bolo creato dal Krause per denominare la propria dottrina, che cercava di conciliare il teismo col panteismo. Per il Krause il mondo non è che lo svolgimento dell’ ossenza divina impressa nelle ideo; ma queste idee sono l’auto- intuizione dalla più alta personalità, in quanto l’essere di Dio non è ragione indifferente, ma il principio personale del mondo. Al pari dello Schelling, egli considera tali anche le forme del complesso sociale ο il cammino della storia. Oggi il termine panentoiemo si adopera per indicare in ge- nere quelle forme di panteismo, in cui la sostanza divina è concepita come avvolgente il mondo, che ne è contenuto. Cfr. Krause, System der Philosophie, 1828. Pangenosi. T. Pangenesis ; I. Pangeneris; F. Pangenèse. L'ipotesi con cui il Darwin spiega la trasmissione eredi- taria ο eredità dei caratteri. Da tutte le cellule dell’ or- ganismo vivente, che sono unità biologiche, si staccano dei granuli minutissimi, detti gemule, le quali, per la loro af- finità reciproca, si riuniscono e si accumulano negli ele- menti sessuali. Codeste gemule, trasmesse alle generazioni immediate, si sviluppano e si evolvono così da costituire le cellule, i tessuti, gli organi, o, in una parola, i nuovi individui; in tal caso si ha l’eredità immediata. Se invece le gemule rimangono latenti per un corso più o meno lungo di generazioni, nascoste, a così dire, nelle profon- dità degli organismi, sviluppandosi poi nelle generazioni venture, si ha l’eredità atavica o atavismo. Cfr. Darwin, — 811 — Pax Animals and Plants under Domestication, 1. II, cap. XXVII; W. K. Brooks, The law of heredity, 1883 (v. eredità, endo- genesi, porigenesi, panmizia, germiplasma). Panlogismo. T. Panlogismus ; I. Panlogiem; F. Panlo- gisme. Appellativo dato a quei sistemi filosofici, che iden- tificano, come lo stoico e l’hegeliano, il pensiero con l’es- sere, la ragione (λόγος) col tutto (πᾶν). Il vocabolo fu creato da J. E. Erdmann per denominare appunto In dot- trina di Hegel « che non pone nulla di reale se non la ragione; all’ irrazionale non accords che una esistenza transitoria, che si sopprime da sò stessa ». Cfr. Erdmann, Geschichte d. nou. Philos., 1853, t. III, parte 2°, p. 858 (v. logos, noo, io, panteirmo). Panteismo. T. Pantheismus; I. Pantheiem; F. Panthéi- me. Il termine panteisti fa usato la prima volta da To- land nel 1705; il termine panteismo non si trova che nel 1709, nel suo avversario Fay. Il panteismo è la dottrina filosofica che identifica la divinità col mondo, e concepisce l'uno e il molteplice, il finito ο l'infinito, la natura na- tarata ο la natura naturante come due aspetti differenti ma inseparabili di un essere unico, dell’ essere divino. Però questa identificazione di Dio col mondo sostenuta dal pan- telsmo, non va intesa in senso assoluto, come accade vol- garmente. Il panteismo filosofico distingue Dio dal mondo, in quanto il primo è uno, è il principio dell’ unità del- V universo, mentre il secondo è molteplice, è una totalità di elementi diversi; in altre parole, quello è l'essenza, que- sto il fenomeno, quello l’ universale, questo la collezione dei particolari. Della nozione volgare del panteismo scrisse Hegel: « Comunemente si ha del panteismo questo con- cetto: che Dio sia tutte le cose, il tutto, 1’ universo, co- desta somma di tutte lo esistenze, codesta infinita mol- teplicità delle cose finite, e si fa alla filosofia il: rimprovero di affermare che ogni cosa è Dio, cioè 1’ infinita varietà delle cose singole, non I’ universo in sò e per sè, ma le Pan — 812 — cose individuali nella loro esistenza empirica, come esse sono immediatamente.... Ma questo fatto (ossia) che una qualche religione abbia insegnato tale panteismo, è com- pletamente falso; non è mai capitato a nessun uomo di dire: tutto è Dio, cioè (Dio è) le cose nella loro indivi- dualità e contingenza; tanto meno ciò è stato affermato in qualche filosofia... Lo spinozismo stesso, come tale, © anche il panteismo orientale, insegnano che in tutte lo cose il divino non è che I’ universale del loro contenuto, l'essenza delle cose, ma in modo che questa essenza à rappresentata come essenza determinata delle cose stesse >. Il panteismo si distingue quindi tanto da quei sistemi che considerano la sostanza divina come distinta dalla sostanza del mondo (ereasionismo, dualismo), quanto da quelli che pongono una o più divinità personali (teismo, monoteismo, politeismo), quanto infine da quelli che negano |’ esistenza della divinità (ateismo). Va notato però che, storicamente, il panteismo si allea talvolta con qualcuna delle dottrine ora nominate; così lo stoicismo, nella sua fase eclettica, accoglie il politeismo della credenza popolare, ammettendo una schiera di divinità inferiori, emananti dall’ unica forza divina universale, considerate como organi intermedi e che, ciascuna nel proprio campo, rappresentavano la forza vi- tale ο la provvidenza della ragione universale; e nel pan- teismo logico di Scoto Eriugena, il mondo è Dio svoltosi nel particolare, con un processo degradante di universalità logica, per cui da Dio procede anzitutto il mondo intelli- gibile come Natura, che è creata © che crea, © il regno degli universali, delle idee, che formano le forze attive nel mondo sensibile dei fenomeni. Il panteismo assume due aspetti diversi: l’orientale, che immerge Dio nel mondo e lo concepisce come riposo, come essere; l’occidentale, che im- merge il mondo in Dio e lo concepisce come movimento, come processo. Si distinguono ancora: il panteismo materta- listico, per il quale è la semplice materia dell'universo, con — 813 — Pax le sue forze, la sua vita, il suo pensiero come prodotto del- l'organismo, che costituisce l’ Uno-Tutto, Dio; il panteismo idealistico, che risolve ogni cosa, tempo, spazio, materia, forza, divinità, in oreazioni dello spirito; il panteismo so- stanzialistico, che afferma l’esistenza di un potere spirituale operante nella forma materiale, potere infinito ed eterno che è la ragione di tutto. Fra i più importanti sistemi panteistici, sono da annoverarsi: 1° lo stoico, che considera 1’ universo come un vasto organismo penetrato în tutti i sensi da una sostanza eterea finissima, che è ad un tempo la ragione seminale da cui tutti gli esseri sono usciti, 1’ anima del mondo, la divinità; 2° l’alessandrino, secondo il quale Dio, che è P’Ente primo e |’ Uno, genera la mente, da cui emana l’Anima universale, che a sus volta produce le anime individue in lei contenute, e tutte le parvenze del mondo materiale; 3° lo spinosiano, in cui il pensiero e l'estensione non sono che due attributi di una sola so- stanza infinita, Dio, cosicchè le anime e i corpi, e ciascun fenomeno di quelle e di questi, non sono che modi di co- desti due infiniti attributi di Dio e ne esprimono in di- versi aspetti l'essenza; 4° l’Aegeliano, in cui l'assoluto, il tutto, la divinità, è l’Idea, che per un processo di eterno divenire si sviluppa prima come potenza o germe, poi come natura, infine come spirito cosciente. Cfr. Eucken, Geschichte d. philos. Terminologie, 1879, p. 94; Hegel, Vor- lesungen über die Philos. d. Religion, 1840, p. 94; C. E. Lu- thardt, The fundamental truths of Christianity, 1873, p. 65; R. I. Wilbeforce, The doctrine of the Holg Eucharist, 1853, p. 423; J. M. Cosh, The intuitions of the mind, 1882, p. 449- 452; Jaesche, Der Pantheismus nach s. Hauptformen, 1826; "Schuler, Der Pantheismus, 1884; F. Hoffmann, Theismus und Pantheismus, 1861; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, 1911, Ῥ. 155-174 (v. assoluto. panenteismo, emanazione, panlogiemo). Pantelismo. T. Panthelismus; I. Pantheliem; F. Pan- thélieme. Si adopera talvolta per designare la dottrina dello Par — 814 — Schopenhauer, la quale considera la forza come l’essenza dell’essere e identifica la forza stessa con la volontà; que- sta volontà cosmica è da principio incosciente e cieca, ma obbiettivandosi via via nelle gerarchie degli esseri sempre più perfetti, giunge infine alla piena coscienza di ad, cioè all’uomo. Si può adunque dire che l’essere è un voler es- sere. « La finalità, dice lo Schopenhauer, deriva essenzial- mente dalla volontà, © poichè la volontà è il fondo d’ogni essere vivente, poichè ogni corpo organizzato non è che la volontà divenuta visibile, ne viene che codesta volontà è coestensiva all’ essere stesso, gli è interiore, immanente. La nostra meraviglia alla vista della perfezione infinita e alla finalità delle opere della natura, deriva da ciò, che noi le consideriamo come consideriumo le nostre proprie opere.... Ma le opere della natura sono invece una manifestazione immediata, e non mediata della volontà. Qui la volontà agi- sce nella sua natura primitiva, senza conoscenza; la volontà e l’opera non sono separate da alcuna rappresentazione in- termedia; esse sono una cosa sola ». Il Guyau propone di sostituire la parola panteliemo a quella di feticiemo per desi- gnare quella fase psicologica della evoluzione del sentimento religioso, in cui 1’ uomo concepisce il mondo come una so- cietà simile alla sua, proiettando in esso la propria volontà ed intenzioni. Cfr. Schopenhauer, La rolonté dans la nature, trad. franc. 1836, p. 59; A. Guyau, Z’irreligion de l'avenir, 1887; F. De Sarlo, Metafisica, scienza 6 moralità, 1898. Parabulia. Stato anormale della volontà, che si veri- fica in alcune malattie mentali. Si distingue dall’abulia perchè il volere non è totalmente abolito, ma incerto, va- cillante, imperfetto. Però alcuni psicopatologi preferiscono riunire sotto l’espressione di parabulie ooatte tutte le ano- malie del volere, distinguendole poi in due gruppi: 1° pa- rabulie coatte impulsive, costituite da impulsi irresistibili contro i quali l’individuo sente la propria volontà impo- tente, e ai quali cede spesso a malincuore (dipsomania, clep- — 815 — Par tomanis, onomatomania, ecc.); 2° perabulia coatta inibito- ria, costituita dall’impossibilità di decidersi ad una azione volontaria ο ad eseguirla, pur volendola interiormente ο mentalmente. Cfr. Kraft-Ebing, Lehrbuch d. gerichtlichen ‚Psychologie, 83 ed., 1892; Ribot, Maladie de la personna- lité, 2° ed., cap. II Paradigma (δείκνυµι — mostrare). Si adopera talvolta come sinonimo di arohetipo per designare le idee platoni- che, esemplari o modelli immutabili e perfetti di oui le cose singole non sono che imitazioni imperfette e transi- torie. Dicesi paradigma logico quella figura di cui si serve la didattica per rappresentare in modo concreto e preciso un lavoro mentale, così da averne una intuizione diretta altrimenti impossibile. Paradosso. Gr. παρά — contrario a; δόξα — opinione; T. Paradoze, Paradozon ; I. Paradox; Y. Paradoze. Un’ af- fermazione 0 una negazione recisa e di solito indimostrata, che contrasta colla verosimiglianza, colle credenze del mag- gior numero e col così detto senso comune. Il paradosso può quindi racchiudere una verità; esso si distingue dal sofiema, che è un ragionamento falso rivestito dei lenocini dell’arte col fine di farlo accettare come vero; e dal pa- ralogisma, che è un ragionamento involontariamente scor- retto e che può anche condurre ad una conclusione vera. — Dicesi paradosso del Cournot la dottrina del caso del Cournot, in quanto essa, riducendo il caso ad un incontro ο coincidenza di serie causali non solidali tra loro concilia la necessità © la libertà, il determinismo e la contingenza. — Nella psicologia dicesi eccifamento paradosso il fenomeno consistente in ciò che, in alcune zone della pelle, il con- tatto dei punti pel freddo coll’ estremità di un cono me- tallico riscaldato, produce sempre non dubbie sensazioni di freddo, che aumentano con l’elevarsi della temperatura del cono al di sopra della temperatura media del corpo; pa- radosso ottico di estensione il fatto che, se le due metà per- Par — 816 — fettamente uguali d’una linea retta orizzontale sono divise da linee angolari rivolte all’esterno nella prima metà della retta e all’interno nella seconda metà della stessa, la prima metà sembra più lunga e la seconda più breve. Cfr. Kiesow, Archiv fur ges. Payohol., 1906; Botti, R. Acc. delle scienze di Torino, 1908-909; A. Pegrassi, Illusioni ottiche, 1904; P. Bellezza, Dell’uso della voce « paradosso » specialmente nol linguaggio scientifico, « Riv. rosminiana », V, 1912; Max Nordau, Paradossi, trad. it. 1913, Prefazione. Parafasia o paralalia. Si distingue dall’ afasia in quanto la memoria motrice della parola non è perduta completamente ma soltanto turbata, cosicchè l'individuo, pur potendo parlare, adopera i vocaboli impropriamente, pronunziando a stento e interrompendosi frequentemente. Cfr. Ch. Bastian, Le cerveau organo de la pensée, 1888, vol. II, p. 245 segg.; G. Saint-Paul, Le langage intérieur et les paraphasies, 1904 (v. amnesia). Parallelismo psico-fisico. T. Peyohophysicher Paral- telismue ; I. Psychophysioal Paralleliem ; F. Parallélieme pey- cho-phytique. Dottrina psicologica per cui si pongono in relazione puntuale le due serie dei fatti psichici e fisici (fisiologici), cosicchè ad ogni elemento della serie psichica corrisponde una particolaremodalità di movimento. L'espres- sione sembra sia stata usata la prima volta dal Fechner: der Paralleliemue des Geistigen und Körperlichen der in un- teres Ansicht begründet liegt (il parallelismo dello spirituale e del corporale che trova il suo fondamento nella nostra visione delle cose). Del resto, il concetto d’ una corrispon- denza delle due funzioni c'è giù nell’occasionalismo, quan- tunque fatto psichico © fatto psichico non siano causa Puno dell'altro, ma pura occasione: Toute l'alliance de Vesprit οἱ du corps, dice Malebranche, qui nous est connue, consiste dans une correspondance naturelle et mutuelle des pen- tes de Véme aveo les traces du cerveau, οἱ des émotions de T'âme ateo les mouremente des esprito animaux. Anche nella — 811 — Par dottrina leibnitziana dell’armonia prestabilita è contenuto il concetto di un parallelismo tra spirito e corpo: omne corpus est mons momentanea, seu carena recordatione. Più osplicitamente tale concetto esisteva già nella filosofia di Spinoza, che pensiero ed estensione, spirito e materia con- sidera come due attributi paralleli di una sola e medesima sostanza: sive naturam sub attributo extensionis, sive sub alio quocumque concipiamus, unum oumdemque ordinem, sive unam eandemque causarum connezionem, hoc est casdem res invicem sequi reporiens. Questa relazione tra le due serio di fatti ο di realtà è un dato dell'esperienza, la quale ci mostra che ovunque si abbia sistema nervoso si ha coscienza, mancando il sistema nervoso manca la coscienza, svilup- pandosi il sistema nervoso si sviluppa la coscienza, va- riando o alterandosi il sistema nervoso varia ο si altera la coscienza. Per questo suo carattere empirico, la dottrina contemporanea del parallelismo psico-fisico si distingue dal parallelismo metafisico, spinoziano, che importa non solo la concomitanza costante tra i fenomeni psichici e certi fe- nomeni fisici, ma ancora: 1° che ogni fatto fisico ha un concomitante psichico e viceversa; quindi non vi ha corpo senza spirito nè spirito senza corpo, ma tutto è animato, ogni cosa vive, sente e pensa; 2° che il fisico e il psichico sono, come dice Spinoza, due espressioni differenti di una sola e stessa cosa, cosicchè la serie fisica e la serie psi- chica non si corrispondono soltanto pei loro rapporti di concomitanza costante, ma fra i termini delle due serie vi ha, insieme alla loro differenza, una identità parziale, come se fossero modellati sovra un tipo comune, che entrambi rappresentano, quantunque ciascuno in modo diverso. In- vece l’attuale parallelismo psico-fisico importa: 1° 1 wmi- lateralità del rapporto, per cui, se al fatto psichico è con- comitante sempre ¢ necessariamente il fatto fisico, al fatto fisico non è sempre nè necessariamente concomitante il fatto psichico; 2° il principio o assioma d’eterogeneitä, che si può 52 — Ranzott, Dizion. di scienze filosofiche. Par — 818 — enunciare così: i corpi e lo spirito, la coscienza e il movi- mento molecolare del cervello, il fatto psichico e il fatto fisico, pure essendo simultanei, sono eterogenei, disparati, irreducibili, invincibilmente due. Altre dottrine si hanno se invece si considera l’una o l’altra delle due serie como funzione variabile indipendente o dipendente dell’ altra. Se la funzione indipendente è la fisica, la dottrina dicesi materialismo psico-fisico, di cui i principali rappresentanti sono lo Ziehen e il Mach, © cui fanno anche adesione molti psico-fisiologi francesi e italiani. Si distingue dal vecchio materialismo in quanto, a differenza di esso, ammette la irreducibilità del fenomeno psichico al fenomeno fisico, no- nostante la dipendenza. In questi ultimi tempi molte e gravi critiche furono rivolte contro il parallelismo, specie " da parto delle nuove scuole idealistiche. Uno dei più im- portanti argomenti portati contro di esso è la discontinuità della vita psichica e l'impossibilità di abbracciare causal- mente il passaggio da percezione a percezione, anche con la più larga applicazione delle rappresentazioni inconsoie. Cfr. Fechner, Über die Seelenfrage, 1861, pag. 210; Id., Zend- Avesta, 1. II, cap. XIX; Malebranche, De la rech. de la vé- rité, 1712, 4. II, 5; Leibnitz, Theoria motus abetracti, 1671, IV, 230; Spinoza, Ethica, 1. II, teor. VI, VII; Wundt, Grun- dries der Psychologie, 1896, p. 373 segg.; F. Jodl, Lehrbuch d. Paychol., 1896, p. 57 segg.; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 63-90; Bergson, Le parallélisme prychophy- sique et la métaphysique positive, « Bulletin de In Soc. fran- gaise de philos. », giugno 1911; Villa, La psicologia contem- poranea, 1899; C. Guastella, Filosofia della metafisica, 1905, t. II, p. 360 segg.; L. Chiesa, Il parallelismo prico-fisico 9 de sue interpretazioni nelle diverse scuole filosofiche, « Riv. stor. crit. scienze teolog. », 1908, p. 25-56; Eisler, Der prycho-physioche Paralleliemus, 1894 (v. anima, dualismo, materialismo, moniemo, spiritualiemo, psicologia, funzione, infuso fisico, ecc.). — 819 — Par Paralogismo. T. Paralogismus; I. Paralogiem; F. Pa- ralogisme. Ragionamento scorretto, cho si usa talvolta como sinonimo di sofiema, ma che in realtà se ne distingue per- chè, mentre il sofisma consiste in un ragionamento falso a cui si cerca dare l’ apparenza del vero, e di far accettare come tale, il paralogismo è invece un errore involontario, che deriva da ignoranza, da difetto di riflessione o di raziocinio, o semplicemente da distrazione. Questa distin- zione non esisteva in greco, dove παραλογισμός e παρα- λσγίζεσθαι sono usati spesso in senso cattivo. Il Masci ritiene invece che la distinzione poteva avere importanza pei Greci, presso i quali fiorì I’ arte del falso ragionamento (Sofistica), ma non ne ha alcnna dal punto di vista logico; perciò egli adopera la parola sofisma per indicare il genere, la parola paralogismo per indicare quella specie di sofismi che dipendono non dalla falsità materiale dello premesse, ma dal cangiamento del significato ο del valore dei termini nel procedere da essi all’illazione. Kant, in quella parte della Critica della ragion pura che tratta della Dialettica tra- scendentale, chiamò paralogismo trascendentale quello per cui - la psicologia razionale, dall'unità dell’io-soggetto considerato come uno rispetto alla molteplicità dei propri oggetti, con- clude alla unità, considerata come reale ed assoluta, del- 1’ io-sostanza. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 365 n; Kant, Κι. d. reinen Vern., A 341-405, B 399-427 (v. dottrina). Paramnesia. T..Paramnesia; I. Paramnesia ; F. Param- nesie. Anomalia della memoria, in cui 1’ ignoto appare noto e si riconosce come già veduto ο sentito ciò che in realtà si vede e si sperimenta per la prima volta. Consiste dun- que in un falso riconoscimento ed è l'opposto dell’ oblio, in cui il noto appare ignoto. Essa può verificarsi tanto nello stato anormale che nel normale: negli alienati, in- fatti, accade spesso che per settimano, per mesi ed anche per anni persistono sempre nell’ idea di trovarsi in circo- stanze nelle quali per l’addietro s'erano già trovati, e di Par — 820 — essere anzi in istato di poter predire ciò che dovrà acca- dere. Ma anche nella vita normale, specie nella gioventù, avviene spesso che in qualche congiuntura ci si imponga improvvisamente l’idea di esserci già trovati nelle iden- tiche circostanze, e a questa idea e’accompagni il presen- timento oscuro di ciò che forse accadrà. Codesti fenomeni furono spiegati in vari modi: o che si confonda il simile con l’identico; o che si ridesti una imagine da noi rice- vuta durante uno stato di subcoscienza o di incoscienza, la quale quindi non produsse in quel momento che una modificazione fisiologica, o che l’imagine stessa si sia avuta nel sogno. Cfr. Ribot, Maladies de la mémoire, 1885, p. 149- 153; Revue philosophique, serie di articoli nel 1898, 1894 ; E. Bernard-Leroy, L’illusion de fausse reconnaissance, 1898; G. Pontiggia, Ricerche intorno al fenomeno della paramnesia, 1899; G. Fanciulli, Intorno al falso riconoscimento, in « Cul- tura filosofica », 1907 (v. amnesia, incosciente, memoria, riconoscimento). Paranoia. T. Paranoia; I. Paranoia; F. Paranoia. Ter- mine creato dal Vogel (1772) e ripreso dal Kahlbaum (1863), per denominare una forma di monomania affettante spe- cialmente l'intelligenza. Oggi, in grazia specialmente del Kraepelin, per paranoia s'intende una psicosi costituzio- nale degenerativa, caratterizzata dal sorgere lento e gra- duale di un sistema di idee deliranti e durature, senza passaggio a demenza. Da essa si distinguono gli stati pa- ranoidi, costituiti da deliri simili ai precedenti ma accom- pagnati da allucinazioni e terminanti in demenza. Sotto il nome generico di paranoia si comprendono dagli psichiatri numerose forme di alienazione mentale, come la paranoia originaria, rudimentaria, primaria e secondaria, cronica, erotica, religiosa, alcoolica, semplice, allucinatoria, perse- cutoria, senile, ecc. Le idee deliranti del paranoico hanno generalmente origine da fatti veri, da osservazioni reali, fal- samente interpretate e combinate dall’ ammalato. Cfr. Wer- — 821 — Par ner, Die Paranoia, 1891; Kraft-Ebbing, Lehrbuoh der Pay- chiatrie, 1879; Ziehen, Peyohiatrie, 1894, p. 341 segg.; Mor- selli e Buocola, Paszia sistematiszata, 1883; Tanzi e Riva, Paranoia, 1884; Amadei e Tonnini, La paranoia e le sue forme, « Archivio it. per le malattie nervose », 1884. Parassitismo. Il significato di questa parola, alla quale alcuni preferiscono l’espressione di simbiosi antagonistica, non è ancora ben precisato nelle scienze biologiche. In ge- nerale, il fenomeno del parassitismo può considerarsi come una specie di associazione forzata, vantaggiosa per uno solo dei componenti, il paraesita, dannosa per l’altro, cioò l'ospite, alle spese del quale il parassita vive, senza però determi- narne la morte immediata. Alcuni animali sono parassiti soltanto in qualche stadio della loro vita, altri invece per tutta la vita; in questi ultimi si osserva sempre un de- gradamento dell’ organismo in confronto degli animali li- beri, appartenenti ai medesimi gruppi. I parassiti che vono sulla superficie dell’ ospite diconsi ectoparassiti, quelli che vivono nel sup interno endoparassiti. Cfr. Espinas, Les societés animales, 1878 (v. mutualiemo). Parestesia. Stato anormale della sensibilità (rapà = anormalmente), da non confondersi colla paresia (paralisi parziale). Quando la parestesia riguarda i sensi specifici, prende nomi diversi: se riguarda l’odorato dicesi parosmia, se il tatto parafia, se l’udito paracusia, se il gusto parageusia. Parlamentari (sofismi). Nome dato dal Bentham ad una specie di sofismi, che sono usati spesso nelle discus- sioni parlamentari, per far trionfare interessi di partito. Tali sono i soflemi d’ autorità, di confusione, di pericolo e di dilazione. Cfr. Bentham, Essai sur la taotique des assom- blées legislatives, 1815. Parola interiore. T. Innere Rede; I. Inner Speech; F. Parole intérieure. Espressione divenuta comune dopo il libro di Vittorio Egger, che reca appunto questo titolo. Essa in- dica il fatto generale del pensiero che si presenta alla co- Par — 822 — scienza sotto forma d’imagini uditive, o uditivo-motorie, formante parole o frasi che la parola esteriore ripete con più o meno fedeltà. La parola interiore è in tal modo una fase intermedia tra la parola sonora e il pensiero mnto, e scorre ora più ora meno veloce. Secondo l'Egger essa è propria di tutti gli uomini normali, ed è continuativa in ciascuno d’essi; ma molti psicologi contemporanei sono d’opposto avviso. Cfr. V. Egger, La parole intérieure, 1881: Ballet, Le langage intérieur, cap. V, 1886; Baldwin, Internal speech and song, « Philos. Review », luglio 1893; G. Saint- Paul, Le langage intérieur et les paraphasies, 1904; Morselli, Manuale di semejotica, II, p. 438 segg. (v. endofasia). Parsimonia (legge di). T. Prinzip der Sparsamkeit; I. Law of parsimony; F. Loi de paroimonie. Detta anche legge @economia, ο del minimo sforzo, o dell'azione minore. Essa si verifica tanto nel mondo inorganico, come nell’ organico ο nel superorganico. Tutti i fini della natura si attuano infatti coi mezzi più semplici, con quelli che esigono cioè la minore quantità sia di materia che d’ energia, e quindi di tempo. La sua prima formulazione, con valore episte- mologico, si fa risalire a questa formula di Occam: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. Galileo ne fece largo uso e l’espresse con queste parole: « La natura non opera con molte cose quello che può operare con poche ». Tra gli scienziati contemporanei, il Mach le dà un valore fondamentale: « La scienza può essere considerata come un problema del minimum, che consiste nell’ esprimere i fatti nel modo più perfetto possibile col più piccolo di- spendio di pensiero ». Ugual valore le attribuisce anche l’Avenarius, che riduce tutto lo sviluppo della conoscenza al principio della parsimonia o del minimo consumo d’ener- gia, così formuluto: l’anima non impiega in una percezione più forza di quella che kia necessaria, e, quando si trova innanzi a una pluralità di percezioni, dà la preferenza a quella che con uno sforzo minore produce lo stesso effetto, — 823 — Par © con uno sforzo uguale produce un effetto maggiore. Nella psicologia comparata la legge di parsimonia dicesi anche principio del Morgan: secondo esso non si devono spiegare le reazioni di un animale con una facoltà psichica superiore (ad es. intelligenza, ragione), quando per giustificarle basta riferirle ad una capacita psichica meno elevata nella gerar- chia delle funzioni mentali. Cfr. Galileo, Opere, VII, 143; Leibnitz, Discours de métaphysique, 1686, $ VI; Avenarius, Philosophie als Denken der Welt gemäss dem Princip des klein- sten Kraftmaasses, 1903, p. 3 segg.; E. Mach, Die Mechanich, 3% ed., p. 480; L. Morgan, dn introduction to comparatire psychology, 1884, p. 53; E. Claparède, Arch. de psychologie, giugno, 1905 (v. empiriocritioismo, tpotesi, leggo). Partenogenesi (παρθένος = vergine, γένερις = gene- razione), Fenomeno assai raro, che consiste nel riprodursi di certi animali per uova non fecondate, sia per accidente sia con regolare periodicità. Certi artropodi, ad es., sono partenogenetici durante I’ estate, mentre nell’ autunno de- pongono uova fecondate. Cfr. Y. Delage, Structure du pro- toplasme, Biol. gen.. 1895. Particolare. T. Partikulär, besonder; I. Particular; F. Particulier. Ciò che conviene ad alcuni individui o ad al- cune cose. Si oppone a universale, che è ciò che conviene senza eccezione a tutti gli individui o a tutte le persone. Si distingue da individuale, che è ciò che appartiene ad un solo individuo, e da speciale, che è ciò che appartiene ad una specie. Il giudizio particolare è quello il cui soggetto è preso solo con una parte della sua estensione. Insieme con I’ universale e con I’ individuale è contenuto sotto il rispetto della quantità. Il suo valore muta a seconda che la parte di estensione in cui à preso il soggetto è deter- ja (molti A sono B — pochi À sono B) o indeterminata (alcuni 4 sono B). Nel primo caso può essere un giudizio di limitazione, o di eccezione di un giudizio universale (soltanto alcuni 4 sono B), oppure un giudizio induttivo che prepara Par-Pas — 824 — un giudizio universale (almeno alouni 4 sono B). Cfr. Eucken, Geschichte d. phil. Terminologie, 1879, p. 54; Masci, Logica, 1899, p. 175 segg. Parti-parziale. Nella dottrina di Hamilton sulla quan- tifleazione del predicato, si dicono così quelle proposizioni in cui tento il soggetto come il predicato sono presi in parte della loro estensione. Possono essere tanto afferma- tive - es.: alcune figure equilatere sono (sleuni) triangoli -- quanto negative, ad es.: qualche triangolo non è (qualche) figura equilatera, Cfr. Hamilton, Leotures on logio, 1860, Append. II, 283. Parti-totale. Nella dottrina dell’ Hamilton sulla quan- tificazione del predicato, si dicono così quelle proposizioni in cui il soggetto è preso in parte della sua estensione, il predicato in tutta l'estensione. Possono essere tanto affermative - es.: alcune figure sono (tutti i) triangoli - quanto negative, ad es.: qualche figura equilatera non è (nessun) triangolo. Cfr. Hamilton, Lectures on logio, 1860, II, 283. Parusia. Gr. παρεῖναί = essere presente; T. Parusie ; I. Parousia; F. Parousie. Termine usato da Platone per esprimere i rapporti tra I’ essere assoluto 0 essenza e il mondo sensibile; esso sta in stretta relazione con la par- tecipazione ο metessi (µάθεξις) © la coinonia (κοινωνία). Fu adoperato anche da Plotino per esprimere le relazioni del- ‘Vanima col corpo: mediante la parusia l’ anima anima e pervade il corpo senza confondersi con esso. Cfr. Platone, Polit., 509; Plotino, Enneadi, VI, 4, 12. Pasigrafia. Lingua universale ed uniforme per tutte le scienze, vagheggiata dal Leibnitz, che usava anche a tale riguardo l’ espressione di caratteristica unirersale © are combinatoria. In codesta lingua scientifica ogni concetto doveva essere rappresentato da un simbolo grafico, ed ogni flessione, relazione, particella da un segno. Cfr. Leibnitz, De arto combinatoria, 1666, Nouveaux Essais, IV, cap. VI, $ 2. — 825 — Pas io al limite, È un'applicazione particolare del metodo induttivo delle rariazioni concominanti. Quando una lunga serie di esperienze intorno a determinati feno- meni, che variano correlativamente in modo parallelo, ha autorizzato a credere che tali variazioni non hanno limite, si può conchiudere anche al di là dei limiti segnati dal- l esperienza. Così la legge d'inerzia si considera come vera, quantunque I esperienza non ci dia esempio di nes- sun movimento il quale, non incontrando alcun ostacolo, continui indefinitamente nella stessa direzione e colla stessa velocità. Secondo il Mill si può conchiudere col metodo del passaggio al limite solo quando si conoscono le qualità as- solute dei fenomeni che variano correlativamente, © si sap- pia che il variare dell’ effetto dipende soltanto dal variare della causa. Cfr. J. Stuart Mill, À system of logio, 1865, 1, ο. 8 segg. Passione. T. Leidenschaft, Affekt; 1. Passion; F. Passion. Non è che una emozione divenuta irresistibile e persistente: ad es. la panra non è che una emozione, l’ avarizia è una passione. Essa è costituita da un’ idea predominante e da speciali movimenti organici. Così per Cartesio le passioni si possono definire come « percezioni ο sentimenti o emo- zioni dell’anima che si riferiscono particolarmente ad essa © che sono prodotte e conservate e rafforzate da qualche movimento degli spiriti animali ». « L'impressione che viene chiamata stato passivo dell’anima, dico Spinoza, è un’ idea confusa per la quale l’anima afferma la forza di esistere, vale a dire la potenza di agire, maggiore o mirlore di prima, del proprio corpo o di una delle sue parti, e che essendo data, determina l'anima a pensare una speciale cosa piut- tosto che un’altra ». Condillac la definisco un desir qui no permet pas d'en avoir d'autres, ou qui du moine est le plus dominant. Helvetius: les passions sont dane la moral ce qui dans lo physique est lo mouvement, Kant: « le passioni appartengonoalla facoltà del desiderare (Begehrungerermigen) Pas — 826 — e sono delle tendenze che rendono difficile ο impossibile ogni determinazione della volontà modiante principi ». Höff- ding: «la passione, al contrario dell’ emozione, è il movi- mento affettivo radicatosi mediante I’ abitudino e divenuto una seconda natura ». Malapert e Ribot: « la passion est une inolination qui e'ezagère, surtout qui s'installe à demeure. se fait centre de tout, se subordonne lee autres inclinations et les entraine à sa suite». Il sorgere della passione può es- sere determinato sis da cause esterne, come l’ ambiente, limitazione, la suggestione, sia da cause interne, che si ri- ducono a una sola: il temperamento e il carattere degli individui (passionali). Essendo esagerazioni di tendenze ele- mentari, tutte le pnssioni si possono teoricamente ricon- durre, secondo il Ribot, a queste tre tendenze: 1° tendenze che hanno per fine la conservazione dell’ individuo, ad es. la gola, l’alcoolismo; 2° tendenze che si riferiscono alla conservazione della specie, ad es. l’amore, la gelosia; 3° tendenze che contribuiscono all’ espandersi dell’ indivi- duo, alla affermazione della sus volontà di potenza, ad es. l'ambizione, l’avarizia, la vendetta, la passione per le avventure. Le passioni possono estinguersi per esaurimento, sia lento sia improvviso, per trasformazione, per sostitu- zione, per follia, per morte. Nella storia della filosofia molte sono le dottrine metafisiche sulla passione: ma lo studio veramente scientifico non è stato fatto che dai psicologi moderni. Per Platone, le passioni sono la forza che solleva il sensibile e lo conforma all’ intelligibile : vi sono le pas- sioni inferiofi, dovute alla parte più bassa dell’ anima, l'inidopla, collocata nel ventre; le passioni nobili ο caste, costituenti la seconda parte dell’ anima, il θυμός, che oc- cupa il cuore; infine il νοῦς, impassibile, che occupa il capo; la virtù consiste non nel distraggere le passioni, che sono indistruttibili, ma nel rispettare l'armonia essenziale del- Panima, nel mantenere l'autorità del voie sul θυμός ο sulla ἐπιθυμία. Nella sua parte essenziale la dottrina pla- — 827 — Pas tonica è condivisa da Aristotele, mentre invece sia gli stoici che gli epicurei negano, per vie diverse, che lo pas- sioni partecipino della essenza dell’ anima, considerandole come semplici turbamenti accidentali: divengono quindi possibili nella pratica la felicità e l’atarassia, ciod l’as- senza d’ ogni turbamento, che soltanto 1’ esercizio dell’ in- telligenza può procurare, 8. Tommaso, attenendosi alla dot- trina aristotelica, fa sorgere le passioni dall’ appetito, che è la facoltà dell’ anima per la quale essa è portata verso gli oggetti esteriori come suoi propri fini; perciò tutte le pas- sioni si riconducono infine ad una sola, l’amore: « L'amore è naturalmente il primo passo della volontà e dell’ appe- tito, conicchè da esso hanno origine tutti gli altri atti della passione. Ognuno desidera il bene che ama, gode di esso € si rallegra; il contrario della cosa amata produce I’ odio. Lo stesso può dirsi della malinconia e delle altre pa tutto partono dall’amore « possono in esso confondersi e riunirsi ». Bossuet, riepilogando più tardi la dottrina di 8. Tommaso, dirà: « Sopprimete l’amore e tutte lo pas- sioni spariranno, rimettetelo al suo posto ed eccole ap- parire tutte di nuovo ». Nella filosofia di Cartesio la pas- sione ha un significato peculiare; essa è una emozione dell’ anima originata dagli spiriti animali, © non nasce dagli oggetti esterni ma dalla loro valutazione: « noi ri- feriamo all’ anima i movimenti del nostro corpo, ma a co- desto riferimento va unito il sentimento che questi moti dell’ anima non sono voluti, ma subìti, ed è così che si forma l'idea della passione. » Cartesio pone come c6mpito dell’ Etica il liberarsi delle passioni, che contraddicono alle esigenze dello spirito. Tuttavia egli considera tutte le pas- sioni come date da natura, e tutte buone; per tal modo si contrappone per primo al concetto ascetico e teologico, che tutte le passioni condannava come nocive, e prepara la dottrina spinoziana e moderna sulla utilità delle pas- sioni. Ogni essere, secondo Spinoza, ha una tendenza n Pas — 828 — perseverare nel proprio stato; questa tendenza, divenuta cosciente, dicesi oupidità, alla quale si associano due pas- sioni, © ciod la letizia per tutto ciò che è favorevole alla nostra esistenza, la tristezza per tutto ciò che tendo a di- minuirla. Non diversamente nella scienza moderna è inteso l'ufficio biologico dell’ affettività in generale, ο quindi an- che della passione. La quale per di più ha il cémpito di fornire l’ eccitazione per il funzionamento delle varie serie psichiche, così negli uomini come negli animali ; e, quando non sia smoderata © patologica, di conferire energia © co- stanza alla volontà, acutezza alla intelligenza, forza al compimento degli ideali generosi. « Nulla di grande è mai stato compiuto nò potrà mai compiersi, dice Hegel, senza la passione. È una moralità morta e persino troppo spesso una moralità ipocrita quella che « eleva contro la passione per il solo fatto che è passione ». Uguale valore attribuisce alle passioni il Galluppi, che le considera come desideri violenti, riconducendole tutte a due fondamentali : |’ amore e V odio, di cui le varie passioni non sono che modifica zioni, determinate da giudizi diversi sull’ esistenza dell’og- getto amato ο dell’ oggetto odiato; quando l’amore per l'oggetto della propria passione è maggiore dell’ amor na- tarale della propria personalità, si hanno le passioni forti, senza le quali nulla vi sarebbe di grande e di sublime nelle imprese degli uomini. Per il Rosmini le passioni sono af- Sezioni che lasciano nell’ anima un’ abituale inclinazione a riprodursi ; a lor volta le affezioni sono modificazioni gene- rali dell’ anima, prodotte in questa dall’ associazione di più sentimenti; nel? uomo si dànno passioni razionali e pas- sioni animali: le prime l’uomo ha in comune coi bruti, quantunque ne differisoano sia perchè si associa }’ intelli- genza a modificarle, sia perchè possono esser mosse da una _ causa razionale; le seconde sono proprie esclusivamente dell’uomo ed hanno per unica causa l'intelligenza, quali la meraviglia, lo stupore, l'estasi, eco. Cfr. Platone, Polit., — 829 — IX; Aristotele, Do An., I, 3, 407 b, II, 5, 417 segg.; 8. Tom- maso, Summa theol., I, qu. XX, art. 1; Cartesio, Des pas- sions, 1649; Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. II, 1. V, teor. III, VI, XVII, XX; Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. III, $ 3; Helvetius, 1758, III, 4; L. Limentani, Le teorie psicologiohe di Helvetius, 1904, p. 33 segg.; Kant, Ærit. der Urteilskraft, 1878, p. 121 n; Héftding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 376 segg.; P. Malapert, Les éléments du ca- ractére, 1898, p. 229; Hegel, Phänomen. des Geistes, 1832, consid. sul $ 474; Ribot, Essai sur les passions, 1907 ; Boigey, Introd. à la medicine des passions, 1914; W. James, Prin- cipi di psicologia, trad. it. 1909, ο. xxv; Galluppi, Lesioni di logica e metafisica, 1854, vol. II; Rosmini, Psioologia, 1848, vol. IT, p. 165 segg.; Ardigò, Opere fil., III, 84 segg., VI, 364 segg.; A. Renda, Le passioni, 1905 (v. affettivi, emozione, sentimento, sentimentalismo, intellettualiemo). Passività. T. Passivität; I. Passiveness; F. Passivite. Opposto ad attività, designa lo stato dell’ essere che ricove V azione, ossia le modificazioni prodotte in un essere da un altro essere che agisce su lui. Il concetto di attività © passività sarebbe, secondo alcuni, puramente psicologico, e quindi non applicabile alla realtà naturale. « Tra il dare e il ricevere, tra l’attività ο la passività, dice il Jodl, non esiste nella coscienza alcuna separazione (Trennung), ma soltanto una opposizione (Gegensatz) logica e concettuale ». L'uomo avverte in sò stesso delle sensazioni, che egli'ri- ceve dalle cose, ο perciò sotto tal riguardo considera sè come passivo e le cose come attive; nello stesso tempo avverte la propria azione sulle cose, che rimangono da lui modificate, e sotto questo riguardo considera sò come at- tivo e le cose come passive. Proiettando al di fuori questi due concetti, l’uomo attribuisce alle relazioni delle cose tra loro le forme di attività e passività che ritrova in sè stesso. Ciò è, secondo alcuni filosofi, illegittimo, anzitutto perchè la sensibilità non è recettira ma attiva, in quanto PAT — 830 — il fatto esterno rimane esterno, e quindi il soggetto ha soltanto stati propri; in secondo luogo perchè la conce- zione della realtà non può modellarsi sopra un fatto asso- lutamente psicologico. La realtà naturale in quanto è di- venire, în quanto è unità © continuità, esclude in sd ogni sostanziale contrapposizione. — Nella teologia la passività designa non già uno stato di dolore opposto al piacere, nè uno stato di inerzia o indolenza, ma bensì lo stato con- templativo dell’anima sottomessa all’azione di Dio. L'anima si trova allo stato passivo quando Dio agisce sopra le sue potenze -- pensiero, sentimento, volontà - le quali non fanno che patire, ricevere V opera divina. Cfr. F. Jodl, Lehrbuch der Psychologie, 1896, p. 105; Marchesini, Il sim- bolismo nella conoscenza e nella morale, 1901, p. 295 segg. (v. attività, azione, patire). Patarini Setta di novatori cristiani, fiorita in Lom- bardia © così denominata dal luogo ove si radunavano in Milano. Essi combattevano il matrimonio del clero, il lusso degli alti gradi ecclesiastici, e predicavano il disprezzo delle ricchezze e della gloria mondana. Non è improbabile, a giudizio del Tocco, che ad essi si sia moscolata la setta eretica dei Catari, allofa molto diffusa in Lombardia. Cfr. F. Tocco, Le eresie nel medioero, 1884. Patire. T. Leiden; 1. To be passive; F. Patir. Rice- vere un'azione. In Aristotele è una categoria (πάσχειν), che si assimila a quella dell’ agiré (roteiv), in quanto sono fra loro nello stesso rapporto del movente ο del mosso: il mosso è anche il movente, il secante è il se- cato. Come termine d'una relazione sono distinti; ma la relasione è un’ unica categoria. Cfr. Aristotele, Top., I, 9; Id., Metaph., IV, 28, 1024 b, 9, VIII, 1, 1045, ecc. (v. pas- sione, azione). Patologia. T. Pathologie; I. Pathology; F. Pathologie. La scienza che ha per oggetto la conoscenza delle malattie. Si divide în generale e speciale; quest’ultima in interna — 831 — Par ed esterna. Nella patologia speciale, Specht o Münsterberg hanno distinto la patopsicologia, che studia i fatti psichici presentanti un carattere morboso, e la psicopatologia che è propriamente quel ramo della patologia che studia le malattie dello spirito. La patologia non divenne vera scienza che nel secolo scorso, quanto cioè la malattia non venne più considerata come un ente speciale, ma come un fenomeno naturale, sottomesso alle leggi di natura. A tale risultato contribuirono specialmente gli studi sulla pato- logia cellulare del Virchow, che trasportò per primo la teoria cellulare dall’organismo sano a quello malato, di- mostrando come la cansa delle malattie risiede nell’ alte- razione, più ο meno vasta, dei varii territori cellulari. Cfr. Münsterberg, Zeitschrift für Pathopayohologie, 1° vol., 1911; G. Storring, Mental pathology, 1907; Lustig, Patologia generale, 1901, vol. I, p. 9 segg. Patristica. T. Patristik; I. Patristic; F. Philosophie patristique. E il primo dei due grandi periodi in cui divi- desi la filosofia del medio evo, e comprende i primi otto secoli dell'era volgare; il secondo è rappresentato dalla scolastica. La patristica si distacca profondamente dalla filosofia precedente, e, in generale, da tutta la filosofia antica, in quanto vi prevale la fede sulla ragione, ogni sforzo è ridotto alla elaborazione del dogma, e la filosofia ha perduto il suo potere sovrano, non vi è più considerata che un’umile ancella della religione. Si divide in tre periodi: al primo, detto degli apologeti, appartengono principalmente 8. Giustino, Atenagora ο ‘Teofilo, che di- rigono ogni loro sforzo a difendere la dottrina cristiana contro la filosofia e la religione pagana; il secondo, detto dei oontroversisti, è principalmente occupato a difendere la religione cristiana contro gli assalti della gnosi e delle ultre eresio; nel terzo periodo, detto dei sistematici, la dottrina cristiana, che aveva vittoriosamente combattuto lo dottrine avverse, è ridotta a sistema filosofico. Que- Pau — 832 — st’ ultimo periodo, che è il più importante, si svolge da prima in Alessandria con Panteno e Clemente Alessandrino, ed ha per cémpito principale di definire il dogma della Trinità; passa di poi in Occidente, ove 8. Agostino, l’in- telletto più robusto della Chiesa occidentale, costituisce il sistema completo e definitivo della filosofia cristiana. — La patristica non deve confondersi con la patrologis. La pa- rola patrologia cominciò ad usarsi nel secolo XVII, ο servì allora a designare la scienza della vita © degli scritti dei Padri della Chiesa; poi il suo significato andò sempre più allargandosi, ed oggi essa si occupa di tutti gli scrittori ecclesiastici, ne analizza gli scritti con particolare riguardo alle loro opinioni dogmatiche, cosicchè può dirai non esser altro che la storia dell’ antica letteratura oristiana. Nella patrologia i protestanti comprendono anche i libri del Nuovo Testamento e l'antica letteratura eretica; i cat- tolici invece lasciano i primi alla scienza dell’introduzione biblica e non inoludono nella patrologia gli scritti eretici se non in quanto è necessario alla intelligenza delle opere ecclesiastiche, Cfr. Harnack, Lehrbuch d. Dogmengeschichte, 1890; Möhler, Patrologie, 1840; Stökl, Geschichte d. Philos. d. patristischen Zeit, 1859; F. Chr. Baur, Vorlesungen über die ohrist. Dogmengeschiohte, 1865; Ritter, Histoire de la phil, chrétionne, 1843; Bardenhewer, Patrologia, trad. it. Mercati, 1903; Rauschen, Manuale di patrologia, 1905; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo nella filosofia religiosa, 1912, p. 125-192 (v. dommatica, domma, neotomismo, scolastica). Paura. T. Furcht; I. Fear; F. Peur. Fu definita come la reazione organica che succede alla rappresentazione viva di un pericolo reale o possibile. Cicerone la definisce: re- ocssus ot fuga animi. S. Agostino: perturbatio animi in ex- apeotatione mali. Hobbes: aversio cum opinione dammi soou- turi. Spinoza l’accosta alla speranza, che definisco una gioia instabile, nata dall’ imagine d'una cosa futura ο passata, del cui realizzarsi noi dubitiamo, mentre la paura è una fri- — 833 — Pec atesza instabile, nata, del pari, dall'imagine d'una cosa dub- bia. Essa rappresenta la prima reazione emotiva della vita, comparendo, secondo il Perez, al secondo mese di esi- stenza. Vi sono due spocie fondamentali di paura: quella istintiva, che compare più spesso nei bambini ο negli ani- mali, e quella cosciente o riflessa, che è sempre posteriore all’esperienza ο si fonds sopra il ricordo d’un pericolo ο d’un dolore provati o evitati. Quando la paura è spropor- zionata alla causa efficiente, cronica, 9 accompagnata da movimenti troppo intensi, diventa un fenomeno patologico e dicesi fobia. Cfr. S. Agostino, De cir. Dei, Il; Spinoza, Ethica, 1. III, teor. XVI, scol. 2; Th. Ribot, Essai sur les passions, 1907; A. Mosso, La peur, trad. franc. 1888. Peccato. T. Sünde; I. Sin; F. Péché. Nel suo senso ge- nerale ο primitivo, il peccato è il male morale; in senso religioso, è la trasgressione volontaria della legge divina, © quindi l'offesa alla divinità. Il dogma del peccato ori- ginale afferma che Dio creò l’uomo morale, libero ϱ fal- libile; che per un atto della sua libera volontà 1’ uomo disobbedì al volere divino; che l’uomo, essendo libero, è responsabile delle sue azioni, © che quindi la sua disobbe- dionza ha determinato il giusto castigo di Dio; che, infine, 1a pena del fallo è ereditaria. Secondo l’Ardigò, il concetto del peccato originale sorse come interpretazione dell’ esi- stenza del dolore, considerato da principio quale vendetta d'una potenza superiore inclemente e capricciosa, poi quale castigo inflitto da una divinità giusta: « In pari tempo, per la osservazione che il dolore, ossia la punizione, si verificava anche nei non colpevoli, si dovette, affine di li- berare in qualche modo il concetto religioso fondamentale dalla contraddizione, ricorrere allo spediente, suggerito an- ch’ esso da una osservazione di fatto, del peccato origi- nale». Cfr. I. Müller, Christl. Lehre r. d. Sünde, δ3 ed. 1887; Ardigò, La morale doi positieisti, 1892, p. 73-74 (v. male, ottimiemo, religione, teodicea). 58 — RaNzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. PED — 834 — Pedagogia. T. Pädagogik; I. Podagogios; F. Pédagogie. La scienza del fatto della educazione; vale a dire quel sistema di cognizioni teoriche fra loro coordinate, da cui derivano le regole pratiche che guidano 1’ educazione. Si deve dunque distinguere la scienza pedagogica, che è un complesso di regole derivanti da principi, dall’arte pedu- gogica, che è la semplice applicazione di norme suggerite dalla pratica ο tramandate per tradizione, ο dalla dottrina pedagogica, che è un insieme di regole delle quali non si spiegano le ragioni. La pedagogia nel sno primo signifi- cato è ad un tempo scienza ed arte. Al pari di ogni altra scienza, essa è passata nella sua evoluzione storica attra- verso tre grandi periodi, empirico, precsttivo 9 organico ο ideale; nel primo periodo non è che una serie di tentativi, governati dal bisogno; nel secondo un insieme di precetti, di aforiemi ο di leggi parziali, dettate più che altro dal- uito pedagogico ; nel terzo, che è il più perfetto, le co- gnizioni vengono logicamente organizzate in un tutto ideale. La pedagogia è puro © grossolano empirismo nei popoli selvaggi © primitivi; diventa precettiva nei popoli del- Y Oriente, della Grecia © di Roma, come attestano le loro leggi, le loro letterature, i loro libri religiosi; si eleva in- fine a vera organizzazione ideale coi grandi filosofi greci. Cfr. Herbart, Pädagog. Schriften, her. O. Willman, 1880; Credaro, La pedagogia di F. Herbart, 1900; A. Angiulli, La pedagogia, 1882; A. Gabelli, La pedagogia, lo stato e la famiglia, 1876; Ardigd, La scienza dell’ eduoasione, 1893; E. Celesia, Storia della pedagogia italiana, 1893 (v. educa- zione, didattica, metodica, pedologia, ccc.). Pedologia. T. Paidologio; I. Paidology; F. Pédologia. Vocabolo creato dal Chrisman per designare In scienza completa del fanciullo, studiato così sotto 1 aspetto fisio- logico ed antropologico, come sotto quello psicologico e psichiatrico. Essa quindi non sarebbe che una parte, per quanto fondamentale, della Pedagogia. Per altri la Pedo- — 835 — PEN logia designa invece la vera scienza sperimentale della educazione, distinta nettamente dalla Pedagogia, che è considerata come una speculazione puramente astratta e filosofica. Per altri ancora la Pedologia non è che una parte della psicologia individuale: come questa ricerca ed esa- mins le differenze che mostrano i singoli individui nelle diverse funzioni psichiche, così In Pedologia non studia la vita psichica generale dell’ infanzia, ma le differenze per mezzo delle quali un fanciullo si distingue dagli altri, sia nelle funzioni inferiori psicofisiologiche e sensoriali, sia nei processi superiori della memoria, del ragionamento, del- V emotività, eco. Cfr. O. Chrisman, Paidologio, Entwurf zu einer Wissenschaft des Kindes, 1894; E. Blum, La pédologie, Pidee, le mot, la chose, in « Année Paychologique », 1899; Sur les divisione et la méthode de la pédologie, C. r. del Con- grès de phil. de Genève, 1904; G. Cesca, Pedagogia ο pe- dologia, « Riv. di fil. ο scienze aff. », sett. 1902. Pena. T. Strafe, Bestrafung; I. Punishment; F. Peine, Punition. Ha tre significati distinti: in senso generale esprime qualunque dolore, o qualunque male che cagiona dolore; in senso speciale indica un mule che si soffre per causa propria, e comprende quindi tutte le pene dette na- twrali; in un senso ancora più speciale, indica la sanzione della legge, ossia quel male che l’ autorità civile infligge ad un colpevole per causa del suo delitto. Secondo la maggior parte dei criminalisti, la pena, intesa in quest’ ultimo si- gnificato, ha origine dal sentimento della vendetta, che spinse gli uomini primitivi a infliggere un male s chi aveva ad altri recato male, © che fu elevato all’ altezza di un di- ritto, ereditario, redimibile a piacere dell’offeso ed esclu- sivo dell’ offeso stesso e dei suoi familiari. In seguito, pe- netrata l’idea religiosa nella penalità, al concetto della vendetta privata venne sostituendosi quello della vendetta divina, e il diritto di infliggere © misurare la pena affidato al sacerdozio. Sorta infine l’idea dello Stato, a questo fu PEN — 836 — affidato l’ufficio di punire, riguardandosi il delitto non più come offesa al privato o alla divinità, ma come offesa alla società intera, e quindi la pena come vendetta della so- cietà offesa. Quanto al fondamento e allo scopo della pena, molto diverse sono le dottrine dei filosofi ; però, secondo una classificazione generalmente accettata, tutte codeste dottrine si possono distribuire in tre gruppi. Al primo ap- partengono le dottrine assolute, che pongono lo scopo della pena unicamente nel principio morale e quindi non al di là della pena stessa; si punisce quia peoatum est, perchè la pena è giusta in sd; un simile concetto fu sostenuto in Italia dal Mamiani, ed elaborato ulteriormente nell’ idea della retribuzione giuridica dal Pessina. Al secondo appar- tengono le dottrine relative, che dànno tutte alla pena uno scopo fuori della pena stessa, ma differiscono grandemente tra di loro nella determinazione dello scopo stesso. Così, secondo la teoria del contratto sociale (Hobbes, Rousseau, Beccaria, Fichte), scopo della pena è l'utilità: « La sola necessità, dice il Beccaria, ha fatto nascere dall’ urto delle passioni ο dalle opposizioni degli interessi l’ idea della uti- Utd comune, che è la base della giustizia umana... Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sen- sibile nd di disfare un delitto già commesso... ma d’ im- pedire il reo dal far nuovi danni ai suoi concittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali ». Secondo un’altra dottrina relativa, la pena ha per scopo tenere i proclivi al reato; essa esercita, dice il Fenerbach, una cazione pricologioa, ed è perciò necessario che il male della pena superi il vantaggio o il piacere proveniente dal delitto. Analoghe alla precedente sono le teorie dette della premonisione (la legge deve ammonire a non delinquere), della prevensione (la legge deve distruggere la volontà in- clinata al delitto), del risarcimento (il colpevole deve risar- cire, con 1’ espiazione della pena, i danni morali o ideali prodotti col reato), del ravvedimento ο miglioramento (scopo — 837 — PEN della pena è specialmente di far ravvedere il colpevole ο @ impedire quindi la ricaduta nel delitto), e della difesa. Quest’ ultima dottrina ebbe un valido sostenitore nel Ro- magnosi, per il quale il diritto penale non è che diritto di difesa, ed ha il fondamento nel diritto che hanno tatti gli uomini di conservare la loro felicità e nell’ uguaglianza legale naturale, che passa fra uomo'e uomo; I’ uno e Pal- tro diritto sono posti in moto dalla considerazione di un male derivante dsl facinoroso; fine immediato e proprio d’ogni pena, tanto minacciata quanto eseguita, è d’in- cutere timore affinchè non si commettano delitti. Al terzo ed ultimo gruppo appartengono le dottrine miste, che cer- cano di conciliare le assolute e le relative, dando alla pena un fondamento nel principio morale e uno nella dottrina sociale. Così secondo il Carrara, il diritto di punire riposa su tre principi, dell’ utilità, della giustizia, della simpatia, compresi tutti nella legge dell’ ordine prestabilita da Dio all'umanità; il fondamento è nella necessità di difendere i diritti dell’uomo, la giustizia è il limite, la simpatia il moderatore della sua forma; la forza tutelatrice del diritto deve esercitarsi mediante la coazione morale, che legittima la minaccia della pena; © poichè tale minaccia non rag- giungerebbe il suo scopo se non ne seguisse Vapplicuzione, così la necessità e la legittimità della minaccia portano seco la necessità ¢ la legittimità dell’ applicazione effettiva del castigo; non sono perciò punibili se non quei fatti, che abbiano il doppio carattere di essere lesivi del diritto e siano riparabili mediante la repressione. Secondo la nuova souola criminale positiva (Lombroso, Ferri, Garofalo), es- sendo il delitto un prodotto di fattori antropologici, fisici e sociali, la pena non ha carattere di colpa morale, di re- tribuzione morale, di castigo; la scelta ο la misura della pena devono esser fatte in rapporto allo speciale carattere del delinquente e alle peculiari condizioni dell’ ambiente; lo Stato, adottato il magistero repressivo, deve agire in PEN — 838 — via preventiva per eliminare o modificare e diminnire i fattori della delinquenza (igiene sociale). Quanto allo scopo della pens, la scuola positiva accoglie il concetto, proprio di altre scuole, della difesa sociale: la società è un orga- nismo che, come tale, deve vivere e conservarsi, respin- gendo e, ove è possibile, prevenendo ogni lesione; si applicano le pene perchè i delinquenti siano posti, tempora- neamente ο perpetuamente, nell’ impossibilità di nuocere, per ottenerne l’ ammenda, per trattenere altri dal delitto. Cfr. Beccaria, Dei delitti ο delle pone, 1764; Romagnosi, Ge- nesi del diritto penale, 1837; Carrara, Programma di dir. oriminale, Parte generale, 1871; Feuerbach, Lehrbuch d. gem. in Deutschland gült. peinlichen Rechte, 1874; H. Sidgwick, The elemente of politics, 1897; Jhering, Der Zweok im Recht, 1899; Letournean, L'érolution juridique, 1891; R. Saleilles, L'individuation de la peine, 1898; G. Tarde, La philosophie pénale, 1890; Lombroso, L’ womo delinquente, 1896; Garo- falo, Criminologia, 1905; Ferri, La sootol. criminale, 1892: Antonini, Antropologia criminale, 1906; Frassati, La nuora souola del diritto penale in Italia ο all'estero, 1891; Aless. Levi, Delitto ¢ pena nel pensiero dei greci, 1903; C. Picone Chiodo, I nuori orizzonti della soc. criminale, 1914 (v. delitto, libero arbitrio, responsabilità). Pensiero. T. Gedanke, Denken ; I. Thought; F. Pensée. In senso largo comprende tutti i fenomeni conoscitivi © intellettivi, per opposizione a quelli affettivi ο volitivi. Nel suo significato proprio è l’attività dello spirito che analizza e pono tra loro in relazione i dati complessi della esperienza sia reale che possibile. AI pensiero è dunque da riferire ogni maniera di conoscenza mediata, che si ottiene cioè mediante il paragone e il riferimento cosciente de’ suoi termini; si oppone quindi alla sensazione, alla quale si ri- ferisce ogni maniera di conoscenza immediata. I dati della esperienza sensibile costituiscono ciò che si dice In materia del pensiero, mentre il modo della comprensione dei dati — 839 — PEN stessi ne costituiscono la forma. Quando il pensiero è op- posto all’ asione, designa in genere l’attività ideale o psi- chica per opposizione alla volontaria; quando è opposto alla realtà, alla cosa, designa il soggetto conoscente come contrapposto all’oggetto conosciuto. Nel linguaggio di Car- tesio © de’ suoi seguaci, nel termine pensiero sono com- presi tutti i fatti psichici; come l'attributo o proprietà fondamentale dei corpi è l'estensione, cos) l’attributo dello spirito è il pensiero, ο quindi tutti gli atti interni non sono che modi del pensiero. « Tutti i modi di pensare che osser- viamo in noi stessi, dice Cartesio, possono essere riportati a due generali, l'uno dei quali consiste nel percepire con l'intelletto, l’altro nel determinarsi con la volontà ». Così sentire, imaginare e persino concepire delle cose puramente intelligibili, non sono che modi differenti di percepire; ma desiderare, sentire avversione, aaserire, negare, dubitare, sono modi differenti di volere. In seguito il significato del vocabolo andò sempre più restringendosi e determinandosi. Secondo Hobbes « ogni pensiero consiste in un combi- nare e separare, aggiungere © togliere di rappresentazioni mentali; pensare è calcolare (to reokon) ». Per Hume è « la facoltà di combinare, trasporre, aumentare o diminuire il materiale fornito dai sensi ο dalla esperienza; tutti i ma- teriali del pensiero ci sono dati dall’ esperienza interna ο esterna, solo la loro combinazione è opera dell’intelligensa ο del volere ». Per l’Holbach è la facoltà che ha l’uomo @appercevoir en lui-même ou de sentir les difforentes modifi- cations ον idées qu'il a rogues, do les combiner et de les δέ- parer, de les éteindre et de les restreindre, de les comparer, de les renouveler. Kant considera il pensiero come giudizio, come conoscenza mediante concetti, come l’azione di rife- rire una data intuizione ad un oggetto (die Handlung, gegebene Anschauung auf einem Gegenstand zu beziehen). Lotze con- sidera il pensiero come « una continua critica che lo spirito esercita sul materiale delle rappresentazioni succedentisi PEN — 840 — (Vorstellungeverlauf), in quanto esso separa le rappresen- tazioni, e le collega secondo un rapporto non collocato nella natura del loro contenuto ». L’ Hamilton crede che Js peculiarità distintiva del pensiero in generale sia che esso involge la cognizione d’ uns cosa mediante la cogni- zione di un’altra; ogni pensiero è quindi una cognizione mediata ». Per il Galluppi, come per Cartesio, col termine pensiero si indica qualunque atto © qualunque modifica- zione dell’ anima umana, modificazione che consiste nel sentire, nel conoscere, nel desiderare © nel volere; l’ at- tenzione sul proprio pensiero costituisce la riflessione. Se- condo il Rosmini il pensiero è l'insieme degli atti delle facoltà intellettive, vale a dire dell'intelletto, costituito dall’intuizione dell’ essere, ο della ragione, che è la po- tenza generale d’ applicare l’essere; In legge suprema del pensiero è quindi: il termine del pensiero à l'ente; il che equivale a dire « il pensiero è così fatto che ha per leggo primitiva di sua natura di avere a termine l’ente, di modo che o ha Vente a suo termine ovvero non è; l’ente con- siderato sotto questo aspetto è dunque la condizione a cui è legata l’esistenza del pensiero ». Secondo 1’ Ebbinghaus il pensiero si può considerare come un termine di mezzo tra la fuga delle idee ϱ le idee fisse, © consiste « in una successione di rappresentazioni, che non sono soltanto riu- nite per associazione le une alle altre in elementi di una serie, ma che nel tempo stesso sono auche coordinate ο subordinate ad un’altra rappresentazione direttrice; quindi esse hanno tutte dei rapporti con una rappresentazione su- periore, per il fatto stesso che vi figurano come parti di un tutto ». Drobisch lo definisce brevemente come « il com- pondio d’una pluralità e molteplicità in una unità >; il Wundt come un appercepire attivo, come-« ogni rappre- sentare possedente un valore logico »; l'Hüffding: « se noi cerchiamo una definizione generale del pensiero possiamo dire: pensare è comparare, è trovaro della diversità o della — 841 — PER somiglianza ». Cfr. Cartesio, Princ. phil., I, 9; Spinoza, Ethica, 1. II, teor. I; Hume, Essais, II, 27'segg.; Hol- bach, Syst. de la Nature, 1770, I, cap. VIII, p. 112; Kant, Krit. d. r. Vern., ed. Kehrbach, p. 88, 89, 229; Lotze, Grundzüge d. Logik, 1891, p. 6, 552; Hamilton, Lectures on Logis, 1860, t. II, p. 75; Drobisch, Neue Darstellung d. Logik, 1887, $ 4; Galluppi, Lesioni di logica 6 metafisica, 1854, vol. I, p. 18; Rosmini, Logica, 1853, $ 36 segg., 64 segg.; Id., Peiovlogia, 1848, II, p. 272 segg.; Ebbin- ghaus, Paychologie, trad. franc. 1912, p. 199 segg.; Liep- mann, Sur la fuite d’idées, 1904; J. Dewoy, How we think, 1912; M. Stern, Das Denken w. sein Gegenstand, 1909; Wnndt, Logik, 1898, I, 71; Hôffding, Peyokologie, trad. franc. 1900, p. 232; Id., La pensée humaine, ses formes et sea problèmes, trad. franc. 1911; A. Fouillée, La pensée et les nouvelles éooles anti-intelleotwalistes, 1911; A. Faggi, Il pensiero, « Riv. di filosofia », maggio 1912 (v. essenza, in- telletto, intelligenza, noo, logos, ragione). Percetto. T. Empirische Anschauung; I. Percept; F. Percept. Neologismo usato talvolta, per analogia con con- cetto, per designare il contenuto della percezione. Si stingue dalla percezione, in quanto questa designa 1’ atto © il processo del percepire, mentre quello è il risultato del processo medesimo. Il Romanes chiama percetto l’idea semplice, recetto l’idea composta o combinazione di rap- presentazioni, concetto l’idea generale ο astratta; i re- cetti derivano dai percetti più o meno simili, e la loro associazione ha carattere passivo; le somiglianze tra i percetti sono così distinte, così cospicue © così frequen- tenente ripetute che, nel momento stesso della percezione, si classificano tra di loro e, per così dire, cadono spon- taneamente nelle loro appropriate classi, senza uno sforzo cosciente da parte del soggetto che percepisce. Cfr. Ro- manes, L'eroluzione mentale dell’ uomo, trad. italiana 1907, Ρ. 33 segg. PER Percezione. T. Warknemung, Perception ; I. Peroeption ; F. Peroeption: Uno dei vocaboli filosofici dal significato più vario ed oscillante. Spesso è usata come sinonimo di sen- sazione, per designare il fenomeno psicologico provocato dalla eccitazione d’un organo di senso; altre volte è distinta dalla sensazione per il giudizio d’obbiettività che essa im- plica, in quanto cio’, mentre la sensazione non è riferita ad un oggetto determinante, la percezione invece è una sensazione integrata dall’ esplicito riferimento del soggetto all’ oggetto; e vien distinta ancora dalla sensazione perchè, mentre in questa il fatto psichico provocato dalla eccita- zione di un organo di senso ha carattere puramente afet- tivo, nella percezione ha carattere intellettuale. E usata ancora come sinonimo di rappresentazione; ma da altri ne è distinta perch’, mentre la rappresentazione è un fatto mentale, che si rinnova nell’ assenza d’ uno stimolo este- riore che direttamente lo provochi, la percezione non si ha che mediante l’azione su noi dell’ oggetto sensibile. Perciò alcuni chiamano la rappresentazione percezione me- diata. Alcuni distinguono la percezione semplice dalla per- cezione esteriore: quella non è che la pura coscienza delle nostre sensazioni, questa è la coscienza dell'oggetto, cioò la nostra sensazione divenuta una qualità dell’ oggetto esteriore, Si soglion chiamare peroesioni acquisite quelle per- cezioni di un senso, che risultano non dalla eccitazione im- mediata che quel dato organo di senso ha dall’ oggetto (percezioni naturali), ma dalla eccitazione di quell’organo avvenuta mediante un altro organo di senso. Nella termi- nologia cartesiana per percezione #’ intende qualunque fatto intellettuale ; essa è opposta alla rolisione, che designa ogni atto di volontà ο di desiderio; percezioni e volizioni co- stituiscono l’intero ambito dei fatti di coscienza. Ommes modi cogitandi, quo in nobis experimur, dice Cartesio, ad duos generales veferri possunt, quorum unus est poroeptio, sive operatio intelleotua.... Nam sentire, imaginare ot pure intel- — 843 — PER Ἱέροτο sunt tantum diversi modi peroipiendi, Nella filosofia del Leibnitz la parola percezione ha un significato pure anı- plissimo, abbracciando ogni specie di pensieri: egli chiama percezioni insensibili, o piocole percezioni, gli stati di coscienza esistenti nel nostro spirito ma non attualmente pensati, ο in questo stato incosciente suppone esistano tutte le idee delle cose, cosicchè lo sviluppo delle facoltà intellettuali non consisterebbe che nel lavorio dell’ anima di rendere chiare © coscienti le idee che sono in essa quasi abbozzate. «In ogni momento, dice il Leibnitz, esiste in noi una in- finità di percezioni, ma senza appercesione © senza riflee- sione, cioè dei cangiamenti dell’ anima stessa, dei quali non οἱ accorgiamo; perchè queste impressioni sono ο troppo piccole e numerose, o troppo unite; per modo che esse non hanno nulla di sufficientemente distintivo separate, ma, unite ad altre, non mancano di fare il loro effetto, e di farsi sentire nella riunione, almeno confusamente.... Queste piccole percezioni sono assai più importanti che non si creda. Sono esse che formano quel non s0 che, quei gusti, quelle imagini delle qualità dei sensi, chiare nell’in- sieme ma confuse nelle parti; quelle impressioni, che i corpi che ci circondano fanno su noi © che racchiudono l’infinito; quel legame che ogni essere ha con tutto il resto dell'universo. Si può dire persino che, dunque, il presente di codeste piccole percezioni è gravido dell’ av- venire carico del passato, che tutto cospira © che degli occhi penetranti come quelli di Dio potrebbero leggere nella più piccola delle sostanze tutta la serie delle cose del- l'universo ». Anche per Locke la percezione ha significato molto ampio, essendo « la prima operazione di tutte le nostre facoltà intellettuali e Padito (the inlet) di ogni conoscenza dentro la nostra mente ». Per Berkeley « avere un’ idea è la stessa cosa che percepire ». Condillac: La peroeption et la conscience ne sont qu'une même opération sous deux nome. En tant qu'on ne la considère que comme une impresrion de l'âme, on PER — 844 — peut lui conserver celui de perception; en tant qu'elle avertit Vame de sa présence, on peut lui donner celui de conscience. Il Reid distingue la percesione, che ci dà l’esistenza e la qualità dei corpi, dalla sensazione, che sorge nel nostro spirito in seguito alla impressione fatta sugli organi di senso dai reali esteriori; la percezione dell’esistenza dei corpi, quantunque sorga in noi contemporaneamente alla sonsazione, pure non ne è l’effetto, ma è bensì un giudizio istintivo della realtà dei corpi esteriori ο delle qualità di eni ci si presentano forniti. Per Kant la prima cosa che ci è data è il fenomeno © sensazione, che, quando è legato alla coscienza, si chiama percezione ; quindi « In percezione à la coscienza empirica, cioò la coscienza nella quale c’è nello stesso tempo sen- sazione ». Per |’ Hamilton la percezione è soltanto una specie di conoscenza, la sensazione una specie di senti- mento: « la percezione è propriamente la coscienza, attra- verso il senso, delle qualità d’un oggetto conosciuto come differente dall’ io; la sensazione è propriamente la coscienza dell’ affezione subbiettiva del piacere o del dolore, che ac- compagna questo atto di conoscenza ». La distinzione tra sensazione e percezione è ammessa, per quanto in modi diversi, da quasi tutti i filosofi contemporanei. Cosi lo Ziehen considera la sensazione come il materiale greggio, la percezione come lo stesso materiale rielaborato : « noi in- dichiamo come percezioni quelle. sensazioni sulle quali s'è esercitata la nostra attenzione ». Per questa rielaborazione le percezioni si accostano al pensiero: « Poichè la perce- zione, dice 1’ Höffding, riposa su un processo che si può chiamare un confronto involontario, si presenta a noi come una funzione del pensiero, mediante la quale ci appropriamo ciò che è dato nella sensazione, © incorporiamo la sensa- zione nel contenuto della nostra coscienza. Se dunque una funzione del pensiero si manifesta nella percezione sensi- bile, è chiaro che la percezione e il pensiero non possono essere due funzioni affatto differenti della coscienza. Non — 845 — PER c’è alcuna percezione sensibile che sia assolutamente pas- siva». Una distinzione analoga fa il Sally: « nella sensa- zione la mente è, relativamente, passiva e recipiente; nella percezione è non solo attenta alle sensazioni, discriminan- dole ο identificandole, ma passa dalla impressione all’og- getto che esse indicano o fanno conoscere ». Il Galluppi riteneva invece la distinzione tra percezione e sensazione affatto arbitraria, una semplice astrazione che, se fosse reale, οἱ trarrebbe allo scetticismo, in quanto condurrebbe seco la necessità di credere ciecamente a tutto ciò che la percezione ci presenta. Egli quindi identificava la perce- zione colla sensazione: ogni sensazione è di sua natura la percezione di un oggetto esterno, © quindi la percezione dei corpi, anzichè distinta, è inchiusa nella sensazione. Il Rosmini distingue la percezione in sensitiva © intellettiva: quella è la sensazione stessa ο un sentimento qualunque, in quanto si considera unito a un termine reale, questa è un giudizio col quale lo spirito afferına sussistente qualche oggetto percepito dai sensi, ὁ, in altre parole, è la visione del rapporto che passa tra un sentito e l’idea di esistenza. Egli distingue ancora nella percezione dei corpi la perce- zione soggettiva, che si ha sia col sentimento corporeo, per sò stesso, sia collo sue modificazioni, e la percezione estra- soggettiva, che è fondata sulla prima, è fornita dai sensi e ci da il sentimento dell’azione ο l'estensione di un corpo fuori di noi. L'Ardigò distingue la sensazione pura dalla percezione : quella è la semplice osservasione, vale a dire l’atto psichico avvertito come proprio della coscienza in- dividuale nel presente della successione dei suoi atti, questa invece è l'esperimento, cioè la sensazione stessa accompagnata da altre sensazioni e verificata per mezzo di un altro senso: queste sono appunto le circostanze oggettivanti, per cui il dato sensitivo è proiettato all’esterno, ossia per cui l'oggetto ci è dato come esistente realmente fuori di noi. Il Sergi ha cercato di spiegare fisiologicamente l’oggettività della PER — 846 — percezione, riconducendola ad un’onda nervea di ritorno, cio’ alla riflessione dell’ onda centripeta che ha dato luogo alla sensazione; mentre nella sensazione l’ onda nervosa, prodotta dallo stimolo, va dall’organo periferico al cervello, nella percezione l’onda stessa è riflessa dal cervello lungo la medesima fibra allo stesso organo; ciò darebbe ragione, secondo il Sergi, della proiezione del dato sensibile e della sua localizzazione nell'oggetto esteriore: come l’eccitaziono centripeta tende a dare ad ogni mutazione che ne segue un carattere soggettivo, così l'eccitazione centrifuga tende a far uscire dal soggetto la modificazione prodotta. Il Je- rusalem considera la percezione come la forma più semplice © primitiva del giudizio, in quanto consiste nel dar forma e obbiettività al contenuto disordinato dejle sensazioni. Il Wundt, infine, contrappone la percezione alla apperoesione : questa è quel fatto psichico che è da noi percepito con uno sforzo particolare di volontà, detto attenzione, quella è ogni fatto psichico che si trova, a così dire, situato nello sfondo della nostra coscienza. Cfr. Cartesio, Principia, I, 32; Leib- nitz, Monadologia, $ 14, 21; Id., Nouv. essais, I, passim ; Locke, An. essay cono. hum. understanding, 1705, 11, cap. 15; Berkeley, Treatise on the princ. of human knowledge, 1871, VIL; Condillao, Essai sur l’origine des connaissances, 1746, I, sez. II, $4; Reid, Works, ed. by Hamilton, 1863, p. 876 segg.; Kant, Krit. d. rei. Vern., B 207; Hamilton, Leotures on Metaphysics, 1859, vol. II, p. 98 segg.; Th. Ziehen, Leit- Saden dor physiol. Peyohologie, 1893, p. 17, 170; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 167; Sully, Outlines of Psychology, 1892, p. 148; Galluppi, Elementi di filosofia, 1820; Id., Lezioni di logioa 6 metafisica, 1854, vol. I, p. 166 segg.; Rosmini, Nuoro saggio sull’ origine delle idee, 1830, $ 481 segg.; Id., Logica, 1853, $ 307 segg., 701 segg.; P. Carabellese, La teoria della percezione intellettiva di 4. Ro- smini, 1907; Ardigò, Il fatto psicologico della peroezione, Op. fil. IV, 1897, p. 347 segg.; G. Sergi, Teoria fisiologica della — 847 — PER percezione, Milano, 1884; Jerusalem, Die Urtheilefunotion, 1895, p. 219 segg.; Wundt, Grundriss d. Peychol., 1896, Ρ. 245 sogg. (v. distanza, integrazione, rappresentazione, cate- riorità, volontà, ecc.). Percezionismo. T. Perceptionnismus ; I. Perceptionism; F. Perceptionnisme. La dottrina della percezione immediata, che ebbe per principali sostenitori i filosofi della scuola scozzese e dell’ eclettismo francese. Il percezionismo è una forma di realismo. Esso consiste nell’ammettere come un fatto irreducibile il sentimento d’ obbiettività contenuto nella sensazione e nell’ accordare a codesta credenza un valore rappresentativo: la prova che esistono delle cose fuori di noi è data dal fatto che la percezione ci mostra delle cose esistenti fuori di noi. Cfr. Cousin, Fragments philosophiques, 1840, t. II, p. 30 segg.; Paul Janet, Victor Cousin et son oeuvre, 1885, p. 73-81; Mao Cosh, The in- tuitions of the mind, 1882, p. 108 (v. intermediariste, conce- zioniemo, conoscenza, senso comune). Perfezione. T. Volkommeheit; I. Perfection; F. Perfeo- tion. Il concetto di perfezione ha subìto non pochi mu- tamenti nella storia del pensiero filosofico. Per Platone è perfetto soltanto ciò che non contiene alcuna contraddi- zione, alcuns mescolanza, ciò che è assolutamente uno pur comprendendo in sè gran numero di attributi. Per Aristotele la perfezione consiste nel corrispondere esattamente a un concetto, a un tipo, a una norma, nell’ esser tale che non si potrebbe concepire nulla di migliore. S. Tommaso di- stingne due specie di perfezione: prima, quae est ipsum esse rei, secunda vero est eius operatio et haso est maior quam prima; illud igitur dieitur simplieiter pefectum, quod pertin- git ad perfeotam sus operationem. Per Cartesio invece la perfezione è l'essenza stessa della divinità; Dio è, per definizione, |’ essere assolutamente perfetto: La substance que nous entendons être souverainement parfaite et dans la- quelle nous ne conoevons rien qui enferme quelque defaut ou PER — 848 — limitation de perfection, s'appelle Dieu. Spinoza considera la perfezione © l’imperfezione come due semplici modi di pensare « ciod delle nozioni che abbiamo l'abitudine di formulare perchè confrontiamo, gli uni con gli altri, gli individui d’una stessa specie e d’uno stesso genere >; perciò, egli aggiunge, io comprendo « per realtà e perfe- zione la stessa cosa; noi abbiamo infatti 1 abitudine di ricondurre tutti gli individui della natura sd un sol ge- nere, che si chiama generalissimo; ciod alla nozione del- P Essere, che appartiene a tutti gli individui della natura senza eccezione. Così, in quanto noi riconduciamo gli in- dividui della natura a questo genere e li confrontiamo tra loro e troviamo che gli uni hanno più di Essere e di Realtà degli altri, diciamo che gli uni sono più perfetti degli altri.... Infine, per perfezione in un genere io comprenderò la realtà, ossia l'essenza d’una cosa qualunque, in quanto questa cosa esiste ed agisce in un modo dato ο determi- nato ». Il Leibnitz la concepisce quasi matematicamente come «la grandezza della realtà positiva presa precisa- mente, mettendo da parte i limiti nelle cose che ne hanno». Ad ogni modo, il concetto di perfezione è puramente astratto ο relativo. Quando noi giudichiamo perfetto un oggetto qualsiasi, lo facciamo riconoscendo che esso oor- risponde al fine per il quale esiste, o realizza il tipo della specie cui appartiene; in altre parole, non facciamo che istituire un rapporto fra due termini. — Le perfezione non va confusa con la perfettibilità: quella è statica, questa è dinamica, quella è una realtà, o è assunta como tale, questa è una idenlitä. L'idea della perfettibilità, è, come quella di evoluzione e di progresso, essenzialmente mo- derna; nell’antichità e nell’evo medio era concetto comune che la natura delle cose è immutabile, © che, se in qualche coss muta, codesto mutamento è sempre peggioramento. Nè meno estranea è l’idea di perfettibilità all’ ottimismo filosofico : se il nostro mondo è il migliore dei possibili, cio’ — 849 — Per il più perfetto, non vi ha possibilità di un miglioramento ulteriore, la perfezione escludendo la perfettibilità. Il me- rito di aver introdotto il concetto e la parola di perfettibilità spetta specialmente al Condorcet, che ne fece 1’ essenza stessa dell’uomo. Secondo alcuni la perfettibilità è conte- nuta anche nella dottrina della evoluzione; ma ciò può sembrare, secondo altri, inesatto, inquantoch® la perfetti- bilità dell'essere non è illimitata, all’ evoluzione corrispon- dendo inevitabilmente la dissoluzione. Cfr. Aristotele, Met., V, 16, 1021 b, 12 segg.; S. Tommaso, Contra gent., II, 46, 2; Cartesio, Réponses aux secondes objections, def. VIII; Spi- noza, Ethica, Prefazione al 1. IV; Leibnitz, Monadologie, $ 41, De rerum originatione radicali, $ 3; Condorcet, Esquisse des progrès de l'esprit humain, 1794 (v. idea, progresso). Periferia, T. Peripherie; I. Periphery; F. Peripherie. La superficie esteriore di un corpo solido. Sistema nervoso pe- riferico, dicesi quello costituito dai gangli e dalle fibre nervose, per opposizione al centrale, costituito dall’ ence- falo ο dal midollo spinale; perciò dicesi periferico qua- lunque fenomeno nervoso, normale o patologico, che av- venga in un punto qualunque della fibra che unisce l'organo esterno al suo centro cerebrale. Sensazioni periferiche, per opposizione ad interne, diconsi quelle determinate dagli stimoli esteriori. Perigenesi. T. Perigenese. L’ ipotesi con cui 1’ Haeckel spiega la trasmissione ereditaria o eredità dei caratteri. Se- condo questa dottrina, in ogni atto riproduttivo una data quantità di protoplasma o sostanza albuminoide viene tra- stuessa dal genitore al figlio, 9 nello stesso tempo viene tra- smesso al protoplasma il movimento molecolare individuale, che gli era proprio. In altre parole, 1’ eredità consisterebbe nella trasmissione del movimento dei plastiduli, che costi tuiscono il plasma. Cfr. Y. Delage, La structure du protopla- ame et les théories de l'érédité, 1895 (v. eredità, endogenesi, germiplasma, pangenesi). 54 — RanzoLi, Dizion. di acienze filosofiche. PER — 850 — Poripatetici. T. Peripatetiker; I. Peripatetica; F. Pé- ripatéticiens. I seguaci di Aristotele, così detti perchè stu- diavano e insegnavano passeggiando al Liceo. Fondatore della scuola peripatetica fu Teofrasto di Lesbo, che con l'insegnamento e con gli scritti diffuse la dottrina aristo- telica, non senza allargarla, specialmente nella scienza della natura; mantenne la separazione dell’ intelletto fatta dal maestro, ma lo vollo congenito all’ nomo (σύμφυτος), ed in generale piegò più per la immanenza che per la tra- scendenza. Gli successe Stratone di Lampsaco, che, più risoluto del predecessore, tolse di mezzo le antinomie ari- stoteliche, negando l'intelletto separato ed il concorso di Dio nella produzione del mondo; egli concepì il pensiero dell’ intelletto come un movimento, e fa quindi condotto a negare l’esistenza d’un essere immobile, collocato al di fuori della natura e origine d’ogni movimento. Meno im- portanti furono i successori di Stratone, che seguirono a preferenza o le ricerche fisiche, o le trattazioni morali in forma popolare (v. aristotelismo). Permanente. T. Bleibend, beständig; I. Permanent; F. Permanent. Nella filosofia scolastica dicevasi quantità por- manente lo spazio, per opposizione alla quantità successiva, cio il tempo. Perseità. Lat. Perseitas; T. Perseität; I. Perseity; F. Perséité. Cid che sussiste per se, καθ᾽ αὑτό. È quindi l’at- tributo della sostanza: aubstantia est per ae, dice Goclenio, accidens per aliud. La parola perseità si adopera però quasi esclusivamente ad indicaro la dottrina tomistica delle re- lazioni tra il bene e il volere divino. Secondo S. Tom- maso il volere, nella sua espressione adeguata, è mosso essenzialmente dal concetto del bene come presente alla ragione, © ciò sia nella natura umana che nella divina: la perseitas boni è dunque la razionalità essenziale del bene. Per Duns Scoto invece il bene è creazione arbitraria del volere divino, che al bene è superiore, Egli distingue due — 851 — PER specie di perseità: uno modo pro esse incommunicabili, et sic per se esse cat incommunicabiliter esse; alio modo... pro esse subristontiae, et sic per sè esse est per sè subeistere. Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I, 2, q. XVIII segg.; Goolenio, Lez. philosophicum, 1613, p. 809. Persona. T. Person; I. Person; F. Personne. Questo termine originariamente designava la maschera (πρόσωπον = viso, aspetto) con eni nell’ antico teatro greco si rappre- sentava un dato personaggio. Quando cadde l’uso della ma- schera, indicò il personaggio stesso, e così passò nell’uso per indicare l’uomo, in quanto non è soltanto individuo, cioò unità organica di parti solidali, ma è un essere co- sciente ed intelligente, un’ unità fondamentale di pensiero, di sentimento e d’azione. Perciò persona si oppone a cosa; il vegetale, il minerale, l’animale, e, si può aggiungere, il demente e l’idiota, sono cose, mentre l’nomo cosciente soltanto è persona. Dicesi persona morale l’uomo in quanto, per le capacità del suo spirito, può partecipare della 80- cietà morale e intellettuale degli spiriti; persona fisica 1’ or- ganismo dell’ uomo, considerato come manifestazione della sua persona morale; persona giuridica l’ uomo che possiede doveri ο diritti fissati dalla leggo. Cfr. Trendelenburg, Zur Geschichte des Vorter Person, « Kant Studien », 1908; Eu- cken, Geistige Strömungen der (Gegenwart, 1909, sez. D, § 5; C. Piat, La personne humaine, 2* ed. 1912 (v. io, personalità). Personalismo. T. Personaliemus; I. Personaliem; F. Personnalisme. Il Renouvier designa col nome di persona- lismo relatiristico la propria dottrina della personalità, che si contrappone all’ impersonalismo della filosofia evoluzioni- stica. Origine della personalità umana sarebbe, secondo il Renouvier, lo spirito personale di Dio, che è congiunto in un sistema fisso di relazione universale con lo personalità umane. — In un senso più generale dicesi personaliemo ogni forma d’idealisnio metafisico, che pone la realtà ultima in una coscienza unica, universale, eterna, fondandosi spe- PER — 852 — cialmente su queste due argomentazioni: 1° esiste una stretta analogia tra il modo di comportarsi delle idee nella mente individuale, ο la maniera onde ciascuna mente si connette con le altre menti; 2* il rapporto conoscitivo © pensativo por eni la mente è volta a questo o a quel- l'oggetto, è un rapporto del tutto peculiare, che non si può identificare nd col rapporto causale nd con quello di somiglianza, © che implica la presenza, sia pure latente, dell'oggetto stesso nella coscienza. — In un senso più ge- nerale ancora dicesi personalismo, per opposizione a pan- teismo, ogni dottrina che ammette Dio come persona. Cfr. Renouvier, Le personnalieme, 1903; Feuerbach, Das Wesen des Christenthume, 1841, p. 185; De Sarlo, I diritti della metafisica, « Cult. filosofica », luglio 1912 (v. fenomenismo, idealiemo). Personalità. T. Persönlichkeit; I. Personality; F. Per- sonnalité. È la coscienza della propria individualità distinta da qualunque altra, « La personalità è V sutocoscienza, dice l’Herbart, nella quale l’io considera sè stesso come uno © medesimo in tutti i suoi molteplici stati ». E il Wundt: «Come I’ io è il volere interiore nella sua separazione da tutti gli altri contenuti della coscienza, così la personalità è Vio che si risente con la molteplicità di quei contenuti ο in tal modo si eleva al grado dell’autocoscienza ». La personalità presuppone dunque la individualità, ed il prin- cipio d’ individuazione è l'organismo. Infatti il senso orga- nico è V elomento fondamentale della personalità, la quale muta col mutare di quello: così si spiegano i fenomeni pa- tologici di sdoppiamento della personalità fisica, in oui l’in- dividuo crode d’avere due corpi, di cui uno cammina © l’altro sta fermo, uno è sano e l’altro è malato. A costi- tuire la personalità entrano anche i sentimenti e lo ten- denze, cho hanno pure sede nell’ organismo ; col mutarsi e V alterarsi di quelle si muta quindi e si altera anche la personalità. L'identità della propria persona è data dalla — 853 — Per continuità delle coscienze successive, dall’unificarsi dei ri- cordi in un’ unica serie: Persona dicitur ens, quod memoriam sui conservat, hoc est, so esse idem illud, quod ante in hoo vel isto fuit statu (Chr. Wolff). Se quindi le basi organiche della memoria si alterano, può darsi che 1’ io passato scom- paia dalla memoria, e allora si hanno gli sdoppiamenti della coscienza, costituiti da due io, da due persone distinte che s’alternano nello stesso organismo. Dicesi appunto fenomeno delle personalità alternanti quello sdoppiamento della personalità, nel quale all’ io primario si sostituisce un io secondario e viceversa, in periodi successivi più ο meno durevoli; le due personalità che si alternano sono del tntto separate rispetto alla memoria; la personalità 4 è incapace di rievocare tutto ciò che è avvenuto durante il periodo in cui era attiva la personalità B, ο viceversa; sono due personalità che s’ignorano reciprocamente come se fossero separate da un diaframma impermeabile. — Per personalità morale non s'intende soltanto quella co- scienza della propria individualità che ha per base 1’ or- ganismo, ma quella specialmente che deriva dalla propria capseità razionale, dalle qualità che si sono acquistate con la forza del volere, che ci dànno il sentimento della di- gnità nostra e ci fanno degli esseri superiori, autonomi, liberi. — Il problema della personalità dirina è la forma assunta nel pensiero contemporaneo dalla controversia tra teismo e panteismo, Il teismo cristiano si regge essenzial- mente sopra la credenza in un Dio personale, © codesta personalità compete all’essere perfettissimo in quanto essa rappresenta appunto la suprema perfezione; ma, d'altro canto, la personalità è individuazione, e l'individuazione è limitazione nel tempo e nello spazio; di più la persona è opposizione e relazione, in quanto è coscienza del proprio io distinto da tutto ciò che è altro da lui e sussiste come rapporto di vari stati ad un soggetto identico: come può dunque Dio essere persona, se è eterno, infinito, atto puro PeR-PES — 854 — escludente ogni opposizione e relazione? Le soluzioni proposte dai filosofi contemporanei sono varie, ma tutte oscillano tra il panteismo, il teismo e l’agnosticismo. Cfr. Wundt, Ethic, 1892, p. 448; Hamilton, Lectures on meta- physics, 1859, t. I, p. 166; Ribot, Les maladies de la per- sonnalité, 1885; P. Janet, Automatisme peyohologique, 1888 ; A. Binet, Les altérations de la personnalité, 1892; Myers, The human personality, 1902; Morton Prince, The dissociation of a personality, 1906; Dugas et Montier, La dépersonalisation, 1911; Hébert, Études sur la personnalité divine, « Rov. de métaphysique », giugno 1902 e marzo 1903; H. L. Mansel, The limits of religious thought, 1858, p. 59 segg.; Mac Tag- gart, Studies in hegelian cosmology, 1901, p. 76 segg.; Royce, Lo spirito della filosofia moderna, trad. it. 1910, e The world and the individual, 1904, t. I, p. 425 segg., II, p. 419 seggi; Bradley, Appearance and reality, 1902, p. 135, 531 segg.; A. Chiappelli, La critica filosofica e il concetto del Dio virente, « Riv. di filosofia », anno I, n. 4; C. Ranzoli, L’agnostioiemo nella filosofia religiosa, 1912, cap. IV (v. dissooiazione, tem- peramento). Persuasione, T. Ueberzeugung; I. Persuasion; F. Per- suasion. Si suole da alcuni distinguerla dalla certezza, perchè mentre questa è fondata su motivi adeguati e conformi al vero, la persuasione può essere anche di cosa falsa, oppure di cosa vera ma fondata su ragioni false. Dicesi naturale la persuasione spontanea che ogni uomo ha dei principi supremi di ragione, e riflessa quella che consiste nel riposo della intelligenza in un assenso dato volontariamente ad uns proposizionPessimismo. T. Pessimismus ; I. Pessimism; F. Pessi- mieme. Vocabolo usato la prima volta dal Coleridge per indicare « lo stato peggiore », adottato poi nel 1819 e reso comune dallo Schopenhauer. Può essere, come l'ottimismo a cui s'oppone, tanto naturale o intuitivo, quanto siste- matico o filosofico. Il primo è una semplice disposizione — 855 — Prs - dovuta sia a cause organiche ed ereditarie sia ad una dolorosa esperienza della vita - a veder tutto nero nel mondo e nell'esistenza, a giudicare ogni cosa per il suo lato triste. Il secondo è invece una dottrina la quale so- stiene © dimostra che tutto è male nell’universo, e che noi viviamo nel peggiore dei mondi possibili. Sebbene questa seconda forma di pessimismo tragga spesso origine dalla prima, che è antica quanto l'umanità, e sebbene essa esista più o meno latente nel fondo di ogni religione - in quanto l'aspirazione verso un'esistenza oltremondana è sempre accompagnata dal malcontento dell’esistenza terrena - tuttavia il pessimismo filosofico non data che dal secolo appena scorso. Schopenhauer ne è il più grande maestro, come Leibnitz può dirai il maestro dell’ottimiamo. Secondo Schopenhauer, l'essenza del mondo è la volontà, la quale è stimolo di oggettivarsi, forza cieca ed incosciente; perciò il mondo è pieno di mali; è il peggiore dei mondi possi- bili. L'uomo è in sus balla, ed è, per conseguenza, infe- lice: la sua vita oscilla come un pendolo tra il dolore e la noia. Nè egli può liberarsi dalla vita, perchè la vita è volontà essa pure, cioè volontà di vivere: « Volere è es- senzialmente soffrire, e poichè vivere è volere, ogni vita è nella sua essenza dolore. Più l’essere è elevato, più esso soffre... La vita dell’uomo non à che una lotta per I’ esi- stenza, con la certezza d'esser vinto.... La vita è una caccia incessante nella quale, ora cacciatori ora cacciati, gli esseri si disputano i brandelli d’un orribile pasto; una specie di storia naturale del dolore che si riassume così: volere senza motivo, soffrire sempre, sempre lottare, poi morire, e così di seguito per i secoli dei secoli, tinchè questo nostro pianeta si frantumi in piccoli frammenti ». Unico rimedio è che l’ uomo cerchi di negare questa volontà, rintuzzando l'egoismo sul quale si fonda lo stimolo di conti- nuare a vivere, © ciò potrà ottenere non già col suicidio, ma colla vita rigorosamente ascetica e contemplativa, che con- Per — 856 — durrà al lento suicidio della specie umana. I discepoli di Schopenhauer trasformarono ο alterarono il suo sistema. Il Banhsen, più esagerato del maestro, esclude che la vo- lontà di vivere possa in alenn modo negare sò stessa; la volontà, essendo essenzialmente cieca, non pud sottomet- tersi all’idea, e all’nomo non rimane quindi alcuna pos- sibilità di liberazione. Invece per l’Hartmann l’ incosciente è nello stesso tempo volontà e idea, cosicchè, quando col tempo dominerà l’idea, quando la volontà di vivere si sot- tometterà alla logica, essa rinuncerà volontariamente a sò stessa, Si avrà allora il suicidio cosmico, dopo il quale re- gnerà la pace del nulla. Ai nostri giorni il problema del pessimismo e dell’ottimismo, che è essenzialmente metafi- sico, non ha più ragione di esistere: il dolore e il piacere sono la condizione stessa della vita, la quale non è nd tutto dolore nè tutto piacere. D’ altro canto, se questo mondo fosse davvero il peggiore dei mondi possibili, esso non potrebbe continuare ad esistere; ma esso continua ad esistere, e la ragione che rende la vita possibile è, dice il Gnyau, la medesima che la rende desiderabile. Cfr. Scho- penhauer, Die Welt als Wille und Forstellung, ed. Reclam, t. II, $ 162; E. Hartmann, Philosophie des Unbewussten, 1890; I. Bahnsen, Der Widerspruch im Wissen und Wesen der Welt, 1880; Sully, Pessimiem, 1877; W. Thomson, Mo- dern pessimism, 1878; G. Palante, Pessimieme et individua- lieme, 1913 (v. dolore, piacere, ottimismo, migliorismo, inco- sciente, sentimento). Petizione di principio. Lat. Petitio prinoipii; T. I Ia.; F. Pétition de principe. E il sofisma che Aristotelo de- signava con le frasi τὸ ἐξ ἀρχῆς, ovvero τὸ ἐν ἀρχῇ altetoda:. Esso consiste nel prendere come principio di prova la tesi stessa da provare. Aristotele ne distingue cinque specie: la prima, che si nasconde sotto le sinonimie, si ha quando si assume come principio di prova la tesi stessa da pro- vare, sotto altra forma; la seconda si ha quando, dovendosi dimostrare una tesi particolare, si ritiene dimostrata la tesi generale che la comprende; la terza è l’inversa della pre cedente; la quarta non è che la terza estesa a tutti i casi possibili; la quinta, che è la tipica, consiste nel provare una proposizione mediante un’altra, la quale non può es- sere a sua volta provata che mediante la prima. Aristotele stesso cadde in quest’ultima forma di petizione di principio, quando volle provare che la terra è il centro del mondo, partendo dalla premessa che la natura delle cose pesanti è di cadere al centro del mondo. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 24, 41 b, 8; Id., Τορ., VII, 19. Piacere. T. Vergnügen, Lust; I. Pleasure; F. Plaisir. Essondo un dato immediato della coscienza, è in sò stesso indefinibile. Esso rappresenta uno dei due poli del senti- mento, il quale si manifesta sempre sotto le due forme opposte del piacere e del dolore, collegate fra loro da un numero indefinito di stati intermedi. A malgrado però di questa opposizione, alcune volte i dolori intensi sono a0- compagnati da un senso di piacere, dovnto alla vivacità dello stato affettivo. In generale, il piacere è determinato dal funzionamento normale dei differenti organi del nostro corpo, sia che appartengano alla vita psichica che a quella vegetativa. La stessa eccitazione che produce dolore se ec- cessiva, può produrre piacere se d’intensità moderata: questo fu detto piacero positivo, 9 piacere negatiro quello che deriva dalla cessazione del dolore. Il piacere è sempre accompagnato da aumento delle funzioni vitali: celerità nella circolazione del sangue e nella respirazione, abbon- danza nella assimilazione delle sostanze nutritive, maggiore secrezione delle glandole, vivacità di movimenti, ecc.; a ciò devesi forse il fatto, constatato dalla psicometria, che il tempo di reazione delle sensazioni di piacere è minore di quello delle sensazioni di dolore. Si distingne comune- mente il piacere fisico (ad es, quello che si prova gustando un cibo) dal morale (ad es. quello che si prova ammirando Pia — 858 — un’opera d’arte). Però la differonza tra I’ uno e l’altro non è di natura, in quanto entrambi implicano un fatto fisico ο organico e un corrispondente fatto psichico, ma soltanto di complessità, essendo il secondo associato ad un maggior numero di dati rappresentativi o intellettuali. Per Ari- stippo il piacere, ἡδονή, #’accompagna al movimento calmo dell'organismo, il dolore al movimento violento, l’ indif- ferenza al riposo; esso importa il sentimento della sod- disfazione, che deriva dall’appagamento del desiderio; la difforenza tra i piaceri non sta nel loro oggetto, ma nella forza del sentimento di soddisfazione, forza che si trova per lo più nel piacere sensuale, corporco, che si riferisce all’ immediato presente. Per Aristotelo il piacere è la con- seguenza e il completamento dell’ atto, il che spiega come esso sia fugace e cerchi la novità; esso completa anche la vita degli uomini « i quali hanno dunque ragione di amare il piacere, poichè per ciascuno d’ essi è il completamento di quella vita alla quale sono sì fortemente attaccati ». Per Epicuro il vero piacere non si trova « nelle gioie del- l’amore o nel lusso e negli eccessi della buona tavola, como hanno voluto insinuare alcuni ignoranti e i nemici della nostra scuola », ma nella tranquillità dello spirito libero da agitazioni, e nella quiete del corpo esente dal dolore: , aprile 1905; A. Lalande, Pragmatismo et pragmatioisme, « Revue philosophique », febbr. 1906; L. Laberthonnière, Saggi di filosofia reli- giosa, trad. it. 1907; A. Schinz, Anti-pragmatisme, 1909; R. Berthelot, Le romantieme utilitaire, 1911; W. James, Lo pragmatismo, trad. frane. 1911; E. Boutroux, William Ja- mes, 1911; F. Masci, Intellettualiomo e pragmatismo, in « Atti della R. Accademia di Scienze m. e pol. », Napoli, vol. XLI, parte 13, 1911 (v. azione, attivismo, attualismo, antropocen- trico, moralismo, umanismo). Prammatico (πραγματικός = che si riferisco ad una azione). Ciò che si pratica per lunga consuetudine; oppure che concerne l’azione, il successo, la vita, in opposizione sia alla conoscenza astratta © speculativa, sia alla obbli- gazione morale. Dicesi anche di una credenza che si accetta non perchè riconosciuta vera, ma perchè ritenuta utile. In questo senso Kant chiama prammatioa una storia « quando rende pradenti, ciod quando insegna al mondo d’ oggi come possa aver cura dei propri interessi meglio o almeno tanto bene quanto il mondo passato »; prammatici gli im- perativi che consistono in consigli di prudenza riferentisi al benessere, distinti dai tecnici ο regole d’abilità, e dai pratici o comandi morali. Kant chiama ancora fede pram- matica una credenza che si aunmette accidentalmente come — 883 — Pra fondamento ai mezzi d’un fine determinato, e fede pratica una credenza che si ammette perchè è postulata dalla legge morale: il precetto d’aspirare al sommo bene è obbiettivo e la sua possibilità obiettivamente fondata, ma la cre- denza nei postulati che ne derivano (divinità, libertà, im- mortalità) è soggettiva, quindi una fede puramente pratica della ragione che in sò non è il dovere, ma sorge prima del sentimento morale e può quindi diventare incertezza, ma non mai degenerare in inoredulità. Il Blondel chiama prammatica la scienza dell’azione, in quanto questa costi- tuisco un ordine di realtà sui generis, l’atto, il xp&ypa, nel quale s’ uniscono l'iniziativa dell’ agente, il concorso che esso riceve, le reazioni che subisce. Il Windelband chiama fattore prammatico della storia della filosofia quello pro- dotto dalla necessità interiore dei pensieri ο dalla logica delle cose, per cui nella storia stessa si ripetono non solo i problemi capitali ma anche le principali correnti della loro soluzione e le dottrino germogliano incessantemente luna dall'altra. Cfr. Kant, Grundlegung sur Met. der Sitten, 2 Absoh.; Krit. d. reinen Fernunft, Transc. Met., sez. III; Blondel, L’Action, 1893, p. 206; Hermann, Der pragma-— tische Zusammenhang in der Geschichte der Philosophie, 1836; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. Zaniboni, vol. I, D. 14 segg. (v. azione, attiviemo, pragmatismo). Pratica (πρᾶξις — azione). T. Praktisch, Ausübung; I. Practical, Praotice; F. Pratique. Come dice I’ etimologia, pratico non significa altro che attivo; si oppone perciò tanto a teorico, che a speculativo, i quali derivano entrambi da radici che significano mirare, guardare, e indicano quel lavoro indagativo e osservativo della intelligenza, che sono l'operazione propria della scienza e della filosofia. La pra- tica ha per fine l’azione, quindi il bene; essa è prodotta dalla volontà ο costituisce la materia dell’ etica. Già in Aristotele troviamo la distinzione della filosofia in teore- tica, pratica e poetica; il Wolff la distinse pure in teo- Pra — 884 — retica e pratica, comprendendo sotto questa la filosofia pratica generale, il diritto naturale, l'etica, la politica e l'economia, e dandole per fine supremo il perfezionamento di sò stesso e degli altri. In Kant la critica della ragion pratica ha per c6mpito di rispondere ai due quesiti: che cosa io debbo fare? che cosa io posso sperare? Il primo quesito è oggetto della analitica, il secondo della dialettica della ragion pratica, Nell’analitica sono principî pratioi quei postulati, che contengono una determinazione universale della volontà a cui sono subordinate regole pratiche; essi sono soggettivi o massime, se la determinazione è riguar- data dal soggetto come obbligatoria per la volontà propria, oggettivi ο leggi pratiche se è riconosciuta come obbliga- toria per la volontà d’ogni essere ragionevole. L’Hartmann pone come cémpito della filosofia pratica di portare a fini della coscienza i fini dell'inconscio ; tali fini si riassumono tutti nella rinuncis al volere, che porterà all’ annienta- mento dell’ universo. 11 Windelband chiama problemi filo- sofici pratici quelli che hanno origine dall’ esame dell’ at- tività umana rivolta ad uno scopo, problemi teorici tutti quelli che si riferiscono in parte alla conoscenza della realtà, in parte allo studio della conoscenza; dei pratici si ocou- pano l’etica, la sociologia, l'estetica, la filosofig del diritto, della storia e della religione. Comunemente, per sapienza pratica, o filosofia pratica, o senso pratico della vita, 8” in- tende quella saggezza tutta particolare che non si apprende studiando ma operando e riflettendo, che non attinge alla sola ragione, ma al sentimento, alla fantasia e al raziocinio insieme, che non è soltanto prudenza, ma, a volta a volta, prudenza ο coraggio, ardire © cautela, temporeggiamento © decisione. In altre parole, savierza pratica significa equi- librio, misura; essa dà quindi all’ imprevisto il posto che gli compete nella preparazione del futuro, ma si comporta al tempo stesso come se ogni cosa fosse esattamente pre- vedibile; sa quanto d’ inevitabile prema sui destini umani, — 885 — PRE ma procede come se tutto dipendesse dai decreti del nostro volere; riconosce tutta l’importanza che gli accidenti este- riori hanno sulla nostra felicità, ma è ancora più convinte che ogni avventura esterna si veste dei colori della nostra anima e che la pace interiore, bene supremo, non dipende alla fin fine che da noi, Cfr. Aristotele, Met., II, 1, 998 b, 98, VI, 1, 1025 b, 18; Chr. Wolff, Philosophia praotica uni- verealie, 1738, $ 2; Kant, Krit. d. prakt. Vernunft, ed. Re- clam, p. 15 segg.; Hartmann, Phil, dee Unbewussten, 1890, III, 748; Windelband, Storia della filosofia, trad. it. Zani- boni, I, p. 25 segg.; C. Ranzoli, It caso nel pensiero ο nella vita, 1913, p. 218 segg. (v. dottrina, dotore, imperativo, pram- matico). Precisione. T. Präcision, Bestimmthoit; I. Precision; F. Précision. Iu senso generale, ciò che non lascia adito ad alcuna indecisione del pensiero; si oppone a vago e si di- stingue da esatto, che equivale a vero sia nell’ ordine logico che in quello obbiettivo. Con questo termine gli scolastici designavano l'operazione logica della astrazione orizsontale © verticale, che consiste nel diminuire la comprensione di un concetto, di una nozione, togliendo alcune note per ritenere soltento quella o quelle che si vogliono cont derare. Precoce. T. Frühzeitig, Voreilig; I. Precocious; F. Pre- coce. Dicesi tale un fenomeno, fisico, fisiologico, psichico o sociale, che si manifesta prima del momento comune e normale, o anteriormente alla previsione basata sul tempo d'azione delle cause. Gli zoologi chiamano la prole degli uecelli precoce 0 inetta secondochè può o non può provve- dere subito da sò al proprio sostentamento, Gli psichiatri, col nome di demenza precoce designano quelle forme, sia catatoniche, che ebefreniche e paranoidi di debolezza men- tale, che derivano da arresto di aviluppo psichico. Predestinazione. Lat. Praedestinatio ; T. Pridestina- tion; I. Predestination; F. Prédestination. Dottrina teolo- PRE — 886 — gica, secondo la quale ogni individuo è destinato, in modo infallibile ed eternamente vero, ad essere salvato o dan- nato. Si collega alla dottrina della prescienza divina. Come riferisce S. Agostino, secondo i Pelagiani presoiebat Deus. qui futuri cosent sanoti et immaculati per libera roluntatis arbitrium et ideo eos ante mundi constitutionem in ipsa sua prascientia, qua tale futuros esse prascivit, elegit. Leibnitz distingue la predestinazione dalla destinazione, in quanto . Cfr. S. Tommaso, 8. theol., I, 2, qu. X, a. 3, e q. XIII, 6, ecc.; Boursier, De l’action de Dieu aur les creatures, 1718, Dise. prélim., I, 8; Malebranche, Réflerions sur la prémo- tion physique, 1715 (v. libero arbitrio). Predeterminismo. T. Prädeterminismus; I. Predeter- minism; F. Prédéterminisme. Dottrina teologica, secondo la quale gli eventi sono considerati come risultanti dalla prescienza e dalla onnipotenza divina. Si distingue dal determinismo perchd in questo, a differenza di quello, la necessità è immanente agli stessi fenomeni. Però secondo alcuni, ad es. il Renouvier, il determinismo ben compreso si identifica col predeterminismo ed ha la sua vera espres- sione nell'equazione del mondo del Léplace; data la ferrea necessità causale che lega i fenomeni del mondo, in ogni momento della sua esistenza sono potenzialmente conte- nute tutte le sue fasi successive, cosicchò una intelligenza infinita potrebbe agevolmente calcolarle. — Kant oppone il problema del determinismo a quello del predeterminismo : il primo consiste nel domandare come la volontà può es- sere libera, pur essendo determinata da una ragione sufti- ciente interiore all'agente, il secondo nel ricercare in qual modo la determinazione di ogni atto mediante ragioni anteriori e fatti che non sono più in nostro potere, possa conciliarsi con la libertà, la quale esige che l’atto, nel momento dell’azione, sia in potere del soggetto. Cfr. Ch. Renouvier, Histoire et sol. des probl. métaph., 1*ed., p. 168-9; Kant, Religion inneralb der Grenzen des blossen Vernunft, ed. Rosenkranz, parte I, p. 57 (v. equazione del mondo, fatali- amo, determinismo). Predicabile. Gr. Kazyyopospevov; T. Praedicabile; I. Predicable; F. Prédicable. Tutto cid che ad un dato sog- getta può essere attribuito. Aristotele, oltre alle dieci categorie (praedicamenta), diede anche una classificazione di cinque categorumeni (praedicabilia), che sono i cinque PRE — 888 — universali, di cui i due primi, cioò il genere e la specie Crévog e εἶδος) riguardano la estensione delle idee, gli altri, cioè la differenza, il proprio e I’ accidente (διαφορά, Toy, συμβεβηκός) riguardano la comprensione. — Kant chiama predioabili della ragion pura tutti i concetti a priori, ma derivati, che possono essere ricavati dai predicamenti © categorie, come la forza, l’azione, la passione, la pre- senza, la resistenza, l’origine, la distruzione, il cangiamento. — In un senso ancora più lontano dal primitivo, Schopen- hauer chiama praodioabilia a priori le proposizioni generali che possono essere affermate 4 priori relativamente al tempo, allo spazio, alla materia; esse sono diciassette per ciascuna di queste tre categorie. La prima relativa al tempo è la seguente: non v’ha che un tempo solo, e tutti i tempi diversi sono parti dello stesso; la seconda: tempi diversi non sono contemporanei, ma successivi. Cfr. Ari- stotele, Top., I, cap. 4, 101 b, 17-25; Porfirio, Isagoge, 1; Kant, Krit, d. reinen Vern,, A 82, B 108; Schopenhauer, Die Welt als W. u. Vorst., ed. Reclam, Ergänzungen z. er- sten Buch, cap. IV; Rosmini, Logica, 1853, § 413-418 (v. oa- togorie, oategorumeni). Predicato. T. Prädioat ; I. Predicate; F. Prédioat. Ogni ides che può essere predicata, negata o affermata di un’al- tra. Logicamente ha lo stesso valore di attributo, giacchè i latini tradussero il greco κατηγόρηµα ο κατηγοροὺµενον tanto con praedicatum quanto con attributum ; ma mentre il predicato non ha che un valore logico, determinato dal posto che esso occupa nella proposizione, l’attributo è ado- perato anche in un senso metafisico, per designare quelle qualità d’una sostanza, senza le quali essa non potrebbe essere, mentre le qualità accidentali diconsi modi. Preesistente. T. Prüeristent ; I. Preeristent; F. Pres- zistent. Ciò che esisto anteriormente ad altra cosa. Platone, ispirandosi allo dottrine teologiche dei misteri dionisiaci, estende l’esistenza immortale dell’ anima oltre i due limiti — 889 — © Pre della vita terrena, nella preesistenza e nella postesisten- za; nella prima è da cercare la colpa per cui l’anima è ricacciata nel mondo sensibile, nella seconda la sua sorte dipende dal grado con cui, nella vita terrena, si è resa li- bera dalla cupidigia del senso e si è rivolta alla sua missione più elevata, alla conoscenza delle idee. Anche secondo alcuni dei primi Padri della Chiesa, come Tertul- liano, Ireneo e Gregorio di Nissa, l’anima è preesistente al corpo; la materia è pure preesistente alla divinità co- sicchd queste non la crea ma la organizza. Nella tilosofin gmostica gli coni non sono altro che spiriti preesistenti, che giungono alla vita terrena dopo una serie di crescenti degenerazioni. Cfr. Platone, Fedr., 246 vegg.; Id., Gorgia, 523 segg.; Id., Rep., 614 segg.; Id., Fedone, 107 segg.; 8. Ireneo, Adv. haer., V, 12, 2. Preformasione dei germi. Dottrina ora abbando- nata, secondo la quale ogni individuo vivente conterrebbe attualmente preformati i germi di tutti i nuovi individui che potranno sortire da lui. Codesti germi non sarebbero che individui estremamente piccoli, ma già formati, co- sicchè il loro svilupparsi non sarebbe che un ingrandire. Ogni germe, per quanto piccolo, contiene avviluppati in sò stesso altri germi ancor più piccoli, e questi altri più piccoli ancora e così via via indefinitamente. Questa dot- trina fu già sostenuta da Malpighi, Haller, Bonnet. Nella sua Monadologia Leibnitz dice: « I corpi organici della natura non sono mai prodotti de un caos o da una pu- trefazione, ma sempre da sementi, in cui o'era senza dubbio qualche preformazione ». Oggi il preformismo è so- stenuto dal Weismann, nel senso però che gli organi e i caratteri ereditari degli esseri viventi esistono nel germe allo stato di parti differenziate, quantunque non simili agli organi e ai caratteri che produrranno. La dottrina più ac- cettata attualmente è quella dell’epigenesi, per cui si am- mette che lo sviluppo embrionale dell’ individuo consiste PRE © — 890 — in una oatena di neoformazioni, che si presentano per gradi ο non preesistono già formate nel germe. Cfr. C. Bonnet, Consideratione sur les corps organisés, 1776; Leib- nitz, Monadologia, $ 74; C. S. Wolff, Theoria generationis. 1774; A. Weismann, Das Keimplasma, eine neue Theorie d. Vererbung, 1894; Haeckel, I problemi dell’ universo, trad. it. 1902, p. 81 (v. eredità, endogenesi, germiplasma, pangenesi, perigonesi). Premessa. Gr. Πρότασις; Lat. Praemissa; T. Prämisse, Vordersatz; I. Premise; F. Prémisse. Le due proposizioni del sillogismo, che contengono il medio e da cui risulta la conclusione. Quella che contiene il termine maggiore di- cesi premessa maggiore, quella che contiene il minore pre- messa minore. Circa il modo di cavare dalle premesse la conclusione si hanno cinque regole: 13 non si conchiude da premesse negative, perchè posto che nd il termine maggiore nè il minore convengono col medio, non si può conchiudere nd che convengano tra loro nd che disconvengano; 2* non si conchiude negativamente da premesse affermative, per- chè in tal caso la conclusione non deriverebbe, evidente- mente, dalle premesse; 3° non si conchiude da premesse particolari, perchè il sillogismo consiste invece nel proce- dere dall’ universale ; 4* la conclusione segue sempre In parte più debole delle premesse, intendendosi per debole la proposizione negativa rispetto all’ affermativa, ο la parti- colare rispetto all’ universale; 5* non si conchinde da pre- messe delle queli la maggiore sia particolare e la minore negativa; tale regola si basa essenzialmente sulle precedenti. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 545 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 241 segg. (v. figura, modo, sillogiemo, termini). Presciensa. T. Vorherwissen; I. Foreknowledge; F. Pre- science. Uno degli attributi della natura divina. Esso si basa sul principio dell’ assoluta perfezione di Dio. Se Dio è perfetto, deve essere intelligente; alla sua intelligenza nulla deve essere nascosto, nè il prosente, nd il passato, — 891 — Pre nd l'avvenire. La prescienza di Dio deve essere sicura, perchè se fosse incerta potrebbe farlo cadere nell'errore, e ciò è incompatibile colla sua perfezione; e deve essere im- mediata, perchè se fosse ottenuta per mezzo di ragiona- menti o di intermediari, bisognerebbo supporre che egli, almeno per un istante, ignorasse l'avvenire, non fosse presciente, cioè fosse imperfetto. La prescienza divina non è infatti una previsione ma una visione : da tutta l'eternità Dio contempla tutto ciò che dovrà accadere in tutto il tempo avvenire. La sua prescieuza è dunque una omni- scienza, che abbraccia tutte le verità simultaneamente, e, insieme al presente, al passato, all’ avvenire, anche ciò che non fu e non sarà mai; donde la distinzione, ammessa da tutti i teologi, tra la scienza della visione, nella quale si comprendono i futuri contingenti, e la scienza di pura in- telligenza, che si riferisce agli esseri che non verranno mai all'esistenza. Cfr. S. Agostino, Ootoginta trium quest., q. 24; S. Bonaventura, Opera omnia, t. I, p. 800 segi Tom- maso, Summa theol., I, qu. XIV, art. 5, 6; Id., C. Gentes, I, dist. 38, qu. I, art. 5, e spec. Quaest. de acientia Dei, art. 12. Presentazione. T. Präsentation, Forstellung ; I. Presen- tation; F. Présentation. Per opposizione a rappresentazione alcuni psicologi adoperano questo termine a designare tutti quegli stati di coscienza in cui un dato oggetto è presentato allo spirito; quando lo stesso oggetto si presenta di nuovo, si ha una ripresentasione o rappresentazione. In tal senso V Hamilton denominava presentazionismo reale la dottrina, propria del Locke e della scuola scozzese, secondo la quale le qualità primarie delle cose, ad es. la resistenza e la forma, sono immediatamente da noi percepite, quindi sono realmente nei corpi quali noi le percepiamo. Sull’utilità del vocabolo presentazione, come opposto di rappresentazione, si è molto discusso; secondo il Bergson la parola rappre- sentazione è equivoca e, in base alla sua etimologia, non dovrebbe mai designare un oggetto intellettuale presentato PRE-PRI — 892 — allo spirito per la prima volta: « Bisognerebbe riserbarla alle idee o alle imagini che recano |’ impronta di un lavoro anteriore effettuato dallo spirito. In tal caso si potrebbe introdurre il vocabolo presentazione (ugualmente impie- gato dalla psicologia inglese) per designare in generale tut- tociò che è puramente e semplicemente presentato all’ in- telligenza ». Anche il Claparède crede all’ opportunità ‘di distinguere in tal modo gli stati psichici a seconda che il loro contenuto è attuale ο imaginatico. Si può osservare però che coi vocaboli sensazione 0 percezione si indica abbastanza chiaramente l’attualità dei fatti psichici. Cfr. W. Hamilton, Dissertations on Reid, 1860, p. 825; J. 8. Mill, An exam. of sir Hamilton'e philosophy, 3° ed. 1867, cap. LIL; J. Ward, Psychology, Eneycl. Britannica, 1° sez.; Bergson, Bulletin de la soc. frang. de phil., giugno 1901, p. 102; Ed. Clapa- rède, Ibid., giugno 1913, p. 213; Lachelier, Ibid., p. 214. Presentimento. T. {knung, Vorempfindung; I. Presen- timent; F. Pressontiment. La previsione oscura di un avve- nimento che può accadere; non è quindi da confondersi con la previsione scientifica, che è sicura in quanto è fon- data sulla costanza ο l'uniformità delle leggi naturali. Il Leibnits intendeva per presentimento la facoltà di preve- dere ragionando degli avvenimenti; tale facoltà proveniva, secondo lui, dal possedere lo spirito umano la rappresen- tazione di tutte le cose dell’universo, e quindi la possibilità di trarre dal proprio fondo delle verità sia astratte che concrete. Secondo Fries ο Jacobi il presentimento (Ahnung) è «la convinzione fondata sul solo sentimento, senza con- cetti determinati » a cui corrisponde la credenza nel divino. Cfr. Fries, System der Logik, 1837, p. 423 segg. (v. per- cezione). Presenza v. Tarole di Bacone. Prestabilita (armonia) v. Armonia. Primario. T. Erst, Elementar ; I. Primary; F. Primaire. In un sistema di classificazione per ordine di generalità — 893 — Pri diconsi divisioni primarie sia le divisioni che hanno l’esten- sione maggiore, sia le divisioni che hanno l'estensione minore. — Dicesi formazione primaria, sia nell’ordine psi- cologico che in quello fisico, ciò che è più antico, ο ciò che è composto del minor numero di elementi. Si dicono primarie o originali quelle qualità dei corpi senza di cui i corpi stessi non possono essere concepiti: tali |’ esten- sione, la figura, la resistenza. Secondarie invece quelle che si possono sopprimere senza sopprimere al tempo stesso la nozione della cosa: il colore, il sapore, l’odore, il suono, ecc. Delle qualità primarie le nostre sensazioni sono, secondo il Locke, copie fedeli di cui le cose sono gli originali: le qualità secondarie sono invece affatto relative. Il Berkeley invece ridnce le qualità primarie alle secondarie, dimo- strando che quelle non sono meno relative di queste, en- trambe derivando dai sensi ¢ risolvendosi tutto in stati del nostro spirito: « La volta rilucente del cielo, 1’ ornamento della terra, in una parola tutti i corpi che compongono questo mondo, non esistono che in uno spirito che li per- cepisce; essi non hanno altra esistenza che la possibilità d'essere percepiti; quindi tutte le idee esistono attual- mente in me o in qualche altro rpirito creato, 0, se non vi esistono, non esistono affatto o esistono nello spirito di- vino ». Cfr. Locke, Ess., II, cap. 8, $ 8-15; Berkeley, Prin- cipl., I, VIII, XI (v. attributo, essenza). Primitivo. T. Ur... Grund...; I. Primitive; F. Primitif. Si oppone tanto a secondario che a derirato, e dicesi di ciò che sta all’origine di una serie di fatti, o che in ana cosa ha il primo luogo, ο che si ottiene per primo. Dicesi senso primitivo quello del tatto, perchè esso precede nella specie tutti gli altri sensi, i quali si considerano come semplici differonziamenti subiti nel corso della evoluzione biologica dalla sensibilità tattile, per effetto della varia natura ο del vario modo di agire degli stimoli esterni. Il Rosmini chiama giudizi primitiri quelli dati solamente dal senso e PRI — 894 — anteriori alla formazione del concetto; si dicono primitivi appunto perchè sono i primi che noi facciamo sulle cose, e mediante i quali delle cose stesse formiamo i concetti. Egli chiama poi sintesi primitiva l’attività spiritnalo onde il senso fondamentale unisce la sensibilità ο l’ intelletto e ne vede il rapporto; questa attività non è altro che la ragione, sesi considera più generalmente l’attività nascente dall’unità intima del sentimento fondamentale, in quanto cioò l'Io è atto a vedere i rapporti in generale: quindi la sintesi primi- tiva è la prima funzione della ragione. Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 212 segg.; Id., Psicologia, 1848, t. II, § 452 segg. Primo o primum. T. Eret; I. First, Early; F. Premier. È tutto ciò che non ammette alcun antecedente. Però il primo può essere anche relativo, cioè un primo eupposto : ad es. il primo costitativo nella biologia è la molecola οο- stituente le cellule; nella fisica è I’ atomo, costituente le molecole; nella chimica la monade eterea, componente del- l’atomo stesso; e questo primo della chimica è tale soltanto perchè esso è l’ultimo indistinto del quale non occorre sapere in qual modo sussista, come il biologo si arresta alla molecola organica, non occorrendogli indagarne la co- stituzione. Si distingue poi il primo logico dal primo ero- nologioo : quello riguarda 1’ ordine del tempo, questo l’or- dine della relazione di principio a conseguenza; ad es. nel penso dunque esisto di Cartesio, il penso è il primo logico Pesisto il primo cronologico. — Dicesi primo noto quella nozione prima, dalla quale si deducono tutte le altre idee ο principi. — Nel linguaggio aristotelico-tomistico primum e pris differiscono, in quanto quello si dice per privazione di antecedente, questo per confronto a posterius; dicesi poi primum alterans il primo cielo, il cui moto era rite- nuto come principio di alterazione © di corruzione degli enti terrestri, e primum mobile il primo cielo in quanto per mezzo degli altri cieli dava moto ai corpi celesti. Primo motore (πρῶτον κινοῦν) chiama Aristotele la divinità, causa — 895 — Pri iniziale immobile del movimento; la materia, il puro pos- sibile, è ciò che è mosso senza muovere, mentre Dio, il puro reale, è ciò che soltanto muove senza esser mosso e senza divenire: tra i due termini v'è tutta la serie delle cose, che subiscono o suscitano il movimento, e il oui in- sieme Aristotele chiama natura. — Nell’ ontologismo ai di- stingue il primo psicologico che è quella qualsiasi nozione, prodotto della intelligenza, dalla quale ogni altra deriva, dal primo ontologico, che è l’essere in sò stesso come di- stinto ed opposto alle intelligenze, e il primo ideologico che è il medesimo essere assoluto in quanto è oggetto della intelligenza umana. — Nell’ innatismo o razionalismo si distinguono i primi universali, che il nostro spirito porta con sè stesso, © che sono quindi anteriori ad ogni espe- rienza, dagli ultimi universali, o principi scientifici, i quali risultano dall’esperienza sensibile ο si formano appunto da ciò che nell’ esperienza vi è di costante e di comune. — Filosofia prima (φιλοσοφία πρώτη) chiama Aristotele la ricerca della realtà prima e dell’ essenza immutabile delle cose; essa poi fu detta metafisica. — Causa prima (causa sui, causa causarum, 900.) dicesi quella che non è l’effetto d'una causa antecedente e dalla quale procedono le altre cause, dette perciò seconde. — Verità prime, primi prinoipî, nozioni prime, ecc., sono quelle che non sono ricavate de- duttivamente da altre. — Diconsi qualità prime della cosa quelle senza di cui la cosa non potrebbe concepirei. Principio. Gr.'Apx#; Lat. Principium ; T. Grund, Grund- satz; I. Principle; F. Principe. Ha tre significati fondamen- tali, uno logico, uno normativo, l’altro metafisico ο ob- biettivo. Nel primo indica una proposizione generale dalla quale derivano e alla quale si subordinano altre proposi zioni secondarie. Nel secondo designa una massima o regola d’azione, chiaramente presentata allo spirito ed enunciata mediante una formala; a seconda del loro contenuto, si hanno principi morali, religiosi, artistici, politici, ecc. Nel PRI — 896 — terzo indica una realtà dalla quale dipendono ο derivano altre realtà: in questo senso gli atomisti chismavano prin- cipia gli atomi, i teologi chiamano Dio principio del mondo, e gli psicologi l’anima principio dei fatti psichici. Una dottrina scientifica può essere allo stesso tempo un prin- cipio logico, un'ipotesi e una legge. Così la conservazione della materia e dell'energia è un principio, perchè in base ad esso noi cerchiamo degli equivalenti ad ogni quanti di materia e d'energia che sembra nascere o sparire; una ipotesi, perchè non è stato sperimentato e non potrà mai esser sperimentato su tutti i corpi e su tutte le energie della natura; una legge, per il gran numero di corpi e di energie riguardo a cui fu sperimentalmente constatato. — Diconsi principt logici ο principî supremi di ragione, il prin- cipio d'identità, À è 4; il principio di contradizione, 4 non è non-4; il principio del mezzo o terzo escluso, 4 è ο non è B; il principio di ragion sufficiente, per cui nessuna ve- rità esiste che non sia giustificabile. — Il principio di in- dividuazione è il fondamento della individualità, per cui essa è quello che è; il principio degli indiscernibili è quello per cui due cose, per esser due, debbono avere qualche dif- ferenza di qualità; il principio di causalità, per cui nulla vi ha senza causa; il principio di finalità, per cui ogni essere ha un fine. — Il principio della minima azione, o del minimo mezzo, 0 di economia, o principio di semplicità, fa formulato in modi diversi; così per Galileo « la natura non opera con molte cose quello che può operar con poche »; per Vol- taire «la natura agisce sempre per le vie più corte »; per Maupertuis « quando nella natura avviene un mutamento, la quantità di azione necessaria a produrlo è la più piccola possibile ». — Nel linguaggio aristotelico-tomistico diconsi prinoipia generationis quelli di cui tutte le cose sono fatte, mentre essi stessi non sono fatti da altri, e sono la mate- ria, la forma, la privazione; principia compositionis ο della cosa generata, quelli dalla cui permanenza vien generato — 897 — PRI il corpo naturale; principia metaphysica quelli da cui si in- tende composta metafisicamente ed intellettualmente la cosa; prinoipia in habitu quelli che regolano i sillogismi senza che ne faccian parte, ad es. le coke che convengono ad una terza convengono tra di loro. Dicesi ancora prin- cipium quod la persona ο il supposito oui si attribuisce V operazione, o la denominazione dell’ operante (ls persona di Tizio è il prinsipium quod delle sue volizioni); princi pium quo ciò onde viene elicita immediatamente l’azione (la volontà di Tizio è il principium quo delle sue voli- zioni). Cfr. Goclenio, Lerioon phil., 1613, p. 870; Chr. Wolf, Philos. prima sive ontologia, 1736, $ 866-876; Kant, Krit, 4. reinen Vern., ed. Reclam, p. 265 segg. Privativo (termine). T. Privato; I. Privative; F. Pri- vatif. La privazione è, secondo Aristotele, una causa ne- gativa che agisce per la sna stessa assenza, Quindi il termine privativo si distingue dal positivo e dal negativo, in quanto è l’una e l’altra cosa nello stesso tempo; è detto privativo perchè limito, nega una qualità ο un attributo di cui il soggetto fu possessore, ο di cui è naturalmente capace; ad es. analfabeta, cieco, anormale, ecc. Cfr. Stuart Mill, Syetom of logio, 1865, 1. I, cap. II, $ 6 (v. negativo, negazione). Privazione. T. Mangel; I. Privation, Want; F. Privation. E una qualità che consiste nella’ mancanza di una qualità positiva, ed agisce come una causa negativa per la sua stessa mancanza : cieco, mortale, povero, ecc. Così il Wolff la definisce: defeotus aliouiue realitatie, quae esse poterat. Secondo Aristotele la materia è, sotto un certo rapporto, la privazione; ad es. l’uomo sarà musicista, ma non è autor tale; in questo momento è il non musicista; il non-musicista non è una materia senza forma, poichò è già un uomo, ma è una materia ancora privata della sua qualità; codesta materia è dunque la privazione della qua- lità di musicista. Anche il Leibnitz usò questo vocabolo 57 — RaszoLI, Dizion, di acienze filosofiche. Pro — 898 — ma nel senso di limitazione, imperfesione. Cfr. Aristotele, Metaph., X, 4, 1055 b; Chr. Wolff, Ontologia, 1736, $ 273. Probabilismo. T. Probabiliemus; I. Probabiliem ; F. Pro- babilisme. Nella morale il probabilismo à quella dottrina casuistica, secondo la quale per non cadere in colpa basta agire conformemente ad una opinione approtata, ossia che ha dei partigiani rispettabili e non è contraria all’autorita. — Nella gnoseologia il probabilismo è una dottrina che sta di mezzo tra il dogmatismo e lo scetticismo. Questo nega la possibilità di ogni conoscenza, quello invece unifica verità e certezza, considerando la prima come una proprietà intrin- * seca delle cose e la seconda come un prodotto della verità sullo spirito. Il probabilismo, sia antico che moderno, crede possibile il possesso della verità, ma non di quella assoluta bensì della verità probabile, che è in noi e per noi, della ve- rità che nasce dell’ accordo durevole delle nostre rappresen- tazioni tra di loro e con quelle degli altri. I probabilisti so- stengono che il valore di questa verità dipendente da noi è superiore a quello della verità in 88 © per sè, poichè le cose che da noi dipendono valgono più di quelle che non di- pendono, Nella filosofia antica la teoria del probabilismo fu sviluppata specialmente da Carneade, che distinse tre gradi della probabiltà: il grado più basso è quello che con- viene all’ idea singola, che non si trova in nessi più larghi; un grado più alto sppartiene all’ idea che si può unire con altre, con cui si trova in connessione; il terzo grado è raggiunto dove un intero sistema di idee in tal modo con- nesse è riscontrato nella sua perfetta armonia e nella sua conferma sperimentale. Nella filosofia moderna il probabi- lismo ricompare, con tinte più o meno scettiche, prima nel Montaigne, poi in Hume, infine nel Cournot. Cfr. Mentré, Cournot et la renaissance du probabilieme au XXe sidole, 1908 (π. oritioiemo, prammatismo, nominaliemo). Probabilità. T. Wahrsoheinlichkeit, Probabilità; I. Pro- bability; F. Probabilité. La certezza che una cosa si avveri — 899 — Pro è data dal suo avverarsi sempre, quando si avverino de- terminate circostanze; la probabilità invece è data dal suo avverarsi non sempre ma qualche volta. Questa dicesi probabilità qualitativa ο filosofica, per distinguerla dalla quantitativa ο matematica, che si fonda sul numero dei casi; si chiama anche soggettiva ο psicologica, in quanto è l’espres- sione di un atteggiamento del pensiero e dell’azione, che ap- partiene allo stesso dominio del dubbio, dell’ esitazione, dell'incertezza, In essa si possono distinguere due gradi: il primo, che chiameremo probabilità volgare, è la semplice fiducia nel verificarsi di un avvenimento, fiducia basata sa pure impressioni e perciò indimostrabile; la seconda, che chiameremo probabilità scientifica, è ugualmente sog- gettiva ma possiede un maggior fondamento razionale. Esempio dei due gradi, il giudizio che un profano e nn medico possono esprimere sulla probabilità che un amma- lato guarisca. Matematicamente la probabilità è espressa da una frazione, che ha per numeratore il numero dei casi favorevoli, per denominatore il numero dei casi possibili; ciò costituisce il calcolo delle probabilità ο teoria dei rischi Ware conieotandi degli antichi) che si applica tanto alle questioni di pura possibilità, che sono di natura oggettiva, quanto a quelle di probabilità, che dipendono dal non co- noscere tutte le circostanze del fatto supposto. Nella fra- zione che esprime la probabilità, quanto maggiore è il denominatore rispetto al numeratore, tanto maggiore è la probabilità ; se il denominatore è zero si ha la certezza; so è zero il numeratore si ha l'impossibilità. Il calcolo delle probabilità non pnò essere applicato alla probabilità filo- sofica, poichè essa non riguarda la quantità ma la qualità, non il numero ma il valore dei casi. Si distingue infine la probabilità atatietica, che sta di mezzo tra la probabilità filosofica © la probabilità matematico ; essa è il rapporto del numero dei casi avvenuti in passato con quelli che per estrema ipotesi avrebbero potuto verificarsi, rapporto sup- Pro — 900 — posto costante e applicabile ai casi futuri; è quindi pro- babilità matematica, in quanto fondata sul rapporto dei casi reali © possibili; probabilità filosofica perchè implica la supposizione (soggettiva) che detto rapporto si conser- vera invariato nel futuro, © che i singoli casi siano pos- sibili in ugual grado mentre in realtà non lo sono. Cfr. Moivre, Doctrine of chances, 1718; Cournot, Essai sur les fondements de nos connaissances, 1851, $ 31; Id., Exposition de la théorie dee chances et des probabilités, 1843; Bertrand, Caloul des probabilités, 1907; Borel, Élémonts de la thdorie des probabilités, 1909; H. Poincaré, Calcul des probabilités, 1912. Problema (xp6— avanti; βάλλω =lanoio). T. Problem ; 1. Problem; F. Problème. Significa originariamente una in- cognita da determinare, la quale, benchè si trovi connessa dal rapporto di principio e di conseguenza con uns cono- scenza posseduta, difficilmente si può decifrare; si con- trappone quindi a teorema, che è il risultato chiaro e pro- vato di una dimostrazione. In senso largo, il problema è la necessità nella quale trovasi il nostro pensiero di spie- gare un fatto qualsiasi, realo o supposto. Se il fatto che si deve spiegare è reale, il problema dicesi assoluto, in quanto esiste indipendentemento dall’ analisi, che può ri- solverlo o non. Se il fatto è supposto, il problema dicesi ipotetico, in quanto la sua validità dipende dall’analisi che è necessaria per risolverlo. Alcuni dei problemi assoluti possono essere anche antitetioi, quando cioè esiste opposi- zione tra ragionamento e ragionamento, o tra effetto e causa. — L’Avenarius considera il problema come il segno d’un rapporto di tensione, d’una « differenza vitale » tra V individuo e l’ambiente, determinate dalla sproporzione che esiste tra l’ energia dell'individuo ο quella richiesta dalle eccitazioni dell’ ambiente. Se 1’ eccitazione (R) ο la energia (E) sono assolutamente corrispondenti (R = E) si ha il massimo vitale di conservazione, l'individuo si sente a proprio agio e pieno di fiducia nelle proprie percezioni — 901 — Pro © rappresentazioni. Se invece, per variazioni dell'ambiente, si produce la situazione R> E, allora appare un problema e l’individno trova delle divergenze, delle eccezioni e delle contraddizioni nel dato, che gli danno I’ impressione d’es- sere straniero nel mondo; ogni vero problema è una no- stalgia, che fa tendere tutti i nostri sforzi a togliere codesta impressione. Inversamente, se si produce la situazione E> R, un problema appare per là ragione contraria: in questo caso esiste dell’energia che non è impiegata e che, divenuta libera, esplode in direzioni insolite, non de- terminate dal dato; si hanno allora le epoche d’eman- cipasione, d’effervescenza, d’idealinmo pratico. — Dicesi problema di Molyneux quello esposto dal Leibnits nei Nouv. Essais (1. II, cup. IX, $ 8): « Supponete un cieco dalla nascita, che sia ora uomo maturo, al quale siasi insegnato a distinguere col tatto un tubo da una sfera dello stesso metallo e circa delle stesse dimensioni... Supponete che codesto cieco venga a godere della vista. Si domanda se, vedendoli senza toccarli, potrebbe distinguerli ο dire qual sia il cubo e quale la sfera ». Cfr. R. Avenarius, Kritik der reinen Erfahrung, 1888-90; Id., Die menschliche Welt- begriff, 1891; B. Varisco, I massimi problomi, 1909; Masci, Logioa, 1899, p. 451 segg. (v. economica teoria, empiriocri- ticismo). Problematico (giudisio). T. Problematisch; I. Proble- matic; F. Problématique. Nel linguaggio comune proble- matico equivale a incerto, dubbio, affermato senza prove sufficienti e tale quindi che deve considerarsi come rima- nente in questione. — Nella logica dicesi problematico il giudizio che esprime la possibilità, cioè la concepibilità dei contradditori per la mancanza di ragione di decidere quale sia vero. Può essere affermativo e negativo; nel primo enso la sua formula è: 4 può esser B; nel secondo: A può non esser B. Il giudizio problematico negativo nega infatti la necessità; la possibilità della affermazione è invece negata Pro — 902 — dal giudizio apodittico negativo, la cui formala è: 4 non può esser B. Nella classificazione kantiana i giudizi proble- matici appartengono, insieme cogli assertori, 0 della realtà, © gli apodittici, o della necessità, alla categoria della mo- dalità. — Nella metafisica dicesi problematica quella forma di realismo, che partendo da un dualismo realistico di sog- getto e oggetto, pone tuttavia quest’ ultimo come incerto: «noi siamo uniformemente certi, dice ad es. il Wenn, del- l'esistenza dell'idea ο del concetto nei nostri spiriti, e uniformemente incerti (da un punto di vista logico) che un fenomeno vi corrisponda ». Alcune volte dicesi pro- blematico anche il realismo che meglio si direbbe ipotetico, e che lo Spencer definisce «come la dottrina secondo la quale la realtà dell’oggetto non può essere affermata come un fatto, ma deve essere accettata come un'ipotesi ne- cessaria ». A questo tipo appartiene ad es, la dottrina del- V Hodgson, per il quale la materia, pur non essendo per noi che un complesso di percezioni obbiettivate, presup- pone tuttavia una condizione reale, senza di cui le sen- sazioni non esisterebbero, e una condizione dell’ esistenza della materia, cioè Dio, la cui natura può essere inforita mediante la ragion pratica dalla coscienza. Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, A 75-76; B 100-101; Wenn, Sym- bolic logic, 2* ed. 1894, p. 150; Spencer, Principles of prycho- logy, 3* ed. 1881, t. II, § 473; Hodgson, The metaphysio of experience, 1898, t. I, p. 296; F. De Sarlo, La metafisica dell esperienza dell’ Hodgson, 1900. Processo. T. Prozess; I. Process; F. Processus. Una conentenazione o serie di fenomeni successivi, che presenta caratteristiche particolari e determinate. Dicesi anche pro- cesso la serie dei mezzi che si mettono in opera per ar- rivare al conseguimento di un fino; quando il fine è la scoperta del vero scientifico, il processo è quasi la stessa cosa del metodo; no differisce solo in quanto le specie del processo si desumono dalla diversità del mezzo, quelle de — 908 — Pro metodo dalla diversità del fine. Perciò il processo è subor- dinato e relativo al metodo. — Nella metatisica alessan- drina il processo o processione è 1’ atto eterno con cui Dio produce il mondo, e l’atto pure eterno con oui l’Uno pro- duce il Noo e questo } anima, — Nel linguaggio scolastico dicesi processus resolutions quello per cui si dimostra la causa dall'effetto, processus oompositivus l'inverso; l’espres- sione esprime la natura dell’ operazione mentale, che nel primo caso consiste nel risolvere la causa nell’effetto, nel secondo nel comporre l’effetto con la causa, Progresso. T. Fortschritt; I. Progress; F. Progrès. Si usa generalmente come sinonimo di evoluzione, e designa quindi un processo di differenziazione e specificazione. Al- cuni però lo adoperano soltanto per opporlo 8 regresso ο regressione, che è il processo inverso, ossia il ritorno di un organo, di un individuo, di una specie, di una società ad uno stato anteriore, meno differenziato © meno specificato. Peroiò la regressione in un organo o in un individuo è un fenomeno degenerativo d’atavismo. Il progresso, inteso come lo svolgersi di un processo di perfezionamento, può essere sia meccanico, sia intellettuale, sia sociale o civile; e, in ciascuna di queste forme, può esser concepito come possibile ο impossibile, reale o spparente, continuo o per fasi, limitato o illimitato. Per Ruggero Bacone, ed es., il progresso del sapere umano è non solo innegabile, ma indefinito: « L’ avvenire saprà ciò che noi ignoriamo, e si meraviglierà che noi abbiamo ignorato ciò che esso sa. Nulla è finito nelle invenzioni umane, e nessuno ha l’ultima parola. Più gli uomini sono di recente venuti nel mondo, più estese sono le loro cognizioni, perchè, ultimi eredi delle età passate, entrano in possesso di tutti i beni che il lavoro dei secoli aveva per essi accumulato ». Anche secondo il Leibnitz non esistono limiti nel miglioramento progressivo dell’universo spirituale, perohè, sebbene la perfezione sia stata raggiunta in alcuni suoi elementi, nel- Pro — 904 — l'abisso delle cose restano sempre delle parti addormentate che devono risvegliarsi e svilupparsi: « È così che una parte del nostro globo riceve oggi una cultura che sumen- terà di giorno in giorno. E per quanto sia vero, che tal- volta certe parti ritornano selvagge ο si rovesciano e si deprimono, tale rovesciamento e depressione concorrono a qualche fine più grande, cosicchè noi profittiamo in certa guisa del danno medesimo ». Il Turgot contrappone la sta- bilità della natura al progresso incessante dell’ umanità : «1 fenomeni della natura, soggetti a leggi costanti, sono chiusi in un ciroolo di rivoluzioni sempre uguali. Tutto rinasce, tutto perisce, e in queste generazioni successive, onde i vegetali e gli animali si riproducono, il tempo non fa che ricondurre ad ogni istante 1’ imagine di ciò che ha fatto sparire. La successione degli nomini, al contrario, offre di secolo in secolo uno spettacolo sempre diverso. La ragione, le passioni, la libertà producono senza posa nuovi eventi. Tutte le età sono incatenate da una suo- cessione di cause e d’ effetti che legano lo stato del mondo a tutti quelli che ’hanno preceduto. I segni moltiplioati del linguaggio o della scrittura, dando agli uomini i mezzi d’assicurarai il possesso delle loro idee e di comunicarle agli altri, hanno formato di tutte le conoscenze particolari un tesoro comune, che una generazione trasmette all'altra, come un’ eredità sempre accresciuta delle scoperte di ogni secolo; © il genere umano, considerato dalla sua origine, appare agli occhi del filosofo un tutto immenso, che ha, al pari d’ ogni individuo, la sua infanzia ο il suo progresso >. 11 Condorcet considera il progresso sociale e morale del- V umanità come svolgentesi specialmente intorno a questi tre punti : Ja distruzione dell’ ineguaglianza tra le nazioni, il progresso dell’eguaglianza in un medesimo popolo, infine il perfezionamento reale dell’uomo; quest’ ultimo sarà de- terminato « sia dalle nuove scoperte nelle scienze © nelle arti, e, per necessaria conseguenza, nei mezzi di benessore — 905 — Pro particolare e di prosperità comune, sia dal progresso nei principî di condotta ο di morale pratica, sia infine dal reale perfezionarsi delle facoltà intellettuali, morali ο fisi- che, che pnd essere ugualmente la conseguenza del perfe zionarsi degli stromenti che aumentano l'intensità di co- deste facoltà o ne dirigono l’impiego, ο del perfezionarsi dell’ organizzazione naturale dell’ uomo ». Kant deduce la legge storica del progresso nmano dall’ ipotesi del deter- minismo; in qualunque modo si concepisca il libero arbi- trio, è innegabile che le azioni umane sono determinate dalle leggi universali della natura, al pari d’ogni altro fenomeno naturale, 9 che si può, in certo modo, consi- derare la storia della razza umana come il compimento d’un piano nascosto della natura, tendente a produrre uno stato umano perfetto, così interiormente come esterior- mente: « Come la specie umana è in continuo progresso quanto alla cultura,. che è il fine naturale dell’ umanità, ‘così deve essere in progresso verso il bene quanto al fine morale della sua esistenza, © se questo progresso talvolta può subire interruzioni, non può esser mai interamente arrestato ». Fichte ha tanta fiducia nel progresso civile ο morale dell’ umanità, da profetare un giorno in cui persino il pensiero del male si cancellerà dalla mente degli uomini, © tutte le potenze della loro anima graviteranno verso il bene: « Il momento giungerà in cui il malvagio, nella sua patria, in paese straniero, sn tutta la superficie della terra, non troverà a chi nuocere impunemente, e si troverà quindi spogliato della libertà e della stessa volontà di fare il male; poichè non possiamo supporre che continuerà a amare il male, se il male dovesse aver sempre per lui delle conseguenze faneste ». Schelling invece, pur riconoscendo che la nozione di storia implica quella d’ una progressi- vità infinità, sostiene che il progresso morale dell’ uma- nità non può essere per noi una certezza, non potendo essere provato nd teoricamente nd con l’esperienza, ma Pro — 906 — soltanto una credenza «un eterno articolo di fede del- l'uomo, nel mondo dell’azione ». Per Hegel 1’ evoluzione universale si compie col ritmo della dialettica speculativa, «ο questo ritmo si riproduoo in tutti i dettagli, in tutte le sfere: tutto si riproduce, si determina, si differenzia, e tutto ritorna alla identità primitiva. E uno sviluppo con- tinuo, che ritorna senza posa su sò stesso, con un più alto grado di realtà determinata e di conoscenza, una esplicazione eterna, infinita, il oui fine, per lo spirito che presiede senza coscienza a questo movimento, è la coscienza esplicita della sua assoluta sovranità ». Per Comte il pro- gresso sociale dell’ umanità si compie attraverso tre fasi : militare, giuridica e industriale, corrispondenti ciascuna alle tre fasi intellettuali: teologica, metafisica ο soientifica e positiva; è infatti il modo di pensare degli uomini che determina il loro modo di essere sociale, « è per l’influenza sempre più forte dell’intelligenza sopra la condotta gene- rale dell’uomo e della società, che il cammino graduale della nostra spocie ha potuto realmente acquistare quei caratteri di costante regolarità e di continuità perseverante, che la distinguono profondamente dal movimento vago, incoerente e sterile delle specie animali più elevate». Anche per J. 8. Mill, la testimonianza della storia e quella della natura umana concordano nel mostrare che, tra i fattori del progresso sociale, quello che possiede 1’ efficacia pre- ponderante è l’intellettuale, ossia « lo stato delle facoltà speculative della razza umana, stato manifestato nella na- tura delle credenze a oui essa è arrivata per qualsiasi via riguardo sò stessa ο il mondo che la circonda »; perciò il progresso sociale, per quanto lento, è illimitato, ο « di fronte alle cure ο agli sforzi degli uomini tutte le principali cagioni della sofforenza umana possono cedere in gran par- te, molte possono cedere quasi completamente ». — Dicesi progresso all’ infinito (progressus in infinitum) il movimento dello spirito che, poste certe condizioni, passa necessaria- — 901 — Pro mente da ciascun termine ad un termine nuovo; ad es. nella serie dei numeri o nella ricerca delle cause efficienti. Gli scettici antichi, specialmente Carneade e Agrippa, lo usarono come uno dei tropi o motivi di dubbio: ogni prova presuppone, per il valore delle sue premesse, altre prove, ogni principio altri principi più generali e così via senza poter mai raggiungere la certezza. Cfr. R. Bacone, Opus majus, cap. VI; Turgot, Diso. sur les progrès du genre humain, 1750; Condorcet, Esquisse des progrès de V esprit humain, 1804; H. Spencer, I! progresso umano, trad. it. 1907; G. Sorel, Le illusioni del progresso, trad. it. 1910; A. Matteucci, Il progresso umano nella sua più intima economia, 1910; A. Lo- ria, Che è il progresso? « Riv. it. di sociologia», 1911 (v. ere- dita, teratologia). Proiezione. T. Projektion: I. Projection; F. Projection. L’atto mentale con cui si riferisce il contenuto della sen- sazione ad una causa oggettiva, localizzandolo in punti dello spazio diversi da quelli nei quali si colloca in ima- ginazione lo spirito pensante. Spinoza lo esprime nel se- guente teorema: « Se il corpo umano è affettato da una modificazione che involge la natura di un corpo esteriore, qualunque esso sia, l’anima umana si rappresenterà co- desto corpo come esistente in fatto - o come presente per essa -- finchè il corpo umano sia affettato da un’altra mo- dificazione che escluda l’esistenza o la presenza del corpo in questione ». Condillac riferisce l’origine della proiezione alle impressioni tattili: « Come il sentimento può esten- dersi al di là dell’ organo che lo prova e che lo limita? Considerando le proprietà del tatto, si riconobbe che esso è capace di scoprire codesto spazio e di insegnare agli altri sensi a riferire le loro sensazioni a corpi che in co- desto spazio sono distribuiti ». Ugualmente il Riehl: « La proiezione dell’ imagine non è altro che l’associazione della stessa con sensazioni contemporanee del senso tattile ». Per l’Ardigò invece la proiezione è una forma d’ integra- Pro — 908 — zione d’inquadramento nello schema dell’ eterosintesi o non-Io; integrazione che si compie mediante un esperi- mento, il quale a sua volta consiste sia nell’ accompagna- mento di altre sensazioni, sia nella verifica per mezzo di un secondo senso. Per il Sergi la proiezione è il ripereuo- tersi psicologico di un fatto fisiologico, costituito dal fatto che l'onda nervosa centripeta, che aveva prodotto la sen- sazione, torna indietro per la medesima via percorsa prima; quindi, come l'eccitazione centripeta tende a dare carattere soggettivo ad ogni mutazione psichica che ne segue, così } eccitamento riflesso centrifugo tende a far uscire dal sog- getto la mutazione prodotta, perchè si spinge per le vie esterne. Cfr. Spinoza, Ethica, 1. II, teor. XVII; Condillae, Traité des sensationis, 1886, IV, cap. 8, $ 2; A. Riehl, Der philosoph. Kriticismus, 1879, II, 2, p. 58; Ardigò, Op. fll., IV, p. 343 segg.; G. Sergi, Teoria fisiologica della perce- sione, 1884. Prolepsi v. anticipazione. Propedentica. T. Propädeutik; I. Propaedeutica; F. Pro- pédeutique. Quell’ insieme di nozioni che sono necessarie per prepararsi allo studio di una scienza; così l’anstomia e la fisiologia del sistema nervoso sono la propedeutica alla psicologia; la logica generale e speciale è, ο dovrebbe essere, la propedentica di tutte le scienze. Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, pref. della 2° ed., $ 3. Proporsione. T. Proportion; I. Proportion: F. Propor- tion. Nella logica è quel modo d’ argomentazione per cui, date tre quantità, conoscendosi il rapporto che passa tra due, si trova il rapporto che passa tra la terza ed una quarta incognita in correlazione con esse. Il rapporto fra dette quantità è diretto, quando col crescere di nna cresce proporzionatamente anche l’altra; ad es. il giovane deve saper padroneggiare sò stesso, dunque tanto più l’ adulto (col crescere dell’ età cresce il dovere di padroneggiare sò stessi). Il rapporto è inrerso quando col crescere d’ una — 909 — Pro delle due quantità l’altra decresce proporzionalmente: ad es. il ricco non deve essere imprevidente, dungue tauto meno deve esserlo il povero (il dovere di essere previdenti cresce col diminuire della ricchezza). Gli scolastici chiamavano la prima argomentazione a minori ad maius, la seconda @ maiori ad minus. Nel linguaggio scolastico dicesi ancora proportio entitatis ο commensurationie 1’ ordino d’una cosa ad un’altra per ragione del suo essere (ad es. la propor- zione tra due uomini per ragione dell'umanità); © pro- portio habitudinis l'ordine di una cosa all’ altra per ragione della loro mutua convenienza (p. es. I’ intelletto all’ intel- ligibile). Cfr. Rosmini, Logioa, 1853, $ 678-679 (v. analogia). Proposizione. Gr. ᾽Απόφανσις, πρότασις; Lat. Propo- sitio; T. Sate, Proposition; I. Proposition; F. Proposition. Non è altro che il giudizio espresso con parole; il giudizio è un processo mentale, la proposizione un processo lingui- stico che l’esprime. Ora, 1’ espressione formale perfetta del giudizio consta di due termini, soggetto e predicato, e del verbo o copula che esprime la loro relazione; quando è cost costituita si ha la proposizione binaria. La quale però non è l'unica espressione possibile di un giudizio, in quanto anche le parole si, no, gui, rado, ecc. esprimono pure dei giudizi. Secondo alcuni logici qualsiasi parola esprimento un concetto è, per sè stessa, un giudizio, e ciò sia perchò il concetto è sempre il riferimento reciproco di due termini, sia perchè quando si pensa si ha la coscienza di averlo, e quindi è implicitamente e necessariamente l’af- fermazione di sò stesso. Del resto la proposizione binaria è propria specialmente delle lingue a flessione; nelle lin- gue agglutinanti basta un termine solo, e nelle monosil- labiche ne sono necessari ben più di due. Cfr. Aristotele, Περὶ éppyy., 4 ο 5, 17 a 1 segg.; Masci, Logica, 1899, P. 149 segg. (v. concetto, giudizio, grammatica, linguaggio). Proprietà. T. Eingeschaft, Eingentum; I. Property; F. Propriété. La proprietà non va confusa colla qualità. Pro — 910 — Vi sono due specie di qualità: quelle che costituiscono l'essenza stessg della cosa, come l’ estensione nei corpi, cosicchè non è possibile pensare quella cosa astraendo da tali qualità; e quelle che derivano da queste, o che al- meno le suppongono, come la porosità dei corpi. Ora le prime diconsi più propriamente attributi, le seconde pro- prietà. Così infatti C. Wolff definisce le proprietà: attri- buta, quae per omnia essentialia simul determinantur, diountur propristates. E il Wundt: «in senso esatto devono valere come proprietà di un corpo solo quei predicati, che gli ap- partengono stabilmente come caratteri suoi propri, non come effetti che il corpo produce ο riceve quando sia posto in determinate condizioni ». La distinzione però non è os- servata nel linguaggio comune, e talvolta neanche in quello filosofico. Cfr. Chr. Wolff, Philosophia rationalie, 1732, $ 66; Wundt, Phil. Stud, v. 13, p. 386 (v. qualità, attributo, essenza, modo). Proprio. Gr. Ἴδιον; Lat. Proprium; T. Eigene; I. Pro- per; F. Prope. Il carattere ο l'insieme dei caratteri appar- tenenti a tutti gli esseri d’una classe, e ad essi solo; tali caratteri possono essere tanto essenziali quanto accidentali. Il proprio è uno dei cinque categorumeni o predicabili, enu- merati da Aristotele. Esso designa il carattere accidentale ο essenziale, fondamentale o derivato, che appartiene ad una specie o ad un individuo. Gli altri predicabili sono il ge- nere, la specie, la differenza ο l’accidente; il proprio si distingue dalla differenza, perchè questa, oltrechè un ca- rattere proprio, è anche sempre essenzialo e fondamentale, e si distingue dall’ accidente, che è sempre passeggero men- tre il proprio può essere anche permanente. Aristotele distingue cinque sensi del proprio: 1° ciò che, senza espri- mere l’essenza della cosa, le appartione tuttavia ο οἱ re- ciproca con essa; ad es. l'essere medico è proprio solo dell’uomo, ο reciprocamente, solo un uomo pud essere medico; 2° ciò che appartiene alla cosa sempre © per sò — 911 — Pro stessa, ma non ad essa soltanto; ad es. I’ esser bipede all'uomo; 3° ciò che appartiene alla cosa non per sò stessa, ma per il suo rapporto con un’altra; sd es. per l’anima di comandare e per il corpo di servire; 4° ciò che appar- tiene sempre alla cosa ma per rapporto ad altre cose dove si trova una parte del suo stesso proprio; ad es. il pro- prio dell’uomo rispetto agli animali è d’essere bipedo; 5° ciò che appartiene alla cosa, ma solo a un certo mo- mento, e quindi in relazione ad altri momenti 6 ad altri individui; ad es. per un uomo il passeggiare nel ginnasio © nell’ agora. Porfirio le riassunse poi con qualche diffe- renza. Cfr. Aristotele, Topiei, 1. I e V; Porfirio, Isagoge, IV, 4 a 14 seg.; Logique de Port-Royal, parte I, cap. VII; Rosmini, Logica, 1853, $ 408-416. Prosillogismo v. polisillogiemo. Prossimo. T. Nächst, Nächste; I. Next, Neighbour ; F. Prochain. Il più vicino. Usato come sostantivo ha si- gnificato morale, indicando l'insieme dei nostri simili con- siderati come fratelli; infatti la parola prossimo (meus prozimus) è la traduzione della parola biblica, che designa l’uomo della stessa famiglia o della stessa tribù: « Tu non userai vendetta contro i figli del tuo popolo, ma amerui il tuo prossimo come te stesso » (Levit., XIX, 18). — Nella logica dicesi genero prossimo l’idea che, in duo idee o in una serie di idee disposte in ordine discendente di esten- sione e ascendente di comprensione, contiene un’altra idea (specie) che la segue immediatamente in quanto meno estesa; causa prossima quella che precede immediatamente l'effetto; effetto prossimo quello che segue immediatamente la causa. Es.: 1° dovendosi definire la giustizia, il suo genere prossimo è virtù non qualità morale, perchè virtà è immediatamente superiore a giustizia, mentre qualità morale, essendo più estesa di virtù, le è superiore; 2° la causa immediata del dolore prodotto dalla scottatura non è il calore del corpo che ha scottato, ma la conseguonte Pro — 912 — irritazione delle terminazioni nervose e la sus trasmissione ai centri spinali; 3° l’ effetto immediato dell’ azione della luce sull’ occhio non è la visione, ma il processo fotochi- mico determinato nella sostanza purpurea della retina, al quale segue poi la sensazione visiva. Protasi. T. Fordersate ; I. Protasis; F. Protase. Aristo- tele chiamava così il giudizio che serve nel sillogismo di fondamento alla dimostrazione. Tale giudizio fu detto poi premessa. I grammatici, per analogia, dicono protasi la prima proposizione di un periodo. Protensivo. Si adopera talvolta in opposizione a esten- siro - ciò che ha una grandezza nello spazio — per designare ciò che ha una grandezza (durata) nel tempo. L’ uso filo- sofico di questo vocabolo risale a Kant: « La felicità è la soddisfazione di tutte le nostre tendenze, sia estensive, quanto alla loro molteplicità, che intensive, quanto al loro grado, che protensive, quanto alla loro durata ». Cfr. Kant, Krit. der reinen Vernunft, Methodenlehre, vom Ideal des hch- sten Gute, A 805, B 833. Protoestemi (xpHto¢ =primo, αἴσθσις = sensazione). Con questo nome l’Ardigò designa le sensazioni minime o elementari, dalla cui somma ogni sensazione, che non è un fatto semplice ma complesso, risulta. I protoestemi sono analoghi ai singoli minimi da cui risultano per reduplica- zione gli elementi delle altre formazioni naturali: le mo- lecole della biologia, gli atomi della fisica, le monadi eteree della chimica. Come questi, i minimi protoestematici sono dati ipotetici, perchè non sperimentabili direttamente; e come questi, sono unità relative, perchè lo psicologo si ferma ad essi quale ultimo unico, non occorrendogli di ri- cercare come sussistano e quale sia la loro costituzione. Così si avvera per il pensiero ciò che avviene nella natura ‘universale, in cui nulla si trova essere solamente un tutto, e nulla solamente una parte, ma ogni tutto per quanto grande è sempre parte di un tutto maggiore, e ogni parte — 913 — Pro Per quanto piccola è sempre un tutto di parti minori; in modo che, preso dovunque un tutto, oltre di esso se ne trova un altro più grande, e poi un altro più grande an- cora, e così via all'infinito; e dentro di esso si trovano delle parti componenti, poi delle parti di queste parti, ο così via all'infinito. Cfr. Ardigd, Op. fil., VII, 34 segg., 62 segg., 80 segg. (v. elementi psichici). Protologia. T. Protologie; I. Protology; F. Protologie. Vocabolo ormai in disuso, che può designare tanto la scienza Prima o dei primi principi, quanto il diritto di priorità a discorrere in una adunanza, quanto un trattato intorno ai pit semplici organismi viventi. Nell’ ontologismo del Gio- berti la protologia è la scienza ο filosofia della prima at- tività del pensiero, vale a dire dell'ente intelligibile intuito Per via del pensiero immanente; peroid la protologia è scienza Pura, esclude ogni mescolanza di soggettivo e serve anzi di regola per sceveraro nelle altre conoscenze gli elementi soggettivi dagli oggettivi. Si differenzia dalla ontologia, che contempla I’ ente nell’ atto secondo, cioè come oggetto della riflessione e del pensiero successivo ; e dalla pricologia, che analizza il pensiero successivo considerato soggettiva mente, mentre la protologia contempla il pensiero nell’atto primo e come principio creativo e costitutivo dello spirito, quindi nell’ intuito puro dell’ intelligibile. Cfr. V. Gioberti, Della protologia, 1857, t. I, p. 154 segg.; E. Pini, Saggio sulla protologia, 1870. Protoplasma (πρῶτος = primo, πλάσσω — formo). T. Protoplasma; 1. Protoplasm; F. Protoplasme. Termine creato dal Mohl, e tosto largamente diffuso, per indi- care la materia viva fondamentale, che ha la proprietà di contrarsi. È costituito da un insieme di sostanze orga- niche, chimicamente indefinibili perchà di costituzione assai variabile. Quanto alla sua morfologia, queste sono le prin- .cipali teorie avanzate in proposito fino ad ora: che sia formato da un reticolato di sostanza omogenea, che eser- 58 — Raxzou, Dizion, di scienze filosofiche. Pro — 914 — cita la fanzione fondamentale e contiene grannlazioni non viventi; che tali granulazioni o microsomi siuno invece gli organi elementari viventi costitutivi d’ogni protopla- sma; che sia costituito da un reticolato di sostanza ferma, ο da una sostanza amorfa e viscosa (sostanza vitale) con- tenuta nelle maglie; che detto reticolato sia formato di fibrille intrecciantisi; che il citoplasma sia composto di piccoli alveoli le cui pareti, prementisi tra loro, formano il protoplasma. Cfr. Schwarz, Die morphologische und che- mische Zusammensetzung des Protoplasmas, 1887; E. B. Wil- son, The structure of protoplasm, 1899; Y. Delage, La structure du protoplasma et les théories sur U’herddite, 1895 ; Luciani, Fisiol. dell’ uomo, 8" ed. 1908, vol. I, p. 16 segg. (v. generazione, cellula, vita, organismo, pionosi). Protozoi. T. Protosoon, einzelliges Tier; I. Protosoon ; F. Protozoaire. Gli animali dalla struttura più semplice, simili per la loro forma e per il loro modo di vivere agli elementi costitutivi degli animali superiori. Essi sono co- stituiti da una singola cellula o da un gruppo di cellule similari. Non dovrebbero confondersi coi protisti, nome proposto dall’ Haeckel per designare gli organismi costi- taiti da protoplasma senza nucleo. Cfr. Haeckel, General. Morphol., 1866; Calkins, The protozoa, 1901. Provvidenza. T. Vorsehung ; I. Providence; F. Provi- dence. La suprema saggezza e bontà di Dio, che si esercita nella natura e nella storia; la sua azione permanente che governa il mondo e l'umanità. Providentia totue mundus administratur, et ita nihil fit, quod non pertineat ad opus providentiae. La Provvidenza però non esclude, secondo la teologia cattolica, l’attività delle cose e la libertà del vo- lere: « Secondo certi filosofi, dice S. Tommaso, l’azione divina in ciascun essere si deve intendere in questo senso, che cioò nessuna forza creata realmente agisca, ma che ogni azione proceda immediatamente da Dio. E questa una teoria assurda; prima perchè in tal caso la causalità delle — 915 — Pro creature verrebbe ad essere distrutta, il che imprimerebbe alla potenza divina il carattere di debolezza, giacchè è pro- prio di Dio produrre tali effetti, che siano capaci di dare origine a degli altri; in secondo luogo perchè le facoltà attive, di cui vediamo esser fornite le creature, invano sarebbero state a loro concesse, se dovessero rimaner prive di ogni effetto vero e reale. Chè anzi le creature stesse, prive di ogni operazione propria, diventerebbero inutili, poichè il fine dell'esistenza di ogni essere è l’azione ». La Provvidenza si collega strettamente agli altri attri- buti divini; infatti non è possibile concepire in Dio una Provvidenza, se non si suppone in lui una conoscenza ori- ginaria perfetta dell'avvenire © delle azioni libere degli uomini (prescienza); e Dio, essendo per definizione l’es- sere assolutamente necessario ed esistente per ad, non deve aver limiti nella sua potenza (onnipotenza) e tutti gli attributi della sus essenza debbono essere assoluti o infiniti. In due modi si esercita la Provvidenza divina: se non si considera che l’organizzazione permanente delle cose, la costituzione di leggi fisse i cui benefici effetti sono stati previsti ο in. ragione dei quali codeste leggi farono scelte, si ha la provvidenza generale; l’ intervento personale nel corso degli avvenimenti suocessivi, dicesi provvidenza particolare. Nel concetto cristiano i disegni © gli soopi della Provvidenza sono ignoti all’ uomo: « Dio, dice 8. Agostino, distribuisce i beni della terra ai buoni e ai malvagi secondo l'ordine dei tempi ο delle cose, ch’ egli solo conosce >. Tale concetto fu essgerato dal Malebranche, © più ancora dal Bossuet, nel cui fataliamo mistico ogni avvenimento è dovato ad un piano predeterminato da Dio, ad un ordine segreto della Provvidenza; 1’ umanità, perfettamente cieca, cammina verso una meta che non conosce, condotta da Dio che solo vede e solo sa. Asssi diversa ο più geniale è, a tal proposito, la dottrina del nostro Vico, il quale, pur facendo operare la Provvidenza sulla storia dell’umanità, ne esclude PRU — 916 — l’azione cieca ed arbitraria nei fatti particolari degli uomini. Secondo il Vico, la Provvidenza opera sulla natura e sulla storia per mezzo delle cause seconde (rebus ipsis dictantibus), create da Dio stesso colla natura loro propria e colle proprie leggi, ch'egli lascia svolgere liberamente; la sua Provvi- denza consiste quindi nel mantenerle sempre in questa loro natura. Cfr. Gerson, De consol: theologiae, 1706; 8. Tom- maso, S. theol., I, q. XVIII, art. 4, q. CII, art. 1; Ma- lebranche, Méditations chrétiennes, med. VII, $ 17; Vico, Principi di una scienza nuova, ed. P. Viazzi, 1910, p. 59 segg. (v. omniscienza, prescienza, corsi ο ricorsi, fatalismo). Prudensa. T. Klugheit; I. Prudence; F. Prudenoe. Nel suo significato più comune indica quella capacità di riflet- tere e di prevedere, per cui si ovitano i periooli della vita © si adoperano i mezzi più acconci per il conseguimento dei propri fini: « La prudenza, dice il Martineau, è un affare di previdenza (foresight): il giudizio morale à inveco una questione di conoscenza intima (insight). L'una valuta ciò che sarà, l’altra ciò che immediatamente è; l'una de- cide tra condizioni future desiderabili, l’altra fra intime e presenti sollecitazioni ». Intesa invece come una delle quattro virtù cardinali, la prudenza (φρένησις) consiste nella forza dello spirito © nella conoscenza della verità; da essa derivano, secondo Β. Tommaso, i precetti morali. Per Kant invece la prudenza è « l'abilità nella scelta dei mezzi d’ ottenere per sè stessi il maggiore benessere »; © poichè la tendenza al proprio benessere non è un bisogno della ragione, ma esiste solo empiricamente, una morale fondata su ossa risolve le leggi morali in tanti precetti della prudenza. Por il Rosmini la prudenza può essere tanto una virtù, quanto una semplice « abilità di arrivare alla cono- scenza di un fine qualsiasi >; ma al all’una come all'altra 8’ applica la suprema regola della prudenza, che si può for- mulare così: opera a tenore del pensare intero e comples- sivo, non a tenore del pensare astratto e parziale. Cfr. — 917 — Psr-Psı 8. Tommaso, S. theol., I, 33, q. LX, art. 1 segg.; Marti- neau, Types of ethioal theory, 1866, vol. I, p. 65; Kant, Grundlegung sur Metaph. d. Sitten, 1882, IV; Rosmini, Pri- cologia, 1848, t. II, p. 342 segg.; Id., Filosofia della politica, 1837, t. I (v. pratica, virtà). Psendoestesia. Falsa sensazione, che può essere ge- nerale oppure specifica. In questo secondo caso assume nomi diversi: quando avviene nella vista dicesi pseudo- blepsia ο pseudopia, nell’ udito pseudaooe, nel gusto pseu- dogeusia, nell’ olfatto peoudoemia, nel tatto peeudafia. In generale si preferiscono lo espressioni di allucinazione o illusione tattile, uditiva, cenestetica, gustativa, ecc. Psiche. Gr. Ψυχή; T. Peyohe; I. Psyche; F. Payohé. At- tualmente è usato come sinonimo di anima, spirito, ο tal- volta anche di coscienza, io, personalità. Presso i greci dei tempi omerici la psiche era invece concepita come un’ om- bra simile al corpo, un soffo di natura corporea ma più tenue, più sottile, che funzionava come principio anima- tore della vita e abbandonava quindi il corpo all’ istante della morte, uscendo dalla bocca o dalla ferita, per vivere poi una vita indipendente e libera. In seguito, codesta indi- pendenza della psiche dal corpo si afferma sempre più, fino ad essere considerata come permanente nel corpo solo per un tempo determinato, ma avente la sua vera patria oltre le stelle e capace di lasciare il corpo anche per breve tempo, come nell’ estasi ο nel sogno. I filosofi cosmologi primitivi 1’ identificarono col principio animatore ο con I’ elemento originario dell’ universo : così per Anassimandro ὃ aria, per Eraclito e Parmenide fuoco, per Diogene aria calda esalata dal sangue, per Anassagora una parte del nous cosmico, per i pitagorici un numero, l’ armonia del corpo, da cui però è separata, tantochd sopravvive alla sua morte © passa da corpo a corpo (metempsicosi). Con Platone il concetto del- l indipendenza della psiche, © del suo valore etico-religioso, raggiunge la piena espressione: come principio del pen- Pst — 918 — siero la paiche è immortale nella sua ragione, come prin- cipio del movimento è immortale nella sua attività, come principio della virtù è immortale nella sus sensibilità. La pura essenza della psiche è, per Platone, la ragione; la pura essenza degli oggetti le Idee; ragione e Idee sono semplici, indissolubili, quindi immortali : noi siamo dunque immortali nella nostra Idea e nella nostra ragione. Ma, osserva Simmia a Socrate, la psiche non è simile all’ar- monia della lira, che svanisce quando la lira è rotta? No, risponde Socrate; la psiche è piuttosto il musico invisibile che fa vibrare la lira, alla quale preesiste, dalla quale è distinto, alla quale sopravvive; è la sorgente e il principio del movimento; il movimento eterno suppone quindi una psiche eterna, nella quale le nostre erano già contenute e da cui non si sono staccate che per entrare nei corpi : la nostra psiche partecipa dell’ eternità dell’ anima univer- sale. Ma l’anima nostra deve anche essere ricompensata © punita secondo il suo valore, che la giustizia umana è incapace di giudicare; occorre dunque un’altra giustizia, occorre un’ anima che si rivolga alla nostra faccia a fac- cia, e pronunci la saa sentenza con un decreto infallibile: è l’anima divina, In qual modo si compirà l’espiazione ο la ricompensa nell’ altra vita, Platone non determina in modo uniforme, abbandonandosi alle ipotesi ο ai miti poe- tici; dai quali traspare però un’ idea dominante, V idea della Provvidenza vigile, cho dà a ciascuno secondo le opere e dispone tutte le parti dell’ universo nell’ ordine più proprio alla perfezione dell’ insieme. Per Aristotele la psiche è la forma, che fa del corpo ciò che esso è; la psiche è dunque la piena realtà del corpo, la sua enteleohia, e, como tale, ciò che ne fa un corpo vivente, la possibilità perma- nente dello funzioni vitali. Questo concetto aristotelico di psiche può anche tradursi, secondo il Siebeck, in quello di forza vitale, se si considera quest’ ultima non come ri- sultato della funzione organica nelle sue singole produzioni, — 919 — Pat ma come causa di essa, anzi causa nel senso che non solo da ess dipendono gli effetti organico-corporali, ma anche gli psichici © spirituali. Quindi per Aristotele le diverse specie di funzioni vitali sono come diversi gradi della vita psichica, che, non ostante la loro diversità, formano nel- l'organismo nn tutto unico: l’anima opera sempre nell’ or- ganismo come una determinata specie di funzione, come anima nutritiva, sensibile, motrice, intellettiva, o come pa- recchie di esse insieme. Nel medio evo la rappresentazione della psiche torna ad oscurarsi di nuovo, tantochè si ri- trovano tracce di rappresentazioni materialistiche anche nei Padri della Chiesa. Solo con Cartesio 1’ ides della pei- che come essenza puramente spirituale torna ad acquistare la sua chiarezza: « Lo stesso rapporto che esisteva nel- l’antichità tra Platone e Omero, dice 1’ Héffding, esiste nei tempi moderni tra Descartes, che fa consistere l’ es- senza dell’ anima nella coscienza, 9 la concezione dell’ età di mezzo ». E da questognomento cominciano a delinearsi © precisarsi lo dottrine fondamentali intorno alla natura dell’ anima: materialismo, spiritualismo monistico e duali- stico, fenomenismo e attualismo. Cfr. Platone, Fedone, 245; Id., Gorgia, 493; Id., Timeo, 41 E; Aristotele, De An., 1, 421 a, 27 segg.; Siebeck, Aristotele, trad. it., p. 84 segg.; Id., Geschichte d. Peychol., 1880-84; Volkmann, Lehrbuch d. Pryohol., 43 ed. 1894, vol. I, p. 66 segg.; Chaignet, Histoire de la paychol. ohes les Grecs, 1887; Cravely, The idea of tho soul, 1909; J. G. Frazer, Peyche’s task, 1909; Héffding, Psychologie, trad. franc. 1910, p. 11; G. Sergi, La peiche nei fenomeni della vita, 1901; Ardigd, Opere fi, III, 76 segg. (v. anima, animiemo, coscienza, io, noo, ecc.). Psichiatria. T. Peyohiatrie; I. Psychiatry; F. Payohia- trie. La scienza che ha per oggetto le malattie mentali, di cui ricerca le cause ο stabilisco i rimedi. Il Morselli la de- finisce ampliamente : quella parte della medicina che studia le deviazioni della mente umana, prodotte dalle anomalie Psr — 920 — ο malattie primitive e secondarie del suo fondamento (cer- vello), © che indica i mezzi per prevenirle e curarle. Una definizione strettamente scientifica e materialistica è quella del Meynert: clinica delle malattie del cervello anteriore (in quanto sembra ormai accertato che le parti anteriori del- Pencefalo, e soprattutto il mantello degli emisferi, siano la sede delle funzioni psichiche più elevate). Per lungo tempo essa si abbandonò alle speculazioni filosofiche per cercare la natura dell’ anima umana; oggi ha abbandonata tale ricerca alla metafisica, e, constatato il rapporto e la proporzionalità esistente tra i fatti fisici (fisiologici) e i fatti psichici, cerca invece di stabilire la sede dei fatti psichici stessi. Essa quindi si ricongiunge da una parte alla fisiologia, dall’ altra alla psicologia. Si distingue dalla psicologia patologica propriamente detta, in quanto questa non si propone lo studio della prevenzione delle malattie mentali e dei loro rimedi. Cfr. E. Morselli, Introdusione allo studio della peiool. patologies, 1881; Id., Manuale di somejotica delle malattie mentali, 1885-94; Meynert, Peychia- trie, 1884; Kraepelin, Psychiatrie, 5° ed. 1896; Krafft-Ebing, Lehrbuch der Psychiatrie, 5* ed. 1898: 8. Lugaro, I problemi della psichiatria, 1907. Psichici (fatti). T. Psychische Erscheinungen ; I. Pay- dhical processes; F. Phénomènes peyohiques. Essendo semplici © primitivi sono in sò stessi indefinibili. Solo αἱ può dire che i fatti psichici sono i fatti di coscienza, poichè ogni fatto psichico è necessariamente avvertito dal soggetto: come le espressioni fatto fisico e fatto meccanico si equi- valgono, così pure si equivalgono le espressioni fatto pai- chico e fatto cosciente, Il loro primo carattere è dunque di casero interni ο d’ essere conosciuti immediatamente ο di- rettamente; con ciò si oppongono a tutti gli altri fatti, i quali, avvenendo fuori di noi, sono esterni e non sono co- nosciuti che mediatamente, ciod per mezzo di un fatto psi- chico, Il secondo carattere, che si ricollega al precedente, — 921 — Psi è d’ essere conosciuti direttamente solo da colui in oui av- tengono ; i fatti psichici che si svolgono in altri non sono da noi conosciuti che mediante un ragionamento d’ana- logia. Terzo carattere è di essere situati solo nel tempo e non avere dimensioni spaziali; si possono quindi misurare nella loro durata e intensità, non nella loro estensione. Altri caratteri secondari e derivati sono i seguenti: non Possono ridursi a movimento, per quanto siano sempre accompagnati da un movimento; sono reali solo quando sono attuali, presenti, giacchè anche il ricordo del passato © il pensiero del futuro sono stati presenti della coscienza ; valgono per sò stessi, laddove ogni fatto materiale deve essere spiegato con un altro fatto materiale; costituiscono sempre un’ unità che non esclude la molteplicità, il can- giamento ο la diversità, ο, inversamente, una molteplicità che non esclude l’unità; presentano un continuo sumento qualitativo e una continua novità, mentre i fenomeni ma- teriali sono uniformi e regolati dal principio della conser- vazione della materia e della forza; modificano il soggetto in cui si compiono, mentre i fatti esterni, in quanto av- vengono nella materia, modificano soltano le relazioni esterne degli atomi componenti, non l’atomo in sò stesso; essendo inestesi non possono localizzarsi, sebbene se ne possano localizzare le condizioni fisiologiche. Del resto, il numero e la natura dei caratteri differenziali del fatto psi- chico, nonchè la loro maggiore o minore importanza sono concepite diversamente nei vari sistemi: materialismo, spi- ritualismo, dualismo, parallelismo, attualismo, volontariemo, in- tellettualiemo, sensazionismo, monismo, incosciente, 900. Quanto alla loro classificazione, la più comune è quella che li di- stribuisce nelle categorie del sentimento, del pensiero ὁ della volontà; gli psicologi antichi fecero di queste categorie delle potenze spirituali (facoltà) con le quali vollero spie- gare i fatti stessi; i moderni le considerano invece come pure astrazioni. Cfr. Münsterberg, Grundzüge der Psyoho- Psi — 922 — logie, 1900, cap. VII; Id., Psychology and Life, 1899, cap. X; Spencer, Prinoiples of peychol., 1881, P. VIII, ο. 2; Bald- win, The story of the mind, 1896, p. 6 segg.; Wundt, System der Philosophie, 2° ed. 1897, p. 305 segg.; G. Villa, La psicologia contemporanea, 1899; Id., 1) idealismo moderno, 1905, p. 29 segg.; Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 37 segg.; Ardigd, L'unità della cosoienea, in Opere fll., vol. VII, 1898, p. 39 n; M. Pilo, La olassificasione naturale dei fenomeni psichici, 1892; A. Baratono, Sulla olassif. dei Jatti priohici, « Riv. di fil. », febbr. 1900 (v. anima, coscienza, elemento, facoltà, sensazione, volontà, percezione, sostansia- liemo, 600.). Psichicità. Termine generale con cui si sogliono desi- gnare tutti i prodotti dell’ attività psichica dell’animale, dai più semplici ai più complessi, sia dell’ ordine puramente intel- lettivo come di quello affettivo. Esso ha quindi un'estensione maggiore dei termini mentalità, sensibilità, affettività, eco. Psichico. T. Peyohiech ; I. Psyohical; F. Payohique. Che concerne la psiche, lo spirito, inteso questo in senso em- pirico come sintesi dei fenomeni mentali. Non dovrebbe mai confondersi con peicologico, che è ciò che riguarda la psicologia, mentre psichico è ciò che riguarda la coscienza. Si adopera anche, specialmente nel linguaggio anglo-ame- ricano, per indicare quell’ insiome di fenomeni spirituali ancora molto oscuri e che si presentano come una manifesta- zione di facoltà nuove della coscienza (telepatia, medianiemo, divinazione, eco.); tale è il senso del vocabolo nel nome della Society for peychioal research di Londra, ο nel titolo dell’ opera di I. Maxwell, Les phénomènes peyohiques, 1903. Psichismo. T. Psyohismus; I. Peyohiem; F. Payohieme. Termine molto vago, che a’ adopera talvolta per indicare la vita psichica totale, sia nelle sue forme più alte che nelle più basse, specialmente però in queste ultime. Altre volte il termine psichismo è adoperato per denominare le dottrine filosofiche, le quali trascrivono il mondo coi ca- — 923 — Pst ratteri dell’ esperienza psichica, ossia interpretano la realtà esterna mediante l’analogia con la realtà interna, psico- logica ed umana; in tal caso psichismo è quindi sinonimo di idealismo realistico : « Per idealismo noi non designamo, dice il Fouillée, nd la negazione degli oggetti esteriori, nd la rappresentazione puramente intellettualistica del mondo; intendiamo la nozione di tutte le cose sul tipo psichico, sul modello dei fatti di coscienza, concepiti come sola ri- velazione diretta della realtà. Da ciò, presso i filosofi con- temporanei, codesto idealismo, il cui nome sarebbe piuttosto psichismo ». È evidente però che, in questo caso, il termine racchiude un apprezzamento critico e un’ intenzione pole- mica. Cfr. Grasset, Le peychieme inférieur, 1906; G. Bohn, Le payohismo ches les animauz inférieurs, « Riv. di scienza », 1909, vol. V, pp. 86-101; Fouillée, Le mouvement idéaliete, 1896, p. vi; C. Ranzoli, Il linguaggio dei filosofi, 1913, p. 66-69. Psico-dinamica. T. Peychodynamisoh; F. Peycho-dyna- mique. Quella parte della psicologia che studia gli effetti dinamici dei fenomeni psichici. Già il Wundt aveva ac- cennato alla possibilità di misurare i fenomeni psichici per mezzo dei movimenti che eseguiamo; il Loeb per primo ha tentato di farlo, cercando nella forza muscolare, deter- minata col dinamometro, una misura dell’attività psichica; su questa via proseguirono poi il Feré, il Lehmann, il Wolff, ece., estendendo le ricerche nel campo della me- moria, dell’ associazione, dell'attenzione, della stanchezza mentale, Cfr. Wundt, Phys. Payo., I, p. 6; Loeb, Pflüger’s Archiv, XXXIX, 592; Feré, Sensation et mouvement, 1887, p. 33; Lehmann, Die Phys. Aequiv. d. Bewusstseinserschei- nungen, 1901; Aliotta, La misura in pic. sperimentale, 1905, p. 167-228, Psico-fisica. T. Peychophysik; I. Peychophysics; F. Pay- chophysigue. Fechner designò in questo modo quel ramo della psicologia che studia sperimentalmente i rapporti tra i fenomeni psichici e i fenomeni fisiologici. Oggi si dice Ps — 924 — più comunemente peicologia sperimentale, usando il termine psico-fisica soltanto per indicare i lavori del Fechner. Al- cuni però vorrebbero conservata la distinzione tra psico- fisica © psico-fisiologica, la prima delle quali studierebbe precisamente i rapporti che corrono tra i fatti psichici © i fatti fisici nel senso stretto della parola, ad es. il grado di eccitazione neoessario per avere una data sensazione, mentre la seconda avrebbe per oggetto i rapporti dei fatti psichici con le modificazioni fisiologiche dell’ organismo. Cfr. Fechner, Elemente der Peychopysik, 23 ed., 1889; Id., Revision der Hauptpunkto der Peychophysik, 1882; Foucault, La psychophysique, 1901; Tolouse, Technique de peyoh. expe- rimentale, 1904; A. Baratono, Elementi di peic. sperimentale, 1901; A. Aliotta, La misura in psicologia sperimentale, 1905, p. 15-110. Psicofisiologia o psicologia fisiologica v. peico- fisica. Psicogenesi. T. Peychogencse, Seolenentwicklung ; I. Pey- chogenesis; F. Peychogénèse. Origine e sviluppo della psiche, sia nell’ individuo che nella specie; questa dicesi psicoge- nesi filetica, quella psicogenesi individuale ο diontioa. Se- condo la legge biogenetica, stabilita dall’ Haeckel, i due processi psicogenetici, individuale e specifico, si oorrispon- dono, in quanto lo sviluppo della psiche individuale non à che una ricapitolazione abbreviata di quello della specie. La psicogenesi filetica sarebbe passata attraverso quattro gradi principali: 1° citopeioke ο anima cellulare; 2° oeno- psiche, o anima delle associazioni cellulari; 8° istopsiohe, o anima dei tessuti così vegetali come animali; 4° neuro- peiche, ο anima nervea, che appare negli animali superiori e nell’uomo. — Con l’espressione psioogonesi dell’ a priori si suol indicare la dottrina dello Spencer e del Lewes, se- condo la quale le forme del pensiero sarebbero innate nel- l'individuo, acquisite nella specie: tale dottrina presuppone 1) la legge generale dell’ intelligenza, la quale implica l’ac- — 925 — Pst cumulazione e l’organizzazione dell’ esperienza; 2) l’eredità Psichica, la quale implica l’ esistenza di fenomeni psichici inconsci e la correlazione tra i fatti fisici ο i psichici, Cfr. Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 207 segg.; Spencer, Principles of peyohol., 1881, vol. I, p. 467 segg.; Lewes, Probl. of life and mind, 1879, III serie, vol. II, cap. X; Ribot, L’Aérédité, 1873, p. 72 segg., 122 segg.; F. Masci, Le forme dell intuizione, 1881, p. 121-24 (v. biogenta). Psicografia. T. Psychographie; I. Payohography; F. Psy- chographie. Termine introdotto dall'Ampère per indicare quella parte della psicologia che descrive i fenomeni della coscienza senza spiegarli. Oggi si adopera anche per indi- care l’arte di procedere alla descrizione psicologica di un individuo; pricogramma dicesi il risultato della descrizione stessa. — Dicesi pricografo uno stromento adoperato nelle ricerche psico-fisiologiche. Ogni idea implica un movimento © tende a continuarsi in un movimento, che si manifesta Spesso con una contrazione debolissima dei muscoli peri- ferici; lo psicografo è lo strumento che raccoglie codesti movimenti esterni (delle mani, dei muscoli facciali, eco.) corrispondenti al lavoro cogitativo interno, e li fissa con tracciati sopra la carta affumicata distesa sopra un cilindro in movimento. Cfr. Ampère, Essai sur la philosophie des sciences, P. LvI; Ostwald, Peychographische Studien, « Ann. der Natur- philosophie», 1907; Baade e Stern, Uber Aufgale d. Payoho- graphie, « Z. far Angew. Paych. », III, 1909 (v. grafografo). Psicologia. T. Peychologie; I. Psychology; F. Psycholo- gie. Si definisce comunemente come la scienza dell’ anima. Questa definizione è però affatto provvisoria e vale solo in quanto designa la scienza di ciò che sente, pensa e vuole, in opposizione alla fisica, che è la scienza di tutto ciò che si muove nello spazio e lo riempie. E come la fisics non è obbligata a comineiare collo spiegare che cosa è la materia, così la psicologia, osserva 1’ Höffding, non è obbligata a spiegare che cosa è l’anima. Ma oltre Pst — 926 — la definizione comune, accettata del resto anche da psico- logi contemporanei di grande valore, altre ve ne sono che ne differiscono sensibilmente. Così nei trattati vecchi, e in quelli che seguono l'indirizzo del « senso interno », la psicologia è definita come la dottrina dei fatti interni del- l’uomo; per Baumgarten è la scienza dei predicati gene- rali dell’ anima; per Kant è la metafisica della natura pen- sante; per Galluppi la scienza dello facoltà dello spirito ; per Beneke lo studio di tutto ciò che conosciamo mediante V interna percezione e sensazione; per Lotze 1’ oggetto della psicologia è l'insieme delle condizioni e delle forze per le quali sorgono i singoli processi della vita spirituale, il loro reciproco collegarsi e modificarsi così da costituire la to- talità dell’esistenza psichica; per Haeckel la psicologia non è che una parte della fisiologia, ossia la dottrina delle funzioni e delle attività vitali degli organismi; per Lewes è l’analisi © la classificazione delle fanzioni e delle facoltà senzienti, rivelate dall’ osservazione e dall’induzione, com- pletata dalla loro riduzione alle loro condizioni d’ esistenza, biologica o sociologica; per William James la psicologia è la scienza della vita mentale tanto nei suoi fenomeni quanto nelle sue condizioni; per il Jodl è la scienza delle leggi e delle forme naturali del corso normale dei fenomeni della coscienza; per il Sully è la scienza che mira a darci la descrizione dei fenomeni mentali nelle loro molteplici va- rietà, e l'esposizione delle leggi per cui possiamo spiegare tali fenomeni; per il Wundt è la scienza della esperienza diretta, mentre le scienze naturali riguardano 1’ esperienza indiretta; per Külpe è la scienza dell'esperienza soggettiva, ossia dell'esperienza in quanto dipende dagli individui che sperimentano; per Schuppe è la scienza di quei contenuti della coscienza che appartengono alla individualità; per il Meunier la psicologia ha per oggetto lo studio di tutta la mentalità, sia dinamica sia statica, valo a dire tanto degli stati di coscienza instabili con cui l'organismo rea- — 927 — Psr gisce all’ ambiente che lo circonda, quanto degli stati men- tali estra-coscienti e più stabili, che stanno in rapporto coi Primi; per Sergi 1’ oggetto della psicologia è 1’ insieme dei fenomeni organici, che hanno per carattere predominante la coscienza della funzione, i quali fenomeni si producono nei centri di relazione, e nello stesso tempo degli antecedenti im- mediati dei medesimi fenomeni coscienti. Il nome di psicolo- gia sembra essere stato usato per la prima volta dal Guelenius (1594) come titolo di un libro sulla perfezione; ma soltanto con la scuola del Leibnitz - il quale usava anche il termine pneumatologia -- esso comincia ad essere adoperato per desi- guare la parte della filosofia che riguarda |’ anima, Tuttavia, se la parola è relativamente recente, la cosa ch’esaa designa, cioè lo studio dei fatti psichici, risale molto addietro nella storia del pensiero filosofico, Cominciata con Socrate la di- stizione tra il mondo interno e l'esterno, con Aristotele la filosofia è già distinta in quattro grandi parti: logica, etica, fisica ο metafisica; la psicologia non è nessuna di esse, ma fa parte di tutte, in quanto è lo studio sia delle opera- zioni del pensiero, sia delle attività spirituali pratiche che si estrinsecano nella condotta morale, sia dei rapporti che corrono tra anima e corpo, sia infine dell’ essenza, dell’ ori- gine e del destino dell’ anima umana. Tale fu il posto e l’ufficio della psicologia fino a che durò l'impero della filosofia aristotelica, vale a dire fino al Rinascimento. Con Cartesio e la sua scuola essa si costituisce come una parte distinta della filosofia; con Hobbes e Spinoza si afferma il principio della concomitanza dei processi organioi e psi- chici, e la legge d’associazione è chiamata a ridurre la complessità della vita spirituale ai suoi elementi compo- nenti; con Hartley, James Mill, Condillac, Herbart ο Be- neke i problemi psicologici assumono gradualmente una forma più definita e specifica, © si viene accumulando il materiale sperimentale per la loro soluzione; infine coi po- sitivieti dell’ultima metà del secolo XIX diviene una scienza Pst — 928 — sperimentale a sò, come la filologia e la fisica, senza alcuna dipendenza dalla filosofia, e senza speciali rapporti con Ia metafisica, la logica e la morale. Questa dottrina però non è oggi condivisa da tutti: molti considerano ancora la psi- cologis come una parte della filosofia e le chiedono i dati necessari alla soluzione dei problemi logici, ontologici ο morali; altri, pure negandole la dignità di scienza pura e riconoscendola come parte della filosofia, credono tut- tavia che essa sola possa risolvere quei problemi che stanno alla base di tutte le scienze. Cristiano Wolff divise per primo la psicologia in empirica e razionale, © questa rimase la divisione classica della psicologia: l’empirica è quella che si limita a studiare i fenomeni psichici e le loro leggi, la razionale quella che si occupa della essenza stessa del- P anima e attinge i suoi principi dall’ ontologia e dalla co- smologia. Ma codesta partizione è combattuta oggi tanto dai positivisti, per i quali non esiste che la prinia, quanto dai metafisici, i quali sostengono che nello spirito feno- meni © sostanze sono indissolubilmente uniti. Gli psicologi moderni s’accordeno nel distinguere una psicologia gene- rale, che tratta dei fatti della coscienza nelle loro forme più generali ed astratte, 9 una speciale, che si applica a determinare le forme ο le leggi delle differenti combina- zioni dei fatti psichici. Questa psicologia speciale si di- stingue a sua volta in psico-fisica © psicologia-fisiologica ; pricologia sociale ο collettiva; psicologia patologioa ο orimi- nale; psicologia pedagogica ; psicologia storica ed etnografica ; peicologia ontogenetica © filogenetica ; peicologia soologica o comparata; psicologia segmentale; psicodinamica; psicometria ; psicostatistioa; onirologia; ipnologia ; psicologia dei sensi. Da alcuni si suole distinguere una psicologia descrittiva; che dei fatti psichici si limita a descrivere la natura e il processo, © una psicologia esplicativa, che dei fatti stessi rintraccia le leggi di produzione e di sviluppo. Altri di- stinguono invece la psicologia soggettiva ο introspettica, che — 929 — Pst studia i fatti psichici direttamente in sò stessi, dalla og- gettiva (che comprende la fisiologica, zoologica, sociale, ecc.) che si basa essenzialmente sopra un ragionamento analo- gico. Cfr. Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 1 segg.; Baumgarten, Metaphysica, 1739, $ 501; Kant, Krit. d. r. Vernunft, ed. Kehrbach, p. 638 segg.; Galluppi, Ele- menti di fil, 1820-27, vol. I, p. 141; Beneke, Lehrbuch d. Peyohol., 1861, $ 1, 12; Lotze, Grundeiige d. Peychol., 1894, p. 5 segg.; Haeckel, Der Monismus, 1893, p. 22; Lewes, Problemes of life and mind, 1874-1879, serie III, vol. I, p. 6; W. James, Principles of peyoh., 1890; Sully, Outlines of peychol., 1885 ; Jodl, Lehrbuch d. Peychol., 1896, P. 5; Wundt, Grandsüge d. physiol. Peychol., 1893, p. 1 segg.; Külpe, Grundriss d. Paychol., 1893, p. 3-4; Sergi, La peychol. physiologique, trad. franc. 1888, p. 12; Cr. Wolf, Psychologia empirica, 1738, § 1; Siebeck, Geschichte 4. Peyohol., 1880-84; Windelband, Ueber den gegenwärtigen Stand der psychologischen Forschung, 1876 ; H. Mtinsterberg, Ueber Aufgabe und Methoden der Peychol., 1891; Id., Grund- siige der Peychol., vol. I, Die Prinzipien, 1900; Hartmann, Die moderne Pryohologie, 1901; Chaignet, Hist. de la peychol= chez les Grecs, 1887; R. Meunier, Les soiences peychologiques, leurs méthodes et leurs applications, 1912; Ardigd, La paico- logia come scienza positiva, 1870; Id., L' unità della coscienza, 1898; G. Villa, La psicologia contemporanea, 1911. Psicologia collettiva o sociale. T. Socialpsycholo- gio, Vilkerpsychologie; 1. Social peicology; F. Psychologie sociale, colleotire. Quella parte della psicologia che ha per oggetto lo studio dei fenomeni psichici collettivi, Il fatto psichico è essenzialmente individuale, quindi per fatti psi- chici collettivi devono intendersi quelli che, pur avendo per tentro la coscienza dell’ individuo, si collegano diret- tamente, in sò e nel loro processo, con P’ ambiente sociale, fuori del quale riescono inconcepibili. Tali fatti psichici possono essere sia normali che patologici; quindi la psi- 59 — Rawzout, Dizion. di scienze filosofiche. Psr — 930 — cologia collettiva αἱ divide in normale ο patologica. — Per molti autori le due espressioni psic. sociale © psie. collet- tiva si equivalgono, designando entrambe lo studio delle manifestazioni peichiche di un gruppo, di una pluralità di individui viventi insieme. Altri invece le considerano come duo scienze distinte. La psicologia sociale o demopsicolo- gia ο psicologia dei popoli ha per proprio oggetto lo studio del meccanismo o della tecnica interiore dei processi 80- ciopsichici; sorse in Germania intorno al 1860 col Lazarus e lo Steinthal, che la concepirono come disciplina inter- media tra la psicologia e la scienza morale, avente per scopo di spiegare i fenomeni complessi che si producono nella società, mediante le leggi semplici della psicologia individuale; dal Wundt è intesa invece come uno dei me- todi di cui la psicologia si vale per studiare nei suoi vari aspetti i prodotti dello spirito, ο deve occuparsi esclusi- vamente dei prodotti primordiali che αἱ sviluppano nelle condizioni più semplici della convivenza sociale (mito, lin- guaggio, costume); per altri invece, come l’Ellwood, essa deve esaminare e spiegare tutti i processi psichici di gruppo, dai più semplici ai più elevati, come le istituzioni social le tradizioni, l’opinione pubblica, ecc. La psicologia col- lottiva ο psicologia delle folle ha invece per oggetto lo studio delle riunioni di individui avventizie, accidentali ο inor- ganiche; ne trattò per primo Enrico Ferri, che la con- cepì come scienza intermedia tra la psicologia individualo © la sociale; fu poi sviluppata da Scipio Sighele, specie sotto l’aspetto criminale, dal Tarde, dal Lo Bon, «co. Cfr. Lazarus-Steinthal, Einleitende (edanken ii. Völkorpsych., « Zeitschrift f. Wölkerpsych. und. Sprachwissenschaft », vol. I; Wundt, Pôlkerpeychologie, 1900, parte I, p. 1-31 dell’ Introd. ; Ellwood, Prolegomena to social Psychology, « Tho american journal of sociology », marzo-rettembre 1899; Ferri, Soc. criminale, 1900, p. 374 segg.; Sighele, La folla delinquente, 1895; Id., La delinquenza settaria, 1897; — 931 — Psr Tarde, Études des peychol. sociale, 1898; Le Bon, Peych. den Soules, 1896. Psicologia comparata. T. Ferglcichende, Psychologie ; I. Comparative paychology ; F. Psychologie comparée. Si com- prendono sotto questo nome la psicologia zoologica, putolo- gica, pedagogica, ccc., perchè ogni conoscenza sulla natura psicologica dell'animale, dell’ammalato, del bambino, oce., è possibile soltanto per mezzo della comparazione, del ragio- namento analogico, I fenomeni psichici non possono essere constatati direttamente, per mezzo dell’osservazione into- riore, che dal? nomo adulto e civilizzato, dal psicologo ; ma stabilito il rapporto che corro tra codesti fenomeni con le struttnre organiche cui corrispondono e con gli atti esteriori ondo si manifestano, si può, dallo differenzo ox servate tra le strutture o gli atti negli altri esseri (selvag- gio, bambino, animale, ecc.) indurne ragionevolmente le differenze psicologiche, Va notato però cho molti inten- dono por psicologia comparata soltanto In psicologia z0o- logica, altri soltanto la otnografica. Cfr, E. Claparède, La prych. comparée est-elle légitime, « Arch. de paychol. >, giu- gno 1905; I. Locb, Comparatire physiol. of brain and com- parative prychology, 1902. Psicologia etnografica. Ί. Raseenprychologie; I. Race paychology: F. Psychologie éthnographique, Paychologie des ra- ces. Per alcuni 9’ identifica con la demopsicologia ο con la psicologia collettiva; per altri se no distingne, in quanto indien quella parte della psicologia che ha per oggetto lo studio dei caratteri psichici dei diversi popoli ¢ che, in quanto tale, sorve da fondamento della psicologia collettiva ο della sociologia, 11 fatto paichico, per sè stesso, è eguale in tutti gli uomini, in quanto tali: sensazioni, rappresentazioni, vol zioni, associazioni, senti ece., si prodncono ο si avol- gono con leggi generali identiche. Tuttavia In vita paichic nella sua complessità ¢ nel ano dinamismo, #' intona vari Itre parole, ogni popolo, ogni Psr — 932 — razza, ogni nazione, per la diversità delle origini sue, della sua costituzione fisica, dell'ambiente geografico in cui vive, delle vicende attraverso le quali è passato, ha un carat- tere © una personalità propria, fissate nella psiche d’ogni individuo, che distinguono tale popolo, meglio dei caratteri fisici, da tutti gli altri popoli, e che si rivelano in ogni esplicazione della sua attività. Lo studio di tali caratteri è l'oggetto della psicologia etnografica. Cfr. Worms, Pay- chol. collective et individuelle, « Revue int. de sociol. », aprile 1899; Ch. Letourneau, La psychologie éthnique, 1901 (v. antroposociologia). Psicologia patologica o psicopatologia. T. Patho- logische Psychologie, Pathopsychologie; I. Pathological pay- chology; F. Psychologie pathologique. Quel ramo della pai- cologia che studia le affezioni morbose e le malattie mentali. Si distingue in individuale e sociale, perchd le anomalie psichiche possono verificarsi così nell'organismo individuale, come nell'organismo sociale (psicosi epidemi- che, folle delinquenti, ecc.). Una parte importante della psicopatologia è la peicologia criminale. La psicopatologia non si confonde con la psichiatria, la quale comprende, oltre lo studio delle malattie mentali, anche le norme per la loro prevenzione, cura e guarigione. Si distingue anche dalla patologia mentale in quanto questa ha per oggetto di costruire dei tipi clinici, di seguire l’eziologia e il de- corso, di prepararne la terapoutica, mentre lo scopo essen- zialo dolla psicologia patologica è di determinare tra i fenomeni delle leggi elementari, che valgano così per gli stati normali come per quelli morbosi. Lo Specht e il Miin- sterberg distinguono anche la psicopatologia dalla patopri cologia: questa ha per oggetto lo studio dei fatti psichici presentanti un carattere morboso, quella è propriamente un ramo della patologia speciale, ed ha per soggetto lo studio delle malattio dello apirito. Cfr. Miinsterborg, Zeit- schrift fur Pathopaychologie, 1° vol. 1911; A. Marie, Traité — 933 — Pst international de paychologie pathologique, 1912; G. Storring, Mental pathology in ite relation to normal peyohology, 1907. Psicologia pedagogica. T. Pädagogische Peyohologie ; I. Pedagogical peychology; F. Peyohologie pedagogique. Quel ramo della psicologia che studia il modo come si vengono formando e svolgendo le diverse attività psichiche nel bambino, allo scopo sia di conoscere la natura primitiva della psiche umana e rieostruirne la lenta evoluzione, sia di trarre da tali conoscenze le norme per contribuire più efficacemente allo sviluppo psichico, intellettuale e morale del bambino. Cfr. Perez, Les trois premières années de L’en- Sant, 1878; Baldwin, Le développement mental chez Ponfant et dans la race, trad. franc. 1897; Preyer, Die Seele des Kindes, 3° ed. (v. pedagogia, pedologia). Psicologia segmentale. Quella nuovissima parte della Psicologia, che fondandosi sopra l'anatomia e la fisiologia segmentalo, studia i fenomeni abnormi, subnormali ο su- pernormali, della coscienza umana, L'uomo, che à al ver- tice della scala animale, presenta la costituzione più pro- fondamento unitaria di tutti i viventi, rivelata dai fonomeni del suo io e basata specialmente sulla centralizzazione dol sistema nervoso; tuttavia anche nell’uomo la fusione dei sogmenti (metameri), da cui originariamente deriva l’en- cefalo, è lungi dall’essero porfetta dal punto di vista fisiologico, como è dimostrato dalla moderna dottrina dello localizzazioni corebrali, mentre, d’altro canto, i fenomeni osservabili in soggetti isterici di disgregazione o frazio- namento della personalità, lo sdoppiamento della coscienza, la scrittura automatica, l'ipnosi sperimentale, le pratiche dell’ occultismo, la collaborazione continua che, nell’ tome normale, esiste tra cosciente © subcosciento, tra io sopra- liminale © io subliminale, rivelerebbero l’ incompleta fusione © coordinazione dei presunti segmenti, che concorrono a formare la personalità unitaria. Cfr. Max Dessoir, Das Doppelt-Ich, 1896; Myers, The human personality, 1902; Bo- Pst — 984 — ris Sidis, Studies in mental dissociation, 1902; Morton Prince, The dissociation of a personality, 1906; A. Binet, Les altéra- tions de la personnalité, 1892. Psicologia sociologica. Alcuni designano in questo modo, per opposizione a fisiologica, quella parto della psi- cologia obiettiva che considera In vita psichica in quanto si rivela col movimento ϱ con l’azione, colla parola e con l’imagine. Essa ha per materia la vita degli animali, dei fanciulli, dei solvaggi, la storia generale dell’ umanità, i poemi, le biografie. È quindi affine a quella che altri chia- mano pricologia comparata. Psicologia zoologica. T. Tierpsychologie; I. Animal prychology; F. Paychologie zoologique. Quella parte della psi- cologia cho studia i fenomeni psichici come si vengono manifestando negli animali bruti. Essa si fonda sopra il concetto che la coscienza non è un privilegio escInsiva- mento umano, ma esisto anche negli animali, sia superiori che inferiori, nei quali si vorifica lo stesso fatto clemen- tare che, negli esseri superiori, si complica per nuovi processi. Essa presuppone anche che il modo di manife- stazione esteriore del fenomeno psichico sin analogo nel- l’animale ο nell’nomo. Cfr. Wundt, Porlerungen über die Monschen-und Tiersecle, 2% ed. 1892; Lloyd Morgan, Ani- mal life and intelligence, 1890-91; Romanes, Mental erolu- tion in animale, 1883; F. Franzolini, I’ intelligenza delle bestie, 1899 (v. coscienza, automatismo). Psicologismo. T. Paychologiemus; I. Paychologiem; F. Pey- chologisme. Vocabolo non privo di senso dispregiativo, col qualo*sì snol designare non tanto una dottrina determi nata, quanto il metodo o la tendenza generale cho consi- ste nell’ assumere il punto di vista psicologico come unico o fondamentale, nel ridurre tutti i problemi filosofici a problemi psicologici e quindi nell’ assorbire la filosofia nella psicologia. Così il Gioberti denominava psicologismo la filosofia del Rosmini, in quanto ammetteva nella psi- — 935 — Pst che umans la facoltà di produrre I’ ente indeterminato pre- sente allo spirito. Il De Sarlo lo definisce: « un orienta- mento o atteggiamento dello spirito, per cui questo, rivolto su sò stesso, crede di trovare nell'esperienza interna non soltanto le indicazioni per pronunziarei su ciò che è reale, su ciò che è obbiettivo e su ciò che ha valore, ma unche il fondamento, la giustificazione, la garanzia di qualsiasi affermazione e credenza. Lo peicologinmo esprime la ten- denza a cercare nella coscienza e nei suoi fenomeni i prin- cip! esplicativi e le norme direttive per una comprensione piena, perfetta della realtà ». Così inteso, lo paicologismo ha le sue origini prime da Socrate, che richiamò la mente umana a volgere lo sguardo en sò stessa; ma non diventa un metodo che con la Rinascenza, nella quale, per il rinno- varsi della cultura ο per il richiamo all'autorità della co- scienza individuale contenuto nella protesta di Lutero, si afferma saldamente la tendenza a porre nell’ individuo la misura dei valori © nella coscienza umana 1’ espressione più completa ο genuina della realtà, Nel oogito ergo sum di Cartesio lo pricologismo ha gettato lo sue salde basi; con Locke ο Berkeley tende a ridurre le forme più elevato dell'attività dello spirito a quelle più semplici ο ai dati sensoriali i prodotti più complessi, mirando a dimostrare l’unità di composizione dei fatti psichici © la perfetta identità tra fl fatto psichico ο il suo oggetto (esse --- per- cipi); con Hume diventa scettico, negando tutto ciò che non sia contenuto puntuale della cosoienza in un dato istante; con la scuola scorzese cessa di essere fenomeni- stico e diventa intuizionistico ; con Kant, di fronte al sog- Kotto è aimmessa una cosa in sò, di fronto alla forma si trova la materia, ma da un canto la cosa in sò è dichia- rata impenetrabile © dall’ altro la materia, riducendori a sensazioni, è pur sempre qualche cosa di soggettivo, co- sicchè anche per Kant la realtà e l’esperienza si risolvono in fatti di coscienza. — Si possono distinguere due forme Psr — 936 — di psicologismo : uno, che possiam dire relativo 0 temperato, si appoggia sulla constatazione innegabile della posizione centrale che la coscienza umana occupa nel mondo, per affermare l’importanza della psicologia nella soluzione dei problemi riflettenti lo spirito e dei suoi principali pro- dotti; questa forma di psicologismo è parte integrante di tutta la cultura del nostro tempo © figura come la pre- messa necessaria di qualsiasi indagine sull'attività umana e gli oggetti a oni può esser rivolta. L’ altro, che possiam dire assoluto o metafisico, 6 che si suol anche denominare pei- chiemo, 0 pampsiohismo, o idealismo realistico, ecc., considera la psiche come la stessa realtà, come l’ unica realtà; l’uni- verso si risolve per esso in contenuti delle coscienze indivi-. duali els metafisica nella psicologia del pensiero. Lo psico- logismo assoluto ha poi aspetti diversi a seconda del campo a cui s’ applica: psicologismo gnoseologico e logico, che riduce tutta la conoscenza alle forme date dall’ esperienza paicolo- gica, ogni attività del pensiero alle leggi della vita psichica; morale, che fa oggetto della sua ricerca il dato psicologico della coscienza morale, studiandolo come un fatto tra gli altri fatti della natura, di oui si debbano studiare le cause e lo leggi di sviluppo con gli stessi procedimenti delle scienze ompiriche; religioso, che spiega la religiosità come un de- rivato di condizioni psicologiche particolari (senso di de- bolezza, bisogno di protezione) o come un’ applicazione di leggi psicologiche generali (rapporto tra desiderio, spe- ranza, 0 aspettazione © credenza nell’ oggetto corrispon- dente); estetico, che spiega la natura propria della coscienza estetica con cause psicologiche come I’ abitudine, l’ associa- zione, lo influenze ataviche, ece., ο fonda il valore esto- tico su necessità d'ordine biologico, ο riduco l’arte al bisogno di esplicare 1’ eccesso di energia, Cfr. Mikaltechow, Beitr. sur Kritik des modernen Pychologiemus, 1908; Gio- berti, Protologia, 1857, vol. I, p. 91 segg.; F. De Sarlo, To psicologismo nelle sue principali forme, « Cult. filosofica », — 937 — Pst marzo 1911; A. Levi, Lo paicologismo logico, « Ibi gennaio 1909. Psicometria. T. Peychometrie; I. Peychometry; F. Pey- ohométrie. Nome dato dal Wolff alla misurazione matems- tica dei processi psichici, Oggi è usato per indicare sia la psicologia sperimentale, sia i fenomeni detti parapsichici (previsione, telepatia, eco.) sia quella parte o metodo della psicologia che misura i fenomeni psichici nella loro inten- sità, frequenza, durata, eco. Quest’ ultimo significato è il solo veramente legittimo. Secondo una classificazione del- l’Aliotta la psicometria si divide in: psicofisica, peicocro- nometria, psicodinamica © psicostatistica. La psicofisica ha per oggetto la misura delle sensazioni, dell’esattezza dei giu- dizi sensoriali e della chiarezza delle sensazioni ; la seconda la misura del tempo di reazione semplice e delle reazioni complesse (tempo di ricognizione, di distinzione, di scelta, di associazione, di giudizio); la terza la misura dinamo- genica della memoria e della forza di associazione, del- l’attenzione, dell’arresto psichico, del lavoro e della stan- chezza mentale; la quarta le leggi di frequenza dei fenomeni della vita psichica, sia normali che patologici, sia indivi duali che sociali. Cfr. A. Aliotta, La misura in psicolo, sperimentale, 1905; Bucoola, La legge del tempo nei fenomeni del pensiero, 1883; Münsterberg, οὐ. Aufgabe und Metho- den à. Psychologie, 1891; Binet, Introduction à la peychol. expérimentale, 1894; Duchatel, Enquéte sur des cas de pey- chométrie, 1910; Clapardde, Classification et plan des méthodes psychologiques, « Arch. de psych. », giugno 1908. Psicomonismo. Nome dato dall’ Hucckel a quella for- ma estrema di idealiamo che si suol chiamare solipsismo ο semelipsismo. Cfr. Haeckel, I problemi dell'universo, trad. it. 1902, p. 315 segg.; B. Rutkiewiks, Il psicomoniemo, trad. it. 1912. Paiconomia. T. Psyohonomik; I. Psychonomics ; F. Pay- chonomique. Vocabolo poco usato; indica la dottrina delle Psi — 938 — leggi che governano l’anima, o anche quella parto della scienza, che studia le relasioni della psiche individuale col suo ambiente specialmente sociale. Talvolta infine è ado- perata per denominare quel ramo della sociologia che tratta dei fattori © delle leggi psicologiche contenute nell’orga- nizzazione e nell'evoluzione sociale (v. antroposcoiologia, peicologia collettira). Psicosi. T. Peyohose; I. Peyohosia; F. Peychose. Si nea, in senso generale, per designare qualsiasi malattia mentale, oppure in senso ristretto per opposizione a nevrosi, per in- dicare quelle anomalie della psiche di cui si ignorano le corrispondenti lesioni organiche. Alcuni però riservano il nome di psicosi alle così dette forme degenerative, che sarobbero specialmente le ereditarie e le costituzionali, comprese quelle create dalle neurosi gravi; e chiamano perciò peicopatic tutte le malattie e anomalie mentali in genere. Ad ogni modo l’uso di questo vocabolo è assai largo nella psicopatologia, ο si trova quasi sempre unito ad altri che lo determinano : così dicesi psicosi affottiva la malin- conia; psicosi morale i pervortimenti del senso morale; psicosi tossiche tutte le alienazioni mentali prodotte da in- tossicazione; psicosi epidemiche i disturbi mentali collettivi. Cfr. G. Ballet, Le psicosi, trad. it. 1897; G. Sergi, Psicosi epidemica, « Riv. di fil. sciontifica », marzo 1889. Psicostatistica. T. Peyohostatietik; I. Peyohontatistics ; F. Payoo-statistique. Quella parte della psicologia sperimen- tale, 0, come vuole l’Aliotta, della psioometria, che misura le proporzioni degli individui che presentano nn fenomeno psicologico dato. Molti metodi della psicofisica e della pai- codinamica si fondano indirettamonte sulle determinazioni statisticho dei casi veri ο falsi, dello sillabe appreso, degli errori commessi, delle cifre calcolate, ecc. Un’ altra appli- cazione indiretta della statistica alla psicologia, ha luogo quando dalle leggi di froquenza di alcuni fenomeni ctici ο sociali (suicidi, omicidi, ecc.) si cerca di risalire alle interne — 939 — Psr cause psicologiche. Applicazioni più dirette dello stesso metodo fece il Fechner, studiando la frequenza della udi- zione colorata, il Kriipelin sul sonno ο sui sogni, il Galton sulle associazioni e sull’eredità psicologica del genio. Cfr. Galton, Brain, luglio 1879, p. 149; Ribot, Z’heredite, 1873, p. 268; Aliotta, La misura in psicologia sperimentale, 1905, p. 233-237. Psicoterapia. T. Psychotherapie; I. Psychotherapeutics; F. Psychothérapie. La cura nelle malattie mentali fatta agendo direttamente sulla psiche dell’ individuo per mezzo della suggestione ipnotica o allo stato di veglia. Essa è stata praticata presso i diversi popoli fino dalle epoche più remote; secondo il Löwenfeld essa è anzi « la forma prima © più originaria in cui fa praticata l’arte medica ». Ma la psicoterapia scientifica non comincia propriamente che verso il 1884 con la « seuola di Nanoy » per opera del Liégeois e del Bernheim; da allora ha avuto uno sviluppo sempro più rigoglioso, e all’unico metodo originario, I’ ip- nosi, si aggiunsero la suggestione allo stato di veglia, la ginnastica della volontà, la psicoanalisi del Freud, la psico- sintesi del Bezzola, la psicocatarsi del Frank, la persuasione del Dubois, la terapia associativa del Moll, ecc.; ο infine una curiosa riapparizione in veste scientifica della psico- terapia religiosa per opera dell’ Emmanuel movement, per non parlaro della mind-cure ο di altri motodi estrascienti- fici in gran voga in questi ultimi anni in America. Cfr. Bornheim, De la sugyestion, 1891; Liwenteld, Lehrbuch der gesammten Psychotherapie, 1897; P. Dubois, Les psychonéero- ses et leur traitement moral, 1909; A. Thomas, l’eyohothéra- pie, 1912; Portigliotti, Psicoterapia, 1903; Assagioli, Paico- logia ο psicoterapia, « Psiche », maggio 1913. Psittacismo. T. Prittaciemus; 1. Psittaciam; F. Peitta- «πο, Dal greco 4irtaxi; = pappagallo. Nel linguaggio comune designa semplicemente l’abitudino di ciarlare a sproposito ο ripetere le stesse parole dotte da altri. Nella Pux — 940 — filosofia questo vocabolo fa usato la prima volta dal Leib- nitz per designare quella forma esagerata di nominalismo, che considera ogni idea generale ed astratta come una semplice parola, come un puro flatus voois. Se così fosse in realtà, il linguaggio dell’uomo non differirebbe da quello del pappagallo, il quale ripete meccanicamente una serie di suoni insegnatigli, cho per Ini sono privi di ogni signifi- cato. Ora, se è vero che il rapporto tra la parola e l’idea è puramente convenzionale, è anche vero che tra una ο l’altra esiste una certa proporzionalità; la parola è infatti la virtualità dell’ idea, ed è per meszo della parola che le idee complesse sono fissate, illuminate ο richiamate. Ofr. Leibnitz, Nour. Essais, II, xxı, 31; M. Dugas, Le peittaoieme et la pensée simbolique, 1896, Pref.; G. Marchesini, Il sim- boliemo nella conoscenza 6 nella morale, 1901, p. 71 segg. (v. Unguaggio, realiemo, universali). Panto. T. Punotum, Punkt; I. Point; F. Point. Dicesi punto fisico il minimo di spazio percepibile; punto materiale il corpo le cui dimensioni sono supposte infinitamente pic- cole, restando tuttavia dotato delle proprietà generali della materia, quali il peso e l’impenctrabilità ; punto matema- tico l’indivisibile avente una posizione nello spazio, oppuro P intersezione di due linee. — Punti metafisici chiamò Leib- nitz le monadi: « Essi hanno qualche cosa di vitale 6 una specie di percezione, e i punti matematici sono i loro punti di vista per esprimere l'universo; ma quando lo sostanze materiali sono rinserrate, tutti i loro organi insiome non formano che un punto fisico a nostro riguardo ». — Di- consi punti di ritrovo quei ricordi che, essendo per la loro natura automaticamente localizzati nel tempo, servono poi à localizzaro gli altri ricordi. Essi non sono scelti arbitra riamente ma s’impongono a noi, in quanto per la loro intensità lottano meglio contro l'oblio, ο per la loro com- plessità possono suscitare un maggior numero di rapporti entare quindi la propria capacità di riviviscenza. — — 941 — Pur Dicesi punto di vicinanza 0 punctum prozimum il punto che segna il limite di accomodamento dell'occhio per la vici- nanza; negli occhi normali esso trovasi alla distanza di 100 a 120 mm. dall’ occhio. Dicesi punto di lontananza ο punctum remotum la distanza da cui debbono venire i raggi luminosi per far foco sulla retina senza nessun sforzo d’ac- comodazione; negli occhi normali questo punto trovasi al infinito, nei miopi invece a pochi metri dall’ occhio, negli ipermetropici al di là dell’ infinito e ciod non osiste perchè soltanto i raggi convergenti possono far foco sulla retina senza sforzo d’accomodazione. — Punto cieco dicesi Pareola circolare della retina, priva dello strato dei coni © dei bastoncini, © affatto insensibile, formata dal nervo ottico dove esso sbocca nell’ occhio. — Diconsi punti di pressione quelle piccole aree della cute, che sono la sede Periferica della sensibilità tattile ; punti termici quelli della sensibilità pel caldo e pel freddo; punti dolorifici quelli della sensibilità periferica dolorifica. Puro. T. Rein, bloss; I. Pure; F. Pur. Nella filosofin con questo termine, da Kant în poi, s'intende ciò cho è a priori, indipendente dall'esperienza, spoglio d’ogni ele- mento dovuto alla esperienza. « Si chiama pura ogni nosconza cho non è mescolata con nulla di eterogeneo. Ma si dice specialmente d’una conoscenza che è assolutamente pura, quando, in modo generale, non vi si moscola alouna esperienza o sensazione e che, per conseguenza, è possibile interamente a priori ». Perciò per Kant l'intelletto puro è . Cfr. Leibnitz, Monadologia, $ 60, 62; Cr. Wolff, Vernunftige Gedanken ron Gott, 1733, I, $ 774; Mendelssohn, Morgen- stunden, 1786, vol. I, 6; K. Ο, E. Schmid, Empirische Pey- chologie, 1791, p. 172-179; Wundt, Grundsüge d. physiol. Psych., 3% ed., II, p. 1, 100, ecc.; Sully, Outlines of peycho- — 968 — Raz logy, 1885, p. 224, e 219 nota 2; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, pp. 156-242; O. Hamelin, Essai sur les élémente Princ. de la représentation, 1907; P. Köhler, Der Begriff der Repr. bei Leibnitz, 1913 (v. percezione, presentazione, ripro- duzione delle sensazioni). Razionale. T. Fernünftig, Rational ; I. Rational; F. Ra- tionnel. Ciò che fa parte della ragione. Si oppone ad irra- zionale, © talvolta anche ad affettivo, volontario, sensibile, sperimentale, eco. Razionale si dice anche di ciò che è con- forme alla ragione, intesa come facoltà di ben gindicare, © di conoscere in modo diretto il reale e l'assoluto, o anche come sistema di principi a priori la cui verità non dipende dall’ esperienza. Numero razionale è quello che può esser messo sotto la forma di un rapporto tra due numeri in- teri. Mecoanica rasionale è l'insieme di tutte le questioni della meccanica, che sono trattate con metodo puramente deduttivo partendo dalle nozioni di massa, forza, relazione, inerzia. — Nel linguaggio scolastico dicesi rationale mate- rialiter ciò che ha in sè il principio di raziocinare, come luomo; rationale formaliter il principio del raziocinare e la differenza costitutiva dell’uomo, come la razionalità. Razionalismo. T. Rationalismus; I. Rationaliem; F. Ra- tionalisme. Ha significati molto vari. Alcune volte è usato in senso dispregiativo, per designare V abuso che in certi sistemi filosofici si fa del ragionamento puro, 1’ eccessiva fiducia concessa alla ragione, a scapito sia dell'esperienza sia del sentimento e dell’ intuizione. I teologi applicano questo nome a tutti quei sistemi nei quali è esoluso l’in- tervento della rivelazione e della tradizione, e viene assunta la ragione come unico principio di conoscenza. Nel suo si- gnificato più generale designa l’ impiego della ragione nello studio dei problemi filosofici o religiosi; in questo senso non si può dire che il razionalismo sia una dottrina ο un sistema, ma soltanto un metodo, o meglio ancora, una ten- denza, un indirizzo gonerale. Il razionalismo religioso si Raz — 964 — contrappone al eupernaturaliemo 0 irrasionalismo, che ritiene la ragione incapace di penetrare nelle cose divine, che po; giano essenzialmente sulla fede, unico fondamento di ogni religione: tra lano e l’altro sta il semirasionalismo, per il quale le fonti della verità sono due, la ragione e la fede, ma le verità di fede non sono contrarie alle verità di ra- gione, bensì al di sopra di esse. L’ idealismo greco ο l’idea- lismo assoluto della filosofia moderna sono razionalistiei; il cattolicismo, dopo la sistemazione scolastico-aristotelica di S. Tommaso, è semirazionalistico; sono irrazionalistioi tutti quei sistemi che, dentro e fuori dol cristianesimo, credono di poter giungere alla possessione immediata del divino con altri mezzi che non sieno la ragione, il pensiero, Y intelligenza (tradizionalismo, autoritarismo, fideismo, on- tologismo, immanentismo, sentimentalismo, ecc.). In senso metafisico 0 ontologico, per razionalismo, ο idealismo rasio- nalistico, o razionalismo panlogistico 8’ intende quella forma di spiritualismo assoluto, che fa risultare il mondo esteriore dallo sviluppo sia di esseri pensanti, di ragioni individuali, sia di una ragione cosciente universale, sia infine d’un sistema di idee indipendenti dalle coscienze, incosciente almeno per le coscienze umane, 9 che si pone come un og- getto per rapporto ad esse (Fichte, Schelling, Hegel). Infine razionalismo si adopera per opposizione a sensiemo: questo sostiene che le nostre percezioni, e persino le nostre idee universali ο necessario e i principi costitutivi di ogni scienza non sono che lo sviluppo dello nostre sensazioni ; il razio- nalismo invece considera i principî fondamentali della ra- gione come innati e crede quindi la ragione irreducibilo all'esperienza. Perciò opposti sono i metodi del razionali- smo e del sensismo; quello aprioristico, in quanto fa deri- vare da idee a priori le leggi supreme dell’ essere e le spiega- zioni ultime d’ogni scienza, questo sperimentale o empirico in quanto si fonda sopra l'osservazione e l’esperienza, or- ganizzandone i materiali mediante l’induzione e la goncra- — 965 — Raz lizzazione. Il razionalismo, come metodo filosofico, assume nomi differenti a seconda del suo contenuto e della sua Posizione di fronte agli altri indirizzi : così dicesi raziona- lismo matematico quello dei pitagorici, per i quali le cose sono comprese solo quando è conosciuta la determinaziono matematica che ne è il fondamento; razionalismo teorico quello di Democrito, per il quale la conoscenza della vera realtà è essenzialmente una rappresentazione dell’ essere co- stante, ma tale per cui la realtà dedotta, conosciuta nella percezione, deve essere resa comprensibile; razionalismo etico invece quello di Platone, per il quale la conoscenza della vera realtà ha il suo scopo morale in sò stessa, e tale conoscenza deve essere la virtù, che non ha col mondo dato dalla percezione se non un rapporto di recisa limita- zione; razionalismo pratico quello del Bayle, per il quale la ragione umana, incapace di conoscere l'essenza delle cose, è provvista però della coscienza del proprio dovere, ossia della conoscenza dei principi morali, che sono verità eterne e immutabili. Cfr. Stäudlin, Geschiohte d. Ration. u. Supranatur., 1816; Wundt, Einleitung in die Philosophie, 1901, - Pp. 323 segg.; F. Maugé, Le ration. comme hypothèse méthodo- . logique, 1909; F. Enriques, Scienza e razionalismo, 1912. ‘Razza. T. Rasse; I. Race; F. Race. Questo vocabolo ha accezioni diverse, implicando la risoluzione - che può farsi in modi diversi -- di altre complesse questioni della filosofia zoologica. Secondo alcuni per razza deve intendersi un gruppo di individui nei quali si perpetua, per eredità e indipendentemente dall’ azione attuale dell’ ambiente, un insieme di caratteri biologici, psicologici e sociali che li distingue dagli individui appartenenti ad altri gruppi ai loghi. « La razza, dice il Quatrefages, è l’ insieme degli individui somiglianti che appartengono ad una medesima specie ed hanno ricevuto e trasmesso per via di genera- zione i caratteri d’una varietà primitiva ». Ma la perma- nenza dei caratteri attribuiti all’eredità biologica, è invece REA — 966 — riferita da altri alla educazione, alla imitazione, all’ am- biente, ecc.; mentre altri ancora considerano lo varietà come combinazioni di razze più elementari, caratterizzato da una eredità semplice ο invariabile. La definizione più larga e nella quale tutte le scuole possono accordarsi, è forse quella del Prichard: « sotto il nome di razza si com- prendono tutte le collezioni di individui presentanti un nu- mero maggiore o minore di caratteri comuni, trasmissibili per eredità, prescindendo affatto dall’origine dei caratteri me- desimi ». Cfr. Agassiz, De l'espèoe et de la classification en zoologie, 1862; G. Pouchet, De la pluralité des races hu- maines, 1864; A. De Quatrefages, La epecie umana, trad. it. 1871; P. Topinard, Anthropologie, 1884, p. 199 segg. (v. monogenismo, poligeninno, trasformismo, specie, varietà). Beale (rea = cosa). T. Wirklich, real; I. Real; F. Reel. Si oppone a ideale © designa tutto ciò che è, e che per sussistere non ha bisogno di essere pensato. Questo per ciò che riguarda il reale oggettiro ; dal punto di vista logico e soggettivo, il reale si può definire come il contenuto del- l’esperienza. Reale si oppone anche a illusorio, apparente, fenomenioo, e indica cid che concretamente è, ciò che agisce effettivamente, Si opppone infine, nella conoscenza, & for- male, e indien ciò che della conoscenza stessa costituisce la materia, il contenuto. — Diconsi definizioni reali, per opposizione alle nominali ο terbali, quelle che si fanno per il genere prossimo e la differenza specifica, ο si propongono per fine di individuare completamente il concetto della cosa definita mediante l'indicazione del comune sostrato, che lo collega con gli oggetti simili, e della differenza che da essi lo sopara (v. idea, ideale, realismo, realtà). Realismo. T. Realismus; I. Realiem; F. Realieme. Ha due diversi significati, socondochè si oppone a nominalismo 0 n idealismo. Se si oppone a nominalismo designa quella dot- trina scolastica secondo la quale gli univereali ο ideo gene- rali esistono realmente. Il realismo è la prima soluzione — 967 — Rea data dalla scolastica al problema degli universali, nato da un luogo dell’ Isagoge di Porfirio, nel quale erano proposte ο non risolute queste tre questioni: gli universali hanno un’ esistenza propria o esistono soltanto nel pensiero? se hanno esistenza propria sono corporali ο incorporali ? 66 sono incorporali sono accompagnati o scompagnati da cir- costanze sensibili? Il realismo risponde che gli universali hanno una esistenza propria; ma fra i realisti alcuni di- cono, conforme alla dottrina platonica, che gli universali preesistono alle cose individuali (ante rem) come prototipi eterni di cui tali cose non sono che-imitazioni temporanee, altri invece sostengono, conforme alla dottrina aristotelica, che esistono nelle cose individuali (in re) come loro attività medesima. — Quando il realismo si oppone all’ idealismo designa tutte quelle dottrine, che ammettono la realtà ob- biettiva del mondo esteriore. Si possono distinguere in esso tre periodi ο fasi: 1° il realismo primitico, proprio della filosofia antica, che considera lo spirito come uno specchio sul quale si rifletta fedelmente l’imagine degli oggetti esteriori; secondo esso vi è adunque lo spirito da una parte e la natura, il mondo esterno dall’ altra; il problema da risolvere è quindi se entrambi siano costituiti in tal modo, che il secondo possa essere oggetto di conoscenza per il primo; 2° il realismo peroerionistico o naturale, pro- prio della scuola soozzese e dell’eclettismo francese, secondo il quale noi abbiamo la percezione immediata del mondo esteriore come tale; le cose esistono fuori di noi perch’ la percezione ci mostra delle cose che esistono fuori di noi; in altre parole, il realismo naturale pone il sentimento di obbiettività implicito nella percezione come un fatto irre- ducibile, ο a tale credenza attribuisce un valore rappre- sentativo; 3° il realismo moderno, nel quale il problema è posto diversamente, în seguito sovra tutto alla critica dello Stuart Mill sulla nozione di obbiettivita fornitaci dalla coscienza. Codesta nozione si riduce alla obbiettivazione Rea — 968 — dell’ idea d’ una possibilità permanente di sensazioni, ob- biettivazione determinata anzitutto dal presentarcisi di codesti gruppi di sensazioni possibili come permanenti, al contrario delle sensazioni isolate che hanno un carattere fagace; secondarismente dall'azione che codesti gruppi sembrano esercitare gli uni sugli altri secondo leggi co- stanti, che appaiono indipendenti dalla nostra volontà. Sostituita così all’ idea di sostanza quella di legge, il pro- blema di cui il realismo ο l’idealismo propongono due soluzioni opposte è il seguente: come spiegare la costanza 9 la realtà di certi gruppi di sensazioni da una parte, e delle relazioni tra questi gruppi dall'altra. ‘Tra le forme principali del realismo ricorderemo: il realismo idealistico, che riconosce una realtà indipendente dalla conoscenza che ne abbiamo, ma considera tale realtà di natura ideale, spi- ritnale; esso è dunque una forma di moniemo epiritualistioo, ed ha il suo primo rappresentante in Platone, che consi. dera le Idee come realtà eterne, universali, immutabili, di cui le cose individuali non sono che il riflesso ο l’ima- gine. Il realismo trascendentale, detto così perchè in esso la causalità, che ricollega la rappresentazione alla cosa in sè, diviene una causalità trascendentale in quanto per- mette appunto d’ inferire dalle rappresentazioni un oggetto che non è oggetto di rappresentazione, l’ inconscio (Hart- mann). 1 realismo individualistico ο pluralistico, che afferma che l'essere è costituito da una molteplicità di enti sem- plici ο primitivi, il cui numero è proporzionale al numero delle nostre sensazioni, poichè ogni sensazione indica un essere particolare (Herbart). Il realismo empirico, che pone la sostanza come distinta dai fenomeni e da noi immedia- tamente conosciuta per uns intuizione positiva (Ravaisson). Il realismo dialettico, che consiste nel realizzare le idee ge- nerali e dedurre le une dalle altre, in modo che la catena logica continua delle idee è anche una catena ontologica continua della realtà, 11 realismo ontologico ο metafisico, che — 969 — Rra s’oppone al realismo gnoseologico, in quanto questo afferma semplicemente l’esistenza d’una realtà esterna, sussistente come oggetto del nostro pensiero, quello spiega la natura di codesta realtà affermata come sussistente, e può essere tanto spirifualistico quanto materialiatico e naturalistico. 11 realismo razionale, che ammette una ragione assoluta la quale si manifesta così nell'esistenza delle cose come nella coscienza dell’uomo, e per la quale all’ assoluto, che si manifesta nel nostro pensiero, corrisponde perfettamente l'ordine esterno del vero essere (Bardili). Il realismo ra- gionato (reasoned realism), che afferma la realtà di ciò che è dato dal senso, e giustifica questa affermazione con l’in- dagine filosofica o razionale dei fondamenti della cono- scenza (Lewes). Il realismo trasfigurato, che afferma |’ stenza dell’ oggetto separata e indipendente da quella del soggetto, nonchè la corrispondenza tra i mutamenti del primo e quelli del secondo, senza però affermare che alcun modo d’ esistenza oggettiva «in in realtà quale a noi ap- pare (Spencer). Il realismo problematico 0 ipotetico, che parte dall’ ipotesi che, se noi non conosciamo se non stati men- tali © soggettivi, ne inferiamo però qualche cosa di cor- poreo e di oggettivo. — Fuori della sfera della filosofia, il realismo significa: nella matematica l’ opinione secondo la quale le forme e le verità matematiche non sono create dallo scienziato, ma da lui scoperte; nell’estetioa la dottrina che all’arte impone di non idealizzare il reale, ma di espri- merne soltanto i caratteri effettivi, oppure la tendenza ar- tistica a rappresentare nell’uomo specialmente i caratteri naturalistici, ancora se bratti o degradanti ; nel linguaggio comune il senso della realtà delle cose, la capacità di agire conforme ai dettami dell’esperienza concreta e indipenden- temente da ogni vincolo del sentimento, della tradizione, dell’ imaginazione, dei principi astratti. Cfr. E. von Hart- mann, Kritische Grundlegung des transoendentalen Realismus, 1875; J. H. Löwe, Der Kampf zwischen Nominalismus und Rea — 970 — Realismus, 1876; Holt, The new realiem, 1912; C. Ranzoli, —Le forme storiche del idealismo ο del realismo, in Linguaggio dei filosofi, 1911, pp. 59-104 (v. arte, conoscenza, intermedia- riste, realtà, materia, nominalismo, pluralismo, sostanza, es- senza). Realtà. T. Realität, Wirklichkeit; I. Reality; F. Réalité. Si oppone tanto a possibilità, quanto a idealità e ad ap- parensa; designa tutto ciò che esiste, che permane fuori di noi e indipendentemente dalla conoscenza che ne ab- biamo, La concezione della realtà è passata per tre stadi principali. Da principio è identificata colla sensibilità, ο non si concepiscono come reali che gli oggetti percepibili ed estesi nello spazio, considerando pure come tali, ma più tenui e sottili, gli oggetti © le cose che non cadono sotto i nostri sensi. In seguito, per l'osservazione che i sensi ci ingannano spesso e che fra le qualità sensibili de- gli oggetti alcune sono essenziali altre mutabili e faggi- tive, il reale si concepisce come qualche cosa di diverso dal sensibile, e cioè come un quid assolutamente identico a sò stesso e immutabile, che serve come di sostegno ul- timo alle qualità © che non può sparire senza che anche la cosa sparisca. Questo quid è la sostanza, che per tal modo è considerata come la sola realtà. Per alcuni codesta sostanza è ancora qualche cosa di conoscibile per mezzo dei sensi (elementi, atomi, ecc.), dato che essi possano at- traversare lo mutevoli apparenze che la nascondono; per altri invece non può essere che l'oggetto di un intuito razionale, in quanto, consistendo essa nell’ identità e nella permanenza, tali caratteri non possono riscontrarsi nei rapporti. Si ha così, accanto alla spaziale, un'esistenza in- telligibile, che, obbiettivata, costituisce la vera realtà (il Numero, le Idee, ecc.). Infine, col progredire della rifies- sione e col delinearsi del problema gnoseologico, le basi della questione si spostano: si comprese che non era pos- sibile parlare di una realtà in sè, assolutamente fuori dello Rspirito, perchè tutto ciò che conosciamo è interiore e non reale che in noi, e che quindi si trattava di risolvere non più come si potesse passare dall’ apparente al reale, ma dal conosciuto al reale. Le soluzioni date al problema sono molte e diverse: riducendosi tutto alle sensazioni e alle loro leggi, per alcuni (Kant) queste leggi, superiori alle nostre esperienze ed immanenti ad esse, si impongono alla materia sensibile e multipla delle nostre impressioni come tante forme unificatrici, universali e necessarie; per altri le leggi dei fenomeni sono esse stesse fenomeni. Per il po- sitiviemo non vi è altra realtà oltre quella determinata dalle scienze, e non v'è realtà per le scienze oltre quella attinta al- l’esperienza diretta e genuina, ossia all'esperienza sensoriale; sostanza, causa, efficienza, soggetto, oggetto, essere, ecc., sono tutte aggiunte fatte dal pensiero n cui nessuna realtà corrisponde. Due sono le forme principali assunte dalla con- la monistico-meccanica, cho risolve tutta la realtà in movimento e modalità di movimento; la empirico-sensazionistica, che identifica la realtà ultima con la così detta esperienza pura o radicale (sensazione), alla quale si arriva mediante l'eliminazione di tutte le aggiunte del pensiero. Affine a quest’ ultima, anche la filosofia del- l’immanenza riduce tutta la realtà all'esperienza, identifica l’esperienza stessa col complesso degli stati di coscienza, esclude ogni trascendenza, sia quella dell’oggetto rispetto alla coscienza individunle, sia quella di esseri ο di cause sottostanti all’ insieme dei fenomeni che costituiscono l’uni- verso: essa non diversifica dall’empirismo puro se non in quanto rileva ed accentua la cooperazione della coscienza nella costituzione della realtà. 1 idealismo critico, che si ricollega a Kant, nega pure ogni valore al concetto di realtà quale è posseduto dalla comune degli uomini; le idee di essere, di sostanza, di ente sono pure escogitazioni men- tali; vi è il fare, il produrre, ma non vi è nè l'agente ο il producente e nemmeno il prodotto come qualcosa di fisso Rea — 972 — e di solido. L’idealismo etico muove esso pure dal con- cetto che non la realtà determina l’atto conoscitivo, ma questo mira a costruir quella; di più spiega codesto atto costruttivo come un'esigenza morale, affermando che non l'essere, ma il dover essere costituisce la categoria fonda- mentale atta a serviroi di guida nella costruzione del mondo; nulla esiste per sò, ma solo in quanto mezzo per l'attuazione del dovere. Spingendosi ancora più innanzi su questa via, il prammatismo, eliminato il correlato del dover essere, fa della realtà una costruzione pura della volontà, un mezzo oreato per il raggiungimento di scopi pratici, i quali poi si riassumono nella conservazione e nell’accrescimento dell’esistenza ; non è a parlare di ‘una realtà per sè stante nd di una verità valida, ma solo di azioni e dei loro effetti. Di fronte a questi indirizzi sta P idealismo metafisico, che muove dal presupposto che ogni forma di realtà si risolve in fatti mentali, appunto perchè per definirla © parlarne non si può fare a meno di ricor- rere ad elementi ideali: tali fatti mentali, che costituiscono l'essenza della realtà, sono per alcuni la volontà, per altri il pensiero, per altri imaginazione, per altri ancora la rap- presentazione, Le ultime forme assunte dall’idealismo volon- taristico sono: l’attualismo o mobilismo, che risolve la realtà nell’agire, nell’energia, nel movimento, nell'evoluzione, in un processo insomma che è libero e imprevedibile, ma che attinge valore dall’ideale che è destinato ad attuare; il vi- talismo metafisico, che concepisce la realtà come vita, co- scienza, cangiamento, durata e quindi come uns creazione continua non diretta ad uno scopo determinato, ma avente valore per sè, rispondente solo ad un impulso originario infi- nito. Cfr. Killpe, Die Philos. d. Gegenwart in Deutschland, 3* ed. 1905; Eucken, Geistige Strömungen der Gegenwart, 1909; G. Villa, L'idealiemo moderno, 1905; C. Ranzoli, Sullo ori- gini del moderno idealismo, « Riv. di fil. e scienze aff. », mag- gio 1906; F. De Sarlo, I diritti della metafisica, « La cultura — 973 — Rka-REc filosofica », luglio 1912; 8. Mackenzie, The meaning of rea- lity, «Mind », genn. 1914 (v. conoscenza, rerità, dogmatismo. scetticismo, criticiemo, empiriooriticismo, fenomenismo, reali- amo, idealiomo, peroczioniemo, semetipsismo, soggetto, oggetto. valore, vita, vitaliemo, eco.). Reazione. T. Reaktion, Gegenwirkung; I. Reaction; F. Réaction. Forza uguale ο contraria all’azione, che un punto materiale dato riceve da un altro punto materiale. Il prin- cipio d’eguaglianza tra azione e reazione, divenuto un as- sioma di meccanica, fu esposto e dimostrato la prima volta da Leibnitz nei suoi Prineipf matematici della filosofia na- turale. Nella biologia la proprietà fondamentale d’ogni cel- lula vivente di rispondere con una reasione propria ad una eccitazione, costituisce l’irritabilità. Nella psicologia è roa- zione ogni stato di coscienza determinato da uno stimolo sia esterno sia interno. Recettività. T. Reoeptirität, Empfanglicket ; I. Recepti- rity; F. Réceptivité. L’attitudine a ricevere delle impres- sioni, a provare delle modificazioni per l’azione di uno stimolo esteriore. Questo vocabolo fu usato specialmente da Kant: «La facoltà di ricevere delle rappresentazioni (re- cettività delle impressioni); la facoltà di conoscere nn og- getto per mezzo di queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti) ». Reoettività è dunque sinonimo di passiritd. Se- condo alcuni filosofi la sensibilità è una recettività, perchd consiste appunto nella facoltà del soggetto di ricevere delle impressioni. Tale dottrina ha origine dall'antica teoria, che spiegava la sensazione col mezzo degli idoli ο delle idee, che si portano o al cervello o all’ anima; teoria che si fon- dava eu semplici analogie lontane, le quali, come mostrò il Reid, non sono neppure di alcuna utilità nello spiegare il processo della sensazione. In realtà, se gli stati della sensibilità si dicono passivi è perchò sono effetto di una fazione causativa; ma non è escluso con questo che siano essi attività, poichè ogni effetto è pure un fatto e ogni Rec — 974 — fatto è attivo. Cfr. Reid, Œuvres complètes, trad. Jouffroy, 1829, t. III, cap. XIV; Kant, Krit. d. reinen Vernunft, A 50, B 74 (v. capacità). Becetto. Vocabolo creato per analogia con concetto e percetto; designa ciò che il soggetto riceve dall'esterno, ο, in altre parole, le modificazioni della coscienza in seguito all’azione dello stimolo esteriore. Il Romanes dà questo nome all’ idea composta, o combinazione di rappresenta zioni non ancora denominata ; essa deriverebbe dalla ripe- tizione di percetti più o meno simili, che si associano in- sieme spontaneamente, senza intenzione, tantochè si può considerare un’ astrazione non peroepita ; il suo nome di re- cetto significa appunto che nel riceverlo la mente è passiva, mentre nel concepire idee astratte ο concetti è attiva. Cfr. Romanes, L'evoluzione mentale dell’uomo, trad. it. 1907, p. 33 segg., 376 segg. Reciproche (teoria delle). T. Reciprok; I. Reciprocal, Converse; F. Reciprogue. Nella logica si designa con questa espressione la teoria dei raziocinii immediati per mutata posizione dei termini del giudizio. Il problema che tale teoria si propone di risolvere è il seguente: dato che un soggetto abbia o non abbia un predicato, trovare, senza bisogno di una dimostrazione speciale, entro quali limiti si può ritenere che il predicato possa esser soggetto del suo soggetto. Se il giudizio reciproco ha la stessa quantità del giudizio diretto, la conversione si dico semplice: 98. tutti gli 4 sono B — tutti i B sono 4; se ha quantità diversa la conversione è accidentale: es. 4 è B — qualche B è A. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 216 segg. + Reciprocità. T. Wechselseitgkeit, Wechselwirkung; I. Re- ciprocity ; F. Réciprocité. O comunità, è uno dei termini della categoria della relazione, secondo la classificazione kan- tiana. La reciprocità non è altro che l’azione di due so- stanze l’una sull’altra. Da essa il Kant fa derivare la terza delle analogie dell'esperienza: tutte le sostanze, in quanto — 975 — Ren-Rec si possono percepire come simultanee nello spazio, sono in una azione reciproca generale. Cfr. Kant, Ærit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 170-196 (v. analogia, relazione). Beduplicative (proposizioni). Quelle proposizioni com- poste e implicite, in cui un termine, solitamente il soggetto, è ripetuto con l’espressione in guanto: ad es. il veleno, in quanto veleno, non produce necessariamente la morte. Si può rendere esplicita; il veleno, in quanto è soltanto ve- Jeno, non produce necessariamente la morte. Registro fisiologico. Sull’orientazione del pensiero, del sentimento e del volere di ogni individuo, intluiscono in vario modo anche le eccitazioni che provengono dall’or- ganismo, sia centrali che periferiche. L’insieme di queste eccitazioni, dipendente dallo stato degli organi, fu detto dall’ Ardigò registro fisiologico, per analogia del registro (pedali) che si trova in quel grande stromento che è Por- gano di una chiesa: in questo il suonatore, col fare agire i pedali, può far suonare a piacere l’una o l’altra serie di canne, e ottenere suoni diversissimi sempre adoperando gli stessi tasti. Nel registro fisiologico le canne che suonano sono i centri cerebrali, i registri sono i visceri, e a se- conda che trovansi in attività piuttosto quelli che questi, a seconda che agiscono in un modo piuttosto che in un altro, il concerto mentale riesce diverso. Cfr. Ardigd, Op. filosofiche, V, 93-96, VII, 276-302 (v. conestesi). Regola. T. Regel; I. Rule; F. Règle. Precetto pratico © specifico di condotta, formula indicante o prescrivente ciò che si deve fare in un caso determinato. Cr. Wolff la definisce come propositio enunoians determinationem rationi conformem. Differisce dalla norma in quanto questa ha maggiore estensione; infatti la norma, se vien riferita al giudizio dell'intelletto, è il criterio secondo cui questo di- stingue e attribuisce agli oggetti suoi l’uno o l’altro pre- dicato, se viene invece riferita all’opera della volontà è la regola secondo cui questa sceglie i snoi fini, o i meszi per Ree — 976 — il conseguimento dei snoi fini. Nel linguaggio teologico dicesi regola di fede (regula fidei) la norma finale e suffi- ciente per la determinazione della verità in materia di dottrina e di fede religiosa. — Con 1’ espressione regulas philosophandi, rimasta famosa, il Newton designa, nella terza parte del suo trattato sui Prinoipf matematici di filo sofia naturale, le quattro regole nelle quali riassume tutto il metodo della filosofa naturale. Sono: 1° non bisogna ammettere altre cause naturali che quelle che sono vere © sufficienti a spiegare i fenomeni; 2° bisogna assegnare, per quanto è possibile, le stesse canse agli effetti natu- rali dello stesso genere; 8° le proprietà che convengono a tutti i corpi sui quali è possibile l'esperimento, devono essere riguardate come proprietà generali dei corpi; 4° le proposizioni ricavate dalla osservazione dei fatti devono, non ostante le ipotesi contrarie, esser ritenute come vere o verosimili finchè non giungono altri fatti mediante i quali divengono ο più esatte o soggette a eccezioni (v. legge, norma, principio). Regressione. T. Regression, Rückgang, Zurüokgehen ; I. Regression; F. Regression. Bi oppone a progresso ed equi- vale a ritorno all’indietro, trasformazione in senso inverso al progresso. Nella logica indica il processo dello spirito, © il metodo, che consiste nel risalire dalle conseguenze ai principi, dagli effetti alle cause, dal composto sl semplice. Nella psicologia dicesi legge di regressione il fatto che i ri- cordi, quando scompaiono in seguito a un indebolirsi pro- gressivo della memoria, si perdono nell’ordine inverso della loro acquisizione, e cioè dal semplice al complesso, dal presente al passato, dal vicino al lontano. Nella biologia diconsi regressioni ataviche il ritorno di organi o di fun- zioni ad uno stato più rudimentario, corrispondente cioè à fasi evolutive già trascorse; peroid la reversione è sempre un fatto di atavismo e di degenerazione. Regresso v. circolo solido. — 977 — Rrei-ReL Beintegrazione, 1 T. Wiederherstellung; I. Redintegra- tion; F. Rédiniégration. Termine creato dall’Hamilton per indicare quells legge della riproduzione mentale, che con- Siste in ciò, che intorno ad un elemento della nostra vita Psicologica anteriore, quando sta per riprodursi, tutto l’in- sieme dello stato di coscienza di cui esso faceva parte tende a riprodursi integralmente. Insieme allo leggi di as- sociazione, di ripetizione e di preferenza, essa costituisce Per l’Hamilton una delle quattro leggi generali della suc- cessione mentale riproduttiva. La legge di reintegrazione è detta anche legge di totalizzazione; secondo l'Hôffäing essa è la legge fondamentale dell’associazione, dalla quale tutte le altre derivano. Cfr. Hamilton, Ed. of. Reid, 1863, II, nota D“; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 210 Segg. (v. associazione, associazionismo). Relative (proposizioni). Specie di proposizioni compo- ste, che esprimono una proporzione o una comparazione ; ad es.: i caratteri ereditari si trasmettono tanto più fedel- mente quanto più sono antichi ; dove è virtà, ivi è felicità. La verità di queste proposizioni dipende dalla esattezza della relazione da esse affermata. Cfr. Logique de Port-Royal, ed. Aulard, p. 132. Belativismo. T. Relativismua; I. Relativiem; F. Relati- tisme. Ogni dottrina che considera la nostra conoscenza di sua natura relativa, in quanto è la conoscenza di un rap- porto, e nega quindi la possibilità della conoscenza della cosa in sò, ciod indipendentemente da ogni relazione con un’altra cosa. Il relativismo ha la sua prima formula nella celebre frase di Protagora: l’uomo è la misura di tutte le cose. Per il sofista greco tutta la vita psichica non consta che di sensazioni; ogni sensazione è determinata da un movimento della cosa percepita e da un altro movimento dell’organo di senso; quindi la sensazione, prodotto del- l’incontro di due moti, non solo è diversa dall’ Sggetto sentito © dal soggetto senziente, ma è vera solo in quel 62 — Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche. momento, cosicchè l’uomo non conosce le cose come sono, ma come sono per lui nel momento della sensazione, ed anche solo per lui. Il positivismo è pure relativistico; per il sno fondatore, A. Comte, non soltanto la conoscenza umana è indirizzata ai rapporti dei fenomeni tra loro, ma non v’ha nulla di assoluto che ne formi la base ignota ; l’unico principio assoluto è che tutto è relatiro; soltanto, questo relativismo (ο, come fu detto poi, correlativismo) cede alla pretensione universalistica del pensiero natura- listico-matematico, con l’assegnare alla scienza il cémpito di ridurre tutte le relazioni alla loro uniformità spaziale e temporale. In un significato ancora più generale, o meta- fisico, per relativismo s’ intende ogni dottrina che, negando un qualunque sostrato permanente all’ accadere del mondo sia fisico, sia psichico, risolve la realtà in relazioni più ο meno costanti tra i fenomeni, concependo tali relazioni come realtà in sò stesse, distinte e indipendenti dalla co- noscenza che ne abbiamo. Cfr. Diogene Laerrio, IX, 51; A. Comte, Cours de phil. positine, 1839; C. Ranzoli, Sul preteso agnosticismo dei presooratici, « Rend. del R. Ist. lom- bardo di s. e lett. », vol. XLVII, faso. 19; A. Levi, Contri- buto ad una interpretazione del pensiero di Protagora, 1906 (v. attualismo, fenomeniemo, relazione, relatività della cono- scenza). ‘Relatività della conoscenza. T. Relativitàt der Er- Kenntnis; I. Relativity of knowledge; F. Relativité de la con- naissance. Sebbene l’espressione sembri abbastanza chiara, essa designa tuttavia dottrine diverse, che debbono essere distinte per evitare equivoci dannosi. Nella sua portata ge- nerale, la dottrina della relatività della conoscenza implica che tutti gli elementi della conoscenza estesa hanno un va- lore soggettivo, non oggettivo, in quanto la sensazione non è considerata che come un semplice segno della cosa esterna, la percezione come la posizione di un rapporto tra que- sti segni, l’ides come un simbolo della sensazione, cioò — 979 — Rel un simbolo convenzionale d’un segno. La relatività della conoscenza è intesa in quattro modi principali: 1° ogni conoscenza è relativa al soggetto che conosce, ne è pos- sibile la conoscenza di alcuns cosa in sò, cioò indipenden- temente dalle nostre facoltà conoscitive; 2° ogni cono- scenza consiste nello stabilire una relazione fra due elementi © nell’appercezione della loro differenza; è dunquo impos- sibile conoscere alcuna cosa in «è, cioò indipendentemente da ogni relazione con un’altra cosa; 3° la conoscenza è relativa perchò ci dà solo il finito, il limitato, non l’inf- nito, l'assoluto; 4° la conoscenza è relativa perchè non adegua mai perfettamente la cosa, ma ne è un puro sim- bolo. Si può dire che ciascuno di questi quattro modi di intendere la relatività della conoscenza rispecchi, tolto forse Pultimo, un lato reale del processo conoscitivo. Secondo l’Hamilton la conoscenza è relativa: 1° perchè l’esistenza non è conoscibile assolutamente e in sò stessa, ma soltanto nei suoi modi ο fenomeni; 2° perchè codesti modi pos- sono essere conosciuti soltanto se stanno in una partico- lare relazione con lo nostre facoltà; 3° perchè i modi, così relativi alle nostre facoltà, sono presentati e conosciuti dalla mente solo con modificazioni determinate dalle fa- coltà stesse. Lo Stuart Mill classifica in modo an poco differente i motivi della relatività della conoscenza: 1° noi non conosciamo una cosa se non in quanto distinta da un’altra cosa; 2° noi non conosciamo In natura che per mezzo dei nostri stati di coscienza, il che conduce a que- ste due tesi subordinate: a) non ci sono che stati di co- scienza; b) vi sono delle cose in sè, ma inconoscibili, sia nel senso di Kant e dei razionalisti, sin nel senso degli empiristi. L’Ardigd enumera sei ragioni della relatività della sensazione, e quindi dolla conoscenza, che è intes- suta esclusivamente di sensazioni : 13 l’oggetto stimolante è un esteso vibrante con una certa ampiezza ο rapidità di oscillazioni delle parti componenti, mentre la sensazione RRL — 980 — corrispondente è un quale assolutamente diverso; 33 l'oggetto medesimo corrispondono forme di coscienza verse secondo che esso stimola apparati sensitivi diversi; 83 la stessa forma specifica propria di un dato senso si modifica, pure rimanendo identica la stimolazione, per una alterazione che esso subisca; 4° codesta forma spocifica si può produrre nel senso stesso anche senza la stimolazione operata da un oggetto, e solo per irritazione endogena, il che prova che la forma stessa non proviene dall'oggetto ma è solo il modo di funzionare dell’apparato sensibile, qualunque sia la causa da cui dipenda; 5* le sensazioni prodotte per la stimolazione dall’interno dell'animale sono fatti analoghi a quelle prodotte per la stimolazione dal- l'esterno, cosicchè se è assurdo considerare una cosa in sè ad es. la fame, lo è pure considerar tale ad es. il snono, © il caldo; 6° il sensibile non è una forma apatica 6 sta- tica, come dovrebbe essere il puro ritratto dell’oggetto, ma è essenzialmente un certo sentimento, un certo agire, © quindi essenzialmente una soggettività. Cfr. Hamilton, Lootures on Metaphysics, 1859, vol. I, p. 148; Stuart Mill, Ezamination of Hamilton, 33 ed. 1867, p. 30-31; Ardigò, Opere filosofiche, I, 160-162, II, 352-355, V, 546 segg., IX, 89 segg., 426 segg. (v. assoluto, agnosticismo, antropometri- amo, relativismo, inconoscibile, conoscenza, cosa, noumeno). Relativo, T. Relatir, Verhältnissmässig ; I. Relative; F. Relatif. Ciò che non sta per sè, ma dipendo da altro, esiste soltanto come relazione o in virtù d’una relazione: si op- pone ad assoluto, che è ciò che esiste per sè, che non ha nd relazione, nd limitazione, nd dipendenza. ‘Relazione. T. Beziehung, Relation; I. Relation; F. Re- lation. Essendo un’idea semplice, non è propriamente de- finibile; si può dire soltanto che è quell'idea che nnisce © distinguo due altre idee, presentatosi simultaneamente al nostro pensiero. 11 Destutt de Tracy la definisce cette vue de notre esprit, cet aote de notre faculté de penser par — 981 — Rei lequel nous rapprochons wne idée d’une autre, par lequel nous les lions, les comparons ensemble d'une manière quelconque. Nè sembri assurda la menzione di un rapporto che disgiunge Poichè si tratta d’un rapporto pensativo, di natura affatto diversa da ogni rapporto materiale. Si distinguono però delle relazioni essenziali ο delle relazioni non essenziali ο accidentali. Le relazioni essenziali sono costituite da ele- menti correlativi, tali, cioè, che a ciascuno è essenziale la sua relazione con l’altro; ad es. bello e brutto, sopra © sotto, alto e basso, maggiore e minore, ecc. Ora tali ele- menti non sono oggetti di cognizione ma fatti di cono- scenza, vale a dire concetti nostri, Invece le relazioni ac- cidentali sono condizionate agli elementi; ad es. questo libro è sopra il tavolo, ma il tavolo può stare senza il libro, e il libro senza il tavolo, mentre il sopra non può stare senza il sotto. Per Aristotele il rapporto o relazione (πρός τι) è una categoria; tuttavia egli considera soltanto i rapporti fondati sulla reciprocanza, e non il rapporto in sò stesso ma le cose tra le quali il rapporto esiste. Hume distingue invece due significati diversi nella parola rela- zione: l’uno designa il fattore per cui le rappresentazioni appsiono collegate nell’imaginazione, cosicchd l’una trae seco l’altra; il secondo indies i momenti riguardo ai quali, anche con arbitraria unificazione di due rappresentazioni nella imaginazione, si confrontano casualmente l’una con l’altra: il primo significato prevale nell’uso volgare, il se- condo nel filosofico; le fonti di ogni relazione filosofica sono la somigli4nza, l'identità, lo spazio, il tempo, la quan- tità, la qualità, la contrarietà, la causa, l’effetto. Per Kant l’idea di relazione è una delle categorie, ma egli non con- sidera che tre specie di relazione: quella della causa al- l’effetto, quella della sostanza al fenomeno, quella di due cose agenti reciprocamente l’uns sull’altra. Il Locke è forse il filosofo che ha dato la classificazione più completa delle relazioni, ch’ egli distingue in: relazioni temporali, ReL — 982 — spaziali, causali, proporzionali, che dipendono cioè dall’ugua- glianza o dal più e dal meno, naturali, fondate cioè sui leganıi stabiliti dalla natura stessa tra le cose, d’istituzione, stabilito dall'accordo degli uomini tra di loro, e morali, fondate sulla conformità o non delle azioni volontarie con la regola onde le stesse αἱ giudicano. Nella filosofia mo- derna e contemporanea il problema delle relazioni è un pro- blema insieme gnoseologico e metafisico, la cui importanza appare da ciò, che le leggi naturali sono generalmente con- cepito come semplici uniformità di relazioni, e la realtà sia fisica, sia psichica è concepita da molti come un puro tes- unto di relazioni tra fenomeni, senza alcun sostrato per- manente. Si presenta quindi la domanda: le relazioni esi- stono come realtà in sò stesse, indipendentemente dalla conoscenza che possiamo averne, o non sono che una forma di conoscenza, una categoria che lo spirito, in virtà della sua struttura, applica spontaneamente ni fenomeni? La so- luzione realistica urta contro gravi difficoltà : se si ammette che le relazioni sono in sd quali le conosciamo, si cade nella contraddizione, in quanto le relazioni non sono tali nel nostro pensiero che perchè noi le pensiamo ; se si am- motte che sono in sò stesso divorse, si cade nell’ agnosti- cismo. La soluzione idealistica, a sua volta, non riesco a spiegare come le relazioni, pure categorie del pensiero, s’impongano a noi con la stessa forza © la stessa fissità dei fenomeni: se la facoltà di giudicare del simile © del differente, del simultaneo ο del successivo, è una legge costitutiva del nostro spirito, lo applicazioni particolari di tale facoltà non sono regolate dagli oggetti stessif Una, terza soluzione sembra evitare queste difficoltà, collocando le relazioni in Dio: « Le relazioni hanno una realtà dipen- dente dallo spirito come la verità, dice il Leibnitz, ma non dallo spirito degli uomini, poichè v’ ha una intelligenza su- prema che le determina tutte in ogni tempo ». Perd, anche a questa dottrina fu obbiettato cho essa conduce al pan- — 983 — Rew teismo e che, d'altro canto, colloca in Dio la successione, il cangiamento e quindi 1’ imperfezione. — Nel linguaggio scolastico dicesi relatio in, ο relatio fundamentalis, quello su cui la relazione si fonda, in quanto è inerente a quello solo, ad es. il verde d'una foglia in quanto è in quella foglia; relatio formalis, quello stesso su cui si fonda la relazione riguardata in quanto si riferisco ad altro, ad es, il verde d’una foglia riguardata in confronto a quello di un’altra; relatio aoquiparantiae quella di somiglianza ο di uguaglianza, relatio disquiparantiae quella che domina gli estremi in modi diversi, ad es. maestro © scolaro; relatio proprie realis quella i oui termini sono entrambi non solo realmente esistenti, ma hanno anche in sò qualche cosa per cui si riferiscono a vicenda, ad es. la relazione tra causa ed effetto; relatio rationis o logioa quella per cni un cosa si riferisce ad un’altra non secondo la ragione di esistere, ma unicamente nell’ordine che |’ intelletto pono tra i concetti delle cose. Cfr. Destutt de Tracy, Eléments d’ideologie, 1815, I, 4, p. 51; Leibnitz, Nouveaux essays, 1. II, cup. XII, $ 3, e cap. XXX, $ 1; Locke, An essay cono. hum. understanding, 1877, IL, cap. 12, 28, 30; Hume, Treatise on hum, nature, 1874, I, sez. 5; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Reclam, p. 96 segg.; Stuart Mill, Syst. de logique, trad. franc. Peisse, 1. I, cap. III, $ 10; Boirac, L'idée du phéno- mène, 1894, p. 166 segg. (v. attualiemo, fenomenismo, sostan- zialirmo). ‘Relazione (concetti, sentimenti di), Il Drobisch chiama concetti di relazione quelli che si formano mediante una sintesi dei singoli membri, che costruiseono un concetto. Con la stessa espressione il Wundt designa quei concetti che hanno per contenuto lo relazioni del pensiero logico, per essere poi trasferiti da esso all'oggetto del pensiero ; essi costituiscono gli ultimi gradi della trasformazione lo- gica del contenuto delle rappresentazioni, che comincia con la costruzione dei concotti empirici individnali. Diconsi sen- timenti di relazione la paura (sent. difensivo), la collera (sent. offensivo), la solidarietà (simpatia). Il Bain e l'Hôft- ding chiamano emozioni di relazione ο di relatività lo stu- pore e la sorpresa, il cui carattere essenziale è d’ essere determinate dall’opposizione del nuovo all’abituale ο, se intervengono delle rappresentazioni, dall’opposizione di ciò che accade a ciò che si attendeva. Cfr. Drobisch, Noue Darstellung der Logik, 5° ed. 1887; Wundt, System d. Phil., 1897, p. 289; Hôfding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 731 segg. ‘Relazione (legge di). La legge psichica fondamentale, secondo molti psicologi contemporanei. Sostituito al vec- chio concetto della sostansialità quello dell’ attualità psi- chica, per cui i fatti della coscienza valgono solo in quanto esistono in un dato momento 9 non si possono riferire ad alcun sostrato fisso di cui siano le manifestazioni ο le modalità, la loro unità è spiegata mediante il rapporto che li unisce: tutti i fatti psichici che formano la trama della coscienza sono in relazione tra loro, relazione che lega i processi psichici in una connessione ininterrotta nella coscienza individuale e conferisce loro un signifi- cato particolare a secondadel posto che occupano e della relazione in cui stanno con gli altri. Questa leggo di re- lazione, fissata già dal Leibnitz col suo principio di con- tinuità, è però variamente intesa dai moderni psicologi : così per il Bain essa riguarda propriamente la parte sog- gettiva della coscienza, ciod i sentimenti, ο si riconduce al carattere originario dello spirito, che è quello di cogliere una differenza, di percepire un cambiamento ; l’Hôffding la estende tanto alla sfera delle sensazioni come a quella del sentimento, ο distingue una relazione simultanea, ciod fra le parti di uno stesso stato, e una relazione suocessiva, cioè tra due stati che si determinano reciprocamente ; per lo Spencer anche la vita psichica, come la vita in genere, consiste in un progressivo adattamento dello relazioni in- terne alle esterne; per il Wund la relazione che intercede fra i processi psichici è di causa ed effetto (osusalità pei- chica), © insieme alle leggi delle risultanti e dei contrasti costituisce il gruppo delle leggi dei rapporti psichici. Cfr. Bain, The senses and the intelloot, 3* ed. p. 8 segg.; Id., Les émotions et la volonté, trad. franc. 1885, P. II, ο. 13; Hòft- ding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 145 segg., 367-393, 412; Wundt, Grundrisa d. Psychologie, 1896, p. 294 segg.; Spencer, Prino. of Peyoology, 33 ed., $ 65 (v. risultante, sin- toi peichioa, attualiemo, sostanzialimo). Relazioni (problema delle). Uno dei problemi fondamen- tali della gnoseologia ο della metafisica, che ha la aus ori- gine dalla constatazione: che funzione fondamentale del pensiero è quella di porre delle relazioni, di riferire I’ uno all’altro gli elementi della realtà ο di considerare in sò codeste relazioni. Ora, porre una relazione significa definire un elemento o un aspetto della realtà per mezzo di un altro: in tal caso la relazione trascende o non trascende la realtà delle cose tra le quali è stabilita? La relazione sembra non abbia senso se non presupponendo la realtà delle cose; ma a lor volta le cose sembrano non poter essere mai colte all’ in- fuori di una relazione, cosicchè la loro realtà si esaurisce nol complesso delle relazioni di cui possono essere termini e con cui possiamo definirlo. Tre sono le principali soluzioni del problems: 1° le qualità delle cose si risolvono in relazioni, perchè se le qualità 4 ο B sono quello che sono anche indi- pendentemente dalla relazione che passa tra esse, la rela- zione medesima è arbitraria ο senza significato per la realtà; 2* le cose si risolvono in complessi di relazioni, cosicchè essere reale non significa altro che essere riferito; 3° la re- lazionalità è il carattere della realtà fenomenics, ma al di sopra del pensiero comune esiste una forma diversa di co- noscenza, nella quale le relazioni non hanno più senso, © che è la rivelazione della realtà metafisica. A queste si può aggiungere una quarta soluzione, che consiste nel consi- ReL — 986 — derare la realtà come costituita di termini in 0 con rela- zioni, gli uni © le altre ugualmonte reali, sebbene in di- verso senso. Però anche quest’ ultima veduta ha suscitato, come le precedenti, gravi obbiezioni. Il Bradley, ad es., dice che i concetti di materia, tempo, spazio, energia, essendo concetti relativi, che caratterizzano le cose per rapporto le une alle altre, non ci dicono nulla delle cose stesse, © conducono a delle serie infinite; infatti si può sempre chiedere qual’ è la relazione dei membri in rapporto alle relazioni nelle quali si trovano, e studiando i membri si vede che essi possono collocarsi in ciascuna di codeste relazioni. Cfr. B. Russel, The principles of mathematics, 1903, p. 218 segg.; Id., À oritioal exposition of the philosophy of Leib- nite, 1900, p. 12 segg.; Bradley, Appearance and reality, 1893, p. 25 segg.; Tailor, Elemente of metaphysio, 1903, 1. II, p. 120 segg.; G. Calò, L'intelligibilità delle relazioni, « Riv. di fil. », aprile 1910; R. Heller, La dottrina delle rel. nella critica della scienza contemp., « Cultura filosofica», marzo 1911; Ladeväze, La loi d'universello relation, 1913. Religione (dal latino religio che, secondo alcuni, ei ri- conduce al termine relegore = raccogliere di nuovo, e se condo altri a religare — rilegare, secondo altri ancora ad un verbo scomparso religere, opposto a negligere. La prima etimologia è sostenuta da Cicerone e dai moderni filologi, la seconda da Servio, Lattanzio, Agostino, Max Müller). T. Re- ligion; I. Religion; F. Religion. Il merito di aver compreso che cosa sia in sò stessa la religione, indipondentemento dalle suo forme storiche, spetta esclusivamente al pensiero moderno. Soltanto nella suola platonica troviamo una no- zione filosofica della religione. Per Platone, infatti, l’es- senza e il fino della religione à 1’ assimilazione a Dio, fon- data sopra l’unità di essenza dell’ anima umana e della divinità. Codesto concetto, intravisto già dai pitagorici e da Socrate, domina in quasi tutta la filosofia antica si ritrova nello stoicismo, nel giudaiamo © nel oristianesimo — 987 — ReL alessandrino, e nel neo-platonismo. Ma, in generale, il mondo antico non ebbe nè poteva avere una nozione spe- rimentale, storica della religione in sè, poichè per esso la religione non aveva storia. La vittoria del cristianesimo doveva perpetuare, per ben altri motivi, codesta condizione di cose; © infatti, data la rigorosa ortodossia della Chiesa, non era possibile alcuna distinzione tra religione in sò © cristianesimo cattolico. Con l’aprirsi della età moderna ο collo svincolarsi del pensiero dalle catene del dogina, co- minciano infine ad accumularsi gli elementi che dovranno più tardi servire alla storia delle religioni; ma è soltanto col Lessing, in Germania, che #’inizia uno studio vera- mento soientifico del fenomeno religioso, perchè il lavoro compiuto s tal riguardo dai filosofi francesi del diciotte- simo secolo, non esclusi il Voltaire © il Rousseau, è più che altro negativo. Per il Lessing la storis religiosa non è che l'educazione dol genere umano, che si eleva a no- zioni sempre più puro della divinità © del dovere; tutte le religioni hanno quindi una relativa legittimità. Dal Les- sing in poi è continuo lo sforzo dei pensatori per rendersi un concetto adeguato del complesso fenomeno religioso ; noi non ricorderemo qui che alcuni dei tentativi più im- portanti. Per Kant la religione è il riconoscimento dei nostri doveri come ordini divini ; soltanto la coscienza mo- rale attesta l’universalità © la necessità nel rapporto col sovrasensibile. Per 1’ Herbart è la credenza, teoreticamente incontestabile, in una intelligenza suprema come fonda- mento dei rapporti fra gli elementi reali da cui deriva il mondo fenomenico, la cui finalità non sapremmo altrimenti spiegare. Per I’ Herder è 1’ appropriazione intorioro dell’ st- tività divina ordinatrice delle cose, di modo che noi οἱ su- Vordiniamo scientemente a codesto ordine divino. Per Schel- ling non è altra cosa che la divinità che cerca sè stessa attraverso tutta la sorie degli intermedi, che vanno dalla materia brata allo spirito. Per Schleiermadher si riconduce Ret. — 988 — al sentimento, che tutti abbiamo, della nostra dipendenza assoluta da una potenza, che ci determina ma che non pos- siamo determinare. Comte e Feuerbach riducono I’ essenza di ogni religione all'adorazione dell’uomo fatta dall’uomo: dell’uomo come specie il primo, dell’uomo come individuo il secondo. Per l’ Hegel la religione è il sapere che lo spirito finito ha della sua essenza come spirito assoluto. Per il Miil- ler è una facoltà mentale che, indipendentemente e spesso au- che a dispetto del buon senso e della ragione, rende l’uomo capace di cogliere l’infinito sotto differenti nomi e diverse forme. Per il Guyau è una manifestazione sociologica uni- versale a forma mitica; per l’Hòffding è il sentimento della conservazione dei valori dello spirito nella realtà; per il Bontroux è la rivendicazione, allato al punto di vista della scienza, del punto di vista del sentimento e della fede: per il Durkheim è un sistema solidale di credenze e di pra- tiche relative a cose sacre, credenze e pratiche che uni- scono in una medesima comunità morale tutti quelli che vi aderiscono. Ora, nessuna di codeste definizioni pare ve- ramente comprensiva del fenomeno da definire. Ciascuna di esse contiene piuttosto una parte di verità, in quanto fa risaltare uno degli elementi costitutivi della religione. Raccogliendo ciò che esse hanno di essenziale, si potrebbe definire la religione come la determinazione della vita umana per mezzo della coscienza di un legame che unisce lo spi- rito umano allo spirito misterioso, di cui egli riconosce la dominazione sul mondo sopra lui stesso, ο al quale egli ama sentirsi unito. — L’antichissimo e dibattuto pro- blema del valore conoscitivo della religione, ossia dei rap- porti tra religione e scienza, tra ragione e fode, è risolto nella moderna filosofia della religione in sei modi princi- pali: 1° La religione ha un dominio a sè, fuori del controllo della scienza e della filosofia; quella è affare di fede, queste di conoscenza. La filosofia è una conoscenza astratta, mentre la religione è una realtà essa stessa, è una forma di vita spi- — 989 — Rew rituale. La scienza osserva e collega tra loro le apparenze esterno dei fenomeni, l’uomo pio vive in Dio e nelle anime dei suoi fratelli, prega, ama, spera. 2° Religione, filosofia ο scienza sono tronchi germogliati da una radice comune: la fede, la credenza non dimostrabile. La scienza è una fede perchè le sue definizioni sono pure forme dell’ intelligenza, non abbracciano che una parte impercettibile della realtà infinita e quindi non sono dimostrabili, non hanno che un valore ipotetico, provvisorio. La filosofia ha bisogno non di un atto di fede, come la scienza, ma di più: fede nel- l’oggettività dei simboli mentali rispetto ai fenomeni, fede nell’ oggettività dei medesimi rispetto all'essenza, fede nel- l’oggettività del sistema dei simboli mentali rispetto alla totalità sistematica e all’unità della realtà. Dunque, nd la scienza nd la filosofia possono negare la validità di quel- V unico atto di fede, la fede in Dio, su cui la religione si fonda. 3° Le verità religiose sono di ordine diverso dalle verità scientifiche, ο nel loro proprio dominio non possono essere contraddette dalle verità della scienza. La scienza, infatti, studia i fenomeni nei limiti della conoscenza finita, la religione penetra intuitivamente nell’ essenza ultima del reale. La scienza usa necessariamente di ideo che sono sim- boli di una realtà che le sfugge; questa realtà è l'oggetto proprio della religione. 4° Ogni sapere essendo indirizzato all’azione, la differenza tra il pensiero scientifico e il re- ligioso deriva dalla differenza di funzione e di finalità che essi rappresentano. La scienza è una manifestazione della ragione umana; la religione è specialmente una manifesta- zione della volontà. Ora la volontà umana tende al di là dell’ esperienza finita, che non la appaga; quindi si dirige verso un essere, verso una realtà, che se è adeguata alla potenza della volontà, è inadeguata e trascendente rispetto all'intelligenza. 5° La verità religiosa è certa per sd stessa, come verità che è una realtà vissuta, intorno alla quale la ragione si può esercitare ma unicamente per riconoscerla Reı. — 990 — non per dimostrarla. La religione si appunta necessaria mente nel sovrannaturale, ms la necessità del sovranna- turale non è logica o causale ma vissuta; credere significa possedere la verità sovrannaturale in modo da introdaris nella propria vita per vivere sovrannataralmente. Il me- todo della scienza non può quindi valere nella religione: in questa vale un altro metodo, il metodo immanente, che fa quello già adoperato da Pascal. 6° La religione in quanto conoscenza, e per quella parte di conoscenza che solo la in- teressa, ciod la concezione spiritualistica del mondo, non soggiace necessarismente alla critica scientifica © filosofica, perchè è una specie di filosofis; e propriamente quella che meglio corrisponde alle esigenze ideali ο morali dello spirito umano, — Fra i molti tentativi di classificazione delle reli- gioni, la più scientifica ci sembra quella del Reville, il quale le divide anzitutto sotto due grandi categorie: politoiate e mo- noteiste. Alla categoria delle religioni politeistiche apparten- gono cinque gruppi: 1° religione primitiva della natura, cioè il culto semplice degli oggetti naturali rappresentati come animati e infinenti sul destino umano; 2° religioni animistee Jeticiate, che si sviluppano sulla base precedente, proprio dei popoli rimasti allo stato selvaggio; 3° mitologie nazionali. fondate sulla drammatizzazione della natura © supponenti tra gli esseri divini delle relazioni uguali a quelle della vits umana; di questo grappo la mitologia vedios rappresenta la forma più ingenua, la mitologia greca la forma più raffinata; 4° religioni politetste-legaliate (che impongono cioè 1) osser- vanza di una legge così morale come religiosa), il mardei- smo, il bramanismo e le due religioni filosofiche cinesi di Kong-fou-tzeu e di Lao-treu ; 5° il Buddismo, religione di re- denzione e, teoricamente, monoteistica, ma fondantesi nells pratica sui politeismi locali. Alla seconds categoria appar- tengono tre religioni : 1° il giudaismo, uscito dal mosaismo, legalista © nazionale; 2° } islamiemo, legalista e interna zionale; 3° il oristianorimo, religione di redenzione, inter- — 991 — Rer. nazionale. — Si sogliono spesso distinguere le religioni in due grandi gruppi, naturalistiche ο spiritualistiche : a queste ultime appartengono le quattro grandi religioni, giudaismo, buddismo, cristianesimo, islamismo, nelle quali il problema della vita dello spirito, e del suo destino nel mondo, so- verchia il problema della natura ed è la sostanza della re- ligiosità. Teoricamente si distinguono ancho in: religioni della logge, nelle quali è recisamente affermata la trascen- denza della divinità e insieme il governo diretto del mondo dalla volontà divina onnipotente; © religioni della reden- sione, nelle quali la divinità, pur conservando la sua di- stinta essenza, è accostata all’uomo, e l’uomo alla divinità, sia per natura sia per l’opera della redenzione. — Nel lin- guaggio comune dicesi religione positiva quella che consiste più particolarmente in un insieme di insegnamenti dogma- tici © nelle pratiche del culto; religione razionale quella che risulta dall'esame razionale delle oredenze; religione floso- fica quella che si fonda sopra una interpretazione generale © metafisica del mondo e dell’ esistenza; religione naturale l'insieme delle credenze nell’ esistenza di Dio, nella spiri- tualità e immortalità dell'anima, considerate come una ri- velazione della coscienza e della luce interiore che rischiara l’uomo. Cfr. Diogene L., VII, 138, X, 123 segg.; Lnere- zio, De rer. nat., IV, 38 segg., V, 1159-1238; Leibnitz, Theodicea, pref. I, $6; Lessing, Duplik, 1778; Kant, W. W. ‚Rosenkranz, VII, 336, VIII, 508, VI, 201; Schleiermacher, Dialektik, 1903, p. 111, 157, 186-193; Id., Reden, 1859, p. 104 segg.; Hegel, Vorlesungen über die Philos. d. Reli- gion, 1901; Feuerbach, Das Wesen des Christentum, 1841; Guyau, L’irreligion do l'avenir, 1887 ; Höffding, Filosofia della religione, trad. it. 1909; Bontroux, Science et religion, 1909; Durkheim, Les formes elementaires de la vie religieuse, cap. I, p. 65; W. James, The varieties of religious experience, 1902; L. R. Farnell, The evolution of religion, 1905; F. B. Jevons, Introduction to the history of religion, 1906; J. Baisssc, Les Rem — 992 — origines de la religion, 1899; John Caird, Introd. alla flowfa della religione, trad. it. 1909; O. Pfleiderer, Religione e re ligioni, trad. it. 1910; S. Reinach, Orpheus, storia nat. delle religioni, 1912; C. Puini, Saggi di storia della religione, 1882: C. Ranzoli, L'agnostiotemo nella filosofia religiosa, 1912; F. Masci, La filosofia della religione e le sue forme più recen 1910 (v. Dio, mito, delemo, teiemo, fideismo, panteismo, ritua- liemo, ecc.). Beminiscenza (rursus © mominissee — ricordarsi una seconda volta). T. Anamnese, Reminisoens, Naokklang ; I. Re- minisoenoe; F. Réminiscence. Non ha significato preciso. Pet alcuni designa un ricordo confuso, che manca di ricono scimento ο di localizzazione nel passato; in tal caso però è più esatto dire oblio. Secondo altri invece è 1’ atto con cui il nostro spirito, risalendo da una idea attuale e gio- vandosi di dati frammentari, completa e ricostruisce un ricordo o una serie di ricordi. In questo senso fa sdope- rata da Aristotele, il quale la spiega mediante 1’ abitudine che riunisce nella nostra anima lo nostre idee ed impre» sioni, nello stesso ordine con oui si sono presentate, quando esse non sian già collegate secondo le leggi necessarie dells logica. In Platone ha un significato tutto speciale: è una forma mitica di razionalismo, secondo oui ogni nostro po- tere di conoscere la verità è il ricordo di uno stato antico nel quale, vivendo con gli dei, noi possedevamo una vi- sione diretta ο immediata delle idee: « L’anima essendo immortale, ed essendo nata molte volte, ed avendo veduto ciò che accade qui, tanto in questo mondo che nell’ altro. ο tutte le cose, non v'ha nulla che non abbia apprese. Perciò non è da meravigliare se, riguardo alla virtà e 4 tutto il resto, essa possa ricordarsi di ciò che ha saputo: poichè, tutto essendo legato nella natura e tutto avende l’anima imparato, nulla vieta che ricordandoci una sola cosa, il che gli uomini chiamano imparare, possiamo tro vare da soli tutto il resto ». Egli lo prova specialmente con — 993 — Rem-Res l'esempio del teorema di Pitagora, il quale mostra che la conoscenza matematica non proviene dalla percesione sen- sibile, ma questa fornisce soltanto l'occasione per cui V anima richiama alla memoria la conoscenza proesistente in essa, cioè avente un valore puramente razionale. Per Condillac la reminiscenza è l’atto stesso per cui si riconosce un ricordo. Il Rosmini considera la reminiscenza e la memo- ria come due facoltà distinte: questa conserva le cognizioni formate, quella le richiama in atto, rieccitando le imagini e rinforzandone la vivezza. Invece al Galluppi « non sembra necessario riporre la reminiscenza tra le facoltà elementari dello spirito: essa è una imaginazione in oui si eseguisce in un certo modo la legge dell’ associazione delle idee »; per remin iscenza egli intende non la semplice riproduzione di uno statto passato A, ma la riproduzione di A riconosciuto mediante la riproduzione degli stati Be C, che con 4 erano associati; quindi ls reminiscenza non è che il riconosci- mento mediato. Cfr. Platone, Fedro, XXIX, 249 ο) Id., Me- none, XV-XXI, 81 c segg.; Rosmini, Psicologia, 1846, p. 164 segg.; Galluppi, Lesioni di logica ο metafisica, 1854, II, p. 744 segg. (v. anamnesi). Bemotivi (giudizi). Diconsi tali i giudizi copulativi ne- gativi, la oni formula può esser tanto: nè 4, nà B, nè C sono D, quanto: A non è nè B, nè C, nè D. Nel primo caso il giu- disio è remotivo nel soggetto, nel secondo nel predicato. Essi compiono la fanzione logica di escludere alcuni gruppi di oggetti da uns classe, mostrando che ad essi manca la proprietà essenziale a tutti gli oggetti in quella compresi. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 182 segg. (v. congiuntivî). Residui (metodo dei). T. Rückstandsmethode; I. Method of residues; F. Métode des résidues. Uno dei quattro metodi di ricerca induttiva indicati da I. F. W. Herschell, Whewell 9 Stuart Mill. Secondo i due primi, codesto metodo con- siste nel levare da un effetto, e specialmente da un ef- fetto numerico, la quantità che risulta da leggi già note, 68 — Ramzoti, Dirion. di scienze filosofiche. Res — 994 — ridurre il fenomeno ad una specie di residuo, che si es minerà per scoprirne la spiegazione ο la legge. Per le Stuart Mill, invece, esso si fonda su questo canone logico: se da un fenomeno si sottrae quella parte che, per indu zioni anteriori, si sa essere effetto di certi anteoedenti, cid che resta dei conseguenti sarà l’effetto di quello ο quell degli antecedenti che sopravanzano. Tale metodo consiste dunque nell’ eliminazione degli antecedenti ο dei conse guenti il cui rapporto causale è conosciuto; i conseguenti residui saranno, in generale, effetto degli antecedenti re sidui. Molte sooperte scientifiche sono dovute a questo metodo, il quale fu adoperato anche, ed utilmente, a o- noscere la causa ignota di un effetto residuo noto: co dalle anomalie inesplicabili nei movimenti di Urano si arguì l’esistenza di Nettuno, che fu poi scoperto dal telescopio. Cfr. Herschel, 4 prelim. discourse on the study of natural phi- los., 1831, cap. VI, $ 158-161; Whewell, Philos. of the in- duotive science, 1840, af. XLVII; 8. Mill, System af logic. 6* ed. 1865, III, cap. VIII, $ 5. Resistenza. T. Widerstand, Widerstandfähigkeit; I. Reri- stance; F. Résistance. Una delle qualità della materia, dataci dallo sensazioni cinestetiche o di movimento, e specialmente dal senso dell’innervazione. Noi infatti comunichiamo si muscoli l’ innervazione necessaria per produrre lo sforzo muscolare, che corrisponde alla resistenza che deve essere superata; se il grado di innervazione non corrisponde alls resistenza, l’azione muscolare riesce inadeguata ο eccessiva. Nella meccanica la resistenza è uns forza misurabile, desi- gnando tutto ciò che si oppone al movimento; essa varis col variare della velocità dei corpi, dell’ ampiezza della loro superficie e della loro forma; nei fiuidi la resistenza è pro porzionale al quadrato della velocità del corpo in moto (v. articolare, impenetrabilitä). Responsabilità. T. Verantwortiohkeit; I. Responsabi- lity; F. Responsabilité. Situazione di un agente cosciente s — 995 — Rus riguardo degli atti che esso ha compiuti, dei quali deve dare i motivi e attendere biasimo o lode, pena o premio, a se- conda della loro natura e del loro valore. Non va confusa con l’imputabilità: la responsabilità è infatti la qualità dell’agente di essere capace delle conseguenze, che la legge morale ο giuridica fa derivare dall’ atto, che gli viene im- putato; l’imputasione è il giudizio che nn determinato atto è attribuibile a quell’ uomo. Un essere è responsabilo quando deve rispondere della propria condotta; quindi la responsabilità implica indipendenza assoluta del volere, suppone che la volontà si determini da sò stessa all’azione, indipendentemente da una forza che la costringe. Ed in- fatti il concetto della responsabilità sorse. accanto a quello del libero arbitrio; se da principio, nell'infanzia della uma- nità, essa era estesa alle cose inanimate, agli animali, per- sino ai cadaveri, in seguito fu ristretta agli esseri in cui αἱ riconosceva la facoltà di conoscere il bene ο il male e la possibilità di scegliere tra I’ uno e l’altro. Ma anche V idea dell’assoluta indipendenza del volere si dimostrò errones ο fu abbandonata; caddo perciò anche il concetto di responsabilità, e se oggi il vocabolo è rimasto ha però un significato diverso del primitivo, tanto che, forse non a torto ei proclama da alouni la necessità di abolire una parola che non adegua l’idea ed è cagione di equivoci. Alla respon- sabilità assoluta, che corrispondeva alla libertà assoluta del volere, alonni vogliono sostituire una responsabilità limitata corrispondente alla limitazione della libertà e distinguono una responsabilità parziale ed una responsabilità attenuata ; per la prima un individuo è responsabile soltanto degli atti emananti dalle sue facoltà mentali normali, irresponsa- bile per quelli emananti dalle anormali ; per la seconda la responsabilità d’un individuo debole intellettualmente e moralmente è diminuita in ragione di tale sua debolezza. Altri tentativi furono fatti per mantenere l’ idea di respon- sabilità, dandole una base che potesse sostituire quella ca- duta del libero arbitrio. Fra le dottrine a tal rignardo più importanti ricorderemo: 1° quella, oul #’iepira anche il codice penale zanardelliano, che pone per base della re- sponsabilità la volontarietà; perchè vi sia responsabilità l’atto deve essere stato commesso volontariamente; l’azione à repn- tata volontaria, se agente, compiendola, voleva realmente compierla; 2° quella che le pone per base l'intelligenza, con- siderata come direttrice della volontà: è responsabile sol- tanto 1) individno la cui volontà è determinate, in generale. dalle idee, e, in particolare, dalle nozioni della religione, 8 della morale, del diritto, della prudenza; 3° quella che le pone per base l’intimidabilità per mezzo della pena; essendo tutti gli uomini, tolti gli ‘alienati, intimidabili, tatti deb- bono essere considerati responsabili dei loro atti; 4° quella che lo dà per base In personalità ; ogni nomo, agendo sulle circostanze, che a lor volta agiranno su lui, può modificare la propria personalità e quindi dirigere il sno spirito verso un dato ordine di idee e di sentimenti, distogliendolo da altre idee e da altri sentimenti, contraendo insensibilmente l'abitudine delle azioni e dei pensieri ai quali desidera sol- levarsi; in questo potere di modificarsi ha la sua radice la responsabilità. Ricordiamo infine la soluzione data al pro- blema dalla scuola criminale italiana; l’uomo, essendo la risultante fatale di determinati fattori antropologici, socio- logici, economici, tellurici, ecc., non è moralmente respon- sabile delle proprie azioni, poichè non poteva non volerle. tutte le condizioni essendo date; ma siccome I’ uomo vive in società, la quale ha il diritto di difendersi ο conservarsi. e siccome ogni azione umana produce nella vita della so- cietà degli effetti e delle reazioni sia individuali, aie so- ciali, che ricadono sull’antore dell’azione ο gli saranno utili ο nocive secondo che l’azione stessa sarà stata utile o dannosa alla società, per questi motivi l’uomo è socialmente responsabile delle proprie azioni. Come si vede, il termine responsabilità assume qui un significato affatto diverso dal — 997 — Res primitivo, e ad esso si può utilmente sostituire quello di difesa 0 reazione sociale. Comunemente si distingue la re- sponsabilità morale, la r. civile e la r. penale. La r. civile consiste nell’ obbligo di riparare, in una misura e sotto una forma determinata dalla legge, il danno causato ad altri; la r. penale è la situazione di chi può essere giu- stamente colpito, a titolo penale, per un crimine o per un «delitto. Nella stessa responsabilità morale si distinguono due forme: quella da noi definita sopra, e l’ obbligazione morale, sanzionata o non dalla legge, di riparare al torto causato ad altri. Ad ogni modo, il fatto fondamentale è sempre il medesimo; riunendo ciò che ν΄ ha di comune nei diversi significati, il Calderoni definisce la responsa- bilità col fatto che certi atti ; essa si attua in due processi : 1’ uno, che diocesi riflessione astraonte, consiste nel confrontare le idee degli enti tra di loro per fis- sare il più comune, che viene poi applicato agli enti stessi : l’altro, che dicesi riflessione integrante, consiste nel confron- tare le idee degli enti con 1’ idea dell’ essere in universale. Per il Cousin la riflessione è un ritorno sopra uno stato precedente : « se non avesse avuto Inogo alcuna operazione anteriore, non ci sarebbe posto per codesta operazione, cio’ per la riflessione: la riflessione non crea, ma constata e sviluppa ». Per il Galluppi è l’attenzione sul proprio pen- siero, ossia la percezione interiore volontaria; essa ci dà la verità particolare, primitiva, indimostrabile, io penso, ciod Ru — 1004 — io sono esistente nello stato di pensiero; non dove confondersi con la coscienza, che è la percezione interiore involontaria. Dalla riflessione il Locke fa derivare tutte le idee del nostro mondo interno, di ciò che si dice percepire, pensare, dubi- tare, credere, ragionare, conoscere, volere, e di tutte le dif- ferenti azioni del nostro spirito; dalla sensazione fa prove- nire le idee concernenti il mondo esterno, tutto ciò che noi chiamiamo le qualità sensibili. Per il Locke la riflee- sione equivale all’ attenzione interna: « per riflessione io intendo la conoscenza che lo spirito prende delle sue’ pro- prie operazioni, e del modo di esse; in tal modo le idee di queste operazioni vengono a formarsi nell’intelletto >. Per Condillac invece anche la riflessione non consiste che in nna sensazione trasformata, e tutte le nostre ideo non hanno che un’ unica fonte: il senso. Perciò il sistema del Con- dillac dicesi sensiemo, quello del Locke empiriemo. Cfr. Leib- nitz, Nouveaux essais, Pref. $ 4; Cr. Wolff, Peyoh. empirica. 1738, $ 257; Baumgarten, Metaphysioa, 1739, § 626; Kant, Kit, d. reinen Vern., A 261, B 316; Maine de Biran, Fond. de la peych., ed. Naville, II, 225; Cousin, Fragments de ‚Philos. contemporaine, 1846, p. 34; Hamilton, Leot. on me- taphysios, 1859, vol. I, p. 326; Rosmini, Nuovo saggio sul- l'origine delle idee, 1830, II, p. 77 segg.; Galluppi, Lezioni di logioa ο metaf., 1854, I, p. 27-83; Locke, Human under- standing, 1877, II, 1, p. 4. Riflesso. T. Reflex, Reflerbewegung; I. Reflex; F. Riflere. Detto anche atto 0 movimento riflesso. Nella sua forma più semplice e tipica, è il seguire immediato di una sola ec- citazione ad una sola contrazione. Essa implica un organo ecoitabile per una stimolazione sia interna che esterna, un nervo centripeto ο afferente che trasmetta l'eccitazione al centro nervoso (ganglio spinale), un centro nervoso che trasmetta 1’ eccitazione al nervo centrifugo ο motore, e in- fine an muscolo che si contragga o una glandola che se- cerna. La sede centrale dei riflessi è il midollo spinale, — 1005 — Rie tuttavia pud intervenire nella produzione loro anche il cer- vello; in questo caso si hauno i riflessi psichici ο coscienti (ad es. il soldato che in battaglia abbassa la testa al fischiare delle palle) nel primo caso si hanno invece i riflessi spinali ο incoscienti (ad es. il restringersi o il dilatarsi della pupilla in seguito al crescere ο al diminnire della luce). Si dicono poi riflessi primari quelli che nella serie filogenetica non sono mai stati coscienti, e riflessi sscondari quelli che negli Antenati erano azioni volontarie coscienti, ma che sono di- venuti più tardi incoscienti per abitudine o per scomparsa della coscienza. Rispetto alla complessità loro i riflessi fu- rono distinti in: 1° semplici, che definimmo sopra; 2° dif- Susi incoordinati, che si manifestano in forma di contrazione di tutti i muscoli ed hanno per csuss l’ aumento della ec- citabilità spinale; 3° diffusi coordinati, che manifestano un fine (ad es. i movimenti che si fanno dormendo per prendere una posizione più comoda). Il cervello esercita una asione inibitoria sui riflessi, come mostra il fatto che si possono ta- lora abolire mediante la volontà, e che l'asportazione spe- rimentale del cervello è seguita da esagerazione di riflessi. Cfr. Höffding, Psychologie, trad. frano. 1900, p. 49 segg.; Wundt, Grund. d. Psychologie, 1896, p. 227 segg.; Sully, Outlines of peych., 1885, p. 593 segg.; D. Ferrier, The funo- tions of the brain, 1876, p. 16 segg. Rigorismo. T. Rigorismus; I. Rigoriem ; F. Rigorieme. Severità eccessiva nell’ apprezzamento delle azioni umane; affettazione di abbracciare, in fatto di morale o di fede, le opinioni più rigorose. Il termine fu usato da Kant per designare l'indirizzo antiedonistico ο ascetico della mo- rale: « È in generale importante per l’ etica di non am- mettere via di mezzo per quanto è possibile, nd nelle azioni (adiafora) nd nei caratteri umani.... Quelli che s’ attengono a questa stretta veduta sono comunemente chiamati rigo- risti (nome che sembra racchiudere un rimprovero, ma che in realtà è una lode); ο i loro opposti possono esser chiamati Rısı-Rur — 1006 — indifferentisti, o latitudinarii del compromesso, e possono esser chiamati sinoretisti ». Cfr. Kant, Krit. d. prakt. Ver nunft, od. Reclam, p. 88; Id., Religion innerhalb d. Grenzen d. blossen Vernunft, 1879, p. 21 segg. Rimorso. T. Gewissensbise; I. Remorse; F. Remords. Sen- timento complesso di dolore, che deriva dal riconoscimento d’aver violato le leggi della morale e dal conseguente di- sprezzo di sò a sò stesso, da un mal dissimulato interiore disprezzo. Per Spinoza conscientiae morsus est tristitia con- comitante idea rei prastoritae, quae practer spem evenit. Esso è la proiezione nel campo della coscienza del fatto esteriore della punizione inflitta dalla società per la violazione della legge positiva: osservato costantemente che nella società nn genere di atti è seguito da una punizione, si forma nella mente una associazione inevitabile per oui quell’ atto si pensa necessariamente come punibile, e quindi come tale da evitarsi, cosicchè compiendolo si ha quel sentimento che dicesi rimorso. Esso è relativo quindi al grado di moralità ο alle abitudini mentali ο pratiche dell’ individuo ; quanto più un’azione immorale è ripetuta, tanto minore è il ri- morso che l’accompagna. Cfr. Spinoza, Ethioa, 1. III, teor. LIX, def. 17; Ardigò, Op. filosofiche, IV, p. 120 segg. Riposo. T. Ruhe; I. Repose, Rest; F. Repos. In senso psicologico e morale è lo stato di calma in cui trovasi lo spirito, quando è libero dalle agitazioni che derivano spe- cialmente dalle passioni e dai desideri. Per Spinoza il ri- poso intimo, o soddisfazione di sè stesso, è « la gioia nata dal fatto che 1’ uomo contempla sò stesso e la propria po- tenza d’agire »; e poichè la vera potenza d’agire dell’uomo, ossis la sua virtù, è la ragione stessa che l’uomo contempla chiaramente, così « il riposo intimo può nascere dalla ra- gione, e solo il riposo che nasoe dalla ragione à il massimo che possa esistere >; esso è il supremo bene che noi pos- siamo sperare, è la beatitudine stessa. — In senso fisico il riposo è lo stato di un corpo che conserva la sua po- = — 1007 — Rip-Ris sizione nello spazio. Il riporo dicesi assoluto se il corpo è riportato a degli oggetti realmente fissi; è relativo se i punti ai quali è riferito sono animati da un movimento al quale questo corpo partecipa. Cfr. Spinoza, Ethica, 1. IV, teor. LIT; Appendice, cap. IV (v. atarassia, equilibrio). Riproduzione. T. Reproduction; I. Reproduction; F. Re- produotion. Il ripresentarsi alla coscienza degli stati ο dei processi passati. Kant chiama legge della riprodusione quella secondo la quale le idee che si sono presentate insieme nello spirito si richiamano V una l’altra alla coscienza. Secondo Th. Ziegler, si riproducono soltanto quegli stati « che ar- monizzano coi nostri attuali sentimenti ο stati d’ animo, mediante oni conservano il loro stesso valore affettivo ». Il Jodi descrive la riproduzione come quel processo paicolo- gico mediante il quale « una primitiva eccitazione della coscienza (sensazione, sentimento, volizione) dopo essere stata soppiantata ο resa incosciente da un’altra eccita zione, rientra di nuovo nella coscienza come copia o imi- tazione della eccitazione primitiva, per virtù della sola energia psico-centrale, vale a dire senza causazione imme- diata dello stimolo corrispondente alla eccitazione primi- tiva ». — La riproduzione di uno stato di coscienza passato può essere volontaria e automatics ο spontanea ; nel primo caso è l’effetto di uno sforzo mentale, nel secondo l’effetto immediato di una eccitazione periferica o centrale. L’ eser- cizio può rendere la riproduzione volontaria sempre, più facile, fino a farla diventare automatica. Cfr. Kant, rit. d. reinen Vern., 13 ed. p. 101; Th. Ziegler, Das Gefühl, 1893; Jodl, Lehrbuch d. Payohologie, 1896 (v. revivisoenza). Risoluzione. T. Resolution, Entechluse; I. Resolution; F. Résolution. Nel processo volitivo dicesi così il momento che segue alla deliberazione © precede l’eseourione. Esso di- cesi anche scelta ο determinazione ο decisione. Tuttavia questi vocaboli designano tanti aspetti del momento medesimo, il quale è risoluzione perchè è la forma attiva con cui si ri- Ris-Rir — 1008 — solve il conflitto dei motivi; è scelta in quanto fra tutte le diverse possibilità una soltanto è ritenuta, mentre le altre sono scartate dopo uns resistenza maggiore o minore; è determinazione perchè si designa netta I’ idea fine, emer- gente vittoriosa dal conflitto dei motivi. Nella logica di- cesi risoluzione il processo con cui si scompone un tutto nelle sue parti, o un giudizio in giudizi più semplici di cui è la conseguenza; esso è l'inverso del processo di com- posizione ο deduzione sintetica, e fu chiamato analisi (ἀνά- λυσις — scomposizione) dagli antichi geometri greci, che lo ritenevano inventato da Platone. Cfr. Wundt, Grund. d. Payohol., 1896, p. 221; Höffding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 430 segg.; Conrnot, Essai, 1851, cap. XVII, $ 259. Risultante. T. Resultanten; I. Resultani; F. Réeultant. Si dice di una forza, di una velocità, d’una accelera- zione, che può da sola sostituire più forze, velocità, e accelerazioni simultanee. Risultante di traslasione è la ri- sultante delle forze applicate a un sistema materiale, sup- poste come trasportate in uno stesso punto dello spazio. — Nella psicologia dicesi legge delle risultanti psichiche (Wundt) la legge per cui ogni fatto psicologico un po’ complicato è un prodotto della congiunzione di più elementi psichici ο quindi una sintesi psichica, analogamente a ciò che av- viene nei fenomeni chimici, in cui due sostanze congiun- gendosi insieme danno luogo a una nuova sostanza avente proprietà diverse da quelle degli elementi componenti. Ad es. la rappresentazione di spazio risulta da sensazioni mu- scolari, tattili ο visive, le quali non hanno quella proprietà spaziale che è posseduta dalla rappresentazione complessiva. Le risultanti psichiche variano naturalmente col variare dei relativi processi e sono diverse nei diversi individui. Cfr. Wundt, Grundriss d. Payohol., 1896, p. 375 (v. relazione, legge, ninteri psichica). Ritmo. T. Rhytmus; I. Rhythm; F. Rythme, Nel suo si- gnificato più stretto, è una successione di impressioni udi- — 1009 — Rir tive che variano regolarmente nella loro intensità obbict- tiva. Wundt: « Un solo e medesimo suono può esser reso più forte ο più debole. Quando tali aumenti e diminuzioni seguono con una certa regolarità P’ uno all’ altro, il suono diventa articolato ritmicamente ». In un senso più largo, il ritmo è il carattere d’ un movimento periodico, in quanto produce un effetto di bellezza o almeno di espressione. Séailles : « L'armonia dei colori è il ritmo d’ una azione, che mette in gioco le fibre ottiche senza affaticarle, per uns sapiento disposizione di intervalli di sforzo e di ripara- zione ». — Nel suo significato scientifico e filosofico il ritmo è il carattere periodico d’un processo, il modo caratteri- stico di svolgersi d’ una funzione. Per ’Ardigd la legge del ritmo è la legge universale, che domina nella natura e nel pensiero, e per la quale così in quella come in questo si verifica la varietà nell’ ordine; pensiero ed organismo co- stituiscono un unico ritmo, il ritmo pricofisico, che nella età del suo svolgersi riflette l’azione ritmica della na- tura, da cui in ultimo risulta. Cfr. Wundt, Grundzüge d. physiol. Peych., 1893, II, 72 segg.; Séailles, Le génie dans l'art, Paris, Alean, p. 236; Ardigò, Op. fl, II, 227 segg., V, 232 segg., VI, 226 sogg. Rito. T. Ritual; I. Rite; F. Rite. Un insiemo di simboli raggruppati intorno ad una idea o ad un atto religioso, allo scopo di renderne paleso il senso ο ingrandirne il ca- rattere solenne. Si ha così il rito del battesimo, il rito dei funerali, ecc. Anche il rito si ricongiunge quindi al bisogno che l’uomo prova di obbiettivare i propri sentimenti ο lo proprie impressioni. Per ciò il rito, rispetto alla religione, è stato paragonato al linguaggio nel suo rapporto col pen- siero: « Fin dal principio, dice F. B. Jevons, il bisogno e il desiderio di avvicinarsi a Dio si sono manifestati o han trovato il loro simbolo in atti ο in riti esterni. L’ espe- rienza del genere umano è la prova che i riti sono indi- spensabili, nello stesso modo e per la stesso ragione, che 64 — RANzoLI, Dizion. di scienze filosofiche. RIT — 1010 — il linguaggio è indispensabile al pensiero. Questo non si svilupperebbe se non vi fosse il linguaggio, mediante il quale il pensiero si affina al contatto col pensiero. E la religione non si è mai sviluppata, in nessun luogo, senza i riti ». I riti di tutte le religioni possono dividersi in due grandi categorie: quelli-di carattere collettivo, compiuti da un insieme di individui raccolti in assemblea (sacrifiri, danze sacre, processioni, ecc.); quelli di carattere indiri- duale, che mirano ο a propiziare la divinità ο a conse crare la fede religiosa personale (la preghiera individuale, il battesimo, la cresima, ecc.). Cfr. 8. Reinach, Culte, mythes et religione, 1905-12; F. B. Jevons, L'idea di Dio nelle religioni primitive, trad. it. 1914, p. 104 sogg. (v. ri tualismo). Ritualismo. T. Ritualismue; I. Ritualiem; F. Rituali- ame. Nella storia religiosa si rivelano due tendenzo affatto opposte rispetto alla adorazione da rendere alla divinità. L’ una consiste nell'attribuire una grande importanza al compimento delle cerimonie simboliche, che costituiscono il rito; l’altra nell’ abolire tutte le manifestazioni esterne del culto, che sono considerate come profanazioni. La prima tendenza costituisce il ritualismo ed è spiccatissima, ad es. nel? antica religio romana © nel cattolicismo, la seconda costituisce il puritanismo ο spiritualismo religioso. Quanto all'origine del ritualismo, secondo alcuni (Brinton) è da ri- cercarsi nel mito, secondo altri (Max Mtiller e gli indianisti) sarebbo dovuta a una trasformazione di antiche usanze e di pratiche magiche ; secondo altri ancora (F. B. Jevons) ogni forma di rituale, sorgendo dal desiderio dell’ adoratore di rendersi accetto al suo Dio, ha le sue origini dal sacrificio, che è appunto l’atto mediante il quale tutti gli uomini si pongono in più stretta relazione coi loro Dei. Cfr. Mettgen- berg, Ritualiemus und Romanismus, 1877; J. Marquardt, Le culte chez les Romaine, 1889; G. d’Alviella, Croyances, rites,- inatitutiona, 1911 (v. mito, religione, rito). . — 1011 — Riv Rivelazione. Lat. Revelatio ; T. Offenbarung; I. Revela- tion; Y. Révélation. In generale, ogni manifestazione o co- municazione del pensiero ο della volontà divina, operata per mezzo di agenti naturali o sovrannaturali. Dicesi ri- velazione esterna il manifestarsi della divinità sia nelle leggi ο nei processi della natara, sia nella vita dell’ individuo ο dei popoli; rivelazione interna il suo manifestarsi nella ra- gione ο nel sentimento morale degli uomini. — Secondo la dottrina cattolica, ufficio della rivelazione è di far co- noscere agli uomini i principali elementi dell’ ordine so- vrannaturale che, nel piano provvidenziale, è il fine che oceupa il primo posto perchè tutto converge verso di esso © da esso riceve la luce. La rivelazione coincide con l’ori- gine del mondo ed è data e continuata parte con parole parte con fatti, per via mediata ο per via immediata; le sue fasi sono quattro (originaria, patriarcale, mosaica e cri- stiana) © quantunque si debbano guardare come un solo tutto strettamente connesso, le tre prime non si conside- rano che come fasi preparatorio dell’ ultima, la più perfetta di tutte perchd manifestazione diretta di Dio. Così, a dif- ferenza delle rivelazioni fatte da Dio sotto l'Antico Testa- monto, la rivelazione cristiana ha por proprio carattere l’immutabilità; essa deve rimaner tale sino alla fine dei tempi, senza essere modificata da alcuna rivelazione pub- blica ο senza subire nel sno contenuto integrale alcuna alterazione sostanziale. Secondo Giustino, Dio si è servito fin dall'origine di una rivelazione generale, sia esterna sin interna; di una rivelazione speciale appare» in Mosè, noi profeti e negli uomini della scionza greca; di una rivela- zione piena ο completa mediante il Figlio suo, Con ciò In rivelazione valo come il vero elemento razionale, che però non deve esser dimostrato ma soltanto creduto; si cren così un’ antitesi tra rivelazione e conoscenza razionale, che si acnisco sompre più nei Pndri successivi, i quali insistono nel porro in Inco In necessità della rivelazione per 1’ inen- Riv — 1012 — pacità dell'anima umana, limitata all’ impressione dei sensi. a raggiungere da sola la conoscenza della divinità e della sua propria destinazione. Per Tertulliano, ad es., il con- tenuto della rivelazione non solo è soprarazionale, ma in certo senso anche antirazionale, in quanto per ragione bi- sogna intendere l’attività conoscitiva naturale dell’uomo; l'evangelo non solo è incomprensibile, ma è anche in ne- cessaria contraddizione col sapere naturale : credibile est quia ineptum est; cortum eat quia impossibile est; oredo quia abaur- dum. In seguito, con Β. ‘Tommaso, la rivelazione è ancora affermata come superrazionale, ma però in accordo con la ragione, della quale è l’ integrazione necessaria ; vien rive lato ciò che In ragione non può trovare da sè, perchè di gran lunga superiore alle sue forze. Questo concetto si regge sopra l’unità della ragione divina: in Dio non οἡ- stono due ordini di verità ma una sola, che all’ uomo è partecipata parte per mezzo della ragione, parte per mezzi della rivelazione; quindi, se le verità rivelato sono sujx- riori a quelle di ragione, in quanto emanano direttamente dalla divinità, tra le une e le altre non può esistere contra ato, perchè appoggiate entrambe sopra una ragione eterna, che è Dio; e pur essendo la rivelazione l’ultima pietra di paragone della verità, la ragione può du sò stessa preparare il cammino alla rivelazione; cos la ragione sostiene la fede, che a sua volta conferma la scienza: Minus lumen non ofa- scatur per majus, dice Β. Tommaso, sed magis augetur, ricut lumen auris per lumen solie ; et hoc modo lumen soientiae nor offusoatur, sed magie clarescit in anima Christi per lumen scientiae divinae. 1 Sociniani andarono ancora più in là; per essi nulla può essere rivelato che non sia accessibile alla | conoscenza razionale, e perciò nei documenti religiosi non si deve considerare come naturale se non oid che è razic- nalo. Con ciò la rivelazione diveniva in fondo superfina © non restava legittima che la religione naturale: © queste infatti fu il punto di partenza del deismo inglese, che spo- — 1013 — Rom gliò il Cristianesimo dei suoi misteri per ridurlo alla verità del « lume naturale >, ossia ad una intuizione filosofica del mondo. Cfr. Liicke, Versuch einer vollständingen Einleitung in dio Offenbarung, 1852; S. Ginstino, Apol., II, 8; Tertullia- no, De carne Chr., 5; Id., De pracsor., 7; 8. Tommaso, C. Gen- tiles, I, ο. 1, 11, 111, 1V, 1X; Id., Summa theol., III, qu. IX, a. 1; Laberthonnière, Saggi di filosofia religiosa, trad. it. 1907, p. 264 segg:, 295 segg.; C. Ranzoli, L'agnosticiemo nella fil. religiosa, 1912, p. 30 segg. (v. oredenza, fede, ragione, religione, fideismo, modernismo, razionalismo, tradizionaliemo). Romanticismo. T. Romantizismus; I. Romantioiem ; F. Romantieme. Nella filosofia si denomina così tutto il periodo della speculazione, specialmente tedesca, che comincia col Fichte © termina con Schopenhauer. Esso trae il suo im- pulso dalla convinzione, suscitata da Kant, dell’originalità ο dell’ attivita della natura spirituale, per cui αἱ credetto possibile di cogliere il principio unitario della realtà uni- versale e di abbracciare in un sistema solo la scienza, l’arte o la religione: « Simile ideale della conoscenza, scrive 1’ Hift- ding, può a buon diritto esser chiamato romantico. Esso rimane nelle nubi e nella lontananza, risvegliando il dosi- derio e l'entusiasmo, © agisoe più con codesta sublimità che non con la prospettiva di trovarne uns realizzaziono ra ο positiva ». Oltre all’ influsso kantiano, contribui- rono ul sorgere del romanticismo filosofico la religione, In ieuza, gli avvenimenti politici ο specialmente la lette- ratura: Novalis, il rappresentante più caratteristico della poesia romantica, considorava la poesia come l’ essenza più intima di tutte le cose e faceva della filosofia una semplice tcori della poesia. Il metodo del romanticismo filosofico fu principalmente deduttivo ο costruttivo; esso mise in evidenza molti problemi nuovi, ma fu inferiore per origi- nalità ο vigore di metodo al periodo dei grandi sistemi del secolo XVII; inoltre la sua influenza venne diminuita dalla terminologia adoperata dalla maggior parte dei filosofi Rom-Sac — 1014 — romantici, terminologia capricciosa, oscura, che rende le loro opere difficili a chi non abbia appreso a pensare in codesto linguaggio. Cfr. Höffding, Histoire de la phil. mo- derno, trad. franc. 1900, vol. II, p. 139 segg.; R. Berthelot, Le romantisme utilitaire, 1911; Windelband, Storia della filo- sofia, trad. it. 1914, vol. II, p. 233, 327, 338; F. Loliée, Hist. des littératures comparées, 2° ed., p. 295 segg. 8. Nelle espressioni simboliche delle proposizioni si usa per designare il soggetto. Nol sillogismo designa il tormine minore, che nella conclusiono fa sempre da soggetto. Nei versi mnemonici delle tre ultime figure del sillogismo cate- gorico, indica che la conversione di quel modo a un modo della prima figura, si deve fare per conversione semplice (v. figura, disamis, datisi, eco.). Sabeismo (dal siriaco tsaba = adorare). T. Sabäismur: I. Sabeism; F. Sabeieme. Antica setta filosofica e religiosa, sparsa nei paesi dell’ Oriente, la quale considerava gli astri come tante divinità, governate dal sole che è la divinità suprema. Ogni astro è costituito dall’ anima e dal corpo sì Puna che l’altro hanno sempre csistito e sempre steranno; ma soltanto la prima è di natura divina, e costi- tuisce l’anima del mondo. Cfr. Ehwolsohn, Die Ssabier und der Ssabismua, 1856 (v. elioteiemo, panteismo). Saggezza. T. Weisheit; I. Wisdom; F. Sagesse. Se non è ancora la virtù, dice il Rousseau, è almeno la via per raggiungerla. Essa è ciò cho gli antichi chiamavano pra- denza o sapienza. Per Pintone essa è una delle virtù car- dinali, sia dell'individuo sia dello Stato. Per Aristotele esistono due specie di saggezza: la speculativa (σοφία), che è sinonimo di scienza, così intuitiva come dimostrativa, e si rivolge alla natura assoluta delle cose; e la pratica (¢pévyate), che ha per oggetto i dettagli della vita e della — 1015 — Ban condotta, le relazioni contingenti e particolari dell’ espe- rienza umana. Dopo Aristotele, uno degli argomenti più discussi nelle scuole filosofiche fu di determinare il criterio della saggezza, V’ ideale del saggio, ciod dell’ uomo che deve la sua virtù, e quindi la sna felicità, soltanto al sapere; stoici, epicurei e scettici s’ aocordano nel fissare come tratto caratteristico del saggio 1’ imperturbabilità (ἀταραξία), vale a dire l'assenza dai perturbamenti prodotti dalle passioni. Ma per gli epicurei l’ imperturbabilità, e quindi la saggezza, consiste in un godimento raffinato; per gli scettici nel- l’astenersi per quanto è possibile dal giudicare e quindi anche dall’operare; per gli stoici nel vivere secondo na- tura, ossia conforme alla ragione, — Nel suo significato comune, non filosofico, la saggezza è equilibrio, misura, contemperastone di prudenza e di coraggio, di ardire ο di cautela, di temporeggiamento e di decisione ; riguarda dun- que piuttosto la ragion pratica che la ragion teorica, si basa sopra 1” esperienza del passato e la riflessione sul presente per provvedere all’ avvenire, e consiste nel cercare, trovare © porre in opera i mezzi necessari e più convenienti al- l'adempimento della virtà. Cfr. Sidgwick, The methode of ethics, 2* ed. 1877, p. 229; Wiudelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, vol. I, p. 208 segg.; C. Ranzoli, J2 caso nel‘ pensiero ¢ nella vita, 1913, p. 218 segg. (v. cardinali, pratica, prudenza, virtù). Sansimonismo. T. Saint-Simonismus ; I. Saint-Simonism ; F. Saint-Simonisme. La dottrina religiosa ο sociale di Enrico di Saint-Simon, che ebbe molti e fervidi adepti in Francia, Il sunsimonismo vagheggiava I’ istituzione di un ordino so- ciale, nel quale I’ individuo non ha altro valore che per la fanzione che compie nello Stato, vale a dire il sacerdozio, la scienza ο 1’ industria, e in cui il supremo potere è eser- citato dispoticamente dal padre, che è allo stesso tempo ro e sommo sacerdote, ed assegna a ciascuno tanto la funzione che deve esercitare nello Stato, quanto la retribuzione che San-SAT — 1016 — gli compete per la funzione esercitata. Cfr. Janet, Saints Simon et le Saint-Simonisme, 1878; Charléty, Hist. du Saint- Simonisme, 1896 (v. collettiviemo, falanstero). Sanzione, T. Sunktion ; I. Sanotion; F. Sanction. Nel suo signiticato più comune, morale e giuridico, è la reazione con la quale la società provvede alla propria conservazione e ai propri fini, contro quella violazione delle sue leggi di cui gli individui si rendessero colpevoli. In questo senso la sanzione ha un valore negativo, essendo essenzialmente una repressione. Se ne sogliono enumerare varie forme: la sanzione naturale 0 fisica, che è l'insieme delle conse- guenze buone ο cattive, che risultano dalle azioni virtuose © viziose; ha la sua origine nella naturale tendenza del- V organismo alla propria conservazione, per la quale rea- gisce col dolore a ciò che tende ad alterarlo o distruggerlo, © col piacere a ciò che può conservarlo ; la sanzione interna © della coscienza, che è costituita dal compiacimento pel bene praticato, © dal rimorso per la legge morale violata; la sanzione della pubblica opinigne, che è la stima o il di- sprezzo, la lode ο il biasimo che le azioni dell’ individuo gli meritano per parte degli altri individni; la sanzione politica, 0 penale, o delle leggi, che è preceduta dalla san- zione dell’ opinione pubblica, ed à costituita tanto dall’in- sieme delle pene per chi infrange in qualche modo (pre- stabilito) l'ordine morale e sociale, quanto dalle ricompense morali o materiali con cui è premiato chi allo stesso ordine presta utile concorso; la sanzione religiosa o superumana, derivante dai premi ο dai castighi promessi ο minaceiati dalla roligiono nel mondo ultraterreno. Cfr. Sidgwick, Me- thodèn of ethics, 2* ed. 1877, p. 229; Pope, Christian theo- logy, 1877, vol. III, p. 159; J. S. Mill, Utilitarianiem, 1879, cap. III (v. delitto, pena, responsabilità). Sapere v. opinare. ‚turazione. T. Sättigung; I. Saturation ; F. Saturation. Dicesi saturasione del colore il grado secondo il quale la sen- — 1017 — Sck sazione scromatica, o incolora, si unisce ad una sensazione cromatica. Il grado di saturazione è tanto maggiore quanto minore è la quantità della luce incolore, che entra nella combinazione. — Nella scuola criminale positiva (Ferri) dicesi saturazione oriminosa la legge per la quale in un dato ambiente sociale, con date condizioni individuali e fisiche, si deve commettere un dato numero di renti, non uno di più, non uno di meno, allo stesso modo con cui in un dato volume di acqua, ad una data temperatura, si deve scio- gliere una determinata quantità di sostanza chimica, non una molecola di più, non una di meno; ciò perchè anche il delitto è un fenomeno collegato al determinismo univer- sale, ed ha i suoi fattori necessari nelle varie condizioni dell’ ambiente fisico © sociale, combinate con gli impulsi occasionali degli individui e colle loro tendenze congenite. Cfr. Wundt, Grundriss d. Psychol., 1896, p. 68; E. Ferri, So- ciologia oriminale, 43 ed. 1900 (v. delitto, pena, responsabilità). Scetticismo (σκέπτομαι — esamino). T. Skepticiemus ; I. Soepticiem; F. Soepticieme. Si adopera nel linguaggio co- mune per indicare la tendenza a dubitare, o la mancanza di fiducia nella verità di una data affermazione, dottrino, previsione, o la negazione dei principi ammessi dal maggior numero. Ma nel suo significato preciso, esso designa il dub- bioesteso deliberatamente, sistematicamente, a tutti quanti gli oggotti della conoscenza umana, © quindi la sospensione di ogni nostro giudizio intorno ad essi, Nella storia del pen- siero filosofico si contano varie forme di scetticismo, co- minciando da Pirrone, Protagora e Sesto Empirico, venendo fino al Montaigne; ina tutte si fondano ugualmente sopra la tosi fondamentale della impossibilità di un criterio as- soluto della verità, essendo la ragione condannata per sun natura alla contraddizione, e mancando ad ogni modo un qualsiasi testimonio che provi la legittimità della ragione stessa. La conclusione di tutto lo scetticismo antico i rias- sunta in quella che si disse l’ isostenia delle ragioni, ο cioò Scu — 1018 — l'equilibrio e la forza uguale delle ragioni pro e contro, intorno a qualsiasi oggetto. E il Montaigne dimostrava così l'inesistenza di un criterio assoluto per lo conoscenze sensibili © razionali: « per giudicare delle apparenze cho noi riceviamo dagli oggetti, ci sarebbe necessario nno stru- mento giudicatorio; per verificare questo stromento ci è necessaria una dimostrazione; per verificare la dimostra- zione uno stromento.... Poichè i sensi non possono arre- stare la nostra disputa, essendo pieni essi medesimi di in- certezza, occorre che ciò faccia la ragione; ma nessuna ragiono si stabilirà senza ragione, ο così via via all’ infi- nito ». Ai nostri giorni, se è possibile lo scetticismo come tendenza dello spirito, non è più possibile come dottrina, essendo dimostrata In possibilità della scienza a malgrado della relatività della conoscenza, anzi in grazia di questa relatività stessa, poichò la scienza è del relativo non del- P assoluto. — Soetticiemo oritico fu detto quello contenuto nella critica della ragion pura, o anche sostticiemo trasoen- dontale perchè trnpassava i limiti della pura esperienza esterna; e scetticismo mistico quello di chi nega alla ragione ogni possibilità di conoscere il vero, riponendola invece nella fede, nella rivelazione sovrannaturale. Occorre però distinguere lo scetticismo dal misticismo © dalla sofistica : tutti tre sono sistemi negativi rispetto alla conosconza, ma mentro il primo tiene la ragione incapace della verità, il terzo afferma la ragione indifferente alla verità, ο il so- condo nega alla ragiono il potere di raggiungere la verità suprema, trasferendo tale potere nel sentimento ο nella fede. Cfr. R. Richter, Der Skeptiziemus in d. Phil., 1904; C. Stumpf, Vom eblischen Skept., 1909; Credaro, Lo scetticismo degli accademici, 1889 (v. dommatismo, dubbio, pirronismo, tropi, relatività, sokepsi, scienza, setetica). Schema, Schematico (σχῆμα - figura). T. Schema; I. Schema; F. Schöme. Per Kant gli schemi sono quelle rap- presentazioni o concetti che servono da intermedi fra le — 1019 — Scu dodici categorie - che non possono applicarsi direttamente ai sensibili - e i sensibili stessi. Gli schemi, forme pure del tempo e perciò di natura sensibile, sono tuttavia omogenei alle categorio. Ed è appunto dalle categorie e dagli schemi corrispondenti che derivano quei principî dell’ intelletto puro, coi quali noi intellettualizziamo le intuizioni empi- riche, traendone le cognizioni. — Alcuni psicologi chia- mano schemi fantastici, distinguendoli dai concetti, quelle imagini, assai povere di contenuto, le quali contengono so- lamente le parti identiche di moltissime altre (ad es. l’ima- gine di casa, di albero, ecc.). La loro formazione è spiegata comunemente col fatto che gli elementi comuni, fissati dalla ripetizione e fusi in uno, si mantengono intensi e vivi, mentre gli elementi diversi a poco a poco se ne staccano ο scompaiono. — Si dicono schematiche quelle rappresenta- zioni non identiche alle effettive, ma che hanno soltanto con esse maggiore o minore somiglianza, in quanto ne rac- colgono i tratti caratteristici. Servono a scopo diduttico, poichò giovano a mettere sott’ occhio l'essenziale di una cosa, lasciando da parte l'accessorio, che può nuocere alla chiarezza di quello che si deve specialmente considerare e ritenere. Oltre la figura schematica propriamente detta, si ha la figura simbolica, che ne differisce in quanto casa rap- presenta l’oggetto con un segno che può differire anche totalmente, e che ha solo un valore convenzionale (ad es. la bandiera con oui si rappresenta la patria). Una terza specie di rappresentazione schematica è In simbolico-ipotetica, nella quale il simbolo rappresenta una cosa che non si è certi che sia in realtà, ma solo si suppone. Così, ad es. il chi- mico rappresenta gli atomi, che non ha mai veduto, me- diante un piccolo cubo, e, disegnandoli variamente dispo- sti, rappresenta la molecola secondo la specio degli atomi componenti e secondo il numero loro per ogni specie. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Fern., od. Kehrbach, p. 142-149; A. Riehl, Die philos. Kriticiemus, 1887, II, 11, p. 61; Ardigò, Scr — 1020 — La wiensa dell’ educazione, 1893, p. 151 segg. (v. simbolo, ca- tegorumeni, conoetto, dissociazione). Schematismo. T. Schematismus ; I. Schematiom ; F. Sché- matieme. La dottrina kuntiana dell’ uso dell’imaginazione truscendentale como intermedia tra la sensibilità e I’ intendi- mento. Kant distingue i giudizi della percazione (Wahrnem- ungeurteile), in cui non viene espresso che il rapporto spa- ziale o temporale delle sensazioni per la coscienza individuale, ο i giudizi dell esperienza (Erfahrungeurteile) in cui un simile rapporto viene affermato come obbiettivamento valido, come dato nell'oggetto stesso; la differenza tra lo due specie di giudizio è provata dal fatto, che nei secondi il rapporto spa- ziale o temporale è regolato per mezzo d’una categoria, ciod d’un nesso concettuale, mentre nei primi manca. Ed è così che, di fronte al meccanismo della rappresentazione, in cui le singole sensazioni si riuniscono o si separano a piacero, il pensiero oggettivo, valido ugualmente per tutti, è legato con nessi doterminati e concettualmente regolati. Questo vale specialmente per i rapporti temporali. Tutti i fenomeni si trovano infatti sotto la forma del senso in- terno, del tempo, in quanto anche i fenomeni del senso esterno appartengono all’interno come determinazioni del- l'animo nostro (Bestimmungen unsere Gemüle). Perciò Kant dimostra che tra le forme dell’ intuizione del tempo e le categorie c’ à uno schematismo, che solo rendo possibile di applicare le forme dell’intelletto ni prodotti dell’intuizione, © che consiste nel fatto che ogni categoria ha una somi- glianza schematica con ogni forma particolare del rapporto temporale. Nella conoscenza empirica noi ci serviamo di questo schematismo per significare il rapporto temporale percepito medianto la corrispondente categoria. Invece la filosofia trascendentale deve cercare la giustificazione di questo procedimento nel fatto, che la categoria come regola dell'intelletto fonda obbiettivamente il corrispondente rap- vorto temporale come oggetto dell’ esperienza. Cfr. Kant, 1021 — Scr-Ser Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 142 segg.; W. Jeru- salem, Die Urteilsfunction, 1895, p. 170 (v. eriticiemo, in- tuizione). Schepsi (σχέφις = dubbio, indagine). O anche scepsi. Designa in generale il dubbio degli scettici. Più propria- mente, secondo lo Zeller, è la neutralità fra le opposte dottrine, ritenendo di entrambe quello che hanno di comune tanto nel principio quanto nel termine, cioè l’ astratta indi- vidualità che vuol riposare in sò stessa. L’ Herbart chiama schepsi la riflessione dubitativa che deve servire di prepa- razione alla filosofia, e la distingue in sohepsi inferiore, che pone in dubbio la natura delle cose, e schepsi superiore, che ne pone in dubbio anche il dato; colla prima ci per- suadiamo che difficilmente possiamo riuscire coi nostri sensi & formarei una esatta nozione di ciò che sono le cose, colla seconda ci persuadiamo che le forme dell’ esperienza sono date realmente, ma ci somministrano delle idee contrad- ditorie. Cfr. Herbart, Einleitung in die Philorophie, 1813; Schwegler, Geschichte d. Phil., ed. Reclam, p. 386-7 (v. dom- matismo, dubbio, tropi, scetticismo). Sciamanismo, T. Schamanismus; I. Shamaniem ; F. Cha- manisme, Setta religiosa © sacerdotalo della Siberia, ai cui misteri religiosi non si è iniziati che dopo un lungo e strano noviziato, sotto la direzione di speciali ancerdoti (shamans). Siccome codesta religione consiste ersenzial- mente nel culto degli spiriti, così tutte le religioni ani- mistiche furono classificato sotto la categoria dello sciama- nismo. Cfr. Tylor, Primitive culture, 1877 (v. animismo). Scienza. T. Wissenschaft; I. Science; F. Science. Nel suo senso generale equivale a conoscenza; in un senso più ri- Stretto è un insieme o l’insieme delle conoscenze logica- mento coordinate. Cr. Wolff lo definisco habitum anserta de- mostrandi, hoo est, ex principiis certis et immotis per legitimam conaequentiam inferendi. Per Kant « dicesi scienza ogni dot- triua che costituison un sistema, cioò una totalità di co- Scr — 1022 — noscenzo ordinate in base a principi ». Per lo Spencer è «la conoscenza parzialmente unificata >. Fu definita dal Naville come lo stato del pensiero che possiede la verità; ha per condizione il dubbio filosofico, ossia lo spirito di esame. La scienza infatti non può essere nò uno stato del sentimento nè uno stato della volontà; e perchè il pensiero progredisca nel possesso della verità, è necessario che non s' accontenti delle apparenze ma le sottometta ad essine, cioè le interpreti con la ragione; che ogni affermazione di fatti sin sottomessa alla critica, 6 che lo dottrine ammesso siano abbandonate quando non forniscono più una espli- cazione dei dati dell’ esperienza. Essa ha due scopi: uno teorico e speculativo, cio la conquista e il possesso della verità, uno pratico e utilitario, ossia le infinite sue appli-cazioni alla industria. Aristotelo fu il primo ad occuparsi della natura della scienza, determinandone con grande chiarezza il metodo, l'essenza e 1’ oggetto. Secondo il filo- sofo greco, il primo carattere della scienza è il suo dif- ferire dalla semplico esperienza: questa è fondata sulla sensazione, l’imaginazione © In memoria, non conosce che il particolare, non coglie la causa e In prova dei fatti; quella ha un carattere generale, impresso dall’ intelletto attivo agli elomenti forniti dalla sensazione all’ intelletto passivo, per cui la scienza fornisce la prova di ciò che avanza. La prova si fa per merzo della dimostrazione, cioè modiante il ragionamento di cui la forma è il sillo- gismo. Oltre i principi generali, forniti dall’ intelletto at- tivo, e dai quali ogni scienza particolare deduce le conre- guenze, vi sono dei principî che dominano tutte le scienze ο i principi di tutto le scienze: sono gli assiomi, o verità evidenti, il più importante dei quali è il principio di con- traddizione. Oltro ad aver determinato la natura della scienza, Aristotele fu pure ricercatore ed osservatore me- raviglioso: ma sia per il fondamento puramente deduttivo dato alla riceren wrientifien, sin por altre cause di varia — 1023 — Set natura, nd l’antichità greca e latina, nd l'età di mezzo ebbero vera e propria scienza. Soltanto nel rinascimento, caduto il principio di autorità, sostituiti, nello studio della natura, l'osservazione, 1’ esperimento ο l’ induzione ai me- todi deduttivi ο aprioristici, il sapere scientifico potd costi- tuirsi e progredire. Nello sviluppo del metodo delle scienze naturali conversero allora le due direzioni dell’ ompirismo e della teoria matematica; Bacone pose il programma della filosofia dell'esperienza, Descartes abbracciò il movimento scientifico del sto tempo in una nuova fondazione del ra- zionaliemo, riempiendo il sistema concettuale scolastico col ricco contenuto delle scoperte di Galileo. Bacone insegna come la mera experientia, la sola scientificamente utile, debba essere depurata dalle aggiunte erronee ond’è inquinata, come l’induzione sia il solo modo esatto dell’ elaborazione dei fatti e col suo aiuto si debba procedere agli assiomi generali, per potere con questi spiegare deduttivamente altri fenomeni. Leonardo intravede che il vero ufficio del- P induzione naturalistica consiste nel trovare quel rapporto matematico, che è costante in tutta la serie dei fenomeni di determinata misura; Keplero scopre, mediante una gran- diorn intuizione, le leggi del movimento dei pianeti, cho confermano nella convinzione dell’ ordine matematico del- VP universo; Galileo, con intuito metodico assai più pro- fondo di Bacone, crea la meccanica, quale teoria mate- matica del movimento, investigando col metodo rieolutiro i processi più semplici matematicamente determinabili, ο dimostrando nel metodo compositivo che la teoria matoma- tica, col presupposto degli elementi semplici del movimento, porta agli stessi risultati che presenta l’esperienza. Carte- sio, partendo dalla convinzione che Ja coscienza razionalo è la matematica, aggiunge ai pensieri metodici di Bacone ο di Galileo questo postulato: cho il metodo indnttivo © risolutivo debba condurre ad un unico principio di an- proma ed assolnta certezza, partendo dal quale tutta Pexpe- Scr — 1024 — rienza trovi, grazie al metodo compositivo, la sua per- fetta spiegazione. Il cogito ergo sum di Cartesio ha infatti non tanto il significato di esperienza, quanto quello di prima fondamentale verità di ragiono, la cni evidenza è quella di una immediata certezza intuitiva; il metodo ana- litico cerca qui, come in Galileo, gli elementi semplici, intelligibili per sò stessi, coi quali tutto il resto deve esser spiegato, ma invece di trovarli nelle forme semplici del movimento, li scopre nelle verità elementari della coscienza. Per Kant la scienza della natura ha bisogno, oltre alla sua base matematica, d’ un certo numero di principi universali intorno al nesso dello cose, i quali sono di natura sinte- tica ο perciò non possono fondarsi sull’ esperienze, anche so per via di questa arrivano alla coscienza; in altre pa- role, anche per Kant il cémpito della scienza natarale è la riduzione galileiana dell’ elemento qualitativo al quan- titativo, in cui solo può trovarsi necessità ο validità uni- versale su base matematica, ma questa rappresentazione matematica della natura è per Kant fenomeno essa pure. perchè spazio © tempo, se hanno realtà empirica, hauno idealità trascendentale. La natura, infatti, non è un puro aggregato di forme spaziali e temporali, ma un nesso che noi intuiamo sensibilmente, è vero, ma che nello stesso tempo pensiamo mediante concetti; se la natura, come og- getto della nostra conoscenza, fosso un nesso reale delle cose indipendente dalle nostre funzioni razionali, se essa stessa prescrivesse le eue leggi al nostro intelletto, noi non ne avremmo che una conoscenza empirica, insufficiente ; possiamo avero invece una conoscenza universale © neces- saria, in quanto le nostre forme concettuali della sintesi doterminano la natura stessa, in quanto cioè è il nostro intelletto che prescrive ad ossa lo suo leggi. Ma questa è la natura solo in quanto essa appare al nostro pensiero. quindi una conoscenza a priori della natura è possibile solo so anche il nesso, che noi pensiamo fra le intuizioni, — 1025 — Sor sia nd più nd meno che il nostro modo di pensare la na- tara: anche i rapporti concettuali, in cui la natura è og- getto della nostra conoscenza, nom possono essere che fe- nomeni. I concetti riassuntivi del pensiero contemporaneo, risultato della critica kantiana, intorno alla natura, ai limiti, all'oggetto ο al valore della scienza, possono ridursi a tre: 1° la scienza umana riguarda soltanto i fenomeni, vale a dire il campo del sensibile; ciò è la conseguenza della ne- gazione della possibilità di una conoscenza a priori tra- scendente l’esperienza; 2° la scienza non è una trascrizione della realtà ma una costruzione ideale, astratta, e il suo va- lore consisto nell’ essere i suoi astratti generali una trasfor- mazione dei concreti sensibili, dei fatti reali, per cui il mondo del senso si trasforma nel mondo del pensiero, il particolare nell’ univorsalo; 3° il valore della scienza, © la sua certezza, consistono appunto nell’ essere lo sue astra- zioni costituite dagli elementi dell’ esperienza sensibile, nei quali possono essere risolti e dai quali traggono la loro verità, — Dicesi dottrina della scienza media, la dottrina con la quale il Molinos, e i Gesuiti in generale, tentano conci- liare la libertà del volere umano con la provvidenza e la prescienza divina. Dio non conosce soltanto ciò che è sem- plicemente possibile e ciò che avviene attualmente, ma co- nosce anche ciò che è condizionatamente possibile, vale a dire ciò che sta fra la pura possibilità e l'attualità: la prima è in Dio semplice intelligenza, la seconda è visione, la terza è scienza media o condizionata. Le azioni umane sono di questa terza specie, cioè condizionatamente pos- sibili: tuttavia sono libere, ο Dio, che le ha prevedute, predispone anche la grazia che spetta a ciascuna di ease. — Con l’espressione Wissenschaftslehre, dottrina della scienza, il Fichte indicò il proprio sistema, in quanto esso è co- struito sopra una riflessione avente per oggetto le fasi im- manenti di sviluppo del sapere: « La dottrina della scienza dev’ essere una storia pragmatica dello spirito umano ». 65 — RanzoLI, Dirion. di scienze Alosoficha. Sco — 1026 — L’ espressione è poi rimasta nel linguaggio filosofico, ma con diverso significato : con essa infatti si designa oggi ciò che dicesi anche episfemologia, ossia lo studio dei principi comuni delle scienze, dei loro oggetti e dei loro metodi. Cfr. Aristotele, Anal. post., I, 3, Τ1 a, 21; Id., Met., I, 9812, 5; Cr. Wolff, Logica, 1732, Disc. prael. $ 30; Kant, Me taph. Anfangegrinde d. Naturwissensohaft, 1786; H. Cohen, Kante Theorie à. Erfahrung, 1871; E. Naville, Nouvelle class. des soienoes, 33 ed. 1901 ; Pearson, Grammar of science, 33 ed. 1899; L. Favre, L'organisation de la science, 1900 ; Poincaré, La valeur de la science, 1908; C. Frenzel, Ueber die Grudla- gon d. exaoten Naturwissenschaften, 1905; F. De Sarlo, Le modificazioni nella conossione della scienza, « Cultura filoso- fica », maggio 1907 (v. dommatiemo, economica teoria, empi- riocriticismo, ipotesi, legge, filosofia, metafisica, classificazione dello scienze). Boolastion. T. Scholastik; I. Soholastio; F. Soolastique. Il secondo dei due grandi periodi in cui dividesi la filosofia medievale, e va dall’ 800 al 1400; il primo è rappresentato dalla Patristica, Questo secondo periodo, che #’ inizia con Scoto Erigena, distinguesi nettamente dal primo, poichè mentre i Patres eoolesiae movevano direttamente dalla rive- lazione, i dootores della Scuola prendon le mosse dal domms, vale a dire dalla rivelazione già elaborata; mentre i primi avevano rivolto ogni loro studio nel formulare un domma solo, i secondi mirano a organizzare l’insieme dei dommi; mentre la Patristica si svolse massimamente tra i popoli dell’ Oriente, la Scolastica si svolse tra i popoli dell’ Ocei- dente, ed ebbe per centro Parigi. Però così l'una come l’ altra dottrina s'accordano in un punto: nel prendere cioè le mosse da una proposizione imposta e accettata como verità assoluta, Rispetto alla filosofia dei Santi Padri quella della Scuola rappresenta, secondo alcuni, un regresso. in quanto è ancora più schiava della religione, e fa nm parte ancora minore alla ragione e alla scienza. Secondo — 1027 — Sco altri rappresenta invece un progresso, in quanto comincia col porre una distinzione tra il domma, o l'oggetto, e il sapere soggettivo ο il ragionamento, ο quindi tra il cre- dere e l’intendere: da ciò lo sdoppiamento dell’ unica ve- rità in verità di fede e verità di ragione, le quali, dopo essere procedute d’accordo per un certo tempo, daranno poi luogo alla lotta che finirà con la vittoria definitiva della ragione. La Scolastica si divide in tre periodi: il _ primo va da Scoto Erigena a S. Anselmo di Aosta, od è caratterizzato dalla prevalenza data alla ragione sulla fede; nel secondo, che va da S. Anselmo a Duns Scoto, è dato invece il primato alla fede sulla ragione; il terzo va da Duns Scoto a Occam, e rappresenta la dissoluzione della Scolastica, Più fiorente di tutti è il secondo periodo, in cui endono le controversie tra realisti e nominalisti ed ha per massimo rappresentante S. Tommaso d’Aquino. Cfr. Karl Werner, Die Scholastik d. apat. Mittelalters, 1881; A. Stökl, Geschichte d. Phil. d. Mittelalters, 1864-66; B. Hau- réan, Histoire de la phil, scolastique, 1872; De Wulf, Histoire de la phil. médiévale, 4* ed. 1912. Bootismo. T. Scotiemue; I. Scotism; F. Scotieme. Il si- stema e la scuola filosofica di Giovanni Duns Scoto; si oppone al tomismo, sistema 9 scuola di Β. Tommaso. Lo scotismo è caratterizzato dalla tendenza a separare profon- damente la teologia, disciplina pratica, dalla filosofia, pura teoria; a porre il principio d’ individuazione non già nella materia, come Β. Tommaso e Aristotele, ma nella forma, in quanto afferma esistere in ogni essere, distinti I’ uno dal- l’altro non solo virtualmente ma formalmente, il carattero generale, lo specifico e l’individuale, ossia ciò che lo Scoto chiama haeoceitas © che fa essere un individuo quel tale e determinato essere. Ma ciò che distingue ancora più pro- fondamente lo scotismo dal tomismo è il suo indetermi- nismo volontaristico, che 8’ oppone al determismo intellet- tualistico di 8. Tommaso, Secondo quest’ ultimo l’intelletto Sco — 1028 — è quello che comprende ciò che è bene, e siccome la volontà ‘ tende necessariamente al bene, così la volontà dipende dal- 1 intelletto ; invece per lo Scoto la volontà, essendo la forza fondamentale dell'anima, non subisce la costrizione dell’in- telletto, bensì determina essa lo sviluppo delle attività in- tellettive, intervenendo a rendere chiare ed intense quelle tra le rappresentazioni alle quali essa rivolge la sua atten- zione: la volontà, non l'intelletto, è sempre rivolta al bene come tale, e solo cémpito dell’ intelletto è dimostrare dove il bene sin nel caso singolo. Cfr. W. Kahl, Die Lekre rom Primat des Willene bei Augustinus, Dune Sootus und Descartes, 1886; H. Siebeck, Die Willenslehre bei Dune Scotus und seinen Nachfolgern, in « Zeitschr. £. Philos. u. philos. Krit. », vo- lume 112, p. 179 segg. (v. indiriduazione, intollettualiemo, rolontariemo). Scotomi. Specie di allucinazione delle vista, per cui gli oggetti appsiono di color nero ο si vedono macchie nera- stro immobili; è dovute all’alterasione di una parte più o meno estesa della retina, In altri casi, per alterazioni centrali, si ha il cosidetto scotoma scintillante (blindheadache degli inglesi); l’individno crede di vedere una specie di atmosfera in movimento circoscritta da lineo speszate © colorate, oppure una pioggia di scintille o figure simili a ruote infuocate, ο più spesso linee luminose a zig-zag, come oro splendonte e stendentesi a poco a poco alla linea mediana, che di rado oltrepassano. Cfr. Wundt, Grundsüge d. physiol, Peyohol., 1902, vol. II (v. illusione). Scozsismo. T. Soottischo Philosophie; I. Scottish Philo- aophy; F. Philosophie écossaise. O filosofia scossese, 0 ancora filosofia del senso comune; scuola fondata nel settecento da Tommaso Reid, e continuata dal Ferguson, Dugal Steward, Tommaso Browe e William Hamilton (1788-1856). I concetti fondamentali di questa scuola si possono riassumere così: gli oggetti esterni ci sono dati da un suggerimento imme- diato sn cui si fonda la nostra certessa; codesto suggeri- — 1029 — Scu-Sec mento è il senso comune, i cui principi sono accettati natu- ralmente e spontaneamente da tutti gli uomini; la filosofia e la scienza debbono procedere con metodo sperimentale, ο la prima si costituisce stadiando con l’introspezione le cause e le leggi dei fatti interni. Cfr. Mac Cosh, The soot- tish philosophy, 1875; E. Grimm, Zur Gesch. des Erkenntnis- problem von Bacon su Hume, 1890; G. L. Arrighi, L'equiroco fondamentale della filosofia scozsese, « Cultura filosofica », mag- gio 1913 (v. peroasionismo, concezioniemo). Scuola (la). Talora si designa con questo nome la filo- sofica scolastica, che viene anche indicata con l’ espressione filosofia della souola. Secondarie (qualità). T. Secunddren Qualitäten; I. Se- cundary qualities ; F. Qualités seoundaires. Le qualità primarie dei corpi sono quelle senza le quali i corpi non possono con- cepirsi, come la figura, la estensione, la resistenza. Le se- condarie sono quelle che si possono sopprimere, senza sop- primere nello stesso tempo la nozione dei corpi, come il sapore, 1’ odore, il colore. Secondo il Locke, le qualità primarie appartengono ai corpi in sò, © di esse le nostre sensazioni costituiscono le copie fedeli; le secondarie sono invece relative, sono copie senza originali, poichè nei corpi nulla v'è di simile. Si dicono secondarie immediate se si rife- riscono a noi, e tali sono tutte le qualità senbibili; secon- darie mediate se si riferiscono tra loro, e tali sono le forze, ciod le relazioni che intercedono tra le qualità di un corpo e quelle di un altro. La distinzione fra le qualità primarie ο realmente esistenti e le secondarie o relative risale agli atomisti greci. Hamilton pose come intermediarie fra le qualità primarie e le secondarie un nuovo gruppo di qua- lità, ch’ egli denominò secondo-primarie; esse sono costi- tuite dalle proprietà meccaniche delle cose, come la massa © la resistenza, e vengono conosciute sia immediatamente, come oggetti di percezione, sin mediatamente come cause di sensazioni. Cfr. Locke, Essay, 1879, IT, cap. 8, 48, 9, 10; Βκο-θκα — 1030 — Hamilton, Dissertations on Reid, 1863, vol. II, p. 845 seg. (v. qualità). Secundum quid. Termine degli scolastici, con cui de- signavano il senso particolare o il particolare rispetto se- condo il quale un vocabolo è preso. La cosa considerata sotto un rispetto particolare rimane limitata e ristretta, quindi ciò che convieno a questa in quanto è così ristretta non conviene sempre alla cosa presa semplicemento ; molti sofiemi si fondano infatti su questo cangiamento di senso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 1740. Segmentale (ieoria). La dottrina fondata nel 1827 da Moquin Tandon e Dugèt, secondo la quale gli animali ri- sultano da una serie di aggregati morfologici complessi. zoomiti 0 metameri, ciascuno dei quali rappresenta e ripete in compendio l’organizzazione dell’ animale a cui appar- tiene. Essa ha assunto oggi importanza anche psicologica. per il fatto che si cerca di spiegare con essa i fenomeni di disgregazione della personalità, di sdoppiamento della coscienza, d’ipnosi sperimentale, nonchè i rapporti che normalmente interoedono in ogni individuo tra io sabeo- sciente ο subliminale © io cosciente o supraliminale. La dottrina segmontalo ha le sue basi nell’ anatomia ο nel- l’ombriologia: il sistema osseo © muscolare, il sistema nerveo © la cute dei vertebrati, presentano nei primi stadi di sviluppo ο in tutta la vita, in alcune parti o in tutto l'organismo, una divisione più o meno manifesta in seg- menté simili disposti in serio lineare, Salendo In scala ani- male I’ unificazione dei vari segmenti, operata specialmente dal sistema nervoso, si va facondo sempre maggiore fino a raggiungere il suo massimo nell’uomo; ma anche in esso la centralizzazione dei segmenti da cni originariamente de- riva l’encefalo, se quasi completa dal punto di vista ana- tomico, è imperfettissima dal punto di vista fisiologico, come è mostrato dalla moderna dottrina delle localizzazioni cerebrali. Questa incompleta coordinazione funzionale dei — 1031 — Ska segmenti che concorrono a formare la personalità unitaria, si rivela psicologicamente nei fenomeni sopra ricordati, e nelle incoerenze e irregolarità di condotta e di carattere proprie specialmente della prima gioventù, quando l’atti- vità funzionale dell’ encefalo è ancora incompleta. Cfr. Max Dessoir, Das doppelt-Ich, 1896; Boris Sidis, Studios in montal dissociation, 1902; Luciani, Fisiologia dell’uomo, 1913, vol. IV. Segni locali. T. Lokalzeichen ; I. Local sign; F. Signes locaux. Lu dottrina con cui prima il Lotze, poi il Wundt cercarono di spiegare la localizzazione della sensazione v della percezione. Ogni percezione 0 sensazione è riferita a una certa parto del corpo, se tattile o interna, e a una certa parte del campo visuale se visiva. Perchè ciò av- venga, bisogna che ogni punto della pelle ο della retina abbia un carattere proprio, e si distingua qualitativamente da ogni altro punto. Ora, codesto carattere speciale, che dà alla sensazione il posto particolare e determinato che l’eccitazione viene a colpire, è quello che il Lotze chiama segno locale della sensazione. Esso non è altro che una sensazione secondaria, che accompagna la sensazione prin- cipale, e che varia col variare del punto toccato dalla eccitazione. In quanto al tatto, i segni locali sarebbero determinati, secondo il Lotze, dalla differenza di spessore © di tensione della pelle; per la vista consisterebbero nelle impulsioni motrici che variano secondo ogni punto, e che tendono a volgere l’occhio in modo che la eccitazione lu- minosa cada sulla fossa centrale. Cfr. Lotze, Mikrokormus, 1884, I, 332segg.; Id., Medicinische Psychologie, 1852, p. 296 segg.; Helmholtz, Physiol. Optik, 1886, p. 539 segg.; Wundt, Grundriss &. Peyoh., 1896, p. 129 segg. (v. atlante). Segregazione (teoria della). La teoria che Maurizio Wagner voleva sostituire a quella della selezione naturale, da lui ritenuta insufficiente a spiegare I’ origine delle forme organiche. Quando un gruppo di individui, che offrono fra loro certe particolari analogie fisiologiche ο morfologiche, SEL — 1032 — emigra dalla madre patria in altri pnesi, si forma da ου- desto gruppo una nuova specie con un processo di segre- gazione ο di isolamento naturale; ciò per le diverse cou- dizioni di vita ο per la necessità di riprodursi mediante unioni che sccentuano sempre più quelle date particolarità. Più che una teoria a sè, i biologi considerano questa del Wagnor come una integrazione della teoria darwiniana della selezione naturale. Cfr. M. Wagner, Die Entstehung d. Arlen durch räumlichen Sonderung, 1889 (v. atlante). Selezione. T. Auswahl, Selektion ; I. Seleotion; F. Sélec- tion. Significa in generale scelta, in particolare il processo onde, nella lotta per 1) esistenza che gli organismi devono sostenere per la sproporzione completa fra il loro acere- scimento e la misura del mezzo di nutrizione disponibile, sopravvivono quelli la cui variazione è rispetto ad essi fa- vorevole, cioè conforme allo scopo. La selesione artificiale è la scelta con la quale gli agricoltori e gli allevatori per- fezionano le razze vegetali e animali. Essa si fonda su due proprietà fondamentali degli organismi, la variabilità ο l'ere- ditarietà : fra gli individui di una specie alcuni presentano più degli altri la prevalenza di dati caratteri ; sciogliendo per la riproduzione soltanto questi individui, dopo un certo numero di generazioni, in base alla eredità che accumula € trasmette, si avranno prodotti in oni tali caratteri sono al massimo grado spiccati. Accanto alla artificiale, Darwin ha mostrato esistere anche una selezione naturale, determi- nata dalla « lotta per lu vita » che rappresenta nella natura cid che nella selezione artificiale è rappresentato dalla vo- lontà deliberata dell’uomo: ogni organismo, sia animale cho, vegetale, deve lottare per raggiungere le necessarie condizioni di esistenza; in tale lotta sopravvivono e si ri- producono soltanto gli individui più adatti, cosicchè nella serie delle generazioni si hanno individui che presentano progressivamente caratteri sempre più perfetti. Casi par- ticolari della solezione naturale sono: In selezione aresale. — 1033 — SEM determinata dalla lotta fra i concorrenti per ottenere gli animali dell’ altro sesso; la selezione omooroma, che deter- mina in molti animali la stessa colorazione dell’ ambiente in cui vivono; la selezione cellulare, data dalla lotta fra le cellule d’uno stesso individuo, per cui sopravvivono i tes- suti ο gli organi più adatti. Il Weismann distingue la ee- lesione personale © la selezione di gruppo: la prima è il so- pravvivere di individui forniti di caratteri d’ adattamento sufficienti a renderli capaci di sfaggire all’ eliminazione, la seconda il sopravvivere di gruppi animali in virtù di adat- tamenti risultanti da relazioni coordinate nel gruppo stesso. Il Weismann chiama selezione germinale il fatto che nella sostanza germinale i « determinanti » di certi caratteri assorbono nutrimento più rapidamente di quelli di altri caratteri e producono in tal modo discendenti più forti. Il Baldwin chiama selezione funzionale il processo con cui gli individui, mediante prove ripetute ed errori, giungono a compiere quei movimenti con eni possono ottenere utili risultati. Cfr. Darwin, Origin of species, 1859; Weismann, Das Keimplasma, eine newe Theorie der Vererbung, 1894 ; Baldwin, Developement and evolution, 1902; Plate Ludwig, Ueber die Bedeutung des darwinischen Belektionsprinzip, 1903; P. Jacoby, Études sur la selection, 2* ed. 1905. Semantica o Semasiologia. T. Semantik; I. Seman- tice ; F. Sémantique. Detta anche semiotica dal greco σῆμα = segno. È la dottrina del significato storico delle parole, la ricerca sistematica delle variazioni e dello sviluppo del senso dei vocaboli. Nella medicina semiotica ο semiologia è la scienza dei segni ο sintomi delle malattie. Locke usò la parola se- miotica in un senso più largo, ciod quale scienza dell’uso © del significato delle parole © dei segni in generale. Con l’espressione concezione semiotica della conoscenza si indicano tutte le dottrine gnoseologiche, le quali non identificano la conoscenza con la realtà, nè la considerano come un’ ar- bitraria costruzione della mente, ma la rignardano come SEM — 1034 — un segno mentale rispetto a ciò che è posto como indipeu- dente dal soggetto conoscente, segno costituito di processi e forme logiche (concetti, giudizi) che si formano natural- mente ο in virtà dei quali la realtà diventa intelligibile; ver tale dottrina la conoscenza è dunque diversa da ciò cho semplicemente è, ma è connessa organicamente con la realtà, in quanto per opera sua la realtà stessa (che è cono- scenza solo potenzialmente, civd attitudino ad essere cu- nosciuta) diventa di fatto conoscenza: in altre parole la realtà, pure non assorbendosi nella nostra rappresentazione mentale, pnd essere raggiunta solo attraverso tale rappre- sentazione e deve quindi possedere certe condizioni, lo quali, trovandosi in rapporto con la mente, dànno la conoscenza: «Il progressivo sviluppo della conoscenza, dice il De Sarlo, è determinato dal bisogno di fissare tutto ciò che vi ha di conforme alla ragione, o quindi di assimilabile da essa, mediante la traduzione in rapporti razionali della realtà, presa questa nel più largo senso... Trovare nella realtà ciò che la monte s'aspetta ed esige da essa, eoco il eém- pito della scienza nel suo divenire. Il che però non vuol dire che lu scienza 8 misura che diviene più profonda e completa, non riconosca l’ impossibilità di risolvere la realtà nell’ intelligenza ο di cancellare ogni differenza tra cono- scenza od obbietto, tra pensiero ed essere ». Cfr. Locke, Eway, 1877, 1. IV, cap. 21, $4; Trench, Study of words, 1888; Bréal, Essai de sémantique, 1901; Fries, System der Logik, 1837, p. 370; Do Sarlo, 1 problemi gnoseologioi nella filosofia contemporanea, « Cult. filosofica », novembre 1910. Semetipsismo. T. Solipsismus; F. Soliprism; F. So- lipsieme. O psicomonismo, o anche solipsismo. E 1’ esage- raziono dell’ idealismo: posto che il mondo esteriore non è altro che la rappresentazione stessa che è in noi, po- sto che l’esistenza dei corpi si riduce al loro essere per- ecpiti, se ne ricava la conseguenza che il soggetto pen- santo non può affermare alcuna esistenza fuori della sua — 1035 — SEM osistenza personale, e che anche gli altri soggetti pensanti non esistono se non in quanto sono in lui rappresentati ο rappresentabili. II solipsista nega quindi non la sola ma- terialità, me anche ogni personalità distinta dalla sua, ogni psichicità che non sia un fatto della sua coscienza. Lo Schopenhauer cita questa formula del solipsista: Hae omnes creaturae in totum ego sum, et praeter me one aliud non est, οἱ omnia ego creata foci. Il Bradley espone così la posizione del solipsismo : « Io non posso trascendero 1’ esperienza, 0 l’esperienza non può essero che la mia esperienza. Da ciò consegue che nulla esiste al di fuori del mio io, perchè ciò che è ospàrienza è stato del mio io >. Questa posizione è sostenuta oggi da alcuni seguaci della filosofia dell’ im- manenza, od es. dallo Schubert-Soldern, il quale dico che guoseologicamente, non praticamente, il solipsiamo è incon- futabile: « Per la teoria della conoscenza il mondo non è altro che ciò cho è dato immediatamente nel complesso della coscienza (Berusstscinezusammenkang).... È vuota pre- tesa quella di andar oltro.... La coscienza è rilevabile sol- tanto per il contenuto; nulla è per sì, nè come cosa nè come proprieta,... cioè come la cosa atta ad avere coscienza di altre cose ». Kant adopera il vocabolo solipsismo in senso morale, per indicare l’egoismo pratico, 1’ amore esclusivo di sè stessi. Cfr. Schopenhauer, Parerg., 11,1,$13; Bradley, 4p- pearance and reality, 1902, p. 248 ; Schubert-Soldern, Grund- lagen d. Erkenntnistheorie, 1884, p. 64-67; Schuppe, £r- kenntnistheoretische Logik, 1878, p. 63, 69; J. Potzoldt, Dax Weltproblem vom positivistischem Standpunkt aus, 1908, p. 98; Renouvier, Les dilemmer de la métaph., 1901, p. 210; G. Villa, L'idealiemo moderno, 1905, p. 253-257; F. . δ. Schiller, Solipsism, « Mind », aprile 1909 (v. fenomenismo, idealismo). Semplice. Quosto vocabolo pud-csser preso in vari si- In primo luogo è adoperato por escludere In mol- , © in questo senso equivale ad unico; in serondo Ben — 1036 — luogo è preso per escludere 1’ estensione, ο in quosto senso equivale à inesteso; infine è adoprato per escludere la ma- terialità, ο allora equivale a incorporeo ο spirituale. Quando si dice che l’anima è semplice, la parola è presa in tutti 9 tre questi significati. Nella logioa diconsi tali, per oppo- sizione ai composti, quei giudizi i cui termini sono concetti, © che non possono quindi risolversi in altri giudizi. Cfr. Ro- smini, Psicologia, 1846, vol. I, p. 212 sogg. Sensazione. T. Empfindung; I. Sensation; 1. Sensation. Nel suo significato preciso è il fatto psichico elementare. © consiste nella coscienza d’ una modificazione avvenuta nel proprio organismo in seguito ad una stimolazione in- terna o esterna, Perciò è stata generalmento concepita ¢ definita come passività; così per 8. Agostino è pasrio corporis por se ipsam non latens animam ; per Campanella passio per quam soimus quod est, quod agit in nos, quoniam similem sibi entitatem in nobis faoit; per Condillac l’anima « è passiva nel momento nel quale prova una sensazione, perchè la causa che Is produce è fuori di lei». Per Hobbes invece la sensazione è un’ imagine prodotta dalla reazione degli organi di senso contro una impressione dall’ esterno : Sensio est ab organi sensorti conatu ad extra qui generatur a conatu ab obiecto versus interna, eoque aliquandiu manente per reac- tionem factum phantasma. Per Kant è « una percezione che si riferisce solamente al soggetto come modificazione del suo stato ». Per il Bain è « una impressione mentale, un sentimento ο stato cosciente, risultente dall'azione di cose esterne su qualche parte del corpo, detta per tal ragione sensitiva ». Per il Sergi è « un fonomeno che si produce quando la forza psichica è provocata ad agire dalla forza esteriore della natura, in un modo che le è proprio, con una manifestazione comune e costante ». Per il Masci « uno stato di coscienza correlativo alla eccitazione di una fibra norvosa afferente prodotta da uno stimolo, ad esa esterno, anlla ana torminaziono, la quale eccitazione ai pro- — 1037 — Sen paghi fino ai centri sensitivi della corteccia cerebrale ». Per il Wundt è « quello stato della nostra coscienza, che non può essere scomposto in parti più semplici »; perciò la sensazione purs è un’astrazione, ed è indefinibile come dice anche Mae Cosh: « la sensazione non è positivamente defi- nibile; ciò dipende dal suo essere una semplice qualità, © dal non esservi nulla di più semplice in cui possa essere scomposta ». Di essa si può dire soltanto che è il primo fatto interno, conosciuto senza intermediari, accompagnato da imagini associate che lo localizzano, eccitato da un certo stato dei nervi ο dei centri nervosi, stato scono- sciuto e che è ordinariamente provocato in noi dall’ urto degli oggetti esteriori. Alcune volte il vocabolo sensazione è usato per designare il fatto psichico in generale, ο quella qualsiasi modificazione dell’ io determinata da uno stimolo sia interno ed esterno che intercerebrale: in quest’ ultimo caso si usa anche I’ espressione di sensazione riprodotta ο imagine. Altre volte è preso in significato ristretto oppo- nendolo @ percezione: in tal caso per sensazione si designa sia il fenomeno affettivo distinto dal fenomeno intellettuale, sia lo stato puramente soggettivo distinto dallo stato cono- scitivo, in cui ciod si ha I’ esplicito riferimento del soggetto all'oggetto. Spesso si confondono le proprietà dell'oggetto (qualità sensibili) con le sensazioni che appartengono al sog- getto: così coi vocaboli sapore, odore, suono si designa tanto una proprietà, più o meno conosciuta, dei corpi, delle particelle liquide ο volatili, delle vibrazioni aeree o lumi- nose, quanto le specie ben note delle sensazioni che tali corpi, particelle e vibrazioni eccitano in noi. Non bisogna confondere, se non si vnol cadere in un grossolano mate- rialismo, la sensazione col funzionamento dei nervi e dei centri nervosi che ne sono la condizione: il primo è un fatto psicologico, il secondo un fatto fisiologico, quello ci è noto immedistamente e completamente, questo è consta- tato indirettamente, incompletamente, e ancor oggi assai SEN — 1038 — pooo conosciuto. Diconsi sensazioni interne 0 della cita or- ganioa quelle che ci avvertono di uno speciale mutamento dovuto alle condizioni interne dei nostri organi, indipen- dentemente da stimoli esteriori (fame, sete, fatica, nevral- gia, eco.); sensazioni esterno ο periferiche ο obbiettire quelle che provengono da un organo situato alla periferia del corpo ο riflottono un cangiamento del mondo esteriore: sensazioni soggettice, quelle che provengono da un organe esterno di senso ma riflettono un mutamento avvenuto nel- P organo stesso (scotomi, fosfeno, ecc.). Le sensazioni si distinguono anche in sensoriali © sensitive: le prime sono quelle che hanno sede nel capo, in organi speciali, con- nessi direttamente col cervello per mezzo di nervi afferenti di breve decorso; le seconde quelle che mancano di appa- rati terminali delimitati, ο i cui nervi conduttori si diffon- dono per il corpo, agli organi interni e alla superficie esterna. Dicosi sero della sensazione il minimo di eccita- zione necessario a produrla; qualità della sensazione il con- tenuto della sensazione stessa, suono, sapore, eco., deter. minato dalla struttura dei diversi organi, e dalla qualità e intensità degli stimoli; quantità della sensazione l’inten- sità della sensazione stessa, dipendente dall’ intensità degli stimoli; tono o colorito della sensazione il grado di piacere ο di dolore che ncoompagna la sensazione. Cfr. 8. Agostino, De quant. animo, 25; Campanella, Universalis philos., 1638. 1, 1v, 1, 2; Condillac, Traité des sensations, 1886, I, cap. 11, $ 11; Hobbes, Lev., I, 1; Kant, Krit. d. r. Ῥ., ed. Kebrbach. 278; Bain, Mental science, 1884, p. 27; Sergi, La Ροψολοῖ. phyeiol., trad, franc. 1888, p. 17; Wandt, Grundries d. Payc.. 1896, p. 45; Μο Cosh, Exam. of S. Milde philosophy, 1866, p. 71; Mach, Analisi delle eensazioni, trad. it. 1903, cap. I: Höflding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 129 segg.; Ma. sci, Psicologia, 1904, p. 29; Ardigò, Opere fil., I, 200 segg. III, 76 segg., V, 50 segg. (v. eooitasione, elementi prichici, Sacoltà, stimolo, peichioi fatti, ecc.). — 1039 — SEN Sensibile. T. Sensibel, Empfndlich; I. Sensible; F. Sen- sible, Quando è opposto a intelligibile designa tutto ciò che può divenire oggetto di percezione, vale a dire il mondo dei fenomeni; per opposizione a ciò che è oggetto dell’ in- tendimento puro, ossia il mondo delle idee e delle relazioni astratte. Gli scolastici distinguevano le speci sensibili e le speci intelligibili; la specie sensibile era distinta a sua volta in impressa ed espressa. Por specie impressa s’ intendeva Vimagind degli oggetti, che si forma per l’azione da essi esercitata sui sensi © per l’attività dei sensi stessi, cho aspirano al loro completo sviluppo; questa prima imagine, agendo sul senso interno, dà luogo a sna volta ad una 80- conda imagine, espressa in qualche modo dalla prima e detta perciò espressa, ossia la sensaziono. A questo punto termina 1’ officio della sensibilità ο comincia quello dell’ in- telletto : 1’ imagine sensibile è accolta infatti dall’ intelletto attivo, che la spoglia dalle sue condizioni materi ibuti fisici, e la trasmette quindi, divenuta ormai specio intelligibile, all’ intelletto passivo. — Gli scolastici distin- guevano poi tre sorta di sensibili: i sensibili comuni, fonomeni che possono essere percepiti con diversi sensi, come il mo- vimento e la figura; i sensibili propri, che non possono essere percepiti che da un solo senso, come il suono, il sapore, il colore; i sensibili per accidente, che sono sensazioni risve- gliate per mezzo di altre sensazioni. Cfr. A. Stöckl, Geschichte der Phil. des Mittelalters, 1864-66; S. Tommaso, Sum. phil., I, qu. 46, 85, 2; Id., Contra gent., I, 46; Duns Scoto, Quaent. de rer. prine., 14, 3; Goclenio, Lex. phil., 1613, p. 1068 segg. Sensibilità. T. Empfindlichkeit, Sensibilität; I. Sensibi- lity; F. Sensibilité, Nel suo significato più generale designa In facoltà di sentire, ciod di avvertire le modificazioni che avvengono nel proprio organismo. Sotto questo rispetto è dunque sinonimo di coscienza (nel suo significato più largo) ο ad essa pure si connettono le questioni che ne riguardano l’origine, lo sviluppo ο l'estensione: secondo alcuni à In Sen — 1040 — proprietà essenziale di ogni organismo, riconducendosi alla irritabilità per cui la materia organica è capace di ricevere le eccitazioni e di rispondervi con una reazione; secondo altri è una manifestazione dell’ anima o spirito; per altri ancora è una proprietà generale dell’ essere o della materia. Altre volte per sensibilità si intende: 1° la facoltà di pro- vare piacere o dolore, e in questo senso equivale ad af- Jettività, si oppone a intelligenza © a volontà; 2° la facoltà non solo di sentire, ma anche di percepire, di discriminare, di distinguere; 3° l'insieme di fenomeni complessi, che contengono elementi intellettuali, come lo tendenze, le pas- sioni, gli appetiti. Dicesi sensibilità generale 1’ insieme delle sensazioni interne ο della vita organica, © sensibilità ape ciale le sensazioni periferiche; tuttavia molte volte per sensibilità generale o cenestesi si intende l'insieme delle sensazioni così interne come esterne. Si suol anche distin- guere la sensibilità superficiale ο cutanea dalla sensibilità profonda o dei muscoli © tessuti interni; che queste due forme di sensibilità siano tra loro distinte, e, in un certo grado, indipendenti, sarebbe dimostrato dal fatto che in alcuni casi patologici la prina è completamente abolita mentre la seconda è conservata, e da altri casi nei quali la sensibilità tattile e dolorifica della cute permane mentre scompare quella dei tessuti profondi. Cfr. Wundt, Grund- stigo d,' physiol. Paychol., 8" ed., vol. I, p. 341; Beaunis, Les sensations internes, 1889 (v. coscienza, senso, volontà, meccanismo, ilosoismo, ecc.). Sensilli. Con questo nome vengono designati da alcuni fisiologi gli organi specifici di senso, detti da altri esteti ο esteteri, Sensismo. T. Sensualismus ; I. Sensationalism, Sonsualiem: F. Sensualieme. Non dovrebbe mai confondersi nd col semsa- zionismo 0 sensazionalismo, nd col sensualismo. È sensismo ogni indirizzo gnosoologico e filosofico che spiega colla sola vansazione i fenomeni della intelligenza umana, ο fuori — 1041 — SEN della sensazione non riconosce altra fonte delle nostre co- noscenze. Il sensazionismo è una dottrina metafisica, che fa della sensazione 1’ elemento costitutivo non solo della realtà psichica ma anche della realtà fisica; il mondo è per esso un insieme di sensazioni, che stanno fra loro in determinati rapporti, cosicchè non le sensazioni sono sim- Voli delle cose, ma al contrario le cose sono un simbolo mentale per un complesso di sensazioni, le quali hanno solo una stabilità relativa: i vari elementi di cui la realtà è costituita non sono dunque gli oggetti, i corpi, le s0- stanze, bensì i colori, i suoni, le pressioni, gli spazi, le durate (Mach, Petzoldt, Avenarius). Per sensualismo 8’ in- tende invece, nella lingua italiana sia comune sia filosofica, ogni indirizzo edonistico della morale, ogni dottrina che identifica il bene col piacere sensibile. Il sensismo si oppone al nativiemo ο innatiemo, che considera alcune idee fondamen- tali (ad es. di spazio, di tempo, di infinito, eco.) come ante- riori ad ogni esperienza sensibile, e al razionalismo, che con- sidera i principî supremi di ragione (ad es. quelli di causa, di sostanza, di identità, di ragione sufficiente, eco.) come irreducibili all'esperienza. Il sensismo si distingue dall’ empi- rismo, col quale è spesso confuso, in quanto questo fa deri- vare tutte le nostre cognizioni da due sorgenti, e cioò dal- l’esperienza esterna, ossia dalla sensazione, e dall’esperienza interna, ossia dalla riflessione; e dal materialismo, che consi- ste nel negare l’esistenza dell’ anima come sostanza spiri- tuale, mentre nel sensismo questa negazione non è necessa- ria, Uno dei massimi rappresentanti del sensismo puro fu il Condillao, il quale pure ammettendo l'esistenza di Dio e Vimmortalita dell’anims, fa derivare dalla elaborazione mec- canica delle sensazioni tutte le attività dello spirito, che egli riduco a due ordini: intellettive, cioè attenzione, memoria, giudizio, raziocinio, e affettite, cioè il desiderio, le passioni e la volontà. Ma il sensismo è dottrina molto antica ο risale alla stessa origine della filosofia. Tutti i filosofi greci del pe- 66 — RanzoLI, Dizion. di sotenze filosofiche, SEN — 1042 — riodo cosmologico sono sensisti. Malgrado la differenza da essi posta tra l’esperienza sensibile e la riflessione, tra la verità © l’opinione (δόξα), non ammettono che una sola porta dalla quale il sapere penetra nell’ uomo: la porta dei sensi: « Eraclito non sa indicaroi, dice Windelband, una differenza psicologica tra percepire e pensare, così recisa- mente in antitesi nei loro valori gnoseologici ; e tanto meno Parmenide... Ancor più esplicitamente, Empedocle dichiara che pensare 9 percepire sono la stessa cosa; che il cambia- mento del pensiero è dipendente da quello del corpo; e considera la miscela del sangue come quella, che determina la capacità intellettuale dell’uomo. Entrambi non esitarono a render più evidente questa concezione mediante ipotesi fisiologiche. Parmenide, nella sua tisica ipotetica, insegnò che l’uguale vien percepito da per tutto mediante l’uguale, ed Empedocle sviluppò il pensiero che ogni elemento nel nostro corpo percepisce 1’ elemento uguale nel mondo este- riore... Questi razionalisti metafisici rappresentano tutti, nella loro psicologia, un grossolano senewaliemo ». In seguito il sensismo ricompare con Protagora, per il quale l’anima non è nalla fuorchè sensazione; con gli Stoici, che consi- derano la coscienza come una tabula rasa che il senso riempie dei suoi caratteri; con gli Epicurei, che fanno originare la conoscenza unicamente dalle sensazioni; con Campanella, per il quale omnes seneus simul causant totius rei cognitionem ; con Bacone, Hobbes, Montaigne, che sosten- gono pure l’origine sensibile d’ ogni stato ο fatto della 00- scienza. « La sensazione è il principio della conoscenza, dice Hobbes, e ogni specie di sapere ne deriva. La sensa- ne stessa non è altra cosa che un movimento ‘di certe parti che esistono all’interno dell’ essere senziente, © que- ste parti sono quelle degli organi col cui aiuto noi sen- tiamo. La memoria consiste nel sentire ciò che si è sentito. Quanto alla imaginasione, essa è la sensazione continuata, Sevolita ». Nel pensiero contemporaneo il sensismo — 1043 — SEN ha un geniale rappresentante in Roberto Ardigò, che alla sensazione riconduce così le formazioni psicologiche come i ritmi logici © le idealità morali. Cfr. Windelband, Storia della filosofia, trad. it. 1913, I, p. 79-81, 112, 257 sogg.; Campanella, Univ. phil., 1638, I, 194; Bacone, Nov. Org., 1, 41; Hobbes, Human καὶ., cap. X, $ 3; Locke, Essay, 1858, II, osp. I, $ 2 segg.; Condillac, Extrait raie. ed. par Lyon, 1886, p. 35-10 (v. idea, empiriooritiolemo, esperienza, nativiemo, ragione). Sensitivo. T. Empfindlich ; I. Sensitive; F. Soneitif. Cid che appartiene alla sensibilità generale; non va confuso con sensoriale, che designa tutto ciò che appartiene alla sensibilità speciale; si oppone spesso a motore, che è tutto ciò che riguardala fanzione centrifuga o efferente dei nervi. Nella classificazione dei caratteri, diconsi sensitivi ο emotivi quelli nei quali predomina la sensibilità, 1’ impressionabilità, simili a stromenti in perpetua vibrazione; gli individui sen- sitivi vivono sempre interiormente, sono portati a provare maggior dolore per una lieve contrarietà che piacere per una gran fortuna, e sono quindi nativamente in 1 pessim sino. Diconsi fibre sensitive, quelle fibre nervose che condu- cono le impressioni dalla periferia al centro; radioi sensitive, le radici posteriori dei nervi rachidei ; fasoio sensitiro, quel cordone hianco del midollo spinale che #’ interna nell’ en- cefalo superiore, e stendendosi nella corona raggiante giunge fino alla sostanza grigia degli emisferi cerebrali. Cfr. N. R. D’Alfonso, La dottrina dei temperamenti nell'antichità ο ci mostri giorni, 1904 (v. cenestesi). Senso. T. Sinn; I. Sens; F. Sene. La facoltà di provare uno certa classe di sensazioni. Si distinguò perciò dalla sensibilità, che è, in generale, la facoltà di sentire; alcune volte però è usato in luogo di sensibilità ed opposto ad intelligenza, E si distingue anche dalla sensazione che è il fatto particolare di cui il senso è la facoltà. Faoultas sen- tiendi sive sensus, dice Cr. Wolff, est facultas percipiendi obieota SEN — 1044 — externa mutationem organis sensoriis qua talibus induoentia, convenienter mutations in organo faotac. Più brevemente il Krug lo definisce « la facoltà della rappresentazione imme- diata »; Hegel « il più semplice sistema della corporeità specificata »; H. Ritter « la facoltà di accogliere degli sti- moli ». Si soglion chiamare specifici i cinque sensi esterni della vista, dell’ udito, del gusto, dell’ odorato, e del tatto. Quest’ ultimo vien anche designato con 1’ espressione di senso generale, perchè è il più esteso sia nell’individuo, di cui occupa tutta la superficie del corpo, sia nella specie, nella quale appare anche nei più infimi gradini; ο con l'espressione di senso intellettuale, perchè esso ci fornisce, associandosi al senso muscolare e visivo, le nozioni intel- lettuali di figura, volume, estensione, distanza, 900. Il senso visivo ed auditivo vengono anche detti sensi estetici, perchè le armonie dei colori e dei suoni ci procurano i godimenti estetici più intensi 6 completi. I sensi specifici furono an- che distinti in mecognici e chimici, a seconda che lo stimolo agisce come semplice movimento, oppure si trasforma me- diante un'azione chimica; sono meccanici l’udito e il tatto, chimici la vista, l'olfatto ο il gusto. Con l’ espressione sesto senso, alcuni psicologi designano talvolta il senso della di- rezione, ο il senso vitale, o quello muscolare, essendo cia- scuno considerato come aggiunto alla classificazione tradi- zionale dei cinque sensi specifici. — La parola senso si usa anche in luogo di significato, di accezione d’ un vocabolo ο d’una proposizione, © si suol distinguere in senso asso- Into, quando è preso semplicemente, relatito quando la cosa significata si considera sotto un rispetto particolare, col- lettivo quando si riferisce ad un insieme di cose o di in- dividui, distributivo quando si riferisce a ciascuna delle parti d’un tutto, diviso quando si riferisce ad un dato soggetto mediante qualche sua qualità o relazione, composto quando la qualità o relazione con cui si denomina la cosa entra essa stessa a formare il soggetto della proposizione. Perciò — 1045 — SEN i logici dicono sofismi del senso diviso quelle fallacie di ra- gionamento, che si fondano sopra una proposizione la quale, presa in quel senso, è falsa, e soflsmi del senso composto quelli che si fondano sopra una proposizione che è falsa presa in quel senso, Nel linguaggio scolastico si distinguono tre si- gnificati dell’ affermazione: in sensu formali, quando si asse- vera ciò che entra nel concetto e nella definizione del sog- getto, di cui si assevera, ad es.: la giustizia è virtà in Dio con cui punisce la colpa e premia il merito; in sensu pure reali 0 in sensu identico οἱ materiali, se si afferma quel pre- dicato che è identico col soggetto, ma non è del concetto detinitivo di esso, e non è predicato quale aggettivo di quel concetto, ad es.: la giustizia di Dio è misericordia; in sonen denominativo, quando si affermano quelle cose che non ap- partengono al concetto definitivo dell’ essenza metafisica del soggetto, ma ne sono proprietà accidentali ο secon- darie. Cfr. Cr. Wolff, Peychologia empirica, 1738, $ 67; Krug, Fundamentalphilosophie, 1818, p. 166; H. Ritter, System d. Logik, 1856, vol. I, p. 181; Hegel, Encykl. im Grundrisse, 1870, $ 401 (v. atercognoatico, cinestesiche). Senso comune. Gr. Κοινὴ αἴσθησις; Lat. Sensus com- munis; T. Gemeineinn : I. Common sense; F. Sono commun. Si può definire come il consenso di quasi tutti gli uomini in un insieme di credenze praticamento invincibili. Tuttavia il valore di questa espressione varid assai nella storia della filosofia. Secondo la dottrina aristotelica, nell’ interno del- l’uomo v’ha qualche cosa che giudica delle sensazioni, ο questo si chiama senso comune, perchò non può giudicarne se egli da solo non sente ciò che sentono tutti gli altri sensi; anche il senso particolare sente e giudica, ma soltanto nella sfera delle cose sensibili che da Ini possono essere per- cepite, ο perciò seneus proprius participat aliquid de virtute sensus communis. Per Cicerone il consenso comune à il cri- terio della verità, in omni re consensus generis humani pro ceritate habenda est. Avicenna definisce il senso comune come Sen — 1046 — quella capacità quae omnia sensu porcepta rocipit et (prope co- rum formas) patitur, qua in ipea copulantur. Per il Descartes è sinonimo di buon senso e di ragione, vale a dire di quella facoltà di ben ragionare che tutti gli uomini posseggono, al- meno virtualmente; egli lo definisce anche come potentia ® imaginatrice cognoscere. Per il Vico invece è la stessa cosa di Provvidenza, la cui azione, che egli fa intervenire tanto spesso nella sua Scienza nuova, consiste « nel fare delle passioni degli uomini, tutti attenti alle loro private utilità, per le quali viverebbero da fiere bestie dentro le solitu- dini, gli ordini civili per li quali vivono in umane società». Anoor più grande è il valore dato al senso comune da Tom- maso Reid e dalla scuola scozzese. Infatti, secondo il Reid, la nostra certezza nella realtà del mondo esteriore non ci è data nd da un ragionamento, nd da una inferenza, nd da una abitudine, ma da un suggerimento interno, immediato, elargito a tutti gli uomini da Dio, suggerimento che co- stituisce il senso comune (common sense), innanzi alla cui autorità debbono inchinarsi tanto il filosofo che lo soien- ziato. I principi suggeriti dal senso comune, secondo gli scozzesi, sono molti, sia grammaticali che logici, matema- tici, morali, metafisici; di essi non è possibile’ cercare il fondamento logico, ma si debbono accettare tal quali; la stessa filosofia non consiste che nello scoprirli e porli a fondamento delle nostre conoscenze. I principi metafisici, più importanti di tutti, sono tre: 1° ogni qualità corporea ha per sostanza un corpo, ogni penaiero uno spirito; 2° ciò che comincia ad esistere deve avere una causa; 3° dove si mostrano segni d'intelligenza nelle operazioni, la causa deve essere non meccanica ma intelligente. Si comprende da ciò come per il Reid « la filosofia non ha altre radici che i principi del senso comune; da essi germoglia, da essi trae il suo nutrimento. Staccata da queste radici, i suoi pregi avvizziscono, i suoi succhi si asciugano, essa muore e marcisce ». Molti altri filosofi, fra cui il Cousin, — 1047 — SEN il Collard, ece., cercarono poi di far rivivere la filosofia del senso comane. Secondo il Galluppi, l’esistenza del senso comune è incontrastabile, ma esso non è altro che la lo- gioa naturale, ossia la disposizione naturale dello 8 umano a dirigere le operazioni delle facoltà di conoscere conformemente a certe leggi costanti; ma non bisogna per- ciò confondere il fatto che tntti gli uomini convengano su alcune verità, con l’altro, che l'ammissione di tali verità non abbia altro motivo legittimo che il consenso comune, laddove, in realtà, tale ammissione avviene per motivi per- sonali, perchè tutti i mezzi di conoscere ci sono personali : così ogni uomo crede nell’ esistenza dei corpi perchè i suoi sensi particolari gliela attestano, e crede alla propria identità personale perchè ha fidncia nella veracità della propria me- moria; di più, se vi sono delle verità generalmente ammex- se, non si può dire che tutte le proposizioni generalmente ammesse siano verità, e tutta la storia del pensiero umano dimostra anzi che vi sono dei giudizi falsi universalmente ricevuti. L’Ardigd nega ogni valore al senso comune, dimo- strando come esso sia un fatto di mera suggestione - la quale può anche avere a fondamento il falso -- che ciascuno subisce fino dall’ infanzia dall'ambiente ove nasce, e alla quale difti- cilmente uno può sottrarsi; trovando tali idee e credenze già fatte all’età della riflessione, familiari, spontanee, consen- tanee fra loro e nelle applicazioni loro ai casi particolari di ogni momento, ciascuno le crede il naturale portato del senso comune, errando in tal modo come chi credesse che una montagna sia stata fatta addirittura come si vede. La storia del pensiero umano mostra infatti come le credenze tradizionali si siano venute successivamente formando ed ac- cumulando, e di quali errori esse siano imbevute. Cfr. Aristo- tele, De an., III, 1,4258, 15; Cartesio, Mod., II; Reid, Words ed. by Hamilton, 1863, p. 101 segg.; Galluppi, Lezioni di lo- gica e metafisica, 1854, I, p. 222 segg.; Ardigò, Op. fil., IV, 375 segg.; F. Harrison, The philosophy of common renne, 1907. SEN — 1048 — Senso fondamentale. O sentimento fondamentale, è chiamata dal Rosmini la coscienza primitiva © perenne che l’anima ha del corpo e dei suoi organi, nello stato in cui essi si trovano, Codesto sentimento fondamentale corporeo è essenzialmente «no per ciascun uomo, essendo uno il principio senziente, che con un solo atto sente contempo- raneamente tutto il termine corporeo 8 sò unito; universale, in quanto comprende tutte le parti del corpo; piacevole, come quello che è conforme alla natura umana; immoto © infigurato, in quanto così il moto come la figura sono re- lazioni esistenti solo tra le parti esterne del corpo; uni- forme, in quanto è il fondo omogeneo e indistinto sul quale spiccano i sentimenti particolari, che seguono all’ azione degli stimoli. La vita corporea à per I’ uomo non altro che l’incessante produzione del sentimento fondamentale cor- poreo. Cfr. Rosmini, Psicologia, 1846, vol. I, p. 136 segg., vol. II, p. 69 segg.; Id., Nuovo saggio, 1880, sez. V, par. V, ο, III segg. Senso intimo. Lat. Sensus intimus, interior; T. Innerer Sinn; I. Internal senso; F. Sons intime. O sentimento intimo, in opposizione a senso esterno, è chiamata da alcuni paicologi la coscienza, che ci dà la conoscenza immediata di noi stessi, © di ciò che in noi stessi avviene: « Sensus intimns est per- ceptio qua mens de praesenti suo stato admonetur. Dicitur etiam conscientia, quia per sensum intimum anima praceentis affootio- nis, verbi gratia, doloris, sibi consoia est ». Perd il valore di questa espressione ha variato nel linguaggio filosofico. Così per Cartesio non v’ha un solo senso interno, ma molti: Nempe nervi, qui ad ventrioulum, assophagum, faucee, aliasque interiores partes, explendis naturalibus desidertis destinatus, protenduntur, faciunt unum ex sonsibus internis, qui appelitus naturalis vocatur; nervuli vero, qui ad cor οἱ prascordia, quamcis perezigui sint, faciunt alium sonsum internum, in quo consistunt omnes animi commotiones. Il Locke, con la sua distinzione tra sensazione e riflessione, dà un nuovo aspetto — 1049 — SEN alla teoria del senso interno, il quale è per Ini « la cono- scenza che la mente soquists delle sue proprie operazioni », e, in quanto tale, dà origine in noi a delle rappresenta- zioni determinate, cosicchè a ragione può essere chiamato senso per analogia con quello esterno. Analogo valore dà all’ espressione G. E. Schulze, il quale osserva che « alla coscienza degli stati interni si dà il nome di senso, perchè noi ci sentiamo obbligati a conoscere gli oggetti di esso, cos come a sentire gli oggetti del senso esterno ». Per il Galluppi esso consiste tanto nel sentimento involontario dell’ io, quanto nella riflessione volontaria sull’io: esso ci dà la verità primitiva indimostrabile io penso, ciod io sono esistente allo stato di pensiero, principio d’ evidenza imme- diata e perciò mdimostrabile: « L’ evidenza immediata con- siste nella percezione chiara della convenienza o ripugnanza delle nostre idee fra di esse. Ora, il solo senso intimo può assicurarci di questa percezione immediata, perciò tutti gli assiomi, i quali non sono che proposizioni necessarie evi- denti per sò stesse, hanno per motivo immediato 1’ evidenza immediata, per motivo mediato ed ultimo il senso intimo ». Cfr. Cartesio, Prino. phil., IV, 190; Locke, Ees., II, cap. 1, $ 4; G. E. Schulze, Psychische Anthropologie, 1819, p. 114 segg.; Galluppi, Lezioni di logioa ο metafisica, 1854, vol. I, P. 84 segg. (v. autocoscienza, cenestesi). Senso logico. Il Romagnosi, modificando il sensismo condillachiano, denomina così quella funzione subbiettiva per cui siamo operatori del fenomeno; esso è distinto dal- l’attenzione e dal giudizio, e anteriore alla coscienza stessa, nella quale noi siamo soltanto contemplatori del fenomeno. Al senso logico il Romagnosi attribuisce quella doppia fanzione differenziale e integrale, in cui lo Spencer, venuto poi, ripone il processo dell’intelligenza. Cfr. Romagnosi, Pedute fond. sull’arto logica, § 600 segg. Senso morale. T. Sittliches Gefühl; I. Moral sens; F. Sens moral. Questa espressione non ebbe mai un significato BEN — 1050 — preciso, se non nella scuola dei moralisti inglesi, capitanata dal terzo conte di Shaftesbury. Secondo questo filosofo il senso morale è V insieme di quegli affetti riflessi, per mezzo di cui si apprende il giusto e l’onesto ; esso è nativo nel- l’individuo, è di natura principalmente émozionale nella sua forma spontanes, ma, poichè esso ammette una costante educazione e uno sviluppo, l’elemento razionale ο riflessivo diviene in esso gradualmente prominente. « Così, per mezzo di questo senso riflesso, sorge un’ altra specie di affesioni ri- spetto alle vere affezioni, che sono già state sentite, e sono ora divenute il soggetto di un nuovo aggradimento o av- versione ». L’ Hutcheson, che appartenne pure a questa scuola, esagerò la dottrina del maestro attribuendo al senso morale non più un’ energia riflessa, ma specifica, e toglien- dogli quell’ elemento attivo, il risentimento, per cui si di- stingueva dal senso estetico: « Mediante un senso supe- riore, che io chiamo morale, noi proviamo piacere nella contemplazione di tali azioni negli altri (azioni buone), e siamo determinati ad amare chi le ha cumpiute (e molto più proviamo piacere nell’ esser consapevoli d’aver com- piuto noi quelle azioni) senza alcuna mira di ulteriore na- turale vantaggio da esso ». Cfr. Shaftesbury, Inguiry conc. virtue, 1. I, parte I, $ 9; Hutcheson, Inquiry into the orig. of our ideas of beauty and virtue, 1725, p. 106, 124; T. Fowler, Shaftesbury and Hutcheson, 1882 (v. sentimentalismo, intellet- tualismo, volontarismo). Bensoriale.T. Sensorisch; I. Sensory; F. Sensoriel, Soneitif. Tutto ciò che appartiene alla sensibilità speciale, ciod visiva, tattile, olfattiva, ecc. ; si distingue da sensibile, che è ciò che appartiene alla sensibilità generale. Il vocabolo sensorio è usato alcune volte per designare un organo specifico di senso. Sensorium commune. O semplicemente sensorium. Tale espressione fu già usata da Aristotele per l’organo nel quale si riuniscono i dati di tutti gli altri sensi spe- cifici. Più tardi fu estesa a designare la sede non solo del — 1051 — SEN senso comune, ma dell'anima intera. Tale sede, che per gli antichi era il cuore, per i moderni è il cervello, e più precisamente la corteccia grigia del cervello. Però fra gli psicologi e fisiologi contemporanei, alcuni, col Vulpiav, in- tendono per sensorium commune i centri cerebrali della sen- sibilità comune, altri invece, col Mandsley, i centri comuni della sensibilità, quali i talami ottici, i tubercoli quadri- gemini, i bulbi olfattivi, ecc. Cfr. Darwin, Expression of emotions, 1890, p. 69; Bastian, Le cerveau drgane de la pen- sée, trad. franc. 1888, vol. II, p. 141 segg.; Wundt, Phy- siol. Psyohol., 4° ed., I, p. 213 segg. (v. senso comune). Senso spirituale. T. Geistiger Sinn; I. Spiritual sense: F. Sens spirituel. In generale, l’operazione con cui l’anima, secondo alcuni filosofi, percepisce immediatamente la ve- rità spirituale. Anche il Rosmini usa questa espressione per indicare |’ immediata intuizione che fa |’ intelletto della ve- rità. Esso differisce dal senso corporeo perchè non ha, come questo, dei termini somatici determinati e reali; ma ha un termine spirituale e perfettamente indeterminato ; e si dice tuttavia senso, in quanto lo spirito intuisce con esso imme- diatamente l’essere, allo stesso modo come ogni altro senso riceve l'impressione del sensibile. Cfr. Rosmini, Nuovo sag- gio, sez. V, p. V, ο, 111 segg.; Psicologia, 1846-48, I, p. 136 sogg., II, p. 69 segg. (v. senso intimo, autocoscienza). Sensualismo. Τ. Sensualismus; I. Sensualiem; F. Sen- sualisme. Non si dovrebbe mai, imitando i francesi, usarlo in luogo di sensismo, che è la dottrina gnoseologica che pone la sensazione come unica fonte delle nostre conoscenze, mentre nella lingua nostra il sensualismo designa piuttosto una tendenza pratica o una dottrina morale, che consiste nel considerare il piacere fisico come l’unico scopo della vita, come il solo criterio del bene e del male. Sentimentalismo. Nella filosofia morale designa quella dottrina che attribuisce al sentimento morale la suprema efficacia nell'attività etica dell'uomo; si oppone all’intel- SEN — 1052 — lettualismo, che tale officio riconosce invece alla intelli- genza. L’uno e l’altro indirizzo si svolsero specialmente in Inghilterra, dalla seconda metà del secolo diciottesimo fino alla prima del diciannovesimo, I prineipali rappresen- tanti del sentimentalismo furono David Hume, Adamo Smith e David Hartley. Nella psicologia per sontimontali- smo, in opposizione a intellettualismo e volontarismo, si in- tende la dottrina che considera il sentimento come l’atti- vità più primifiva della coscienza, dalla quale si svolgono tutte le altre. Tale dottrina, sostenuta dal Barrat e dal- } Horwiez, sembra essere confermata dal fatto che, fino ad un periodo avanzato dell'infanzia, l’uomo è interamente dominato dai sentimenti di piacere e di dolore, determi- nati specialmente dalle sensazioni organiche. Nella filosofia della religione il sentimentalismo è l’ indirizzo che, oppo- nendosi al razionalismo, fa originare la religione da una fa- coltà distinta, il sentimento, collocandola così in una sfera dello spirito diversa dalla intellettuale, autonoma, irrag- giungibile ai metodi ο ai processi del pensiero rasiocina- tivö. Questo indirizzo, che riappare oggi nel modernismo cattolico e nella psicologia prammatista, ebbe già per rap- presentanti il Pascal © il Rousseau, che, sia pure con me- todi e intenti diversi, sostennero la sovranità delle ragioni del cuore, l'autonomia della fede, l’originsrietà del senti- mento ο la sua indipendenza dalla ragione; ma il vero dialettico © teologo del sentimentalismo religioso fa lo Schleiermacher. Egli sostenne che l’idea di Dio è fuori d'ogni possibile conoscenza, perchd efagge così alla forma del concetto come a quella del giudizio; Dio non è dato a noi che nel sentimento, ossia nell’ immediate autoco- scienza; il sentimento è infatti una modificazione dell’ io, dovuta all’azione di un oggetto esterno sulla nostra co- scienza, ed esprime perciò una dipendenza; la religione è appunto il sentimento della nostra assoluta dipendenza da Dio, 0, che è lo stesso, la coscienza di noi stessi come — 1053 — Sex essenti in rapporto con Dio. Cfr. Schleiermacher, Dialektik, 1903, p- 216 segg.; C. Ranzoli, L’ agnosticiemo nella fil. re- ligiosa, 1912, p. 228 segg.; Windelband, Storia della filo- sofia, trad. it. 1913, II, p. 203 segg. (v. fidoismo, religione, sentimento). Sentimento. T.Gefükl; I. Sentiment, Feeling; F. Senti- ment. Uno dei termini filosofici di significato più vasto e più vario. Per lungo tempo fu sinonimo di sensazione, cosicchè il Descartes classificava fra i sentimenti la luce, il calore, il suono, l'odore, 909. Oggi si adopera per de- signare sia una tendenza, accostandolo per tal modo all’ap- petito e al desiderio; sia un qualanque stato affettivo, comprendendo in esso tanto i diversi stati semplici di pia- cere e di dolore, quanto le emozioni e le passioni: sia infine una conoscenza oscura la quale tuttavia ci dà la credenza e la certezza, In quest’ ultimo significato il do- minio del sentimento viene non solo distinto, ma anche opposto a quello dell’ intelligenza © della ragione; ciò che questa distrugge (credenze morali e religiose) quello può ricostruire su basi incrollabili. Ma il significato più diffuso della parola sentimento, e il più usato nella psicologia, è quello che si riferisce si diversi stati di piacere ο di do- lore, ο agli stati misti di piacere ο di dolore, che #’acoom- pagnano alle operazioni così semplici come complesse della nostra coscienza. Così il Jodl lo definisce come « un ec- citamento psichico, nel quale il valore di una mutazione nelle condizioni dell’ organismo vivente o nello stato della coscienza, per il vantaggio ο il danno del soggetto viene immediatamente percepito come piacere o come dolore ». Per I’ Ebbinghaus la caratteristica dei sentimenti sta « nel rapporto delle loro cause obbiettive col bene e col male dell’ organigmo e della vita psichica che l’anima ; mediante i sentimenti, le impressioni che ci orientano nel mondo esteriore ricevono una estimazione, che è necessaria affinchè la coscienza possa impiegare convenientemente le cose ob- BEN — 1054 — biettive nella lotta per la sua propria conservazione ». Per il Masci « il sentimento è una eccitazione psichica, nella quale il valore di un mutamento dello stato dell'organismo © della coscienza in rapporto al soggetto è avvertito im- mediatamente come piacere o come dolore ». Secondo tale accezione, il sentimento è un fatto che pare abbia le sue ra- dioi nelle stesse proprietà elementari dell'organismo, rap- presentando la specificazione ulteriore della proprietà fon- damentale della sostanza vivente, detta irritabilità o anche sensibilità protoplasmatica 0 precosciente, la quale consiste nella reazione particolare dell’ organismo ad una eccitazione rice- vuta. Appartiene dunque alla sensibilità, ma si distingue dalla sensazione in quanto questa viene riferita al non-io, quello invece all’io, apparendo come uno stato assoluta- mente soggettivo ; fra l'uno e l’altra esiste tuttavia una certa proporzionalità, poichè 00] crescere e diminuire del- V intensità della sensazione, cresce e diminuisce anche I’ in- tensità del sentimento. Questo rapporto non è però costante, potendosi persino mutare ad un certo punto la qualità det sentimento stesso, © cio di piacere passare in dolore: in generale, infatti, le eccitazioni moderate determinano uno stato di piacere, mentre le eocitazioni che sorpassano il li- mite di adattamento dell’ individuo sono seguite dal dolore. Ciò rivela l’officio biologico ο protettivo del sentimento, il quale serve all’animale come guida della sua vita, come sti- molo necessario a soddisfare adeguatamente i suoi bisogni, come indice dello stato normale o patologico dei suoi organi. Quindi, quantunque il sentimento sia relativo allo stimolo, alla sua durata © intensità, all'individuo ed al suo stato attuale ο precedente, segue tuttavia attraverso la specie una costante © regolare evoluzione, affinandosi e compli- candosi col perfezionarsi ο complicarei degli organiami. Si sogliono distinguere, sebbene non da tutti i psicologi, i sentimenti fisici ο sensitivi dai morali ο ideali, e, tra questi ultimi, i sentimenti superiori : i ο. sociali, che variano col — 1055 — SEN variare delle forme di convivenza sociale, e che si esplicano nella società evoluta col sentimento morale, e quelli della simpatia, della solidarietà, della beneficienza; ο. intellettuali © logici, che variano, secondo il Wundt, a seconda che ac- compagnano gli atti semplici del pensiero, le concordanze o le contraddizioni, oppure gli atti complessi, la verità, l'errore, il dubbio, e si manifestano nel piacere della ri- cerca del vero, nella gioia della verità conquistata, nelle pene angosciose del dubbio, nella avversione all'errore: s. estetici, che sono costituiti dal piacere che desta il bello nelle sue molteplici forme, e, secondo alcuni, precedono il giudizio estetico, secondo altri lo seguono, secondo altri an- cora αἱ presentano contemporaneamente ad esso; il e. della natura, che sorge dalla contemplazione del bello naturale, in quanto la natura esprime nel modo più grandioso le armonie della vita, del movimento e della materia, e i bi- sogni del cuore; #. religiosi, che variano col variare delle credenze religiose, ὁ sono esaltativi nell’individuo com- preso ed ammirato dall’onnipotense e dalla grazia divina, depressivi quando la coscienza dell'individuo è colpita dalla paura della collera e della vendetta divina. Quanto all'origine e alla natura del sentimento, cui sopra accen- nammo, si può dire che soltanto la psicologia contemporanea se ne sia occupata : fino a quasi tutto il secolo diciottesimo, la psicologia fu dominata dal concetto che l'intelletto, la conoscenza, fosse la facoltà dominante dell’uomo, e sotto di essa erano collocate le altre facoltà considerate come in- feriori © comprese sotto il nome di appetiti o facoltà de- siderative, Le dottrine della psicologia contemporanea sulla natura del sentimento si possono ridurre a cinque: la più diffusa è quella che considera il sentimento come una fun- zione psichica avente origine autonoma, al pari della in- telligenza ο del volere, dai quali è indipendente, pure avendo con essi strettissima relazione (Hòffding, Wundt, Sully, Baldwin, Külpe); secondo gli herbartiani il senti- SER — 1056 — mento à invece non una attività originaria della coscienza, me il risultato di un’azione scambievole delle rappresen- tazioni (Nablowsky, Volkmann, Drobisch); per i seguaci del materialismo psico-fisico il sentimento semplice è una qualità inerente alla sensazione (tono sentimentale) mentre i sentimenti complessi non sono che il risultato del com- binarsi di sentimenti elementari, che accompagnano quelle sensazioni che contraddistinguono le emozioni (Münster- berg); secondo i sentimentalisti puri il sentimento è l’at- tività più primitiva della coscienza, dalla quale si svol- gono poi tutte le altre (Barrat, Horwicr); infine, secondo la scuola detta somatica o fisiologica, il sentimento non sa- rebbe che la pura espressione delle funzioni organiche, sca- turente dai processi fisiologici (Ribot, James, Lange). Cfr. Höffding, Peyohologie, trad. franc. 1900, p. 293 segg.; Sully, Psychology, 2° ed. 1885, p. 687; Bain, Mental science, 1884, Ρ. 215-17; Külpe, Grund. d. Peychol., 1893, p. 236; Wundt, Grund. d. Paych., 1896, p. 34-43; Volkmann, Lehrbuch d. Peychol., 43 ed. 1894, vol. II, p. 302; Münsterberg, Auf- gabe u. Meth. d. Peyohol., 1888; Horwicz, Peychol. Anal., 1872, II, 2, p. 1; Ardigò, Op. fil., V, 151 segg.; Masci, Peicologia, 1904, p. 114 segg.; Ebbinghaus, Peychologie, trad. frano. 1912, p. 114 segg.; W. James, Principles of payohol., 1890, cap. XXIV; Id., La théorie de l'émotion, trad. franc. 1903; Lange, Les emotions, trad. franc. 1902; Ribot, La psychol. des sentiments, 1896; Id., La logique d. sent. 1904; Th. Lipps, Vom Fühlen, Wollen und Denken, 190: F. Rauh, De la méth. dans la payohol. d. sent., 1899; F. Paulhan, Les phenomends affootifs et les lois de leur appari- tion, 1887; L. Dumont, Il piacere e il dolore, trad. it. 1878 (v. piacere, dolore, neutri, sentimentalismo, senso fondamen- tale, senso spirituale). Sermonismo. T. Sermoniemus ; I. Sermoniem; F. Sermo- nisme. La dottrina di Abelardo, secondo la quale gli uni- versalì non esistono che nel discorso (sermo). Mentre il — 1057 — Srr-Sro realismo affermava l’esistenza indipendente degli univer- sali, ed il nominalismo non vedeva in essi se non deno- minazioni collettive, Abelardo sosteneva che, se non pos- sono essere cose, non possono nemmeno essere semplici vocaboli; la parola (rox) come complesso fonico è già per sè qualche cosa di singolare, può avere significato generale solo essendo pronunciata, diventando ciod sermo. Una tale applicazione della parola non è però possibile se non me- diante il pensiero concettuale (conceptus) che, dal confronto dei contenuti percettivi, prende ciò che per la sua natnra si adatta ad essere espresso (quod de pluribus natum eat praedi- cari). L’universale è dunque l’enunciazione concettuale (ser- monismo) o il concetto stesso (conoettualismo). Cfr. Windel- band, Storta della filosofia, trad. it. 1913, vol. I, p. 382 segg. Sfenoidale (angolo). È determinato da tre punti: il punto basilare, il punto nasale, corrispondente al centro della sutura fronto-nasale, il punto sfenoidale corrispon- dente al chiasma doi nervi ottici. Un tempo si credeva da molti scienziati, fra cui il Welckere ο il Vogt, che esso fosse molto importante per stabilire la misura della intel- ligenza, così da servir di base alla classifienziono della specie umana; oggi invece, pure non trascurandolo, gli si attribuisce dagli antropologi scarso valore. Cfr. C. Vogt, Mémoire sur les microcéphales, 1867; P. Topinard, Anthro- pologie, 1884, p. 300 segg. Sforso. T. Anstrengung; I. Effort; F. Effort. Sentimento intraducibile di tensione, che s’accompagna ad ogni forma di attività volontaria. Fra le sensazioni di movimento si sogliono distinguere quello puramente passive, d’origine periferica, derivanti dalla contrazione dei muscoli, ο quelle attive, detto di aforzo ο d’innerrazione, di origine centrale, derivanti dal grado di innervazione che comunichiamo ai muscoli per produrre una data contrazione. Occorre tut- tavia distinguere lo sforzo positito, col quale si tende ad accrescere l'eccitazione o si dirigo l’attività nd un fine, 67 — Ranzota, Dizion. di acienze filosofiche. Sro — 1058 — dallo sforzo negativo, che tende a diminuire 1’ eccitazione ed inibire un movimento o una tendenza. Si distingue an- cora lo aforzo muscolare, di cui parlammo, dallo sforzo men- tale, diretto a promuovere od inibire un’idea o una serie di idee, e dallo sforzo morale onde si attua I’ ideale etico contro la resistenza proveniente dal fondo del nostro io ο dall'esterno. Ad ogni modo lo sforzo, per il dispendio di energia che richiede, dà sempre un criterio di conoscenza del proprio valore, rivela il dinamismo dell’essere proprio. E se, per la legge della minor resistenza, lo sforzo che accompagna gli atti va diminuendo quanto più si ripetono, rimane pur sempre che, qualora essi debbano assumere una direzione nuova, lo sforzo è pur sempre necessario; 00- sicchè esso è una condizione indispensabile di progresso. Secondo il Maine de Biran, il sentimento dello sforzo è il fatto primitivo della coscienza e da esso hanno origine le idee di causa ο di forza: « Noi troviamo impressa profon- damente in noi la nozione di causa o di forza; ma il sen- timento immediato della forza procede la nozione ed è lo stesso sentimento della nostra esistenza, da cui quello di attività è inseparabile. Poichè noi non ci possiamo cono- scere come persone individuali, senza sentirei cause rela- tive a certi effetti o movimenti prodotti nel corpo orga- nico. La causa, o forza attualmente applicata a muovere il corpo, è una forza agente che noi chininiamo volontà. Ἡ me #'idontifica completamente con codesta forza agente. Ma l’esistenza della forza non è un fatto per il me che in quanto si esercita, ed essa non #’ esereita che in quanto si può applicare ad un termine resistente o inerte. La forza non è dunque determinata o attuata che nel rapporto col suo termine d’applicazione, come pure questo non è de- terminato come resistente ο inerte se non nel rapporto con la forza attuale che le muove ο tendo a imprimergli il movimento. 11 fatto di codesta tendenza è ciò che noi chia- minmo aforzo, 0 azione roluta, ο rolizione, e io dico che codesto sforzo è il vero fatto primitivo del senso intimo ». Il sentimento dello sforzo appartiene, secondo il Maine de Biran, al senso intimo, perchè si constata da sè stesso in- teriormente, senza uscire dal termine della sua applica zione immediata © senza ammettere alcun elemento estraneo all’inerzia stessa dei nostri organi; ed è anche il più sem- plice di tutti i rapporti, il solo veramente fisso, invaria- bile, sempre uguale a sò stesso, in quanto non ammette alcun elemento variabile straniero, è il risultato costante dell’azione d’una sola ο medesima forza spiegata da un solo e medesimo termine. Cfr. Sully, Outlines of peych., 2° ed. 1885, p. 109 segg.; Hòffding, Peyokologie, trad. franc. 1900, p. 150; Bastian, The brain as an organ of mind, 1884, Appendice p. 691; Delboef, Revue philos., t. XII, 1881; Maine de Biran, Ocurres indites, ed. Naville, 1859, vol. III, p. 5 segg. (v. cinestesiche). Billogismo (συλλογισμός da συλλέγω--- metto insieme). T. Syllogiomus ; I. Syllogiom ; F. Syllogieme. Consiste in un complesso di tre proposizioni, collegate tra loro in modo che dalle due prime, dette premesse, se ne ricava una terza, detta conseguenza o illazione. La parola sillogiemo trovasi già in Platone, ma nel semplice significato di ra- gionamento ; con Aristotele assunso il significato speciale che ha poi sempre conservato. Egli lo defini « un ragio- namento nel quale, poste alcune cose, si conclude neces- sariamente qualche cosa di diverss, por ciò solo che quelle sono state poste ». Sembra tuttavia che la scuola Nyaya dell’ India, fondata da Gotama sei o setto secoli a, C., co- noscesse già il ragionamento sillogistico. Le definizioni del sillogismo date dopo Aristotele concordano più o meno con la sua. Per Hobbes il sillogismo è oratio, quae oonatat tri- bus propositionibus, er quarum duabus sequitur tertia, como additio trium nominum ; per Cr. Wolff è una operatio men- tin, qua ex duabus propositionibus terminem communem haben- tibus formatur tertia, combinando terminos in utraque diver- Sit — 1060 — soe; per il Dühring « un rapporto di due concetti ad un terzo concetto »; per il Wundt « una relazione mentale mediante la quale da giudizi dati proviene un nuovo giu- dizio ». Il principio fondamentale su cui si basa il sillo- gismo fn determinato già da Aristotele, sia sotto il rap- porto dell’estensione che della comprensione dei concetti. Sotto il primo ha avuto poi nella logica tradizionale la formula: quidquid de homnibus valet, valet etiam de quibu- adam οἱ singulis ; quidquid de nullo valet, neo de quibusdam nec de singulis valet. Sotto il secondo fu poi formulato da Kant così: nota notae est nota rei, repugnans notae repugnat rei ipei. La prima formula è quantitativa, la seconda quali- tativa; contro la prima il Bain obbiettd che essa, anzichè del sillogismo, è piuttosto la formula dell’ inferenza im- mediata per subalternazione; contro la seconda, che non determina l'estensione dell'identità che afferma. Il Bain propose questa nuova formula, che concilierebbe le due precedenti: « ciò che è detto della classe indefinita così com’ denotata per la sun connotazione, è vero di tutte le cose la cui connotazione speciale le rende riferibili alla classe ». Il Lambert ammise come vera la formula quan- titativa, specificandola però variamente per ogni figura; altri fondandosi sul fatto che ogni sillogismo esprime una identità, hanno creduto che il principio generale del sil- logismo sia quello d’ identità, ’Hamilton quello dell’egua: glianza delle parti col tutto, lo Spencer quello della sosti- tuzione dell’ identico. Nel sillogismo si distingue la materia, che è o prossima, cioè le tre proposizioni, o remota, cioè i tro termini; e la forma, cioè il nesso reciproco che hanno lo proposizioni. I sillogismi si ripartiscono in cinque classi principali: cafegorioi puri in cui tutte tre le proposizioni sono categoriche ; oategorico-ipotetici in cui tutte tre le pro- posizioni sono ipotetiche; épotetico-categorioi in eni la pre- messa maggiore è ipotetica, la minore e In conelnsione categoriche ; categorioi disgiuntiri in cni la maggiore è di- — 1061 — Sim sgiuntiva, la minore e la conclusione categoriche ο cate- tegoriche-disgiuntive; ipotetici disgiuntiri in cui la mag- giore è ipotetico-disgiuntiva, la minore e la conclusione categoriche o categoriche disgiuntive. Il sillogismo può avere quattro figure e sessantaquattro modi, di cui dician- nove soltanto sono validi. Oltre al sillogismo deduttivo, del quale fin qui si è discorso, si ha il sillogismo impro- priamente detto induttivo, nel quale, in luogo del termino medio, è data la serie completa o incompleta delle sue specie. Per lungo tempo il sillogismo fu tenuto in grande onore; sul finire della scolastica esso era considerato l’unica forma di ragionamento ed applicato all'espressione di ogni produzione del pensiero. Ma coll’età moderna si ripresero le critiche contro il sillogismo, già cominciate con gli scet- tici antichi: e da Lorenzo Valla, Rodolfo Agricola, Frun- «esco Bacone fino allo Stuart Mill e allo Spencer è tutta una schiera di pensatori che, con argomenti di varin na- tura, cercarono negargli ogni valore, o di ridurlo ad un semplice mezzo di controllo per chiarire i ragionamenti oseuri o svelare i difetti d’ una argomentazione capziosa. Nè ancora si può dire che la discussione sia chiusa. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 1, 24 b, 18; Id., Anal. post., I, 2,72 a, 5; Platone, Filebo, 41 C; Id., Teet., 186 D; Id., De corp., 4 C, 1; Cr. Wolff, Logica, 1732, $ 50, § 332; Kant, Lo, 1800, $41-43; Dühring, Logik, 1878, p. 54; Wundt, Logik, 1893, I, p. 270 segg.; Sesto Empirico, Pyrrh. Hyp., II, 194 segg.; Mar. Nizolius, De rer. prino., I, 4-7; Bacone, Nor. org., I, 13-14; Stuart Mill, Logic, 6° od. 1865, II, 3, 2; Bain, Logic, 1870; Spencer, Prine. of. Peychol., 3% ed. 1881, II, Pp. 99; Rosmini, Logica, 1853, $ 545 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 278 segg.; A. Pustore, Sillogiemo e proporzione, 1910; U. Della Seta, La dottrina del sillogismo in Aristotele, 1911 (v. conclusione, figura, termine, modo, nota notae). Simbolismo, Simbolo. T. Symbolismus; I. Symbolism ; F, Simbolieme. Nella gnoseologia dicesi simbolismo ogni dot- Sm — 1062 — trina che fa dell’ idea un semplice simbolo della cosa, ne- gando quindi che la conoscenza adegui la realtà e che il pensiero possa cogliere |’ essere quale è in sò stesso. Nella psicologia dicesi simbolismo sensoriale il fenomeno della trasformazione automatica in imagini uditive ο vi- sive delle impressioni sensoriali di modalità differente, tat- tili, olfattive, gustative, ecc.: in tali casi l’imagine visiva © uditiva diviene simbolo di sensazioni di ordine diverso. Il simbolismo sensorialo si verifica costantemente durante la voglia, ma diviene prevalente nel sogno, perchd nel sonno le vie sensoriali ordinarie sono chiuse, l’attenzione © Pinibizione volontaria sono torpide, cosicchè si ve: cano in esso le condizioni proprie alla formasione di ima- gini simboliche, cioò d’imagini sostanzialmente diverse du quelle che dovrebbe evocare lo stimolo che le produce. Nella religione dicesi simbolismo la tendenza a rappresen- tare per analogia con un atto o un oggetto materiale sia le forme diverse del sentimento religioso, sia l'oggetto della credenza. Esso ha origine dal bisogno che l’uomo prova di obbiettivare i propri sentimenti e le proprie emo- zioni, specie quando esse raggiungano un alto grado di intensità. Vi sono molte specie di simboli religiosi: e. di purificazione come l’acqua del battesimo, la luce delle torce, le vesti bianche, ece.; a. di sottomissione, come l’inginoc- chiarsi, il prosternarsi, lo scoprirsi il capo, ece.; a. di gioia religiosa, come le danzo, i baccanali, 1’ inghirlandarsi, ecc.; a. di tristezza religiosa, come il vestirsi di nero, il gettarsi la cenere sul capo, il digiunaro, ecc.; mistero, como il bendarsi gli occhi, fare la penombra, ece.; a. di imila- zione, come le stimmate di Β. Francesco d'Assisi e i diversi riti. — In generale, per simbolo »’ intende un sogno il quale fissa l’idea o la rappresentazione d'una cosa ο d’un fatto, che, convenzionalmente, a quel segno si associa. Per dirla in altre parole, e ricorrendo alla sua otimologia, la parola sim- bolo designa la connessione logica di due termini o dati, cia- — 1063 — Sim scuno dei quali partecipa con l’altro di un particolare rappor- to. Vi sono infinite specie di simboli; tuttavia, consideran- done la finalità psicologica ο logics, possiamo col Marche- sini distinguere quattro classi: rapprosentativi, che hanno affinità ο perfetta somiglianza con la cosa, ad es, il ritratto d’una persona: significativi che, pur valendo a richiamare un ordine di idee, sono sostituiti da altri dati, ad es. la parola, i numeri, gli algoritmi ; ricostruttivi che, come parte di una cosa. o momento di un fatto, richiamano alla mente il tutto della cosa ο del fatto, ad es. la penna in quanto richiama l’idea dell'atto di scrivere; esplicativi, che ci danno la conclusione di una serie di operazioni, ο, nello stesso tempo, la ragione di conclusioni nuove, ad es. una formula matematica. Inspirandosi invece ad un criterio storico, Guglielmo Ferrero ne fece la seguente classifica- zione: #. di prora, come i nostri documenti o le citazioni : 3. descrittivi, cho significano la cosa mediante la sua figara o quella d’un oggetto affine, ad es. la leonessa di bronzo eretta dagli Ateniesi in ricordo di Leona; 4. di sopravei- tenza, al. es. l'uniforme militare di certe autorità civili, che è il ricordo del predominio del potere militare; s. di riduzione, ad. es. l'investitura di una proprietà per il sim- bolo d'una foglia di quercia; s. emotivi, i distintivi del. l’untorità, come la corona e lo scettro; 4. mistici, come l’incanto, che un tempo era una formula à cui si attri- buiva ana potenza superiore. Cfr. Ochler, Lehrb. d. Sym- bolik, 1876; G. Ferrero, I simboli, 1892; G. Marchesini, 17 simbolismo nella conoscenza ο nella morale, 1901 (v. ritua- ligmo). Simile. T. .ihnlich, gleicharting ; 1. Similar; F. Sembla- ble. In generale due cose si dicono simili, quando presen- tano un corto numero di caratteri identici e un certo nu- mero di caratteri differenti. Nella geometria due o più figure sono simili quando sono costituite dallo stesso nu- mero di parti, della stossa forma e nel medesimo rapporte; Sim — 1064 — le due figure sono sempre simili qualunque sia la distri- buzione, diretta o inversa, delle parti che le costituiscono, purchè il rapporto sia costante secondo la propria forma delle analoghe parti. I filosofi greci credevano che il si- milo possa essere prodotto soltanto dal simile (talis effeatus qualis causa): da ciò derivarono molti pregiudizi popolari, ad es. che Vortica faccia guarire l’orticaria, che il zafte- rano, per il suo colore, sia il rimedio contro le itterizie, ecc. (v. somiglianza). Simmetria. T. Symmetrie; I. Symmetry; F. Symétrie. Nel suo senso più generale è la giusta distribuzione delle parti nella formazione di un tutto armonico. Dicesi leggo di sim- metria la legge formulate dal Bichat, secondo cui nel no- stro corpo sono simmetrici gli apparati della vita animale della riproduzione, sono invece asimmetrici quelli della vita organica. Il piano mediano taglia il nostro corpo in duo metà simmetriche, considerandole esteriormente ; però codesta simmetria non è perfetta, perchd lo due motà non sono geometricamente uguali, cio se sovrapposte non si corrisponderebbero. La causa della asimmetria mediale deve attribuirsi alla curvatura laterale della colonna vertebrale (v. degenerazione). Simpatia. T.Sympathie; I. Sympaty; F. Sympathie. Eti- mologicamente designa lu tendenza fondamentale a divi- dere lo emozioni e i sentimenti altrui, interpretandoli dal loro linguaggio esteriore. Nel suo significato più comuno è la tendenza, i cui fattori sono spesso oscuri, ad amare una determinata persona o cosa. Nel primo caso è un fe- nomeno assai complesso, mediante il quale ciascuno è so- lidalo delle gioie e dei dolori de’ suoi simili; molti ele- menti entrano a costituirlo, fra oni l'egoismo ὃ prevalente, anzi unico secondo degli utilitaristi. Nel secondo, che al primo si ricollega, il fondamento è dato dal sentimento d’un certo insieme di contrasti ο di somiglianze tra due persone, e può evolversi nell'amore e nell’amicizia. Il Plat- — 1065 — Sim ner definisce la simpatia « la proprietà dell’umana natura nd accordare le proprie sensazioni con le sensazioni di altri individui, il cui stato noi percepiamo o pensiamo ». Il Bain ugualmente: « La simpatia è l’entrare nei senti- menti di un altro © trattarli completamente come se fos- sero nostri. È una specie di imitazione involontaria, o di assunzione dei sentimenti espressi in nostra presenza, che è seguita dal sorgere dei sentimenti stessi in noi ». Se- condo l’Hôffding la simpatia suppone che « gli interessi comuni prevalgano sugli interessi divergenti; poscia sup- pone che tali interessi comuni possano giungere a mani- festarsi con maggiore o minore coscienza nel campo delle rappresentazioni dell'individuo. Se l’esperienza, l’intelli- genza ο l’imaginasione sono limitate, la simpatia sarà pure limitata. La storia ci mostra che la simpatia si svi- luppa da principio in sfere ristrette © irraggia poscia in più vaste.... Da ultimo la simpatia deve poter estendersi a tutti gli esseri viventi, alla natura intera; ensa finisce col prendere allora un carattere religioso e diventa ciò che Spinoza ha chiamato l’amore intellettuale di Dio ». Anche secondo il Bastian la simpatia ha carattere evolutivo, ο . Cfr. 8. Freund, Die Traumdeutung, 1900; Id., Ueber d. Traum, — 1091 — SoL 1901; I. Bigelow, The mistery of sleep, 1897; Myers, The human personality, 1902; A. Maury, Le sommeil et les rêves, 1878; Max Simon, Le mondo des réves, 1888; M. Foucault, Le réce, 1906; I. Tobolowska, Etude sur les illusions du temps dans les rêves, 1900; Vaschide, Le sommoil et les réves, 1911; De Sanctis, I sogni, studi peio. e olin., 1899; Ardigò, Op. fil., vol. IV, p. 388 segg., vol. IX, pag. 283 segg. (v. alluoina- zione, illusione, onirologia, telepatia). Solidarietà, T. Solidaritàt; I. Solidarity; F. Solidarité. Nel senso più generale è la dipendenza reciproca che esiste sia tra gli esseri che costituiscono l’ universo, sis fra le varie parti di un medesimo essere, e costituisce una delle condizioni tanto della vita cosmica come della vita indi- viduale. In un senso più particolare è la dipendenza reci- proca tra l'individuo ο la società, tra ogni uomo e tutti gli uomini. Il solidarismo, che forma la base dei moderni sistemi sociali e politici, è molto antico nella filosofia ed implicito specialmente nei sistemi panteistici, che scorgono una funzione dell’ essere assoluto nella coesistenza degli esseri particolari, nella successione dei loro movimenti ο dei loro pensieri: da ciò una interdipendenza completa di tutte le esistenze solidarizzate nell’ unità cosmica. Perd sul concetto di solidarietà non tutti i pensatori sono concordi: per il Fichte è un’ esigenza della ragione, il principio d’ in- telligibilità della nostra condotta e la condizione onde ai realizza l’ unità della ragione nello sviluppo dell’ umanità; per Augusto Comte la solidarietà è In grande legge natu- rale, che governa la generalità dei fatti sociali nella loro simultaneità e nella loro successione, cosicchè l'individuo, il quale per sè stesso non è che un essere biologico, di- viene uomo solo in quanto partecipa dell’ umanitd ed ha il sentimento del legame che lo unisce « ad una immensa © oterna unità sociale »; per Pierre Leroux, che si vanta d’avere per primo pronunciata la parola solidarietà, tra- Sportandola dal linguaggio ginridico in quello filosofico, BoL — 1092 — la solidarietà è non solo un sentimento ma un dovere e su essa si fonda il diritto, in quanto « l’uomo, sentendosi parte di un gran tutto, si mette in rapporto con tutto, e arriva finalmente a comprendere che ha diritto a tutto »; per il Bourgeois la solidarietà è un fatto di carattere universale non solo per riguardo agli esseri inferiori ma anche per rispetto alla società umana, cosicchè non si può prescin- dere da essa nel determinare il contenuto dol concetto di giustizia, consistendo il dovore sociale nel debito che cia- scuno ha verso gli avi e verso i posteri, il diritto nel- l'esigenza di ciascuno d’avere parte proporzionata nella somma degli averi e dei benefici sociali; per il Gide non ha valore etico nd la solidarietà che deriva dalla divisione del lavoro, nò quella che deriva dallo scambio dei servizi e dalla concorrenza, ma quella che si compie per mezzo della associazione cooperativa di consumo, nella quale si ha l’attuazione non tanto della giustizia quanto della fratel- lonza © dell'amore. Cfr. A. Comte, Cours de phil. positire. t. IV, lez. 48; L. Bourgeois, Keeai d’une phil. de la solid. 1902; L. Fleurant, Sur la solidarité, 1908. Solido. Lo spazio fornito di tre dimensioni, lunghezza, larghezza e profondità. L'idea del solido risulta psicolo- gicamente dalle sensazioni muscolari, associate a quelle della vista e del tatto. Infatti le tre dimensioni corrispon- dono a tre specie di movimento, che sono poi relative alle disposizioni stesse dei nostri organi, onde il concetto di spazio implica un sopra e un sotto, una destra e una si- nistra, un avanti e un indietro. Nell'uso comune, per so- tà s'intende invece la resistenza offorta dai corpi, re- sistenza la quale impedisce che altri corpi occupino lu spazio di cui un corpo è attualmente în possesso; in que- sto senso fu usata anche dal Locke: «.... ho creduto che il termine solidità sia assai più adeguato ad esprimere tale iden, non solo perchè è comunemente neato in ta! senso, ma anche perchè importa qualche cosa di più pe — 1093 — SoL-Som sitivo del termine impenetrabilitd, che è puramente nega- tivo, © che, forse, è più nn effetto della solidità che non la solidità atessa ». Cfr. Locke, Essay, 1877, 1. II, cap. IV, $ 1-6 (v. spazio, iperspazio, estensione, superficie, stereogno- stico, distanza). Solipsismo v. semetipsismo. Somatico (σῶμα - corpo). Tutto ciò che si riferisce al corpo; si contrappone perciò a peichico, spirituale, morale, intellettuale, ecc. Così dicesi somatica, per opposizione a in- tellettualistica, quella teoria dell’emozione che spiega l’emo- zione stessa come il ripercuotersi nella coscienza di altera- zioni organiche più o meno profonde; somatologia quella parte dell’antropologia che ha per oggetto lo studio della struttura del corpo umano, dello scheletro © degli organi interni, la proporzione delle sue parti, il suo sviluppo, ο V applicazione dei dati così ottenuti alla differenziazione sia dell’uomo dagli animali a lui più prossimi, sia delle differenti razze nmane, popoli, nazioni e classi. Somiglianza, T. Aehnlickeit ; I. Likeness, Resemblanoe; F. Ressemblance. Tu generale dicousi somiglianti due oggetti che presentano un certo numero di caratteri identici e un certo numero di caratteri diversi; Ja proporzione maggiore © minore dei primi rispetto ai secondi dà il grado mag- giore o minore di somiglianza. Nella psicologia dicesi legge di somiglianza, quella per cui, quando due stati di coscienza xi rassomigliano, l uno dei due può richiamare l’altro, È un caso della legge generale dell’associazione, e da alcuni psicologi è ricondotta alle leggi dell’ associazione por si- multaneita © per successione continua. Si distinguono varie specie di associazione per somiglianza : la somiglianza quali- tativa, che ha luogo fra proprietà che non possono identi carsi, ma appartengono alla stessa famiglia; lu somiglianza dei rapporti, o analogia, per la quale lu rappresentazione d'un rapporto tra le parti o le proprietà d’un oggett« suscita la rappresentazione d’ un altro oggetto, tra le parti Som-Son — 1094 — © proprietà del quale esiste un identico rapporto; la m- miglianza di sovrapposizione, che è il più alto grado di ~- miglianza associativa, e per la quale una rappresentazione ne evoca un'altra che, per la coscienza, è identica alla prima. Cfr. Bain, The senses and the intellecte, 3* od., p. 327; Hüf- ding, Psychologie, trad. franc. 1900, p. 202 segg. (v. simile . Sommo bene v. bene. Sommolisti v. vittorini. Sonnambulismo. T. Somnambulismus, Schlafwandeln: I. Somnambulism, Sleep-walking; F. Somnambulisme. Stato patologico, proprio specialmente degli isterici, e che si pe trebbe definire un sonno parziale. Nel sonnambulismo fun- zionano soltanto alcuni sensi, cosicchè il soggetto, senra svegliarsi dal suo sonno naturale, può alzarsi, lavorare. compiere ogni sorta di atti come se fosse desto. Tali azioni non sono un prodotto della volontà, bensì dell’ impulsività delle rappresentazioni e dell abitudine; l’amnesia com- pleta che si verifica al momento del risveglio, la sorpresa ο lo spavento che coglie i sonnambuli interrotti nel corso delle loro azioni, provano che la volontà non ha parte nello stato psichico nel quale si trovano. Il fatto della aicurezza con cui il sonnambulo supera i pericoli, è spiegato dal Maudsley con l’iperestesia in cui trovansi i sensi rimasti desti. Il sonnambulismo può essere naturale e prorocato: in questo secondo caso costituisce una delle fasi del grande ipnotismo. Cfr. Wundt, Grundriss d. Peyool., 1896, p. 321 segg.; Tuke, Sleep-walking and hypnot., 1884 (v. ipnotismoi. Sonno. T. Schlaf; I. Sleep; F. Sommeil. Stato di inco- scienza assoluta ο di subcoscienza, durante il quale l'or- ganismo ricostitnisco le forze esausto nelle sne relazioni col mondo esteriore. Se le perdite e le riparazioni dell’ at- tività nervosa si facessero di istante in istante, dice lo Spencer, non ci sarebbe l'alternativa tra la veglia e il sbnno; ma siccomo ciò non avviene, e durante il giorno si ha un consumo superiore all’approvvigionamento, così — 1095 — "gon si rende necessario un periodo alterno, determinato dal- l'esaurimento, in cui la provvista sia superiore al consumo. Le principali teorie sulle cause normali ed immediate del sonno sono: quella che lo attribuisce ad uns specie di in- tossioazione dell’ encefalo, dovuta ad alcuni prodotti del lavoro organico, agenti in modo analogo agli anestetici (etere, cloroformio, ecc.); quella che lo fa derivare da uno stato passeggero di snemia cerebrale, e quella che, all’ op- posto, lo attribuisce ad uno stato di iperemia degli emi- sferi. Secondo il Verworn, siccome la coscienza accompa- gna i processi di disintegrazione delle cellule corticali, il sonno, che è un processo più intenso di assimilazione, sa- rebbe scoompagnato dall’ inibizione dei processi dissimila- tivi. Secondo il De Sanctis, la causa del sonno sarebbe non l’ esaurimento cerebrale ma il muscolare, © la ripara- zione dei muscoli verrebbe favorita dal sonno perchè la soppressione della conduzione degli stimoli esterni soppri- merebbe il cosidetto fono chimico dei muscoli. Ultimamente duo nuove dottrine sul sonno sono state proposte, racco- gliendo molti consensi tra psicologi e fisiologi: la dottrina istologica, sostenuta tra noi dsl Lugaro, secondo la qualo il sonno sarebbe determinato da una retrazione dei prolun- gamenti centrali dei neuroni sensoriali ο quindi dal loro isolamento dai neuroni contigui; e la dottrina biologica, sostenuta specialmente dal Claparedo, secondo la quale il sonno è una funzione di difesa, imposta dal principio come fenomeno di adattamento, sviluppata nella lotta per 1) esi- stenza ο divenuta poi un istinto per la trasmissione ere- ditaria, Le cause anormali si distinguono în organiche, come i narcotici, le grandi altezze delle vette alpine, lo com- pressioni sul cervello, ecc., © in peichiche, come la noia, l'allontanamento delle eccitazioni © la suggestione propria © altrui, come l’ipnotismo, detto anche sonno provocato. Cfr. Preyer, Uerber die Ursache des Soklafes, 1877; A. Mar- vand, Le sommeil et Pinsonnie, 1881; H. Pléron, Le probl. Sop — 1096 — physiol. du sommeil, 1913; A. Mosso, Sulla ciro. del sanguc nel cervello, 1880; De Sanctis, I sogni, studi psichioî ο olimici, 1899 (v. incosciente, neurone, sogno). Soprannaturale. Τ. Übernatürlioh; I. Supernatural ; F. Surnaturel. Ciò che sorpassa In natura, ossia ciò che nel suo essere o nel suo agire trascende i poteri di quelle forze materiali che costituiscono la natura. Il soprannaturale è quindi essenzialmente spirituale, il regno dello spirito; la natura è materiale, ma include lo spirito (anima umana) © può esser oggetto d’azione dello stesso spirito infinito (miracolo). Cfr. Chr. Wolff, Vernünftige Gedanken, 1733, 1, § 682. Soprannaturalismo. T. Supernaturalismus; I. Super- naturaliem ; F. Surnaturalieme. La dottrina che fa dipendere il mondo da un essere che trascende, per la sua essenza e per il suo potere, la natura e che non può essere iden- tificato con le sue forze e le sne leggi. — La dottrina che sostiene essere il Cristianesimo di origine soprannaturale, cosicchè non può essere spiegato coi soli fattori naturali, ma riferito a Dio come suo autore. — La tendenza a sor- passare i limiti della natura, a cercare la spiegazione del mondo oltre il mondo, a porre il fine dell’esistenza oltre l’esistenza. Il Rosmini divide tutti i sistemi filosofici in rasionalisti e soprannaturalisti, determinati da due opposte maniero di pensare ο di sentire: entrambe queste tendenze sono naturali nell’uomo per quello che c'è nella sua na- tura, il soprannaturalismo è naturale per quello che manca. Cfr. Stäudlin, Geschichte d. Rationaliemus u. Supornaturali- smus, 1826; Rosmini, Storia comparativa e oritioa dei sistemi intorno alla morale, 1837 (v. natura, naturaliemo). Sopraordinazione v. subordinazione. Soprasensibile. T. Ubersinnlich; I. Supersensible. Può designaro tanto ciò che non può esser còlto ο conosciuto me- diante i sensi, quanto ciò che trascende per sua natura il mondo dei sensi; nel primo caso equivale spesso a rasio- — 1097 — Sor nale, mentale, nel secondo a intelligibile, spirituale. 11 sopra- sensibile non va confuso con l'ezirasensibile, che è quella parte del mondo esterno che non ci è data direttamente dalle impressioni sensibili, bensì da inferenze risultanti da rivombinszioni e riproduzioni delle impressioni stesse. Cfr. H. Ritter, System d. Logik, 1856, I, p. 229 (v. extraseneibile). Sordità. T. Taubheit; I. Deafness; F. Sourdité. Assonza del senso dell’udito, che può dipendere da lesione o im- perfezione dell’ apparecchio uditivo o del nervo acustico, oppure da una lesione della zona di corteccia cerebrale ove sono localizzate le sensazioni uditive; in questo secondo caso si ha la sordità centrale ο psichica, nel primo la sor- dità periferica. Dicesi sordità verbale una delle forme di am- nesis parziale, che consiste nella perdita della memoria della parola in quanto è pronunziata; quindi l’ ammalato, pur udendo le parole, non ne comprende più il significato. Si manifesta specialmente nella demenza paralitica, è do- vuta a lesione della parte mediana della prima circonvolu- zione temporale sinistra, e va unita sempre ad altri disturbi della lettura e della scrittura. Cfr. Bastian, Le cerveau or- gane de la pensée, 1888, vol. II, p. 220 segg.; Brissaud, Malattie dell’ encefalo, trad. it. 1906, pag. 100 segg. Sorite (σῶρος — acervus = muechio). T. Kettenachluss, Sorites ; I. Sorites; F. Sorite. Una forma di ragionamento, costituito da una catena di proposizioni collegate tra loro in modo, che il predicato della prima fa da soggetto della seconda, il predicato della seconda da soggetto della terza, © così via via fino a che nolla conclusione si unisce il sog- getto della prima col predicato dell’ ultima, Il sorite si può adunque considerare come una catena o un muoohio di sil- logismi, in cui sono soppresse tutte le conclusioni e lu pre- messe minori intermedie; si può anche considerare come un sillogismo solo, avente come premessa maggiore l’ul- tima proposizione, come minore la prima, e come termino medio tutta la catena delle proposizioni intermedie. Esso Sos — 1098 — si adopera quando non si può dimostrare, adoperando un solo termine medio, il nesso immediato tra il soggetto e il predicato di una tesi che ei vuol dimostrare e quindi ai de- vono assumere più termini medi, procedendo per via di suc- cessive identificazioni. Es.: essere è agire; agire è fare sforzo; fare sforzo è tendere verso un bene di cui si è privi: tendere verso un bene di cui si è privi è soffrire; dunque essere è soffrire. Il sorite può avere due forme: la forma re- gressiva o aristotelica, quale fu definita più sopra e che è la più comune, e la forma progressiva o goclenioa, che comincia con la premessa che contiene il predicato della conclusione ed ha come ultima premessa quella che contiene il soggetto. Si distinguono ancora il sorite deduttivo, a cui appartengono tunto 1) aristotelico che il goclenico, e il sorite induttiro, co- stituito da una catena di sillogismi abbreviati della terza figura. Primitivamente il sorite aveva valore non di ra- gionamento logico, ma di sotisma, e si applicava a tutto ciò che presentasse una transizione uguale e continua: così Zenone di Elea diceva che se si toglie un grano da un mucchio di frumento, esso resta ancora un mucchio di frumento; se se ne toglie un altro, lo stesso; e così via via finchè si conclude che basta un solo grano di frumento per formare un mucchio; facendo lo stesso ragionamento con l’aggiungere, diceva che un grano uon forma un muc- chio, due grani neppure, 9 così via via fino a coneludere che mille o più grani non formano un mucchio. Gli sect- tici greci si valsero molto di tale forma di sofisma, per dimo- strare l'impossibilità di distinguere il vero dal falso. Cfr. Ari- stotelo, De soph. elenok., 24, 179 a, 35; Cicerone, 4oad., II, 49; Lotze, Grundzüge d. Logik, 1891, p. 46 (v. tropi). Sostanza (sub = sutto, © stare = stare: ciò che sta sotto; substantia è la traduzione esatta della parola Sro- xelpsvoy usata da Aristotele, © composta di ὑπό -= sotto, ο xetpat = stare, giacere). T. Substans ; I. Substance; F. Sub- stance. E il sostrato permanente e irreducibile delle varie — 1099 — Bos qualità, il soggetto che persiste idontico sotto il mutare delle qualità, come il colore, la forma, il peso, eco., ed è uno mentre i fenomeni e le qualità sono multiple. Il pen- siero filosofico si è sempre affaticato intorno al problema della sostanza ο della sua conoscibilità. Aristotele fu il primo a definire il concetto di sostanza, determinandola come qualche cosa che sussiste per sè stesso ο si realizza nelle determinazioni particolari, che in parte sono i suoi stati (πάθη), in parte i suoi rapporti con le altre cose (τὰ, πρὸς tt); ma già in Talete ο nei presocratici si ha I’ iden di una realtà prima, ἀρχή, da cui tutto deriva e che pure nel suo fondo rimane identica. Per Platone, le essenze in- telligibili sono le realtà sostanziali (οὐσίαι), e cioè l’unità sotto cui si raccoglie ln moltiplicità delle cose sensibili, gli archetipi di esse. Per gli stoici ln sostanza è l'essere, come sostrato permanente di tutti i possibili rapporti; essa è il sostegno di proprietà stabili (ποιόν), e solo per questo riguardo si trova sotto condizioni mutevoli ο quindi anche in rapporti con altre sostanze. Gli scolastici la de- finirono ciò che per sò sussiste (ena quod per se subsistit), ciod non per qualche altra cosa, come gli accidenti, che sussistono nella sostanza, e quindi per la sostanza. Per Cartesio è reale ciò che è di essenza semplice e indecom- ponibile, cioè il pensiero nella coscienza, l'estensione nei corpi: Per substantiam nihil aliud intelligere possumus, quam rem quae ita existit, ut nulla alia re indigeat ad existendum ;... Possunt autem substantia corporea, et mena, sive substantia cogitans, creata, sub hoc communi concepta intelligi; quod aint res, quae solo Dei concursu egent ad ezistendum. Per Spinoza non v’ha se non un’ unica sostanza, Dio, che si mostra in due attributi, l'estensione ο il pensiero, i quali, essendo ciascuno uel suo genere infiniti, cioò Innumerc- voli, contengono a titolo di modi (cioè come natura na- turata, mentre sostanza ed attributi sono natura naturante), tutti gli spiriti e tutti i corpi. Per Malebranche non esi- Sos — 1100 — stono sostanze sensibili, e il mondo esterno è percepito in Dio, nel quale è riposta l’idea di estensione; anche | per Berkeley non esistono sostanze sensibili, ma il mond esteriore è prodotto dall’asione di Dio sul nostro spirito. Invece la scuola scozzese, seguendo il realismo volgare. considera la sensazione come un segno naturale della so stanza, Noll’empirismo di Locke e nel fenomenismo di Hume. Stuart Mill, eco., l’esistenza della sostanza è negata: ciò che noi diciamo sostanza non è che il eubstratem, da cui supponiamo che sortano, per poi ritornarvi, quelle sensa- zioni semplici che sono raggruppate insieme, cosicchè la consideriamo come un'idea; questa però non è altro che l’unione di un numero di idee semplici che αἱ prendono unite come in una cosa, mediante P unione di un me in cui coesistono e di cui non si ha una ides chiara. « La nostra mente; dice il Locke, è fornita d’un gran numero di idee semplici, recate ad ssa dal senso ;... essa osserva che un certo numero di tali idee stanno sempre insieme: crede perciò che appartengano ad una sola cosa, ed es- sendo le parole adattate alla comprensione comune e usate per un rapido disbrigo, le chiama, così unite in un solo soggetto, con un solo nome; per disattenzione noi siamo inclini poi a usarla 6 considerarla come una semplice idea, mentre in realtà è un complesso di molte; e poichè, come dissi, non imaginiamo come tali idee semplici possano sus- sistere per sò stesse, ci abituiamo a supporre un qualche sostrato sul quale sussistono e da cui risultano; tale sv- strato noi chiamiamo perciò sostanza ». Questa critica fu accettata in parte dal Kant, il quale della sostanza fa una cutegoria © pone come prima analogia dell’ esperienza che sotto ogni mutamento dei fenomeni permane la sostanza: in tal modo essa è come un principio a priori, cho costi- tuisce la base della nostra esperienza ma non ha alcun valore fuori di essa, essendo un prodotto della nostra mente, Il problema dell’esistenza della sostanza si subor- . — 1101 — Sos dina donque, in tutta la storia della filosofia, a quello della sua conoscibilità: così per Platone noi conosciamo la sostanza mediante un intuito razionale; per Aristotele la sostanza è la prima delle categorie, l’atto logico onde il pensiero riporta ogni attributo ad un oggetto ; per Car- tesio la sostanza è il semplice che si soopre con l’analisi al di sotto delle qualità seconde o sensibili, colori, odori, sapori e suoni; per Spinoza ciò che è in sò ed. è perce- pito per sè; per il Leibnitz le sostanze sono molte, e tutte quante attive e rappresentative, perchè ogni monade rap- presenta con maggiore o minor chiarezza, sò © tutte le altre monadi; per il Galluppi la nostra idea di sostanza risulta ds una analisi riflessiva, per cui anzitutto distin- gniamo il nostro soggetto dalle modificazioni di cui è fotto ο il soggetto esteriore dalle qualità particelari di oui lo rivestiamo, poscia « paragonando queste dne nozioni di soggetto-io e di soggetto esterno, noi scopriamo con un nuovo atto di analisi in ambedue una nozione identica, cioù quella del soggetto, ο quest’ ultima risultato dall’analisi è In nozione di sostanza »; per gli empiristi non è che una idea astratta dell’impressione di resistenza, e per i fenomenisti un’abitudine mentale determinata dall’esperienza di una co- stante coesione di un certo peso, un certo colore, un certo sapore, ecc., ciascuna delle quali sensazioni evoca, in base alla legge d’associazione, tutte le altre. Nella filosofia con- tomporanea il concetto di sostanza è ancora largamonte disensso, ο si può dire che dal vario atteggiamento di fronte a tale problema derivino le più profonde differenze tra i vari indirizzi speculativi, per quanto nessuno, o as- sai pochi tra essi, accetti l’idea tradizionale di un sostrato irreducibile e immutabile. Il progredire delle conosconze he e chimiche ha anzi diffuso la convinzione che, in ordine alla realtà vera ο profonda, non sia lecito parlare di sostanza, ma solo di attività, di energia, e che il con- cotto di sostanza, o esprima niente altro cho nna legge Sos — 1102 — . a all’ equivalenza dei cangiamenti, ο sia una struzione fatta dalla mente per comodità ο per un q siasi motivo soggettivo. — Alcuni logici chiamano sestezz: logica il sostrato al quale aderiscono le note di un con- cetto, sostrato costituito dalla categoria alla quale il con- cetto stesso appartiene; per tal modo, se con l’astrazione ascendente si tolgono tutte le note di un concetto, resterà sempre in ultimo una delle categorie. — L’Ardigò chiama sostanza psico-fisica l’iudistinto dal quale emergono, spec:- ficandosi, i fatti molteplici, materiali ο spirituali, fisici e psichici; tale indistinto è poi null’altro che l’unità reale cosmica, intrinsecamente e infinitamente complessa, com- prendente in sò stessa quei due ordini di fatti che costi- tuiscono l’uno il mondo esterno, l’altro l’ interno, e che in quanto tale, può essere pensata come sottostante ad entrambi e colla virtualità di presentarsi tanto nell’ uno quanto nell’ altro. — Con l’espressione sostanza del sense della vista Y. Müller e H. Helmholtz designano quelia parte della sostanza nervosa dell’ apparecchio visivo in- terno, la cui eccitazione può produrre sensazioni luminose 6 di colore: essa comprende la retina, il nervo ottico e la parte del cervello nella quale penetrano le radici del nervo ottico. Cfr. Aristotele, Met., VII, 2, 1023 b, 8 segg., 3. 1029 a, 1; B. Bauch, Der Substanzproblem in der griech. Philos. bis zu Blützeit, 1910; Cartesio, Prino. phil., I, 51-53: Spinoza, Eth., 1. I, teor. II-XIV; Leibnitz, Phil. Seriften, ed. Gerhardt, II, 57, VI, 488; Locke, Essay, 1877, 1. II. cap. XXIII, $ 1; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 174-192; Wundt, Logik, 1893, I, p. 483 segg.; Gallappi. Lesioni di logioa e metafisica, 1854, III, p. 1007 segg.; Ar- digò, Op. fil., VI, 153-165, VII, 446 segg., I, 184 segg. (v. essenza, energismo, attualismo, mobiliemo, dualismo, fenome- nismo, sostanzialiemo, idealiemo, materialismo, spiritualiemo. Sostanza (principio di). Come principio supremo di ra- gione si onnnein così: ogni qualità ο accidente dere arere — 1108 — Sos una sostanza, A questo principio alcuni riconducono quello della conservazione della massa. La massa è il quoziente di ogni forza che si applica al corpo diviso per l’accele- razione che esso gli imprime; questa quantità m — f/g è costante. Senza questo sostrato solido, che rimane in- variabile e serve da termine di confronto, ogni trasfor- mazione sarebbe inintelligibile. Allo stesso principio si ri- conduoe la teoria del Lavoisier: in ogni reazione chimica la massa dei composti è uguale alla somma della massa dei componenti. Il Rosmini riconduce il principio di so- stanza a quello di contraddizione: se l’accidente esistesse senza la sostanza, sarebbe sostanza esso medesimo, vale a dire sarebbe accidente e sostanza nello stesso tempo, il che è contradditorio. Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 413. Sostanzialismo. T. Substantialitàtstheorie, Substantia- lismus ; I. Substantialiem ; F. Substantialisme. Ogni dottrina che ammette l’esistenza di un reale assoluto, di una so- stanza, di un soggetto che persiste identico ed uno sotto la mutabilità e molteplicità dei fenomeni. È quindi sino- nimo di realismo, e si oppone ad empirismo, energismo, mobi- linmo © fenomenismo. Nella psicologia il soslanzialismo, ο dot- trina della sostanzialità dell'anima, si oppone all’attualismo, © dottrina dell’attualità dei fatti psichici: secondo la prima dottrina, concepita già da Platone ma posta su basi pre- cise solo da Descartes, l’anima è una sostanza spirituale, immutabile, di cui tutti i fatti psichici (pensieri, senti- menti e voleri) non sono che manifestazioni ; secondo l’at- tualismo, prevalente nella psicologia contemporanea, i fatti psichici valgono per sò soli, in quanto hanno un va- lore attuale e non in quanto si riferiscono ad un ipote- tico substrato, che, se è ammissibile nei fenomeni fisici - i quali rimangono immutabili nella quantità, essendo sottoposti alla legge della conservazione dell’ energin - non è invece riferibile ai processi spsichici, cho valgono Per sè soli e sono in continuo aumento. Cfr. Hòfding, Sos-Spa — 1104 — Psychologie, trad. franc. 1900, p. 79, 87; De Sarlo, Cul. filosofica, luglio 1912, p. 438 segg. (ν. anima, sostanza. risultanti poiohiche, vintosi). Sostrato. O substratum, si adopera talvolta per desi- gnare la sostanza, vale a dire ciò che sta sotto agli ac cidenti, che serve di fondamento alle qualità, ai fenomeni. Sottrasione. T. Subtraction; I. Subtraction ; F. Soustrac- tion. Nella logica designa quella forma di argomentazione per cui, enumerati i caratteri di un determinato tutto. « dimostrato che un singolo è di essi totalmente o in parte sprovvisto, si conchiude che esso o non appartiene a quel tutto, o gli appartiene soltanto in parte. Questa argomenta- zione si fonda sopra il principio dialettico che « il residuo è uguale al tutto meno la parte ad esso tolta ». Ad es.: per- chè un uomo sia virtuoso deve amare il prossimo, prati- care la giustizia, astenersi dai piaceri dannosi, ecc.; ma Tizio nd ama il prossimo, nd pratica la giustizia, ecc.: dunque Tizio non è virtuoso. Cfr. Rosmini, Logica, 1853. ». 225 segg. (v. addizione, divisione). Sovrintelligenza. Nei sistemi teologici e mistici si designa così quella funzione della ragione per cui questa, paragonando il campo del possibile che le è dato nell’ idea al campo del reale datole dal sentimento, vede che quello eccede infinitamente questo, e che in quella parte di realtà non c'è la ragione suprema, che solo può esser tipo e ra- gione di tnite le realtà finite. La sovraintelligenza umana è dunque l’atto per cui la mente s’accorge che vi è qual- che cosa oltre a tutto quello che essa conosce, un al di là sconosciuto e inoonoseibile. Cfr. Rosmini, Logis, 1853. Ρ. 493 segg. (v. agnosticiemo, misticisino). Spazio. T. Raum; I. Space; F. Espace. Secondo il realismo lo spazio è un continuo a tre dimensioni illi- mitate, tutte le parti del quale coesistono nello stesso momento; esso si ricollega strettamente col tempo, che è un continuo illimitato avente una sola dimensione, di — 1105 — Bra cui noi occupiamo un punto determinato, che si sposta continuamente nella stessa direzione. Secondo l’empirismo l’idea di spazio non è che il rapporto dei coesistenti, in quanto implicano la distanza ο l’ estensione, e l’idea di tempo il rapporto della suocessione dei fatti. Tanto lo spazio che il tempo implicano molte questioni metafisiche © psicologiche, variamente risolte nella storia della filoso- fia. La prima e la più importante di tali questioni è la seguente: lo spazio esiste in sò, come luogo ove sono col- locati corpi, è una proprietà delle cose stesse, 0 è sem- plicemente un modo subbiettivo sotto il quale percepiamo certe proprietà e certe relazioni dell’ essere? La filosofia. antica, in generale, risolve la questione nel primo modo, la filosofia critica moderna nel secondo. Così per Leucippo e per i suoi seguaci della scuola atomistica, esiste nno spazio infinito, parte vuoto e parte ripieno di atomi; il vuoto è lo spazio puro, che ha per proprietà essenziale l'estensione, e la cui esistenza è provata dalla possibilità del movimento. Parmenide e gli eleati negano l’esistenza del vuoto; l'essere occupa lo spazio in tutto e per tutto, perchè non può venir limitato dal non-essere. Platone considera lo spazio vuoto come la concansa (ξυναίτιον) nel non essere, che sta accanto al mondo dell’ essero ο della causa, al mondo delle idee e dell’idea del bene; per lui lo spazio è quindi il « niente » di cui per l’iden del bene e della divinità è formato il mondo fenomenico, Questa formazione consiste nella formazione matematica ; egli insegna nel Filebo che il mondo della percezione à una miscela dell'infinito dello spazio e del limite (πέρας) delle forme matematiche, e che la cansa di questa mesco- lanza è l’idea del bene: per diventar simile al mondo delle idee lo spazio assume la forma matematica. Anche per Plotino lo spazio vdoto è il non essere, la materia, che forma la possibilità per l’esistenza dei corpi, pur non essendo esso stesso corpo e non essendo determinato dn 70 — RanzoLI, Dizion. di scienze filosofiche. SPA — 1106 — alcuna proprietà; anche per Plotino lo spazio vale dun- que come il presnpposto per la riproduzione, che le idee trovano nel mondo fenomenico sensibile. Aristotele si op- pone alla identificasione platonica dello spasio con la ms- teria, osservando che la materia e la forma sono insepara- bili dalle cose, mentre lo spazio è separabile e contiene le 0086; egli lo definisce invece come il primo limite del corpo contenente, in quanto il corpo che vi è contenuto è sa- scettibile di movimento locale; lo spazio è un vaso immo- bile, ma ciò che esso contiene può esser mosso, da eni segue che non può esservi che un corpo contenuto in ur altro nello spazio e che un corpo che non è contennto in un altro non è nello spazio; la terra è nell'acqua come in suo Inogo naturale, l’acqua nell’ aria, l’aria nell’etere, Vetere nel cielo, il cielo in nessun'altra cosa; per Ari- stotele lo spazio è dunque qualche cosa di obbiettivo, di fisico, qualche cosa che indica un ordino determinato nei mondo. La dottrina della realtà obbiettiva dello spazio persiste ancora in Cartesio, Spinoza, Locke, Newton. Per Cartesio l'estensione dei corpi, ossia lo spazio, costituisce non solo l'essenza dei corpi, ma è infinitamente divisibik nelle sue parti; per Spinoza } estensione è un attributo ino; per Newton lo spazio assoluto è reale, e deve con- siderarsi come il sensorium, in oui Dio ha la percezione immediata dell’ universo materiale; per il suo seguace Sa- muele Clarke lo spazio è una conseguenza immediata e ne- cessaris dell’esistenza di Dio, la proprietà d’una sostanza incorporea, il posto non solo dei corpi ma anche delle idee. « Noi abbiamo delle idee, come quella di eternità e di im- mensità, dice il Clarke, idee che ci è assolutamente impos- sibile di distruggere o di bandire dal nostro spirito, e che devono perciò essere gli attributi d’un essere necessari» attualmente esistente.... Lo spazio è una proprietà della sostanza che esiste per sò stessa, e non una proprietà di qualsiasi altra sostanza. Tutte le altre sostanze sono nello — 1107 — Bra spazio, © lo spazio le penetra, ma la sostanza che esiste per sò stessa non è nello spasio e non è da esso pene trata. Essa è, per così espremirmi, il substratum dello spazio, il fondamento dell’esistenza dello spazio ο della durata stessa ». Per il Leibnitz lo spazio è invece nul- l’altro che 1’ ordine delle coesistenze e quindi non esiste indipendentemente dalle cose; è un fenomeno soggettivo, in quanto l'estensione corporea si risolve nella rappresen- tazione che le monadi inestese hanno della loro forza passiva. Per il Berkeley lo spazio assoluto è un mero fantasma, lo spasio puro è la semplice possibilità del movimento dei corpi, ο l'estensione, insieme con gli altri attributi sen- sibili della materia, una nostra idea. Per Hume 1’ idea di spazio o di esteso non è se non l’idea di panti visibili o tangibili distribuiti in un certo ordine, idea ottenuta me- diante sensazioni tattili ο visive e che esclude, in quanto tale, la concepibilità di uno spazio vuoto. La dottrina della soggettività dello spazio, riconfermata poi dal Con- dillac, Cr. Wolf, Baumgarten, James Mill e, infine, da Emanuele Kant, dà origine ad un secondo problema: la nozione di spazio sorge come prodotto della nostra espe- rienza sensibile, ο la troviamo insita a priori nel nostro spirito? Secondo la dottrina empirica o genetica l'idea di spazio è un astratto, che risulta dalla percezione di di- stanza (lunghezza) © di estensione superficiale (larghesza © profondità): la prima è data specialmente da una asso- ciazione tra le sensazioni della vista, del tatto ο del senso muscolare, la seconda dalle sensazioni tattili cni si dsso- cia la rappresentazione visiva della parte toocata; I’ idea di spazio, così ottenuta, costituisce lo spasio prioologioo o Ottico, che è affatto relativo, e le cui parti non appaiono mai perfettamente continue e omogenee; lo spazio asso- luto, 0 spasio puro, di cui tutte le parti sono omogenee © continue, e che non lascis alcuno spazio fuori di lui, è una pura astrazione matematica, non una vera © pro- Βρα — 1108 — pria realtà concettuale; la pretesa infinità dello spazio non significa altro che ogni limite dello spazio è aceider- talo e può essere superato dall’immaginazione. Second: la dottrina nativista lo spazio è invece un dato assoluts- mente a priori, che noi troviamo nel nostro spirito e ehr applichiamo alle cose; le sue proprietà essenziali, che sono l'omogeneità o identità perfetta delle sue parti, ll grandezza e la divisibilità illimitata — proprietà di low natura inafferrabili alla esperienza -- provano che esso è un dato naturale ο a priori del pensiero. Così per Kant lo spazio è il molteplice @ priori come forma del sens esterno; ogni rappresentazione di un di fuori suppone in- fatti per base la nozione di spazio; l'originaria rappr- sentazione dello spazio è necessaria, perchè quantunque si possano astrarre gli oggetti dallo spazio, non si pu però mai fare astrazione dallo spazio stesso, ed è la rap presentazione di una quantità infinita, la quale come con- cetto comprende infinite altre rappresentazioni : è dunque una visione sintetica a priori, che in sò congiunge la realtà empirica e la idealità trascendentale. Per Hegel Ίο spazio è mera forma, l’astrazione della esteriorità immediata; 1’ Idea come natura comincia appunto a porsi come l’ essere che è esteriormente ed è altro: « La prima o immediata de- terminazione della natura è l'universalità astratta della sus eseriorità; la cui indifferenza priva di mediazione è lo epa- zio. Lo spazio è la giustaposisione del tutto ideale, per- ohd è l’esser fuori di sd stesso, e semplicemente continue. perchè questa esteriorità è ancora del tutto astratta, e non ha in sd alcuna differenza determinata >. Per P Herbart lo spazio è l'apparenza obiettiva prodotta dal meccaniamo della rappresentazione e precisamente da un rapido sucoedersi di qualità, prive per sò stesse di ogni estensione; allo spazio empirico corrisponde uno spazio intelligibile « che noi ag- giungiamo inevitabilmente col pensiero all’ andare ο al ve- delle sostanzo,... e che la metafision costruisce per le — 1109 — Spa mutazioni di situazione della realtà intelligibile ». L’ Hel- mholtz riconduce la rappresentazione dello spazio alla or- ganizzazione psicofisiologica; ma oltre allo spazio apparente © soggettivo dobbiamo ammettero una spazio reale « per- chè nella realtà devono esistere dei rapporti di qualche ge- nere ο dei complessi di essi, tali da determinare il luogo dello spazio nel quale un oggetto appare »; questi rapporti sono i momenti topogeni; i momenti ilogeni fanno sì) « che noi crediamo di percepire in tempi differenti cose materiali diverse nei medesimi Inoghi ». Per il Diibring lo spazio reale è « quello per il quale le cose hanno una distanza lo une rispetto alle altre »; ora, è per virtù delle stesse forze naturali che le distanze reciproche dei corpi e delle particelle materiali sono come sono e non altrimenti, ο si mautanò; la posizione spazialo ο la distanza spaziale espri mono dunque un rapporto dinamico, e le forme spaziali non possono mai per tal guisa realizzarsi senza una gran- dezza determinata; l’ordine spaziale delle parti si distingue pereid come un ordine di parti in cui gli clementi sono gli autori di un aggruppamento schematico: « ora, lo schema, che per tal guisa diventa percepibile, è appunto lo spazio ». Il Wundt definisce lo spazio « una grandezza permanente, infinita, congruente in sè stessa, nella quale il singolo indecomponibile è determinato mediante tre di- rezioni ». Contro Kant egli nega la rappresentabilità di uno spazio vnoto, pure riconoscendo che lo spazio nella forma in cui lo intuiamo non può avere realtà obiettiva; contro le dottrine nativistiche ed empiriche dello spazio egli pone la propria dottrina dei segni locali, in virtù della quale V intaizione spaziale apparo come una sintesi associativa © fusione di un sistema di segni locali fissi della retina, con un sistema di segni locali uniformi di movimento, e quindi come un prodotto delle nostre condizioni psichiche ο dolla nostra organizzazione fisica; ciò porta ad escludero tanto una corrispondenza fra la nostra intuizione spazialeSpa — 1110 — © l’ordine esterno delle cose, quanto l’arbitrarietà dell’in- tuizione stessa: « La necessità, proveniente dall’ esterno, ondo la nostra coscienza è obbligata a collocare gli og- getti in ordine spaziale, dimostra ansi l’esistenza di fon- damentali determinazioni obbiettive sotto il cui influsso l’ intuizione spaziale è formata. Se noi designano tali de terminazioni come spazio obbiettivo, dobbiamo considerarlo come qualche cora di sconosciuto, che non ci è dato im- medistamente, ma al quale potremmo giungere, se riusci» simo ad eliminare i processi soggettivi, che ci hanno con- dotto alla intuizione spaziale ». Il Masci ammette invece con Kant che.lo spazio non è un concetto discorsivo ο ge nerale di rapporti delle cose, ma una pura intuizione, an- zitutto perchè il concetto è universale mentre l’intuizione ha per suo termine l’individuale, © gli spazi singoli sono appunto intuiti come parti non costitutive ma distributive © limitative; poscia perchè, mentre gli elementi dello spa- zio (punti) non hanno ordine logico e non si esigono ma si escludono, carattere dei concetti è di avere organisme e misura; infine perchè i concetti sono prodotto di com- parazione e astrazione, mentre gli spazi non hanno nulla di diverso tra loro e si distinguono soltanto nello spazio: egli aggiunge ancora che lo spazio rende conce] il principio di causalità, © non può quindi essere, al pari di questo, un concetto, formando lo schema per cui il con- cetto stesso diventa rappresentabile. Il Varisco ammette uno spazio reule, a tre dimensioni, omogeneo, euolidev; # uno spazio puro o astratto, formatosi nella nostra mente allo stesso modo di tutte le altre nozioni astratte, cioè per V aggruppamento spontaneo dei dati sperimentali, con la conseguente eliminazione degli elementi che non siano compatibili; l’esistenza dello spazio reale è provata dal fatto stesso della ‘rappresentazione determinata, che gli uomini ne hauno, nonchd dalla impossibilità di sostituire i simboli spaziali con altri: « Oggettivamente, quello che — ll Bra si chiama lo spazio si risolve: primo, nell’ avere cisscun elemento materiale un’ estensione. L’ elemento non essendo composto di parti distinte, nd scomponibile in modo alcuno, la sua estensione è assolutamente inseparabile; è uno dei caratteri essenziali, dal cui complesso inseindibile risulta V elemento, appunto come la sua massa, 9 la sua attitudine a essere determinato psichicamente. Secondo, nell’ ensere gli elementi a distanza tra loro, il che significa soltanto che le loro estensioni non si continuano ». Per l’Ardigò lo spazio non è che l’astratto del rapporto di coesistenza, ossia dell’ ordine col quale si presentano associati insieme i sensibili nella percezione dei corpi: « I corpi ο le sostanze del mondo esterno, distribuiti in questo nello stesso or- dine secondo il quale sono sentiti gli organi onde li per- cepiamo; ossia la proiezione, nello stesso mondo esterno, non solo dei sensibili relativi, ma anche dell’ ordine se- condo il quale li sentiamo; e la stessa proiezione di questo ordine per la medesima legge di oggettivazione della sen- sazione esterna: ecco il fondamento della idea dello spa zio ». Si tratta dunque d’un concetto empirico, alla cui formazione concorrono insieme sensazioni visive, tattili, muscolari, e che non richiede quindi per essere spiegato il concorso della facoltà dell’ intelletto o del soprasensibile ; l'argomento della infinità dello spazio, e quello soeratico- platonico della presenza intera dell'idea dello spazio già al principio della vita cogitativa, non valgono contro la concezione empirica, sia perchè I’ infinità spaziale non si intuisce veramente, sis perchè l’idea di spazio, al pari d’ogni altra ides, si va formando a poco a poco nella nostra nente col progresso dell’ esperienza e del lavoro di associazione, di distinzione, di costruzione logica. Cfr. Pla- tone, Timeo, 49; Aristotele, Phys., IV, 5, 212 b, 27 seggi; Plotino, Enx., III, 6, 7 © 18; Cartesio, Medit., IV; Id., Prine. ΡΜ. II, 10 segg.; Spinoza, Ethéoa, II, teor. II; Locke, És- say, II, cap. XIII, $ 2, 11, 21 segg.; Newton, Naturalia SPE phil. prino. math., 1687, p. 6. II, III; Leibnitz, Op. fi. 1840, p. 602, 241; Berkeley, Dial. b. Hylas a. Philonows, I: Hume, Treatise, 1874, II, sez. 3; Kant, De mund sesis., 1882, sez. III, $ 15; Id., Krit. d. reinen Fern., ed. Kehrbach, p. 50e segg.; Hegel, Enoiclopedia, trad. it. 1907, p. 205 segg.: Herbart, Peyohol. als Wissenschaft, 33 ed., I, p. 488 segg.: Id., Allgemeine Metaphysik, 1828, II, p. 199; Helmholts, Pài- ayol. Optik, 1867, p. 442 segg.; Dühring, Logik, 1878, p. 199-201; Wundt, Logik, 2° ed., I, p. 442-461; Id., Grundsiigo, d. physiol. Peychol., 2° ed., t. II, p. 28 segg.: Baumann, Die Lehren von Raum, Zeit und Mathematik, 1869; B. Erdmann, Die Aziome d. Geometrie, 1877; Schlesinger, Substantielle Wesenheit des Raumes und der Kraft, 1885; 8. H. Hodgson, Time and space, 1865; G. Lachalas, Etude aur l'évpace ot le temps, 33 ed., 1910; B. Bourdon, La perception visuelle de Véapace, 1902; A. Covotti, Le teorie dello spario e del tempo nella fl. greca, « Annali della R. Scuola Nor. di Pisa », vol. VII, 1899; Tocco, Della materia in Platone, « Stud. it. filol. class. », IV, 1895; Varisco, Soiemsa e opi- nioni, 1901, p. 60 segg; Masci, Le forme dell? intuizione. 1881; Ardigd, Op. fil., II, p. 110 segg., V, 259 segg., VII, 88 segg. (v. intuizione, iperspacio, estensione, superficie. distanea, stereognostico). Specie. T. Art; I. Species; F. Espèce. In una serie di due o più idee subordinate le une alle altre, le meno estese si dicono specie rispetto alle più estese, che diconsi ge nere; © siccome l’estensione e la comprensione stanno fra loro in rapporto inverso, così sotto il rispetto della com- prensione la specie è invece maggiore del genere, cosic- chè essa comprende gli attributi del genere. E facile com- prendere che una idea può essere generica sotto un rispetto, specifica sotto un altro: così nella serie di ossere, materia, organismo, animale, vertebrato, uomo, l’iden animale è spe- cifica rispetto a quelle più estose 9 meno comprensive di organismo, materia, cescre, è gonorioa rispotto alle idee meno cstese © più comprensive di vertebrato © uomo, Di- minuendo sempre più l'estensione, si arriva all’ idea assolutamente specifica — ultima species -; compiendo l'operazione inversa si giunge all’ idea assolutamente ge- nerica - summum genus — ossia all’ idea di essere, di so- stanza, di qualche cosa, ecc. — Nello scienze fisicho per specie κ’ intendono gli stati o fatti primitivi, fondamentali, irreducibili; lo sforzo del pensiero scientifico è, a tal ri- guardo, di ridurre le specie al minor numero possibile ο di eliminarle. Nella concezione meccanica dell’ universo, le varie specie di fenomeni si fanno derivare da combi- nazioni e complicazioni di movimenti, eseguiti da movi- ili ο regolati da un numero limita- tissimo di principi; in tal modo però l’unità e l'identità reale dei fenomeni è raggiunta solo apparentemente, giac- chè per dar ragione della diversità occorre ammettere dello profonde differenze tra le proprietà dei movimenti, le quali, dovendo avere anch’ esse una causa, implicano necessariamente l’esistenza di specie diverse di condizioni. Una più profonda unificazione raggiunge la dottrina elet- tromagnetica, la quale, eliminato ogni dualismo tra ma- teria ed etere, ponderabile © imponderabile, risolve le varie specie di sostanze materiali che noi percepiamo in forme diverse di aggregamento di elementi omogenei; in tal modo il fondamento delle distinzioni in specie o in aggruppamenti di vario ordine (si tratti di sostanze sem- plici o composte) non può esser posto in qualità esolurive degli elementi singoli, ma nelle maniere di aggrupparsi © di ordinarsi di elementi identici, e quindi nelle leggi che intervengono e spiegano la loro efficacia nei vari casi. — Nello scienze biologiche la definizione dalla specie, col- legandosi alle questioni fondamentali della filosofia zoolo- gica, varia a seconda dei diversi autori: per il Prichard essa è una collezione di individui somigliantisi tra di loro, discesi da una coppia primitiva, e le cui lievi dif- SPE — 1114 — ferenze si spiegano con l'influenza degli agenti fisici. Per il Cuvier è la collezione di tutti gli esseri organir- sati, nati gli uni dagli altri e da parenti comuni, ο da quelli che loro somigliano tanto quanto essi si somigliano tra di loro. Per il Lamarck è la collezione degli in- dividui somiglianti che la generazione perpetua nello stesso stato, finchè le circostanze della situazione non cambino sufficientemento per cambiare le loro abitn- dini, i loro caratteri, le loro forme. Ad ogni modo, il criterio prevalente è che si dicono della stessa specie gli individui che possono inorociarsi meglio tra di loro e dar Inogo a prodotti che si perpetuano all'infinito; invece V inerociamento fuori della specie, nel genere, o è sterile 0, so dà luogo a riproduzione (come tra la lepre ο il eo- niglio) essa non si perpetua all'infinito. In questi ultimi tempi il concetto di specie ha subìto però nuove modifi- cazioni, in seguito agli studi del Heincke sullo deviazioni dei caratteri dalla media, e più ancora del De Vries sulla variabilità nel mondo vegetale e sull’ ibridismo. Secondo il De Vries, i caratteri della specie presentano nell’ indi- vidno una certa indipendenza l’uno dall’altro ed una va- rinbilità fluttuante ο statistica, cioò una oscillazione in più o in meno, intorno ad un valore medio (ideale) del carattere, entro limiti che non sono mai oltrepassati : assolutamente infondata, egli dice, l’ opinione che la va- riazione lineare (in un senso ο nell’altro) di un dato ca- rattere sia illimitata, in modo che si possano produrre nel corso di secoli ο di millenni trasformazioni, più impor- tanti che non nel corso di pochi anni. Per il migliora- mento di ciascun carattere preso per sò, bastano in condi- zioni favorevoM 2-3 ο per solito non più di 3-5 generazioni ». Mentre lo speoie elementari, anche quelle più affini tra loro, non differiscono per un solo carattere, ma in quasi tutti i loro organi e in tutte le loro qualità, nessun es- sora dà in eredità ai suoi discondenti i snoi caratteri come — 1115 — SPE un tutto unico. Mediante procedimenti sperimentali fu possibile separare uno o più caratteri, seguendone poi lu sorte attraverso una generazione di ibridi. — Il Rosmini chiama specie piena, o anche esemplare dell’ oggetto, il concetto pienamente determinato, che ha cioè la massima comprensione e la minima estensione; quando con l’astra- zione si tolgono da questa specie piena gli accidenti, la- sciando la sostanza, si ha la specie astratta sostanziale; quando si fa 1’ operazione inversa si hanno lo specie astratte accidentali. — Nel linguaggio della filosofia scolastica per species a’ intende I’ imagine rappresentante l'oggetto. Species sensibilis è quella della percezione, species intelligibilis quella del pensiero: « Species sensibilie non est illud quod sentit, sed magis id quo sensus sentit. Ergo species intelligibilie non est id quo intelligitur, sed id quo intelligit intellectus. Per apeoiem intelligibilem fit intellectus intellegens actu, siout per apociom sensibilem sonsus est aotu sentiene » (8. Tommaso). Species praedivabilis è la cosa atta ad esser predicato di molte, differenti di solo numero, nella domanda quid est; ad es. animale predicato di cavallo, pecora, eco. Species subiicibilia è il particolare che si colloca propriamente sotto il genere e di cui si predica immediatamente il genere in quid; ad es. animale rispetto ad un vivente. Speoies ezpressa è la percezione © rappresentazione dell’ oggetto, detta così perchd è espressa ο tratta fuori e dalla potenza; species impressa è la qualità prodotta dall’ oggetto quale vicaria rirtus obiecti che si imprime nella potenza e la completa ο l’aiuta a trar fuori la percezione dell’ oggetto, cioè In specie espressa; entrambe le specie vengon dette talora anche speoies intentionalis, perchè per essa la potenza tendo all'oggetto. Cfr. A. Righi; La moderna teoria dei fonomeni fisici, 1904; Hugo De-Vries, Specie ο varietà, trad. it., Palermo, Sandron ; Raffaele, Riv. di Sciensa, anno I, n. 102; De Sarlo, La nozione di specie, « Cult. filosofica », giu- gno 1908; S. Tommaso, Sum. phil., I, qu. 46; Gocle- SPE — 1116 — nius, Lexicon philosophicum, 1613, p. 1068 segg.; Malebran- che, De la rech. de la verité, 1712, III, 2, 2 (v. darwinismo, razza, trasformismo, ibridismo, sensibile). Specifico. T. Speoifisch; I. Specific; F. Spéoifique. oppone tanto a generico quanto a individuale; così dicesi differenza specifica tutto ciò che serve a distinguere uns specie da un’altra; esperienza specifica quella fatta da tutta la specie attraverso il succedersi delle generazioni, e fis- sata per l'eredità nell’individuo ; memoria specifica |’ istinto che è un insieme di atti protettivi accumulati e trasmessi dalla eredità; legge delle energio specifiche, la dottrina, se- condo la quale le diverse modalità delle sensazioni dipen- dono dalla natura specifica dei diversi organi di senso, non dalla differenza degli stimoli esterni che le eccitano (v. energie specifiche). Specioso. Un argomento specioso non è che un ragio- namento sofistico, con cui si tende a persuadere altrui della verità d’una conclusione falsa. Speculare. Dicesi allucinazione speculare quel fenomeno psicologico che si verifica durante gli stati profondi del sonno ipnotico, e che consiste nella visione interiore del proprio organismo acquistata dal soggetto e proiettata al di fuori. Dicesi scrittura speculare o a specchio, quella che va da destra a sinistra, come la scrittura che si legge per riflessione in uno specchio. Può essere così istintiva come naturale (Leonardo da Vinci); nel primo osso di- pende da una anomalia, non ancora bene conosciuta, dei centri motori encefalici (v. autosoopia). Speculativo. T. Speculativ ; I. Speoulative; F. Speoulatif. Si oppone tanto a sperimentale, empirico, positivo, quanto a pratico © designa il sapere astratto ο che è fine a sè stesso, e non serve quindi di mezzo a fini utilitari o pra- tici. Diconsi speculative le scienze filosofiche, ο quelle, in genere, nelle quali più che l’esperienza hanno parte la forza indagatrico della ragione e la sua potenza dimostra- — 1117 — Βνκ-βρι tiva. Dicesi ragione speculativa la ragione in quanto ha per fine la ricerca del vero, e ragion pratica la ragione in quanto ha per fine il bene e fornisce i principi del- l’azione. Speculasione (speculari = guardare attentamente). T. Speculation ; I. Speoulation ; F. Spéculation. E la traduzione latina del greco θεωρία da Sewpsty, che significa osser- vare, indagare. Quindi speculazione vale indagino, ricerca, ma spesse volte si adopera per indicare il sapere puro, l’in- dagine razionale, per opposizione alla ricerca sperimentale e positiva. Così per Aristotele la speculazione è la forma più alta e intuitiva del concepire, ed appartiene anche alla divinità. Per Kant una conoscenza teoretica è speculativa quando ha per oggetto cid che non si pud cogliere in al- cuna esperienza; la conoscenza dell’universale in astratto è conoscenza speculativa; la conoscenza filosofica è la co- noscenza speculativa della ragione. Cfr. Aristotele, Met., VI, 1, 1025 b, 18; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehr- bach, p. 497. Spirito. Lat. Spiritus, Mens; Τ. Goist; I. Spirit; Ἑ. Esprit. Pnò avere vari significati. Nel senso metafisico, lo spirito è la sostanza immateriale, distinta dal corpo ο ad enso op- posta, semplice, indivisibile, imponderabile, incorruttibile, immortale; essa non ha alcuna forma sensibile, nessuna proprietà della materia, 9 si rivela come pensiero, senti- mento e volontà. La nozione di sostanza spirituale, intrav- veduta nell'antichità soltanto da Platone, è relativamonte recente nella storia del pensiero. Da principio per spirito si intendeva il soffio della vita, ciò che l'essere animato sembra esalare col suo ultimo respiro, e per lungo tempo rimase a designare non ciò che è assolutamente incorpo- Teo e immateriale, ma bensì una materia estremamente sottile, attenuata, penetrante e impalpabile come il soffio; tale concezione materialistica si mantenne anche nella filo- sofia greca, cosicchè per Anassimandro 1’ anima è gassosa, Ser — 1118 — per Ippone è un’ umidità, per Senofane è aria, per Era- clito, per Democrito e per gli stoici è fuoco, per Epicuro à un corpo consistente di materia serea ο di fuoco. Anche per Anassagora lo spirito (νοῦς) ordinatore dell’ univers secondo un fine e moderatore del movimento, è una materia, un elemento corporeo, omogeneo in sè, inoreato ο imperi turo, diverso da tutte le altre materie solo per grado, in quanto è la più fine, la più leggera, la più mobile, e per la sostanza, in quanto si muove da sò e muove gli altri elementi. Per Tertulliano lo spirito è una particolare sv- stanza: epiritus enim corpus sui generis in sua effige. Per Alberto Magno apiritus potest dici is qui active apirat. Per Melantone vapor ex sanguine expreseus. Questo concetto durò fino a tutto il medio evo, e la stessa religione cristiana non seppe spogliarsene, come è dimostrato dalle pane mate- riali che essa infligge alle anime condannate al fuoco eterno. Soltanto col dualismo cartesiano si distinsero nettamente le due sostanze, che esistono entrambe per sò stesse, ma di cui una, lo spirito, è pensiero ο attività, l’altra, la ma- teria, è estensione e inerzia: questi due opposti si uni- scono solo in Dio, fondamento reale della conoscenza e del moto, e nell’uomo, che è spirito e corpo, pensiero ed azione: Non autem plura quam duo genera rerum agnosco: unum est rerum intellectualium, sive cogitativarum, hoc est. ad mentem sive ad substantiam cogitantem pertinontins : aliud rerum materialium, sive quas pertinent ad substantiam, hoc est, ad corpus. (Cartesio). Una nozione ugualmente esatta dello spirito si ha nel Berkeley: « Uno spirito è nn ee sere semplice, individuale, attivo, che si chiama intelli- genza in quanto percepisce le idee, volontà in quanto le produce o è attivo in rapporto ad esse ». Naturalmente, il materialismo ha sempre combattuto il concetto della sostanza incorporea, dello spirito, che per l'Hobbes è una vor insignificans, © per i materialisti del secolo soorso uns semplice fanzione della sostanza cerebrale; ma la critica — 1119 — fer più acuta fu fatta da Locke ο da Hume, il primo dei quali dimostrò l’inconcepibilità di una sostanza in sè stessa, il secondo sostenne che, essendo ogni idea derivata da una impressione precedente, se abbiamo un’ idea della sostanza del nostro spirito dovremmo aver pure un’ impres- sione di questa sostanza, il che è inconcepibile perchè V impressione dovrebbe esser simile alla sostanza; perciò egli risolve lo spirito in « un sistema di percezioni diffe- renti, che sono collegate le une alle altre da un rapporto causale e reciprocamente si producono, si distraggono, si influenzano © si alterano ». Tale critica fa accettata da Kant, che additò i paralogiemi nei quali onde la pei- cologia razionale quando vuol provare la spiritualità del- l’anima; da J. 8. Mill, che risolve lo spirito in una possibi- lità permanente di sentimenti; dal Bain, che lo considera come « un residuo, che si trova dopochè si è separato il mondo obbiettivo dalla totalità della nostra esperienza »; dal Wundt, che ne fa un semplice soggetto logico del- l’esperienza interna; dallo Spencer, che lo pone come in- conoscibile, come un simbolo di ciò che non pnd mai cadere sotto il pensiero; dall’Ardigò, che lo considera come il ritmo comune o generico mentale, costituito dallo reminiscenze e dalle sensazioni interne, ritmo che ci si pre- senta come inesteso e immateriale, perchè nei suoi ele- «menti non apparisce il riferimento con la meccanicità del fatto fisiologico, della quale gli elementi stessi sono la manifestazione cosciente. — Nel senso puramente psicolo- gioo lo spirito può designare sia 1’ insieme delle attività psichiche dell’uomo, senza riferimento ad una sostanza per- manente, © in tal caso ha il significato generico che si at- tribuisce alla parola coscienza, psiche, anima, io, eco.; ein l'insieme delle sue facoltà intellettuali, e in tal caso ha significato più ristretto, ο si oppone alle facoltà affettive ο Volitive. Cfr. Aristotele, Phys., VIII, 1, 250 b, 24; Dio- gene Laerzio, II, 3, 6; Platone, Rep., IV, 435; Tertulliano, Spr — 1190 — Adv. Praz., C 7; Cartesio, Prino. phil., I, 11, 48; Berkeley, Prino. of hum. know., 1710, XXVII; Locke, Enquiry, 1. II, cap. 23, $ 18 segg.; Hume, Treatise, P. IV, ses. v; J. è. Mill, La phil. de Hamilton, trad. franc., cap. XII, pag. 228 segg.; Bain, The sonsca and the intellect, 3* od., cap. I; Spencer, Prino. of Peychol., 1881, P. II, cap. 1, § 58; Wandt. Handbuch d. physiol. Peyohol., 1880, vol. I, p. 8; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 10 segg.; Tylor, La ciri- lisation primitive, trad. franc, 1876, vol. I, p. 497 seggi, Lubbock, I tempi prolstorioi ο l’origine dell’ incivilimento, trad. it. 1875, p. 557 segg.; Ardigò, Opere fil., I, 209 segg. IX, 306 segg. (v. anima, psiche, attualiemo, sostanzialismo). Spiritualismo. T. Spiritualiemus; I. Spiritualiem; F. Spi- ritualisme. Nel suo significato più largo è la dottrina che ammette l’esistenza di Dio e dell'anima come sostanze im- materiali, © cioè semplici, inestese, attive, identiche a sè stesse, © che non cadono sotto i sensi; si oppone perciò al materialismo, il quale non ammette altre sostanze che le materiali, e nega l’esistenza di sostanze spirituali di- stinte dalle sostanze materiali. Si distingue dall’idealiemo, in quanto mentre questo fa dello spirito, come del corpo, un semplice modo del pensiero, un’ idea pura, quello con- sidera invece l’idea come un modo o una forma dello spirito. La distinzione però non è sempre osservata, usan- dosi spesso le espressioni idealismo realistico, o metafisico, © cosmologico, ο assoluto, per indicare il monismo spiritua- listico. Tre sono i principali argomenti dello spiritualismo per dimostrare la necessità di un principio immateriale che produca i fatti di coscienza: 1° la coscienza non pnd na- score dalla materia corporea, perchè mentre questa è per sua nature molteplice e composta, quella è per sua natura semplice ed una; 2° la coscienza, essendo dotata di ai vità spontanea e libera, non può derivare dalla materia. cho à inerte © incapace di modificare sò stessa; 3° la co- scienza non pad derivare dall'organismo, perchd mentre essa sente di rimanere sempre identica a sè, l’organismo si rinnova © varia continuamente. Quest’ ultimo è l’argo- mento sul quale si appoggiano, specialmente dal Lotze in poi, gli spiritualisti moderni: se nel corso della vita psi- chica, nel succedersi continuo di sensazioni, rappresenta- zioni, emozioni ο voleri, l'individuo si sente sempre iden- tico a sò, sempre il medesimo, vi deve essere nn sostrato permanente sotto la vicenda dei fatti psichici, i quali per ciò non sono che fenomeni molteplici e variabili d’una so- stanza unica © immutabile. Ammessa l’esistenza della so- stanza spirituale, due soluzioni fondamentali αἱ rendono possibili. Si può considerare lo spirito come unica realtà, di cui la materia non è che un semplico fenomeno, e in tal caso si ha lo epiritualiemo puro o monistico. Si può consideraro invece lo spirito e la materia come due principi ο sostanze op- poste e irreducibili, esistenti ab aeterno I’ una accanto all'altra, e agenti reciprocamente l’ans sull'altra, 6 in tal caso si ha lo apiritualiemo dualistico. Le principali ragioni su cui lo spiri- tnalismo monistico si fonda, sono: 1° poichè l'universo non si rivela a noi che sotto forma spirituale, devo essere di essenza spirituale; 2° poichè l'universo è conoscibile, deve eniatere tra esso © il nostro spirito un legame essenziale, giacchè sarebbe inesplicabile una corrispondenza tra il pensiero ο ciò che gli è del tutto estraneo; 3° poichè nella coscienza non c'è che coscienza, se non si vuol rinunsiare a cono- scere si deve concepire l’universo in termini di coscienza, ossia per analogia con la nostra esperienza interna. Le varie forme del monismo spiritualistico germogliano infatti da una particolare traserizione del mondo in termini di esperienza psicologica, sia che faccia dell'universo un pro- cesso organico e consideri 1’ ovoluzione cosmica come In necessaria attuazione d’unn idea immanento nella natura, sia che riduca il divenire della realtà all'esplicarsi d’ un: tendenza impulsiva, sin che la faccia rampollaro da un fe- race istinto di reazione. Platone cho eleva ad immutabili #1 — Ranzout, Dizion. di scienze filosofiche. Spo — 1122 — essenze i concetti dello spirito umano; Fichte che vede nel processo cosmico lo sforzo perenne dell’ Io morale per ren- dere efficace la sua libertà; Hegel che dà valore di realtà assoluta al movimento dialettico del pensiero; Schopen- hauer che pone al fondo delle cose la volontà; Schelling. Froschammer, Bergson che contemplano nell’eterno dive nire del mondo l’opera d’una fantasia inesauribile, trag- gono tutti dalla esperienza interna il principio del low spiritualismo. Cfr. F. Kirchner, Grundprinzip des Weltpre- zesees, 1882; Wachrot, Le nouveau spiritualieme, 1882; A. Aliotts, Linee d’una concesione spiritualistica del mondo, « Cultura filosofica >, Anno VII, n. 3, 8, 4-5 (v. anime, monismo, influsso fisico, neo-spiritualismo, parallelismo, #- stanza, sostanzialismo, spirito). Spontaneita. T. Spontaneitàt; I. Spontaneity; F. Spor tandité. Leibnitz la definì brevemente contingentia sine cos tione; Cristiano Wolff principium asse ad agendum deterni- nandi intrinseoum. Nel suo senso proprio, è il potere che ha un essere di modificare da sè stesso lo stato proprio. indipendentemente da ogni causa esterioro. Si oppone quindi alla inersia, che è invece la tendenza di un essere a perseverare indefinitamente nel suo stato di riposo o di movimento, finchd non sia modificato da una causa este riore. Per Aristotele gli oggetti che costituiscono la na tura hanno în sò stessi il principio del proprio moto, © tali oggetti sono non solo i corpi, ma anche quelli che sono legati con corpi, come l’uomo, © quelli che al corp? sono principio di movimento, come l’anima. Epicuro pe neva nell’atomo una spontaneità, una determinazione in- dividuale, per oui esso può deviare nella sua caduta ret- tilines (clinamen) e produrre quegli urti con gli altri atom. che danno origine alle cose. Anche il Leibnitz pone ln spontaneità nella monade, che è una forza semplice, ori- ginaria, determinata in sò stessa e non dal di fuori, Nella filosofia moderna la spontaneità è da molti considerats essa è sostituito il determinismo cosmico, 1’ universale ο necessaria continuità del movimento, che si trasforma in modi infiniti. Quando la spontaneità è apposta alla recet- tirità, non significa più libertà: si dice infatti che la sen- sibilità è una recettività, l'intelletto invece una sponta- neità, in quanto è la facoltà, dice Kant, di produrre in noi stessi delle rappresentazioni. Cfr. Leibnitz, Philos. Scriften, ed. Gerhardt, IV, 483, VII, 108; Kant, Krit. d. reinen Vern., 1878, p. 76 (v. caso, contingenze, necessità). Statica. Quella parte della meccanica razionale che studia la composizione delle forze (indipendentemente dai movimenti che sono capaci di produrre) considerate come grandezze riferite ad una unità di misura della stessa specie. Statistion. T. Statistik; I. Statistica; F. Statistique. Può designare tanto la scienza dei fatti sociali espressi con ter- mini numerici, quanto i termini stessi. La statistica come scienza ha per oggetto la conoscenza della società consi- derata nei suoi elementi, nella sua economia, nella sua tuazione; essa si può definire come l'osservazione e l’in- duzione appropriate allo studio quantitativo dei fenomeni collettivi, suscettibili di variare senza regola assegnabile a tutto rigore. Nei fenomeni collettivi essa deve sceverare ciò cho v’ha di tipico nella varietà dei casi, di costante nella variabilità, di più probabile nell’apparente accidenta- lità, e decomporre, fino al limite che la natura del metodo consente, il sistema di cause ο di forze di cni essi feno- meni sono la risultante. La statistica è deserittica, quando si limita a raccogliere i fatti, matematica quando li rap- presenta e confronta per dedurne lo leggi. Cfr. Morpurgo, La statistica e le scienze sociali, 1872; Gabaglio, Teoria ge- nerale della statistica, 33 ed. 1888; N. Colaianni, Manuale di mtatistioa teor., 2* ed. 1907 (v. sociologia). Stato. T. Staat: I. State; F. État. Ogni società organiz- zata snlle basi della giustizia; ogni società i cui membri STA — 1124 — prestano abituale obbedienza ad una autorità posta nel. società stessa e che non presta obbedienza abituale ad un autorità esterna. Il Brugi lo definisce « un istituto che tr tela il diritto nella società civile, induce a unità le classi > ciali, ed à il mezzo con cni si manifesta l’azione colletti»: del popolo »; così inteso, lo Stato è distinto dalla società ti vile, che è l’ ordinamento degli individui appartenenti a vi dato popolo in classi fondate sugli interessi economici, tisi © intellettuali. L'origine, la natura e le funzioni deliv Stato furono © sono spiegate in modi diversi. Per Prots gora gli dèi hanno elargito a tutti gli nomini in misun nguale il senso della giustizia e il timore morale (2ixr © αἴδώς) affinchd possano conchiudere patti durevoli per i conservazione reciproca nella lotta per la vita. Per Pis tone lo Stato ideale deve rappresentare in grande l’uomo. ο deve perciò constare di tre parti, che corrispondono alle tre parti dell'anima: la classe insegnante, la classe mil: tare e la classe guerriera; solo alla prima spetta di gu: dare lo Stato, di fare le leggi e di vegliarne l’eseenzior mentre cömpito della seconda à la conservazione dell dinamento dello Stato, interno ed esterno; alla gran mass del popolo, operai e contadini, che col lavoro provvedono alla creazione dei mezzi esteriori dello Stato, s’addicono solo l'obbedienza e la moderazione. Per Aristotele l’attività morale dell’ uomo, ζῶον zoAtttxév, non può trovare la sus perfezione se non nella vita in comune, quindi anche per lui non e’ è nessuna moralità concreta fuori dello Stato, come scopo essenziale del quale anche Aristotele considerava l’edu- cazione morale dei cittadini; ogni costituzione politica è giusta, quando il governo ha presente, come scopo più ele- vato, il benessere della umanità. Cfr. Combotheern, La con- ospt. jurid, de Etat, 1899; Spencer, L’individu contre?" État. trad. frane. 1885; Cavagnari, Psicologia dello Stato, 1901:- Brugi, Introd. alle acience giuridiche e sociali, 1907, p. 1 sogg. (v. contrattualismo, diritto, pena, società). — 1125 — sre Stereognostico (senso). Espressione introdotta nel lin- guaggio filosofico dall’ Hoffmann, con la quale si designa il senso che ci dà la nozione della forma degli oggetti e delle loro proprietà fisiche, quali la temperatura, l’esten- sione, la consistenza. Più che una forma di sensibilità semplice esso è costituito dall’associazione di nozioni for- nite specialmente dal tatto attivo ο dal senso muscolare. In generale si ammette che la nozione della solidità e della forma degli oggetti a distanza ci è data dalla visione bio- culare, per la differenza delle due imagini retiniche pro- dotte dall’oggetto solido. Perciò alcuni psicologi ritengono sia più proprio parlare d’una percezione atereognostica piut- tosto che di un senso stereognostico ; altri lo chiamano in- voce fatto attivo, 0 percezione tattile dello spazio. Dicesi sto- reoagnosia il fenomeno psichico, che consiste nella perdita del riconoseimento della forma degli oggetti: sembra do- vuta ad una rottura delle fibre d’ associazione leganti il contro sensoriale muscolo-tattile col centro dello imagini visive delle forme. Cfr. Helmholtz, Physiol. Optik, 2° ed. p. 782 segg.; Wundt, Physiol. Paychol., 4° ed., vol. II, p. 227; E. B. Titchener, Exper. psychol., 1901, I, p. 257 segg.; Bourdon, La perception visuelle de l'espace, 1902; Id., «Inndo peyohologique, 1899, p. 65 segg. Stereoscopic. T. Sterooskop; I. Stereoscope; F. Stéréo- scope. Stromento col quale le figure piane sembrano solido, valo a dire a tre dimensioni. Esso si fonda sulla consta- tazione che l'apprezzamento della solidità dei corpi è dato dalla visione bioculare, per il fatto che l’imagine di un dato corpo solido, proiettata su una retina, non può essere ngnale all’imagine che lo stesso corpo proietta nel mede- simo tempo sull’altra retina. Esistono vario forme di ste- reoscopi, di cui il primo è dovuto al Weastone. Mediante questo stromento si fw cadere sopra una retina il disegno dell’imagine che un dato corpo solido proietterebbe su essa, e sui punti identici dell’altra retina il disegno del- STE-STO — 1126 — l’imagine che il medesimo corpo proietterebbe contempo raneamente su di essi; quindi, benchd ciascun disegno sia rappresentato da una superficie a due sole dimensioni, si ba la stessa sensazione che si avrebbe guardando il corpo solido, che tali disegni rappresentano, con le sue tre di- mensioni (lunghezza, larghezza, profondità). Se i due di- segni sono uno nero © l’altro bianco si ha la sensazione dello splendore. Cfr. Weastone, Philos. Transact., 18%: Stolze, Die Stereoscopie und das Storeorscop., 1894 ; Breuster. The stereosoope, 1857 (v. retina, peeudoscopio, spazio, risire. solido, stereognostico). Stereotipia. Sintomo di alcune malattie mentali, com la forma catatonica della demenza precoce, 1’ imbecillità. l’idiotismo. Consiste nella ripetizione continua degli stesi movimenti e delle stesse frasi, nella monotonia del tono di voce, nel ritorno incessante dei medesimi periodi ο delle medesime parole quando l’ammalato scrive. Cfr. J. Finzi. Compendio di psichiatria, 1899, p. 101,123 (v. ecolalia, stupore). Stimolo. T. Keiz; I. Stimulus; F. Stimulus, excitant. Tutto ciò che produce lo stato di eccitazione d’una cellula, d'un tessuto o d’un organo. Senza l’azione dello stimolo l'at- tività funzionale della cellula, e quindi del tessuto o del- l'organo, non si produce. L'intensità della eccitazione pro- dotta è, generalmente, proporzionale all’intensità dello stimolo. Ogni organo reagisce allo stimolo in quel modo che è conforme alla sua struttura. Gli stimoli della c- scienza si distinguono in esterni, che agiscono sugli organi situati alla periferia del corpo, interni, che provengono da una modificazione inerente agli organi, ο inferoerebrali, che consistono nell’ irradiarsi della eccitazione nervosa da vu centro superiore ad un altro (v. eccitazione, aubminimali). Ston (στοά = portico). Grecismo usato talvolta per de- signare lo stoicismo, dicendosi la filosofia dello Stoa, o seu- plicemente lo Stoa. La filosofia stoica ebbe infatti la sus prima sedo nel Portico pecile. — 1127 — STO Stoicismo (στοά -= portico). T. Stoiciemus; I. Stoiolem; F. Stoicieme. Sonola filosofica fondata da Zenone di Cizzio, in Cipro. Il suo nome le venne dall’essere stata aperta, tre secoli a. C., nello Stoa pecile, un portico ornato di pitture del celebre Polignoto. Essa ebbe più di cinque se- coli di vita rigogliosa, durante i quali attraversò due pe- riodi nettamente distinti l’uno dall’altro: il primo ha per centro esclusivo Atene, il secondo si svolge specialmente a Roma, ove conta fra i suoi seguaci i cittadini più illu- stri. Mentre nella prima fase l'insegnamento originario di Zenone è conservato intatto, nella seconda esso tende al- l’eclettismo, specie con Cicerone, Seneca, Marco Aurelio, che attinsero largamente alla filosofia platonica. I carat- teri fondamentali della filosofia stoica sono, a giudisio dello Zeller, il materialismo in quanto essa pone Dio e l’anima come sostanze corporee; il dinamismo perchè considera come inseparabili la materia ο la causa, cioò il principio passivo e l’attivo; il pantelsmo perchè il principio attivo è uno solo, ed è Dio. Secondo gli stoici la filosofia non è che lo studio della virtà, ed ha per centro la vita mo- rale dello spirito; tuttavia essa si distingue in tre parti: logica, fisica, ed etica. Di ciascuna di queste parti sono date sufficienti notizie in questo vocabolario alle parole anticipazioni, anima nel mondo, anapodittioi, ecpirosi, man- tica, adiafora, tabula rasa, noo, logos, catalettico, visa, eco. La parola stoicismo si adopera anche in opposizione ad epicureisino, per designare tutti quei sistemi di morale che pongono come norma suprema della condotta il dovere. Cfr. H. Arnim, Sloicorum voterum fragmenta, 1903-1905; L. Stein, Die Psychologie der Stoa, 1886-88; A. Dyrof, Die Hthik der alten Stoa, 1897; P. Ogereau, Le syatime philos. des Stoiciens, 1885; 8. Talamo, Le origini del cristianesimo e il pensiero aloico, 1892. Storia. T. Geschiohie; I. History; F. Histoire. Può os- sere intesa come fatto, 0 come dottrina o disciplina. La Sto — 1128 — storia come fatto può a sua volta esser intesa in tre sensi: generalissimo, generale 6 particolare. Nel primo per sto- ria s'intende l'evoluzione di tutto l’universo fisico ο mo- rale, in quanto tntto ciò che esiste, essendo soggetto a cangiamento, esiste nel tempo ed ha quindi una storia; in questo sonso si usano le espressioni storia della terra, storia della specie, storia dei mondi, ecc. In un senso meno generale per storia s'intende lo spirito umano nel suo movimento, ossia 1’ evoluzione complessiva dell’ umanità, nelle suo istituzioni politiche ed economiche, nelle ane forme giuridiche, religiose, morali, eco. In senso partioo- lare, e più comune, per storia s'intende lo svolgimento di quegli avvenimenti umani, che hanno esercitato una azione visibile sul corso generale della società. La storia come dottrina ο storiografia, è la ricostruzione, la narra- zione e l’interpretazione di tali avvenimenti; in’ modo più rigoroso è, come la definisce il Bernheim, « la scienza degli sviluppi degli uomini nella loro attività come esseri sociali », sebbene questa definizione inchinda nella storia anche la sociologia. La storiografia è passata attraverso quattro fasi: 13 primitiva o mitioa, in cui mancano i mezzi di fissazione degli eventi sociali, che sono raccolti dal- l’imaginazione fervida del popolo ο trasformati in miti e leggendo; 2° istruttica o prammatica, che ba per mira non tanto la ricostruzione fedele del passato, quanto la deter- minazione delle regole e degli insegnamenti morali, poli- tici o religiosi, che dal passato si possono ricavare, per guidaro i contemporanei e illuminare il futuro: la storia è dunque la maestra della vita; 3% medievale ο religiosa, in cui, per il prevalere del pensiero cristiano, la suoces- sione dei fatti storici è considerata come lo svolgersi d’un piano provvidenziale rivolto a fini lontani 6 imperseruta- Dili; 4* moderna ο naturalistica, in cui la storia è considerata come sapere naturale di puri fatti umani, nei loro rap porti di causalità reale, indipendentemente da qualanqne — 1129 — Sto preoccupazione morale, politica o religiosa. Ma intorno alla vera natura della storia regnano profonde divergenze tra i pensatori moderni, alcuni dei quali la considerano scienza vera ο propria, «altri arte, altri disciplina a sè, distinta così dalla scienza come dall’arte. Per i primi i fatti storici sono causali, ed è quindi possibile ricavarne delle leggi che, al pari di quelle scientifiche, non var- ranno soltanto a interpretare il passato, ma anche a pre- vedere il faturo storico e sociologico; la storia adotta lo stesso metodo positivo delle altre scienze, e le sue spie- gazioni si ottengono per via deduttiva; alcuni credono anzi possibile dedurre tutte le leggi storiche da uno o de pochi principi generali, come il fattore economico, l'analogia biologica, l'interesse, la simpatia, l'influsso dell’ ambiente, dell'eredità, della lotta per la vita. Per i secondi i fatti storici non sono causali, cosicchè la costru- zione di leggi storiche è impossibile, e il passato, anzichè interpretato scientificamente, può essere soltanto artisti- camente ricreato o rifatto; però a tale conclusione gli uni arrivano collocando l’accidentalità nella storia, perchè in essa molto può il fattore individuale, e da cause lievi possono derivare grandi effetti, e effetti molto diversi de- rivare da cause simili, gli altri collocandovi invece la libertà, in quanto nel divenire peichico, di cui il divenire storico è un riflesso, si ha una vera © propria creaziono continua di valori, una varietà incessante dovuta all’ete- rogenesi dei fini, ai contrasti e alle sintesi psichicho. L'indirizzo intermedio nega che la storia sia arte, al pari della musica o della poesia, perchè mentre l’arte ha per fine il bello ο crea essa stessa la propria realtà, sin puro imitandola dalla natura, la storia invece ha per fine il vero, per quanto brutto possa essere, © ricerca ln propria realtà servendosi di processi che le arti ignorano total- mente; e nega che la storia possa essere scienza, ciod un sistema di leggi, perchè mentre legge significa univer- STO — 1130 — salità © ripetizione, storia significa individualità e muia- zione, mentre la legge è lo stesso fatto esteso oltre i limiti dello spazio e del tempo, la storia è I’ individua zione dei fatti nello spazio e nel tempo, e mentre infine le soienze della natura sorgono ο si sviluppano solo in quanto ciascuna può prescindere dal rapporto di solida- rietà che unisco il proprio oggetto con quello di tutte le altre, la storia umana è un frammento della storia co- smica e il suo procedere è interrotto ed accresciuto ad ogni istante dal confluire di innumerevoli fattori esterni, che non si possono, in quanto tali, calcolare in base alla pura conoscenza dei momenti precedenti. La storia è dun- que una particolare disciplina, la quale, per l’irreducibile singolarità dei fatti che formano il suo oggetto, singola- rità dovuta all’ infinita complessità del loro determinismo. devo procedere da caso a caso, rinunziando ad ogni ge- neralizzazione mediante le leggi; nell’aocertamento critico doi fatti essa segue il metodo positivo di tutte le scienze ο doi sussidi che la glottologia, l'archeologia, la paleo- grafia, l'antropologia, ecc. possono offrirle; ma poichè l'oggetto della storia non à la realtà inconscia, bensi la stessa coscienza umana nel suo movimento, essa richiede in chi la coltiva quell’ intuito psicologico e quelle virtù di prosatore, che sono indispensabili per indagare lo spi- rito del passato ο per farlo rivivere. Cfr. Bernheim, Lehrbuch d. historischen Methode, 1903; Simmel, Problem der Geschiohtsphilosophie, 1907; Flint, History of the philo- sophy of history, 1893; Bourdeau, Z’histoire et les historiens, 1888; Lavolléo, La morale dans Vhistoire, 1892; Langlois et Seignobos, Introd. aux éludes historiques, 1898; Alts- mira, La inseianza de la historia, 1891; Croce, It concetto della storia, 33 ed. 1896; Crivellucci, Il concetto della sto- ria, in «Studi storici », fasc. I ο II, 1899; Ant. Labriola. 11 problema della filosofia della storia, in Scritti varî, 1906: A. Rava, It valore della storia di fronte alle scienze nat.. — 1131 — Sro-STR 1910; C. Ranzoli, Il caso nel pensiero ο nella vita, 1913, Ρ. 199 segg. : Storicità. La caratteristica del fenomeno sociale se- condo alcuni filosofi. 11 Comte la designa come « una suc- cessione © filiazione di stati e momenti storici, come in- tluenza graduale © continua delle generazioni le une sulle altre ». Il Littré, precisando il pensiero del Comte, fa con- sistere la storicità — per la quale il passato determina il prosente, © il presente l'avvenire - nella accumulazione, nella preservazione © trasmissione dei prodotti, sia mato- riali sia immateriali, dell'attività sociale, nella creaziono di un fondo comune di cose da apprendere, fatto questo esolusivamente sociologico, che non trova riscontro di sorta in biologia (v. estetismo, istoriemo). Storico (argomento). Alcuni teologi chiamano così quella fra lo prove a posteriori dell’esistenza di Dio, la quale, dalla constatazione che la religiosità è propria di tutti i popoli in tutti i tempi e in tutti i gradi di civiltà, conchiude all’osistenza di un Ente supremo che risplende nella intel- ligenza umana. Questo argomento perderebbe ogni valore qualora fosse mostrato che vi sono o vi furono popola- zioni prive affatto di religiosità; alcuni antropologi infatti lo sostennero, altri lo negarono, nd può dirsi che la que- stione sia definitivamente risolta in un senso o nell’ al- tro (v. gli argomenti ontologico, ideologioo, morale, fisico, metafisico). Stratonismo. T. Stratonismus; I. Stratonism ; F. Strato- nisme. L’indirizzo naturalistico © panteistico della filosofia aristotelica, iniziatosi prima con Teofrasto e poscia più ener- gicamente con Stratone. Secondo quest’ultimo, l'intelletto ο l’attività rappresentativa costituiscono un tutto unico: come non v'è pensiero senza intuizione, così non v'è per- cezione senza la cooperazione del pensiero; tutt'e due up- partengono all’unica coscienza. Applicando lo stesso con- cetto all’analogo rapporto metafisico, Stratone insegna che STR-SUB — 1132 — la coscienza o ragione della natura non può esser consi- dorata come qualche cosa di separato da essa: Dio non può essere pensato trascendente, come non può essere pen- sato il voîg. Così esso nega il monoteismo dello spirito, ed insegnando che non si può pensare la semplice materia © nemmeno una forma pura, respinge l’elemento platonico della metafisica aristotelica, che era rimasto nella separs- zione della ragione dalla materia, e lo respinge tanto lungi, che ridiventa ‘libero l’ elemento democriteo: nel divenire universale lo stratonismo vede soltanto la necessità imma- nente della natura e non più l’effetto di una causa spiri- tuale, fuori del mondo. Cfr. Cicerone, De nat. deorum., I, 13, 35; H. Diels, Beriohte der Berliner Akad., 1893, p. 101 segg. Stroboscopio v. cinetoscopio. Stupore. T. Stupor; I. Stupor ; F. Stupeur. Nel suo signi- ficato comune designa lo stato di immobilità peichica, a così dire, in cui trovasi chi è colpito da qualche cosa di meraviglioso © d’inaspettato. Nella psicologia patologica designa un rallentamento delle espressioni motorie portato al massimo grado. Esso non è per sò una malattia, ma una sindrome che comparisce frequentemente nello malattie mentali: se è accompagnato da paralisi psichica si ha lo stupore epilettico, se da intima serenità lo stupore maniaco. se da tensione interna © da stato di ansin lo stupore me- lanconico, se da negativismo o da intoppo psichico lo sta- pore catatonico. Cfr. Whitwell, 4 study of stupor, « Journal of ment. scie. », 1889, XXXV, p. 360 segg. (v. atereotipia, confusione). Subalterne (ὑπάλληλαι). Due proposizioni che hanno lo stesso soggetto e predicato sono subalterne quando hanno la stessa qualità ma differiscono nella quantità del sog- getto, di cui l’uno è universale l’altro è particolare : ossia 4 ed I, E ed O. La proposizione particolare dicesi subal- ternata, Vuniversale subalternante. Dalla verità della uni- versale si inferisce la verità dolla particolare, ma dalla — 1133 — Sup falsità della universale non #’ inferisce la falsità della par- ticolare. Inversamente, dalla verità della particolare non 8’ inferisce la verità dell’universale, ma dalla falsità della particolare si inferisce la falsità dell’universale. Tutti i ragionamenti a fortiori, sia di prova che di refutazione, hanno il loro principio fondamentale in questi due ragio- namenti, che ne costituiscono il tipo più semplice. Cfr. F. Ueberweg, Syst. der Logik, 1874, § 95 (v. conversione, inferenza). Subcontrarie (ύπεναντίαι). Due proposizioni che hanno lo stesso predicato sono subeontrarie quando sono partico- lari ed apposte nella qualità: ossia I ed O. Possono essere entrambe vore ma non entrambe false. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 225 segg. Subcosciente. Τ. Halbbewusst, unterbewusst; I. Subcon- scious; F.Subconeoient. Parola d’uso recente nella psicolo- gia, ma di valore molto incerto, tantochè Morton Prince ne espone sei significati differenti. Alcuni psicologi moderni chiamano così quegli stati particolari di oscuramento psi- chico o di semisogno - determinati da una diminuita fanzio- nalità dei processi corticali ο manifestantisi frequentemente nella pazzia - nei quali le impressioni del mondo esterno sono raccolte con difficoltà ο imperfettamente obbiettivate. Si dicono anche stati orepuscolari, e possono estendersi a tutta la vita sensitiva, o ad alcune parti di essa soltanto. Vi sono però molti psicologi che non ammettono tali stati di subcoscienza, e li considerano o come stati di osonra- mento psichico o come semplici processi fisiologici senza il loro correlativo psicologico. — Por subcosciente 0 conoo- soiente e intende anche l’attività psichica dissociata dalla personalità ma provvista di coscienza, ossia l'insieme dei fenomeni psichici rappresentanti la manifestaziono di co- scionzo secondarie che coesistono accanto alla principale. Secondo alcuni psicologi contemporanei, il subcosciente, così inteso, avrebbe larga parte nella vita psichica nor- Sus — 1134 — male e anormale: la nostra condotta, le nostre opinioni. il nostro umore, i nostri sentimenti sarebbéro grandemente influenzati da una quantità di fattori psichici di cui moi non siamo coscienti, ma si quali non si può negare una coscienza, come provano ad es. i fenomeni della scrittura automatica e come è rivelato dalla stessa introspezione, che ci testimonia il persistero di una attività coordinata ο intelligente, dalla quale abbiamo distolto I’ attenzione. Maggiore efficacia ancora avrebbe il subcosciente nella pro- duzione degli stati psichici anormali 6 supernormali, come gli sdoppiamenti della personalità, l’ipnotismo, la telepa- tia, il medianismo. — R. Assagioli propone di adoperare le espressioni : subcosciente, por designare in generale ed in blocco tutto ciò che esiste e si svolge nella nostra psi- che senza che noi no siamo coscienti ; attività psichica conco- acionte ο dissociata per indicare l’attività psichica dei centri secondari di coscienza; coscienza latente (6, secondo i casi residui psichici latenti, patrimonio psichico latente, ecc.) per designare tutti i nostri ricordi, idee, ece., accumulati ed a nostra disposizione, ma fuori del campo della nostra co- scienza attuale. Cfr. Gross, Die cerebrale Sekundärfunction, 1902; W. Hellpach, Unbewusstes oder Wechseheirkung, « Zeit- schrift für Psych. », XLVIII, p. 238; Morton Prince, The aubconscious, VI* Congr. int. de psych, Geneve, 1910, p. 71 sogg.; Id., The dissociation of a personality, 1906; Myers, The human personality, 1902; Janet, L’automatieme payoho- ique, 1889, p. 84 segg., 223 segg., 316 segg.; Patini Concienza, aubooscienza, incoscienza ο apeichla, « Riv. di psi- cologia applicata », 1910, VI, p. 24; R. Assagioli, It eubco- sciente, « Rivista di filosofia », aprile 1911, p. 197-206: C. Ferrari, Le emozioni e la vita del eubcosciente, 1911: J. Jastrow, La suboonscience, trad. franc. 1908 (+. confu- sione, incosciente). Sublime, T. Erhaben ; I. Sublime; Ε. Sublime. Un valore ‘tico che, in tutte lo ste sottospecie (terribile, tragico, — 1135 — SUB orrido, solenne, grandioso), è prodotto dalla percezione o rappresentazione dell’immensità nel tempo ο nello spazio, © della potenza fisica o morale. Già Enrico Home deter- minò il sublime come il bello quando è grande, e Ed- mondo Burke lo intese come ciò che con un brivido di benessere οἱ ‘incute terrore, mentre noi stessi ci sentiamo lontani dal pericolo d’un dolore immediato, distinguendolo dal bello, che è ogni cosa atta a suscitare piacevolmente i sentimenti dell’amore umano in generale; ma il merito di aver fatto l’analisi di questo sentimento spetta a Ema- nuele Kant, che pose l’essenza del sublime in una conve- nienza dell’azione degli oggetti col rapporto tra la parte sensibile e la soprasensibile della natura umana. Il su- blime, come il bello, si rivolge alle due principali facoltà dello spirito, l’imaginazione e l'intelletto; ma mentre nel bello queste facoltà agiscono d’accordo, nel sublimo si trovano in contrasto |’ una coll’ altra. Infatti l'oggetto non è sublime che perchd colpisce i sensi, ma i sensi o l’imaginazione si sentono impotenti a raggiungerlo, como di qualche cosa che sorpassi infinitamente la sfera sensi- bile e che soltanto l’intelletto può comprendere. Dinanzi al sublime il selvaggio fugge perchè in esso teme la di- vinità. L’ uomo civile non fugge, perchè nulla ha a te- mere; tuttavia egli non può sottrarsi ad un senso d’ an- goscia, perchè il sublime gli fa sentire tutta la sua pochezzu materiale; l'emozione del sublime è quindi, nel suo ini depressiva. Ma al senso primitivo di terrore segue poi un senso di intima soddisfazione, perchè il sublime desta in noi il senso della nostra morale grandezza; è così che da depres- siva l’emozione diviene esaltativa, e dall’angoscia passiamo all’ entusiasmo. « Delle roccie sospese audacemente nell’ aria e quasi minaccianti, dice Kant, delle nubi procellose che si ammassano nel cielo tra lampi ο tuoni, dei vuleani che scatenano tutta la loro potenza di distruziono, degli urn- gani che seminano la distruzione, l’ oceano immenso sol- SUB — 1186 — levato dalla tempesta, la ostoratta d’un gran fume, sono cose che riducono ad una insignificante piccolezza il no- stro potere di resistenza, confrontato con tali potenze. Ma l’aspetto ne è tanto più attraente quanto più è terribile, purchè noi siamo al sicuro; e noi chiamiamo volentieri queste cose sublimi, perchè elevano le forze dell’ anima sopra la loro mediocrità ordinaria, e ci fanno scoprire in noi stessi un potere di resistenza di specie al tutto di- versa, che ci dà il coraggio di misurarei con l'apparente onnipotenza della natura.... Il sublime non risiede dun- que in alcun oggetto della natura, ma solo nel nostro spirito, in quanto possiamo avere la coscienza d’ essere ‘superiori alla natura che è in noi, ο per tal via anche alla natura che è fuori di noi (in quanto essa ha influenza su noi). Tutte le cose che eccitano questo sentimento, e ad esse appartiene la potenza della natura che provoca le nostre forze, si chiamano allora sublimi ». Vi hanno due forme di sublime: il matematico, dato dallo spettacolo della grandezza sotto la forma della estensione, ed il dinamico datooi dallo spettacolo della potenza. Questa distinzione, già fatta da Kant, è accolta dalla grande maggioranza degli estetici; alcuni però ammettono invece tre forme di su- blime: il naturale, a cui assegnano le tre forme subordi nate dell'estensione, della successione, della forsa; il su- blime intellettuale, che e’ inizia col sentimento di una sorta di annientamento intellettuale davanti ad un oggetto del pensiero, che non riusciamo ad abbracciare nella sua com- plessità, ο si completa col sentimento della riscossa, della reazione incalzante doll’ intelligenza ο della fantasia che la sostiene; il sublime morale, che ha origine dall'idea della libertà consapevole che s’inchina al dovere, ο se ne fa l'organo nella vita © nella storia. Cfr. Home, Elements of criticism, 1761; Burke, Esgay on the sublime and beautiful, 1756; Kant, Krit. d. Urteilekraft, 1878, $ 23 seggi; Her- art, Lehrbuch ©. Payoh., 1850, p. 99; Ribot, Peychol. den — 1137 — Sur sentiments, 1896, p. 339 segg.; Hüffding, Paycologie, trad. franc. 1900, p. 282 segg., 393 segg.; Masci, Pricologia, 1904, Pp. 396 segg. Subliminale e supraliminale. I. Subliminal, suprali- minal. Con l’espressiono io subliminale, diffusa nella ter- minologia filosofica e religiosa dal Myers, #' intende un io suboosciente, dotato di meravigliose proprietà fra cui quella di essere indipendente dal corpo e di sopravvivere ad eso; con esso si spiegherebbero i fenomeni estranorınali della telepatia, dell'ipnotismo, del medianismo, della ispirazione geniale. Senza accettare le vedute mistiche del Myers, molti psicologi ammettono l’esistonza di stati subliminali, o subeoscienti, 0 concoscienti, che sarebbero provati sia dai fenomeni normali del sogno, delle disposizioni innate, ece., come da quelli anormali della dissociazione della perso- nalità, dell’ automatiamo psicologico, della pazzia, ecc. Io mpraliminale o stati supraliminali sarebbero quelli della coscienza principale, dell’io empirico. Cfr. Myers, The human personality and its survival to bodily death, 1902; Janet, L’automatisme peichologique, 1889; R. Assagioli, 11 subcosciente, un’arena spianata: abrasa, aequalio mentis arena. Per il Rosmini la tavola rasa è l’idoa indeterminata dell'ente, che è + in noi dalla nascita. Cfr. Plutarco, Plac., IV, 11; Locke, Essay, 1. 1, cap. 1, $2; Rosmini, Nuoro saggio sull'origine delle idee, 1830, II, p. 118 (v. a priori, empirismo, natiri- smo, sensismo). Talento v. ingegno. Tattile (sensazione). T. Tastempfindung; 1. Touch senva- tion; F. Sensation tactile. Le sensazioni tattili si distinguono in sensazioni di pressione, per cui si avverte la pressione e il contatto degli oggetti sugli organi tattili; ο sensazioni di luogo 0 di spazio, per cui si avverte la località del corpo che viene compressa; dalla associazione di queste due specie di sensazioni risultano le nozioni della forma e della consi- stenza dei corpi. Perchè sia possibile una sensazione di pressione, è necessario che il peso del corpo sia almeno da 2 milligrammi a 5 centigrammi; perchè si possa av- vertire il crescere della intensità della sensazione stessa è necessario che gli stimoli successivi stiano fra loro in rapporto come di 1 ad 1 +1}; ciò costituisce la legge di Weber, che fu poi estesa a tutte lo altro spocio di sonsa- zioni © suona nel modo seguente: la sensazione cresce più lentamente dello stimolo, crescendo di minima diffe- renza quando gli eccitamenti crescono di quantità propor- zionali; ο, in modo più preciso: In sensazione sta allo stimolo che la determina come il logaritmo sta al suo numero. Quanto alla localizzazione delle sensazioni stesse, essa è tanto più perfetta quanto minore è la distanza in cui devono trovarsi le dne punte di ‘an compasso (com- passo di Weber) per produrre duo sensazioni distinte; la Tas-Tau — 1146 — massima sensibilità si trova sulla punte della lingua, la minima sul dorso, le braccia e le coscie: in quella, per ottenere due sensazioni distinte, le due punte del com- passo devono distare di 0,5 linee di Parigi, in queste di 30 linee. Gli organi del tatto sono le terminazioni ner- vose contenute nel derma ; nel capo il senso tattilo è eser- citato dal 5° paio dei nervi cerebrali, nel resto del corpo dalle fibre sensibili dei nervi spinali. — Nel linguaggio ari- stotelico-tomistico dicesi taotue quantitatie quello per il quale una cosa si unisce con un’altra in modo che le parti aderiscono tra loro; tactus virtutis quello per il quale una cosa opera sopra un’altra. Cfr. Wundt, Grundzüge d. phys. Psych., 3* ed., II, p. 10 segg.; Hüfiding, Peycho- logie, trad. franc. 1900, pag. 137, 199, 255 segg. (v. cir- coli tattili, corpuscolo, estesiometro, distanza, spazio, superfi- cie, stereognostico, ecc.). Tassonomia. T. Taxonomie; I. Tazonomy; F. Tazo- nomie. Dal greco τάξις = ordine, νόμος = legge. Le leggi e i principi della classificazione degli oggetti naturali; quella parte della scienza che tratta della classificazione. Dicesi tassonomica ogni classificazione fatta per tipi astratti; ad essa si contrappone lu classificazione genetica, nella quale gli oggetti sono invece disposti secondo la loro ge- nesi formativa o il principio causale della loro formazione. Tautologia. T. Tautologie; I. Tautology; F. Tautologie. Del greco taité = medesimo, λόγος = discorso. Si di- cono così quelle definizioni erronee, in cui il concetto da definirsi è contenuto, sia palesemente sia copertamente, nel definiente. Così la comune definizione del giudizio - l'atto mentale per cui si afferma o nega - è una tauto- logia, perchè ciò che costituisce il giudizio è appunto l’af- fermare o il negare. Secondo alcuni logici la definizione tautologica non sempre è illegittima, essendo in alconi cusì l’unico modo di determinare un concetto primitivo (v. circolo vizioso, diallelo, petizione di principio). — 1147 — Tav-Tkc Tavole di Bacone. Sono in numero di tre, di pre senza, di assenza o declinazione, di comparazione o grada- zione; corrispondono rispettivamente ai tre metodi di con- cordanza, di differenza e delle variazioni concomitanti dello Stuart Mill. Codeste tavole hanno lo scopo di rap- presentare il risultato complessivo delle ricerche fatte iu- torno alle cause di un dato fenomeno. Quella di presenza riunisce tutti i fatti nei quali si trovano le cause presunte; in quella di assenza sono enumerati i casi in cui una di que- ste cause sarà mancata; in quella di comparazione sono indicate le variazioni corrispondenti degli effetti e delle cause. Come esempio delle tre tavole, Bacone si propuno di ricercare la causa dal calore: nella prima espone tutti i casi conosciuti nei quali si osserva produzione di calore; nella seconda enumera i casi in cui manca il calore pur essendovi la luce (luna, stelle © comete); nella terza in- dica i casi in cui il calore cresce o diminnisce col crescere © diminuire del volume dei corpi, del loro movimento, della distanza dalla sorgente di calore, ecc. Cfr. Bacone, Nov. organum, 1856, 1. II, XI segg. Tecnica La tecnioa d’una scienza sperimentale non è che l'insieme delle operazioni manuali che le esperienze richiedono ; il metodo è invece l'insieme delle norme lo- giche proprie della scienza medesima. Tecnologia. I. Technologie; I. Tecnology; F. Techno- logie. La scienza che si oceupa delle regole pratiche, delle arti ο tecniche che si osservano nelle società umane adulte e provviste d’un certo grado di civiltà. Alcuni la distin- guouo dalla prazeologia, cho ha un senso più generale e riguarda tutte lo manifestazioni collettive del volere, sin spontanee che riflesse. La tecnologia comprende tre sorta di problemi: 1° la descrizione analitica delle arti, le loro varie specie, la loro classificazione sistematica in un pie- colo numero di tipi essenziali; 2° la ricerca delle leggi per eni ogni gruppo di regole appare © dello cause cui Tri-TEL esse devono la loro efficacia pratica; 3° lo studio del di- venire di osse, sia in uns data società sia nell’ intera umanità, dalle più semplici alle più complesse, attraverso lo alternative di tradizione ο d’ invenzione. Teismo. T. Theismus; I. Theism; F. Theisme. Consiste nell’ ammettere l’esistenza di una divinità personale, li- Dera od intelligente, cui devesi la creazione © la conser- vazione del mondo e la provvidenza. J! deista, dice Kant, credo in Dio, il teista oredo in un Dio viento (summam in- telligentiam). Perciò ei distingue non solo dal deismo, ma anche dal panteismo, dal politeismo, dal dualismo reli- gioso, ecc. Secondo lo Zeller, il fondatore del teismo fu Aristotele, per il quale Dio è pura forma, pensiero doi pensieri, primo motore immobile. Ma più che un essero dotato di volontà © di personalità, il Dio aristotelico è ancora un semplice concetto astratto, un pensiero teorico. Il vero teismo religioso si ha nelle tre grandi religioni, giudaismo, islamismo, oristianesimo e più spiccatamente in quest’ ultima; infatti nello due prime domina la tendenza ad affermare l’unità e la trascendenza divina, a scapito de- gli attributi personali, mentre nel cristianesimo la persona- lità divina è il concetto fondamentale, che ne informa così il contenuto dottrinario come quello pratico. Cfr. A. Campbell Fraser, Philosophy of Theiem, 1903; P. D'Ercole, Il teismo,- 1884; C. Ranzoli, 1) agnostioiemo nella filosofia religiona, 1912, p. 193 segg. (v. Dio, personalità, deiemo, religione). Telegonia. T. Telegonie; I. Telegony; F. Télégonie. Il trasmettersi nella prole di un dato maschio doi caratteri propri di un altro maschio antecedentemente accoppiatosi con la stessa fomminn, per la supposta modificazione sta- bile apportata dal primo alla matrice di questa. La telo- gonia è uno dei fonomeni più oscuri ο incerti dell’ ere- dità. Alcuni casi osservati in animali inferiori ο in pianto attesterebbero la possibilità del fenomeno. Cfr. J.C. Ewart, The Penyouik erper., 1899. — 1149 — TEL Telencefalo. Nella divisione dell’ encofalo adottata dalla Commissione per la nomenclatura anatomica - divi- sione basata sugli abbozzi embrionari dell’ encefalo stesso = il telencefalo è tutto il cervello anteriore, ο comprende V’iufandibolo, l’ipofisi, il tratto ottico, il chiasma, il corpo striato, il setto lucido, i ventricoli laterali e il man- tello cerebrale. Insieme al diencefalo, 0 cervello interme- dio - comprendente i corpi mamillari, i talami, i corpi genicolati, il corpo pineale e il terzo ventricolo — costi- tuisce il prosenogfalo, corrispondente ad una delle tre ve- scicole cerebrali primitive. Le altre due vescicole dànno luogo al mesencefalo, o cervello medio, e al rombencefalo, che si divide alla sua volta in metenoefalo ο cervello po- steriore, e mielencefalo ο retrocervello. Teleologia. T. Teleologie; 1. Teleology: F. Téléologie. Etimologicamente significa: scienza dei fini. Per Kant è la scienza che si occupa della finalità di quegli oggetti naturali, ch'egli chiama fini di natura, i quali non si pos- sono pensare realizzati se non secondo un concetto finale; tali oggetti sono gli esseri organici. Qualche volta la pa- rola teleologia è anche adoperata ad indicare la finalità di un carattere ο di un avvenimento, la proprietà di un essere o di un oggetto in rapporto alla causa finale: così dicesi teleologia del sentimento il suo carattere protetticioè il suo ufficio di conservazione dell'esistenza animale. Più spesso designa quella parte della filosofia che si ap- plica allo studio sia dello scopo finale delle cose, sin del fine d’ogni essere particolare. In generale, però, per te- leologia non s'intende nè una scienza a sè nè una parte distinta della filosofia, ma soltanto il sistema di esplica- zione dei fenomeni dell'universo mediante le cause finali o intelligenti, © in questo senso ai oppone a meccanismo, à fataliemo © talvolta anche a casualimno. Così intesa, la teleologia ο teleologismo 8) inizia nella storia della filosofia con Anassagora, celebrato anche da Platone o da Aristo- Ter — 1150 — tele come il primo che, con la sua dottrina del vo5g or- dinatore del mondo, elevasse teoreticamente il concetto di valore della bellozza e della perfezione a principio di spie- gazione. Una orientazione diversa ha In teleologia in So- crate: mentre in Anassagora essa si riferisce all’armonia del mondo celeste, non alla vita dell’uomo, le osserva- zioni che sono attribuite a Socrate, specialmente da Se- nofonte, fanno dell’ utile dell’ uomo norma dell’ammirazione dell’ universo. Quindi la teleologia socratica à tutta esterna, riferendo ogni cos al bene dell’ uomo come al suo fine supremo. Nella morale Socrate si rappresenta la sapienza che deve regolare l’attività umana como una riflessione tutta esterna sulla utilità degli atti particolari; non al- trimenti, la sapienza divina che ha formato il mondo, ha regolato ogni cosa per il vantaggio dell’ uomo, il sole per rischiararlo di giorno, la luna e lo stelle per rischiararlo la notte, gli animali per nutrirlo, eco. Più profonda è la teleologia di Platone: come causa finale di tutto |’ acca- dele egli pone le idee, ma specialmente l’idea più elevata, a cui tutte le altre si subordinano come meszo, l’iden del bene, che è contrassegnata poi come ragione del mondo (νοῦς), come divinità. Le cose partecipano del bene perchè sono ombre, imitazioni, copie delle idee, e le idee mettono capo tutte all’idea suprema del bene, che è Dio stesso. Lo spirito di Socrate e di Platone rivive in Ari- stotele, nel quale la teleologia ha pure grande importanza: il passaggio dalla potenza all’atto, dalla materia indeter- minata alla forma determinata, non può effettuarsi che per mezzo del moto d’una causa efficiente, la quale nella sua azione tende a raggiungere un fine; causa efficiente © causa finale sono dunque i due principi che, insieme alla materia ο alla forma, ci dànno un'adeguata spiega zione delle cose e della natura. Adeguata, ma non per fetta: come spiegare il moto incessante verso il meglio che agita tutto le cose della natura? Se ο) ὃ moto, dice — 1151 — TRL Aristotele, dovrà esserci un principio primo da cui il moto derivi, un motore, che senza esser mosso muova il tutto: questo primo motore immobile è Dio, la forma più alta ο il fine più alto, che, appunto perchè tale, muove il mondo per l’irresistibile attrattiva della sua bellezza, por l'inestingnibile desiderio che suscita di sè nelle cose. La teleologia di Aristotele durò attraverso tutta l'età di mezzo accanto a quella cristiana, nella quale a Dio e alla sua provvidenza è fatto risalire il mondo e tutto ciò che in esso accade, e fu combattuta insieme con questa dal meccanismo naturalistico del Rinascimento. Leibnitz prima, © Lotze più tordi, tentarono di conciliare 1’ intuizione mec- canica e la concezione teleologien del mondo; Kant so- stenne che la scienza della natura non può essere se non meccanica, ma che, d’altro canto, vi sono dei limiti oltre i quali la spiegarione meccanica non può andare, dei punti nei quali è innegabile l'impressione della finalità, e que- sti sono la vita © le leggi spoviali della natura, che neces- sitano per essere comprese di una considerazione teleolo- gica; per Fichte il problema della dottrina della scienza è di comprendere il mondo come una connessione neces- saria di attività razionale, e la soluzione si ottiene da ciò, che la riflessione della ragione filosofica riconosce il pro- prio fare e quel che per esso è necessario, cosicchè la ne- cessità che prevale in questo sistema della ragione non è cansale ma teleologica ; per Schelling In spiegazione cau- sale-meccanica della natura è una pura mppresentazione intellettualistica, mentre l’unità del piano che la natura segne nella serio degli esseri viventi è l’espressione di una graduale realizzazione dello scopo. Ogni forma di idea- lismo realistico o spiritualismo monistico è, del resto, te- leologica; il suo problema fondamentale è appunto di di- mostrare come le leggi meccaniche formulato dalle scienze della natura possano essere il veicolo o la rivelazione del realizzarsi dei fini. — Lo Stuart Mill adopera questo termino TEL — 1152 — per designare l’arte della vita, cho comprende tre branche distinte: la morale, la politica e l'estetica, ο cioè l’onesto, l’opportuno e il bello nelle azioni e nelle opere dell’uomo. Cfr. Senofonte, Memorabili, IV, 7, 6; Platone, Rep., VI, c. 19, VII, ο, 3; Id., Leggi, X, ο. 8, 10, 11; Aristotele, De aa., MI, 12, 434 a, 31 sogg.; Id., Metaph., I, 3, 983 a, 31 segg.; Leibnitz, Phil. Schriften, ed. Gerhardt, IIT, p. 607; Kant, Krit. d. Urteilskraft, 1878, II, $ 61; Schelling, Fom Ich als Princip der Philos., 1795, p. 206 segg.; Windelband, Storia della filosofia, trad. it., II, 310 segg. (v. causa finale, finalità, fino). Teleologico (argomento) v. fisico. Tolepatia. T. Telepathie; I. Telepathy; F. Télépathie. Neologismo introdotto nel linguaggio psicologico e comune da Gurney e Myers (1882) per caratterizzare la loro po- sizione indipendente di fronte sia agli spiritisti sia agli scettici. Significa, etimologicamente, sentire a distanza: ma oggi si designano specialmente con questo nome tutti quei casi nei quali un individuo percepisce, o crede per- cepire, a distanza, e senza il concorso dei sensi ordinari, ciò che accade ad un altro individuo da lui più o meno lontano. Il fenomeno può avvenire tanto nel sonno, sotto forma di sogno, quanto allo stato di veglia, sotto forma di visione. Alcune volte è lo stesso individuo, oggetto della visione, che sppare innanzi al veggente, non come fantasma ma come essere reale; altre volte è il veggente stesso che si sente come trasportato ad assistere alla scena. che si svolge nello stesso tempo, lontano; altre volte an- cora è un avvenimento inatteso e inesplicabile, che si produce d’un tratto ο sembra essere il simbolo telepatico del fenomeno che si svolge da lungi. Quanto al valore dei fenomeni telepatici, una inchiesta promossa dalla Società per le ricerche psichiche di Londra e comunicata al terzo Congr. int. di psicologia del 1896, condusse alla conclu- sione che vi è un caso di coincidenza reale ogni 65; 1’ — 1158 — Tel chiesta, condotta con tutte le precauzioni atte a garantire l autenticità delle testimonianze, fu estesa a 17,000 per- sone, îl che dà una proporzione di coincidenza circa 292 volte maggiore di quella che si potrebbe prevedere come la più probabile so fossero dovute soltanto al caso. Am- messa la realtà dei fatti, resta da ceroarno la spiegazione. Alcuni, come il Lodge, si mantengono in una prudente riserva: « Qual’è il mezzo per cui si fa la comunicaziono a distanza? È l’aria, come pel diapasont è l'etere como per la calamita? è qualche cosa di non fisico ο d’esclusi- vamente psichico Nessuno può dirlo.... Intanto è chiaro che la telepatia ci si presenta come la manifestazione spontanea di quella intercomumicazione di spirito a spirito (ο di cervello a cervello) che in mancanza di una miglior denominazione, chiamiamo trasmissione del pensiero... Qual’è il significato di questa risonanza inattesa, di queste ri- percussioni sintoniche tra intelligenze? Si deve pensare che esse siano il germe di un nuovo senso, di qualcosa che la razza umana è destinata a ricevere, nel corso della sua evoluzione, in una più forte misura? Oppure è il re- siduo di una facoltà posseduta dai nostri antenati animali prima che esistesse il linguaggio? Io non desidero faro delle speculazioni, io non voglio nulla affermare se non ciò che ritengo esser fatti solidi © verificabili », Più an- dace, il Myers rigetta l’ipotesi fisica delle vibrazioni in- tercerebrali e di qualsiasi forma imaginabile di ondulazioni © radiazioni materiali o etereo capaci di mettere in rap- porto organismi distanti; ogli afferma che la telepatia è una intercomunicazione diretta delle anime, che certi segmenti della personalità subliminale, dissociati dal resto e distao- cati dall'organismo, possono talora impressionare a distanza un’altra personalità, che la comunicazione può avvenire , anche tra viventi e defunti cosicchè, infine, la telepatia diventa la legge universale, che riunisce tutti gli esseri, incarnati e disincarnati, viventi in questo o in altri mondi, 73 — Ranzors, Dizion. di scienze filosofiche. | Τατ ΤΕΝ — 1454 — in uno splendido universo di vita spirituale e morale. Cfr. Gurney, Myers, Podmore, Phantarms of the living, 1886; Id., Census of allucination, 1890-96; R. Osgood Mason, Telepathy and the subliminal Self, 1897; Myers, The human personality and ite survival to bodily death, 1902; Th. Flour- noy, Eeprite ot mediums, 1911; O. Lodge, La survivence humaine, trad. franc. 1913; G. B. Ermacora, La telepatia, 1898; Enrico Morselli, I fenomeni telepatici, 1898. Telesiologia. Con questo nome I’ Ampère designava la morale normativa o pratica per distinguerla da quella puramente descrittiva indicata col nome di Etica. Temperamento. T. Temperament ; I. Temperament : F. Tempérament. Vien dal latino temperiss, che significa umore; infatti gli antichi credevano che l'indole varia degli individui dipendesse dal prevalere nell’ organismo di uno dei quattro umori principali: sangue, bile, flegma e atrabile. Da ciò la olassificazione ippocration dei tem- peramenti, accettata ‘in tutta l’antichità, nel medioevo e anche ai giorni nostri, in: sanguigno, bilioso, flemmatico © melanconico. In questo senso, carattere e temperamento sono sinonimi; l’uno e l’altro indicano la differenza ca- ratteristica nella struttura congenita organico-psichica de- gli individui, differenza che si rivela nel modo abituale di reagire agli stimoli, di comportarsi nelle circostanze della vita. Codesta differenza è tanto maggiore quanto più largo è il differenziamento psichico delle individualità; negli animali inferiori il temperamento d’un individuo è quello stesso della specie, negli animali superiori apparisce già il differenziamento individuale, che nell’ uomo civile e colto acquista il più alto grado. Ma dal temperamento si suol distinguere il carattere morale, che non è, come quello, greditario, ma piuttosto acquisito, e formato dall’ insieme di quelle qualità psichiche e morali, che ἄληπο una par- ticolare impronta così agli individui, come alle famiglie © alle razze. Nella moderna psicologia, la classificazione — 1155 — Tem ippocratioa dei temperamenti è accolta nel sonso, che le diversità dei temperamenti dipendono dalla diversa forza, celerità © vivacità con cui le impressioni sono ricevute, conservate, e viene ad esso roagito; ma che, a sua volta, questo stesse funzioni nervose e psicologiche possono es- sere modificate secondo che uno degli umori indicati da Ippocrate (sangue, flemma, bile) sovrabbondi o sia in di- fotto nell'organismo. TI temperamento sanguigno dipen- derebbe dall’abbondanza dei globuli rossi del sangue, dalla ricchezza di materiali assimilabili dai tessuti, dalla buona salute, ο sarebbe caratterizzato dalla vivacità ο dalla instabilità della reazione agli stimoli, da vita inte- riore varia ο ricca, manifestantesi anche nella mobilità della persona. Il malinconico risponderebbe alle condizioni fisiologiche opposte, e sarebbe caratterizzato da una certa lentezza percettiva e sensitiva, debolezza della vita inte- riore e quindi scarsa partecipazione al mondo esteriore. Il collerico dipenderebbe invece dalla sovrabbondanza della hile, dal versamento di essa nel sangue, dal quale sarebbe portato ai tessuti, specie al nervoso, sul quale agirebbe come stimolo eccitatore di reazioni violente e subitanee. Il flemmatico, infine, dipenderebbe dalla scarsezza dei globuli rossi del sanguo e dalla abbondanza dei tessuti inerti (liquido linfatico, tessuto connettivo, grasso), i quali, abbassando it potere funzionale degli elementi nervosi, determinerebbero negli individui la matura riflessione delle deliberazioni, e la reazione lenta ms misurata e adeguata. Cfr. Galeno, De temp., I, 5, 8; Seneca, De ira, II, 18, 19; Holbach, Syst. de la nat., 1770, I, p. 121; Kant, Anthrop., II, § 87; Volk- mann, Lehrbuch. d. Peycol., 1894, p. 206; Wundt, Grund- ziige d. phys. Peyohol., 3° ed., IT, p. 421 segg.; Masci, Pai- cologia, 1904, p. 459 segg.; N. R. D’Alfongo, La dottrina dei temp. nell'antichità e ai nostri giorni, 1902 (v. etologia). Temperansa. Τ. Mäwigkeit; 1. Temperance ; F. Tempi- rance. Una dello quattro virtà cardinali, cho consiste Tr — 1156 — nella moderazione delle passioni ο dei desideri, special- mente sessuali. Comunemente si fa sinonimo di sobrietà, ma questa è una virtà più particolare, subordinata alla temperanza. 8. Tommaso, fra le virtà che ne dipendono, annovera: l'astinenza, la sobrietà, la decenza, il pudore, la modestia, eoc. I filosofi pagani non l’intendevano di- versamente; così per Aristotele la temperansa è una via di mezzo fra la sregolatezza e l’insensibilità per i piaceri, © Cicerone la fa consistere nell’ordine e nella misura che si deve osservare in tutto ciò che si fa ο si dice. Cfr. G. Grote, Aristotele, 1880, p. 581; Stephen, The science of cthics, 1882, p. 190 segg. (v. cardinali). Tempo. T. Zeit; I. Time; F. Temps. La forma misura- bile della continuità di ogni processo reale; ο, più pre- cisamente, un continuo illimitato sd una sola dimensione, di cui noi occupiamo un punto determinato, che si sposta costantemente nella medesima direzione. Esso è inconce- pibile distinto dallo spazio, essendo le due idee correla- οἱ infatti l’idea di coesistenza, che à il carattere dello spazio, non può formarsi se non supponendo l’idea del tempo, il quale a sua volta si fonda sulla sucoessione, che richiede le idee di direzione e di dimensione. La na- tura del tempo, come quella dello spazio, fu concepita nolla storia della filosofia in due modi fondamentalmente diversi, e cioò come una realtà puramente soggettiva ο come una realtà oggettiva; se si considera come una sem- plice idea, rimane da risolvere la questione se tale idea sia a priori o un prodotto della nostra esperienza sensi- bile. Tra i filosofi greci il tempo, come riferisce Plotino, era concepito in tre modi: come moto, sis în generale sia quello delle sfere celesti; come la stessa sfera celeste mo- ventesi; come una determinazione del moto, © più spe- cialmente come estensione del moto per gli stoici, come numero del moto per Aristotele, come accompagnamento del moto in generale per Epicuro. Secondo la concezione — 1157 — Tem aristotelica, la più importante, il tempo è infatti qnalcho cosa di numerato, contenente cioè distinzioni interne che posson essere calcolate © sommate, prodotte dal mo- vimento considerato in rapporto alla successione delle suo parti; per movimento (κίνησις) egli intende non tanto il cangiamento qualitativo, come quello quantitativo, cioè il cangiamento di posizione nello spazio; In continuità del tempo deriva dalla continuità del moto, che, a sua volta, dipende dalla continuità dell’ estensione corporea. Secondo Platone, seguito poi da Plotino e da Giamblico, il tempo è una creazione del Demiurgo, è generato della assidus energia dell’ anima che cerca di esprimere nella materia l’infinita ed eterna pienezza dell’ essere, e poichè ciò non può fare d’un tratto, è forzata ad una serie suc- cessiva di atti; il tempo è questa vita dell’anima, mentre l'eternità è la vita dell’ essere intelligibile nella sua to- talità piena, assoluta, immutabile. Con S. Agostino il tempo si interiorizza, trasferendosi dall'anima del mondo al” anima umana; egli crede, con Platone, che il tempo è obbiettivo, essendo stato creato da Dio con la creu- zione del mondo, ma con felice contraddizione sostiene poi che esso è il solo presente misurato dalla coscienza: c’è un presente di cose presenti, un presente di cose pas- sate, e nn presénte di cose future, il primo nell’ atten- zione, il secondo nella memoria, il terzo nella aspetta- zione. Nell’ età di mezzo, la formula aristotelica che il tempo è una relazione o un aspetto del movimento, vale a dire il numero del movimento secondo il prima e il poi, è generalmente accettata, quantunque per gli scolastici esso sin considerato più che altro come la base obbiettivamente valida della costruzione mentale del tempo. Gli scolastici distinsero anche il tempo, a cui è essenzialo la succes sione, dalla durata che, applicata a Dio ο agli angeli, non ha tale carattere; tale distinzione ricompare poi in Cartesio, che considera il tempo come derivato dal con- fronto delle durate di certi movimenti regolari, e più an- cora in Leibnitz, per il quale ogni cosa ha la propria durata, ma non il proprio tempo, essendo questo esteriore alle cose, delle quali serve a misurare la durata. Secondo il Leibnitz il contenuto del tempo non è fatto di cose, ma di percezioni di cose; non è dunque che una relazione, un ordine di successione delle nostre percezioni; esso ci appare come infinito, ma tale suo carattere gli deriva dal non avere noi alcuna ragione di limitare il numero delle successioni possibili. E il Kant, spingendosi ancora più oltre, considera codesta successione delle nostre per- cezioni esser data dalla costituzione stessa del nostro spi- rito, non da un’ asione snocessiva delle cose sullo spirito stesso: il tempo non è, come lo spazio, che una forma a priori della nostra sensibilità, la forma cioè nella quale intuiamo i dati del senso interno, valo a dire i fatti psi- chici ©, indirettamente, quelli fisici; quindi il tempo come lo spazio, ha una realtà empirica in quanto è la condizione a priori di ogni esperienza possibile, ο una idealità trascendentale in quanto non ha alcun valore ob- Dicttivo al di là della esperienza. La concezione del tempo come realtà indipendente fu invece sostenuta da Newton, per il quale il tempo assoluto, matematico, è qualche cosa che fluisce uniformemente per sò stesso e per sua propria natura, senza nessuna relazione con qualche cosn di este- riore e senza alcun legame col cangiamento; ma sia i filosofi inglesi anteriori a Kant, come Hobbes, Locke, Berkeley, Hume, sia i filosofi tedeschi posteriori a Kant, come Fichte, Schelling, Herbart, Hegel, ece., sostengono invece la concezione soggettivistica, riguardando il tempo © come l’astratto mentale del rapporto di successione dei fatti, o come un prodotto dell’ attività del soggetto al quale ogni esperienza è relativa. Uno svolgimento origi- nale della concezione soggettivistion di Kant ha dato il ‘Teichmiiller; egli considera Vordine temporale obbiettivo — 1159 — TEM come una veduta prospettiva della coscienza, dell’ io so- stanziale per sò fuori del tempo, e la durata come una pura misurazione immanente di codesto ordine; l’intera serie dei fenomeni dell’ universo, press assolutamente, deve essere considerata come tutta attuale in una sola volta; se noi facciamo astrazione dalla natura prospettiva della coscienza © dal confronto, mediante l’aspettazione ο la memoria, di parte del suo contenuto ideale con altre parti, ogni disposizione cronologica e ogni durata temporale scompare; il concetto puro del tempo non ha in sè nes- suna dimensione, o grandezza, 1’ ora e il secondo sono identici. Per il Galluppi il tempo non esiste indipenden- temente dalle cose ed ha per corrispondente obbiettivo lu causalità, mentre la sun valutazione soggettiva è il nu- mero; la causalità è l’oggettivo del tempo perchè essa implica un prima e un poi, identificandosi la nozione di ciò che incomincia ad esistere con la nozione di ciò che è prodotto; esso si misura col moto, appunto perchè il moto è la produzione di uno spazio, e misurando uno spazio generato si ottiene un numero di effetti, cosicchò si attua anche qui l’assioma matematico, che la misura deve essere omogenea al misurato; il numero, infine, non cei- ste che nello spirito, in quanto è quell’operazione montale con cui si uniscono în una idea differenti unità conside- rate. Per il Rosmini il tempo non esiste nelle cose ma- teriali, essendo la successione segnata gradustamente dal principio senziente sulla durata; la successione, poi, sup- pone una serie di più avvenimenti appresa come tale dal principio senziente; ma perchè questo apprenda come suo termine più avvenimenti successivi, è necessario che cssi rimanendo in qualche modo in lui, si renduno contempo- ranei, perchè è evidente che se dopo averne appreso uno, questo passasse del tutto, © ne venisse un altro, gli av- venimenti apparirebbero singolari come sono in sò stessi; il tempo implica dunque la memoria, la percezione di eventi reali e il giudizio sugli eventi che precedono, cos- sistono e succedono. Nella moderns psicologia il tempo è considerato generalmente come uns idea di origine empirica, che risulta da questi due olementi : 1° la coscienza del can- giamento, ossia della successione; essa si produce per op- posizione a una sensazione costante, o sentimento fonda mentale; 2°la rappresentazione di certi stati profondamente impegnati nella coscienza ; il riconoscimento di questi stati rende possibile uns certa misura e un certo aggrnppa- mento nella serie delle modificazioni. L'esistenza d’un sentimento costante sotto il variare degli stati psichici successivi, costituisce come il fondo relativamente fisso per opposizione al quale la variazione e la successione possono nettamente risaltare; la sola suocessione della sensazione, © il semplice sentimento costante, non sareb- bero sufficienti a formare I’ idea di tempo. Cid dà ragione dell'incertezza della valutazione del tempo fondata sol- tanto sulla variazione dei nostri stati interni: i momenti di dolore intenso, ο di nois, ci sembrano più lunghi che quelli passati fra il succederei di avvenimenti diversi ο complessi ο sotto il dominio di una idea intensa che ci assorbe; retrospettivamente, invece, ci sppare più lungo il tempo in cui furono più varié, intense e numerose le sensazioni, più breve quello în cui furono rade e uniformi. Una nuova concezione paicologico-metafisioa del tempo, che sembra conciliare la veduta obbiettivistica e la sog- gettivistica, è sostenuta oggi dal Bergeon, per il quale la realtà totale, così interna come esterna, è essenzial- mente tempo, durata pura, corrente di vita. Sviluppando le ideo già formulate dal Guyau, egli sostiene che la vera durata, quale possiamo coglierla in noi stessi con uno sforzo d’ introspezione, è l’eterogeneità pura, cioè una successione di cangiamenti qualitativi che ei fondono, si conglobano, si penetrano, senza contorni precisi, senza alcuna tendenza a esteriorizzarsi gli uni rispetto agli al- — 1161 — Tem tri. Ma, ossessionati dell’ idea di spazio, noi l’ introduciamo senza accorgercene nella nostra rappresentazione della suc- cessione pura; sovrapponiamo i nostri stati di coscienza in modo da percepirli simultaneamente, non più l’uno nell’altro; in breve noi proiettiamo il tempo nello spazio, esprimiamo la durata in estensione. La soienza non fa di- versamente, in quanto definisce il tempo mediante la sua misura e ogni misura implica traduzione in estensione. Per comprendere la nostra realtà profonda, e, in analogia con essa, la realtà evolutiva esteriore, noi dobbiamo dunque ri- convertire il tempo in durata, pensare noi stessi ο le cose come una evoluzione melodica di momenti, di cui ciasouno contiene la risonanza dei precedenti ο annuncia quello che sta per seguire, come un arricchimento che non #'ar- resta mai e una apparizione perpetua di novità, come un divenire indivisibilo, qualitativo, organico, straniero allo spazio, refrattario al numero. Cfr. Platone, Timeo, 97 c, 38 d; Aristotele, Phys, IV, 11, 219 b, 2 segg.; Plotino, Enn., III, 7,7; 8. Agostino, Civ. Dei, XI, 5; Id., Conf., XI, 14; Cartesio, Pr. phil., I, 57; Leibnitz, Nouv. Kee, 1, cap. 14, $ 15 segg.; Kant, De mund. sens., $ 14; Id., Krit. d. reinen. Vern., ed. Kehrbach, p. 60 segg., Schelling, Syst. d. tr. Idealiemue, 1801, p. 213 segg.; Hegel, Naturph., 1834, p. 52 segg.; Herbart, Allgemeine Metaph., 1828, p- 209; Teichintiller, Met., 1874, $ 287 segg.; Bain, Sen- nes and intellect, 1870, p. 371 segg.; Shadworth Hodgson, Time and space, 1865, p. 121 segg.; G. S. Fullerton, The docirine of space and time, 5 articoli in « Philos. Rev. », 1901; I. Royce, The world and the individual, 1901, vol. II, p. 109 segg.; Galluppi, Lezioni di logica ο metaf., 1854, III, p. 1068-97; Rosmini, Pricologia, 1848, II, p. 189 vegg.; Ardigò, Op. fl, vol. II, p. 110 segg., V, 259 segg., VII, 88 segg.; Guyau, La genèse de l’idée de temps, 1902; Borg- son, Essai sur les données imm. de la conscience, 1904, p. 57 segg.; Covotti, Le teorie dello spazio e del tempo nella fil. greca fino ad Aristotele, Pisa, 1897 (v. durata, intuisione, iatante, momento, spasio, tempuscolo). Tempo di reazione. T. Keaktionseit; I. Reaction time: F. Tempe do réaction. O tempo peicologico ; è l'intervallo di tempo che intercede tra l’avvertire una impressione e il rispondere ad essa con un movimento, o, in altre pa- role, il tempo necessario perchè 1’ individuo reagisca con un movimento all’impressione ricevuta. La reazione si compone per tal modo di tre momenti: 1° 1’ onda ner- Yous che trasmette dalla periferia al centro l'eccitazione: 2° la coscienza di essa che sorge nel centro medesimo, e l impulso volitivo al movimento; 3° l'onda nervosa che trasmette l’ impulso dsl centro ad un muscolo periferico, che si contrae e determina il movimento. Le reazioni pos- sono essere semplici e composte. Si dicono semplici quelle costituito soltanto dei tre momenti accennati; esse hanno luogo quando l’individuo risponde sempre con uno stesso movimento ad una stessa impressione (visiva, uditiva, ecc.). Sono composte quelle in cui, rimanendo il primo e il terzo dei momenti accennati, il secondo, quello οἱοὺ relativo alla funzione centrale ο cosciente, viene complicato, Tale complicazione si può produrre facendo reagire il soggetto, © soltanto quand’abbia distinto la differenza di qualità © quantità fra due ο più stimoli contomporanei; 0 quando abbia riconosciuto a quale delle sensazioni provate ante- cedentemento lo stimolo attuale debba riferirsi; ο quando abbia scelto fra due possibili reazioni quella impostagli per ogni determinato stimolo; o, infine, quando abbia associato all’ impressione attuale una imagine mentale che ad essa si collega. I risultati di tutte queste esperienze, ottenuti nei diversi laboratori di psico-fisiologia, sono ss- sai oscillanti; ciò dipende non solo dall’attitudine ο dalla pratica maggiore o ininore degli sperimentatori, dalla per- fezione degli apparecchi, dal numero delle esperienze, ece., ma anche da altro influenze modificatrici, che sono: la — 1163 — Tem-Ten maggiore o minore intensità degli stimoli; le condizioni organiche ο psichiche del soggetto; l’aspettazione o non dell’impressione; la durata maggiore o minore dell’atten- zione aspettante; gli stimoli diversi che distraggono il soggetto, ecc. In base 9 ciò si distinguono varie specie di reazione: la r. erronea, quando il soggetto non risponde all’impressione stabilita, ms sd un’altra prodottasi ca- sualmente; la r. anticipata, quando il soggetto reagisce prima che lo stimolo abbia realmente agito; la r. musco- lare, quando l’attenzione del soggetto è rivolta massi- mamente all’azione muscolare da compiere in risposta all’ecoitazione; la r. sensoriale, nel caso inverso. Cfr. Wundt, Physiol, Ροψολοὶ., 4° ed. 1890, vol. II, p. 305-390; Ja- strow, Time relations to mental phenomena, 1890; Flour- noy, Arch. d. scie. phys. ot nat., XXVII, p. 575, XXVIII, Ρ. 319; Buecola, La leggo del tempo, 1880; Patrizi, Rio. aperim. di prichiatria, XXIII, 257; A. Aliotta, La misura in psicologia sperimentale, 1905 (v. equazione personale). Tempo psicologico v. tempo di reazione. Tempuscolo. Nello scienze fisico-matematiche si suol designare in questo modo un tempo infinitamente piccolo, vale a dire non valutabile. Una quantità dicesi infiuita- monte piccola, o semplicemente un infinitosimo, quando il suo valore è minore di qualunque quantità assognabile, per quanto si voglia piccola. Ora, noi possiamo valu- tare il tempo fino a 1/15.000.000 di minuto secondo: il tempuscolo, o tempo infinitesimo, sarà dunque un tempo infinitamente più piccolo di codesto che sappiamo va- lutare. Tendenza, T. Tendens; I. Tendenoy; F. Tendance. Nel linguaggio comune indica uno stato complesso della co- scienza appetitiva, che vien designato volta per volta con nomi diversi, per i vari aspetti coi quali può rive- larsi: cioò le tendenze positive si chiamano amore, pro- pensione, desiderio, bisogno, speranza; le tendenze ne- Teo — 1164 — gative avversione, odio, ripuguanza, disagio, timore. In senso stretto, la tendenza è un fatto primitivo, costituito da uno stato di coscienza che, in quanto rivela i bisogni dell'organismo eccitato dallo stimolo, è rivolto a cercare © conservare il piacere, a fuggire o allontanare il dolore. Ogni piacere ed ogni dolore mettono più o meno l’orga- nismo in movimento, la forma del quale è determinata dalla struttura originaria dell’ organismo stesso, e che si manifesta con uno sforzo per allontanarsi ο avvicinarsi all'oggetto, a seconda che è conosinto piacevole o dolo- roso. Quando codesto inizio involontario del movimento è sentito dalla coscienza con una certa rappresentazione del fine al quale esso conduce, si ha la tendenza. Essa ha dunque per condizione l'associazione al sentimento presente della rappresentazione di ciò che può aumentare il piacere o diminuire il dolore attuale. Si distingue dal- Patto riflesso ο dall’istinto, nei quali manca la rappresen- tazione del fine; si distingue dal desiderio, in cui la rap presentazione del fine è chiara, distinta ο sccompagnata dalla coscienza della distanza che separa la semplice rap- presentazione dell’ oggetto dalla sua possessione ο realiz- zarione; si distingue infine dalla volontà, in quanto questa comprende non una ma più rappresentazioni antagoniati- che, al prevalere d'una delle quali, concopita come fine, si associano, coordinandosi, i meszi per raggiungerla. Cir. Spinoza, Ethica, 1. III, teor. IX, scol.; Höffding, Pay chologie, trad. franc. 1900, p. 422 segg. Teodicen. ‘I. Theodioss; I. Theodicy; F. Théodicée. Dal greco Θεός -- Dio, e δίκη stizia. Parola creata dal Leibnitz, che la usò come titolo di un’ opera nella quale cerca di giustificare la divinità dell’esistenza del male nel mondo, e di conciliare la libertà umana con la pre- scienza e la provvidenza di Dio. Ma come cosa, se non come nome, la teodicea esisteva da molto tempo. Per Pla- tone ο per Aristotele l’esistenza del male à giustificata — 1165 — Tro riportandola alla resistonza del non ente ο della materia; per gli stoici, veri creatori della teodicea, i mali fisici non sono tali in sè stessi, ma tali diventano per colpa degli nomini © spesso sono punizioni inflitte dalla provvidenza per il miglioramento degli uomini, mentre il male morale, cioè il peccato, è necessario perchè solo dal contrasto con esso risnita il bene; per i neo-platonici il male non è per sè stesso qualche cosa di esistente positivamente, ma è la mancanza del bene, il non-essere; per Giordano Bruno il mondo è perfetto perchè è vita di Dio, fino ad ogni particolare, © colui soltanto si lagna che non può sollevarsi all’ intuizione del tutto, nella cui bellezza scom- paiono le imperfezioni ο i difetti spparenti. Dopo il Leib- nitz il significato della parola si esteso fino a designare quella parte della teologia ο della metafisica, che si 00- caps di difendere la suprema sapienza di Dio contro le accuse elevate dalla ragione alla vista dei disordini del mondo. Come tale essa si divide, per il Kant, in tre parti che hanno per oggetto di giustificare Dio: la prima nella sua santità, in presenza del male morale; la seconda nella sua bontà, in presenza del male fisico ; la torza nella sua giustisia, davanti al disaccordo che esiste tra il bene e la virtù. Ma oggi la teodices ha assunto una estensione ancora maggiore, e comprende non solo la giustificazione delle opere di Dio, ma anche le prove della sua esistenza, la dimostrazione dei suoi attributi, la ricerca dei suoi rapporti con l’anima umana e con l'umanità, Cfr. Platone, Timeo, 42 D; Seneca, Quaest. nat., V, 18, 4; Id., Kpistulae, 87, 11 segg.; Plotino, Enneadi, II, 9; Leibnitz, Essai de théodioée, 1710; Kant, W. W., VI, 77; J. Young, Evil and good, 1861; Rosmini, Teodicea, 1846; Benedict, Theo- dioaea, 1884 (v. male, peseimismo, ottimismo). Teofania. T. Theophanie ; I. Theophany ; F. Théophanie. In senso generale, il manifestarsi della divinità nel mondo attraverso le sue opere; in questo senso tutto il mondo Tro — 1166 — può considerarsi, secondo il cristianesimo, una teofania. In significato più ristretto, il presentarsi della stessa di- vinità. Thoophanias autem dici visibilium et invisibilium spe- cies, quarum ordine et pulchritudine cognorcitur deus esso. Cfr. G. Scoto, De div. nat., III, 19. Teologia. T. Theologie; I. Thoology; F. Théologie. Nel sno significato più generale, è la scienza di Dio ο delle cose divino. Aristotele fa il primo a considerarla come scienza, ponendola a capo delle scienze speculative; avanti di lui essa non era che una descrizione poetica dell’ ori- gino delle cose © della natura degli dei. Nel mondo pa- gano la teologia ebbe un carattere particolare: come la religione aveva un'importanza politica, ed era ignota affatto così ai Greci come ai Latini ogni idea della rive- lazione, così non v'ebbe alcuna distinzione fra teologia naturale ο positiva, ma si aveva invece, secondo la clas- sificasione di Varrone e del pontefice Muzio Scevola, una teologia poetica, di cui parlammo sopra, una teologia fisica, che è prodotto di ragione e fa parte della filosofia, © una teologia civile, fondata dai legislatori e rivolta agli interessi dello Stato. Col cristianesimo, innalzatasi tra la ragione e la rivelazione una barriera insormontabile, fu distinta la teologia naturale, che è prodotto della ragione, dalla positita opera della rivelazione: quella è una scienza le cui verità hanno bisogno di essere dimostrate, mentre le verità di questa debbono essere aocettate per fede. Dalla teologia positiva si distingue la razionale, svoltasi specialmente in Germania, e il cui fine è di controllare pet mezzo della ragione i dati della rivelazione, con l'esame © l’interpretazione delle sacre scritture, della tradizione, dei monumenti religiosi. Colla teologia positiva non è da confondersi l’affermativa, che è l'affermazione in grado sommo (via eminentiae) nella divinità di tutto l’essere che esiste nelle creatnre ; essa si oppone alla teologia negatira, che consiste nel tentativo di ginngere alla nozione del- — 1187 — Tro l'essere supremo o assoluto, rimovendo da lui (ria remo- tiomis 0 negationis) tutto ciò che non possiede l’essere che in senso negativo. Codesta distinzione fa posta da Nicol Casano; ma i due metodi erano già noti © usati dai primi Padri, © la via negationie sale a grande onore specialmente con lo pseudo Dionigi Areopagita. Teologia dogmatica è il sistema della dottrina teologica sviluppato dogmatica mente, cioò con un metodo che si appella alla sutorità, sia della sola scrittura, sia della scrittura ο delle tradi. zioni combinate insieme. — Il Comte chiama teologico il primo dei tre grandi stadi attraversati dalla intelligenza umana nel suo cammino secolare ; gli altri due sono il me- tafisico ο il positivo. In questa prima fase dominano i con- cetti mistici, e i fenomeni naturali sono attribuiti alla volontà arbitraria 6 capricciosa di enti imaginari o forze naturali personificate. A questo indirizzo mentale corri- sponderebbe, dal lato sociale, lo stato militare, poichè le differenze di religione generano le guerre tra i popoli. Cfr. Aristotele, Metaph., III, 4, 1000 a, 9; Diogene Laer- zio, VII, 1, 41; 8. Clemente, Stromata, V, ο. XI; Dionigi Areop., De mystica theol., I, 3; Id., De div. nom., 7, 3; C. Bil- lot, De Deo uno et trino, 1854 (v. teosofia, teodicea, ontologia). Toologismo. T. Theologismus ; I. Theologiem ; F. Théo- logisme. Termine molto vago, con cni si designano quei sistemi filosofici che #’ ispirano essenzialmente alla tradi- zione teologica e al sentimento religioso. Teomania. Delirio religioso, che oggi più propria- mente dicesi pnranoia religiosa. È costitnita da una serie di illusioni ο allucinazioni, aia visive che uditivo, riferen- tisi ad armonie celesti © visioni divine, intramezzate dn periodi di estasi ed episodi erotici. L’ ammalato crede di essere destinato da Dio a redimere gli uomini dal pec- esto e pregusta le gioie che per la compiuta missione gli verranno largite, non badando alla propria tranquillità ο ai propri interessi materiali, non esitando nemmeno a Tro — 1168 — sacrificare la libertà ο la vita. Non pochi riformatori ο fondatori di religioni potrebbero, secondo alcuni psichia- tri, essere legittimamente classificati tra i teomani; tale Emanuele Swedenborg, fondatore della setta degli illumi- nisti, tale pure italiano Davide Lazzaretti, il più tipico esempio, forse, di paranoico allucinato che abbia potuto, durante l’ultimo mezzo secolo, dare origine ad un moto rivoluzionario mistico-socialistico. Cfr. Lombroso, L'uomo di genio, 63 ed., p. 507 segg.; G. Ballet, Le peicosi, trad. it. 1897, p. 300 segg.; G. Barzellotti, Davide Lassaretti, i suoi seguaci ο la sua leggenda, 1885; Id., Santi, solitari, filosofi, 1887; A. De Nino, II Messia degli Abruszi, 1890. Teorema. T. Theorem, Lehrsatz; I. Theorem ; F. Théo- rème. Come mostra l’origine etimologica della parola (Δεορέω = esamino), significò da principio quello che si contempla, che è soggetto d'esame; poi la verità che è il risultato dell’ esame, della dimostrazione. In questo se- condo senso si contrappone a problema, che è invece una incognita difficilmente decifrabile, quantunque sia con- giunta dal rapporto di principio e di conseguensa ad nna conoscenza attuale, Teoretico. T. Thooretisch; I. Theoretical; F. Theoretique. Ciò che si riferisce alla teoria, mentre il teorieo è ciò che fa parte della teoria; nell’uso però i due termini si con- fondono. Si oppone a pratico © à fecnioo; mentre la teo- ria ha per solo fine il vero, la pratica ha per fine l’azione ο la tecnica è l’insieme delle norme con cui si applica la nostra conoscenza delle cose. Si oppone anche a storico © a empirico, perchè mentre in questi è il fatto che pre- vale, in quello prevale il ragionamento. Perciò si hanno le espressioni di filosofia teoretica, pratica e storia della filosofia; sapere teorico, speculativo e pratico; morale teorica e morale normativa o pratica; intelligenza teorica, speculativa e pratica, ecc. Cfr. Kant, De mund. sens., sect. II, § 9, n. 1. — 1169 — Tro Teoria. T. Theorie; I. Theory; F. Theorie. Nel suo si- gnificato più largo designa la sintesi comprensiva delle conoscenze, che una scienza ha raccolto nello studio di un dato ordine di fatti. In un senso più ristretto è un insieme di ragionamenti collegati fra loro e diretti a spie- gare, provvisoriamente o definitivamente, una data que- stione. In questo senso si oppone alla pratica, la quale non è che l'applicazione della teoria. Nel primo signifi- cato si distingue dall’ipotesi, che è più spesso l’anticipa- zione che non il risultato delle esperienze, e dalla dottrina, che ha un’ accezione più vasta, risultando da un insieme di teorie. Quando la sintesi coordinatrice delle esperienze raccoglie sotto di sò ordini differenti di fenomeni, allora si ha qualche cosa di più esteso della dottrina, cioè il si- stema. La teoria non differisce per natura dalla legge scien- tifica, ma soltanto per grado: la teoria è infatti una gene- ralizzazione così astratta da non mostrare un addentellato diretto ed esauriente con la realtà, ma si fonda tuttavia sulle leggi, ο in tanto ha valore in quanto costituisce la massima approssimazione alla realtà e la massima poten- zialità di contenere in sè un certo numero di leggi accer- tate. Tuttavia nell’ uso comune queste distinzioni non sem- pre sono possibili, perchè, se da un lato è difficile valutare il grado di estensione d’un dato insieme di conoscenze, non è facile dall'altro l'apprezzamento degli elementi certi e degli ipotetici che vi si mescolano. Cfr. Wundt, Logik, 1880, vol. I, p. 407; Masci, Logica, 1899, p. 72 segg. (v. dottrina, principio, prammatica, pratica). Teosofia. T. Thoosophie; I. Theosophy; F. Theosophie. Si distingue dalla teologia, in quanto designa quella scienza che si pretende ispirata dalla stessa divinità, dalla quale deriverebbe, senza però essere oggetto di una rivelazione positiva. Questa scienza si svolse specialmente in Germa- nia nei secoli XV e XVI, per opera di Cornelio Agrippa, Paracelso e Giacomo Bihme. Le dottrine dei vari teosofi 74 — Banzout, Dision. di scienze filosofiche. Teo — 1170 — diversificano molto tra di loro, specie perchè, mentre al- cuni fanno prevalere la teologia sulla filosofia, altri dànno la prevalenza alla ragione e alla filosofia sulla fede ο enlla teologia. Però tutti si accordano nella tendenza ad uni- ficare la scienza di Dio con quella della natura. Uno dei più interessanti tentativi di risuscitare, nei tempi moderni, la teosofia, è quello dello Schelling, spinto sulla via del- V’irraionaliemo dall’ assunzione del motivo religioso nel- Videalismo assoluto. Se l’assoluto era concepito come Dio, se il principio divino e quello naturale . delle cose erano distinti, sicchè alle idee eterne come forme dell’ auto-in- tuizione divina veniva assegnata un’ osistenza speciale ac- canto alle cose finite, la trasmutazione di Dio nel mondo diventava un problema; tale problema lo Schelling ha cercato di risolvere sulla via della teosofia, con una teoria mistico-speculativa nella quale i concetti filosofici sono tradotti in intuizioni religiose. Per lo Schelling le idee sono imagini riflesse, in cui l’assoluto rispecchia sè stesso, sono partecipi dell'autonomia dell’ assoluto; in ciò sta la ponsibilità della caduta delle ides da Dio, della loro sostan- tivazione metafisica, per oni diventano reali, empiriche, cioè finite. Il contenuto della realtà è quindi divino, per- chò sono le idee di Dio quelle che ivi sono reali; ma il loro proprio esser reale è caduta, peccsto © irrazionalità. Però l'essenza divina delle idee tendo di nuovo all’ ori- gine e al prototipo, © questo ritorno delle cose in Dio è In storia, l’epos composto nello spirito di Dio. Il Rosmini intendo per teosofia la teoria dell’ ente nella sua totalità, ossia delle ragioni supreme che si trovano nel tutto del- l'ente; essa si distingue sia dalle altre scienze, che riguar- dano Vente solo in quanto è diviso o dalle limitazioni naturali o dallo sguardo della mente, sia dalle altre parti della filosofia, che cercano il principio da cui la scienza dell’ ente deriva (ideologia) e somministrano le condizioni formali e materiali (logica e psicologia) del passaggio della — 1171 — Ter mente speculativa dal sapere ideologico al sapere teosofico. Cfr. L. Judge, The ocean of theosophy, 1893; A. Besant, Teosofia e nuova psicologia, trad. it. 1909; E. P. Blawataki, Introd. alla teologia, 1910; Schelling, Religion und Philoso- phie, 1804; Rosmini, Teosofia, 1859 (v. ideologia, metafisica, ontologia). Teratologia. T. Teratologie; I. Teratology; F. Térato- logie. Ramo della patologia e dell’ antropologia, che stu- dia quelle anomalie di sviluppo, congenitali e irrimedia- bili, che diconsi mostruosità. Esse sono costituite da arresto, eccesso 0 perversione di sviluppo ; possono dipen- dere da predisposizione ereditaria, da nna malattia del feto, ο da un accidente sopraggiunto alla madre; alonne sono incompatibili colla vita, altre compatibili. Tra que- ste importanti la polidattilia, ο dita in soprannumero, l’ermafroditismo, 9 ΙΑ diplogenesi, in cui vi ha duplicazione più o meno completa del corpo intero (v. anomalia, dege- nerazione, reversioni). Termestesiometro. Strumento usato nelle ricerche psicofisiologiche per misurare la sensibilità cutanea sotto l’azione del calore. Termiche (sensazioni). T. Temperaturempfindung ; I. Tem- perature sensation ; F. Sensation de temperature. Le sensazioni di ‘caldo e di freddo. Possono essere di due specie: interne, quando hanno origine da uno stato affatto soggettivo (ad es. il calore o il brivido della febbre), ed esterne, quando sono prodotte dal contatto di un corpo qualsiasi sopra la pelle o sulle mucose che confinano con essa. Si ha la sen- sazione di caldo quando il corpo che tocca la pelle ha una temperatura più elevata della pelle stessa, di freddo quando ha una temperatura più bassa, nessuna quando ha la stessa temperatura. Quando il corpo ha una temperatura superiore a + 47° e inferiore a — 10°, non produce sei sazioni termiche ma dolorifiche, che sono tanto più ii tense quanto maggiore è la differenza fra la temperatura — 1172 — del corpo e quella dell’ organismo e quanto più estesa è la superficie cutanea che col corpo si trova a contatto. Sembra esistano degli organi periferici distinti per il senso del tatto, per il caldo e per il freddo; infatti la sensibi- lità termica non è uguale in tutte le località della pelle, ed in alcune di esse sono possibili soltanto sensazioni di freddo, in altre soltanto sensazioni di caldo, se toocate con una punta fredda o calda. Cfr. Wundt, Physiol. Pey- chol., 4* ed., vol. I, p. 385, 415; Titchner, Lab. manual, 1901, cap. III; Kiesow, Zeitschrift für Peyool., vol. 35, 1904; Id., Arch, it. d. biol., T. XXXVI, 1901; N. Marotta, Le sensazioni termometriche, « Riv. di fil. e scienze affini », agosto 1899. Termine. Lat. Terminus; T. Terminus; I. Term; F. Terme. I termini del giudizio sono le nozioni che lo compongono; i termini della proposizione sono i nomi che esprimono codeste nozioni. I termini si distinguono in generali, col- lettivi, astratti, concreti o singolari, positivi, negativi, privativi e correlativi. — Nel sillogismo si hanno tre ter- mini: il maggiore, che ha l’estensione maggiore e compare, soggetto o predicato, nella premessa maggiore; il minore, che ha estensione minore, e compare come soggetto o predicato nella premessa minore; il medio, che ha esten- sione media e si trova in entrambe le premesse. Nella conolusione il termine maggiore fa da predicato, il minore da soggetto, il medio è escluso. Il sillogismo non può avere più di tre termini, perchè il termine medio deve esser preso almeno una volta universalmente. Il termino maggiore e minore non debbono esser presi nella ooneln- sione più universalmente che nelle premesse, perchè ciò sarebbe contro il principio del sillogismo, che procede sempre dall’universale. Nella terminologia scolastica dicesi terminus actionis ciò che si compie coll’arione medesima, t. denominationie ciò che prende una nuova denominazione per l’azione, f. a quo quello onde incomincia il moto, t. ad — 1173 — TER quem quello dove il moto finisoe; termini pertinentes duo termini tra loro opposti contrari, o di oui l’uno porta in sò l’altro, t. impertinentes due termini che non sono con- trari ma non si richiamano per conseguenza diretta (ad es. il rosso © il buono); terminus intrinscous unionis quel- l'estremo del composto nel quale non si riceve l’ unione, che pei peripatetici era una entità distinta dagli estremi, nè da esso si trae o si sostenta: così la forma del com- posto è il £, intrinseous dell’ unione della materia colla forma, la quale unione ai riceve nella materia, ossia le aderisco, ed è sostenuta da questa, e non aderisce nò è sostentata dalla forma. Cfr. Aristotele, Anal. pr., I, 1, 24 b, 16; Goclenio, Lezioon phil., 1613, p. 1125 (v. figura, modo, col- lettivo, correlative, generale, eco.). Terminismo. T. Terminismus; I. Terminiem; F. Tor- minieme. Forma del nominalismo, nella quale gli univer- sali sono considerati soltanto come termini ο segni. Genera οἱ epooies, dice Buridano, non sunt nisi termini apud ani- mam ezistentes vel ctiam termini vocales aut soripti. Il ter- minismo, come dottrina che considera i concetti quali segni subbiettivi per le cose singole realmente esistenti, compare nel secondo periodo della filosofia medievale, spe- cie con Guglielmo di Oooam. Riappare poi nella filosofia dell’ Aufklärung ο nel sensismo di Condillac, per il quale ogni conoscenza consiste nella coscienza dei rapporti delle idee, le quali, con l’aiuto dei segni e, rispettivamente, della lingua, si decompongono nei loro elementi ο si ri- compongono di bel nuovo: ogni lingua è un metodo per V analisi delle idee, ed ognuno di questi motodi è una lingua, e le diverse specie di segni danno diversi dialetti (le dita, la favella, le cifre, ecc.) della lingua umana. Cfr. ‘Prantl, Geschiohte d. Logik, 1885, IV, 16; Condillac, Lan- gue des oalouls, 1798. Teromorfle ο atavismi. Furono dal Wirchow chia- mate così alcune varietà anormali che si riscontrano tal- Tes un = volta nell’uomo (muscolo sternale, osso interparietale, eco.), che sono disposizioni permanenti negli animali inferiori. Le teromorfie diconsi dirette quando riproducono le forme di animali più vicini all’ uomo, indirette 0 remote quando i caratteri riprodotti sono propri di animali più bassi, che non si considerano come gli avi diretti (v. degenerazione, reversioni, teratologia). Tesi. T. These; I. Thesis; F. Thèse. In generale signi- fica proposizione, cioÿ qualsiasi giudizio espresso con pa- role; ma si adopera più propriamente per designare una proposizione che deve essere dimostrata vera. Per Aristo- tele la tesi si distingue dall’assioma in quanto, mentre questo è universale e necessario, quella invece è stabilita temporaneamente e per un oggetto determinato. Nel giu- dizio ipotetico (se À è B è) dicesi tesi la seconda parte di esso, che contiene la posizione del predicato (8 2), mentre la prima parte (ss A è) che contiene la posizione del soggetto, dicesi ipotesi. — Quando alla tesi è opposta un’altra proposizione, che sebbene contradditoria può esser dimostrata con argomenti di ugual valore, questa seconda dicesi antitesi, ed insieme con la prima costituisce la an- tinomia. Quando invece la tesi e l’antitesi possono essere conciliate in un principio superiore che entrambe le com- prende, si ha la sintesi. Testimonianza. T. Zeugniss, Zeichen; I. Tostimony: F. Témoignage. Lo scienziato non può osservare personal- mente tutti i fatti ch’egli afferma, nè sottomettere alla prova sperimentale tutte le dottrine ch’egli ammette, ma fatti è dottrine deve in buona parte accettare sopra la testimonianza altrui. Se così non fosse, se ogni scienziato dovesse ricominciare ab ovo le sue ricerche e considerare come vero soltanto ciò che ha sperimentato, il progresso della scienza sarebbe impossibile. D'altro canto, vi sono slenno scienze, come la geografia, la storia, ecc., le quali si fondano quasi completamente sopra le testimonianze — 1115 — Tes-Ter altrni. La necessità del principio d’autorità nella scienza impone dunque allo scienziato di fare la oritioa delle terti- monianzo (le cui norme generali sono fissate dalla logica), per determinare in quale misura esse possono esser rite- nute degne di fede, Cfr. Masci, Logioa, 1899, p. 468 segg. Testo. T. Probe, Prüfung; I. Test; F. Test, Epreuve. Diconsi testi mentali, ο prove, o saggi, le determinazioni che la psicofisica e la psicofisiologia cercano di ottenero del funzionamento dei sensi ο dei processi mentali. Si hanno quindi testi della capacità sensoria, visiva, uditiva, tattile; testi della capacità muscolare, della capacità per- cottiva, della vivacità ο prontezza mentale; testi della memoria e dei processi mentali più complessi, come l’as- sociazione, l’attenzione, l’imaginazione, il giudizio, Per determinare l’acutezza della visione sogliono adoperarsi lettere di varia dimensione e forma, poste a diversa di- stanza; per l'udito le casse di risonanza e l’audiometro, per il tatto l’estesiometro, per la capacità muscolare il dinamometro, per la percezione degli intervalli di tempo il eronosoopio di Hipp, ecc. Cfr. Binet e Henri, La pey- chologie individuelle, « Année payool. », 1896; Report of com- mittee on testa, « Psychol. Rev. >, 1897, vol. IV, p. 132-38; Wiseler, Correlation of mental and physical teste, 1901. Tetici (giudizi). Quei giudizi contratti, detti anche di posizione © esistenziali (Herbart) che sono ordinariamente riferiti a giudizi ipotetici, se l'ipotesi afferma una condi- zione di estensione relativamente illimitata. Essi possono avoro anche la forma copulativa, remotiva, disgiuntiva, oppure una forma propria, in cui, in luogo dell’ ipotesi, è usato un avverbio o una particella localo (v. composti, con- giuntivi, copulativi). Tetralemma. Argomentazione costituita di quattro membri, da ciascuno dei quali si ricava una conclusione medesima e contraria all'avversario, che per ciò non ha più via d'uscita. Nella sua forma tipica è espresso me- Teu-Tir — 1176 — diante un sillogismo ipotetico-disgiuntivo, che, al pari del dilemma, può avere due modi, uno affermativo o ponente, l’altro negativo ο tollente; nel primo la premessa. mag- giore enumera i quattro casi possibili che conducono ad un’ unica consegaenza, la minore afferma non esservi altri casi oltre quelli enumerati dalla maggiore, la conclusione afferma la conseguenza; nel secondo la maggiore espone le quattro conseguenze che dipendono da un’ unica condi- zione, la minore nega la verità delle conseguenze, la con- clusione nega quindi la verità dell'ipotesi (v. dilemma). Teurgia v. snagia. Timpano. T. Trommelfoll; I. Tympanum; F. Tympan. La cavità del timpano è uno spazio scavato nell’osso tem- porale, e comunica con la faringe mediante un canale dotto tromba uditiva o d’ Eustacchio. E limitata lateral- mente dalla membrana del timpano, che è una lamina sot- tile e trasparente, tesa © fissata al solco timpanico, a forma ellittica. Le onde sonore, urtando contro la mem- brana, la pongono in vibrazione; tale vibrazione è comu- nicata agli ossicini, da questi all’ endolinfa e alle termi- nazioni nervose dell’ acustico, che trasmette 1’ eccitazione al centro cerebrale relativo. Cfr. J. K. Kreibig, Die fünf Sinne des Menschen, 1907, p. 52 sogg.; Nuvoli, Fisiologia dell’ organo uditivo, 1907. Tipo. T. Typus; I. Type; F. Type. Nel sno significato generale, un tipo è an individuo di un genere che riss- sume in sè stesso, nel modo più spiccato, i caratteri del genere cui appartiene; tali caratteri sono tanto maggior- mente netti ο palesi, quanto minore è la rilevanza dei caratteri individuali. In senso logico e astratto per tipo s'intende l’ insieme dei caratteri essenziali d’ una specie. ‘Tuttavia nelle definizioni scientifiche l’idea di tipo non è determinata ο costante: alcune volte è presa come ti- pica una proprietà formale, che distingue una classe dal- l’altra. come ad es. la distinzione che molti filologi fanno — 1177 — Tom delle lingue in agglutinanti, isolanti, ο flessive ; altre volte è presa come tipica un’astrasione morfologica, come ad es. la teoria di Bronn sulle forme geometriche dei corpi animali; altre volte è assunta come tipica la forma più semplice, come il dado e I ottacdro per la oristallo- gratis, © altre invece la forma più completa, come ad es. la forma tipioa dei mammiferi assunta dal Cuvier. Va ri- cordato, infine, che alcune volte il tipo fu assunto plato- nicamente dagli scienziati, ad es. l’Agassiz ο il Cuvier, quasi come un'entità reale, a sò, causa delle forme ο della approssimazione delle forme. Nella psicologia diconsi tipi mentali certe precise differenze di costituzione mentale, 0 certi modi di fanzionamento mentale, che caratterizzano gruppi di individui; tali caratteri sono dunque tipici, piuttostochè individuali. In questo stesso senso si parla di tipo criminale, tipo visivo, tipo sensitivo, ecc. Cfr. C. B. Davenport, Statistical metods, 1900 ; Zeitschrift für Peychol., 1899, XXII, 13 (v. archetipo, entelechia). Tomismo. T. Thomiemus; I. Thomiem; F. Thomisme. La sonola e la dottrina di 8. Tommaso d’ Aquino, i cui seguaci si reolutavano specialmente, vivo ancora l’ Aqui- nate, nell’ordine dei domenicani; ebbe per avversari i francescani, che seguivano le dottrine di Duns Scoto. L’op- posizione tra le due scuole riguardava specialmente il va- lore della volontà e le sue relazioni con l'intelletto: per i tomisti la volontà teneva dietro all’ intelletto, per gli scotisti era invece il contrario (voluntas superior intellectu). Ciò era una conseguenza della teorica sul principio di individuazione, poichè, mentre i tomisti, seguendo la dot- trina del loro maestro, sostenevano cho la forma intellet- tualo, informando un dato organismo corporeo, ne deter- minava la individualità, gli scotisti riponevano invece il principio di individuazione nel profondo stesso della os- senza, in un'ultima realitas che sfugge ad ogni conoscenza. Cfr. Harper, The metaphysics of the School, 1877; Froh- Tom-ToN — 1178 — schammer, Thomas von Aquino, 1889; C. Jourdain, La filo sofia di δ. Tom. d'A, trad. it. 1860, p. 243-372 (v. ecceità, quiddità, individuazione, intollettualirmo, volontarismo, scoti- smo, neo-tomismo). Tomo. Alcuni scienziati chiamano così l infinitamente grande, per opposizione all’ atomo che è l’infinitamente piccolo. Una grandezza che diminuisce continuamente fino a divenir zero, prima di sparire nello zero passerà per uno stato nel quale essa nulla ha di più piccolo sotto di sò, © questo è l'atomo; una grandezza che aumenti continuamente fino all’ infinito, prima di sparire nell’ in- finito passerà per uno stato nel quale essa non ha nulla di più grande sopra di sò, © questo è il tomo. Il tomo non ha quindi dei multipli, come l’atomo non ha dei sottomultipli : e siccome neppure lo zero ha dei multipli, così vi ha com- pleta analogia fra il tomo e l’ infinito da una parte, l atomo © lo zero dal’ ultra (v. atomiemo, divisibilita, infinito). Tono. T. Ton; I. Tone; F. Ton. Nel suono è dato dal numero dello vibrazioni; il tono principale è sempre ac- compagnato da ipertoni ο toni secondari, di minore inten- sità; il timbro del suono è dato dal numero e dalla altezza degli ipertoni che accompagnano il tono. Dall’ Helmholtz in poi dicesi tono differenziale il terzo tono distinguibile tra due toni, costituito da un numero di vibrazioni uguale alla differenza di quello dei due toni primari; e tono ad- dizionale il tono più sento, risultante dalla somma delle vibrazioni dei toni primari. — Dicesi tono muscolare il grado di tensione in cui trovansi normalmente i muscoli; esso diponderebbe da sensazioni subcoscienti, mantenute dalle molteplici vie afferenti, che sono direttamente o indiret- tente in rapporto col cervelletto e col bulbo. — Nella sensazione il tono ο colorito è il grado di piacere o di-do- lore che accompagna ogni sensazione o fatto psichico. Esso può dipendere sis dallo stato organico, sia dalla qualita della sensazione, sia dalla intensità degli stimoli, sia dal- — 1179 — Tor-Tor l'esperienza dell’ individuo e della specie. In generale, il tono delle sensazioni è in ragione inversa della loro og- gettività, ossia del loro riferimento agli oggetti, ed è mag- giore a misura che questo riferimento è più diretto e più evidente; a sua volta l’ evidenza del riferimento dipende dal carattere spaziale della sensazione, perchè 1’ oggetto à per noi essenzialmente il reale esterno, Secondo alcuni pei- cologi, il tono è essenziale alla sensazione, in quanto, es- sendo fondamentale la tendenza al piacere, ogni sensazione sarà concepita come concorde con questa tendenza, e quindi piacevole, o come contraria, e quindi dolorosa; se molti stati psichici appaiono indifferenti, ciò dipende dalla te- nuità del tono che li accompagna. Altri invece ammet- tono l’esistenza di stati psichici assolutamente indifferenti o neutri. Cfr. Kant, Krit. d. Urt., $ 3; Helmholtz, Die Lehre von den Tonempfindungen, 1863; C. Stumpf, Tonpey- chologie, 1890; Th. Ziehen, Leitfaden d. physiol. Peychol., 2° ed. 1893, p. 95; Wundt, Grundr. d. Peyohol., 1896, p. 88; G. Sergi, La psyohol. physiologique, trad. franc. 1888, p. 143; Masci, Paicologia, 1904, p. 46 sogg. (v. neutri stati, piacere, dolore, sentimento). Topica (da τόπος — luogo, ove si trovano gli argo- menti). Nella logica antica, la Topica era la ricerca e l'esposizione degli argomenti che si possono esporre sopra ogni cosa. I Topici sono quei libri logici di Aristotele dove si espongono i sillogismi ipotetici o verosimili. Me- todo topico, per opposizione al metodo critico di Cartesio, chiamò Vico il metodo che cousiste nella ricerca delle idee: « non si giudica bene, egli dice, se non si è co- nosciuto il tutto della cosa; © la topica è l’arte in cia- scheduna cosa di ritrovare tutto quanto in quella à ». Cfr. Aristotele, Τορ., I, 1, 100 a, 1; Küstner, Topik oder Erfindungswissensch., 1816 (v. luoghi comuni). Totaliszazione (legge della). L’Hoffding designa con questo nome la tendenza che noi abbiamo, dato un par- Tor — 1180 — ticolare elemento psicologico, a riprodurre lo stato totale, di cui codesto, o un altro somigliante, formava una delle parti. Codesta legge costituisce 1 essenza di ogni forma d’ associazione mentale; infatti gli elementi singoli d’un medesimo stato di coscienza non esistono separati, ma come unità di somma, e da ciò nasce la tendenza a rie- vocare la somma quando sia data una delle sue unità. Il Galluppi aveva già ammesso, come fondamento dell’ as- sociazione psichica, la legge per cui la percesione passata ritorna tutta allorchè ne torna una parte; con tale legge egli spiegava anche il fatto del riconoscimento. Cfr. Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 211 segg.; Ebbinghaus, Uober das Godächiniss, 1885, p. 139, 147; Galluppi, Lesioni di logioa ο metaf., 1854, II, p. 742 segg. (v. sintesi psi- chica). Totemismo. T. Totemismus ; I. Totemism; F. Totémisme. ‘l'ermine introdotto da J. Long (1791) e rimasto nell’ uso per indicare l’ adorazione di oggetti materiali ο percepi- bili, animali, piante, eco., fatta da tutti i membri di una tribù ο clan, che per tal modo si sentono legati social- mente tra di loro. Il totemismo, assai diffuso nei popoli primitivi e tra le razzo inferiori, si distingue dal fetici- smo sia per il suo carattere sociale, sia perchè 1’ adora- rione si rivolge a tutti gli oggetti di una classe, conside- rati come capaci di esercitare un potere sull’ esistenza umana, mentre nel feticismo questo potere è attribuito ad un oggetto solo. Il totemismo involge anche là cre- denza che la tribù ο clan sia discesa per miracolo o mi- stero dall'oggetto ο animale totemico; perciò esso è con- siderato come sacro, ne è proibito l’uso come alimento © come vestimento, spesso è anche vietato di guardarlo © di nominarlo, è adorato, rispettato, presiede le cerimonie che riguardano la nascita, il matrimonio, la morte. Cfr. Pikler u. Somlo, Der Ursprung d. Totemismus, 1900; Frazer, Totemism, 1887; Durkheim, Les formes élémentaires de la vio — 1181 — ToT-Tra religionse, p. 141 segg.; F. B. Jovons, 1) idea di Dio, trad. it. 1914, p. 85-93. Toto-parsiali, Si dicono così, nella dottrina dell’Hamil- ton sulla quantificazione del predicato, quelle proposizioni in cui il soggetto è preso universalmente, il predicato solo particolarmente. Possono essere tanto affermative - es. tutti i triangoli sono (alcune) figure - quanto nega- tive: es. nessun triangolo è (qualche) figura equilatere. Toto-totali. Si dicono così, nella dottrina dell’Hamil- ton sulla quantificazione del predicato, quelle proposi- zioni in oui tanto il soggetto quanto il predicato sono presi in tutta la loro estensione: es. tutti i triangoli sono (tutti i) trilateri. Nella loro forma negativa il pre- dicato è escluso totalmente dalla estensione e compren- sione del soggetto: es. nessnn triangolo è (nessun) qua- drato. Tradizionalismo. T. Traditionaliemus; I. Traditiona- Kem; F. Traditionalisme. In generale designa qualunque indirizzo scientifico, filosofico, religioso, letterario che vuol tenersi ligio alla tradizione e ad essa e’ ispira. Nella religione dicesi tradisionalismo la dottrina che sostiene che le sn- preme verità religiose, © specialmente I’ esistenza di Dio, nonchè le verità fondamentali di ordine metafisico, morale e religioso, non si possono conoscere se non in grazia della rivelazione primitiva conservata ο diffusa dai testi encri ο dalla tradizione, essendo la ragione umana impotente a rag- giungerle. In particolare dicesi tradisionaliemo 1’ indirizzo filosofico rappresentato in Francia dal Chatenubriand, dal De Maistre e specialmente dal De Bonald, indirizzo carat- teriszato da una energica reazione contro la filosofia della rivolazione (illuminiemo). L'errore di quest’ultima, secondo il De Bonald, è d’aver creduto che la ragione possa da sò stessa trovare la verità e indirizzare la società, mentre in- vece tutta la vita spirituale dell’uomo, essendo fondata sul linguaggio, è un prodotto della tradisione storioa; il lingnag- TRA — 1182 — gio è stato donato all’nomo da prima come rivelazione, e la « parola » divina fonte di tutte le verità, ha per unica de- positaria nella tradizione la Chiesa, la cui dottrina è dunque la ragione universale data da Dio ο trapiantata a traverso i socoli come il grande albero, su cui maturano i frutti schietti della conoscenza umana. Concetti analo- ghi, quasi contemporaneamente al Bonald, sostenne il Lamennais, per il quale alla nostra incapacità di raggiun- gore il vero, sia per mezzo dei sensi, sis per mezzo della ragione, supplisce il consenso comune, I’ autorità del ge- nere umano, che diventa il punto d'appoggio delle no- stre conoscenze: « Esiste... per tutte le intelligenze un ordine di verità ο di conoscenze primitivamente rivelate, ossia ricevute originariamente da Dio, come condizioni della vita o meglio come la vita stessa... E come la ve- rità è la vita, com l'autorità, ossia la ragione generale ma- nifestata con la testimonianza o con la parola, è il mezzo necessario per giungere alla conoscenza della verità, ciod alla vita dell’ intelligenza >. I tradizionalisti si divisero in due gruppi: i primi, col Lamennais a capo, costitui- rono l’école menaieienne, che fu dette anche fideista per P ufficio esclusivo attribuito alla fede, all’ antorità della rivelazione divina, nell’ acquisto della vera certezza; i se- condi, più temperati (Bonetty, Ventura, Laforêt e i pro- fessori di Lovanio) ammettono una potenza nativa della ragione umana, indebolita però dal peccato originale e bi- sognosa quindi d’un aiuto intellettuale esteriore, cioè della rivelazione, per arrivare alla conoscenza distinta delle verità razionali, morali e metafisiche. — Nella sociologia dicesi tradizionalismo quell’indirizzo il quale considera le vario formazioni sociali, quali la costituzione politica, il regime economico, il diritto, eec., come fondati non sopra idealità ο principi astratti, ma sopra una tradizione, e s0- stiene quindi che non possono essere mutati in base a cri- teri puramente teorici. Cfr. Kleugten, La philosophie scola- — 1188 — TRA stique, 1868, t. I, diss. 482-455 ; Lamennais, Essai sur Vin- différence, 1820, t. II, ο. 13; Vacant, Études théologiques, 1895, I, p. 120 segg., 329 segg.; C. Ranzoli, II tinguaggio dei filosofi, 1911, p. 219-223. Traducianismo. T. Traducianismus: I. Traducianiem ; F. Traducianisme. O generazioniemo, è la dottrina con la quale alcuni filosofi e teologi, Tertulliano, 8. Agostino, Lutero, Leibnitz, ece., spiegano l’origine delle anime in- dividuali, imaginando che siano esistite tutte in germe in Adamo, e si propaghino ora per generazione fisica come il corpo. « Intorno all’ origine delle forme, entelechie ο anime, dice il Leibnitz, i filosofi sono stati in grave im- barazzo; ma oggi, avendo riconosciuto mediante ricerche esatte compinte sopra le piante, gli insetti ο gli animali, che i corpi organici della natura non sono mai prodotti dal caos o dalla putrefazione, ma sempre da sementi nelle quali esisteva indubbiamente qualche preformazione, oggi si è giudicato che non solo il corpo organico vi era già prima della concezione, ma anche un’ anima in questo corpo e in una parola l’ animale stesso, e che, per mezzo della concezione, esso è stato solamente disposto ad una grande trasformazione per divenire un animale di un’ al- tra specie ». Questa dottrina fu respinta dagli ortodossi ed è oggi combattuta dal neo-tomismo, come contraria al dogma della spiritualità. Cfr. Tertulliano, De an., 9; Leib- nits, Monad., 74. Trance. Τ. Verzückung, Entzückung; I. Tranoe ; F. Trance, Eztase. Fenomeno psicologico, caratterizzato da una grande insensibilità per gli stimoli e uno stato di incoscienza © subcoscienzs rispetto agli avvenimenti esteriori ; la per- sonalità del soggetto è profondamente alterata, le sue funzioni automatiche in parte interrotte, e i suoi pensio possono essere concentrati in un determinato ordine di idee. Spesso però la parola trance è adoperata ad indicare gli stati di estasi, di letargia, di sonnambulismo ipnotico Cfr. Surbled, Spiriles et mediums, 1901; A. Vissni-Scozzi, La medianità, 1901. Transitivo. T. Transgredient; I. Transiont; F. Transi- tif. Dicesi forza o azione transitiva, per opposizione a immanente, quella che passa da un essere ad un altro; la forza o causalità immanente è invece quella che risiede e rimane nell’ essere. Dicesi anche transitiva, per oppo- sizione ad immutabile, un’ entità che consiste in una suc- cessione continua di stati; immutabile è invece 1’ entità che non comporta cangiamento. Nel meccanismo la forsa è concepita come transitiva, nel dinanismo come imma- nente. Nella dottrina della creazione e del demiurgo l’azione della divinità sul mondo è transitiva, mentre è immanente nel panteismo. La psiche, ’ io, la personalità sono concepite, nel sensismo e nell’ empirismo, come smo, sostansialità).. Transustanziazione.T. Transubstantiation; I. Transub- stantiation ; F. Transubstantiation. Dottrina teologica, for- mulata dall'abate Pascasio Radberto, e accettata poi dalla Chiesa. Essa consiste nell’ammettere che il pane e il vino nel Sacramento dell’altare, pur rimanendo gli stessi negli accidenti, sono però convertiti nella sostanza nel corpo e nel sangue di Gesù Cristo. Trascendentale. T. Transscendental; I. Transcenden- tal; F. Transcendental. Kant designa in questo modo una cognizione o sciensa, la quale non si occupa direttamente di oggetti, ma di una nostra maniera di conoscerli, in quanto essa deve essere possibile a priori; ossia si occupa della facoltà di conoscere a priori gli oggetti, ©, insiemo della validità dei suoi limiti e delle sue condizioni. Quindi trascendentale si oppone ad empirico, che è ciò che è do- vuto all'esperienza sensibile. La Critica della Ragion pura, ricercando tutti gli elementi a priori della conoscenza — 1188 — "TRA speculativa, stabilisce tutti i concetti ο i prinoipt trascen- dentali; tutto ciò che appartiene alla Critica costituisce dunque la filosofia trascendentale. Vi ha perciò una estetica trascendentale, che è la scienza dei principi del pensiero puro e della conoscenza razionale, onde consideriamo gli oggetti assolutamente a priori; un’analitica trascendentale, che è il sistema dei concetti © dei principi dell’ intendi- mento puro; una dialettica trascendentale, che cerca sco- prire l'apparenza dei giudizi trascendentali per evitare che essi ci ingannino. Nello stesso senso dicesi realismo trascendentale quello dell’ Hartmann, in quanto pur affer- mando l’idealità del mondo esterno in quanto tale, rico- nosce però alle forme dell’ intuizione e alle categorie del pensiero una validità anche nel dominio della realtà in sò stessa; idealismo trascendentale quello di H. Cohen, E. König ecc., che afferma l’immanenza del mondo esterno nella coscienza. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 262 segg.; Id., Proleg., $ 40; Schelling, Vom Ich als Princ. der Philosophie, 1795, p. 113 (v. trascendente). ‘Trascendentalismo. T. Transscendentalismus; I. Tran- scendentaliem ; F. Transcendentalisme. Nel suo senso più ge- nerale si oppone ad empirismo, e indica ogni sistema o indirizzo filosofico che fa appello alle capacità intuitive, supersensibili dello spirito. In un senso più ristretto de- signa l’indirizzo dei successori di Kant, che, eliminata ο trasformata la cosa in sò, unificato il soggetto ο l'oggetto della conoscenza, conferito un valore completo e non pu- ramente fenomenico ai concetti di assoluto ο di pensiero puro, affermarono la dipendenza del mondo dell’esperionza dall'attività della ragione; in tal modo è tolta la diffe- renza stabilita da Kant fra trascendentale e trascendente. Nel primitivo senso kantiano, che è il più limitato, il trascendentalismo è l'affermazione della possibilità della conoscenza a priori degli oggetti, e della costruzione dei concetti, che possono così essere applicati. — Nella filo- 75 — RANZOLI, Dizion. di scienze filosofiche. Tra — 1186 — sofia della religione per trascendentalismo s’ intende tal- volta ogni religione che ammette la trascendenza ontolo- gica © logica della divinità; altre volte indica l’ insieme dello dottrine, che considerano la sorgente delle verità religiose come un organo o un processo di apprensione trascendente le forme ordinarie, e chiamato visione mi- stica, estasi, intuizione, coscienza religiosa, ecc. — Dicesi trascendentalismo logico quell’ indiriszo, rappresentato dallo Spir, dal Windelband, dal Rickert, che partendo da una par- ticolare interpretazione delle concezioni kantiane, consi- dera la funzione logica come un quid che, oltrepassando l’esperienza, serve come criterio per apprezzarla. Cfr. Fro- thingham, Transcendontalism in New England, 1895; A. Levi, Il trascendentaliemo logico, « Cultura filosofica», luglio 1911. Trascendente. T. Transscendent ; I. Transcendent ; F. Transcendant. Si oppone ad immanente © designa ciò che non risiede nell’ essere, che sorte da un determinato soggetto, che supera determinati limiti. Nella gnoseolo- gia designa ciò che supera le nostre facoltà conoscitive, © semplicemente ciò che si eleva al disopra delle idee è credenze comuni. Kant applica questo termine a ogni co- noscenza, che noi crediamo poter ottenere senza il soc- corso dell’ esperienza, e che perciò è interamente chime- rica, « Chiameremo immanenti, egli dice, le proposizioni fondamentali il cui impiego rimane completamente nei limiti dell’esperienza possibile, trascendenti quelle che tali limiti sorpassano ». Gli scolastici dicevano trascendenti le nozioni universali, come l’unità e l'essere, che a’ ap- plicano a tutto e non sono propriamente dei generi. Cfr. Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 262; Prantl, Geschichte d. Logik, 1885, III, p. 8-9, 114, 245; A. Richi, Der philos. Kriticismus, 1887, t. Il, v. 2, p. 168 (v. tran- sitivo, trascendentale). Trasformismo. T. Tranaformalignetheorie ; I. Transfor- mism ; F. Tranaformieme. La dottrina secondo la quale le specie naturali non sono fisse, ma si sviluppurono grada- tamente attraverso il tompo, procedendo dalle forme più semplici verso quelle più complesse. Essa si oppone al- l’altra dottrina, fondata già da Linneo, che considera le specie come costanti 6 tante quante ne cred Dio fin dal principio. Intuita anche nell'antichità, la dottrina del trasformismo fu scientificamente esposta e difesa per la prima volta dal Lamarck, il quale attribuì ls graduale trasformazione delle specie alle condizioni esterne della vita, all’ abitudine e all’ uso e disuso degli organi. Più tardi il Geffroy ripiglieva il concetto lamarchiano della discendenza delle specie viventi da altre che le hanno precedute, attribuendo però la massima importanza al- l’azione dell’ ambiente; finchè Carlo Darwin poneva il concetto dell'evoluzione su basi ancor più solide, aggiun- gendo ai fattori di essa, già riconosciuti dal Lamarck e dal Gefîroy, la sopravvivenza del più adatto (elezione ο selezione naturale) necessaria conseguenza della rapida riproduzione degli organismi e della lotta per In vita. Fra i-moderni sostenitori del trasformismo alcuni, col Weis- mann, negano l'eredità dei caratteri acquisiti, esagerando V opera dell’ elesione naturale (noo-darwiniani) ; altri, con lo Spencer, attribuiscono la maggiore efficacis all’infinenza dell’ambiente ο agli effetti dell’ uso © disuso degli organi (neo-lamarokiani). Il trasformismo si distingue dal darwi- nismo, che è la stessa dottrina trasformistica quale fu intesa ed esposta dal Darwin, ο dall’ evolusioniemo, che è il trasformismo applicato a tutti i fenomeni naturali, inor- gonici, organici e superorganici. Cfr. R. Schmidt, D. dar- winsche Theorie, 1876; H. F. Osborn, From the Greeks to Darwin, 1894; Hendley, Problems of evolution, 1901 ; Th. Ri- bot, La peychol. anglaise contemp., 1875, p. 160-247; Delago ο Goldamit, Les théorier de l’érolution, 1910; E. Clodd, 1 pio- nieri dell'evoluzione, trad. it. 1909 (v. adattamento, conrergen- za, divergenza, credità, lotta, selezione, specie, variabilità, cco.). Tra-Trı — 1188 — Trasmissione. 1. Ucberlieferung, Foripfansung : I. Tran mission; F. Transmission. Nella biologia indica il passagyric dei caratteri degli ascendenti nei loro discendenti (eredità). Nella psico-fisiologia l’espressione conduzione ο trasmissione nervosa indica il fenomeno che si compie lungo il cilindro asso delle fibre nervose, per la loro attitudine di enbire delle particolari modificazioni in seguito ad uno stimolo, e di trasmetterle dal punto stimolato verso le estremità della fibra. Affinchè la trasmissione si possa compiere, è necessario che non sia avvenuta alcuna discontinuità ana- tomica lungo la fibra. La eccitazione di una fibra nervosa non si comunica alle vicine, sia la fibra stimolata di senso © di moto: ciò costituisce la legge della trasmissione isolata (G. Müller); se non esistesse questa legge, non sarebbe possibile nè di provocare la contrazione di alenni deter- minati muscoli soltanto, nè di localizzare le sensazioni. Le fibre che servono ai vari sensi, se stimolate, dànno sensazioni ad essi relative; le fibre motrici dànno sensa- zioni muscolari e seoretorie. Cfr. J. Müller, Handb. d. Physiol., 1885; Setschenow, Pfliiger’s Arch., 1881, XXV (v. eccitazione, fibra). Traumatopio. Strumento che serve a dimostrare le proprietà delle imagini consecutive negative. Con esso si fanno vedere a brevissimi intervalli delle figuro umane o animali, nelle posizioni successive di un dato movi- mento, e, in conseguenza, sembra di vedere realmente una persona che eseguisca quel movimento. Tricotomia. T. Dreitheilung; I. Trichotomy ; F. Tricko- tomie. La divisiono logica i cui membri dividenti sono in numero di tre. Di questi membri dividenti due sono ge- neralmente opposti, uno intermedio; ad es. : i sentimenti umani sono egoistici, altruistici ο egoaltruistici. Per tale ragione alcuni preferiscono la tricotomia alla dicotomia, nella quale i membri dividenti costituiscono una perfetta contrarietà, che le dà simmetria ed csattezra logira, ms Tro la ronde in molti casi inapplicabile. — Dicesi anche tricotomia Vantica dottrina, contenuta in germe nel Nuovo Testa- mento ancora sostenuta da slouni teologi tedeschi, se- condo la quale la natura dell’uomo si distingue in corpo (soma), anima (psyche), e spirito (pneuma). Cfr. J. B. Heard, The tripartite nature of man, 1870; Masci, Logica, 1889, p. 304 segg. (v. divisione, diootomica). Tropo. Dal greco τρόπος — attitudine, indole, modo di pensare. Nella retorica è una figura per cui ad una pa- rola si dà un significato diverso dal suo proprio; nella storia della filosofia designa gli argomenti o motivi di dubbio, adoperati dagli scettici contro i dogmatici. Per Pirrone tali argomenti erano dieci, ma si risolvevano poi tutti nell’unico comune argomento delle illusioni dei sensi. Per Agrippa, invece, erano cinque, e in essi trovasi rias- sunto in forma precisa tutto quanto lo scetticismo aveva prodotto di essenziale in pareochi secoli di speculazione. Il primo tropo di Agrippa è la contraddizione: non essen- dovi alcun principio che non sia stato negato, appenn il dogmatico pronunoierà un giudizio si potrà opporgliene uno opposto. Egli cercherà allora di dedurre il proprio principio ds uno più generale, ma anche a questo si po- trà fare la stessa obbiezione; ne cercherà un altro più generale, poi un altro ancora, © così via vis senza poter vincere l’obbiezione. Egli cadrà dunque nel secondo tropo, il progresso all'infinito. Ma può darsi ch'egli creda d’es- sere arrivato a cogliere un principio che non ha bisogno a appoggiarsi eu altri, che è evidente per sò stesso; ma in tal caso gli si risponde, che è evidente ciò che pare vero ad uno spirito, mentre agli altri può parer faluo : è il terzo tropo della relativita. Se egli obbietta che il sno principio non ha prove, cade nel quarto che è l'ipotesi, © se vuol tentare la dimostrazione cade nel quinto che è il diallelo, poichè la dimostrazione presuppone il valore della ragione, che pretendo dimostrare. Cfr. Sesto Empi- Tur — 1190 — rico, Pyrr. Hyp., I, 38 segg., 164 segg., II, 194 segg.; Id.. Adv. Math., VIII, 316 segg. (v. epoca, dicotomia, isostenia). Tutto. Gr. Τὸ ὅλον; Lat. Totum; T. Ganze; I. Whole: F. Tout. Per Cristiano Wolff, unum, quod idem est cum mul- tie, dicitur totum. Il Rosmini lo definisce pure come il com- plesso di quelle cose che insieme formano uno. Come I’ uno è correlutivo del molteplice, così il tutto è correlativo della parte. Perd tra il concetto di tutto e il concetto di uno, vi ha la differenza che questo, in quanto è applicato a molte entità, ha in 8 la relazione per la quale un'entità esclude le altre, mentre quello ha in sè la relazione di abbracciare le parti, che compongono la medesima entità e di negare che ce ne siano altre, che concorrano a com- porla. Ad ogni modo il tutto si può predicare dell’ uno © di ogni uno si può predicare il tatto, cosicchè le due proposizioni « ogni tutto è uno » e «ogni uno è tutto» sono dialetticamente convertibili. Furono distinte tre spe- cie di tutto: il totum ante partes (BAov πρὸ τῶν μερῶν), che è quello senza parti, o quello che la mente conce- pisco con un solo atto senza guardare allo parti; il totum ex partibus (ὅλον dx τῶν μερῶν), che è quello che si ri- guarda come un composto di parti; e il totum in partibus (Άλον ἓν τοῖς µέρεσι), che è l'uno possibile considerato nelle parti, il tutto riguardato nel complesso delle parti como esistente nella sus materia, Si dice poi tutto fisico quello che è costituito di parti congiunte in modo da fo mare una sola natura, come il composto di materia e di forma; tutto metafisico ciò che è composto di genere e di differenza, di comune ο di proprio; tutto matematico ciò che è composto di parti juzta positae; tutto sillogiatico quella specie di tutto che risulta dal legame che hanno fra loro due cose affermate, l'una delle quali trae seco l'esistenza dell'altra; tutto logico una nozione universale, ad esempio il genere, che nel suo seno contiene virtaal- mente altre nozioni meno estese, come le specie. Nel lin- — 1191 — Tuz-Upr guaggio della scolastica il totum per so è quello che consta di parti ordinate a costituirne l'essenza; il totum per ao- cidens ciò che consta di più enti in atto 0 completi, ad es. un mucchio di grano; totum essentiale ciò che risulta da parti costituenti fisicamente e metafisicamente la sua quid- „dit, ad es. l’uomo che consta fisicamente di corpo ο d’ anima, metafisicamente di animale e razionale; totum perfeotibile è detto il genere perchè della cosa esprime il materiale © il più comune, totum perfootivum la differenza, che esprime il formale della cosa, © totum perfeotum la spécie perchè esprime il formale ο il materiale della cosa. Cfr. Platone, Teoteto, 204 E; Aristotele, Metaph., V, 26, 1023 %, 26; C. Wolff, Philos. prima sive ontologia, 1786, $ 341; Rosmini, Logica, 1853, $ 571 segg. (v. molteplicità, unità). Tusiorismo (tutior = più sicuro). Il Rosmini chiama così la dottrina morale - che egli considera come la prima forma sotto cui si mostra l'agire etico nella storia del- l'umanità -- secondo la quale, quando I’ individuo trovasi dubbioso sulla determinazione da prendere, deve scegliere sempre la via più sicura. Essa si compendia tutta nel priucipio: in dubio tutor pare eat eligenda. Cfr. Rosmini, Storia comparativa ο oritica dei sistemi intorno alla morale, 1897. Uditive (sensazioni). "I. Hörempfindungen; I. Hearing sensations ; F. Sensations auditives. Hanno per organo l’orec- chio, per stimolo le vibrazioni dell’aria rispondenti alle vibrazioni di un corpo, per contenuto il suono, che è dato da una serie di vibrazioni regolari © periodiche, ο il ru- more, che corrisponde a vibrazioni irregolari. Le vibrazioni sono raccolte dal padiglione dell’ orecchio, trasmesse alla membrana del timpatio, comunicate da questa agli ossi- cini dell’orecchio medio, che alla lor volta le trasmettono alla perilinfa © all’ endolinfa dell’ orecchio interno, ove Usu — 1192 — sono raccolte dalle terminasioni dei nervi nonstici. Per produrre una sensazione uditiva le onde sonore devono succedersi almeno colla frequenza di 15-40 per secondo © non oltrepassare la frequenza di 16,000-41,000. L’altessa del suono dipende dal numero delle vibrazioni in un mi- nuto secondo; l'intensità dall’ ampiezza dell’ onda di vi- brazione; il timbro o metallo delle note dalle differenze qualitative fra una medesima nota; la consonanza si ha quando le onde di due suoni si combinano in modo da produrre un suono formato da onde più ampio ma tutte uniformi. La direrione del suono viene argomentata dal- Pindividuo in base alla differenza fra le sensazioni perce- pite per meszo dell’ uno e quelle percepito per mezzo del- l’altro orecchio, e in base alla differenza fra l'intensità delle sensazioni percepite dallo stesso orecchio, mentre osso si trova in questa ο quella posizione. Cfr. J. K. Kreibig, Die funf Sinne des Menschen, 1907, p. 51 segg.; Helmholtz, Die Lehre von don Tonempfindungen, 5 ed. 1896; F. Besold, Die Funktionsprüfung des Ohres, 1897; C. Stumpf, Ton- psychologie, 1890; Bain, Mental soienoe, 1884, p. 51 segg.; P. Bonnier, L’ Audition, 1901 (v. aousma, biauricolare, tim- pano, potere risolutivo). Uguaglianza. T. Gleicheit, Gleichung; I. Equality: F. Egalité. Dicesi uguaglianza logios di due proposizioni © classi il loro reciproco implicarsi o contenersi, di due concetti l'avere la medesima estensione. — Uguaglianza politica è il principio in base al quale i diritti politici, i gradi ο le dignità pubbliche sppartengono a tutti i eit- tadini senza distinzione di classe o di fortuna; uguaglianza giuridica il principio in baso al quale lo prescrizioni, le proibizioni 9 le pene logali sono identiche per tutti i cit- tadini senza eccezione di nascita, di situazione ο di for- tuna; l'una e l’altra specie di uguaglianza αἱ anol dire formale, per contrapposto alla reale ο materiale, che inter- cede tra due ο più uomini che hanno identica la fortuns, — 1193 — Uau l'intelligenza, la cultura, la salute, ecc. Il liberalismo, nella sua forma pura, consiste nel respingere l’ uguaglianza materiale, che non si realizza in alcuna società, e assu- mere come regola la realizzazione dell'uguaglianza for- male. « Spesso esiste un grande intervallo, dice il Con- dorcet, tra i diritti che la legge riconosce ai cittadini e i diritti di cui essi hanno il reale godimento, tra l’ ugua- gliansa stabilita dalle istituzioni politiche e quella che esiste tra gli individui. Queste differenze di stato hanno tre cause principali: l’ inuguaglianza della ricchezza, l’ inu- guaglianza di stato tra quello i cui mezzi di sussistenza, assicurati da lui stesso, si trasmettono alla sua famiglia, e quello per cui tali mezzi sono dipendenti dalla durata della sua vita, o piuttosto dalla parte della sua vita nella quale è capace di lavoro; infine } inuguaglianza di istru- zione.... Queste tre specie di inugnaglianza reale possono diminuiro continuamente senza tuttavia annullarsi, poichè hanno delle cause naturali e necessarie, che sarebbe as- surdo e pericoloso voler distruggere ; non si potrebbe nem- meno tentare di farne sparire interamente gli effetti, senza aprire delle sorgenti di disuguaglianze più fecondo, senza portare ai diritti degli uomini dei colpi più diretti e più fu- nesti ». — Nella matematica si chiama uguaglianza l’espres- sione algoritmica, numerica o letterale, la quale consta di due membri separati tra di loro dal segno = (uguale); noll’uno dei due membri il valore è il risultato delle ope- razioni eseguite nell'altro; ad es.: b + 2 — 8; a (b + d) = ab + a d. — Nella meccanica due forze si dicono uguali, quando con una stessa forza si può fare equilibrio all’ una © all'altra. — Nella geometria, due figure si dicono nguali quando sono costituito di parti rispettivamente sovrappo- nibili; così due triangoli sono uguali, quando le parti, cioè gli angoli e i lati dell’ uno, sono rispettivamente sovrapponibili agli angoli e ai lati dell’ altro, sicchè, quando le due figure sono sovrapposte, ne formano iden- ULT-Uma — 1194 — ticamente una sola. Ciò però soltanto riguardo alle figure piane; poichè, quanto alle solide, può darsi che siano costituite di parti sovrapponibili, se prose separatamente, ma non sovrapponibili se prese tutte insieme, a causa della loro diversa distribuzione; ad es. le due mani del- l’uomo sono costituite di parti perfettamente uguali, ma poichè queste sono diversamente distribuite, esse mani non sono sovrapponibili. In tal caso P uguaglianza delle figuro vien detta uguaglianza di simmetria, e le figure son dotte figure simmetriche. Se poi si hanno due figure iden- tiche per le loro misure, ma non per la forma, esse si dicono equivalenti; nel caso inverso si dicono simili. Cfr. Rousseau, L'origine de l'inégalité parmi les hommes, 1750; Condorcet, Progr. de l'esprit humain, 1804 (v. equazione, identità, geometria, simile). Ultimo. T. Letste, End-; I. Ultimate; F. Dernier, ultime, final. Ciò oltre di cui non si pnd andare: fine ultimo è quello che non è alla sua volta mezzo di un altro fine: la ragione ultima quella che non abbisogna di un’altra ragione o spiegazione; speoie ultima (ultima ο infima species) quella che non è a sua volta genere rispetto ad altre spe- cie, ‘e non contiene che termini singolari (v. inconcepibile. inoonoscibile, supremo, primo). Umanismo. T. Humanismus; I. Humanism; F. Huma- nisme. Nel suo significato più generale 1’ smanismo è quel movimento degli spiriti col quale s’apre il Rinascimento, caratterizzato da uno sforzo per rialzare la dignità dello spirito umano e metterlo in valore, ricollegando, sopra il medioevo e la scolastica, la cultura moderna all’ antiea: esso giunge circa fino al 1600 e abbraccia la fine della tradizione medievale per opera dell’ellenismo puro. Il secondo periodo, il naturalismo, abbraccia i principi della nuova seienza della natura, liberi d’ogni schiavitù, e, al loro seguito, i grandi sistemi metafisici del secolo XVII. Però i due periodi, umanistico e naturalistico, costitui- — 1195 — Uma scono nel loro insieme un tutto solo; infatti il motivo interiore del movimento umanistico è la stessa aspirazione ad una conoscenza affatto nuova del mondo, che si rea- lizzd poi con lo sviluppo delle soienze naturali; ma il modo e le forme intellettuali come ciò avvenne, si presen- tano dipendenti dagli impulsi scaturiti dall’ accoglimento della filosofia greca. Il fermento essenziale del movimento umanistico fa il contrasto tra la filosofia medievale, già in dissoluzione, e le opere originali dei pensatori greci, che si cominciarono a conoscere col secolo XV. Da Bisanzio, attraverso Firenze ο Roma, sopraggiunge una nuova cor- rente di cultura, che fece deviare il cammino del pensiero occidentale; gli umanisti si ribellarono alle diverse inter- pretazioni mediovali della metafisica greca, alla deduzione autoritaria dei concetti presupposti, alla durezza inele- gante del latino monastico, e la loro opposizione ottenne una rapide vittoria con la meravigliosa restituzione del pensiero antico, con la fresce percezione di una genera- zione amante della vita, con la finezza ο lo spirito di un tempo ricco di cultura artistica. — Nel suo significato più ristretto, l’umanismo è quell’ indirizzo filosofico contem- poraneo, molto affine al prammatiemo, che fa capo a F. C. 8. Schiller, il quale gli diede appunto questo nome. Esso si riattacca, secondo lo Schiller, alla massima protagoren che l’uomo è la misura di tutte le cose, 6 ha questo tesi fondamentali: una proposizione è vera o falsa a seconda che le sue conseguenze hanno o non hanno valore pratico, quindi la sua verità o falsità dipende dallo scopo a cui si tende; tutta la vita mentale suppone degli scopi; questi scopi, non potendo essere, per noi, che quelli dell’essore che noi siamo, ne segue che ogni conoscenza è subor nata in ultimo alla nature umana e ai suoi bisogni fon- damentali. Per tal modo « l’umanismo è puramente il rendersi conto che il problema filosofico rignarda degli esseri umani aforzantisi di comprendere un mondo d’espe- Uma — 1196 — rienza umana coi meszi della coscienza umana ». L’uma- nismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per il Le Danteo la scienza è una serie di constatazioni fatte sulla soala umana; le ipotesi non hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un'ipotesi si giudicherà dalla sus fecondità >; la logica «fa parte del meccanismo umano allo stesso titolo delle braccia o delle gambe »; «luomo non conosce che dei rapporti di cos con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli elementi della de- sorizione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano concepisce l’umanismo come «un sistema autro- pocentrico del sapere filosofico, sul fondamento d’una teoria delle attività, delle renzioni ο dei prodotti dello spirito, studiato nella sua realtà di fatto, immediata ο storica », il quale sistema deve culminare in «uns con- cozione del mondo, quale appunto I’ uomo, conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione di tutto il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso per- ciò assume l’uomo come materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno, coscienza conoscitrice © valatatrice, nd pretende identificare spirito e natura, ud toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osse i diritti dello spirito; e, nell’ interno dello stesso or- ganismo psichico, non intende ridurre le esigenze dol pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il mo- vimento umanistico contemporaneo è certo una manife- stazione caratteristion del pensiero filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî della vita in- tellettuale ο della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente, immediata ο storica, come centro teoretico e ap- prezzativo del mondo; esso supera ad un tempo il pan- teismo trascendente ο il solipsismo gnoseologico, cercando nella consenziente soggettività degli spiriti il tratto @’ unione dell’individualismo e dell’ univerealismo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissanoo in Italion, 4° od. — 1197 — Uma-Umo 1886, trad. it. Valbuss, 1899; Mar. Carrière, Die phi- losophische Woltanschauung der Reformationszeit, 2° ed. 1887 ; F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del quattrocento, 1885; F. C. Β. Schiller, Humaniem, philosophioal essays, 1908 ; Id., Studies in Humanism, 1907; F. Le Danteo, Les lois naturelles, Introd. p. x; P. R. Troiano, Le basi dell’uma- nesimo, 1906; G. M. Ferrari, L’umanesimo filosofico, « Riv.- di fil. », novembre 1913 (v. pragmatismo). Umanità. T. Humanität, Menscheit, Menschlichkeit; I. Hu- manity, Mankind; F. Humanité, Oggettivamente indica quella vasta famiglia, moralmente unita, nella quale entrano tutti gli uomini per la loro comune natura; soggettivamente designa quell’ insieme di caratteri spirituali, cho distin- guono la stessa natura umana, elevandola sopra ogni altra categoria di esseri, compresi i bruti. In questo secondo senso, l’umanità è concepita sotto due aspetti diversi nella società greco-romana ο nella cristiana: in quella 1’ Άνπια- nitas è riguardata specialmente nelle sue facoltà intellet- tuali ed artistiche, in questa nelle sue doti morali, nella carità, nella benevolenza e nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo fa adoperato da Augusto Comte, per il quale l'umanità è sia l'essere collettivo costituito dal- P insieme degli uomini, sia l'insieme dei caratteri costi- tuenti «l’ascensione crescente della nostra umanità sulla nostra animalità, per la doppia supremazia dell’ intelligenza sulle tendenze e dell’ istinto simpatico sull’istinto perso- nale >; in un terzo senso, più ristretto, l’umanità è per il Comte soltanto 1 insieme degli uomini che hanno eff- cacemente contribuito allo sviluppo normale delle qualità proprinmente umane, e in questo senso egli chiama 1’ uma- nità il Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de philoso- phie positive, 1839, lez. 59; Lévy-Bruhl, La philon. d'A. Comte, p. 389-391 (v. cosmopolitismo, solidarietà). Umorismo. T. Humoriemus; I. Humorism ; F. Humori- ame. È una forma del sentimento del comico, dal quale Umo — 1198 — però si distingue sia per un grado maggiore di finezza e @ intellettualita, sia per la mancanza d’ogni elemento dispregiativo. Secondo 1’ Hòffding esso è «il sentimento del ridicolo avente per base la simpatia »; può svilup parsi fino a diventare un modo di comprendere la vita, una disposizione fondamentale a considerare con simpatia tutto ciò che vive e a confidare nelle forze che trionfano nella natura e nella storia: « La concezione umoristica della vita s'è adattata all’esperienza, la quale ο insegna che anche il grande ο il sublime hanno i loro limiti, il loro aspetto finito, e se essa ride di ciò che v ha di pic- colo e di ristretto, non dimentica che è la forma d’un contenuto, che ha il suo valore. Essa #’ è adattata ai miti della grandezza come all’ imperfezione della folicità e sa per esperienza che, sotto apparenze piccole e me- schine, può nascondersi un gran tesoro ». Per il Masci l umorismo è la forma superiore della comicità, « con esso la comicità diventa abituale, e si estende ad una parte maggiore o minore della realtà »; esso è ingenuo o consapevole, gaio o triste, e va dalla forma che è schietta comicità a quella che è una forma filosofica del dolore umano, che è riflessione comica sulla realtà in generale; se è alleato col sentimento di simpatia, se trova ancora del buono nelle cose, |’ umorismo è benevolo; se invece la simpatia è spenta e la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione dello spirito che nega, l’ irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il Momigliano 1’ umorismo sta fra Y ironia pura e la satira, non avendo πὸ il carattere scher- zoso della prima, nd lo scopo correttivo della seconda; egli ne distingue varie forme, la sentensiosa, ad cs. quella del Manzoni; la drammatica, nd es. quella del Dikens; V umorismo che consiste tutto nell’ avvicinar U’ insignificante al grave, ad os. quello del Pulct; 1’ umorismo ottimistioo, che non contrappone il male al bene, ma il bene al male; quello indulgente, che rileva un difetto ridendo; quello — 1199 — melanoonicamente rassegnato, nel quale la dolorosa vu del male è bensì mitigata dal sapere che esso è inevita- bile, ma è mista con un mite rimprovero alla sorte degli uomini ; l’ umorismo pessimistico 0 tragico, che esagera il compiacimento con cui si rileva il male proprio ο quello sparso nel mondo; il serio, che non è che un sorriso di dolore, la voluttà triste ma tranquilla che 1’ umorista prova nel profondarsi lentamente nella malinconia, e00.; egli compendin queste forme definendolo « quella forma di comicità, in cni si rileva inaspettatamente, senz’ alcuno scopo correttivo e con un compiacimento più o meno vi- sibile, un difetto o un contrasto, fondendo elementi seri con elementi scherzosi, oppure mescolando il compi mento colla simpatia © colla rassegnazione, oppure rive- lando I’ abitudine di considerare il corso generale delle cose con una penetrazione superiore 9 con un senso filo- sofico della vita». Cfr. Lotse, Geschichte d. Aesthetik in Deutschland, 1868, p. 375-377; Höffding, Peychologie, trad. franc. 1900, p. 390 segg.; Baldensperger, Les definitions . de l'humour, in Études d’hist. littéraire, 1907, p. 175-222; Masci, Psicologia del comico, 1889; A. Momigliano, L’ori-! gino del comico, « Cultura filos. », sett. 1909; Pirandello, L’ umorismo, 1908 (v. comico, ironia). Unicità. La qualità di ciò che è unico; si distingue dalla unità, che è la qualità di ciò che è uno. Così il mo- noteismo à la dottrina dell’ unicità di Dio, l’enoteismo In dottrina dell’ unità di Dio. Uniformitä. T. Einförmigkeit, Gleichförmigkeit; I. Uni- Sormity; F. Uniformité. Può essere statica e dinami „prima consiste nel fatto che due o più individui d’ una classe posseggono caratteri essenziali identici, la soconda nel riprodursi degli stessi fatti col riprodursi delle stesse condizioni. La prima specie di uniformità dà il tipo delle scienze staticho, la seconda la legge delle dinamiche. Nel postulato della uniformità della natura sono comprese en- Unt — 1200 — trambe le specie, ma più precisamente la seconda; poichè è su questa che è fondata la costruzione induttiva delle leggi e la loro applicazione deduttiva alla esplicazione dei singoli fatti. Nella stessa vita pratica, ogni nostra azione in vista di un fine, in quanto è conformata all’ esperienza precedente, presuppone come condizione necessaria l’uni- formità statica ο dinamica, ossia di coesistenza © di se- quenza, dei fenomeni naturali, Unità. T. Zinhoit; I. Unity; F. Unité. È la qualità di ciò che è uno, montre I’ unicità è la qualità di ciò che è unico. Quindi l’unità non esclude, ma implica la molteplicità, della quale è concetto correlative © senza di cui sarebbe incon- copibile. Quanto all’ origine dell’ idea di unità, secondo alcuni filosofi è innate, secondo altri è un prodotto di esperienza sensibile, secondo altri risulta dall’ esperienza interna. Per il Fénélon essa è innata, in quanto non può derivare nò dal senso interno, nè dai sensi esterni, che ci presentano sempre dei composti © dei molteplici : « Io concepisco un esseré, che non cambia mai affatto di pen- siero, che pensa sempre tutte le cose insieme, ed in oui non si può trovare alcuna composizione 6 tanto meno suc- cessione. E senza dubbio questa idea della perfetta ο su- prema unità, che mi fa tanto cercare qualche unità negli spiriti ed ancora nei corpi. Questa idea incessantemente presente nel fondo di me stesso è nata con me; essa è il modello perfetto sul quale io cerco dappertutto qualche copia imperfetta dell’ unità, Questa idea di ciò che è uno, somplice ed indivisibile per eocellenza, non può esser al- tro che l’iden di Dio ». Per Spinoza l’ unità non è una proprietà delle cose, ma ciò che è compreso in uu atto men- tale: Unitaten.... onti nihil addere; sed tantum modum cogi- tandi esse, quo rem ab aliis separamus, quae ipti similes sunt, rel oum ipsa aliquo modo conveniunt. Invece per il Leibnitz essa è una proprietà oggettiva, tantoohd ce qui n'est pas ré- ritablement un ostre, n'est pas non plus véritabloment um estre. — 1201 — UNI Per C. Bonnet è una semplice idea, che l’anima si forma « considerando in ogni oggetto soltanto I’ esistenza ο fa- cendo astrazione da ogni composizione e da ogni attri- buto ». Per il Locke, « fra tutte le nostre idee, non ve n’ ha alcuna, che ci sis suggerita da un più gran numero di mezzi di quella di unità, sebbene non ve ne sia alcuna più semplice. Non v’ ha nessuna apparenza di varietà o di composizione, in questa idea: ed essa si trova unita a ciascun oggetto che colpisce i nostri sensi, a ciascuna ides che si presenta al nostro intendimento, ed a ciascun pen- siero del nostro spirito ». Per Berkeley l’ unità è una sem- plice astrazione, senza corrispondente obbiettivo; per Kant è « l’unità formale delle coscienza nella sintesi della molte- plicità delle rappresentazioni » © sorge dalla identità del- Vautocoscienza. Il Galluppi distingue tre specie d’anità, la sintetica, la metafisica ο la fisica. L'unità sintetica risultada una operazione del nostro pensiero, ed è perciò condizi nale; l’unità fisica è la stessa unità sintetiea che il nostro pensiero attribuisce agli oggetti corporei; l’una e l’altra de- rivano dall’ unità metafisica, che, essendo la stessa unità dell’ anima, è assoluta, invariabile, non risulta dalla con- giunzione di diversi elementi, non dipende da alcuna con- dizione: « Senza l’unità metafisica non è possibile 1’ unità sintetica del pensiero, ο senza 1’ unità sintetica del pen- siero non è possibile l’unità sintetica fisica ». Il Rosmi la definisce come quella qualità del soggetto, per la quale esso è indiviso in sè stesso, © diviso, ossin separato, da ogni altro; quando questa qualità si predica del soggetto, allora essa, prendendo la forma di predicato, dicesi uno. Per il Wundt il concetto di unità è puramente la funzione della concezione logica presa nel contenuto concettuale, ο da esso ba origine l’unità rappresentativa delle cose. Si distinguono varie specie di unità: quella «pirituale, vale a dire l’unità della coscienza, sia essa un’ unità sostanziale © puramente dinamica ed empirica; quella logica, che con- 76 — RanzoLI, Dirion. di scienze filosofiche. Um — 1202 — siste nell’ unificarsi del molteplice particolare nel generico astratto, assunto come tipo comune; quella numerica ο ma- tematica, che è una delimitazione nel tempo e nello spazio, © da cui originano le nozioni di numero e di grandezza; quella fisica ο materiale, risultante da un insieme di parti indivise formanti un tutto; quella trascendentale, che con- siste nella individualità degli elementi costitutivi di una cosa, ad es. l’uomo è uno sebbene abbia un’ anima ed un corpo organico. Gli scolastici chiamavano unitas per se quella che nasce da una essenza o natura, sia semplice o composta, come l’unità della natura divina o dell’ uomo; unitas per accidens quella che nasce da diverse nature, di ordine o predicamento diverso, come un mucchio di pietre; unitas materialis o individualis 1’ entità di ciascun individuo, in quanto esprime incomunicabilità e indivisione in più inferiori ; unitas formalis o essentialis quella della specie o del genere in quanto si distinguono rispettivamente da ogni altra specie o genere; unitas semplicitatis quella di un ente indivisibile in atto e in potenza, unitas compositionis quella invece di un ente che è uno numerioe ma è composto di parti distinte e potenzialmente divisibili; umitas rationia quella per cui, con un atto mentale, di più individui si fa una specie sola o di più generi un solo genere; unitas #0- Utudinte l'unicità in una data natura, ad es. l’unità divina. Cfr. Aristotele, Met., IIT, 8, 999 a, 2, V, 6, 1015 b, 16 segg.; Spinoza, Cogit. metaph., I, 5; Leibnitz, Philos. Sorhiften, ed. Gerhardt, II, 97; Wolff, Ontologia, 1736, $ 238 © 239; Bonnet, Essai de peychol., 1755, C 14; Berkeley, Princ., XII; Kant, Krit. d. reinen Vern., ed. Kehrbach, p. 119 segg.; Genovesi, Metaph. lat., parte I, cap. 5, def. 42; Galluppi, Lezioni di logica e metaf., 1854, vol. III, p. 1018 segg.; Wundt, Syst. der Phil., 1889, p. 227 (v. individuo, numero, quantità, tutto, uno). Universale. Lat. Universalis; T. Allgemein; I. Univer- tal; F. Unirersel, Che si estende a tutto l'universo, o ap- — 1208 — Uni partiene a tutti gli uomini, o non soffre alcuna eccezione; cost si dice, nel primo senso, causalità universale, nel 96- condo consenso universale, nel terzo le leggi di natura sono universali. Dicesi giudizio universale quello in cui il concetto che fa da soggetto è preso in tutta la sua estensione; la sua formula è: tutti gli A sono B, oppure, nessun 4 è B. I giu- dizi universali sono la formula del pensiero scientifico, per- chò esprimono i principî, le leggi ο le conoscenze univer- sali. Secondo alcuni logici anche i giudizi individuali sono universali, perchè anche in essi il concetto del soggetto à preso nella massima estensione : infatti, essendo il soggetto un individuo, cioò qualche cosa che è indiviso ο che si suppone tale, non può evidentemente esser preso in parte della sua estensione, Ma altri logici respingono codesta identificazione, opponendo che nel giudizio universale il concetto del soggetto non è preso come indivisibile, mn come un tutto diviso in parti, delle quali si predica quello stesso che si predica del tutto. Diconsi nozioni universali © principi universal i principi supremi della ragione, perchè essi sono veri non già per un determinato numero di casi ο per un determinato ordine di cose, ma per tutti i casi e tutte le cose senza eccezione alcuna. La loro universalità si rivela anche nella identità con cui si manifestano in tutte le intelligenze (v. generale, individuale, singolare). Universali (universalia). Le idee generali, che Aristotele aveva classificato in numero di cinque: genere, specie, diffe- renza, proprio, accidente. Considerati dal punto di vista della estensione, cioò dell’insieme delle cose individuali alle quali si applicano, si distinguono tra gli universali i generi e le specie; considerati dal punto di vista della comprensione, cioè dell’insieme dei caratteri ο delle qualità che designano, si distinguono la differenza, il proprio e 1’ accidente. Ari- stotele, che, al pari di Platone, ascriveva all’ universale un più alto valore conoscitivo che non all’ individuale, intendeva con esso ciò che appartiene ad una molteplicità Uni — 1204 — di cose, © che, quindi, non è una cosa in sè ma sussiste nelle cose; concettualmente e secondo l’ essenza, 1’ uni- versale è anteriore, quantunque sia posteriore per noi, per la nostra conoscenza. Platone invece aveva attribuito agli universali, alle Idee, un’ esistenza autonoma, indipendente dal ponsiero degli uomini. Il problema degli universali, che fu oggetto di tante discussioni nel periodo della scola- stica, riguardava appunto la questione, già proposta ma non risoluta da Porfirio, se gli universali hanno sussi- stenza propria o sono soltanto nel pensiero, Le scuole che sostenevano la primi ipotesi furono dette realiste, quelle che sostenevano la seconda concettualiste 0 nominaliste, a se- conde che consideravano gli universali come concetti 0 come puri nomi. Universalia ante rem dicevansi gli archetipi eterni in Dio; #. in reo a parte rei l'essenza delle cose moltiplicata negli individui; w. post rem il concetto della nostra mente che unifica le ragioni essenziali 0 quidditative e le predica dei singoli individui. Universale in obbligando ciò che è nno e obbliga molti, come la legge; w. in causando ciò che è uno ο cagiona molte cose; u. in signifioando © repraesentando quello che essendo uno significa o rappresenta molte cose, come il vocabolo uomo; u. in essendo © praedicando ciò che è uno ed è adatto ad esser molti e predicarsi di molti; u. physioum la natura reale esistente nei singoli individui, come la natura umana di Socrate; #. motephysioum la natura reale considerata nello stato di solitudine, cioè non consi- derate le condizioni individuanti, come la natura umana considerata senza la socraticità; u. logioum uno che è adatto ad essere inerente a molte cose, e a predicarsi di molti per Videntica ragione, ad es. la sostanza rispetto alla materia e allo spirito ; #. inoomplezum quello che è semplice ed esprime Vordine di molte cose, ad es. la virtù rispetto alla giustizia e alla temperanza; u. complerum una proposizione generale, postulato o assioma, da cui si possono dedurre più partico- lari. Cfr. Aristotele, De interpret., VII, 17 a, 39; Id., Met., VII, — 1205 — Uni 1018 b, 33; S. Tommaso, Sum. theol., I, qu. 79, art. 5; J. H. Löwe, Der Kampf zwischen Nominalismus und Rea- liemus in Mittelalter, 1876; Prantl, Gesch. d. Logik, 1855, vol. I, p. 682 (v. concettualismo, nominalismo, realismo, ter- minismo). Universalismo. T. Universaliemus; I. Universaliem; F. Universalisme. Nella morale si oppone a individualismo, ο indica ogni dottrina che considera la comunità, ad es. lo Stato o la Nazione, come l'oggetto dello sforzo morale. Nella religione è la dottrina della salvazione finale di tutti gli uomini, fondata sopra la bontà essenziale di Dio, lo scopo illimitato della redenzione di Cristo ο la perfettibi- lità della natura umana. Cfr. Thayer, Thool. of universa- Ἠσπε, 1873. Universo. T. Weltall; I. Universo; F. Univers. L'insieme di tutto ciò che esiste, la collezione di tutte le cose, coe- sistenti e successive, tra di loro connesse. Cristiano Wolff lo definisce series entium finitorum tam simultancorum, quam suocessicorum inter se connezorum. Quale sia poi la sua na- tura intima, se spirituale o materiale, unica 0 molteplice, statica o evolutiva, ecc. le risposte sono tante quanti i vari sistemi filosofici. Cfr. Cr. Wolff, Cosmologia generalis, 1737, $ 48. ‘Univoco. Parola introdotta nella logica da Boezio, seb- bene con significato alquanto diverso dal presente. Univoro si oppone ad equivooo, e designa un attributo che può essere applicato a più soggetti nel medesimo significato, mentre è equivoco quando può essere applicato in più significati allo stesso soggetto. Si dicono quindi univoche le coso che hanno comune il vocabolo ο l'essenza, equivoche quelle che hanno comune il vocabolo ma non l'essenza. Gli scu- lastici, oltre le unirooa ed aequivoca, distinguono anche le analoga, ossia le cose ad una delle quali conviene un pre- dicato propriamente, ad un’altra impropriamente, come uomo vivo © nomo dipinto; queste si dicono anche ana- Uma — 1196 — rienza umana coi mezzi della coscienza umana >. L’uma- nismo, diffondendosi, ha assunto forme diverse. Per il Le Danteo la scienza è una serio di constatazioni fatte sulla soala umana; le ipotesi non hanno altro scopo che « preparare delle esperienze utili: un’ ipotesi si giudicherà dalla sua fecondità »; la logica «fa parte del meccanismo umano allo stesso titolo delle braccia ο delle gambe >; « l’uomo non conosce che dei rapporti di oose con l’uomo; ciò che noi chiamiamo le cose, sono gli elementi della de- ecrisione umana del mondo ». Con maggior larghezza, il Troiano concepisce l’umanismo come «un sistema antro- pocentrico del sapere filosofico, sul fondamento d’ una teoria delle attivitä, delle reazioni ο dei prodotti dello spirito, studiato nella sus realtà di fatto, immediata e storica >, il quale sistema deve culminare in « una con- cezione del mondo, quale appunto l’uomo, conscio della sua centralità teoretica e apprezzativa, in connessione di tutto il sno sapere, può oriticamente formarsi »; esso per- ciò assume l’ uomo come materia e spirito nel tempo stesso, come sensibilità, istinto, bisogno, coscienza conoscitrice © valutatrice, nd pretende identificare spirito © natura, nd toglie valore alle esigenze corporee, nd sacrifica ad osso i diritti dello spirito; e, nell’ interno dello stesso or- ganismo psichico, non intende ridurre le esigenze del pensiero a quelle della vita morale, nd viceversa. Il ıno- vimento umanistico contemporaneo è certo una manife- stazione caratteristica del pensiero filosofico, uno sforzo di costituire una teoria dei primi principî della vita in- tellettuale © della vita morale, assumendo l’uomo, realtà vivente, inmediata e storica, come centro teoretico © ap- prezzativo del mondo; esso supera ad un tempo il pan- teismo trascendente e il solipsismo gnoseologico, cercando nella consenziente soggettività degli spiriti il tratto d’unione dell’ individualismo ο dell’ universaliamo. Cfr. J. Burckhardt, Die Kultur der Renaissance in Italien, 4° ed. — 1197 — Uma-Umo 1886, trad. it. Valbusa, 1899; Mar. Carrière, Dio phi- losophische Weltanechauung der Reformationeseit, 2* ed. 1887 ; F. Fiorentino, Il risorgimento filosofico del quattrocento, 1885; F. C. 8. Schiller, Humanism, philosophical essays, 1908; Id., Studies in Humaniem, 1907; F. Le Danteo, Les lois naturelles, Introd. p. x; P. R. Troiano, Le basi dell’uma- nesimo, 1906; G. M. Ferrari, L’umanesimo filosofico, « Riv. di fil. », novembre 1918 (v. pragmatismo). Umanità. T. Humanität, Menscheit, Menschlichkeit; I. Hu- manity, Mankind; F. Humanité, Oggettivamente indica quella vasta famiglia, moralmente unita, nella quale entrano tutti gli nomini per la loro comune natura; soggettivamente designa quell'insieme di caratteri spirituali, che distin- guono la stessa natura umana, elevandola sopra ogni altra categoria di esseri, compresi i bruti. In questo secondo senso, l’ umanità è concepita sotto due aspetti diversi nella società greco-romana e nella cristiana: in quella l’Auma- nitas è riguardata specialmente nelle suo facoltà intellet- tuali ed artistiche, in questa nelle sue doti morali, nella carità, nella benevolenza e nel perdono. In entrambi i sensi il vocabolo fu adoperato da Augusto Comte, per il quale l'umanità è sia |’ essere collettivo costituito dal- l'insieme degli uomini, sia l’insieme dei caratteri costi- tuenti « l’ascensione crescente della nostra umanità sulla nostra animalità, per la doppia supremazia dell’ intelligenza sulle tendenze e dell’ istinto simpatico sull’istinto perso nale >; in un terzo senso, più ristretto, l’umanità è per il Comte soltanto l'insieme degli uomini che hanno effi- cacemente contribulto allo sviluppo normale delle qualità propriamente umane, e in questo senso egli chiama I’ uma- nità il Grand’ Essere. Cfr. A. Comte, Cours de philoso- phie positive, 1839, lez. 59; Lévy-Brahl, La philon. d'A. Comte, p. 389-391 (v. cosmopolitiemo, solidarietà). Umorismo. T. Humorismus; I. Humorism ; F. Humori- smo. E una forma del sentimento del comico, dal quale Umo — 1198 — però si distingue sia per un grado maggiore di finezza ο d’ intellettualità, sia per la mancanza d’ogni elemento dispregiativo. Secondo 1’ Hüffding esso è «il sentimento del ridicolo avente per base la simpatia »; può svilup- parsi fino a diventare un modo di comprendere la vita, una disposizione fondamentale a considerare con simpatia tutto ciò che vive e a confidare nelle forze che trionfano nella natura e nella storia: « La concezione umoristica della vita s'è adattata all'esperienza, la quale ο) insegna che anche il grande © il sublime hanno i loro limiti, il loro aspetto finito, e se essa ride di ciò che v’ ha di pic- colo e di ristretto, non dimentica che è la forma d’un contenuto, che ha il suo valore. Essa s’ è adattata ai li- miti della grandezza come all’ imperfezione della felicità © sa per esperienza che, sotto apparenze piccole e me- schine, può nascondersi un gran tesoro ». Per il Masci l umorismo è la forma superiore della comicità, « con esso la comicità diventa abituale, e si estende ad una parte maggiore o minore della realtà »; esso è ingenuo © consapevole, gaio ο triste, © va dalla forma che è schietta comicità a quella che è una forma filosofica del dolore umano, che è riflessione comica sulla realtà in generale; se è alleato col sentimento di simpatia, se trova ancora del buono nelle cose, l'umorismo è benevolo; se invece la simpatia è spenta e la condanna è assoluta, 1’ umore è l’espressione dello spirito che nega, l’ irrisione tragica dell’ esistenza. Secondo il Momigliano I’ umorismo sta fra Y’ ironia pura ο la satira, non avendo nd il carattere scher- zoso della prima, nè lo scopo correttivo della seconda; egli ne distingue varie forme, la sentenziosa, ad os, quella del Manzoni; la drammatica, ad es. quella del Dikons; PP umorismo che consiste tutto nel’ avvicinar U insignificante al grare, ad cs, quello del Pulci; 1’ umorismo ottimistico, che non contrappone il male al bene, ma il bene al male; quello indulgente, che rileva un difetto ridendo; quello — 1199 — Uni melanconicamento rassegnato, nel quale la dolorosa coscienza del male è bensì mitigata dal sapere che esso è inevita- bile, ma è mista con un mite rimprovero alla sorte degli nomini; 1’ umorismo pessimistico 0 tragico, che esagera il compiacimento con cui si rileva il male proprio o quello sparso nel mondo; il serio, che non è che un sorriso di dolore, la voluttà triste ma tranquilla che 1’ umorista prova nel profondarsi lentamente nella malinconia, eco.; egli compendia queste forme definendolo « quella forma di comicità, in cui si rileva inaspettatamente, senz’ alcuno scopo correttivo e con un compiacimento più o meno vi- sibile, un difetto o un contrasto, fondendo elementi seri con elementi scherzosi, oppure mescolando il compiaci- mento colla simpatia e colla rassegnazione, oppure rive- lando 1’ abitudine di considerare il corso generale delle cose con una penetrazione superiore e con un senso filo- sofico della vita». Cfr. Lotze, Geschiohte d. Aesthetik in Deutschland, 1868, p. 875-377; Höffding, Psychologie, trad. frane. 1900, p. 390 segg.; Baldensperger, Les definitions de l'humour, in Etudes d’hist, littéraire, 1907, p. 175-222; © Masci, Psicologia del comico, 1889; A. Momigliano, 1 ori- gino del comico, « Cultura filos. », sett. 1909; Pirandello, 1) umorismo, 1908 (v. comico, ironia). Unicità. La qualità di ciò che è unico; ai distingne dalla unità, che è la qualità di ciò che è uno, Con il mo- noteismo à la dottrina dell’ unicità di Dio, P enoteiamo la dottrina dell’ unità di Dio. Uniformita. T. Einförmigkeit, Gleichförmigkeit; I. Uni- Jormity: F. Uniformite. Può essere station ο dinamica: In prima consiste nel fatto che due ο più individui d’nna ‘elasse posseggono caratteri essenziali identici, la soconda nel riprodursi degli stessi fatti col riprodursi delle stesso condizioni. La prima specie di uniformità dà il tipo delle scienze statiche, la seconda la legge delle dinamiche. Nel postulato della uniformità della natura sono compreso en- Uni — 1200 — trambe le specie, ma più precissmente la seconda ; poichè è su questa che è fondata la costruzione induttiva delle leggi e la loro applicazione deduttiva alla esplicazione dei singoli fatti. Nella stessa vita pratica, ogni nostra azione in vista di un fine, in quanto è conformata all’ esperienza precedente, presuppone come condizione necessaria l’uni- formità statica ο dinamica, ossia di coesistenza ο di se- quenza, dei fenomeni naturali. Unità. T. Einkeit; I. Unity; F. Unité, E la qualità di ciò che è uno, mentre l’unioità è la qualità di ciò che è unico. Quindi l’unità non esclude, ma implica la molteplicità, della quale è concetto correlative © senza di cui sarebbe incon- cepibile. Quanto all’ origine dell’ idea di unità, secondo alcuni filosofi è innata, secondo altri è un prodotto di esperienza sensibile, secondo altri risulta dall’ esperienza interna. Per il Fénélon essa è innata, in quanto non può derivare nd dal senso interno, nd dai sensi esterni, che ci presentano sempre dei composti ο dei molteplici: « Io concepisco un esseré, che non cambia mai affatto di pen- siero, che pensa sempre tutte le cose insieme, ed in cai non si può trovare alcuna composizione © tanto meno suc- cessione. E senza dubbio questa idea della perfetta © su- prema unità, che mi fa tanto cercare qualche unità negli spiriti ed ancora nei corpi. Questa idea incessantemente presente nel fondo di me stesso è nata con me; essa è il modello perfetto sul quale io cerco dappertutto qualche copia imperfetta dell’ unità. Questa idea di ciò che è uno, semplice ed indivisibile per eccellenza, non può esser al- tro che l’iden di Dio ». Per Spinoza l’unità non è una proprietà delle cose, ma oid che è compreso in un atto men- tale: Unitatem.... enti nihil addere; sed tantum modum cogi- tandi esse, quo rem ab aliis separamus, quae ipoi similes sunt, vel oum ipsa aliguo modo conteriunt. Invece per il Leibnitz essa è una proprietà oggettiva, tantochò ce gui n'est pas τό- ritablement un estre, n’est pas non plus véritablement un estre. — 1201 — Uni Per C. Bonnet è una semplice ides, che l’ anima si forma , 1912; F. Orestano, I valori umani, 1907; Ardigò, La nuova filosofia dei valori, « Riv. di filos. », 1907; F. Ma- sci, La filosofia dei ralori, « R. Ace. dei Lincei >, giugno 1913. VaR — 1216 — Variabile. T. Pariabel; I. Variable; F. Variable. Due quantità, z e y, sono dette variabili quando l’uns, poniamo #, è legata all’altra, , per modo che variando z varierà an- che y in modo perfettamente determinato, ma diverso a se- conda dei casi: perciò 2 à detta variabile indipendente, y ra- riabile correlativa. Questa proprietà si enuncia anche dicendo che y è una funcione di z, ο ai indica colla formula: y=-=S"(). Variabilità. T. Vordndorlichkoit; I. Variability; F. Fa- riabilité. L’ attitudine intrinseca che ha ogni organiamo di acquistare nuove proprietà nella sua forma e attività vi- tale, in seguito all’ influenza dei vari elementi del clima, dell’alimentazione, delle condizioni topografiche, del con- tatto e delle relazioni con gli altri organismi. Essa può concepirsi como la forza innovatrice antagonistica dell’ere- dita, che è la forza conservatrice dei caratteri ο tende a trasmetterli immutati. La variabilità può essere indiretta ο diretta. La variabilità indiretta ο potenziale consiste in cid, che certe variazioni dell'organismo che dipendono dalle condizioni esterne d’ esistenza, rimangono potenziali nel- l’individuo in questione, e si manifestano, cioè divengono attuali, soltanto nei discendenti; invece nella diretta le modificazioni si manifestano immedintamente nell’ indivi duo stesso, Cfr. De Rosa, La ridusione progressiva della va- riabilità, 1899 (v. darwinismo, trasformismo, ibridiemo, mo- nogenismo, ecc.). Variazionale (psicologia). T. Variationspeychologie; 1. Variational peycology; F. Psychologie rariationnelle. Tal- volta si chiama così quel ramo della psicologia che tratta delle variazioni mentali; tale denominazione ha il van- taggio di accogliere in un solo vocabolo le varie parti della psicologia tra loro affini, come la psicologia indivi- dualo, etnografica o dei popoli, eco. Tra i principali pro- blemi oggetto della psicologia variazionale sono da ricor- darsi: lo studio della psiche del delinquente, nei suoi tipi diversi e nelle suo correlazioni coi fattori antropologici, — 1217 — Var economici, sociali ; lo studio del genio ; lo studio statistico delle variazioni mentali in rapporto a quelle biologiche e sociologiche; lo studio delle origini delle variazioni e mo- dificazioni mediante l'eredità, l'educazione, 1’ ambiente fisico © sociale, ecc. Cfr. Stern, Ueber Psychol. d. indivi- duellen Differensen, 1900. ‘Variazioni concomitanti (metodo delle). I. Method of concomitant variations. Uno dei quattro metodi di ri- cerca induttiva proposti dallo Stuart Mill. Esso si fonda sul seguente canone logico: un fenomeno che varia in una data maniera tutte le volte che un altro fenomeno varia alla stessa maniera, è una causa ο un effetto di que- sto fenomeno, 0 è ad esso collegato da un qualche rap- porto di causalità. In altre parole, quando due fenomeni variano correlativamente in qualità o quantità, I’ uno è causa e I’ altro effetto. Questo metodo ripara alle imper- fezioni del metodo di concordanza e sostituisce quello di differenza nei casi in cui non è applicabile. Con esso si stabiliscono i rapporti tra le funzioni psichiche © le cere- brali, tra l’ambiente e la moralità, tra l’ascendere c il discendere del mercurio d’un termometro e la tempera- tura, ecc. La concomitanza può essere innersa, ad es. tra il volume dei gas e la pressione, e diretta, ad es. tra l'attrazione e le masse. Quando una larga esperienza con- ferma che le variazioni parallele non incontrano limiti, si può conchiudere, col metodo delle variazioni, oltre i li- miti della esperienza, © tale operazione dicesi passaggio al limite. Cfr, J. S. Mill, System oflogio, 6* ed. 1865, 1. III, cap. VII. Varietà. T. Varietàt; I. Variety; F. Variété. Nello scienze biologiche si designa con questo nome un insieme di individui, che presentano caratteri comuni e si distin- guono per tal modo da altri insieme di individui, aventi altri caratteri comuni. La varietà può essero permanente, © passeggera ed accidentale. Nel primo caso essa non si 77 — Ranzout, Dizion, di scienze filosofiche. Ver-Ver — 1218 — distingue dalla specie, per i seguaci del trasformiamo ; nel secondo caso è data dalla varietà determinata dall’ influenza dell’ ambiente, e dalla varietà teratologica. Per le scuole non trasformiste la varietà permanente non sarebbe che una varietà accidentale, fissatasi per eredità, mentre la specie sarebbe sempro esistita o almeno discenderebbe da ana prima coppia unica. Cfr. Darwin, Origin of species, 1883; Davenport, Statistical methods in biology, 1900 (v. rassa, specie, tipo, variabilità). Velocità. T. Schnelligkeit; I. Velocity; F. Velocità, vi- tesse. Nel movimento variato, la velocità, alla fine di un tempo dato, è la derivata dello spazio considerato come una funzione del tempo; invece nel movimento uniforme è lo spazio che il mobile percorre in un secondo, o che percorrerebbe se il movimento avesse questa durata. Di- così relooità dell'adattamento rifrattivo il tempo che l'occhio impiega per adattarsi alla visione degli oggetti vicini e lontani; secondo alcuni psico-fisiologi 1’ adattamento alla visione da vicino si compie più lentamente che l’adatta- mento a distanza, secondo altri non v'è differenza sen- sibile di velocità. Dicesi relocità media la velocità d’un movimento uniforme, che si dovrebbe sostituire al movi- mento reale d’un punto materiale, perchò lo spazio totale fosse percorso nello stesso tempo totale. Diconsi relocità virtuali gli spostamenti simultanci e infinitamente piccoli, che si possono attribuire ai differenti punti materiali com- ponenti un sistoma dato, senza alteraro i legami stabiliti tra questi differenti punti. Vera causa. L'espressione famosa del Newton, con la qualo il grande scienziato intendeva significare, che la causa assognata ad un fenomeno non deve solamente esser tale che, ammettendola, essa spiegherebbe i fenomeni, ma deve anche essere suscettibile di venir provata mediante altr ragioni. Sembra provato, del resto, che il Newton stesso non avesso wna idea precisa della massima onun- — 1219 — VRR ciata con queste parole, che egli stesso poi palesemente violò con la sua teoria ottica. Cfr. I. Newton, Naturalis philosophiae principia mat., 1687 (v. ipotesi). Veracità. T. Wahrhaftigkeit; I. Veracity; F. Péracité. La disposizione abituale d’ una persona a dire il vero; non va confusa con la verità, che è il carattere del giudizio. Per Leibnitz la veracità è la verità morale: la vérité morale est appelée veracité. Dicesi dottrina della reracità dirina quella con cui Cartesio, dopo aver provato l’esistenza del pensiero e di Dio, prova l’esistenza del mondo esteriore: delle idee che noi abbiamo, alcune le troviamo in noi, e sono innate, altre le produciamo noi, e sono fattizie, altre nd le troviamo nd lo produciamo, e sono arventizie: a queste appartengono lo rappresentazioni dei corpi, che talvolta succedono nostro malgrado, dunque noi non ne siamo causa; dire che esse sono causate in noi da Dio non può stare, perchè se così fosse Dio ci ingannerebbe, facendocene cercare In causa nel mondo esterno; ora, Dio, essendo sommamente perfetto, non può în alenn modo voleroi ingannare; dunque esistono i corpi esteriori corri- spondenti alla idea che noi ne abbiamo. Cfr. Descartes, De meth., 1865, p. 24-49; Leibnitz, Nouv. Ees., IV, cap. 5, $9. ‘Verbali (proposizioni). Quelle che non pongono un rap- porto tra due cose distinte, ma indicano soltanto una classe o spiegano una parola. Dicendosi ad es., che il quadrilatero è una figura a quattro lati, non si è fatto altro che spiegare il significato della parola quadrilatero. Qualche volta le proposizioni verbali possono essere utili per indicare o ricordare proprietà del soggetto da altri ignorate ο dimenticate. Cfr. Masci, Logica, 1899, p. 293 segg. Verbalismo. O anche filosofia verbale. Designa quel modo di argomentare © di filosofare nel quale le parole tengono il luogo delle ides e il vocabolo asservisce il pen- siero, di guisa cho, mutato le convenzioni verbali, il ra- gionamento non potrobbo più sussistere. Verificasione. T. Bewährung, Bestitigung; I. Verifi- cation; F. Vérification. È il terzo momento del processo di ricerca scientifica: constatati i fatti mediante l’ osser- vazione e l'esperimento, supposti dei principi per spiegarli, occorre verificare se i principi supposti (ipotesi) siano veri. Ora la verificazione può avvenire in tre modi: se il prin- cipio supposto era di ordine puramente razionale (es. un teorema di geometria), esso diviene certo quando lo si colleghi logicamente con verità precedentemente stabilite; se era di ordine puramente sperimentale, diviene certo quando lo si colleghi coi dati della esperienza; se era d’ordine sperimentale e razionale ad un tempo, la sua ve- riticazione consiste sia nel dedurne le conseguenze logi- che, sia nel confrontare codeste deduzioni coi dati del- l’esperienza. Però non è sempro possibile la verificazione completa dell'ipotesi, specie se riguardi la causa di un fenomeno o il suo modo d'azione; può darsi che la causa non sia verificabile nò con l'osservazione nd col ragiona mento, 9 che il suo modo d'azione non renda conto di tutti i fenomeni, pur non essendo in contraddizione con alcuno di essi. Il Comte voleva non fosse ammessa alcuna ipotesi incapace di verificazione completa; ma anche la vorificazione incompleta può essere sufficiente, se permette delle previsioni sul futuro. Del resto, la verificazione in- completa può avere dei gradi, che vanno dalla pura pos- sibilità alla probabilità fino quasi alla certezza; le diffe- renze dipendono dalla copia dei fatti coi quali è dimostrato l'accordo, perchè la probabilità è in ragione diretta della prima, inversa della seconda. Cfr. A. Comte, Cours de phil, positive, 1830, vol. I, lez. 28; Wundt, Logik, 1898, vol. I, p. 404 segg.; Masci, Logica, 1899, p. 434 segg. Verità. T. Wahrheit; I. Truth; F. Périté. Definire la natura dolla verità è stata sempre una delle più impor tanti o dibattute questioni filosofiche, collegandosi ess con tutti gli altri problomi della conoscenza e della realtà. — 1221 — VER Le molte dottrine sulla verità possono ridursi a tre fon- damentali; 1° la teologica ed ontologica, secondo la quale la verità assoluta è Dio’o V essere assoluto, che è allo stesso tempo } esemplare della verità della nostra cono- scenza; questa soluzione, sostenuta da Platone, da 8. Ago- stino, dagli Scolastici, da Hegel, Rosmini e Gioberti, ha il difetto di identificare 1’ essere con la verità, mentre ο vero e falso non sono già nelle cose ma nella nostra co- noscenza di esse; 2° la realistica, sostenuta dal Leibnitz, la quale, pur distinguendo essere dal conoscere, fa con- sistere la verità nella concordanza tra le nostre idee delle cose 9 le cose stesse come sono fuori di noi; ma con ciò si viene a negare la possibilità della conoscenza, perchè, essendo questa relativa, dandoci cioè soltanto dei feno- meni, codesto confronto tra la cosa come la conosciamo e la cosa in sè non è in nessun modo possibile; 3° la Sonomentstioa, sostenuta da Hobbes, Locke, Spencer, ecc., secondo la quale la verità consiste nell'accordo della co- noscenza coi fenomeni, che sono l’unico oggetto della conoscenza; quindi secondo questa dottrina, la verità spetta soltanto al giudizio e consiste nell’equivalenza tra due termini della proposizione. Come esempio della prima dottrina si possono citare le parole di 8. Agostino: non iudicium veritatis constitutum in sensibus;... deum, id est veritatem ;... erit igitur veritas, etiamei mundus intereat. Di Cartesio: sequitur ideas nostras sive notiones, cum in omni eo in quo sunt clarae et distinotae, entia quaedam sint, atque a Deo procedant, non possa in co non esse veras. Di Hegel: « L'oggetto della religione come della filosofia è la verità eterna nella sua stessa obbiettività, ciod Dio e nient’ al- tro che Dio e la spiegazione di Dio.... E in quanto la filosofia si occupa della verità eterna, della verità che è in sò © per sè, costituisce la stessa sfera d'attività della religione ». Come esempio della dottrina realistica, lu breve definizione del Leibnitz: « l'accordo delle rappre- VER — 1222 — sentazioni esistenti nel nostro spirito con le cose »; © quella di Cr. Wolff: oonsensus iudioii nostri cum obieclo seu re repraesentata. Come esempio della fenomenistica, quella dell’ Hobbes: Forum οἱ faleum attributa sunt non rerum sed orationis; © le parole del Locke: «la verità ο l’or- rore risiedono sempre in una affermazione o in una ne- gazione, sian esse nel pensiero o nelle parole, e perciò le rappresentazioni non sono false prima che il nostro spirito se no sia servito in un giudizio, ossia fino a che le abbia negato ο affermato ». A questi tre indirizzi fonda- mentali si possono ricondurre la maggior parte delle dot- trine sulla verità della filosofia contemporanea, Così, per il Lotze, ogni contenuto dei nostri pensieri viene diretta mente o indirettamente dall’esperienza, ma le leggi che dirigono l’attività dell'intelletto ο in virth delle quali noi stabiliamo la nostra concezione del mondo e la nostra no- zione della verità, provengono dalla natura stessa della nostra essenza spirituale; la verità consiste appunto nel fatto che tali leggi generali sono confermate, senza ecco- zione, in un numero dato di rappresentazioni, ogni qual- volta tali rappresentazioni appaiono nella nostra coscienza ; e poichè le leggi stesse sono identiche per tutte le co- scienze, ne viene che i legami tra le rappresentazioni sono veri quando seguono i legami del contenuto rappresentato, legami che sono veri per ogni coscienza cho ha lo rappre- sentazioni. Per Giulio Bergmann la nozione della verità ha la sua base in quella della realtà; un giudizio è vero quando corrisponde al suo oggetto, falso quando lo con- traddice; un giudizio il cui oggetto non esiste, non è nd vero nè falso. Nella filosofia dell’immanenza la verità è concepita come un puro rapporto tra stati di coscienza; così Schubert-Soldern e Schuppe la definiscono como l’ as- sociazione e la concordanza universale di tutti i pensieri tra di loro, nonchè di quelli che sono puramente nostri con quelli che abbiamo d’altri esseri. Nell'empirioeri- — 1223 — VER ticismo, la verità è la qualità di quelle tra le nostre idee che presentano dei vantaggi per la nostra conservazione, in altri termini, di quelle che ci possono servire, che sone utili, frequentemente applicabili ed applicate, e quindi so- lide ; la verità e l'errore, dice il Mach, hanno la stessa sorgente psichica © solo le conseguenze possono farle di- scernere l’una dal’ altro, ma un errore chiaramente cono- sciuto è, in quanto correttivo, produttivo di conoscenza al pari della conoscenza positiva. Anche per il pramma- tismo, la verità delle idee non può riconoscersi che dalle conseguenze pratiche che possono risultarne; « la verità © le nostre conoscenze della realtà, dico F. C. 8. Schiller, sono stabilito e verificate mediante i loro risultati; prima © poi esse sono condotte alla prova certa di esperienze che riescono o falliscono, cioò che danno o riftutano sod- disfaziono a qualche interesse umano ». Il Bradley, pure ammettendo il rapporto tra la verità delle nostre idee ο la loro capacità di soddisfare la nostra natura, considera però come vero solo ciò di cui il pensiero non pud dubi- tare, ciò che, per il pensiero, è coorcitivo © irresistibilo; la verità ha un carattere provvisorio ed evolutivo, oosic- chè non y’ha alcuna verità che sin completamente vera ο nessun errore che sia totalmente falso. Il Venn intendo per verità la concordanza tra le nozioni e lo testimonianzo del senso; per John Veitch la verità è l'armonia tra il fatto © la conoscenza che no abbiamo; per il Renouvier V unica verità immediatamente còlta, ο in cui l'oggetto ο il soggetto, identificandosi nella coscienza, pongono le basi d’ una certezza rigorosa, è il fenomeno in quanto tale © nel momento stesso in cui è percepito; per il Fouillée la verità non può stare nd nella sensazione sola, nd nel ponsiero puro, ma nella sensazione congiunta all’azione, nell’ efficacia che i miei stati di coscienza possono avere sopra altri esseri che sentono e vogliono come me; per il Delboeuf la verità risulta dall’accordo della ragione VER — 1224 — con sd stessa, cosicchè è vero ogni sistema, dottrina o idea che non raochiuda contraddizione, è vero ogni gi dizio la cui esattezza sia confermata dall’ insieme di tutti gli altri giudizi, che ad esso si collegano come premesse © come conseguenze. Per l’Ardigò il vero è un fatto, ο precisamente quel fatto che dicesi fatto psichico ο di coscienza: come l’ osservazione distinta del fatto della luce assicura della realtà della luce, e basta ds sola alla affermazione di esso fatto, per la stessa ragione l’ osser- vazione distinta del fatto di uno stato di coscienza assi- cura che uno stato della coscienza è una realtà ο basta ds sola alla affermazione di esso. Codesta affermazione include quella della consapevolezza e della realtà assoluta della consapevolezza dello stato medesimo; ora, essendo un vero per sò ogni dato che per sò ed assolutamente afferma in modo indubitabile un reale, così uno stato della coscienza è un vero assolutamente tale o per sè stesso, — Con l’espressione dottrina della duplice verità si - designa la dottrina medievale, che considera come affatto distinte la verità teologica ο la verità filosofica, cosicchè può esser teologicamente vero ciò che non è tale filoso- ficamente, © viceversa; essa resistette per tutto il tardo medioevo, quantunque non si sia mai bene chiarita l’ori- gine di tale formula, ed ebbe per banditori audaci dia- lettici come Simone di Tournay o Giovanni da Brescia. — Si soglion distinguere le verità razionali, che sono uni- versali e necessarie, dalle verità sperimentali, che sono contingenti e relative; le prime sono immutabili © il loro contraddittorio è inconcepibile, le seconde sono invece mutabili ο si può pensarne il contraddittorio. Le prime si dicono anche terità di diritto, le secondo rerità di fatto; le prime si esprimono coi giudizi apodittioi, le seconde con gli assertori. — Si distingue anche la verità logica ο for- male, dalla reale ο materiale: la prima risulta dall’ esatto rapporto delle idee tra di loro, ossia dall’obbedienza del — 1225 — VER pensiero alle sue proprie leggi; la seconda dall’ adequa- zione delle idee con le cose, ossia della loro obbiettiva applicabilità. Cfr. 8. Agostino, Solilog., II, 2; Id., De div., qu. 88, qu. 9; Cartesio, De meth., 1865, p. 24 segg.; Hegel, Forlesungen ü. d. Philos. d. Religion, 1901, parte IT, p. 68, 702 segg.; Leibnitz, Nouv. Ess., IV, cap. 5, $ 11; C. Wolf, Philosophia prima, 1196, $ 495; Id., Philosophia rationalis, 1732, $ 505; Hobbes, Leviathan, I, 4; Locke, Ess., II, cap. 32, § 3; Lotze, Logik, 1843, $ 5; Bergmann, Grundsiige d. Logik, 3" ed. 1891, p. 6 segg.; Schuppe, Erkonntnéatheoreti- ache Logik, 1878, p. 15, 64, 142 segg.; Mach, Erkenntnise und Irrtum, 1905, p. 105, 114; F. C. 8. Schiller, Mind, aprile 1905, p. 237 segg.; Bradley, Appearance and reality, 1902, p. 25, 148, 362, eco.; J. Wenn, Principles of logio, 1889, p. 28-37; J. Veitch, Institutes of logic, 1885, p. 2 segg.; Renouvier, Ess. de critique, II, p. 389 segg.; Fouil- 160, Psych. des idées-forces, 1898, p. 305 sogg.; M. Maywald, Dio Lehre von der swoifachen Wahrheit, 1871; A. Chiappelli, La dottr. della doppia rerità e à suoi riflessi recenti, in « Atti della Acc. di scienze mor. e pol. », Napoli, 1902; Edmond Bouty, La verité scientifique, 1908; F. Paulhan, Qu'est oo que la vérité, in « Rev. phil. », marzo 1913; W. James, L'idée de la vérité, trad. franc. 1913; Ardigò, Il vero, Padova, 1900, p. 47 segg., © Op. fil., I, p. 242 segg., III, p. 24 segg.; A. Lantrua, Verità formale e verità reale, « Cult. filosofica », marzo 1914 (v. criterio della verità, conoscenza, contingenza, necessità, dommatismo, scetticismo, criticismo, solipsismo, vera- cità, certezza, evidenza, relatività della conoscenza, fenomeni- smo, ecc.). Vero e falso. T. Wahrheit und Falsohheit; I. Truth und falsity; F. Vérité et fausseté. Dicesi metodo dei casi veri ο falsi quello usato nella psicometria, per misuraro sin il potere di discriminazione, sia il minimum di eccitamento necessario per produrre la coscienza, sia le inflnenze pro- venienti dalla sede dell’eocitamento. Sia, ad es. da deter- VER-VIR — 1226 — minare la soglia della coscienza per le sensazioni di pres- sione: si producono nel soggetto varie sensazioni di peso, senza seguire alcun ordine prestabilito; il soggetto deve annunciare ogni volta se prova nna qualsiasi sensazione. Ripetendo la prova un buon numero di volte, si giunge a calcolare il numero di risposte giuste date per ogni grado di eccitamento. A questo modo, ripetendo più volte le ricerche, si riesée a eliminare ciò che può esservi di uocidentale nell’esperimento ο di preconcetto in chi al- l esperimento è sottoposto. Cfr. Cattel, Mental teats and ‘measurements, « Mind », 1890; Aliotta, La misura in prie. sperimentale, 1905. ‘Verum ipsum factum. Il vero si converte col fatto; il vero è lo stesso fatto. È il famoso aforisma del Vico, contenuto nel De antiquissima Italorum sapientia, e che il filosofo napoletano contrapponeva al cogito ergo sum di Cartesio, Il Vico voleva significare con ciò che si può avere vera conoscenza, © quindi scienza, di una cosa, sol- tanto quando si è causa di essa; quindi, mentre Dio co- nosco tutto perchè fa tutto, l’uomo conosce soltanto le astrazioni di oggetti reali, cioò di forme e di numeri, che noi generiamo per mezzo del punto © dell’ xno. Con tal criterio egli riconosce come vere scienze soltanto le ma- tematiche, la filosofia della storia e la metafisica, la quale tratta dei punti reali ο metafisici, che generano i corpi senza essere corpi, come l’uno e il punto generano, ri- spettivamente, i numeri e le estensioni senza essere nè numero nè estensione. Cfr. G. B. Vico, De antiquissima Ita- lorum sapientia, 1710; Id., Prinoipî d’ una scienza nuova, 1725; K. Werner, G. B. Vico als Philosoph., 1879; B. Croce, La filosofia di G. B. Pico, 1911 (v. conoscenza, cogito, matema- tica, verità). Virtù. T. Tugend; I. Virtue; F. Vertu. Nel sno signi- ficato etico è l'abitudine di fare il bene diventata una seconds natura. In origine non designava che la forza e — 1227 — Vir il coraggio, quali si manifestano specialmente nella guerra: ina poichè anche per resistere al male sono necessari la forza e il coraggio, passò poscia ad indicare la pratica abituale del ben. Per Socrate la virtù è sapere, e l’osatta conoscenza di sò stesso e delle cose la base di tutte le virtù; perciò la virtù si può insegnare. Per Antistene la virtù è la saggia condotta della vita; essa sola rende felici, non già per le sue conseguenze, ma per sè stessa, © quindi rende l’ uomo indipendente dalle vicende del mondo; da ciò segue che la virtù risiedo, in ultimo, nella sop- pressione dei desideri ο nella limitazione dei bisogni al minimo possibile, ossia nel ritorno ad un ideale stato di natura. Per Aristippo, al contrario, la virtù è la capacità di godere; ognuno, certamente, può e sa godere, ma solo VP nomo colto ο intelligente, il virtuoso, sa goder bene perchè sceglie i propri piaceri ο li domina, non ne è do- ininato. Per Platone il sommo bene consiste nella cono- scenza delle idee ο di quella più alta di tutte, V idea del bene; perciò la virtù non può consistere per lui che nel raggiungimento del cémpito proprio d’ ogni parte della nostra anima, ossia la parte razionale nella sapienza, la parte animosa nell’energia della volontà, la parto appeti- tiva nella padronanza di sò stesso, © infine nel giusto rapporto di questo parti, rapporto nel quale consiste dun- que la virtù complessiva dell’ anima, la rettitudine, In giustizia. Per Aristotelo la virtù è un abito, che implica una scelta doliberata, in accordo con la retta ragiono; sno oggetto e contenuto è il giusto mezzo tra gli estremi, tra l'eccesso e il difetto. In base a questo criterio Ari- stotele enumera la serie delle virtà morali, che sono il coraggio, la temperanza, la liberalità, la modestia, la giu- stizia, l'amicizia, eco.; ma oltre a queste esistono anche le virtù intellettuali ο dianoetiche, che derivano dell’eser- cizio dell'intelletto attivo, e sono la sapienza speculativa, che ha per oggetto la natura assoluta delle cose, ο la Vir — 1228 — prudenza, che ha per oggetto le condizioni relative e mu- tevoli della condotta umana. Per gli scettici la virtù è l'assenza di pertnrbazioni, la calma dello spirito, l’ataras- sia; è virtuoso colui che, sspendo che non si può Bir niente intorno alle cose, 9 non si può accogliere nessuna opinione, si astiene per quanto è possibile dal giudizio e quindi anche dall’azione, salvandosi in tal modo dagli af- fetti ο dal falso operare. Per gli epicurei la virtà non è un bene in sò stesso ma un bene in quanto ci procura piacere; essa è tuttavia inseparabile dal vero piacere, nè può esservi vita piacevole senza virtù, nd virtù senza una vita piacevole. Per gli stoici è virtù, in senso largo, ogni forma di perfezione, e in tal senso anche la salute © la forza entrano nel numero delle virtù; ma la vera virtù, © virtù morale, consiste al contrario in una forza del- l’anima, che ha il principio nella ragione, e in una dire- zione invariabile del carattere, che non soffre nd più nè meno e per la quale l’anima, durante tatto il corso della vita, è d’accordo con ad stessa; e poichd tale direzione del carattere ha il sno principio nella conoscenza razio- nale, essi chiamavano teorematioa la virtù morale, per op- posizione alla virtù fisica, che è senza intelligenza. I mo- ralisti del medio evo seguirono, in generale, la dottrina aristotelica; ma dal punto di vista sociale la virtà subisce un regresso, che il cristianesimo, per il quale 1’ umiltà è la prima delle virtü, riuscì solo in parte ad attenuare. Tra le dottrine medievali, grande importanza storica ha quella di S. Tommaso; egli accetta letteralmente la definizione aristo- telica della virtù come giusto mezzo (virtus moralis in medio consistit), e distingue le vità in morali propriamente dette, che riguardano il destino terrestre dell’uomo, © leologali, cho riguardano il suo destino sovrannaturale. Le prime si riducono tutte alle quattro virtù cardinali, prudenza, giu- stizia, temperanza e fortezza: « Ogni virtà, che al bene è spinta da un motivo ragionevole, dicesi prudenza; ogni — 1229 — Vir virtà tendente a rendere a ciascuno ciò che gli è dovuto, © a fare ciò che è giusto, dicesi giustizia; ogni virtà che modera e frena le passioni, dicesi temperanza; ed ogni virtù, che fortifica l’anima contro le passioni di qualsiasi specie, dicesi coraggio. Dalla pradenza derivano i provetti ; la giustizia regola i rapporti fra gli eguali ; la temperanza modera le concupiscenze della carne; il coraggio fortifica contro i pericoli della morte ». Le teologali sono la fede, la speranza © la carità; la prima completa le nozioni ele- mentari della intelligenza, mediante la conoscenza delle verità inaccessibili senza una rivelazione divina; la spe- ranza ci agevola il cammino @ quel fine divino, che vince di gran lunga le forze naturali; per la carità il volere si unisce a quel fine, quasi assumendo la medesima forma. Nella filosofia moderna e contemporanea il concetto di virtù è variamente definito, quantunque spesso rivivano le anti- che dottrine aristoteliche, platoniche e stoiche; può dirsi in generale che In virtù è oggi intesa specialmente come virtù di cittadino, come predominio costante delle idealità socinli sopra gli istinti e le tendenze egoistiche, predominio che si traduce nella pratica costante delle buone azioni com- piute con una chiara ο perfetta consapevolezza. La virtù germoglia e si matura nel seno della società alla quale appartiene; ma il suo carattere essenziale © più saliente sta nell’ essere essa praticata indipendentemente da ogni vantaggio egoistico e dn ogni minaccia; perciò essa rag- ginnge la massima sua perfezione quando il suo esercizio non richiede più alcuno sforzo soggettivo. Cfr. Platone, Tim., 86 E; Aristotele, Eth, Nio., I, 13, II, 1, 2 segg.; Diogene Laerzio, VII, 1, 86 segg.; S. Tommaso, Summa theol., II, qu. 56 segg.; F. Paulsen, System der Ethik, 83 od. 1893, p. 173, 369; Mairhend, The elemente of ethice, 1901, Ρ. 201 segg.; Martineau, Types of ethical theory, 1866, vol. II, p. 65 segg.; Sidgwick, Metods of ethics, 1877, p. 229 segi Ardigò, Op. fl, IMI, 92 sogg.; G. Tarozzi, La virtà contem- Vir — 1230 — poranea, 1900; Marchesini, La dottrina positiva delle idea- lità, 1913, p. 115 segg., 256 segg. Virtuale. T. Firtuell; I. Firtual; F. Virtuol. Ciò che osiste in potenza, che è semplicemente possibile; si op- pone quindi a reale, attuale, effettivo. È dunque virtuale un fonomeno quando esisto soltanto una parte delle con- dizioni necessarie a produrlo, o quando, pur esistendo tutte, sono complicate accidentalmente con una © più cir- costanze contrarie. Cos) dicesi che una idea, quando non è più pensata, esiste nel cervello allo stato virtuale. Quando si tratta di energia, invece di virtuale usasi il termino potenziale. Il Rosmini chiama virtuale « ciò che il pensiero vede contenuto in un altro, dal quale per sè non si distingue, ma che può esservi distinto dallo stesso pensiero, o anche ricevere un'esistenza a ad separata da quella dell’ altro in cni indistinto si trova ». Così nel- l'estensione illimitata dello spazio si possono pensare com- prese tutte le figure geometriche di qualunque grandezza © forma si voglia, benchè in essa non siano distinte, ο queste figure stesse si possano anche pensare senza l’esten- sione illimitata, Cfr. Rosmini, Logica, 1853, $ 704-5; Id., Psicologia, 1846, $ 33-34, 1337-1339. Virtualismo. T. Firtualismus; 1. Virtualism; F. Firtua- lisme. Dicesi virtualiemo assoluto la dottrina del Bouterwek, così da lui stesso denominata perchè concepisce la conoscenza, che abbiamo immediatamente di noi stessi ο mediatamente delle cose, come effotto della resistenza che sperimentiamo da parte dello cose medesime, « La forza, in noi o fuori di noi, è una realità relativa. La resistenza è realtà opposta, contrastante, quindi roaltà relativa. Entrambe unite sono virtualità.... L’assoluta realtà non è altro appunto che questa virtualità, che è in noi, come noi siamo in essa ». Così il sentimento dell’ ostacolo, contro il quale urta la forza della nostra volontà, confuta il puro soggettivisme © solipsismo; ma questo sapere relativo delle forze spe- — 1231 — Vir-Vis ciali del reale si completa con la coscienza della nostra propria volontà soltanto per la scienza empirica. Il vir- tualismo del Bouterwek ebbe influenza specialmente sul Maine de Biran, la cui dottrina si basa appunto sul fatto fondamentale che noi, nel volere, viviamo immediatamente la nostra propria attività e la resistenza del non-moi (an- zitutto del nostro corpo); la riflessione della personalità sn questa sua propria attività forma, secondo il Maine de Biran, il punto di partenza di tutte le filosofie, ai con- cetti delle quali l’esperienza interna fornisce la forma, l’esperienza di ciò che resiste la materia. Peroiò al cogito ergo sum di Cartesio, egli sostituisce il rolo ergo sum; il concetto dell’ esperienza interna, sens intime, è per lui In base chiara e per sè stessa evidente di tutta la vita dello spirito, il cui principio fondsmentalo è l’ autocoscienza della personalità volente. Cfr. F. Bouterwek, Idee einer “Upodiktik, 1799, vol. II, p. 68 segg., vol. I, p. 261, 392 segg.; Maine de Biran, Memoire sur l'habitude, 1803; Id., Rapports du physique et du moral, 1811. Virtualità. Ha lo stesso significato di potenza, nel lin- guaggio di Aristotelo ο degli scolastici: designa dunque la semplice possibilità ο capacità di produrre certi effetti. Perciò gli scolastici dicovano che l’effetto è contonuto nella causa virtualiter, quando nella causa non si trova la natura dell’eftetto; ad es. la statua à contenuta virtua- liter nella mente dello scultore. Dicevano invece che l’ef- fotto è contenuto formaliter nella causa, quando in essa se ne trova la natura, come il calore nel fuoco; e emi- nenter quando la causa è molto più perfotta dell’ oftetto, del quale non ha le imperfezioni, come Dio rispetto al eronto. Visa (i reduti). Gli stoici romani chiamavano così una delle due anticipazioni o prolepsi: l’altra ora la compren- sione dei veduti. Codesti veduti degli stoici non sono altro che i sentiti; essi dicovano che quella parte dell’ anima Vis — 1232 — che li apprende è la principale a cui appartiene l’assenso. Da ciò parrebbe invece che i visa degli stoici fossero non puramente sentiti, ma anche percepiti intellettivamente. La comprensione dei veduti era una operazione della in- telligenza, che apprendeva il sentimento e compieva la percezione intellettiva, o la conservava in dominio della mente (v. anticipazioni, eullepei). Visive (sensazioni). T. Gesichtsompfindungen ; I. Visual sensations; F. Sensations de la vuo, visuelles. Hanno per or- gano l'occhio, per stimolo le vibrazioni dell’ etere, per centro psichico i tubercoli quadrigemini. Il centro peri- ferico © il centro psichico sono collegati fra loro dal nervo ottico, che alla base del cervello si decussa for- mando il ολίασπια. La parte dell'occhio sensibile alla Ince è la retina, formata dalle terminazioni del nervo ottico, © nella quale trovasi il punto della massima visione, detto fossa centrale. L'apparecchio che fa concentrare in questo punto i raggi luminosi dicesi apparecchio diottrico; è in questo modo che le sensazioni visive possono venir rife- rite in un determinato punto del campo ottico ο precisa- mente nella diresione dei raggi che entrano nell’ occhio. Le sensazioni visive sono oromatiohe o aoromatiche: le prime sono date dai colori dello spettro (rosso, arancio, giallo, verde, turchino, indaco, violetto), le seconde non corrispondono alla scala cromatica e soltanto psicologica mente sono colori (nero, bianco, grigio, purpureo). L'azione dello stimolo nelle sensazioni visive è chimica: infatti sotto l’aziono della luce, la porpora retinica scompare ra- pidamente, e la retina si imbianca passando per gradi intermedi di colore bruno e giallo. Cfr. Helmholtz, Hand- buch d. physiol. Optik, 2* ed. 1896; Abeladorff, Das Ange des Menschen, 1907; Wandt, Philos. Stud., IV, 311; Pari- naud, La rivion, 1898; Höffding, Psyohologie, trad. franc. 1900, p. 131 segg. (v. bicowlare, raggio visiro, orottero, cam- po, contrasto, consecutive, adattamento, accomodazione, miopia, — 1233 — vir ipermetropia, omianopsia, diplopia, astenopia, disoromatopria, daltonismo, aoromatiemo, stereosoopio, retina, eco.). Vita. T. Leben; I. Life; F. Vie. Come di tutti i fenomeni complessi, così anche della vita fu dato un gran numero di definizioni, che diversificano sia per la prevalenza at- tribuita ad alonni caratteri sugli altri, sia per il punto di vista da cui è considerata. La vita è la gravitazione della forza cosmica su sè stessa - è un principio interiore d’azione - è l’attività dei corpi organizzati - è, secondo il Richerand, una collezione di fenomeni che si succedono l'un l’altro durante un tempo limitato in un corpo or- ganizzato - secondo Kant, la facoltà di una sostanza di agire in virtà d’un interno principio, una organizzazione meccanicamente inesplicabile perchè la sua essenza sta nell'essere il tutto determinato dalle parti, e le parti dal tutto, e ogni membro causa ed effetto del tutto - secondo lo Schelling, la tendenza alla individuazione. Il Bichat la definì: l'insieme delle funzioni che resistono alla morte; lo Stahl: il risultato degli sforsi conservativi dell'anima; il Lavoisier: una funzione chimica; il Lewes: una serie di mutamenti definiti ο successivi, sia di struttura che di composizione, che s’operano in un individuo senza di- struggerne l'identità; lo Spencer: l’accomodamento con- tinuo delle condizioni interne alle condizioni esterne. Da tutte queste definizioni traspaiono evidenti i due modi . fondamentali ed opposti con cui, sia i filosofi che i biologi puri, considerarono sempre la vita: per gli uni, infatti, non è che una serie di fenomeni meccanici, chimici, ter- mici, elettrici, ecc. dovuti all’azione ο alla trasformazione delle diverse forze cosmiche; gli altri, invece, considerano le forze della materia vivente non solo come distinte, ma anche come opposte a tutte le altre forze della na- tura, e spiegano i fenomeni biologici con l'intervento sia d’un principio vitale, sia dell’ anima, sia della forza plastica ο formatrice. — Dal punto di vista morale il 78 — RanzoLI, Dizion, di scienze flosofiche. vir — 1234 — | problema della vita è quello dell'impiego cosciente e vo- ontario della vita; con esso si entra nel regno sconfinato dei fini, nel quale può trovar posto ogni più diversa in- terpretazione, valutazione e direzione pratica della vita, i più diversi modi di concepirla ο di volerla, per le ine- sauribili varietà umane, storiche ed ideali. Non solo è incredibilmente grande il numero dei modi in cui la vita è stata già conoepita e vissuta; ma a questa varietà non è possibile assegnare teoricamente un limite, à essa non è un semplice prodotto di riflessione teorica ma di- pende dal vario prevalere ο combinarsi di questa ο quella tendenza costitutiva dello spirito umano. Cfr. Moleschott, Kreislauf dee Lebens, 5° ed. 1886; H. Spencer, Principles of biology, 1864-67; J. Loeb, La dynamique des phénomè- nes de la vie, 1907; L. Bourdeau, Le problème de la vie, 1901; Oliver Lodge, Pita ο materia, trad. it. 1908; A. Ge- melli, L'enigma della vita, 1910; F. Orestano, It problema della vita, in Gravia Loria, 1913, vol. I, p. 35-56 (v. ge- nerazione spontanea, cellula, cellulari teorie, organico, orga- niomo, animismo, vitalismo, meccanismo, duodinamismo, proto- plasma, ecc.). Vitale, Senso vitale ο organico è un’ espressione gene- rica con cui si designano le sensazioni interne, che hanno sedo in qualche regione interna dell’ organismo, specie negli organi viscerali: la fame, la sete, i dolori dei di. versi organi, 900. Principio vitale, è, secondo i segu del vitalismo, una forza speciale che risiede nella mate- ria organizzata, dirigendo in essa tutte quelle operazioni che costituiscono la vita vegetativa: essa è essenzialmente distinta non solo dal corpo ma anche dall'anima, la quale presiede soltanto alle funzioni del sentimento ο del pensioro. Spiriti vitali furon detti doi supposti fluidi finis- simi che, dal sangue, scorrendo lungo i nervi, arrivano al cervello, doterminandovi ο stimolandovi l’attività del- l’anima. Cfr. Bacone, Nov. Organon, II, 7; Cartesio, Pass. — 1235 — Vir an., I, 7; I. Frohschammer, Phantasie als Grundprinsip d. Weltprozesses, 1877 (v. vita, vitalismo, organismo, ecc.).' Vitalismo. T. Pitalismus; I. Vitaliom; F. Vitalisme. Termine molto generale e indeterminato, con cui si com- prendono tutte quelle dottrine scientifiche e filosofiche, che spiegano ogni funzione della vita come il prodotto di speciali forze e proprietà, che risiedono nella materia organizzata, e sono affatto distinte dalle altre forze fisi- che, chimiche e meccaniche. Secondo il vitalismo, adun- que, la vita ha origini e leggi particolari, che non si possono spiegare con le leggi comuni agli esseri non vi- venti; con ciò è posta una antitesi fondamentale tra ln natura organica e quella inorganica, tra i processi mec- canici e quelli vitali, tra la forza materiale ο la forza bio- logica, fra corpo e anima. Si distingue un vitalismo ani- mistico 0 animismo, uno organistico 0 organicismo e uno dualistico ο duodinamismo. Il primo, già sostenuto in parte da Platone e da Aristotele, considera tutti i fenomeni della vita come dovuti ad una forza intelligente, ciod all’anima; esso risorge nei tempi moderni col Leibnitz e con lo Stahl, i quali sostengono che le operazioni vitali interne, sebbene nulla abbiano di comune con le opera- zioni coscienti e intelligenti, sono tuttavia effetti del- l’anima, Il secondo considera la vita come una risultante © non come un principio, e crede di trovare le cause della vita nelle proprietà degli organi, ritenuti come ele- menti indipendenti del corpo vivente; ogni organo è ani- mato da una forza particolare che, componendosi con tutte le forze simili, mantiene la vita totale; la vita dunque, dice il Bichat, non è che l'insieme delle forze che resi- stono alla morte. Il terzo, che s’inizia col Barthez e In scuola di Montpellier, pure continuando ad affermare che i fenomeni della vita non possono essere dovuti che a una causs speciale, la riconducono ad una forza vitale, diffe- rente ad un tempo dall'anima o dalle forze materiali. 78* — RamzoLi, Dizion. di scienze filosofiche. vir — 1236 — Tutte tre queste dottrine sono finalistiche, in quanto am- mettono che l’essere vivente si sviluppa in una direzione determinata, verso nno scopo, una finalità che gli è pro- pria; però codesta finalità non è posta come esterna, ma come interiore allo stesso essere, come azione reciproca tra il tutto ο le parti, cosicchè queste non possono esistere senza quello, nd quello senza queste. Appunto per il loro immanente finaliemo, le dottrine vitalistiche subirono un grave colpo dall’imporsi del meccanismo darwiniano; ma in questi ultimi tempi esse sono risorte e col nome ge- nerico di neo-vitalismo vanno estendendosi tra i filosofi ο gli scienziati. Tra i precursori immediati dell'odierno vi- talismo, grande importanza hanno: il von Baer, che nei suoi discorsi tenuti tra il 1860 ο il 1870, sosteneva, con- tro la teoria meccanica dell'evoluzione, che i processi vitali non si possono derivare dalle leggi fisico-chimiche, ma hanno una legge propria di sviluppo; il von Hanstein, che verso il 1880 dimostrava non potersi spiegare la con- nessione delle diverse parti se non ammettendo una forza coordinatrice specifica (Eigengestaltungekraft) che domini © diriga le energie materiali; Edmondo Montgomery, che fondaudosi sull’ analisi dei movimenti del protopinsma, delle contrazioni muscolari, della divisibilità degli infa- sori, ecc., proclama la necessità di ammettere un princi- pio autonomo interno regolatore dello sviluppo e una ro- stanza vivente specifica, che si distingun dagli altri aggregati chimici per il suo potere di controllo sopra In organizzazione ο di sintesi della complessa struttura in una individualità organica; 1 Ehrhardt, che sostiene In possibilità logica di una teoria vitalistica, in oni la con- sidlerazione teleologien abbia il suo legittimo posto accanto al puro meccanismo; Gustavo Wolff, che cerca di mo- strare sperimentalmente ln necessità dolla veduta teleolo- gica contro il darwinismo, provando ad es. come noll’oo- chio della salnmandra la lente del cristallino estirpata — 1237 — vir possa rigenerarsi dal margine anteriore dell’ iride, cioò da un tessnto che non corrisponde a quello onde si ge- nera nello sviluppo normale. Oggi tra i vitalisti si contano il Lodge, il Dreyer, il Morgan, l'Ostwald, il Reinke, ecc. ; ma quello che ha dato un maggior impulso al rinnova- mento della dottrina è senza dubbio Hans Driesch, che seguendo un metodo essenzialmente critico 9 positivo e fondandosi sopra una solida base sperimentale, afferma una finalità propria dei fenomeni vitali, che non è ridnci- bile al gioco delle energie fisiche ο chimiche, ma presup- pone una attività specifica, alla quale egli dà il nome di entelechia: esso non ha il carattere spaziale ο quantitativo delle altre forze della natura, ma regola e dirige le forze naturali al conseguimento dei fini della vita. Una forma affatto distinta, metafisica, di neo-vitalismo è quella so- stenuta oggi dal Bergson ο dai suoi seguaci: per essi la realtà è durata, cangiamento, tifa, ossia creazione inces- sante non diretta ad uno scopo determinato, ma avente un valore per sè, rispondente solo a un impulso origina- rio infinito, differensiantesi © detorminantesi variamente fino a produrre un movimento in senso inverso, la mate- ria; in tal modo, non la materia precede la vita, ma è il torrente della vita che si insinua nei fenomeni materiali, deviandoli dalla legge fatale e meccanica che seguireh- bero senza di essa © utilizzandoli per i suoi scopi partico- lari. Cfr. Bergson, L'évolution creatrice, 1912; Reinke, Die Welt ale Tat, 1899; Id., Philosophie der Botanik, 1905; Hans Driesch, Die organischen Regulationen, 1901; Id., Der Vitaliemue als Geschichte und als Lehre, 1905; A. Aliotta, Il neo-ritalismo, « Cult. filosofica », I, 2; De Sarlo, Fita- lismo ed antivitaliemo, ibid. I, 10 (v. archeiemo, vita, or- ganiemo). Vittorini. Scuola di filosofi scolastici, detti così dal chiostro di Β. Vittore, fondato fuori di Parigi, da Gu- glielmo di Campean nel 1108. I Vittorini rappresentano Viz-VoL — 1238 — il misticismo teorico, distinguendo nella fede la cognizione (Aides quas oreditur), dall’ atto soggettivo del credere (idee qua creditur), e ponendo come veramente essenziale sol- tanto il secondo. Ai Vittorini si contrappongono i Som- molisti, il cui più grande rappresentanto fu Pietro Lom- bardo (v. scolastica). Visio. T. Laster; I. Pico; F. Vice. Come la virtà è Pabitudine del bene, così il vizio è la pratica del male: come una sola azione buona non rende l’uomo virtuoso, così un’azione cattiva non lo rende vizioso. Il vizio può dirsi perfottamente organizzato nella paiche individuale, quando la pratica di esso non suscita più alcun rimorso nd determina alcun tentativo di reazione da parto del- l’individuo; allo stesso modo la virtù raggiunge la mas- sima perfezione quando il sno esercizio non richiede più alcun sforzo (v. abitudine). Volisione. T. Wollen, Volition; I. Volition ; F. Volition. Designa 1’ atto singolo © totale di volere, i cui momenti successivi sono: deliberazione, determinazione, esecuzione. Volontà. T. Wille; I. Will; F. Volonté. Insieme al sentire © al pensare costituisce uno dei tre aspetti fonda- mentali sotto cui si manifesta la vita psichica. Essa è quindi considerata diversamente a seconda dei modi di- versi con cui si spiegano lo funzioni della psiche. Men- tre nella vecchia psicologia in genere, il sentimento, la conoscenza e la volontà sono considerate come tante parti © facoltà distinte dell'anima, la psicologia contemporanea, «dominata dal concetto dell’ unità della psiche, ammette invece che esso siano tra loro così intimamente întreo- cinte, da costituire un organismo nel quale ogni parte non può funzionare senza il concorso delle altre. Uno dei problemi più dibattuti dalla psicologia e dalla filosofia nel passato era appunto quello dei rapporti tra la volontà © l'intelligenza; esso fu discusso specialmente durante tutto il secondo periodo della filosofia medievale, dapprima sotto forma di controversia psicologica, tendente a deci- dere se nel corso della vita spirituale sis maggiore la dipendenza della volontà dall’intelletto ο viceversa, po- scia sotto forma metafisica ο teologica, per l'applicazione sus al concetto di libertà morale. Per 8. Tommaso l’in- telletto è quello che determina la volontà, perchè esso solo comprende l’idea del bene 6 conosce in particolare cid cho è bene; quindi intelleotus altior et prior roluntale ; la libertà come ideale etico è quella necessità che si fonda sul sapere, e la libertà di scelta è' solo possibile se l’in- telletto offre al volere diverse possibilità come mezzi per lo scopo. Contro questo determinismo intellettualistico, che pone l'intelletto come supremue motor della vita psi- chica, si erige l’indeterminismo di Enrico di Gand, di Duna Scoto ο più tardi di Occam, per i quali invece la volontà è la forza fondamentale dell’ anima e determina lo sviluppo delle attività intellettive. Poluntas imperans intelleotui cat causa euperior respeotu actu eins, dice lo Scoto dell’uomo e di Dio; la rappresentazione non è mai se non la causa occasionale (causa per accidens) del volere singolo, ma la vera decisione è sempre affare della volontà; la quale è la forza fondamentale dell'anima, tantochè ὃ essa che determina lo sviluppo delle facoltà intellettive, ren- dendo distinte ο perfette solo quelle tra le rappresenta- zioni, alle quali rivolgo In sua attenzione. La stessa contro- versia ai trasporta poi nel campo teologico e metafisico: per i tomisti, la volontà divina è legata alla sapienza, nd essa superiore, di Dio, mentre per gli scotisti ciò costi- tuirebbe una diminuzione di potenza dell’ens realissimum, la cui volontà è veramente sovrana perchè scevra d’ogui determinazione, superiore ad ogni ragione, tantochà Dio, essi insegnano, ha creato il mondo per arbitrio assoluto © avrebbe potuto, volendo, crearlo ancho diversamente ; per i tomisti Dio comanda il bene perchè bene, e perchè è conosciuto como tale dalla sua natura, per gli scotisti Vou — 1240 — che quello è bene solo perchè Dio l’ha voluto e coman- dato; per i tomisti la beatitudine eterna è uno stato in- tellettuale di visione o intuizione diretta dell'essenza divina, stato che Dante espresse con somma bellezza, per gli sootisti la felicità ultraterrena è uno stato della volontà e precisamente della volontà tutta rivolta a Dio, ossia dell’ amore. Nei gecoli successivi il problema, perduto il suo apparato teologico, fu variamente risolto; in Spinoza, ad es., troviamo l'affermazione della inscindibilità del- l'intelletto e del volere, voluntae οἱ intellectue unum et idem sunt, non essendo la volontà « che un certo modo del pensiero come l'intelligenza »; per Kant « intelligenza ο volontà sono in noi due forze fondamentali, di cui la se- conda, in quanto vien determinata dalla prima, è la fa- coltà di produrre qualche cosa conformemente a una idea, che dioesi fine >, cosicchè l'intelletto è il vero legislatore © governatore della coscienza; per lo Schopenhauer la vo- lontà non solo è superiore all'intelligenza, ma è la forza suprema così nell’ uomo come nel mondo, la vera ed unica realtà in ed stossa « ciò di cui tutte le rappresentazioni, tutti gli obbietti sono il fenomeno, l'evidenza, 1’ obbiettivita; essa è ciò che v’ha di più intimo, il nocciolo d’ogni singolo e quindi del tutto; essa appare in ogni cieca forza naturale che agisca »; per 1’ Hartmann l’essenza del reale è invece 1’ Incosciente, che è ad un tempo idea e volontà, dalla prima viene la natura delle cose, della seconda l’esi- stenza, cosicchè con |’ Hartmann torna in onore il pro- blema sul primato della volontà o della intelligenza, che aveva già attratto così vivacemente l’acume dialettico degli scolastici. Per il Galluppi la volontà è la facoltà di volero; il volore a sua volta è un atto semplice, indef- nibile, la cui nozione non pnd esserci data che dal sonti- mento interiore, il quale ci insegna che, in seguito ad al- cuni voleri cominciano, continuano o cessano alcuni pensieri nel nostro spirito, e cominciano anche, continuano 0 ces- — 1241 — Vou sano alcuni moti del nostro corpo. Per il Rosmini la vo- lontà è quella virtù, che ha il soggetto, di aderire ad una entità conosciuta, mediante interno riconoscimento ; quando la cosa conosciuta sia qualche bene che l’uomo non ha an- cora, consegue un decreto col quale la volontà si propone di procacciarselo e quindi di mettere in uso i mezzi ne- cossari per arrivare a tal fine; quando il bene si possedeva già, consegue un affetto sensibile, che non è altro se nonun aumento o perfozione del piacere, ο a cui tengon dietro dei movimenti corporei. A quattro ai possono ridurre le princi- pali teorie contemporanee della volontà: 1’ intellettualistica, la materialistica, 1a sentimentaliatioa ο quella che attribi sce alla volontà un carattere specifico proprio. La prim sostenuta quasi unicamente dagli herbartiani (Drobisch, Lipps, Volkmann) considera la volontà come il somplice risultato di uno sforzo che una rappresentazione fa per conservarsi, impedendo che altre rappresentazioni la s0- praffaceiano. La seconda, sostenuta dai psicologi fisiolo- gisti, nega l’esistenza del volere come fatto psichico, fa- cendolo consistere unicamente nei processi fisiologici che V accompagnano ; tale può considerarsi la teoria dello Spencer, che definisce la volontà come « la rappresenta zione psichica di un atto che poi realmente si compie », © quella del Minsterberg, che la riduce all’ atto riflesso uccompagnato dalle sensazioni muscolari relative. La terza considera l’atto del volere como il risultato dello svolgersi del sentimento, senza spiegare in che modo, da un pro- cesso puramonte passivo quale il sentimento, derivi un fatto essenzialmente attivo quale la volontà. 1 ultima, che per contrapposto alle precedenti può dirsi porilira, riconosce nella valontà un fatto sui generis, οτί! mente diverso dalle rappresentazioni o dal sentimento. 11 maggior rappresentante di questo indirizzo è oggi il Wundt, che considera la coscienza come composta di due elementi, uno obbiettivo che è dato dalle rappresentazioni, e l’al- Vor — 1242 — tro subbiettivo, dato dal sentimento ο dal volere; nell’atto del volero, più ancora che nel sentimento, si munifesta la spontaneità della coscienza, sia che esso sia esterno (movimenti del corpo) sia che sia interno (scelta tra le impressioni esterne, modificazione nel corso delle rappre- sentazioni). Assai più completa e positiva è a tal riguardo la dottrina dell’Ardigd, che riconduce la volontà al po- tere impulsivo ο inibitorio delle rappresentazioni, le quali stimolano o trattengono a seconda del loro tono: ma co- desto potere delle rappresentazioni non è, a sua volta, che il potere dinamico degli organi centrali, cosicchè, se una rappresentazione ne provoca un’altra, è perchè il movimento fisiologico corrispondente alla prima provoca il movimento fisiologico corrispondente alla seconda. Tali stati ο le corrispondenze verificatesi tra gli apparati im- pollenti delle rappresentazioni © i motivi dei voleri cor- rispondenti, si fissano poi e si accumulano nella psiche, così da dar Inogo ad una somma virtuale di voleri; la volontà non è dunque altro che la somma di quegli stati di coscienza che nel doppio aspetto fisico-psichico della propria attività (dinamogonetica e inibitoria) determinano l'individuo ad un atto, rappresentato prima come fine. — Con l’espressione buona volontà ο volontà buona Kant intende la volontà razionale pura, che non è rivolta ai singoli oggetti ο ai rapporti dell'esperienza, nd da essi è determinata © dipende, ma che è determinata soltanto da sè stessa od è rivolta necessariamente al dovere: « La vo- lontà buona non trae la sua bontà dai suoi effetti ο dai suoi resultati, nò dalla sua attitudine a raggiungere questo © quello scopo proposto, ma solo dal volere, ciod da sò stessa; e, considerata in sò stessa, deve essere stimata in- comparabilmente superiore a tutto ciò che mediante essa si può compiere a profitto di qualche propensione, © per- sino di tutte le propensioni riunite. Se anche una sorte avversa o l’avarizia d’una natura matrigna privassero tale — 1243 — Vou volontà di tutti i mezzi per eseguire i propri disegni, se i suoi più grandi sforzi non approdassero à nulla, e se non rimanesse che la buona volontà sola,... essa brille- rebbe ancora di sua propria luce, come una pietra preziosa, poichè ricava da sè stessa tutto il proprio valore ». — Con l’espressione rolontà di potenza, Nietzsche intonde che i forti devono acquistare sui deboli un predominio asso- Into, e, spezzando ogni legame con la tradizione ο il ου- stume, devono celebrare il trionfo d’ una nuova concezione etica della vita; per il Nietzsche la libertà ideale dell’uomo è nel massimo grado dell’ espansione della vita, che può essere espansione cieca, orgiastica, dionisiaca, ma ancho apollinea, cioè regolata dallo spirito della conquista e dol dominio; conviene dunque, per salvare la dignità umana, invertire i valori morali tradizionali, © porre al di là del bene e del male un ideale etico improntato alla potenza, alla forza, al valore individaale, — Con la formula volontà di oredere, usata la prima volta da William James ο dive- nuta comune nel pragmatismo, nell’umanismo, nol fidei- smo, ecc., si esprimo l'efficacia dell’azione dei fattori non intellettuali, delle raisons de coeur, nel fondamento della fede; però, mentre James invoca l’aiuto della volontà e del sentimento solo a supplire alle deficenze dell’ intelletto, la formula fu poi allargata fino ad esprimere la sostituzione della volontà ο del sentimento all’ intelletto; così, per F. C. $. Schiller il pensiero puro © la logica formale non csi- stono, ogni ragionamento »i fonda sopra una credenza più © meno sentimentale, sopra un bisogno affettivo, ogni co- gnizione, per quanto teorica, ha un valoro pratico cd è per ciò potenzialmente un atto morale, la natura stesu della realtà è determinata dal desiderio e dalla volontà di conoscere. Cfr. W. Kahl, Die Lehre vom Primat den Willen bei Augustinus, Dune Scotur und Descartes, 1886; IT. Siebeck, Die Willenslehre bei Dune Scotua und seinen Nachfolgern. « heitserift für Philos. », vol. 112, p. 179 segg. ; O. Külpe, Vou — 1244 — Die Leh. v. Will. in die Peycol. d. Gegenvart, « Philos. Stu- dien, » vol. V, fasc. 2, 1888-89; Kant, Grundlegung sur metaph. der Sitten, 1882, 1; Nietssche, Jenseits ton Gut und Bose, 1886; W. James, The will to delieve, 1897; Orestano, Le idee fondamentali di F. Nietzsche, 1903; G. Villa, La peicol. contemporanea, 2* ed. 1911; Ardigò, Op. fil., vol. III, p. 15 segg., VII, 329 segg., IX, 308 segg.; G. Dandolo, Le integrazioni peichiche ο la volontà, 1900; A. Marucci, La volontà secondo i recenti progressi della biologia ο della filo- sofia, 1903; Th. Ribot, Le malattie della volontà, trad. it. 1904 (v. autonomia, motore, motorium, motivo, mobile, deci- sione, deliberazione, rolontarismo). Volontarismo. T. Voluntarismus; I. Voluntariem ; F. Vo- lontarisme. Nel senso suo più generale, ogni dottrina che am- metta il primato della volontà. Se la volontà è posta come la realtà essenziale di tutte le cose, come il principio primo del- V universo, si ha il volontariamo metafisico; se come fattore originario e fondamentale della coscienza umana, il volon- tarismo psicologico. Ὦ chiaro però che codesta distinziono è affatto relativa e nen sempre storicamente applicabile, in quanto il volontarismo psicologico appare come un co- rollario del metafisico, e questo a sua volta, non potendo avere le sue radici che nell'esperienza psicologica, ha il suo punto di partenza nel primo. In entrambi i sensi si oppone all’ intellettualismo e al razionalismo; nel secondo anche al sentimentalismo. Il volontarismo metafisico, per quanto abbia origini lontane, raggiunge la sua completa espressione solo con lo Schopenhauer, che sviluppa la dot- trina kantiana del primato della ragion pratica sopra la ragion pura. Da questa dottrina uscirono due forme di vo- lontarismo metafisico: il v. moralistico, ο moralismo, del Fichte, por il qualo il mondo attuale, con la sua attività, non è che il materiale per l’azione della ragion pratica, il mezzo con cui il volere raggiunge la completa libertà © realizzazione morale; il v. irrazionalistico dello Schopen- — 1245 — Vou hauer, che fa del volere la cosa in sò, manifestantesi in varie fasi nel mondo della natnra come forza fisica, chi- mice, magnetios, vitale ο più che tutto nel mondo animale come volontà di vivere, che s’esprime nella tendenza ad af- fermare sò stesso nella lotta per i mezzi d’esistenza ο per la riproduzione della specie. Questo è un volere inconscio, irrazionale, non si propone alcuno scopo nelle sue obbiet- tivazioni; da ciò deriva nel mondo la prevalenza dol malo sul bene. Naturalmente, qui la parola volere assume un «significato particolare, che lo stesso Schopenhauer ha posto in rilievo: « Ho scelto la parola Volontà in mancanza di meglio, come denominatio a potiori, attribuendo al concetto di volontà un estensione maggiore di quella posseduta fin qui.... Non 6’ era riconosciuto, fino ad oggi, 1’ identità es- senziale della volontà con tutte le forze che agiscono nella natura, 6 le cui varie manifestazioni appartengono a dolle specie di cui la volontà è il genere. Si erano considerati tutti questi fatti come eterogenei. Non poteva quindi esi- stere alcun vocabolo per esprimere questo concetto. Ho quindi denominato il genere secondo la specie più elevata, secondo quella della quale noi abbiamo la conoscenza im- mediata in noi, che ci conduce alla conoscenza immediata degli altri ». Il volontarismo psicologico, che costituisce forse V indirizzo prevalente della psicologia contemporanea, ha le sue origini lontane in S. Agostino, per il quale sia gli uomini che la divinità nihil aliud quam voluntates sunt, in. Duns Scoto e nei suoi seguaci, per i quali pure tota ani- mae natura voluntas est; le sue origini prossime nel Fichte ο nello Schopenhauer, per i quali, como vedemmo, 1’ cs senza dell’uomo sta nella volontà. Il Beneke sviluppò forma scientifica questo concetto, risolvendo la vita psi- chica in processi attivi elementari o impulsi, i quali, di- venuti originariamente attività per opera degli stimoli, devono, nell’ irrigidirsi del loro contenuto e nel loro re- ciproco accomodamento per l’incessante prodursi di nuove Vou — 1246 — forze, realizzare Vapparente unità sostanziale dell’ animn. Il Fortlage ha poi rielaborato il volontarismo del Beneke con elementi tratti dalla filosofia del Fichte; anch’ egli concepisce l’anima, e con essa puro la connessione delle cose, come un sistema d’impulsi, o forse nossuno come lui hu trattato così acutamente il concetto dell’ atto sonza substrato come fonte dell’ essere sostanzialo; l'essenza del divonire spirituale risiede per Ini in ciò, che da funzioni originarie scaturiscono contenuti immanenti medianto uno sviluppo sintetico, donde nascono le forme della realtà: psichica. 11 Wundt, valendosi del concetto del Fichte © del Fortlage, dell’atto senza substrato, considera il mondo come una connessione attiva di individualità volitive, ο limita l'applicazione del concetto di rostanza alla teoria naturalistica; l’azione reciproca tra le attualità volitive produce negli esseri organici unità volitive più elevate, e quindi gradi diversi di coscienza centrale, ma l’idea di una volontà e di una coscienza assoluta del mondo, la qualo si svolga secondo il principio regolatore, è al di là dei limiti della facoltà conoscitiva umana. Il Wundt si ar- resta a questo punto; altri arrivano all’ affermasione del volere come fondo ultimo della realtà, trasformando di nuovo il volontarismo psicologico in metafisico 6 incon- trandosi con una dottrina che, sotto varie forme, ha lar- ghissima fortuna ai giorni nostri: Pattualiemo, per il quale la realtà non è che energia, divenire, movimento, evoln- zione. L' essenza del volontarismo psicologico, che si limita ad una interpretazione dei fatti di coscienza, ci sembra Done espressa in queste parole dell’ Höffäing: « Se una di quoste tre specie di elomenti (sentimento, intelligenza, volontà) vuol essere considerata come la forma fondamentale della vita cosciente, questa è senza dubbio la volontà, L’atti- vità è una proprietà fondamentale della vita cosciente, poi- chè bisogna costantomente supporre una forza, cho man- tonga insiemo i diversi elomenti della coscionza, © ne fne- — 1247 — Vor via, per la loro unione, il contenuto d’una sola e mede- Sima conoscenza... Se dunque prendiamo la volontà nel Senso largo, come designante ciod ogni specie di attività legata al sentimento e alla conoscenza, si pnd diro che tutta la vita cosciente è raccolta nella volontà conte nella sua espressione più completa ». Cfr, Schopenhanor, Welt ala Wille u, Vorst., I, 1. II, $ 18 segg.; F. E. Beneke, Neue Grundlegung zur Metaphysik, 1822; Id., Dio noue Peycho- logie, 1845; C. Fortlage, Beiträge zur Psychol., 1875, p. 40 80gg.; Wundt, System d. Philos., 1889, p. 373 segg.; W. James, The will to believe, 1897; D. Sollier, Le volontarieme, «Rey, phil. », luglio 1909; H. Höffding, Peychologie, trad. franc, 1900, p. 127 segg. (v. attivismo, srrazionalismo, mo- bilismo, volontà). Vortice. T. Wirbel; I. Vortex: F. Tourbillon. Secondo alcuni dei primi filosofi greci, il vortico ο rotazione ciolica - (δίνη) è la forma fondamentale del movimento cosmico. Per Empedocle essa è prodotta dalle forze attive fra gli elementi, dall'amore e dall'odio; per Anassagora incomincia dalla materia razionale e finalisticamente attiva, per pro- seguir poi con consecuzione meccanien ; per Leucippo à il risultato particolare dell'incontro di più atomi. Così il Principio del meccanismo, rivestito ancora miticamente in Empedocle e in Anassagora, è con Lencippo pienamente elaborato: gli atomi, che volano senza regola nell’ universo, #'ineontrano qua e là, dando così luogo, secondo la ne- cessità meccanica, a un movimento complessivo rotatorio prodotto da vari impulsi dei singoli atomi, movimento che attrac a sè i singoli atomi o complessi di atomi vicipi, talvolta anche mondi interi; un tale sistema in continuo rivolgimento si suddivide in sò stesso, essendo gli atomi più fini lanciati alla periferia, mentre i più pesanti si rac- colgono al centro; in tal modo hanno origine in diversi tempi e in diversi luoghi dell’ universo infinito diversi mondi, ognuno dei quali si muove in ad per leggo meVuo — 1248 — canioa, finchò per un urto con un altro mondo vien forse distrutto o attratto e assorbito nella rotazione di un mondo più grande. La teoria dei vortioi risorge con Descartes, che con essa volle dare un fondamento alla concezione coper- nicana del mondo, e si giorni nostri, in sèguito special- mente alle nuove scoperte sulla radioattività della materia. Tolta ogni differenza tra ponderabile ο imponderabile, ri- dotta la materia ad un equilibrio instabile di elementi eterei, l’origine di ogni sistema siderale si fa risalire al- Vetere, per il differenziarsi nel seno di esso di vortici ani- mati da movimenti sempre più rapidi, fino ad agglome- rarsi in gruppi atomici, in nebnlosa sferica, in mondi, con una serie di fasi evolutive analoghe a quelle descritte da Lencippo. Cfr. Aristotele, Physioa, II, 8, 198 b, 29; Pla- tone, Timeo, 31; Plutarco, Plac. phil., 19, 1; Fontenelle, Entretiena sur la pluralité des mondes, 1686; S. Arrhenius, L'évolution dee mondes, trad. franc. 1910, p. 213 segg.; Giov. Bocquerel, L'év. de la matièro et des mondes, « Revue scientifique », 25 novembre 1911. Vuoto. Gr. Kevév; Lat. Vacuum; T. Leere; I. Empty; F. Fide. Lo spazio puro, ciod lo spazio penetrabile, privo della materia, L'esistenza del vuoto fu sostenuta tenace- mente dagli Atomisti contro gli Eleatici: questi dicevano essere incomprensibile l’idea del vuoto e affatto inconci- liabile con quella di essere; il vero reule, infatti, è uno ο immutabile, o non ammette quindi nd pluralità, nd di- ilità, nè movimento, che ha per condizione il vaoto. Gli Atomisti invece non ammettevano che due principi gli atomi e il vuoto, cioè In materia e lo spazio, ο l’esi- stenza del vnoto dimostravano mediante il movimento, la compressione di cui vari corpi sono suscettibili e con vart esperimenti inventati da Leucippo. La proprietà del vuoto è l'estensione, la quale è infinita, nd vi si può distinguere alto © basso, metà ed estremità; il sno ufficio è puramente passivo, © cioè di rendero possibile il movimento e la pla- — 1249 — Vuo-Zer ralità degli esseri, dividendo la materia con la sua sola presenza. L'idea del vuoto fa combattuta vivacemente da Aristotele, che avendo concepito lo spazio come qualche cosa di reale, © cioè come il limite del corpo contenente in quanto il corpo contenuto è suscettibile di movimento locale, non poteva ammettere uno spazio senza contenuto; la sua principale obbiezione è appunto che il vuoto, anzichè rendere possibile il movimento, lo renderebbe inconcepi- bile, perchè nel vuoto non c'è nè alto nd basso, mentre ogni movimento natnrale sì fa in questi dne sensi. Cfr. Aristotele, Phye., IV, 7, 9; Id., De coelo, 3, 4 (v. inane, eusere, direnire. nulla, spazio). Zero. Dicesi zero della sensazione l'intensità minima della modificazione della coscienza, che corrisponde alla intensità minima della eccitazione. Dicesi più comunemente soglia della coscienza. Più frequente è invece, l’espressione punto zero fisiologico 0 zero della sensazione termica; qual- ainsi temperatura degli organi nervosi termici che sorpassa tale punto è percepita come caldo, qualunque temperatura al disotto come freddo; ogni temperatura propria degli or- gant nervosi percepita come caldo, condiziona uno sposta mento in alto dello zero, percepita come freddo uno apo- stamento in basso: quando per effetto dello spostamento dello zero, questo coincide con la temperatura propria del- V organo nervoso, ogni sensazione di caldo ο di freddo cossa. Cfr. Hering, Sitzungsber. d. Wien. Ak., vol. LXXV, 1877 (v. aubminimali). Zetetica. T. Zetetik; F. Zététique. Si suol chiamare tnl- volta con questo nome lo scetticismo, che consiste appuuto in una ricerca (ζήτησις - ricerca) incessante in tutte le questioni, senza uscire dul dubbio, senza venir mai ad ans conclusione, positiva ο negutiva. Gli scettici, furon, detti Zoo — 1260 — anche efettioi ο aporetioi da ἀπορέω — essere inoerto, im- barazzato, dubitare (v. dubbio, dogmatismo, conoscenza). Zoofobia. Fenomeno psicologico, che consiste in una paura morbosa 6 irragionevole degli animali. Fa parte delle biofobie, paure morbose concernenti i rapporti con gli al- tri esseri viventi, e può aver per oggetto i ragni, i topi, i cani, ecc. Germanico non poteva vedere nè sentire i galli; il maresciallo d’Albret sveniva non appena vedeva la te- sta di un cinghiale; Enrico III non poteva sopportare In vista di un gatto. Cfr. Friedmann, Ueber den Wakn, 1894; Gélineau, Les peurs morbides, 1894. Zoolatria o Æooteismo. T. Zootheismus ; I. Zootheism ; F. Zoothéieme. Fenomeno religioso, che consiste nell’adora- zione degli animali e si rivela nei più infimi gradini del sentimento religioso; più precisamente, il, zooteismo è la rappresentazione e l'adorazione della divinità sotto forma di un animale, che è considerato non come il simbolo della divi- nità, ma come attualmente abitato da essa. Secondo lo Spen- cer la zoolatria avrebbe la propria origine nell’abitudine, che regna in certi popoli selvaggi e primitivi, di designare gli in- dividui col nome degli animali ; il coraggio del leone, l’astuzia della volpe, la velocità dello sparviero, ecc., sono riconosciute in questo o quell’ eroe della tribù, il quale per tal guisa vien simboleggiato col nome stesso dell’animale delle cui virtù caratteristiche è adorno. Succede poi che codesti popoli, ado- rando i loro defunti, finiscono, dopo un certo tempo, col non avor prosente di essi che il solo simbolo verbale; confon- dono la cosa con la parola; attribuiscono al leone, alla volpe, allo sparviero, ecc. le gesta degli eroi che ne portarono il nome, e tributano quindi a codesti animali il culto che aspettava agli uomini. Una particolarità della soolatria è la ofiolatria, ο culto dei serpenti. Cfr. Spencer, Principi di sociologia, trad. it, 1880, p. 218 segg. Zoologia. T. Thierlehre; I. Zoology; F. Zoologie. Nel senso più generale, è la scienza che studia lo forme, la — 1251 — Zo0-Z0R struttura, la genesi e lo sviluppo degli animali e le rela- zioni nelle quali essi stanno fra di loro e col resto della natura nel tempo © nello spazio. Così intesa la zoologia è scienza eminentemente sintetica, che ha le sue radi in tutte quante le scienze biologiche, come ls citologia, la paleontologia, l’embriologia, la teratologis, la fisiologia © specialmente l'anatomia comparata. Ofr. A. Giardina, Le discipline zoologiche e la scienza generale delle forme or- ganizeate, 1906. Zoomonera. Secondo |’ Haeckel, l'origine della vita, nelle sue manifestazioni anche più complesse, si deve ri- condurre alle monere, che sono le forme viventi più sem- plici che siano state osservate. Le monere sono di due specie: zoomonere, composte di zooplasma, e fitomonere, composte di fitoplasma; dalle prime hanno origine gli ani- mali, dalle seconde le piante. Siccome il fitoplasma pos- siede la facoltà di produrre sinteticamente il plasson, traen- dolo dai composti anorganici, e di trasformare la forza viva della luce solare ‘nella tensione chimica di combina- zioni organiche, così bisogna ammettere che il zooplasma - che tali proprietà non possiede e si nutre per assorbi- mento di plasma degli altri organismi - sia nato dal fi- toplasma, le zoomonere dalle fitomonere, le quali alla loro volta sarebbero nate per autogonia o generazione sponta- nea da combinazioni anorganiche. Cfr. Haeckel, Phylog. aystem., 1894, vol. I, $ 37, 38 (v. generazione, vita, organismo, vitale, vitalismo, organioismo, animiemo). Zoomorfismo. T. Zoomorphiemus; I. Zoomorphism; F. Zoomorphisme. Dottrina della metamorfosi dell’uomo in ani- male, propria di alcune religioni primitive, specialmente dell’egiziana. Cfr. Le Page Renouf, Lectures on the origin of religion, 1880, p. 182 segg. (v. metempaicosi). Zoroastrismo. T. Lehre von Zoroaster; I. Zoroastria- niem; F. Zoroastrisme. La roligione persiana, fondata da %oronstro sei secoli avauti Cristo ο carattorizzata dal dua- lismo tra il principio del bene e quello del male. Per essa il mondo, essendo una mescolanza di luce e di tenebre, di vero e di falso, di pensiero e di materia, presuppone l’esistenza di due principi, in lotta tra loro nell'universo, dei quali l'uno, Ormuzd, è il principio del bene, il dio della verità e della luce, l’altro Ahriman, il principio del anale, il dio della menzogna e delle tenebre. Nel Zend- Avesta, i libri sacri del zoroastriemo, è detto: « Al principio, Or- muzd, elevato al di sopra di tutto, era con Is scienza so- vrana, con la purezza, nella Ince del mondo. Questo trono di luce, questo luogo abitato de Ormuzd, è ciò che si chiama la luce prima; 6 codesta scienza sovrana, codesta purezza, produzione d’Ormuzd, è ciò che si chiams la Legge ». Ormuzd non ha prodotto direttamente gli esseri materiali e spirituali di cui l’ universo si compone, ma li ha generati con l'intermediario della parola, il Verbo di- vino: «Il puro, il santo, il pronto Verbo, io te lo dico chiaramente, ο saggio Zoroastro, era prima del cielo, prima dell’acqua, prima della terra, prima delle greggi, prima degli alberi, prima del fuoco, codesto figlio d’ Ormusd ». Ormuzd ed Abriman hanno ls medesima potenza; ma Or- inuzd, con 19 sua onniscienza, prevede tutto ciò che dovrà accadere, mentre Ahriman non può caloolare le conse- guenze delle proprie azioni che nel momento stesso în cui agisce. Il vantaggio della prescienza assicurerà ad Ormuzd la vittoria dopo un certo numero di migliaia d'anni. Cfr. Lehmann, Lehrbuch d. Religionsgesch., 1897, vol. IT; Zend- Avesta, trad. Anquetil, 1771, p. 38, 53.Ranzoli. . Grice e Ranzoli.
Tuesday, December 24, 2024
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