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Wednesday, January 8, 2025

GRICE ITALO A-Z C CAV

 

Grice e Cavalcanti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sìnolo degl’amanti – scuola di Firenze – filosofia fiorentina – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Firenze). Filosofo fiorentino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Firenze, Toscana. Grice: “I like Cavalcanti; he thinks he is an Aristotelian, but he is surely Platonic – therefore, obsessed with ‘eros,’ or ‘amore,’ as the Italians call it – Like Alighieri’s, his philosophy of ‘eros’ is confused, but interesting!” Come del corpo fu bello e leggiadro, come di sangue gentilissimo, così ne’ suo fiosofare non so che più degli altri bello, gentile e peregrino rassembra, e nell’invenzione acutissimo, magnifico, ammirabile, gravissimo nelle sentenze, copioso e rilevato nell’ordine, composto, saggio e avveduto, le quali tutte sue beate virtù d'un vago, dolce stile, come di preziosa veste, sono adorne. Lorenzo il Magnifico, Opere). Alighieri e Virgilio incontrano all'Inferno. Ritratto di C., in Rime. Figlio di Cavalcante dei C., nacque in una nobile famiglia guelfa di parte bianca, che ha la sua villa vicina a Orsanmichele e che e tra le più potenti della regione. Il padre fu mandato in esilio in seguito alla sconfitta di Montaperti. In seguito alla disfatta dei ghibellini nella battaglia di Benevento, padre e figlio riacquistarono la preminente posizione sociale a Firenze. A lui e promessa in sposa la figlia di Farinata degli Uberti, capo della fazione ghibellina, dalla quale Guido ha i figli Andrea e Tancia. E tra i firmatari della pace tra guelfi e ghibellini nel Consiglio generale al Comune di Firenze insieme a Latini e Compagni. A questo punto avrebbe intrapreso un pellegrinaggio -- alquanto misterioso, se si considera la sua infamia di ateo e miscredente! Muscia, comunque, ne dà un'importante testimonianza attraverso un sonetto.  Alighieri, priore di Firenze, fu costretto a mandare in esilio l'amico, nonché maestro, con i capi delle fazioni bianca e nera in seguito a nuovi scontri. Si reca allora a Sarzana. “Perch'i' no spero di tornar giammai” e composto durante l'esilio. La condanna e revocata per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute. Muore a causa della malaria contratta durante l'esilio forzato d’Alighieri.È ricordato oltre che per i suoi componimentiper essere stato citato da Dante (del quale fu amico assieme a Gianni) nel celebre nono sonetto delle Rime Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io (al quale Guido rispose con un altro, mirabile, ancorché meno conosciuto, sonetto, che ben esprime l'intenso e difficile rapporto tra i due amici, “S’io fosse quelli che d'amor fu degno”. Alighieri, remmorso, lo ricorda anche nella Divina Commedia (Inferno, canto X e Purgatorio, canto XI) e nel De vulgari eloquentia, mentre Boccaccio lo cita nel Commento alla Divina Commedia e in una novella del Decameron.  La sua personalità, aristocraticamente sdegnosa, emerge dal ricordo che ne hanno lasciato gli filosofi contemporanei, Compagni, Villani, Boccaccio e Sacchetti. Il gentile figlio di Cavalcante C., nobile cavaliere e cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario, e intento alla filosofia. La sua personalità è paragonabile a quella di Alighieri, con la importante differenza del carattere laico.  Noto per il suo ateismo, Alighieri l’incontra nell’Inferno (Inf. X, 63). Boccaccio (Decameron VI, 9: si dice tralla gente volgare che questa sua speculazione filosofica sull’amore e solo in cercare se puo trovarse che Iddio non e. Villani (De civitatis Florentie famosis civibus). La sua eterodossia è stata tra l'altro rilevata nella grande canzone dottrinale o manifesto “Me prega” -- certamente il testo più arduo e impegnato, anche sul piano filosofico -- di tutta la poesia stilnovistica, in cui s i rinvenge il carattere di correnti radicali dell'aristotelismo. Famoso e significativo l'episodio narrato dal Boccaccio di una specie di scherzoso assalto al filosofo da parte di due fiorentini a cavallo, di cui schivava la compagnia. L’episodio e ripreso da Italo Calvino in una lezione in cui il filosofo con l'agile salto da lui compiuto, diventa un emblema della leggerezza.  L'episodio figura anche nell'omonimo testo di France ne "Santa Chiara" dove, peraltro, i fatti risalienti della sua vita vengono riportati sotto una veste quasi mistica.  La opera di Cavalcanti consta di cinquantadue componimenti, di cui due canzoni, undici ballate, trentasei sonetti, un mottetto e due frammenti composti da una stanza ciascuno. Le forme maggiormente utilizzate sono la ballata ed il sonetto, seguite dalla canzone. La ballata appare congeniale alla sua poetica, poiché incarna la musicalità sfumata e il lessico delicato, che si risolvono poi in una costruzione armoniosa. Peculiare di C. è, nei sonetti, la presenza di rime retrogradate nelle terzine. Temi  Quadro di Johann Heinrich Füssli. Teodoro incontra nella foresta lo spettro del suo antenato C.. I temi della sua opera sono quelli cari al stilnovista; in particolare la sua canzone manifesto “Me prega” è incentrata sull’effetto prodotti dall'amato sull’amante. La concezione filosofica su cui si basa è l'aristotelismo radicale che sostene l’eternità e l'incorruttibilità dell'anima separata dal corpo e l'anima sensitiva come entelechia o perfezione del corpo. Va da sé che, avendo le varie parti dell'anima funzioni differenti, solo collaborando esse potevano raggiungere il sinolo, l’armonia perfetta – anima/corpo entelechia. Si deduce che, quando l'amore colpisce l’anima, la squarcia a e la devasta, compromettendo il sinolo e ne risente molto l’anima inferiore vegetativa – L’amante non mangia o non dorme). Da qui la sofferenza dell'animo che, destatasi per questa rottura del sinolo, rimane impotente spettatore della devastazione. È così che l'amante giunge alla morte. L’amato, avvolto come da un alone mistico, rimane così irraggiungibile. Il dramma si consuma nell'animo dell'amante.  Questa complessissima concezione filosofica permea la poesia ma senza comprometterne la raffinatezza o superfizialita letteraria. Uno dei temi fondamentali è l'incontro dell’amante e l’amato che conduce sempre, ed al contrario che in Guinizzelli, al dolore, all'angoscia kierkegaardiana, e al desiderio di morire. La opera dell’amore di Cavalcanti possiede un accento di vivo dolore riferio spesso al corpo dell’amante.  C. e un fine filosofo –  scrive Boccaccio: lo miglior loico che il mondo avesse -- ma non ci resta nulla di sue saggistica filosofica, ammesso che ne abbia effettivamente scritte.  Il poetare di C., dal ritmo soave e leggero è di una grande sapienza retorica.  I versi di C. possiedono una fluidità melodica, che nasce dal ritmo degli accenti, dai tratti fonici del lessico impiegato, dall'assenza di spezzettature, pause, inversioni sintattiche.  Cavalcanti: la poetica e lo Stilnovo, L’amico di Dante” (Roma-Bari: Laterza).  “Species intelligibilis”, C.laico e le origini della poesia italiana, Alessandria: Edizioni dell'Orso); C. auctoritas”; C. laico; La felicità: Nuove prospettive per Cavalcanti (Torino, Einaudi); C. (Torino, Einaudi); C.: poesia e filosofia, Alessandria, Edizioni Dell'Orso); C.: uno studio sul lessico lirico, Roma, Nuova Cultura); Per altezza d'ingegno: saggio su Cavalcanti, Napoli, Liguori); L'ombra di Cavalcanti; Roma, L'Asino d'Oro,. Guido Cavalcanti, Rime, Firenze, presso Niccolò Carli). Dizionario biografico degli italiani; Il controverso pellegrinaggio Cavalcanti”; “La Divina Commedia. Inferno, Mondadori, Milano); La società letteraria italiana. Dalla Magna Curia al primo Novecento. La fama o, meglio, l’habitus di filosofo C. lo deve essenzialmente ad una sua poesia: la canzone celeberrima e alquanto complessa, sia per la metrica che per i contenuti, Donna me prega. In essa il poeta parlerà di “amore” con gli strumenti della filosofia naturale (“natural dimostramento”), conducendo un’analisi razionale volta a spiegarne la natura e le cause. Una prima importante informazione circa l’essere dell’amore C. ce l’ha già fornita nell’incipit della canzone: egli, infatti, ci ha detto che l’amore è un accidente e che, di conseguenza, non è una sostanza. Questa definizione, tuttavia, ha un significato tecnico preciso, che il poeta mutua dalla filosofia di Aristotele. Occorre, pertanto, fare una premessa. La sostanza, secondo il grande filosofo greco, è ciò che ha vita propria, ciò che cioè esiste autonomamente, mentre gli accidenti esistono solo come qualità di essa; in altre parole, l’accidente si aggiunge alla sostanza esprimendone una caratteristica casuale o fortuita. Ad esempio, un certo uomo è una sostanza, mentre l’insieme delle qualità che esso può avere (alto, basso, pallido, paonazzo, ecc…) sono gli accidenti. Tornando dunque a C., egli afferma che l’amore non è una sostanza poiché non possiede un’esistenza autonoma come, ad esempio, gli uomini (l’amore, infatti, non ha né corpo né figura); esso esiste piuttosto come qualità della sostanza, ovvero come sentimento (qualità) dell’uomo (sostanza). Innanzitutto, C. ci dice che l’amore si insedia nella memoria. Anche qui, però, occorre richiamare per sommi capi la psicologia di Aristotele, poiché essa è indispensabile per intendere i versi del poeta. Nel De anima, Aristotele definisce l’anima forma del corpo; egli, tuttavia, per forma non intende l’aspetto esteriore di una cosa, ma la sua natura propria, la struttura che rende quella tale cosa ciò che è. L’anima, dunque, vivifica e dà al corpo la sua struttura essenziale. Essa, inoltre, secondo Aristotele, pur essendo unica, può essere divisa, a seconda delle funzioni che svolge, in tre parti: anima vegetativa, anima sensitiva e anima intellettiva. La prima riguarda le funzioni vitali minime (come, ad esempio, la nutrizione e la riproduzione) degli esseri viventi a cominciare dalle piante; la seconda, invece, comprende i sensi e il movimento ed è propria solamente degli animali e dell’uomo; la terza, infine, riguarda il pensiero, le funzioni intellettuali, ed propria solo dell’uomo. La memoria, per Aristotele e, quindi, anche per C., appartiene all’anima sensitiva; essa, cioè, è un prolungamento o estensione della sensazione. In altre parole, l’anima sensitiva non solo permette all’uomo di vedere, sentire, gustare gli altri corpi, ma gli permette anche di avere di questi ultimi delle immagini. La passione amorosa, dunque, è creata da una sensazione: il diletto per la vista della donna fa si che l’immagine di essa si imprima nella memoria; l’amore è il nome che si dà ad una operazione dell’anima sensitiva, poiché ad essa, come abbiamo visto, appartengono sia la funzione della vista che quella della memoria. Il poeta, tuttavia, ci dice che questa immagine trova “loco e dimoranza” anche nell’intelletto possibile. Che cosa intende con questi versi? Bisogna ritornare brevemente alla psicologia aristotelica. Abbiamo visto che l’anima, a seconda delle sue funzioni, può essere vegetativa, sensitiva e intellettiva. L’ultima delle tre riguarda il pensiero, le operazioni intellettuali proprie dell’uomo. Secondo Aristotele, dopo che un oggetto è stato percepito dai sensi e che l’immagine di esso si è impressa nella memoria, esso viene pensato dall’intelletto. In che modo? Una parte dell’anima sensitiva, che egli chiama intelletto possibile, riceve l’immagine dell’oggetto percepito dai sensi grazie all’azione di un’altra componente della stessa anima, che egli chiama intelletto agente. Per fare un esempio, si potrebbero paragonare l’intelletto possibile ad un quaderno ancora intonso e l’intelletto agente all’azione dello scrivere. Dunque, mentre i sensi producono nella memoria l’immagine della donna, l’intelletto agente imprime nell’intelletto possibile la forma astratta di questa immagine. Ricapitolando, nell’anima sensitiva si sviluppa la passione amorosa attraverso la vista della donna e la memoria della sua immagine, mentre niente di tutto questo avviene nell’anima intellettiva, la quale ha dell’amata soltanto un concetto astratto e disincarnato. L’amore non è una virtù morale (queste, infatti, sono un prodotto della ragione, dell’anima intellettiva), ma è una virtù sensibile, appartiene all’anima sensitiva. C. ci dice che non l’anima intellettiva, ma bensì l’anima sensitiva è perfezione dell’uomo, poiché essa attua tutte le potenzialità insite nell’individuo umano. Il poeta, infatti, seguendo l’interpretazione che di Aristotele aveva dato il filosofo arabo Averroè, ritiene che esista un unico intelletto sempre in atto ed eterno separato dagli uomini, con il quale le facoltà superiori dell’anima sensitiva di ciascun essere umano entrano in contatto ogni qual volta si sviluppa il pensiero. In altre parole, egli, affermando l’esistenza di un intelletto unico ed eterno, separa l’anima intellettiva, unica ed eterna, dalle anime sensitive concrete e mortali di ciascun uomo. Questa complessa psicologia che C. mutua da Averroè è la base del suo celebre pessimismo amoroso. La passione amorosa ottunde la capacità di giudizio poiché l’immagine della donna amata, ormai insediata nella memoria e desiderata dai sensi, determina il netto prevalere dell’anima sensitiva su quella intellettiva. Questo non vuol dire, però, che l’amore ottenebra l’intelletto; come abbiamo poc’anzi visto, infatti, le facoltà intellettuali sviluppano la conoscenza, non il desiderio; inoltre, il poeta, seguendo Averroè, ha appena sostenuto che l’anima intellettiva è separata dalle anime sensitive degli uomini. Quello che C. intende, dunque, è questo: la passione amorosa, “se forte”, impedisce all’uomo, dominato totalmente dai bisogni dell’anima sensitiva, di stabilire un contatto con l’intelletto e quindi di avere raziocinio. In questo senso egli parla dell’amore come di un vizio, che porta chi ne è colpito a non saper più distinguere il bene dal male (“discerne male”). Ciononostante, C. ci dice che l’amore non è cosa contraria alla natura (“non perché oppost’a naturale sia”); anzi, al pari degli altri bisogni naturali, la passione amorosa sviluppa una potenzialità propria dell’anima sensitiva e, pertanto, rinunciarvi sarebbe deleterio e controproducente. Come interpretare questa affermazione apparentemente contraddittoria? È necessario, anche in questo caso, richiamare Aristotele. Nell’Etica Nicomachea, il filosofo greco afferma che ognuno è felice quando realizza bene il proprio compito (ad esempio, il costruttore sarà felice quando realizzerà oggetti perfetti). Il compito dell’uomo, però, non potrà certo essere quello di assecondare l’anima vegetativa o quella sensitiva; egli dovrà piuttosto vivere secondo ragione; pertanto, secondo il filosofo greco, la felicità per l’uomo consiste nell’attività razionale, nella vita secondo ragione. C., dunque, seguendo Aristotele, ci dice che l’amore è deleterio e mortale solo quando ci allontana violentemente da questo tipo di vita; poiché una vita vissuta in preda ai bisogni a agli istinti dell’anima sensitiva è una non-vita, più adatta agli animali che agli uomini. Viceversa, l’amore che riesce ad essere temperante, e che cioè non allontana l’uomo dalla vita razionale, è espressione di un naturale bisogno della nostra sensualità.  sìnolo s. m. [dal gr. σύνολον, comp. di σύν«con» e ὅλος «tutto»]. – Nel linguaggio filos., termine aristotelico che designa la concreta sostanza (v. sostanza, n. 1 a), concepita come sintesi di materia (ciò che è mera potenza) e forma (ciò che porta all’atto la potenzialità della materia). Alighieri sends out among the best known Italian  poets a sonnet asking interpretation of a dream. The god of love,  so it seemed, had come carrying Beatrice asleep, and had fed her  with Dante's own heart, and had then departed weeping.   Several poets answered. One, Dante of Maiano, suggested as a  probable solution of this, and other such distressing visions, a dose  of salts ; the others fell in with Dante's mood and answered seri-  ously. Of their various interpretations that which best pleased  Dante, though not quite satisfied him, was C.’s  " And this," wrote Dante later in the New Life, " was, as it were,  the beginning of the friendship between him and me, when he knew  that I was he who had sent it (the sonnet) to him."   C.s interpretation was in an important particular ambiguous.  Love, he wrote, fed your heart to your lady, seeing that "vostra donna  la morte chedea" To understand this clause as meaning " Death  claimed your lady" is natural, and would make the interpretation  interestingly prophetic; but, whether or not this reading might be  justified symbolically, Dante himself forbids it. For, in spite of his  pleasure in his " first friend's " explanation of the dream, he added:  " The true meaning of this dream was not then seen by any one, but  now it is plain to the simplest." It was easy for him after the event  to read prophecy of Beatrice's death into the dream ; but he expressly  denies to Guido among the rest the prescience. We are bound,  therefore, to take as the interpreter's meaning that there was malice  prepense in the cannibal appetite of the sleeping lady, that she  claimed the death of her servant's heart. No wonder the love god  wept as he carried her off sated !   Irreverent though it be, one thinks of The Vampire of Kipling.  For Guido the gentle Beatrice was as "the woman who couldn't  understand," sucking, asleep, in a sort of diabolical innocence, the  life blood, literally eating the heart, out of her helpless victim. And  Dante, the lover, the victim, approves the picture !   Of course the gruesomeness of this symbolism may be explained  away as merely a conceitfully emphatic reassertion of the ancient  fancy that a lover's heart is no longer his own, but has passed into  the custody of his mistress. Only, the dream then and its interpre-  tation would indeed be a much ado about nothing. And why, at so  customary a happening, should love weep? In fact, Guido's thought  cuts deeper, and is, I venture to urge, not so remote, in a sense,  from the thought underlying The Vampire. It is The Vampire uplifted  into the more tenuous, yet.no less intense, atmosphere of mysticism.   Before attempting to let in light directly upon this dim utterance  it is expedient to recall certain facts in Guido's life and personality.   " Cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario e intento alio studio "  so Guido is introduced into the Florentine Chronicle of Dino Compagni,  who knew him personally. Guido could not have been much over  twenty-five when, at the death of his father, his elder brother being  in orders, he became head and champion of one of the two or three  most powerful and aristocratic families in the republic. For gen-  erations the Cavalcanti had been leaders in the state, haughtily  contemptuous of the mere people, yet fierce partisans of civic inde-  pendence against those who were willing to sacrifice this for the  dream of a " Greater Italy " united under a revivified Emperor of the  West. To this great feud and to the lesser local feuds which grew  out of it Guido may be said to have been a predestined, yet mostly  a willing, sacrifice. He was born into the feud ; he lived his life  long in the heat of it ; it married him ; it perhaps lost him his best  friend ; it certainly killed him before his time.   It married him. In 1267, a vear a *ter the decisive battle of Bene-  vento, when the last hope of the Imperialists, the Ghibellines, fell  with Manfred, in Florence an attempt was made towards permanent  peace by marrying together certain sons and daughters of victors  and vanquished. Among the rest C. was wedded, or  then more likely betrothed, — for he could not have been more than  fifteen, — to Bice, daughter of the Ghibelline leader, the Florentine  " Coriolanus," Farinata degli Uberti. Seven years before Farinata  had "painted the Arbia red" with the blood of Florentine Guelphs  at Monteaperti; and it had been a kinsman of Guido who com-  manded the Guelphs on that disastrous day. We do not know how  this real " Capulet-Montague " match turned out, — only that Monna  Bice bore children to her husband and outlived him many years,  and that the peace which their union, among others, was intended to  effect did not come to pass.   On the contrary the great Guelph families, in secure  possession of the city, soon quarreled, even connived against each  other with the ever-ready Ghibelline exiles, or with popular dema-  gogues, so great was their common jealousy. Meanwhile, during  the distraction of the nobles, the middle classes had been prosper-  ing ; and coming at last to feel their strength and the weakness of  those above them, they rebelled and crushed the aristocrats.  In the first insolence of triumph they excluded the nobles abso-  lutely from public office, but two years later conceded eligibility to  such nobles as would join one of the Arti, or trades unions. This  virtual abdication of caste C. refused to make. In  vain good easy Dino pleaded with him. I am ever singing your  praises," he wrote in a kindly sonnet, " telling folks how wise you are,  and brave and strong, skilled to wield and ward the sword, and how  compact with sifted learning your mind is, and how you can run and  leap and outlast the best. Nor is there lacking you high birth  nor wealth ... in fine, the one thing wanting to give scope to all  these gifts and powers is a mere name.   " Ahi! com saresti stato om mercadiere! "   Now almost certainly some generations back the C. had  been in trade, and had made their fortune in trade, but latterly it had  pleased them to entertain a genealogy reaching royally back into  Germany and descending into Italy with Charlemagne's baronage.  To traverse this pleasing legend with the gross title "om merca-  diere," tradesman, was out of the question: Guido declared himself  irreconcilable.   Meanwhile Dante, unfettered by a legend or a temperament,  had accepted the situation even cordially, and was taking active  part in the councils of the new bourgeois regime. That Guido must  have regarded his friend's secession with disgust seems natural. It  was worse than an offense against party; it was an offense against  caste. " Uomo vertudioso in molte cose, se non ch'egli era troppo  tenero e stizzozo," writes Giovanni Villani of Guido. Fastidious,  exclusive, thin-skinned, choleric, Guido was just the man to feel this  consorting of his friend with vulgar political upstarts incompatible  with their own intimacy. And the matter was made worse by its  open denial of their poetic profession of faith in the " cor gentile."  This vulgar folk was that " fango," that human " mud " of which  Guinizelli had written :   Fere lo sole il fango tutto'l giorno,  Vile riman . . .   how might the " gentle heart " mix itself with this irredeemable  "mud" and be not defiled? So Guido addressed to his friend a  sonnet at once haughty and tender — like Guido himself: 1   lo vengo il giorno a te infinite volte  e trovoti pensar troppo vilmente :  allor mi dol de la gentil tua mente  e d'assai tue virtu che ti son tolte.   Solevanti spiacer persone molte,  tuttor fuggivi la noiosa gente,  di me parlavi si coralemente  che tutte le tue rime avei ricolte.   Or non ardisco per la vil tua vita,   far mostramento che tu' dir mi piaccia,  ne vengo 'n guisa a te che tu mi veggi.   Se '1 presente sonetto spesso leggi  lo spirito noioso che ti caccia  si partira da Panima invilita. 2   1 1 believe that Lamma, in his Questioni Dante sche, Bologna, is the  first to propose this construction of the famous " reproach." It seems to me the  best of all.   2 1 come to thee infinite times a day  And find thee thinking too unworthily :  Then for thy gentle mind it grieveth me,  And for thy talents all thus thrown away.  Whether the two friends again came together in life is not known.  The next situation in which we hear of them is tragic. Dante is sit-  ting among his " first friend's " judges ; Guido is condemned to exile,  and goes — in effect — to his death.   Under the new bourgeois rule civic disorders rather increased than  otherwise. Prime mover of discord was the Florentine " Catiline," as  Dino calls him, Corso Donati. Somewhat ineffectually opposing his  self-seeking machinations were the parvenu Cerchi, powerful only  through wealth and the popularity of their cause. With these also  stood Guido. Hatred, no less than misfortune, makes strange bed-  fellows ; and the hatred between Guido and Corso was intense. Each  had sought the other's life : Corso meanly, by hired assassins ; Guido  openly, in the public street, by his own hand. Violence followed  violence ; the number of factionaries increased, until at last the city Priors determined to expel the leaders of both parties. Guido  was conspicuous among these leaders ; Dante, as has been said, among  these Priors. The place of exile, Sarzana, proved to be pestilent with  fever ; and although Guido and the Cerchi, less culpable than Corso,  were recalled within the year, it was too late. A few months afterward, Guido died. " E fu gran  dommaggio" wrote Dino.  It was a strange preparation for "gentle and gracious rhymes  of love," — this short, tumultuous, hate-driven career. Yet there is  but one direct echo of the feudist in all Guido's verse, — a sonnet  to a kinsman, Nerone C.i. Nerone had made Florence too To flee the vulgar herd was once thy way,  To bar the many from thine amity ;  Of me thou spakest then so cordially  When thou hadst set thy verse in full array.   But now I dare not, so thy life is base,   Make manifest that I approve thine art,  Nor come to thee so thou mayst see my face.   Yet if this sonnet thou wilt take to heart,   The perverse spirit leading thee this chase  Out of thy soul polluted shall depart. hot for the rival Buondelmonti, and Guido hails him with ironical  deprecation.   Novelle ti so dire, odi, Nerone,   che' Bondelmonti treman di paura,   e tutt* i fiorentin' no li assicura,   udendo dir che tu a* cor di leone.   E piu treman di te che d' un dragone  veggendo la tua faccia, ch* e si dura  che no la riterria ponte ne mura  se non la tomba del re faraone.   De ! com' tu fai grandissimo peccato  si alto sangue voler discacciare,  che tutti vanno via sanza ritegno.   Ma ben e ver che ti largar lo pegno,  di che potrai V anima salvare  se fossi paziente del mercato. Guido's disdainful temper both piqued and puzzled his townsfolk.  Sacchetti's anecdote of the Florentine small boy who, having slyly  nailed Guido's gown to his bench, then teased him until the irate  gentleman tried — naturally to his discomfiture — to chase him, has   1 News have I for thee, Nero, in thine ear.   They of the Buondelmonte quake with dread,  Nor by all Florence may be comforted,  For that thou hast a lion's heart they hear.   And more than any dragon thee they fear,   For looking on thy face they are as dead :  Bastion nor bridge against it stands in stead,  Nor less than Pharaoh's grave were barrier.   Marry ! but thou hast done a wicked thing,   Having the heart to scatter such high blood,  For without let now one and all they flee.   And 'sooth, a truce-bait too they proffered thee,  So that thy soul might still be with the Good,  Hadst but had stomach for the bargaining.   For the first quatrain of this sonnet I have slightly altered Rossetti's translation.  In the rest a mistaken understanding of the sonnet as if addressed to the pope  has misled him. 2 // aVm 53^     its point in a very human satisfaction at the scorner scorned. Boc-  caccio's novella 1 is more significant, illustrating vividly, if perhaps  by a fictitious occurrence only, the subtle mingling of awe and defi-  ance which Guido inspired. Boccaccio's " character " of Guido is a  eulogy. " He was one of the best thinkers (Joici) in the world and  an accomplished lay philosopher (filosofo naturale), . . . and withal a  most engaging, elegant, and affable gentleman, easily first in what-  ever he undertook, and in all that befitted his rank." This character,  together with the mood of tragic doubt upon which the point of Boccaccio's narrative turns, inevitably, if tritely, brings to mind Ophelia's  character of Hamlet :   The courtier's, soldier's, scholar's eye, tongue, sword ;  The expectancy and rose of the fair state,  The glass of fashion and the mould of form,  The observed of all observers. . . .   But, if we may still trust Boccaccio, " that noble and most sovereign  reason " of Guido was also " out of tune and harsh " with scrupulous  doubt ; " so that lost in speculation, he became abstracted from men.  And since he held somewhat to the opinion of the Epicureans, gossip  among the vulgar had it that these speculations of his only went to  establish, if established it might be, that there was no God."   BOCCACCIO (si veda) does not call Guido an atheist ; that was mere vulgar  gossip. He does not even declare him a convinced Epicurean, one  of those who with his own father   . . . P anima col corpo morta fanno.   Boccaccio's charge is qualified : " he held somewhat to the opinion  of the Epicureans " {egli alquanto tmea della opinione degli Epicurj).  Dante's commentator, indeed, Benvenuto da Imola, is more cate-  gorical and extreme : " Errorem, quern pater habebat ex ignorantia,  ipse (Guido) conabatur defendere per scientiam." Benvenuto is even  remoter in time, however, than Boccaccio ; and his phrasing suggests  at least a mere perpetuation of that vulgar gossip which Boccaccio con-  temptuously records. But can we trust Boccaccio's own testimony?  At least there is no antecedent improbability. Skepticism was  common, especially in the highly educated class to which Guido (Decam.) belonged ; and it was not unnatural at any rate for him to weigh  carefully an opinion held by his own father. Again, there is noth-  ing in either his life or writings to indicate an active faith. Much  indeed has been made of his " pilgrimage " to the shrine of St. James  at Compostella; but the mood of this was so little serious that a  pretty face at Toulouse was enough to change his intention. The  ironical sonnet of Muscia of Siena is a hint that his contemporaries  could not take him very seriously as a pious pilgrim; and Muscia  stresses Guido's excuse for breaking his supposed vow that there was  no vow in the case — " non v' era botio" Guido may have started in  a moment of reaction from his doubt — does not doubt itself imply  a wavering will ? He may have left Florence as a matter of prudence  — Corso tried to have him assassinated on the way as it was. As  for his writings, these, considering the intimate theological associa-  tions of the school of Guinizelli, are noticeably barren of religious  feeling or phrase ; and he certainly scandalized the worthy, if narrow,  Orlandi by his jesting sonnet about the thaumaturgic shrine of "my  Lady." The hypothetical confirmation of Guido's skepticism, on the  other hand, in his "disdain for Virgil,,, mentioned by Dante in his  answer to the elder Cavalcanti's question 1 why Dante's "first friend "  had not accompanied him, has beendiscredited after twenty years of  support by its own proposer, D'Ovidio. The passage is, to be sure,  still a moot question ; and D'Ovidio, even in the zeal of his recanta-  tion, still admits the allegorical taking of it to be plausible as a sec-  ondary intention on Dante's part. In any case, even waiving the  confirmation, the tradition of Guido's skepticism is not impugned ; and  in view of the persistent tradition, and of the antecedent probability  in its favor, the burden of disproof would seem to rest on those who  reject the tradition. Meanwhile, I propose to test the credibility of  the tradition by assuming it. If the assumption proves to be a factor  in a coherent and credible interpretation of Guido's poetry, the credi-  bility of the assumption proportionately increases. The argument  is of course a circle, but I think not a vicious circle.   There is also another tradition, which happens likewise to be sub-  sidiary to the same end. As the one tradition charges Guido with  unfaith in religion, so the other charges him with faithlessness in love.   i Inf., X, 60.   Hewlett, in his Masque of Dead Florentines,  has seized upon this supposed fickleness of Guido as Guido's char-  acteristic trait. Guido is made to say :   My way was best.  From lip to lip I past, from grove to grove :  I am like Florence ; they call me Light o' Love.   I am dubious indeed about that literal criticism which surmises a  " family skeleton " in every locked sonnet. Heine assuredly reckoned  without his Scholar when he complained :   Diese Welt glaubt nicht an Flammen,  Und sie nimmt's fur Poesie.   When Guido writes a sonnet describing how Love had wounded him  with three arrows, — Beauty, Desire, Hope of Grace, — it is hardly fair  for Rossetti to entitle his own translation He speaks of a third love  of his. Rossetti the scholar should have known better. Of course  Guido is simply copying a conceit from the Romance of the Rose : the  three arrows are three arrows from the eyes of one lady, not of three  ladies. Again, it is almost worse when poor Guido essays a pretty  pastourelle, which is by definition a gallant adventure between a pass-  ing knight and a shepherdess, to discuss the " peccadillo " in a solemn  footnote ! Yet Rossetti, himself a poet, does so. Nay, Guido's latest  learned editor, Signor Rivalta, speaks 1 of his singing "anche i suoi  desideri meno puri e piu umani come nella ballata :   In un boschetto trovai pasturella . . ."   This ballata is the pastourelle in question. Stifl, waiving such pseudo-  revelations of a stethoscopic criticism, there are, considering the  meagerness of Guido\s poetical remains, hints enough besides the  mention of several ladies — Mandetta, Pinella, and by, inference her  whom Dante calls Giovanna — to accept with discretion sober Guido  Orlandi's perhaps malicious insinuation, when he inquires of C. concerning the nature, the effects, the virtues of Love :   Io ne domando voi, Guido, di lui :  odo che molto usate in la sua corte ;  Le Rime di C. Bologna. and even the cruder implication in Orlandi's boast of his chaster mind :   Io per lung' uso disusai lo primo  amor carnale : non tangio nel limo.   Reckless feudist, unbeliever, " light o' love," squire of dames, pro-  found thinker, gracious gentleman — a perplexing motley of a man;  it is no wonder that his poetry, reflecting himself, more easily with  its many-faceted light dazzles rather than illumines the understand-  ing. In addition, one has to contend in his more doctrinal pieces,  especially in the famous canzone of love, with a rigorous scholastic  terminology dovetailed into a most intricate metrical schema, and with  a text at the best corrupt. In spots Guido — as we have him — is  as hopeless as Persius; yet we may waive these and still venture  upon a general interpretation.   In general, Guido's love poems hinge upon two parallel but opposite  moods, — a radiant mood of worshipful admiration of his lady, a tragic  mood of despair wrought in him by his love of her. His sight of  her is a rapture, as in the most magnificent of his sonnets, beginning  " Chi e questa che ven ":   Chi e questa che ven ch' ogn' om la mira  e fa tremar di chiaritate V a're,  e mena seco amor si che parlare  null' omo pote, ma ciascun sospira?   O Deo, che sembra quando li occhi gira   dica '1 Amor, ch' i' no '1 savria contare :   cotanto d' umilta donna mi pare,   ch' ogn' altra ver di lei i' la chiam' ira.   Non si poria contar la sua piagenza,   ch' a lei s' inchina ogni gentil virtute,  e la beltate per sua dea la mostra.   * Non f u si alta gia la mente nostra   e non si pose in noi tanta salute,   che propriamente n' aviam canoscenza. 1   1 Lo! who is this which cometh in men's eyes  And maketh tremulously bright the air,  And with her bringeth love so that none there  Might speak aloud, albeit each one sighs ? The sonnet is a superb tribute ; but it is also more. It contains,  as I conceive, the pivotal idea in Guido's philosophy of love, —  namely, in the lines describing his mistress as   Lady of Meekness such, that by compare  All others as of Wrath I recognize,  (cotanto d* umilta donna mi pare,  ch' ogn' altra ver di lei i' la chiam' ira.)   Ira . . . umilta : wrath . . . meekness — the antithesis dominates  Guido's thought. Wrath is in his vocabulary the concomitant of  imperfection, of desire ; meekness the concomitant of perfection, of  peace. He, the lover, is therefore in a state of wrath ; she, the  lovable, in a state of meekness, —   Quiet she, he passion-rent.   The identification of passionate love with a state of wrath is fun-  damental in Guido's philosophy. It is the germinal idea of the  doctrinal canzone beginning " Donna mi prega." In answer to the  query as to the where and whence of the passion —   La ove si posa e chi lo fa creare —  he declares that   In quella parte dove sta memora   prende suo stato, si formato come  diaffan da lume, — d'una scuritate  la qual da Marte vene e fa dimora. 1   " In that part where memory is love has its being ; and, even as light  enters into an object to make it diaphanous, so there enters into the   Dear God, what seemeth if she turn her eyes  Let Love's self say, for I in no wise dare :  Lady of Meekness such, that by compare  All others as of Wrath I recognize.   Words might not body forth her excellence,  For unto her inclineth all sweet merit,  Beauty in her hath its divinity.   Nor was our understanding of degree,  Nor had abode in us so blest a spirit,  As might thereof have meet intelligence.  1 vv. 15-18. I use here as elsewhere the edition of Ercole Rival ta, Bologna, 1902.  constitution of love a dark ray from Mars, which abides." Now Dante  conceives love as an emanation from the star of the third heaven, Venus,  along a bright ray : " I say then that this spirit (i.e. of love) comes  upon the * rays of the star ' (i.e. of the third heaven, Venus), because  you are to know that the rays of each heaven are the path whereby  their virtue descends upon things that are here below. And inas-  much as rays are no other than the shining which cometh from the  source of the light through the air even to the thing enlightened, and  the light is only in that part where the star is, because the rest of the  heaven is diaphanous (that is transparent), I say not that this ' spirit/  to wit this thought, cometh from their heaven in its totality but from  their star. Which star, by reason of nobility in them who move it, is  of so great virtue that it has extreme power upon our souls and upon  other affairs of ours," etc. 1 So Dante. Guido, on the other hand,  while accepting the notion of love as an emanation, holds the emanation to be rather from the star of the fifth heaven, Mars, along a dark  ray. The power over the soul of this star is no less extreme than  that of Venus; only it is, in a sense, a power of darkness rather than  of light. It may strike at life itself —   Di sua potenza segue spesso morte. The passion which its influence excites passes all normal bounds in  any case, destroying all healthful equilibrium :   L'esser e quando lo voler e tan to  ch' oltra misura di natura torna:  poi non s' adorna di riposo mai.  Move cangiando color riso e pianto  e la figura con paura stoma. Finally, — and here we reach the gist of the matter, — the influ-  ence of the choleric planet engenders sighs and fiery wrath in the  Conv.. (Wicksteed's translation.)   2 It has its being when the passionate will   Beyond all measure of natural pleasure goes :  Then with repose unblest forever, starts  Laughter and tears, aye changing color still,  And on the face leaves pallid trace of woes.  lover, impotent to reach the ever-receding goal of his desire (non   fermato loco):   La nova qualita move sospiri   e vol ch' om miri in non fermato loco   destandos' ira, la qual manda foco.This strangely pessimistic reading of love seems to have struck at  least one of Guido's contemporaries with indignant surprise, not only  at the apparent slight upon love, but also at the silence seeming to  give assent of other poets, especially of Dante. Cecco d'Ascoli, in his  Acerba, iii, 1, denies that so sweet a thing as love could emanate  from the planet Mars, seeing that from that planet rather " proceeds  violence with wrath " (procede Vimpeto con Fire) ; wherefore :   Errando scrisse C. . . .  qui ben mi sdegna lo tacer di Danti.   In fact, Dante, in the sonnet in the sixteenth chapter of the New Life,  apparently alludes sympathetically to Guido's dark rays of love    Spesse fiate vegnommi a la mente   l'oscure qualita ch' Amor mi dona —   and proceeds to describe, though not by this name, just such a  " state of wrath " in himself as Guido believes inseparable from love.  With Dante, of course, the mood is but passing. For him love is  in its essence a beneficent power.   For Guido also it might seem that this tragic wrath of desire is  not incurable. There is a power in meekness to overcome wrath  and to subdue wrath also to meekness. And the meek one is  impelled to exercise this power, to confer this boon, by pity for the  one suffering in wrath. It is the failure to follow this blessed  impulse for which Guido reproaches his lady in the octave of the  sonnet beginning " Un amoroso sguardo," when he says that she is one   . . . for whom availeth not  Nor grace nor pity nor the suffering state. . . .   (. . . verso cui non vale  Merzede ne pieta ne star soffrente. . . .)   1 The novel state incites to sighs, and makes  Man to pursue an ever-shifting aim,  Till in him wrath is kindled, spitting flame.  Meekness, grace, pity, the suffering state of wrath — the terms have  a scriptural sound, and of right ; for they are actually scriptural anal-  ogies applied to love. Precisely this poetical analogy was the innova-  tion of Guinizelli, whom Dante called " father of me and of my  betters," — of which last C. was in Dante's mind first,  if not alone. Before Guinizelli Italian poets had accepted the other  analogy of the troubadours of Provence, which applied to love the canon  of feudal homage. For these the lady of desire was as the haughty  baron to whom they owed servile fealty, and whose inaccessible mood  was not of gentle meekness but of cruel pride, claiming willfully of  her vassal perhaps life itself. But feudalism and its harsh canon  of service were alien to the Italian communes ; Italian poetry built  upon an analogy with it must needs be an affectation. These burgher  poets were only play knights; these frank Tuscan and Lombard girls  were only play barons. Affectation, the pen following not the dicta-  tion of the feelings but of hearsay feelings, — this is the precise charge  which Dante, from the standpoint of the " sweet new style," brings  against the older style. 1 But if as free burghers Italians could not  really feel the alien mood of feudal homage, yet as Christian gentle-  men they could, and should, sanctify their love of women with the  mood of religious awe. There need be no affectation in that. Free  burghers, they recognized no temporal overlord, no absolute baron ;  Catholics, they did believe in, and might with sincerity worship, min-  istering angels — "donne angelicate," the meek ones whom, as the  Psalmist had declared, the Lord has beautified with salvation.   Guido therefore can no more worthily praise his mistress than by  calling her his " Lady of Meekness." Indeed, by further analogy he  sets her above the angels themselves; for the Christ himself had said :  "Mitis sum et humilis corde — I am meek and lowly in heart." For him-  self, " passion-rent " in his love, the poet speaks as St. Paul,  " we . . .  had our conversation ... in the lusts of our flesh, fulfilling the desires  of the flesh and of the mind ; and were by nature the children of wrath  (filii irae)" And the merzede, the "grace," for which he sues — solu-  tion of wrath by the spirit of meekness — is again in accord with  Paul's promise to these very "children of wrath,"  "By grace are ye  saved through faith" — faith, that is, in loving and serving the one  divinity as the other.   i Purg. This is pious doctrine indeed for the righting cavalier, skeptic, Love-  lace I have in a measure assumed Guido to be. Is then his love creed  also a pose, worse than the apes of Provence whom Dante exposed,  because he thus adds hypocrisy to affectation ? Well, if so, the same  Dante would hardly have hailed him as "first friend" in life and  master after Guinizelli in poetry, nor have outraged the memory of  Beatrice by associating her in the New Life with Guido's lady Joan.   The solution of the apparent antinomy lies in the meaning for  Guido of that rnerzede, that " grace," the granting of which by ; the  lady, the meek one, might appease the lover, the one in "wrath."  The term itself — Italian merzede or English " grace " — has a fourfold  significance according as it is a function of the lady, of the lover, or  of the reciprocal relationship between them. "Grace" in her signifies  her beatitude, her "meekness"; in him, his "merit" which through  faith and loving service deserves the boon, or "grace," of her con-  descension to redeem him from his "state of wrath," for which  condescension it would be befitting him to render thanks, "yield  graces, — a phrase now obsolete in English but used by Dante, —  render mercede. Of this fourfold intention of the term the one funda-  mentally doubtful is,the " grace " which is constituted by the act of  condescension of the lady : what then is the grace or boon that the  lover asks and hopes ? In other words, what is the end of desire ?   The answer is no mystery. The end of desire is always possession,  in one sense or another, of the thing desired. In the practical sense  possession of the loved one means union, physical or social, or both,  sacramentally recognized, in marriage ; but the sacrament of marriage  allows a more mystical sense, presenting the ideal, hardly realizable  on earth, of a spiritual union which is also a unity of two in one :   The single pure and perfect animal,   The two-cell'd heart beating with one full stroke,   Life.   So Tennyson modernly ; but more in accord with the metaphysical  mood of Guido is the old Elizabethan phrasing :   So they loved, as love in twain  Had the essence but in one ;  Two distincts, division one:  Number there in love was slain.   To the " gentle heart " there is no love but highest love ; there is  no union but perfect union, wherein two shall   Be one, and one another's all.   Until the "gentle heart " may attain to that perfect union its desire  is unappeased, its " wrath " unsubdued. Tennyson premises it for  the right marriage; but there is ever the doubter ready to remark  that if such marriages are really made in heaven, they certainly  are kept there. Human sympathy cannot quite bridge the span  between two souls: self remains self; and though hands meet and  lips touch and wills accord, there is always something deeper still,  inexpressible, unreachable.   Yes ! in the sea of life enisled,  With echoing straits between us thrown,  Dotting the shoreless watery wild,  We mortal millions live alone.   In vain, says Aristophanes in Plato's Banquet, in vain, "after the  division (of the primeval man-woman in one), the two parts of man,  each desiring his other half, came together, and threw their arms  about one another eager to grow into one. . . ." True, Aristophanes  in effect goes on, Zeus in pity consoled the loneliness of dissevered  " man-woman " by physical union ; but that consolation the " gentle  heart " must forever regard as of itself inadequate and unworthy.   There is indeed a solution. Guinizelli and Dante read further into  the Banquet of Plato — or into the Christian doctrine built upon that  — to where the wise woman of Mantineia reveals the mysteries of a  love extending into a mystic otherworld — at least so Christians read  her teaching — where in the bosom of God all become as one. There  "wrath" is resolved into "meekness" perfectly.   The love of Guinizelli, and of Dante, was the love of happier men  of which Arnold speaks :   Of happier men — for they, at least,   Have dream '</ two human hearts might blend   In one, and were through faith released   From isolation without end   Prolong'd. But if Guido, even as Arnold, lacked this faith, doubted this mystic  otherworld whither therefore he might not accompany his first friend  to find his Giovanna, as Dante his Beatrice, perfect in meekness,  purged of all wrath, and to learn from her release hereafter from the  dividing flesh, union at last with her spirit at peace ? — if he was of  those, even uncertainly wavered with those, who    F anima col corpo morta f anno ?    then indeed for him, in degree as his desire was ideally exalted,  so its grace, its merzede, became an irony, a tragic paradox. His  must be a passionate loneliness forever teased by an illusion, a  phantom mate of its own conjuring. And I at least so understand  the concluding words of the canzone :   For di colore d'esser e diviso,   assiso mezzo scuro luce rade :   for d'onne fraude dice, degno in fede,   che solo di costui nasce mercede. That is, the only love of which grace is born, entire possession  granted, is love of the dim immaterial idea, — " la figlia della sua  tnente, Vamorosa idea" as Leopardi calls it. Ixion embraces his  Cloud. Guido's lady's desirable perfection, her " meekness," exists not  in her, but in his glorified ideal of her, " bereft " as that is " of color   1 Bereft is (love) of color of existence,   Seated half dark, it bars the light (i.e. which might make it visible).  Without deceit one saith, worthy of faith,  That born of such a love alone is grace.   Rivalta's reading without in would apparently make mezzo adverbial. The commoner reading, " assiso in mezzo oscuro luce rade' 1 more naturally gives mezzo as  a noun: " seated in a dark medium," etc. The meaning is not substantially  different. The reading in mezzo, however, is more suggestive, as implying not  only the immateriality of the mental fact but also the darkening of the " medium,"  i.e. the imagination, by the " Martian " ray of passion. The assertion of the  invisibility of love is in answer to Orlandi's question restated by C. — " s* omo per veder lo po y mostrare." Question and answer are alike  absurd, however, unless we understand "love" to mean the object loved, which it  may naturally do ; one's §l love " means both one's passion and one's lady.  of existence." Therefore Guido's mood is essentially one with Leo-  pardi's when the latter exclaims :   Solo il mio cor piaceami, e col mio core  In un perenne ragionar sepolto,  Alia guardia seder del mio dolore. 1   Guido has himself described with quaint " preraphaelite " symbol-  ism the process of progressive detachment of the ideal from the  real in the ballata beginning " Veggio ne gli occhi."   Cosa m* avien quand* i' le son presente  ch' i' no la posso a lo 'ntelletto dire :  veder mi par de la sua labbia uscire  una si belladonna, che la mente  comprender no la pu6 ; che 'nmantenente  ne nasce un* altra di bellezza nova,  da la qual par ch' una Stella si mova  e dica: la salute tua e apparita. 2   The imagery here is manifestly in accord with contemporary pictorial  symbolism, in which souls as living manikins issue forth from the  lips of the dead; but the significance of the passage is, I take it, at  one with that of the so-called Platonic " ladder of love " by which  through successive abstractions the pure idea, the intelligible virtue,  is reached. The following stanza in the same ballata again defines  this "virtue" as "meekness," and again declares it to be merely  " intelligible,"   for di colore d' esser . . . diviso,  assiso mezzo scuro luce rade ;   1 Only my heart pleased me, and with my heart  In a communing without cease absorbed,   Still to keep watch and ward o'er my own smart.   2 Something befalleth me when she is by   Which unto reason can I not make clear:   Meseems I see forth through her lips appear   Lady of fairness such that faculty   Man hath not to conceive ; and presently   Of this one springs another of new grace,   Who to a star then seemeth to give place,   Which saith: Thy blessedness hath been with thee. only instead of the metaphysical directness of the canzone, the poet  employs the theological tropes of the dolce stil.   La dove questa bella donna appare  s'ode una voce che le ven davanti,  e par che d' umilta '1 su' nome canti  si dolcemente, che s' P '1 vo' contare  sento che '1 su* valor mi fa tremare.  E movonsi ne 1' anima sospiri  che dicon : guarda, se tu costei miri  vedrai la sua vertu nel ciel salita. 1   And now the tragic note in Guido's is explained. It is neither  the polite fiction, the " pathetic fallacy " of the Sicilian school, nor  yet the quickly passing shadow of this life set between Dante and the  sun of his desire.   La tua magnificenza in me custodi,   SI che P anima mia che fatta hai sana,  Piacente a te dal corpo si disnodi.   Cosi orai "So I prayed," writes Dante, triumphant in expectation ; but for those  Che 1 'anima col corpo morta fanno,   there could be health of soul neither now nor hereafter. Wherefore  Guido's text in the analysis of his own passion is in all literalness  the words of the Preacher, — " All his days ... he eateth in dark-  ness, and he hath much sorrow and wrath in his sickness." Until   1 There where this gentle lady comes in sight   Is heard a voice which moveth her before  And, singing, seemeth that Meekness to adore  Which is her name, so sweetly, that aright  I may not tell for trembling at its might.  And then within my soul there gather sighs  Which say: Lo ! unto this one turn thine eyes:  Her virtue to heaven wingeth visibly.   2 Farad., XXXI, 88-91.Guido prays indeed for release in death, not triumphantly as Dante,  but piteously, in the spirit of Leopardi's words in Amore e Morte:   Nova, sola, infinita  Felicita il suo (the lover's) pensier figura :  Ma per cagion di lei grave procella  Presentendo in suo cor, brama quiete,  Brama raccorsi in porto  Dinanzi al fier disio,  Che gia, rugghiando, intorno intorno oscura. 1   Poi, quando tutto avvolge  La formidabil possa,  E fulmina nel cor Tinvitta cura,  Quante volte implorata  Con desiderio intenso,  Morte, sei tu dair affanoso amante ! 2   Precisely in this mood Guido invokes death :   Morte gientil, rimedio de' cattivi,   merze merze a man giunte ti cheggio :  vienmi a vedere e prendimi, che peggio  mi face amor : che mie' spiriti vivi   1 Not only are Guido and Leopardi saying the same thing in effect, but even  their figures of speech are in accord. There is evident similarity of symbolism  between the soul-darkening storm blast of the one and the soul-darkening Martian  ray of the other ; although doubtless the mediaeval poet may have conceived his  " dark ray " as a real phenomenon.   2 New, infinite, unique  Felicity ... he pictures to his mind :  And yet because of it the wrath of storm  Foreboding in his heart, he longs for calm,  Longs for the quiet haven  Far from that fierce desire,  Which even now, rumbling, darkens all around.Then, when o'erwhelmeth him  The fury of its might,   And in his heart thunders unconquerable care,  How many times he calls  In agony of need,  Death, upon thee in his extremity ! son consumati e spenti si, che quivi,  dov* i' stava gioioso, ora mi veggio  in parte, lasso, la dov' io posseggio  pena e dolor con pianto : e vuol ch' arrivi ancora in piu di mal s' esser piu puote ;  perche tu, morte, ora valer mi puoi  di trarmi de le man di tal nemico.   Aime ! lasso quante volte dico :   amor, perche fai mal pur sol a' tuoi  come quel de lo 'nferno che i percuote ? At other times Guido describes the combat to the death between  his " spirits " of life and love. He enlarges his canvas and, calling  to aid a whole dramatis personae of the various " souls " and "animal  spirits" of scholastic psychology, objectifies his mood into miniature  epic and drama. This mythology of the inner world arose naturally  enough to mind from the ambiguity of the term " spirits," meaning  at once bodily humors and bodiless but personal creatures ; and  in Guido's delicate handling the symbolism is singularly effective.  Only by exaggeration of imitation did it grow stale and ludicrous,  meriting the jibes of Onesto da Bologna at such " sporte piene di   1 Gentle death, refuge of th' unfortunate,   Mercy, mercy with clasp'd hands I implore :  Loo^ down upon me, take me, since more sore  Hath been love's dealing : in so evil state   Are brought the spirits of my life, that late   Where I stood joyous, now I stand no more,  But find me where, alas ! I have much store  Of pain and grief with weeping : and my fate   Yet wills more woe if more of woe might be;   Wherefore canst thou, death, now avail alone  To loose the clutch of such an enemy.   How many times I say, Ah woe is me 1   Love, wherefore only wrongest thou thine own,  As he of hell from his wrings misery ?     3spiriti." The following curiously rhymed sonnet may illustrate his  manner in this kind.   L' anima mia vilment' e sbigotita   de la battaglia ch* ell' ave dal core,  che, s T ella sente pur un poco amore  piu presso a lui che non sole, la more. Sta come quella che non a valore,   ch' e per temenza da lo cor partita :  e chi vedesse com' ell* e fuggita  diria per certo : questi non a vita.   Per gli occhi venne la battaglia in pria,  che ruppe ogni valore immantenente  si, che del colpo fu strutta la mente.   Qualunqu* e quei che piu allegrezza sente,  se vedesse li spirti fuggir via,  di grande sua pietate piangeria. 1   It transpires then for Guido as for Leopardi that the only grace,  the only boon of peace, to which love leads is death ; and so is verified   1 The spirit of my life is sore bested   By battle whereof at heart she heareth cry,   So, that if but a little closer by Love than his wont she feeleth, she must die.   She is as one dejected utterly ;   The heart she hath deserted in her dread :  And who perceiveth how that she is fled,  Saith of a certainty : This man is dead.   First through the eyes swept down the battle-tide,  Which broke incontinently all defense,  And by its wrath wrecked the intelligence.   Whoever he that most of joy hath sense,  Yet if he saw the spirits scattered wide,  In his excess of pity must have sighed.  %\   the warning of those who came to meet him when he first entered the  court of love :   Quando mi vider, tutti con pietanza  dissermi : fatto se' di tal servente  che mai non dei sperare altro che morte. 1   In reality, he knows the futility of any appeal to his lady for aid.  She is indeed the innocent occasion of his suffering, but of it she is  a mere passive spectator, hardly understanding it, and certainly help-  less to relieve it ; and so Guido himself describes her in the sonnet  beginning " S' io prego questa donna." In the midst of his agony,   Allora par che ne la mente piova  una figura di donna pensosa,  che vegna per veder morir lo core. 2   Here then at last we find the explanation of his interpretation of  Dante's sonnet, when he said that love fed Dante's heart to his lady,   vegendo  che vostra donna la morte chedea.   She claimed its death not willfully indeed, as the capricious mistress  of Ulrich von Lichtenstein " claimed " his mutilation, but innocently,  unwittingly, in that her beauty was as a firebrand, her perfection, her  " meekness," a goal of unavailing consuming desire. She is helpless  to relieve him, because — and here is the core of the matter — it is  not she, not the real woman, that he loves, but that idealization of  her which exists only in his own mind —   for di colore d' esser e diviso,   assiso mezzo scuro luce rade.   Compared with this glorified phantom "nel ciel (that is, into the  intelligible world) salita," the real woman also is but "ira," wrath  and imperfection. So he pines for his lady of dreams, who thus a   1 When they beheld me, unto me all cried   Pitiful : bondman art thou made of one   Such that for nought else mayst thou look but death. Into my mind then seems it that there rays a figure of a pensive lady, com-  ing to behold my heart die." ghostly " vampire " feeds upon his human heart ; but the real woman,  " the woman who does not understand," is no longer of moment to  him. She is, as it were, but the nameless model to his artist mind.  When that has drawn from her all that is of fitness for its master-  piece, it straightway leaves her for another otherwise completing the  ideal type. Giovanna passes ; Mandetta arrives.   Una giovane donna di Tolosa   bell' e gentil, d' onesta leggiadria,   tant' e diritta e simigliante cosa,   ne' suoi dolci occhi, de la donna mia,   ch' e fatta dentro al cor desiderosa   P anima in guisa, che da lui si svia  e vanne a lei ; ma tant* e paurosa,  che no le dice di qual donna sia.   Quella la mira nel su* dolce sguardo,  ne lo qual face rallegrare amore,  perche v' e dentro la sua donna dritta.   Po' torna, piena di sospir, nel core,   ferita a morte d* un tagliente dardo,  che questa donna nel partir li gitta. 1   Plainly it is not of Giovanna, nor of any actual woman, but of his  ideal woman, of whom Giovanna herself was but a reminiscence, that   1 A lady of Toulouse, young and most fair,  Gentle, and of unwanton joyousness,  So is the very image and impress,  In her sweet eyes, of one I name in prayer,   That my soul's wish is more than it can bear :   Wherefore it 'scapeth from the heart's duress  And cometh unto her ; yet for distress  What lady it obeys may not declare.   She looketh on it with her gentle mien,   Whereunto by the will of love it yearns,  Because that lady there it may perceive.   Then to the heart it, full of sighs, returns,  Unto death wounded by an arrow keen,  The which this lady loosed when taking leave. Mandetta reminds him. In her turn Mandetta will pass also. Then  will come Pinella, or another — what does it matter? What cared  Zeuxis for any one of his five Crotonian maidens, once each in her  turn had supplied that particular trait of loveliness which only she,  perhaps, had to offer, but had to offer only ?   Mentre ch* alia belta, ch* i* viddi in prima  Apresso V alma, che per gli ochi vede,  L' inmagin dentro crescie, e quella cede  Quasi vilmente e senza alcuna stima. 1   The words are Michelangelo's, but the idea is in effect Guido's. And  it is an idea which, I think, renders perfectly compatible in him con-  stancy in ideal love with inconstancy in real loves. To keep faith  with perfection is to break faith with imperfection. The love of  Guido brooked no compromise. The perfect one might be unattain-  able in this life; perfect union with her, even if found, might be  impossible in this life; there might be no other life than this so  marred by the perpetual " state of wrath " to which his impossible  desire in its impotence doomed him ; yet nevertheless Guido was  willing to be damned for the greater glory of Love.   In conclusion, I would quote a passage from the elegy to Aspasia  of Leopardi, which puts into modern phrasing exactly what I con-  ceive to be Guido's intention, obscured as that is for us by its  scholastic terminology and its mixture of chivalric and obsolete  psychological imagery. Especially I would call attention to the  precisely similar way in which Leopardi, like Guido, combines in his  mood the loftiest idealization of Woman with the most contemptuous  conception of women. So Hamlet insults, even while he adores.  Dante too had his cynical time, to judge from Beatrice's immortal  rebuke, — when he   . . . volse i passi suoi per via non vera,  Imagini di ben seguendo false.   1 While to the beauty, which first drew my gaze,   My soul I open, which looketh through the eyes,  The inward image grows, the outward dies  In scorn away, unworthy all of praise. But Dante was saved from ultimate cynicism, ultimate unfaith, by the  promise of perfect union with his ideal in paradise. That promise  Guido, like Leopardi, rejected.  Here is Leopardi's confession :   Raggio divino al mio pensiero apparve,  Donna, la tua belta. Simile effetto  Fan la bellezza e i musicali accordi,  Ch' alto mistero d* ignorati Elisi  Paion sovente rivelar. Vagheggia  II piagato mortal quindi la figlia  Delia sua mente, l'amorosa idea,  Che gran parte d* Olimpo in se racchiude,  Tutta al volto, ai costumi, alia favella  Pari alia donna che il rapito amante  Vagheggiare ed amar confuso estima.  Or questa egli non gia, ma quella, ancora  Nei corporali amplessi, inchina ed ama.  Alfin Perrore e gli scambiati oggetti  Conoscendo, s' adira .  (" Sadira /" — " is wrathful " — Leopardi's very words form a gloss  to Guido's. But as little as Guido's is Leopardi's wrath directed  against the real woman, innocent occasion of his illusion and disillu-  sion. Leopardi continues :)  e spesso incolpa  La donna a torto. A quella eccelsa imago  Sorge di rado il femminile ingegno;  E ci6 che inspira ai generosi amanti  La sua stessa belta, donna non pensa,  Ne comprender potria.  (" The woman who does not understand " !)  Non cape in quelle  Anguste fronti ugual concetto. E male  Al vivo sfolgorar di quegli sguardi  Spera V uomo ingannato, e mal richiede  Sensi profondi, sconosciuti, e molto  Piu che virili, in chi dell' uomo al tutto Da nature e minor. Che se piu molli  E piu tenui le membra, essa la mente  Men capace e men forte anco riceve. 1   So the idealist skeptic of the nineteenth century aligns himself  with the idealist skeptic of the thirteenth, even to that last truly  mediaeval touch — confusio hominis est femina. And, if I have not  somewhere gone off on a tangent, I have described my circle. Guido's  philosophy of love at least fits with the hypothesis of his skepticism,  and a practical consequence of both would be that actual fickleness  of heart to which tradition again bears witness.   1 A ray celestial to my thought appeared,  Lady, thy loveliness. Similar effects  Have beauty and those harmonies of music  Which the high mystery of unfathomed heavens  Seem ofttimes to illumine. Even so  Enamoured man upon the daughter broods  Of his own fancy, the amorous idea,  Which great part of Olympus comprehends,  In feature all, in manner, and in speech  Unto the woman like, whom, rapturous man,  In his false lights he seems to see and love.  Yet her he doth not, but that other, even  In corporal embracings, crave and love.  Until, his error and the intent transferred  Perceiving, he grows wrathful ; and oft blames  With wrong the woman. To that ideal height  Rarely indeed the wit of woman rises ;  And that which is in gentle hearts inspired  By her own beauty, woman dreams not of,  Nor yet might understand. No room have those  Too straitened foreheads for such thoughts. And fondly  Upon the spirited flashing of that glance  Builds the infatuate man, and fondly seeks  Meanings profound, undreamt-of, and much more  Than masculine, in one than man in all  By kind inferior. For if more tender,  More delicate of limb, so with a mind  Less broad, less vigorous is she endowed.Guido Cavalcanti. Keywords: lo sviluppo della teoria dell’amore in Aristotele – amore e morte, amore e anima vegetativa (l’amante non mangia, l’amante non dorme) – l’animo e il corpo come entelechia, sinolo perfetto, I due sinola, sinolo, Greco sinolon, da sin, co- e holos, tutto.  – l’amore come incontro disastroso di due entellechie. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cavalcanti” – The Swimming-Pool Library. Cavalcanti.

 

Grice e Cavallo:  la ragione conversazionale el’implicatura conversazionale di Frankenstein, homo electricus – la morte di Fedro – fulminated by one of Giove’s lightnings -- elettrico – scuola i Napoli – filosofia napoletana – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I love Cavallo, and so did most of the members of the Royal Society!” Grice: “Cavallo wasn’t strictly onto mythology, but the Italians on the whole are: the Elettridi are a couple of islands off the mouth of the shore where Fetonte fell – due to … electricity, as Cavallo called it – Cavallo is what at Oxford we would call a ‘natural philosoophy’ – for which there was once a chair – it’s very odd that it’s the chair in transnatural or ‘metaphysical’ philosophy that still sub-sists, as Heidegger would put it! By using ‘elettricita’ in the feminine abstract, Strawson criticsed Cavallo – but Strawson criticised most!” -- Autore di trattati di elettricità, magnetismo ed elettricità medicale, compe anche studi relativi ai gas e all'influenza dell'aria e della luce sulla biologia. Propone numerosi apparecchi elettrostatici di misura e di ricerca. Intue la possibilità di volare utilizzando palloni aerostatici. Costrue il primo elettroscopio. Altre opere: TreccaniEnciclopedie. Figlio di un medico. Si dedica alla filosofia e al commercio a giudicare da alcuni suoi studi. Si ritaglia un posto di rilievo come ideatore di esperimenti, inventore e realizzatore di strumenti di precisione e di apparati sperimentali, anche su commessa, e autore di trattati sistematici molto valutati per chiarezza, sistematicità e completezza.  Si lo ricorda in particolare per i suoi studi di aeronautica, legati alla possibilità di usare l’idrogeno come gas portante. E il primo a effettuare esperimenti sistematici sulle capacità ascensionali dell’idrogeno, gas che era stato scoperto quindici anni prima da Cavendish. Inizia con bolle di sapone riempite d’idrogeno, e che per questo salivano in verticale. Prova poi con involucri di carta, che però si rivelano inadatti perché permeabili al gas, e infine con vesciche di animali, troppo pesanti per sollevarsi ma in grado di far misurare una riduzione del peso. Non riusce a trovare un involucro abbastanza leggero da sollevarsi una volta riempito di gas. Fisico; recatosi per commercio in Inghilterra, ivi si dedicò a ricerche di fisica e di chimica. Ha intuito la possibilità del volo per via aerostatica, mediante un pallone ripieno di gas leggero; eseguì in proposito una serie di ingegnose esperienze servendosi di bolle di sapone gonfiate con idrogeno. Deve considerarsi il vero inventore dell'elettroscopio.  Fisico e filosofo naturale italiano. I suoi interessi includeno l’elettricità, lo sviluppo di strumenti scientifici, la natura delle "arie" e il volo in mongolfiera. Membro della Royal Academy of Sciences di Napoli. Presenta tredici volte di seguito la Lezione Bakeriana della Royal Society di Londra. Nacque a Napoli, Italia, dove suo padre era un medico. Apporta diversi ingegnosi miglioramenti agli strumenti scientifici. È spesso citato come l'inventore del “moltiplicatore di Cavallo”. Sviluppa anche un "elettrometro tascabile" che usa per amplificare piccole cariche elettriche per renderle osservabili e misurabili con un elettroscopio. Parti dello strumento e protetto dalle correnti d'aria da un involucro di vetro. Lavorato alla refrigerazione. In seguito al lavoro di Cullen e Black, fu il primo a condurre esperimenti sistematici sulla refrigerazione utilizzando l'evaporazione di liquidi volatile. Si interessa alle proprietà fisiche delle "arie" o dei gas e condusse esperimenti sull’aria infiammabile (idrogeno gassoso). Nel suo “Trattato sulla natura e le proprietà dell'aria” fece "un esame giudizioso del lavoro contemporaneo", discutendo sia la teoria del “flogisto” (citado da Grice in “Actions and events”) di Priestley che le opinioni contrastanti di Lavoisier. Alla Royal Society venne letto un articolo che descrive il primo tentativo di sollevare in aria un palloncino pieno di idrogeno. La sua “Storia e pratica dell'aerostazione” e considerata "una delle prime e migliori opere sull'aerostazione pubblicate nel diciottesimo secolo". In esso, discute sia i recenti esperimenti in mongolfiera, sia i suoi principi fondamentali. Si rivolge a un pubblico più generale in questo lavoro, evitando il gergo tecnico e le prove matematiche, ed era un efficace comunicatore scientifico sia per i suoi colleghi che per il pubblico in generale. Influenza i pionieri dell'aerostato Charles, i fratelli Blanchard. Storia e pratica dell'aerostazione, C. La piastra I, che illustra l'apparato chimico e i palloncini utilizzati per la generazione di idrogeno La piastra II, che illustra l'apparato chimico e i palloncini utilizzati per la generazione di idrogeno C. pubblicò anche sul temperamento musicale nel suo trattato “Del temperamento di quegli strumenti musicali, in cui sono fissati i toni, le chiavi o i tasti, come nel clavicembalo, nell'organo, nella chitarra, ecc. Il memoriale di Coutts, Old St. Pancras. Il nome di C. è verso il basso, ma mancano le lettere B e C. Secondo quanto riferito, fu sepolto nel cimitero di Old St. Pancras in una volta vicino a quella di Paoli. La tomba è perduta ma è elencato nel memoriale di Burdett Coutts alle molte persone importanti sepolte in essa. Altre opere: Pubblica numerosi lavori su diversi rami della fisic, tra cui: “Trattato completo di elettricità in teoria e pratica” (Firenze: Cambiagi); “Teoria e pratica dell'elettricità medica”; “Trattato sulla natura e le proprietà dell'aria e di altri fluidi permanentemente elastici”; “Trattato completo sull'elettricità in teoria e pratica”; “Storia e pratica dell'aerostazione”; “Trattato sul magnetismo”; “Proprietà mediche dell'aria fittizia”; “Elementi di filosofia naturale e sperimentale”. Per la Cyclopædia di Rees ha contribuito con articoli su Elettricità, Macchinari e Meccanica, ma gli argomenti non sono noti. Un resoconto di alcuni nuovi esperimenti elettrici di C. comunicato da Henley, FRS, Transazioni filosofiche della Royal Society di Londra. TRATTATO COMPLETO D'ELETTRICITÀ TEORICA E PRATICA CON SPERIMENTI ORIGINALI.  FIRENZE, CAMBIAGI STAMP. GRANDUCALE CON LICENZA DE SUPÈRIORI. 1 ' A SUA ALTEZZA I OR D NASSAU CLAVERING PRINCIPE E CONTE DICO W P E R PRINCIPE DEL S. ROM. IMP. E PARI DELLA GRAN BRETTAGNA ec. A voi solo Altezza e non ad altri dovea dedicarſi queſta verſione dall'origi nale ingleſe che ha l'onore di IV di renderſi pubblica colle preſenti ſtampe e di compa rire ſotto il Voſtro autore vole patrocinio. Ella è d'uno della vostra nazione, è ſtata intrapreſa per Voſtro comando, fatta ſotto i Voſtriocchi, e quafi tutti gli addotti ſperimenti reiterati nel Voſtro copioſo ed elegante Gabinetto, che avete voluto rendere quaſi pubblico a comune vantag gio di chi brama profittare delle ſcoperte fiſiche ſperi mentali. Proſeguite come fate in que queſta Voſtra generoſa in trapreſa; mentre ſotto i Vo ftri fortunatiſſimiauſpicjcol più profondo riſpetto mi glorio di poter paſſare a di chiararmi DI VOSTRA ALTEZZA Di Caſa Umiliſſimo Servo. Mi ſarei facilmente diſpenſato dal fare veruno avviſo a queſt' opera ſe non mi foffi creduto in dovere di rendere in teſo l'Autore della medeſima, della ſtampa che meditavo fare della preſente verſione, anco per ſentire da ello ſe avea niente da aggiugnere o mutare al ſuo lavoro. Avendogli dunque ſcritto il Sig. Ma gellan alle richieſte d'un mio amico ſu queſto propoſito, gradì molto queſta parte, e traſmeſſe alcune addizioni e cambiamenti che deſiderava che foſſerofatti, come èſtato eſeguito, accompagnati con una corteſe let tera del tenore ſeguente. Signore. Incluſa in queſta Ella riceverà una nota di alcune poche addizioni e cam bia 1 a 4 VIII A V VISO biamenti che bramerei foſſero inſeriti nella traduzione del mio Trattato ſull'E. lettricità. La prego fare intendere al Traduttore e al di Lei corriſpondente che ſono loro molto obbligato per aver mi dato parte di queſta intrapreſa, e che ſon pronto a ſervirgli in quel poco che poſſo. Suo C., Sig. Magellan Nevils Court Ferter Lane. 1 NEL TRATTATO DI C. SULL' ELETTRICITA'. In vece di è quaſi tutte le dure pietre prezioſe ſi legga ad alcune altre dure pietre prezioſe. Pag. 40. Il paragrafo che comincia fiz nalmente concluderemo e finiſce da un corpo ad un' altro ſi dee totalinente omertere. Pag. DEL TRADUTTORE } . Il paragrafo che comincia Le caufe e gli effetti ſono così intimamente, e termina nella pag. 100. colle parole cer tezza epreciſione fi dee omettere affatto. . Alla nota in cui ſi deſcrive l’Amalgama ſi poſſono aggiungere i fe guenti verſi: Higgins ha ultima mente inventato un Amalgama che è molto preferibile a quello di ſtagno, perchè una piccoliffima quantità di effo non solo fa agire il vetro più potentemente, ma dura anco più lungo tempo ſullo ſtrofinatore che quello di fagno. Queſt' amalgama è fatto d'un feſto di zinco e cinque ſefti di mer. curio meſcolati inſieme. v. 12. Si dice non ſarà at tratta del ec. ma più toſto recederà dal punto ſpecialmente ſe l' ago ſi preſenti velociſſimamente verſo ilmedeſimo: Ora leparole di queſto paſſocheſono interpun tate deono ometterſi, cioè dee dir così, non ſarà attratta dal medefino. a 5 Pag. X À VVISO 1 Pag. 335.v.8. Tra le parole poichè e l'e lettricità ſi dee aggiugnere in parità di circoſtanze. Pag. 393. v. ult. cioè della nota In ve ce di Vol. XLVIII. e LXVII. ſi legga Vol. LIV. e LXVII. Del reſto polo aſſicurare il mio Lettore che la maggior parte degli ſperimenti in queſto Trattato riferiti ſono ſtati ripetuti Sotto i miei occhi nel ricco e ſcelto Gabi netto di S. A. il Sig. PRINCIPE COWPER che ne ha dato tutto il comodo, ed ha colla sua autorità promoſſo queſto lavoro. In tanto vivi felice, e godi di queſta fatica. 1. HL diſegno di queſto Trattato è di pre ſentare al pubblico un proſpetto che comprenda lo ſtato preſente dell'elettri cità ridotto in quei limiti più riſtretti che la natura della ſcienza può tollerare. Eſſo è diviſo in quattro parti, in ciaſcuna delle quali ſono contenute certe particolarità che avevano anche minor conneſſione col rimanente, e la cui diſtinta veduta ſi è creduto, che poteſſe eſſere un mezzo da impedire la confuſione dell' idee nella mente di quei lettori che non fi erano prima refa molto familiare queſta materia. La prima parte tratta ſolamente delle leggi dell'elettricità; cioè di quelle leggi naturali relative all' elettricità che per mezzo d' innumerabili ſperimenti ſi ſono trovate coſtantemente vere, e che non dipendono da veruna ipoteſi. In queſta parte l'autore non è diſceſo a veruna par ticolarità, la quale non foſſe chiaramente ſicura, o la quale foſſe di poca conſeguen za; ma nel tempo medeſimo ha procu rato di non omettere coſa alcuna impor tante, o che ſembraſſe promettere ulte riori: ſcoperte La ſeconda parte è meramente ipote tica, non per rapporto ai fatti, ma in ri guardo all opinioni. La grande improba bilità della maggior parte di queſte ipo teſi ha deterininato l'autore a renderla più breve che foſſe poſſibile. La parte terza contiene la pratica dell' elettricità. Qui l'autore ha procurato d'in ferire una deſcrizione di tutti i nuovi mi glioramenti fatti nell'apparato, i quali nel tempo medeſimo ſervono a minorare la fpefa, e a facilitare l'eſecuzione degli eſperimenti. In riguardo agli eſperimenti medeſimi, egli ha principalmente inſiſtito ſu quei pochi primari che gli ſon parſi i più neceſſari a illuſtrare e confermare le leggi dell'elettricità, omettendo un gran numero d'altri che ha trovato non eflere altro che i primi in qualche coſa va rjati. Egli niente di meno ha dato un rag guaglio di alcuni altri che quantunque non affolutamente neceſſari, gli parvero però meritare che ſene defle notizia. La quarta ed ultima parte contiene un breve ragguaglio dei principali ſperi menti eſeguiti dall'autore medeſimo in conſeguenza di quanto gli è accaduto nel corſo dei ſuoi ſtudj in queſta parte di fi loſofia. Quì egli ha laſciato di far men zione non ſolo di quei tentativi che non hanno prodotto verun conſiderabile effet to, maancora d'innumerabili congetture che ha formato intorno a' medeſimi, e intorno ad altri non ancora ridotti alla ſicurezza dell'attuale oſſervazione. L'autore prende queſt' opportunità di dimoſtrare la ſua riconoſcenza a varj ſuoi ingegnoſi amici per diverſe eſperienze comunicategli, e particolarmente al Sig. Guglielmo Henly il quale ha fatto quel che per lui ſi poteva per informarlo di ciaſcuna particolarità che ha creduto po teſſe arricchire e abbellire l'opera. Non è ſembrato neceffario il nominare quei ſoggetti, le di cui eſperienze e of fervazioni recate in queſt' opera erano avanti ben cognite al mondo; per lo che l'autore ſi è riſtretto a far menzione di quelle perſone le cui eſperienze erano nuo ve, o non comunemente note agli ſcrit tori di queſta materia. Per rendere il trattato più intelligibile ed utile ſono ſtate aggiunte tre tavole in rame, e un copioſo indice delle materie che meritano maggiore attenzione. Neroduzione pag. Leggi fondamentali dell'elettricità. Contenente la spiegazione d ' alcuni termi ni che fono principalmente uſati nelle lettricità. Degli elettrici, e dei conduttori. Delle due elettricità. Dei differenti metodi di eccitare gli elet trici. Dell elettricità comunicata Dell' elettricità comunicata agli elettri ci. Degli elettrici caricati, ovvero della Boccia di Leida '. Dell elettricità atmosferica go. Vantaggi derivati dall elettricità.. Che contiene un proſpetto compendioſo del le proprietà principali dell elettrici tà. Teoria dell'elettricità, Ipoteſi dell' elettricità poſitiva, e negatiVa 126. Della natura del fluido elettrico Della natura degli elettrici, e dei con duttori... Del luogo occupato dal fluido elettrico. Elettricità pratica. Dell'apparato elettrico in generale. Deſcrizione d' alcune particolari macchine elettriche ze... Deſcrizioneparticolare di alcune altreparti neceſſarie dell'apparato elettrico. Regole pratiche riguardanti l'uſo dell' ap parato elettrico, ed il fare l'eſperien Sperimenti relativi all'attrazione, e re pulſione elettrica Sperimenti ſulla luce elettrica... Sperimenti colla bottiglia di Leida. Sperimenti con altri elettrici caricati. Sperimenti ſull' influenza delle punte, e ſull' utilità dei conduttori metallici ap puntati per difendere gli edifizj dagli effetti del fulmine Elettricità medica..Sperimenti fatti con la batteria elettri Sperimenti promiſcui Ulteriori proprietà della boccia di Leida ovvero degli elettrici caricati.  Nuovi ſperimenti dell' elettricità.. . Coſtruzione dell' aquilone elettrico, e di altri ſtrumenti uſati con ello Sperimenti fatti con l' aquilone elettri . co Sperimenti fatti coll.elettrometro atmosfe rico, e coll' elettrometro per la prog gia. Sperimenti fatti coll' elettroforo comune mente chiamato macchina per eſibire l'elettricità perpetua · Sperimenti ſu i colori. Sperimenti promiſcui L E arti e le ſcienze a guiſa dei re gni e delle nazioni, anno cia ſcuna alcuni fortunati periodi di gloria e di fplendore, in cui eſſe mag giormente attirano l'umana attenzione, e fpandendo una luce più viva che in qualunque altro tempo divengono l'oga getto favorito e la moda del ſecolo; ma queſti periodi terminan preſto, e pochi anni di luſtro e di fama reſtano ſpetto oſcurati da interi ſecoli d'oblivione. Da queſto faro infelice per altro alcune ſcien ze ſono riſervate ed elenti, le quali in grazia della vaſta e neceſſaria eilenſione del loro uſo e delle fruttuole produzioni che da loro ſi ricavano, ſono ſempre flo ride; e ſebbene una volta ſiano ſtate incognite, pure quando la fama ne ha fatto riionare il lor naſcimento o pubblicato i loro progreſli, giammai dopo declina no, e benchè divenute languenti per l'età in verun tempo periſcono. Di queſto ge nere è l’Elettricità la più dilettevole e la più ſorprendente tra tutte le parti della Filoſofia naturale, che mai ſia ſtata coltivata dall'uomo. Queſta ſcienza dopo aver fatto conocere l'eſtenſione e la ge neralità della ſua forza, dopo che ſi è conoſciuto eſſer uno dei più grandi agenti della natura, è ſtata ſempre in voga, è ſtata col maſſimo profitto coltivata, e ſenza interruzione alcuna ha fatto tali progreſſi, che ora è ridotta a uno ſtato in cui in vece di divenire ſterile, ſembra ulteriormente impegnare la generale at tenzione e ripromettere ai ſuoi ſeguaci le più degne e le più vaſte ricompenſe. Gli Ottici è vero, moſtrano molte in cantatrici ed utili proprietà, ma ſempre relative alla ſola viſione: il Magnetiſmo rappreſenta la forza d'attrazione, re pultione, e direzione verſo le parti po lari di quella ſoſtanza che ſi chiama ca lamita; la Chimica tratta delle varie compoſizioni e riſoluzionidei corpi: ma l ' Elettricità contenendo per così dire tutte queſte coſe dentro di ſe ſola eſibiſce gli effetti di molte ſcienze, combina in ſieme le diverſe energie e ferendo i ſenſi in una particolare e forprendente manie ra, dà piacere ed è di grand'uſo all'igno rante ugualmente che al FILOSOFO, all' opulento ugualmente che al povero. Nell' Elettricità ci divertiamo contem plando la ſua penetrante luce rappreſen tata in innumerabili diverſe forme, am. miriamo la ſua attrazione e repulſione che agiſce ſopra ciaſcun genere di corpi, reſtiamo ſorpreſi dall'urto, atterriti dall' eſploſione e forza della ſua batteria; ma quando la conſideriamo ed eſaminiamo A 2, Come cauſa del tuono, del fulmine, dell' aurora boreale, e di altri fenomeni na turali, i cui terribili effetti poliamo in parte imitare, ſpiegare, ed anche allon tanare, allora sì che reſtiamo attoniti per la maraviglia, la quale non ci per mette di contemplare altro che l'ineſpri mibile e permanente idea dell'aminira zione e della ſorpreſa. Il più remoto rag guaglio a noi cognito, che abbiamo di qualche effetto elettrico eſiſte nell ' opere del famoſo antico naturaliſta Teofraſto che fiori circa trecento anni avanti Cri ſto. Ei ci dice che l'ambra il cui nome greco è nextpor, e da cui il nome d'E lettricità è derivato, come pure il Lincurio poſſiede la qualità di attrarre i corpi leggieri. Queſto ſolamente era tutto cio [E ftato in qualche maniera provato cbe il Lin curio di Teofraſto è la medeſima ſoſtanza che va ſotto il nome di Turmalina, di cui avremo occae fione di parlare nel corſo di queſto trattato. ciò che ſi conoſceva ſu tal ſoggetto per circa 19. ſecoli dopo Teofraſto, nel qual lungo periodo non troviamo nell'iſtoria fatta menzione di alcuna perſona che abbia fatto veruna ſcoperta, e ne pure ſperimento alcuno in queſta parte di Filoſofia, eſſendo rimaſta queſta ſcienza affatto nell'oſcurità fino al tempo di Guglielmo Gilbert medico Ingleſe, che viveva ful principio del decimo fertimo ſecolo; ed il quale a cagione delle ſue ſcoperte in queſto nuovo e inculto cam po può giuſtamente chiamarſi il padre della preſente Elettricità. Offerva egli che la proprietà d'attrarre i corpi leg gieri dopo la confricazione non è una proprietà particolare dell'ambra o del Lincurio, ma che molti altri corpi la poſſeggono egualmente. Rammenta un gran numero di queſti e nel medeſimo tempo varie particolarità, che conſide rando lo ſtato della ſcienza in quel ſe colo poſſono ſembrare veramente grandi ed intereſſanti. Dopo Gilbert la ſcienza avanzando benchè con piccoli progrefli, paſsò per così dire dall'infanzia alla puerilità, a vendo intrapreſo alcuni eccellenti filo ſofi ad eſaminare la natura in queſte ope razioni. Tale fu  Bacone, Boyle, Guericke, Newton, e più di tutti Hawkesbee ſoggetto a cui ſiamo molto obbligati per alcune importanti ſcoperte e per il reale avanzamento dell'Elettricità. Hawkesbee fu il primo che oſſervò la gran forza elettrica del vetro, ſoſtanza che fin da quel tempo fu generalmente uſata da tutti gli elettriciſti in preferenza di qualunque altro elettrico. Egli fu il primo che notaſie le varie apparenze della luce elettrica e il fragore accom pagnato con eſſa, inſieme con una varietà di fenomeni relativi all'attrazione e ri pulſione elettrica. Dopo il Sig. Hawkesbee la ſcienza dell' elettricità per quanto fin lì foſſe avanzata, rimaſe quaſi per venti anni in uno ſtato di quiete, eſſendo l'attenzione dei Filoſofi in quel tempo occupata in altri filoſofici ſoggetti, i quali in riguardo alle nuove ſcoperte dell'incomparabile Iſacco Newton erano allora grandemen. te in reputazione. Il Sig. Grey fu il primo dopo queſto periodo d' oblivione a portar la ſcienza di nuovo alla luce del mondo. Egli mediante le gran ſcoperte che fece la inſinuò di nuovo alla cogni zion dei Filoſofi e da lui ſi può dire che prenda la ſua data la vera e florida epoca dell' Elettricità. Il numero degli elettriciſti che ſi è giornalmente moltiplicato dal tempo del Sig. Grey, le ſcoperte fatte, e gli uſi che ne ſon derivati fino al tempo preſente, fono materia realmente degna d'atten zione e meritano l'ammirazione di qua lunqne amatore delle ſcienze ed amico dell'uman genere. Chiunque vuole informarſi dei parti colari progrelli fatti in queſta ſcienza, legga l'elaborata iſtoria dell'Elettricità compilata dall'eccellente D: Priestley, opera che lo può informare di tutto ciò che è ſtato fatto in rapporto a queſto ſoggetto fino alla ſua pubblicazione. Io per me mi diſpenſerò dal farre un lungo dettaglio iſtorico; queſto trattato eſſendo diretto a dare un ragguaglio dello ſtato preſente dell'Elettricità, e non a for marne un'iſtoria. Soltanto oſſerverò in generale, che quantunque la ſcienza ab bia, mediante l'indefella attenzione di molti ingegnoſi foggetti, e mediante le ſcoperte che furono giornalmente pro dotte, eccitata la curioſità dei Filoſofi e impegnata la loro attenzione; con tut to queſto ſiccome le cauſe di ciaſcuna cola piccola o grande, cognita o incognita, di rado ſono oſſervate con at tenzione, ſe i loro effetti non ſono sfol goranti e ſingolari; così l'Elettricità è ſtata fino all'anno 1746. ſtudiata da nel fun altro che da Filoſofi. La ſua attra zione può eſſere rappreſentata in parte dalla calamita, la ſua luce dal fosforo, e in una parola neſſuna coſa ha contria buito a rendere l'Elettricità il ſoggetto della pubblica attenzione, e ad eccitare una generale curioſità, fin che non fu. accidentalmente fatta la primaria ſco gran cumulo della ſua forza, in ciò che ſi chiama boccia di Leida in ventata da Muſchenbroeck. Allora lo ſtudio dell' Elettricità divenne generale, ſorpreſe ciaſcuno oſſervatore, e invitò alla caſa degli elettriciſti un più gran numero di ſpettatori di quello che avanti ſi foſſe mai unito inſieme per oſſervare qualunque altro filosofico ſpe rimento. Dal perta del Dal tempo di queſta ſcoperta il pro digioſo numero d'elettriciſti, di ſperi menti, e di fatti nuovi che ſono ſtati giornalmente prodotti da ciaſcun angolo dell'Europa e da altre parti del mondo, è quafi incredibile. Le ſcoperte ſi cumu larono ſopra altre ſcoperte, i megliora menti ſopra altri meglioramenti, e la ſcienza da quel tempo fece un così ra pido corſo, ed ora ſi eſtende con sì mi rabile velocità, che ſembra che il fog getto dovrebbe eſſere tutto eſaurito, e gli elettriciſti pervenuti al fine delle loro ricerche: per altro non è così. Il non plus ultra è con tutta probabilità ancora molto lontano, e il giovane elettriciſta ha avanti a ſe un vaſto campo che mé rita altamente la ſua attenzione e che gli promette ulteriori ſcoperte forſe o d' uguale o di maggiore importanza di quelle che ſono ſtate già fatte.Of Natural Philosophy;—~its Name;•—its Objeft —its Axioms; —and the Rules of Philofophizing. The word FILOSOFIA, though used by ancient authors in senses somewhat different, does, however, in its most usual acceptation, mean the love of general knowledge. It is divided into moral and natural. Moral philosophy treats of the manners, the duties, and the condud of man, considered as a rational and social beings but the business of natural philosophy, is to colled the history of the phenomena which take place amongst natural things, viz. among the bodies of the universes to investigate their causes and effects; and thence to deduce such natural laws, as may afterwards be applied to a variety of useful purposes. The word philosophy is of Greek origin. PITAGORA, a learned Greek, seems to have been the firfl who called himfelf philosopher j viz. a lover of knowledge, or of wifvol. r. b dom. 2 Of Philosophy in general. Natural things means all bodies; and the assemblage or fyftem of them all is called the universe. The word “phenomenon” signifies an appearance, or, in a more enlarged acceptation, whatever is perceived by our senses. Thus the fall of a stone, the evaporation of water, the folution of salt in water, a tlafh of lightning, and fo on; are all phenomena. As all phenomena depend on properties peculiar to different bodies; for it is a property of a ftone to fall towards the earth, of the water to be cvaporable, of the fait to be foluble in water, &c. therefore v/e fay that the bufinefs of natural philofophy is to examine the properties of the various bodies of the univerfe, to inveftigate their caufes, and thence to infer ufeful deductions. Agreeably dom, from the words piaoj, a lover or friend, and croplxi, of knowledge or wifdom. Moral philofophy is derived from the latin mos, or its plural mores, fignifying manners or behiyiour. It has been likewife called ethics, from the Greek r,ccs, mos, manner, behaviour. Natural philofophy has alfj been called p hylics, phyfology, and experimental phi Ifophy: The ftrft of thofe names is derived from nature, or gv-T.hr., natural; the fecond is derived from pvair, nature, and >. a dijeourfe; the laft deno nination, which was introduced not many years ego, is obvioufly derived from the juft method of experiment. ' inveftigation, which has been univerfally adopted ftnee the r P.vul of learnin-"- 'n Europe. “Phenomenon,” whose plural is “phenomena”, owes its origin to the Greek word pf.-.ai, to appear. and the Rules of Philofophizing. 3 Agreeably to this, the reader will find in the courfe of this work, an account of the principal properties of natural bodies, arranged under diftincft heads, with an explanation of their efFefts, and of the caufes on which they depend, as far as has been afeertained by means of reafoning and experience; he will be informed of the principal hypothefes that have been offered for the explanation of faffs, whofe caufes have not yet been demonflratively proved; he will find a flatement of the laws of nature, or of fuch rules as have been deduced from the concurrence of fimilar facts; and, laftly, he will be inftrudted in the management of philofophical inflruments, and in the mode of performing the experiments that may be thought neceffary either for the llluftration of what has been already afeertained, or for the farther inveftigation of the properties of natural bodies. We need not fay much with refpect to the end 01 defign of natural philofophy.—Its application and its ufes, or the advantages which mankind may deuve therefrom, will be eafily fuggefted by a very fuperficial examination of whatever takes place about us. The properties of the air we breathe; the action and power of our limbs; the light, the found, and other perceptions of our fenfes; the adcions of the engines that are ufed in hufoandry, navigation, &c.; the viciffitudes of the feafons, the movements of the celeflial bodies, and io forth; do all fall under the con fideration of b 2 the 4 Of Philosophy in general; the philofophcr. Our welfare, our very exiftenee-. depends upon them. A very flight acquaintance with the political ftate of the world, will be fufficient to fhew, that the cultivation of the various branches of natural philofophy has actually placed the Europeans and their colonies above the reft of mankind. Their. difcoveries and improvements in aftronomy, optics, navigation, chemiftry, magnetifm, mineralogy, and in the numerous arts which depend on thofe and other branches of philofophy, have fupplied them with innumerable articles of ufe and luxury, have multiplied their riches, and have extended their powers to a degree even beyond the expectations of our predeceffors. The various properties of matter may be divided into two claffes, viz. the general properties, which belong to all bodies, and the peculiar properties, or thofe which belong to certain bodies only, exclufively of others. In the firft part of this work we fhall examine the general properties of matter. Thofe which belong to certain bodies only, will be treated of in the l'econd. In the third part we fhall examine the properties of fuch fubftances as may be called hypothetical; their exiftenee having not yet been iatisfadtorily proved. In the fourth we fhall extend our views beyond the limits of our Earth, and fhall examine the number, the movements, and other properties of the celeltial bodies. The and the Rules of Philofophizing. 5 The fifth, or laft part, will contain feveral detached articles, fuch as the defeription of feveral additional experiments, machines, &c. which cannot conveniently be inferted in the preceding divilions. The axioms of philofophy, or the axioms which have been deduced from common and conftant experience, are fo evident and fo generally known> that it will be fufficient to mention a few of them only. I. Nothing has no property; hence, JI. No fubftance, or nothing, can be produced from nothing. III. Matter cannot be annihilated, or reduced to nothing. Some perfons may perhaps not readily admit, the propriety of this axiom; feeing that a great many things appear to be utterly deftroyed by the action of fire; alfo that water may be caufed to difappear by means of evaporation, and fo forth. But it mud be obferved, that in thofe cafes the lubftances are not annihilated; but they are only difperfed, or removed from one place to another, or they are divided into particles fo minute as to elude our fenfes. Thus when a piece of wood is placed upon the fire, the greateft part of it difappears, and a few afhes only remain, the weight and bulk of which does not amount to the hundredth part ot that of the original piece of wood. Now in this cafe the piece of wood is divided into b 3 its 6 O/Philosophy in general; its component fubdances, which the atdion of the fire drives different ways: the fluid part, for inftance, becomes fleam, the light coaly part either adheres to the chimney or is difperfed through the air, &c. And if, after the combuftion, the fcattered materials were collecded together, (which may in great meafure be done), the fum of their weights would equal the weight of the original piece of wood. Every effect has, or is produced by, a caufe, and is proportionate to it. It may in general be obferved with refpedt to. thofe axioms, that we only mean to affert what has been conflantly (hewn, and confirmed by experience, and is not cont rad idled either by reafon, or by any experiment. But we do not mean to affert that they are as evident as the axioms of geometry; nor do we in the lead prefume to preferibe limits to the agency of the Almighty Creator of every thing, wvhofe power and whofe ends are too far re- moved from the reach of our underBandings. Having dated the principal axioms of philolophy, it is in the next place neceffary to mention the rules of philofophizing, which have been formed after mature confideration, for the purpofe of preventing errors as much as poffible, and in order to lead the dudent of nature along the fhorted and fifed way, to the attainment of true and ufeful knowledge.—Thofe rules are not more than four; viz. I. We and the Rules of Philofophizing. We are to admit no more caufes of natural things, than fuch as are both true and fufHcient to e:g in the appearances. II. Therefore to the fame natural effects we muft, as far as poffible, affign the fame caufes. Such qualities of bodies as are not capable of increafe or decreafe, and which are found to belong to all bodies within the reach of our experiments, are to be efteemed the univerfal qualities ol all bodies whatfoever. IV. In experimental philofophy we are to look upon propofitions colledted by general induction from phenomena, as accurately or very nearly true, notwithftanding any contrary hypothefes that may be imagined, till fuch time as other phenomena occur, by which they either may be corrected, or may be fhewn to be liable to exceptions With refpeft to the degree of evidence which ought to be expected in natural philofophy, it is neceifary to remark, that phyficai matters cannot in general be capable of luch abfolute certainty as the branches of mathematics.—The propofitions of the latter fcience are clearly deduced from a fet of axioms fo very fimple and evident, as to convey perfect convi&ion to the mind; nor can any of them be denied without a manifeft: abfurdity. But in natural philofophy we can only fay, that becaufe lome particular effects have been conflantly produced under certain circumftances; therefore they will moft likely continue to bV produced as long E 4 as 8 Of Philosoph Y in general $ as the lame circumftances exifl; and likewife that they do, in all probability, depend upon thofe circumftances. And this is what vve mean by laias of nature \ as will be more particularly defined in the next chapter. We may, indeed, affume various phyfical princi[>ies, and by reafoning upon them, we may ftndtly demontliate the deduction of certain confequences. But as the demonftration goes no farther than to prove that luch confequences muft neceflarily follow the principles which have been afl'urned, the conlequences themfelves can have no greater degree of certainty than the principles are pofieftedof; fo that they are true, or falfe, or probable, according as the principles upon which they depend are true, or faife, or probable. It has been found, for inftance, that a magnet, when left at liberty, does always direct itfelf to certain parrs of the world; upon which property the mariner’s compafs has been conftructed; and it has been likewife obferved, that this directive property of a natural or artificial magnet, is not obftructed by the interpofition or proximity of gold, or filver, or glaft, or, in fhort, of any other fubftance, as far as has been tried, excepting iron and ferrugineous bodies. Now afluming this obfervation as a principle, it naturally follows, that, iron excepted, the box of the mariner’s compafs may be made of any fubftance that may be moft agreeable to the. workman, or that may beft anivver other purpofes. Yet it muft be confefted. and the Rules of Philofophizing. 9 confe fifed, that this proportion is by no means fo certain as a geometrical one; and (luctly lpeaking it may only be laid to be highly probable; for though all the bodies that have been tried with this view, iron excepted, have been found not to afifefl the directive property of the magnet or magnetic needle, yet we are not certain that a body, or fome combination of bodies, may not. hereafter be difcovered, which may obftrudt that property. Nqtwithftanding this obfervation, I am far from meaning to encourage fcepticilm; my only objedt being to fhew that juft and proper degree of conviction which ought to be annexed tophyfical knowledge; fo that the ftudent of this fcience may become neither a blind believer, nor a uielels fceDtic*. Befides a ftriCt adherence to the abovementioned rules, whoever withes to make any proficiency in the ftudy of nature, (liould make himfelf acquainted with the various branches of mathematics, at leaft with the elements of geometry, arithmetic, trigonometry, and the principal properties of the conic * Scepticifm or fkepticifm is the do&rine of the fceptics, an ancient let of philofopbers, whofe peculiar tenet was, that all things are uncertain and incomprehenlible; and that the mind is never to afient to any thing, but to remain in an absolute date of hefitation and. indifference. The word fceptic is derived from the Greek anc7flM®~y which fignifies confederate, and inquiftive. A General Idea of Matter, conic fedions; for fincc almoft every phyfical effed depends upon motion, magnitude, and figure, it is impofiible to calculate velocities, powers, weights, times, &c, without a competent degree of mathematical knowledge; which fcience may in truth be called the language of nature.  Mary Shelley Who put the spark in Frankenstein’s monster? On the 200th anniversary of Mary Shelley’s gothic horror, a new edition discusses its roots in experiments with electricity on the dead  Jamie Doward  It is one of the most famous novels of all time, often cited as the first work of science fiction, with a genesis almost as well known as its terrifying central character.  Mary Shelley’s Frankenstein: or the Modern Prometheus was published.  It was the result of a challenge laid down by Lord Byron, when Shelley and her lover – later her husband – Byron’s fellow poet Shelley were holidaying at Lake Geneva in Switzerland.  The party had hoped for good weather, but the eruption of a volcano in the East Indies, the greatest event of its kind in recorded history, had ushered in three years of bone-chilling cold that killed crops and cast a shadow across Europe. As they huddled for warmth around a fire one night, Byron suggested each of them should write a horror story.  For days Shelley suffered writer’s block until she came up with the idea of a scientist who reanimated a creature stitched together from body parts, only to be horrified by his success. Some believe Shelley was inspired by a trip to Germany, where she is thought to have learned the legend of Frankenstein Castle and one of its 17th-century inhabitants, an alchemist called Dippel, who was rumoured to have exhumed bodies for experimentation.  But it now appears Shelley’s true source of inspiration for Victor Frankenstein’s monster was considerably closer to home. In a foreword to a new edition of the classic, to be published by Oxford University Press next month, Nick Groom, of Exeter, sometimes referred to as the “Prof of Goth”, suggests it was her husband’s fascination with galvanism – chemically generated electricity – that sparked her imagination.  Shelley. Shelley. Photograph: Getty Images Percy Shelley, one of Britain’s most cherished Romantic poets and author of the celebrated sonnet Ozymandias, was fascinated by science, in particular the creation of electricity. “He was very excited by galvanic apparatus,” Groom explained. “His sister, Helen, would recall that he would, as she put it, ‘practise electricity upon us’. He used to make all the family sit around the dining room table holding hands, and he’d turn up with some brown paper, a bottle and a wire and they’d all get electrocuted.”  On one occasion Percy even threatened to electrocute the son of his scout at Oxford.  Mary and Percy enjoyed a symbiotic working relationship. She corrected his proofs and he helped edit Frankenstein. But Groom is clear that the book was, contrary to what some have argued, Mary’s creation. “The work is by her and should be attributed to her.”  Sent down from Oxford for co-authoring a pamphlet on atheism, Percy attended anatomy classes for a term at St Bartholomew’s hospital in London.. “One of the things she would have got from talking to her husband about laboratories was that they were really filthy places,” Groom said. “The cadavers would be in a state of advanced putrefaction when they arrived. These were not antiseptic places full of chaps in white coats. They were unpleasant. The word filthy turns up a lot in Frankenstein. There was something really disreputable about medical science, which Mary Shelley is fascinated in.”  She would have been aware of notorious public experiments involving galvanism. “There was a particularly chilling one in London when galvanism was used on the body of an executed criminal,” Groom said. “The very first thing that happened was that the corpse opened its eyes. A very Frankenstein moment.”  At the time Mary was writing, the rights of animals had become a concern for many of the intelligentsia. “The being that Victor creates knows he’s not human but still believes that he should have rights,” Groom said. “Part of the conundrum of the novel is, do you afford comparable rights to non-human sentient creatures?”  Two centuries on, the novel continues to shape contemporary thinking, Groom suggested, posing questions about matters such as artificial intelligence and genetic modification.  But Mary’s astonishing foresight has yet to be fully recognised.  “Her reputation has been overtaken by the films, which have oversimplified these questions in ways that don’t really reflect the sophistication of her novel,” Groom said. “Boris Karloff’s monster has none of the subtlety that the being has in the novel. He’s not a zombie, he’s intelligent and sentient.  “People need to see this as a novel for today. It’s very much entangled with the pressing questions of humanity, which still concern us.”Cavallo. Tiberius Cavallo. Tiberio Cavallo. Keywords: elettrico, filosofia naturale, filosofia trans-naturale, la rana ambigua. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cavallo” – The Swimming-Pool Library. Cavallo.

 

Grice e Cavour: implicatura conversazionale e ragione conversazionale – scuola di Torino – filosofia torinese -- filosofia piemontese – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Camillo Benso, conte di C.  Voce Discussione Leggi Visualizza sorgente Cronologia  Strumenti Aspetto nascondi Testo  Piccolo  Standard  Grande Larghezza  Standard  Largo Questa pagina è semiprotetta. Può essere modificata solo da utenti registrati  Disambiguazione – "C." rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi C. (disambigua).  Disambiguazione – "Conte di C." rimanda qui. Se stai cercando la corazzata, vedi Conte di C. (nave da battaglia). Camillo Benso di C.  Antonio Ciseri, ritratto di Camillo Benso di C., olio su tela, 1859 ca. Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia Ministro degli affari esteri Durata mandato MonarcaVittorio Emanuele II Predecessore carica creata Successore Bettino Ricasoli Presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna Durata mandato Monarca Vittorio Emanuele II Predecessore Massimo d'Azeglio Successore Alfonso Ferrero La Marmora Durata mandato Predecessore Alfonso Ferrero La Marmora SuccessoreSé stesso come Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia Ministro dell'agricoltura e commercio del Regno di Sardegna Durata mandato Monarca Vittorio Emanuele II Capo del governo Massimo d'Azeglio Predecessore Pietro De Rossi Di Santarosa Ministro delle finanze del Regno di Sardegna Durata mandato Monarca Vittorio Emanuele II Capo del governo Massimo d'Azeglio Predecessore Giovanni Nigra Successore Luigi Cibrario Sindaco di Grinzane Durata mandato Deputato del Regno di Sardegna Durata mandato Durata mandato Legislatura Sito istituzionale Deputato del Regno d'Italia Durata mandato Legislatura Sito istituzionale Dati generali Suffisso onorifico Conte di C. Partito politico Destra storica Professione Filosofo, Politico, imprenditore Firma Firma di Camillo Benso di C. Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di C., di Cellarengo e di Isolabella, noto semplicemente come conte di C. o C. (Torino, 10 agosto 1810 – Torino, 6 giugno 1861), è stato un politico, patriota e imprenditore italiano.  Fu ministro del Regno di Sardegna dal 1850 al 1852, presidente del Consiglio dei ministri dal 1852 al 1859 e dal 1860 al 1861. Nello stesso 1861, con la proclamazione del Regno d'Italia, divenne il primo presidente del Consiglio dei ministri del nuovo Stato e morì ricoprendo tale carica.  Fu protagonista del Risorgimento come sostenitore delle idee liberali, del progresso civile ed economico, della separazione tra Stato e Chiesa, dei movimenti nazionali e dell'espansionismo del Regno di Sardegna ai danni dell'Austria e degli stati italiani preunitari.  In economia promosse il libero scambio, i grandi investimenti industriali (soprattutto in campo ferroviario) e la cooperazione fra pubblico e privato. In politica sostenne la promulgazione e la difesa dello Statuto albertino. Capo della cosiddetta Destra storica, siglò un accordo ("Connubio") con la Sinistra, con la quale realizzò diverse riforme. Contrastò apertamente le idee repubblicane di Giuseppe Mazzini e spesso si trovò in urto con Giuseppe Garibaldi, della cui azione temeva il potenziale rivoluzionario.  In politica estera coltivò con abilità l'alleanza con la Francia, grazie alla quale, con la seconda guerra di indipendenza, ottenne l'espansione territoriale del Regno di Sardegna in Lombardia. Riuscì a gestire gli eventi politici (sommosse nel Granducato di Toscana, nei ducati di Modena e Parma e nel Regno delle Due Sicilie) che, assieme all'impresa dei Mille, portarono alla formazione del Regno d'Italia.  Biografia La famiglia e la giovinezza (fino al 1843)  Lo stesso argomento in dettaglio: Benso (famiglia).  Michele Benso di C., padre di Camillo.  Il palazzo a Torino dove nacque C..  Adèle de Sellon (1780-1846), madre di Camillo.  Ritratto giovanile di C..[1] Camillo nacque il 10 agosto 1810 nella Torino napoleonica. Suo padre, il marchese Michele Benso di C., era collaboratore e amico del governatore principe Camillo Borghese (marito di Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone I) che fu padrino di battesimo del piccolo Benso al quale trasmise il nome. La madre del piccolo Camillo, Adèle de Sellon (1780-1846), sorella del conte Jean-Jacques de Sellon, scrittore, filantropo, collezionista d'arte, mecenate e pacifista svizzero, apparteneva invece ad una ricca e nobile famiglia calvinista di Ginevra, che aveva raggiunto un'ottima posizione negli ambienti borghesi della città svizzera[2].  Aristocratico[N 1], C. in gioventù frequentò il 5º corso della Regia Accademia Militare di Torino (conclusosi nel 1825) e nell'inverno 1826-1827, grazie ai corsi della Scuola di Applicazione del Corpo Reale del Genio, diventò ufficiale del Genio[N 2].  Il giovane si dedicò ben presto, per interessi personali e per educazione familiare, alla causa del progresso europeo. Fra i suoi ispiratori fu il filosofo inglese Jeremy Bentham, alle cui dottrine si accostò per la prima volta nel 1829, nonché Jean-Jacques Rousseau[N 3]. Di Bentham quell'anno lesse il Traité de législation civile et pénale, in cui il filosofo inglese sostiene la dottrina dell'utilitarismo, espressa concisamente dal principio: «Misura del giusto e dell'ingiusto è soltanto la massima felicità del maggior numero». Un'altra tesi sostenuta da Bentham, secondo cui ogni problema poteva ricondursi a fatti misurabili, fornì al realismo del giovane C. una base teorica utile alla sua inclinazione all'analisi matematica[3].  Trasferito nel 1830 a Genova, l'ufficiale Camillo Benso ebbe modo di conoscere la marchesa Anna Giustiniani Schiaffino, con la quale avvierà un'importante amicizia intrattenendo con lei un lungo rapporto epistolare[4].  All'età di ventidue anni C. venne nominato sindaco di Grinzane, dove la famiglia aveva dei possedimenti, e ricoprì tale carica fino al 1848[5]. Dal dicembre 1834 iniziò a viaggiare all'estero studiando lo sviluppo economico di paesi largamente industrializzati come Francia[6] e Gran Bretagna. In questo contesto culturale, già a ventidue anni, C. era influenzato dagli ideali risorgimentali e manifestava nelle sue lettere private il sogno di diventare "primo ministro del Regno d'Italia".[7]  I viaggi di formazione a Parigi e a Londra  Lo stesso argomento in dettaglio: Viaggi di formazione di Camillo Benso, conte di C.. Accompagnato dall'amico Pietro De Rossi di Santarosa, C. nel febbraio del 1835 raggiunse Parigi, dove si fermò per quasi due mesi e mezzo: visitò istituzioni pubbliche di ogni genere e frequentò gli ambienti politici della Monarchia di Luglio. Partito dalla capitale francese, il 14 maggio 1835 arrivò a Londra dove si interessò di questioni sociali.  Durante questo periodo il giovane Conte sviluppò quella propensione conservatrice che lo accompagnerà per tutta la vita, ma al tempo stesso sentì fortemente crescere l'interesse e l'entusiasmo per il progresso dell'industria, per l'economia politica e per il libero scambio.  Di nuovo a Parigi, fra il 1837 e il 1840 frequentò assiduamente la Sorbona e incontrò, oltre a vari intellettuali, gli esponenti della monarchia di Luigi Filippo della quale conservava una viva ammirazione.  Nel marzo 1841 fondò con degli amici la Società del Whist, club prestigioso costituito dalla più alta aristocrazia torinese[8].  Da proprietario terriero a deputato (1843-1850) Fra il ritorno dai viaggi all'estero nel giugno del 1843 e l'ingresso al governo nell'ottobre del 1850, C. si dedicò ad una nutrita serie di iniziative nel campo dell'agricoltura, dell'industria, della finanza e della politica.  Gli affari in agricoltura e nell'industria Importante possidente terriero, C. contribuì, già nel maggio 1842, alla costituzione dell'Associazione agraria che si proponeva di promuovere le migliori tecniche e politiche agrarie, per mezzo anche di una Gazzetta che fin dall'agosto 1843 pubblicava un articolo del Conte[9].  Impegnatissimo nell'attività di gestione soprattutto della sua tenuta di Leri, C. nell'autunno 1843, grazie alla collaborazione di Giacinto Corio, iniziò un'attività di miglioramenti nei settori dell'allevamento del bestiame, dei concimi e delle macchine agricole. In sette anni (dal 1843 al 1850) la sua produzione di riso, frumento e latte crebbe sensibilmente, e quella di mais addirittura risultò triplicata[10].  Ad integrare le innovazioni della produzione agricola, Camillo Benso intraprese anche delle iniziative di carattere industriale con risultati più o meno buoni. Fra le iniziative più importanti, la partecipazione alla costituzione della Società anonima dei molini anglo-americani di Collegno nel 1850, di cui il Conte divenne successivamente il maggiore azionista e che ebbe dopo l'unità d'Italiauna posizione di primo piano nel Paese[11].  Le estese relazioni d'affari a Torino, Chivasso e Genova e soprattutto l'amicizia dei banchieri De La Rüe[N 4], consentirono inoltre a C. di operare in un mercato più ampio rispetto a quello usuale degli agricoltori piemontesi cogliendo importanti opportunità di guadagno. Nell'anno 1847, ad esempio, realizzò introiti assai cospicui approfittando del pessimo raccolto di cereali in tutta Europa che diede luogo ad un aumento della richiesta spingendo i prezzi a livelli inconsueti[12].  Lo sviluppo delle idee politiche  La linea ferroviaria Torino-Genova nel 1854. C. attribuì alle ferrovie un'importanza decisiva nello sviluppo del progresso civile e del movimento nazionale. Oltre ai suoi interventi sulla Gazzetta della Associazione agraria, C. in quegli anni si dedicò alla scrittura di alcuni saggi sui progressi dell'industrializzazione e del libero scambio in Gran Bretagna, e sugli effetti che ne sarebbero derivati sull'economia e sulla società italiana[13].  Principalmente C. esaltava le ferrovie come strumento di progresso civile al quale, piuttosto che alle sommosse, era affidata la causa nazionale. Egli a tale proposito mise in rilievo l'importanza che avrebbero avuto due linee ferroviarie: una Torino-Venezia e una Torino-Ancona[14].  Senza alcun bisogno di una rivoluzione, il progresso della civiltà cristiana e lo sviluppo dei lumisarebbero sfociati, secondo il conte, in una crisi politica che l'Italia era chiamata a sfruttare[15].  Camillo Benso aveva infatti fede nel progresso che era soprattutto intellettuale e morale, poiché risorsa della dignità e della capacità creativa dell'uomo. A tale convinzione si accompagnava l'altra che la libertà economica è causa di interesse generale, destinata a favorire tutte le classi sociali. Sullo sfondo di questi due principi emergeva il valore della nazionalità[16]:  «La storia di tutti i tempi prova che nessun popolo può raggiungere un alto grado di intelligenza e di moralità senza che il sentimento della sua nazionalità sia fortemente sviluppato: in un popolo che non può essere fiero della sua nazionalità il sentimento della dignità personale esisterà solo eccezionalmente in alcuni individui privilegiati. Le classi numerose che occupano le posizioni più umili della sfera sociale hanno bisogno di sentirsi grandi dal punto di vista nazionale per acquistare la coscienza della propria dignità»  (C., Chemins de fer, 1846, da Romeo, pp. 137, 141)  .  A favore dello Statuto e della guerra del 1848  Lo stesso argomento in dettaglio: Statuto albertino e Prima guerra d'indipendenza italiana .  C. a 31 anni, nel 1841.[17]  La battaglia di Pastrengo. Nel 1848 C. sostenne la guerra contro l'Austria come soluzione al pericolo rivoluzionario che minacciava il Piemonte. Nel 1847 C. fece la sua comparsa ufficiale sulla scena politica come fondatore, assieme al cattolico liberale Cesare Balbo, del periodico Il Risorgimento, di cui assunse la direzione. Il giornale, costituitosi grazie ad un ammorbidimento della censura di re Carlo Alberto, si schierò più apertamente di tutti gli altri, nel gennaio del 1848, a favore di una costituzione[18].  La presa di posizione, che era anche di C., si rimarcò con la caduta in Francia (24 febbraio 1848) della cosiddetta Monarchia di luglio, con la quale crollava il riferimento politico del Conte in Europa.  In questa atmosfera, il 4 marzo 1848, Carlo Alberto promulgò lo Statuto albertino. Questa "costituzione breve" deluse gran parte dell'opinione pubblica liberale, ma non C. che annunciò un'importante legge elettorale per la quale era stata nominata una commissione, presieduta da Cesare Balbo, e della quale anche lui faceva parte. Tale legge, poi approvata, con qualche adeguamento rimase in vigore fino alla riforma elettorale del Regno d'Italia del 1882[19].  Con la repubblica in Francia, la rivoluzione a Viennae Berlino, l'insurrezione a Milano e il sollevamento del patriottismo in Piemonte e Liguria, C., temendo che il regime costituzionale potesse diventare vittima dei rivoluzionari se non avesse agito, si pose in testa al movimento interventista incitando il Re ad entrare in guerra contro l'Austria e ricompattare l'opinione pubblica[N 5][20].  Il 23 marzo 1848, Carlo Alberto dichiarò guerra all'Austria. Dopo i successi iniziali, l'andamento del conflitto mutò e la vecchia aristocrazia militare del regno fu esposta a dure critiche. Alle prime sconfitte piemontesi C. chiese che si risalisse ai colpevoli che avevano tradito le prove di valore dei semplici soldati. La deprecata condotta della guerra spinse allora alla convinzione che il Piemonte non sarebbe stato al sicuro fino a quando i poteri dello Stato non fossero stati controllati da uomini di fede liberale[21][N 6].  Deputato al Parlamento Subalpino Il 27 aprile 1848 ci furono le prime elezioni del nuovo regime costituzionale. C., forte della sua attività di giornalista politico, si candidò alla Camera dei deputati e fu eletto nelle elezioni suppletive del 26 giugno. Fece il suo ingresso alla Camera (Palazzo Carignano) prendendo posto nei banchi di destra il 30 giugno 1848[22].  Fedele agli interessi piemontesi, che egli vedeva minacciati dalle forze radicali genovesi e lombarde, C. fu oppositore sia dell'esecutivo di Cesare Balbo, sia di quello successivo del milanese Gabrio Casati. Tuttavia, quando, a seguito della sconfitta di Custoza, il governo Casati chiese i pieni poteri, C. si pronunciò in suo favore. Ciò non evitò però l'abbandono di Milano agli austriaci e l'armistizio Salasco del 9 agosto 1848[23].  Al termine di questa prima fase della guerra, il governo di Cesare di Sostegno e il successivo di Ettore di San Martino imboccarono la strada della diplomazia. Entrambi furono appoggiati da C. che criticò aspramente Gioberti ancora risoluto a combattere l'Austria. Nel suo primo grande discorso parlamentare, Camillo Benso, il 20 ottobre 1848 si pronunciò infatti per il rinvio delle ostilità, confidando nella mediazione diplomatica della Gran Bretagna, gelosa della nascente potenza germanica e quindi favorevole alla causa italiana. Con l'appoggio di C. la linea moderata del governo San Martino passò, anche se il debole esecutivo su un argomento minore rassegnò le dimissioni il 3 dicembre 1848[24].  Nell'impossibilità di formare una diversa compagine ministeriale, re Carlo Alberto diede l'incarico a Gioberti, il cui governo (insediatosi il 15 dicembre 1848) C. considerò di "pura sinistra". A discapito del Conte arrivarono anche le elezioni del 22 gennaio 1849, al cui ballottaggio fu sconfitto da Giovanni Ignazio Pansoya. Lo schieramento politico vincitore era tuttavia troppo eterogeneo per affrontare la difficile situazione del Paese, sospeso ancora fra pace e guerra, e Gioberti dovette dimettersi il 21 febbraio 1849[25].  Cambiando radicalmente politica di fronte alla crisi rivoluzionaria di cui ravvisava ancora il pericolo, C. si pronunciò per una ripresa delle ostilità contro l'Austria. La sconfitta di Novara (23 marzo 1849) dovette precipitarlo nuovamente nello sconforto[26].  Capo della maggioranza parlamentare  Il re di Sardegna Vittorio Emanuele II, di cui C. condivise le prime iniziative politiche.  Massimo d'Azeglio fu presidente del Consiglio del ministro C..[27] La grave sconfitta piemontese portò, il 23 marzo 1849, all'abdicazione di Carlo Alberto a favore del figlio Vittorio Emanuele. Costui, aperto avversario della politica paterna di alleanze con la sinistra, sostituì il governo dei democratici (che chiedevano la guerra a oltranza) con un esecutivo presieduto dal generale Gabriele de Launay. Tale governo, che fu salutato con favore da C. e che riprese il controllo di Genova insorta contro la monarchia, fu sostituito (7 maggio 1849) dal primo governo di Massimo d'Azeglio. Di questo nuovo presidente del Consiglio Il Risorgimento fece sua la visione del Piemonte come roccaforte della libertà italiana[28].  Le elezioni del 15 luglio 1849 portarono, tuttavia, ad una nuova, benché debole, maggioranza dei democratici. C. fu rieletto, ma D'Azeglio convinse Vittorio Emanuele II a sciogliere la Camera dei deputati e il 20 novembre 1849 il Re emanò il proclama di Moncalieri, con cui invitava il suo popolo ad eleggere candidati moderati che non fossero a favore di una nuova guerra. Il 9 dicembre fu rieletta l'assemblea che, finalmente, espresse un voto schiacciante a favore della pace. Fra gli eletti figurava di nuovo C. che, nel collegio di Torino I, ottenne 307 voti contro i 98 dell'avversario[29][30].  In quel periodo Camillo Benso si mise in evidenza anche per le sue doti di abile operatore finanziario. Ebbe infatti una parte di primo piano nella fusione della Banca di Genova e della nascente Banca di Torino, che diede vita alla Banca Nazionale degli Stati Sardi[31].  Dopo il successo elettorale del dicembre 1849 C. divenne una delle figure dominanti dell'ambiente politico piemontese e gli venne riconosciuta la funzione di guida della maggioranza moderata che si era costituita.  Forte di questa posizione sostenne che fosse arrivato il tempo delle riforme, favorite dallo Statuto albertino che aveva creato reali prospettive di progresso. Si sarebbe potuto innanzitutto staccare il Piemonte dal fronte cattolico-reazionario che trionfava nel resto d'Italia[32]. A tale scopo il primo passo fu la promulgazione delle cosiddette leggi Siccardi (9 aprile e 5 giugno 1850) che abolirono vari privilegi del clero nel Regno di Sardegna e con le quali si aprì una fase di scontri con la Santa Sede, con episodi gravi sia da parte di D'Azeglio sia da parte di papa Pio IX. Fra questi ultimi ci fu il rifiuto di impartire l'estrema unzione all'amico di C., Pietro di Santarosa, morto il 5 agosto 1850. A seguito di questo rifiuto C. per reazione ottenne l'espulsione da Torino dell'Ordine dei Servi di Maria, nel quale militava il sacerdote che si era rifiutato di impartire il sacramento, influenzando probabilmente anche la decisione di arresto dell'arcivescovo di Torino Luigi Fransoni[33].  Ministro del Regno di Sardegna (1850-1852)  C. intorno al 1850.  L'Italia al tempo in cui C. ebbe il suo primo incarico governativo, nel 1850. Con la morte dell'amico Santarosa, che ricopriva la carica di ministro dell'Agricoltura e del Commercio, C., forte della parte di primo piano assunta nella battaglia anticlericale e della sua riconosciuta competenza tecnica, fu designato come naturale successore del ministro scomparso.  La decisione di nominare C. ministro dell'Agricoltura e del Commercio fu presa dal presidente del Consiglio D'Azeglio, convinto da alcuni deputati, assieme a Vittorio Emanuele II, che fu incoraggiato in tal senso da Alfonso La Marmora. Il Conte prestò così giuramento l'11 ottobre 1850[34].  Ministro dell'Agricoltura e del commercio Fra i primi incarichi sostenuti da Camillo Benso ci furono una circolare ai sindaci sulla graduale introduzione della libera panificazione [35] e il rinnovo del trattato commerciale con la Francia, improntato all'insegna del libero commercio[N 7][N 8].  L'accordo, che non fu particolarmente vantaggioso per il Piemonte, dovette essere sostenuto da motivazioni politiche per essere approvato, benché C. ribadisse che ogni riduzione doganale fosse di per sé un beneficio[36][N 9].  Affrontata la materia dei trattati di commercio, il Conte diede anche l'avvio ai negoziati con il Belgio e la Gran Bretagna. Con entrambi i Paesi ottenne e concesse estese facilitazioni doganali. I due trattati, conclusi il 24 gennaio e il 27 febbraio 1851rispettivamente, furono il primo atto di vero liberismo commerciale compiuto da C.[37][N 10].  Questi due accordi, per i quali il Conte ottenne un largo successo parlamentare, aprirono la strada ad una riforma generale dei dazi la cui legge fu promulgata il 14 luglio 1851. Intanto nuovi trattati commerciali erano stati firmati, fra marzo e giugno, con la Grecia, le città anseatiche, l'Unione doganale tedesca, la Svizzera e i Paesi Bassi. Con 114 voti favorevoli e 23 contrari, la Camera approvò perfino un trattato analogo con l'Austria, concludendo quella prima fase della politica doganale di C. che realizzava per il Piemonte il passaggio dal protezionismo al libero scambio[38].  Nello stesso periodo a C. fu affidato anche l'incarico di ministro della Marina e, come in situazioni analoghe, egli si distinse per le sue idee innovative entrando in contrasto con gli alti ufficiali di tendenze reazionarie che si opponevano finanche all'introduzione della navigazione a vapore. D'altro canto la truppa era molto indisciplinata e l'intenzione di C. sarebbe stata quella di far diventare la Marina sarda un corpo di professionisti come quella del Regno delle Due Sicilie[39].  Ministro delle Finanze Intanto, già dal 19 aprile 1851, C. aveva sostituito Giovanni Nigra al Ministero delle Finanze, conservando tutti gli altri incarichi. Il Conte, durante la delicata fase del dibattito parlamentare per l'approvazione dei trattati commerciali con Gran Bretagna e Belgio, aveva annunciato di lasciare il governo se non si fosse abbandonata l'abitudine di affidare ad un deputato (in questo caso Nigra) l'incarico delle Finanze. C'erano stati per questo gravi dissensi fra D'Azeglio e C. che, alla fine, aveva ottenuto il ministero[40].  D'altra parte il governo di Torino aveva disperato bisogno di liquidi, principalmente per pagare le indennità imposte dagli austriaci dopo la prima guerra di indipendenza e C., per la sua abilità e i suoi contatti sembrava l'uomo giusto per gestire la delicata situazione. Il Regno di Sardegna era già fortemente indebitato con i Rothschild dalla cui dipendenza il conte voleva sottrarre il Paese e, dopo alcuni tentativi falliti con la Bank of Baring, C. ottenne un importante prestito dalla più piccola Bank of Hambro[41].  Assieme a questo del prestito (3,6 milioni di sterline), Camillo Benso ottenne vari altri risultati. Riuscì a chiarire e sintetizzare la situazione effettiva del bilancio statale che, per quanto precaria, apparve migliore rispetto a quanto si pensasse; fece approvare su tutti gli enti morali laici ed ecclesiasticiun'unica imposta del 4% del reddito annuo; ottenne l'imposta delle successioni; dispose per l'aumento di capitale della Banca Nazionale degli Stati Sardiaumentandone l'obbligo delle anticipazioni allo Stato e avviò la collaborazione tra finanza pubblica e iniziativa privata[42].  A tale riguardo accolse, nell'agosto 1851, le proposte di aziende britanniche per la realizzazione delle linee ferroviarie Torino-Susa e Torino-Novara, i cui progetti divennero legge il 14 giugno e l'11 luglio 1852 rispettivamente. Concesse all'armatore Raffaele Rubattino la linea di navigazione sovvenzionata fra Genova e la Sardegna, e a gruppi genovesi l'esercizio di miniere e saline in Sardegna. Fino a promuovere grandi progetti come l'istituzione a Genova della Compagnia Transatlantica o come la fondazione della società Ansaldo, futura fabbrica di locomotive a vapore[43].  L'alleanza con il Centrosinistra  Lo stesso argomento in dettaglio: Connubio.  Urbano Rattazzi, alleato politico di C. nel cosiddetto “connubio”. Spinto ormai dal desiderio di raggiungere la carica di capo del governo e insofferente per la politica di d'Azeglio di alleanza con la destra clericale, C. all'inizio del 1852 ebbe l'idea di stringere un'intesa, il cosiddetto “connubio”, con il Centrosinistra di Urbano Rattazzi. Costui, con i voti convergenti dei deputati guidati da C. e di quelli del Centrosinistra, ottenne, l'11 maggio 1852, la presidenza della Camera del Parlamento Subalpino.  Il presidente del Consiglio D'Azeglio, contrario come Vittorio Emanuele II alla manovra politica di C., diede le dimissioni, ottenendo puntualmente il reincarico dal re. Il governo che ne scaturì il 21 maggio 1852, assai debole, non comprendeva più C. che D'Azeglio aveva sostituito con Luigi Cibrario.  Il Conte non si scoraggiò e, in preparazione della ripresa della lotta politica, partì per un viaggio in Europa. Al suo ritorno a Torino, appoggiato dagli uomini del "connubio" che rappresentavano ormai il più moderno liberalismo del Piemonte, forte di un ampio consenso, diveniva il 4 novembre 1852 per la prima volta Presidente del Consiglio dei ministri.  In Gran Bretagna e Francia (1852) Prima della sua definitiva affermazione, come abbiamo visto, C. partì da Torino il 26 giugno 1852 per un periodo di esperienze all'estero. L'8 luglio era a Londra, dove si interessò ai più recenti progressi dell'industria prendendo contatti con uomini d'affari, agricoltori e industriali, e visitando impianti e arsenali. Rimase nella capitale britannica fino al 5 agosto[44] e partì poi per un viaggio nel Galles; nell'Inghilterra settentrionale, di cui visitò i distretti manifatturieri, e in Scozia[45]. A Londra e nelle loro residenze di campagna ebbe vari incontri con esponenti politici britannici. Vide il ministro degli Esteri Malmesbury, Palmerston, Clarendon, Disraeli, Cobden, Lansdowne e Gladstone[46].  Colpito dalla grandezza imperiale della Gran Bretagna, C. proseguì il viaggio e passò La Manica alla volta di Parigi, dove giunse il 29 agosto 1852. Nella capitale francese Luigi Napoleone era presidente della Seconda Repubblica, alla quale darà poi fine proclamandosi (2 dicembre 1852) imperatore.  L'attenzione del conte, raggiunto a Parigi dall'alleato Rattazzi, si concentrò sulla nuova classe dirigente francese, con la quale prese contatti. Entrambi si recarono dal nuovo ministro degli Esteri Drouyn de Lhuys e il 5 settembre pranzarono con il principe presidente Luigi Napoleone traendone già buone impressioni e grandi auspici per il futuro dell'Italia[47].  C. ripartì per Torino giungendovi il 16 ottobre 1852, dopo un'assenza di oltre tre mesi.  Il primo governo C. (1852-1855)  Lo stesso argomento in dettaglio: Governo C. I.  C. divenne per la prima volta presidente del Consiglio il 4 novembre 1852.[48]  Il banchiere francese James Mayer de Rothschild con cui C. trattò diverse volte prestiti per il Piemonte. Dopo pochi giorni dal ritorno di C. a Torino, il 22 ottobre 1852, d'Azeglio, a capo di un debole esecutivo che aveva scelto di continuare una politica anticlericale, diede le dimissioni.  Vittorio Emanuele II, su suggerimento di La Marmora, chiese a C. di formare un nuovo governo, a condizione che il Conte negoziasse con lo Stato Pontificio le questioni rimaste aperte, prima fra tutte quella dell'introduzione in Piemonte del matrimonio civile. C. rispose che non avrebbe potuto cedere di fronte al Papa e indicò in Cesare Balbo il successore di D'Azeglio. Balbo non trovò l'accordo con l'esponente di destra Revel e il Re fu costretto a tornare da C.. Costui accettò allora di formare il nuovo governo il 2 novembre 1852, promettendo di far seguire alla legge del matrimonio civile il suo normale percorso parlamentare (senza porre cioè la fiducia)[N 11]  Costituito il suo primo governo due giorni dopo, C. si adoperò con passione a favore del matrimonio civile che però fu respinto al Senatocostringendo il Conte a rinunciarvi.  Intanto il movimento repubblicano che faceva capo a Giuseppe Mazzini non smetteva di preoccupare C.: il 6 febbraio 1853 una sommossa scoppiò contro gli austriaci a Milano e il conte, temendo l'allargarsi del fenomeno al Piemonte, fece arrestare diversi mazziniani (fra cui Francesco Crispi). Tale decisione gli attirò l'ostilità della Sinistra, specie quando gli austriaci lo ringraziarono per gli arresti[49].  Quando però, il 13 febbraio, il governo di Vienna stabilì la confisca delle proprietà dei rifugiati lombardi in Piemonte, C. protestò energicamente, richiamando l'ambasciatore sardo.  Le riforme della finanza e della giustizia Obiettivo principale del primo governo C. fu la restaurazione finanziaria del Paese. Per raggiungere il pareggio il conte prese varie iniziative: innanzi tutto fu costretto a ricorrere ai banchieri Rothschildpoi, richiamandosi al sistema francese, sostituì alla dichiarazione dei redditi l'accertamento giudiziario, fece massicci interventi nel settore delle concessioni demaniali e dei servizi pubblici, e riprese la politica dello sviluppo degli istituti di credito[50].  D'altro canto il governo effettuò grandi investimenti nel settore delle ferrovie, proprio quando, grazie alla riforma doganale, le esportazioni stavano avendo un aumento considerevole. Ci furono tuttavia notevoli resistenze ad introdurre nuove imposte fondiarie e, in generale, nuove tasse che colpissero il ceto di cui era composto il parlamento[51].  C., in effetti, non riuscì mai a realizzare le condizioni politiche che consentissero una base finanziaria adeguata alle sue iniziative[52].  Il 19 dicembre 1853, si parlò di "quasi restaurate finanze", benché la situazione fosse più seria di quanto annunciato, anche per la crisi internazionale che precedette la guerra di Crimea. C. di conseguenza si accordò ancora con i Rothschild per un prestito, ma riuscì anche a collocare presso il pubblico dei risparmiatori, con un netto successo politico e finanziario, una buona parte del debito contratto[53].  A Camillo Benso d'altronde non mancava il consenso politico. Alle elezioni dell'8 dicembre 1853 furono eletti 130 candidati dell'area governativa, 52 della Sinistra e 22 della Destra. Nonostante ciò, per replicare all'elezione di importanti politici avversari[54] il Conte sviluppò un'offensiva politica sull'ordinamento giudiziario che la crisi economica non gli permetteva di concentrare altrove. Fu deciso, anche per recuperare parte della Sinistra, di riprendere la politica anticlericale[55].  A tale riguardo il ministro della Giustizia Urbano Rattazzi, all'apertura della V legislatura presentò una proposta di legge sulla modifica del codice penale. Il nucleo della proposta consisteva in nuove pene previste per i sacerdoti che, abusando del loro ministero, avessero censurato le leggi e le istituzioni dello Stato. La norma fu approvata alla Camera a larga maggioranza (raccogliendo molti voti a Sinistra) e, con maggiore difficoltà, anche al Senato[56].  Furono successivamente adottate modifiche anche al codice di procedura penale e fu ultimato il percorso per l'approvazione del codice di procedura civile[57].  L'intervento nella guerra di Crimea  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra di Crimea.  Con la Battaglia della Cernaia il corpo di spedizione piemontese, voluto da C., si distinse nella guerra di Crimea e consentì di porre la questione italiana a livello europeo. Nel 1853 si sviluppò una crisi europea scaturita da una disputa religiosa fra la Francia e la Russia sul controllo dei luoghi santi nel territorio dell'Impero ottomano. L'atteggiamento russo provocò l'ostilità anche del governo inglese che sospettava che lo Zar volesse conquistare Costantinopoli e interrompere la via terrestre per l'India britannica.  Il 1º novembre 1853 la Russia dichiarò guerra all'Impero ottomano, che aveva accettato la linea francese, aprendo quella che sarà chiamata la guerra di Crimea. Conseguentemente, il 28 marzo 1854 la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Russia. La questione, per le opportunità politiche che potevano presentarsi, cominciò ad interessare C.. Egli infatti, nell'aprile 1854, rispose alle richieste dell'ambasciatore inglese James Hudson affermando che il Regno di Sardegna sarebbe intervenuto nella guerra se anche l'Austria avesse attaccato la Russia, di modo da non esporre il Piemonte all'esercito asburgico[58].  La soddisfazione degli inglesi fu evidente, ma per tutta l'estate del 1854 l'Austria rimase neutrale. Infine, il 29 novembre 1854, il ministro degli Esteri britannico Clarendon scrisse ad Hudson chiedendogli di fare di tutto per assicurarsi un corpo di spedizione piemontese. Un incitamento superfluo, poiché C. era già arrivato alla conclusione che le richieste inglesi e quelle francesi, queste ultime fatte all'inizio della crisi a Vittorio Emanuele II, dovevano essere soddisfatte. Il Conte decise quindi per l'intervento sollevando le perplessità del ministro della Guerra La Marmora e del ministro degli Esteri Giuseppe Dabormida che si dimise[59].  Assumendo anche la carica di ministro degli Esteri, C., il 26 gennaio 1855, firmò l'adesione finale del Regno di Sardegna al trattato anglo-francese. Il Piemonte avrebbe fornito 15.000 uomini e le potenze alleate avrebbero garantito l'integrità del Regno di Sardegna da un eventuale attacco austriaco. Il 4 marzo 1855, C. dichiarò guerra alla Russia[N 12] e il 25 aprile il contingente piemontese salpò da La Spezia per la Crimea dove arrivò ai primi di maggio. Il Piemonte avrebbe raccolto i benefici della spedizione con la seconda guerra di indipendenza, quattro anni dopo.  La legge sui conventi: la Crisi Calabiana  Lo stesso argomento in dettaglio: Crisi Calabiana.  Papa Pio IX scomunicò C. dopo l'approvazione della Legge sui conventi.[60] Con l'intento di avvicinarsi alla Sinistra e ostacolare la Destra conservatrice che andava guadagnando terreno a causa della crisi economica, il governo C. il 28 novembre 1854 presentò alla Camera la legge sui conventi. La norma, nell'ottica del liberalismo anticlericale, prevedeva la soppressione degli ordini religiosi non dediti all'insegnamento o all'assistenza dei malati. Durante il dibattito parlamentare vennero attaccati, anche da C., soprattutto gli ordini mendicanti come nocivi alla moralità del Paese e contrari alla moderna etica del lavoro.  La forte maggioranza alla Camera del Conte dovette affrontare l'opposizione del clero, del Re e soprattutto del Senato che in prima istanza bocciò la legge. C. allora si dimise (27 aprile 1855) aprendo una crisi politica chiamata crisi Calabianadal nome del vescovo di Casale Luigi Nazari di Calabiana, senatore e avversario del progetto di legge.  Il secondo governo C. (1855-1859)  Lo stesso argomento in dettaglio: Governo C. II. La legge sui conventi: l'approvazione  Lo stesso argomento in dettaglio: Crisi Calabiana. Dopo qualche giorno dalle dimissioni, vista l'impossibilità a formare un nuovo esecutivo, il 4 maggio 1855, C. fu reintegrato dal Re nella carica di presidente del Consiglio. Al termine di giorni di discussioni nei quali C. ribadì che «la società attuale ha per base economica il lavoro»[61], la legge fu approvata con un emendamento che lasciava i religiosi nei conventi fino all'estinzione naturale delle loro comunità. A seguito dell'approvazione della legge sui conventi, il 26 luglio 1855 papa Pio IX emanò la scomunica contro coloro che avevano proposto, approvato e ratificato il provvedimento, C. e Vittorio Emanuele II compresi.  Il Congresso di Parigi e la politica estera successiva  Lo stesso argomento in dettaglio: Congresso di Parigi.  Il Congresso di Parigi. Il primo delegato a sinistra è C.. L'ultimo a destra è l'ambasciatore piemontese Villamarina.[62]  L'uniforme che C. indossò al Congresso di Parigi.[N 13] La guerra di Crimea, vittoriosa per gli alleati, ebbe fine nel 1856 con il Congresso di Parigi al quale partecipò anche l'Austria.  C. non ottenne compensi territoriali per la partecipazione al conflitto, ma una seduta fu dedicata espressamente a discutere il problema italiano. In questa occasione, l'8 aprile, il ministro degli Esteri britannico Clarendon attaccò pesantemente la politica illiberale sia dello Stato Pontificio, sia del Regno delle due Sicilie, sollevando le proteste del ministro austriaco Buol.  Ben più moderato, lo stesso giorno, fu il successivo intervento di C., incentrato sulla denuncia della permanenza delle truppe austriache nella Romagna pontificia[63].  Fatto sta che per la prima volta la questione italiana venne considerata a livello europeo come una situazione che richiedeva modifiche a fronte di legittime rimostranze della popolazione.  Fra Gran Bretagna, Francia e Piemonte i rapporti si confermarono ottimi. Tornato a Torino, per l'esito ottenuto a Parigi, C., il 29 aprile 1856, ottenne la più alta onorificenza concessa da Casa Savoia: il collare dell'Annunziata[64]. Quello stesso congresso, tuttavia, avrebbe portato il Conte a prendere importanti decisioni, tali da dover fare una scelta: con la Francia o con la Gran Bretagna.  Si aprì infatti, a seguito delle decisioni di Parigi, la questione dei due Principati danubiani. La Moldaviae la Valacchia secondo Gran Bretagna, Austria e Turchia avrebbero dovuto rimanere divise e sotto il controllo ottomano. Per Francia, Prussia e Russia, invece, si sarebbero dovute unire (nella futura Romania) e costituirsi come Stato indipendente. Quest'ultimo particolare richiamò l'attenzione di C. e il Regno di Sardegna, con l'ambasciatore Villamarina, si schierò per l'unificazione[N 14][65].  La reazione della Gran Bretagna contro la posizione assunta dal Piemonte fu molto aspra. Ma C. aveva già deciso: fra il dinamismo della politica francese e il conservatorismo di quella britannica, il Conte aveva scelto la Francia.  D'altra parte l'Austria andava sempre più isolandosi[65][N 15] e a consolidare il fenomeno contribuì un episodio che il Conte seppe sfruttare. Il 10 febbraio 1857 il governo di Vienna accusò la stampa piemontese di fomentare la rivolta contro l'Austria e il governo C. di correità. Il conte respinse ogni accusa e il 22 marzo Buol richiamò il suo ambasciatore, seguito il giorno dopo da un'analoga misura del Piemonte. Accadde così che l'Austria elevò una questione di stampa a motivo della rottura delle relazioni con il piccolo Regno di Sardegna, esponendosi ai giudizi negativi di tutta la diplomazia europea, compresa quella inglese, mentre in Italia si animavano maggiormente le simpatie per il Piemonte[66].  Il miglioramento dell'economia e il calo dei consensi A partire dal 1855 si registrò un miglioramento delle condizioni economiche del Piemonte, grazie al buon raccolto cerealicolo e alla riduzione del deficit della bilancia commerciale. Incoraggiato da questi risultati, C. rilanciò la politica ferroviaria dando il via, tra l'altro, nel 1857, ai lavori del traforo del Fréjus[67].  Il 16 luglio 1857 venne dichiarata anticipatamente la chiusura della V Legislatura, in una situazione che, nonostante il miglioramento dell'economia, si presentava sfavorevole a C.. Si era diffuso, infatti, un malcontento generato dall'accresciuto carico fiscale, dai sacrifici fatti per la guerra di Crimea e dalla mobilitazione antigovernativa del mondo cattolico. Il risultato fu che alle elezioni del 15 novembre 1857 il centro liberale di C. conquistò 90 seggi (rispetto ai 130 della precedente legislatura), la destra 75 (rispetto ai 22) e la sinistra 21 (rispetto ai 52). Il successo clericale superò le più pessimistiche previsioni di area governativa. C. decise tuttavia di rimanere al suo posto, mentre la stampa liberale si scagliava contro la destra denunciando pressioni improprie del clerosugli elettori. Ci fu per questo una verifica parlamentare e per alcuni seggi assegnati vennero ripetute le elezioni. La tendenza si invertì: il centro liberale passò a 105 seggi e la destra a 60[68].  Lo scossone politico provocò comunque il sacrificio di Rattazzi, in precedenza passato agli Interni. Costui, soprattutto, era inviso alla Francia per non essere riuscito ad arrestare Mazzini giudicato pericoloso per la vita di Napoleone III. Rattazzi il 13 gennaio 1858 si dimise e C. assunse l'interimdell'Interno[69].  I piani contro l'Austria e l'annessione della Lombardia  Lo stesso argomento in dettaglio: Accordi di Plombières, Alleanza sardo-francese, Seconda guerra d'indipendenza italiana e Armistizio di Villafranca.  L'imperatore Napoleone III di Francia e C. provocarono l'Austria riuscendo a far scoppiare la guerra del 1859.[70]  La satira piemontese riconosceva nella Francia un'antagonista del Piemonte nel controllo della penisola. In questa vignetta che si rifà a I promessi sposi Don Abbondio è C., Renzo è il Piemonte, Lucia è l'Italia e Don Rodrigo è Napoleone III.[71] Suscitata l'attenzione sull'Italia con il Congresso di Parigi, per sfruttarla a fini politici si rivelò necessario l'appoggio della Francia di Napoleone III. Costui, conservatore in politica interna, era sostenitore di una politica estera di grandezza.  Dopo una lunga serie di trattative, funestate dall'attentato di Felice Orsini allo stesso imperatore dei francesi, si arrivò, nel luglio 1858, agli accordi segreti di Plombières fra C. e Napoleone III.  Tale intesa verbale prevedeva che, dopo una guerra che si auspicava vittoriosa contro l'Austria, la penisola italiana sarebbe stata divisa in quattro stati principali legati in una confederazione presieduta dal papa: il Regno dell'Alta Italia sotto la guida di Vittorio Emanuele II; il Regno dell'Italia centrale; lo Stato Pontificio limitato a Roma e al territorio circostante; e il Regno delle Due Sicilie. Firenze e Napoli, avvenimenti locali permettendo, sarebbero passate nella sfera d'influenza francese[72].  Gli accordi di Plombières furono ratificati l'anno successivo dall'alleanza sardo-francese, secondo la quale in caso di attacco militare provocato da Vienna, la Francia sarebbe intervenuta in difesa del Regno di Sardegna con il compito di liberare dal dominio austriaco il Lombardo-Veneto e cederlo al Piemonte. In compenso la Francia avrebbe ricevuto i territori di Nizza e della Savoia, quest'ultima origine della dinastia sabauda e, come tale, cara a Vittorio Emanuele II.  Dopo la firma dell'alleanza, C. escogitò una serie di provocazioni militari al confine con l'Austria che, allarmata, gli lanciò un ultimatum chiedendogli di smobilitare l'esercito. Il Conte rifiutò e l'Austria aprì le ostilità contro il Piemonte il 26 aprile 1859, facendo scattare le condizioni dell'alleanza sardo-francese. Era la seconda guerra di indipendenza.  Ma i movimenti minacciosi dell'esercito prussianoconvinsero Napoleone III, quasi con un atto unilaterale, a firmare un armistizio con l'Austria a Villafranca l'11 luglio 1859, poi ratificato dalla Pace di Zurigo, stipulata l'11 novembre. Le clausole del trattato prevedevano che a Vittorio Emanuele II sarebbe andata la sola Lombardia e che per il resto tutto sarebbe tornato come prima.  C., deluso e amareggiato dalle condizioni dell'armistizio, dopo accese discussioni con Napoleone III e Vittorio Emanuele, decise di dare le dimissioni da presidente del Consiglio, provocando la caduta del governo da lui guidato il 12 luglio 1859[73].  Il terzo governo C. (1860-1861)  Lo stesso argomento in dettaglio: Governo C. III. Nizza e Savoia per Modena, Parma, Romagna e Toscana  Alfonso La Marmora non riuscì a risolvere la situazione di stallo internazionale del 1860 e il Re fu costretto a richiamare C.. Già durante la guerra i governi e le forze armate dei piccoli Stati italiani dell'Italia centro-settentrionale e della Romagna pontificia abbandonarono i loro posti e dovunque si installarono autorità provvisorie filo-sabaude. Dopo la Pace di Zurigo, tuttavia, si giunse ad una fase di stallo, poiché i governi provvisori si rifiutavano di restituire il potere ai vecchi regnanti (così come previsto dal trattato di pace) e il governo di La Marmora non aveva il coraggio di proclamare le annessioni dei territori al Regno di Sardegna. Il 22 dicembre 1859 Vittorio Emanuele II si rassegnò, così, a richiamare C. che nel frattempo aveva ispirato la creazione del partito di Unione Liberale.  Il Conte, rientrato alla presidenza del Consiglio dei Ministri il 21 gennaio 1860, si trovò in breve di fronte ad una proposta francese di soluzione della questione dei territori liberati: annessione al Piemonte dei ducati di Parma e Modena, controllo sabaudo della Romagna pontificia, regno separato in Toscana sotto la guida di un esponente di Casa Savoia e cessione di Nizza e Savoia alla Francia. In caso di rifiuto della proposta il Piemonte avrebbe dovuto affrontare da solo la situazione di fronte all'Austria, "a suo rischio e pericolo"[74].  Rispetto agli accordi dell'alleanza sardo-francesequesta proposta di soluzione sostituiva per il Piemonte l'annessione del Veneto che non si era potuto liberare dall'occupazione austriaca. Stabilita, di fatto, l'annessione di Parma, Modena e Romagna, C., forte dell'appoggio della Gran Bretagna, sfidò la Francia sulla Toscana, organizzando delle votazioni locali sull'alternativa fra l'unione al Piemonte e la formazione di un nuovo Stato. Il plebiscito si tenne l'11 e il 12 marzo 1860, con risultati che legittimarono l'annessione della Toscana al Regno di Sardegna[75].  Il governo francese reagì con grande irritazione sollecitando la cessione della Savoia e di Nizza che avvenne con la firma del Trattato di Torino il 24 marzo 1860. In cambio di queste due province il Regno di Sardegna acquisì, oltre alla Lombardia, anche l'attuale Emilia-Romagna e la Toscana trasformandosi in una nazione assai più omogenea.  Di fronte all'Impresa dei Mille  C. diffidò dell'Impresa dei Mille che considerava foriera di rivoluzione e dannosa per i rapporti con la Francia.[76] C. era al corrente che la Sinistra non aveva abbandonato l'idea di una spedizione in Italia meridionale e che Garibaldi, circondato da personaggi repubblicani e rivoluzionari, era in contatto a tale scopo con Vittorio Emanuele II. Il Conte considerava rischiosa l'iniziativa alla quale si sarebbe decisamente opposto, ma il suo prestigio era stato scosso dalla cessione di Nizza e Savoia e non si sentiva abbastanza forte[77].  C. riuscì, comunque, attraverso Giuseppe La Farina a seguire le fasi preparatorie dell'Impresa dei Mille, la cui partenza da Quarto fu meticolosamente sorvegliata dalle autorità piemontesi. Ad alcune voci sulle intenzioni di Garibaldi di sbarcare nello Stato Pontificio, il Conte, preoccupatissimo per la eventuale reazione della Francia, alleata del Papa, dispose il 10 maggio 1860 l'invio di una nave nelle acque della Toscana "per arrestarvi Garibaldi"[78].  Il generale invece puntò a Sud e dopo il suo sbarco a Marsala (11 maggio 1860) C. lo fece raggiungere e controllare (per quanto possibile) da La Farina. In campo internazionale, intanto, alcune potenze straniere, intuendo la complicità di Vittorio Emanuele II nell'impresa, protestarono con il governo di Torino che poté affrontare con una certa tranquillità la situazione data la grave crisi finanziaria dell'Austria, in cui era anche ripresa la rivoluzione ungherese[79].  Napoleone III, d'altra parte, si attivò subito nel ruolo di mediatore e, per la pace fra garibaldini ed esercito napoletano, propose a C. l'autonomia della Sicilia, la promulgazione della costituzione a Napoli e a Palermo e l'alleanza fra Regno di Sardegna e Regno delle due Sicilie. Immediatamente il regime borbonico si adeguò alla proposta francese instaurando un governo liberale e proclamando la costituzione. Tale situazione mise in grave difficoltà C. per il quale l'alleanza era irrealizzabile. Nello stesso tempo non poteva scontentare Francia e Gran Bretagna che premevano almeno per una tregua.  Il governo piemontese decise allora che il Re avrebbe inviato un messaggio a Garibaldi con il quale gli si intimava di non attraversare lo stretto di Messina. Il 22 luglio 1860 Vittorio Emanuele II inviò sì la lettera voluta da C., ma la fece seguire da un messaggio personale nel quale smentiva la lettera ufficiale[80].  Garibaldi a Napoli  L'arrivo di Giuseppe Garibaldi a Napoli (7 settembre 1860). Evento che C. tentò di prevenire organizzando una sommossa filo piemontese che fallì. Il 6 agosto 1860 il conte di C. informò i delegati del Regno delle due Sicilie del rifiuto di Garibaldi di concedere la tregua dichiarando esauriti i mezzi di conciliazione e rinviando ad un futuro incerto i negoziati per l'alleanza.  Negli stessi giorni il Conte, nel timore di far precipitare i rapporti con la Francia, sventò una spedizione militare di Mazzini che dalla Toscana doveva muovere contro lo Stato Pontificio. A seguito di questi avvenimenti, C. si preparò a fare tutti i suoi sforzi per impedire che il movimento per l'unità d'Italia diventasse rivoluzionario. In questa ottica cercò, nonostante il parere sfavorevole del suo ambasciatore a Napoli Villamarina, di prevenire Garibaldi nella capitale borbonica organizzando una spedizione clandestina di armi per una rivolta filopiemontese che non si poté realizzare. Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli il 7 settembre 1860 fugando, per l'amicizia che serbava a Vittorio Emanuele II, i timori di C.[81].  L'invasione piemontese di Marche e Umbria  L'Italia alla morte di C., nel 1861. Fallito il progetto di un successo dei moderati a Napoli, il Conte per ridare a Casa Savoia una parte attiva nel movimento nazionale, decise l'invasione delle Marche e dell'Umbria pontificie. Ciò avrebbe allontanato il pericolo di un'avanzata di Garibaldi su Roma. Bisognava però preparare Napoleone III agli avvenimenti e convincerlo che l'invasione piemontese dello Stato Pontificio sarebbe stato il male minore. Per la delicata missione diplomatica il Conte scelse Farini e Cialdini. L'incontro fra costoro e l'imperatore francese avvenne a Chambéry il 28 agosto 1860, ma su ciò che in quel colloquio si disse resta molta incertezza e sul consenso francese, riportato dalla tesi italiana, è possibile che si sia determinato un equivoco. In buona sostanza Napoleone III tollerò l'invasione piemontese delle Marche e dell'Umbria cercando di rovesciare sul governo di Torino l'impopolarità di un'azione controrivoluzionaria. E appunto questo era ciò che C. voleva evitare. Le truppe piemontesi non si dovevano scontrare con Garibaldi in marcia su Roma, ma prevenirlo e fermarlo con un intervento giustificabile in nome della causa nazionale italiana. Anche il timore di un attacco austriaco al Piemonte, tuttavia, fece precipitare gli eventi e C. intimò allo Stato pontificio di licenziare i militari stranieri con un ultimatum a cui seguì l'11 settembre, prima ancora che giungesse la risposta negativa del cardinale Antonelli, la violazione dei confini dello Stato della Chiesa. La Francia ufficialmente reagì in difesa del Papa, e anche lo zar Alessandro II ritirò il suo rappresentante a Torino, ma non ci furono effetti pratici[82].  Intanto la crisi con Garibaldi si era improvvisamente aggravata, poiché quest'ultimo aveva proclamato il 10 che avrebbe consegnato al Re i territori da lui conquistati solo dopo aver occupato Roma. L'annuncio aveva anche ottenuto il plauso di Mazzini. Ma il successo piemontese nella battaglia di Castelfidardo contro i pontifici del 18 e il conferimento al governo di un prestito di 150 milioni per le spese militari, ridiedero forza e fiducia a C., mentre Garibaldi, pur vittorioso nella battaglia del Volturno, esauriva la sua spinta verso Roma[83].  L'annessione del Sud, delle Marche e dell'Umbria A questo punto, il "prodittatore" Giorgio Pallavicino Trivulzio, venendo incontro ai desideri del Conte, indisse a Napoli il plebiscito per l'annessione immediata al Regno sabaudo, seguito da una stessa iniziativa del suo omologo Antonio Mordini a Palermo. Le votazioni si tennero il 21 ottobre 1860, sancendo l'unione del Regno delle due Sicilie a quello di Sardegna.  All'inizio dello stesso mese di ottobre C. si era così espresso:   «Non sarà l'ultimo titolo di gloria per l'Italia d'aver saputo costituirsi a nazione senza sacrificare la libertà all'indipendenza, senza passare per le mani dittatoriali d'un Cromwell, ma svincolandosi dall'assolutismo monarchico senza cadere nel dispotismo rivoluzionario […]. Ritornare […] alle dittature rivoluzionarie d'uno o più, sarebbe uccidere sul nascere la libertà legale che vogliamo inseparabile dalla indipendenza della nazione»  (C., 2 ottobre 1860.Romeo, p. 489)  Il 4 e il 5 novembre 1860 anche in Umbria e nelle Marche si votava e si decideva per l'unione allo Stato sabaudo.  I rapporti fra Stato e Chiesa Fermati i disegni di Garibaldi su Roma, a C. restava ora il problema di decidere su cosa fare di ciò che rimaneva dello Stato Pontificio (approssimativamente il Lazio attuale), tenendo conto che un attacco a Roma sarebbe stato fatale per le relazioni con la Francia.  Il progetto del Conte, avviato dal novembre 1860 e perseguito fino alla sua morte, fu quello di proporre al Papa la rinuncia al potere temporale in cambio della rinuncia da parte dello Stato al corrispettivo, ovvero il giurisdizionalismo. Si sarebbe perciò adottato il principio di "Libera Chiesa in libero Stato"[84][85], celebre motto pronunciato nel discorso del 27 marzo 1861 sebbene già coniato in precedenza da Charles de Montalembert[86], ma le trattative naufragarono sulla fondamentale intransigenza di Pio IX.  Il governo C. del Regno d'Italia (1861)  Lo stesso argomento in dettaglio: Governo C. IV.  C. nel 1861  Giuseppe Garibaldi ebbe uno scontro nel 1861 con C. per la decisione di quest'ultimo di sciogliere l'Esercito meridionale Dal 27 gennaio al 3 febbraio 1861 si tennero le elezioni per il primo Parlamento italiano unitario. Oltre 300 dei 443 seggi della nuova Camera andarono alla maggioranza governativa. L'opposizione ne conquistò un centinaio, ma fra loro non comparivano rappresentanti della Destra, poiché i clericali avevano aderito all'invito di non eleggere e di non farsi eleggere in un Parlamento che aveva leso i diritti del pontefice.  Il 18 febbraio venne inaugurata la nuova sessione, nella quale sedettero per la prima volta rappresentanti piemontesi, lombardi, siciliani, toscani, emiliani, romagnoli e napoletani insieme. Il 17 marzo il Parlamento proclamò il Regno d'Italia e Vittorio Emanuele II suo re.  Il 22 marzo C. veniva confermato alla guida del governo, dopo che il Re aveva dovuto rinunciare a Ricasoli. Il Conte, che tenne per sé anche gli Esteri e la Marina, il 25 affermò in parlamento che Roma sarebbe dovuta diventare capitale d'Italia.  Lo scontro con Garibaldi L'episodio più tumultuoso della vita politica di C., se si esclude l'incidente con Vittorio Emanuele II dopo l'armistizio di Villafranca, fu il suo scontro con Garibaldi dell'aprile 1861.  Oggetto del contendere: l'esercito di volontari garibaldini del Sud, del quale C. volle evitare il trasferimento al nord nel timore che venisse influenzato dai radicali. Il 16 gennaio 1861 fu quindi decretato lo scioglimento dell'Esercito meridionale. Su questa decisione, che provocò le vibrate proteste del comandante del Corpo Giuseppe Sirtori, C. fu irremovibile[88].  In difesa del suo esercito, il 18 aprile 1861 Garibaldi pronunciò un memorabile discorso alla Camera, accusando «la fredda e nemica mano di questo Ministero [C.]» di aver voluto provocare una «guerra fratricida». Il Conte reagì con violenza, chiedendo, invano, al presidente della Camera Rattazzi di richiamare all'ordine il generale. La seduta fu sospesa e Nino Bixio tentò nei giorni successivi una riconciliazione, che non si compì mai del tutto[88].  Gli ultimi giorni  I funerali di C. a Torino  Santena: tomba del conte di C. Il 29 maggio 1861 C. ebbe un malore, attribuito dal suo medico curante a una delle crisi malariche che lo colpivano periodicamente da quando - in gioventù - aveva contratto la malaria nelle risaie di famiglia del vercellese. In questa occasione tutte le cure praticate non ebbero effetto, tanto che il 5 giugno venne fatto chiamare un sacerdote francescano suo amico, padre Giacomo da Poirino[89], al secolo Luigi Marocco (1808-1885)[90], parroco di Santa Maria degli Angeli, chiesa nella quale si sarebbero poi svolte le esequie[91][92]. Costui, come gli aveva promesso già da cinque anni, lo confessò e gli somministrò l'estrema unzione, ignorando sia la scomunica, che il conte aveva subito nel 1855, sia il fatto che C. non aveva ritrattato le sue scelte anticlericali[89]. Per questo motivo padre Giacomo, dopo aver riferito i fatti alle autorità religiose, fu richiamato a Roma, gli fu tolta la parrocchia e gli fu interdetto l'esercizio del ministero della confessione, al quale venne però riammesso nel 1881 da papa Leone XIII[93]. La nipote Giuseppina Alfieri di Sostegno ha tramandato che, sul letto di morte, alla vista del confessore, C. abbia pronunciato le parole: «Frate, frate, libera chiesa in libero Stato!»[94][95]  Subito dopo il colloquio con padre Giacomo, C. chiese di parlare con Luigi Carlo Farini, al quale, come rivela la nipote Giuseppina, confidò a futura memoria: «Mi ha confessato ed ho ricevuto l'assoluzione, più tardi mi comunicherò. Voglio che si sappia; voglio che il buon popolo di Torino sappia che io muoio da buon cristiano. Sono tranquillo e non ho mai fatto male a nessuno»[96].  Nel 2011 è stata ritrovata una missiva di padre Giacomo a Pio IX, nella quale il frate racconta che C. aveva dichiarato che «intendeva di morire da vero e sincero cattolico». Per cui il confessore, «incalzato dalla gravità del male che a gran passi il portava a morte», la mattina del 5 giugno concesse il sacramento. Scrisse anche che «nel corso della sua gravissima malattia», C. «era ad intervalli soggetto ad alienazione di mente». Il frate chiude quindi la lettera di scuse ribadendo di «aver fatto, quanto era in sé, il suo officio»[97].  Verso le nove giunse al suo capezzale il Re. Nonostante la febbre, il Conte riconobbe Vittorio Emanuele, ma tuttavia non riuscì ad articolare un discorso molto coerente: «Oh sire! Io ho molte cose da comunicare a Vostra Maestà, molte carte da mostrarle: ma son troppo ammalato; mi sarà impossibile di recarmi a visitare la Vostra Maestà; ma io le manderò Farini domani, che le parlerà di tutto in particolare. Vostra Maestà ha ella ricevuta da Parigi la lettera che aspettava? L'Imperatore è molto buono per noi ora, sì, molto buono. E i nostri poveri Napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli. Sire, sì, sì, si lavi, si lavi! Niente stato d'assedio, nessun mezzo di governo assoluto. Tutti sono buoni a governare con lo stato d'assedio [...] Garibaldi è un galantuomo, io non gli voglio alcun male. Egli vuole andare a Roma e a Venezia, e anch'io: nessuno ne ha più fretta di noi. Quanto all'Istria e al Tirolo è un'altra cosa. Sarà il lavoro di un'altra generazione. Noi abbiamo fatto abbastanza noialtri: abbiamo fatto l'Italia, sì l'Italia, e la cosa va...»[98][99]  Secondo l'amico Michelangelo Castelli, le ultime parole del Conte furono: «L'Italia è fatta - tutto è salvo», così come le intese al capezzale Luigi Carlo Farini. Il 6 giugno 1861, a meno di tre mesi dalla proclamazione del Regno d'Italia, C. moriva così a Torino nel palazzo di famiglia. La sua fine suscitò immenso cordoglio, anche perché del tutto inattesa, e ai funerali vi fu straordinaria partecipazione[100].  A C. succedette come presidente del Consiglio Bettino Ricasoli.  In memoria di C.  La moneta da 2 euro commemorativa emessa in occasione del 200º anniversario della nascita  Banconota uruguayana del 1887 raffigurante C. e Garibaldi C. nell'agiografia postunitaria dall'anno della sua morte fu ritenuto il "Padre della Patria" da un illustre personaggio come Giuseppe Verdi, che lo definì "il vero padre della patria"[101] e dal politico liberale, senatore del Regno, Nicomede Bianchi, che lo definì "il buono e generoso padre della patria nascente"[102].  Il Conte è stato ricordato in vari modi. Due città italiane hanno aggiunto il suo nome a quello originario: Grinzane C., di cui Camillo Benso fu sindaco, e Sogliano C. per celebrare l'unità nazionale. Gli sono state dedicate innumerevoli vie e piazze e numerose statue.  Diverse le targhe ricordo, anche al di fuori dei confini italiani, come ad esempio quella posta a San Bernardino (frazione di Mesocco, nel Cantone dei Grigioni), che ricorda il passaggio dello statista il 27 luglio 1858, dopo gli accordi di Plombières con Napoleone III.  Nel 2010, in occasione del 200º anniversario della sua nascita, è stata coniata dalla zecca italiana una moneta da 2 euro commemorativa che lo raffigura.  La tomba di C. si trova a Santena e consiste in un semplice loculo posto nella cripta sotto la cappella di famiglia nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo; l'accesso avviene tuttavia dall'esterno della chiesa (piazza Visconti Venosta, su cui si affaccia anche la facciata secondaria della Villa C.). Lo statista è sepolto per sua espressa volontà accanto all'amato nipote Augusto Benso di C., figlio di suo fratello Gustavo e morto a 20 anni nella battaglia di Goito. La cripta è stata dichiarata monumento nazionale nel 1911.  La nave da battaglia Conte di C. e la portaerei C. (C 550) sono state così chiamate in suo onore.  A C. furono dedicate delle caramelle di liquirizia aromatizzate alla violetta: le cosiddette sénateurs.  Lo storico Caffè Confetteria Al Bicerin dal 1763ricorda C. come suo cliente fidato (uno dei tavolini al suo interno viene segnalato come abituale del conte).  Ancona Ancona Firenze Firenze Livorno Livorno Milano Milano Novara Novara Roma Roma Torino Torino Vercelli Vercelli Verona Verona Padova Padova Controversie Il conflitto con Mazzini  Giuseppe Mazzini, di cui C. combatteva le idee repubblicane. Giuseppe Mazzini, che dopo la sua attività cospirativa degli anni 1827-1830 fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati. Egli rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto:  «Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, "deportati".»  (Giuseppe Mazzini[103])  Quando nel 1858, Napoleone III scampò all'attentato teso da Felice Orsini e Giovanni Andrea Pieri, il governo di Torino incolpò Mazzini (C. lo avrebbe definito «il capo di un'orda di fanatici assassini»[104] oltreché «un nemico pericoloso quanto l'Austria»[105]), poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione.  Secondo Denis Mack Smith, C. aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della loro rottura con Mazzini e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione[106]. C. al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e condannare la stampa radicale[107].  Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati[108]. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con C. divenne, secondo il saggista Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna[109].  Mazzini, intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale L'Italia del Popolo:  «Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento territoriale»  (Giuseppe Mazzini[110])  Risorgimento Il ruolo di C. durante il Risorgimento ha suscitato varie dispute. Sebbene sia considerato uno dei padri della patria assieme a Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Mazzini, il Conte inizialmente non riteneva fosse possibile unire tutta l'Italia soprattutto per l'ostacolo rappresentato dallo Stato Pontificio e dunque puntava solamente ad allargare i confini del regno dei Savoia nel nord Italia (lo stesso Mazzini lo accusava di non promuovere una politica chiaramente volta all'unificazione di tutta la penisola)[110].  Nella cultura di massa Nelo Risi, Patria mia. Camillo Benso di C., Rai, 1961, documentario (successivamente trasmesso da Rai Storia il 10 agosto 2010). Piero Schivazappa, Vita di C., sceneggiato su sceneggiatura di Giorgio Prosperi (1967). Maricla Boggio, C., l'amore e l'Opera Incompiuta, (2011, testo teatrale). Onorificenze Camillo Benso di C.  Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di C., di Cellarengo e di Isolabella Conte di Cellarengo e di Isolabella Conte dei marchesi di C. Stemma Nome completo Camillo Paolo Filippo Giulio Nascita Torino, 10 agosto 1810 Morte Torino, 6 giugno 1861 Luogo di sepoltura Castello C. di Santena Dinastia Benso Padre Michele Benso di C. Madre Adele di Sellon d'Allaman Religione Cattolicesimo C. ottenne numerose onorificenze, anche straniere. Si riportano quelle di cui si è a conoscenza da fonti attendibili[111]:  Cavaliere dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata — 29 aprile 1856 Cavaliere di gran croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro — 26 marzo 1853 Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine civile di Savoia Cavaliere dell'Ordine imperiale di Sant'Alessandr Nevskij (Russia) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine imperiale di Sant'Alessandr Nevskij (Russia) Cavaliere di gran croce dell'Ordine della Legion d'onore (Francia) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine della Legion d'onore (Francia) Cavaliere dell'Ordine di Carlo III (Spagna) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine di Carlo III (Spagna) Cavaliere di gran croce dell'Ordine di Leopoldo (Belgio) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine di Leopoldo (Belgio) Cavaliere di gran croce dell'Ordine del Salvatore (Grecia) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine del Salvatore (Grecia) Cavaliere di I classe dell'Ordine di Medjidié (Impero Ottomano) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di I classe dell'Ordine di Medjidié (Impero Ottomano) Cavaliere di gran croce dell'Ordine Reale Guelfo (Gran Bretagna e Hannover) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine Reale Guelfo (Gran Bretagna e Hannover) Cavaliere di grande stella dell'Ordine del leone e del sole (Persia) - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di grande stella dell'Ordine del leone e del sole (Persia) Tavola genealogica di sintesi  Lo stesso argomento in dettaglio: Benso_(famiglia) § Armoriale.  Bernardino *? †?  Pompilio[112] *? †1624 Silvio *? †1624 Michelantonio *1600 †1655 Bernardino *? †? Zenobia *? †?  Maurizio Pompilio Conte di Cellarengo e Isolabella 1635 †? Paolo Giacinto Signore di C. *1637†1712 Ludovico Percivalle *1647 †1685          Giuseppe Filippo Signore di C. *1648 †1719 Carlo Ottavio *? †1724 Michele Antonio III Marchese di C. *1707 †1774 Giuseppe Filippo IV Marchese di C. *1741 †1807 Michele V Marchese di C. *1781 †1850 Gustavo VI Marchese di C. *1806 †1864 Camillo Paolo Conte di C. *1810†1861 Augusto *1828 †1848 Giuseppina *1831 †1888 Carlo Alfieri di Sostegno *1827 †1897 Ainardo VII Marchese di C. *1833†1875 Maria Luisa *1852 †1920 Emilio Visconti Venosta *1829 †1914 Adele *1857 †1937 Paola *1877†1886 Carlo *1879†1942 Francesco *1880 †1898 Enrico *1883 †1945 Giovanni *1887†1947 Note Esplicative ^ Il titolo di conte attribuito al C. era un titolo di cortesia, all'uso francese. Questo sistema concedeva al primogenito il titolo immediatamente inferiore a quello del titolare capofamiglia, al secondogenito quello ancora inferiore e così via a scalare. In questo caso, quando morì il padre di Camillo (il marchese Michele) al suo primo figlio (Gustavo) andò il titolo di marchese e al suo secondogenito (Camillo) quello di conte. Alla morte del fratello Gustavo, Camillo avrebbe ereditato il titolo di marchese. Morì invece prima di Gustavo. Forum "I Nostri Avi", su iagiforum.info. URL consultato il 28 maggio 2013. ^ Al termine del suo tirocinio militare presentò una memoria dal titolo Esposizione compita dell'origine, teoria, pratica, ed effetti del tiro di rimbalzo tanto su terra che sull'acqua. Cfr. Dalle Regie scuole teoriche e pratiche di Artiglieria e Fortificazione alla Scola d'applicazione di Artiglieria e Genio, Scuola di applicazione delle armi di Artiglieria e Genio, Torino, 1939. ^ "Dal momento in cui mi trovai in condizione di poter leggere da me stesso i libri di Rousseau, ho sentito per lui la più viva ammirazione. È a mio giudizio l'uomo che più ha cercato di rialzare la dignità umana, spesso avvilita nella società dei secoli trascorsi. La sua voce eloquente ha più di ogni altra contribuito a fissarmi nel partito del progresso e della emancipazione sociale. L'Emilesoprattutto mi è sempre piaciuto per la giustezza delle idee e la forza della logica. (Citato in Italo de Feo, C.: l'uomo e l'opera, A. Mondadori, 1969, pp. 49-50) ^ I De La Rüe erano originari di Lessines ma appartenevano ad un'antica famiglia nobile di Ginevra dove occupavano una posizione eminente nell'aristocrazia locale già nel XVI e XVII secolo. Fra il XVIII e il XIX secolo due membri della famiglia, Antoine e Jean, si trasferirono a Genova. Ad essi si deve la fondazione della banca De La Rüe frères. C., arrivato a Genova nel 1830, strinse amicizia con i figli di Jean: David-Julien, Hippolyte ed Émile. Quest'ultimo dopo il 1850 fu l'unico a dirigere la banca (divenuta la De La Rüe C.) e fu il riferimento dell'imprenditore C.. Cfr. Romeo, p. 26. ^ C. in un articolo scrisse: «L'ora suprema per la monarchia sarda è suonata, l'ora delle forti deliberazioni, l'ora dalla quale dipendono i fati degli imperii, le sorti dei popoli» ^ La guerra colpì C. anche personalmente, poiché nella Battaglia di Goito il figlio del fratello Gustavo, il marchese Augusto di C., rimase ucciso a soli 21 anni. Il colpo fu molto duro per il Conte, che per il nipote nutriva un affetto paterno. Prova ne fu che conservò la sua divisa insanguinata per tutta la vita. Cfr. Hearder, C., Bari, 2000, pag. 67. ^ Furono accordati a Parigi riduzioni sui dazi per l'importazione in Piemonte di vini e articoli di moda; ottenendo in cambio il mantenimento dei vantaggi per l'esportazione in Francia del bestiame sardo, del riso e della frutta fresca. ^ Le trattative, iniziate già prima dell’avvento di C. al governo, furono difficili per i negoziatori piemontesi. Posti nell’alternativa tra l’accettazione di un trattato per vari rispetti poco favorevole e il ritorno al regime precedente a quello convenuto nel 1843, essi ammisero restrizioni alla reciprocità nei diritti di navigazione allora stabilita (e che ora veniva limitata alla navigazione diretta tra i porti dei due Stati), a Parigi accordarono riduzioni sui dazi che colpivano l’importazione francese di vini e acquaviti, porcellane e articoli di moda ottenendo in cambio il mantenimento del regime di favore per l’ingresso nel territorio francese del bestiame sardo (a eccezione della frontiera savoiarda, donde si temeva l’afflusso in Francia di bestiame svizzero), e riduzioni sul riso e la frutta fresca. Non riuscirono però a strappare alcuna concessione sull’olio d'oliva, di grande importanza soprattutto per le regioni produttrici ed esportatrici della Riviera di Ponente; e dovettero in pari tempo accettare una convenzione sulla proprietà letteraria che era nettamente favorevole a un paese esportatore di idee e di libri come la Francia. Rosario Romeo, C. e il suo tempo 1842-1854, p. 206-207. ^ Le industrie esportatrici come la seta non ponevano alcun problema di protezione, mentre quelle della lana, della canapa e del lino sembravano abbastanza sviluppate da resistere anche con una protezione considerevolmente ridotta. Invece, si prevedevano reclami contro le riduzioni daziarie da parte della industria del cotone, la meno naturale di tutte in quanto dipendente tutta da materie prime provenienti dall'estero e si escludeva ogni competitività per la siderurgia, possibile in Piemonte solo con una protezione elevatissima. Per le lavorazioni meccaniche si prevedeva un dazio medio del 25%, giudicando inesistete qualunque settore non riuscisse a sopravvivere alla concorrenza con una tale protezione. Eliminati presso che interamente i dazi alla esportazione – anche in casi come quello degli stracci che l’industria della carta, sviluppata specialmente in Liguria, utilizzava come materia prima – il governo assunse un atteggiamento nettamente contrario alla protezione anche in fatto di industria zuccheriera, rifiutando di cedere alle insistenti richieste degli interessati per una riduzione ulteriore del dazio sugli zuccheri non raffinati, in vista di uno sviluppo della industria nazionale della raffinazione, che neppure il regime eccezionale di favore stabilito dopo il 1830 era riuscito ad attivare. In agricoltura ci si orientò verso il mantenimento della moderata protezione esistente sui cereali, godendo già di un vantaggio da valutarsi a non meno del 10% sovra le spese di trasporto, anticipazioni di fondi ecc. in confronto alle importazioni dall’estero. Rosario Romeo, C. e il suo tempo 1842-1854, p. 207. ^ In cambio di estese facilitazioni a vantaggio dei prodotti agricoli, dei sali e dei marmi piemontesi, si concessero al Belgio importanti agevolazioni (parallelamente concesse all’Inghilterra) per le sue manifatture, esplicitamente rinunciando alla protezione degli zuccherifici e della siderurgia (soprattutto ligure, che per C. non aveva avvenire), e manifestando invece la fiducia che le industrie tessili, compresa quella del cotone, ricavassero nuovi impulsi al loro sviluppo e ammodernamento dalla più attiva concorrenza belga. Rosario Romeo, C. e il suo tempo 1842-1854, p. 208. Il conte aveva previsto che, dopo i trattati con il Belgio e con l’Inghilterra, la Francia avrebbe chiesto il trattamento della nazione più favorita e per correndo il rischio di nuove concessioni senza corrispettivo alla potente vicina doveva valere il carattere oneroso, sia pure apparente, ch’egli aveva voluto dare alle concessioni fatte alla Gran Bretagna. Ma nei nuovi negoziati, richiesti da parte francese, la Sardegna riuscì solo a ottenere qualche concessione sulle esportazioni di bestiame minuto e di frutta e dovette anche concedere nuove agevolazioni sulle sete e sui libri. Rosario Romeo, C. e il suo tempo 1842-1854, p. 209. ^ Secondo Chiala, quando La Marmora propose a Vittorio Emanuele la nomina di C. a Presidente del Consiglio, il Re avrebbe risposto in piemontese: «Ca guarda, General, che côl lì a j butarà tutii con't le congie a'nt l'aria» ("Guardi Generale, che quello lì butterà tutti con le gambe all'aria"). Secondo Ferdinando Martini, che lo seppe da Minghetti, la risposta del Sovrano sarebbe stata ancora più colorita: «E va bin, coma ch'aa veulo lor. Ma ch'aa stago sicur che col lì an poch temp an lo fica an't el prònio a tuti!» ("E va bene, come vogliono loro. Ma stiamo sicuri che quello lì in poco tempo lo mette nel culo a tutti!") cfr. Indro Montanelli, L'Italia unita, Bur, 26 November 2015, ISBN 9788858682722. ^ C. per l'apertura delle ostilità colse il pretesto che la Russia durante la prima guerra di indipendenza aveva rotto le relazioni con il Regno di Sardegna (al tempo la Russia intratteneva rapporti migliori con l'Austria) e che lo Zar Nicola I aveva rifiutato, nel 1849, di riconoscere l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II. Cfr. Hearder, C., Bari, 2000, pag. 102. ^ L'uniforme è esposta nel Museo del Risorgimento di Torino. Con spadino, feluca, placca e fascia da Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, cotone, velluto, acciaio, madreperla, ottone, cuoio, piume di struzzo, argento, argento dorato, smalto e gros di seta. ^ Il Piemonte, assieme alla Francia, chiese anche l'annullamento delle elezioni tenutesi in Moldavia nel luglio 1857 che, con risultati definiti inattendibili, avevano avuto un esito sfavorevole all'unione dei due principati. ^ L'Austria con la guerra di Crimea aveva perso l'amicizia della Russia e vedeva allontanarsi la Prussia che era alla ricerca di maggiore autonomia, mentre la tiepida amicizia della Gran Bretagna non poteva bilanciare la situazione. Bibliografiche ^ Disegno dell'inglese William Brockedon. ^ Romeo, pp. 3-4. ^ Romeo, p. 32. ^ Romeo, pp. 25-26. ^ Hearder, C., Bari, 2000, pag. 26. ^ Giuseppe Talamo, La formazione di C.: la rivoluzione di luglio e i primi anni Trenta, in Nuova antologia, APR - GIU, 2010 p=45. ^ AA. 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Santena. URL consultato il 28 giugno 2021. «Fa specie pensarlo, ma nelle vene di Camillo C., propugnatore della laicità dello Stato, scorreva lo stesso sangue di un campione della Controriforma cattolica!» ^ Camillo Benso, Discorso del 27 Marzo 1861 - Camillo Benso di C., su camilloC..com, 27 marzo 1861. URL consultato il 28 giugno 2021. «noi siamo pronti a proclamare nell'Italia questo gran principio: Libera Chiesa in libero Stato. I vostri amici di buona fede riconoscono come noi l'evidenza, riconoscono cioè che il potere temporale quale è non può esistere.» ^ Libera Chiesa in libero Stato nell'Enciclopedia Treccani, su treccani.it. URL consultato il 28 giugno 2021. ^ Romeo, p. 508.  Romeo, p. 518.  Romeo, p. 524. ^ Marziano Bernardi, op. cit., p. 122 ^ Roberto Dinucci, Guida di Torino, Edizioni D'Aponte, p. 127 ^ Marziano Bernardi, Torino – Storia e arte, Torino, Editori Fratelli Pozzo, 1975, p. 122. ^ In Dizionario Biografico Treccani ^ Rino Fisichella, La confessione di uno scomunicato, in: L'Osservatore Romano, 6 novembre 2009 ^ Indro Montanelli, L'Italia dei notabili, Milano, Rizzoli, 1973, p. 15 ^ In In Gianni Gennari, Avvenire, 11 giugno 2015 ^ "C. ultimo atto l'inferno può attendere", La Stampa, 20 aprile 2011, su www3.lastampa.it. URL consultato il 5 giugno 2013 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2011). ^ Indro Montanelli, L'Italia dei Notabili (1861-1900), Milano, Rizzoli, 1973. ^ La morte di C., su win.storiain.net. 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(a cura della Commissione Nazionale per la pubblicazione dei carteggi del Conte di C.), Epistolario, 18 volumi, Olschki, Firenze, 1970-2008 (varie edizioni di alcuni volumi). Camillo Benso di C., Autoritratto. Lettere, diari, scritti e discorsi, a cura di Adriano Viarengo, prefazione di Giuseppe Galasso, Classici moderni Mondadori, Milano, 2010, ISBN 978-88-17-04260-4. Camillo C., Scritti di economia, Testi e documenti di storia moderna e contemporanea 5, Milano, Feltrinelli, 1962. URL consultato il 30 giugno 2015. Biografie di riferimento reperibili Luciano Cafagna C., Il Mulino, Bologna, 1999. Ristampa 2010. ISBN 978-88-15-14637-3. Giorgio Dell'Arti. C.. L'uomo che fece l'Italia. 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Rosario Romeo, C. e il suo tempo (3 voll. in 4 tomi: C. e il suo tempo 1810-1842, ISBN 978-88-420-9876-8; C. e il suo tempo 1842-1854, ISBN 978-88-420-9877-5; C. e il suo tempo 1842-1861, ISBN 978-88-420-9878-2) Laterza, Bari, 1969-1984. Ristampa 2012. Rosario Romeo, Vita di C., Roma-Bari, Laterza, 1998, ISBN 88-420-7491-8. Riassunto del precedente. Ristampa 2004. Giuseppe Talamo C., La Navicella, Roma, 1992. Ristampa presso Gangemi, Roma, 2010, ISBN 978-88-492-1997-5. Adriano Viarengo, C., Salerno editrice, Roma, 2010. ISBN 978-88-8402-682-8. Altri testi Marziano Bernardi, Torino – Storia e arte, Torino, Editori Fratelli Pozzo, 1975 Annabella Cabiati, C.. Fece l'Italia, visse con ragione, amò con passione, Edizioni Anordest, Treviso, 2010 ISBN 978-88-96742-03-7. Rinaldo Caddeo, Camillo di C.. In: Epistolario di Carlo Cattaneo. Gaspero Barbèra Editore, Firenze 1949, pp. 220, 354, 483. Lorenzo Del Boca, Indietro Savoia! Storia controcorrente del Risorgimento, Piemme, Milano, 2003 ISBN 88-384-7040-5. Gigi Di Fiore, Controstoria dell'Unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Rizzoli, Milano, 2007 ISBN 88-17-01846-5. Camilla Salvago Raggi, Donna di passione. Un amore giovanile di C., Viennepierre, Milano, 2007. Aldo Servidio, L'imbroglio nazionale: unità e unificazione dell'Italia (1860-2000), Guida, Napoli, 2000 ISBN 88-7188-489-2. Giovanni Maria Staffieri, Il conte di C. nel Ticino e un discorso mai pronunciato, in Il Cantonetto, Anno LVII-LVIII, N2-3-4, Lugano, agosto 2011, Fontana Edizioni SA, Pregassona 2011, pp. 75–82. Voci correlate Presidenti del Consiglio dei ministri del Regno di Sardegna Risorgimento Unità d'Italia Famiglia Benso Tavola genealogica di sintesi della famiglia Benso Canale C. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Camillo Benso, conte di C. Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Camillo Benso, conte di C. Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Camillo Benso, conte di C. Collegamenti esterni C., Camillo Benso conte di, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Francesco Lemmi, C., Camillo Benso, conte di, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata C., Camillo Benso conte di, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata C., Camillo Benso conte di, in L'Unificazione, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2011. Modifica su Wikidata (IT, DE, FR) Camillo Benso, conte di C., su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Modifica su Wikidata (EN) Umberto Marcelli, Camillo Benso, count di C., su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Ettore Passerin d'Entrèves, C., Camillo Benso conte di, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 23, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1979. Modifica su Wikidata Camillo Benso, conte di C., su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata Opere di Camillo Benso, conte di C. / Camillo Benso, conte di C. (altra versione) / Camillo Benso, conte di C. (altra versione), su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Camillo Benso, conte di C., su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere riguardanti Camillo Benso, conte di C., su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Camillo Benso, conte di C., su Goodreads. Camillo C. (Benso Di), su storia.camera.it, Camera dei deputati. Modifica su Wikidata Camillo Benso, conte di C., in Archivio storico Ricordi, Ricordi et C.. Modifica su Wikidata Riccardo Faucci, C., Camillo Benso conte di, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2012. Fondazione C. di Santena, su fondazioneC..it. Associazione degli amici della Fondazione C., su camilloC..com. Portale Biografie  Portale Politica  Portale Risorgimento Ultima modifica 2 mesi fa di Xerse PAGINE CORRELATE Guerre d'indipendenza italiane insieme di tre conflitti tra il 1849 e il 1866 Alleanza sardo-francese alleanza tra Regno di Sardegna e Secondo Impero francese Benso (famiglia) famiglia nobiliare italiana Wikipedia Grice e Cavour. Cavour

 

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