Grice
e Breccia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della
metafisica del dialogo – scuola di Trento – filosofia trentina -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco d H. P. Grice, The Swimming-Pool
Library (Trento). Filosofo
trentino. Filosofo italiano. Trento, Trentino-Alto Adige. Grice: “I like
Breccia; he is, like Vitruvio, obsessed with the male human body – but also
about the ‘metafisica del dialogo,’ so we can call him a Griceian!” -- Breccia nel suo studio a Roma. Pier Augusto Breccia (Trento ), filosofo. La
pittura di Breccia esplora l’essere umano con un approccio ermeneutico (nel
senso della filosofia ermeneutica moderna di Jaspers, Heidegger, Gadamer) e si
apre su un vasto orizzonte di temi filosofici. L’opera di Breccia include oli
su tela, matite e pasteli su carta, 7 libri e numerosi saggi critici. B. ha
esposto in personali in Europa e USA. La famiglia paterna è originaria di
Porano, un piccolo paese dell’Umbria, dove sua madre, Elsa Faini (di Trento),
si era trasferita nel dopoguerra. I genitori di Pier Augusto lavoravano
entrambi nel settore ospedaliero: infermiera la madre e chirurgo il padre
Angelo. La famiglia si trasferisce a Roma, dove B. trascorrerà la maggior parte
della sua vita. Si iscrive al liceo classico Giulio Cesare di Roma, dove matura
un profondo interesse per gli studi umanistici che lo accompagnerà per il resto
della vita. Scopre la Divina Commedia che studia di sua iniziativa affascinato
dalle allegorie dantesche. Subito dopo, attratto dalla filosofia e dalla
mitologia greca, traduce per l’editore Signorelli l’“Antigone” di Sofocle e il
“Prometeo legato” di Eschilo. Ancora nella fase adolescenziale traduce i
“Dialoghi” di Platone. Completati gli studi liceali si iscrive alla facoltà di medicina
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e riceve, con il massimo dei voti, la
laurea in medicina. Professione medica Dopo la laurea consegue una
specializzandosi in urologia, in chirurgia generale e successivamente in
chirurgia cardiovascolare mentre comincia a far pratica al Policlinico Agostino
Gemelli di Roma. Sposa Maria Antonietta Vinciguerra, nasce il primo figlio,
Claudio e la figlia Adriana. Si trasferisce a Stoccolma, dove lavora al centro
di chirurgia toracica e cardiovascolarere dell'Istituto Karolinska sotto la
supervisione di Viking Björk (inventore della valvola cardiaca Bjork–Shiley).
Tornato all’università Cattolica di Roma e al connesso ospedale Gemelli,
diviene professore associato. Ppratica interventi a cuore aperto e pubblica
circa cinquanta articoli in riviste mediche. Il punto di svolta: dal
bisturi alla matita È quando B. scopre un inaspettato talento per il disegno,
che nei due anni successivi diverrà il suo hobby. Soltanto dopo la morte di suo
padre e a seguito di una profonda crisi esistenziale, il talento disegnativo
trova la sua espressione creativa. La produzione artistica dei primi due anni e
il pensiero filosofico da questa ispirato confluiscno nel libro
"Oltreomega". Durante un periodo di produzione artistica e di
mostre in Italia e all’estero (‘'Monologo corale’', ‘'Le forme concrete dell
in-esistente’', ‘'La semantica del silenzio’') prende un'aspettativa dalla
professione medica. Nel biennio seguente, lo stile artistico, da lui definito
"ideomorfico", si delinea con maggior chiarezza, così come il
pensiero filosofico, che presenta nel libro “L’Eterno Mortale”. Dà le
dimissioni dalla professione di chirurgo e nello stesso anno porta le sue opere
a New York, presentandole in due mostre consecutive, alla Gucci e all’Arras. La
strada dell’arte, si delinea rapidamente e, appena date le dimissioni, si
trasferisce a New York dove trascorre la maggior parte del tempo. Durante
questo periodo, espone in diverse città degli Stati Uniti (New York, Columbus,
Santa Fe, Miami e Houston). Sin dall’inizio è estremamente prolifico e
l'opera dei primi dieci anni viene raccolta nel libro “Animus-Anima”, che
comprende immagini di sue opere. Torna stabilmente a Roma ed espone in diverse
città italiane ed europee. Pubblica "L’altro Libro", scrive “Il
linguaggio sospeso dell’auto-coscienza”. B. presenta novanta opera in
un’imponente personale al museo Vittoriano e pubblica “Introduzione alla
pittura ermeneutica”, il suo manifesto artistico, al quale collabora il
filosofo Matassi. Negli anni seguenti, malgrado le condizioni di salute, è
impegnato in numerose mostre in musei italiani ed europei. Dopo la
chiusura della sua mostra di Trento, ha un infarto nel suo studio di Roma,
viene portato al Policlinico Gemelli, emuore. Ragione e immaginazione: “lo
spazio pensante” Lo spazio è l’elemento più distintivo delle opere di B., che
egli stesso definisce “denominatore comune della pittura ermeneutica[...]
principio stesso delle nostre facoltà intellettive”. Tuttavia, se nello
spazio paradossale di B. la ragione si sospende e precipita di continuo, il
senso di armonia ed equilibrio, che caratterizza tutta la sua opera permette
all’immaginazione di entrare nello spazio senza alcun tormento. Forme,
colori e luce: dis-oggettivazione Un'altra caratteristica delle tele di B. è la
presenza di “oggetti”, in un equilibrio generato tuttavia da forme e colori
piuttosto che da una oggettiva metrica di spazio. Allo stesso tempo, tali
“oggetti”, ridotti a forme/colori essenziali o addirittura trasformati in
spazio stesso o “altro da sé”, sono privi di una vera oggettività e di
conseguenza sono aperti ad essere letti come linguaggi, segni o, più
propriamente nel senso della filosofia ermeneutica di Karl Jaspers, come
“cifre”, cioè “segni” non ancora interpretati. L’uso della luce e del
chiaroscuro è parallelo a quello dello spazio e della prospettiva nella
molteplicità di paradossi. L’assenza di una fonte di luce all’interno
dello spazio pittorico contribuisce a rimuovere contenuti emozionali. In
ultimo, il rapporto luce-spazio-forma crea l'ennesimo paradosso di B. Se la
luce è spesso associata a ciò che è comprensibile razionalmente (e.g. “luce
della ragione”), nelle opere di B. tutto appare al contempo luminoso e
misterioso. B. usa il termine “pittura ermeneutica” per descrivere la sua
posizione come artista nel suo Manifesto “Introduzione alla pittura
ermeneutica”. Il presupposto di significabilità della cifra pittorica
ermeneutica è la libertà da canoni, convenzioni, dogmi di spazio e tempo, del
qui e dell’ora, che permette una verifica della significabilità dal di dentro.
In tal senso, l’arte può essere un’esperienza di conoscenza, in quanto
“apertura” da “un lato sull’infinita alterità dell’essere o di Dio, e
dall’altro sulla personale coscienza dell’ ‘Io’.”(Introduzione alla pittura
ermeneutica). Moschini e Zitko Zitko Zitko Comunicare, Università
Cattolica del Sacro Cuore,. Unomattina, RAI Unomattina, Gennaio Zitko Moschini
e Zitko, p.38. Steiner Steiner Moschini e Zitko Moschini e Zitko,
p.40. B., Introduzione alla Pittura
Ermeneutica, Vivaldi Moschini Zitko Steiner Moschini e Zitko. Moschini e Zitko Moschini,
M. e Zitko(), "The educational path of Ideomorphism. From theory of
knowledge to philosophy", Journal of Philosophy and Culture supplement,
laNOTTOLAdiMINERVA Zitko, "Il linguaggio della pittura ermeneutica e la
Chiffer di Jaspers", Dipartimento di Letteratura e Filosofia, Universita'
di Pisa Steiner, Profile: B., ART TIMES Steiner, Critique: B. at Arras Gallery,
NYC", ART TIMES Steiner, B.: Another Look, NYC", ART TIMES Matassi,
E. Sur la peinture Hernéutique: B., “le messager d’alterité”.I n: Du Nihilism à
l’hermenéutique libri gratis su itunes The educational path of Ideomorphism La
pittura ermeneutica, su didattica ermeneutica. B.: biografia, su
direnzo. Biografie Biografie: di biografie Categorie: Pittori italiani
Filosofi italiani Saggisti italiani Professore Trento Roma. THE DIALOGUE The universe of speech is egocentric. At the
centre is the speaker (ego) and the listener is slightly off-centre (tu).
The listener becomes a speaker in his turn and the axis of the universe
shifts slightly, but these are the two persons of speech, and all others
are objects to be pointed out. Ego spreads symbols in front of tu, but tu
is the arbiter of intelligibility. If ego makes unintelligible noises or
speaks Greek to the Eskimo tu, there is no communication and therefore no
language. If ego's symbols are unsatisfactory or unsatisfactorily
arranged, tu demands a new set or a better arrangement. Since speech is a
function of action, tu's acts determine the sense of ego's symbols to the
extent that ego must either acquiesce or come to a new
understanding. Soliloquy, meditation, and ‘arranging one’s thoughts’
are imitations of dialogue. They have involved in past time even
movements of lips ; hence the theatrical convention that the soliloquy and the
read letter can be overheard. But ego does not speak to ego; he has far
quicker ways of understanding himself. He soliloquizes before an imaginary
tu and he arranges his thoughts with a view to addressing later some real
tu. The dialogue occurs within a frame of reference provided by
circumstances and concerns some event. Gardiner 1 describes speech as four-sided,
with the IV factors of I speaker, [Gardiner, Speech and Language, Oxford,
io] II listener, III words, and IV things. The things, however, should be
those of a given moment, forming an external and concrete
association which we call circumstance. It is better to think of them as
external and concrete, because so they are in all languages, including
savage ones. Two persons may discuss the square root of minus one in
an oubliette at midnight and so reach an extreme of abstract
speech, but the topic is no more than the last of a long series of
abstractions which began with the sum of two flints or cave-bears or
the Circumstances or Context Event or Phenomenon
Impression Expression impression I H like. A square was once a
pattern on the ground. If one says to another ‘the unexamined life is not
worth living’ there has to be a context of ethical discussion to
determine what is ‘life’, ‘worth* or ‘examination*. An insurance agent
might be puzzled by the phrase and emend it to ‘the medically unexamined
life is not worth insuring*. Even so, though more concrete, his language
represents the end of a complex process of civilized abstraction. That
speech should be possible without visible circumstances is a relatively
late development, and is achieved by the creation of contexts. The
context of a discourse consists of spoken conventions which enable us to
dispense with visible objects, by siting the discourse well enough to
give the supplementary information that would otherwise have been derived
from circumstance. The language even of savages contains some abstraction,
since they speak of some parts of circumstance and neglect others.
Yet the Australian Arunta cannot count or distinguish times or
identify themselves. Basque host ‘five* probably means ‘closed fist’,
and counting in multiples of twenty (Basque ogei) was achieved
by counting fingers and toes. Getting lost in the higher figures, it
might prove simpler to proceed by subtraction (Lat. 19 undeviginti, 18
duodeviginti, Finnish 9 yhdeksan, 8 kahdeksan, cf. 1 yksi, 2 kaksi 9 and
the Indo-European for 10). Chinese characters are singularly illuminating
concerning the relations between concrete and abs- tract. ‘Benevolence*
is ‘man plus two* (a man who thinks of another beside himself),
‘happiness* is ‘one mouth supported by a field*, ‘peace* is ‘a woman
under a roof* (indoors), ‘home* is ‘a pig under a roof* (food and
shelter), ‘spirit* is the skeleton of a great man, a ‘great* man is one
who has not only legs to obey but arms to en- force, ‘father* is a ‘hand
holding a whip*. These written analyses are, no doubt, scholarly and
sometimes whimsical. It is not exactly in that way that abstractions have
been derived from objects and contexts substituted for circumstance, but
the language of savages is astoundingly concrete and only fully
intelligible when spoken in the presence of the objects of
discourse. Communication lies partly in what we say, partly in the
circumstances. The latter fill in so much that actual speaking is
elliptical, erratic, incomplete, and imprecise. Even the elliptical words
may be further curtailed by substituting gestures, 1 which refer one
back vaguely to the circumstances. Thus one may overhear: A.
Hullo! How’s tricks? B. So so ; and the boy ? A . Bursting with energy,
thanks. The first is not a question but a breach of silence, 2 and
establishes the conversation on the basis of casual familiarity. It does
not seek or receive an answer, but an opening is made for A’s
principal interest (which is known from the circumstances), and A,
when replying with information, acknowledges the kindly intention of B. It
is possible to say quite intelligibly ‘Old what*s-his-name is just
bringing in the thingummy*, if, at a Burns dinner, Mr. McLeod is seen
piping in the haggis. It is even better to be imprecise, and to say ‘my
heart went pit-a-pat’, ‘the tray came bang, thump, crash down the
stairs’, or ‘whiff, it *s gone*, because, while the circumstances 1
Gesture-languages seem, however, to be translations of the spoken word or
of set phrases as a whole. The Arunta are said to have a gesture-language of
250 signs. This seems to be different from the gestures which refer
directly to circum- stance. 2 *To a natural man, another
man’s silence is not a reassuring factor, but, on the contrary, something
alarming and dangerous. Malinowski, Magic, Science and Religion,
Boston. would explain either these sentences or explicit statements,
these expressions give an impression of the immediate event, not
generalized as one which might occur elsewhere. This is the basis of the
astonishing development of ideophones in Zulu and other Bantu languages
which will be discussed later. When we ‘speak like a book’ we provide
explicit contexts as if circumstances did not exist visibly to complete
our meaning, and this procedure, neces- sary in writing, is recognized as
a defect in conversation. Grammatical and verbal completeness is
thus not required of the sentence, and there is nothing to be, as older
grammarians said, ‘understood’. It was difficult under the old regime to
say precisely what word or words were to be ‘understood* since the phrase
could be completed in various ways, but older grammarians, obsessed
by literary contexts, did not sufficiently allow for the completion
by environment. R. Lenz 1 gives the following conversation: A. Where are
you off to, Peter? B. Valparaiso. A . At once ? B.
No. Tomorrow, by the slow train. A What for? B. A matter of business.
A. Something important ? B. Yes; the sale of my land. A. Have you a
buyer in sight? B. It seems so. A . Well, congratulations. B.
Thanks. This is what the linguist must accept. He is not at liberty to
rewrite the sentences so that each should have subject, verb, object,
and other principal parts. They are already complete and fully
intelli- gible in the circumstances. They are even intelligible as parts
of a context. Circumstance, and context eliminate uncertainties
which theoretically exist. Thus of eighty-four words in the fourth tone
of i in Chinese, 2 only ‘thought, will, intention* can exist in the
vicinity of ‘understand*. The same sound may mean ‘a mountain in
Shan- tung*, ‘dress*, ‘I* (in speaking to rulers); ‘licentious*, and
‘hiccup’, Lenz, La Oracion y sus partes, Chinese words are quoted
according to the transliteration adopted in MacGillivray’s Mandarin-Romanized
Dictionary of Chinese, Shanghai. It is according to Wade’s system, which
has no special advantage beyond that of a wide diffusion. See also the
pocket dictionaries by Goodrich and Soothill. but none of these are things
one ‘understands*. Actually, by com- bining synonyms (i+-szu l ‘thought,
will, intention’) modern Chinese gives the hearer more time to identify
the meaning, but these compounds are readily dissolved when no ambiguity
is possible. The written language provides ninety-two different signs for
i A so that the precise meaning identifies itself, without dependence
on visible circumstances or even on context. By way of compensation,
the old literary style was sparing of doublets or other helps to
understanding. Within the frame of circumstance each sentence
refers to an event or phenomenon as it appears to, and interests, us at
the moment of speaking. We distinguish activities and states, but
the distinction is partly an illusion. ‘Rome is the Eternal City’ now
and as things appear to us, though founded traditionally in 753
b.c., and still not so long-lived as Babylon. Damascus and Jerusalem
are older and still exist, but do not appear to us to have the enduring
quality conferred by the succession of the Papacy to the Caesars. I am
content now, but the phrase does not prevent my being dis- contented in
half an hour ; you are a Grand Duke or a soldier, but a revolution may
cancel all titles or you may be demobilized to- morrow. The event is not
known to us in all its cosmic significance ; we can only speak of what
appears to us (represented by the wavi- ness of the line in the diagram).
Of what appears, we put into words only what momentarily interests us, as
in the celebrated observation: ‘What a lovely day! Let’s go and kill
something.’ We make a mock of the objective statement ‘Queen Anne ’s
dead’ because we are not accustomed to make affirmations without
immediate inter- est ; though historians have devised for such statements
a measure of interest by the postulate that all historical dicta are, in
some way, worth while. Each event is, of course, unique. ‘Bear kills man’
and ‘Man kills bear’ are totally dissimilar events. It is thus not
sur- prising that many languages should have word-sentences which
express each event by a unique construction, and all show a phenomenal
residue (the verb) after analysis has gone so far as to provide names for
the parties, their qualities, and their modes of action and being. The
verb continues to show formidable com- plexities in such a language as
French, though the noun has become almost an invariable unit. The Latin
verb offered a complex paradigm which was simplified by analysis in primitive
Romance, but the Romance languages have used these analytical
simplifications to build new synthetic paradigms. It is clear that the
result is not due to analytical failure, but to an appreciation of the
need to dis- criminate between phenomena. For the s^ke of
simplicity we are considering the first com- munication of a series.
Ego's primary impression of the event may be derived from any of the
senses, though it is most likely to be visual. It will be more
agglomerative than any expression, and probably either total or of
selected parts modified by all their minor characteristics. Infants, like
Humpty-Dumpty, endeavour to speak in a total way, packing their whole
meaning into some such phrase as din-din. One can take din-din as equal to
‘I am thirsty’ or ‘Why don’t you give me a drink?’ or (in the case I
have in mind) ‘I want more fizzy lemonade’. The situation is
unanalysed and the whole of it is expressed, so far as the infant can, in
two syllables and their accompanying intonations. On the other
hand, the agglomerative type of structure is common in primitive
tongues. The primary impression is thus intrinsically unlike tu's
secondary impression, which depends on the co-ordination of a linear
series of symbols. The older linguists spoke of ‘inner speech-form’
and ‘outer speech-form’ as if these had a one-to-one
correspondence, and it is still deemed legitimate to speak of the mental
image of a speech-sound and its actual enunciation. Whether the mind works
in that way a linguist is hardly qualified to know, since his task begins
with the audible sentence . The disconformity between global impressions
and a linear series of symbols seems to be what convinces so many that
their thoughts are too rich for words. There is an act of translation
involved. Impressions are collected at some point of the brain,
co-ordinated, transformed into orders to the speech organs, transmitted
as a series of vibrations, collected by the ear-drum, and retranslated
into meaning. The various mental movements have been identified to some
extent by physiologists. Ego displays his impression to tu in the
form of a linear symbolic expression. Any symbol that tu accepts is valid
for communication with tu y and any that he rejects is invalid. Ego may
offer any one of many gizon y homoy anthropos, czlowieky mard y ember,
mies, jen y hito t insdn, adamy orang, muntu, oquichtli, runa or tree y
zugatz, arbor y Baum, dendron, derevo y car and so on. The relation
between sound and thing is entirely artificial, and according to the
language so is x See, however, Gardiner, Speech and Language, ‘An
Act of Speech*. the convention. Even onomatopoeia is conventional.
The imitations serve, not because they are good, but because they are
conventional. [To a Frenchman one offers subject-verb-object, and to a
Turk subject-object-verb ; to a Chinese attribute-substantive is the
same as substantive-attribute to a Siamese or Malay. Increased
stress has the effect in one language that play on tones has in
another. The symbols are just symbols, valid in any agreed convention,
but without conventional agreement, unintelligible.
Expression is a linear succession of sounds, and the sentence is a
complete expression. It is understood, as we have seen, within the frame
of circumstance or context, and we cannot presume that it has any
necessary grammatical form. A sentence need not have a verb ‘expressed or
understood’, though it must have the quality of phenomenality. It need
not be a judgement. Most sentences consist of parts, and this is true
even of polysynthetic word- sentences. The parts are not necessarily
words, for in primitive languages we find embryonic stems which are not
precisely deter- mined for form or meaning, and in synthetic and agglutinative
languages we find affixes which are significant parts of a sentence. Tu
hears the expression and is the arbiter of its intelligibility. He
collects and retranslates the individual syllables as soon as they begin
to be heard, and combines them for meaning. If he cannot achieve a
meaning he asks for further symbols, whether in the same language or in
another. He reacts either by himself becoming a speaker or by performing
some action. But in either reaction it becomes plain that tu’s impression
is not identical with ego’s. Their minds are somehow differently
constituted (symbolized in the diagram by the size of the circles).
Despite all conventional agree- ment, there is no perfect understanding
between ego and tu . What tu understands, more or less in agreement with
ego, are (1) the reference of symbols to things, which is the ‘logical’
or grammatical sense of the sentence, (2) an emotional supercharge
represented by agreed stylistic symbols (which may be zero), and (3),
since tu is also an artist in words, something of the event itself. He
under- stands this in his own fashion. He may, for instance, be
specially susceptible to the word torpedoed as having gone through the
experi- ence or as being endowed with a vivid imagination. In this
third aspect of meaning, however, though it is not expressed in
symbols, 1 e.g. the sound of a shot is in English bang or crack, in
Spanish pum or pa$ (the latter perhaps more appropriate to the slither of
the bullet as it lands). there is something on which the artist in words
can reckon; a play of mind on mind, through language but above
convention, which is presumably the secret of great poetry and oratory.
There is here an aspect of language which is beyond exact measurement but
can be intuitively felt. The speaker not merely conveys a logical
mean- ing and an emotion to the hearer, but stirs the hearer to a
secondary act of creation. The reactions to great literature are diverse
and some of them stimulate further reactions, so that works as
funda- mental as the Authorized Bible, Hamlet, and the Aeneid
become encrusted with added meanings, and are hard to reduce to
their original intention. Nor is the original intention, say of the
Aeneid, necessarily the highest value of a poem on which the imagination
of a Dante has operated so profoundly. Pier Augusto
Breccia. Keywords: ego tu -- Erstwiile,
Gardiner, ego et tu, la metafisica del dialogo, noi, ovvero, la metafisica
della conversazione, implicatura ermeneutica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Breccia” – The Swimming-Pool Library. Breccia.
Grice e Brescia: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della rarità vichiane –rarita
griceiana – scuola di Trani – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Trani).
Filosofo italiano. Trani, Barletta-Andria-Trani, Puglia. Si laurea con lode
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia.
Inizia la sua docenza come professore di Storia dell'Arte presso il Liceo
Classico Carlo Troya di Andria. Consegue la cattedra di Latino presso il Liceo
Classico Oriani di Corato. Consegue la cattedra di Lettere e Storia presso
l'Istituto Magistrale di Terlizzi. Insegna
Latino nel Liceo Nuzzi di Andria. Oottiene il suo primo incarico da
preside a seguito del concorso superato. La prima presidenza è dunque a Trani
presso il Liceo Scientifico Valdemaro Vecchi, intitolato al Vecchi dietro sua
proposta. Presiede il Liceo Monticelli di Brindisi. Presiede il Liceo Nuzzi di
Andria. Presiede il Liceo Classico Carlo Troya di Andria, esteso anche a Liceo
Linguistico e Liceo delle Scienze Sociali durante la sua direzione in seguito
alla partecipazione alla Commissione Brocca. Membro della Società di
Storia Patria per la Puglia. Consegue il Premio della Cultura della Presidenza
del Consiglio dei Ministri. Viene insignito della Medaglia d'Oro del Ministero
della Pubblica Istruzione per i benemeriti della cultura, dell'arte e della
ricerca scientifica. Ottiene l'onorificenza di Cavaliere della Repubblica
Italiana. Ottiene il Premio Pannunzio per la saggistica conferito dal Centro
Pannunzio di Torino. Dopo una lunga e serena vita di studi muore
improvvisamente ad Andria. Appresa la notizia anche il sindaco di Andria Bruno
ha espresso il cordoglio personale e della città alla famiglia. Citando
Loris Maria Marchetti su Pannunzio Magazine: Ispirandosi alla lezione,
originalmente aggiornata, di Croce e di Popper (ai quali ha dedicato importanti
studi), elabora un sistema filosofico in quattro parti (Antropologia,
Epistemologia, Cosmologia, Teoria della Tetrade) dove trovano un punto di
incontro storicismo, epistemologia ed ermeneutica. La sua filosofia
investe anche il pensiero politico e l’àmbito dell’estetica, donde il suo
fittissimo esercizio di saggista di letteratura e arti figurative, interpretate
sostanzialmente nel loro risvolto filosofico-cognitivo. Altre opere: “Il tempo
e la libertà”; “Pascal e l’ermeneutica”; “Croce e il mondo”; “L’oro di Croce,
Joyce dopo Joyce, Ipotesi su Pico, Massa non massa, Radici di libertà, Il
vivente originario, Tempo e idea, I conti con il male, Radici dell’Occidente, Forme
della vita e modi della complessità; saggi su Bassani, Calvino, ecc. Fedele collaboratore delle
iniziative del Centro “Pannunzio”, negli Annali comparvero suoi saggi su C. L.
Ragghianti e su Cervantes in rapporto all’Ariosto e alla tradizione italiana. Nel
pannunziano Magazine pubblica, tra gli altri, saggi su Accetto, Max Ascoli,
Croce, Bosis, Sanctis, Freud, Aldous Huxley, Jung, Vinci, Mathieu, Moravia,
Pasolini, Solgenitsyn,Vico. Alfredo Parente - L'“opera bella” come impegno
morale, “Rivista di studi crociani”, Giovanni Spadolini - Mazziniani asceti,
“La Stampa”, Francesco Compagna - Editoriale, “Nord e Sud”, Franchini - L'idea
di progresso. Teoria e storia, Giannini,Franchini, Trittico crociano, “Il
Tempo”, A. Rosario Assunto, Filosofia del giardino e filosofia nel giardino.
Saggi di teoria e storia dell'estetica, Bulzoni, Roma, Rosario Assunto -
recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce,
Salentina, Galatina, in “Rassegna di cultura e vita scolastica”, Vittorio Stella
- recensione di Brescia, “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce,
Salentina, Galatina, in “Rivista di studi crociani”, Vittorio Stella - Il
giudizio dell'arte. La critica storico-estetica in Croce e nei crociani,
Quodlibet Studio, Macerata, Boulay - Croce. Trente ans de vie intellectuelle,
Librairie Droz, Ginevra, Nicola Fiorelli - “La Follia di New York”, Sviluppi
filosofici nella più recente “scuola” crociana, Schena, Fasano. Vincenzo
Terenzio, Natura e spirito nel pensiero di B., Adda, Bari, Pietro Addante - La
“fucina del mondo”. Storicismo Epistemologia Ermeneutica, Schena, Fasano, Franco
Bosio -recensioni di I conti con il male, Laterza, Bari, Calvino e Andria,
Andria; Tempo e Idee, Libertates, Milano, Il vivente originario, Libertates,
Milano, in “Rivista Rosminiana”, Bosio - recensione di Le “Guise della
prudenza”. Vita e morte delle nazioni da Vico a noi (Laterza, Bari), “Rivista Rosminiana”,
Dario Antiseri; Croce e l'Anticristo, “Avvenire”, Dario Antiseri, Popper
protagonista del secolo XX, “Biblioteca Austriaca”, Rubbettino, Antiseri - Popper,
Rubbettino, Antiseri, Le ragioni della libertà, Rubbettino,Jannazzo - Il
liberalismo italiano del Novecento. Da Giolitti a Malagodi, “Fondazione Luigi
Einaudi”, Rubbettino, Beniamino Vizzini - Per una discussione intorno al
problema della libertà. Cenni per un colloquio di ermeneutica morale con B.,
Postfazione a Tempo e Idee. 'Sapienza dei secoli' e reinterpretazioni, Libertates,
Milano, Beniamino Vizzini - Vita e dialettica nel pensiero di Giuseppe Brescia
e Pavel Florenskj, “Rivista Rosminiana”, Janovitz - Gli studi su Croce, “Nuova
Antologia”, Janovitz - Quando Croce dialogava con Dio. Religiosità e
cristianesimo di Croce prima e dopo la lettura dell'epistolario con Maria Curtopassi,
“Nuova Antologia”, Janovitz, Il mio Croce. Scritti, Quaderni della “Nuova Antologia”, Firenze, Paolo
Bonetti - Introduzione a Croce, Laterza, Bonetti - recensione di I conti con il
male. Ontologia e gnoseologia del male, Laterza, Bari, in “Nuova Antologia”, Samuele
Govoni – B. celebra il Bassani amante dell'arte, “La Nuova Ferrara” - Cultura, Cosimo
Ceccuti - La Religione della Libertà, “Il Resto del Carlino”, Cultura e
Società, Il caffè. Nico Aurora - Sanctis e l'attualità del 'Discorso di Trani'.
La lezione di B. a distanza, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Vaccara -
Presentazione di Max Ascoli, il filosofo mondiale della libertà, “La Voce di
New York”, Poli - recensione di Le “Guise della prudenza”. Vita e morte delle
nazioni da Vico a noi, Laterza, Bari, in “Risorgimento e Mezzogiorno”, Domenico
Cofano - recensione di B., Giovanni Bovio. La vita e l'opera, Società di Storia
Patria per la Puglia, Andria, etetedizioni, in “Nuova Antologia”, Bovio,
maestro del pensiero, “La Gazzetta del Mezzogiorno”. È scomparso improvvisamente
il preside Brescia "andriaviva.it", Quirinale.it Quirinale.it – Onorificenze, Loris Maria
Marchetti, B., di Loris Maria Marchetti, su Pannunzio Magazine. Nuovo
lavoro editoriale del prof. Giuseppe B. – Società di Storia Patria per la
Puglia, chiamato “Le ‘guise della prudenza’ Vita e morte delle nazioni da Vico
a noi”. Per le edizioniLaterza del libro riportato, la premessa intitolata
“Come fermar il declino delle Nazioni”, Nella “Pratica di questa Scienza Nuova”
Vico, nostro europeo Altvater (come riconobbe Wolfgang Goethe), assegna alla
propria opera un valore “diagnostìco”, dal momento che permette di riconoscere
a quale stadio del suo corso si trovi una nazione, sia in rapporto alla sua
“acmè” sia nella prospettiva dello stadio successivo di dissoluzione del
proprio stato. È a questo punto che “bisogna lottare per restaurare il senso
comune perduto” e riavviare – così- il “ricorso”.Su questa linea si muove la
presente raccolta unitaria, ricomponendo i saggi “Le ‘guise della prudenza’
Vita e morte delle nazioni da Vico a noi”, che dà anche ìl titolo all’intiero
volume, apparso in “Filosofia e nuovi sentieri”; “Pico e Vico” (dalla “Rivista
Rosminiana”); con i percorsi “Teoria dei colori Alchimia Apocalisse in Newton”,
“Le origini dell’Islam la vita di Carafa”, e l’11 Settembre”, “Famiglia vita e
imprese di Carafa”, “La razzia dell’universo”, “Revisioni e conferme delle
‘tesi’ di Henri Pirenne” e “L’orrore delle razzie s’irradia nel mito”,
incentrati sul problema del male nella storia e il rapporto con il
fondamentalismo (preannunciati nelle rubriche “Ternpo e Libertà” di
“traninews-infonews”, e “Noi Credevamo” di Videoandria. Tale complessa
ricerca si inserisce nell’ultima fase del mio pensiero, caratterizzata dai
lavori ermeneutici Il vivente originario e Tempo e Idee. ‘Sapienza dei secoli e
reinterpretazioni’ (Libertates Libri, Milano entrambi con prefazione di Bosio);
I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male Laterza, Bari) e Italo
Calvino e Andria. Variazioni sul senso del celeste (Matarrese, Andria),
arricchiti spesso di Iconografia e mappe concettuali. L’ultimo attuale saggio
“Rarità vichiane a Trani” riprende i lineamenti della duplice “Lectio
Magistralis”, tenuta nella Biblioteca “Giovanni Bovio” di Trani, per onorare i
duecento anni dalla nascita di Francesco De Sanctis, nella ricorrenza
dell’elevato “Discorso di Trani”, non ché il capitolo La Nuova Scienza,
dedicato soprattutto a Vico dal critico e maestro d’Italia civile nella sua
Storia della letteratura, per conto della Sezione andriese della Società di
Storia Patria per la Puglia. Siamo (come ognun vede), “alle origini della
modemità e a “tenuta della civiltà” umanistica, di cui l’idealismo storicistico
rappresenta la nobile (quanto sofferta) fioritura”. Il lavoro di B. è
incentrato sul tragico nella storia (incidente ferroviario di
Andria;fondamentalismo; 11 settembre e biografia di Carafa, dettata da Vico;
Vico e De Sanctis a Trani. Giuseppe Brescia. Keywords: rarità vichiane, Croce,
implicatura, Croce inedito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Brescia” – The
Swimming-Pool Library. Brescia.
Grice
e Bressani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del vo
significando – Vendler: have you stopped meaning it yet? -- intorno alla lingua
toscana – filosofia toscana – scuola di Treviso – filosofia veneta -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Treviso).
Filosofo
veneto. Filosofo italiano. Treviso, Veneto. Grice: “Strawson, being boring,
likes Bressani’s arguments – alla Plato and Aristotle, but mainly Aristotle –
againsts what Galileo has the cheek to call ‘filosofare’! – But I prefer
Bressani’s poems, the buccoliche, and especially his lovely treaise ‘discorso
in torno alla lingua,’ his little ethical treatise is charming especially if
you are into what some (not I, certainly) call ‘developmental conversational
pragmatics’!” B. Discorsi sopra le obbiezioni
fatte dal Galileo alla dottrina di Aristotile – B. Si laurea a Padova
interessandosi a letteratura e filosofia. Fu aiutato da Francesco Algarotti,
cui aveva inviato delle proprie opere.
Sostenne uno scolasticismo classico in opposizione alla scienza moderna
di Galileo e Newton. Altri saggi: B., Modo del filosofare introdotto dal
Galilei, ragguagliato al saggio di Platone e di Aristotile, In Padova, nella
Stamperia del Seminario, a B., Discorsi sopra le obbiezioni fatte dal Galileo
alla dottrina di Aristotile, In Padova, Angelo Comino, B., in Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Filosofia
Filosofo Professore Treviso. DISCORSO INTORNO ALLA LINGUA ITALIANA. B. RECITATO
NELLA SALA VERDE DI PADOVA IN UN ACCADEMICO ESERCIZIO Omparisce per la prima
volta a lustrare la nostra miscellanea B., soggetto di chiaro nome, e di
ornamento e splendere alla fra Patria, col presente ragionamento sopra la lingua
italiana, recitato da lui ultimamente più a cagion di esercizio che per altro
fine in una radunanza di filosofi a Padova da i quali avendosi per noi saputo l’approvazione
che ha, speriamo far cosa grata all'autore, e insieme d'alcun noftro merito,
col pubblicarlo -- tanto più, che potrà egli servir d’ajuto e di lume a quelli
che molti sono i quali banno bisogno di faggia scorta nello ſteam dio, che
affettano dell’italiana FAVELLA. B. Dottor e Accademico Ricovrato; Da eso
recitato in un’accademia di esercizio nella Sala Verde di Padova. A Chiemque
fa, eruditi e dotti accademici, quanto malagevol sia il rintracciare le cause
effettrici dell’umane cognizioni, non parrà cosa strana il sentimento di PLATONE
ch’el le fieno provenienti tutte dalla reminiscenza. Nè io credo che attribuire
si possa ad altro, fuorchè alla reminiscenza il sentire e l’accorgersi del di B..
e 3 dello spirito e del vero pregio delle belle arti. Imperocchè tale vi ha che
nè per tutta l'attenzion sua, ne per opera degli altri non arriva giammai ad
intenderlo. E laſciando di far parola di quegli, che niun dilet ro pigliano, o
nella Archittetura, o nella Muſica, che ſono moltiſſimi rivolgo la
conſiderazion mia a colo ro, che pur amano d'eſser tenuti di ottimo guſto nella
noſtra Lingua nulla fi accorgono, nè ſono per ven tura atti ad accorgerſi, in
che ne con fiſta principalmente la venuſtà e la grazia. Avvegnacchè adunque
ciaſcu na Lingua ſenta molto più dell'ideas le, che non ſente l'Architettura la
Muſica, e fia a lato di quelle in termini incomparabilmente più ange fti
riſtretta; non è per tanto che ella non abbia le ſue verità in riſpetto a que'
pochi, a cui è dato d'intendere non ſolamente il ſignificato delle vo ci; ma la
relazione tra loro meglio convenevole. Ora come io, ſenza più, approvo
iVocabolarj, gli avver timenti di Gramatica e le Oſsers vazioni, che intorno a
queſta Lingua XS o § fo 490 Diſcorſo della Lingua Italiana fonofi facte dalla
diligenza d'Uomini valenci; poco avrò che accennare de' fuoi materiali, ed il
mio ragionamen. to ſarà fpezialmente della forma quanto a me, la migliore, che
rice ver ella debba dalla fantaſía, e dal giudizio degli Scrittori. Ogni Archi
tetto adopra i materiale medeſimi, ed oſserva gli ordini medeſimi della
Architettura; e le loro opere ſono tra di sè varie nella proporzione, e nella
leggiadria. Ogni Compofitore di Muſica adopra le medefime note: 0. gni
Scrittore di qualſifia Lingua ado pra le medeſime parole, e ſegue le regole,
che riſpettivamente ſonogli preſcritte dalla ſua arte. Tuttavia i bei
riſultati, che di eſse procedono, fono, ed eſser debbono tra di sè di. verſi.
Ma quanto agevol penſo che mi farebbe il ridire le regole máte riali, che vi ha,
per favellar bene; tanto io temo di non faper altro che ofcuramente ragionare
della varietà, e perfezione di detti riſultati; ficco me quelli, che
appartengono anzi al giudicio de' noftri fenfi, che della no ftra ragione. Pur
nondimeno per le í PO Del Sig. Gregorio Breſami. 491 poche coſe in genere, che
io ſono per accennare, ſpero che il mio ra gionamento fia di qualche utilità a
coloro che non fono eſtremamente otcufi nel capire la vaghezza della noftra
favella; ed a Voi, Signori Accademici forſe non diſcaro ad udire. ! A noſtra
Lingua, ſecondo l'opi nion mia, da altri chiamaſi Ita liana perchè di tutta
Italia' fi fon preſi i vocaboli, donde è compoſta: da alcuni chiamaGi Volgare,
forſe per chè uſata, ed inteſa volgarmente:E da cercuni chiamaſi Toscana, o
perchè il più de' vocaboli fi fon preſi appun to di Toſcana, o perchè agli
Toſca ni, come a padri di detta lingua, e come a Tutori d'orecchio, e di giu,
dicio finiffimo, meritamente è conce. duto il diritto di giudicar della puri tà,
e della barbarie di ciaſcun voca bolo. E nel vero ad evitare la con fufione,
che ne addiverrebbe, ſe cia. ſcuno a ſuo talento uſaſse di nuove voci; egli è
del pari laudevole che neceſsario, che v'abbia il ſuo Tribunale inappellabile,
che altri vocaboli diſapprova come anticaglie, altri non ammette come barbari,
ed altri ritie. ne, o adotta come neceſsarj, o leg giadri. Il che dà a divedere,
che la noſtra Lingua è un corpo vivo ſog. getto ad alterazione, in quella guila
che ſono gli altri tutti, o naturali o politici. E perchè qualſivoglia cor ро
dalla ſteſsa ſua naturale alterazio ne è minacciato di rovina; faggiamen te
fanno i Signori Accademici della Cruſca, che non adottano per Mae ftro di
Lingua ogni triſtanzuol di Gra matico, che non tiene veruno ſtile e che in
luogo di vocaboli ufitati, e di proprj, ne adopra ſpeſso di affet tati, e di
rancidi, di groſsolani, o di ſtranieri. Benst a gran ragione a dottarono, e
quando che ſia, ſon cere to che adotteranno i vocaboli di que? grand’ Uomini,
che per la loro viva, ed ordinata fantafia, o inventarono, o crebbero alcune
belle arti, o alcu« ne- ſcienze; e fu di neceſſità il trovar nuove voci ad
eſprimere i loro nuovi concetti. Per altro qual biſogno, o qual capriccio egli
è mai di ufar vo cmano un diſcorſo (Nè io giày caboli zotici, e duri d'altre
provin cie d'Italia, o di accattarne degli ſtra nieri; quando ne abbiamo in
tanta copia di cosi proprj, e di così gentili? Ma come egli ſta nel volere di
Chiun que l'apparare i materiali della noſtra Lingua; non così puote ciaſcuno,
o ſa farne quell'accozzamento, onde ri fulti un diſcorſo naturale, ed inſie me
leggiadro: Nelle ricerche più aftrufe di qualche verità di Filica non v'ha
paragone tra 'l faper indo vinare quale non fia la cauſa d'un Fea nomeno e
l'indovinare quale ella fia. All'iſteſso modo confiderando io ciò, che ſi
voglia per iſcriver bene ed elegantemente, ben potrei io an noverare millantà
difetti, che disfora lafcero indietro di moſtrare alimeno le fonti principali,
donde derivano ): ma non così di leggieri potrei additare qual fia la grazia, e
l'armonia, che lo ren de vago, e lodevole. Pare io conſi dero, che benehe:la
noſtra Lingua; come io difli innanzi, quaſi altro non fia, che un Mondo ideale;
non oſtan te i caratteri del fuo bello, poſsono ef 494 Diſcorſo della Lingua
Italian essere in qualche parte paragonabili con quegli, che riſpettivamente fi
rav. vifano nel noſtro Mondo materiale. E certamente in quella guiſa, che a
ciaſcuna parte del noſtro Cielo riſpon. de la produzione di coſe differentiffie
me; forſe per ragioni ſomiglianti-, à ciaſcun paeſe riſponde un linguaggio
tutto proprio, e differente dagli altri. E non fa forza, che nella noſtra me.
defima Italia chiamaſseſi un tempo panis ciò, che noi al preſente chia miamo
pane; poichè non è ſolamente la varia deſinenza di ſuono, che die ftingua l'una
Lingua dall'altra; ben il modo, con che ſeguendo non ſo quale neceſſità,
fi.concepiſcono le coſe, e fi eſprimono. Onde non è maravi glia, che non ogni
Clima produca in gegni atti ad ogni genere di compo, nimenti. In fatti ſiccome
non è il metro, che diſtingua la poeſia dalla prola; ma il modo diconcepire
diver. ſo; cosi io porto opinione, che alme no in gran parte l'indole, e'l
genio della lingua Latina tuttavia fuffifta nel la noſtra Volgaré. La qual coſa
ſem. bra, che abbiale voluto confermare il divino ALIGHERI (si veda), laddove,
fingendo egli di parlare con Virgilio, diſse: Tu fe il mio Maeſtro, e il mio Au
tore, Tuſe folo Colui, da cui io tol. Lo bello Stile che mi ha fatto De nore.
Vero è che l'Armonia dello Stile, la qual naſce ſpezialmente dallo traſpo
nimento delle voci, e chiamaſi coſtru zione, a chi paragona lo ſcriver ret
torico di Cicerone, o 'l robufto di Li vio col noſtro parlar familiare non può
a meno di non parere di gran tratto diverfa: ma ella non parrà già tanto,
paragonando un componimen. to de' Latini con un noftro ſopra un fimile ſoggetto,
e d'una ſpezie mede fima. In fine molto meno ne parreb be diverſa, ove à noi
foffe dato di faa per pronunziare le parole de Latini come facevan elli, cioè
con quegli ac. centi, è con quelle delipenze, che per comune opinione noi
abbiamo -fiera mente alterati, o perduti. Ma nos così interviene, ove noi la
predetta armonia paragoniamo con quella di qualche Lingua ſtraniera; o ci diamo
a credere di poter rimeſcolarne i vo caboli, e forme di dire; che effendo d'un
genio differentiffimo; ficcome non ſi appiccano giammai gli inneſti di quelle
piante, che ſono tra di sè diverſe; così ciaſcuna Lingua mal com pofta tutto
ciò, che fenie d'un Clima diverſo. Io dico adunque, che la no ftra Lingua in
ciaſcuna ſua parte dee ſentire, per dir così, della ſua ſpezie, e della ſua
Nazione. Il che riſponde a quel carattere di bellezza, che nel le coſe create e
corporee chiamaſi u. nità; unità però tale, che da eſſa pro viene, ő piuttoſto
in eſſa ſtà racchiu. ſo un altro carattere, che è la varie ttà; la quale come
rendesi manifesta negl’animali, e nelle piante d'un'in fteila ſpezie, e d'un
iſteffo Clima; così ella dee apparire nello ſtile di cia Icuno Scrittore d'
un'iſteſſa Lingua. Il qual mio ſentimento moſtra in ſem. bianti d'effer il
medeſimo, che quello del celebre Baccone di Verulamio lade dove tocca della
bellezza dello ftile $ 1 dicendo dover'egli eſſere, rivis didu um fuis, imitans
neminem, nemini imitabile. Talchè dovendofi pur togliere d'altrui i vocaboli,
ed i modi di di re; conviene anche in ciò imitar la natura, che non genera cosa,
se non colla corruzione d'un'altra: Voglio significare, che quanto noi togliamo
d'altrui per formare un discorso, dee talmente tritarsi nel noſtro cervello
innanzi ché noi lo vestiamo di nuova forma, che al suo apparire niuno ha da
accorgerſi donde noi l'abbiamo tolto. Ed intorno a ciò comunemente non si dà
nel segno; perchè altri per travolco giudicio indi ſcoſtaſi, quanto più si
affatica di raggiugnerlo. Altri per infingardaggine li riposa nel limi tare del
buon sentiero, senza voler cercare più avanti. E finalmente altri è di sentimento
ottuso e d'intelligenza assai corta a capire la bellezza, e la fecondità, per
dir costi, di quel vero, che egli imprende ad imitare, Se ne fcoſtano i primi,
a' quali per ciocchè troppo ftà a cuore di render fi ſingolari dagli altri e
col penſare e coll'eſprimerſi; mentre ſtudiano di celu ceffare il vizio della
trivialità, offendono nel vizio della affettazione, in comparabilmente più
rincreſcevole. La qual’affettazione consiste in certe parole squarciate, e
lmanioſe, ed in certi accozzamenti di quelle, che volgarmente si chiamano belle
fraſi Iono forme di dire, che fanno notabile diſugguaglianza col restante del
discorſo e pe’quali (che che fi creda no gli ſciocchi) riſulta un tutto of
tremodo ftentato, e deforme. Esempio di ciò noi abbiamo in coloro, che avendo
appreso di molti vocaboli ale la rinfufa e varj modi di favellare da parecchi dicitori,
e tutti pulitif fimi; per la vanità di moſtrarlene do viziofi, in qualunque
racconto ne in trudono quanti mai poſsono il più, e mallimamente gli da loro stimati
me no comuni; tra quali ne intrudono anche di quegli, che non ſolo male fi
convengono colla ſemplicità della Natura; ma talora non ſi convengono colla
Verità del loro ſteſso ſentimento: e meritamente ripiglia coſtoro il noftro
Sovrano Poeta, dicendo: E quale che a gradin’oltre fo metu te? LC Non vede pide
dall uno all'altre filo. e 3 Per tanto niun’altra venufta, niun' altra grazia
ricever puote un discorso dagli vocaboli o forme di dire, fe non quella, che
deriva dal collocare ciascuno al luogo fuo; talmente che appaja eſser i
vocaboli piuttoſto, che abbiano cercato d'elser uſati dove fono; che d'eſser
eglino stati cercari ftudiofamente DAGLI FILOSOFI E perchè tanto altri
allontanafi dal vero coll' aggiungervi ciò, che non gli ſi con viene; quanto
altri coll'ommettere di collocarvi ciò, che gli fi conviene; ne ſeguita che un
diſcorſo rieſce diffetiofo sì ad uſare in eſso vocaboli di fover. chio, e fuori
di propofito, che a ri petere alcuni vocaboli, in vece d'ale tri varj, che fi
vorrebbono, ad eſpri mere propriamente i propri concerti dell'animo, ed a
fervare in un ragio namento quella varietà, che richiede fi a formarlo giuſta
l'eſemplare ſoprac. cennato de' corpi Fiſici. Ma che? Se gli Uomini per una
parte fon moſli da certo naturale deſiderio, o da qual ſivoglia altro ſtimolo
di giugnere nel la loro arte alla perfezione poſſibile i ſono all'incontro (laſciando
ſtare gli altri impedimenti, che ſpeſso ſi attra verſano al lor diſegno )
comunemente refpinti dalla fatica, che loro convien durare, prima che ad eſli
venga fatto di apprendere ad eſercitare qualſifia arte con lode. Ne vi ha
alcuna arte per limitata, o facile che ſia ſopra le altre, che pigliandoſi a
gabbo non rieſca imperfetta. Per la qual coſa, l'arte dello ſcriver bene si
nella no ftra, che in ciafcuna altra Lingua, richiede anch'eſsa di molta fatica,
ed induſtria. E vanno fortemente errati la maggior parte de' noftri Scrittori
che da che ſentonſi forniti di alquan ei vocaboli, e modi, onde groſsamer te
eſprimerſi; ed effi eſtimano di la per iſcrivere quanto baſta laudevol mente. E
come fi ſcontrano in uno ſtile un poco colto, che in un certo modo dovrebbe
eſser di rimprovero al loro difetto; dicono coſto che gli è uno ſtile che ſente
dell'affettato ', © dell'antico, „ dandogli a torto biaſmo, e mala voce. E così,
diſprezzando efli animoſamente ciò che per loro poltroneria non hanno appreſo.
Ferman fua opinione Prima che arte, o ragion per lor ſi ſcopra. Che ſe pur vero
foſse, che uſar non non ſi poteſsero altri vocaboli, o mo di di dire, ſe non
gli uſati da coſto. ro; il groſso Vocabolario della noſtra Lingua ridurrebbefi
ad un libriccivolo di quattro carce;. e laddove la noſtra Lingua ora vanta di
eſsere la ricchilli ma di voci, e di maniere leggiadre diverrebbe la più povera
e ſmozzicata di tutte. Oltrechè in proceſso di tem po gli ottimi Scrittori, c
Padri di no Itra Lingua ne diverrebbono molto oſcuri, e direi per poco in
intelligi gibili ". Vuolli per tanto aver pieria conoſcenza sì de'
vocaboli, che delle forme di dire; acciocchè il noſtro iti le abbia la predetta
varietà, e con ef ſo la ſua unità, per cui egli mantien. fi ſempre fomigliante
a ſe ſteſſo, e per cui ſembra quaſi uſcito di una fo la trafila. E le parole
groſsolane ri meſcolate colle gentili, e le parole adoperate fuor di luogo, o
con fazie vole repetizione, o le parole che non ſono più in uſo; lono come
altrettan te ſcabroſità, che gli impediſcono l' uſcirne. Per notabile che ſia
la varie. tà, o differenza tra gli Uomini nelle parti, che fuori appajono del
corpo, non è mai li grande, quanto ella è nel la capacità, ed aggiuftatezza del
loro ſpirito. Per la qual cola io avviſo di non poter paragonare gli umani inge
gni, che a coſe dello ſteſso genere bensi, ma di ſpezie diverſa. E fiami lecito
il paragonargli a varie piante, alcune delle quali reſtano picciole, perocchè
la ſtruttura primordiale de' loro ftami non comporta che fieno più oltre
ſviluppate, ed eſteſe (e GALILEI (si veda) dimostra, che così gl’animali, come
le piante, ſe foſsero d'altra grandezza, che non ſono vorrebbefi che la
ſimmetria delle lor parti foſse del cutto diverſa ) ed al cune altre non ſi
eſtendono, come eſtender ſi potrebbono per difetto dell' opportuno alimento.
Varia è la eſten, fione, e'l comprendimento de' noſtri ingegni, e varia è la
forte, che gli forniice di ajuti, e di occaſioni fa. vorevoli, onde poſsano
coltivarli. Egli è certo perciò, che quale s'im barazza nel voler' ordire un
ragiona mento, dirò così, di più fila ſopra la comprenſione, o coltura del fuo
in gegno, ovvero contro all'inclinazion lua particolare; il detto ragionamen to
fiaccherà da se medefimo, diffol. vendoli quaſi in brani; ed anche i vocaboli
ftelli, con che vorrà eſpri merlo non avranno nè unità, nè grazia. Nè fi
de'credere che l'Architetto, il quale fia buono da fabbrica. re una camera, fia
fempre buono da faper fabbricare un palagio: Nè che un Compositore d'una breve,
e femplice ſuonata fia fempre buono da con porre una Sinfonia aſſai lunga con
tutte le parti, che in eſſa ſi vou gliono a formare un'armonia perfec ta: Ne in
fine che un Uomo di leto dere, al quale venga fatto di ſaper unire inſieme una
decina di verli > fia per sé, ſia per
queſto buono da fare un Inne go poema; come ſe il palagio, la Sinfonia, ed il
poema altro non foſ. ſero, che un aggregato di più unità minori: Che nè la
Camera, nè la breve Suonata, nè la decina di verfi conſiderate riſpettivamente
nel pala gio, nella Sinfonia, nel poema, non lono già unità, ma parti. E però
non folo deono effer belle ma deono eſſerlo, anche per riſpetto a tutte le
altre parti, che ſono con efle integrali di tutta la fabbrica. Io non niego di
molte opericciuole ef ſere altrettante unità nel loro gene re, come ſono le
grandi; ma molto maggior forza, ed eſtenſione dinge. gno richiedeſi nel
comprendere un Poema (purchè le colę.; che in eſſo fon contenute; nonoſtante
che d'un racconto ſi trayalichi in altro; fien tutte come parti integrali d'una
azion ſola ) nel comprender, difli, un poe ma, che un Sonetto, una lunga Ora
zione, che una picciola riſtoria, ed al fro breve ragionamento: Ed il Boca
caccio medesimo fempre' doviziofiffi. mo che egli è di bei modi di dire,
pure sos che egli pure ſecondo la varia
facilità, e feli cità, con cui egli concepiva le coſe; vario è il diletto, che
egli ne reca ad eſprimerle. Nel breve racconto di qualche Novella non ha pari a
dipi gnerla con vivi colori, e con genti li, con mirabile naturalezza ė lega
giadria; mentre e pare a me, lia anzi increlcevole che nò nel lun. go racconto
del ſuo Filocopo, e della lua Fiammetta, ed altrove. In ſom. ma colui, che
imprende a far coſa ſopra la forza, e diſpoſizion nacura le del ſuo ſpirito,
non potrà giam mai ben riuſcirne. Certa coſa è che un'attenzione indefeffa a
leggere, e conſiderare parte per parte i gran maestri della noſtra Lingua; ed
un ben lungo uſo di ſcrivere, raffinano aſſai il noſtro giudicio, e perfeziona
no il noſtro ſenſo, ma egli è certo ancora, che il viburno con tutto l'
artificio, e la ſollecitudine degli Agri coltori, non giugnerà mai all' altezza
de i Cipreſli, nè il pioppo farà mai fructo: cioè quale non avrà chiara ap
prenſiva, ed eſteſa a veder per sè ſteſ lo ciò, che ſia d'uopo a formare quella
maniera di componimento, ch'ei fi prefigge nell'animo, dalle coſe più materiali
in fuori; nè dalla copia ottimi libri, nè dalla viva voce de'pe riti Maeſtri,
non potrà mai che poco, ed oſcuramente appararlo. E per que fto appunto che gli
Autori cladici del. la noſtra lingua non tenean biſogno di badare neli
eſprimerſi ad altro, che a' proprj fentimenti dell'animo, a chi guarda
ſottilmente, ſono impareggia bili con coloro che eſſendo ordina. riamente
poveriſfimi d'ingegno, ſpen. dono tutto il loro tempo nell'imitar, gli. Ma
comechè gli Uomini ſpeſſo fi Jamentino quando della lor povertà, quando della
poca robuſtezza, o d'al. tro difetto del corpo, quando della loro mala volontà,
o educazione; afſai di rado, o non mai fi dolgono di non effer forniti
d'ingegno, e di giu. dizio atto a qualſifia impreſa, non che a faper iſcrivere,
e favellare, come ſi conviene. Anzi non v'ha coſa più na. turale, e comune,
ficcome è il vede. re gli inertiſſimi del Mondo a preſu mer molto di sè, e
creder di far gran cole coſe; quando col loro poco ſenno non fanno altro, che
infucidare, e guaſta re i penſieri, e le maniere di dire che trovano ſparſe qua
e là nell'altrui opere. Ecco per tutto ciò che appreſ ſo alla cognizione, che
Uom dee ave re de'vocaboli, e d'altro; è da vede. re qual grandezza, e qualità
di com ponimento ſia da eſſo, e qual fia la forza del ſuo ſpirito a concepire
chia ramente più coſe, e'l modo, onde più facilmente, e felicemente le concepi.
fce; perchè altri farà eccellente nella poeſia, che non ſarà appena di mez zano
valore nella prota: ſenzachè al tri ſarà grazioſo in un genere di poe fia, che
in un altro genere non ſarà gran coſa piacevole: Altri farà com. mendabile in
un genere di profe; non così in un altro. Ma qualunque ſia il genere de
componimenti, qualunque ne fia la fpezie, qualunque in fine ſia la abilità del
noſtro fpirito a formare più queſto componimento, che quel.; ſi ha ad ogni ora
in ciaſcuna coſa, grande, o picciola che ella fiafi, da aſcoltar la Natura; che
forſe ſotto no. Y 2 me di Amoreaccennar volle in quei verfi il noſtro non mai
baftevolmente lodato Poeta:. Io mi ſon un, che, quan do Amore ſpira, noto; e a
quel mo do Ch'ei detta dentro., vo fignificando. Ma queſto ſi vuol fare con tal
artificio; che meglio pud eſſer inteſo da molti, che eſpreſſo da pochiſſimi. Ed
io per certo non ſaprei comemeglio a parole eſprimerlo. Ben ſo eſſere i più
minuti, ed eſatti raffinamenti, che fanno quel bello, quel raro in ogni coſa,
per cui ella ſale in gran pregio, ed in eſſo dura coſtantemente appo ogni Etade
futura. Ma la maggior par te degli Uomini, che pur ſi chiamano di profondo
ſapere, non badano a dete ti raffinamenti, perchè amano meglio, come dicon efi,
di raccozzare eſprimere rozzamente molte coſe, che poche con leggiadria. Di
quegli poi, che ſi conoſcono, e ſi dilettano de'leg gra. 7 e di giadri
componimenti, altri'l fanno per averlo ſolamente udito, ed appreſo da' Maeſtri;
ed altri 'l fanno maſſimamen te per propria meditazione, e quaſi per intimo
ſenſo. De'primi molti po. trai udire a giudicare rettamente dell' altrui Opere,
ed a ragionare a mara viglia de' precetti dell'arte; non così però ad
eſeguirgli nelle loro. Oltrechè effendo ne'più perfetti Esemplari di Lingua
quella stessa gradazione di ferie, che ravviſaſi in ciaſcuna ſpezie de' corpi
Filici; coſicchè l'ultimo Icric tore tra gli ottimi venga ad eſsere il primo
tra gli altri inferiori; rare volte avviene, che altri fuorchè i ſecondi, cioè,
gli aventi il ſenſo ac comodato a conoſcere il vero ſpirito d'uno ſtile, che
naſce di una bella fantaſia, correcta bensì, ma non pun to alterata dall'umano
artificio; che ſappiano diſtinguere tra i buoni gli ottimi, e co'migliori
gareggiar di lo de ne' loro componimenti. Benche il Mondo tutto de' Letterati
non ab. bonda, che di ingegni mediocri, o di coltivati mediocremente; come ſi
abbattono a qualche manie. i quali Ý 3. ra di file, o ſtrabocchevolmente fan
taſtico, od in qualunque altro modo corrotto, e fallo; fannol conoſcere ed
isfuggire; per altro facendo un fae fcio, come ſi dice, di tutti gli altri;
hanno la ſtima medeſima di Autori di merito differentiſlimi. E non ef fendo
forſe uſi di meditare ſopra ver runa coſa, per rinvenire da sè la verità; la
credenza dell'uno di coſto ro è ſoſtegno, e ragione baſtante al la credenza
dell'altro. In quanto poi a coloro che con qualche nuovo mo do di ſcrivere,
tuttochè privo della venuftà, e della finezza da me ac cennata, deſtano in
altrui ammira zione, e dilecto ye da i più fonte nuti per valentiffimi
Scrittori; non è gran fatto da ſtupirſene, che il giu dizio della gente groffa,
cioè de i più, in ſomiglianti cole è fallaciffimo. E inveſtigando io la ragione,
onde in tervenga, che una ſtampita rechi al la moltitudine forſe diletto maggio
re, che non reca un'armonia aggiu. ſtata; che un vafto, e bianco pala gio, che
piuttoſto dovrebbe dirſi un gran mucchio di pietre, fia ftimato e di B.. Sil ed
ammirato più, che una picciola caſa fabbricata cơn ottima architet tura; e che
finalmente uno ſtile, ed altra coſa fregolarà piaccia per av ventura più, che
non piacciono le coſe fatte riſpettivamente ſecondo le buone regole dell'arte;
avviſai, che ella non poſſa eſſer alcra, ſe non ſe queſt'una: che concioſiecchè
ricevono gli idioti dentro di sè un'idea di cofa, che non ha nè ordine, nè
proporzione, può ſembrar loro aggiuftara, e gen tile; perciocchè la confiderano
in se ſteſſa ſenza paragonarla colle idee che efli hanno delle coſe veramente
efiftenti; e ſenza paragonarla con que' caratteri di bellezza, che badanie do
ſottilmente, fi ravviſano nelle co ſe tutte, quali elle ſono create e diſpoſte
dall' Artefice fapientiſſimo: i quali caratteri vie più rendonſima nifeſti, e
mirabili, quanto maggiore fi è l'attenzione, e l'intelligenza di chi gli
conſidera. Quindi noi vedrem mo più maniere di ſtile ampolloſo, o d'altra guiſa
falſo aver tenuto per infino a tanto che fonofi dati gli - Uomini a fare il
ſopraccennato pa ragone; che è quanto dire a diſtin. guere l'ideale, che ha
infiniti fimili fuori di se, dal chimerico, che fol tanto dimora nel noſtro
ſregolato giudizio: ed all'incontro lo ſtile che è il vero (vero io intendo di
quella verità, che riſulta dalla con venienza tra l'eſpreſſion noſtra, e la
eſpreſſione la più acconcia, che ima giniamo effer poflibile in chi favel la,
ſecondochè gli detta la Natura ) può eſſere per alcun tempo in poco pregio,
appreſſo coloro, che non fanno altro, che correr dietro a ciò, she ha faccia di
novità, ſenza cere care più oltre. Ma certissima cosa è che opinionum commenta,
come dice CICERONE (si veda), delet dies; nature juedicia confirmat. Ed io da
capo francamente attribuiſcoverità anche al modo di ſcrivere che pazzo è per
opinion mia, qual fi crede, che non abbiavi altrove verità nelle belle arti;
ſalvo che ne' teoremi della Geometria, ovvero ne' calcoli dell'Aritmetica:
quaſichè innumerabili non foſſero i fenomeni in Natura (e tuca ti ſenza dubbio
ſono nel loro gene i re aggiuſtatiſſimi ) a' quali non ſi ponno addattare ne'
calcoli, nè figu re geometriche. Ma effendone noi certi altronde dell'armonia e
della verità delle coſe farce dall'arte, gliam noi dire perciò, che fien men
belle, o men vere di quelle, di cui noi conoſciamo in parte, e geome.
tricamente dimoſtriamo l' artificio? Il perchè io dico eſſerci verità in una
Cantica d’ALIGHIERI (si veda), eſpreſſa co me ha fatto egli; che ella non ci
farebbe altrimenti, ſe l'argomento ſteſso foſse eſpreſso dall' Uomo più
ſcienziato del Mondo, ma ignudo di vocaboli gentili, e di maniere di dire
leggiadre: Che altra verità contiene in sè una ſteſsa immagine delineata con
perfecta ſimmetria, con atteggia mento naturale, con ombreggiamenti, e colori
convenienti; ed altra, ſe det ta immagine tanto quanto ſi diſcoſta
dall'eſemplare di Natura; benchè noi per quella eſsa la ravvilaflimo egual
mente. Ora che altro è il noſtro Icria vere, e'l noſtro favellare, ſe non che
un dipignere le noſtre idee ſopra la immaginativa di chi ci ſtanno ad udire;
onde non dobbiam noi eſser con tenti ſol tanto, che una idea da noi groſsamente,
non ſo ſe io mi debba die re piuttoſto abbozzata, che eſpreſsa, non venga tolta
in iſcambio con un'al tra; ma dobbiamo innoltre porre ogni ftudio per eccitare
in altrui quel vivo ſentimento di quallfia coſa, che ab biam noi medeſimi,
allorchè vivamen te, e chiaramente l'abbiamo apprela. Che avvegnachè l'arte
dello ſcrivere confifta tutta in un aggregato di ſegni, o di modi, ſcelti, ſe
vuoi, ad arbi trio degli Uomini, io tengo non per tanto eſser detti ſegni quaſi
una coſa ſteſsa con ciò, che per eſſi ne viene rape preſentato; o almeno dover
eſser tali, Sì che dalfatto il dir non ſia diverſo Lungo ſarebbe il diſcender
ora á ra. gionar de' particolari, che recano, o tolgono la leggiadria, e la
verità a va rie maniere di componimenti. Ma ancorachè io nol faccia, il poco,
che io ne accennai in comune, ſpero che per avventura defterà in chi che fia la
reminiſcenza di quanto fa di meſtieri ula uſare a voler iſcrivere con lode; per
chè in fine, ſiccome non da altri, che dal proprio ſentimento ſi può appren
dere a modificar variamente l'armonia della Muſica, nè della Architectura; così
non da altri, che da sè veruno non può apprendere il vero modo di addattare la
propria fantaſia a cutte le occaſioni particolari di aver da eſpri merſi, che
ſono ſenza numero. Poco io diffi eſſere ciò, che mi cadde in animo di accennare
verſo il molto che un eſperto dicitore, quello, che io non ſono, avrebbe faputo
e medi tare, ed eſprimere di attinente a così raſto argomento. Con tutto ciò
ten gol per lufficientiffimo; purchè ſia da tanto di deſtare in eſso voi,
umanil ſimi e ſaggi Accademici, la voſtra cu rioſità ad iſcoprire le mie
fallacie; onde a mio utile proprio, io appren da quanto forſe mi trovi lunge
dal fe gno ' prefiſso; mentre io delidero di guidare altrui pel retro cammino
del la Verità. Gregorio Bressani. Bressani. Keywords:
intorno alla lingua toscana. Refs.:
l’implicatura di Galilei, discorso intorno a nostra lingua – discorso intorno
al volgare – Aligheri – vo significando – “meaning” – I am meaning – Gallileo,
forma logica aristotelica – vo significando -- forma logica galileana – forma
logica platonica – grammatica e geometria – grammatica profonda di Galilei --
Luigi Speranza, “Grice e Bressani” – The Swimming-Pool Library. Bressani.
Grice e Bria: la setta di Crotone --
Roma – scuola di Crotone – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone,
Calabria. According to Giamblico, a Pythagorean. Bria.
Grice e Bria: la diaspora di Crotone
-- Roma – scuola di Taranto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Puglia. According to
Giamblico, a Pythagorean. Bria.
Grice e Brotino: la setta di Crotone
-- Roma – scuola di Crotone – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone,
Calabria. Brotino or Brontino of Crotona or Metaponto. The name crops up more
than once in stories about Pythagoras Some say he was his father in law, others
his son in law. He is aldo said to have been a pupil of Acmaeon o Crotone.
Clement of Alexandria says he wrote a book on the nature of the world. It is
possible that a father and son sharing the same name have been confused with
each other.
Grice
e Bruni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’interpretare
– l’interpretazione di Romolo – scuola d’Arezzo – filosofia aretina – filosofia
toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P.
Grice, The Swimming-Pool Library (Arezzo).
Filosofo
aretino. Filoofo toscano. Filosofo italiano. Arezzo, Toscana. Grice: “Bruni is
a philosopher – and a Griceian one at that; he reminds me when Strawson and I
used to give joint seminars on ‘De interpretation;’ our tutees found it boring
but we would say, ‘lay the blame on the Stagirite.” Grice: “Boezio was possibly
wrong in missing the metaphorical impicature of ‘hermeneutic,’ and give us a
rather boring ‘inter-pretatio’ – which is the thing Bruni uses when dealing
with Cicero – Bruni is unaware if what he is doing is ‘interpreting’ or
‘volgarizare,’ i. e. render the thing into the volgare that the volgo may
appreciate! His impicature seems to be: let the classics stay classic!” –Grice:
“But there is a little word that Bruni uses that is crucial, ‘recta’ –
interpretation has to be ‘recta,’ as opposed to incorrect – which leads us to
impilcature – is over-interpretation mis-interpretation? We think it is!” – “But since an implicaturum is
cancellable, we have to be VERY careful here, as Bruni is – especially when he
visited I Tatti!” – Politico, scrittore
e umanista italiano di Toscana, attivo soprattutto a Firenze, della cui
Repubblica ricopre la più alta carica di governo di Cancelliere. Uomo di grande
personalità, arguto e forbito parlatore dotato di grande eloquenza, si insere
nella disputa sulla questione della lingua, discussione apertasi con l'avvento
della lingua volgare all'interno della lingua in uso specie in chiave
letteraria a quell'epoca. Conobbe Filelfo ed ha come maestro Malpaghini. Nei
suoi studi riscontra fenomeni di ‘corruzione’ della lingua latina dall'interno,
rilevando ad esempio in Plauto le forme di assimilazione fonetica“isse” per “ipse”;
oppure “colonna” per “columna”. Teorizza quindi che il latino si fosse evoluto
dal proprio interno, sostenendo l'esistenza di una di-glossia. Oltre al latino antico
classico, aulico, sarebbe esistito un livello inferiore, meno corretto, usato
informalmente nei contesti quotidiani, da cui provengono la lingua romanza o
italiana – toscano, fiorentino. Oppositore di questa teoria e Biondo, il quale
sostiene invece che la causa della “decadenza” o corruzione del latino fosse
stata l'aggressione esterna dei due popoli germanici: gl’ostrogoti e i
longobardi. Gli studi storici hanno mostrato che le due teorie di Biondo e B. non
sono effettivamente incompatibili. Il latino si è evoluto per ragioni, sia “interne”
(e. g. le corruzioni di Plauto), sia “esterne” (le invasion dei barbari
ostrogoti e longobardi). Nella prima metà Professoresi avevano pareri opposti
in merito alla dignità del volgare. Filosofi come Salutati e Valla disprezzano
il volgare perché non dotato di norme grammaticali; Alberti, al contrario, si
adopera molto per far riconoscere il volgare come lingua ricca di dignità nel
panorama filosofico. B. conceve il dialogo “Ad Petrum Paulum Histrum”, nel
quale dava la parola a due esponenti dell'umanesimo del periodo: Salutati,
appunto, e Niccoli. Il primo assere che il volgare sarebbe stato degno solo se
regolamentato da assiomi precisi, e si dispiaceva del fatto che Alighieri non
avesse scritto la sua Commedia nel ben più nobile latino. Niccoli propone una
visione ancora più radicale, arrivando a giudicare tre fra i principali
filosofi italiani Alighieri, Petrarca e Boccaccio poco più che degli ignoranti.
Niccoli difende questi ultimi, riconoscendo la grandezza delle loro opere,
invece di giudicarli in base alla lingua che usarono. È celebre una sua
epistola in cui delinea princìpi fondamentali dell'umanesimo. È sepolto nella
basilica fiorentina di Santa Croce in un monumento opera di Rossellino. Altre
opere: “De primo bello punico” (della prima guerra punica);“Vita Ciceronis o
Cicero novus” (vita di Cicerone, ovvero, CICERONE nuovo); “Aristotele, Ethica
nicomachaea”; “Oratio in hypocritas”; Pseudo-Aristotele, “Libri oeconomici”; “Commentarius
de bello punico, adattamento di Polibio”; “De militia”; “Commentarius rerum
graecarum”; “De interpretatione recta” “Aristotele, Politica”; “Commentarius
rerum suo tempore gestarum”; “De bello italico adversus Gothos”; “Historiae
Florentini populi”, Storie del popolo fiorentino (Storia fiorentina) da Acciaiuoli
ed uscì a stampa a Venezia. Vedi alla voce "letteratura umanistica"
in umanesimo, riferimenti in Carlo Dionisotti, B., in Enciclopedia Dantesca. Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cesare Vasoli, B., Dizionario Biografico
degli Italiani, Repertorium Brunianum. Lingua volgare. Questione della lingua
Monumento funebre di B. di Rossellino, basilica di Santa Croce, Firenze. Dizionario
biografico degli italiani. Epistole (in latino). Dialogi ad Petrum Paulum Histrum di B. -
di Carlo Zacco Cancelliere fiorentino. B. è originario di Arezzo,
ma Arezzo pochi anni dopo la sua nascita passa sotto il controllo di
Firenze, e lo stesso B. si può definito a pieno titolo acquisito da Firenze ed
ottenne la cittadinanza di Firenze. E’ personaggio molto importante dal punto
di vista letterario ma ebbe una funzione importante sotto il profilo
amministrativo-civile perché fu uno dei più importanti cancellieri della
repubblica fiorentina, successore, non immediatamente, a quello che il più noto
dei cancellieri del 300: Salutati, una grande figura di intellettuale, che si
pose come diretto erede, insieme con il Boccaccio, del Petrarca. Salutati.
Coluccio è un personaggio di questo dialogo. Svolse in Firenze un ruolo molto
importante sia dal punto di vista politico (più politico di B.), e dal punto di
vista amministrativo-civile è uno dei più noti e importanti cancellieri di
firenze: le sue missive sia d’ufficio che private sono moltissime, e lasciò una
forte impronta. Un impronta volta a delineare l’ideologia della città di
Firenze: la difesa stessa della libertà fiorentina, per fare solo un esempio
fra tutti, contro la tirannide viscontea. Salutati ha anche un altro importante
merito che fu quello di portare a Firenze gli studi di greco. Fu per impulso
del salutati, anche se non solo suo, che venne a Firenze il Crisolora: uno dei
più importanti dotti bizantini e proprio tramite lui si instaurò lo studio del
greco a Firenze. Intorno al Crisolora si stabilisce un gruppo di figure, non
soltanto fiorentine, poiché dato che il greco si poteva studiare a Firenze,
vennero anche da altri luoghi giovani per imparare il greco; e tra questi
giovani che vennero a Firenze ad imparare il greco ci sta il dedicatario di
questa opera: Istriano, che è Vergerio, che operava nel contesto carrarese, a
Firenze per studiare il greco, e poi era tornato a Carrara. A sua volta aveva
scritto un trattato pedagogico intitolato “sui nobili costumi”. Trattati pedagogici:
altro aspetto dell’umanesimo, molti scritti sono di carattere pedagogico perché
uno degli aspetti importanti nell’umanesimo è proprio legato alla formazione
dei giovani basata sulle Humanae Litterae. L’umanesimo fiorentino. Questo è il
contesto culturale entro cui nasce questa operetta, interessante perché mette
in evidenza gli elementi di contrasto tra l’umanesimo inteso come un recupero
classicistico di stretta osservanza e la volontà di coniugare ad un
rinnovamento degli studi, quello che era la tradizione: in modo particolare
quella dei tre fiorentini Dante, Petrarca e Boccaccio. Ripresa del
dialogo classico. Questa operetta non è un trattato: è impostata come una
discussione, una disputatio ma è a sua volta, sviluppando alti elementi, è un
altro dei caposaldi di rifondazione del dialogo in latino: sulla scorta dei
classici, più sistematicamente di quanto non avesse fatto il pur importante
esempio petrarchesco. Disputatio in utramque partem. Questo è un dialogo
diegetico, non mimetico, dunque un dialogo dove la cornice è costantemente
presente. E’ un dialogo costruito in due libri, e la discussione è svoltain
utramque partem, da una parte e dall’altra. C’è un personaggio, un letterato e
al tempo stesso un personaggio di un certo peso a Firenze che si chiamava
Niccoli, che sostiene due parti tra loro contrapposte: nel primo libro attacca
violentemente le figure di Dante, Petrarca e Boccaccio, inserendo questo suo
discorso in un attacco relativo alla condizione della cultura contemporanea:
quindi denunciando lo stato di decadenza della cultura contemporanea; nel
successivo libro fa unapalinodia e svolge un discorso opposto: gli elogia di
questi tre personaggi. Oltre al fatto del far vedere che cosa è diventata a
questa altezza cronologica la disputatio, ci sono diversi aspetti in questo
che sono interessanti. C’è un primo problema di carattere cronologico,
qui ridotta ai minimi termini, in una discussione che è ancora in corso: è un
opera su cui si è discusso e scritto molto, e la cui datazione è uno degli
elementi di discussione. Altro elemento di discussione che è collegato a questo
è se questi due libri siano stati concepitiunitariamente o se il secondo sia
stato scritto dopo: cioè se l’autore avesse cambiato idea rispetto a quello che
aveva fatto sostenere a Niccoli e avesse svolto poi nel secondo libro
successivamente una palinodia egli stesso nel celebrare l’elogio dei tre
fiorentini. la datazione Termini ante/post quem. L’opinione più
persuasiva a tal proposito è questa. Innanzitutto c’è un problema di tempo
interno: c’è un indicazione precisa dal punto di vista cronologico, come emerge
all’inizio del dialogo; questo dialogo è collocato in due giorni diversi, uno
successivo all’altro, nei giorni di Pasqua. Il fatto che come tempo interno sia
dato un anno non significa che quello sia il tempo reale di scrittura
naturalmente. Comunque, posto che qui venga messo come data è evidente che B.
non potè scrivere l’opera prima di questa. L’altro termine di riferimento non
dopo il quale fu scritta l’opera, è un anno perché in quella data, in una
lettera, B. stesso direttamente ci parla di questa sua operetta come già
pubblicata (pubblicata ovviamente equivale a «circolante», almeno tra alcuni
dotti). morte di Salutati. Altro aspetto da considerare riguarda le figure dei
personaggi presenti. Tra queste figure c’è quella importante, una sorta di Nume
tutelare, il personaggio anziano, l’intellettuale in età avanzata rispetto al
gruppo dei giovani (c’è questa differenza importante che va considerata) che è Salutati.
Se noi stiamo a guardare ai dati dell’operetta possiamo pensare che sia stata
scritta quando il Salutati era ancora vivo, se consideriamo il Salutati
personaggio, che ci viene presentato in vita. In realtà però c’è tutta
una serie di elementi che fanno propendere a ritenere che sia stata scritta,
almeno per quello che riguarda il secondo libro, dopo la morte del Salutati.
Perché si attribuiscono al salutati posizioni che difficilmente il Salutati
avrebbe sottoscritto (lo sappiamo da altri dati, lettere
ecc). l’unitarietà Unitarietà dell’opera. Altra questione: è unitaria o no
questa operetta? Su questo punto è più difficile rispondere: il primo libro
presuppone indubbiamente un secondo libro che certamente modificasse l’assetto
del primo con il capovolgimento di posizione. Nei termini della disputatio in
utramque partemla tesi più persuasiva è che indubbiamente sotto questo profilo,
quello che è svolto come materia nel secondo libro sia già dato nel primo come
presupposto. Cioè che come testo dal punto di vistaunitario il bruni avesse
pensato all’opera in due libri; certo però è che ci sono alcune piccole
diffrazionidall’uno all’altro. Cambia la casa dove si svolgono i dialoghi;
viene introdotta un’altra figura, cosa possibile anche per alcuni spunti
ciceroniani a dire il vero, ma questo muta alcuni aspetti e alcune parti
dell’impostazione: in altre parole non è da escludere che il progetto
originario, pur prevedendo un secondo libro come è nella logica con cui è stata
scritta l’opera, si sia poi svolto effettivamente in untempo successivo nel
secondo libro. Ciò non toglie che, così come è svolta, l’opera abbia un assetto
contenutistico unitario, anche nell’impianto della disputa in entrambe le
direzioni. Uno degl’aspetti più interessanti dal punto di vista letterario
riguarda la consapevolezza da parte di B. di voler imitare anch’egli CICERONE,
non però il Laelius come fa Petrarca, ma una delle opere più imitate da questo
momento in poi in tutto il dialogo umanistico, e cioè il “De Oratore”. Il “De Oratore” è importante in quanto modello
per eccellenza del cortegiano. Ci sono delle modificazioni nell’impianto
da parte di B. rispetto al modello del “De oratore”: l’aspetto che lega
maggiormente questo testo al “De Oratore” è l’impianto con una cornice di
carattere realistico. Qui abbiamo la Firenze reale di quel tempo, abbiamo
personaggi storicamente individuati, abbiamo una autorità come Salutati. Altro
aspetto interessante sul piano dell’impianto e la palinodia, l’affermare una
cosa e il fare il discorso in opposto rispetto a quello che si è detto nel
primo libro è una modalità attuata nel “de oratore” mediante il personaggio di
Antonio. Antonio sostiene una tesi nel primo libro (nel “De Oratore” sono tre)
e capovolge la tesi nel secondo. Viene mostrato da CICERONE il modo retorico e le ragioni di questo. È stato
anche osservato che si tratta di una palinodia che non nega gl’asserti
precedenti, però sicuramente modifica quello che era stato detto nel libro
precedente. Anche la casa come luogo di raccolta, di discussione dei dialoghi è
un elemento ciceroniano; e lo è anche il tempo di festa: qui siamo a
Pasqua. La differenza che balza più all’occhio è che mentre per CICERONE
non c’è la presenza diretta dell’autore, perché CICERONE dice di aver riportato
dialoghi e discussioni che si erano svolti diversi anni prima, e c’è quindi una
diffrazione di carattere temporale, per cui CICERONE afferma di aver riportato
la testimonianza di chi gl’aveva raccontato quei dialoghi, qui invece c’è la
presenza diretta dell’auctor e c’è una attualizzazione totale nel senso che a
prescindere dalla data specifica i temi trattati sono altrettanto attuali e
attualizzati. Vediamo solo la prima parte, ma senza leggere la seconda non
si capisce l’effettivo svolgimento del discorso. Alcuni moduli che vediamo
riguardano solo questo dialogo, altri riguardano una modalità che nel tempo
viene ad essere ripresa e si evolve, come vedremo nel cortegiano, dove siamo
però in un ambiente diverso: questo cittadino, quello di CASTIGLIONE, della
corte. Questo è ambiente privato: un gruppo di amici che discutono tra di
loro. Queste discussioni non sono invenzione di B. Abbiamo altre tracce e
testimonianze in ambito fiorentino in relazione alle critiche che gruppi di
giovani classicisti di stretta osservanza avevano avanzato criticando
aspramente le cosiddette glorie fiorentine: Dante Petrarca e Boccaccio. Quello
che sta al fondo di questo dialogo è un problema e un tema di discussione
quanto mai attuale nella Firenze del tempo. Se a noi può sembrare strano, visto
che pensando a Dante pensiamo ad un grandissimo poeta e autore, trovare Dante
trattato come un autore di popolo, di farsettai, di pescivendoli eccetera, può
dare adito a qualche stupore. Le stesse accuse sono riferite da altri, non li introduce
solo B.: i problemi di cui si discute sono problemi su cui le discussioni
c’erano nella Firenze del tempo. Abbiamo dunque da un lato si afferma prima
questo aspetto destruens e dall’altro lo stesso che dice di aver parlato
di quelle cose per ragioni di carattere retorico e per fare in modo che fosse
proprio Salutati a fare l’elogio. Quindi li giustifica come una sorta di
esercizio di simulazione retorica. La dedicatoria L’antico detto.
Vediamo i caposaldi di questo discorso. Anche qui abbiamo un proemio che è una
lettera dedicatoria molto breve rivolta al Vergerio. La lettera si apre con un
antico detto di un saggio, e sia apre così a mo’ di omaggio verso il Vergerio,
che con questo detto, attribuito a Francesco il vecchio da carrara, suo
signore, aveva aperto il suo trattato. Questo detto è relativo alla patria:
antico detto di un saggio che l’uomo per essere felice deve innanzitutto avere
una patria illustre e nobile. Elogio di Firenze. La patria di origine del
B. non è più Arezzo nelle condizioni in cui era precedentemente, rovinata e
distrutta ormai dai colpi della fortuna. Ha però B. a sua volta l’opportunità
di vivere in una città eccellente, quest’opera è anche una celebrazione della
grandezza di Firenze. Il fatto che Firenze sia una città eccellente è
dimostrato facilmente perché lo stesso dedicatario era stato con lui a Firenze
compagno di studi presso il Crisolora: c’è stata dunque una comunanza di studi,
di vita e di affetti. Il dono all’amico lontano. Una comune abitudine
alla conversazione e alla discussione, a dato che l’amico è lontano, desiderato
e rimpianto, così come l’amico lontano desidera e rimpiange gli amici
fiorentini gli manda proprio come memoria ed omaggio (B. al Vergerio) la
testimonianza di una delle discussioni da poco avvenute tra loro giovani amici
e il Salutati, come testimonianza che può trasmettere le discussioni di
una volta allo stesso Vergerio. Anticipa, sui contenuti, ciò che riguarda la
dignità degli argomenti e la dignità degli uomini. Cita i due protagonisti-antagonisti:
Salutati e il Niccoli. L’altra dichiarazione che costantemente viene fatta in
trattati di questo genere è la testimonianza –dedica: dice alla fine di questo
proemio: «così io rimando la disputa trascritta in questo libro in modo che tu,
benchè assente, in qualche modo possa godere di quanto godiamo noi, e nel far
questo ho cercato soprattutto di rendere con la massima fedeltà le due
posizioni contrastanti (originale: morem utriusuqe, il costume di entrambi)» e
affida allo stesso Vergerio il compito di giudicare se ci sia riuscito oppure
no. La psicologia del personaggio. Questo è un altro tratto importante:
quello della delineazione del personaggio: non sono solo voci, con personaggi
con una loro individualità. Essendo un dialogo diegetico questa loro
personalità può essere messa in evidenza per alcuni tratti dalla cornice
diegetica, ma soprattutto dal modo in cui ciascuno si esprime, e quindi da
quella sorta di delineazione psicologica che deriva dal discorso. L’abilità è
anche quella di rendere da parte del bruni l’atteggiamento nel dire dei due, e
ne è giudice lo stesso Vergerio che li conosceva entrambi. La rappresentazione
dei personaggi rappresentano anche dunque una prova distile e di bravura
da parte dell’autore. Noi non abbiamo modo di vederlo nel testo latino,
ma quest’opera è letterariamente significativa anche nel movimento stesso delle
voci. Il primo libro Cornice introduttiva Come viene fatta
l’introduzione nel dialogo diegetico? Innanzitutto c’è la cornice introduttiva,
che ci dà delle indicazioni relative alle circostanze del dialogo, al luogo e
ai personaggi. Bruni e Niccoli vanno a casa di Coluccio. In questa nostra
cornice noi abbiamo che nel tempo delle feste, questi giovani personaggi stanno
andando a casa di Salutati, che viene definito «senza dubbio l’uomo più
eminente del tempo nostro per sapere, eloquenza e dirittura morale»: triplice
occorrenza che definisce il carattere del nume tutelare. Viene poi introdotto
un novo personaggio: mentre stanno per andare da Salutati incontrano Rossi, il
quale a sua volta è definito per ciò che è proprio del personaggio stesso in
relazione agli studi: «uomo dedito agli studi liberali». Tutti insieme vanno da
Coluccio, e De Rossi si unisce a loro. La critica di Coluccio. Arrivati a
Casa di Coluccio c’è un momento di Silenzio: Coluccio pensa che quei ragazzi
gli vogliono dire qualcosa, loro non iniziano per far cominciare il maestro e
quindi viene rappresentata questa pausa: un elemento di carattere anche
realistico. Alla fine Coluccio, dato che nessuno parla si decide ed interviene
nel discorso. Quindi la persona più autorevole inizia il suo discorso: che
inizia nei termini di una conversazione, quello che può avvenire quando un
gruppo di persone si trova in casa di uno che è più autorevole di loro, e
questo comincia a parlare, e di fatto esprime il piacere di vederli e poi
comincia, li loda per la loro passione per gli studi, ma esprime poi una
critica. • importanza della disputatio. Critica relativa al fatto che hanno
trascurato quello che per Coluccio invece è importante: la disputatio,
l’abitudine alla discussione che secondo il Salutati è fondamentale proprio per
affrontare in pieno sottili verità, per poterle sceverare compiutamente, per
mantenere la mente in occupazione, e scambiando discorsi in comune per fare una
gara esercitando il proprio intelletto, al fine di ottenere la gloria quando si
sia superiori nella disputa rispetto agli altri, oppure la vergogna quando si è
battuti; da qui verrebbe uno stimolo allo studio per imparare di più., in fondo.Che
cosa può lo sguardo di tutti. Attenzione: qui la traduzione dice questione,che
potrebbe far pensare alla quaestio, nel testo latino si dice invece rem,
l’oggetto della discussione, è diverso il senso da dare alla cosa. E’ importante
l’esercizio perché se non si compie, chi è studioso rimane a parlare con sé
stesso e con i propri libri, ma non si mette a gara e non interviene nel
colloquio con gli altri uomini, e non viene ad essere di giovamento, non
ottiene i frutti che possono essere dati dallo scambio argomentato delle
discussioni. Rievocazione degli studi a Bologna. Evoca gli esordi della
sua stessa educazione quando era a Bologna: dove aveva avuto un insigne maestro
ed aveva appreso l’arte del discutere; poi aveva avuto modo di cimentarsi
ulteriormente in relazione ad un dotto teologo e sapiente a Firenze, e al tempo
stesso dotto in teologia, agostiniano, e insieme amante dei classici: è Luigi
Marsili, che animava un cenacolo presso la chiesa di Santo Spirito, ed è una
figura eminente della Firenze trecentesca, che viene anche nominato dal
Petrarca. • l’elemento cronologico. Ci viene dato attraverso il Marsili
l’elemento cronologico che si diceva all’inizio poiché il Marsili è indicato
come morto sette anni prima: dato che era morto, allora ci porta. L’insegnamento del Marsili. Il Marsili aveva
dimostrato a Coluccio, nei tempi posteriori alla giovinezza, quando valesse la
discussione: era un sapiente conoscitore degli studi di teologia, ma anche un
conoscitore degli antichi; tanto profondamente legato alla scrittura degli
antichi da averle assimilate, anche stilisticamente tanto da riprodurne le
movenze. L’esempio che porta il Salutati di Sé e di quanto aveva guadagnato da
queste discussioni è dato per mostrare attraverso la propria persona, quanto
efficacemente egli ritenga sia proprio della discussione, cioè: il frutto delle
sue opere era stato dato secondo il salutati proprio attraverso questa via.
Dunque l’esercizio è fondamentale. Su questo punto si intavola tutta la
discussione che segue. Salutati, pur sostenendo di ammirare gli amici per
la loro apssione per gli studi, criticava il fatto che non si dedicassero, come
esercizio non solo opportuno e utile, ma necessario, la disputazione. Coluccio
aveva portato il proprio esempio sia dalle indicazioni che aveva ricevuto dalla
scuola di grammatica quando era un giovane studente a bologna, e sia per quello
che aveva ricavato dal rapporto continuo assiduo e importante con il
dotto teologo studioso dei classici Marsili. Una indicazione del Marsili ci dà
l’indicazione del tempo interno del dialogo. Il discorso di S. si concludeva con una
esortazione ai giovani perché si dedicassero alla disputa e cercassero di dare
maggior frutto ai loro studi. La risposta di Niccolò. Come personaggio
antagonista risponde Niccolò Niccoli: fin dalla presentazione che nella
dedicatoria aveva fatto al Vergerio B. aveva presentato le due figure di
Coluccio e Niccoli proprio in questo senso. In più di un momento pare che
Niccoli dia ragione al Salutati riconoscendo l’importanza della disputa che
potrebbe giovare molto agli studi, e lodando Salutati per l’efficacia sul piano
dell’eloquenza con cui aveva dimostrato questa tesi; e ricorda a sua volta la
figura del Crisolora, chiamato dallo stesso Salutati e da cui questi giovani
avevano imparato il greco. Il salutati invece aveva preso i primi rudimenti ma
non tanto da essere in grado di fare una traduzione dal greco al latino.
Le colpe della generazione precedente. Pare che Niccoli dia ragione al
salutati, ma non è così: egli giustifica se stesso e i suoi amici dicendo
che se non svolgono quella esercitazione non possono essere accusati i ragazzi
stessi ma devono essere accusati i tempi: c’è qui una rappresentazione
estremamente negativa, che riprende alcuni tratti del Bruni scrittore già ben
presenti nelle opere polemiche di Petrarca, e che per alcuni elementi emergono
anche nel De Vita Solitaria, un attacco da parte del Niccoli molto duro nei
confronti della condizione in cui è ridotta la cultura per colpa delle
generazioni precedenti e che dispersero il grande patrimonio della cultura
antica. Di fatto come sappiamo la concezione stessa del medioevo nasce
polemicamente proprio in contrapposizione con quello che riguarda la volontà da
parte degli uomini umanisti in primo luogo di ritornare alle fonti della vera
sapienza degli antichi superando la decadenza; è una notazione polemica questa
che noi non facciamo nostra, ma che riguarda la cultura del tempo.Il Niccoli
spiega che per poter svolgere una disputatio è indispensabile padroneggiare
bene un argomento, e per fare questo bisogna avere una grande mole di
conoscenze; Niccoli si domanda come si possa acquisire una tale mole di
conoscenze in questi tempi oscuri, con tanta penuria di libri. Invita a considerare
poi come sono le discipline umanistiche in passato e come sono oggi. Parte qui
una sorta di rassegna che mostra le radici della FILOSOFIA, mostra che cosa
comporta IL PASSAGGIO A ROMA della FILOSOFIA e mostra come ai tempi moderni è
ridotta la filosofia. Polemica contro gli aristotelici. Qui il Niccoli si
lancia, sulla scorta di considerazioni già petrarchesche (non qui enunciate
come tali, perché non si fa qui il nome di Petrarca) contro i filosofi e
soprattutto contro gli aristotelici. Non contro ARISTOTELE, ma contro gl’aristotelici
che tutto basano sull’autorità di un solo filosofo, e tutto basano sul
cosiddetto ipse dixit, essi d’altra parte fanno questo sulla base di un'unica
autorità, e non soltanto mostrano con ciò di non conoscere bene ciò di cui
parlano, ma mostrano una grande arroganza: la dimostrazione della loro
arroganza e della difficoltà nel padroneggiare gli scritti di Aristotele, trova
una base polemicamente anche con riferimento a una polemica che a sua volta
contro i retori del suo tempo fa CICERONE. • la corruzione del latino e dei
testi. Poi ritorna all’oggi e accusa i filosofi aristotelici di parlare di cose
che in realtà non sanno, e come possono saperle? Se questi non solo ignorano il
greco, ma IGNORANO IN GRAN PARTE ANCHE IL LATINO? E qui è sotto accusa anche IL
LATINO PERVERTITO del medio evo, che non è quello degl’umanisti. Addirittura
Niccoli dice che se tornasse lo stesso Aristotele, non riconoscerebbe neppure
più i suoi testi. Sottolinea un aspetto importante da un punto di vista
filologico, cioè il problema della restituzione critica dei testi aristotelici,
il problema cioè di andare a cercare il maggior numero di esemplari dei testi
di Aristotele e il tentativo di restituirli alla loro rispettiva lezione, e
questo puo essere fatto a partire dal testo greco. La conoscenza del greco che
questo circolo di umanisti possede, e in quei tempi appannaggio di quei pochi
che avevano beneficiato, sulla scorta del Crisolora. Altro affondo: gl’occamisti.
Dopo questo attacco agl’aristotelici passa ad attaccare I DIALETTICI. Anche
questa è una polemica già petrarchesca, con i cosiddetti barbari britanni,
soprattutto DIALETTICI e logici occamisti, seguaci di Occam. Secondo le accuse
che venivano fatte essi si occupano di cose da poco, di frivolezze, invece che
di occuparsi di cose importanti ed eccellenti. Ciò non vale solo per le due
discipline evocate ma dice che potrebbe dirsi lo stesso di tutte le altre arti:
Grammatica, retorica e tutte le altre arti. Non mancano gl’ingegni, ma mancano
i mezzi per imparare in questa condizione del sapere. Non abbiamo né mezzi ne
maestri. L’eccezione di Salutati. A questo punto è chiaro che occorre
fare un eccezione, perché sennò nel contesto del discorso ciò avrebbe
significato attaccare lo stesso Salutati. Allora Salutati è salvato da Niccoli
ed elogiato e rappresenta l’eccezione che conferma la regola. Perché Salutati
ha potuto far frutto con i suoi studi? In virtù del suo grande ingegno,
quasi divino, che gli ha consentito di fare quel salto di qualità e quindi di
essere l’eccezione alla regola. Ubi sunt. L’ultima parte del Discorso di
Niccoli si imposta su quel modello di elegiaco tema dell’Ubi Sunt, dove sono
mai?, tanto presente in ambito medievale, ma qui piegato a lamentare la mancanza
dei grandi libri dei classici; e fa un elenco di libri di grandi autori che
mancano. Il precetto di Pitagora. Aggiunge poi un aspetto legato alla necessità
del silenzio cui sono costretti, e fa un riferimento ad un precetto dell’antico
filosofi Pitagora: Pitagora aveva invitato i discepoli, prima di parlare, a
meditare e restare in silenzio per cinque anni, e se i discepoli di Pitagora,
che pure avevano tale maestro e tale possibilità stante la cultura del tempo
antico, come potranno questi giovani parlare e mettersi a disputare? Dice il
Niccoli: «noi che non abbiamo né maestri ne insegnamenti né libri:
come possiamo fare questo? Dunque non ti devi arrabbiare con noi se stiamo
zitti e non discutiamo, non è colpa nostra ma dei tempi». Torna la
cornice. A questo punto ritorna la cornice. Al discorso diretto viene
reintrodotta la cornice con una sorta di segno teatrale: una pausa di silenzio
che fa si che ci sia anche uno stacco in relazione alla voce che ora segue; uno
degli aspetti efficaci del dialogo è la messa in scienza dei personaggi e
quindi la rappresentazione delle loro voci. La cornice interviene
diegeticamente introdotta dal narratore-autore, che interrompe il flusso del
discorso, segnando appunto una pausa di silenzio. Disputa intorno a disputare.
Interviene Coluccio rilevando la contraddizione, perché il Niccoli che aveva
sostenuto di non poter parlare e discutere a causa dei tempi, aveva a sua volta
dato unabrillante dimostrazione di essere capace di discutere con le sue stesse
parole. Allora Coluccio cerca dichiudere questo discorso dicendo: «lasciamo
dunque se credete questa disputa che è intorno al disputare». Gli altri
chiedono il confronto. Ma il discorso non può finire qui e c’è l’intervento di
un dialogo a più voci, quindi c’è una variazione nel modo in cui sono
introdotte le voci di dialogo ed efficacemente dal punto di vista letterario il
dialogo viene ad essere animato. Interviene Roberto De Rossi, che non vuole che
la discussione rimanga a metà; • Coluccio. interviene di nuovo Coluccio che
dice per teme di aver destato il leone dormiente e chiede il parere degli
altri: chiede innanzitutto a Roberto De Rossi se sia d’accordo con lui o con
Niccoli dichiarando che in relazione a Leonardo, cioè colui che è al tempo
stesso personaggio e autore del dialogo, non ha dubbi perché ritiene che
Leonardo sia d’accordo con Niccolò. Interviene allora con la voce che dice
io lo stesso B. che chiede di essere considerato un giudice. Non vuole
prendere posizione; fermo restando che c’è una aggiunta, non priva di una certa
ambiguità, perché riconosce che la causa è in gioco non meno di quella di
Niccolò. Interviene infine Rossi che a sua volta dichiara di sospendere il
giudizio, e di sospendere il suo parere finché entrambi non espongono la loro
opinione. Dunque Coluccio adesso deve fare una confutazione di quello che
Niccoli ha detto. La confutazione di Coluccio. Si apre una ulteriore fase
del dialogo nell’ottica di una confutazione fatta da Coluccio in relazione a
quello che Niccoli ha detto. In primo luogo fa notare che è facile confutare
che dice che a causa dei tempi non si può disputare quando egli stesso lo ha
dimostrato egli stesso disputando. C’è anche una schermaglia un poco scherzosa
in relazione al Niccoli. Un altro degli aspetti del dialogo è anche
l’introdurre battute per alleggerire il senso delle discussioni, così come si
introduce all’interno del discorso riferendosi ad un personaggio che
inizia a parlare «sorridendo» ecc, così anche da battute. Viene ad essere
interrotto a sua volta il Salutati da Rossi con un'altra obiezione: allora se
tu elogi il Niccoli che ha mostrato di poter disputare, perché dici che ci si
debba esercitare? Se senza esercitarsi Niccoli c’è riuscito così efficacemente,
vuol dire che l’esercizio non è necessario. Risponde con una contro obiezione
il Salutati dicendo che l’esercizio è fondamentale per poter ottenere un
ulteriore eccellenza: se già ci sono delle buone disposizioni soltanto
esercitandosi si può migliorare. Elogio dell’esercizio. Coluccio si
lancia in un elogio dell’esercizio. Questo esercizio e la disputa sono di nuovo
ri-definiti, e questa definizione è importante:, riga 5: perciò io chiamo
disputa: - insisto su questo poiché il modo in cui è definita la disputa
e la discussione delimita i caratteri della discussione stessa, e la distingue
rispetto alla quaestio degli scolastici. Non poi così bui. Salutati
ammette che la situazione in cui versano le arti liberali non è la migliore
possibile. Però in relazione all’atteggiamento assolutamente negativo in Niccoli
tende a minimizzare: sì, un po’ sono decadute, ma non al punto tale che siano
nella condizione che dice Niccoli. E se è vero che molti libri mancano, è ben
vero che altri ce ne sono, e comunque le cose che abbiamo le dobbiamo usare e
non le dobbiamo disprezzare. E dunque ribadisce che il Niccoli sbaglia ad
attribuire la colpa ai tempi, perché così non riconosce quello che deve
imputare a sé stesso; cioè si sottrae di fatto quello che sono le sue
responsabilità. Chiarisce anche che il suo intento è quello di porsi in
opposizione a lui, e non di attaccarlo violentemente, cioè non è il suo un
atteggiamento volutamente polemico in termini distruttivi. La illustre
tradizione fiorentina. D’altra parte introduce, ritenendo che questa parte del
discorso possa essere compiuta, un ulteriore passo, che poi scatenerà il resto
della discussione e la reazione del Niccoli: E dice: pag. 97: «come è possibile
che tu venga a dire che in tempi moderni non ci siano possibilità da
parte degli ingegni di fiorire se tu tralasci tre uomini fioriti da questa
nostra città e nei nostri tempi. Dante, Petrarca e Boccaccio, che sono levati
al cielo da così grande universale consenso. C’è un motivo anche di
carattere patriottico. -c’è una specificazione data in relazione a Dante che è
significativa per come volgerà poi il seguito del dialogo, poiché sembra essere
posta una riserva sul fatto che Dante prescelse il volgare, infatti dice «se
Dante avesse usato altro stile (alio genere scribendi) io non mi contenterei di
porlo insieme a quei nostri padri, ma a loro e ai greci stessi io lo
anteporrei»: cioè da un lato c’è una lode del ruolo di Dante, dall’altro una
riserva del modo di scrivere. E dice che quei tre non vanno dimenticati ma
ricordati perché sono il vanto e la gloria della città. Dante. E qui la
voce di Niccoli esplode. In realtà il verbo non è messo, c’è un ellissi, ma il
traduttore lo sottolinea permettere in evidenza l’esplosione polemica del
Niccoli. C’è un vero e proprio grido del Niccoli. «allora Niccoli insorse ignorante
d’ogni cosa? - e qui comincia un atto d’accusa. Che parte da Dante, che viene
accusato di non capire il latini di Virgilio, citando un passo del Purgatorio;
viene accusato di non aver capito l’età di catone e di averlo invecchiato
rispetto a quello che dice Lucano; viene accusato di aver preso Cesare che era
un tiranno, averlo lodato, ed aver messo l’uccisore di cesare nella bocca di
Lucifero; è accusato anche per la sua cultura basata sulla scolastica, e per il
latino di Dante stesso. E dunque che cosa deve essere Dante? A chi deve essere
lasciato Dante? A quale pubblico? Pagina 99, in fondo: per cio familiare solo a
gente simile». Fiorentini contro Dante. Che a gruppi di classicisti di
stretta osservanza fosse rimproverato un atteggiamento simile lo sappiamo da
altre fonti: che possono anche essere collegate a questo, ma ci sono anche
altre fonti fiorentine che ci trasmettono questo atto d’accusa, mossa a giovani
che invece di guardare alle glorie della patria. Le attaccano. L’accusa è
ancora più dura perché non riguardava solo un giudizio di carattere letterario
che attaccava i numi tutelari della cultura fiorentina e il vanto della cultura
fiorentina, ma perché questi stessi giovani erano accusati di disinteresse nei
confronti delle sorti della patria. Un po’ di tempo prima della scrittura di
questi dialoghi, c’era stato uno scontro violento tra Firenze contro Visconti,
e c’era stato un momento in cui pareva che Firenze dovesse soccombere, solo la
morte di Gian Galeazzo salva Firenze
definitivamente, perché gli ultimi atti di guerra versavano molto
negativamente. E si diceva che c’erano questi gruppi di giovani classicisti che
si disinteressavano totalmente, che non si occupavano delle sorti della patria;
e qui viene fatto un collegamento tra lo spirito civile e le glorie cittadine.
Qui il discorso è riportato in termini letterari, ma c’è sotteso dell’altro. Un
riverbero di questo si vede alla fine del secondo dialogo. Petrarca e
Boccaccio. Da dante si passa Petrarca, e si attacca ciò che Petrarca aveva
propagandato a quattro venti in relazione alla grandezza del suo poema L’Africa
in latino, poema non compiuto, e quindi da questa grande aspettativa, dice
Niccoli, (noi diremmo “dalla montagna”) è saltato fuori «un topolino». Di
fronte alle accuse fatte a Dante e Petrarca, è inutile continuare con
Boccaccio, che viene liquidato, poiché se è inferiore ai primi due, è
inutile continuare. D’altra parte non soltanto questi sono da giudicare
nei termini dati, ma ancor più è da giudicare negativamente la loro singolare
arroganza per come si sono dichiarati: letterati, dotti e poeti. La conclusione
liquidatoria del Niccoli è la seguente: perciò Coluccio mio non hanno sapere
alcuno»: una dichiarazione radicale. A questo punto vediamo come finisce questo
primo libro, perché siamo quasi alla fine. Riprende a parlare Coluccio: c’è un
distacco nella cornice nell’atteggiamento «sorridendo come sua abitudine»: ora
teniamo presente che i personaggi ciceroniani, dei dialoghi ciceroniani, in
particolare il De Oratore, quando prendono la parola, nella cornice diegetica
sono mostrati mentre a prendono «sorridendo». Allora realismo nei confronti del
Niccoli: «quanto vorrei.. non abbia trovato un avversario, e qui cita
gliavversari di Virgilio e Terenzio. Però gli avversari di questi grandi latini
del passato erano comunque più sopportabili. Teniamo presente che questa sembra
una nota caratteriale del Niccoli, questa figura del Niccoli la troviamo al
centro di diversi dialoghi di polemiche e lettere. Ma perché gli avversari
erano più sopportabili, perché loro si opponevano ad una sola persona, e invece
il Niccoli si oppone a tutti i suoi concittadini. Ma il giorno ormai muore, ed
occorre differire la risposta, che necessita molto tempo, data la grandezza dei
tre personaggi di cui occorre fare la lode, per compensare il vituperio di
Niccolo. Coluccio rimanderà questa difesa. E qui Coluccio chiude circolarmente
tornando al tema della discussione. La conclusione del primo libro
Necessità di una lode. Il primo libro ci dice che l’attacco del Niccoli viene
rifiutato in Toto dal nume tutelare, con le parole del quale si era aperto il
dialogo del primo libro, e a causa del quale si erano svolti questi colloqui.
Viene rimandato, senza un’indicazione che dica a quando, viene detto che
sarebbe necessario un discorso non breve e che il tempo lo impedisce. Allora a
questo punto, così come è impostato questo libro, ci fa presupporre che ce ne
debba esse un altro che comporti l’elogio di questi tre, perché rimane in un
tempo di attesa. Qui però c’è un problema relativo al modo di
trasmissione dei manoscritti dei nostri dialoghi in relazione alla fortuna del
testo: devo dire che i Dialogi ebbero una notevolissima fortuna, abbiamo un
numero rilevante di manoscritti però c’è anche un dato che non possiamo
eludere: una parte di manoscritti ci trasmette il primo libro soltanto, quindi
sembra di capire che una circolazione di questo primo libro sia stata
precedente o autonoma rispetto alla diffusione dell’opera completa, cioè dei
due libri. Questo non vuol dire che tra il primo e il secondo ci sia uno
iato di composizione, anche se è una delle testi che sono state avanzate; e non
significa soprattutto che il secondo libro sia una aggiunta esterna, successiva
o pensata dopo, perché in realtà la conclusione stessa del libro anche se non è
determinata, è la conclusione che compare spesso nei dialoghi, anche
ciceroniani, quando viene rimandato ad un successivo giorno. Ma qui non è
specificato il quando, questo è vero, quindi c’è qualche interrogativo che pone
la conclusione di questo primo libro. Il secondo libro si imposta
certamente in un rapporto che possiamo definire, considerando l’opera nel suo
insieme un rapporto unitario, un rapporto non senza qualche diffrazione: cioè
noi ci aspetteremmo qualcosa d’altro, e cioè che fosse Coluccio a riprendere la
lode dei tre grandi fiorentini, e soprattutto che si riagganciasse a quello che
è stato detto nel primo libro. Invece il modo in cui si riaggancia ha qualche
diffrazione. La cornice Verso casa De Rossi. Il secondo libro del
dialogo dunque si apre il giorno dopo; si ritrovano quelli che si erano uniti
il giorno precedente, ma si aggiunge un altro personaggio. Altro interrogativo:
questo personaggio è Piero di Ser Mini, definito «giovane sveglio e sommamente
facondo». Come ricorda la nota che questo Piero di Ser Mini fu successore del
Salutati nella cancelleria di Firenze. Era rappresentato come personaggio
familiare e vicino a Coluccio, e insieme alla sua comparsa cambia anche la sede
dei personaggi: si ritrovano i personaggi del primo dialogo, tranne Roberto de
Rossi, che vanno appunto a casa di Rossi; nel primo Rossi si era aggiunto, ora
i tre si aggiungono a lui. • Oltr’Arno. C’è un passaggio nella dislocazione che
non è privo di significato: vanno oltr’Arno, perché Rossi abitava al di là
dell’Arno, oltre Palazzo Pitti; interessante nella dislocazione perché quando
finisce il dialogo ritorneranno dall’altra parte: è come se uscissero dalla
città e tornassero in città una volta concluso l’elogio e restituita per certi
versi la pienezza della compartecipazione di quella che è l’opinione dominante.
Ci sono anche connotazioni che rimandano a luoghi per eccellenza propri di
quelli che sono dibattiti di natura filosofica, anche se questo non è
propriamente filosofico: si parla del giardino, del portico. Lode di
Firenze. A questo punto non comincia una discussione come avevamo visto essere
terminata nel secondo libro, ma il nostro discorso comincia in un altro modo:
comincia con una laudatio di Firenze. Bisogna ricordare brevemente due cose che
devono essere tenute presenti per capire meglio. B. scrive una laudatio,
unencomio, uno scritto il lode di Firenze; particolarmente interessante in
relazione alla tradizione delle lodi alla città perché cambia l’impostazione:
si basa sul Panatenaico di Elio Aristide, cioè viene magnificata Firenze sul
modello dell’elogio di Atene, e l’elogio viene fatto per tutti gli elementi di
Firenze, dall’aspetto fisico e monumentale della città, alle sue istituzioni,
alla città come rappresentativa al massimo grado come figlia e erede di ROMA,
perché i Romani erano stati fondatori di Firenze ai tempi della repubblica
romana secondo l’ipotesi avanzata in quegli ultimi anni, ed era la depositaria
e l’erede della libertà repubblicana; quest’operetta era stata importante, e
qui l’elogio in alto stile viene fatto proprio da Salutati, che fa l’elogio
della città dicendo per esempio quali magnifici palazzi ci sono (e mostra i
palazzi appena oltrepassati per andare da Rossi) e dice quanto bene ha fatto B.
a lodare Firenze e loda a sua volta, lodando Firenze, quella che B. la fatto
della città (esalta la laudatio di B.). • l’encomio dell’«encomio». Quindi che
cosa ottiene il bruni come autore in questo modo? Mette lapropria opera
come lodata dallo stesso Salutati. Ci sono anche dei nessi con alcune altre
opere del Salutati stesso. Questo elogio viene completato dall’intervento di
Pietro di Ser Mini e poi di altri e viene a toccare in questo modo, come se
fosse un discorso che si svolge naturalmente, viene a toccare proprio il tema
in oggetto, e cioè l’elogio delle glorie della città, le glorie letterarie. b)
Per capire altri punti facciamo presente che viene citata un operetta di
Salutati, da Salutati stesso. È un trattato scritto si intitolava De Tyranno;
qui Salutati aveva difeso la legittimità del potere di Cesare, e soprattutto
aveva difeso ALIGHIERI (si veda) per la posizione assunta nella sua opera. Non
è che qui adesso il Salutati faccia una palinodia di quello che aveva scritto,
però qui ne dà una interpretazione un tantino diversa; e questa è una ragione
che ci fa pensare che Salutati fosse morto a quell’epoca, perché non avrebbe ma
accettato, conoscendo quanto fosse molto fortemente difensore delle proprie
idee e posizioni. Una diffrazione: il parere di De Rossi. Lasciando stare
questo aspetto del problema, passiamo a parlare dei vanti di Firenze, e Roberto
(al quale erano state ricordate le glorie politiche della propria famiglia in
difesa del partito guelfo) diceva che bisognerebbe svolgere le lodi di questi
personaggi, perché questi tre poeti non sono davvero «la minor parte della
nostra gloria». Noi però ci dobbiamo domandare quale fosse la posizione di
Roberto nel libro precedente: aveva detto di non voler dare giudizi, di
aspettare a dare un parere, mentre qui si dichiara finalmente d’accordo. Allora
Coluccio risponde, ed anche questo ci stupisce in quanto non dice che tale
elogio effettivamente vada fatto, infatti Coluccio dice: «sei nel giusto
Roberto, essi sono non solo la minima parte, ma anzi di gran lunga la fonte
maggiore della nostra gloria; ma che debbo fare ancora, non aprii ieri a
sufficienza il mio sentire su quei tre sommi?» ma in realtà non aveva risposto:
aveva solo detto che era contrario al parere del Niccoli, e che per svolgere
l’elogio ci voleva molto tempo: quindi c’è una vera e propria diffrazione,
seppure lieve in questo. Integrazione della laudatio del B. Teniamo presente
che nella laudatio di Firenze il bruni aveva glissato sulle glorie fiorentine
sotto questo aspetto: cioè nella laudatio non sono citati ALIGHIERI (si veda),
Petrarca e Boccaccio; la laudatio si conclude con il vanto degli egregi
fiorentini, ma non ci sono i nomi, è un vanto generale. Questa parte ora, in un
certo senso si riaggancia alla laudatio del bruni e la completa: in un certo
senso questo secondo libro ha indubbiamente anche questo scopo. Tanto più che
il Bruni, quando nelle sue lettere parla di questo testo, lo definisce «i libri
dei nuovi poeti», quindi l’aggancio con la laudatio indubbiamente amplifica e
porta in una direzione questo discorso. Niccoli Smascherato. Come si può
risolvere il problema a questo punto? Niccoli rimane sulla posizione di prima?
No. Vien operata una definizione in chiave retorica della posizione del
Niccoli: di fatto Coluccio afferma di aver ben capito il giorno prima che il
Niccoli aveva fatto questo in modo artificioso: l’aveva fatto non dicendo
quello che pensava lui, ma lo aveva fatto per provocarlo,perché quello che
Niccoli voleva era che lui facesse l’elogio, ma Salutati non ci era caduto, ed
aveva capito bene quali erano idee di Niccoli, il quale, insieme a B., continua
ad insistere che sia lui a fare l’elogio dei tre Grandi: Salutati dice che farà
ben questo, ma solo quando lo vorrà lui! A questo punto c’è una
schermaglia, uno scambio di battute con effetto teatrale, fino a quando c’è una
sorta di rilancio tra le parti: il Salutati vuole che sia B. a fare l’elogio,
mentre B. vuole che sia Coluccio, o quanto meno vuole decidere lui chi debba
farlo (e questo è un passo di tipo meta letterario, in quanto Bruni è anche scrittore!);
alla fine B. viene fatto arbitro e decide che sia Niccoli a fare l’elogio: il
Niccoli li ha attaccati, il Niccoli ora li difenda. Allora Niccoli prende la
parola e ribalta l’accusa che aveva fatto il giorno prima. Il modello di questo
è stato rilevato dagli studiosi nel personaggio di Antonio tra il 1° e il 2°
libro del “De Oratore”. Come Antonio, anche Niccoli, pur facendo una
confutazione di quelle accuse, non si adegua totalmente a quello che pensa
Salutati, così come Antonio, nel 2° libro del “De Oratore” non diviene
totalmente dell’idea dell’altro nume tutelare. C’è una dialettica interna che
rimane. Excusatio. Innanzitutto Niccoli si lancia in una ampia excusatio,
fin troppo ampia: e questo potrebbe fare pensare che il Niccoli storico, una
qualche responsabilità in queste accuse ai tre grandi potesse pure averla.
Insiste dicendo che gli altri non poteva assolutamente credere che egli
attaccasse veramente i tre grandi: è noto a tutti l’amore che ha avuto per
l’opera di Dante, per la memoria di Petrarca, per il quale è andato fino a
Padova per leggere l’Africa, l’amore per Boccaccio ecc. afferma di essere
consapevole di aver fatto quello che dice Coluccio: ha fatto un vituperio dei
tre fiorentini solo per sollecitare Coluccio a fare l’elogio. Dato che a questo
punto tocca a lui, è costretto a farlo, con grande soddisfazione di Coluccio
che lo obbliga. Palinodia, ma non totale. Inizia la palinodia: ciò
che rende grandi Dante, Petrarca e Boccaccio, e risponde alle accuse che egli
stesso aveva fatto prima. Ma c’è una differenza: il Salutati si pone su questa
posizione: il salutati è un innovatore che non rompe con la tradizione, è
l’erede del Petrarca a Firenze, e di Boccaccio. Però il Salutati non vuole
rompere e contrapporsi nello stesso modo in cui altri avevano fatto con la
tradizione precedente; il Niccoli recupera le lodi dei tre, ma alla fine del
suo discorso ritorna a quello che aveva detto prima: come il Salutati è un
eccezione al tempo contemporaneo, così questi tre grandi fiorentini sono delle
eccezioni, perché il loro grandissimo ingegno permise loro di eccellere
nonostante la decadenza degli studi e nonostante la situazione del mondo loro
contemporaneo. Non è quindi propriamente la posizione del salutati, ne una
ritrattazione vera e propria, o una confutazione delle accuse espresse
prima. Petrarca precursore degli umanisti. Ci sono nelle cose dette
diverse cose interessanti, una in particolare riguarda il Petrarca e il
riconoscimento della sua funzione per l’avvio del rinnovamento negli studi
umanistici: riconosce l’importanza di Petrarca come fondatore del movimento
umanistico. Il discorso improvvisato. L’altro aspetto importante per la
struttura del dialogo riguarda la dichiarazione del parlare all’improvviso e
senza preparazione: questo dopo aver fatto la lode di Dante. La caratteristica
peculiare del dialogo è che venga fatto come una CONVERSAZIONE reale. Gl’argomenti
posti in campo, COME IN UNA CONVERSAZIONE e senza un ordine sistematico, senza
una preparazione pre-ordinata: ciò mette in evidenza il carattere di
naturalezza e libertà del discorso, rispetto a quello che sarebbe in termini
sistematici e stringenti di una trattazione filosofica. Questo è un discorso,
non un dialogo informa di trattato. Altro aspetto interessante, per la
posizione dal punto di vista culturale è che, mentre d’ALIGHIERI viene esaltata
la Commedia, per vari motivi, di Petrarca e Boccaccio viene rilevata
soprattutto l’opera IN LINGUA LATINA. Di Petrarca in larghissima misura poi,
solo poco si dice della produzione in volgare. Di Boccaccio il Decàmeron in
quanto tale non è citato! Sono citate le opere IN LINGUA LATINA. Un solo
accenno può far pensare al Decàmeron, ma la centralità è data alla Genealogie.
A questo punto, Dopo che Niccoli ha finito il suo discorso, allora viene
pronunciata l’assoluzione di Niccoli che viene scagionato da quello che aveva
fatto il giorno prima: gli viene data l’assoluzione perché nella
perorazione della causa aveva difeso le sue ragioni e quindi non è responsabile
di nulla. D’altra parte però anche nel modo in cui viene data questa sorta di
assoluzione, la formulazione non è priva di tratti di ambiguità: perché quello
che si dice riguarda non tanto il discorso di Niccoli, quanto ciò che Niccoli
aveva riportato a sé per l’amore che aveva avuto per questi autori; un margine
di ambiguità dunque rimane. In definitiva. Delle Eccezioni. La parte
finale del dialogo risolve e conclude dicendo che da parte di Niccoli si
ritiene abbastanza largamente premiato per tutte le lodi ricevute, e ritorna
però ai principi precedenti affermando che è lontano dal credere di sapere
qualcosa, e proprio ritorna circolarmente la sua tesi fondamentale: «tanto più
ciò mi par difficile, tanto più ammiro i fiorentini in quanto nonostante
l’avversità dei tempi, per una loro sovrabbondanza di ingegno riuscirono ad
essere pari o superiori agli antichi»: delle eccezioni duqnue, illuminanti ma
niente altro che delle eccezioni. Il dialogo si conclude con l’intervento di
Roberto e il ritorno al di là di ponte vecchio. Modelli e fonti La
cornice. La cornice di carattere conviviale è la cornice classicamente ben
autorizzata, il Simposio ed altro, è un’altra delle cornici riusate, non
frequentemente, nel dialogo umanistico-rinascimentale. Il fatto che qui sia
stato accennato in questa forma è indizio di una attenzione da parte di B.
verso questa nuova forma di dialogo. Abbiamo visto quali fossero i modelli, e
in particolare come modello di dialogo diegetico, cioè narrativo in
quanto introdotto da cornice che continua a ritornare, il De Oratore.
D’altra parte anche quando di fatto ci siano anche altri modi e altre forme
come quelle miste date da cornice introduttiva e poi l’elemento di carattere
mimetico, sulla scorta del Laelius de amicitia o come aveva fatto Petrarca nel
Secretum, in relazione al dialogo umanistico, non per B., rimane un punto
nodale di riferimento; specie in alcuni tratti che si riprendono e ricompaiono
nei dialoghi quattro-cinquecenteschi: in particolare per il fatto che ci sia
una cornice di carattere realistico (cosa che non c’è nel Secretum); una
cornice di carattere realistico; coordinate spazio temporali che corrispondono
ad aspetti di carattere realistico; e personaggi che appartengono a figure
storiche ben individuate. Altro dato che rimane costante e comune è la
rappresentazione scenica. C’è una dimensione teatrale largamente riconosciuta,
rappresentazione scenica sia in relazione ai personaggi, sia ai personaggi che
si alternano nel dialogo: personaggi che vengono a recitare un ruolo, come vedremo
ancora di più nel Cortegiano. Abbiamo poi visto la dichiarazione di veridicità:
l’autore dice di aver riportato un reale dialogo, e abbiamo visto come si vuole
cercare di rendere evidente al lettore, di mimare l’andamento di una libera
conversazione: una conversazione non preordinata. Il dialogo
Diversi usi del dialogo. Il nostro non è un trattato, ma la forma del dialogo è
una di quelle privilegiate per il trattato. Naturalmente le possibilità insite
possono essere diverse: in quanto noi ci possiamo trovare di fronte ad un
trattato in forma di dialogo in cui si voglia veicolare unatesi, e si individua
una strategia comunicativa dialogica che fa capire quale sia la sua tesi. Ma ci
possono essere altre possibilità: ci può essere quella propria del confronto di
opinioni, con un dialogo che si compone via via in una ricerca che si completa
a vicenda, e d’altra parte ci sono anche dialoghi che rimangono aperti: sono
confronti di opinioni che non sono riconducibili in unità, e quindi la
discordia rimane. Il dialogo per sua stessa natura presenta problemi di
carattere interpretativo in quanto ha un margine interno di ambiguità, nel
senso che ci troviamo di fronte ad enunciazioni di posizioni diverse da parte
dei personaggi: dipende molto dalla strategia compositiva, che può indirizzare
il lettore, ma ci possono essere delle voci, delle posizioni dei tratti che
possono sembrare ambivalenti o volutamente lasciate con prospettive diverse da
parte dell’autore, e questo comporta evidentemente dei problemi e difficoltà di
interpretazione. Naturalmente ci sono anche dialoghi dove da questo punto di
vista viene fatto intendere in maniera chiara ed evidente e viene orientata in
maniera che non ci siano dubbi quella che è la prospettiva dell’autore. In
questo è un notissimo l’esempio di Galileo, dove le posizioni sono definite in
modo chiaro, e la posizione di Simplicio è quella di chi enuncia testi che
devono essere confutate. Leonardo
Bruno. Leonardo Bruni. Bruni. Keywords: interpretare, implicatura geometrica,
Ethica nicomachaea, Grice, Hardie. “Ad
Petrum Paulum Histrum”, l’interpretazione di Romolo – l’interpretazione di
Remolo – I sei aquile I duodici aquile– primi I sei corvi – il segnato? Refs.
Luigi Speranza, “Grice e Bruni: implicatura geometrica” – The Swimming-Pool
Library. Bruni.
Grice e Bruno: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’opera – libretto di -- Atteone
– la scuola di Nola – filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Nola). Filosofo nolese. Filosofo
napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Nola, Napoli, Campania. Grice: “It has taken naturally an Italian – Rossi – to unearth the
connection between the chiave universalis and the cabbala!” Grice: “Italians
should concentrate on the few Italian philosophical dialogues by Bruno in the
vernacular, and leave those in ‘the learned’ for those who cannot deal with the
‘volgare’!” “My favourite has to be the one on Atteone – which Bruno describes
as the ‘furor’ of a ‘heroe’ – Atteone il cacciatore – but the one on the Fiume
at the Campidoglio is also very good!” --
Giordano Bruno – Grice: “A genius”. La sua filosofia, inquadrabile
nel naturalismo rinascimentale d’amare infinitiamente, fonde le più diverse
tradizioni filosofiche — materialismo antico, galileismo, neoplatonismo,
ermetismo, mnemotecnica -- ma ruota intorno a un'unica idea: l'infinito –
“l’immenso” -- inteso come l'universo infinito, effetto di un Dio infinito,
in-figurabile, fatto di infiniti mondi, da amare infinitamente. Non
esistono molti documenti sulla sua gioventù. È lo stesso filosofo, negli
interrogatori cui fu sottoposto durante il processo che segna gli ultimi anni della sua vita, a dare le
informazioni sui suoi primi anni. Io ho nome Giordano Filippo della famiglia di
Bruni, della città de Nola vicina a Napoli dodeci miglia, nato ed allevato in
quella città, e più precisamente nella contrada di san Giovanni del Cesco, ai
piedi del monte Cicala. Figlio dell'alfiere Giovanni e di Fraulissa Savolina per
quanto ho inteso dalli miei. Il Mezzogiorno era allora parte del Regno di
Napoli. Fu battezzato col nome di Filippo in onore dell'erede al trono. La sua
casa - che non esiste più - era modesta, ma nel suo “De immense” ricorda con
commossa simpatia l'ambiente che la circondava, l'amenissimo monte Cicala, le
rovine del castello, gli ulivi, in parte gli stessi di oggi, e di fronte, il
Vesuvio, che, pensando che oltre quella montagna non vi fosse più nulla nel
mondo, esplora ragazzetto. Ne trae l'insegnamento di non basarsi esclusivamente
sul giudizio dei sensi, come fa, a suo dire, il grande Aristotele, imparando
soprattutto che, al di là di ogni apparente limite, vi è sempre qualche cosa
d'altro. Impara a leggere e a scrivere da un prete nolano, Giandomenico de
Iannello e compì gli studi di grammatica nella scuola di Aloia. Prosegue gli
studi superiori a Napoli, che era allora nel cortile del convento di san
Domenico, per apprendere lettere, logica e dialettica da Colle e lezioni
private di logica da un agostiniano, Vairano. Il Sarnese, ossia Colle e un
aristotelico. Per Colle, solo il concetto conta, nessuna importanza avendo la
forma nella quale il concetto e espresso. Scarse le notizie su Vairano, del
quale B. ebbe sempre ammirazione, tanto da farlo protagonista dei suoi dialoghi
cosmologici e da confidare al bibliotecario Cotin che eglio fu «il principale
tutore che abbia avuto in filosofia. Per delineare la sua prima formazione,
basta aggiungere che, introducendo la spiegazione del nono sigillo nella sua “Explicatio
triginta sigillorum”, scrive di essersi dedicato fin da giovanissimo allo
studio dell'arte della memoria, influenzato probabilmente dalla lettura del
trattato Phoenix seu artificiosa memoria di Tommai. In convento Interno
della chiesa di san Domenico Maggiore a Napoli, dove B. seguì il suo noviziato
e fu promosso agli ordini sacri. Rrinuncia al nome di Filippo, come imposto
dalla regola domenicana, assume il nome di Giordano, in onore a Giordano di
Sassonia, successore di Domenico, o forse di Giordano Crispo, suo tutore di
metafisica, e prende quindi l'abito di frate domenicano dal priore del convento
di san Domenico Maggiore a Napoli, Pasca. Fnito l'anno della probatione, e admesso
da lui medesimo alla professione», in realtà fu novizio e professo. Valutando
retrospettivamente, la scelta d'indossare l'abito domenicano può spiegarsi non
già per un interesse alla vita religiosa o agli studi teologici – che mai ebbe,
come affermò anche al processo - ma per potersi dedicare ai suoi studi
prediletti di filosofia con il vantaggio di godere della condizione di
privilegiata sicurezza che l'appartenenza a quell'ordine potente certamente gli
garanta. Che egli non fosse entrato fra i domenicani per tutelare
l'ortodossia della fede cattolica lo rivelò subito l'episodio – narrato da lui
stesso al processo – nel quale nel convento di san Domenico, butta via le
immagini dei santi in suo possesso, conservando solo il crocefisso e invitando
un novizio che legga la Historia delle sette allegrezze della Madonna a gettar
via quel libro, una modesta operetta devozionale, pubblicata a Firenze,
perifrasi di versi in latino di Chiaravalle, sostituendolo magari con lo studio
della Vita de' santi Padri di Cavalca. Episodio che, pur conosciuto dai
superiori, non provoca sanzioni nei suoi confronti, ma che dimostra come fosse
del tutto estraneo alle tematiche devozionali contro-riformistiche. Chiesa
di San Bartolomeo a Campagna, dove celebra la sua prima messa. E andato a Roma
e sia stato presentato a Pio V e al cardinale Rebiba, al quale avrebbe
insegnato qualche elemento di quell'arte mnemonica che tanta parte avrà nella
sua speculazione filosofica. Fu ordinato suddiacono, diacono, e presbitero,
celebrando la sua prima messa nel convento di san Bartolomeo a Campagna, presso
Salerno, a quell'epoca appartenente ai Grimaldi, principi di Monaco, e si
laurea con una tesi su AQUINO e Lombardo. Non bisogna pensare che un
convento fosse esclusivamente un'oasi di pace e di meditazione di spiriti eletti.
Nei confronti dei frati di san Domenico Maggiore furono emesse diciotto
sentenze di condanna per scandali sessuali, furti e perfino omicidi. Non deve
pertanto stupire il disprezzo che ostenta sempre nei confronti dei frati, ai
quali rimprovera in particolare la mancanza di cultura; e non solo, ma, secondo
un'ipotesi di Spampanato comunemente accettata in sede critica, nel protagonista
del suo “Candelaio”, Bonifacio, egli assai probabilmente alluse proprio a un
suo con-fratello, Bonifacio da Napoli, definito nella lettera dedicatoria alla
Signora Morgana B. “candelaio” “in carne ed ossa”, ossia “sodomita”. Tuttavia,
la possibilità di formarsi un'ampia cultura non manca certo nel convento di san
Domenico Maggiore, famoso per la ricchezza della sua biblioteca, anche se, come
negli altri conventi, sono vietati i saggi di Erasmo da Rotterdam che però si procura in parte, leggendoli di nascosto. La
sua esperienza conventuale e in ogni caso decisiva. Vi puo compiere i suoi
studi e formare la sua cultura leggendo di tutto, da Aristotele ad Aquino, da
Gerolamo a Crisostomo, oltre alle opere di Ficino. La sua indipendenza di
pensiero e la sua insofferenza verso l'osservanza dei dogmi si manifestarono inequivocabilmente.
Discutendo di arianesimo con Montalcino, ospite nel convento napoletano,
sostenne che le opinioni di Ario e meno perniciose di quel che si riteneva,
dichiarando che Ario dice che il verbo non era creatore né creatura, ma medio
intra il creatore e la creatura, come il verbo è mezzo intra il dicente
(DICENS, DICTOR, utterer, mittente) ed il detto (il detto, DICTUM, utteratum,
missum) e però essere detto primogenito avanti ogni creatura, non dal quale ma
per il quale è stato creato ogni cosa, non al quale ma per il quale si
refferisce e ritorna ogni cosa all'ultimo fine, che è il Padre, essagerandomi
sopra questo. Per il che fui tolto in suspetto e processato, tra le altre cose,
forsi de questo ancora. E all'inquisitore veneziano espresse il proprio
scetticismo sulla trinità, ammettendo di aver dubitato circa il nome di “persona”
del Figliolo e del Spirito Santo, non intendendo queste due persone distinte
dal Padre, ma considerando il Figlio, neo-platonicamente, l'intelletto e lo spirito,
pitagoricamente, l'amore del padre o l'anima del mondo, non dunque “persone” o
sostanze distinte, ma manifestazioni divine. Denunciato d’Agostino al
padre provincial Vita, costui istituì contro di lui un processo per eresia e,
come racconta lui stesso agli inquisitori veneti, dubitando di non esser messo
in preggione, me partto da Napoli ed ando a Roma. Raggiunse Roma, ospite del
convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, il cui procuratore, Lucca,
divenne pochi anni dopo generale dell'Ordine e
censura i saggi di Montaigne. Sono anni di gravi disordini: a Roma
sembra non farsi altro, scrive il cronista Gualtieri, che rubare e ammazzare:
molti gittati in Tevere, né di popolo solamente, ma i monsignori, i figli di
magnati, messi al tormento del fuoco, e nipoti di cardinali sono levati dal
mondo e ne incolpa il debole Gregorio XIII. è accusato di aver ammazzato e
gettato nel fiume un frate: scrive Cotin, fugge da Roma per un omicidio
commesso da un suo frère, per il quale egli è incolpato e in pericolo di vita,
sia per le calunnie dei suoi inquisitori che, ignoranti come sono, non
concepiscono la sua filosofia e lo accusano di eresia. Oltre all'accusa di
omicidio, ha infatti notizia che nel convento napoletano erano stati trovati,
tra i suoi saggi, saggi di Crisostomo e di Gerolamo annotate da Erasmo e che si
sta istruendo contro di lui un processo per eresia. Così abbandona
l'abito domenicano, riassume il nome di Filippo, lascia Roma e fugge in
Liguria. Portico del Palazzo comunale di Noli, dove soggiorna per un breve
periodo. Sotto il portico una lapide ricorda il soggiorno del filosofo: "B.
Prima d'insegnare all'Europa Le leggi dell'ordine universale fu maestro in Noli
di grammatica e cosmografia. è a Genova e scrive che allora, nella chiesa di
Santa Maria di Castello, si adora come reliquia e si fac baciare ai fedeli la
coda dell'asina che portò Gesù a Gerusalemme. Da qui, va poi a Noli, dove insegna
grammatica ai bambini e cosmografia agli adulti. è a Savona, poi a
Torino, che giudica deliciosa città ma, non trovandovi impiego, per via
fluviale s'indirizza a Venezia, dove alloggia in una locanda nella contrada di
Frezzeria, facendovi stampare il suo primo saggio, “De' segni de' tempi”, per
metter insieme un pocco de danari per potermi sustentar; la qual opera feci
veder prima al reverendo padre maestro Fiorenza, domenicano del convento dei
Santi Giovanni e Paolo. Ma a Venezia e in corso un'epidemia di peste che
ha fatto decine di migliaia di vittime, anche illustri, come Tiziano, così va a
Padova dove, dietro consiglio di alcuni domenicani, riprende il saio, quindi se
ne va a Brescia, dove si ferma nel convento domenicano. Qui un monaco, profeta,
gran teologo e poliglotta, sospettato di stregoneria per essersi messo a
profetizzare, viene da lui guarito, ritornando a essere - scrive ironicamente -
il solito asino. IDa Bergamo decide di andare in Francia: passa per Milano e
Torino, ed entra in Savoia passando l'inverno nel convento domenicano di
Chambéry. Successivamente, è a Ginevra,
città dov'è presente una numerosa colonia di italiani riformati. B. depone
nuovamente il saio e si veste di cappa, cappello e spada, aderisce al
calvinismo e trova lavoro come correttore di bozze, grazie all'interessamento del
marchese Caracciolo il quale, transfuga dall'Italia vi aveva fondato la comunità evangelica
italiana. S'iscrive allo studio di Ginevra come Filippo B. nolano,
professore di teologia sacra. Accusa il professore di filosofia Faye di essere
un cattivo insegnante e definisce pedagoghi i pastori calvinisti. È probabile
che volesse farsi notare, dimostrare l'eccellenza della sua preparazione
filosofica e delle sue capacità didattiche per ottenere un incarico
d'insegnante, costante ambizione di tutta la sua vita. Anche la sua adesione al
calvinismo e mirata a questo scopo. E in realtà indifferente a tutte le
confessioni religiose. Nella misura in cui l'adesione a una religione storica
non pregiudicasse le sue convinzioni filosofiche e la libertà di professarle, sarebbe
stato cattolico in Italia, calvinista in Svizzera, anglicano in Inghilterra e
luterano in Germania. Arrestato per diffamazione, viene processato e scomunicato.
Costretto a ritrattare. Lscia allora Ginevra e si trasferisce brevemente a
Lione per passare a Tolosa, città cattolica, sede di un'importante studio, dove
occupa il posto di lettore, insegnandovi, come Grice, il “De anima”, di
Aristotele e componendo un trattato di arte della memoria: la Clavis magna, che
si rifarebbe all'Ars magna. A Tolosa conosce il filosofo scettico Sanches, che
volle dedicargli il suo libro “Quod nihil scitur”, chiamandolo filosofo
acutissimo. Ma non ricambia la stima, se
scrisse di lui di considerare stupefacente che questo asino si dia il titolo di
dottore. A causa della guerra di religione fra cattolici e ugonotti, lascia
Tolosa per Parigi, dove tiene un corso di lezioni sugli attributi di Dio
secondo Aquino. E in seguito al successo di queste lezioni, come egli stesso
racconta agli inquisitori, acquistai nome tale che il re Enrico terzo mi fece
chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria che ho e che professo, e naturale
o pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e
feci provare a lui medesmo, conosce che non era per arte magica ma per
scienzia. E doppo questo fa stampar un libro de memoria, sotto titolo “De
umbris idearum”, il qual dedica a Sua Maestà; e con questa occasione si fa
lettor straordinario e provvisionato. Appoggiando fattivamente l'operato
politico di Enrico III di Valois, a Parigi sarebbe rimasto poco meno di due
anni, occupato nella prestigiosa posizione di lecteur royal. È a Parigi che dà
alle stampe le sue prime opere pervenuteci. Oltre al “De compendiosa architectura
et complemento artis Lullii” vedono la luce il “De umbris idearum” (“Le ombre
delle idee”) e l'Ars memoriae ("L'arte della memoria"), seguiti dal “Cantus
Circaeus”, “Il canto di Circe”, e dalla
commedia in volgare intitolata “Candelaio” (Il sodomita). Nella suai intenzioni, il saggio di argomento
mnemotecnico, è distinto così in una parte di carattere teorico e in una di
carattere pratico. Per lui l'universo è un corpo unico, organicamente
formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette
con tutte le altre. Fondamento di quest'ordine sono le idee, principi eterni e
immutabili presenti totalmente e simultaneamente nella mente divina, ma queste
idee vengono "ombrate" e si separano nell'atto di volerle intendere.
Nel cosmo ogni singolo ente è dunque imitazione, immagine -- "ombra" --
della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in sé stessa la struttura
dell'universo, la mente umana, che ha in sé non le idee ma le ombre delle idee
(Shakespeare, l’ombra dell’ombra), può raggiungere la vera conoscenza, ossia la
idea e il nesso che connetta ogni cosa con ogni altre, al di là della
molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Si tratta
allora di cercare di ottenere un metodo conoscitivo che colga la complessità
del reale, fino alla struttura ideale che sostiene il tutto. Tale mezzo
si fonda sull'arte della memoria, il cui compito è di evitare la confusione
generata dalla molteplicità delle immagini e di connettere la immagine della
cosa con il concetto, rappresentando simbolicamente tutto il reale. Nel
pensiero del filosofo, l'arte della memoria opera nel medesimo mondo dell’ombre
delle idea, presentandosi come emulatrice della natura. Se dall’idea prende
forma la cosa del mondo in quanto la idea contiene l’immagine di ogni cosa, e
ai nostri sensi la cosa si manifestano come ombra di quella, allora tramite
l'immaginazione stessa e possibile ripercorrere il cammino inverso, risalire
cioè dall’ombra alle idea, dall'uomo a Dio: l'arte della memoria non è più un ausilio
della retorica, ma un mezzo per ri-creare il mondo (cf. Grice metaphysical
routine: creation of concept, recreation of concept, creation of thing). È
dunque un processo visionario e non un metodo razionale quello che propone. A
similitudine di ogni altra arte, quella della memoria ha bisogno di un sostrato
(i subiecta), cioè "spazi" dell'immaginazione atti ad accogliere il
simbolo adatti (gl’ “adiecta”) tramite uno strumento opportuno. Con questi
presupposti, lcostruisce un “sistema” (cf. Grice, Gentzen), che associa a ogni
segno una immagine proprie della mitologia, in modo da rendere possibile la
codifica di segno e concetto secondo una particolare successione di immagini.
Il segno puo essere visualizzato su un diagramma circolare, o "ruote
mnemoniche", che girando e innestandosi l'una dentro l'altra, fornisce un
strumento via via più potenti. “Il canto di Circe” è composta da due dialoghi.
Protagonista del primo è la maga Circe che risentita dal constatare che l’uomo
si comporta come un animale inferiore, opera un incantesimo trasformando l’uomo
in bestia, mettendo così in luce la loro autentica natura. Nel secondo dialogo,
dando voce a uno dei due protagonisti, Borista, riprende l'arte della memoria
mostrando come memorizzare il dialogo precedente. Al testo si fa corrispondere
uno scenario che viene via via suddiviso in un maggior numero di spazi e i vari
oggetti lì contenuti sono ogni immagine relativa a ogni concetto espresso nello
scritto. Il Cantus resta dunque un trattato di mnemotecnica nel quale però il
filosofo già lascia intravedere una tematica morale che e ampiamente riprese in
opere successive, soprattutto nello “Spaccio de la bestia trionfante” e ne “De
gli eroici furori”. Ancora pubblica infine il Candelaio, una commedia in cinque
atti in cui alla complessità del linguaggio, un italiano popolaresco che
inserisce termini in latino, toscano e napoletano, corrisponde l'eccentricità
della trama, fondata su tre storie parallele. Esterno della chiesa di
Santa Maria Assunta dei Pignatelli, in Largo Corpo di Napoli, presso il Seggio
del Nilo, dove B. ambienta il suo Candelaio. Il nome “Candelaio” deriva dalla
statua del dio Nilo. La commedia è ambientata nella Napoli-metropoli del
secondo Cinquecento, in posti che il filosofo ben conosce per avervi
soggiornato durante il suo noviziato. Il candelaio (sodomita) Bonifacio, pur
sposato con la bella Carubina, corteggia la signora Vittoria ricorrendo a
pratiche magiche. L’avido alchimista Bartolomeo si ostina a voler trasformare i
metalli in oro. Il grammatico Manfurio si esprime in un linguaggio
incomprensibile (deutero-Esperanto). In queste tre storie si inserisce quella
del pittore Gioan Bernardo, voce di lui stesso che con una corte di servi e
malfattori si fa beffe di tutti e conquista Carubina. In questo classico
della letteratura italiana, appare un mondo assurdo, violento e corrotto,
rappresentato con amara comicità, dove gli eventi si succedono in una
trasformazione continua e vivace. La commedia è una feroce condanna della
stupidità, dell'avarizia e della pedanteria. Interessante nell'opera la
descrizione che lui fa di sé stesso. L'autore, si voi lo conoscete, direste
ch'ave una fisionomia smarrita: par che sii in contemplazione delle pene
dell'inferno, par sii stato alla pressa come le barrette: un che ride sol per
far come fan gli altri: per il più lo vedrete fastidito e bizzarro, non si
contenta di nulla, ritroso come un uomo d'ottant'anni, fantastico com'un cane
ch'ha ricevute mille spellicciate, pasciuto di cipolla. Intende venire in
Inghilterra il dottor B., Nolano, professore di filosofia, la cui religione non
posso approvare. Dalla lettera dell'ambasciatore inglese a Parigi Cobham a Walsingham.
Lascia Parigi e parte per l'Inghilterra dove, a Londra, è ospitato dall'ambasciatore
di Francia Castelnau, che gli affianca il letterato Florio in quanto lui non
conosce l'inglese, accompagnandolo fino al termine del suo soggiorno inglese.
Nelle deposizioni lasciate agli inquisitori veneti egli sorvola sulle
motivazioni di questa partenza, riferendosi genericamente ai disordini là in
corso per questioni religiose. Sulla partenza da Parigi restano però aperte
altre ipotesi: che Bruno fosse partito in missione segreta per conto di Enrico
III; che il clima a Parigi si fosse fatto pericoloso a causa dei suoi
insegnamenti. Bisogna aggiungere anche il fatto che davanti agli inquisitori
veneziani, qualche anno più avanti, esprimer parole di apprezzamento per la
regina d'Inghilterra Elisabetta che egli aveva conosciuto andando spesso a
corte con l'ambasciatore. -- è a Oxford, e alla St. Mary sostenne con uno di
quei professori una disputa pubblica. Tornato a Londra, vi pubblica l'”Ars
reminiscendi”, l' “Explicatio triginta sigillorum” e il “Sigillus sigillorum”
nel quale insere una lettera indirizzata al vice cancelliere di Oxford,
scrivendo che là trovea dispostissimo e prontissimo un uomo col quale saggiare la
misura della propria forza. È una richiesta di poter insegnare nella
prestigiosa università. La proposta viene accolta. Parte per Oxford. Il “Sigillus
sigillorum” e considerato di argomento mnemotecnico. Il sigillus e è una
concisa trattazione teorica nella quale il filosofo introduce tematiche
decisive nel suo pensiero, quali l'unità dei processi cognitivi; l'amore come
legame universale; l'unicità e infinità di una forma universale che si esplica
nelle infinite figure della materia, e il furore nel senso di slancio verso il
divino, argomenti che saranno di lì a poco sviluppati a fondo nei successivi
dialoghi italiani. È presentato inoltre in quest'opera fondamentale un altro
dei temi nucleari di sua filosofia: la magia come guida e strumento di
conoscenza e azione, argomento che egli amplierà nelle cosiddette opere
magiche. A Oxford tiene alcune lezioni sulle teorie copernicane, ma il
suo soggiorno presso quella città dura ben poco. A Oxford non gradirono quelle
novità, come testimonia Abbot, che fu presente alle lezioni di B.. Quell'omiciattolo
italiano intraprese il tentativo, tra moltissime altre cose, di far stare in
piedi l'opinione di Copernico, per cui la terra gira e i cieli stanno fermi;
mentre in realtà era la sua testa che girava e il suo cervello che non stava
fermo. Le lezioni furono quindi interrotte, ufficialmente per un'accusa di
plagio al “De vita coelitus comparanda” di Ficino. Sono anni questi difficili e
amari per il filosofo, come traspare dal tono delle introduzioni alle opere
immediatamente successive, i dialoghi londinesi: le polemiche accese e i
rifiuti sono vissuti lui come una persecuzione, ingiusti oltraggi, e certo la
fama che già lo aveva preceduto da Parigi non lo aiuta. Ritornato a Londra, nonostante
il clima avverso, pubblica presso John Charlewood sei saggi fra le più
importanti della sua produzione: sei opere filosofiche in forma dialogica, i
cosiddetti "dialoghi londinesi", o anche "dialoghi
italiani", perché tutti in lingua italiana: “La cena de le ceneri”; “De la
causa, principio et uno”; “De l'infinito, universo e mondi”; “Spaccio de la
bestia trionfante”; “Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino
cillenico”; “De gli eroici furori”. “La cena de le ceneri” dedicata a Castelnau,
presso il quale era ospite, è divisa in cinque dialoghi, i protagonisti sono quattro
e fra questi Teofilo può considerarsi il portavoce dell'autore. Immagina che il
nobile sir Fulke Greville, il giorno delle ceneri, inviti a cena Teofilo, lui stesso,
Florio, precettore della figlia dell'ambasciatore, un cavaliere e due
accademici luterani di Oxford: i dottori Torquato e Nundinio. Rispondendo alle
domande degli altri protagonisti, Teofilo racconta gli eventi che hanno portato
all'incontro e lo svolgersi della conversazione avvenuta durante la cena,
esponendo così le teorie del nolano. B. elogia e difende la teoria di Copernico
contro gli attacchi dei conservatori e contro chi, come Osiander, che aveva
scritto una prefazione denigratoria al De revolutionibus orbium coelestium,
considera solo un'ipotesi ingegnosa quella dell'astronomo. Il mondo di
Copernico, però, era ancora finito e delimitato dalla sfera delle stelle fisse.
Nella Cena, non si limita a sostenere il moto della Terra di seguito alla
confutazione della cosmologia tolemaica; egli presenta altresì un universo
infinito: senza centro né confini. Afferma Teofilo (portavoce dell'autore)
riguardo all'universo che sappiamo certo che essendo effetto e principiato da
una causa infinita e principio infinito, deve secondo la capacità sua corporale
e modo suo essere infinitamente infinito. Non è possibile giamai di trovar
raggione semiprobabile per la quale sia margine di questo universo corporale; e
per conseguenza ancora li astri che nel suo spacio si contengono, siino di
numero finito; et oltre essere naturalmente determinato cento e mezzo di
quello». L'universo, che procede da Dio quale Causa infinita, è infinito a sua
volta e contiene mondi innumerabili. Per B. sono principi vani sostenere
l'esistenza del firmamento con le sue stelle fisse, la finitezza dell'universo
e che in questo esista un centro dove ora dovrebbe trovarsi immobile il Sole
come prima vi si immaginava ferma la Terra. Formula esempi che appaiono ad
alcuni autori come antesignani del principio di relatività galileiana. Seguendo
la Docta ignorantia del cardinale e umanista Cusano, sostiene l'infinità
dell'universo in quanto effetto di una causa infinita. -- e ovviamente
consapevole che le Scritture sostengono tutt'altro – finitezza dell'universo e
centralità della Terra – ma, risponde: «Se gli dei si fossero degnati di
insegnarci la teorica delle cose della natura, come ne han fatto favore di
proporci la pratica di cose morali, io più tosto mi accosterei alla fede de le
loro rivelazioni, che muovermi punto della certezza de mie raggioni e proprii
sentimenti. Come occorre distinguere tra dottrine morali e filosofia naturale,
così occorre distinguere tra teologi e filosofi: ai primi spettano le questioni
morali, ai secondi la ricerca della verità. Dunque B. traccia qui un confine
abbastanza netto fra opere di filosofia naturale e Sacre scritture. I
cinque dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i principi
della realtà naturale. Lascia da parte l'aspetto teologico della conoscenza di
Dio, del quale, come causa della natura, non possiamo conoscere nulla
attraverso il «lume naturale», perché esso «ascende sopra la natura» e si può
pertanto aspirare a conoscere Dio solo per fede. Ciò che interessa a B. è
invece la filosofia e la contemplazione della natura, la conoscenza della
realtà naturale nella quale, come già aveva scritto nel De umbris, possiamo
soltanto cogliere le «ombre», il divino «per modo di vestigio. La costellazione
di Orione Riallacciandosi ad antiche tradizioni di pensiero, B. elabora una
concezione animistica della materia, nella quale l'anima del mondo viene a
identificarsi con la sua forma universale, e la cui prima e principale facoltà
è l'intelletto universale. L'intelletto è il «principio formale costitutivo de
l'universo e di ciò che in quello si contiene» e la forma non è altro che il
principio vitale, l'anima delle cose le quali, proprio perché tutte dotate di
anima, non hanno imperfezione. La materia, d'altro canto, non è in sé
stessa indifferenziata, un "nulla", come hanno sostenuto molti
filosofi, una bruta potenza, senza atto e senza perfezione, come direbbe
Aristotele. La materia è allora il secondo principio della natura, della
quale ogni cosa è formata. Essa è «potenza d'esser fatto, prodotto e creato»,
aspetto equivalente al principio formale che è potenza attiva, «potenza di
fare, di produrre, di creare» e non può esserci l'un principio senza l'altro.
Ponendosi quindi in contrasto col dualismo aristotelico, Bruno conclude che
principio formale e principio materiale benché distinti non possono essere
ritenuti separati, perché «il tutto secondo la sostanza è uno».
Discendono da queste considerazioni due elementi fondamentali della filosofia
bruniana: uno, tutta la materia è vita e la vita è nella materia, materia
infinita; due, Dio non può essere al di fuori della materia semplicemente
perché non esiste un "esterno" della materia: Dio è dentro la
materia, dentro di noi. Nel “De l'infinito, universo e mondi” riprende e
arricchisce temi già affrontati nei dialoghi precedenti: la necessità di un
accordo tra filosofi e teologi, perché «la fede si richiede per l'istituzione
di rozzi popoli che denno esser governati»; l'infinità dell'universo e
l'esistenza di mondi infiniti; la mancanza di un centro in un universo infinito,
che comporta un'ulteriore conseguenza: la scomparsa dell'antico, ipotizzato
ordine gerarchico, la «vanissima fantasia» che riteneva che al centro vi fosse
il «corpo più denso e crasso» e si ascendesse ai corpi più fini e divini. La
concezione aristotelica è difesa ancora da quei dottori (i pedanti) che hanno
fede nella «fama de gli autori che gli son stati messi nelle mani», ma i
filosofi moderni, che non hanno interesse a dipendere da quello che dicono gli
altri e pensano con la loro testa, si sbarazzano di queste anticaglie e con
passo più sicuro procedono verso la verità. Chiaramente un universo
eterno, infinitamente esteso, composto di un numero infinito di sistemi solari
simili al nostro e sprovvisto di centro sottrae alla Terra, e di conseguenza all'uomo,
quel ruolo privilegiato che Terra e uomo hanno nelle religioni
giudaico-cristiane all'interno del modello della creazione, creazione che agli
occhi del filosofo non ha più senso, perché come già aveva concluso nei due
dialoghi precedenti, l'universo è assimilabile a un organismo vivente, dove la
vita è insita in una materia infinita che perennemente muta. Il
copernicanesimo, per B, rappresenta la "vera" concezione
dell'universo, meglio, l'effettiva descrizione dei moti celesti. Nel Dialogo
primo del De l'infinito, universo e mondi, il nolano spiega che l'universo è
infinito perché tale è la sua Causa che coincide con Dio. Filoteo, portavoce
dell'autore, afferma: «Qual raggione vuole che vogliamo credere che l'agente
che può fare un buono infinito lo fa finito? e se lo fa finito, perché doviamo
noi credere che possa farlo infinito, essendo in lui il possere et il fare
tutto uno? Perché è inmutabile, non ha contingenzia nell'operazione, né nella
efficacia, ma da determinata e certa efficacia depende determinato e certo
effetto inmutabilmente: onde non può essere altro che quello che è; non può
essere tale quale non è; non può posser altro che quel che può; non può voler
altro che quel che vuole; e necessariamente non può far altro che quel che fa:
atteso che l'aver potenza distinta da l'atto conviene solamente a cose
mutabili». Essendo Dio infinitamente potente, dunque, il suo atto esplicativo
deve esserlo altrettanto. In Dio coincidono libertà e necessità, volontà e
potenza (o capacità); di conseguenza, non è credibile che all'atto della
creazione Egli abbia posto un limite a sé stesso. Bisogna tener presente
che B. opera una netta distinzione tra l'universo e i mondi. Parlare di un
sistema del mondo non vuol dire, nella sua visione del cosmo, parlare di un
sistema dell'universo. L'astronomia è legittima e possibile come scienza del
mondo che cade nell'ambito della nostra percezione sensibile. Ma, al di là di
esso, si estende un universo infinito che contiene quei grandi animali che
chiamiamo astri, che racchiude una pluralità infinita di mondi. Quell'universo
non ha dimensioni né misura, non ha forma né figura. Di esso, che è insieme
uniforme e senza forma, che non è né armonico né ordinato, non può in alcun
modo darsi un sistema. Quando aviene che un poltrone o forfante monta ad esser
principe o ricco, non è per mia colpa, ma per iniquità di voi altri che, per
esser scarsi del lume e splendor vostro, non lo sforfantaste o spoltronaste
prima, o non lo spoltronate e sforfantate al presente, o almeno appresso lo
vegnate a purgar della forfantesca poltronaria, a fine che un tale non
presieda. Non è errore che sia fatto un prencipe, ma che sia fatto prencipe un
forfante.» (Spaccio de la bestia trionfante, Fortuna (Sofia): dialogo II,
parte II) Opera allegorica, lo Spaccio, costituito da tre dialoghi di argomento
morale, si presta a essere interpretato su diversi livelli, tra i quali resta
fondamentale quello dell'intento polemico di Bruno contro la Riforma
protestante, che agli occhi del nolano rappresenta il punto più basso di un
ciclo di decadenza iniziato col cristianesimo. Decadenza non soltanto
religiosa, ma anche civile e filosofica: se B. aveva concluso nei precedenti
dialoghi che la fede è necessaria per il governo dei «rozzi popoli» cercando di
delimitare così i rispettivi campi d'azione di filosofia e religione, qui egli
riapre quel confine. Nella visione di B., il legame fra l'uomo e il
mondo, mondo naturale e mondo civile, è quello fra l'uomo e un Dio che non sta
"nell'alto dei cieli", ma nel mondo, perché la «natura non è altro
che dio nelle cose». Il filosofo, colui che cerca la Verità, deve pertanto
necessariamente operare là dove sono situate le «ombre» del divino. L'uomo non
può fare a meno di interagire con Dio, secondo il linguaggio di una
comunicazione che nel mondo naturale vede l'uomo perseguire la Conoscenza, e
nel mondo civile l'uomo seguire la Legge. Questo legame è proprio quello che
nella storia è stato interrotto, e il mondo tutto è decaduto perché è decaduta
la religione trascinando con sé e la legge e la filosofia, «di sorte che non
siamo più dèi, non siamo più noi. Nello Spaccio, dunque, etica, ontologia e
religione sono strettamente interconnessi. Religione, e questo va evidenziato,
che B. intende come religione civile e naturale, e il modello cui egli si
ispira è quello degli antichi Egizi e Romani, che «non adoravano Giove, come
lui fusse la divinità, ma adoravano la divinità come fusse in Giove. Per
ristabilire il legame col divino occorre però che «prima togliamo dalle nostre
spalli la grieve somma d'errori che ne trattiene.» È lo "spaccio",
cioè l'espulsione di ciò che ha deteriorato quel legame: le "bestie
trionfanti". Le bestie trionfanti sono immaginate nelle
costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre
"spacciarle", cioè cacciarle dal cielo in quanto rappresentanti vizi
che è tempo di sostituire con altre virtù: via dunque la Falsità, l'Ipocrisia,
la Malizia, la «stolta fede», la Stupidità, la Fierezza, la Fiacchezza, la Viltà,
l'Ozio, l'Avarizia, l'Invidia, l'Impostura, l'Adulazione e via elencando. Occorre
tornare alla semplicità, alla verità e all'operosità, ribaltando le concezioni
morali che si sono ormai imposte nel mondo, secondo le quali le opere e gli
affetti eroici sono privi di valore, dove credere senza riflettere è sapienza,
dove le imposture umane sono fatte passare per consigli divini, la perversione
della legge naturale è considerata pietà religiosa, studiare è follia, l'onore
è posto nelle ricchezze, la dignità nell'eleganza, la prudenza nella malizia,
l'accortezza nel tradimento, il saper vivere nella finzione, la giustizia nella
tirannia, il giudizio nella violenza. Responsabile di questa crisi è il
cristianesimo: già Paolo aveva operato il rovesciamento dei valori naturali e
ora Lutero, «macchia del mondo», ha chiuso il ciclo: la ruota della storia,
della vicissitudine del mondo, essendo giunta al suo punto più basso, può
operare un nuovo e positivo rovesciamento dei valori. Nella nuova
gerarchia di valori il primo posto spetta alla Verità, necessaria guida per non
errare. A questa segue la Prudenza, la caratteristica del saggio che,
conosciuta la verità, ne trae le conseguenze con un comportamento adeguato. Al
terzo posto B. inserisce la Sofia, la ricerca della verità; quindi segue la
Legge, che disciplina il comportamento civile dell'uomo; infine il Giudizio,
inteso come aspetto attuatorio della legge. B. fa quindi discendere la Legge
dalla Sapienza, in una visione razionalista nel cui centro c'è l'uomo che opera
cercando la Verità, in netto contrasto col cristianesimo di Paolo, che vede la
legge subordinata alla liberazione dal peccato, e con la Riforma di Lutero, che
vede nella "sola fede" il faro dell'uomo. Per B. la "gloria di
Dio" si rovescia così in «vana gloria» e il patto fra Dio e gli uomini
stabilito nel Nuovo Testamento si rivela «madre di tutte le forfanterie». La
religione deve tornare a essere "religione civile": legame che
favorisca la «communione de gli uomini», la civile conversazione. Altri
valori seguono i primi cinque: la Fortezza (la forza dell'animo), la Diligenza,
la Filantropia, la Magnanimità, la Semplicità, l'Entusiasmo, lo Studio,
l'Operosità, eccetera. E allora vedremo, conclude beffardo B., «quanto siano
atti a guadagnarsi un palmo di terra questi che sono cossí effuse e prodighi a
donar regni de' cieli». È questa evidentemente un'etica che richiama i
valori tradizionali dell'Umanesimo, cui B. non ha mai dato molta importanza; ma
questo schema rigido è in realtà la premessa per le indicazioni di
comportamento che B. prospetta nell'opera di poco successiva, De gli eroici
furori. Cabala del cavallo pegaseo con l'aggiunta dell'Asino cillenico. «Li
nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere
non altrimente che come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o
degli dei, o dei vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra
legge che di que' medesimi. (Cabala del Cavallo Pegaseo, Saulino: dialogo I) La
Cabala del cavallo pegaseo viene pubblicata insieme a l'Asino cillenico in
unico testo. Il titolo allude a P., il cavallo alato della mitologia greca nato
dal sangue di Medusa decapitata da Perseo. Al termine delle sue imprese, Pegaso
volò nel cielo trasformandosi in costellazione, una delle 48 elencate da
Tolomeo nel suo Almagesto: la costellazione di Pegaso. Cabala si riferisce a
una tradizione mistica originatasi in seno all'ebraismo. Calcografia raffigurante
le stelle della costellazione di Pegaso che delineano la figura del cavallo
mitologico Pegaso L'opera, percorsa da una chiara vena comica, può essere letta
come un divertissement, opera d'intrattenimento senza pretese; oppure
interpretata in chiave allegorica, opera satirica, atto di accusa. Il cavallo
nel cielo sarebbe allora un asino idealizzato, figura celeste che rimanda
all'asinità umana: all'ignoranza, quella dei cabalisti, ma anche quella dei
religiosi in generale. I continui riferimenti ai testi sacri si rivelano
ambigui, perché da un lato suggeriscono interpretazioni, dall'altro confondono
il lettore. Uno dei filoni interpretativi, legato al lavoro critico svolto da
Vincenzo Spampanato, ha individuato nel cristianesimo delle origini e in Paolo
di Tarso il bersaglio polemico di B.. De gli eroici furori. De gli eroici
furori. Nei dieci dialoghi che compongono “De gli eroici furori” a Londra, individua
tre specie di passioni umane: quella per la vita speculativa, volta alla
conoscenza; quella per la vita pratica e attiva, e quella per la vita oziosa.
Le due ultime tendenze rivelano una passione di poco valore, un furore bass. Il
desiderio di una vita volta alla contemplazione, cioè alla ricerca della verità,
è invece espressione di un furore eroico, con il quale l'anima, rapita sopra
l'orizzonte de gli affetti naturali vinta da gli alti pensieri, come morta al corpo,
aspira ad alto. Non si giunge a tale effetto con la preghiera, con atteggiamenti
devozionali, con aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani, ma, al
contrario, con il venir al più intimo di sé, considerando che Dio è vicino, con
sé e dentro di sé più ch'egli medesmo esser non si possa, come quello che è
anima delle anime, vita delle vite, essenza de le essenze». Una ricerca che assimila
a una caccia, non la comune caccia ove il cacciatore ricerca e cattura le
prede, ma quella in cui il cacciatore diviene egli stesso preda, come Atteone
che nel mito ripreso da lui, avendo visto la bellezza di Diana, si trasforma in
cervo ed è fatto preda dei cani, i pensieri de cose divine, che lo divorano facendolo
morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de li perturbati sensi, di
sorte che tutto vede come uno, non vede più distinzioni e numeri. La conoscenza
della natura è lo scopo della scienza e quello più alto della nostra vita
stessa, che da questa scelta viene trasformata in un furore eroico assimiliandoci
alla perenne e tormentata vicissitudine in cui si esprime il principio che
anima tutto l'universo. Il filosofo ci dice che per conoscere veramente l'oggetto
della nostra ricerca, Diana ignuda, non dobbiamo essere virtuosi (virtù come
medietà tra gli estremi) ma dobbiamo essere pazzi, furiosi, solo così potremmo
arrivare a capire l'oggetto del nostro studio (Atteone trasformato in cervo). La
ricerca e l'essere fuoriosi, non sono una virtù ma un vizio. Il dialogo è
inoltre un prosimetro, come La vita nuova di Dante, un insieme di prosa e di
poesia (distici, sonetti e una canzone finale). Il precedente periodo oxoniense
inglese è da considerarsi il più creativo di B., periodo nel quale ha prodotto
il maggior numero di opere fino a quando l'ambasciatore Castelnau essendo
richiamato in Francia lo induce a imbarcarsi con lui; ma la nave verrà assalita
dai pirati, che derubano i passeggeri d'ogni avere. A Parigi B. abita
vicino al Collège de Cambrai, e ogni tanto va a prendere in prestito qualche
libro nella biblioteca di Saint-Victor, nella collina di Sainte-Geneviève, il
cui bibliotecario, il monaco Cotin, ha l'abitudine di annotare giornalmente
quanto avveniva nella biblioteca. Entrato in qualche confidenza col filosofo,
da lui sappiamo che B. stava per pubblicare un'opera, l'Arbor philosophorum,
che non ci è pervenuta, e che aveva lasciato l'Italia per «evitare le calunnie
degli inquisitori, che sono ignoranti e che, non concependo la sua filosofia,
lo accuserebbero di eresia». Il monaco annota tra l'altro che era ammiratore
d’Aquino, che disprezzava le sottigliezze degli scolastici, dei sacramenti e
anche dell'eucaristia, ignote a Pietro e a
Paolo, i quali non seppero altro che hoc est corpus meum. Dice che i
torbidi religiosi sarebbero facilmente tolti di mezzo, se fossero spazzate tali
questioni e confida che questa sarà presto la fine della contesa. L'anno
successive pubblica, dedicata a Piero Del Bene, abate di Belleville e membro
della corte francese, la Figuratio Aristotelici physici auditus, un'esposizione
della fisica aristotelica. Conosce il salernitano Mordente, che due anni prima aveva pubblicato
Il Compasso, illustrazione dell'invenzione di un compasso di nuova concezione
e, poiché egli non sa il latino, che ha apprezzato la sua invenzione, pubblica
i “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione ad
perfectam cosmimetriae praxim”, dove elogia l'inventore ma gli rimprovera di
non aver compreso tutta la portata della sua invenzione, che dimostrava
l'impossibilità di una divisione infinita delle lunghezze. Offeso da questi
rilievi, il Mordente protestò violentemente, sicché B. finì col replicare con
le feroci satire dell'“Idiota triumphans seu de Mordentio inter geometras Deo
dialogus” e del “Dialogus qui de somnii interpretatione seu geometrica sylva inscribitur. Fa
stampare col nome di Hennequin l'opuscolo antiaristotelico “Centum et viginti
articuli de natura et mundo adversus peripateticos”, partecipando alla
successiva pubblica disputa nel Collège de Cambrai, ribadendo le sue critiche alla
filosofia aristotelica. Contro tali critiche si levò un giovane avvocato
parigino, Callier, che replica con violenza chiamando il filosofo Giordano
"Bruto". Sembra che l'intervento del Callier abbia ricevuto l'appoggio
di quasi tutti gli intervenuti e che si sia scatenato un putiferio di fronte al
quale il filosofo preferì, una volta tanto, allontanarsi, ma le reazioni
negative provocate dal suo intervento contro la filosofia aristotelica, allora
ancora in grande auge alla Sorbona, unitamente alla crisi politica e religiosa
in corso in Francia e alla mancanza di appoggi a corte, lo indussero a lasciare
nuovamente il suolo francese. In Germania La Piazza del Mercato di
Wittenberg Raggiunta in giugno la Germania, B. soggiorna brevemente a Magonza e
a Wiesbaden, passando poi a Marburg, nella cui Università risulta immatricolato
come Theologiae doctor romanensis. Ma non trovando possibilità di insegnamento,
probabilmente per le sue posizioni antiaristoteliche, s'immatricola a Wittenberg
come Doctor italicus, insegnandovi per due anni, due anni che il filosofo
trascorre in tranquilla operosità. “uomo di nessun nome e autorità fra voi,
sfuggito ai tumulti di Francia, non appoggiato da alcuna raccomandazione
principesca, mi avete ritenuto meritevole di cordialissima accoglienza, mi
avete incluso nell'albo della vostra accademia, mi avete accolto in un consesso
di uomini tanto nobili e dotti, da sembrare ai miei occhi non una scuola
privata o una conventicola esoterica, bensì, come si conviene all'Atene
tedesca, una vera università.» (Dedica del De lampade combinatoria). Pubblica
il De lampade combinatoria lulliana, un commento dell'Ars magna e il “De
progressu et lampade venatoria logicorum”, commento ai Topica di Aristotele. Altri
commenti a opere aristoteliche sono i suoi “Libri physicorum Aristotelis explanati”.
Pubblica ancora, a Wittenberg, il “Camoeracensis Acrotismus”, una riedizione di
“Centum et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos”. Un suo corso privato sulla Retorica sarà
invece pubblicato col titolo di “Artificium perorandi” (l’arte della
conversazione). Anche le “Animadversiones circa lampadem” e la “Lampas triginta
statuarum” verranno pubblicate. Nel saggio della Yates si fa cenno al fatto che
il Mocenigo aveva riferito all'Inquisizione veneziana l'intenzione di B.,
durante il suo periodo tedesco, di creare una nuova setta. Mentre altri
accusatori (il Mocenigo negherà questa affermazione) sostenevano che egli
avrebbe voluto chiamare la nuova setta dei Giordaniti e che essa avrebbe
attirato molto i luterani tedeschi. L'autrice inoltre si pone la domanda se in
questa setta vi fossero stati dei rapporti con i Rosacroce dato che in Germania
emersero all'inizio del XVII secolo presso i circoli luterani. Il nuovo duca
Cristiano I, succeduto al padre morto, decide di rovesciare l'indirizzo degli
insegnamenti universitari che privilegiavano le dottrine del filosofo
calvinista Pietro Ramo a svantaggio delle classiche teorie aristoteliche.
Dovette essere questa svolta a spingere B. a lasciare Wittenberg, non senza la
lettura di una “Oratio valedictoria”, un saluto che è un ringraziamento per
l'ottima accoglienza della quale era stato gratificato: «Sebbene fossi di
nazione forestiero, esule, fuggiasco, zimbello della fortuna, piccolo di corpo,
scarso di beni, privo di favore, premuto dall'odio della folla, quindi
sprezzabile agli stolti e a quegli ignobilissimi che non riconoscono nobiltà se
non dove splende l'oro, tinnisce l'argento, e il favore di persone loro simili
tripudia e applaude, tuttavia voi, dottissimi, gravissimi e morigeratissimi
senatori, non mi disprezzaste, e lo studio mio, non del tutto alieno dallo
studio di tutti i dotti della vostra nazione, non lo riprovaste permettendo che
fosse violata la libertà filosofica e macchiato il concetto della vostra
insigne umanità.» (citato in Opere di B. e CAMPANELLA (si veda)). Ne fu
ricambiato dall'affetto degli allievi, come Hieronymus Besler e Valtin
Havenkenthal, il quale, nel suo saluto, lo chiama «Essere sublime, oggetto di
meraviglia per tutti, dinanzi a cui stupisce la natura stessa, superata
dall'opera sua, fiore d'Ausonia, Titano della splendida Nola, decoro e delizia
dell'uno e l'altro cielo». A Praga e a Helmstedt I sigilli di B.
Amoris I sigilli di B. sono delle incisioni realizzate dallo stesso
e pubblicate all'interno delle sue opere a partire dal periodo praghese. Esse
rappresentano figure geometriche sovrapposte ma anche veri e propri disegni con
presunte decorazioni e lettere. A parte il titolo dei sigilli non abbiamo
alcuna spiegazione in merito al loro significato o al loro reale utilizzo. Fino
a oggi sono state fatte molto congetture dai vari studiosi senza giungere a
nessuna conclusione definitiva. Giunge a Praga, in quegli anni sede del
Sacro Romano Impero, città dove rimane sei mesi. Qui pubblica, in unico testo,
il De lulliano specierum scrutinio e il De lampade combinatoria Lullii,
dedicato all'ambasciatore spagnolo presso la corte imperiale, don Guillem de Santcliment
(il quale vantava Lullo fra i suoi antenati), mentre all'imperatore Rodolfo II,
mecenate e appassionato di alchimia e astrologia, dedica gli Articuli centum et
sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, che
trattano di geometria, e nella dedica rileva come per guarire i mali del mondo
sia necessaria la tolleranza, sia in campo strettamente religioso – «È questa
la religione che io osservo, sia per una convinzione intima sia per la
consuetudine vigente nella mia patria e tra la mia gente: una religione che
esclude ogni disputa e non fomenta alcuna controversia» – sia in quello
filosofico, campo che deve rimanere libero da autorità precostituite e da
tradizioni elevate a prescrizioni normative. Quanto a lui, «alle libere are della
filosofia cercai riparo dai flutti fortunosi, desiderando la sola compagnia di
coloro che comandano non di chiudere gli occhi, ma di aprirli. A me non piace
dissimulare la verità che vedo, né ho timore di professarla apertamente»
Ricompensato con trecento talleri dall'imperatore, in autunno B., che sperava
di essere accolto a corte, decide di lasciare Praga e, dopo una breve tappa a
Tubinga, giunge a Helmstedt, nella cui Università, chiamata Academia Julia, si
registra. Una targa presso il Planetario di Praga ricorda il passaggio
del filosofo in quella città. per la morte del fondatore dell'Accademia, il
duca Julius von Braunschweig, vi legge l'Oratio consolatoria, ove presenta sé
stesso come forestiero ed esule: «spregiai, abbandonai, perdetti la patria, la
casa, la facoltà, gli onori, e ogni altra cosa amabile, appetibile,
desiderabile». In Italia «esposto alla gola e alla voracità del lupo romano,
qui libero. Lì costretto a culto superstizioso e insanissimo, qui esortato a
riti riformati. Lì morto per violenza di tiranni, qui vivo per l'amabilità e la
giustizia di un ottimo principe». Le Muse dovrebbero essere libere per diritto
naturale eppure «sono invece, in Italia e in Spagna, conculcate dai piedi di
vili preti, in Francia patiscono per la guerra civile rischi gravissimi, in
Belgio sono sballottate da frequenti marosi, e in alcune regioni tedesche
languono infelicemente. Poche settimane dopo viene scomunicato dal
sovrintendente della Chiesa luterana della città, il teologo luterano Boezio per
motivi non noti: B. riesce così a collezionare le scomuniche delle maggiori
confessioni europee, cattolica, calvinista e luterana. Presenta ricorso al
prorettore dell'Accademia, Hoffmann, contro quello che egli definisce un abuso
– perché «chi ha deciso qualcosa senza ascoltare l'altra parte, anche se lo ha
fatto giustamente, non è stato giusto» – e una vendetta privata. Non ricevette
però risposta, perché sembra che fosse stato lo stesso Hoffmann a istigare Boezio.
Benché scomunicato, poté tuttavia rimanere ancora a Helmstedt, dove aveva
ritrovato Valtin Acidalius Havenkenthal e Besler, già suo allievo a Wittenberg,
che gli fa da copista e vedrà ancora brevemente in Italia, a Padova. B. compone
diverse opere sulla magia, tutte pubblicate postume: il “De magia”; le “Theses
de magia”, un compendio del trattato precedente, il “De magia mathematica”, che
presenta come fonti la Steganographia di Tritemio, il De occulta philosophia di
Agrippa e lo pseudo-Alberto Magno; il “De rerum principiis et elementis et causis”
e la “Medicina”, nella quale presume di aver trovato forme di applicazione
della magia nella natura. "Mago" è un termine che si presta a
equivoche interpretazioni, ma che per l'autore, come egli stesso chiarisce sin
dall'ìncipit dell'opera, significa innanzitutto sapiente: sapienti come per
esempio erano i magi dello zoroastrismo o simili depositari della conoscenza
presso altre culture del passato. La magia di cui B. si occupa non è pertanto
quella associata alla superstizione o alla stregoneria, bensì quella che vuole
incrementare il sapere e agire conseguentemente. L'assunto fondamentale
da cui il filosofo parte è l'onnipresenza di un'entità unica, che egli chiama
indifferentemente "spirito divino, cosmico" o "anima del mondo"
o anche "senso interiore", identificabile come quel principio
universale che dà vita, movimento e vicissitudine a ogni cosa o aggregato
nell'universo. Il mago deve tenere presente che come da Dio, attraverso gradi
intermedi, tale spirito si comunica a ogni cosa "animandola", così è
altrettanto possibile tendere a Dio dall'essere animato: questa ascensione dal
particolare a Dio, dal multiforme all'Uno è una possibile definizione della
"magia". Lo spirito divino, che per la sua unicità e infinità
connette ogni cosa a ogni altra, consente parimenti l'azione di un corpo su un
altro. B. chiama «vincula» i singoli nessi fra le cose: "vincolo",
"legatura". La magia altro non è che lo studio di questi legami, di
questa infinita trama "multidimensionale" che esiste nell'universo.
Nel corso dell'opera Bruno distingue e spiega differenti tipi di legami –
legami che possono essere utilizzati positivamente o negativamente,
distinguendo così il mago dallo stregone. Esempi di legami sono la fede; i
riti; i caratteri; i sigilli; le legature che vengono dai sensi, come la vista
o l'udito; quelle che vengono dalla fantasia, eccetera. B. lascia Helmstedt e
in giugno raggiunge Francoforte in compagnia di Besler, che prosegue verso
l'Italia per studiare a Padova. Avrebbe voluto alloggiare dallo stampatore Wechel,
come richiese al Senato di Francoforte ma la richiesta è respinta e allora B.
andò ad abitare nel locale convento dei Carmelitani i quali, per privilegio
concesso da Carlo V, non erano soggetti alla giurisdizione secolare. Vedono
la luce tre opere, i cosiddetti poemi francofortesi, culmine della ricerca filosofica
di B.: il “De triplici minimo et mensura
ad trium speculativarum scientiarum et multarum activarum artium principia
libri V”, in cui vi sono delle immagini simili alla tabula recta di Tritemio; “De
monade, numero et figura liber consequens quinque”; il “De innumerabilibus,
immenso et infigurabili, seu De universo et mundis libri octo”. De minimo. Chi
potrà ritenere che gli strumenti diano misurazioni esatte dal momento che il
fluire delle cose non mantiene un identico ritmo ed un termine non si mantiene
mai alla stessa distanza dall'altro? Da De minimo, in Opere latine, a cura di
Carlo Monti, POMBA). Nei libri del “De minimo” si distinguono tre tipi di
minimo: il minimo fisico, l'atomo, che è alla base della scienza della fisica;
il minimo geometrico, il punto, che è alla base della geometria, e il minimo
metafisico, o monade, che è alla base della metafisica. Essere minimo significa
essere in-divisibile – e dunque Aristotele erra sostenendo la divisibilità
all'infinito della materia – perché, se così fosse, non raggiungendo mai la
minima quantità di una sostanza, il principio e fondamento di ogni sostanza,
non spiegheremmo più la costituzione, mediante aggregazioni di infiniti atomi,
di mondi infiniti, in un processo di formazione altrettanto infinito. I
composti, infatti, «non rimangono identici neppure per un attimo; ciascuno di
essi, per lo scambio vicendevole degli innumerevoli atomi, si muta
continuamente e ovunque in tutte le parti». La materia, come il filosofo
aveva già espresso nei dialoghi italiani, è in perenne mutazione, e ciò che dà
vita a questo divenire è uno «spirito ordinatore», l'anima del mondo, una
nell'universo infinito. Dunque nel divenire eracliteo dell'universo è situato
l'essere parmenideo, uno ed eterno: materia e anima sono inscindibili, l'anima
non agisce dall'esterno, poiché non c'è un esterno della materia. Ne viene che
nell'atomo, la parte più piccola della materia, anch'esso animato dal medesimo
spirito, il minimo e il massimo coincidono: è la coesistenza dei contrari:
minimo-massimo; atomo-Dio; finito-infinito. Contrariamente agli atomisti, quali
ad esempio Democrito e Leucippo, non ammette l'esistenza del vuoto. Il
cosiddetto vuoto non è che un vocabolo col quale si designa il mezzo che
circonda i corpi naturali. Gli atomi hanno un termine in questo mezzo, nel
senso che essi né si toccano né sono separati. Inoltre distingue fra minimi
assoluti e minimi relativi, e così il minimo di un cerchio è un cerchio; il
minimo di un quadrato è un quadrato, eccetera. I matematici dunque errano nella
loro astrazione, considerando la divisibilità all'infinito degli enti
geometrici. Quella che B. espone è, usando con terminologia moderna, una
discretizzazione non solo della materia, ma anche della geometria, una
geometria discreta. Ciò è necessario onde rispettare l'aderenza alla realtà
fisica della descrizione geometrica, indagine in ultima analsi non separabile da
quella metafisica. Nel De monade Bruno si richiama alle tradizioni pitagoriche
attaccando la teoria aristotelica del motore immobile, principio di ogni
movimento: le cose si trasformano per la presenza di principi interni, numerici
e geometrici. De immenso Negli otto libri del De immenso il filosofo
riprende la propria teoria cosmologica, appoggiando la teoria eliocentrica
copernicana ma rifiutando l'esistenza delle sfere cristalline e degli epicicli,
ribadendo la concezione dell'infinità e molteplicità dei mondi. Critica
l'aristotelismo, negando qualunque differenza tra la materia terrestre e
celeste, la circolarità del moto planetario e l'esistenza dell'etere. Il
castello, situato presso Elgg e allora di proprietà di Heinzel von Tägernstein,
l’ospita nel suo breve soggiorno nel cantone di Zurigo. Parte per la Svizzera,
accogliendo l'invito del nobile Heinzel von Tägernstein e del teologo Egli,
entrambi appassionati di alchimia. Così B., ospite di Heinzel, insegna
filosofia presso Zurigo: le sue lezioni, raccolte da Raphael Egli con il titolo
di Summa terminorum metaphysicorum, saranno pubblicate da costui a Zurigo, e
poi, postume, a Marburgo, insieme con la “Praxis descensus seu applicatio entis”,
rimasta incompiuta. La “Summa terminorum metaphysicorum,” Somma dei
termini metafisici, rappresenta un'importante testimonianza dell'attività di B.
insegnante. Si tratta di un compendio di 52 termini fra i più frequenti
nell'opera di Aristotele che B. spiega riassumendo. Nella “Praxis descensus”,
“Prassi del descenso”, il nolano riprende gli stessi termini (con qualche
differenza) questa volta esposti secondo la propria visione. Il testo consente
così di confrontare puntualmente le differenze fra Aristotele e B. La Praxis è
divisa in tre parti, con gli stessi termini esposti secondo la divisione
triadica Dio, intelletto, anima del mondo. Purtroppo l'ultima parte manca del
tutto e anche la rimanente non è completamente curata. Infatti ritorna a
Francoforte per pubblicarvi ancora il De imaginum, signorum et idearum
compositione, dedicato a Heinzel. Ed è questa l'ultima opera la cui
pubblicazione fu curata da B. stesso. È probabile che il filosofo avesse
intenzione di tornare a Zurigo, e ciò spiegherebbe anche perché Egli abbia
atteso prima di pubblicare quella parte della Praxis che aveva trascritto, ma
in ogni caso nella città tedesca gli eventi evolveranno ben diversamente.
Francoforte e sede di un'importante fiera del libro, alla quale partecipavano i
librai di tutta Europa. Era stato così che due editori, il senese Ciotti e il
fiammingo Brittano, entrambi attivi a Venezia, avevano conosciuto B. almeno
stando alla successive dichiarazioni di Ciotti stesso al Tribunale dell'Inquisizione
di Venezia. Il patrizio veneto Mocenigo, che conosce Ciotti e ha comprato nella
sua libreria il “De minimo” del filosofo nolano, affida al libraio una sua
lettera nella quale invitava B. a Venezia affinché gli insegnasse li secreti
della memoria e li altri che egli professa, come si vede in questo suo libro. Appare
quantomeno strano il fatto che, dopo anni di peregrinazioni in Europa decidesse
di tornare in Italia sapendo quanto il rischio di finire sotto le mani
dell'inquisizione fosse concreto. Probabilmente non si considera “anti-cattolico”
ma semmai una sorta di riformatore che spera di avere concrete possibilità di
incidere sulla Chiesa. Oppure il senso di pienezza di sé o della sua "missione"
da compiere altera la reale percezione del pericolo a cui poteva andare
incontro. Inoltre, il clima politico, ossia l'ascesa vittoriosa di Enrico di
Navarra sulla Lega cattolica sembra costituire una valida speranza per
l'attuazione delle sue idee in ambito cattolico. B. e a Venezia. Che egli sia
tornato in Italia spinto dall'offerta di Mocenigo non è affatto sicuro, tant'è
che passeranno diversi mesi prima che accetta l'ospitalità del patrizio. Non
era certo un uomo a cui mancavano i mezzi, anzi, egli era considerato omo
universale, pieno di ingegno e ancora nel pieno del suo momento creativo. A
Venezia si trattenne solo pochi giorni per poi recarsi a Padova e incontrare
Besler, il suo copista di Helmstedt. Qui tenne per qualche mese lezioni agli
studenti che frequentano quello studio e spera invano di ottenervi la cattedra
di matematica, uno dei possibili motivi per cui B. torna in Italia. Compone le “Praelectiones
geometricae”, l'”Ars deformationum”, il “De vinculis in genere”, e il “De
sigillis Hermetis et Ptolomaei et aliorum”. Con il ritorno di Besler in Germania
per motivi familiari, torna a Venezia e si stabilì in casa del patrizio
veneziano, che era interessato alle arti della memoria e alle discipline
magiche. Informa il Mocenigo di voler tornare a Francoforte per stampare delle
sue opere. Questi pensa che cercas un pretesto per abbandonare le lezioni. Il
giorno dopo lo fece sequestrare in casa dai suoi servitori. Il giorno
successivo Mocenigo presenta all'Inquisizione una denuncia scritta, accusandolo
di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina
e nella transustanziazione, di credere nell'eternità del mondo e nell'esistenza
di mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di
negare la verginità di Maria e le punizioni divine. Quel giorno stesso, e arrestato
e tratto nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in san Domenico a Castello.
Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam” (“Forse
tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io
nell'ascoltarla. B. rivolto ai giudici dell'Inquisizione. Il processo di B.,
basso-rilievo del basamento della statua in Campo de' Fiori da Ferrari.
Naturalmente sa che la sua vita è in gioco e si difende abilmente dalle accuse
dell'inquisizione veneziana. Nega quanto può, tace, e mente anche, su alcuni
punti delicati della sua dottrina, confidando che gli inquisitori non possano
essere a conoscenza di tutto quanto egli abbia fatto e scritto, e giustifica le
differenze fra le concezioni da lui espresse e i dogmi cattolici con il fatto
che un filosofo, ragionando secondo il lume naturale, può giungere a
conclusioni discordanti con le materie di fede, senza dover per questo essere
considerato un eretico. A ogni buon conto, dopo aver chiesto perdono per gli
errori commessi, si dichiara disposto a ritrattare quanto si trovi in contrasto
con la dottrina della Chiesa. L'Inquisizione romana chiede però la sua
estradizione, che viene concessa, dopo qualche esitazione, dal Senato veneziano.
E rinchiuso nelle carceri romane del Palazzo del Sant'Uffizio. Nuovi testi, per
quanto poco affidabili, essendo tutti imputati di vari reati dalla stessa
Inquisizione, confermano le accuse e ne aggiungono di nuove. E forse torturato,
secondo la decisione della Congregazione, stando all'ipotesi avanzata da Firpo
e Ciliberto, una circostanza negata invece dallo storico Andrea Del Col. Non
rinnega i fondamenti della sua filosofia. Ribada l'infinità dell'universo, la
molteplicità dei mondi, il moto della terra e la non generazione delle
sostanze. Queste non possono essere altro che quel che sono state, né saranno
altro che quel che sono, né alla loro grandezza o sostanza s'aggionge mai, o
mancarà ponto alcuno, e solamente accade separatione, e congiuntione, o
compositione, o divisione, o translatione da questo luogo a quell'altro. A
questo proposito spiega che il modo e la causa del moto della terra e della
immobilità del firmamento sono da me prodotte con le sue raggioni et autorità e
non pregiudicano all'autorità della divina scrittura. All'obiezione
dell'inquisitore, che gli contesta che nella Bibbia è scritto -- terra stat in
aeternum -- e il sole nasce e tramonta, risponde che vediamo il sole nascere e
tramontare perché la terra se gira circa il proprio centro. Alla contestazione
che la sua posizione contrasta con l'autorità dei Santi Padri, risponde che quelli
sono meno de' filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura. Il
filosofo sostiene che la terra è dotata di un'anima, che le stelle hanno natura
angelica, che l'anima non è forma del corpo, e come unica concessione, è
disposto ad ammettere l'immortalità dell'anima umana. Roma, Piazza di
Campo de' Fiori. E invitato ad abiurare otto proposizioni eretiche, nelle quali
si comprendevano la sua negazione della creazione divina, dell'immortalità
dell'anima, la sua concezione dell'infinità dell'universo e del movimento della
terra, dotata anche di anima, e di concepire gli astri come angeli. La sua
disponibilità ad abiurare, a condizione che le proposizioni siano riconosciute
eretiche non da sempre, ma solo ex nunc, è respinta dalla congregazione dei
cardinali inquisitori, tra i quali Bellarmino. Una successiva applicazione
della tortura, proposta dai consultori della congregazione fu invece respinta
da Clemente VIII. Nell'interrogatorio si dice ancora pronto all'abiura, ma icambia
idea e infine, dopo che il tribunale ha ricevuto una denuncia che accusa Bruno
di aver avuto fama di ateo in Inghilterra e di aver scritto il suo “Spaccio
della bestia trionfante” direttamente contro il papa, rifiuta recisamente ogni
abiura, non avendo, dichiara, nulla di cui doversi pentire. Al cospetto
dei cardinali inquisitori e dei consultori Mandina, Pietrasanta e Millini, è
costretto ad ascoltare in ginocchio la sentenza che lo scaccia dal foro
ecclesiastico e lo consegna al braccio secolare. Terminata la lettura della
sentenza, secondo la testimonianza di choppe, si alza e ai giudici indirizza la
storica frase. Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego
accipiam. Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza
che io nell'ascoltarla. Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il
crocefisso, con la lingua in giova – serrata da una mordacchia perché non possa
parlare, viene condotto in campo de’ fiori, denudato, legato a un palo e arso
vivo. Le sue ceneri sono gettate nel Tevere. Volse il viso pieno di disprezzo
quando ormai morente, venne posta innanzi l'immagine di Cristo crocefisso. Così
muore bruciato miseramente, credo per annunciare negli altri mondi che si è
immaginato in che modo i romani sono soliti trattare gli empi e i blasfemi.
Ecco qui, caro Rittershausen, il modo in cui procediamo contro gli uomini, o
meglio contro i mostri di tal specie. Il suo dio è da un lato trascendente, in
quanto supera ineffabilmente la natura, ma nello stesso tempo è immanente, in
quanto anima del mondo: in questo senso, Dio e Natura sono un'unica realtà da
amare alla follia, in un'inscindibile unità panenteistica di pensiero e
materia, in cui dall'infinità di Dio si evince l'infinità del cosmo, e quindi
la pluralità dei mondi, l'unità della sostanza, l'etica degli "eroici
furori". Questi ipostatizza un Dio-Natura sotto le spoglie dell'Infinito,
essendo l'infinitezza la caratteristica fondamentale del divino. Egli fa dire
nel dialogo De l'infinito, universo e mondi a Filoteo. Io dico Dio tutto
Infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno e
infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché lui è in tutto il mondo, ed in
ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità de
l'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur,
referendosi all'infinito, possono esse chiamate parti) che noi possiamo
comprendere in quello. B., De infinito, universo e mondi) Per queste
argomentazioni e per le sue convinzioni sulla Sacra Scrittura, sulla Trinità e
sul Cristianesimo, già scomunicato, fu incarcerato, giudicato eretico e quindi
condannato al rogo dall'Inquisizione della Chiesa cattolica. Fu arso vivo a
piazza Campo de' Fiori durante il pontificato di Clemente VIII. Ma la sua
filosofia sopravvive alla sua morte, portò all'abbattimento delle barriere
tolemaiche, rivelò un universo molteplice e non centralizzato e aprì la strada
alla Rivoluzione scientifica: per il suo pensiero B. è quindi ritenuto un
precursore di alcune idee della cosmologia moderna, come il multiverse. Per la
sua morte, è considerato un martire del libero pensiero. Giovanni Paolo II,
tramite una lettera del segretario di Stato Vaticano Angelo Sodano inviata a un
convegno che si svolse a Napoli, espresse profondo rammarico per la morte
atroce di B., pur non riabilitandone la dottrina: anche se la morte di B.
costituisce oggi un motivo di profondo rammarico, tuttavia questo triste
episodio della storia non consente la riabilitazione dell'opera del filosofo
nolano arso vivo come eretico, perché "il cammino del suo pensiero lo
condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni
punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana. D'altronde anche nel
saggio di Yates viene ribadito più volte la completa adesione di B. alla
"religione degli egizi" scaturita dal suo sapere ermetico nonché
afferma che "la religione egiziana ermetica è l'unica religione
vera". Il Dizionario di Bayle Ritratto di Schoppe, opera di Rubens
Malgrado la messa all'Indice dei libri di B. decretata, questi continuarono a
essere presenti nelle biblioteche europee, anche se rimasero equivoci e
incomprensioni sulle posizioni del filosofo nolano, così come volute
mistificazioni sulla sua figura. Già il cattolico Schoppe, ex luterano che
assistette alla pronuncia della sentenza e al rogo di B., pur non condividendo
«l'opinione volgare secondo la quale codesto B. fu bruciato perché luterano»
finisce con l'affermare che «Lutero ha insegnato non solo le stesse cose di B.,
ma altre ancora più assurde e terribili», mentre il frate minimo Mersenne
individuò nella cosmologia bruniana la negazione della libertà di Dio, oltre
che del libero arbitrio umano. Mentre gli astronomi Brahe e Keplero
criticarono l'ipotesi dell'infinità dell'universo, non presa in considerazione
nemmeno da GALILEI (si veda), il libertino Naudé, nella sua Apologie pour tous
les grands personnages qui ont testé faussement soupçonnez de magie esalta in B.
il libero ricercatore delle leggi della natura. Bayle, nel suo Dizionario,
arrivò a dubitare della morte per rogo di Bruno e vide in lui il precursore di
Spinoza e di tutti i moderni panteisti, un monista ateo per il quale unica
realtà è la natura. Gli rispose il teologo deista Toland, che conosceva lo
Spaccio della bestia trionfante e lodava in Bruno la serietà scientifica e il
coraggio dimostrato nell'aver eliminato dalla speculazione filosofica ogni
riferimento alle religioni positive; segnala lo Spaccio a Leibniz - che
tuttavia considera B. un mediocre filosofo - e al de La Croze, convinto
dell'ateismo di B.. Con quest'ultimo concorda il Budde, mentre Heumann ritorna
erroneamente a ipotizzare un protestantesimo di B. Con l'Illuminismo,
l'interesse e la notorietà di Bruno aumenta. Weidler conosce il De immenso e lo
Spaccio, mentre Jean Sylvain Bailly lo definisce «ardito e inquieto, amante
delle novità e schernitore delle tradizioni», ma gli rimprovera la sua irreligiosità.
In Italiaè molto apprezzato da Barbieri, autore di una Storia dei matematici e
filosofi del Regno di Napoli, dove afferma che scrisse molte cose sublimi nella
Metafisica, e molte vere nella Fisica e nell'Astronomia e ne fa un precursore
della teoria dell'armonia prestabilita di Leibniz e di tanta parte delle teorie
di Cartesio. Il sistema dei vortici di Cartesio, o quei globuli giranti intorno
i loro centri nell'aere, e tutto il sistema fisico è suo. Il principio di
dubitazione saviamente da Cartesio introdotto nella filosofia a B. si deve, e
molte altre cose nella filosofia di Cartesio sono di lui. Questa tesi è
negata da Niceron, per il quale il razionalista Cartesio nulla può aver preso
da lui, irreligioso e ateo come Spinoza, che ha identificato Dio con la natura,
è rimasto legato alla filosofia del Rinascimento credendo ancora nella magia e,
per quanto ingegnoso, è spesso contorto e oscuro. Brucker concorda con l'incompatibilità
di Cartesio con lui, che considera un filosofo molto complesso, posto tra il
monismo spinoziano e il neo-pitagorismo, la cui concezione dell'universo
consisterebbe nella sua creazione per emanazione da un'unica fonte infinita,
dalla quale la natura creata non cesserebbe di dipendere. Fu Diderot a
scrivere per l'Enciclopedia la voce su B., da lui considerato precursore di
Leibniz - nell'armonia prestabilita, nella teoria della monade, nella ragione
sufficiente - e di Spinoza, il quale, come lui, concepisce Dio come essenza
infinita nella quale libertà e necessità coincidono: rispetto a lui pochi
sarebbero i filosofi paragonabili, se l'impeto della sua immaginazione gli
avesse permesso di ordinare le proprie idee, unendole in un ordine sistematico,
ma era nato poeta. Per Diderot, B., che si è sbarazzato della vecchia filosofia
aristotelica, è con Leibniz e Spinoza il fondatore della filosofia
moderna. Jacobi pubblica per la prima volta ampi estratti del “De la
causa, principio et uno” di «questo oscuro filosofo», che sa però dare un disegno
netto e bello del panteismo. Lo spiritualista non condivide certo il panteismo
ateo di lui e Spinoza, di cui ritiene inevitabili le contraddizioni, ma non
manca di riconoscerne la grande importanza nella storia della filosofia. Da
Jacobi Schelling trae spunto per il suo dialogo su lui, al quale riconosce di
aver colto quello che per lui è il fondamento della filosofia: l'unità del
Tutto, l'assoluto hegeliano, nel quale successivamente si conoscono le singole
cose finite. Hegel lo conosce e nelle sue “Lezioni” presenta la sua filosofia
come l'attività dello spirito che assume dis-ordinatamente» tutte le forme,
realizzandosi nella natura infinita. È un gran punto, per cominciare, quello di
pensare l'unità. L’altro punto fu cercare di comprendere l'universo nel suo
svolgimento, nel sistema delle sue determinazioni, mostrando come l'esteriorità
sia segno delle idee. In Italia, è l'hegeliano Spaventa a vedere in lui il
precursore di Spinoza, anche se il filosofo nolano oscilla nello stabilire un
chiaro rapporto fra la natura e Dio, che appare ora identificarsi con la natura
e ora mantenersi come principio sovra-mondano, osservazioni riprese da Fiorentino,
mentre Tocco mostra come egli, pur dissolvendo dio nella natura, non rinuncia a
una valutazione positiva della religione, concepita come utile educatrice dei
popoli. Nel primo decennio del Novecento si completa l'edizione di tutte
le opere e si accelerano gli studi biografici su lui, con particolare riguardo
al processo. Per GENTILE (si veda), altre a essere un martire della libertà di
pensiero, ha il grande merito di dare un'impronta strettamente razionale alla
sua filosofia, trascurando misticismi medievaleggianti e suggestioni magiche.
Opinione, quest'ultima, discutibile, come recentemente ha inteso mettere in
luce Yates, presentando B. nelle vesti di un autentico ermetico. Mentre Badaloni
ha rilevato come l'ostracismo decretato contro lui abbia contribuito a
emarginare l'Italia dalle innovative correnti della grande filosofia del
Seicento europeo, fra i maggiori e più assidui contributi nella definizione
della filosofia bruniana si contano attualmente quelli portati da Aquilecchia e
Ciliberto. Monumento a B. Medaglia con monumento a Giordano B. in Campo
de' Fiori a Roma, incisione di Broggi. La medaglia, di 60 mm, fu donata a
personaggi illustri e comitati vari. Insieme a questa fu coniata un'altra
medaglia di 64 mm in bronzo, abbastanza simile, a scopo commerciale Gli sono
stati dedicati il cratere lunare B. e due asteroidi della fascia principale:
Giordano e Cenaceneri. IRapisardi gli dedicò un'epigrafe. All'ipocrisia
volpeggiante fra la scuola e la sagrestia, ai conciliatori della scienza col
sillabo, all'imbestiato borghesume, che tutto falsando e trafficando, d'ogni
sacrificio eroico beatamente sogghigna, le coscienze, cui sorride ancora la
fede nel trionfo di tutte le umane libertà, lanciano oggi ad una voce dalle
università italiane una sfida solenne a gloria della tua virtù, a vendetta del tuo
martirio o B.. Numerose scuole sono state intitolate a B. in tutta Italia, in particolare
licei classici: ad esempio ad Arzano, Albenga, Roma, Torino, Mestre, Budrio e
Melzo, mentre a Maddaloni gli sono stati intitolati il Convitto nazionale e il
liceo classico cittadino. In Italia sono numerosi i monumenti intitolati a Bruno,
sono presenti: un monumento in una piazza a Nola, un busto a Montella, un
bassorilievo a Monsampolo del Tronto e un'epigrafe a Teora. Nel Campo de' Fiori
di Roma è presente il più importante monumento a Bruno, eretto esattamente nel
luogo in cui il filosofo fu condannato al rogo. La figura e il ruolo del mago
che Shakespeare presenta con Prospero, ne La tempesta, fosse influenzata dalla
formulazione del ruolo del mago attuata da B.. Sempre in Shakespeare, è ormai
dai più accettata l'identificazione del personaggio di “Berowne” (Browne,
Bruno), in “Pene d'amor perdute” con il filosofo italiano, considerando il
parzialmente documentato e più che plausibile incontro tra i due durante il suo
soggiorno inglese.Un riferimento molto più esplicito si trova in The Tragical
History of Doctor Faustus, Marlowe. Il personaggio “Bruno”, l'antipapa,
riassume molte caratteristiche della vicenda del filosofo: «I cardinali
dormienti si affannano / a punire Bruno, che invece è lontano. Vola. / Il suo
superbo corsiero, vivo come il pensiero, / Già passa le Alpi.»
(Christopher Marlowe, La triste storia del dottor Faust; citato in Jean Rocchi,
Giordano Bruno davanti all'inquisizione, Stampa Alternativa) La stessa vicenda
del Faust marlowiano richiama alla mente la figura del "furioso"
bruniano in De gli eroici furori. Cinema Interpretato da Volonté. Protagonista
nel film di Montaldo B. nel quale è stato interpretato da Volonté. Compare
anche nel film Galileo di Cavani. Negli anni novanta Rai Uno produce un film
documentario curato da Porta su B.. Interpretato da Vita. Nel film Caravaggio
con Boni c'è una scena in cui è mostrato il rogo di B.. Contrariamente alle fonti
che parlano di B. con la lingua in giova, il filosofo appare legato al palo
mentre poco prima delle fiamme incita la gente a non lasciarsi irretire dai
falsi maestri. “Candelaio” è al centro della fiction Il tredicesimo apostolo -
Il prescelto trasmessa su Canale 5. Il rapper Caparezza ha dedicato a lui una
mini-storia nel brano "Sono il tuo sogno eretico", presente in Il
sogno eretico: «Infine mi chiamo come il fiume che battezzò colui nel cui nome
fui posto in posti bui,/ mica arredati col feng shui. Nella cella reietto
perché tra fede e intelletto ho scelto il suddetto, Dio mi ha dato un cervello,
se non lo usassi gli mancherei di rispetto. E tutto crolla come in borsa, la
favella nella morsa, la mia pelle è bella arsa. Il processo? Bella farsa! Adesso
mi tocca tappare la bocca nel disincanto lì fuori, lasciatemi in vita invece di
farmi una statua in Campo de' Fiori/Mi bruci per ciò che predico è una fine che
non mi merito, mandi in cenere la verità perché sono il tuo sogno
eretico.» (Caparezza, Sono il tuo sogno eretico). La metal band
californiana Avenged Sevenfold lui ha dedicato il brano intitolato Roman Sky
presente nel nuovo album The Stage. L'album tratta infatti temi quali
l'intelligenza artificiale e l'universo. Sono dedicati al filosofo anche il
brano Anima Mundi di Massimiliano Larocca e l'album Numen Lumen del gruppo
neofolk Hautville, che ha nelle liriche brani di B.. Altre saggi: “De
compendiosa architectura et complemento artis Lullii”; “De umbris idearum”;
“Ars memoriae”; “Cantus Circaeus”; “Candelaio”; “Ars reminiscendi, Triginta
sigilli, Triginta sigillorum explicatio, Sigillus sigillorum”; “Cena de le
Ceneri”; “De la causa, principio et uno”; “De l'infinito, universo e mondi” “Spaccio
della bestia trionfante”; “Il cavallo pegaseo”; “De gli eroici furori”; “Centum
et viginti articuli de natura et mundo adversus peripateticos” – “contro i
peripatetici” -- “Figuratio Aristotelici
physici auditus”; “Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina
adinventione”; “Idiota triumphans”; “De somnii interpretation”; “Mordentius”; “De
Mordentii circino”; “Animadversiones circa lampadem” “animadversions in
lampadem”; “Lampas triginta statuarum” – trenta statue -- (Napoli); “Artificium perorandi”; “De lampade combinatoria”;
“De progressu”; “De lampade venatoria logicorum”; “Libri physicorum Aristotelis
explanati, Napoli); “Camoeracensis Acrotismus seu rationes articulorum
physicorum adversus peripateticos”; “Oratio valedictoria”; “De specierum scrutinio”
De lampade combinatoria”; “Articuli centum et sexaginta adversus huius
tempestatis philosophos”; “Oratio consolatoria”; “De magia (Firenze); “De magia
mathematica (Firenze); “De rerum principiis et elementis et causis” (Firenze);
“Medicina” (Firenze); “Theses de magia” (Firenze); “De innumerabilibus, immenso
et in-figurabili”; “De triplici minimo et mensura”; “De monade, numero et
figura”; “De imaginum, signorum et idearum compositione” (sintassi); “De
vinculis in genere” (Firenze); “Summa terminorum metaphysicorum”; “Accessit
eiusdem Praxis descensus seu applicatio entis”. Bruno nota che quantunque
Averroè fosse arabo e perciò ignorante di lingua greca, nella dottrina
peripatetica però intese più che qualsivoglia greco che abbiamo letto; e arebbe
più inteso, se non fusse stato così additto al suo nume Aristotele. Sia dai due
volti. Io ho lodato molti eretici ed anco principi eretici; ma non li ho lodati
come eretici, ma solamente per le virtù morali che loro avevano; né li ho mai
lodati come religiosi e pii, né usato simil sorte di voce di religione. Ed in
particulare nel mio libro Della causa, principio ed uno io lodo la Regina de
Inghilterra e la nomino diva, non per attributo di religione, ma per un certo
epiteto che li antichi ancora solevano dare a principi, ed in Inghilterra, dove
allora io mi ritrovava e composi quel libro, se suole dar questo titolo de diva
alla Regina; e tanto più me indussi a nominarla cusì, perché ella me conosceva,
andando io continuamente con l'Ambasciator in corte. E conosco di aver errato
in lodare questa donna, essendo eretica, e massime attribuendoli la voce de
diva. Degno di nota è che B. pubblica tutti e sei questi saggi indicando luoghi
di stampa non corrispondenti: Venezia. Che Dio sia nella materia non implica che
possa essere conosciuto. Dio è immanente da un punto di vista ontologico,
mentre è trascendente sul piano gnoseologico. In questo universo metto una
providenzia universal, in virtù della quale ogni cosa vive, vegeta e si move e
sta nella sua perfezione; e la intendo in due maniere, l'una nel modo con cui è
presente l'anima nel corpo, tutta in tutto e tutta in qual si voglia parte, e
questo chiamo natura, ombra e vestigio della divinità; l'altra nel modo
ineffabile col quale Iddio per essenzia, presenzia e potenzia è in tutto e
sopra tutto, non come parte, non come anima, ma in modo inesplicabile. Spaventa
fu convinto assertore del ruolo fondamentale della filosofia italiana nel
panorama della filosofia moderna, e in particolare di Bruno e Campanella. L'asinità. La fortuna di B. B. in Shakespeare
e nella cultura inglese. “Il B. di Gentile”. L'Asino Cillenico. Clavis
Magna. Clavis Magna, ovvero, Il Sigillo
dei Sigilli. De signorum compositione. Explicatio. Sigillorum. Sigilli, Sigillus
Sigillorum. Clavis Magna, ovvero, L'arte di inventare. De Compendiosa
Architectura et Complemento Artis. “L'Arte di Comunicare” Artificium
Perorandi”. “Clavis Magna, ovvero, La
logica per immagini”. Il B. degli italiani. ‘B.’ regia di di Montaldo. Dizionario
biografico degl’italiani. CESAR calendaire romaine. Centro di Studi Bruniani. (CA
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EMANUELE, Carnevale {Resta sapore PERSONAGGI:
B. SALASSA; LORENZO figlio naturale di B., «dot-tato:da) A.D'ANDRADE ROMANO
DEI LOMBARDI «+. >F. MIGLIARA LEANDRO giovine patrizio. S.ra
ANGIOLETTI LAURA figlia di ROMANO. >» A. Busi IL GRANDE
INQUISITORE . Sig. SALVARANI. ROCCO LILLE DAMIANI ANDREA. Ni agN° UN
GUARDIANO) che nonparlano N. N. UN OsTE .. Ni Ni Giovani e nobili veneziani,
servi di Romano, gondolieri, seguaci di B., soldati, Inquisitori, Si Servi
del S. Uffizio, Frati e Popolo. L'azione del 1.° e 2.° Atto è in
Veni quella del:3.° e 4.° Atto in Re ber a pieni Sofee
bi; pece SUIT ZIA Fitto Primo PIAZZA IN VENEZIA. Un’Osteria
e alcune seggiole. In fondo un canale praticabile, che traversa la scena.
Sul canale un ponte, che mette in un viottolo, sull'angolo del
quale sorge a destra, un magnifico Palazzo illumiminato a festa, prospiciente
sul Canale. .Un in- gresso laterale, illuminato da faci fisse ai muri,
conducedal viottolo nel Palazzo. La porta principale verso . il Canale è
aperta; durante la scena seguente, visi vedono approdare gondole, dalle quali
scendono persone ragguardevoli, che, ricevute dai servi, entrano
nel Palazzo. Sera. GIOVANI e
NOBILI VENEZIANI, parte ‘in abiti fantastici con mezza maschera al volto, e
parte in abiti comuni, vengono da sinistra, traversano il ponte, e
dalla strada entrano nel Palazzo. LEANDRO, ROCCO ed altri Giovani vanno e
vengono fermandosi sulla Piazza, cantando e ridendo, Poi LORENZO e LAURA.
Leandro (accompagnandosi colla ghitarra). A te, Venezia bella,
adorata, A te, mia sposa, la serenata. HEVVPETIAIAMITEREZI LIA VITE
RENTAL rara rr ovinanto sinezineneisevazize vecio sinioneee
IVTIPRErTA:Itr rara rirevenaatos aes szereris cva:i0e vice vi’ veve’
’avurecovio sr 0uIvI vare ri [tti STA Hocco (Volgendosi
all’osteria) Leandro, scuotiti! Le mura adori? Vieni ove
brillano Divini amori, Ove donzelle Cotanto belle Potrai
mirar. Coro dei nobili Al convito n’andiam! alla
festa! Leandro Prima di venir alla gran festa Distruggere io
vo’ un'idea funesta! Oste, su via porgetemi Vino di Cipro; a questo
petto ardente Occorre del più vecchio e più potente. Vivan le
belle Danzanti; volano. Gli occhi fiammeggiano Più che le
stelle; Ne’ Joro vortici Mi ruban Vanima. sui Crudo gioir! Più
non mi muovo Suolo dolcissimo, ir belt rrrrrr n
-a-rt-rvreorosoeeriovoe nueva zeranen sonia mise
eeerarmierereriiovnieteacivoteote0ie Nido mio nuovo! Muoio in tue
braccia... Santo delir! | A te, Venezia bella, adorata,
A te, mia sposa, la serenata, Coro AI Convito! n’andiam alla
festa. (S'appressano in una gondola LAURA e LORENZO) Eaurna Sul
mare immenso più non impera
Nè sulla terra che la circonda. Venezia,
è fango la tua bandiera! Lutto e non feste! Pianga e s’ asconda. Core
(con alto di cu iosità) E un amante e la sua Della Che passeggiano
alla luna; Laura sembra la sua stella, Ma egli fa poca
fortuna. Seguiam tutti i vaghi amanti, E vediam, se pur n’ è
dato, In fra i suoni, i balli e i canti Di trovar
l’innamorato. È Lorenzo di Giordano, Che fuggì dal sacro
tempio ; lì Lorenzo... il vil, l’insano Che ne porge un
triste esempio. Lorenzo (con ira). È rivolta a me l’offesa?
L’alma freme, batte il core! Già suonaron l’ultim’ ore; - E voi tutti io
sfiderò. Laura E rivolta a te I’effesa; rato L’alma freme,
batte il core! Già suonaron l'ultim’ ore Io con te li sfiderò.
(LORENZO furente si scaglia contro ROCCO, e gli toglie la spada.
Gli altri NOBILI sguainano. le proprie e si schierano în
fondo) ROMANO dei LOMBARDI entra frettoloso dalla casa di destra,
seguito da servi con torce accese, Bomano Chi grida? Chi chiama? Qual
chiasso villano? Non son cîttadini, ma plebe briaca! Lorenzo, tu? Il
ferro in mano hai snudato? Parla! Che avvenne! Sei pazzo? Ti placa! Laura
(atterrita alla vista del padre) Che mai dirà Al Genitor?...
pa Voce non ha, Non ha più cor. Lorenzo (con timore)
Che mai dirò AI Genitor? Voce non ho, Non ho più cor.Leandro
(con circospezione) Il segno di croce facciamoci... e andiam via!
Quel vecchio è uno sgherro dell’ Inquisizione. Partiamo, fuggiamo... La
belva più ria, E un angelo a petto di questo demòne. Romane (ai
Nobili) Non chiedo ragioni di vostra contesa, Fra tenebre nacque...
in tenebre resti; E calmi la notte col sonno gli. ardori Di giovani
folli, di stolti furori. Partite! Or è cauto lontani restar. Coro di
Nobili (infimoriti da Romano). Fuggiam dal feroce Vegliardo Romano
: Col fiato ne ammorba Il truce, l’insano; nea
Qui tutto è sospetto. Amici, fuggìam. 1 NOBILI, it CORO, LEANDRO e LAURA
sì riti- rano pel ponte ed entrano nel Palazzo. L’OSTE ha chiuso ed
è scomparso durante la rissa, ROMANO fa un cenno ai Servi di
allontanarsi. Romano Vengo, tu il sai, da Roma; e il Santo Re
e Pontefice armava il braccio mio. ‘Or sotto il ferreo terribil
manto Della suprema Città di Dio L’ Inquisizione veneta sta;
E a Roma solo ubbidirà. Dell’ eresia le vampe infeste Soffocherò.
tutte le teste D’ un colpo all’ idra io troncherò. Lorenzo Fu
il Campanella scoperto e preso? Romano Libero ei 8° agita... Ma il
gran sovrano De’ rei, che Italia e il mondo ha acceso Contro la
Chiesa santa, è Giordano. Presso i suoi complici quì ascoso stà!
Lorenzo Odio quel uomo tanto... tel giuro. Romano Non basta
odiarlo: questo io non curo; Tu quì arrestarlo ora dovrai:
(Musica da ballo neil’interno del Palazzo) In fra le maschere lo
scoprirai, Ed il porrat nelle mie man. Lorenzo Si chiede un
atto di traditor? Romano Queste ai novizi prove si dan.
Lorenzo Tradir ricuso; son uom d’onor. Romano (con sdegno) A
me tu, folle, devi? RANA RARA pinete Lorenzo Obbedienza! Romano Ed
alia Chiesa! Trema. Lorenzo (soffocando il furore) Obbedienza!
Romano Dunque ?... Lorenzo (con sottomissione) Giordano io
scoprirò! Eomano (ricomponendosi) Tuci giovanili e schictti
Modi ti gioveran, se manca il senno Di età maggior, Tuo sguardo onestà;
ispira, K assai tua voce ad ascoltarti attira. Per la grand’ opra
non sarai solo, D’altri miei fidi 1’ aiuto avrai; Pronto a miei
cenni sempre sarai, Uno per ‘tutti sia il mio voler. Lorenzo (con
dolore) L’iniqua trama ahi mi colpisce! La terra, il cielo pur
n’ hanno orror! Vile è colui, ch’ altri tradisce, Nè v' ha pietade
pel traditor. ERomano (imperioso) Come voglio, sia fatto. Or d’
altro; è m'’ odi. Dal dì che ardenti e improvidi Sguardi su Laura
hai posti, Travolto dalla subita Cicca passion tu fosti;
N | Una rea febbre 1° agita Tutte le membra o siolto,
E vedo nel tuo volto Il fuoco del delir. Bada! io ti
scruto, o giovine, E leggo il tuo desire; Guai se tal fiamma
ignobile Io non vedrò svanire. Tu sogni; ma chi vigila l'e
per tuo ben consiglia; Dimentica mia figlia, O trema del tuo
ardir. (parte da sinistra mentre sì volge ancora con fiero
sguardo su LORENZO). Lorenzo (con dolore): SO Solo alfin...
solo quì sono. Piangere, impallidir, tremar t’è dato sa Povero cor! Ma
dannate in eterno ei Son mie lacrime in lor foco d'inferno. Ci
i . . 0 cielo, perchè l’aere Fa A Spargi de’ tuoi profumi?
CRT a O terra perchè il giubilo. SA Delle tue stelle
assumi? © nare: A me negata è l'estasi. da D’ ogni
dolcezza umana, No: ae d'ogni gioia lè vana (ale EZIO Larva,
che fugge ognor; TERIOS L’ amor che è riso d’ angioli, 0; Di
Nel povero mio cor. i Strazio divien di dèmone, WA Delirio
agitator. pr | Amar non posso... 0° AARON] eta P, ‘L'odio mi
restag» SS CE ao ag Son stretto a questa to; LR 1 sur aRatalità.
EI : Vò di te vincere. | Con santo zelo, .. Servir vo’ il
Cielo... E questa l’ ultima . «Mia volontà. (parte con fretta
per il ponte). Cala la Vela. arnie, Affo Secondo onere ge
oi SALA NEL PALAZZO LOREDANO Una splendida sala da
Ballo nel Palazzo di Lore- dano a Venezia, con colonnato per modo che si
possa figurare l’accesso in altre sale. Illuminazione splendidissima. Coro
degl’Invitati ($ acc incanto dell’ebbre sale!
Che ballo immenso! Sarà immortale. Quest’ è la reggia della
letizia; Il, paradiso. d’ ogni. delizia. Deh! non fuggire, tempo;
t’ arresta; Bearsi al lungo delir giocondo Della fatata splendida
festa Tutto in. Venezia vorrebbe il mondo. {Gl’invitati
s'allontanano in varie parti)B. entra con cautela e colla maschera in
mano, poi gli amici. drrezadzanzecez anconca n ionici oc. c0100 dna enrici
condiizeo tentoro neo dan'onto oarc rroniòolo /Tasossignor cecanzara anee
Giordano Quì ognun danza e delira
Spensierato e demente. E niun ragiona, E senno e cuore ha
niuno. x tutto quì è in periglio, ove il Leone Alato di
San Marco Prostrato dalla Santa Inquisizione Ai piè,
scordò il ruggito Di cui tremò per secoli ogni lito
(volgendosi in fondo) Ecco gli amici: ma assai lenti e scarsi. Alcuni dei
Primi Luce! Giordano Giustizia a tutti! E Primi E
verità! Alcuni dei Secondi [venendo oltre) Luce !
Giordano Giustizia a tutti E Secondi E libertà!
Giordano Grazie diletti! Sian pochi i detti; Molta l’opra. A
ingannar V'astuta Corio Dei biechi Inquisitori Ho scelto queste
sale Di Loredano. È pronto ognuno ? Coro Ognuno!
Giordano L’ ardir pari del vero alla grandezza? Ed uniti?
Coro Siam tuoi, Giordano Bruno! Giordano e Coro Nel
popol vero s’ incominci 1’ opra: S° illumini! Bugiarda è la
parola Di Roma e il suo Re, che Dio si noma, Sull’ alma i
Papi vogliono l’ impero Per posseder la terra; E coi
libri e col braccio tt Viva facciasi ovunque eterna guerra
Allo spirito, al verbo, a ogni menzogna, Con che farci suoi schiavi Roma
agogna LAURA entra anelante colla maschera in mano. Enura
Signor, fuggite! Giordano Io? no! non fuggo. Coro
(insospettito) Fuggiamo. È pazzo! (fuggono da va»ie aio Giordano
(con ira) Vili! Tu hai fede? (a Laura) ERaunna (sempre
ancelante) Gran Dio! In queste sale Circondavi un estremo ‘
Periglio. Per voi tremo. Fuggite per pietà. IIIEEZZZE RETETTEZI EXIZZELUPPEE
PE CETO CE TI CE CES CECI ICI IA CIT ALIZICI AZIO LETO EI Va besasnza rea
dI gra rirvarai tion Giordano (simulando) Fuggir? Da chi
fuggire? Laura Da tutti! I delatori, Cui fia virtù
tradire, Vi cercano là fuori. Son mille a me ben noti,
Fierissimi e devoti Al sacro Tribunal. Giordano
(sorpreso) Mi conoscete? Eguana A Padova Vi
scorsi il«dì che ardito Nel fiume vi gettaste, E un fanciullin
tornaste Vivo al materno sen. L’ Inquisizion seguiavi Co’
mille sgherri suoi Per arrestarvi; e voi Tra il popolo
festante Poteste in un istante Securo allor fuggir.
Giordano (simulando la calma) Bruno era quegli, che allor
miraste! Io non lo sono!... Mal giudicaste, .i Laura
(sorpresa) Credetti... ho divinato! © ;
Voi siete IL GRAN FILOSOFO [cf. Grice: Treat those who are great and dead as great
and living. ]. Giordano Oh certo s’ è ingannato Il
vostro giovin cor. Laura Perdonate se un lembo alzo del velo,
Che a me vasconde... (solleva: dl velo) Io v' ho scoperto! siete.
Celarvi non potete. B. E chi son io? Laura
Giordano Bruno, cittadin di Nola! (Durante questo colloquio, LORENZO entra
da destra, LEANDRO da sinistra; si fermano in - fondo, e, non
veduti funno alto di attenzione). erimmiberarisisaorizeoeee
Mi nisi bro aravrariszazazezea ripa paio: Lorenza ngi
Ho. in mani, alfin 1, dai i ‘Ch’ ha Italia avvelenato; ‘Salvo da
Ini mille: anime! a Il mondo mi sia. EH 9 Leandro (4. LormNZO | con
simulata ironia) % TAL il salverài, mia “tnamo, È quegli'il
gran? ; Filosofo) di Il celebre Giordanb. VESTA Dal Tribunal del
Dèmoni Ù 1 1 PR. E O ARNO E ‘J RARE.| Baura (| ‘801
‘presa vi ala PISAE) | dia 39 DS IDE Lorenzo! dui GicoL..(a o pi di
te-che mai sarà? F a iI Gietiala (con dolore)
Fui tradito !..-Oh cerudoltà So IV I Santo phrto)
Tana ‘in Cactpnse deg Di palpiti, di ladina, Tempo,non è, mio
cuore; .Salvarlo, fat Miracoli. DERE eo -0t devo ame l'amore. OL
DI Giordano La luce tua mi sfolgora, Fanciulla, nel
pensiero; Se il mio profeta! Libero Trionferà il mio vero.
(poi fissando LORENZO) Quel volto! V° è 1’ immagine Impressa
di Teresa. Misto è quel volto e annunziami La gioia ed il
dolor! (Prendendo per mano LORENZO) Giovane, dimmi: sei tu di
Roma? La tua favella mel dice... Parla! Dimmi: tua madre come
sì noma? Teresa forse? Lorenzo Teresa?... Sì! (In fondo appare ROMANO con SERVI e
SOLDATI poi vengono gl’Invitati). Giordano L’
inquisizione! Oh quale orror! (a Lorenzo) E tu con essa? Ah
traditor! o Io a te la vita diedi e la morte - Tu, iniquo, appresti
al Genitor!... A te l’ inferno schiuda le porte... Sii maledetto,
vil delator.fekresrey=neoan0enen castec pregsone e aosso g@ zor—rorerovrseereeeericrone
cer csvpirtetronert pari o son nen contiene nanenene Lorenzo Tu...
padre mio? Che mai feci io! Padre, perdonami Se pur ancora
‘ Merto pietà. GU INVITATI che riappariscono da destra e
sinistra e detti. GI Envitati e Leandro La festa è
orrenda! Fuggiamo tutti; Qual tradimenti! Keco distrutti Degl’
innocenti Gli almi piacer. Romano Grazie, o Ciel! Nelle mie
mani Or Giordane io vedo tratto! Roma esulti! Il suo desìo
Finalmente è soddisfatto. Lerenzo Orrenda infamia! Tu il. padre mio? Ah
me infelice! Che mai fec? io! Padre, perdonami... O Ciel, pietà! ERA
EeIOrtitiezast:nuvo cene cen vinariesazyaza cc uPONPPA PESSANO MT RI Laura
(a GIORDANO) Delle amarezze il calice Berrò con te,
Giordano; Già in seno il duolo squarciami Il core a brano a
brano; Peno per te, pel figlio Mio primo e solo
amor. Leandro Oh come ovunque penetra La santa Inquisizione!
Come sarà terribile La sua imputazione! In lui perdiamo un
figlio, Che della patria è onor. Giordano (4 LAURA)
Ah no! Laura, non piangere... Giordano ha l’alma forte!
Pel Vero è pronto a vincere Il duolo pur di morte! Dio
deh! ritorna il figlio A Laura e al Genitor, Lorenzo
Sento nel seno piovermi D'un aspro duol le stille!... Il
padre... oh! il padre scorgere ab 0); Temon le mie pupille!
Com'è infelice un figlio Ribelle al genitor ! Romano
Entro mi serpe un fremito, Che mi sconvolge il core,
Veggendo quest’ eretico Di scismi banditore, Che, della
Chiesa*figlio, Divenne traditor! Leandro Tu
piangi?... Incauto, a Lui {affida Pel suo perdono; ma l’alma
infida Nel suo rimorso gran pena avrà. Coro (a LORENZO)
Che piangi?... Ognuno vile ti grida; Se’ un traditor; se’ un
parricida! Nè Dio, nè il mondo n’avran pietà. (I SOLDATI
circondano GIORDANO e cala la tela/. IITTTTAAEIAIII RA CORTI
IN ROMA Sala nel palazzo dell’Inquisizione. In fondo, nel mezzo della parete una
cortina nera che chiudela scena, A sinistra una finestra aperta con
ferriata. In fondo un tavolo coperto con un tappeto nero, a cui
siedono il grande INQUISITORE e DUE SCRIVANI; ai lati siedono
gl’INQUISITORI, e, di fronte, GIORDANO, R0MANO e LORENZO, — Porte a destra e a
sinistra. Romano {> iordano! Voi siete’ D’innanzi ai vostri
giudici, al supremo Tribunal della terra! E qui dovete, Smésso
l’antico stile, Risponder vero, obbediente, umile. “cà
ra G. Inquisitore Vostro nome è Giordan Bruno?
Giordano Di Nola. mrantsiorizea nano (199 AMDI ATTI ANI ANAZANAZA
NZ RATTI TIT IATA TERI ri prenpan ianana nananarena enzana G.
Inquisitore Vi conosciamo! Voi correste in terre D’eretici; lè in
Praga, in Francoforte. E predicaste spesso agl’ infedeli La
santissima Chiesa dileggiando Di Roma, tutti i novator
germani Esaltando. D’ Iddio 1’ essenza in false Forme sponeste;
come v’ inspirava Mal talento. D’ Iddio la legge in pubblici
E in segreti convegni commentaste; Le coscienze fùr guaste. Giordano
Mentite! Solo io dissi agli uomini Il mondo ha una
visiera Di antiche, immense tenebre ; Cerchi la luce vera.
Dio vuol che l’uomo spinga L’acuta sua pupilla Fin dove in cielo
brilla L’eterno suo splendor. Coro d’Inquisitori D’ anime
felle Empia utopia! Il tuo, ribelle, Un Dio non è. Non
ha che larve -Tua fantasia; .0 et gi ver
disparve ; “Se in eresia ft fo i AI fuoco, ‘al fuoco: © Sia
condannato! 1 “REP carcer. poco, s ra ! tal OmpIO, egli de
(Si apre la cortina’ dalla’ quale ‘escono pina DTA io GRANDE
INQUISITORE, quindi ROMANO, poi gli SCRIVANI, ‘gi ISQUISITORI, ed sea
pIoR-SSf DANÒ accompagnato, dalle GUARDIE.Gala la cortina e solo
LORENZO rimane în ‘scend), DÒ dt e Laura 01,3 LAURA entra
dalla' sinisird e presi itasi) di LORENZO in atto supplichevole). SÉ Roe
dia eor ATI v Rat Laura! moi (HI dÉ tia Koi i È
et Loréiizo i «105 si
vo MREPSRI RATA GIL Lorenzo Di ea DO Ur PA Ale 2 i
sd Met: la "I Che vuoi tut ot Raid) fai I n Setdi o
SERRA 2 Senti la ToRe.e. un uomo Rico tu soi. “ rE: Lorenzo
Tinura! Da me che brami? Sento straziarmi il cuore. Laura Ah!
tu il padre salvar déi, Se una belva ancor non sei.
Lorenzo Tact Laura! Il ver dicesti È mio padre! Io lo sentìa Quando'.il
labbro suo: terribile. Me colpevole maledia. È mio padre!
Ancor lo sento AI perenne! e fier tormento.‘ ©’ Che m’ opprime e
strazia il cor. Laura Pietà del misero. Tuo
genitor. Lorenzo L’accento tuo terribile E un dardo al
traditor. ebic Laura Lorenzo. it i #1) Ma shananorazi scenza
sanacenencacaee cena sane oean coneesccnio naacea —ea—e@ce0cui0reò’npsQa”ncceinci’’’
ne Agp ipmpasrssssso Lorenzo Nol posso! Laura Va da me lungi, o
perfido, Se nieghi al genitor Salvar la vita.
E sorga il dì terribile Che ognuno, o traditor,
Ti nieghi aita. Lorenzo Taci! e che far poss’
io? Laura Aiutarmi a salvarlo; tu lo puoi! ‘Ei fugga da
quell’orrida Fossa in serena terra, Ove su lui degli uomini Taccia
sì cruda guerra. Ove un demén carnefice Non trovi nell’
amico, Nel figlio, un traditor; Ove il sovran suo spirito
Onnipotente e pio Possa inalzarsi libero Di tutti al Padre, a
Dio; E riabbracciar qui un figlio, Che traviò pentito,
Stringendolo al suo cor.pra, im masasenananasa sesc’poosson costor09 posporooscoesaesose
Lorenzo Quell’ardire, che in volto a te brilla, La speranza, la fede
m' ispira: E una sacra, divina favilla Della fiamma,
che tarde nel cor. Raura e Lorenzo (assieme) Con te nutro la
credula speme, Che a giustizia il trionfo sorrida; Siamo uniti per
vincere insieme Od insieme da forti morir. (partono). Muta la
scena. Carcere di B. con porte in fondo: dentro vedesi un giaciglio di
pietra, una seg- giola ed un tavolo su cuì arde una lampada. A sinistra
una scala da cui si accede agli Uftizii del- l’
Inquisizione. Giordane (seduto sul giaciglio) Ecco, o Roma,
l’eretico In questo tetro carcere rinchiuso! Del sangue suo
dissetinsi I tuoi Inquisitori Ebbri di gioia in lor
ciechi furori! (Gleaso Sul rabido rogo dall’empio innalzato
La fiamma divampa sanguigna e stridente, Ma in mezzo
all'incendio securà possente Del martire invitto la voce s’
udrà. Il rogo non strugge la
libera idea; Ma, eterna fenice — risorge o sfavilla; Del vasto
creato — nel verbo s'inslilla Te dense tenebre del mondo a
fugar. In mano ai carnefici chi,
miser, mi trasse, Tu fosti, mio figlio;
tu sli maledetto Ma no maledirti, ma no, nol poss’io: La morte è
un trionfo per me, figlio mio! LORENZO apre con furia la porta del fondo
che mette nel carcere; indi entra anche LAURA. Entrambi «$0NO
Raealii in domino nero come i servi dell’Inquisizione. Lorenzo (di piedi
di GIORDANO) Padre mio! Tuo figlio. B. Non sogno!
Lorenzo Si, son io, ch’ hai maledetto; Ma figlio tuo! Ripeti un
altra volta La tua maledizione i Coll’ accento d’ un padre, ed al
mio cuore Più cara suonerà di quel che fora Del sacerdote la benedizione
; Ah! lasciami morir a pieid tuoi. TIrCItIVISIÀ poorrcens ersantisaazuztt=veSnII=TIERERA
TATE conuaca riv ertaziori (apusa ra rara zar sara ra bist enaneronesane B. Felice
è un tal momento! A me t’ adusse Iddio; Ora tu sei redento!
M’ abbraccia, o figlio mio. Lorenzo Padro' i] mio cuore un
balsamo Nella tua voce trova! Col tuo perdon risorgere
Mi sembra a vita nuova. Laura Redento il figlio,
accoglierlo Ben può il paterno core; Quale inattesa grazia
!.., Disparve ogni terrore. Mutti (inginocchiandosi) Gran Dio,
che fra le angoscie Apri a quest’ alma il riso, E mesci ai
loro spasimi In terra un paradiso. A te, che i santi vincoli
Riannodi di natura, Salga da queste mura L’ inno de’
nostri cor. B. (STO ER Dal fondo del cor mio 2/0 SARA Grazie a te
sien, gran Dio! a Pi E | re k » à, s ER wr:
DETTI, e ROMANO, che presentasi in cima della ° dente. Fissa collo
sguardo LORENZO, indi scende rapidamente. Lo seguono il GUARDIANO
Retles va x carceri e i SERVI del S. UHEIZIO: da si ‘Romano
< È Come tu qui?... La figlia ancor Di vedo, ea Oh mio furore '
eco 3 F : x Laura e Lorenzo 00 o O qual terror! > ua |
Romano È Giiordano. Questa ou fatale a me una figlia nn dio Spa ma a
te la vita. (LEANDRO, il GUARDIANO delle carceri ei SERVI. del S.
UFFIZIO mascherati ed armati si ap- d pressano). Lg i VEL 7
Pi AE Li unisoseorevrespropeosovo ” Romano (B.)
Trencar ti voglio, qual vile stelo ; Delle tue carni la terra e il
Cielo Io colle fiamme consolerò. Lorenzo Ed io fidato
m’ ero a tal jena ? Tutto l’inferno qui si scatena, E cielo e terra
han di te orror. Laura e Leandro Sublime martire! La tua gran
vita Tronca in un lampo tra l’infinita Gioia... Qual strazio sento
nel cor! B. Del mio carnefice sul volto scritto Sta col livore
il suo delitto; Solo dal Cielo giustizia avrò. Romano (a°
Soldati) Innanzi al Tribunal condotto sia. Coro (Servi e
Soldati) S'innalza un turbine Di guai novelli. Su de’ fratelli
— Tratti in error. E l’empio eretico < «N° è
lavcagionez 9:13 <L Maledizione Sul corruttor! Al rogo
ignifico ‘ Condotto Sia. © Chi l’eresia Tra noi portò. Legge
inviolabile Il turbolento A tal tormento Già condannò.
RIC FROCIO RA ATONTAITA Gran sala nel Palazzo dell’Inquisizione in
Roma. Nel fondo una Galleria apertà sostenuta da colonne, fra ile
quali: si, aprono grandi fin:stre che lasciano tra- vedere le cupole e i
colli di Roma. Porta: a de- stra e a sinistra. Nel mazzo un tavolo con
quattro candelabri. Siedono al tavolo il grande INQUISITORE, ROMANO e )
UE SCRIVANI. DUE SERVI «ai. lati, quindi gl’ INQUISITORI, i Coro
d'Inquisitori || |) eo nembo dall’aere piove Lupa ' Di
Giordano su:l’empia cervice! "Non v'ha niun che l’appelli
infelice, Non v'ha cor che si muova a pietà. Pronto è il
rogo, la fiamma divampa. E pur essa la vittima è pronta! AI gran Nome
Cristiano quest’onta. Or. dal fuoco purgata sarà. } B.
(appressandosi). O sommo Inquisitor! Giunta è l'estrema Ora, che me
a gran prova... al rogo.... appella! G. Inquisitore (alle guardie)
Fuor della porta vigilate! (le guardie e i servi partono) O
Bruno Di Nola! Quest’ è 1’ora che vi chiama Alla prova del fuoco....
a morte.... 0 a vita Lieta d'ogni uom nel mondo! E a voi concesso
Ciò e’ ha nessuno fu giammai; la scelta Fra la vita e la morte!
Scegliete. E in, vostre man la vostra sorte! Giordano (Mi
tentan!) Che si vuol da ms? Parlate. G. Inquisitore Qui in faccia a
tutti, dichiararvi figlio Della Romana Chiesa ora e in eterno E vi
doniam la vita; rimarrete Prigion; ma al figlio libertà darete! B.
(Dèmone tentator!) Nol vò.... nol posso! G. Inquisitore (qa
RomaANO)] Perduto! Udiste? La sentenza è data! Parte coi
servi, Le guardie circondano GIORDANO e partono). i Romano, in
preda a soffocato sdegno. Cieco sirumento io sono all’empie voglie
Di costoro! Ubbidir sempre... e frattanto Spezzare di mia figlia il
vergin core, Serbando la mia vita al lutto e al pianto! O Laura, tu
l’adori D’averno il rio Filosofo, Che con l'accento magico
Tuo cuor conquise già. Or ei morrà sul rogo!... Ma temo per mia
figlia... Dal duol trafitta, all’empio Vicina ella cadrà!...
Senza la figlia, il padre Più viver non potrà. To l’adoro! In lei
Tiposi Ogni speme ed ogni alta; La mia luce, la mia vita Con
la sua si spegnerà. Volgi, o Dio su me, su lei Un tuo sguardo
protettor, E la figlia, che perdei Deh! ridona al genitor. (ROMANO
parte da sinistra e nell'uscire si. moontra con LAURA).Laura
(apprdssandosi ‘a ROMANO. Ah! padre caro, mi benedici! Quel divin spirto,
che t’empie il core, Io pur lo sento! Odio i nemici Di quel gran
ùomo;-che' giùsto muore. Ma tu, che. il puoi, deh! tu lo salva; Se Do,
«con Lui io morirò. Romano La rea fiamma, che in cor ti VE Per chi
scuote de’ Papi l’impero, Sulla fronte il delitto’ ti Stampa Che tu
svolgi nel cupo pensiero. Salvo tu vuoi Giordano? Iniqua ! Nol sperar...
tu Il chiedi > invano. iLaura (con disperazione) Più di
salvarlo non v' ha speranza! L’ala nel tempo batte spietata! Ah! la fatale
ora 8° avanza. i Con te Giordano io morirò. ( prende il veleno) A
morte infame traggono. ; L’ apostolo del vero; Ma dal suo rogo.
pallida; | La fiamma sorgerà. Che sovra. il cieco popolo La
luce porterà; COLERE Nè più potrassi spegnere Quel fuoco che
foriero Sarà di libertà. Coro frecta judicate filù
hominum Laura Quai voci ascolto! Lugubre E questo il canto
estremo, ch’ora al supplizio adduce- L’apostolo del
Ver. Coro Recta judicate fili hominum Laura Con
te Giordano! Morir voglio! Al gaudio tuo volar desio. {LORENZO e
LEANDRO col corteo funebre s’inol- trano nella scena. GIORDANO Tifo, le
guardie si fa avanti nel mezzo). B. Gran Dio! la vittima. Tu
vedi pronta Il rogo a scendere \a 1 1 Per la tua, fe; CERRI
TERA ee L'ira de’ perfidi, Ovunque. conta, Oggi
terribile Piombò su di me. Coro Etenim in corde iniquilates
operamini; Injustitias manus vestrae concinnant. Lorenzo Si
squarcino le tenebre Or dell’uman pensiero, E torni vivo a
splendere Il sol di verità, Che strugga alla tirannide
L’atroce maestà, E’ incenerisca i fulmini Del mistico
nocchiero Nella futura età. Giordano e Leandro Da’ rei
carnefici Il rogo ardente Pel nuovo martire E posto là;
Ma la giustizia Di Dio clemente Le braccia schiudere A Lui
vorrà. GIORDANO circondato ddlle guardie parte col corteo. Leandro, Cero. In
terra injustitias manus. vestrae concinnant. LORENZO s’appressa a LAURA,
che si troverd, vicina. a ROMANO), i Lorenzo, con disperazione. O
Padre, addio. Per me l’estrema Ora fatale suonata è già?
Guarda tuo figlio, che più non trema Nel vendicare la verità.
A me di Laura l’amor fu tolto: Perchè un mistero buio sognai. Ah! padre,
credilo, tutto: ignorai; Solo or la luce scorgo del Ver. ER
omamno Lorenzo! Lorenzo [trattosi dall’ abito uu
pugnale, si ferisce) Laura! Laura (riavendosi avvicinasi a
LORENZO) Al gaudio Ei vola. Romane (sorreggendo
LORENZO) Serbate a quanti spasimi E il povero mio cor?
o aaravai -ercerecote e merie—i ve oraconcorsoee «n - peacee
-LilsSTFri= pone rete na dor e. Lorenzo È tardi, o padre, il
piangere. Anche Lorenzo... muor! (gli cadde ai piedi). Romano. Odesi
“una campana a lenti rintocchi; avvicinandosi a LAURA e
sorreggendola/ Orribil pena mi strazia il core... Un
disumano fui genitore! Non v’ha infelice al par di me! Laura
(presso LORENZO) Lieta è quest’ ora... della mia vita. Bel paradiso la
via... m’ addita B. Io volo... In ciel. con tel. Da una finestra vedonsi
le fiamme del rogo, ed un urlo di popolo annunzia la fine dello
spettacolo. Cala la tela. Refs.: Luigi Speranza, Bruniana. Filippo Bruno.
Giordano Bruno. Keywords: paganesimo ario, anti-catolecismo, anti-papismo,
filosofia come anti-religione, ragione, non fede, contra la fede, fede
irrazionale – irrazionalismo della religione, irrazionalismo, ario, ariano,
tradizione aria, religione pagana, filosofia e religione nella Roma antica –
irrazionalismo della religione antica romana – carattere metaforico della
religione pagana della Roma antica, ermetismo, composizione dei signi, de
signorum compositione, compositio signorum, asino,asinita, Spaventa, Giudice,
Cacciatore, Gentile, implicatura e ligatura, relativita, infigurabile,
indeterminabile, Grice, indeterminacy, open, implicature, il Bruno di Marlowe;
il Bruni di Shakespeare (Pene d’amore perdute), Grice e Bruno a Oxford. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Bruno” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Bruzi: la ragione conversazionale el’implicatura
conversazionale dei goti -- scuola di
Squillace – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Squillace).
Filosofo italiano. Squillace, Catanzaro, Calabria. Grice:
“Cassiodoro was possibly a genius; I mean, I wrote a logic, and so did he – but
he was ‘consul’ on top! My favourite – and indeed, the ONLY tract by him I
recommend my tutees is his “Dialettica” – Strawson prefers his “De anima,” but
‘anima’ is a confused notion, for Wittgenstein and neo-Wittgensteinians
alike – no souly ascription without behaviour that manifests it! – whereas with
‘dialettica’ you are safe enough!” –Grice: “I should be pointed out that of the
three of the trivial arts – ‘dialettica’ is the only one that deals with my
topic, conversation or dia-logue – grammatical is almost autistic, and rhetoric
is for lawyers, i. e. sharks! Only ‘dialettica’ represents why those in the
Lit. Hum. programme chose ‘philosophy’!” Grice: “Dialettica INCORPORATES all
that grammatical and rettorica can teach!”. Cassiodoro Flavio Cassiodoro Gesta Theodorici Flavius Magnus
Aurelius Cassiodorus. Cassiodoro, da un manoscritto su vellum del XII secolo.
Magister officiorum del Regno Ostrogoto MonarcaTeodorico il Grande Atalarico PredecessoreSeverino
Boezio Prefetto del pretorio d'Italia MonarcaAtalarico SuccessoreVenanzio
Opilione Monarca Teodato Vitige PredecessoreVenanzio Opilione Successore
Fidelio Dati generali Professione filosofo Flavio Magno Aurelio Cassiodoro
Senatore (latino: Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator. Vive sotto il
regno degli ostrogoti. Percorse un'importante carriera politica sotto il
governo di Teodorico ricoprendo ruoli tanto vicini al sovrano, da far pensare
in passato ad un effettivo contributo diretto al progetto del re ostrogoto.
Successore di Boezio, oltre che consigliere, fu cancelliere de Teodorico e il
compilatore delle sue lettere ufficiali e dei provvedimenti di legge. Collabora
anche con i successori di Teodorico. Al termine della guerra si stabilì
in via definitiva presso Squillace, dove fondò la biblioteca di Vivario. La
fonte principale che ci permette di conoscere la famiglia di Cassiodoro è data
dalla sua più vasta e importante opera, le “Variae”. Nasce in una delle più
stimate famiglie dei B., facente parte del patriziato. L'origine del nome è da
ricercarsi in un luogo di culto dedicato a Giove. Da una lettera scritta da B.
per Teodorico abbiamo notizie sui suoi genitori, così come su un parente di
nome Eliodoro. Dall'antica origine della famiglia si può comprendere la scelta
dei B. come nuova patria, essendo questa una zona della Magna Grecia. Si hanno
notizie inoltre del suo bonno, definito “vir illustris” e del nonno Senatore.
Quest'ultimo fu tribuno sotto Valentiniano III, e in qualità di ambasciatore
conobbe il re degli Unni Attila. Odoacre e Teodorico ritratti nelle
Cronache di Norimberga. Al padre furono indirizzate alcune lettere delle
“Variae”, il che ci offre più dati su di lui. Ricoprì il ruolo di comes rerum
privatarum e successivamente di comes sacrarum largitionum nel governo di
Odoacre. Mantenne la propria posizione di funzionario d'amministrazione anche
sotto Teodorico, tanto da diventare governatore provinciale. Lo si ritrova
governatore della Sicilia, e dopo essere entrato nelle grazie di Teodorico,
governatore della Calabria, quando si ritirerà alla sua villa. Così come
per i suoi familiari, ricaviamo notizie sulla vita di B. solo dalle sue opere.
La nascita e quella indicata dal Tritemio nel suo “De scriptoribus” (Basilea).
Il menologio lo ricorda. Per quelli che, come Theodor Mommsen, non ritengono
attendibili i dati del Tritemio, le date di nascita e morte di B. rimangono
ipotizzate, principalmente grazie a quelle note dei suoi incarichi
amministrativi; nonostante ciò molte cronache tendono a confondere alcuni dati
della vita di Cassiodoro con eventi vissuti dal padre, attribuendo una grande
longevità al letterato di Squillace. Proprio per quanto riguarda Squillace, non
è certo che vi nacque. Molto più probabilmente vi passò l'infanzia, ricevendo
dalla propria famiglia una prima educazione e seguendo degli studi. Ancora
giovane fu avviato dal padre alla carriera pubblica, per la quale ricopre anzitutto
il ruolo di “consiliarius”, per poi diventare quaestor sacri palatii, forse
perché Teodorico apprezza particolarmente un panegirico che egli aveva
composto. Poco tempo dopo ricevet il governatorato di Lucania e Bruttii,
notizia che si può apprendere da una lettera inviata al cancellarius Vitaliano.
Seguendo differenti interpretazioni storiche, questa congettura è stata però di
recente messa in dubbio. Risale la designazione a console. Nonostante si
trattasse ormai di una carica onorifica manteneva una certa importanza,
permettendolo di ricoprire il ruolo di eponimo. Dei anni successivi non si
conosce salvo la pubblicazione della Chronica. Successivamente, fu nominato
magister officiorum del re, succedendo nella carica a BOEZIO (si veda). Il
ruolo e di grande prestigio, e rappresenta con esso il capo
dell'amministrazione pubblica, degli official
e delle scholae palatinae. Alla morte di Teodorico, si apre una complessa fase di successione.
Divenne ministro della la figlia di Teodorico, succedutagli sul trono come
reggente per il figlio Atalarico. Presumibilmente perdette parte della sua
influenza nei primi anni di tali mutamenti politici, ma seppe poi riproporsi e,
con un lettera di Atalarico, guadagna il titolo di Prefetto del pretorio per
l'Italia. Non ricopre questo ruolo politico per molto tempo. Atalarico morì e
ai consueti problemi di successione si aggiunse la malvolenza di Giustiniano
verso gli ostrogoti, insofferenza che culminò poi con la guerra gotica. Resse
nuovamente la prefettura, sotto i re Teodato e Vitige, per poi abbandonare
definitivamente la carriera pubblica. Nelle Variae si possono trovare le ultime
lettere scritte per conto di Vitige, anche se non viene detto nulla sul
concludersi della sua funzione politica né si sa alcunché dei suoi successori.
Di fronte all'avanzata bizantina rimase dapprima in ritiro a Ravenna, luogo che
offriva ancora una certa sicurezza. Ravenna e conquistata dalle truppe
imperiali, e da quel momento si perdono le sue tracce. Le alternative vagliate
sono una permanenza a Squillace, dove però avrebbe avuto scarse possibilità di
movimento, o una permanenza più lunga a Ravenna. Lo si ritrova nel seguito di
papa VIRGILIO a Costantinopoli, città nella quale potrebbe anche aver
soggiornato, secondo una terza ipotesi, in un periodo precedente alla data
conosciuta. Rientrò nei Bruttii solo dopo la fine della guerra, ritiratosi
definitivamente dalla scena politica, fondò il monastero di Vivario presso
Squillace. Si hanno anche per questa parte della sua vita pochissime informazioni,
non si conoscono quindi le motivazioni che lo portarono alla creazione di
questa comunità monastica né particolari sulla contemporanea situazione
politica della penisola italica; per quanto riguarda la sua situazione
personale, si può ipotizzare che non ebbe eredi diretti. Al Vivarium trascorse
il resto dei suoi anni, dedicandosi allo studio e alla scrittura di opere
filosofiche. Qui istituì uno scriptorium per la raccolta e la copiatura di
manoscritti, che fu il modello a cui successivamente si ispirarono i studii.
Opera, il De ortographia. IL'obiettivo principale del progetto
politico-culturale di B. fu quello di accreditare il regno teodericiano come
una restaurazione del Principato, ossia quella forma di governo che aveva
garantito la collaborazione, formalmente quasi paritaria, tra l'imperatore e la
classe senatoria. Questa autorappresentazione del governo goto serviva in primo
luogo come legittimazione del regno nei confronti dell'Impero
costantinopolitano. Sostanzialmente, essendosi conformato il regime ostrogoto
al modello imperiale, il primato dell'imperatore e fondato esclusivamente su un
piano carismatico (pulcherrimum decus). Al tempo stesso, tale imitazione da
parte di Teoderico poneva l'Amalo in una posizione di superiorità nei confronti
degli altri regni barbarici attraverso un principio politico-carismatico,
basato su una gerarchia di due livelli (l'impero e il regno di Teoderico, gli
altri regni), con un vertice binario e leggermente asimmetrico. Tra tutti gli
altri dominantes, Teoderico era il solo che, per volontà divina, aveva saputo
dare al suo regno gli stessi fondamenti etici e legali dell’imperium: il suo
regno era una replica perfetta del modello imitato e a sua volta un modello. Giardina.
La prospettiva di B., infatti, non è più l'impero universale, bensì quella
nazionale dell'Italia romano-ostrogota, autonoma ed egemone rispetto agli altri
regni occidentali, sebbene siano state avanzate riserve circa la reale
ambizione di Teoderico di assumere l'eredità del decaduto Impero romano
d'Occidente. In particolare, il fondamento dell'ideologia cassiodoriana ruota
intorno al concetto di “civilitas”, che indica tanto il rispetto delle leggi e
dei princìpi della romanità, quanto la convivenza sociale, giuridica ed
economica di romani e stranieri fondata sulle leggi. Secondo B., il regno goto
si sarebbe fatto custode della civilitas, garantendo così la giustizia e la
pace sociale (l’otiosa tranquillitas, cioè l'obiettivo di ogni buon governo),
in accordo con la legge divina e la migliore tradizione imperiale romana. Il
richiamo all'ideologia del Principato da parte di Teoderico e Atalarico si
basa, nella fattispecie, sull'emulazione della figura di Traiano, così come
tratteggiata nel Panegirico di PLINIO (si veda) il Giovane. Con il regno di
Teodato, invece, il principale modello di riferimento fu quello
dell'”imperatore-filosofo” -- un ideale etico-politico ampiamente imbevuto di
caratteri neoplatonici. In seguito, nell'impellenza della guerra greco-gotica,
Vitige si distinse per il recupero di un'ideologia più specificamente
germanica, in cui e messi in risalto le virtù bellica e l'ardore
guerriero. San Benedetto da Norcia.
Inoltre esiste la possibilità che un primo abbozzo di ciò che sarebbe
diventato il monastero esistesse già da tempo, presente nei territori di
Squillace da una data sconosciuta e utilizzato come residenza da C. solo al
ritorno in patria dopo la guerra gotica. Ad ogni modo non aiuta nelle varie
ipotesi il silenzio delle fonti, poiché le Variae erano state già pubblicate e
nessuna delle opere dell'ormai ex politico trattò di questa fondazione; nulla
si conosce sul parto di questo progetto, né quando quest'idea fosse stata
concepita. Nonostante si intuisca dalle ultime opere di B. un avvicinamento
potente alla fede cristiana (si pensi al De anima e all'Expositio Psalmorum, il
monastero di Vivario nacque con uno scopo differente dal celebre Ora et labora:
l'obiettivo principale del nucleo monastico fu infatti la copiatura, la
conservazione, scrittura e studio dei volumi contenenti testi dei classici e
della patristica occidentale. La caratteristica di Vivarium era quindi la sua
forma di scriptorium, con le annesse problematiche di rifornimento materiali,
studio delle tecniche di scrittura e fatiche economiche. I codici e manoscritti
prodotti nel monastero raggiunsero una certa popolarità e furono molto
richiesti. Le forme entro cui si espresse invece l'organizzazione monastica dal
punto di vista religioso sono ben poco chiare, né aiuta l'assenza di
riferimenti alla vicina esperienza di Benedetto da Norcia; forse C. non ne
conobbe neppure l'esistenza, o potrebbe averne parlato in opere non giunteci.
Alcuni storici avanzano l'ipotesi che la Regula magistri, su cui si basa la
Regola benedettina, sia addirittura opera dello stesso B. Questo presunto
rapporto tra i due è però generalmente rigettato dagli studiosi, anche alla
luce di alcune citazioni provenienti dalle Institutiones che chiariscono le
norme monastiche adottate da Vivarium. Voi tutti che vivete rinchiusi entro le
mura del monastero osservate, pertanto, sia le regole dei Padri sia gli ordini
del vostro superiore e portate a compimento volentieri i comandi che vi vengono
dati per la vostra salvezza... Prima di tutto accogliete i pellegrini, fate
l'elemosina, vestite gli ignudi, spezzate il pane agli affamati, poiché si può
dire veramente consolato colui che consola i miseri. B., Institutiones. Ritratto
del profeta Esdra nel quale per molto tempo si riconobbe la figura di C.,
contenuto nel Codex Amiatinus. Questa citazione mostra come Vivarium seguisse
quindi le più comuni regole monastiche contemporanee, mentre altri passaggi
delle Institutiones ci suggeriscono un ruolo laico per C., forse esterno alla
vita monastica e puramente patronale Il vero centro vitale di Vivarium
era, particolare che segna la differenza con ogni altro centro monastico, la
biblioteca. C. distingue inoltre i libri del monastero da quelli personali,
differenza poi scomparsa in un periodo successivo. E la biblioteca, infatti,
come centro di cultura di tutto il monastero, la novità del suo programma, una
biblioteca nata ed accresciuta secondo le intenzioni del fondatore che dei suoi
libri conosceva non solo la sistemazione, perché l'aveva curata personalmente,
ma anche i testi, perché li aveva studiati, annotati, arricchiti di segni
critici, riuniti insieme secondo la materia in essi trattata e persino
abbelliti esteriormente. Il monastero prende nome da una serie di vivai di
pesci fatti preparare dallo stesso B. La loro presenza rappresentava un forte
valore simbolico, legato al concetto di Cristo come Ichthys. Non lontano dal
centro si trovava una zona per anacoreti, riservata a monaci con pregresse
esperienze di vita cenobitica. Vivarium sorgeva, secondo gli studi ad oggi
compiuti, nella contrada San Martino di Copanello, nei pressi del fiume Alessi.
In quella zona fu ritrovato un sarcofago, associato a graffiti devozionali e
subito considerato la sepoltura originale di B.. Per ciò che riguarda la
ripartizione del lavoro, i monaci inadatti a seguire la biblioteca con annessi
oneri intellettuali sono destilla coltivazioni di orti e campi, mentre i
letterati si occupavano dello studio delle sette arti liberali (dialettica, retorica,
grammatica, musica, geometria, aritmetica, astrologia) questi ultimi erano
divisi in notarii, rilegatori e traduttori. Le opere di carità erano
espressamente raccomandate dal fondatore, e legati a queste fiorivano gli studi
di medicina. Cassiodoro fece preparare tre edizioni differenti della Bibbia e
si occupò di copiature e riscritture di molti altri testi della cristianità,
considerando tutto ciò una vera e propria opera di predicazione. Non mancano
però nella biblioteca di Vivarium i testi profani: tra gli altri furono salvati
grazie all'opera di B. le Antiquitates di Giuseppe e l'Historia tripartita. Le
opere di B. del periodo di Teodorico, quelle da noi conosciute, sono tre: le
Laudes, la Chronica e l'Historia Gothorum. Della prima si sono conservati solo
due frammenti, mentre della Gothorum Historia rimane solo un'epitome a opera
dello storico Giordane. La Chronica racconta la saga dei poteri temporali di
tutta la storia, dai sovrani assiri sino ai consoli del tardo Impero, passando
ovviamente per tutta la storia romana. Possediamo un frammento di un'ulteriore
opera, l'Ordo generis Cassiodororum, che ci offre notizie sulla famiglia
dell'autore. Tra la produzione di Cassiodoro occupano un posto speciale le
Variae, raccolta di documenti ufficiali scritti i quali ci offrono quindi
informazioni su differenti periodi della vita dell'autore e sulla storia dei
Goti. A queste si può aggiungere il “De Anima”, opera per la prima volta
lontana da interessi politici e invece basata su temi della filosofia
psicologica. Il terreno religioso è battuto anche dalla successiva Expositio Psalmorum,
commento ai salmi di particolare importanza poiché unico esempio pervenutoci
dal mondo tardo antico. Al periodo di Vivarium appartengono tra le opere a noi
giunte, le Institutiones, le Complexiones in epistolas Beati Pauli e le
Complexiones in epistolas catholicas, le Complexiones actuum apostolorum et in
Apocalypsi e il De ortographia. La prima, senza dubbio l'opera più importante
di B., è datata in un periodo in cui il centro monastico era sicuramente
avviato; rappresenta sostanzialmente una "guida" per gli studi nel
monastero, è ricca di informazioni sulla vita dei monaci e sulle opere
intellettuali da loro compiute. Il De ortographia sarà la sua ultima opera,
scritta attorno ai novant'anni. Uno scritto di chiari intenti politici è
la Chronica, una sorta di storia universale scritta su richiesta per celebrare
il consolato di Eutarico Cillica (diviso con l'Imperatore Giustino), genero di
Teodorico e designato al trono. Il sovrano d'Italia non aveva eredi maschi
mentre Eutarico, sposandone la figlia Amalasunta, era riuscito a donargli un
nipote, Atalarico. Alla luce di questa nuova dinastia, la scelta di offrire il
ruolo di console a Eutarico rappresentava quindi un importante evento politico:
si trattava della celebrata unione tra i romani ed i goti, progetto che poi
fallirà tragicamente. L'opera, che come comprensibile dal titolo ha chiari fini
storici, propone una successione dei grandi poteri politici succedutisi nella
storia, passando da Adamo sino ad approdare con Eutarico. È basata su numerose
fonti che Cassiodoro spesso cita quali Eusebio, Gerolamo, Livio, Aufidio Basso,
Vittorio Aquitano e Prospero d'Aquitania. Per la trattazione successiva invece
l'autore è autonomo. L'elemento dell'opera che maggiormente colpisce è il suo
carattere spiccatamente filo-gotico. B. arriva a manipolare alcuni eventi
storici o a farne addirittura scomparire altri, al fine di non far apparire i
Goti sotto un'oscura luce. Historia Gothorum Re Davide vincitore in una
miniatura dall'Expositio Psalmorum, presente nell'edizione del B. di Durham.
Una delle sue opere più importanti fu il De origine actibusque Getarum, più
noto come Historia Gothorum, nel quale la sua ideologia filogotica era
tracciata e sviluppata in maniera più organica. Si considera l'opera
contemporanea o poco successiva alla Chronica, anche se più studiosi tendono a
ritenerla più recente, forse composta dopo. Certamente la stesura fu
caldeggiata da Teoderico, per essere infine pubblicata sotto Atalarico.
Nonostante ciò essa ci è pervenuta solo nella versione ridotta dello storico
Giordane, i Getica. Prima storia nazionale di un popolo barbarico, la Historia
Gothorum era tesa a glorificare la dinastia degli Amali, la stirpe regnante,
attraverso una ricostruzione della storia dei Goti dalle origini ai tempi
presenti. Il tentativo più ardito dell'opera fucome emerge dal titolo
stessol'identificazione dei Goti con i “geti” -- popolazione già nota a Erodoto
e maggiormente conosciuta dal mondo romano. Il racconto narra eventi storici e
come scopo ha inoltre quello di celebrare l'unione tra goti e romani, qui
comprovata dal matrimonio tra il romano Germano Giustino e l'amala Matasunta.
Il fine ultimo dell'opera lo svelaper bocca di Atalarico Cassiodoro stesso.
Questi B. ha sottratto i re dei Goti al lungo oblio in cui li aveva nascosti
l'antichità. Questi ha ridato agli Amali la gloria della loro stirpe,
dimostrando chiaramente che noi siamo stirpe regale da diciassette generazioni.
L'origine dei goti egli ha reso storia romana, quasi raccogliendo in una corona
fiori prima sparsi qua e là nel campo dei libri. Dell’Ordo generis B. rimane un
solo frammento in più copie. Il l testo, dalla difficile interpretazione,
fu composto negli anni della carriera pubblica di B. ed è dedicato a Rufio
Petronio Nicomaco Cetego. L'opera offre rare notizie sulla famiglia di
Cassiodoro, in particolare sul padre; nelle poche righe centrali vengono
nominche BOEZIO e Simmaco, il che farebbe pensare ad un qualche grado di
parentela tra l'autore e queste due figure, impossibile attualmente da
stabilire. La sua attività di funzionario al servizio del regno goto è
testimoniata dalle Variae, una raccolta di lettere e documenti, redatti in nome
dei sovrani o trasmessi a firma dell'autore stesso in un arco di tempo che va
dall’assunzione della questura al termine della carica di prefetto al pretorio.
Il titolo come l'autore spiega nella prefazione all'opera è dovuto alla
“varietà” degli stili letterari impiegati nei documenti del corpus, il quale
divenne successivamente un riferimento per lo stile cancelleresco e curiale.
Espone nella praefatio dell'opera il fine di questa raccolta di testi, ovvero
la necessità di fornire nozioni utili a chiunque si dovesse in futuro accostare
alla carriera pubblica. Ulteriore obiettivo dichiarato è quello di far conoscere
i propri trascorsi come membro del ceto dirigente.Le Variae sono assai utili
per conoscere le istituzioni, le condizioni politiche, morali e sociali sia dei
Goti sia dei Romani dell'Italia del tempo. Cominciato poco prima della
conclusione delle Variae, il “De anima” è considerato da B. come una sorta di
volume per quest'opera, quasi ne rappresentasse l'appendice. Affronta temi
esterni al mondo della politica, avvicinandosi agli stessi interessi spirituali
che poi toccherà con la Expositio Psalmorum. Il “De anima” si dipana su XII
questioni, tra le quali l'incorporeità e il destino dell'anima, legata alla
tradizione di Tertulliano, Agostino e Claudiano Mamerto. Anche per l’Expositio
Psalmorum non è possibile dare una datazione certa, anche perché la sua
composizione sembra essere stata portata avanti per un periodo abbastanza
prolungato. Si tratta di un commento completo ai salmi, unico esemplare
rimastoci da tutta la tarda antichità. Per mole è certamente l'opera maggiore
di Cassiodoro, anche se non viene considerata la più matura tra le sue
produzioni. Una più ampia influenza nel Medioevo ebbero le sue Istituzioni,
“Institutiones divinarum et saecularium litterarum”, erudita introduzione alle
sette arti liberali – dialettica, retorica, grammatical – musica, geomtrica,
aritmetica. Progettata dopo che la richiesta di Cassiodoro per la fondazione di
un'studi ricevette una risposta negativa da papa Agapito I, l'opera visse un
lungo periodo di incubazione: basti pensare che al suo interno cita il De orthographia,
ultima opera attestata di B.. Il lavoro su questa enciclopedia si suddivide in
varie sezioni: la prima presenta i vari libri della Bibbia, la storia della
Chiesa e degli studi teologici. La II si occupa di quelle arti incluse
successivamente nel trivio e quadrivio, con un occhio rivolto alla cultura
pagana e alle norme atte per trascrivere correttamente gli antichi. Altre opere
sono citate direttamente da B. nel De orthographia. Complexiones in Epistolas
et Acta apostolorum et Apocalypsin; si tratta di un commento ad alcuni passi
degli Atti degli Apostoli e dell'Apocalisse di Giovanni Expositio epistolae ad
Romanos (Commento alla lettera dei Romani). Liber memorialis; breve riassunto
del contenuto della Sacra Scrittura. Historia ecclesiastica tripartita, di cui
fu autore della sola prefazione. De orthographia; trattato destinato a fissare
norme e regole per la trascrizione di scritti antichi e moderni. Senator è
parte integrante del nome e non già designazione della carica pubblica
(Momigliano; Momigliano Le ipotesi che vogliono Cassiodoro organizzatore e
stratega nascosto dietro Teodorico sono ad oggi considerate generalmente
infondate, superate dalla tradizione che vede Cassiodoro estraneo alla politica
del regno; Cardini, Cardini, Abbate, Cardini, Momigliano, In Siria si trovano
attestati i nomi Κασιόδωρος e Κασσιόδωρος. B., Variae. Noto come Mons Cassius, da questo deriva
Kassiodoros, ovvero "Dono del Monte Cassio". Cardini. B.,
Variae, I, 4. B., Variae. Onore guadagnato forse per la difesa della Calabria
dai Vandali di Genserico. Rouche, IV- Il grande scontro, in Attila, I
protagonisti della storia, traduzione di Marianna Matullo, 14, Pioltello (MI), Salerno Editrice, Cardini,
Tuttavia non si conosce né la data in cui ricoprì la carica né il nome della
provincia. Cardini, Il nome stesso di B. viene riportato solo nelle
lettere dei papi Gelasio, Giovanni II e Vigilio. In Cardini, ci si sofferma su dizionari e
prontuari la cui affidabilità è considerata generalmente affidabile; in
particolare si cita l'opera Lessico classico di Federico Lübker. Cardini; scrive ad esempio nel Vivarium un
trattato di ortografia. Franceschini Cardini B., Ordo generis; si tratta di una
carica pubblica con funzioni di consigliere.
Cassiodoro, Variae, B, Variae, Cardini. La congettura si basa su un
passo delle Variae, in cui però B. non afferma esplicitamente di essere stato
governatore dei Bruzi. Questa ipotesi è stata rimessa in discussione da
Giardina e Cardini (Giardina). Cardini, Aveva cioè la possibilità di dare il
proprio nome all'anno, unitamente a quello del collega. Cardini, B.,
Variae, Ghisalberti. Ovvero le segreterie imperiali (officia memoriae,
epistularum, libellorum e admissionum).
Si tratta del corpo militare speciale incaricato di sorvegliare la corte
imperiale. Non si è certi se fosse stato
nominato prefetto del pretorio per la prima o seconda volta. Cardini, B.,
Variae, B., Variae, Momigliano; Cardini. Cardini. Cardini. Cardini. Reydellet,
Giardina. B., Variae, su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen).. Giardina, Teillet, Dietrich Claude,
Universale und partikulare Züge in der Politik Theoderichs, in «Francia», Reydellet,
Wolfram. B., Variae: Gothorum laus est civilitas custodita., su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de B., Variae: regnantis est gloria subiectorum otiosa
tranquillitas., su bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de). B., Variae, su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de Reydellet, Anonimo Valesiano: a Romanis Traianus
vel Valentinianus, quorum tempora sectatus est, appellaretur. B., Variae. Ecce
Traiani vestri clarum saeculis reparamus exemplum., su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de B., Variae, VIII 13,3-5: Non sunt imparia tempora
nostra transactis: habemus sequaces aemulosque priscorum. Redde nunc Plinium et
sume Traianum. Bonus princeps ille est, cui licet pro iustitia loqui, et contra
tyrannicae feritatis indicium audire nolle constituta veterum sanctionum.
Renovamus certe dictum illud celeberrimum Traiani: sume dictationem, si bonus
fuero, pro re publica et me, si malus, pro re publica in me su
bsbdmgh.bsb.lrz-muenchen.de Reydellet, Vitiello, Reydellet, Vitiello, Cardini, B.,
Expositio Psalmorum, Cardini, Cardini, Pellegrini, Cardini, B., Istituzioni,
Cardini, B., Istituzioni, Cardini, B., Istituzioni, B., Istituzioni, B.,
Istituzioni, B., Istituzioni. Questo
porta gli studiosi a ipotizzare una maggior partecipazione di B. al
progetto. B., Istituzioni Cardini,Cardini,
Cardini, Coloro che preparavano i testi per la trascrizione. B., Istituzioni,
I, B., Istituzioni, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini, Cardini,
Cardini, Altaner, Ceserani, Cardini, Cardini. La cronaca è un genere letterario
caratterizzato dall'esposizione di fatti storici in ordine cronologico.
Simonetti, Moorhead, B., Variae, De
origine actibusque Getarum, in sessanta capitoli. «La Historia Gothorum occupa un posto di
rilievo nella storia della cultura occidentale perché fu la prima storia
nazionale di un popolo barbarico: in tal senso essa introduce veramente il
medioevo». Simonetti, Simonetti, Germano Giustino faceva parte della Gens
Anicia, mentre Matasunta era nipote di Teodorico. Cardini, originem Gothicam historiam fecit
esse Romanam. B., Variae, Cardini Il frammento è noto anche come Anecdoton
Holderi; edizione critica e traduzione francese in Alain Galonnier,
"Anecdoton Holderi ou Ordo generis Cassiodororum: introduction, édition,
traduction et commentaire", Antiquité tardive, Cardini, B., Variae; B., Variae, XI, 7. Cardini, Momigliano, Istituzioni delle
lettere sacre e profane. Cardini, Cardini, Muse, B., Istituzioni. Opere di B. Expositio Psalmorum, M.A.
Adriaen, Le Cronache, Mirko Rizzotto,
Gerenzano, Runde Taarn, 2007. Le Istituzioni, Antonio Caruso, Roma, Vivere, Le
Istituzioni, Mauro Donnini, Città Nuova, Ordo generis Cassiodororum, Viscido,
M. D'Auria, Variae (traduzione parziale), Lorenzo Viscido, Squillace,
Pellegrini, De Orthographia, Tradizione manoscritta, fortuna, edizione critica
Patrizia Stoppacci, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, (Società per lo studio del Medioevo latino).
Expositio Psalmorum. Volume I, Tradizione manoscritta, fortuna, edizione
critica Patrizia Stoppacci, Firenze, Sismel-Edizioni del Galluzzo, (Società internazionale per lo studio del Medioevo
latino). Roma immaginaria, Danilo Laccetti, Roma, Arbor Sapientiae,. Confido in
te Signore. Commento alle suppliche individuali, Antonio Cantisani, Milano,
Jaca Book,. Autori moderni Samuel J. Barnish, Roman Responses to an Unstable
World: Cassiodorus' Variae in Context, in: Vivarium in Context, Vicenza, Centre
for Medieval Studies Leonard Boyle, Maïeul Cappuyns, Cassiodore, in
Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastique, Paris, Cardini, B. il Grande. Roma, i barbari
e il monachesimo, Milano, Jaca, Caruso, B. Nella vertigine dei tempi di ieri e
oggi, Soveria Mannelli, Centonze, Il Lactarius mons e la cura del latte a
Stabiae. Galeno, Simmaco, B., Procopio, Castellammare di Stabia, Bibliotheca
Stabiana, Arne Soby Christinsen, B. Jordanes and the History of the Goths:
Studies in a Migration Myth, Museum Tusculanum, Ruggini, B. and the Practical
Sciences, in: Vivarium in Context, Vicenza, Centre for Medieval Studies Boyle, Galonnier,
Anecdoton Holderi, ou Ordo generis Cassiodorum: éléments pour une étude de
l'authenticité boécienne des Opuscula sacra, Louvain-la-Neuve, Peeters,
Giardina, Cassiodoro politico, Roma, L'Erma di Bretschneider, Momigliano, B.
and Italian Culture of His Time, Oxford, Momigliano, B. in Dizionario
biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Momigliano, B., in Contributo alla storia degli studi classici e del mondo
antico, Roma, Storia e Letteratura, Moorhead,
B. on the Goths in Ostrogothic Italy, in Romano barbarica, O'Donnell, B.,
Berkeley Los Angeles Londra, Alessandro Pergoli Campanelli, Cassiodoro alle
origini dell'idea di restauro, Milano, Jaca, Pergoli Campanelli, Nova
construere, sed amplius vetusta servare: Cassiodoro e la nascita della moderna
idea di restauro, Studi Romani, Ravasi, B. il senatore, Il Sole24 ore, Reydellet, B. et l'idéal du Principat, in Id.,
La royauté dans la littérature latine de Sidoine Apollinaire à Isidore de
Séville (BEFAR), Roma, École française de Rome, Reydellet, Théoderic et la
«civilitas», in Carile, Teoderico e i Goti tra Oriente e Occidente. Congresso, (Ravenna,
Ravenna, Longo, Sirago, I B.. Una famiglia calabrese alla direzione d'Italia,
Soveria Mannelli, Teillet, B. et la formation d'une idéologie romano-gothique,
in Id., Des Goths à la nation gothique. Les origines de l’idée de nation en
Occident du Ve au VIIe siècle, Paris, Les Belles Lettres, Massimiliano
Vitiello, Il principe, il filosofo, il guerriero: lineamenti di pensiero
politico nell'Italia ostrogota, Stuttgart, Steiner, Herwig Wolfram, Die Goten:
Von den Anfängen bis zur Mitte des sechsten Jahrhunderts, München, Beck, Altri
testi Le Muse. Enciclopedia di tutte le
Arti, Novara, Istituto geografico De Agostini. Lezioni di letteratura
calabrese, Pellegrini Editore, Francesco Abbate, Storia dell'arte nell'Italia
meridionale, Donzelli; Berthold Altaner, Patrologia, Marietti; Ceserani e
Federicis, Il materiale e l'immaginario: laboratorio di analisi dei testi e di
lavoro critico, Loescher; Csaki, Contra voluntatem fundatorum: il monasterium
vivariense di B., ACTA Congressus Internationalis Archaeologiae Christianae
(Città del Vaticano-Split) Csaki, Il
monastero vivariense di B.: ricognizione e ricerche, Frühes Christentum
zwischen Rom und Konstantinopel, Akten des Kongresses für Christliche
Archäologie, Wien, hrsg. R. Harreither, Ph. Pergola,Pillinger, A. Pülz (Wien) Franceschini,
Lineamenti di una storia letteraria del Medioevo latino, Milano, I.S.U.
Università Cattolica, Ghisalberti, La filosofia medievale, Firenze, Demetra Giunti,
Ettore Paratore, Storia della Letteratura Latina dell'Età Imperiale, Milano,
BUR); Simonetti, Romani e Barbari. Le lettere latine alle origini dell'Europa,
Roma, Carocci. Opere di B., su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte
Orientale Amedeo Avogadro. Opere di B. /
B. (altra versione) / B. (altra versione), su open MLOL, Horizons Unlimited
srl. Opere di B,. Opere di B., su Progetto Gutenberg. B., in Catholic
Encyclopedia, Appleton. Opere di B.
nella Patrologia Latina del Migne Opere di B. nella Bibliotheca Augustana, su
hs-augsburg.de. Monvmenta Germaniae Historica, Societas Aperiendis Fontibvs
Rerum Germanicarvm Medii Aevi, Avctorum Antiqvissorum Tomus XII, Berolini apud
Weidmannos: B. Senatoris Variae, recensvit Mommsen, accedvnt I. Epistvlae
theodericianae variae edidit Mommsen. Acta synhodorvm habitarvm Romae A. edidit Th. Mommsen. III. Cassiodori orationvm
reliqviae edidit Lvd. Travbe. Sito ufficiale del Premio Cassiodoro, su
premiocassiodoro.eu. Aggiornamenti sul sito di Vivarium (fondazioni monastiche di
Cassiodoro), su centreleonardboyle. La fontana di Cassiodoro, su
centreleonardboyle.com). Beatus Cassiodorus e La fama sanctitatis di Cassiodoro
Sulla fama di santità di Cassiodoro nel Medioevo. Vivarium in Context
Archiviato il 4 giugno in.. Scheda libro
con recensioni dei saggi di S.J. Barnish e L. Cracco Ruggini citati nella. Le
dignità de' Consoli e de gl'Imperadori, e i fatti de' Romani, e
dell'accrescimento dell'Imperio, ridotti a compendio da Sesto Ruffo, e
similmente da Cassiodoro, e da M. L. Dolce tradotti et ampliati, appresso
Gabriel Giolito de' Ferrari, Venezia). Storici romani Antica Roma Antica Roma Biografie Biografie Cristianesimo Cristianesimo Letteratura Letteratura Lingua latina Lingua latina Medioevo Medioevo Categorie: Politici romani del VI
secoloLetterati romaniStorici romaniComites rerum privatarumComites sacrarum
largitionumConsoli medievali romaniCorrectores Lucaniae et BruttiorumMagistri
officiorumPrefetti del pretorio d'ItaliaScrittori. Grice: “The English had taught Italians that it’s not fair to call
Cicero an Italian, or Pythagoras, for that matter, since this all happened
before Garibalid! I’m glad the Italians never learned the lesson!” MAGNI
AURELII B. SENATORIS De Artibus ac Diſciplinis Liberalium Litterarum. vism
lectioni 33. titulis Prov. 8.28. Erionum 7. tartiem titke nec men wa/ > nec
716m2To Liberdivina UPERIOR liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum? Item
IſaiasPropheta dicit: 16.40.1:., S | licet divinarum continet lectionum manu.
Rurſus creatura Dei probatur facta ſub comprebējus. hic triginta tribu's
titulis noſcitur pondere;ſicut ait in Proverbiis Salomon: Ei li. coinprehenſus.
Qui numerus ætati Dominice brabat fontesaquarum; et paulo poft: Quando probatur
accommodus, quando mundo peccatis appendebar fundamenta terra, cum eo eram.
mortuo æternam vitam præſtitit, et præmia cre- Quapropter opere Dei
fingularizato, magnifi Hic liber ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus
eſt, cæ res neceſſariâ definitione concluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis
ſeptein titulis ſæcularium lectionum præcut eum omnia condidiffe credimus: ita
et quem ſentis libritextuin percurrere debeamus; qui ta- admodun facta ſunt,
aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet
ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur, et cur
in ſe continue revolutus, uſque ad totius orbis pondere, nec menfura, nec
numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid agit
iniquitas, juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane, quoniam frequenter
quic- per adverſum eſt; ſicut et tertius deciinus Pſalmus continentur. numero,
quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit, dicens: Contritio, ú
infelicitas in viis Pfal. quid feript.o. ita vultintelligi, fub iſto numero
comprehendit; corum, á viam pacis non cognoverunt: non eſt ia Super cum ficut
dicit David: Septies in dielaudem dixitibi; timor Dei anteoculos eorum. Ifaias
quoque dicit: intel'iyat. Plal. 118. cùm tamen alibi profiteatur: Benedicam
Domi- Dereliquerunt Deuin Sabaoth, et ambulaverunt 164. numin omni tempore:
femper lausejus in ore meo. per vias diſtortas. Revera mirabilis, et fummè Et Salomon: Sapientia edificavit fibi domum,
ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit columnas feptem. In
Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit: ne aliquid eorumfæda fingulari
Doininus ad Moyſen: Facies lucernas ſeptem, et confuſio pollideret. Unde Pater
Auguſtinus in deratione dio Exod. pones easſuper candelabrum, ut luceant ex
adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè difpu- ftinxerit? Apocal. 1.4.
fo. Quem numerum Apocalypfis in diverfis re tavit. bus omnino commeinorat; qui
tamen calculus Modd jamſecundi voluminis intremus initia, adillud nos æternum
tempus trahit,quod non po- quæ paulò diligentiùs audiamus; Intentus no- *Hicincipiño teſt habere
defectú. Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica, tive Rhetorica,
vel MSS. codd. memoratur, ubi perpetuum tempus oftenditur. de diſciplinis
aliqua breviter velle confcribere; Arithmetita Sic Arithmetica diſciplina
dotata eſt, quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa dotata,quan
rerum Opifex Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re; dicenduinque prius eft de
arte Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis, et menfuræ quantitate conſtituits quæ
eft videlicet origo et fundamentuin Libera mern, ponle- ſicut ait Salomon;
Omnia in numero, menfura, lium litterarum. re our menu- c pondere feciſti.
Creatura ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro, id eſt, arboris
Liber unde ra ft24. micro facta cognoſcitur, quando ipfe in Evange- cortice
dempto atque liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. lio ait:Veftri autem et cepilli
capitis omnes nume- chartarum Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo
ratifunt. Sic creatura Dei conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro
dicit, utilitatis ali ſura; ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus
caufà omnium artium extitiſie principia. Matth. tem veftrum cogitans poteft
adjicere ad ftaturam Ars verò dicta eft, quòd nos fuis regulisarctet Unie ars
Plal. Prov. Ca Deus
on - nes creats n. do creat1471 dieta.
Liberalium Litterarum. 559 rints compoſuit. malis voce. our atque conſtringat.
Alii dicunt à Græcis hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel ſcripturæ, in
ctum eſſe vocabuluin, amo tús agerős, id eſt, à culpabili placere peritia.
virtute doctrinæ, quam diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis Auctores ſuperioruin
temporum QuideGram que bonæ rei ſcienriam vocant. de arte Grammatica ordine
diverſo tractaverint, matica orne tiùs ſcriple Secundò de arte Rhetorica, quæ
propter nito- fuiſque ſæculis honoris decushabuerint,ut Palæ rem ac copiain
eloquentiæ ſuæ, maxiniè in civi- mon, Phocas, Probus; et Cenſorinus: nobis ta
Libus quæſtionibus, neceſſaria niinis, et hono- men placet in medium Donatum
deducere, qui rabilis æſtiinatur. et pueris ſpecialiter aprus, et tironibus
probatur Tertiò de Logica, quæ Dialectica nuncupa- accomınodus, Cujus gemina
coinmenta reliqui-- Gemina com tur. Hæc, quantùm Magiſtri ſæ. ulares dicunt,
mus, ut ſupra quòd ipfe * planus eſt, fiat clarior menta in ar diſputatdivina
UPERIOR liber, Domino præſtan- fuam cubitum unum? Item IſaiasPropheta dicit:
16.40.1:., S | licet divinarum continet lectionum manu. Rurſus creatura Dei
probatur facta ſub comprebējus. hic triginta tribu's titulis noſcitur pondere;ſicut
ait in Proverbiis Salomon: Ei li. coinprehenſus. Qui numerus ætati Dominice
brabat fontesaquarum; et paulo poft: Quando probatur accommodus, quando mundo
peccatis appendebar fundamenta terra, cum eo eram. mortuo æternam vitam
præſtitit, et præmia cre- Quapropter opere Dei fingularizato, magnifi Hic liber
ſce- dentibus ſine fine concellit. Nunctempus eſt, cæ res neceſſariâ
definitioneconcluſæ ſuntut; fi cularium le- ut aliis ſeptein titulis ſæcularium
lectionum præ- cut eum omnia condidiffe credimus: ita et quem ſentis
libritextuin percurrere debeamus; qui ta- admodun facta ſunt,
aliquatenusdiſcerenus. lis abfolue men calculus per ſeptiinanas fibimet
ſuccedentes Unde datur intelligi mala opera diaboli nec Opera diabolt tur, et cur
in ſe continue revolutus, uſque ad totius orbis pondere, nec menfura, nec
numero cortineri: nec pondere, finem ſemper extenditur. quoniam quicquid agit
iniquitas, juſtitie ſein Defeptenario Sciendum eft plane, quoniam frequenter
quic- per adverſum eſt; ſicut et tertius deciinus Pſalmus continentur. numero,
quid continuam atqueperpetuum Scriptura fan- meminit, dicens: Contritio, ú
infelicitas in viis Pfal. quid feript.o.
ita vultintelligi, fub iſto numero comprehendit; corum, á viam pacis non
cognoverunt: non eſt ia Super cum ficut dicit David: Septies in dielaudem
dixitibi; timor Dei anteoculos eorum. Ifaias quoque dicit: intel'iyat. Plal.
cùm tamen alibi profiteatur: Benedicam Domi- Dereliquerunt Deuin Sabaoth, et ambulaverunt
numin omni tempore: femper lausejus in ore meo. per vias diſtortas. Revera mirabilis, et fummè Et Salomon: Sapientia edificavit fibi domum,
ſapiens Deus, qui omnes creaturas ſuas ſingulari excidit columnas feptem. In
Exodo quoque dixit moderatione diſtinxit: ne aliquid eorumfæda fingulari
Doininus ad Moyſen: Facies lucernas ſeptem, et confuſio pollideret. Unde Pater
Auguſtinus in deratione dio Exod.pones easſuper candelabrum, ut luceant ex
adver- libro 4. de Geneli ad litterain minatifinè difpu- ftinxerit?
Apocal. fo. Quem numerum Apocalypfis in
diverfis re tavit. bus omnino commeinorat; qui tamen calculus Modd jamſecundi
voluminis intremus initia, adillud nos æternum tempus trahit,quod non po- quæ
paulò diligentiùs audiamus; * Intentus no- *Hicincipiño teſt habere defectú.
Meritò ergo ibi femper com- bis elt de arte Grammatica, tive Rhetorica, vel
MSS. codd. memoratur, ubi perpetuum tempus oftenditur. de diſciplinis aliqua
breviter velle confcribere; Arithmetita Sic Arithmetica diſciplina dotata eſt,
quando quarum rerum principia neceffe eft nos inchoa dotata,quan rerum Opifex
Deus diſpoſitiones ſuas ſub nume- re; dicenduinque prius eft de arte
Grammatica; Dei ſub nu xi, ponderis, et menfuræ quantitate conſtituits quæ eft
videlicet origo et fundamentuin Libera mern, ponle- ſicut ait Salomon; Omnia in
numero, menfura, lium litterarum. re our menu- c pondere feciſti. Creatura
ſiquidem Dei ſic nu Liber autein dictus eſt à libro, id eſt, arboris Liber unde
ra ft24. micro facta cognoſcitur, quando ipfe in Evange- cortice dempto atque
liberato, ubi ante copiam dictus. Sap. 11. 21. lio ait:Veftri autem et cepilli
capitis omnes nume- chartarum Antiqui carmina deſcribebant. Scire Matth.10 jo
ratifunt. Sic creatura Dei conſtituta eſt in men- autem debemus, ſicut Varro
dicit, utilitatis ali ſura; ficut ipfe in Evangelio teſtatur: Quis an- cujus
caufà omnium artium extitiſie principia. Matth.tem veftrum cogitans poteft
adjicere ad ftaturam Ars verò dicta eft, quòd nos fuis regulisarctet Unie ars
Plal. Prov. Ca Deus on - nes creatsT45 11. 12. n. do
creat1471 dieta. Liberalium Litterarum.rints compoſuit. malis voce. our atque
conſtringat. Alii dicunt à Græcis hoc trà- Finis verò elimatæ locutionis vel scripturæ,
in ctum esse vocabuluin, amo tús agerős, id est, à culpabili placere peritia.
virtute doctrinæ, quam diferti yiri uniuſcujul Sed quamvis auctores superioruin
temporum QuideGram que bonæ rei scienriam vocant. de arte Grammatica [FILOSOFICA]
ordine diverso tractaverint, matica orne tiùs scriple Secundò DE ARTE RHETORICA,
quæ propter nito- fuisque sæculis honoris decus habuerint, ut Palæ rem ac
copiain ELOQUENTIAE suæ, maxiniè in civi- mon, Phocas, PROBO; et CENSORINOs:
nobis ta Libus quæstionibus, necessaria niinis, et hono- men placet in medium DONATO
deducere, qui rabilis æſtiinatur. et pueris specialiter aprus, et tironibus
probatur Tertiò de Logica, quæ DIALECTICA nuncupa- accomınodus, cuius gemina
coinmenta reliqui-- Gemina com tur. Hæc, quantùm Magistri sæ. ulares dicunt,
mus, u t supra quòd ipfe * planus eſt, fiat clarior menta in ar disputationibus
subtilissimis ac brevibus vera se- dupliciter explanatus. Sed et sanctum
Augufti- tes DONATO queſtrat à fallis. num propter fimplicitatem fratrum
breviter in- B. Quarto de Mathematica, quæ quatuor comstruendain, aliqua de
codem titulo scripsisse re- *MS.Sanger. plectitur diſciplinas, id eſt,
Arithmeticam,Geo- perimus, qux vobis le titanda reliquimus: ne Lasinus.
metricam, Musica in, et Astronomnicain. Qua in quid rudibus deeſſe videatur,
qui ad tantæ ſcien Che Mathe. Mathematicam LATINO ferinone doctrinalem diæ
culmina præparantur. maticado tri possumus appellare; quo nomine licet omnia
doctrinalia dicere valeamus, quæcumque docent: DONATO igitur in secundit purte
ita disceptat. hæc libi tamen commune vocabulum propter suam excellentiam
propriè vindicavit; ut Poeta De Voce Articulata. dictus, intclligitur VIRGILIO:
Orator enuntia De Littera. tus, advertitur CICERONE; quamvis multi et Poëtæ, De
Syllaba. &Oratores IN LINGUA LATINA esse doceantur; quod De Pedibus. etiam
de Homero, atque Demosthene Græcia fa De Accentibus. cunda concelebratı Dc
Pofituris, ſeu Distinctionibus. Quid fit Ma Mathematica verò est scientia, quæ
abſtra Et iterum DE PARTIBVS ORATIONIS P octo thematica? ctam conſiderat
quantitatem. Abstracta eniin De Schematibus. quantitas dicitur, quam intellectu
â materia fe De ETYMOLOGIAE parantes, vel ab aliis accidentibus, solâ ratio De Orthographia.
cinatione tractamus. Sic totius voluminis ordo Ed. ado. quasi quodam vade
promiffus est. VOX ARTICVLATA est aër percuſſus, sensibilis au- Quid sit VOX
Nunc quemadmodum pollicitafunt, per dividitu, quantum in ipso est. ARTICVLATI. Duplex dif- fiones definitioneſque ſuas, Domino juvante, LITTERA
est pars ininima VOCIS ARTIVCLATAE. Quid Littera. cendi genius. reddamus: quia
duplex quodammodo diſcendi SYLLABA est comprehensio litterarum vel unius Qwid
Syd genus eſt quando et lincalis deſcriptio imbuit vocalis enuntiatio, temporum
capax. Ed. pol. diligenter aſpectum, et per aurium præparatum Pes; eſt syllabarum
et temporum certa dinu- Quid pes. intrat auditum. Nec illud quoque tacebimus,
meratio. quibus auctoribus tain LATINIS, Accentus, est vicio carens vocis
artificiosa pro- Quid Accen quæ dicimus, exposita claruerunt ut; qui studio-
nuntiatio. MSS.Reg. le legere voluerit, quibuſdam compendiis in POSITVRA, ſive
distinctio, est moderatæ pronun- Quid positu Sang. competentiis. tiationis apta
repausatio. troductus, lacidiùs Majorum di& ta percipiat, PARTES autem
ORATIONIS SUNT VIII. I Nomen II Pronomen III Verbuin IV Adverbium V Participium,
tionis funs VI Conjunctio VII Præpofitio VIII Interjectio. Nomen est pars
orationis cum casu, corpus Quid fis non aut rem propriècommuniterve fignificans;
pro- men. Caput.
I. De Grammatica: priè, ut Roma, Tiberis: cominuniter, ut urbs, 2. De
Rhetorica. Huvius, 3. De Dialectica; PRONOMEN eſt pars orationis, quæ pro nomi-
Quid Pronta 4. De Arithmetica: ne pofita, tantuindem pene ſignificat, perſo S.
De Muſica, namque interdum recipit. 6. De Geometria.
Verbum, eſt pars orationis cum tempore et Quid verbi. 7. De Aſtronomia: perſona
fine caſu. ADVERBVIVM eft pars orationis, quæ adjecta Quid Adverbo, SIGNIFICATIONEM
EIVS explanat atque iin- bium. pler; ut, jam faciam, vel non fáciam. INSTITUTIO
DE ARTE GRAMMATICA PARTICIPIVM est pars orationis, dicta qudd par- Quid Parti
tem capiat nominis, partemque verbi; recipit cipium. Unde Grama maticanomen
GKRammatica à litteris nomen accepit, ficuè enim ànomine genera et cafus, à
verbo tempo vocabuli ipfius derivatus sonus ostendit; ra et SIGNIFICATIONES, ab
utroque numeros et fi acceperit? quas primus omnium Cadınus ſexdecim tantum
guras. legitur inveniſſe, eaſque Græcis ſtudioſiſſimis CONJUNCTIO est pars
orationis annectens, ordi. Qyid com tradens, reliquas ipsi VIVICITATE ANIMI suppleve-
nanfque sententiam. junctio. De quarum formulis atque virtutibus, PRAEPOSITIO est
pars orationis, quæ præpofira Quid Præpo Helenus, atque Priſcianus ſubtiliter
Attico ſer- aliis partibus orationis, SIGNIFICATIONEM EARUM Juio. Quidfit Gra
mone locuti ſunt. Grammatica verò, est peritia aut inutat, aut complet,
autminuit. * MSS. Au- pulchrè loquendi ex Poëtis illuſtribus, * Orato INTERJECTIO
EST PARS ORATIONIS SIGNIFICANS MENTIS Quid inter Etoribus, ribuſque collecta.
Officium eius est fine vitio affectuin voce incondità. ječtio. dictionem
proſalem metricamque componere: Schemata, sunt transformationes fermonum Quid
Sche ba. ra. Partes ora octo. 5 $ 1 men. runt. marica? mata. B. de Inſtitutione
Quid Ortha les, vel fententiaruin, ornatus causâ policæ; quæ à dis:interdami,
ut folers,iners. quodam Arti grapho nomine Sacerdote collecta, In plurali
quoque, excepto genitivo e accusa fiunt numero nonaginta VIII: ita tamen, ut
qux rivo, omnibuscalibus similiter declinantur.Nam à DONATO inter vitia polita
ſunt, in ipso numero quædam in uin genitivo, accuſativo in es exeunt, collecta
claudantur. Quod et mihi quoque du- ut Mars, ars: quædam in ium -- ut “sapiens”,
“patiens”, ruin videtur vitia dicere, quæ auctorum exemplis, et ob hoc accusativi
eorum in eis excunt. Plera et maxiinè legis divinæ auctoritate firmantur. que
aurein ex his nomina III generibus com Hæc Grammaticis Oratoribusque cominunia
munia funt, et in licreram quam habent, neutra funt: quæ tamen in utraque parte
probabiliter in nominativo plurali dant etiam genitivis reli reperiuntur
aptata. quoruin generuin, cum quibus coinmunia sunt. Addenduin eſt etiam de
Eryinologiis, et Ortho In T littera, NEUTRA tantùm nomina quædam, graphia, de
quibus alius scripsisse certissimum est. pauca finiuntur; ut git, quod non
declinatur; Quid 'Etymo. Etymologia eſt aut vera aut veriſimilis deinon- ut
caput, ſinciput. Quidam cùm lac dicunt, loysa. ftratio, declarans ex qua
origine verba defcen- adjiciunti, propter quod facit lactis: ſed VIRGILIO
dant. Orthographia eſt rectitudo
fcribendi nullo er Lac mihi non æſtate novum, non frigore defit. graphics. rore
vitiata, quæ manum componit et linguam. quippe cùm nulla apud nos nomina in
duas mu Hæc breviter dicta fufficiant. tas exeant, et ideo veteres lacte in
nominativo Cæterùm qui ea voluerit lariùs pleniùſque co dixerant, gnoſceye, cum
præfarione ſua codicem legat, X littera terminat quædam, in quibus omnia quem
noſtra curiolitate formavimus, id eſt, Ar- communia in iuin cxeunt in genitivo
plurali; ob tem DONATO, cui de Orthographia librum, et hoc. accuſativo in i et s.
Plurima verò genitivo alium de Etymologiis inferuimus, quartum quo- in u et in,
non præcurrente i, et ob hoc in e et s que de Schematibus Sacerdotis
adjunximus;qua- accuſativo exeunt; nam in reliquis conſentiunt. tenus diligens
lector in uno codice reperire pof- Ut pote cùın ſingulariter omnia nominativa
et ſit, quodarti Gramınaticæ deputatum effe co vocativa habeant genitivum ini
et s, agant da gnoſcit. tivum in i littera: ablativum in e vel i definiant,
Nomen da Sed quia continentia magis artis Grammaticæ adjectáque m accuſativum
definiant impleánt verbum tant dicta eft, curaviinus aliqua denominis verbique
que: pluraliter verò dativum ablativúmque in partes adje regulis pro parte
ſubjicere, quas rectè tantùm bus fyllaba finiunt. muis Ariſtote. Ariſtoteles
orationis partes adferuit. Nam de cæteris, quibus diſident Veteres, qui dam
atrocum et ferocum, qua ratione omnium x DE NOMINIBUS. littera finitorun una
ſpecies videbitur. Huic x litreræ omnes vocales præferuntur; ut capax, fru
Nominis partes ſunt. tex, pernix, atrox, redux. Ex iis nominibus quædam in
nominativo producuntur, quædain Qualitas, mocomm. corripiuntur: quædam
conſentiunt in noininati Comparatio, ouynpisisa vo, in obliquis diſſentiunr.
Pax enim, et rapax, Genus, item rex et pumex, item nux et lux, etiam pri
Numerus, água uo'so mam poſitionem variant ad nix et nutrix. Item Figura,
oxaudio nox et atrox ſic in prima politioneconſentiunt, Caſus, T @ SIS.
urdiſcrepentper obliquos. Et illud animadvertendum eſt, quædam ex iis x
Pronominis partes: litteram in g, quædam in c per declinationes compellere. Lex
enimlegis, grex gregis facit, Qualitas ut pix picis, nux nucis. Nain in his
quæ non ſunt Genus. monoysllaba, nunquam non “x” littera genitivo i Numerus. “c”
convertitur – ut: “frutex” “fruticis”; “ferox” > “ferocis”. Figura. Supellex
autem, e ſenex, et nix, privilegio quo Persona. dam contra rationem declinantur:
quoniam ſu CASVS. pellex duabus ſyllabis creſcit, quod vetat ratio; et fenex ut
in nominativo itein genitivo diffyllabus Græca nomina, quæ apud nos in us; ut,
manet, cùm omnia x litterâ terminata creſcant. vulgus, pelagus, virus, Lucretius
viri dicit; Et nix nec in cconvertitur, ut pix: nec in gut quamquam rectiùs
inflexum maneat. Secundæ rex: sed in u conſonans, in vocalem tranſire non
ſpecies funt, quæ PER OBLIQVOS CASVS creſcunt, et poſſit. genitivo ſingulari in
is litteras exeunt; ut, genus, In plurali autem genitivo, ablativus singularis
nemus: ex quibus quædam uine mutant; ut olus formas vertit. Nam in a auto
terminatus, in rum oleris, ulcus ulceris: quædam in o, ut nemus exit; e
correpta in um:producta, in rum: iter neinoris, pecus pecoris. In dubitationem ve- minatus in uin. Dativus et ablativus pluralis a.
niunt fænus et ftercus in e, an in o inutent: in is exeunt et in bus. Quæ
præcepra in scholis quoniam quæ in nus syllabam finiunt, u in e mu- ſunt
tritiora: sed quotiens in is exeunt, longa tant; ut, vulnus, scelus, funus, et funeratos
syllaba terminantur: quotiesin bus, brevi. De dicimus. Fænusenim exemplo non
debet noce- curlis nominum regulis, æquuin eſt confequenter re, cùin inter
dubia genera ponatur. Item vete- adjicere canones verborum primæ conjugatio res
ſtercoratos agros dicebant, non ſterceratos. nis. In S littera finita nomina,
præcurrentibus n vel r, omnia ſunt uniusgeneris: nili quæ ante ſe t habent,
interdun d recipiunt, ut ſocors ſocor DE De Grammatica. 561: Tempus zeovc. DE V
ER BIS. ſyllaba, manente productione terminantur; ut Commeo, commea, commeavi:
Lanio, lania, Partes verbi funt. laniavi: Satio, fatia, fatiavi. Eodem modo,
codem tempore, fpecie inchoativa,adjectâ ad im Qualitas, perativum modum in bam
fyllaba terininantur; CONUUGATIO. ut cominea commeabain, lania laniabam, æſtua
Genus. æſtuabain. Prima
conjugatione, codem modo, Numerus. eodem tempore, specie recordativa, adjectis
ad Figura. IMPERATIVM MODVM veram ſyllabis, terminan Tempus. tur partes: ut
Commea commeaveram, lania, la Persona. 'niaveram, æſtua æſtuaveram. Priina
conjuga tione, codem modo, tempore futuro, adjecta Qualitas Verbi. ad
imperatiuum modun bo fyllaba, terminan rur --- ut “cominea” commeabo, lania
laniabo, æſtua Modi, # ſtuabo. Indicativi, ogesich. Quæveròindicativo modò,
tempore præſen Imperativi, προσακτική. tì, ad primam perfonam in o littera,
nulla alia OPTATIVI, ευκτική. præcedente vocali terminantur, ea indicativo
Conjunctivi, útotaxix. modo, tempore præterito, ſpecie abſoluta 80 Infinitivi,
atrapéu pet exacta, quatuor modis proferuntur. Et eſt primus, qui lunilem
regulam his babet. Genus Verbre Qui indicativo modo, tempore præſenti, prima
perſona penultiinam vocalem habet: ut Amo, Adiva, švępyutix.. ama, amavi,
amabam, amaveram, amabo, Pafliva, mee.Jotus amare, Communia, rond. Secundus eft,
qui o ini convertit ultimam in præterito perfecto,penultimam in pluſquàm per
fecto e corripit; ut Adjuvo, adjuvi, adjuveram. Tertius, qui fimilem quidem
regulaın habet Præſens, évesa's. primi modi, ſed detracta a littera deliungit;
ut Præteritum; ta zenauges Seco, ſecavi, ſecaveram, ſecabo, ſecare. Facit Futurun, uitwr. enim ſpecie abſoluta ſecui, et exacta ſecueram.
Imperfcerum, megatinad's. Quartus eſt, qui per geininationein fyllabae
Perfectum, Tee XÉCU. profertur; ut Sto, ſtá, kteci, fteterain, itabo Pluſquain
perfectam, impon TEARO'S. ftare. Huic ſimile Do, da, dedi, dabáin, dede
Infinitum; mogises. ram, dabo, dare, correpta littera a contra re-, gulain, in
eo quod eſt, dabam, dabo, dare. Proferuntur fecunda conjugationis verba, dente
vocali terminantur, vel præcante quæ indicativo modo, teinpore præſenti, perſo
vocali qualibet, formas habet quatuor. na prima, in eo litteris terminantur; ut
Video, Secundæ conjugationis correpræ verba verba,, for- vides vides; monco
monc mones. Secundæ conjugatio mas habent viginti. Sic quæcumque verba indi-
nis verba, indicativomodo, teinpore præſenti, cativo modo, tempore præfenti,
perſona primà, ad ſecundanı perſonam iu e littera producta,ter in o littera
terminantur, forinas habentſex,quæ ininantur; ut Video, vide; moneo, mone. Se
voces forınas habent duas. Quæ nulla præceden- cundæ conjugationis verba,
infinito inodo, ad te vocali in o littera terminantur, formas habent je et ta
ad imperativum modum re fyllaba, manen duodecim. te productione terminantur; ut
Vide, videre; Tertiæ conjugationis productæ verba, qua mone, monere. Secundæ
conjugationis verba, indicativo modo, tempore præſenti, perſona indicativo
modo, tempore præterito, {pecie ab prima in o littera terminantur, formas
habent ſoluta et exacta, ſeptem modis declinantur; et quinque. Quæcumque autem
verba cujuſcum- eft primus, qui forinain regulæ oſtendit.Nam for que
conjugationis indicativo modo, temporė mahæc eſt;cùm fecundæ conjugationis
verbum, præſenti, perfona prima, vel nulla præc dente
indicativomodo,temporepræterito quidem per vocali, vel qualibet alia præcedente,
in o littera fecto, adjecta ad iinpecalivun modum vi fyllaba, *terminantur,
corum declinatio hoc numero for- manente produđione. marum continetur. De
quibus fingulis dicam. Primæ conjugationis verba indicativo modo, tempore
præſenti, perſona prima, aut in o litte: ra nulla alia præcedente vocali
terminantur, ut DE ARTE RHETORICA, Canto io ut lanio,,. Rrium aliæ ſuntpofitæ
in Artes in tres Primæ conjugationis verba iinperativo modo, temporepræſenti ad
ſecundam perſonain in a lit- lis eſt Aſtrologia: nullum exigens actum, ſed ipſo
duntur. tera producta terminantur;ut amo, ama: canto, rei, cujus ſtudium habet,
intellectu contenta, canta: infinito modo ad imperatiuum modum, quæ Geargintzün
vocatur. Alia in agendo, cujus in in re fyllaba,manente productione terminantur;
hoc finis eſt, ut ipſo actu perficiatur, nihilque ut aina, amare: canta,
cantare. Item prima con- poſt actum operisrelinquat, quæ peakmix dici jugatio,
quæindicativo modo, tempore præte- tur, qualis ſaltatio eſt.Alia in effectu,quæ
operis, rito, ſpecie abſoluta, adjectâ ad imperatiuun yi quod oculis fubiicitur
confummatione, finein Bbbb V. ib, uclanio,fatio:autuo,uræſtuo,continuo A
evognizione peltimatione rerum,quas partes divina B. ea 1 tor. Etanda, accipiunt, quam nontoxù
appellamus, qualis eſt cauſam, locum, tempus, inftramentum, occa pictura.
fionemnarratione delibabiinus. Multæ ſæpe in Orationis duo Duo funt Genera
orationis: altera pespetua, una cauſa ſunt narrationes. Non femper co ordi
fuigenera. quæ Rhetorica dicitur: alteraconciſa, quæ Dia- ne narrandum, quo res
geſta eſt. Enthumous fit tectica; quas quidem Zeno adeo conjunxit, ut ad
augmentum vel invidiæ, vel miſerationis, vel hanc compreſlæ in pugnum manus,
illam expli- in adverfis. Initium narrationis à perſona fier, et catæ fimilean
dixerit. ſi noſtra elt, ornetur: fi aliena, infametur. Et Initiam di Initia
dicendidedit natura: initium artis ob- hæc cum ſuis accidentibus ponitur. Finis
narra cendi dedit fervatio. Homines enim ficur in Medicina, cum tionis fit,
cùın eò perducitur expofitio, unde natura,ini- viderent alia falubrià, alia
inſalubria ex obſerva- quæſtio oriatur. sium artis ob. tione eoruin effccerunt
arrein. feruatio. Facultas orandi confunmatur naturâ, arte, De Egreſionibus
Pacultas orandi tribus exercitatione; cui partein quartam adjiciunt qui
cofummatur. dam imitationem, quam nosarti ſubjicimus. Egreſſus eſt, vel
egrelfio, hoc eſt, méx6a95, Tria debet Tria funt quæ præltare debet Orator; ut
do- cum intermiffà parum re propofitâ, quiddain in præftare Ora- ceat, moveat,
delecter. Hæc enim clarior divi- terſeritur delectationis utilitatiſve gratiâ.
Sed fio eft, quàm eorum qui totum opus:in res, et ir hæ ſunt plures, quiæ
pertotam cauſam varios ex affectus partiuntur, curſus habent; ut laus hoininum
locorumque; Invadendo In fuadendo ac diſſuadendo rrja primùm fpe- ut defcriptio
regionum, expoſitio quarundam fodiſficaden- ctanda ſunt; quid ſit de quo
deliberetur: qui lint rerum geſtarum, vel etiam fabulofarum. do triape- qui
deliberent: quis ſit quifuadeat rem, dequa Sed indignatio, miſeratio, invidia,
convi elintpar. deliberatur. Omnisdeliberatio de dubiis fit. Partium, excuſario,
conciliatio, maledictorum re "tes fuadendi. tes ſuadendi ſunt honeftum,
utile, neceſſarium. futatio, et fimilia:omnis amplificatio, minutio, Quidam, ut
Quintilianus, furetor; hoc eſt,pofli- omnis affectus, genusdeluxuria, de
avaritia, re bile, approbat. ligione, officiis cuin ſuis argumentis ſubjecta ſi
milium rerum, quia cohærent, egredi non viden Ware Procemiam à Græcis dicitur.
tur. Areopagitæ damnaverunt puerum, corni cum oculos eruentem; qui putantur
nihil aliud Clarè partem hanc ante ingreffum rei, de qua judicaffe, quàm id
lignum effe pernicioſiflima diccndum fit,oftendunt.Nain livepropterea quod
mentis, multiſque malo futuræ li adoleviſſet. brun cantus elt, et Citharædi
pauca illa, quæ an tequam legitimum certamen inchoent, emerendi De Credibilibus
favoris gratia canunt, Proæmium cognomina runt. Oratores quoque ea, quæ
priuſquam cau Credibilium tria funt genera: ünum Grmiſti- Tria ſunt ore. fain
exordiantur, ad conciliandos libi judicun muni, quia ferè ſemper accidit; ut,
liberos à pa aninospræloquuntur, Procinii appellationc fi- rentibus amari.
gnarunt. Sive quod Græci viam appellant Alterum velut propenſius, eum qui rectè
va id, quod ante ingrekun reiponitur, fic vocari leat, in craſtinum perventurum.
Dikfit Proa- eft inſtituruin. Caufa Proæmii hæc eſt, ut audiro Tertium tantum
non repugnans; ab eo in dong mii carla. rem, quò fit nobis in cæteris
partibusaccommo- furtum factum, qui domui fuit. datior, præparemus. Id fit
tribus modis, li be nevolum, atrencum, docilemque feceris; et in Argumenta unde
ducantur. reliquis partibus haud minus, præcipuè tamen in initiis neceſſe eſt
animos judicum præparare. Ducuntur argumenta à perſonis, cauſis, tem pore;
cujus tres partes ſunt, præcedens, conjun Quid differt Proæmium ab Epilogo.
ctum, inſequens. Si agimus, noſtra confirmana da ſunt priùs; tum ea, quæ
noftris opponuntur, Quidam putarunt quòd inPræmio præterita, refutanda. Si
reſpondemus; ſæpiùs incipiendum in Epilogo fucura dicantur. Quintilianus autem
à refutatione. Locuples et fpeciofa &imperio co quod in ingreffu parciùs et
modeſtiùs præten- ſa vult eſſe Eloquentia. tanda ſit judicis miſericordia: in
Epilogo verò licear toros effundere affectus, et ficam oratio De Concluſione
nem induere perſonis, et defunctos excitare, et pignora reorum perducere, quæ
minus in Concluſio,quæ peroratio dicitur, duplicem has concluſodomen proæmiis
ſunt uſitata. bet rationem; ponitur enim autin rebus, aut in plicem habet
affectibus rerum, repetitio et congregatio, que rationem. De Narratione. Græcè
ávax!IO HAURIS dicitur, à quibufdam La tinorum renumeratio dicitur, et memoriam
au Narratio aut torà pro nobis eſt, aut cora pro ditoris reficit, et totam
ſimul cauſam ponit an adverſariis, aut mixta ex utriſque. Si erit tota te
oculos; ut etiam ſi per ſingulos minus vale pro nobis, contenti ſimus his
tribus partibus, bant, turbâ moveantur: ita tamen ut breviret uc judex
intelligat, meminerit, credat, nec quic eorum capita curlimque tangantur. Sed
tunc fita quan reprehenſione dignum pPomba. ubi inultæ caufæ, vel
quæſtionesinferuntur; nam Notandum, ut quoties exitus rei ſatis oſtendit fi
brevis et fimplex eſt, noneft neceffaria. priora, debemus hoc eſſe contenti,
quò reliqua intelliguntur; fatius eſt narrationi aliquot fuper De Affectibus:
eſſe, quàm deeffe; nain ſupervacua cum rædio dicuntur: neceſſaria cum periculo
ſubtrahuntur. Affectuum duæ funt ſpecies, quas Græci affectuur Quæ probacione
tractaturi ſumus, perſonain, aj mrásos vocant, hoc eit, quafimores et affe- dua
ſung species, dibilium gito nera. 1 1 De Rhetoricà. Te. ventio. tio. tio. 114.
us concitatos } et Teses quidem affectus con- et quæſtionem.Cauſa eft res,quæ
habet in ſe con citatos: " Jos veròmites atque compofiros; in il-
troverſiam in dicendo politam, perſonarum cer lis vehementesmotus, in his
lenes: et resos qui- tarum interpoſitione: quæſtio autem,eft res, quæ
demimperat, its perſuadet; hi ad perturbatio- habet in ſe controverſiam in
dicendo polítam, nem, illi ad benevolentiam prævalent. Et eſt line certarum
perfonarum interpofitione. Frágos temporale, ndos verò perpetuum; utra que ex
eadem natura: fed illud majus, hoc minus, ut amor esos, charitas » Sus; tados
con citat, isos fedat. Partes Rhetoricæ funt quinque. In
adverſos plus valet invidia,quàm convitium: quia invidia adverſarios,
convitiuin nos inviſos Inventio. facit. Nam ſunt quædam, quæfi ab imprudenti
Diſpoſitio. bus excidant, ſtulta ſant; cum ſimulamus, venuſta Elocurio Orator
vitio creduntur. Bonus altercator vitio iracundiæ ca Meinoria, iracundiæ ca-
reat; nullus enim rationi magis obftat affectus, et Pronuntiatio. reat; et qua-
fertextra cauſamplerumque, et defornia convi tia facere ac mereri cogit, et nonnunquam
in ipſos Inventio eft ex cogitatio rerum verarum aut ve. Quid fitta judices
incitatur; quoniam ſententiæ, verba, fi- riſinilium,quæ cauſam probabilem
reddunt. guræ, coloreſque funt occultiores quæſtiones in Difpofitio eft rerum
inventarun in ordinem Quid Diſposa genio, cura, exercitatione. pulchra
diftributio. Conjectura omnis, aut de re eſt, autde animo. Elocutio eft
idoneoruin verborum ad inventio Onid Eloc14 Utriuſque tria teinpora ſunt,
præteritum, pre- nein accommodata perceptio. ſens, &futuruin. De re et generales
quæſtiones Memoria eſt firma aniini rerum ac verborum funt, et definitæ; id
eft, et quæ non continentur, ad inventionem perceptio. Quid Memo perſonis, et quæ
continentúr. De animo quæri Pronuntiatio eſt ex rerun et verborum dignita non
poteſt, niſi ubi perſona eſt; et de facto, cùm te, vocis &corporis decora
moderatio. Quid Proing nuntiatio. de re agitur, aut quid factum ſit
in dubium venit, aut quid fiat, aut quid futurum ſit, et reliqua fi De
Generibus caufarum. unilia, De Amphibologia. Genera cauſarum Rhetoricæ ſunt
tria princi- General Cares palia. Demonſtrativum, Deliberativum, Judi- Jarum
Rheto Innsetabia Amphibologiæ ſpecies ſunt innumerabiles, ciale: Ticefunttrica
les lient Am. adeò ut FILOSOFI quidam putent nullum effé Demonſtrativum et In
laude phibologia verbum, quod non plura ſignificet genera, aut oftentativum
species admodum pauca; aut enim vocibus fingulis ac- Eyxaurasino's In
vituperatione cidiper ópw rupaar aut conjunctis per ainbiguani Emdeuxtixò,
conſtructionem, Quando fiat Vitiofa oratio fit, cùm inter duo nominamè-
Deliberativum et ſua In ſuaſione. vitioſa oratio dium verbum ponitur. forium
dicitur De oppofitio Oppoſitiones et fi contrariæ non ſint, ſed dif-
EupBBAEUTIKON In diſſualione niben. fimiles: verumtamen li fuain figuram ſeryant,
ſuntnihilomimus antitheta.. r In accuſatione, et de Naturalis quæitio eſt, quæ
eſt temporalis;fic Judiciale fenſione cut cúm que ſunt per ordines temporum
acta, acercón marrantur. Nunc ad artis Rhetoricæ diviſiones În præmii penſione,
et definitionofque veniamus; quæ ficut extenſa at negatione que copiofa cft;
ita à multis &claris ſcriptoribus tractata dilatatur, Demonſtrativum genus
eſt, cùm aliquid de- Quid fit De monſtramus, in quo eſt laus et vituperatio,hoc
monftrativi Onidfit Rhetorica eſt, quando per hujuſinodidefcriptionem oſten-
genus. dituraliquis, atque cognoſcirur; ut pſalınús Rhetorica Rhetorica dicitur
à copia deductæ locutio-. et alia vel loca vel pſalmi plurimi,ut:Domine unde
dicta. 'nis
influere. Ars autein Rhetorica elt, fi- in calo miſericordia tua, &uſque
adnubesveria cur magiſtri tradunt fæculariuin Litterarum, tas tua. Iuſtitia tua
ficutmontesDei, et reliqua. bene dicendi ſcientia in civilibus quæſtionibus.
Deliberativum genus elt, in quo eſt ſualio de. Quid Delią Quid fit Ora Orator
igitur eſt vir bonus, dicendi peritus, ut diſſualio, hoc eft quid appetere,
quid fugere, berativos. zor, ju offi- dictum eſt in civilibus quæſtionibus.
Oratoris quiddocere, quid prohibere debeamus, citum,erfinis. autem officium
eſt, appolitè dicere ad perſuaden Judiciale genus elt, in quo eſtaccuſatio et de
Quid Fudia ciale. dum. Finis, perſuadere dictione, quatenus rex fenſio, vel
præmii penſio et negatio. ruin et perſonarum conditio videtur admittere in
civilibus quæſtionibus: unde nunc aliqua bre De Statibus. viter aſſumemus, ut
nonnullis partibus indicatis, penè totiusartis ipſius ſumınam virtutemque in
Status Græcè ça'os. Status cauſarum ſunt año Status
caufae telligere debeamus. rationales, aut legales. Status verò dicitur ea
bacionales, rum åut ſuns Civiles quæſtiones ſunt ſecundum Fortuna viles
quaftio- tianum Artigraphum novelluin, quæ in com; a Hæ funt quæſtiones an
huic, an cumhoc, an học Quid fit firas ant legales, nes, et quo modo divi munem
animi conceptionem poffunt cadere; id seinpore, an hac lege,an apud ipſum.
Quidquidpræter van duntur. iſtas quinque partes in oratione dicitur; egreſſio
eſt. eſt, quâ unuſquiſque poteftintelligere, cùm de Hæc nagex aois, quoniam à
reco dicendi itinere defc. æquo quæritur et bono. Dividuntur in
cauſam,: &itur quælibet inſerendo. Bbbb ij Quid fine ci B. Quidfit con Um.
res, in qua cauſa conſiſtit. Fit autem ex intentio ne et depulfione, vel
conftitutione. ab alio objicitur, ab adverſario pernegatur, Statum alii vocant
conftitutionem, alii qua 2. Finitivus ſtatus cſt, cùm id quod objicitur,
jocuralis fia. {tionen, alii quod ex quæſtione appareat. non hoc efle
contendimus: fed quid illud lit, ad hibitis definitionibus approbamus. Quid
fam.si Status rationales ſecun Conje et ura. 3. Qualitas eft, cùm qualis res
lit, quæritur; dum generales quæſtio Finis. et quia de vi et genere negotii
controverſia elt, nes ſunt quatuor. Qualitas. conſtitutio generalis vocatur.
Tranſlatio. 1. Conjecturalis ſtatus eft, cùın factum, quod Imprudentia (Purgatio
Caſus. Concellio Juridicialis Absoluta Aut causæ, Nixologian Remotio Aur facti.
3 criminis Negotialis aitam Cui juftè in aliocom generalis Relatio mittitur,
quia et ifle in GegyueTiku priva criminis te fæpius commifin Αντίγκλημα..
Deprecatio Necessitas. Qualitas Comparatio Squando melius id Αντίστασης. factum
peragitur. 1 ſunt quinque ! с 12. 1 1 in Pſal. paz. ratio, Juridicialis eft, in
qua æqui &re &ti natura, Questas Ju. ſ Scriptum& voluntas.
riuscialis præmii et pænæ ratio quæritur. Porov ij dienoido Quid Nego
Negotialis eſt, in qua, quid juris ex civili mo Sätus Legales Leges contrariæ,
tizivs. re et æquitate lit, confideratur. Ambiguitas. Αμφιβολία. Quid Abfo luta.
Abſoluta eft, quæ ipfo in ſe continet juris et Collectio, live Raciocinatio.
injuriæ quæſtionem. Συλλογισμός purua Raid Allium. 'Affumptiva eſt, quæ ipfa
exſe nihil dat firmi, Definitio Legalisa. aut recuſationem foris, aut aliquid
defenfionis aſſumit. Scriptum et voluntas eſt, quando verba ipſa quid.fcripti
Quid con Conceſſio eſt, cum reus non id quod factum eſt, videntur cum sententia
ſcriptoris dillidere. et voluniss. defendit: fed, ut ignofcatur, poftulat; quod
nos Legis contrariæ ſtatus eſt, quando inter fe duz Quid legis Comment. ad
pænitentes* probavimus pertinere. leges, aut pluresdiſcrepare videntur.
contrarieta Remotio criminis eft, cùm id crimen quod in Ambiguitas eſt, cùm id
quod fcriptum eſt, tus, 169.1.09103. ferrur ab fe &ab ſua culpa, vi et poteftate
in duas auc plures res ſignificare videtur. Quid Ambi aligin reus dimovere
conatur. guitas. Collectio Quid Remo, quæ et Ratiocinatio nuncupatur, Quid
Colle tio criminis. Relatio criminis eſt, cùm ideo jure factum di- eſt quando
ex eo quod fcriptum eſt, invenitur, ft:0. Quid Relatio citur, quod aliquis ante
injuriam laceſſierit., Definitio legalis eſt, cum vis verbi quaſi de criminis.
erid Defini Comparatio eft, cùm aliud aliquod alterius finitivâ conſtitutione,
in qua pofita fit, quz- tio legalis. Quil Compa. factum honeſtum aut utile
contenditur, quod, ricur. ut fieret illud quod arguitur, dicitur eſſe com
Status ergo tam rationales quam legales à Statusà qui iniffum. quibuſdam decein
et octo connumerati ſunt. bullam 18. 2 Quid Purga Purgatio cft, cùm factum
quidem conceditur, Cæterum ſecundum Rhetoricos Tullii decem et Tullio verò bes
partenha- fedculparemovetur. Hæc partes habertres,Im- novem inveniuntur,
propterea qudd Tranſlatio- 19.numeran prudentiam, caſum, neceſſitatem.
Impruden- nem interRationales principaliter adfixit ftatus. tia eft, cùin
fciſfe fe aliquid is qui arguitur,negat. Unde feipfum eciam CICERONE (ſicut
ſuperiùs di Casus eſt, cum demonſtratur aliquam fortune &tum eſt )
reprehendens, Tranſlationem Legalia vim obſtitiffe voluntati. Neceſſitas eſt,
cùm vi bus ftatibus applicavit. quadam reus id quod fecerit, feciſſe ſe
dixerit. Quid ft De precatio. Deprecatio eſt, cùm et peccaffe, et conſultò De
Controverfia. peccaſſe reus conficetur; et tamen, ut ignoſca Quid Trans-
tur,poftulat.Quodgenus perraro poteft accidere. Omnis controverſia, ſicut ait CICERONE,
aut fim- Controverfis ex CICERONE lario. 4. Tranſlatio dicitur, cùm caufa ex eo
pendet, plex eſt, aut juncta, aut ex comparatione. triplex eft. cùm non aut is
agere videtur, quem oportet: aut Simplex eſt, quæabſolutam continet unam Quid
fit com non cum eo, quioportet: aut non apud quos, quo quæſtionem, hoc modo:
Corinthiis bellum indi- jeftura fim tempore, qua lege, quo crimine, qua pæna
cenus, án non. plex. oporteat. Tranſlationi adjicitur Conſtitutio, Juncta, eſt
ex pluribus quæſtionibus, in quòd actio tranſlationis &commutationis indi-
plura quæruntur hocpacto:Carthagodiruatur: Quid juncts. an Carthaginienſibus
reddatur, an eocolonia de Ubi adverſariis omnia conceduntur, et per colas
ducatur. lacrymas lupplices defenditur reus. Ex comparatione, utrum potius, an
quod po- Quid ex com paratione, a Et ſi juncta erit conſiderandum erit, utrum
ex plu ribus quæftionibus juncta fit, an ex aliqua cóparatione. tur. H: gere
videtur. 1 De Rhethorica. 565 > Exorarum. rario, t11.0. tiſſimum quæritur ad
hunc modum: utrum exer Exordium, eft oratio animum auditoris ido Quit fis
cituscontra Philippum in Macedoniam mittatur, neè comparans ad reliquam
dictionem. qui ſociis fit auxilio: an teneatur in Italia; ut Narratio, eft
reruin geftarum, aut at geſta- Quid Nar quàmmaximæ contra Annibalem copiæ fint.
rum expoſitio. Partitio eft, quæ fi re &tè habita fuerit, illu- Quid Per,
ftrem &perfpicaam roram efficit orationem. Confirmatio eft, per quam
argumentando no- Qrid Confir Genera cauſarumfunt quinque. ftræ caufæ fidem, et authoritatem,
et firinamen- mario. tum adjungit oratio. Honeſtum. Reprehenfio eft per quam
argumentando ad- Quid Repre Admirabile. verſariorum confirmatio diluitur, aut
elevarur. henfio. Humile. Concluſio eſt exitus et determinatio totius exid con
Anceps. orationis, ubi interdum et Epilogorum allegatio cnfio. Obſcurum.
flebilis adhibetur. Hæc licer Cicero Latinæ eloquentiæ Lumen Duos libros Quid
honefti Honeſtum caufæ genus eft, cui ſtatim fine ora- eximium, per varia
volumina copiosè ninis et de Rethorica cauſæ genus. tione noftra favet
auditoris aniinus. Admirabile diligenter effuderit, et in arte Rhetorica duobus
compoſuit ci Admirabile, à quo quod eft pre eft alienatus animus eorum, libris
videatur amplexus; quorumCoinmenta à cero, quos M. VITTORINO ter opinio- qui
audituri ſunt. VITTORINO composita, in Bibliotheca mea commentatus num hominü
Humile eft, quod negligitur ab auditore ', et vobis reliquiffecognoſcor. eft.
conftitutum. nonmagnopere attendendum videtur. Quintilianus etiain Doctor egregius, qui poſt Quintiliansis Quid Admi.
rabile. Anceps in quo aut judicatio dubia eft, aut Auvios Tullianos
fingulariter valuit implere quæ Doctor egre Quid Humile cauſa &honeſtatis
et turpitudinis particeps, ut docuit, virum bonum dicendi peritum à priinâ gius
in Rhe. Qivid Anceps benevolentiam pariật, &offenfionem. ætate fuſcipiens,
per cunctas artes, ac diſcipli- sorica doceka Puid'obfcs Obſcurum, in quo aut
tardi auditores funt,aut nas nobiliuin litterarum erudiendum eſſe mon
difficilioribus ad cognoſcendum negotiis cauſam ftravit. Libros autein duos CICERONE,
de arte implicata eft. Rhetorica, et Quintiliani duodeciin inſtitutio num !
judicavimus eſſe jungendos; ut nec codi cis'excrefceret magnitudo, et utrique
duin ne ceffarii fuerint, parati feinper occurrant. Partes orationis Rhetoricæ
funt fex. Fortunatianum verò Doctorem novellum, Fortunatik. qui
tribusvoluninibus de hac re ſubtiliter minu- nustria ro Exordium. tèque
tractavit; in pugillari codice Rhetorica Narratio. congruenterquc redegimus; ut
&faſtidiuin lecto confecis. Partitio. ri tollat, &quæ
ſuntneceffaria competenter in Confirmatio. ' finuet. Hunc legat qui brevitatis
amator eft, Reprehenfio. nam cum opus ſuum in multos libros non teten Concluſio,
five derit: plurima tamen acutiffimâ ratiocinatione Peroratio. diſſeruit.Quos
codices cum præfatione ſua in uno corpore reperietis eſſe collectos. da. tim
lumina de aptè lorfitan, Rhetorica Argumentatio fit. Illatio quæ r Propoſitio |
Aut per Inductio- ! nem cujusmembra &Affumptio funt hæc. dicitur. Concluſio
ina tayo Rhetorica Argu mentatio tracta tur. rEvdúcemus.Talo PEYSúumps, eſt
commentum, Convincibili. vel commentio ', hoc eſt | Oſtentabili. mentis
conceptio.Sententiabili. Exemplabili. Txer Suunne, qui eft imper- iCollectitio.
fectus fyllogylinus, atque Rethoricus, ficut Fortuna tianus dicit, in generibus
i explicatur. azódseçu eſt cer ta quædam argu menti concluſio vel ex confe
quentibus, vel repugnantibus. Aut perRatiocina tionem de Argu mentis, in quo no
mine complectun Atodict. tur, quæ Græci di cunt. Emxelamud too s Emreignus, eft
fententia cum fatione, Latinè dicitur Exe čutio, vel Approbatio, vel Argumentum
11.apemrbiem uc verò, qui eſt Aut Tripertitus. Rhetoricus et latior fyllogyf: 3
AutQuadripercitus. Aut quinquepertitus. | mus eft. B. Unde Argu titus. ductio.
Mem2. cit. mêtatiodista. Argumentatio dicta eſt quaſi argutæ mentis rici
ſyllogiſmi, latitudinediſtanz& productione oratio. fermonis à dialecticis
fyllogiſmis, propter quod Quidfit Ar Argumentatio eſt enim oratio ipſa, qua
inven- Rhetoribus datur. gumentatio. tum probabiliter exequimur argumentum.
Tripertitus, epichirematicus fyllogiſmus eſt; Quid Triper Quid fit In Inductio
eft oratio,qua rebusnon dubiis capra- qui conſtat inembris tribus: id eft,
propoſitione, mus aſſenſionein ejus, cum quo inſtituta eſt,live aſſumptione,
concluſione. inter FILOSOFI, ſive interRhetores, five inter Quadripertitus eſt,
qui conſtatmembris qua- Quid Quz Seriocinantes. tuor: propoſitione,
affumptione, et una propo- dripernicus. Quid Probo Propoſitio inductionis eſt,quæ
fimilitudines fitionis live afſuinptionis conjuncta probatione, fitio.
concedendæ rei unius inducit, aut plurimaruin. et conclufione. Quid illatio.
Illatioinductioniseft, quæ et affumptio dicitur, Quinquepertitus eſt,qui
conſtat membris quin- Que de Marine quæ rem dequa contenditur, et cujus cauſa
ſimi- que:id eft,propoſitione,& probatione, aſſum- quepertiim, litudines
adhibitæ ſunt introducit. ptione, et ejus probatione, et concluſione. Quid con
Concluſio inductionis eſt, quæ aut conceſſio. Hunc CICERONE ita facit in arte
Rhetorica: Si de clulo. nem illationis confirmat, aut quid ex ea confi-
liberatio et deinonſtratio genera ſunt cauſarum, ciatur, oftendit. non poffunt
rectè partes alicujus generis cauſa Qwid Ratio Ratiocinatio eft oratio, quâid
de quo eft quæ- putari. Eadem enim res, alii genus, alii pars effc cinatio.
ítio comprobamus. poteft: idem genus, et pars effe non poteſt, vel Quid Enthy
Enthymema igitur eſt, quod Latinè interpreta- cætera; quoufque fyllogiſini
hujus meinbra clau cur mentis conceptio, quam imperfectum fyllo- dantur. Sed
videro quantum in aliis partibus giſmum ſolent Artigraphi nuncupare. Nam in
lecter ſuum exercere poſſit ingenium. duabus partibus hæc argumentiforma
conſiſtit: Memoratus aurein Fortunatianus in tertio libro quando id quod ad
fidein pertinet faciendam, meminit de oratoris memoria, de pronuntiatio utitur
fyllogiſmorum lege præterita; ut eſt illud: ne, et voce, unde tainen Monachus
cum aliqua Si tempeſtas vitanda eſt, non eft igitur navigan- utilitate
diſcedit: quando ad ſuas partes non im dum. Exſola enim propoſitione et conclufione
probè videtur attrahere, quod illi ad exercendas conítat effe perfectum: unde
magis oratoribus, controverſias utiliter aptaverunt. Memoriam { i quàm
dialecticis convenire judicatum eſt. De quidem lectionis divinæ re cognita
cautela ſerva dialecticis autem ſyllogiſinisſuo loco dicemus. bit, cùm in
ſupradicto libro ejus vim qualitatém Quid con Convincibile eft,quod evidenti
ratione * con- que cognoverit: artem verò pronuntiationis in*AIS.convin. vincitur;ſicut
fecit CICERONE pro Milone. Ejusigi- divinæ legis effatione concipiet. Vocis
autem di tur mortis ſedetis ultores, cujus vitain, li * pPombais ligentiam in
pſalmodiæ decantatione cuſtodiet. * Ed. poſetis. per vosreſtitui poſſe,
noletis. Sic inſtructus in opere ſancto redditur, quamvis Quid Ofien
Oſtentabile eft, quod certa reidemonſtratione libris ſæcularibus occupetur.
rabile. conſtringit; ſic CICERONE in Catilinam: Hic ramen Nunc ad Logicam, quæ
et DIALECTICA dicitur, vivit, imò etiam in Senatuin venit. ſequenti ordine
veniamus, quam quidam diſci Quid Senten tiabile. Sententiale est, quod SENTENTIA
generalis addi- plinain, quidam artem appellare maluerunt, di cit; ut apud
Terentiun: Obſequium amicos,ve centes: quando apodicticis,id eſt, probabili
ritas odium parit. bus diſputationibus aliquid diſſerit, diſciplina Quid Exem
plabile. Exemplabile elt, quod alicujus exempli com- debeat nuncupari: quando
verò aliquid verilimi M. G. ini. paratione eventum fimilem comminatur; ſicut le
tractat, ut ſunt ſyllogiſini ſophiſtici, nomen Cicero in
Philippicisdicit:Temiror,Antoni,quo- artis accipiat. Ita utrumque vocabulum pro
ar *M.G. per- rum facta * imitere, eoruin exitus, non * per- gumentionis ſuæ
qualitate promeretur. timefcere, horrefcere. Quid Colle Collectivum eſt, cùm in
unum, quæ argumentata funt, colliguntur; ſicut ait CICERONE pro Milone: Quem
igitur cum gratia noluit, hunc voluit De Dialectica cuin aliquorum querela,
quemjure, quem loco, quem temporemoneftaulus: hunc injuria,alie- DIALECTICAM
primi FILOSOFI indi&ionum no cum periculo non dubitavit occidere. runt: non
tamch ad artis redegereperitiam. Post Ed. destris Præterea secundum VITTORINO ENTHYMEMATIS
quos Aristoteles -- ut fuit disciplinarum omniun altera eft definitio. Ex fola
propoſitione, ſicutjam diligens inquiſitor, ad regulas quasdam hujus Aristoseler
dictum est, ita constat ENTHYMEMA -- ut est illud: doctrinæ argumenta perduxit,
quæ priùs ſub cer- DIALECTICE Si tempestas vitanda est, non est navigatio
requitis præceptionibus non fuerunt. Hic libros fa- argumenta ad regulas renda.
Ex fola assumptione s ut est illud: Sunt ciens exquisitos, Græcorum scholam
multiplici quafdamper autem qui munduin dicant fine divina administra- laude
decoravit; quem noftri non perferentes duris. tione discurrere. Ex fola concluſione
-- ut est il- diutiùs alienum, translatum expofitúmque Ro DIALECTICAM lud: Vera
est igitur divina sententia. Ex pro- manæ ELOQUENTIAE contulerunt. DIALECTICAM verò,
*MS. fcick poſitione et assumptione -- ut est illud: Si inimicus
&Rhetoricam VARRONE in nove;n disciplinarú libris canin move est, occidit.
Inimicus autem eſt: et quia illi deelt tali funilitudine definivit. DIALECTICA
et Rhetori- libris Vaira. conclufio, ENTHYMEMA vocatur. Sequitur Epi- ca est,
quod in manu hominis pugnus ad strictus, definivit. chirema. et palma diſtenſa:
illa brevi oratione argumenta Quid Epic EPICHIEREMA est, quod superiùs diximus,
dels concludens, ista facundiæ campos copioso fer chirema. cendens de
ratiocinatione latior excurfio Rheto- mone discurrens: illa verba contrahens, ista
di Itendens. Et ARGVMENTVM est ARGVTAE MENTIS IVDICIA QVOD PER INDAGATIONES
PROBABILES, rei dubiæ perficitfidem, per Rhetorica ad illa, quæ nititur docenda,
facun- pomaleticom DIALECTICA fiquidem ad differendas res acutior: Que fic disse
exempla confirmans -- ut est: Noliæinulari in malignan tibus: quoniam tanquain
fænum, &c. dior. Illa ad scholas non numquam venit,
iſta ju. et Rhetori saris. Zivim. et Rhetoria
64m. DE DIALECTICA son quenter. girer
procedit in forum: illa requirit rariſſimos et noftræ diſpoſitionis
curràtintentio. Conſue * MSS.fre- ftudiofos, hæc * frequentes populos. Sed
priul- tudo iraque eft doctoribus philoſophiæ, ante quam de fyllogiſmis dicamus,
ubi totius Diale- quam ad Iſagogen veniant exponendam, divis dicæ utilitas et virtusoſtenditur,
oporter de ejus lionem philoſophiše paucis attingere:quam nos initiis, quaſi
quibuſdam elementis, pauca diffe- quoque ſervantes; præſenti tempore non immer
cere; ut ficut eſt à Majoribus diſtinctus ordo, ita ritò credimus intiinandain,
Philofophiæ divifio. In Inſpectivam, TIXMT, hæc dividitur in In Naturalem.
| Doctrinalem, hæc (In Arithmeticam dividitur Muficam. Geometricain. Divinain.
Aftronomicain Diviſt thing Lofophiæ. Philoſophia divi ditur fecundum
Ariftotelem. Moralem. | Sirir. Er Actualeta Ciſpenſativa, Φρακτικών PorxorowyXXV. hæc dividitur in Civilem. ίπολιτική » ACETA! oixorouexin. weg.Xti xh. νομοθεπκό., thesxor. Sewertexn.. φυσική. Definitiò Philos
fophiæ. megatoxin. resnio intoxin. 23 Quid 1 3. Dirogoera oroimene Occs Kated
to duratór ávöçóórw. plina quæ curſus cæleftium, fiderumque figuras homophine
en Philoſophia eft divinaruin, humanarùmque re contemplatur omnes,
&habitudines ftellaruni quotuplex. rum, inquantum homini poſſibile eſt,
probabilis circa ſe; et circa terram, indagabili ratione per Ycientia: Aliter,Philoſophia
eſt ars artiuni, et dif- currit. Actualis dicitur, quæ res propoſitas ope
ciplina diſciplinarum.Rucſus, Philoſophia eſtme, rationibus ſuis explicare
contendit. Moralis di ditatio mortis,quod magis convenit Chriſtianis, citur,
per quam mos vivendihoneſtus appetitur; 2.Corint. 16. qui ſæculi ambitione
calcata, converſatione dif- et inſtitura ad virtutem tendentia præparantur.
ciplinabili, fimilitudine futuræ patriæ vivunt; Diſpenſativa dicitur,
domeſticaruin reruin fa Philip. 3. 20. Sícut dicitApoftolus: In carne enim
ambulantes, pienter ordo diſpoſitus. Civilis dicitur, per quàm non ſecundum
carnem militamus; et alibi: Con- totius civitatis adminiſtrarur utilitas.
Philoſo verſatio noftra in calis eft. Philofophia eſt affimi- phiæ diviſionibus
definitionibúſque tractatis, in lari Deo ſecundum quod poflibile eft homini.
quibus generaliter omnia continentur, nunc ad Inſpectiva dicitur,qua
ſupergreſſi vilbilia de di- Porphyrii librum, qui Iſagoge inſcribitur, acce
vinis aliquid et cæleſtibus contemplamur, eáque damus. mente foluinmodo
contuernur, quantum corpo De Iſagoge Porphyrii. reum ſupergrediuntur aſpectum. Naturalis
dici tur,ubiuniuſenjufque rei natura diſcutitur: quia de Genere. Dávc.
nihilcontra'naturain generaturin vita: ſed unun | de Specie. tidos. quodque
hisufibus deputatur, in quibus à Crea- llagoģe Por de Differentia. Depoeg tore
productú eit: nifi fortè cum voluntate divina phyrii tractat de Proprio. ibor
aliquod miraculuin proveniremonſtrerur.Doctii i de Accidente, συμβεβηκός. *MSS.
figni- nalis dicitur ſcientia, quæ abſtractam * conſiderat ficar. quantitatem.
Abſtracta eniin quantitas dicitur, Genus eft ad fpecies pertinens, quod de
diffe- Quid fit Ge quam intellectu àmateria ſeparantes,vel ab aliis rentibus
fpecie, in co quod quid ſit, prædicatur; nun accidentibus; ut eſt, par, impar:
vel alia hujuſce ut animal. Per ſingulas enim fpecies, id
eft, modi in ſola ratiocinatione rractainus. Divinalis hominis, equi, bovis, et
cæterorun,genus anis dicitur, quando aụt ineffabilem naturam divi- mal
prædicarur atque ſignificatur, nam, aut ſpirituales creaturas ex aliqua parte,
Species eſt, quod de pluribus et differentibii's Quid fit Spo profundifſimâ
qualitate differimus. Arithinerican numero, in eo quod quid fit, prædicatur;
nam cies, eſt diſciplina quantitatis numerabilis ſecundum de Socrate, Platóne,
et Cicerone homo prædi ſe. Muſica, eſt diſciplina quæ de numeris loqui- catur.
tur, quiad aliquid ſunt his, qui inveniuntur in Differentia eſt, quod de
plaribus et differen » Quid fit Dif". ſonis. Geometrica, elt
diſciplina magnitudinis tibus ſpecie,in eo quod quale ſit,prædicatur; ſicuc
erensia, immobilis,&formarum. Aftronoinia,eſt diſci- rationale et inortale,in
eoquodquale ſit, dc ho- f mine prædicatur, B. € lcens. men. atque bos. Tulum,
Quid fit Pro Proprium eſt, quod unaquæque ſpecies, vel Hoc opus Ariſtotelis
intentè legendum eſt, cur Carego prium. perſona certo additamento infignitur,
&ab om- quando ficut dictum eſt; quicquid hoino loqui- rie Ariftotelis ni
communione feparatur. tur, inter decem ifta Prædicamenta inevitabili, intentè
les erid fut Ac. gende. Accidens eſt, quod accidit et recedit præter ter
invenitur: proficit etiam ad libros intelligen ſubjecti corruptionem: vel ea
quæ fic accidunt, dos, qui live Rhetoribus, fivc Dialecticis appli ut penitus
non recedant. Hæc qui pleniùs noſſe cantur. deliderant, Introductionem legant
Porphyrii; * £ d.alicujus quilicetad utilitatein * alieni operis ſedicatſcri
Incipitperi hermenias, id eft, de inter bere, non tamen ſine propria laude
viſus eſt talia pretatione. dicta futinafle. Sequitur liber peri hermenias
ſubtiliſimus rii Categorie Ariſtotelis. mis, et per varias formas,
iterationéfque cautif ſimus, de quo dictuin eſt: Ariſtoteles, quando Sequuntur
Categorix Ariſtotelis, ſive Prædi- librum peri herinenias ſcriptitabat, calamum
in camenta: quibus mirum in modum per varias fi- mente tingebat.
gnificantiasomnis fermo concluſuseſt: quorum De nomine. organa ſive
inftruinenta ſunt tria. De verbo. Inftrumenta Organa vel inſtrumenta
Categoriaruin five In libro peri hermenias; De oratione, drogoriarum (rent tria,
/ci Prædicamentorum funtæquivoca, univoca, de- id eft, de interpretatio De
enunciatione. licet. nominativa. ne, prædictus philofo De affirmatione.
Æquivoca. ÆQVIVOCA dicuntur, quorú noinen folùm com- phusdehis tractat. DE
NEGATIONE mune eft, fecundùm nomen verò ſubſtantiæ ratio DE CONTRADICTIONE,
diversa -- ut “animal”, homo, et quod pingitur. Vniyoca, VNIVOCA dicuntur,
quorum et noinen com Nomen, est vVOX SIGNIFICATIVA SECVNDUM PLACITVM - quid
fitmoi mune eſt, et ſecunduin nomen discrepare eadem tum, sine tempore: cuius
nulla pars est significati substantiæ ratio non probatur – ut: “animal”, homo,
va separata – ut: “Socrates”. Verbum, est quod conſignificat tempus: cujus Quid
forver Denominati Dena ninativa, id eſt, derivativa, dicuntur pars nihil extra significat,
et est semper eorum bum, quæcuinque ab aliquo sola differentia casus ſe- quæ de
altero dïcuntur nota – ut: “ille cogitat”, dil cundum noinen habent appellationem:
ut å putat. grammatica gramınaticus, et à fortitudine fortis. ORATIO est vox
fignificativa, cujus partium Quid ſit örä aliquid separatim significativum est;
ut Socrates to Subſtantiaa sola, diſpucat. * MSS.lepa Quantitas, mosotas. ENUNTIATIVA
otàtio eſt vox ſignificativa deeo Quid fit Ad aliquid. ney's Fan quod eft
aliquid, vel non eſt – ut: “Socrates est.” So- Enuntiatid. Ariſtotelis
Ariſtotelis Catego Qualitas. TÓTUS. crates non eſt. Categorie riæ, vel
Prædicamen- į Facere. FOREV. AFFIRMATIO est
enuntiatio alicujas de aliquo: quid fit Af son decem. ra decem ſunt Pati.
PeoMHT – ut: “ Socrates est.” formatio. Situs. ευρώς. NEGATIO, eft alicujus de aliquo NEGATIO: ut: “Socrates non est.” So- luid
fitNe. Quando. done. crates non eſt. gatio. Ubi. CONTRADICTIO, eſt
afficmationis et negationis euid fitcom | Habere. (xar. oppoſitio – ut: “Socrates
disputat, Socrates non disputat.” Subſtantia est, quæ propriè, &t
principaliter Hæc omnia per librum ſuprà memoratum mi. Liber Pero Hermenias et maxiinè
dicitur; quæ neque de ſubjectopræ- nutiſſimè diviſa; et ſubdiviſa tractantur,
quæ BOEZIO feprem dicatur, neque in ſubjecto eſt – ut: “aliquis homo”, breviter
intimnaſſe ſuffciat, quando in ipfo com- libris expoſé vel aliquis equus.
Secundæ autem ſubftantiæ di- petens explanatio reperitur: maximè cùin eum tu.
cuntur, in quibus ſpeciebus, illæ quæ principa- Tex libris à BOEZIO viro
magnifico constet exposi liter substantia primò dicta sunt, insunt atque tum,
qui vobis inter alios codicese strelictus. Clauduntur -- ut in homine, CICERONE.
Nunc ad fyllogiſticas ſpecies formulaſque vea Quantitas Quantitas aur diſcreta
eſt, et habet partes ab nianus, in quibus nobilium Philofophorum ju aplex, aiſ
alterutrodiſcretas,nec eominunicantes, ſecun- giter exercetur ingenium, dum
aliquem communem terminum, velut nu merus, et ſerino quiprofertur; aut continua
eſt, De Formulis ſyllogifmorum. et habet partes quæ ſecundum aliquem coinmu*
nein terininuin adinvicem convertuntur; velut (in priina forinula modi no
linca, ſuperficies, corpus,locus, motus,tempus. Forinulæ Categori Ad aliquid
verò funt, quæcumque hoc ipſo coruin, id eſt, Præ-, In ſecunda formula modi
Formale ca quod ſunt, aliorum eſſe dicuntur; velur majus, dicativorum ſyllo
quatuor. duplum,habitus, difpofitio,ſcientia, ſeriſus, gilmorú ſunttres. | In
tertia formula modi politio. i ſex. Qualitas, eſt, fecundum quam aliqui quales
dicimur; ut bonus, malus. Modiformule prime ſunt novem. Facere eſt, ut
ſecare, vel urere, id eft, ali quid operari. Pati eſt, ut ſecari, vel uri. Primus modus eſt, quiconcludit, id eft, qui
Situs, eft, ut ftat, ſeder, jacet. Quando colligit ex univerſalibus dedicativis,
dedicati eft, ut hefterno, vel crás. vum univerſale directum; ut, omne juſtum
ho Ubi eſt: ut in Aſia, in Europa, in Lybia. neſtum, omne honeftum bonum, omne
igitur Habere eft: ut calccatum, velarmatum effe. juſtum bonum. Secundus ött.
tradictio, nos creta, con sinna, vem. tegoricum Syllogiſmorum funt tres. DE
DIALECTICA Ed, concler dit. per quæ ſubti Secundus moduscft, qui * conducit ex
univer- rivis particulari et univerfali dedicatvium parti ſalibus dedicativâ et
abdicativâ abdicativum uni- culare directum: ut quoddam juſtam honeſtum,
verſale directum: ut oinnejuſtum honeſtum, nul- omne juſtum bonum, quoddam
igitur honeſtuin lum honeſtum turpe, nullum igitur juſtum bonum. turpe. Tertius
modus eſt, quiconducit ex dedicativis Tertius modus eſt, qui conducir ex
dedicativis univerſali et particulari dedicativum particulare particulari et univerſali,dedicativum
particulare directum: ut, omne juſtum honeftuin, quod directum: ut quoddam
juftum eft honeſtum,om- dam juſtuin bonum, quoddam igitur honeſtum ne honeftuin
utile, quoddam igirur juftumn utile. bonum. IV modus eſt, qui conducitex
particulari Quartus modus eſt, quiconducit ex univerſa dedicativa,
&univerſali abdicativa, abdicativum libusdedicativa et abdicativa
abdicativum parti particulare directum: ut quoddam juſtum hone- culare directum:
utomne juſtuin honeſtuin, nul Itum, nullum honeftunı turpe, quoddam igitur lum
juſtum malum, quoddam igitur honeſtum juſtum non eft turpe. non eſt malum.
Quintus modus eſt, qui conducit ex univerſa Quintus modus eſt, qui conducit ex
dedicativa libus dedicativisparticulare dedicativum per re- particulari et abdicativa
univerſali abdicativum Mexionem: ut omne juftum honeſtum, omne ho- particulare
directum: ut, quoddam juſtum, ho neftum bonum, quoddam igitur bonum juſtum.
neſtum, omne honeſtum bonum,igitur quoddan Sextus modus eft, qui conducit ex
univerſali honeftum non eft malum. dedicativa, et univerſali abdicativa,
abdicativum Sextus modus eſt, qui conducit ex dedicativa univerſale per
reflexionem: ut omne juſtum ho- univerſali et abdicativa particulari
abdicativum neltuin, nulluin honeſtum turpe, nullum igitur particulare directum:
ut,omnejuſtum honeſtum, turpe juftum. quoddam juſtum non eſt malum, quoddam igi
Septimusmodus eſt,quiconducit ex particulari tur honeſtuin non eſt malum. et univerſali
dedicativis dedicativum particulare Has formulas Categoricorum ſyllogiſmorum
reflexionem: ut quoddamn juftum honeſtum, qui plenè nofſe deſiderat, librum
legat, quiin Liber Apa!e omne honeſtum utile,quoddam igitur utile juſtú.
fcribirur -Peri hermenias Apuleii, et qui inſcribi: Odavus modus eft, qui
conducirex univerfa- lias ſunt tractata, cognoſcet. Nec faſtidium no- tur Peri
her libus abdicativa et dedicativa particulare abdica- bis verba repetita
congeminent; diftin &ta enin, menias, le tivum per reflexionein: ut nullum
turpe hone- atque conſiderata, ad magnasintelligentiæ vias, gendus. ftum,
omnehoneſtum juſtum, quoddamn igitur præftante Domino,nosutiliter
introducent.Nunc juſtum non eft turpe. ad hypotheticos fyllogiſinos, ordine
currente, Nonas modus eit, qui conducit ex univerſali veniainus abdicativa,
&particulari dedicativa abdicativum particulareper reflexionem:velut
nullumturpe Modi Syllogiſmorim hypotheticorum, qui fiunt Modifyllogif morum
hyposs honeſtun, quoddam honeſtum juſtum, quoda cum aliqua conjunctione, Jeptem
funt. dam igitur juſtum non eſt turpe. funt feptem. Primus modus eſt, velut: Si
dies elt, lucer; eſt Modi formuleſecunda funt quatuor. autein dies; lucet
igitur. Secundusmodus eft ita: ſi dies eſt, lucet, non Primus modus eſt, qui
conducit ex univerſali- lucet; non eft igitur dies. bus dedicativa et abdicativa
abdicativum univer- Tertius modus eſt ita: non et dies eſt et nonlu fale
directum: velutomne juſtum honeſtum,nul- cet, atqui dies eft, lucèt igitur. lum
turpe honeftum,nullum igitur juſtum turpe. Quartus modus eft ita: aut nox, aut
dies eft, at Secundus modus eſt, quiconducit ex univerſa- qui dieseſt, non
igitur nox eſt. libus abdicativa et dedicativa abdicativum uni Quintus moduseſt
ita: aut dies eſt, aut nox, at-. verſale directuin: velut nullum turpe honeftum,
qui nox non eſt, dies igitur eſt. omne juſtum honeſtum, nullumigitur turpe
Sextus inodus eſt ica: non et dies eſt, et nonlu juftum cet, dies autem eſt,
nox igitur non eſt. Tertius modus eſt, quiconducit ex particulari. Septimus
modus eſt ita:non et djes eft et nox, dedicativa et univerfali abdicativa ab
licativum atqui nox non eſt, dies igitur eſt. particulare directum: veluc
quoddam juftum ho Modos autem hypotheticorum ſyllogiſinorum neſtum, nulluin
turpehoneftum, quoddam igi- fi quis pleniùs noſſe deſiderat, legat librum Marii
Marius Vi tur juſtum non eſt turpe. Victorini, qui inſcribitur de fyllogiſmis
hypo- &torinus librá Quartus r.odus eſt, quiconducit ex particu- thericis.
Sciendum quoque, quoniam Tullius de hypotheti: lari abdicativa et univerfali
dedicativa abdicati- Marcellus Carthaginenſisde categoricis et hy- edidit. vum
particulare directum: velut quoddamn juftum potheticis fyllogiſmis, quodà
diverfis philoſo: Tullius Mar non eſt turpe, omne malum turpe, quoddam
phislatiſſimè dictum eft, feptem libris breviter cellus igitur juſtuin non eft
malum, ſubtilitérque tractavit; ita ut priino libro de re: thag. de Syl gula,
ut ipſe dicit, colligentiarum artis Dialecticæ logiſmis Modi formula tertiæfunt
fex. diſputaret; &quod ab Ariſtotele de categoricis compofuit. ſyllogiſmis
multis libris editum eſt, ab ifto fecun Primus modus eſt, qui conducit 'ex
dedicativis do et tertio libro breviter expleretur; quod aut univerfàlibus
dedicativum particulare, tam dire- tem de hypotheticis ſyllogiſmis à Stoicis
innume Etuin, quàm reflexum: ut omne juſtum hone- ris voluminibus tractatum eſt,
ab iſto quarto et ftum, omne juſtum bonum, quoddam igitur ho- quinto libro
colligeretur. In fexto verò de inix neftum bonum vel quoddamn bonum ho- tis
fyllogiſinis, in ſeptimo autem de compoſitis neftuin. diſpucavit; quem codicem
vobis legendum re-, Secundus modus eſt, qui conducit ex dedica- liqui. cccc
theticorum Car Jeprem libros > Quid
las Depnilio. 1.1 1 longum viaticum: modò ut laudet, ut adolers De
Definitionibus. centia eſt Aos ætatis. Octava ſpecies definitionis eft, quain
Græci Hinc ad pulcherrimas definitionum ſpecies ac- x7 a paistoin rõ Evertix
vocant, Latini per pri Milanius, quæ tantà dignitate præcellunt, ut pof-
vantiam contrarii ejus quod definitur, dicunt; up ſont dici orationun maxiinuin
decus, et quædam bonum eſt, quod malum noneft: juftuin eſt, quod lumina
dictionuin. injuſtum non eft. Et his fimilia: quod fe ita na Definitio verò,
eſt oratio uniuſcujuſque rei turaliter ligat, ut neceſſariam cognitionem fibi
naturam à communione diviſam, propria ſignifi- unius comprehenſione connectat.
Hoc autem catione concludens: hæc multis modis, præce- genere definitionis uti
debemus, cùm contrarium priſque conficitur. notun eſt; nam certa ex incertis
nemo probat. Definitionum
prima eſt óvoradcas, Latinè ſub- Sub qua ſpecie ſunt hæ definitiones.
Subſtantia ftantialis, quæ propriè et verè dicitur definitio; eft, quod neque
qualitas eſt, neque quantitas, ne or eſt, homoanimalrationale mortale, ſenſus
dif- que aliqua accidentia: quo genere definitionis ciplinæque capax;llæc enim
definitio per fpecies Deus definiri poteſt; etenim cùm quid fit Deus, et differentiasdeſcendens,
venit ad proprium, et nullo modo comprehendere valeamus: ſublatio deſignat
plenillimè quid ſit homo. omniuin exiſtentium, quæ Græci örta appellant,
Sccunda eſt ſpecies definitionis, quæ Græcè cognitionem Dei nobis circumciſa et
ablata no ŽVYOMMA TIx ) dicitur, Latinè notio nuncupatur: tarum rerum
cognitione ſupponit; ut li dicamus, quam notionem communi,non proprio nomine
Deus eſt, quod neque corpus eſt, neque ullum poffumus dicere. Hæc iſto modo ſemper effici- elementum, neque animal, neque mens, neque cur:
Homo eſt, quod rationali conceptione et ſenſus, neque intellectus, neque
aliquid, quod exercitio præeſt animalibus cunctis. Non eniin ex his capipoteſt;
his enim ac talibus ſublatis, dixit, quid eſt homo, ſed quid agat, quaſi quodam
quid fit Deus, non poterit definiri. figno in notitiam denotato. In iſta enim
&in re Nona ſpecies definitionis eſt, quain Græci liquis notio rei
profertur: non ſubſtantialis, ut Kåtalnooi, Latini per quamdam imaginatio in
illa primariaexplanatione declaratur; et quia nem dicunt –ut: “ÆNEAS est
Veneris et Anchisæ illa subftantialis est.” -- definitionum omnium obti-
filius. Hæc ſemper in individuis verſatur, qux ner principatum. Græci aqua
appellant. Idem accidie in eo gene Tertia fpecies definitionis eſt, quæ Græcè
redictionis, ubialiquis pudor aut metus elt no Trolótus dicitur, Latinè
qualitativa. Hæc
dicendo minare – ut: CICERONE, cùm me videlicet ficarii illi quid quale lit, id
quod fit, evidenter oſtendit. deſcribant. Cujus exemplum tale eſt: homo eft,
qui ingenio Decima fpecies definitionis eft, quam Græci valet, artibus poller,
et cognitione rerum: aut as Tót, Latini, veluti, appellant; ut fi quæ quæ agere
debeat eligit:aut animadverſione quod ratur quid ſit aniinal, refpondearur,
homo: inutile fit contemnit; his enim qualitatibus ex non enim manifeftè
dicitur animal folum effe preſſus ac definitus homo eſt. hominem, cum fint alia
innumerabilia: ſed cuin IV ſpecies definitionis eſt, quæ Græcè dicitur homo,
veluti ipfum hominem animal de soggapixn, Latinè deſcriptionalis nuncupatur:
fignat: cùm tamen huic nomini multa ſubja quæ adhibitâ circuitione dictorum
factorúmque, ceant. Rem enim quæfitam prædictum declata rem, quid fit
deſcriptione declarat;ut ſi lu- vit exemplum. Hoc eſt autem proprium defini
xuriofum volumus definire, dicimus: Luxurio- tionis, quid fit illud, quod
quæritur, declarare. fus, eſt victus non neceffarii et fumptuoli et one XI
ſpecies definitionis eft, quam Græ rofi appetens,in deliciis affluens,in
libidine pron- ci rece tead the matter, Latini per iudigentiain ptus; hæc et talia
definiunt luxuriofum. Que pleni ex eodem genere vocant: ut ſi quæratur ſpecies
definitionis, oratoribus magis apta eſt, quid fit triens, refpondeatur, cui
dodrans deeft, quàm dialecticis, quia latitudines habet; hæc ut lit aſlis.
fimili modo in bonis rebus ponitur, et in XII ſpecies definitionis eſt, quam
Græ malis. ci, Kata imesvov, Latini per laudem dicunt; ut Quinta ſpecies
definitionis eft, quam Græcè Tullius pro Cluentio: Lex eſt mens, et animus, AT
nikov: Latinè ad verbum dicimus: hæc vo- et confilium, et fententia civitatis.
Et aliter pax cem illam, de qua requiritur, alio ſermonedeſi- eſt tranquilla
libertas. Fit et pervituperationem, gnat uno ac ſingulari, et quodammodo quid
il- quam Græci tózer vocant: ſervitus eſt poſtre lud ſit in uno verbo pofitum,
uno verbo alio de- mum malorum omnium, non modò bello, ſed clarat; ut
conticefcere eſt tacere: item cùm ter- morte quoque repellenda. minum dicimus
finem, aut terras populatas inter Tertiadecima eſt ſpecies definitionis, quam
pretemur effe vaſtatas. Greci κατ'αναλογίαν,Latini juxta rationem dicunt: Sexta
ſpecies definitionis eſt, quam Græci x fed hoc contingit, cum majoris ire
nomine, res Thu nepoege, per differentiam dicimus; id eft, definitur inferior:
ur eſt illud, homo ininor mun cùm quæritur, quid interſit inter regem et ty-
dus. Cicero hac definitione ſiculus eſt:Edictum, rannum, adjecta differentia
quid uterque fit, de- legem annuam dicunt eſſe. finitur: id eſt, rex eſt
modeftus et temperans, ty XIV eſt ſpecies definitionis, quam rannus verò impius
et immitis. Græci sess, Latini ad aliquid vocant: ur eſt Septima eft fpecies
definitionis, quam Græci illud, pater eft, cui eſt filius:dominus eſt, cui eft
el ustápoegr. Latini per tranſlationein dicunt: fervus: et CICERONE in
Rhetoricis, genus eſt, quod ut Cicero in Topicis, Lictus eſt, quà Auctus elu-
plures partes amplectitur: item pars eſt, quod lu dit. Hoc variè tractari
poreſt: modò enim ut beſt generi. moveat, ficut illud, caput eſt arx corporis:
modò Quintadecima eſt ſpecies definitionis, quam ut vituperet, ut illud,
divitiæ ſunt brevis vitæ Græci koste BiTiongear, Latini fecundum rei fa ! DE
DIALECTICA tionuom. 5 rationem vocant:
ut dies eſtrol fuprà terras:nox, dicativus atque ſubjectus. Terminos autem voco
elſolſubterris. Scire autem debemus prædictas verba &nonina, quibus propoſitio
nectitur;ut niquifuntper propoſe ſpecies definitionum, Topicis meritò eſſe
ſocia- in ea propoſitione qua dicimus:Homojuſtus eſt: tas, quoniaminter quædam
argumenta funtpoſi- hæc duo nomina, id eſt, homo et juftus, propo tæ, et nonnullis
locis commemoranturin Topi- fitionis partes vocantur. Eoſdem etiam terminos
cis. Nunc ad Topica veniamus, quæ ſunt argu- dicimus: quorum quidem alter
ſubjectuseſt, al mentorum fedes, fontes ſenſuu, origines di- ter verò prædicativus,
Subjectus eſt terminus, &tionum: de quibus breviter aliqua dicenda ſunt,
qui minor eſt: prædicativus verò, qui major: ut ut &dialecticos locos, et rhetoricos,
ſive corum in ea propolitione, qua dicitur, Homo juſtus, differentias agnofcere
debeamus: ac prius dedia- homo quidem minus eſt, quàm juſtus. Non Iceticis
dicendum eft. enim in folo homine juſtitia eſſe poteft, verùm etiam in
corporeis diviníſque ſubſtantiis: atque De Dialecticis locis. ideo major eſt
terminus, juſtus: homo verò, mi nor; quò fit, ut homo quidem ſubjectus fit ter
Quid die Propoſitio, eft oratio verum - falfúmveſignifi- minus, juſtus verò
prædicativus. PROPOSITIO cans, utſiquis dicat, cælum eſſe volubile: hæc Quoniam
verò hujuſmodi (implices propolis enuntiatio et proloquiun nuncupatur: quæſtio
tiones alterum habentprædicativum terminum, verò eft, in dubitationem
ambiguitatémque ad- alterum verò ſubje& um, à majoris privilegio par ducta
propofitio; utſiqui quærant, an fit cælum tis propoſitio prædicativa vocata
eft.Sæpe autem Quid Concli- volubile. Concluſio, eft argumentis approbara
evenit, ut hi termini ſibimet inveniantur æqua 330. propoſitio; ut fi quis
exaliis rebus probetcælum les, hocinodo, homoriſibilis eſt; homo namque effe
volubile.Enuntiatio quippe live ſui tantum et riſibilis uterque ſibi æquus eſt
terminus. Nam caufa dicitur,five ad alios ad ferturad probandum, ncque riſibile
ultra hominem, nec ultra riſibile propofitio eft: cùm de ipſa quæritur,
quæſtio: homo porrigitur: ſed in luis hoc evenire neceſſe lipſa eſt approbáta,
conclufio. Idem igitur pro- eſt, utſi quidam inæquales termini ſunt, major
politio,quæſtio, et conclufio, fed differuntinodo, ſemper de
ſubjectoprædicetur: fi verò æquales Quid fit Ar Argumentum eſt oratio rei dubiæ
faciens fi= utrique, converſa de fe prædicatione dicantur. gumentum. dem. Non
verò idem eſt argumentum, quod et Ut verò minor demajore prædicetur, in nulla
arguinentatio. Nam vis ſententiæ ratióque ea, propoſitione contingit. Fieri
autein poteft, ut quæ clauditur oratione, cùm aliquid probatur propoſitionum
partes, quas terminos dicimus, ambiguum, argumentum vocatur: ipfa verò ar- non
ſolum in nominibus, verum etiain in oratio gumenti elocutio, argulhentatio
dicitur; quò fit, nibus inveniamus. Nam ſæpe oratio deoratione ut argumentum
quidem mens argumentationis prædicatur hoc modo: Socrates cum Placone so Git
atque ſententia: argumentatio verò argument diſcipulis de philoſophiæ ratione
pertractat; hæc per orationem explicatio. quippe oratio, quæ eft, Socratesçum
Platone et Quid fit LOCVS verò eſt argumenti fedes, vel unde ad diſcipulis,
ſubjecta eſt: illa verò, quæ eft, de propoſitain quæſtionein conveniens
trahitur ar- philofophiæ ratione petractat, prædicatur. Rur gumentum. Quæ cùm
ita fint, ſingulorum dili- ſus aliquando nomenſubjectum eſt, oratio præ ='
gentiùs nătura tractanda eſt, eorumque per fpe- dicaruin, hocmodo: Socrates de
philoſophiæ ra-. cies ac membra figuraſque facienda diviſio. cione pertractat;
hic eniin Socrates ſolus ſubje Acpriùsde propoſitione eſt diſſerendum: hanc
ctus eſt:oratio verò, quàm dicimus, de philoſo eſſe diximus orationein,
veritatem, vel menda- phiæratione pertractat,prædicatur.Evenir etiam,
Duæſuntpro- cium continentem. Hujus duæ ſunt ſpecies: una ut fupponatur oratio,
et fimplex vocabulum pofitionum affirmatio, altera verò negatio. Affirmatio
eſt, prædicetur hoc inodo: Similicudo cum ſupernis fpecies ſub,, fi qui ſic
efferat, Caluin volubile eſt:negatio, li diviníſque ſubſtantiis, juſtitia eſt;
hic enim ora quis ita pronuntiet, cælum volubile non eſt. rio per quam
profertur fimilitudo, cum ſupernis alie. Harumverò aliæ ſunt univerſales, aliæ
ſunt par- diviníſque ſubſtantiis fubjicitur:juſtitia verò pre ticulares, aliæ
indefinicæ, aliæ ſingulares. Uni- dicatur. Sed de hujuſmodipropoſitionibusin
his verſales quidem, ut ſi quis ita proponat: Oin- commentariis, quos in Peri
hermenias Ariſtotelis nis homo juftuseft, nullus homo juſtus eft. Par- libros
ſcripſimus, diligentiùs differuimus. ticulares verò, fi quis hoc modo:Quidamn
homo Arguinentum, eft oratio rei dubiæ faciens fi- Quid fit an juftus eft,
quidam homo juſtus non eſt. Inde- dem:hanc femper notiorem quæſtione elſe nez
gumentum, finitæ fic:Homojuſtus eſt, homo juſtusnon eſt. ceſſe eſt. Nain
liignora nobis probantur, argu Singulares verò sunt, quæ de individuo aliquid
mentum verò rem dubiam probat: necesse est, ut singularique proponunt: -- ut: “Cato
iustus est.”, CATONE quod ad fidem quæstionis assertur, sit ipsa notius justus
non est; etenim CATONE individuus est, ac quæstione. Argumentorum verò oinnium
alia Multiplicito fingularis. ſun tprobabilia et neceſſaria:alia veròprobabilia
Juris Argan Harum verò alias prædicativas, alias conditio. quidem, ſed non
neceſſaria: alia neceffaria; ſed nales vocainus. Prædicativæ funt,
quæ fimpli- non probabilia:alia nec probabilia, nec neceffaria. Quid forProm
citer proponuntur, id eſt, quibus nulla vis con- Probabile verò eſt, quod
videturvelomnibus, vel bavile Argu ditionis adjungitur: ut fi quis fimpliciter
dicat, pluribus, velfapientibus, et his vel omnibus, vel mensun. Cælum eſſe
volubile. At, li huic conditio copu- pluribus, vel maximè notis, atque
præcipuis, letur, fit ex duabus propoſitionibus una condi- vel unicuique
artifici fecundum propriam facul tionalis, hocmodo: Cælum (irotundum ſit, efle
càtem; ut de medecinamedico, gubernatori de volubile; hîc enim conditio id
efficit, ut ita de- navibus gubernandis: et præterea quod ei vides mum cælum
volubile eſſe intelligatur, ſit ro- tur cuin quo fermo conſeritur, vel ipſi qui
judi tundum. Quoniam igitur aliæ propofitiones præ- cat. In quo nihil artiner
verum falfùmvelit árgưr dicativæ ſunt, aliæ conditionales: prædicativa- mentum,
fi tantùm veriſimilitudinem tenet. rum partes, terminos appellamus. Hi ſunt præ
Neceffariun vero eft, quod ut dicitar, ita eſt, Quidfor Ne cearium. Сccc ij
Locis. quibus multe mentorum genera. B. rium. atque aliter eſſe non poteft: et probabile
quidein, fpeciebusutiturargumentis, quæfunt probabi ac neceflarium eſt; ut hoc
ſi quid cuilibet rei ſic le ac neceſſarium, neceſſariuin ac non probabile.
additum, totum majus efficitur. Neque enim Patet igitur, in quo philoſophus ab
oratore, ac quifquam ab hąc propoſitione diffentiet, et ita ſe dialectico in
propria confideratione diſſideat; in Quid fit le habere neceſſe eſt. Probabilia
verò acnon ne- co ſcilicet, quod illis probabilitatem, huic veri provabile ac
ceffaria, quibus facilè quidem animus acquief- tatem conſtat elle propofitam.
Quarta yerò fpe non neceffa- cit, fed veritatis non tenet firmitatem; ut cies
argumenti, quain ne arguinentun quiden học, ſi mater eſt, diligit. Neceſſaria
verò funt, rectè dici ſupràmonſtravimus, fophiftis Tola eſt Quid fit ne
cilarium,ac ac non probabilia, quæ ita quidein eſſe, ut dicun- attributa.
Topicorum verò intentio eft, verili non probabile tur ſe habere, necefle eft,
ſed his facilè non con- milium argumentorum copiam demonſtrares de ſentit
auditor:ut ob objectum Lunaris corporis, fignatis enim locis,è quibus
probabilia arguinen bredamſunt Solis evenire defectunt. Neque neceſſaria verd
ta ducuntur, abundans.& copiofa neceſſe fiat nec neceffa- peque probabilia
funt, quæ neque in opinione materia differendi. ria,necpro- hominum, neque in
veritate confiftunt, ut hoc, Sed quoniam, ut fuprà dictum eſt, proba babilia
habere quæ non perdiderit cornua Diogenem, bilium argumentorum alia funt
neceffaria, quoniam habcatid quiſque quod non perdiderit; alia non neceſſaria:
cùm loci probabilium ar quæ quidem nec argumenta dici poſſunt: argu-
guntentorum dicuntur, evenit, ut neceſſario mentaenim rei dubiæ faciunt fidem. Ex his au- ruin quoque doceantur, quo fit, ut oratoribus tem nulla fides
eſt, quæ neque in opinione, ne- quidem ac dialecticis hæc principaliter
facultas que in veritate ſunt conſtitutą. Dici tamen poo parecur, ſecundo verò
loco FILOSOFI. Nam teſt, ne illa quidem eſſe argumenta, quæ cùm fint in quo
probabilia quidem omnia conquiruntur, neceffaria, minimè tamen audientibus
appro- dialectici atque oratores javanțur: in quibus verò bantur. Nam ſi rei
dubiæ fit fides, cogendus eft probabilia ac neceffaria docentur, philoſophic.e
animus auditoris, per ea quibus ipſe adquieſcit, demonſtrationi miniſtratar
ubertas. Non modò u concluſioni quoque, quam nondum probar, igitur dialecticus
atqueorator, verùm etiam de poſlit accedere. Quod fi quæ tantùm neceffaria
monſtrator, ac veræ argumentationis effector, (unt, ac non probabilia, non
probat ille qui ju- babetquod ex propoſitislocis libi poſſit adſuine
dicat,eltneceſſe, utneillud quidein probet,quod re. Cùm inter argumentorum
probabilium focos, ex hujuſcemodi ratione conficitur. Itaque evenit neceſſariorum
quoque principia traditio mixta ex hujufmodi ratiocinatione, ea, quæ tantùm
contineat. Illa
verò argumenta, quæ neceſſaria neceffaria ſunt, ac non probabilia, non efle ar-
quidein ſunt, ſed non probabilia; atque illud gumenta. Sed non ita eſt, atque
hæc interpreta- ultimum genus; fcilicet ilec probabile,nec ne tio non rectæ
probabilitatis intelligentiam tenet. ceſſarium,à propofiti operisconſideratione
fem Ea funt enimprobabilia, quibusſponte, atque jundum eſt. Nili quod interdum
quidam ſophi ultrò conſenſus adjungitur; ſcilicet ut moxaudi- ſtici loci
exercendi gratia lectoris ab hibentura ta fint, approbentur. Quocirca Topicorum
pariterutilitas intencióque de fint ar Quæ verò nec effaria funt, ac non probabilia,aliis
patefacta eft; his enim et dicendi facultas, &in gamenta pro babilia.
probabilibus ac neceſſariis argumentisantea de veſtigatio veritatis augetur.
monſtrátur,cognitáque &credita, ad alterius rei, Nam quid dialecticos atque
Oratores locorum locorum ** de qua dubitatur, fidem trahuntur;ut ſuntfpecu-
juvát agnitio? Orationi per inventionem co micos arque lationes,id
cft,cheoremata, quæ in Geometriacon- piampræftant. Quid verò neceffariorum
doctri- Oratoresmus fiderantut. Nam quæ illic proponuntur, non funt nam locorum
philoſophis tradit? viam quodam- sum juvas. talia, ut in his fponte animus diſçentis
accedar: modo veritatis illuftrat. Quò magis perveſtis ſed quoniam
demonſtrantur aliis argumentis, illa ganda eft rimandâque ulterius diſciplina
ea, quæ quoque ſçita et cognita ad aliarum fpeculatio- cùm cognitione percepra
uſu atque exer pumargumenta ducuntur.Itaque probabilia non citatione firmanda.
Magnum enim aliquid lo Cunt, ſed ſunt neceſſaria his quidem auditoribus, corum
conſideratio pollicetur, fcilicetinvenien quibus nondum demonſtrata funt: ad
aliud ali- di vias; quod quidem hi, qui ſunt hujus rationis quid probandum,
argumenta effe non poffunt; expertes,ſoliprorſus ingenio deputantur: neque hi
autem qui peioribus rationibus eorum, qui- intelligunt, quantun hac
conſiderationequærat bus non adquieſcebant, fidem cceperunt, poffunt, cur, quæ
in artem redigit vim poteſtatemque na cas quæ non ambigunt, ad argumentuin
vocare. turæ. Sed de his hactenus: nunc de reliquis ex Sed quia quatuor
facultatibus differendi omne plicemus. artificium continetur, dicendum eſt qux
quibus uti noverit argumentis; ut, cui potiſſimum diſci De Syllogiſmise plinæ
locorum atque argjinentorum paritur u Diale &tice, bertas,
evidenterappareat. Quatuorigitur fa Syllogiſmorum verò aliiſuntprædicativi,
qut" Syllogiſmialii Oratori, Phi- cultatibus,earúmque
velutopificibus,differendi categorici vocantur,aliiconditionales,quos hy-
predication Dolopho, so omnis ratio ſubjecta eft, id eſt, dialectico, ora,
potheticos dicimus. Et prædicativiquidem funt, males,
com phifte dife rendiomnis tori, philofopho, sophistæ. Quorum quidem qui ex
omnibus prædicativis propoſitionibus quid fins. ratio fobjekta dialecticus
atque orator in communi argumen- connectuntur sur is, quem exempli gratiafupes,
torummateria verſautur; uterque enim,five ne- riùs adnotavi, omnibus enim
propoſitionibus cellaria, kve minimè, probabilia tamen ſequitur prædicativis
texitur.Hypothetici verò funt,quo Quefit diffe ventia inter argumenta. His
igitur illæ duæ fpecies argu- ium propofitiones conditione nituntur, ut hics
Dialecticum, menti famulantur,quæ funt probabile ac non si dies eft, lux eſt
zett autem dies, lux igitur eſte Oratorent et neceffarium: philoſophus vero ac
demonftrator Propofitia enim prima conditionem tenet hanc, Philoſuphum. de ſela
tantum veritate pertractant: Asque ideo quoniam ita demum lux eft, fi dies eft.
Atque ſive liņt probabilia, five non fint, nihil referi,' idea fyllagiſmus hic,
hypochericus, id eſt condi modo duin ſine peceſlaria: bic quoque his duabus
tiopalis vocatur. Inductio
verò eft oratio, per i i Onid fais duftio. DE DIALECTICA Tuniwy. $ niio. 0 10
OS 2712 quam fitàparticularibus ad univerfale progreflio, plumvocamus:quoniam
vero non pluresquibus hoc modo: Siin regendis navibusnan forte, ſed id efficiat
colligit partes, ab inductione diſcedit. arte legitur gubernator: fi regendis
equis auriga Ita igitur duæ quidem ſunt argumentandiſpecies non fortis eventu,
ſed commendatione artis ad- principales: una, quæ dicitur fyllogiſmus, alte
ſumitur: fi in adminiftranda republica non ſorsra que vocaturinductio; ſub his
aurem, &veluc principem facit,ſed peritía moderandi; et fimi- ex his
manantia, enthymema atque exemplum, Ed. infe- lia, quæ in pluribus conquiruntur,
quibus * im- Quæquidem omnia ex syllogiſmo ducuntur, et pertitur: et in omni
quoque re, quam quiſque ex fyllogifino vires accipiunt: live enim ſit enthy
regi atque adminiſtrari gnaviter volet, qui non 'mena, liveinductio, live etiam
exemplum, ex forte accommodat, ſed arte, rectorem, fyllogiſmo quàm maximè fidem
capit; quod in Vides igitur quemadmodum per fingulas res prioribus
reſolutoriis, quæ ab Ariſtotele tranftu currat oratio,ur ad univerſale
perveniat.Nam cùm linus, denonſtratumeft. Quocirca fatis eſt de non forte regi,
ſed arte navim, currum, rempubli- fyllogilino differere, quaſi principali, et cæte
cam collegiffet, quali in cæteris ſeſe quoque ita ras argumentandiſpecies
continente. habeat, quod erat univerſale concluſit: in omni Reſtat nunc quid
fit locus, aperiçe. Locus nam- Quid forlocais bus quoque rebus, non ſorte
ductum, fed arte, que eſt, ut* Marco Tullio placet, argumentife a Dialectico. MSS.Man
præcipuum debere præponi. Sæpe autem multo, des; cujus definitionis quæ fitvis,
paucis abſol rum collecta particularitas aliud quiddam parti- vam, Argunventi
enim fedes partin maxinia culare demonſtrat; ut fi quis fic dicat: Si neque
propoſitio intelligi poteft, partim propofitionis navibus, ncque curribus,
neque agris ſorte præ- inaximè differentia. Nam cùm fint alize propoli ponuntur;
nec rebus quidein publicis rectores tiones, quæ cùin per ſe notæ lint, cùm
nihil ul eſſe ſorte ducendi funt. Quod argumentationis teriùs habeant, quo
demonftrentur, atque hæ genus maxiinè folet eſſe probabile, etſi non maxinæ et principales
vocentur, funtque aliæ æquam ſyllogyſmi habeat firinitatem. Syllogif- quarum
fidem primæ ac maximæ, fuppleant mus namqueabuniverfalibus ad particularia de-
propofitiones: neceffe eft, ut omnium quæ curret. Eftque in eo, fi veris
propoſitionibus dubitantur, illæ antiquiſſimam teneant pro+ contexatur, firma
atque immutabilis veritas. bationein; quæ ira aliis fidem facere poffunt, Ut
inductio habet quidem maximam probabi- ut ipſis nihil queat notius inveniri.
Nam li litatem, ſed interdum veritate deficitur; ut in argumentum eſt, quod rei
dubiæ faciat fidem, hac: Qui fcir canere, cantor eſt: et qui luctari ídque
notius ac probabilius eſſe oportet, quàm luctaror: quique ædificare, ædificator;
quibus illud quodprobatur: neceſſe eſt, utargumentis multis fimili jatione
collectis, inferri poteſt: omnibus illa maximam fidem tribuant, quæ ita Qui
fcit igitur malum,malus eſt, quod non pro- per ſe nota ſunt, at alienâ
probationenon egeant: cedit;mali quippe notitia deeſſe non poteſt bonoš Sed
hujulinodi propoſitio aliquotiens quidem virtusenim ſeſe diligit, aſpernatúrque
contraria, intra argumenti ambitum continetur: aliquotiens nec vitare vitium
niſi cognitum queat. yerò extra polita, argumenti vires ſupplet ac per His
igitur duobus velut principiis, &generibus fices, Duo funt alii
argumentandi, duo quidem alii deprehenduntur Cinnes igitur loci, id eft;
maximarum diffe, Omnes loci à argumentori argumentationis modi: unusquidem
fyllogiſmo, rentiæ propoſitionum, aut ab his ducantur ne quibus ternii modi,
Enthy alter verò inductioni ſuppoſitus. In quibus qui- ceſſe eſt terminis, qui
in quæſtione ſunt propo memaſciet exemplum, ea dempromptumſit conſiderarequod,
ille quidem fiti, prædicato ſcilicețarquefubjeéto: aut extrin qaid (ma à
fyllogiſmo, ille verò ab indu et ione ducat exor- ſecus adfumantur:auc horum
medii acque inter dium: non tamen,aut hicfyllogiſmum, aut ille utrofque
verſentur. Eorun verò locoruin, qui impleat inductionem; hæc autem ſunt
enthyine ab hisducuntur terininis, de quibus in quæſtione ma, atque exemplum,
Euthymema quippe eft dubitatur, duplex modus eſt: unus quidem ab imperfectus
fyllogiſmus, id eſt oratio, in qua non corum fubftantia, aker verò ab his, quæ
eoruin omnibus antea propoſitionibus conftitutis,inter ſubſtantiam conſequuntur
shi verò quià ſubftária tur feſtinata conclufiosut fi quis ſic dicat: homo
funt, inſola definitione conliſtunt.Definitio enim animal eſt, ſubſtantiaigicur
eſt; præterınjſic eniin ſubſtantiammónftrát; et fubſtaạtiæ integra det alteram
propofitionem, quâ proponitur omne monſtratio, definitio eſt. Sed, id quod
dicimus, aniinal elle fubftantiam. Ergo cùm enthymema patefaciamus exemplis;ut
omnis vel quæftionum, ab univerſalibus ad particularia probanda con- vel
arguinentationum, vel locoruin ratio con tendit, quali ſimile Jyllogiſmo eft.
Quod vero quieſcat. Age enim quæratur; an arkores ani non omnibus, qu:e
conveniunt fyllogiſmo,propor malialint, řátque hujuſmodifyllogiſmus: ani+
ſitionibus utitur, à fyllogiſmi ratione difcet mal eftfubftantia animata
ſenſibilis:non eft arbor dit, atque ideò imperfectus vocatuseft fyllogif-
fubftantia animata fenfibilis; igitur arbor animal mus, non eft. Hic quæſtio de
genere eft; utrùm enim Exemplum quoque inductioni fimili ràtionę arboresfub
aniinaliumgenere panendæ fint,qux et copulatur, et ab ea diſcedit. Eft enim
exem- ritur: locus qui in univerſali propofitione con, plum, quod
perparticulare propoſitum,particu- filtit, huic generis definitio non convenit,
id lare quoddam contendit oſtendere, hoc modo; ejus, cujus ea definitio eft,
fpecies non eſt loci Oportet à Tullio consule necari CATILINA, cum superioris
differentia: qui locus nihilominus à Scipione Gracchus fueritinteremptus; appro,
nuncupatur à definitione. batum eſt enim CATILINA à CICERONE debere pe Vides
igitur ut çora dubitatio quæftionis fyllo rimi, quod â Scipione Gracehus fuerit
occiſus: giſmi argumentatione* tracta (it per convenien: Ed.sracht quæ utraque
particularia effe, ac non univerſalià tes et congruas propoſitiones,quæ vim
ſuam ex "4. lingularum deſignat interpoſitio perſonarum prima &maxima
propofitionecuftodiunt; ex ea Quoniamigiturex parte pars approbatur, quafi
{cilicet, quænegat effe fpeciem, cui ñnon conve: inductionis fimilitudinem
tenet id, quodexem- niat generis definitio, Acque ipſa univerſalis pro nis
ducantur: B. ftantia du tem. poſitio à ſubſtantia tracta eſt unius eorum termi-
eſt, hoc modo fæpe quæſtionibus argumenta ni, qui in quæſtione locati ſunt; ut
animalis,id fuppeditat; ut fi fit quæſtio, an juſtitia utilis fit, eſt, ab
ejusdefinitione,quæ eſt ſubſtantia anima- fit fyllogiſmus: Omnis virtus utilis
elt, juſtitia ra ſenſibilis. Igitur in cæteris quæftionibus ſtri- autem virtus
eſt, ergo juſtitia utilis eſt. Quæſtio ctim ac breviter locorum differentiis
coinmemo- de accidenti, id eſt, an accidat juftitiæ utilitas. fatis, oportet
uniuſcujuſque proprietatem vigi- Locus is, qui in maxima propoſitione
conſiſtir. lantis animi alacritate percipere. Quæ generi adfunt, et fpeciei.
Hujus ſuperior Locus ex ſub Hujus aureinloci, qui ex fuſtſtantia ducitur, locus
à toto, id eſt, à genere, virtute ſcilicet, quæ ftus, duplex duplex modus eſt;
partim namquc à definitione, juſtitiæ genus eſt. Rurſus fit quæſtio, an huma eft. partim à deſcriptione argumenta ducuntur.
næ res providentiâ,regantur. Cùm dicimus, li Differt autem definitio à
deſcriptione, quòd mundus, providentiâ regitur: homines autem Que fit dif-
definitio genus ac differentias affumic: def- pars mundi funt: humanæ igitur
res providen ferentia inter criptio verò ſubjectain intelligentiam - claudit,
tia reguntur. Quæſtio de accidenti, Locus quod defcriptiq quibuſdam vel
accidentibus unam efficientibus toti evenit, id congruit etiam parti. Supremus
proprietatein, vel ſubſtantialibus præter genus locus à toro, id eſt, ab
integro. Quod partibus conveniens aggregatis. Sed definitiones, quæ ab conftat,
id verò eft mundus, qui hominum to accidentibus fiunt, tamen videntur nullo
modo tum eſt. ſubſtantiam demonftrare: tamen quoniam fæpe A partibus etiain
duobus modis argumenta naf- A partibus veræ definitionesita ponuntur, quæ
ſubſtantiam cuntur: aut enim à generis partibus, quæ ſunt, duobus modis
monſtrant: illæ etiam propofitiones,quæ à deſcri- fpecies:aut ab integri, id
eſt, torius; quæ par- azamente ptione fumuntur,à fubftantiæ loco videntur affu-
tes tantum proprio vocabulo nuncupantur. Et Mojcanine. mi. Hujus verò tale fit
exemplum; quæratur de his quidem partibus, quæ ſpecies funt, hoc enim, an
albedo ſubſtantia fit: hic quæritur, an modo fit quæſtio, an virtus mentis benè
conſti albedo ſubftantiæ, velut generi ſupponatur. Di- tutæ fic habitus:
quæſtio de definitione, id eft, cimus igitur: ſubſtantia elt, quod omnibusacci-
an habitus benè conſtitutæmentis,virtutis lit de dentibus poſſit eſſe ſubjectum:
albedo verò nul- finitio. Facieinus itaque ab ſpeciebus argumen dis
accidentibus fubjacet, albedo igitur fubſtan- tationem lic: Si juftitia,
fortitudo, inoderatio, tia non eſt. Locus, id eſt, maxima propoſitio, atque
prudentia, habitus benè conftituræ mentis eadem quæ fuperiùs. Cujus
enimdefinitio vel funt: hæc autem quatuorunivirtuti velut generi deſcriptio
ei,quod dicitur,ſpecies effe non conve- ſubjiciuntur: virtus igitur benè
conſtitutæ men nit, id ejus quod eſſe ſpecies perhibetur, genus tis eſt
habitus. Maxima propoſitio; quod enin noneſt. Deſcriptio verò fubftantiæ
albedini non ſingulis partibus ineſt, id toti inefTe neceffe eft.
convenitalbedo: igitur ſubſtantia non eſt. Argumentum verò à partibus, id eſt,
à generis Locus differentia ſuperior à deſcriptione; quam partibus, quæ ſpecies
nuncupantur; juſtitia enim, duduin locavimus in ratione ſubſtantiæ. Sunt
fortitudo, modeſtia et prudentia, virtutis fpe etiam definitiones, quæ non à
rei ſubſtantia, ſed cies ſunt. à nominis ſignificatione ducuntur, atque itą
rei, Item ab his partibus, quæ integri partes eſſe di de qua quæritur,
applicantur; ut ſi ſît quæicio, cuncur, fit quæſtio, an fit utilismedicina. Hæc
utrumne philoſophiæ ſtudendum fit, erit argu: in accidentis dubitatione
conftituta eſt. Dicimus mentatio talis: Philofophia ſapientiæ amor eſt, igitur,
ſi depelli morbos, ſalurémque fervari, huic ſtudendum nemo dubitat: Itudendum
igitut mederique vulneribus utile eft: igitur medicina eſt philofophiæ. Hic
enim non definitio rei, ſed eſt utilis. Sæpe autem et una quælibet pars valer,
nominis interpretatio argumentum dedit. Quod ut argumentationis firmitas
conſtet, hoc inodo; etiam Tullius in oſtenſione ejuſdem philofophiæ ut fi de
aliquo dubitetur, an fit liber: ficum vel uſus eſt defenfione, et vocatur Græcè
quidem cenſu, velteſtamento, vel vindictâ manumiſ ovouzOtong, Latinè autem
nominis definitio. fum eſſe monſtremus, liber oſtenſus eſt: atque Hæc de his
quidem argumentis, quæ ex ſubſtan- aliæ partes erantdandæ libertatis. Vel
rurſus, fi cia terminorum in quæſtione politorun fumun- dubitetur, an ſir domus
quod eminus conſpici tur, claris,ut arbitror,patefecimus exemplis: nunc tur:
dicimus quoniam non eſt; nam vel rečtun de his dicendum eſt, qui terminorum
ſubſtana ei, vel parietes, vel fundamenta defunt, ab una tiam conſequuntur.
rurſus parte factum eſt arguinentum. Divifio loco Horum verò multifaria diviſio
eſt; plura enim Oportet autem non folùm in ſubſtantiis, ve Tum qui(ubu funt,
quæ ſingulis ſubſtantiis adhæreſcunt: ab růın etiam in modo, temporibus,
quantitatibus, franciam com his igitur, quæcujuſlibet ſubſtantiam comitan-
torum, partéfque reſpicere. Id enim quod dici fequantur. tur, argumenta duci
folent, aut ex toto, aut ex mus aliquando in teinpore, pars': rurſus li fim
partibus, aut ex caufis, vel efficientibus,vel ma- pliciter aliquid
proponamus,in modo totum eſt: teria, vel fine. Er eſt efficiens quidem cauſa,
li cum adječtione aliqua, pars fit in modo. Item quæ inover atque operatur, ut
aliquid explice- fi omnia dicamusin quantitate, tòrum dicimus: tur: materia
verò, ex qua fit aliquid,vel in quafit: fialiquid quantitatisexcerpimus,
quantitatis po, propter quod fit. Sunt etiam inter eos lo- nimus partem. Eodem
modo &in loco: quod cos, qui ex his ſumuntur, quæ ſubſtantiain con- ubique
eſt, totum eſt: quod alicubi, pars. How ſequuntur, aut ab effectibus, aut à
corruptioni- ruin autem omnium communiter dentur exem bus', aut ab uſibus, aut
præter hos omnes ex pla. A toto ad partem fecundum tempus: fi communiter
accidentibus. Quæ cùm ita fint, Deus ſemper eſt, &nunc eſt. A parte ad
totum cum priùs locum, qui à toto fumitur, inſpicia- ſecundum modum:ſi *anima
aliquo modo niové» MSS. amie tur, et fimpliciter movetur; movetur autem cum
mal. Totum duobus modis dici folet: aut ut genus, irafcitur;univerſaliter
igitur et fimpliciter mo bus modisdi- aut ut idquod ex pluribus integrum
partibus vetur. Rurfus à toro ad partes in quantitate: fi conſtat. Er illud
quidem quod ut genus, totum finis mus. Totum duo citur. 1 1 DE DIALECTICA 3
teria, fi jori. TA A. > verus in omnibus Apollo vatės eſt; verum erit
oppoſitis, vel ex tranffuinptione. Et ille quidem Pyrrhum Romanos ſuperare.
Rurſus in loco, fi locus, qui rei judiciuin tenet, hujuſmodi eft; ut Locus à
rei Deus ubique eft, et hîc igitur eſt. id dicamus effe, vel quod omnes
judicant, vel judicio. Locusà came "Sequitur locus, quinuncupaturà cauſis.
Sunt plures, et hivel ſapientes, vel ſecundam unam fis multiplex. verò plures
cauſa, id eft, quæ vel principium quanque artem penitus eruditi.Hujus exempluin
præſtantmotusatque efficiunt: vel ſpecierum for- eft, cælum eſſe volubile: quòd
ita fapientes, atque mas ſubjectæ ſuſcipiunt: vel propter eas aliquid, in
Aſtronoinia do et illimi diſudicaverint. Quæ vel quæ cujuſlibet forma eſt. ſtio
de accidente. Propofitio, quod omnibus,vel Zocus ab effi- Argumentum igitur ab
eficiente cauſa; ut fi pluribus, veldoctis videtur hominibus,ei contra ciense
cauſa. quis juſtitiam naturalemn velit oſtendere, dicat: dici non poſſe. Locus
à rei judicio. congregatio hominum naturalis eſt: juſtitiam A fimilibus verò
hoc modo, fi dubitetur, an verò congregatio hominum fecit: juſtitia igitur
hominis proprium fit eſſe bipedem, dicimus fi naturalis eſt. Quæſtio de
accidente. Maximapro- militer: ineſt equo quadrupes, et homini bipes; poſitio:
quorum effacientescauſæ naturales ſunt, non eft autem equi quadrupes proprium;
non eft apſa quoque ſunt naturalia. Locus ab efficienti igitur hominis
propriuin bipes. Quæſtio de pro bus; quodenim uniuſcujuſque cauſa eſt,id
efficit prio. Maxiina propoſitio. Si quod limiliterineſt, can rem, cujus caufa
eft, non eſt proprium, ne id quidem de quo quæritur, Locus à ma Rurſus, ſi quis
Mauros arima non habere con- eſſe propriuin poteſt. tendat, dicit idcirco eos
minimè armis uti, quia Locus à fimilibus: hic verò in gemina dividitur. Locus
àfomi libus duplex. his ferrum deſit. Maxima propoſitio, ubi materia Hæc enim
fimilitudo, aut in qualitate, aut in deeſt, et quod ex materia efficitur, defit
locus à quantitate conſiſtit: ſed in quantitate paritas mareria: utrumque verò,
ideft, ex efficientibus nuncupatur, id eſtæqualitas. atque materia,uno nomine à
cauſa dicitur. Æquè Rurfus ab eo quod eſt majus, fi an fit animalis Locais à
Ma. enim id quod efficit, atque id quod operantis definitio, quod ex ſe moveri
poffit, dicimus, actum ſuſcipit, ejus rei, quæ efficitur, cauſæ magis oportet
eſſe animalis definitionem, quòd funt. naturaliter vivat, quàm quòd ex ſemoveri
poffit Locais à fine. Rurſus à fine fit propofitum, an juftitia bona Non eft
autem hæc definitio animalis, quòd natu fit, fiet argumenratio talis. Si beatum
eſſe, bo- raliter vivat: ne hæc quidem, quæ minùs vide num eſt, et juſtitia
bona eſt; hic eſt enim juſtitiæ tur effe definitio, quod ex ſe inoveripoſſit,
ani finis, ut qui ſecundum juſtitiam vivit, ad beati- malis definitio eſſe
paranda eſt. Quæſtio de defi rudinem perducatur. Maxima propoſitio, cujus
nitione. Propoſitio maxima. Si id quod magis finis bonus eft, ipſum quoque
bonum eft. Locus videbitur ineſſe non ineſt, ne illud quidem à fine. quod minus
ineffe videtur, inerit. Locus ab eo Loctus a for Ab eo verò, quæcujuſque forma
eſt,ità non po- quod eſt inajus. tuiſſe volare Dædalum, quoniam nullasnaturalis
A minoribus verò converſo modo. Nam fi eft locus à formæ pennas
habuiſſet.Maxima propoſitio, tan- hominis definitio, animal grellibile bipes:
cúm- mori. tìm quemque poffe, quantùın formapermiſerit. que id bipes videatur
effe definitio hominis mi Locus à forma, nus. quàm animal rationale mortalc;
fitque defi Loc tus ab effe, Ab'effectibus verò, et corruptionibus, &uſibus
nitio ea hominis, quæ dicit animal grellibile bi Etibus, corrm- hoc modo: namn
ti bonum eſt,domus, conſtru- pes, erit definitio hominis, animal rationale -
ptionibus, &io bonum eſt, bonum eſt domus. Rurfus fi mortale. Quæſtio de
definitione. Maxima propo ufibus., maluin eſt, deſtructio domus: bona eſt
domus,& ficio: Si id quod minus videtur ineffe, ineſt: et fi bona eſt domus,
mala eſt deſtructio domus. id quod magis videtur inefle, inerit. Multæ au Item
ſi bonum eſt equitare, bonum eſt equus: et tem diverfitates locorum ſunt, ab eo
quod eſſe fi bonum eſt equus, bonum eſt equitare. Eſt au- magis acminùs,
argumenta miniſtrantium: quos tein primum quidem exemplum à generationi- in
expoſitione Topicorum Ariſtotelis diligentius bus, quodidem ab effectibus
vocari poteft. Sea perſequuti fumus. cunduin à corruptionibus, tertium ab
ufibus. Item ex proportione: ut fi quæràtur, an ſorte Lucus ex pro Omnium autem
maximæ propofitiones: cujus fint legendi in civitatibus magiſtratus, dicamus
portione. effectio bonaeſt, ipfum quoque bonum eſt, et è minimè: quia ne in
navibus quidem gubernator converfo: et cujus corruptio mala eſt, ipſum bo-
forte præficitur: eſt eniin proportio, nain ut fele nuin eſt, et è converſo:
&cujus uſus bonuseſt, habet gubernatorad navem, itamagiſtratus adci ipfum
bonum eft, et è converſo. vitatem. Hic autem locus diftat ab eo, quod ex ſi
Locus à com A coinmuniter autem accidentibus argumenta milibus ducitur. Ibi
enim una res quæ cuilibet muniteracci- funt, quotiens ea ſumuntur accidentia,
quæ re- et alii comparatur: in proporcione verò non eſt linquere ſubjectum,vel
non poffunt, vel non ſo. limilitudo rerum, fed quædam habitudinis coin lent;
utſi quis hoc inodo dicat: ſapiens non pa paratio. Quæſtio de accidenti
proportione.Quod nitebit; pænitentia enim malum factum comita- in
quaquereevenit, id in ejus proportionali eve tur: quod quia in ſapiente non
convenit, ne poe- nire neceſſe eſt. Locus à proportione. nitentia
quidein.Quæſtio de accidentibus.Propo Ex oppoſitis verò multiplexlocus eft.
Quatuor Locus ex op fitio maxima: cui non ineft aliquid,ei neillud qui- enim
libimet opponuntur modis; aut enim ut pofo ismulti dein, quod ejus eſt
conſequens, ineffe poteſt. contraria adverfo ſeſe loco conſtituta refpiciunt:
plex. Locus à coinmuniter accidentibus. aut ut privatio, et habitus:
aut relatio: aut affir De lo cis ex Expeditisigitur locis his, qui ab ipſis
terminis inatio &négatio. Quorum diſcretiones in co li srinfecus. in
propofitfone poſitis, affumuntur: nunc de his bro qui de decem prædicamentis
fcripruscſt,com dicendum eft, qui licet extrinfecuspoſiti, argu- meinoratæ
ſunt; ab his hocmodoargumentanaſ menta tamen quæſtionibus fubminiftrant: hi ve
ro ſunt vel ex rei judicio, vel ex ſimilibus, vel à A contrariis fi quæratur,
an lit virtutis pro- Locus à con majore, vel à minore, velà proportione, velex
prium laudari, dicam minimè: quoniam ne vitii trariis.; D cuntur. B. Jocentu.
habits. sione. Locus ex. ne. quidem vituperari. Quæſtio de proprio. Maxi-
ſecundum proprii nominis fimilitudinem corr ma propoſitio: quoniam contrariis
contraria fequuntur. conveniunt. Locus ab oppoſitis, id eft, ex con Mixti
verò loci appellantur: quoniam ſi de ju- Qui mirtilo. ' trario. ſtitia
quæritur, et à caſu, vel à conjugatis argu Locuus à pri Rurſus ſit in quæſtione
pofitum: An ſit pro- menta ducuntui; neque ab ipſa propriè atque vatione prium
oculos habentium videre, dicam miniinè: conjunctè, neque ab his quæ ſunt
extrinſecus eos namque qui vident, aliàs etiam cæcos eſſe polica videntur
trahi, fed ex ipſoruin calibus, id contingit. Nain in quibus eſt habitus,in
eiſdem eſt, quadam ab iplis levi immutatione deductis: poteriteſſe privatio; et
quod eſt proprium, non Jure igitur hi loci medii inter eos, qui ab iplis,
poreſt àſubjecto diſcedere. Etquoniam venien- et eosquiſunt extrinfecus,
collocantur. te cæcitate viſus abfcedit:non effe proprium ocu Reſtat locus à
diviſione, qui tractatur hoc mo- Locus è divi. los habentium videre
convincitur. Quæſtio de de. Omnis diviſio vel negatione fit, vel parti- fione
fisvel proprio. Propofitio, ubi PRIVATIO adetle poteft tione; ut ſi quis ita
pronuntiet: omne animal negatione,vel Partitione et habitus, proprium nonelt. Locus ab oppofi- aut habet pedes, autnon haber. Partitione verò, tis,
ſecunduin habitum ac privationein. velut ſi quis dividat: omnis hoino aut ſanus,
aut Zocus à rela. Rurſus ſit in quxſtione pofitum, an patris fit æger
eft. Fit autem univerfa divifio, vel, ut ge proprium procreatorem eſſe, dicain
rectè videri: neris in ſpecies, vel.totius in partes, vel vocis in quia filii
eſt propriuin procrcatum efle; ut enim proprias ſignificationes, vel accidentis
in ſubje ſeſe habet pater ad filium, ita procreatus ad pro- cta, velſubjecti in
accidentia, vel accidentis in Creatorem. Quæſtio de proprio. Propofitiomaxi-
accidentia. Quorum omnium rationemin meo ma: ad ſe relatorum propria, et ipſa
ad ſe refe- libro diligentius explicavi, quem de diviſione Libram dedi runtur.
Locus à relativis oppofitis. Locus ab af compoſui:atque idcircoad horuin
cognitionem vifione com pour celſis formatione e Item fit in quæſtione politum,
an lit ani- congrua petantur exempla. Fiunt verò argumen - dow negatione. malis
proprium moveri, negem: quia nec tationes per diviſionem, tun ea
ſegregatione, Ed. in ani- inaniinati
quidein eſt proprium non moveri. qux per negationem fit, cum ea quæ per parti
mali. Quæſtio de proprio. Propofitio inaxiina: op- tionem. Sed qui his
diviſionibus utuntur, aut di politorum oppoſitaeſſe propria oportere. Ló-
re& tâ ratiocinatione contendunt: aut in aliquid cus ab ppolitis, ſecundum
affirmationem ac impoſibile atque inconveniens ducunt, atque negationem; moveri
enim et non moveri, ſe- ita id quod reliquerant, rurſus adſumunt. cundum
affirmationem negationémque fibimmer Quæ faciliùs quiſque cognoſcer, li
prioribus opponuntur. Analiticis operam dederit: horum tamen in præ Ex
tranſſumptione verò hoc modo fit: cùm ex fentitalia præftabunt exempla
notitiain. Sit in transJumptio. histerminis in quibus quæſtio conſtituta eft,ad
quæſtionepropoſituin, an ulaorigo fit temporis: aliud quidem notius dubitatio
transfertur; atque quod qui negare volet, id nimirum ratiocinatio ex ejus
probationeea, quse in quæſtione ſunt po- ne firmabit mallo, modo effe ortum:ídque
dire ſita, confirmantur; ut Socrates, cùin quid pof- &tâ ratiocinatione
monftrabit, hocmodo: quo ſet in unoquoque juſtitia, quæreret; omnein niain
mundusærernus eſt (id enim pauliſper ar tractatum ad reipublicæ tranſtulit
inagnitudi- guinenti gratiâ concedatur ) mundus verò fine nem; atque ex co quodilla
efficeret infingulis, tempore effe non potuit, teinpus quoque eſt æter etiani
valere fitinavit. Qui locus à roro forſican num: ſed quod æternum eſt,
carerorigine: tem eſſe videretur: ſed quoniam non inhæret in his, pus igitur
orignem non habet. Atſi per impolli de quibus proponitur terminis, fed extra
poſita bilitatein idem deſideretur oſtendi, dicetur hoc res, hoc tantum
quianotior videtur, affumitur; modo. Sitempus habet origineni,non fuit ſemper
idcirco ex tranſfumptione locus id convenienti teinpus: fuit igitur, quando non
fuit rempus, ſed vocabulo nuncupatus eft. Fit verò hæc tranſlum- fuiffe SIGNIFICATIO
eſt temporis; fuit igitur tein prio &in nomine, quoties ab obfcuro vocabulo
pus, quando non fuittempus: quod fieri non ad notius transfertur argumentatio,
hoc modo; poteft; non igitur eſt ulluin temporisprincipiuin ut ſi quæratur, an
philoſophus invideat, fitque pofitum. Namque, ut ab ullo principio cæpe ignotum
quid philoſophi ſignificet nomen, dice- rit, inconveniens quiddam atque
impoffibile mus ad vocabulum notius transferentes, non in- contingit fuiſſe
teinpus, quando non fuerit videre qui ſapiens ſit; notius enim eſt fapientis
tempus. Reditur igitur ad alterain partein, vocabuluin, quàm philofophi. Ac de
his qui- quod origine careat: fed hæc quæ ex negatio dem locis qui extrinfecus
aſſumuntur, idoncè di- ne diviſio eſt, cùm per eam quælibet argu ctuin eſt:
nunc de mediis diſputabitur. menta ſumuntur, nequit fieri, ut utrumque fit,,
quod affirinatione et negatione dividi De Mediis. tur: itaque ſublato uno,
alterum manet; pofi tóque altero reliquum tollitur: vocaturque hic à Ex quibus
Medii enim loci ſumuntur vel ex calu, vel ex diviſione locus, medius inter eos
qui ab ipfis conjugatis, vel ex diviſione naſcentes. Caſus duci folent, atque eos qui extrinſecus adſumun Sumantur. Quid fit eſt
alicujus nominis principalis inflexio in adver- tur. Cùm enim quæritur, an ulla
temporis lit bium: uràjuſtitia inflectitur juſtè, cafus igitur origo, ſumit
quidem eſſe originem; et ex eo pet Quid Conju- eſt juſtitia,id quod dicimus
juftè, adverbium. propriamconſequentiam à re ipſa,quæ quæritur, Conjugata verò
dicuntur, qux abeodein diver- htimpoſſibilitatis et mendacii fyllogiſmus;quo fo
modo ducta Auxerunt:ut à juſtitia, juftum; concluſo reditur ad prius, quod
verum eſſe ne hæc igitur inter ſe et cum ipſa juſtitia conjugara ceſſe eſt;
fiquidem ad quod eioppofitum eſt, ad dicuntur, ex quibus omnibus in promptu
lunt impoſſibile aliquid inconvenienſque perducit. argumenta. Namfi id quod
juftum eft, bonum Itaque quoniam ex ipfa re, de qua quæritur, fieri eſt; et id
quod juſtè eſt, benè eſt; et qui juftus fyllogiſmus folet, et quali ab iplis
locus eft du eft, bonus cft, et juftitia bona eſt; hæc igitur cus: quoniam verò
non in eo permanet, fed ad locis Medii Calus. gaid. politum DE DIALECTICA BA
tis li 1. nd 20 je 18 19 100. TOR: OK parti 17 10.3. pofitam redit, quafi
extrinſecus fumitur: idcirco Quibus ita popofitis inſpiciatRus nunc cos lo:
igitur hic à diviſione locus inter utrumque me cos', quos duduin
extrinfecuspronuntiabamus Delocis eta dius collocatur. affuini; ea enim, quæ
extrinſecus affumuntur, frempris,, of Loci ex par Ac verò hi qui ex partitione
funiuntur, multi- non ſunt ita ſeparata atquedisjuncta, ut non ali nitione fum-
plici funt modo. Aliquotiens
enim quæ divi quandoquali è regione quadam, ca quæ quærun qua dintre
pri,maisiplici duntur, fimul effe poffunt; ut fi vocem in figni- tar,
afpiciant. Nam et funilitudines et oppofita frunt modo. ficationes dividamus,
oinnes fimul eſſe poſſunt: ad ea lme dubio referuntur, quibus ſimilia vel op
veluti cum dicimus amplector, aut actionein li polica funt, licet jure
atqueordine videantur ex gnificat, aut paffionem; utrumque finul lignifi
trinſecus collocata. Sunt autem hæc, ſimilitudo, care poteft. Aliquotiens velut
in negationis mo- oppoſitio, magis,ac minus, rei judicium. In ſimi do, quæ
dividuntur fimul eſſe non poffunt; ut litudine enimcum rei fimilitudo, tum
propor fanus eſt, aut æger. Fitautein raciocinatio in tionis ratio continetur.
Omnia enim fimilitudi priore quidem mododivilionis, tum quia omni- nem tenent.
bus adeſt quodquæritur, vel non eft: tum verò Oppolica verò in concrariis, in
privationibus; idcirco alicui adeſſe, vel non adeffe quod aliis ad in
relationibus, in negationibus conſtant. Com ſit, vel minimè. paratio verò
majoris ad minus quædam quali ſi Nec in his explicandis diutiùs laboramus, fi
miliuin diffimilitudo eft; rerum enim per fe finni prioresReſolutorii, vel
Topica diligentiùs inge- lium in quantitate diſcretio majus fecit ac minus,
nium le& oris inftruxerint. Nam fi quæratur, Quod enim omni qualitate,
omnique ratione utrum canis fubftantia fit, atque hæc divifio fiar: disjunctum
eſt, id nullo modo poterit compara canis vel latrabilis animalis eſt velmasinx
belluæ, ri. Exrei verò judicio quæ ſunt argumenta, quaſi vel cæleftis lideris
nomen e demonftraretque per teſtinionium præbent, et ſunt inartificiales loci
ſingula et canem latrabilem fubftantiam eflc,ma- atque omnino disjuncti; nec
rem potius, quàm rinam quoquebelluam, et cælefte fidus ſubſtantiæ opinionem
judiciúmque fectantes. Tranſſum poffe fupponi,nonftravit canem eſſe fubftantiam.
ptionis verò locus nunc quidem in'æqualitate, Acque hic quidem ex ipfis in
quæſtione propoſi- nunc verò in majoris minoriſve.comparatione tis; videbitur
argumenta traxiſſe. At in talibus conſiſtit; aut enim adid quod eſt finile, aut
ad id fyllogiſmis, aut fanus eſt aut æger: ſed fanus eft, quod eſt majus aut
minus, fit arguinentorum raa non eft igitur ager: ſed fanus non eft, rgerigi-
fionumque tranſſumptio. cur eſt; velica: liæger eft, fanus igitur non eſt; Hi
verò loci quos mixtos eſſe prædiximus, aut De locismist velita: fi æger noneft,
fanus igitureſt. Ab his ex caſibus, autex conjugatis, aut ex diviſionenaſ- sis.
* M5$. in- quæ funt* extrinſecusſumptus eſt ſyllogiſmus,id cuntur: in quibus
omnibus conſequentia, et re trinfecu. elt,ab oppoſitis. Idcirco ergo totus hic
àdiviſio- pugnantia cuſtoditur. Sed ea quidem,quæ ex defi ne locus inter
utrofque medius eſſe perhibetur: nitione, vel genere, vel differentia, vel
caufis quia ſi negatione fit conftitutus, aliquo inodo arguinenta ducuntur,
demonftratione maxiinè quidem ex ipfis fumitur, aliquo modo ab exte-
fyllogiſinis vires atque ordinem ſubminiſtrant: tioribus venit. Si verò à
particioneargumenta reliqua verò verifimilibus ex dialecticis. Atque ducuntur;
nunc quidem ab ipfis, nunc verò ab hi loci maximè, qui in corum fubftantia
ſunt, de exterioribus copiam præſtant: quibus in quæſtione dubitatur, ad
prædicativos Etca Græci quidem Themiſtii diligentiſſimi ac fimplices:reliqui
verò ad hypotheticos et con ſcriptoris ac lucidi, et omnia ad facultatem intel-
ditionalesreſpiciuntfyllogiſmos. Partitio locou ligentiæ revocantis, talis
locorum videtur effe Expeditis igitur locis,& diligenter tam defini
partitio. Quæcùm ita fint, breviter mihi loca- tione, quàm exemplorum etiam
luce parefactis, rum divifio coinmemoranda eſt, ut nihil præte- dicendum
videtur, quomodohiloci maximarum rea relictum eſſe monftretur, quod non intra
cam ſint differentiæ propoſitionum, idque brevi; ne probetur effe inclufum. De
quo enim in quali- que enim longå diſputatione res eget. Omnes bet quæſtione
dubitatur, id ita firınabitur argu- enimmaxiinæ propoſaiones,vel definitiones,
in mentis; ut ea vel ex his ipfis fumantur, quæ in eo quòd ſunt maximæ, non
differunt: ſed in ed quæſtione ſunt conſtirura, vel extrinfecus ducan- quòd hæ
quidein à definitione, illæ verò à genere, tur vel quaſi in confinio horum pofita
veſtigen- vel aliæ veniant ab aliis locis, et his jure differre; tur. Ac præter
hanc quidem diviſionein nihil ex- hæque earum differentiæ eſſe dicuntur. tra
inveniri poteſt: ſed ſi ab ipſis fumitur argu mentum, aut ab ipſoruin neceffe
eſt ſubſtantia De Topicis. fumatur, aut ab his quæ ea conſequuntur, aut abhis
quæinſeparabiliter accidunt,veleis adhæ- Topica ſunt argumentorum ſedes, fontes
fen- Quid fire ſubſtantia ſeparari ſejungique fuum, origines dictionum. Itaque
licet definire Topica. vel non poffunt, vel non folent. Quæ verò ab locum eſſe
argumentiſedem: argumentum aucem corum fubftantiaducuntur, ca aut in
deſcriptio- rationem, quæ reidubiæ faciat ħdem. Et funt ar- Quibus ex aut in definitione ſunt; et præter hæc, à no- gumenta
aut in ipfo negotio, dequo agitur: aut rebus argi minis interpretatione. Quæ
verò eavelur ſub- ducuntur exhis rebus, quæquodanmodoaffectæ menta ernano
ftantias continentia conſequuntur, alia ſunt, vel ſunt ad id,de quo quæritur;
et ex rebus aliis tra ut generis, vel differentiæ, vel integræ formæ, &tæ
nofcuntur: aut certè affumuntur extrinſecus. vel fpecierum, velpartiumloco
circaca, quæ in- Ergo hærentia loca argumentorum in eo ipfone- Ex locis han
quirantur, alliſtunt. Item, vel caufæ, vel fines, gotio funttria,id eſt, à toto,
à partibus, à nota. rentibus et vel effectus, vel corruptiones, vel uſus,vel
quan A toto eft argumentum etiam,cùm definitio ad- ſunt tria. ticas, vel tempus,
vel fubliſtendimodus. Quod hibetur adid, quod quæritur; sicut ait CICERO, * Ed.
exfc. verò propriè inſeparabile, vel adhærens, acci- GLORIA EST LAUS rectè fa
&torum, magnorúmque in dens nuncupatur, id in communiter accidentibus
rempublicam fama meritorum: ecce quia GLORIA numerabitur. Et præter hæc quid
aliud cuiquam totum eſt, per definitionem oſtendis, quid lis inelle pollit, non
poteft invenici. GLORIA. Dddd firs 218 - am Timr. B. tredecim. Argumentum à partibus ſic; utputa,
ſi oculus A repugnantibus arguinentum eſt, quando videt, non ideo totuin corpus
videt. illud quod objicitur,aliqua contrarietate deftrui A nota autem fic
ducitur argumentuin, quod tur -- ut CICERONE dicit: Is igitur non inodò à te
per Græcè Etymologia dicitur: Siconſul eſt,qui con- riculo liberatus, ſed etiam
honore ampliſſimodi ſulit reipublicæ, quid aliud Tullius fecit,cùm ad- tatus,
arguitur domi ſuæ te interficere voluiffe. fecit fupplicio conjuratos? A cauſis
argumentum eſt, quando ex conſuetu Exipfis rebus Gex rebus
Nuncducunturargumenta et ex his rebus, quae dine communi res quæ tractatur,
fieri potuiſſe aliis, e junt quodammodo affectæ ſunr adid, de quo quæri-
convincitur; ut in Terentio: Ego nonnihil veri et ex rebus aliis tra &tæ
nofcuntur: et funt tus ſuin dudum abs te Dave, ne faceres, quod loca tredecim,
id eſt, alia à conjugatis, alia à ge- vulgus fervorum folet, dolis ut ine
deluderes. nere, alia à forma generis, id eft, fpecie, alia à Ab effectibus
ducitur argumentum, cùm ex his Limilitudine, alia à differentia, alia ex
contrario, quæ facta ſunt, aliquid adprobatur; utin VIRGILIO alia à conjunctis,
alia ab antecedentibus, alia à lio: Degeneres animos timor arguit; nam timor
conſequentibus, alia à repugnantibus, alia à cau- eſt caula, ut degener (ic
animus, quod ciinoris fis, alia ab effectibus, alia à comparatione inino-
effectum eſt. rumi, majorum, aut parium. A comparatione argumentuin ducitur,
quando Primò ergo à conjugatis argumentum ducatur. per collationem perfonarum
live caufarum, fen Conjugata dicuntur, cùm declinatur à nomine, tentiæ ratio
confirmatur, et à majori ratione hoe et fit verbun; ut CICERONE Verrem dicit
everriſſe modo, ut in VIRGILIO: Tu potes unanimes arna provinciam: vel nomen à
verbo, cùmlatrocinari rein prælia fratres. Ergo qui hoc in fratribus po dicitur
latro: aut nomen à nomine; ut Terentius: teft, quanto magis in aliis?'A minorum
compa Inceptio eſt amentium, haud amantium, ratione; ſicut Publius Scipio
Pontificem maxi A genere argumentum eſt, quando à re gene- mum Tiberium
Gracchum non mediocriter labe rali ad ſpeciem aliquam deſcendit: ut illud VIRGILIO
- factantem ſtatum reipublicæ privatus interfecit. lii, Varium et mutabile
ſemper fumina: potuit A pariuin comparatione;lic CICERONE, in Piſone et Dido,
quod eſt ſpecies, varia et mutabilis nihil intereſſe, utrum ipſe conſul
improbis con eſſe. Velillud CICERONE, quod fecit argumen- cionibus, perniciofis
legibus rempublicam vexer, tum, deſcendens à genere ad ſpeciem:Nam cùm an alios
vexare pațiatur. omnium provinciarum ſociorúmque rationem Extrinſecus verò
affumentur argumenta hæc, De Argu diligenter habere debeatis, tuin præcipuè
Siciliæ, quæ Græci år give vocant, id eſt, inartificialia, meniis ex judices.
quod teitimonium ab aliqua externa re fumitur frin'ecus afa fumptis. Aſpecie
argumentumducitur, cùmgenerali ad faciendam fidem; et prius. quæſtioni fidem
fpecies facit; ut illud VIRGILIO: A perſona, utnon qualifcuinque lit, ſed illa An
non fic Phrygius penetrat Lacedæmonapa- quæ teitimonii pondus habet adfaciendam
fi ftor? quia Phrygius paſtorſpecies eſt; et fi iftud dem, fed et morum
probitate debet effe lauda ille unusfecis, et alii hoc Trojani generaliter fa-
bilis. tere poffunt. A natura auctoritas eſt, quæ maxima virtute A ſimili
argumentum eft, quando de rebus conſiſtit; et à tempore funt, quæ afferant
aucto aliquibus fimilia proferuntur; ut Virgilius. ritatem; ut ſunt ingenium,
opes, ætas, fortu Suggere tela inihi, nam nullum dextera fruftra na, ars, uſus,
necellitas, concurſio rerum for Torſerit in Rutulos, fteterintque in corporc
tuicaruin. Grajum A dictis fačtíſque majorum petitur fides: cùm Iliacis campis.
priſcorum dicta factáque memorantur. A differentia argumentum ducitur, quando
Et à tormentis fides probatur, poft quæ neme per differentiam aliquæ res
feparantur; VIRGILIO: creditur velle mentiri. Non Diomedis equos, nec curruin
cernis Achil lis. De Syllogiſmis. A contrariis argumentum ſumitur, quando res
diſcrepantes fibimet opponuntur; ut Teren Prima figura modos haber quatuor, qui
uni tius: Nam fi illum objurges, vitæ qui auxilium verfaliter vel
particulariter affirmativam vel ne tulit, quid facies illi qui dederit damnum
aut gativam concludent. malum? Secunda item quatuor modos, qui ab negativa A
conjunctis autem fides petitur argumenti; concludent, five univerſaliter live
particulariter. cùm quæ lingula infirma ſunt, fi conjungantur Tertia figura
haber ſex modos, qui affirmative vim veritatis affumunt; ut, quid accedit ur
tenuis vel negativè, ſed particulares facient copclufio ante fuerit, quid fi ut
avarus, quid fi ut audax, nes. quid fi ut ejus, quiocciſus eſt, inimicus?
Singula Ergo primæ figuræ modus primuseſt, qui con hæc quia non ſufficiunt,
idcirco congregata po- ficitur ex duabus univerſalibus affirmativis, ha nuntur,
ut ex multis junctis res aliqua confir- bens concluſionem univerfaliter
affirmativain, hoc modo. Ab antecedentibus argumentum eft, quando Omne bonumeft
amabile. aliqua ex his quæ priùs gefta funt, comproban Omne juftum eft bonum.
tur; ut CICERONE pro Milone:Cùm non dubitaverit Omne igitur juftum eft amabile.
aperire quid cogitaverit, vos poteſtis dubitare Secundus modus figuræ primæ
conficitur ex quid fecerit? præceſſit enim prædictio,ubi eft ar- univerſali
abnegativa, et univerfali affirmativa, gumentum, et fecutuin eſt factum. habens
concluſionem univerſaliter, hoc modo. A confequentibus verò arguinentum eſt,
quan Nullus rifibilis eft irrationalis. do pofitam rem aliquid inevitabiliter
conſequi Omnis homo eft riGbilis. tur; ut fi mulier peperit, cum viro
concubuit. Nullus igitur homo eſt irrationalise. metur.Tertius modus primæ
figuræ est, qui conficitur gationem particularem concludit, hoc modo. ex
univerſali affirinativa, et particulari affirma Quidam homo non eſt albus. tiva,
particularem affirmativam concludens, hoc Omnis homo eft animal. modo. Quoddam
igitur animal non eſt albumi Omne animal movetur. Sextus modus tertiæ figuræ
eſt, qui ex univer Quidam homo eſt animal. ſali negativa, et particulari
affirmativa particula Quidam igitur homo movetur. rem negativam concludir, hoc
modo. Quartusmodusprimæ figuræ eſt, qui confi Nallus homo eft lapis. citur ex
univerſali abnegativa, et particulari affir Quidain homo eſt albus. mativa,
particularem abnegativam concludens, Quoddam igitur album non eſt lapis. hoc
modo. Demonftrati ſunt omnes modi trium figuraru:n Nullum inſenſibile eſt
animatumi categorici fyllogiſmi, licet quidam primæ figuræ Quidam lapis eft
inſenſibilis. aliosquinque modos addiderint. Quidam igitur lapis non eſt
animatus. Secundæ verò figuræprimus inodus eſt, qui ex De Paralogiſmis.
univerſali abnegativa, et univerſali affirmativa Paralogiſmi verò primäe figuræ
ita fiunt,ex prio concludit hoc modo univerſale abnegativum. ri affirmativa
univerſáli, &fecunda negativa uni Nullum maluin eſt bonum. verfali. Omnis
homo eft animal: nullú animal eſt Omne juſtum eſt bonum. lapis: nullus igitur
homo lapis eſt. Et quiamuta Nullum igitur juftum eſt malum. to termino
&univerfale et particulare concludet Secundæ verò figuræ ſecundus modus eſt,
in et negativaļn et affirmativam: ob hoc eſt inutilis quo ex univerſalipriore
affirmativa, et pofteriore approbatus idem paralogiſmus,quiex duabus ne
univerſali abnegativa conficitur univerfalis abne- gativiş univerſalibus fit
hoc, modo. Nullus lapis gativa concluſio, hoc modo., animal eft: nullum animal
immobile eft: nullus Omne juftum eft æquum. igitur immobilis eft lapis. Nullum
malum eſt æquum, Idem paralogiſmus, qui ex duabus particulari Nullum igitur
malum eſt juſtum. bus affirmativis fit hocmodo: Quidam equus Tertius ſecundæ
figuræ modus, qui ex priore animal eſt: quoddam animal bipes eſt: quidam
univerſali negativa,& pofteriore particulari affir- igiturequusbipes eſt.
Rurſum ex duabus parti inativa, negationem colligit particularem, hoc cularibus
negativis họcmodo: Quidam homo al modo. bus non eft: quoddam album non movetur:
qui Nullus lapis eſt animal. dam igitur homo non movetur. Quædam ſubſtantia eſt
animal. Dein, fi prior affirmativa particularis, et ſecun Quædá igitur
ſubſtantia non eſt lapis. da negativa particularis fuerit, hoc modo: Qui
Quartus moduseſt ſecundæ figuræ, qui ex affir- dam equus animal eſt: quoddam
animal quadru mativa priore univerſali, et pofteriore particu- pesnon eſt:
quidam igitur equus quadrupes non lari negativa, particularem negationem
conclu- elt. dit, hoc modo. Idem,li prior negativa particularis, ſecunda Omne
juſtum eſt rectum. affirmativa fuerit particularis,hoc modo: Quidam Quidam homo
non eft rectus. homo equus non eſt, quidam equus immobilis Quidam igitur homo
non eſt juſtus. eſt; quidam igitur homo immobilis eſt. Primus modus tertiæ
figuræ eſt, qui ex duabus Idem, fi major propofitio affirmativa fuerit uni
univerſalibusaffirmativis, particularem affirmati- verſalis, et minor
propoſitio negativa fuerit par vam concludit: quia univerſalem affirmativam
ticularis, paralogiſmus erit, hoc modo: Omnis licet in particularem
affirmativam converti, hoc homo animal elt, quoddam animal rationabile modo.
non eít, quidam igitur homo rationabilis non eft: Omnis homo eſt animal. At
verò ſi major fuerit propoſitio univerſalis Omnis homo eſt ſubſtantia.
negativa, et minor particularis fuerit negativa; Quædain igitur ſubſtantia eſt
animal. nullus poterit eſſe fyllogiſmus, hocmodo: Nuli Item ſecundus modus
tertiæ figuræ eft, in quo lus lapis animal eſt, quoddam animal pinnatum ex
univerſalinegatione et univerfali affirmacione eft, nullus igitur lapis
pinnatuseſt. fit particularis negativa concluſio. Rurſus, li primafuerit
particularis, ſecunda Nullus hoino eſt equus. verò univerſalis, et utræque
affirmativæ propofi Omnis homo eſt ſubſtantia. tiones, non erit syllogiſmus,
hoc modo: Qui Quædá igitur fubftantia non eft equus. dam lapis corpus eſt, omne
corpus menfurabile Tertius modus člttertiæ figuræ, qui ex particu- eſt, quidam
igitur lapis inenfurabilis eſt. lari et univerſali aftırmativis parcicularem
affir Idem,liprima fuerit particularis propoſitione mativam concludit, hoc
modo. gativa, et fecundauniverſalis negativa, non erit Quidam hoino eſt albus.
fyllogiſmus, hoc modo: Quoddam animal bipes Omnis homo eſt animal. non eft,
nullum bipes hinnibile eſt, quoddam -Quoddam igitur animal eſt album. igitur
animal hinnibile non eſt; Quartus verò modus tertiæ figuræ eft, qui ex Idem, ſi
prior affirmativa particularis, ſecunda univerſali &particulari
affirmativis, particulare negativa univerſalis propolițio fuerit; ſyllogif,
affirmativum concludit, hoc modo. mum non facit; hocmodo: Quidamn lapis inſen
Omnis homo eſt animal. farus eſt, nullum inſenſatuin vivit, quidam igi Quidam
homo eſt albus. tur lapis non vivit. Quoddam igitur album eſt animal. Idem, li
prior negativa particularis propoſitio Quintus verò modus tertiæ figuræ eſt,
qui ex faerit, et fecunda attirnativa univerſalis, para „particulari negativa, et
univerſali affirınativa ne- logiſinus erit, hoc modo: Quoddam nigrunani. Dddd
ij M cha 1 Caffiodorus non cſt. lis eft. anarum non eſt, omne animatum movetur,
quod- Confirmationem, Reprehenſionem, Per oratio dam igitur nigrum non movetur.
Et de finitis nem. Quæ partes inſtrumenta ſunt Rhetoricæ fa propolitionibus
fyllogiſmus non fit, quia parti- cultatis: quoniam Rhetorica in omnibusſuisſpe
culares fimiles ſunt. ciebus ineft, et ſpecies eidem inerunt. Nec po tiùs
inerunt, quàm eiſdem ea, quæ peragunt, ad Omnes propofitiones his modis
conftant. miniſtrabunt. Itaque et inJudiciali genere cau faruin neceffarius eft
ordo Proemii, et Narra Id eſt, Simplices, ita. Contraria. tionis, atque
cæteroru: n; et in Demonſtrativo, Omnis homo juſtuseſt. Nullus homojuſtus eſt.
Deliberativóque neceſſaria ſunt. Opus auté Rhe- o "uis Rhero Quidam homo
juſtus Quidam homo juſtus toricæ facultatis,docere et movere: quod nihilo- rice
of move. eſt. minus iiſdem ferè rex inftrumentis, id eft oratio- re docere,
Contradictoria. nis partibus, adıniniftratur. Partes autem Rho Omnis homo
rationalis Nullus homo rationa- toricæ, quoniam partes ſunt facultatis, ipfæ
quo eſt. que ſunt facultates; quocirca ipfæ quoque ora Quidam homorationa-
Quidam hoino ratio- tionis partibus, quali inſtrumentis utentur. lis eft. halis
non eft. Atque ut his operentur, eiſdem inerunt. Nam Ex utriſque terminis
infinitis. Omnis non in exordiis niſi quinque ſint ſupradictæ Rhetori homo non
rationalis eſt. Nullus non homo non cæ partes; utinveniat, eloquatur, diſponat,
me rationalis eſt. Quidam non hoino non rationa- minerit, pronuntiet, nihil
agit orator. Eoden lis eſt. Quidam non hoino non rationalis non eſt. quoque
modo et reliquæ ferè partes inſtrumenti, Item ex infinito ſubjecto:Omnis non
homo nili habeant omnes Rhetoricæ partes, fruſtra. Tationalis eft. Nullus non
homo rationalis eſt. funt. Hujus autem facultatis effector, orator eſt: Quidam
non homo rationalis eſt. Quidaın non cujus eft officium dicere
appoſitè ad perſuaſio hoino rationalis non cft. nein: finis tum in ipſo quidem
bene dixiſſe, id Item ex infinito prædicato: Omnis homo non eſt, dixiſſe
appolitè ad perſuaſionem: altera rationalis eſt. Nullus hoino non rationalis
eft. verò perſualifie. Neque enim fi qua impediant Quidam homo non rationalis
eſt. Quidam homo oratorem, quominus perfuadear, facto officio, non rationalis
non eſt. finem non elt confequutus:ſed is quidem, qui Item quæ conveniunt:
Omnis homo rationalis officio fuit contiguus et cognatus, conſequitur, eſt.
Nullus hoino non rationaliseſt. Onnis ho- facto officio. Is verò, qui extrà
eſt, ſæpe non mo non rationalis eſt. Nullus homo non ratio- confequitur: neque
tamen Rhetoricam ſuo fine nalis eit. Quidam homorationalis eſt. Quidam
contentam,honore vacuavit. Hæc quidem ita ſunt homo non rationalisnon eſt.
Quidam homo non mixta, ut Rhetorica infit fpeciebus, ſpecies verò rationalis
eft. Quidam homo non rationalis non infint cauſis. eſt.
Cauſarum verò partes ſtatus effe dicuntur: quos Canlari Item. Omne non animal
non homo eſt. Nul- 'etia: aliis nominibus cum conſtitutiones, tum partes flares
dicuntár, lum non animal non homo eſt. Quiddam non quæftiones nominare licet:qui
quidem dividun animal non homo eſt. Quiddam non animalnon tur ita, ut rerum
quoque natura diviſa eſt. Sedà fiones. homo non eſt. principio
quæſtionum differentias ordiamur: Item converfæ ex prædicato infinito. Omne
quoniain Rhetoricæ quæſtiones circunſtanciis non animal homo eſt. Nullum non
animal homo involutæ ſunt omnes, aut in fcripti alicujus con eit. Quoddain non
aniinal homo eſt. Quoddamn troverſia verfantur, aut præter fcriprum ex re
ipſa... non animal hoino non eſt. fumunt contentionis exordium, Item converfæ
ex infinitoſubjecto. Omne ani Et illæ quidem quæſtiones,quæ in ſcripro ſunt,
Queflionesia pro quin mal non homo eſt. Nullum animal non homo quinque inodis
fieri poffunt. Unoquidem, cùng eft. Quiddam animal non homo eſt. Quoddam hic
ſcriptoris verba defendit, et ille ſententiains i polliams. aniinalnonhomo non
eft. atque hic appellatur ſcriptum, et voluntas, Item propoſitiones indefinitæ.
Homo juſtus Alio verò, fi inter fe leges quadain contrarieta eſt. Hoino juſtus
non eſt. te diffentiunt, quarum ex adverſa parte aliæ de Indefinitarum
propoſitiones cum ſubje& o in- fendunt, aliæ faciunt controverſiam; atque
hic finito. Non hono juſtus eſt: Non homo juſtus vocatur ftatus legis contrariæ.
non eſt. Tertio, cùin fcriptum, de quo contenditur, Ex prædicato infinito. Homo juſtus non eſt. fententiam claudit ambiguam: ambiguitas ex ſuo Homonon
juſtus non eft. nomine nuncupatur. Ex utriſque terminis infinitis. Non homo
Quarto verò, cùm in eo quod ſcriptum eſt,aliud non juſtus eſt. Non homo non
juſtus non eſt. non fcriptum intelligirur; quodquia per ratioci Propoſiriones
ſingulares vel individuæ. Plato nationein et quamdam ſyllogiſmiconſequentiam
juſtus eſt. “PLATONE iustus non est.” veſtigatur, ratiocinativus vel
fyllogiſmnus di Ex infinito ſubjecto. Non Plato juſtus eſt. citur. Non Plaro
juſtus non eſt. V, cùm ſermo ſcriptuseſt, cujus non fa Ex infinito prædicato.
Plato non juſtus eſt. cilè vis ac natura clareſcat,niſidefinitione detecta
Platonon juſtus non eſt. lit; hic vocatur finis in ſcripro; quos omnes à ſe Ex
utriſque terminis infinitis. Non Plato non differre, non eſt noſtri, operiſve
rhetorici demon juftus eſt. Non Plato non juſtus non eſt. ftrare. Hæcautem
ſpeculanda doctis, non rudi bus diſcenda proponiinus: quamvis de eorum De locis
Rhetoricis. differentia in Topicorum commentis per tranſi- Quationes Rhetorice
tum differuerimus. Rhetorica oratio habet partes ſex, Procinium, Earum autem
conſtitutionum, quæ præter fcri- prin masina plices, fex. quod Exordiumcft,
Nacrationein, Partitionem, ptum in ipfaruin rerum contentione lunt politæ,
corum dinzi modis fica præter fcri habet partes 1 ses. riaicialis ita
differentiæ ſegregantur,ut rerum quoque ip- lem partem vergant, defenfionis
copiam non mi farum natura divila lit. In oinni enim Rhetorica niftrant; ex
eiſdem enim locis accalatio defenſió. quæſtione dubitatur, an ſit, quid ſit,
quale fit; et que confiftit. propterhæc,an jure, vel more poſſit exerceri judi
Si igitur perſona in judiciam vocatur, neque ciuin. Sed li factum; velres quæ
intenditur ab facta:n, dictúmve ulluin reprehenditur, cauſa eſte
adverſario,negatur, quæſtio eſt utrùm fit ea; quæ non poteſt. Nec verò factum,
dictúinve aliquod conjecturalis conſtirutio nominatur. Quod fi in judicium
proferri poteſt, li perſona non exi factum quidem eſſe conſtiterit, ſed
quidnain ſit id ftet. Itaque in his duobus omnis judiciorum ra quod factum eſt,
ignoretur: quoniam vis ejus tioverſatur, in perfona ſcilicet, atque negotia
definitione monftranda eſt, finitiva dicitur con- Sed, ut dictum eft, perſona
eſt, quæ in judicium ftitutio. Ac fi &effe conftiterit, et de rei defini-
vocatur: negotium, factum, dictúmveperſone, tione conveniat, fed quale fit
inquiratur: tunc propter quod reus ftatuitur. Perſona igitur et ne quia cui
generi ſubjici debet ambigitur, genera- gotiam ſuggerere arguinenta non
poſſunt;de ipſis lis qualitas nuncupatur. In hac verò quæſtione enim quæſtio eſt: de quibus autem dubitatur, ea et qualitatis,
et quantitatis, et compatationis dubitationi fidem facere nequeunt Argumen
ratio verſatur. Sed quoniam de gènere quæſtio tum verò erit ratio rei
dubiæfaciens fidem. Fa, eſt, ſecundum generis formam in plura neceffe ciunt
autem negotio fidem ea, quæ ſunt perſo eſt hujusconſtitutionis membra
diſtribui. nis ac negotiis attributa. Ac fi quando perſona Omniis quito Omnis
eniin quæftio generalis, id eſt, cùm de 'negotio faciat fidem,velutſi credatur
contra rem ftio generalis in duas difiri genere, et qualitate,vel
quantitatequæritut facti, publicam fenfifle Catilinam,quoniam perſona bnisur
par in duas tribuitur partes. Nam aut in præcerito eſt vitiorum
turpitudine denotata: tunc non iiz quæritur de qualitate propoſiti, aut in
præſenti, eo quod perſona eſt, et in judicium vocatur, fia aut in futuro. Si in
præterito, juridicialis con dem negorio facit, ſed in eo quod ex attributis
Ititutio nuncupatur: fi præſentis vel futuri tem- perſonæ quandam ſuſcipit
qualitatem. Sed ut re poris teneat quæſtionem,negotialis dicitur. rúin ordo
clariùs colliquefcat, de circumſtantiis Quæftio Fun Juridicialis verò, cujus
inquiſitio præteritum arbitror eſſe dicendum. refpicit, duabuspartibus
fegregatur. Aut enim De Circumftantiis. duabus parti. in ipfo facto vis
defenfionis ineft, et abſolurà Circunſtantiæ ſunt, quæ convenientis fubftan.
Detircnm. buslegrégie qualitas nuncupatur: Aut extrinfecus affumitur, tiam
quæſtionisefficiunt. Nifienim fit qui fece Gancias para et affumptiva dicitur conſtitutio.
rit, et quod fecerit, cauſáque cur fecerit, locus, situr CICERONE. Sed hæc in
partesquatuor derivatur: aut enim tempúſque quo fecerit,modus, etiain facultas;
conceditur criinen, aur removetur, aut refertur, que li delint,cauſa non
ſtabit. Has igitur circum aur, quod eſtultimum, comparatur. Conceditur ftantias
in geinina Cicero partitur, ut eam quæ crinen, cùm nulla inducitur facti
defenſio, ſed eſt, quis, circumſtantiam in attributis perſone venia poſtulatur.
Id fieri duobus modis poreſt, ponat: reliquas verò
circumſtantias in attributis circumftan fi depreceris, aut purges.
Deprecaris,cùm nihil negotio conititaat. Et primùın quidem ex cir excufationis
attuleris. Purgas, cùım facti culpa cumftantiis, eam quæ eft, quis, quam
perfonæ tia titur, Quispada cicina his adſcribitur'; quibus obliſti obviarique
non attribuit, ſecar in undecim partes. Nomen, ut in XI poffit, neque tamen
perſona ſint; id enim in Verres, natura ut barbarus, victus utamicusno- partes.
aliam conſtitutionem cadit. Sunt autem hæc, im- biliuin, perſona ut dives,
ſtudium ut Geometra, prudentia, caſus, atque necellitas. cafus ut exul,
affectio ut amans, habitus ut ſa Removeturverd criinen, cùm ab eo, qui in-
piens, conſilium, facta, et orationes. Eáque cellitur, transfertur in alium.
Sed remotio cri- extra illud factum dictúmque ſunt, quæ nunc minis duobus fieri
modis poteft: fi aur cauſa re- in judicium devocantur. Reliquas verò cir
fertur, aut factum. Caufa refertur, cùm aliena cumſtantias, quæ funt, quid,
cur, quando,ubi, poteftare aliquid factum eſſe contenditur: faćtum quomodo,
quibus auxiliis, in attributis negocio verò, cumalius aut potuiffe, aut
debuiffe facere ponit. Quid, &cur, dicenscontinentia cum ipfo demonſtratur.
Atque hæc in his maximè valent, negotio: cur, in cauſa conſtituens; ea enim
cauſa fi ejus nominis in nos intendatur actio, quòd non eſt uniuſcujuſque fa
&ti, propter quam factaeſt
MSS.pottat fecerimus id, quod oportuit fieri. Refertur cri Quid verò,
ſecat in quatuor partes. În ſum- Quidfeceria men, cuin jultè in aliquem facinus
commiſlum iam tacti, ut parentis occifio. Exhac maximè quatuorpars MSS.com-
effe conceditur: quoniam is, in quem commif- locus fumitur amplificationis ante
factum; ut senditat. fum ſit, injuriofusfæpe fucrit, atque id quod in- concitus
rapuit gladium: duon fit; vehementer tenditur, meruit pati. percuſſit. Poſt
factum; in abdita fepelivit. Quæ Comparatio eft, cùin propter meliorem utilio-
omnia cùın lint facta, tamen quoniain ad geſtum réinve rem factum, quod
adverſarius arguit, negotiuin, de quo quæritur, pertinent, non ſunt commiffum
effe defenditur. Atque hæchactenus: eafacta, quæ in attributis perſonæ numerara
nunc de inventione tractandum eft. ſunt. Illa enim extra negorium, quòd extra
poſi ta perſonam informantia fidem ei negotio præ De Inventione ſtant, de quo
verſatur intentio: hæc verò facta, quæ continentia ſunt cum ipfo negotio,ad
ipſuni Etenim priùs quidem Diale et icos dedimus, negotium; de quo queritur,
pertinent. nunc Rhetoricos promimus locos, quos ex attri Poftreinas verò
quatuor circamftantias Cicero In perſona, butis perſonæ ac negotio venire
neceſſeeſt. Per- ponit in geſtione negotii, quæ eſt ſecunda pars et negotio
fona, quæ in judicium vocatur, cujus dictum ali- attributorum negotiis. Et eam
quidem circuin quod factúmve reprehenditur. Negotium; fa- ſtantiam, quæ eſt
quando, dividit in tempus, ut putCie to Cuando, dia conftitute of. cum
dictumveperfonæ, propter quod in judi- modò fecit; et in occaſionem,ut cunctis
dormien- in tempus, so cium vocatur. Itaque in his duobus omnis lo-
tibus. Eam verò circunftantiam quæ eſt ubi, lo- in occafionč.. MSS.excu- corum
ratio conſtituta eſt; quæ enim habent* re. cum dicit; ut in cubiculo fecir:
quomodo verò, ſarionis. prehenſionis occaſionem, eadem nili ad excuſabi ex
circuinftantiis inoduin ur clain fecit: omnis loco. tum ratio B. 1 mus. fed de vo 1 quibus auxiliis
circumftantiam, facultatem ap- ita adhærebant, ut ſeparari non poſſint;ut
locus, pellat, ut cuin multo exercitu. Quorum qui- tempus, et cætera, quæ
geſtum negotium non dem locorum et fiex circumſtantia rerum, natu- relinquunt.
tulis diſcretio clara eft:nos tarnen benevolentiùs Hæc verò, quæ ſunt adjuncta
negotio, non in faciemus, ſi uberiores ad ſe ditferentias oſtenda- kærent ipſi
negotio, ſed accedunt circuinitantiis, et tunc demum argumenta præſtant, cùm ad
com Nam cùm ex circumſtantiis alia M. Tullius parationem venerint: ſunant verò
argumenta propofuerit effe continentia cum ipfo negotio: non ex contrarietate,
fed ex contrario;& non alia verò in geſtione negorii, atque in continen- ex
ſimilitudine, ſed ex ſimili, ut appareat ex re tibus cuin ipſo negotiv: illum
adnurneraverit lo- latione ſumi arguinenta in adjunctis negotio; et cum quem
appellavit, duin fit sex ipſa prolatio- ea eſſe adjunéta negotio, quæ funt ad
ipſum, de nis SIGNIFICATIONE idem videtur elle locus hic, dum quo agitur,negotium
affccta. fit, cum eo, qui eſt in geſtionenegotii; ſed non Conſecutio verò, quæ
pars quarta eft eorum, ita sft: quia dum fit, illud eft, quod eo tempore quæ
negotiis attributa ſunt, neque in,iplis ſunt açimiſum eſt, dum facinus
perpetratur, ut per- rebus, neque rerum ſubſtantiam relinquunt,ne ouſſit.
Ingetione verò negotii, ca ſunt, quæ et que ex comparatione reperiuntur: ſed
rem geftam ante factum, et dum fit, et poft factum, quod vel antecedunt, vel
etiam conſequuntur. Atque eſtum eſt continent;in
omnibus enim tempus, hic locus extrinſecus eſt. Primum eniin in eo. locus,
occafio,modus, facultas inquiritur, Rur- quæritur id, quod factum eſt, quo
nomine ap ſus dum fit, factuin eft, quod adininiftratur, eft pellari conveniat:
in quo non de re, negotium:qux verò funt in geſtione negotii, non cabulo
laboratur. Qui deinde auctores ejus facti ſunt facta, fed facto adhærent; in
illis enim, teni- &inventores, comprobatores, atque æinuli, id pus,
occaſionem, locum, modum, facultatein, totum ex judicio, et quodam teſtimonio
extrin facta eſſe conſenſerit: fed, ur dictum eſt, qux ſecus políto, ad
ſublidium confluit argumenti. cuilibet facto adhærentia fint, atque in nullo
Deinde &quæ ejus rei ſit ex conſueto pactio, ju modo derelinquant: quia
quadam ratione ſubje- dicium, ſcientia, artificium. Deinde natura cta funt
ipſi, quod geſtum eſt, negotio. ejus, quid evenire vulgò ſoleat: an inſolenter
et Item ea quæ funt in geſtione negotii, finchis, rardhomines id ſuâ
auctoritate comprobare, an quæ funtcontinentia cum ipfoncgotio, eſſe poſ-
offendere in his conſueverint; &cætera quæ fas funt. Poteft eniin et locus,
et tempus, &oc- ctum aliquod fimiliter confeftim, aut intervallo cafio, et modus,
et facultas facti cujuſlibet intel- folent conſequi: quæ neceſſe eſt
extrinſecus po ligi, etiamſi nemo faciat, quod illo loco; vel fita ad
opinionein inagis tendere, quam ad ipfam, temporc, veloccaſione, vel modo, vel
facultate rerum naturam. fieri poſſet. Itaque ea quæfunt in geſtione nego
Itaque in hæcquatuor licet negotiis attributa, tii, line his quæ
ſuntcontinentia cum ipfo nego- dividere; ut fint partim continentia cum ipſo ne
tio, effe poffunt. Illa verò line his eſſe non pof- gotio, quæ facta eſſe
ſuperiùs dictum eſt: partim ſunt; facèum enim præter locum, tempus, occa- in
geſtionenegotii, quæ non effe facta, fed factis fionem, modum, facultatémque
efle non pote- adhærentia dudum monſtravimus: partim adjun rir. Atque hæcfunt,
quæ in attribucis perſona eta negotio; hæc, ut dictum eſt, in relatione ac
negotio confiftunt, velut in Dialecticis locis ponuntur: partim geſtum negotium
conſequun ea, quæ in ipfis cohærent, de quibus quæritur: tur; horum fides
extrinſecus fuinitur. Ac de reliqua verò quæ vel funt adjuncta negotio, vel
Rheroricis quidem locis ſatis dictum. negotium geſtuin conſequuntur, talia
ſunt, qua Nunc illud eſt explicandum, quæ ſit his ſimi-. Quid fat diain
Dialecticis locis ca, quæ ſecundum Themi- litudocum Dialecticis, quæ
veròdiverſitas;quod hobertura corean ſtium quidem partim rei ſubſtantiam
conſequun- cùm idoneè, convenientérque monſtravero,pro- Dialecticisfa tur,
partim funt extrinfecus, partim verſantur poſiti operis explicetur intentio.
Primò adeo ut militudo,que in mediis; ſecundum CICERONE verò inter affe- in
Dialecticis locis, ficut Themiſtio placet, alii verè diverfi &a numerara
ſunt, vel extrinſecus polita." funt, qui in ipſis hærent, de quibus
quæritur: tab. Sunt enim adjuncta negotio ipfa etiam quæ fi- alii verò
affumuntur extrinſecus, alii verò inedii quajiilem fa dem faciunt quæſtioni,
affecta quodammodo ad inter utroſque locati ſunt; ſic in Rhetoricis quo cinn
gafiio. id, de quo quæritur, reſpicientia negotium, de que locis, alii in
perſona atque negotio conſi quo agitur, hoc modo. Nam circumſtantix ſtunt, de
quibus ex adverſa parte certatur: alii feprem quæ in attributis perſonæ, vel
negotio, verò extrinfecus, ut hi qui geſtum negotium con numeratæ funt, hæc cum
cæperintcomparari,& fequuntur: alii verò medii. quafi in relationem venire,
fi quid ad ſe conti Quoruin proximi quidem negotio funt hi, qui nens referatur,
vel ad id quod continet, fit aut ex circumſtantiis: reliqui in geſtione negotii
ſpecies, aut genus: fi id referatur,quod ab eo lon- conſiderantur. Illi veròqui
in adjunctis negotio gillime diſtet, contrariun: at ſi ad finem ſuum
collocantur, ipſi quoque intermedios locos pos atque exitum referatur, tum
eventuscft. liti ſunt: quoniam negotium, de quo agitur, qua Eodem quoque modo
ad majora, et minora, dam affectione refpiciunt. Vel fi quis ea quidem et paria
comparantur. Atque omnino tales loci quæ perſonis attributa ſunt, vel quæ
continentia in his quæ funt ad aliquid conſiderantur. Namn ſunt cum ipfo
negotio, vel in geſtione negotii majus,autminus, alit lunile, aut æquèmagnum,
conſiderantur; his lumilia locis dicat, qui ab ipfis aut diſparatum, accedunt
circumſtantüs, quæ in in Dialectica trahuntur, de quibus in quæſtionc
attributis negotio atque perſonæ numeratæ ſunt; dubitatur. CONSEQUENTIA verò
negotio ponat ex ut dum ipfæ circumftantiæ aliis comparantur, fiat trinſecus.
Adjuncta verò inter utrumque conſti ex iis argumentum facti dictive, quod in
judi- tuat. cium trahitur. Diſtat autem à ſuperioribus, quòd Ciceronis verò
diviſioni hoc modo fic fimilis, ſuperiores loci, vel facta continebant, vel
factis Nam ea quæ continentia ſunt cum ipſo negocio, Sunt adjun Eta ucgorio,
ni, 1 De Dialectica. Dialecticus verò non ita velea quæ in geſtione negotii
conſidecantur, in do aliquid ſpecialiter probant, ad Rhetores, Poë ipſis
hærent, de quibus quæritur. Ea verò, quæ tas, Juriſperitóſque pertinent. Quando
verò ge adjuncta ſunt, inter affecta ponuntur. Sed ea quæ neraliter
diſputant,ad Dialecticosattinere manis geitum negotiuin conſequuntur,
extrinfecus feſtum eit. collocata ſunt. Vel Gi quis ea quidem, quæ con Mirabile
planè genusoperis, in unum potuiſſe tinentia ſunt cum ipfonegotio, in ipſis
hærere colligi, quicquid mobilitas ac varietas humanæ arbitretur:affecta verò
effe ea,quæ funt in geſtio- mentis in fenlîbus exquirendis per diverſas cauſas
ne negotii, vel adjuncta negotio: extrinfecus porerat invenire; concludi
liberuin ac volunta verò ea, quæ geftum negotium conſequuntur. riun intellectum.
Nam quocumque ſe verterit, Nam jam illæ perfpicuæ communitates", quod
quaſcumque cogitationes intraverir, in aliquid quidem ipſi penè in utriſque
facultatibus verſan- corum quæ prædicta ſunt, neceſſe eſt ut huma tur loci, ut
genus, ut pars, ut ſimilitudo, ut con- num cadat ingenium. trarium, ut majus,
ac minus. De communicati Illud autem competens judicavimus recapitu bus quidem
ſatis dictum. lare breviter, quorum labore in Latinum elo Differentiæ verò illæ
funt, quòd Dialectici quium res iftæ pervenerint; ut nec auctoribus etiam
thelibus apti funt: Rhetorici tantùm ad gloria ſua pereat, et nobis pleniffimè
reiveritas hypotheſes, id eft, quæftiones informatas circum- innoteſcat.
Iſagogen tranſtulit Patricius BOEZIO, ftantiis affumuntur. Nain ſicut ipfæ
facultates à commenta ejus gernina derelinquens. Cate femetipfis univerſalitate,
et particularitate di- gorias idem tranſtulit Patricius Boëtius, cujus ſtinctæ
ſunt: ita earum loci ambitu, et contra commenta tribus libris ipfe quoque
formavit. ctione diſcreti ſunt. Nam Dialecticorum loco-. Peri herinenias fuprà
inemoratus Patricius tran rum major eſt ainbitus; et quoniam præter cir- ftulit
in Latinum: cujus commenta ipſe duplicia cumſtantias funt quæ fingulares
faciunt cauſas, minutillimâ diſputatione tractavit.Apuleius verò non modò ad
theſes utilesſunt, verumetiam ad Madaurenſis ſyllogiſmos categoricos breviter
argumenta, quæ in hypothesibus polita sunt, eof- enodavit. Suprà memoratus verò
Patricius de que locos qui ex circumftantiis conſtanc,claudunt fyllogiſmis
hypotheticis lucidiflimè pertractavit. atque ambiunt. Itaque fit; ut ſeinper
egeat Rhe- Topica Ariftotelis,uno libro CICERONE tranſtulit in Hæcdefuitin tor
Dialecticis locis? Dialecticus verò fuis poflit Latinum, cujus commentaprofpe et
oratque ama- MSS. effe contentus. tor Latinorum Patricius BOEZIO (si veda) octo
libris expo Semper eget Rherorenim quoniam causas ex circumstantiis fuit. Nam et
prædictus BOEZIO (si veda) Patricius eadem Rhetor D4- tractat, ex iifdem
circumftantiis argumenta præ-Topica LIZIO octo libris in Latinum vertic
lecticislocis, fumit, quæ neceſſe eſt ab univerſalibus, et ſupli- eloquiun.
cioribus confirmari, qui ſunt Dialectici. Diale &ti Confiderandum eft autem,
quòd jam,quia lo cus verò, qui prior eft, polteriore non eget, nifi cus ſe
attulit in Rhetorica parte, libavimus quid aliquando incideritquæftio perfonæ;
ut cuin fit interſit inter artein et diſciplinain, ne ſe diver incidens Dialectico
ad probandam fuam theſim, fitasnominun permixta confundat. Interartem Que fa
diften Cáusam circumſtantiis inclufam, tunc demum et diſciplinai Plato, et
Ariſtoteles, opinabiles artem dif Rhetoricis utatur locis. Itaque in
Dialecticis lo- magiftri fæcularium litterarum, hanc differen- ciplinam ſee '
cis (fi ita contingit) à genere argumenta fumun- tiam eſſe voluerunt, dicentes:
Arrem cflc habitu- cundem Plaa tur,id eft, ab ipſa generis natura: fedin Rheto-
dinem operatricem contingentium, quæ fe et Sonem ricis ab eo generequod illi
genus eſt, de quo agi- aliter habere poffunt: Diſciplina verò elt, quæ Vide
prefer tur; nec ànatura generis, ſed à re fcilicet ipſa,quæ de his agit, quæ
aliter evenire non poffunt tionem Nunc ergo ad Mathematicæ veniamus initium.
Sed ut progrediatur ratio, ex eo pendet, quòd natura generis antè præcognita
eſt; ut fi dubite De Mathematica. tur, an fuerit aliquis ebrius, dicitur, fi
tefellere velimus, non fuifle: quoniam in eo nulla luxu- Mathematica, quam LATINE
poſſumus dicere luid fitMara ries antecefferit. Idcirco nimirum, quia cum ku-
doctrinalem, ſcientia eſt, qux abſtractam con- in quas para xuries ebrietaſis
quaſi quoddam genus fit, cui fiderat quantirarem. Abſtracta enim quantitas tes
dividalun luxuries nulla fuerit, ne ebrietas quidem fuit: dicitur, quâ
intellectus à materia ſeparátur, vel ſed hoc pender ex altero. Cur enim fi
luxuries ab aliis accidentibus; ut eſt par, impar, vel alia non fuit, ebrietas
eſſe non potuit, ex natura ge- hujuſcemodi, quæ in ſola ratiocinatione tracta
neris demonftratur, quod Dialectica ratio ſub- mus, hæc ita dividitur
miniſtrat. Unde enim genus abeft, inde etiain fpecies abelle necefle
eft:quoniam genus fpecics r Arithmeticain, non relinquit. Ec de fimilibus
quidem, et de contràriis, eo Muſicam. Diviſio Matheina dem modo, in quibus
maxima ſimilitudo eft in ticæ in ter Rhetoricos ac Dialecticos locos:
Dialectica Geometriam.. eniin ex ipſis qualitatibus, Rhetorica ex quali 1 tatem
ſuſcipentibus rebus argumentaveſtigat; ut Aſtronomian. Dialecticus ex genere,
id eft, ex ipfa generis na tura: Rhetor ex ea re, quæ genuseft. Dialecti
Arithmetica; eſt diſciplina quantitatis numera Quid fit cus ex ſimilitudine,
Rhetor ex funili, id eft, ex bilis fecuuduin ſe. Aruthinetica. ta re, quæ
fimilitudinem cepit. Eodem modo Mufia eſt diſciplina, quæ de numeris loqui-
QuidMufica. ille ex contrarietate, hic ex contrario. tur, qui ad aliquid ſunt
his, qui inveniuntur in Memoriæ quoque condendum eft, Topica Ora- ſonis.
toribus, Dialecticis, Poëtis, et Juriſperitiscom Gcometria, eſt diſciplina
magnitudinis immo- Quid Geomes muniter quidem argumentapræftare: fed quan-
bilis et fornarum. rentia inter genus eſt, trii B. 1 didit. Inns. Quid fis A.
Aſtronomia, eft diſciplina curſus cæleſtiain (i- tergunt, etad illam
inſpectivain contemplatio fronomia. derum, quæ figuras conteinplatur omnes, et
ha- nem, fi tamen ſanitas mentis arrideat, Domino bitudines ftellaruin circaſe,
et circa terram inda- largiente, perducunt.' gabili ratione percurrit. Quas ſuo
loco paulò la Scire autem debemus Joſephum Hebræorum Abraham ciùs exponemus, ut
commemoratarum rerum doctiſſimum, in libro primo Antiquitatum, ritu- primim
Aris virtus competenter poffit oftendi. Modò de dif- lo nono dicere,Arichinericain,
et Aſtronomiam ihmeticamen ciplinarum nomine differainus. Abrahain primùm
Ægyptiis tradidiffe; unde ſe Aftronomien Diſciplina Diſciplinæ ſunt, qux, licut
jam di et um eft, mina ſuſcipientes (utfunt hoinines acerrimi in Ægypainte
nunquam nunquam opinionibus deceptæ fallunt; et ideo genii) cxcoluiffe ſibi
reliquas latiùs diſciplinas. opinionibus cali nomine nuncupantur,quia
neceffariò ſuas re- Quasmeritò fan eti Patres noftei legendas ſtudio deceptæ
fal gulas ſervant. Hænec intentione creſcunt, nec fillinis perſuadent: quoniam
ex magna parte per Iubductione minuuntur, nec aliis varieratibus eas à
carnalibus rebus appetitus noſter abſtrahi permutantur: ſed in vi propria
permanentes, re- tur, et faciunt deſiderare, quæ, præftante Do gulas ſuas
inconvertibili firmitate cuſtodiunt. mino, ſolo possumus corde reſpicere.
Quocirca Has dum frcquenti meditatione revoluimus, fen- tempus est, ut deeis
ſingillatin ac breviter diſſe Cum noftruin acuunt, limúmque ignorantix de- rere
debeamus. De Arithmetica C49 Arith metica inter Scriptores fæculacium
litterarum interdiccipli- faru efleformata;attamennulla corum,prætet Mathemati
cas diſcipli metiiam eſſe volucrunt:propterea quòd Mufica, Credo trahens hoc
initium, ut multi philoſo mis prima ju. et Geometria, etAſtronomia, quæ
fequuntur, photum fecerunt, ab illa ſententia prophetali, Sam 11. 21. indigent
Arithmetica, ut virtutes ſuas valeant ex- quæ dicit: Omnia Deum menſura, numero,
et plicare. Verbi gratia,ſimplum ad duplum, quod pondere difpofuiſſe habet
Muſica, indiget Arithmetica: Geometria Hæc itaque confiftit ex quantitate
diſcreta, čHY Arish verò, quod habet trigonuin, quadrangulum,vel quæ parit
genera numerorum, nullo fibi com- metice conf his funilia, item indiget
Arithmeticas Aſtrono- munitermino ſociata. V. enim ad x. vi. ad iiii. vii. lidt
ex quar mia etiam, quòd habet in moru liderum nuineros ad iii. per nullam
coinmunein terminuin alteru- titate difcre punctorum, indiget Arithinetica.
Arithmetica trâ fibi focietate nectuntur. Arithmetica vecò di sa. Pithagora
verò, urlit, neque Muſica, neque Geometria, citur, co quòd numeris præeſt
Numerus verò, merica dica Arithmetia neque Aſtronomia egere cognoſcitur.
Propterca cft ex inonadibus multitudo compofita; ut iii. V. tur, et que
camlan.c. hisfons, et måter Arithmetica reperitur; quam X. xx. et cætera.
Intentio Arithmeticæ elt doce- fit ejusinsects diſciplinam Pythagoras fic
laudalle probatur; re nos naturam abſtracti numeri, et que ei acci- tio.
uromnia ſub numero, et menfura à Deo creata dunt; ut verbi gratia, parilitas,
impacilitas, et firatur. fuiſſe incinoret, dicens: Alia in motu, alia in
cætera. Cur Arith vit. Ed. mon s Paritei pat. Pariter impat. Impariter par
Prima diviſio numera Tvel par, qui eſt Numerus, qui congre gatio monaduneſt, ľ
Primuset ſimplex. vel iinper, qui eſt. Secundus et compoſitus. Tertius
mediocris, quiquodam modo primus, et incompoſitus, alio verò modo ſecundus, et (compofitus.
Quid fit Par Par numerus eft, qui in duas partes æquales verbi gratia, in bis
xii: xii, in bisyi:ſexo dividi poteft; ut ii. iii. vi.viii. x. et reliqui. in
bis tres, et ampliùs non procedit. Quid impar. Impar numerus eſt, qui in duas
partes æquales Primus et fimplex numerus eft, qui monadi- Quid primit dividi
nullatenus poteft, ut iii. v. vii. viiii. xi.et c cammenſuram ſolam recipere
poteſt; ut verbi et implex reliqui. gratia iii. v. vii. xis xiii. xvii. et his
finilias Quidpariter Pariter par numerus eſt, cujus diviſio in dua Secundus et
compoſitus numerus eft, qui non Quid fecur par bus æqualibus partibus fieri
poteſtuſque ad mo- folùm monadicam menſuram, ſed etarithmeti doto come nada; ut
verbi gratia lxiüi. dividitur in xxxii; cam recipere poteſt; ut verbi gratia,
viiii. xv. xxi. poftmo xxxii, in xvi: et xvi, in viji: viii in iii:üii, et his
ſimilia. in duo: ïi, verò in i. Mediocris numerus eſt, quiquodam modo fim Quid
pariter Pariter impar numerus eſt, qui fimiliter fo- plex et incompoſitus efle
videtur, alio verò ino- cris impar. lummodo in duas partes dividi poteft
æquales; do fecundus et compoſitus, ut verbi gratia, viiii. utx, in v: xiiii,
in vii: xviii, in viiii.et his fi- ad xxv. dum comparatus fuerit, primus eft et
milia. incompoſitus: quia non habet communem nu Quid impari. Impariter par
nuinerus eſt, qui plures diviſio- merum, niſi ſolum monadicum: ad xv. verò li
nes, ſecundùm æqualitatem partium dividere comparatus fuerit, ſecundus eft et
compofitus: poteft, non tamen uſque ad allem perveniat; ut quoniam ineſt illi
communis numerus præter monadi. Quid Media ter par De Arithmetica. mõnadicum,
id eſt, ternarius'numerus, qui no- fexta pars, duo:quarta pars,tria: tertia
pars,iii: vein menſurat terterni, et xv. ter quini. et duodecima pars unum; qui
oinnes aſſumpti fiunt xvi. Altera divifio, de paribios, do imparibues Indigens
nunerus eſt, qui et ipſe de paribus QuidIndigãs. numeris. deſcendit,
quantitatis fuæ ſummain partiuin in feriorem habet; ut viii. cujus medietas,
iiii: [ aut ſuperfluus. quarta pars, ii: octava pars, i; quæ fimul con gregatæ
partes fiunt vii. aut par eſt. < aut indigens.
Perfectus numerus eft, qui taten et ipfe de QuidPerfe Numerus. paribus
deſcendit: is dum par ſit, omnes partes aut impar. į aut perfectus. Taas ſimul
aſſumptas, æquales habet; ut vj. cu jus medietas, tria: tertia pars, ij: vj.
pars únum. Quid Sriper. Superfluus numerus eſt, qui deſcendit de pari- Qux
aſſumptæ partesfaciunt ipſum ſenariumnus fluis. bus, is dum par ſit, ſuperfluas
partes quantitatis merum fuæ habere videtur; ut xii, habetmedietatem vie. Geti
popolazione stanziata nella regione successivamente nota come Dacia, antica
Roma. 1leftarrow blue.svg Voce principale: Storia della Dacia. Geti era
il nome che veniva dato dagli scrittori pre-Romani alla popolazione stanziata
nella regione successivamente nota come Dacia, a centro nord dell'ultimo tratto
del Danubio, dove aveva gli inizi l’antica Bulgaria. I Geti erano parte
del gruppo di genti indoeuropee, forse parte della famiglia tracica; è
possibile che fossero tanto parte del popolo dei Daci o Tracchi, quanto che da
questi siano stati a un certo punto assorbiti. Per gli autori romani i termini
Daci e Gaetierano considerati in genere equivalenti, anche se Seneca indicava
Geti come gli abitanti delle pianure della Valacchia, mentre Stazio indicava i
Daci come gli abitanti dei territori montuosi e collinari della Transilvania;
inoltre distinguevano i Tyragetae, Geti stanziati vicino al fiume Nistro.
Storia Modifica Secondo Erodoto, i Geti erano "la più nobile e la più
giusta di tutte le tribù traciche". Quando i Persiani, guidati da Dario I,
attuarono una campagna contro gli Sciti, le varie popolazioni dei Balcani si
arresero al sovrano e lo lasciarono passare sui loro territori; solo i Geti
opposero resistenza. I Geti in seguito furono sconfitti da Alessandro Magno
sulle rive del Danubio, nel corso della sua campagna nei Balcani; in
quell'occasione, Alessandro per attraversare il Danubio si servì di zattere e
di piccole imbarcazioni di pescatori, sorprendendo circa 4000 Geti, attaccati
alle spalle, dopo aver attraversato il fiume. Religione Come ci tramanda
Erodoto, i Geti credevano nell'immortalità dell'anima e consideravano la morte
un mero cambio di paese: «Ecco in che consiste la loro fede
nell'immortalità. Essi credono di non morire, e che chi muore vada dal Demone
Salmoxis. Alcuni di essi chiamano questa stessa divinità Gebeleizi. Mandano
ogni cinque anni uno di loro tratto a sorte, come messo a Salmoxis, ogni volta
incaricandolo di recargli le loro richieste. Ed ecco come lo mandano. Alcuni,
che hanno quest'incarico, se ne stanno con tre giavellotti; mentre altri afferrano
le mani e i piedi dell'uomo che inviano, lo fanno ondeggiare, e lo scagliano in
alto verso le punte dei giavellotti. Se viene trafitto e muore, ritengono
propizia la Divinità; e se non muore, la colpa è del messo, che essi dichiarano
malvagio. Gli muovono quest'accusa, e ne mandano un altro, al quale danno,
mentre è ancora in vita, i loro incarichi.» (Erodoto, Storie) Erodoto
aggiunge anche che «Inoltre scagliano, questi stessi Traci, frecce
verso l'alto al cielo, contro il tuono e il fulmine, e minacciano quella
Divinità, perché ritengono che fuori del loro non vi sia alcun altro Dio.
(Erodoto, Storie) Accanto a Zalmoxis, un ruolo di rilievo tra le divinità gete
era attribuito a Gebeleixis. Il primo sacerdote godeva di una posizione
prominente in quanto rappresentante della divinità suprema, Zalmoxis, ed era
anche il consigliere del re. Giordane nella sua Getica, attribuiva a Deceneo il
titolo di sacerdote capo di Burebista. Seneca, Phedra. ^ Stazio, Silvae,
Giordane, Getica X, a cura di Mierow. Voci correlate Daci Dacia (regione
storica) Traci Geti, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
Portale Antica Roma: Storia della Dacia Daci popolazione indoeuropea
Dacia (regione storica) regione e regno dell'Europa orientale nel corso
dell'antichità classica. Then Cyrus, king of the Persians, after a long
interval of almost exactly six hundred and thirty years (as Pompeius Trogus
relates), waged an unsuccessful war against Tomyris, Queen of the Getae. Elated
by his victories in Asia, he strove to conquer the Getæ, whose queen, as I have
said, was Tomyris. Though she could have stopped the approach of Cyrus at the
river Araxes, yet she permitted him to cross, preferring to overcome him in
battle rather than to thwart him by advantage of position. And so she did.As
Cyrus approached, fortune at first so favored the Parthians that they slew the
son of Tomyris and most of the army. But when the battle was renewed, the Getae
and their queen defeated, conquered and overwhelmed the Parthians and took rich
plunder from them. There for the first time the race of the Goths saw silken
tents. After achieving this victory and winning so much booty from her enemies,
Queen Tomyris crossed over into that part of Moesia which is now called Lesser
Scythia--a name borrowed from great Scythia,--and built on the Moesian shore of
Pontus the city of Tomi, named after herself. Afterwards Darius, king of
the Persians, the son of Hystaspes, demanded in marriage the daughter of
Antyrus, king of the Goths, asking for her hand and at the same time making
threats in case they did not fulfil his wish. The Goths spurned this alliance and
brought his embassy to naught. Inflamed with anger because his offer had been
rejected, he led an army of seven hundred thousand armed men against them and
sought to avenge his wounded feelings by inflicting a public injury. Crossing
on boats covered with boards and joined like a bridge almost the whole way from
Chalcedon to Byzantium, he started for Thrace and Moesia. Later he built a
bridge over the Danube in like manner, but he was wearied by two brief months
of effort and lost eight thousand armed men among the Tapae. Then, fearing the
bridge over the Danube would be seized by his foes, he marched back to Thrace
in swift retreat, believing the land of Moesia would not be safe for even a
short sojourn there. After his death, his son Xerxes planned to avenge his
father's wrongs and so proceeded to undertake a war against the Goths with
seven hundred thousand of his own men and three hundred thousand armed
auxiliaries, twelve hundred ships of war and three thousand transports. But he
did not venture to try them in battle, being overawed by their unyielding
animosity. So he returned with his force just as he had come, and without
fighting a single battle. Then Philip, the father of Alexander the Great,
made alliance with the Goths and took to wife Medopa, the daughter of King
Gudila, so that he might render the kingdom of Macedon more secure by the help
of this marriage. It was at this time, as the historian Dio relates, that
Philip, suffering from need of money, determined to lead out his forces and
sack Odessus, a city of Moesia, which was then subject to the Goths by reason
of the neighboring city of Tomi. Thereupon those priests of the Goths that are
called the Holy Men suddenly opened the gates of Odessus and came forth to meet
them. They bore harps and were clad in snowy robes, and chanted in suppliant
strains to the gods of their fathers that they might be propitious and repel
the Macedonians. When the Macedonians saw them coming with such confidence to
meet them, they were astonished and, so to speak, the armed were terrified by
the unarmed. Straightway they broke the line they had formed for battle and not
only refrained from destroying the city, but even gave back those whom they had
captured outside by right of war. Then they made a truce and returned to their
own country. After a long time Sitalces, a famous leader of the Goths,
remembering this treacherous attempt, gathered a hundred and fifty thousand men
and made war upon the Athenians, fighting against Perdiccas, King of Macedon.
This Perdiccas had been left by Alexander as his successor to rule Athens by
hereditary right, when he drank his destruction at Babylon through the
treachery of an attendant. The Goths engaged in a great battle with him and
proved themselves to be the stronger. Thus in return for the wrong which the
Macedonians had long before committed in Moesia, the Goths overran Greece and
laid waste the whole of Macedonia.Cassiodoro. Cassiodoro Bruzi. Bruzi.
Keywords: dialettica, Squillace, i geti e i goti – teodorico, eteodorico, virtu
bellica, ardore guerriero, pagenesimo. Cassiodoro’s
surname was Bruzi, from Brutti – he wrote a story of the Goths, but he mistook
them for the Bulgarians (geti, gotti). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Bruzi” – The Swimming-Pool Library. Bruzi.
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