e e tende a
diventare la realtà nuova che sostituisce la realtà angosciante originaria, al di sopra della quale già si era sollevata l’immagine festiva. Ad esempio - ma l’esempio è tra i più significativi - la tecnica guidata dalla scienza moderna pensa già alla costruzione di una vita umana in cui la sofferenza e la morte siano allontanate il più possibile. La tecnica stabilisce la nuova aura festiva, più potente di ogni immagine festiva perché la festa, ora, è la produzione di una realtà nuova - la produzione che anticipa l’Apocalisse cristiana, dove la terra nuova e il nuovo cielo sostituiscono la vecchia terra e il vecchio cielo. Ma la logica della scienza, che sta al fondamento della tecnica, non è una logica della verità assoluta e incontrovertibile. È una logica ipotetica. La scienza stessa è un sapere ipotetico-deduttivo. La liberazione tecnologica dalla 303 sofferenza e dalla morte, per quanto stupefacenti possano essere i suoi progressi, rimane pur sempre una liberazione ipotetica, esposta cioè in ogni momento alla possibilità che l’intera legislazione scientifica si mostri incapace di dominare le cose e che l’uomo ripiombi nell’antica indigenza di una vita semianimale o addirittura nella propria completa estinzione. La tecnica non salva l’uomo dal nulla. Ogni salvezza è ipotetica. Il pensiero filosofico del nostro tempo è destinato a farsi udire dalla tecnica, a farle sentire che nessuna potenza può salvare necessariamente, incontrovertibilmente dal nulla, e che dunque la minaccia del nulla rimane sospesa su ogni avanzamento tecnologico della liberazione dell’uomo dal dolore e dalla morte. La nuova realtà e la nuova vita, che la tecnica produce sostituendo l’antica immagine festiva della realtà e della vita, si presenta così a sua volta esposta al dolore e alla morte, tanto più insopportabili quanto maggiore è la felicità dell’aura festiva che la tecnica sia riuscita a produrre. È a questo punto che l’arte può riproporsi come l’ultimo barlume dell’immagine festiva, che per la seconda volta si solleva al di sopra della realtà - al di sopra cioè di quella nuova realtà che con la tecnica sta oggi sostituendo l’antica immagine festiva e salvifica della realtà originaria. È, questo, il pensiero di Leopardi: quando - dopo il tramonto della verità definitiva e assoluta della tradizione occidentale (cioè dopo il tramonto a cui appartiene quel che Nietzsche chiama «morte di Dio») - appare che nemmeno la tecnica ha la potenza di salvare con necessità (ossia non ipoteticamente) l’uomo dal nulla, allora la potenza dell’immagine poetica che canta l’impossibilità di ogni salvezza non ipotetica dal nulla rimane l’ultimo barlume di quella forma di festa in cui la poesia e l’arte consistono - quella forma di festa dove è la potenza del canto, e non il suo contenuto, a salvare ancora per un poco dal nulla (cfr. E.S., Il 304 nulla e la poesia. Alla fine dell’età della tecnica: Leopardi, cit.). 305 3. Arte e tendenza fondamentale del nostro tempo A volte, certi essenti che chiamiamo «opere d’arte» stanno in una relazione specifica con l’«infìnito». Se non nel senso che essi «rappresentano senz’altro l’«infinito», nel senso che qualcuno crede che lo rappresentino. Ma, anche qui, ciò che la tradizione filosofica intende per «infinito» non può essere sempre presente, nel suo autentico e concreto significato, a chi crede in quel modo, ossia a chi ha quella fede. D’altra parte, anche se in tale fede l’«infinito» può apparire in modo indeterminato, ambiguo, inadeguato, a volte essa è tuttavia la fede di stare dinanzi a qualcosa di ultimo, non oltrepassabile, intoccabile. Sono i casi in cui anche l’uomo comune è disposto a parlare della «bellezza» di ciò che gli sta dinanzi; e sono i casi in cui l’uomo comune nomina come può l’«infinito». Beati gli umili (gli uomini comuni), perché di costoro è il regno dei cieli - dove, in questo caso, il Regno dei Cieli è il regno della bellezza che appare aH’interno della fede (ingenua, umile) che qualcosa sia il senso ultimo delle cose, inoltrepassabile, intoccabile. Schelling, come Hegel, non parla di «fede», ma di una «rappresentazione» che, sia pure «per riflesso», è verità che essa abbia come contenuto l’«infinito», cioè Dio. Si tratta della «verità» dell’intera tradizione filosofica, che giunge al suo culmine ma anche al suo compimento. Si può parlare di «arte contemporanea» prescindendo dalla tendenza fondamentale del nostro tempo? Si può parlare di un uccello migratore - sapere che natura abbia, da dove venga e dove vada - prescindendo dallo stormo che sta migrando? Oggi il grande stormo del nostro tempo sta migrando verso l’estrema lontananza da Dio. Il grande uccello dell’arte non può che andare nella stesa direzione. Schelling è ancora un grande amico di Dio, ossia dell’«archetipo» per eccellenza. 306 L’arte contemporanea sta invece vivendo anch’essa ciò che Nietzsche chiama «morte di Dio». Ci si accorge che la «materia» è senza «luce», il «reale» senza «ideale
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