Grice ed Ajello: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Napoli –
filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Napoli, Campania. Grice: “I
love Ajello; bevause he was a Plathegelian, while I’m an Ariskantian; I always
found Plathegel very HARD to understand, Ajello doesn’t; there’s something in
an Italian that makes Hegel’s Dutchiness very comprehensible, even more so than
to the Dutch themselves!” Filosofo -- discepolo di Puoti, aprì uno
studio privato come maestro ma ebbe vita stentata fino a quando ottenne un
posto al ministero dell'Istruzione.
Partecipa ai moti e per questo fu licenziato in tronco. E arrestato e
gli e vietato l'insegnamento pubblico e
«di far uso anche moderatissimo della stampa», per cui dove tornare
all'insegnamento privato della filosofia e della letteratura. Seguace convinto della filosofia hegeliana,
che contribuì a diffondere in Italia, basa la sua filosofia soprattutto
sull'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio. Opere: “Della
muliebrità della volgar letteratura dei tempi di mezzo”; “Napoli e i luoghi celebri
delle sue vicinanze”; “Discorsi di storia e letteratura” -- Enciclopedia
Italiana Treccani alla voce corrispondente
Opere di Giambattista Ajello, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. CONSIDERAZIONI SULLA MULIEBRITA DELLA VOLGAR
LETTERATURA DEI TEMPI DI MEZZO. questa operetta del signor Ajello, della quale
han già tenuto parola vari giornali del regno, sorge in ul timo luogo a dar
contezza ilProgresso. Nè ciò senza ra gione, perocchè, essendo l'Ajello uno
de'collaboratori de' quali il nostro giornale si pregia, il nostro qualsiasi.giu
dizio sarebbe forse paruto sospetto, e noi, diffidandone a ragione, abbiamo
aspettato che ci avesse preceduto quello di altri non ligati a lui collo
stesso. vincolo di amicizia. Per la qual cosa avendomi io in particolare, senza
dissi- ' mulare a me stesso la malagevolezza di giudicar l'opera di uno amico,
tolto l'incarico di qui ragionarne mi converrà avvertire che riassumerò le idee
dell'Ajello non dal solo libretto di cui è qui sopra rapportato il titolo, m a
da un suo lungo articolo ancora inserito nella Rivista Napolitana, nel quale,
rispondendo l’Ajello alle o b biezioni del culto Gatti ha meglio Museo di
letteratura e filosofia, vol.I.° opera periodica compilata per cura di
Stanislao Gatti, alla quale auguriamotuttoquel successo đi che l'ingegno del
Direttore ci è larga guarentigia sviluppato le sue idee e dileguato quei dubbi
che per a v ventura avrebbono potuto far nascere. Dall'uno e l'altro lavoro
cercherò cogliere il pensiero dell'autore qual si c o n viene a chiunque prenda
a disaminare un'opera nell'in teresse solo del progresso del pensiero, non già
per m i serabili e grette vedute individuali, per le quali cercasi trovare una
contraddizione in ogni pagina e far la guerra non ai principi, m a
agl'individui, privilegio di separazione alla repubblica letteraria solo
concesso. Ecco dunque la serie delle ragioni principali d’A. discorse e
rapportate, quanto più per m e si potrà, colle sue stesse parole. Ogni
qualvolta si porti la nostra attenzione sui versi ed opere di arte che ci ha
tramandato l'antichità ed a quelle che nel medio evo ebber vita, non sipuò non
re star colpito dalla capital differenza che le separa. Nelle prime nate in
mezzo alle culte e pulite società di Roma, vediamo farsi della donna quel conto
che d'ogni cosa si farebbe da cui ci provvenisser soltanto vo luttuose dolcezze
'e vivaci e corporali diletti: laddove nelle séconde, comunque nate in mezzo a
feroci e brutali pas sioni e lotte continue di elementi tra loro pugnanti e d i
scordi, son le donne reputate quasi di superiore e più n o bil natura e fattevi
obbietto d'uno entusiastico culto e d'un devoto e mistico amore. Vediamo la
passione espressa nei versi degli antichi esser meglio ardenza di voglie ed
ebbrezza di sensual godimento che puro e indefinito desio ed abbandonevole
affetto ed obblio di se stesso e del mondo nell'amata persona, come ne'poeti
del medio evo si o s serva. E però campeggiar ne'primi la gelosia,la quale in
sostanza (come bellamente si esprime l’Ajello) è amor proprio, è poca o niuna
stima dell'oggetto amato, spa rire interamente dalle opere dei secondi, cantori
di una passione più dell'antica disinteressata e gentile. Questo puro e spirituale
amore, questa stima ecces siva, questo universale e presso che religioso culto
fatto nel medio evo alle donne, è ciò che si chiama dall’Ajello muliebrità
della moderna letteratura con vocabolo di cui non starò affatto a disaminar la
convenienza, bastandomi aver significato ilpensiero che ad esso congiunge
l'autore. É di questo singolare e non mai più veduto fatto, il quale, se
costituisce la differenza di TIBULLO da PETRARCA in quanto ai lor pensieri ed
affetti amorosi, forma un nuovo ed i m portante elemento della nostra
letteratura, che rende r a gione il suo libro,cercando principalmente dare al
fatto un fondamento, come l'autor dice, nella natura umana, avvalorando in tal
modo e psicologicamente spiegando quei fatti, che, storicamente affermati, son
mutabili e troppo speciali ed angusti perchè la Scienza della storia debba
farne un gran caso. La qual trattazione spero non sem brerà inutile ad alcuno o
di mero passatempo, imperoc chè se la letteratura forma parte integrante della
vita di un popolo e quindi della sua storia, nè si può senza colpa per trattar
l'una trascurar l'altra, 'e se la patria nostra si è fatta felicemente studiosa
delle sue memorie del medio evo le quali, se non sono le più liete,sono certo
lepiù gloriose, il saggio dell'Ajelo non giunge certamente inopportuno, ed egli
riscuoterà senza dubbio il plauso di tutti coloro che rettamente sentono e
pensano.Ilche assaibe ne, nè poteva altrimenti accadere, intese lo stesso
Ajello il quale, mostrando nella sua introduzione esser quella tal muliebrità
principal differenza della moderna letteratura dal l'antica, massime
considerandola ne'suoi lontani effetti sulla vita ed il pensar delle nazioni,
ed i nuovi e signoreggianti elementi delle moderne lettere star nell'amore e la
morte; assai logicamente concludeva doversi il lavorare intorno ad uno di
questi elementi reputare opera per la moderna critica importantissima. N o n
voglio con ciò dire essere egli stato il primo ad investigar le cagioni di
questa che con lui chiamerà volontieri muliebrità della moderna lettera tura,
chè già, comunque per lo più senza prove e quasi dommaticamente assunte, varie
opinioni eran corse sul l'oggetto e di reputati scrittori tutte e dallo stesso
A. a quattro ridotte nel seguente modo. Che il Cristianesimo in 'ispezialtà sia
stato cagione del devoto e più puro amor per le donne. Parole di BALBO nella sua lodatissima vita d’ALIGHIERI.
Ch'ei sidebba alle invasioni degl’arabi, massime alla vicinanza dei mori di
Spagna. Che soprattutto ei sia necessario e natu ralissimo effetto delle
sociali e locali condizioni in cui f u ron posti gl'invasori, poichè presero
più ferma stanza sul territorio romano, e che ilfeudale ordinamento ebbe aqui
stato alquanto di consistenza e di stabilità. Che sieci stato recato dalle
genti germaniche con tutti gli altri lor costumi statici narrati e descritti da
C e sare, TACITO ed AMMIANO MARCELLINO. Or, movendo dalla prima opinione
sostenuta precipua mente da scrittori Tedeschi per una certa loro inehinevo
lezza all'astratto e più per reazione alla miscredenza del secolo passato, ecco
le ragioni che ad essa oppone l'a u tore. Essere il fatto di cui è parola
apparso al secolo undecimo e però aver dovuto la cagione aver prima ope rato. Or
in quella sorta di tempi potea forse la Chiesa aver qualche possanza, m a ogni
buono effetto il qual d e rivasse proprio dall'indole della religion cristiana,
dovea esser contrastato e depresso fra la grossa ignoranza e lo scompiglio e il
grido di bestiali e matte passioni. Con che non s'intende dire il Cristianesimo
non avere avuto potere a quei giorni, m a che la sua spirituale e gentil n a
tura non potea avere in tanta barbarie e in si profonda ignoranza pieno e
libero effetto, ma scarso e poverissimo. In fatti la vera e nobil sua natura
troviamo sconosciuta, e praticato solo ciò che avea di più esteriore e formale,
e di Concilie di Papi contro i tornei, il duello e di giudizi di Dio gridar
vanamente. Aver senza dubbio il Cristianesimo conferito potentemente a migliorar
la condi zionefemminile,ma nonperciòpotersidireche,eman cipando la donna,
producesse poi quel puro amore e reli gioso culto che nel medio evo si ottenne,
essendo questi due fatti non pur diversi, ma sino ad un certo segno in
dipendenti e slegati, di sorta che sonosi appresso scompagnati sempre e
fuggiti. Esser l'amore cantato ne' tempi di mezzo gentile e purissimo, m a si
profano e quasi idolatra. Or se si rifletterà che il Cristianesimo immoto e
fisamente stretto cogli occhi al Cielo e all'altra vita, come al solo vero
scopo dell'uomo, tenga la terra un esilio e transitoria stanza di sperimento,
ed abbia sempre temuto che avesse pregio e bellezza; si vedrà che
cosa dovesse pensar delle donne, di queste possenti allettatrici de'cuori
umani, delle quali non ci ha cosa che più grande e general potere abbia
sull'uomo, che meglio e con più forza il discosti e distolga dai celesti e
santipensieri. Ecco perchè il Cristianesimo, qual si mostrò nel decimo ed u n
decimo secolo, promosse il celibato, popolò di anacoreti i deserti della
Tebaide e, riferendo ogni nostra mise ria al malaugurato potere ed alle
lusinghe della donna (di che tristi e multiplici esempi glie ne fornivano le s
a cre carte-) vide in costeimen la compagna che la se duttrice é quasi la
principal nemica di lui, ed, anzi che confortarci ad amarla, non ha fatto, nè
fa tuttavia, che distorci dal porvi affetto grande e terreno, come dal più
tenace e periglioso laccio del nostro animo. Nel ROMANO IMPERO di Levante, ove
più liberamente ed ef ficacemente la Religione Cristiana operò, quel che era
suo effetto averlo avuto, migliorar cioè la condizion delle donne, come si può
veder nelle leggi pubblicate da Giu stiniano; m a nessuna ombra trovarsi nelle
opere di quel tempo della muliebrità occidentale, niente d' amore che almen
puro fosse e gentile. La quale ultima cosa non es sendo giunto a produrvi dopo
ben dieci secoli di non contrastato impero,tanto meno si potrebbe tener come
cagione della muliebrità della letteratura d'Occidente quando anche si volesse
concedere che qui campo m a g giore egli si avesse.ottenuto. Il che tanto più
sembrerà vero in quanto si osserverà quel grande ed universale amore, che nei
cristiani poeti de'mezzi tempi vediamo, trovarsi a un di presso in quei paesi
ed in mezzo a quei popoli che usaron di avere più mogli e chiuse le ten nero e
schiave; e più nel mezzodi della Francia che in Italia, ove il Cristianesimo
dominò maggiormente; ed es serne rimase le tracce più nella classe cavalleresca
e g e n tile che nella media e popolana, sulla quale sempre di L'influenza
degli Arabi sulla muliebrità dell'occiden tal letteratura vien rigettata
dall'Ajello sull'appoggio delle seguenti ragioni 1.o Perchè non ci si poteva da
essi r e care ciò che non avevano, essendo la loro letteratura, come tutta
quella delle genti orientali', obbiettiva e sensia gior potere il Cristianesimo
fa prova. magbile, e priva interamente ed ignara di quel profondo ed in
definibil desio, di quel levarsi dell'animo oltre ai confini del finito e del
presente in una sfera più pura e beata che pur cosi spesso accade trovar nella
nostra. La qual dif ferenza dell'araba dalla nostra letteratura trova una giu
stificazione a priori nel clima, stantechè, secondo l'Ajello, un clima nordico
o temperato farà le donne più caste e restie, quindi più stimate e libere, e
l'amore più disip teressato e gentile che sensuale ed ardente, ed esprimente
anzi il grido e il lamento d'un principal bisogno del cuore che un corporale
appetito; dovechè sotto meridionale e caldissimo cielo, gli uomini poligami ed,
invece di dolci e sole compagne, chiuse le donne e soggette, l'amore non rivestirà
la stessa fisonomia. Essere il fatto di cui è parola della natura di quelli che
non si possono comunicare da un popolo all'altro, nè procedere da altro che da
intrin seca e spontanea cagione. E ciò per non essere l'amore cantato nel medio
evo artifizioso o bugiardo, m a sì bene profondamente sentito e spontaneo, e
gli usi galanti e cavallereschi ingenerati e tenuti da universali bisogni e da
affetti veraci e potenti tanto che vediamo il culto per le donne penetrato sino
nelle leggi barbare, le quali provveg gono sempre a certi e già provati bisogni
e non a quelli eziandio che si possono temere. Oltrechè le usanze d'un popolo
possono derivare da'suoibisogni ed affetti, non questi da quelle, massime in
popoli giovani e rozzi e però di altera e disdegnosa natura, ne'quali le usanze
non sono mai recate e tenute da capriccioso impero di moda o da servile
imitazion degli stranieri, come in più colti e vanitosi tempi interviene, ma si
derivano d’alcun bisogno oopinioni che essi abbiano. Perchè la storia mostra
esser la gaia scienza passata in Ispagna,sededegliArabi-mori, dalla Provenza,checo
storo (dappoichè non se ne trova traccia in Oriente, ne le sociali condizioni
il concedevano ) ricevettero dai Cristiani le costumanze cavalleresche, e
queste, invece di a p parir prima in Ispagna,poi nella Francia, in Alemagna e
finalmente nella remota e divisa Inghilterra, vedonsi apparir prima in Provenza
e in Alemagna e in Inghilterra ed assai più tardi nella Spagna che,per la
vicinanza dei Mori, avrebbe dovuto prima averle. Perchè infine, se i costume
dei Mori non furono indarno pei lor vicini, 'non è da credere che grandi
eprofondi ne fossero stati gli ef fetti a cagione delle sterminatrici guerre
religiose, e della differenza di culto e di lingua. Al che si aggiunga esser
tale la diversità del genio orientale da quel d'Occidente che quel che di arabo
si trovi nelle spagnuole scritture e dicristiano nelle arabe si possa
agevolmente scorgere. Escluse in questo modo le due prime opinioniche al
Cristianesimo ed agl’arabi riferiscono la muliebrità della occidental
letteratura, viene l'autore a fermar la sua opi nione, la quale si compone in
parte dalla unione delle ultime due", di quella, cioè che ai Germani
attribuisce il nuovo culto che ebber le donne, citando Tacito e gli altri
romani storici che di loro scrissero; e dell'altra che, negandolo, il fa
singolarmente nascere dalla vita feudale; opinioni che, cosi sole e divise come
sono, paiono al l'autore assai ristrettive ed anguste, e per giunta inelte a
spiegar tutto il fatto. Il che, volendosi fare, soggiunge con assai
d'accorgimento, è mestieri cercarne la cagione pro prio in grembo e nell'indole
dell'età che lo accolse e m o strò; e però bisogna con ogni studio possibile e
partita mente'esaminar quello che costituisce il medio evo, in somma quei
generalissimi fatti che mutaron la faccia di Europa,e rovesciando ilRomano
Imperio,nascerfecero é detter forma e colore alle nuove società d'Occidente. Or
principali elementi della nuova civiltà essere il roma no'; il cristiano e il
germanico, nè trovandosi il nuovo amor del medioevo nel primo elemento, nè
derivar po tendo dal secondo, resta che in ispecie almeno e sopra tutto
dall'ultimo derivi. La venuta infatti d'un giovine é poetico fatto non potersi
altramente spiegare che per mezzo di coloro che ristorarono la nostra
vecchiezza con la robustezza e gioventù loro, e ci affrettarono per la via di
progresso e di moral perfezione. E poichè i Germani stanziatisi nelle terre
romane eran venuti sotto il doppio ed efficace potere della civiltà antica e
della religioncrie stiana, doversi perciò esaminar questo fatto e questo scon
tro, considerando i Germani 1.o come genti uscite di tra 1
montana: come uomini barbari, pur non selvaggi: come bellicosissimi: come
stanziatisi isolati e di visi per le campagne, indi costituitisi in feudale
ordina mento: 5.0 come popoli giovani e vigorosi accostati al potere di una
civiltà antica e grande e d’una religione mansueta e gentile. Questo
quintuplice modo di copșide rare i Germani, bello senza dubbio e fecondo
d'impor tanti applicazioni, produce la suddivisione di questa se conda parte
del libro dell'Ajello in cinque capitoletti che riassunti contengono: 1.°
Ilfreddo e duro clima, sepa rando e concentrando le famiglie, e impedendo la
poli gamia, dar naturalmente preminenza e crescer stima alle donne; e facendole
più schive e pudiche, e di maggior verginal compostezza e matronal decoro
dotate, render p e r ciò l'amore assai più puro e devoto, anzi quasi estatico e
contemplativo. Con che l'autore non intende dire essere di questa natura stato
l'amore delle rozze e selvatiche genti venute sul territorio romano, ma solo
che in esse, come abitanti di settentrionali contrade,esser ne dovea la natural
disposizione e quasi il germe, il quale, ingenti litisi gli animi, n o n potea
rimanersi luogamente ascoso, ed infecondo. Essere i Germani venuti in Occidente
genti barbare si m a non già selvagge e, per lo contatto col Cristianesimo e la
romana civiltà, nel secolo undeci mo pervenute a quel giovine stato di coltura
che è il primo uscir della barbarie e che eroico o poetico si chia merebbe, in
cui l'amore ha più generale e grande effi cacia, a differenza dei tempi
selvaggi ove la sola parte brutale e sensibile predomina, e degl'inciviliti
ne'quali la civiltà, aguzzando la facoltà riflessiva e scolorando l'im
maginazione, toglie ogni prestigio e possanza all'amore. Essere genti
bellicosissime, presso le quali sogliono tenersi in molto pregio le donne; la
qual cosa pruova l'autore con l'esaminare in che mai psicologicamente con sista
l'amore, e mostrando ch'è ilcompimento dell'umana natura; che perciò congiunge
proprietà opposte, m a leo gandole armonicamente; che tutte le qualità virili
pos sonsi ridurrre alla fortezza, le femminili alla debolezza; e che in
conseguenza chi daddovero è uomo ed ha in se uso e coscienza di moral fortezza,
più inclinar deve ad amare, e a stringersi allato il timido e debil sesso;
tap topiù che i forti son più magnanimi e di più aperto e gen
tilcuore,eperòpiùproclivi all'amore. Che, natalaca valleria, questa alla sua
volta avere assai conferito a cre scere stima edonore alle donne, le quali la
storia stessa, in conferma di queste teoriche,mostra stimate più in Isparta che
nelle altre parti di Grecia, ed in Italia più tra gl'indo mabili Sanniti ed I
BELLICOSI ROMANI che altrove. Aggiugnersi a ciò la feudalità la quale, per
lasciar spesso alle donne e fino in seno alla domestica vita un alto e quasi so
vrano posto, dovette grandemente aiutare il loro svolgimento morale, e perciò
di molto conferire a farle generalmente v e nire in considerazione ed opore,
non già come causa unica, non essendo nè cosi generale nè efficace di tanto che
possa pressochè sola bastare a rendere ragione del fatto. Nel quinto capitolo
finalmente, annodando tutte le sparse fila del suo lavoro, ecco,coine l'autore
formola la sua opinione, la quale, per essere stata assai ben rias sunta da lui
stesso nell'indicata risposta al Gatti, mi per metterò qui trascriverla. » lo
stimo, egli dice, che nel giovanile elemento della società di quel t e m p o,
così per la natural disposizione che ne recarono i vincitori per effetto dello
stato eroico a cui dopo la conquista per vennero, dell'indole forte e guerresca
che maggiormente si svolse tra noi, e della vita feudale nata dalla conquista,
fosse il fomite, il germe, e un'inchinevolezza grande ad amare e a stimar molto
le femmine. D'altra parte, nel Cristianesimo e nella civiltà romana era 1.o un
pensiero é un principio opposto; 2.° molta gentilezza e moral col tura. Il
pensiero e il principio opposto non avea potere di contraddire a quella
gagliarda e natural disposizione di giovane società: conciossiache, quanto
all'elemento r o m a no, per esser vecchio e stanco, eoltracciò in alcun modo
corretto e purificato dalla religion cristiana, se non era in esso l'amor puro
e devoto,neppure era l'amor bru tale e la disistima delle età antiche e pagane;
e quanto al Cristianesimo, sanno i miei leggitori quanto poco in quella sorta
di tempi valgan gl'insegnamenti, e le caute e fredde ragioni in mezzo al grido
e alla forza di caldi e giovani affetti, sempre più avvalorati da tante cagio
che ni,e poi dalla presaepiaciut ausanza. Rimaneanell'ele mento romano e
nel cristiano la gentilezza e la moral col tura; e perocchè queste non
contraddicevapo, alla detta natural propensione, anzi, ingentilendo gli animi e
i m o di, aiutavanla e snodavano, furono subito accolte da quelle genti rozze;
chè è nota la spontanea proclività nostra al vero ed al bello, massime quando
paion nuovi ed ignoti. In s o m m a, a dirla breve, ciò che nel Cristianesimo e
nella civiltà romana era contrario all'amore eccessivo e devo to, fu da giovine
e gagliarda forza vinto e depresso;e ciò che non lo impediva e vietava, m a
aiutava e svol geva, fu spontaneamente accolto é voluto. Questa parte io fo
all'ELEMENTO ROMANO e al cristiano; nė mi spiace rebbe di farla anche agli
Arabi in alcuna mapiera, pur chè in sostanza mi sia conceduto ch'eglino,
ingentilendo inostri,aiutarono il fatto, non già comunicandone il germe, o
dandolo già bello e formato,che è la sola cosa da me contraddetta.» E più sopra
lo stesso Ajello dice « Feci vedere che il fatto che io m'ingegdava di spiegare,mostrava
chiaro uno scontro di nuovo e di antico,di gioventù e dim a turità e quasi una
doppia e biforme natura: e che però dovea esser nato da opposti e contrari
elementi, o dallo scontro e fusione che io dissi del mondo romano e cri stiano
col barbáro'o germanico. Difatto, quanto alla parte giovanile, primitiva e
poetica, in Achille è quello a p punto che è nel Tancredi del Tasso; v'è tutto
il verde è la rude e virginal gagliardia di un giovine mondo. Se da Tancredi è
diverso, mancagli il:sentir delicato e gentile, e quella fina cortesia, e
quella sociale e m o ral raffinatezza'; mancagli insomma l'elemento romano e'l
cristiano che soli di tutto questo potevano esser cagione. Ed io nel saggio il
conferma i colla storia, mostrand o: 1.o che se ci ha luogo in Occidente, dove
con quasi pari forza si scontrarono l'elemento romano e il germanico, questo
luogo è il mezzodi della Francia, vero anello e temperamento fra la preminenza
romana d'Italia e il si gooreggiante spirito franco del settentrione; e che
quivi udironsi i primi canti d'amore, quivi la cavalleria prima apparve: 2.o
che a tutti gli altri grandi ed universali i Germani, o certo tanto
inferiore a quello delle nostre genti che ne soffrirono l'invasione fatti
di quella età è comune il doppio e biforme aspetto del nostro, e quanto alle
lettere tolsi ad esempio le cro nache e il poema di Dante, provando in tal modo
che questa è la propria rappresentativa sembianza del medioevo, e che però è
necessario che ogni grave e universale fatto dei mezzi tempi abbia la stessa
impronta e natura. Ecco, se non andiamo errati, la esposizione fedele delle
cose dall' Ajello discorse con uno stile, del quale non potrò certamente essere
io quello che porterà giudi zio; m a che alla universalità dei leggitori ha
lasciato d e siderare concisione maggiore, e minori proposte e promesse,
massime in un libro, comunque di molta sostanza, picciola fare che si vcol dal
dei nostri, nacque e vive sotto lo stesso Sole naturalmente all' astratto,
costretti, in non dovrà tenermi, che o pullo esso mole pur sempre. Volendo poi
dir qualche cosa della questione brevi osservazioni sul merito alcune l'Ajello
esercitato sulla nostra letteratura da quei lurchi barbari, i quali mi pesano
sull'anima peggio, nè mi par vero ai verso la terra ladizione da loro tanto
beneficio. E primamente che, per amor belli ridenti Tedeschi natale, si
piacciono gli antichi costumi di che i poeti fan sempre descrivercene l'aurea
semplicità di tutta itempi antenati sia venuta pretensione la riforma rimo tissimi,
condonando che dai loro rozzi e feroci ad essi la strana costumi; non posso
comportarmi nellostessomodo con chi, la Dio mercè di VIRGILIO ed ALIGHIERI. Inclinati,
mi permetterò contro il potere anzitratto d'una m a che siavi chi possa
riconoscere, perdonando non mai riprovevole i primi che irradiò la cuna difetto
di campo, a vagare tra le nuvole, non è maraviglia migliore si sforzino
dipingerci vaghi colori.Chiunque esser preoccupato che di quella egualmente
riguarda il presente lavoro alla donna, non temerò di affermare, il rispetto,
cioè zialmente mostravasi presso i Germani, il loro tempo non si trova nella
stessa posizione che antico adorno di tanti. E, per non parte sola de'costumi
trat che più spe di da non potersi affatto indicare quale aiuto o
incitamento avesse potuto riceverne. Già ormai tutti convengono a non prestar
moltissima fede all'opuscoletto sui costumi dei Germani, che Tacito si piacque
comporre mosso da profonda indegnazione per i pervertiti costumi de'suoi
concittadini. Le memorie dell'antica Roma sono sempre presenti al pensiero di
questo venerando scrittore, che, trasportandole là dove crede trovare ancora
energia,comunque selvaggia, di vita e mancanza di mollezza e di servitù,
sperava puter far vergognare i suoi compatriotti della perdita di quelle virtù
cheu n tempo formarono la loro gloria e potenza, ed eran passate ad abbellire
la vita di un popolo ta nto ad essi per intellettual coltura inferiore. O che
iom'iną ganno, o certo quanto di buono attribuisce TACITO, ai Germani s'appartiene
ai primi tempi della romana virtù. Dimostrarlo importerebbe oltrepassare
ilimitidel presente articolo, nè per fermo varrebbe molto alla soluzione della
questionecheho peroratralemani.Pure,ammessoche i Germani pensassero essere
nelle donne qualche divinità re e provvedenza e che tenessero conto de loro
consigli e sponsi, non saprei facilmente comprendere come possa ciò aver
contribuito, per quanto sivoglia menoma parte, a quello spiritualismo d'amore
che nel medio evo ebbe vita. Quella stessa opinione che Tacito attribuisce
aiGer mani la storia ha segnalato ne'selvaggi dell'America e negl’antichi Galli
e NEI ROMANI STESSI, presso i quali le Sibille e le maghe e le facitrici di
sortilegi, femine tulle e credute inspirate, dimostrano la generalità della
stessa credenza figlia, come par sia chiaro,del Paganesimo. Ne questa credenza
stette meno in compagnia d'uno amor tutto materiale, anzi presso di alcuni
popoli colla disistima delle donne, come massimamente presso i Germani,.i quali,
staudo allo stesso testimonio di TACITO, in nes suna considerazione civile le
aveano. Ma di questo così lontano ed Oscuro tempo sarebbe inutile cosa occupar
ci, potendo gli stessi Germani essere considerati più da vicino, quando, cioè,
si son fatli vedere in mezzo di noi, fuori delle loro selve natie: tanto più
che lo stesso Ajello conviene esser quell'asserzione priva d'ogni psico logico
e scientifico fondamento, nè bastare fermarsi a' soli Germani, ma esser
necessario venirli seguitando noi conquistati paesi, e vedere e notare come vi
simutino e sfigurino per il poter della romana civiltà ed anche della religione
che vi trovano già stabilita e potente. Nella qual trattazione progredendo,l’Ajello
ba poi,come bo disopra fatto vedere, lasciato una parte molto importante ai Germani
sul mutato aspetto d'amore, poggiandosi a ragioni le quali non mi sembrano tali
da non poter meritare ós servazione alcuna in contrario.Esse infatti si
presentano a prima vista sfornite di qualsiasi appoggio storico, e ri vestono
un carattere a priori, di che l'autore stesso pare si compiaccia e faccia pompa
a disegno. Il suolo romano, egli dice, era occupato da genti venute di
tramontana, barbare non selvagge, bellicosissime e giovini accostate al potere
d'una civiltà antica e grande, e d'una religione mansueta e gentile,
stanziatesi iso late e divise per le campagne e poi costituitesi in feudale
ordinamento. Or se in mezzo ad esse poste in tali con dizioni muta sembianza
l'amore e di passionato e caldo si fa più puro e quasi contemplativo, fa d'uopo
ad esse genti in quel m o d o considerate recarne la cagione. Conciossiacchè
gli uomini del settentrione, ove le donne sono naturalmente più che altrove
libere e stimate, amano d'uno amore più modesto e divoto, benchè non irrequieto
e torbido,,e giunti sul territorio nostro si trovarono non solo in uno stato di
eroismo in cui l'amore ha più generale e grande efficacia, m a forti abbastanza
di tutta quella fortezza che è madre di generosità e magnanimità, produttrici
esse sole di vero e nobile amore. Queste ragioni, comunque con tanto ingegno e
forza di ragionamento dall'autore discorse, non m i sembrano gran fatto
ammessibili. Ed in vero parmi che dopo aver con inolta giustezza l'autore
osservato non doversi pene trare nelle selve dei Germani per ispiegare i
costumi che essi mostrarono in tempi a noi più vicini, siasi poi di questa
verità dimenticato nel corso del suo ragionamen to. Or se la nuova letteratura
cominciò dopo più secoli da che i barbari si erano stanziati sul nostro
territorio dopo che l'invasione era da lunga pezza compiuta, ed il medio evo si
andava già luminosamente svolgeodo, non so che abbiano a fare con noi gli
usi, anche dati per veri, della Scandinavia o della Pannonia, le abitudini di
po poli nomadi e feroci con quelle di società costituite e ci vili. Già molto
tempo prima che venissero a stabilirsi tra di noi, i barbari aveano subito
tutto il potere della nostra civiltà, e quando poi lo stabilimento fu fermato e
cessò l'opera delle arsioni e delle rapine, essa li dominò c o m piutamente e
di quel che era proprio dell'antica vita nulla potevano più ritenere, nè
ritennero. Che si dirà dopo più secoli passati in tale nuovo e tutto opposto
ordinamento e condizione di vivere, il quale delle loro selve restar non dovea
nemmeno la reminiscenza? So che A. vorrebbe solo gli si concedesse essere
ne'Barbari la natural dispo sizione e quasi il germe il quale, collo
ingentilirsi degli animi, produsse poi il suo frutto. Ma per i primi venuti
quella disposizione, anche concedendosi, dovea restare bene annullata e sparire
nel caldo dei combattimenti e delle stragi e d'una conquista assai fresca. I
loro figli doveano nascere,e naquero infatti, romani, nè quindi poteva passare
in loro una disposizione tutta propria dello stato selvaggio di cui non aveano
cognizione, massimamente che quel rispetto della donna non era in essi la conse
guenza del sagro principio dell'uguaglianza dei dritti trai due sessi, e che,
non avendo una tradizione a custodi re, poco dovea restare o nulla si conservò
tra di loro delle antiche memorie. Nella quale opinione sempre più mi
vado confermando quando contemplo più da vicino icostumi di colesta gente. Chi
non conosce la poca pudicizia di Basina madre di Clodoveo, di Fredegonda moglie
di Chilperico, e di Brunebaut regina di Austrasia? « Basterebbero, dice il chia
rissimo e dotto Cesare Balbo, i fatti di Rosmunda e di Romilda amostrare
lanativaferociade'Longobardi,come quelli di Gundeberga e di Teodora ad
accennare tal b a r barie alquanto ingentilita e dalla principiante cavalleria
e forse anche dal loro conversare cogľ Italiani. non sa che nel più antico
poema dell'Allemagna, quello dei Niebelungen,» l'amore vi prenda poca parte
nelle azio. Vita di Dante. Chị ni, i guerrieri s'interessino a passioni
diverse dalla g a lanteria, le femine poco compariscono, non sono l'og getto di
culto veruno e gli uomini dalla unione con loro non sono nè inciviliti, nè resi
più mansueti, che gli antichi Germani vi compariscono furbisfrontatamente,
mancatori di fede e bugiardi? Chi sa in somm a quanto erano pessimi i costumi
di queste genti,o che si consi derino sul loro suolo, o nel primo contatto con
noi, potrà dire se mai poteva essere in loro disposizione alcuna al culto della
donna, ed ad uno spirituale e puro amore. Al qual proposito mi si permetta
appoggiarmi all'autorità, di uno storico riputato di nazione Tedesca, e pero
poco sospetto, il quale, cominciando dal riconoscere che la sola trasmigrazione
operi un rivolgimento in tutta la maniera di essere, rompe quasi tutti i legami
della vita domestica, nè a riparare questi mali offre il m e n o m o rimedio,
onde l'anarchia ed il mal costume si dilatino per ogni dove e da per tutto
recano il disordine e la devastazione; finisce col mostrare lo sfrenato e
terribile disordine in che, quan do posero stanza in Italia, si trovarono i
Longobardi, miscuglio di generazioni racimolate da tutte le parti del mondo,
popolo di rotti costumi e stato però di pernicioso impero sui suoi disgraziati
vicini. E questo che il Leo dice dei Longobardi dicasi pure dei Franchi, la discesa
de'quali in Italia fu per questo bel paese, come sempre, la più terribile
sventura che la provvidenza nell'abisso del suo consiglio gli abbia giammai
preparato. Dopo le quali osservazionituttenon si potrà non conchiudere che semai
in quelle genti originariamente germane si mostrò qual che cosa che sentisse di
rispetto alla donna o di spiritualismo d'amore, fu perchè la nostra civiltà le
investi c o m piutamente, perchè sispogliarono del primo uomo, e non più
Germani, ma ROMANI O ITALIANI tutti diventarono.Chè lo spiritualismo non si
alimenta nell'amore se non collo sviluppo dell'intelligenza, e spirituali,e
mistici veramente non furono nel medio evo che Petrarca e Dante, i più grandi
uomini di quei tempi e de'posteriori. Si vegga dunque se in quei petti di bronzo
dei barbari poteva mai Leo, Storia d'Italia. conservarsi nascosa e
risplender poi una fiamma che sola a cor gentile si apprende, e da rozzi e
disleali uomini maravigliosamente rifugge. Posso però dispensarmi dal con
futare quella generosità e magnanimità che loro A. attribuisce, poichè se mai
possono dirsi quei barbari forti di quella specie di fortezza che è di generosi
sentimenti produttrice, lascioal lettore pensarlo. E qui parmi il luogo di far
notare il poco conto tenuto d’A. degli effetti prodotti sui barbari dalle loro
trasmigrazioni, errore essenziale, perchè la società ger mana, come è stato ben
detto, fu modificata, spaturata, disciolta dall'invasione, ed il suo
organizzamento so ciale peri come quello dei popoli invasi, gli uni e gli altri
non mettendone in comune che gli avanzi. Oltrechè (colla profondità sua solita
osserva il Troya ) « la grande trasmigrazione di genti dovè necessariamente nel
corso di più secoli trasmutare la faccia ed i parlari della Germania di TACITO.
Negli ultimi anni di Attila gli ottimati degl’Unni eran divenuti ROMANI pel
lusso, e l'intera nazione in Europa godeva di stabili sedi che le facevano aver
men caro il suo antico viver da pomade. Le antiche razze celtiche della
Pannonia si eran confuse da lunga stagione coi Romani, e quella provincia
feconda sempre d'impe ralori avea fin dai tempi di DIOCLEZIANO pressochè rimu
tata la popolazione con le moltitudini sempre crescenti de'nuovi barbari
sopravvenutivi. La lingua tuttavia e le discipline romane prevalsero per molte
età nella Pannonia, e quando I LONGOBARDI vi entrarono, già molti discen depti
di quei nuovi barbari eran divenuti romani. Pur non credo che gli Unni ed
alcuni altripopoli, de'quali ho toccato fin qui, avessero perduto l'interaloro
natura dopo Attila, sebbene abitassero nell'imperio. Ma il tempo ed il vivere
sul suolo romano cancellarono finalmente anche in tali barbari l'impronta della
loro indole natia. Storia d'Italia. Uno dei più profondi e coscienziosi layori
usciti alla luce in questo secolo. Dopo le quali osservazioni non
riusciranno molto ef ficaci tutte le ragioni desunte dal clima che A. produce
in sostegno della sua opinione. Volere infatti assumere che nei paesi meridionali
sieno più bramose e sfac ciate le donne, e sotto freddo cielo più schive e
pudiche, non mi sembra possa essere appoggiato dai fatti. Chè l'ot timo autore
non potrebbe certo asserire più delle fioren tine e milanesi donne essere
schive e,pudiche le tede sche, più delle napolitane o greche giovinette le
donne di Francia, o d'Inghilterra; la pudicizia non dipendendo totalmente dal
clima, m a nella massima parte dall'edu cazione, dal principio morale e buon
senso più o meno sviluppato di ciascheduna nazione. Naturalmente le genti di un
clima meridionale sono dotate di una sensibilità m a g giore di quelle che
vivono a settentrione, m a la posizione de'due sessi è relativamente uguale
nelle due contrade. Se le donne del nord sono poco sensibili, per far sentire i
maschi bisogna scorticarli. Quindi la diversità del clima importerà a spiegare
la maggiore o minore ardenza del l'amore; ma in quanto a quel misticismo o, mi
si la sci pur dire, platonismo dell'amore, pon saprei ben v e dere in che
ilclima vi possa contribuire, essendo una cosa tanto poco del corpo che tutta
nella regione dello spirito risiede. È in questo senso che io trovo giustissima
l'interrogazione del Gatti.- Come può un fatto che ha per condizione naturale
le nebbie ed i ghiacci del nord trasportarsi e fruttificare ugualmente sotto il
sole del mezzogiorno? Alla quale interrogazione non è certo adequata risposta
dire che il fatto non era indigeno dei Germani, m a che questi ne portarono con
loro il germe, il quale sbucciò poi per opera dello scontro e della fusione dei
vin citori coi vinti. Questo germe portato da un clima lon tano e freddo in uno
meridionale, e che aspetta quisilen ziosamente per più secoli per poi
finalmente, cessati gli urti dei barbaricon uomini civili e compiuta la
fusione, uscir fuori come la ranocchia dopo la tempesta, io m'inganno, o è
troppo malagevole cosa a comprendersi. Nè posso ancora convenire coll’A.
che il freddo e duro clima faccia di sua natura libere e più stimate le donne,
quindi più divoto e rimesso l'amore, parendomi la storiacontraddir del pari a
tale asserzione tanto che non mi sarebbe difficile mostrare la miglior
condizione delle donde essere stata in ogni tempo in ragione inversa della. Non
inviderunt, è la bella espressione di Livio,laudessuasmu lieribus viri romani,
adeo sine obtrectatione gloriae alienue vivebatur; monumento quoque quod esset,
tcmptum Fortunue muliebri aedificatum dedicatumque est. freddezza del
clima. E per non dilungarmi di troppo, io non so se mi si possa negare
l'importanza da esse olte nuta presso il popolo Ebreo, e la continua bella
mostra che vi fanno, e se possano mai obbliarsi ibei caratteri di Debora e di
Giuditta, della profetessa Olda, di Rut, di Sara, di Rachele, della moglie di
Tobia é d'innumere voli altre, e la venerazione di che gli Ebrei le circonda
vano, ed il purissimo amore di che furono l'obbietto, e tutta finalmente la
legislazione Ebrea che in tanta con siderazione, a preferenza delle altre
genti,le avea. Chiaro argomento che n o n le nebbie ed i ghiacci, non la fero
cia brutale delle orde vaganti producono stima alle donne e danno purità
all'amore, cose poste naturalmente nella ragion diretta dello sviluppo del
pensiero e dell'incivili mento, e della migliore organizzazione individuale
d'un po polo. Ecco perchè la donna fu sempre in Italia più che altrove, avuta
in pregio e stimata. Senza parlare della scuola antica italiana o pitagorica,
che dir si voglia, e degli antichissimi costumi Etruschi, presso i quali le
donne aveano molta importanza, ENEA fonda una città e dal nome di sua moglie la
chiama “Lavinia”. Son le donne Sabineche s'interpongono frai combattimenti del
Capitolino e riducono gl'inferociti guerrieri a concordia, ed il nome di esse è
imposto alle curie di Roma. Fra il duello degli Orazii e de'Curiazii comparisce
lagrimosa la sorella de'primi, e basta la morte di lei a sospendere il gaudio
pubblico della città. In tutti gl'intrighisuccessivi del regno (come sempre in ITALIA)
le donne figurano. La libertà di Roma è consolidata col sangue di Lucrezia, come
più tardicon quello di Virginia, e l'ardire e magnanimità di Clelia viene
eternato con una statua equestre. Veturia respinge le armi parricide di
Coriolano, è cosi tanti e tanti altri racconti che conservatici dal canto delle
tradizioni mostra no potentemente la verità di ciò che assumemmo di sopra. È a
Roma innalzato un tempio alla Fortuna muliebre, e fu dato il primo esempio di
onori pubblici alle donne, le quali vi sentivano in tanto alto grado la propria
dignità e tanto vi aveano d'importanza che spesso si dovettero le pubbliche
assemblee occupar di loro che vi si presentavano con petizioni e di tumulti
l'empirono. In Roma aveano le donne il passo per le vie, non si poteva fare o
dir cosa disonesta in loro presenza, i giudici capitali non potevano citarle e
coloro che le citavano in giudizio non potevano toccarle, ut, dice bellamente
Valerio Massimo, inviolata manus alienae tactu stola relinqueretur. Chi non
conosce le sorprendenti prerogative delle Vestali? Camminavano pre cedute da u
n littore; incontrandosi con loro i consoli ed i pretori abbassavano, in segno
di riverenza, i fasci; andavano in cocchio anche quando gli altri per legge nol
potevano; avevano distinto sedile negli spettacoli; la loro dichiarazione in
giudizio avea forza di giuramento, ed un reo di morte, che avea la fortuna
d'incontrarsi con lo ro, rimaneva assoluto. Tanto la verginità era in onore !
Ecco perchè quelle che eransi rimase contente d'un sol matrimonio, corona pudicitiae
honorabantur, e Spurio Carvilio, comunque per tolerabile cagione, dice VALERIO
MASSIMO avesseripudiato sua moglie, non fu meno segnato di reprensione come
colui che avea la fede coniugale al desiderio di figli posposta. Il matrimonio
era la comunione di tutt'i dritti divini ed umani, ed era veramente bella
l'istituzione della Dea Viriplaca, nel cui tempio i coniugi in discordia
concorrevano. Dea, dice lo stesso autore, coși chiamata perchè placava i mariti,
degna veramente di essere onorata e riverita anzi adorala quanto altro I
d dio, utpote quotidianae ac domesticae pacis custos, in pari iugo
charitatis ipsa sui appellatione virorum maiestati debi tum ac feminis reddens
honorem. Tralascio di ricordare co m e usciti dell'infanzia i fanciulli eran
dati in educazione ad una donna rispettabile del parentado, e come sino alla
età di quattordici anni aveano essi comuni colle fanciulle gli studi della
puerizia, e la esțesa coltura delle donne romane, massime negli ultimi tempi,
come di cosa ormai troppo vulgare. Si che possiam dire col Michelet che par v
tendo pressogl'Indianidall'amormistico,l'idealedella o donna riveste presso i
Germani i tratti d'una verginità selvaggia ed'una forza gigantesca, presso i
Greci quelli della grazia e della scaltrezza, per giungere presso I ROMANI
alla più alta moralità pagana, alla dignità virgi ne nale e coniugale. Ma, per
venire a tempi più vicini in mezzo allo universal degradamento, dice uno
storico, ilcui nome sarà pronunziato sempre con riverenza, le dame romane non
aveado perduto l'avvenenza e l'in gegno delle antiche matrone,e d erano perciò
assai p o tenti. Anzi non ebber mai le donne tanto credito presso alcun governo,
quanto n'ebbero le romane nel decimo secolo. Sarebbesi detto che la bellezza
aveasi usurpato i drittidell'impero »E qualèilpaese, esclama il Leo, ol tre
l'Italia, dove la bellezza delle donne non dirò che accese, ma sola fece risolvere
i popoli alla guerra? dovele donne hanno più lungo tempo dominato, non pur
ne'negozi temporali, m a in quelli che appartengono alla coscienza? Nè questa
tradizione è stata,o potràessermai interrotta, chè vive e spira ancora nelle
donne d'Italia tutto ilsor riso di questo cielo d'incanto, tutta la maestosa
dignità di chi sentesi nato a grandi cose, ed esse inspireranno per sempre
l'ingegno dei poeti e degli artisti,e saran nostra guida e consiglio nel
periglioso progresso della vita. Esclusa cosi qualunque specie di potere dei
Germani sulla mutata sembianza di amore, penso doversi dire al. Histoire
Romaine. Cito con tanto più di piacere questo scrittore in quanto che egli è
uno de'pochissimi serittori di Francia i quali dotati di molto ingeguo e buon
gusto si giovano delle cose degl’ITALIANI rendendo loro giustizia. Si
vegga dopo di ciò se ilf reddoe duro clima renda più stimate e libere le donne,
e quindi rimesso e più di voto l'amore. Al mio modo di vedere, se l'amore può
essere ardente e bramoso senza che perciò abbia nulla di spirituale e di
contemplativo, quest'ultima qualità non può star però senza la prima. Petrarca
e Alighieri non avreb bero sublimato a tanta spirituale altezza i loro amori se
'amato non avessero ardentissimamente. È la storia di tutti gli amori nel medioevo.
Come dunque il fatto in parola o la muliebrità potea venirci dai freddi amori
dei fred dissimi uomini del nord? trettanto della feudalità, opinione
sostenuta da uno scril tore di Francia troppo sventuratamente conosciuto, e d’A.
modificata con quel buon senso a lui proprio, e sull'appoggio di ragioni che a
m e sembrano sufficienti per escluderla del tutto. Non solo (son parole sensalissime
dello stesso A.) perchè a și grande effetto ella è trop po scarsa e lieve
cagione, ma e perchè non è cosi ge nerale, nè efficace di tanto che possa
pressocchè sola b a stare a render ragione del fatto.” È di vero (è lo stesso A.
che ripete queste già conosciute ed indubitabili verità ) in Italia non è stata
mai o pressocchè nulla, per chè le città conservarono l'antica preminenza sulle
c a m pagne, e gli uomini vissero anzi raccolti nelle prime che divisi e sparsi
per il paese, per non dir che proprio in quelle parti, dove pria vigorosa ed
ardita levò il volo l'italiana poesia, furon tosto i signori o invogliati o co
stretti a lasciar le castella e a venirne ad abitar le città. Anche in Ispagpa (per
la subita invasione, o per non essere stato mai quel paese fuor che in picciola
parte s o g getto a Carlomagno) o non furono feudi, o almeno in quel modo che
in Alemagna in Francia e inInghilterra. Eppure non si potrebbe dire che le
donne italiane o spa gpuole fosser molto meno stimate che le francesi, nè che
la poesia in quelle due meridionali contrade mostrasse uno amor manco devoto e
gentile » Ciò posto,trovo chiaro che non si debba sul fatto in parola attribuir
potere alcuno alla feudalità, conciossiacchè, per potersi un fatto chia mar
legittimamente causa dell'altro, è mestieri che siasi mostrata trai due una
connessione necessaria e continua, e, dove apparisca o manchi l'uno, l'altro
apparisca o manchi delpari. E questi requisiti abbiam veduto non convenire alla
feudalità, perchè non stata in quei luoghi ove la letteratura ebbe più
notevolmente quel che A. chiama muliebrità. Si perdoni quindi a chi, con un modo
di giudicar tutto francese, crede spiegare ogni cosa con una causa sola,
comunque non apparsa d a d dovero che sul territorio di Francia, e che, non v e
dendo al di là della Senna, cerca con quella miseria di fatti che gli
colpiscono lo sguardo metter fondo a tutto l'universo. Il buon senso d'UN
ITALIANO non puo mostrarsi impacciato ugualmente, massime in riguardo alla
feudalità, la quale tra noi o non fu mai, o certo non vi si mantenne che come
una eccezione, in guerra continua col nostro modo di pensare e di sentire,
senza importan tanza, senza metter mai radice nei costumi. ciò che in ogni
tempo ha segnalato il carattere degl'Italiani, o maggio non all'uomoma
aiprincipi,battersinonperun'in dividuo ma per una idea e che è stata la causa
della loro grandezza intellettuale e debolezza politica. Pure nel viver
disgregato e locale dei barbari con stituiti in feudale ordinamento crede
l’Ajello essersi svolte e rafforzate le domestiche affezioni ed aiutato lo
svolgi mento morale delle femmine, ed aver quindi molto contri buito a dar loro
pregio e riverenza. Alla quale opinione io non posso soscrivermi,perchè non mi
pare che nella vita isolata dei castelli e di continua guerra possano raf
forzarsi le dome stiche affezioni, e molto meno aquistarvi pregio le donne, ed
avere impero sull'animo d' un signore assoluto e brutale e costretto a trattar
continuamente le armi, nè d'altro bramoso o sciente. Chè in una vita tutta di
sospetto e di disgregazione fisica e morale, la donna lontana dal consorzio
delle genti, nè conosciuta che dal solo feroce obbligato compagno della sua
vita, non è altro d'un fiore che non olezza, o a cui non giungano gli sguardi
delle innammorate giovinette. Ora dicasi se ne'costumi feudali poteva
rattrovarsi in uno stato tale da trarre i caldi sospiri degli amanti e i teneri
passionati versi degli erranti trovatori. Certo la privazione eccita il
desiderio e il fa più che mai bramoso ed irrequieto, m a egli è pur vero che n
o n si desidera l'ignoto, e le donne racchiuse nei feudali castelli erano
appunto uno ignoto che non può desiderarsi. Quindi, se ci ha luogo dove le
donne potevano aquistar pregio, erano per fermo le città italiane o i castelli
de'Signori nel modo come stavano in Italia, ne' quali le donne erano si
custodite, ma non sottratte agli sguardi degli amanti. A ciò si aggiunga
l'estrema ruzione dei costumi feudali cor nella lettera tura di quel tempo le
tracce più capaci di fare arrossire la gente; la violenza e le rapine che essi
concedevano largamente si più a lungo durarono in Germania, e pochis, che
lasciarono simo, come è chiaro, in Italia. Nè si potrà fare a meno di
conchiudere che la feudalità nè per se stessa, nè in concorrenza di altre cause
poteva dar gentilezza all'amore, nė vi contribui in realtà, perchè l'amore fu
veramente gentile e purissimo in Italia, dove la feudalità non ebbe vita, o
almeno fu preminenza della vita cittadina che p o g giava sopra principi di
opposta natura. Oltrechè non do vrebbe dimenticarsi che il principio della
esclusione delle femmine dalla successione dei loro congiunti,almeno in con
correnza coi maschi, fu un principio tutto feudale e ri messo in vigore tra di
noi dai Germani, poichè già nella legislazione giustinianea era per opera, come
par Ed a questo luogo mi si permetta osservare quanto poco al vero s'appongono
coloro i quali sostengono averci i barbari trasfuso il sentimento della
indipendenza personale, e la feudalità aver fatto valere in Europa ildritto
della personale resistenza. Chè non so se quel sentimento si trasfonda mai
negl' individui distruggendoli o rendendoli schiavi, e se ottimo mezzo possa
essere la scimitarra dei barbari per coloro che sventuratamente ne sentivano il
peso, ed erano in quel modo conci che tutti sanno, sostituendo alla maestà
dell'imperio la forza brutale ed il governo ditantipicciolitirannotti. Nè
sosequalsentimento e dritto possa svolgersi in tale sorta di tempi, ne' quali
l'uomo era considerato come proprietà dell'altro uomo, e l'uno dominava
sull'altro, non in forza d'idee comuni ad entrambi, ma per se stesso ed il suo
compagno, il capriccio. Certo ove mi si dirà con A. che i barbari » ri storaron
la nostra vecchiezza con la robustezza e gioventù loro, che ci fecer quasi
nuovamente bollire e correre per le vene il sangue, che a colpi di aste e di
spade ci scos sero e ci affrettarono per la via del progresso e di moral
perfezione, è questo un linguaggio che intendo, ma quando si dirà che gli
stessi barbari ci trasfusero il sen timento della indipendenza individuale, non
mi verrà fatto d'intenderlo ugualmente. Conciossiacchè l'indipendenza non si
sostiene che in forza d'una idea,ed ibarbari non ci portarono alcuna idea
puova. Al che mi pare avere splendidamente supplito il Cristianesimo ed in
particolarità . ro, del Cristianesimo, all'intutto scomparso. sia chia
e la chiesa cattolica – cosidetta “Romana”. Fu questa che sola in quei
tempi si oppose al soprastanteimperio della forza bruta con tutta l'energia
della sua gioventù, cheproclamò altamente l'in dipendenza del pensiero e
dell'opinione, e svegliò quindi negli animi quel nobile sentimento di dignità
personale che i barbari avrebbero suffocato chi sa per quanto tempo e stette in
quel mar burrascoso del medio evo come ter ribile e continua protesta contro le
usurpazioni della for za. Fu ne'municipi d'Italia che il dritto di resistenza
si svolse ed, attulito solo per poco tempo, primamente ri surse con più forza a
vita novella. Cosi è a questa Niobe delle nazioni che l'umanità dovrà esser
grata della sua civiltà presente, a questa veneranda vestale che non ha cessato
mai di vegliare per mantener sempre vivo il fuo. co sagro dell'incivilimento.
Ecco come un uomo di cui il nostro paese si onora, Luigi Blanclı, s'espriineva
nell'antecedente fascicolo di questo giornale a proposito dello stabilimento
dei Normanni in Inghilterra. Or la conquista e lo stabili iento dei Normanni
inInghilterra, non ostante che ilCristianesimo avea proclamalo il rispetto
dell'uomo indipendentemente dalla sua condizione o dellesuecircostanze accidentali,ma
perchè dotato d'intelligenza,di li bero arbitrio e di risponsabilità, non tenne
conto di questo alto e salutare principio, e considerò l'uomo vinto come cosa e
non come persona, fatto peresser posseduto e non governato. Dicasilostessodei Franchi,
dei longobardi, in riguardo ai quali l'opera su cennata del dottissimo Troya ha
p o r tato una luce immensa. Ogni buono italiano farà voti che lunga basli li
vita a questo nostro concittadino onde possa menare a fine il suo cosi bene
incominciato lavoro. Gl’uomini prima sentono senz'avvertire. Primachè l'io
cominci a distinguersi dal non -me e dall'assoluto,e a governare e correggerela
sensibilità,e secondo sua volontà far uso della ragione, ci ha un tempo ch'egli
pressochè ignoto a sè stesso se ne sta avviluppato e come un ascoso e tacito
osservatore dei fatti sensitivi e razionali, che indistinti e confusi gli si vengon
mostrando nella coscienza. Abbagliato e vinto dalla sensibilità e d o
minatodallaragione, egliama, afferma, crede,enon sadiamare, dicredere,diaffermare:permodo
chesi direbbe ch'ei sia tutto passivo, se in lui non fosse una spontanea
attività, certo involontaria, ma ad ognimodo un'attività, una forza insomma che
in sè stessa ha la ragione e 'l principio del suo movimento. Ma a questo primo
periodo della vita intellettuale, secondo che noi dicevamo, un altro succede di
veramente opposta e contraria natura. Perciocchè, svoltasi a poco a poco la
volontà, in che pro priamente è posta la personalità nostra, cominciamo a
scorgere che ci ha alcuna cosa che lecontraddice,e però che non deriva o
dipende da lei; che infinein mezzo a tanta successione e mutabilità di fenomeni
(che sono i volontari e i sensitivi ) ce ne ha di così fatti, che non m u tan
viso come gli altri fanno, che in mezzo a quel ma Ma perchè siavi
riflessione (e si ponga ben mente a questo, chè molto ce ne gioveremo) è
mestieri che osservando d'una in altra cosa si passi, che prima un lato se ne
consideri, indi un altro, e cosi sempre segui tando; è mestieri, a dir breve,
della successione degli atli,non sipotendo ben disaminare un obbietto,senza che
gli altri si lascin da un canto', e si dimentichino al menoperunmomento.Il perchè
tra la spontaneità e la riflessione tra l'altro è questa differenza, che la
prima ha un veder largo, istantaneo e complessivo, e la seconda un guardar
lento, e uno scrutar succedevole e parziale. E peròse riflettendo non abbiam tutte
ad una ad una con siderato le parti dell'obbietto, se giunti non siamo a quel
supremo gradodellascienza, che possonsi allaperfinerag gruppare e riunire le
parti slegate e divise, e ricostruirne quel tutto stato già scomposto e
notomizzato, non cene viene che scienza incompiuta, e l'erroreeziandio,sete ner
vorremo per l'intero quello che sia parte soltanto. E difatto pressochè sempre
avviene che la riflessione tulta quanta in un obbietto affisandosi, cosi
trascurane e di mentica gli altri, che anzi tempo si tiene in possesso di
quella verità di cui non ha contemplato e conosciuto che un solo e povero lato.
Per il che nella riflessione (e il dichiareremo innanzi più largamente), come
in quella che per isvolgersituta ha bisogno della successione degli aui e però
del tempo, possonsi determinare tre periodi o momenti che sivoglian dire. Nel
primo il “me” e il “non-me” e i loro rapporti son quelli che meglio fanno
invito esolletico alla nostra attenzione. Nel secondo, sviluppatici dal
contingente, tro viamo l'assoluta nelle eterneverità che sonoci rivelate reggiare,
a quel continuo trasformarsi, stan saldi: ed allora finalmente asceverar
cominciamo e distinguere dal per sonale l'impersonale, dal me ilnon-me e un
certo che d’im mutabile e costante, che è quanto dire l'assoluto. E pe rocchè
sceverare, distinguere, recar l'osservazione d'una in altra cosa è propriamente
analizzare e un far uso della riflessione; questo periodo ben è stato dai
filosofi ad dimandato di riflessione e di analisi in contrapposizione del primo
che han chiamato della sintesi e della spontaneità dalla ragione, e ne
scopriamo la indipendenza dal me e dalla natura. Nel terzo finalmente, che è il
supremo grado della scienza, attraverso a quelle idee assolute traguar diamo
l'assoluta Sostanza, di cui quelle non sono che m a
nifestazioniedapparenzealcortoe debolesguardodella specie umana. Dalle quali
cose è manifesto che la rifles sione, come quella che è molto lenta nelsuo
lavoro, e che per l'intera cognizione di un obbietto è necessitata di guardarne
ciascun lato partitamento, terrà un periodo i m mensamente più lungo della
spontaneità, la quale di sua natura ha un'assai corta vita e fuggitiva.
Spontaneità e riflessione, questi dunque sono idue necessari periodi e le
inevitabiliforme del nostro pensiero. Nel primo ci son rivelate dalla ragione,
comunque al quanto confusamente, tutte le verità prime. Nel secondo null'altro
in sostanza aggiungiamo al giànoto;ma, per ciocchè entra in giuoco la
riflessione, distinguiamo, analizziamo, scopriamo i rapporti e la generazion
delle cose, e dove che prima tenevamo il vero soltanto, poscia abbiamo la
scienza: e, per dar alcun che di sensibile alle espressioni, nella spontaneità
la ragione svolgesi come in linea retta; nella riflessione ella si rifà su
propri passi e conosciutasi alla perfine, sopra sé stessa si torce e si ri
piega. Ancora, se nella vita spontanea,tutto è congiunto nel pensiero inuna
inviolata e vergine unità, ed avvivato e vestito dagli splendidi colorid'una
giovaneevi gorosa immaginativa, cuiquellas minuzzatriceelentadella riflessione
non è ancor giunta a sturbare ed agghiaccia re; se in quel tempo trascuriamo e
quasi ignoriamo noi stessi, e ciecamente credendo alla ragione, ci diamo a tut
to che ci paja bello, vero o buono e ilseguitiamo abban donatamente nel caldo
d'un amore vivissimo;èmanifesto che quello è tempo di poesia, di canto,
d'ispirazione, come il periodo che gli tien dietro è tempo di fredda e severa
analisi, di riflessione, che è quanto dire di filosofia: la qual cosa bene fu
antiveduta ed espressa dal Vico quando scrisse che tanto è più robusta la
fantasia,quanto è più debole il raziocinio. Però siccome nel primo periodo per
quel potere che dicemmo dei sensi e della fantasia, non chiediamo e non adoriamo
che il bello, o il bene e'l vero in tanto che belli; nell'altro, fatti
più rigidi é spassionati, al solo e nudo vero spezialmente ci inchiniamo,
avvegna che non potessimo mai più intutto distorci dalla bellezza. Del
rimanente ognun intende che questi due pe riodi, spontaneo e riflessivo, non si
limitano in maniera chequandol'unovengaamancare allorasolamente l'altro
cominci. Non ci ha mai in natura un limite e un taglio cosi netto tra le cose
succedentisi, che non ci sia nel digradare un cotal innesto,in cui lo spirar
della pri ma e'lnascer dell'altra vadansi percosidire sfumando, in quel modo
che nell'iride quei vaghi primitivi colori. E sul proposito notisi la bellezza
delluogo di VICO (si veda) che abbiam voluto mettere innanzi a questo lavoro:
nel qua le oltre che in due righe è detto quel che altri han poi stemperato in
tante parole, scolpitamente è indicato quel l'inpestarsi che dicevamo dei due
periodi. Perciocchè tra l'età del sentire o della spontaneità, e quella del
riset tere, u n ' altra è frapposta dell' avvertire perturbato e c o m mosso,
che è il primo apparir della riflessione quando an cora in noi è grande
ilpotere dei sensi e della fantasia. Tutte queste cose (le quali verremo di
mano in mano applicando)volevano esserdettealquantopiùdistesamente e tratto
tratto avvalorate e dimostrate con una esatta e scrupolosa osservazione dei
fatti di coscienza; ma le son cosìnote oggidi, che sarebbe stata operavana e
fastidio sa; spezialmente dopo che quello stupendo ingegno del Cousin le ha
esposte con tanta efficacia e chiarezza in più d'una sua
scrittura.Ilperchèabbiamsolovolutotoccarle, per mostrar quali sieno in fatto di
filosofia le nostre opi nioni, per fermare almen brevemente le teoriche da cui
intendiamo dipartirci, e procedere in questo nostro ragio namento il più che
sapevamo ordinati e seguiti. PERIODO SPONTANEO Poemi o storie artistiche. Or
che abbiamo esposto brevemente e fermato quelle teoriche onde avevamo biso gno,
accostandoci e stringendoci al nostro 'subbietto, di ciamo che il primo apparir
della Storia è veramente nel poema, e nata che sia la prosa, nella storia
paramente ammirazion delle genti quel grandioso spettacolo ch'ei oon sa
bastevolmentea m mirare e magnificare. E qui è da notare che se la Storia nasce
poetica, questo avviene pel subbietto e per l'obbietto, vale a dire che non
pure avviene per lo stato dell'intel ligenza degli scrittori, chein quei primi
egiovani tempi ètutta spontanea e immaginosa, ma eziandio per le con dizioni
sociali di quella età; essendochè le antiche società, quanto alle moderne, eran
semplicissime, siccome quelle in cui non era contrasto di opposti elementi o
principi, ed un solo, come il teocratico nell' Indie e nell'Egitto, tutti gli
altri arsorbiva e signoreggiava:la qual cosa non è a dire quanto più armoniche e
poetiche lefacesse.Sen zachè sebensièintesoche sia spontaneità, echevalga
quell'involontario e irriflessivo svolgersidel pensiero;è chiaro che l'amore,
il disinteresse, la gloria, il patriottismo, e tanti altri affetti
tuttiespansivi,generosi e gran di, sono a quei tempi le cause e gli stimoli e
le occa sioni alla più parte degli avvenimenti, e molti altri v a gamente
adornano e illegiadriscono; dovechè nei tempi posteriori è un venir su di tanti
piccioli e privati interessi, di tante passioni misere e vili, di tante cupe
frodi e in fami tristizie, che è uno sconforto. Onde assai andrebbe lungi dal
vero chi pensasse che Erodoto, per esempio, o Tucidide, sceverassero e
scartassero dalla narrazione tutti quegli avvenimenti che prosaici lor pareano
e indegni delle loro nobilissime istorie.Di prosaico poco o nulla vera nelle
prime società, e quel poco eziandio facea su quelle vive e immaginose menti dei
Greci assai diversa impressione che sulle nostre non farebbe. Quegli storici
adunque non sceglievano fatti da fatti, come ultimamente è stato scrit to, e
che sarebbe opera da Boileau, ma abbracciavano, od almeno credevano di
abbracciar l'intero, il quale alle lor menti si porgeva tutto fulgidamente
colorato ed in vaga artistica, o vogliam dire che altro più diretto scopo
non abbia che la bellezza. Percosso vivamente l'uomo dai fatti maravigliosi e
grandiche gli succedono intorno, olicanta e li celebra nel primo impeto della
sua maraviglia, o li narra agli avvenire, non gli soffrendo il cuore che se ne
porti iltempo si care e belle ricordanze, e che abbia a toglier per sempre alle
lodie alle nobilissima mostra. Se non che costoro tutti intenti come sono alla
bellezza delle loro istorie, saran poco solleciti dispogliarla verità delle
tante favole statevi aggiunte dalla immaginazione e dall'ignoranza della
gente,e per chè il racconto se ne faccia più maraviglioso e attratti vo, assai
ve ne introdurranno. Ed infatti seessile narra no, nondimeno il più delle volte
non mostrano di aggiu starvi fede, secondo che fanno i nostri creduli e
semplici cronisti. Manna, di acuta e squisita intelligenza e carissimo amico
nostro, scrivendo non ha guari delle vicende, non della Storia moderna ma della
Storia in idea, ha detto che la Cronaca e la Ştoria filosofica son da tenere
idue punti estremi di tutto il suo svolgimento. In questo, a dirla schietta,
non pos siamo affatto affatto accordarci con lui,e poichèquicade in acconcio,
vogliam fare un po'di contrasto a questa sua opinione, e, cel creda, per solo
amore alla verità, edancheperfermarquiunpensiero,chenoncièin contrato finora di
trovar sostenuto da alcuno. Che la Storia filosofica sia l'ultimo estremo da un
canto, il pensiamo e diciamo ancor noi, nè potremmo a l tramenti;ma
chelaCronacal'altrosia,questorisoluta mente neghiamo. E qui preghiamo il
lettore che non si è stancato di venirci seguitando, che voglia alquanto cre
scere la sua attenzione; dappoichè dovendo farci da alto ed in fretta toccar di
molte cose, forse che il postro pen siero non si mostrerà così chiaro come noi
vorremmo; e temiamo non si annebbi la verità col dir disordinato ed Oscuro.
Comunque le società dei tempi di mezzo, per le in vasioni e leoccupazioni dei
popoligermanici,che per cosi dire le rinnovarono e rinvigorirono, una sembianza
aves sero di freschezza e di gioventù; nompertanto si grande era in loro la
parte antica della caduta società,o vogliam dire l'elemento romano, che molto
dal vero si scosterebbe chi le stimasse società semplici e primitive, e quei
fattie quella sembianza ch 'ei vi trova, volesse recare a ciasc un tempo di
nascente coltura: per non dire che all'elemento romano e al germanico si
aggiungeva l'ecclesiastico di. Or se noi troviamo la Cronaca nel Medio Evo,
non per questo dobbiam credere ch'ella sia d'ogni tempo di nascente coltura, e che
a quel modo la Storia nascaosi risvegli. No certo, ch'ella nasce poetica, tutto
chè disordinata e incolta. Nasce neipoemi del Niebelungen, del Cid lla, e
ardita mente poetica; e se quella ci dà epistole,sermoni, eglo ghe, cronicacce
ed altra merce cosi fatta; questa ci of fre e novelle e poemi senza fine,e
versidiamore eprose di romanzi. niente inferiore, e cresceva la
contrapposizione e la guerra. Questo fece che accanto ad una cotalbarbara
selvatichezza stesse una cortesia e una gentilezza di tempi assai colti e
politi; ad un soverchiar della forza e ad una sfrenatezza senza confine,
un'austera virtù ed un'idea assai svolta della moralità e della giustizia, e al
volo amoroso e spontaneo d'una giovane e bella poesia, lo strisciar lento è
vile di tanti scritti insipidi e senza vita. Di contraddizione c'era
dappertutto,finotraifattieleopinioni; ma inniente meglio si manifesta che nella
letteratura,spezialmente per quell'uso contemporaneo delle due lingue, volgare
e la tina, ch'eran come rappresentanti di due letterature, e che valsero a
meglio tenerle disgiunte e distinte. La la tina non era propriamente che un
po'di luce trasmessa, un povero barlume riflesso da tutto ľ antico
splendore,che non si era potuto interamente spegnere per quel soprav vivere e
durar della Chiesa dopo il misero cader dell' I m perio. Pertanto ell'era tutta
vecchia, squallida e scompa gnata dalla vita; e dovea essere: perchè gli
scrittori la tini (oltre ch'erano frati la più parte, viventisi,a quei giorni
assai ritirati e divisi dal mondo )per quel loroim. maturo e sciocco legger
negli antichi,ebber della barba rieilmaleenon ilbene;n'ebberoadirbreve,lagrossa
ignoranza senza il verde, la vita, la spontanea vigoria. Dal che provenne
ch'eglino desser poi fuori di quelle smorte eanfibie scritture, barbare a un
tempo,e fredde e scolorate; le quali solo il Medio Evo poteaci dare, e di cui
per mala ventura ci ha fatto si ricco e grazioso pre sente. Con due lingue
adunque nel Medio evo son due let terature d'indole e di forma differenti: una
tutta smorta, scarna e prosaica, l'altra tutta fresca e bella, La
Cronaca dunque è merce da mezzi tempi, per ciocch'ella nacque dalle condizioni
di quell'età, è veduta in altro tempo d'incivilimento che spunti e ger mogli.
Onde il signor Manna, per la troppafretta forse, si è lasciato andare in un
errore simigliantissimo a quello del Vico, che pensò la Cavalleria potersi
trovare in ogni tempo primitivo, e sconobbe ch'ella fu ingenerața tra i
crociati in Levante, cosicchèvideroco'propri lor oc edellaTavola
Rotonda;ecompostasi'escaltritasilaprosa, nasce in Villehardouined in Joinville
che certo cronache non sono; od almeno in Guglielmo di Tiro, in Alberto d'Aix, in
Raimondo d'Agiles, in RauldiCaen, enegli altri entusiastici e vivaci storici
delle Crociate. E non si dica che tra costoro parecchi eran frati, e che questo
fatto in certo modo contraddica al nostro pensiero; dappoichè anzi il riferma
assai bene, mostrando che tostochè essi usci ron di quelle condizioni che
dicevamo, altramenti scrissero le istorie loro. Basti dire che di quei monaci
altri furon ehi quei mirabili fatti che ci han narrato; ed altri furon sospinti
in mezzo al mondo dall'improvviso turbinė che a quei giorni sconvolse l'Europa,
e dal vivissimo entusias mo che vi accese tutte le menti Imperò vivendo eglino
meno divisi dalla società, dettero finalmente alle lor nar razioni quel colore
e quella rappresentazion della vita e dei costumi del tempo, che nelle cronache
indarno cercherem mo, e che sarebbero affatto perduti per noi, se non ci fosser
rimase della volgar letteratura tante opere bene rap presentevoli ed
esprimenti, come sono, sebbene alquanto posteriori, le novelle del BOCCACCIO e
del Sacchetti, e le istorie del Villani, del Compagni e del Malespini. enonsi
tali cagioni, che son tutte proprie del Medio Evo, e che in altre età indarno
si cercherebbero. Ci mostri il sig. na non dico una Cronaca Man, maunsol frammentodi
Cronaca prima d'Erodoto. Quanto a noi,fermamente pensiamo che se potessimo
avere tutto quel che in Grecia si scrisse nanzi a costui,non troveremmo ip
mente che storiemaravigliosa poetiche, comechè ordinate con manco d'arte, e
quel che è più sicuro, poemi, e canti guerreschi polari. Veramente ci fa
maraviglia e po ingegno del Manna che quell'avveduto non abbia scorto,che avendo
eglidi viso tutto lo svolgimento storico in artistico e filosofico, era
necessità che quanto più si ascendesse ai primi tem pi, più di poesia ed'arte vis
itrovasse.Orcome può trovarvi egli quelle insipide ed agghiacciate cronache m o
nacali? In esse, se ne togliete l'ignoranza che è vera mente degna d'una
cultura bambina, ilresto ci sa più d'avanzo dispenta e grave letteratura,che di
comincia mento d'una nuova e leggiadra;e a dirla in due parole, non ci vediamo
che elemento romano ed ecclesiastico. E quando si pon mente che per lo più
furon monaci i lor compilatori, quasi intutto, come dicemmo, segregati dal
mondo, e quel che è più, non d'altro conoscitori che d'al cun
latinoscrittore;quando sipon mente a questo,non sappiamo chi possa far lungo
contrasto e non accostarsi alla nostra opinione. Manna adunque, scambiando un
fatto con lo svolgimento dell'idea,'equel che accade con quelcheé, ha creduto
logico un antecedente meramente storico efor tuito.E
sipotrebbedirech'eglicredaalricorsodellena zioni, se per divinare un
fattoprimitivo ha toltoesempio non da nascente, ma da rinascente
coltura.Perciocchè vo lendo egli parlare dei napolitani storici, e non trovando
nei primi tempi che i cronisti longobardi, se n'è lasciato ingannare,ed ha
stimato che la Storia a quel modo na scesse;eche
inquellesueteoricheeipotessefermareche la Cronaca e la Storia filosofica
fossero gli estremi di tutto lo storicosvolgimento.Sei volevatrovare
nellanapolitana letteratura ilprimo apparir della Storia, almeno cercar lo
dovea in Guglielmo di Puglia, e in quel poema che serisse, allorchè le ardite e
fortunate imprese dei Nor manni fecer maravigliare questa estrema parte
d'Italia. Per lequali cose,conchiudendo diciamo,cheleprime istorie sono i poemi,indi
le narrazioni puramente artisti che; che questo avviene pel subbietto e per l'
obbietto vale a dire, per lo stato dell'intelligenza dello spetta tore, e per
quello della società ch' ei ritraenei suoi rac conti: infine che la Cronaca è
scrittura propria dei mezzi tempi, e quanto alla Storia moderna, ella è storico
e non logico antecedente. PERIODO DI RIFLESSIONE. Ilme, il non-me e I loro
rapportic hiaman dunque i primi e sforzano la nostra attenzione: e se questo è
vero Storia morale o Secondo che detto abbiamo, corta durata ha S. Momento
del MB e NON-MB. politica. quel periodo di spontaneità, e tosto nasce e si
educa la riflessione per aver vita assai più lunga e meglio svolta.Ve ramente
ch'ella con quel suo analizzare e sminuzzare ogni cosa,con quel suo lento e
sospettoso procedere, or in questoorainquell'obbiettopartitamente
affisandosi,to glie ardire alla immaginativa, ed or ne soffocaeimpedi sce, or
ne scolora ed agghiaccia ogni spontanea creazione: nompertanto induce lo
spirito umano, non certo in più belle,ma inpiùgraviesodecontemplazioni,cheapoco
a poco e come per mano il trarranno a quella compiuta e ordinata scienza, che è
l'ultimo obbietto, e insieme la pace e 'l riposo della sua irrequieta
intelligenza. Or noi dicemmo che la riflessione di sua natura è parziale e suc
cessiva, e che tutto ilsuo svolgimento potrebbesi distin guere intre parti o momenti,
onde il primo è quello del meedelnon-me. E difatto,chivogliaun trattoprofon
darsi nella coscienza, vedrà che se ci son fatti che più chiamino e sforzino
l'attenzione, certo sono i sensibili, indiivolontario
personali.Isensibilicomequellicheson manco intimi e profondi,e quasi
esterioriall'animo,sono i più vivi ed appariscenti, e imeglio osservabili;eivo
lontari o personali vengonsi lor mostrando allato tenace mente, perciocchè
l'impersonalità della sensazione indica subitamente e rivela la personalità
nostra, e quell' assi duo tramutarsi e succedersi dell'obbietto ci reca al
senti mento d'alcuna cosa che duri attraverso a quella indefi nita varietà
delle sensazioni, che è l'identità delsubbietto. Quanto
aifattirazionali,questiinverosono imenoap parenti, perchè non simostrando che
in mezzo allamu tabilità e alla determinazione dei sensitivi e dei volontari,
tolgon sembianza mutabile e determinata, e ci ha mestieri diaccorta e ben
ammaestrata osservazione per poterneli sceverare, e svestire di quella falsa e
mendace apparenza. (come vero è), ecco qual nuova faccią prenda la n o
stra intelligenza, e di quanto questo primo momento della riflessione si
discosti dalla spontaneità. In questa ilme non si scorgendo ancoradistinto da
quel che lo inviluppa e nasconde, e lasciandosi intutto andare a seconda della
ra gione e della sensibilità, senza mai volgersi indietro e por
menteasèstesso,èchiarocheseogniattoalloraèfe de, amor vivo e caldissimo, ed
estatica contemplazione ha da essere altresi pieno e bello di nobile
disinteresse; doveché nel primo momento dellariflessione,per quel ne cessario
mostrarsi e dintornarsi della persona, per quel considerar la natura solo in
tanto che ne dia pena o di letto, come pressochè tutto è dubbio, amor proprio,
e sospettosa e lenta osservazione, cosi pure le opere nostre la più parte
generate da personali e interessate cagioni; e se prima moveaci il bello,e il
bene e ilvero intanto che belli, muoveci dappoi l'utilità. Dicevamo che la
Storia si farà a cercar l'utile; poi con un tal rude passaggio alla moralità
sola il riduceva m o, come se niente altro esser ci potesse d'utilită, quivi
tutta si raccogliesse. Per voler soddisfare a questo dubbio, e farci incontro a
parecchie altre objezioni che ci si puo fare, dichiareremoal quantomeglio ilno
stro pensiero, e il rafforzeremo in fretta almen tanto che basti. Tolto via
l'utilità fisica, che in verun modo non ci potrebbe venire dal racconto dei
fatti delle nazioni,l'uti Jità non può veramente esser posta, che nel giovare
al l'uomo o come agente morale, o come creatura intelli gente; perocchè non si
potendo allettare la sensibilità, alla Storia non resta che correggere la
volontà, o svolgere e saran per Però la Storia, dopo che si è mostrata
puramente artistica, vorrà avere uno scopo che le paja manco vano, e che dia
più pronti e certi frutti; vorrà insomma esser utile, ed eccovi apparir la
Storia morale, la quale, se più non guarderà la bellezza siccome unico ed
immediato suo scopo, se ne gioverà nondimeno per ornare ed avvivare i suoi
racconti, essendochè l'uomo, come dicemmo, po scia che l'ha un tratto
conosciuta, mai più non si di stoglie dalla bellezza. costantes generi,
contumax etiam adversus tormenta servo rum fides. Ond'iomi maraviglio che
ilsignorMannaabbiapo tuto sconoscere questo si manifesto intendimento di
Tacito, dandogli uno scopo meramente artistico, com'ei si da rebbead Erodoto. E
mi pare che in questosbaglioeisia caduto, per aver troppo semplicemente diviso
tutta la vita storica inartistica e filosofica, nonbadando che seconla
riflessione si può dir che cominci l'amor del sapere ola filosofia, non per
questo ella è filosofia, intesaintuttala determinazion della parola, cioè la
scienza già ordinala formata; e per dir più chiaramente, che innanzi all'ul
tima forma sua ben può la Storia esser riflessiva, e non esser pertanto ancor
filosofica. Il perchè non potendoegli di buona fedetrovare in Tacito la sua
Storia filosofica ha dovuto di necessità trovarvi l'artistica,quantunquela
Storia avesse in lui cangiato natura, essendochè l'artedi primo scopo e signora
ch'ella era, è divenuta istrumento ed ancella. SMomentodelleveritàassolute. Storia
positive. Per affisarsi che faccia la riflessione al subbietto e all'ob bietto
e ai lor rapporti, verrà tempo alla perfine ch'ela sarà percossa da quella
strana immutabilità e indipendenza dei concetti della ragione; che anzi quello stesso
atten dere ed osservare i fenomeni sensibili e volontari sarà ca gione che le
si dimostri l'assoluto; essendochè di due o più cose non pur dissimiglianti ma
opposte sieme e confuse; più pensando ed osservando ne distrigate e dintornate
l'una", più l'altra vi si porgerà chiara edi stinta. L'osservare che sopra
una sorta di fenomeni non ha potere la volontà, e che lo stesso non-me non
sipuò sottrarre a certe.leggi immutabilissime e salde, fa chesi vadano
sempreppiùdistinguendo e sceverando ifatirazio pali, e apertamente se ne vegga
la indipendenza dalsub bietto e dall'obbietto. Oltre diche,inquellaguisachela
impersonalità dei fati sensibili rivela e determina la per sonalità dei
volontari, cosi la mutabilità, la contingenza, la naturafinita e dipendente
dell'animonostroe delana tura,distintamente cisvelal'immutabile,l'infinito,l'as
soluto; l'essere, in una parola, il quale non che dipen e strette
in dere da altre cose, a tutte
anzi è sostegno e fondamento. In questo secondo suo momento adunque la rifles
sione,disviluppatasidal contingente,separaepone l'asso luto,o vogliam
direl'eterneveritàrivelatecidallaragio ne. E però ch'ella suole, dimenticando gli
antichi, tutta a'nuovi obbietti abbandonarsi, e massimamente dopo che ha
scorto, che ilme e ilnon-me non son poi gli ultimi termini della scienza, e che
ci ha alcun più degno e nobile obbietto intutto indipendente da quelli,e che
anzi abbrac cialiecomprende,e pon loroelimitieleggi,da'quali, tramutinsi pure a
lor posta, mai uscir non possono, o sottrarsene.E megliovedràl'importanzae
ladignitàdel l'assoluto, quando si sarà avveduta che non ostante la caducità e
l'impersetta natura del contingente, le verità nondimeno stanno e
sopravvivono.Di questo procederà che alle personali vedute del primo momento
altresuccederanno impersonali e disinteressate, e seprima chiedevasi l'utile,
il vero poi soprattutto si chiederà. Eosi la Storia che abbiam veduto correr
dietro al l'utile,volgerassi a più nobile scopo escientifico,enon vorrà che il
vero; e purchè il trovi e narri, le parràdi aggiungere l'ultimo e naturale suo
scopo. Vero è, che non si essendo anco giunto a tale con la scienza, che basti
e valga a ricongiungere e riferire alla prima Sostanza quelle assolute verità,
e a considerare il vero come rive lazione dell'infinita Intelligenza. Vorrà la
Storia il vero, ma senza sapere iltrovarlo infine che importi;e conside randolo
partitamente nei fatti in tanto che esistenti e a v venuti, scambierà il reale
col vero, e solo vedrà negli avvenimenti la vicina dipendenza di cause ed
effetti, non si elevando mai a più larga e lontana connessione. Per tanto degli
Storici di questa età, sola e prima cura sarà trovare i fatti e accertarli,
mostrarne le immediate o poco lontane cagioni, o almeno le occasioni e i
rapporti, e solo che dieno una tal quale narrazione di importanti e certi fatti,
nissun pensiero si prendono del rimanente, e par loro adempiuto ogni ufizio
eche laStoriasiafatta.E non pen sate ch'ei sipiglino affanno di virtù e di
vizi,di giusto edingiusto,diquestaoquellacredenza;evidanno a divedere una
freddezza e un'indifferenza, che c'è da sconsolarsene, per modo che vi sembra
non abbian cuore,o senso morale, e sien tutto pensiero e intelligenza. Il qual
morale indifferentismo stimiamo sia tra l'altro ingenerato dai costume di quelle
età ch'esser sogliono assai guastie dissoluti:onde avviene che disperato si del
miglioramento, appoco appoco l'animo vi si adusa, e dopo di averli con siderato
come un necessario male e durissima legge del l'umana natura,finirà colvenire
in quella tristae scon solante indifferenza, di che non è stato che sia
peggiore. Anche questa maniera di Storia vediamo adunque inrap porto manifesto
con l'obbietto e col subbietto, con lo svol gimento progressivo
dell'intelligenza, e con le sociali c o n dizioni dell'età in cui suole
apparire. Se non che, acció che non ci si dia non meritato biasimo, vogliam qui
fare avvertire che se noi riferiamo la Storia al subbietto e al l'obbietto,
questo facciamo per guardar la cosa da più lati, e non perchè ci sembri che
quelli in sostanza sien diversi rapporti. Conciossiache limitando noi
l'obbiettività al solo mondo civile, il quale, come ha detto il Vico, è fatto
dall'uomo, ci avvediamo che il riferirvi la forma che vien prendendo la Storia,egli
è come riferirla un'al tra volta allo svolgimento della nostra intelligenza.
Questi sono gli storici, che abbiam chiamato positivi. E molti potremmo
indicarne che più o meno van com presi in quel numero; ma ci piace di nominar
soltanto il Davila e MACHIAVELLI, come assai vivi esempi di que
stageneraziondinarratori.Solovogliamo quiricordare che se in molti di questi
storici alcun che ci ha di arti stico, morale o politico, non per questo non
son da te nere per positivi, quando loro intendimento sia stato il narrare
ifatti che veri stimavano senz'altra briga.Dap poichè se nell'ideale e nella
scienza tutto è ben distinto e determinato, nella realtà per contrario tutto
intrecciasi e confonde, e mai non si ha il fatto cosi nudo e segre gato dagli
altri che gli stan dallato, o che lo han pre ceduto o seguiranno, secondo che
la scienza lo ha de scritto. Cosi questa famiglia di Storici è a parer nostro
assai numerosa e comprensiva; e risolutamente vi chiu diamo e 'l GUICCIARDINI e
l'Hume e'l Gibbon e 'l Giannone e 'l Robertson, avvegnachè di costoro, chi
voglia solo un lato considerarne, alcuno dirà artistico, un altro forse
chiamerà morale o politico, e in quegli ultimi per avventura gli parrà già di
vedere l'ultima forma della Storia, che è LA FILOSOFICA, e di cui or passeremo
a ragio nare. Per ilche,quando perassaisecolisièveduto un sorgere e fiorire, e
un cader d'imperi e di nazioni, una catena lunghissima di successi grandi;
quando in somma il dramma storico dell'umanità di tanto è cre sciuto,che sene
può avereun'assai larga e svariata esperienza;èforzacheavedersicominci
allaperfine e un tal ritorno di avvenimenti al tornar delle stesse ca gioni, e
certi costanti rapporti e lontanissime dipendenze, e una certa comune natura
delle nazioni sotto alle dissi miglianze grandi che son tra loro. Oltre di che
al rovinare e mancar di tanti regni potentissimi, di tanti vasti e splendidi
imperi, che pare a non on d o vermi finire', e Storia filosofica. S.III. Momento
delle verità assolute come manifestazione La riflessione di sua natura, quanto
più va innanzi nel suo lavoro, della prima Sostanza. Tanto più visi addestra, ed
acquista di acume e di profondità, e noi tratto tratto più incontentabili ci facciamo
e vogliosi di sapere. Dopo di aver separato e distinto il meeilnon-me,siamocielevatialquantopiùsu,edat
traverso alla vicenda ed alle permutazioni del contingente, abbiamo intraveduto
e scorto l'assoluto in quelle immu tabili verità, che son come le leggi del
pensiero e della natura. Ma giunti che siamo a questo punto di conoscenza,
veggendo che quelle assolute verità non derivano o dipendono di sorta dal
subbietto e dall'obbietto; qual sia dimandiamo la lor sorgente e derivazione,
di qual sostanza essi fenomeni sieno manifestazione nella nostra intelligenza.
E questa interrogazione torna inevitabile e necessaria per quei due principi
disostanzae dicausalità, che non ci lascian mai, eche ad ogni fenomeno,ad ogni
cosa che cominci,a trovare o pensar ci sforzano una so stanza e unacagione.Le
veritàassolute adunque noi ri feriamo e leghiamo all'assoluta
Sostanza,all'Essere crea tore e intelligente, e quivi soffermasi la riflessione
niente altro chiedend, vi si appaga e riposa. e tutto in loro accogliere
e stringere il futuro destino dei p o poli; non può la disingannata
intelligenza non distorsi da quell'angusto e caduco spettacolo, e non elevarsi
a più larghe esublimi considerazioni. E scorgerà che iregnie gl'imperi non son
poi che apparenze peculiari e fuggenti, è che fra tanta vicenda e permutazion
di fortuna,duran nompertanto le umane generazioni e governate da costan tissime
leggi;e da tanti sanguinosi elacrimevolicasi,da tanti mali e miserie
incredibili, risorgon sempreppiù a m maestrate e possenti,come se cavasser
benedalmale,e a simiglianza d'un nobilissimo fiume, il quale non che scemare e
impaludarsi tra la rena e i sassi e i dirupi, sempre crescendolesue
acque,alteramenteprocedeverso l'infinito mare che l'attende. Pertanto a quel
modo che riferiamo le leggi del pensiero alla prima Intelligenza, e le abbiamo
per un suo apparire e rivelarsi nella ragione; così pure quelle discoperte ed
osservate leggi dellaStoria riferiamo al primo Essere, e le consideriamo come
forma visibile dellamente e del disegno di lui sopra il destino degli uomini,
che è quanto dire come la stessa Provvi denza divina. Quando adunque dalla
mutabilità, dall'incostanza e dalla contraddizione del reale, elevar ci
sappiamo insino all'idealeeilconsideriamocome espressionedella mente di Dio;
quando più non vediamo nella Storia una for tuita o capricciosa
successionediavvenimenti,ma losvol gimento di un'idea nel tempo, e
l'adempimento sopradi noidel provvidodisegno del Creatore. Sorgerà quella Storia
che detto abbiamo filosofica; e, conciossiachè la riflessione non vada più
oltre, questo è l'ultimo e più n o bile grado a cui possa ella giungere. Or
questo supremo pensiero,questo provvido disegno di Dio sulle umane generazioni,
certo in niente meglio si dimostra che nella Storia della religione; e se
aggiun gete che solo il Cristiano incivilimento pote acidare una cosi fatta
Storia; che, dalla nostra infuori, niun'altra religione non ha avuto un si
chiaro e non interrotto cam mino attraverso a tutte le età; che la scienza
infine non avea a cominciar da capo e far tutto di per sé, percioc ehè ella
potea lavorare per un sentiero ch'or silascia in travedere, or
profondamente è segnato nei Libri Santi; non è dubbio che dei cinque elementi
della Storia, che sono l'industria, lo stato, l'arte, la filosofia e la religione,
dovea quest'ultima prima costringer l'attenzione dei nostri scrittori, e,
lasciatisi da un canto gli altri quat tro, informare a suo modo la Storia,e
invadere a prima giunta e assorbire tutta la vita delle nazioni. Di qui av
verrà che questa prima e incompiuta Storia apparirà anzi teologica che
filosofica. E tale infatti è quella del Bossuet, per essersi quel dottissimo
Vescovo tutto chiuso e raccolto nel Cristianesimo, e fattolo centro, scopo e m
i sura a tutta la Storia dell'umanità. Ad ognimodo quello è il primo passo
verso la Storia filosofica, e il primo n a scere e incarnarsi di quella idea,
che dopo meno di un secolo vedemmo tanto allargarsi nell'Herder, che in quel
suo stupendo lavoro tutti abbracciò ed avvinse gli elementi della vita delle
nazioni. Se non che la Storia dell'umanità non si sarebbe per avventura a tanto
alto grado elevata nell' Herder, se QUEL MARAVIGLIOSO E POTENTISSIMO INGEGNO DI
VICO non avesse prima, con lo scriver la Scienza nuova, fondata ne la
filosofia. Di quest'opera straordinaria assai volentieri parleremmo, ch'ella è
primo vanto e gloria nostra, e Dio sa quantoci gode il cuore in pensare che
abbiam noipure il nostro Dante; m a sarebbe un varcar quei limiti che ci
siampostiinquestolavoro:dappoichènon abbiam voluto intrattenerci intorno alla
scienza della Storia, m a solo indicare una opinione che avevamo del suo
progressivo svolgimento, cavandolo daquello della filosofia romana. Non però di
meno vogliam mostrare che quell'idea che d'una vera e compiuta Storia
filosofica osservando e ragionando ci siam fatta, quella stessa aver partorito
e fecondato la Scienza nuova.Infatti, poichè il Vico dallo studio psico logico
dell'uomo ebbecavato quella sua comune natura delle nazioni, vale a dire le
leggi universalissime della Sto ria, andò fino a riferirle alla prima Cagione,
e le tenne espressione visibile del Consiglio divino; ond'ei medesimo
scrisse,l'opera sua doversi riputare una Teologia sociale e una storica
dimostrazione della Provvidenza. E concios siache per potersi elevare, sccondo
che dicempo, dal reale all'ideale, ei bisogna che il primo ci sia noto,
as sai giovossi il Vico della FILOLOGIA DELLA LOQUELA DEL LAZIO, che al dir del
Michelet, è la scienza del reale, o dei fatti storicie delle lingue; e sull'ale
poi della filosofia cacciossi in quella potente e lontana astrazione. La
filologia adunque e la filo sofia, cioè le scienze del reale e del vero (ch'è
l'idea le ), son le due fecondissime sorgenti a cui ha attinto la Scienza nuova;
e una storica dimostrazione della Provvi denza è l'ultimo e proprio suo
obbietto. Ma se grande nella Scienza Nuova è la parte del l'uomo e di Dio che fuungran
passo do poche il Bossuet in Dio solo s'era affisato ), la parte del non-me o
della Natura è nulla, o incerta e poverissima; la qual cosa poi tanto crebbe e
ingigantissi nell'Herder per sual filosofia di quel tempo,che l'uomo ne venne
presso cheschiavoalla Natura, ev'ebbea perdere il suo libero arbitrio. Perciò
questo elemento tra l'altro devesi aggiungere alla Scienza Nuova;essendochè
l’Uomo, Dio e la Natura sono i tre obbietti alla filosofia, e questi stessi
entrar debbono,e in bell'armonia legarsi nella Storia,
sesivorràch'ellasiacompiutae perfetta,echearrivi a quell'idealesupremo cheil
progresso della scienza ci promette,e cheledotteedoperosefaticheditantichiari
uomini del nostro vivente ci fanno sperare non lontano Raccogliendo ora tutte
le coseche inquesto secondo periodo abbiam toccato,diciamo che la Storia dopo
di es ser nata artistica vuol esser utile, indi vera, ed ultima mente
filosofica; che questoavvieneper l'obbiettoepelsub bielto, secondochè abbiamo
or detto espressamente, or sol tanto lasciato intravedere. Quanto alle vicende
e al progressivo cammino della Storia,questo è il nostro pensiero. E qui
porremmo fine al nostro lavoro se tutti i lettori così fossero, li vorremmo. Ma
ci ha di tali uomini, che non san ve dere nei fatti che dissimiglianze e
contraddizioni, e non si elevando più che tanto, stringer non sanno più di due
cose insieme, e non diciamo porre un po' d'ordine e d'armonia in quel caos
d'avvenimenti, ma nemmanco innalzarsi a un sol pensiero, a un qualche men che
vi la sen gran fatto. come noi cino rapporto. Costoro certamente vorranno
che tutta la Storia vadasi per cosi dire a adagiare nel disegno che in fino a
qui siam venuti delineando, e che d'ogni Storico subito e chiaramente si possa
diffinir la natura e 'l tempo del suo venire; e perocchè questo, non potendo
essere non viene lor fatto, eccoveli gridar tostoall'errore e al sistema: come
se i casi valessero a romper le regole, e come se negli uomini non fosse libero
arbitrio, ed oltre alla ragione non fosse la personalità del volere, la quale
di quanto conturbi, e modifichi, e arresti e affretti al l'idea il naturale e
logico suo svolgimento, non è chi non vegga. Per non dire che in alcuni storici
la stima e l'imi tazion dell'antico, in altri l'indole o le false opinioni o la
povertà del sapere son cause che sovente essi dienci parti fuori tempo; e che
ifatti talvolta sembri che vadano a ritroso con le idee. E valga l'esempio
delBotta venuto troppo tardi per esser, com ' egli è, storico morale e p o
litico. Oltre di che alcuni, venuti nella intersezione di due periodi, e però accogliendo
quel che cade e quel che sor ge, hanno in quei loro scritti alcun che
d'indeterminato, il quale cosi n e asconde e sforma la vera faccia, che non
sapreste a quale specie di storici li dobbiate propriamente riferire. Cosi in
Livio vediamo a un tempo l'artistico e'l patriottico o politico e anche un po'
del morale, ed era mestieri per i tempi in che scrisse; in Sallustio ancora
l'artistico, ma il morale più determinatamente; in Sveto nio quasi intutto il
positivo. Del rimanente il reale o quel che accade può ben rifermare, ma non ha
potere di con trastar l'ideale o quel che è: laonde se la nostra osser vazione
psicolologica è stata accurata,esatta e compiuta non ci si avrà a contraddire,
e le vicende della Storia quelle saranno, che abbiamo fuggevolmente descritto. Giambattista
Ajello. Ajello. Keywords: Roma antica nella filosofia di Hegel. Refs: Luigi
Speranza, “Grice ed Ajello” – The Swimming-Pool Library.
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