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Wednesday, January 15, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z V VO

 

Luigi Speranza -- Grice e Volpe: la ragione conversazionale e la logica come scienza storica – la scuola d’Imola – la scuola di Bologna – filosofia bologense – filosofia romagnuola – filosofia emiliana -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Imola). Filosofo bolognese. Filosofo romagnuolo. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Imola, Bologna, Emilia-Romagna. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Studia a Bologna laureandosi in filosofia sotto Mondolfo. Insegna al Galvani di Bologna, l’Alighieri di Ravenna, e a Messina.  Legato alla tradizione di GENTILE (si veda), si dedica a questioni strettamente teoretiche e storico-filosofiche, attestandosi infine su posizioni fortemente anti-idealistiche. Approda così attraverso la ri-valutazione dell’ESPERIENZA dell’empirismo e dell’UMANO dell’umanesimo, mantenendo un'impostazione fondamentalmente dialettico-materialistica in costante confronto critico e polemico soprattutto con la dialettica hegeliana e l'idealismo post-hegeliano, ma anche con le correnti positivistiche semiotica, e con l'esistenzialismo. Questa svolta, testimoniata dal Discorso sull'ineguaglianza, conduce a V.  a un sempre maggiore interesse per i problemi della filosofia politica e dell'etica, considerati comunque in stretto rapporto con le questioni semiotiche. Non abbandona comunque i propri interessi storico-filosofici. Tra i saggi quello che, oltre ad aver avuto più ampia diffusione, rappresenta il più perspicuo esempio della sua capacità di di muoversi con piena consapevolezza critica tra i piani teoretico, storico e politico, è senz'altro il saggio “Rousseau e Marx.” sul concetto di libertà (cf. Grice, “Freedom”) è perfettamente integrabile con la dottrina di Rousseau, il quale quindi non sarebbe da considerarsi né tra i teorici della rivoluzione borghese né tra i nostalgici di una società parcellizzata in piccolissime unità cittadine, ma tra i più attuali preconizzatori di una società egualitaria. Un altro dei punti nodali della sua filosofia è il tentativo di elaborare una teoria estetica rigorosamente materialista. Sottolinea il ruolo delle caratteristiche strutturali e del processo sociale di produzione dell’espressione nella formazione del giudizio estetico, in forte polemica con la dottrina dell'intuizione di CROCE -- da lui considerata in continuità con la tradizione romantica e misticheggiante, elabora il concetto di gusto come principale fonte del giudizio estetico. Presenta nella filosofia una posizione contro-corrente. Altri saggi: L'idealismo dell'atto e il problema delle categorie, Bologna, Zanichelli, Le origini e la formazione della dialettica hegeliana; Hegel, romantico e mistico, Firenze, Monnier; Il misticismo speculativo di Eckhart, Bologna, Cappelli, La filosofia dell'ESPERIENZA, Firenze, Sansoni, Espressione, Bologna, Meridiani, Il principio di contraddizione e la sostanza prima nel Lizio: contributo a una critica dei pensieri logici” Bologna, Azzoguidi; Crisi dell'estetica romantica, Messina, Anna; Critica dei principi logici, Messina, D'Anna; Discorso sull'ineguaglianza, con due saggi sull'etica dell'esistenzialismo, Roma, Ciuni; Emancipazione e tras-mutazione dei valori, Messina, Ferrara; Libertà: saggio di una critica della ragion pura pratica, Messina, Ferrara; Studi sulla dialettica mistificata; “Lo STATO RAPPRESENTATIVO, Bologna, UPEB; Umanesimo; Studi e documenti sulla dialettica materialistica, Bologna, Zuffi; Logica come scienza positiva, Messina, D'Anna; Eckhart o della filosofia mistica, Roma, Storia e letteratura; La poetica del Lizio nei commenti essenziali degl’umanisti, Bari, Laterza; Il verosimile filmico e altri scritti di estetica, Roma, Film; La nuova sinistra, Rousseau e Marx e altri saggi di critica materialistica, Roma, Riuniti; Critica del gusto, Milano, Feltrinelli; Chiave della dialettica storica, Roma, Samonà; Umanesimo ed emancipazione, Milano, Sugar; Critica dell'ideologia: saggi di teoria dialettica, Roma, Riuniti; Schizzo di una storia del gusto, Roma, Riuniti; Opere; Ambrogio, Roma, Riuniti; Violi, La Libra, Messina; Dizionario biografico degl’italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 6,P Svill, PP° dell ° he g elis "'° SUl !° He sei, dopo aver affermato che il gran mento dello H. sta nella scoperta della dialettica come relazione sintesi di opposti e aver soggiunto che oltre la sintesi degli opposti c è la sintesi dei distinti, conclude che il torto dello H è di aver confuso quella dialettica con questa. Oltre gli opposti, essere e nulla, spiiito e natura, vero e falso, ecc., i quali non sono reali che nella sintesi di cui costituiscono i momenti astratti ; ci sono, dunque, pel Croce, i distinti: bello, vero, utile, buono, i quali non si trovano fra loro nella stessa relazione degli opposti, reali solo nella sintesi- ma sono, invece, egualmente, tutti reali e concreti, così da poter sussistere I nno accanto all’altro. Posto ciò, il rapporto fra i gradi orme dello spinto è, pel C., questo: esso procede per diadi (invece che per triadi), nelle quali il primo termine sussiste da sè cornar 0 ’ PU k aV, end ° anch ’ esso una sua sussistenza concreta come tale, assorbe .1 primo: così, l’arte, si è visto, è alogica, ma filosofia, sintesi di intuizione e concetto, è anche arte, cioè ha etica^ ° rC espress . lv ° : la volizione economica è amorale, ma quella senni n* V, ’T economica > la volizione morale essendo anche sempre utile Lo spinto, poi, è di natura circolare, e però passa da un grado all altro: passa dal grado intuitivo al logico, all’econo¬ mico, all etico, e dall’ultimo trapassa ancora al primo, all’intuitivo ornendo .1 contenuto pratico alla nuova intuizione, e così in eterno’ nfa°tfi ni a gra t ÌmP ' ÌCÌta resistenza di tu, “ i quattro gradii nfatti, appunto perchè nel grado intuitivo, ad es., è già implicito 11 ’° glC0 Sl P uò P assa re dall’uno all’altro. E il passaggio consiste¬ rebbe, infine, nel divenire esplicito ciò che era Lplidtò IL NEO HEGELISMO ITALIANO Ili Ora è necessario osservare subito, che in questa teoria del Croce vengono così in contatto due dialettiche contrarie: quella degli opposti e quella dei distinti. Sono, dunque, due differenti specie di rapporti che concorrono al ritmo dialettico, crociano, dei gradi: il mutuo rapporto dei gradi in quanto tali, cioè distinti, concreti, e quello degli stessi in quanto astratti momenti di ognuno dei gradi concreti. Il grado intuitivo, ad es., ha due significati ben diversi, quello di momento della sintesi a priori logica (sintesi, si è visto, d’intuizione e concetto), e quello di sintesi a priori estetica, grado concreto e indipendente, come tale, dal grado logico, che, a sua volta, come tale, è in egual relazione verso di quello. Ove è palese, che, nel primo caso su accennato, si ha una relazione di opposti, e nel secondo una relazione di distinti. È in questo punto dell’incontro delle due dialettiche, che si sono soffermati più a lungo i critici del Croce. È stato osservato, ad esempio, che le due dialettiche si annullano l’un l’altra (1); che il concetto dell’implicito-esplicito, che deve spiegare il passaggio da un distinto all’altro, è un semplice mito, non differente, essen¬ zialmente, da quello del passaggio dall’inconscio al conscio (2); che il concetto stesso di circolo è mitologico, e così via. Il carattere espositivo di questo scritto c’impedisce di entrare nella questione: si è ricordato ciò per informazione del lettore. Fin’ora si è discorso dell’estetica, della logica, della filosofia della pratica: veniamo ora alla Teoria della storiografìa (1917) che conclude il sistema della filosofia dello spirito quasi con una brusca correzione. In quest’ultima opera il C. vuole integrare la sua unificazione precedente della filo¬ sofia e della storia nel giudizio percettivo, col concetto della con¬ temporaneità della storia. La storia, antichissima o recente che sia, è storia contemporanea, cioè sempre relativa al soggetto presente, che col pensarla la suscita, la fa; badando però a intendere questa presenza come assoluta e ideale, tale, cioè, che condizioni essa e superi l’empirico presente e passato del tempo. Ma intesa così la storia, come procedente dall’universalità del soggetto, come attualità piena dello spirito, essa appaga allora l’esi¬ genza filosofica di possedere la realtà nella sua pienezza e totalità, e la filosofia come Logica, come un distinto momento dello spirito, viene sminuita di valore. In relazione, infatti, al nuovo concetto di storia, la filosofia, nel senso più adeguato e profondo, viene ad (1) G. De Ruggiero, La Filosofia Contemporanea,  N. Spirito, Il nuovo idealismo italiano. V. essere il momento trascendentale della conoscenza storica, alla quale appresta le categorie necessarie a pensare la totalità del reale. « La filosofia non può essere altro che il momento metodologico della storiografia, dilucidazione delle categorie costitutive dei giudizi storici...». Dilucidazione che «si muove nelle distinzioni dell’Este¬ tica e della Logica, dell’Economica e dell’Etica; e tutte le congiunge nella filosofia dello spirito ». Il pensiero del C. conclude, dunque, ad una sopravvalutazione della storia, o filosofia in largo senso, di fronte alla logica, o filo¬ sofia stricto sensu: conclude, infine, parrebbe a due concetti di filo¬ sofia: la logica, o filosofia stretta, che come tale resta al di qua dell 'atto storiografico, o filosofico in senso profondo. Ecco quel ch’è sfato chiamato, anche recentemente, l’umanismo del Croce. Umanismo, si è detto, perchè tutta la storia della storio¬ grafia assume il valore di una storia della filosofia incentrata nel concetto dell’uomo, del mondo ch’è il suo mondo (Vico), e dei suoi bisogni spirituali (1). È stato ancora osservato, che quel ch’è la funzione della filosofia rispetto al problema della scienza nei filosofi del neo-criticismo positivista, si ritrova nel Croce, come coscienza critica immanente all’atto storiografico, di cui essa è il momento puramente trascendentale. IL La formazione mentale di G. Gentile ha origini diverse da quella crociana. A Bertrando Spaventa, e, attraverso questi, a Hegel, Fichte, Kant, Cartesio, e ai nostri Gioberti, Vico e Bruno, si riallaccia, fin dagli inizi, la meditazione del fondatore dell’idealismo dell’atto. È, poi, partendo in particolare dallo Hegel, con la riforma ch’ei propone, indipendentemente dal Croce, e sulle orme dello Spaventa, della dialettica hegeliana, che il pensiero del G. dà i primi frutti originali. Lo Spaventa, studiando le tre prime categorie della Logica hegeliana, essere, non-essere, divenire, aveva osservato, sorpassando i precedenti interpreti (Trendelenburg, Vera etc.), che questa posizione imbrogliata dell’essere e del non-essere (lo stesso e non-lo stesso) è la viva espressione della natura del pensare. Se si toglie di mezzo il pensare non se ne capisce niente». E Gentile, negli studi intitolati, appunto, La Riforma della dialettica hegeliana, affermò, che « Se l’essere non è più un’idea in sè, ma una cateti) Carlini. IL NEO HEGELISMO ITALIANO] goria, e categoria è atto mentale, come può realizzarsi l’atto della mente altrimenti che come unità di essere e non-essere, cioè divenire? L’atto si fa, fit, diviene. È in quanto diviene... Quando è semplicemente, non è». E potè concludere, altrove. L’essere che Hegel dovrebbe mostrare identico al non-essere nel divenire che solo è reale, non è l’essere che egli definisce come l’assoluto indeterminato (l’assoluto indeterminato non può essere che l’assoluto indeterminato I); ma l’essere del pensiero che definisce, e, in generale, pensa: ed è, come vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo (perchè, se fosse, il pensiero non sarebbe quello che è, ossia un atto), e perciò ponendosi, divenendo». In conclusione, l’essere, il non-essere, il divenire, non sono più, pel G., posizioni logiche, obbiettive del reale, com’erano per ('Hegel, ma momenti della coscienza in atto, del pensiero pensante, in cui il divenire, come sintesi degli altri due termini, esprime nient’altro che il processo del sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti, rigidi, in cui l’analisi lo rompe: e cosi, com’è stato già osservato, tutta la sovrastruttura della logica hegeliana crolla. Crolla, perchè vien mostrato che la deduzione hegeliana delle categorie, che voleva essere sistematica, contro quella empirica di Kant, e conciliare la molteplicità con l’assoluta unità, non riesce a questa conciliazione, perchè anche in essa vi si analizzano concetti invece di realizzarli nella loro unità vivente: è dialettica di pensieri pensati usando la terminologia gentiliana; e cioè non-dialettica, perchè il pensato, come tale, non si svolge, non si dialettizza. Manca, insomma, l’unità, la vita: anche Hegel si smarrisce, a un tratto, dietro ipostasi, immobili e ferme: platonismo, in fondo. L’unità, dice il G., non può esser data che dal pensiero in atto, dall’atto in atto. La vera Idea è atto, l’unica categoria è Yatto spirituale ; onde «tutti gli atti del pensiero, quando non si considerino come meri fatti, quando non si guardino dall’esterno, sono un atto solo. E però per il nuovo idealismo le categorie sono infinite di numero, in quanto categorie del pensare che si guarda come pensato (la storia); e sono una sola infinita categoria, in quanto categoria del pensare nella sua attualità». Ma allora la deduzione hegeliana si risolve proprio, anch’essa, in fondo, in una deduzione empi¬ rica (anche Hegel ha, come Kant, numerato le categorie!); e la sua non può essere la deduzione delle categorie, ma un caso fra infiniti casi possibili di deduzione, o meglio un frammento o un moti ) Cfr. De Ruoqiero]V. mento della eterna deduzione, in cui consiste la storia non pure del pensiero, come s’intende comunemente, ma del mondo. Non pure del pensiero, ma del mondo, perchè l’atto, a cui si riduce l’Idea pel ò., è  occorre dirlo? actus purus, nel senso più moderno e integrale, come atto che è tutta forma perchè è tutta materia, generata dalla forma: forma formante, davvero: è quel processo autocreatore del puro pensiero ch’è l’Autocoscienza nella sua concreta individualità: onde l 'io empirico e particolare non è che l’attuarsi dell’Io puro, trascendentale. La stessa istanza critica che la Riforma compie in rapporto alla Logica hegeliana, l’Introduzione del Sommario di Pedagogia la compie — come è stato acutamente osservato in rapporto alla fenomenologia. Come il pensiero puro non ha bisogno di percorrere i gradi categorici dell’essere, del conosciuto, secondo gli schemi della logica formale, per giungere alla piena coscienza di sè, perchè si pone a priori come pensiero consapevole e attuale; cosi non ha nemmeno bisogno di passare per i gradi psicologici della conoscenza, la sensazione, la percezione, la rappresenta¬ zione, etc., perchè non può mutuare da altri che da sè, non soltanto la sua forma, ma anche il suo contenuto. La dottrina psicologica tradizionale che concepisce il processo psichico effettuantesi per gradi monadisticamente distinti, è possibile soltanto per una con¬ cezione analitica dello spirito; onde questo può essere di volta in volta, sensazione, percezione, concetto etc., solo in quanto venga consi¬ derato, naturalisticamente, come un aggregato di momenti giustapposti, gli uni fuori degli altri. Ma se si concepisce io spirito come vivente unità originaria, come pensiero pensante, pensare e non pensato, ogni molteplicità scompare e tutti i gradi psichici si risol¬ vono n eli’unico atto dello spirito. Nella sensazione è già lo spirito nella sua intierezza, e la sensazione è perciò necessariamente anche percezione, giudizio, concetto, conoscenza, volontà, come tutti questi gradi non sono che sensazione: quel sensus sui ch’è, infatti, lo spirito. Tuttavia non si creda che manchi nel O. il concetto di un processo fenomenologico: c’è anzi, e originale: ed è una fenomenologia che, identificatasi con la logica, non è altro che la stessa storia dello spirito. Le distinzioni risorgono, dunque, nel processo spirituale, ma non più come gradi tipici, giustapposti, ma come distinzioni concrete, storiche, vieppiù ricche col progredire del processo. Cioè, ogni De Ruooiero. Ibid . IL NEO-HEGELISMO ITALIANO atto dello spirito non è che la coscienza più profonda di un atto anteriore, che è il contenuto del primo, il quale naturai mente è la forma di quello. « La sensazione-contenuto è dentro la sensazione- forma, risolta e assorbita nell’attualità di questa ». Ogni atto di coscienza può dirsi percezione rispetto a una sensazione precedente, la quale, in quanto atto spirituale, fu anch’essa percezione. Cosicché si passa da percezione a percezione, o, è Io stesso, da sensazione a sensazione. E in sostanza la sensazione è una sola: l’atto spirituale nel suo interno mediarsi, e che, mediandosi m eterno, si svolge attraverso infiniti momenti, infinite sensazioni. Venendo alla dottrina propriamente pedagogica del Sommano, ne accenneremo il concetto fondamentale: che educatore e educando sono due momenti di un’unica realtà, l’Universale, io Spirito, onde hanno in esso la loro profonda unità: scompare così ogni hiatus fra l’uno e l’altro; e il processo educativo non è che processo di reciproca autoeducazione: ognuno vede nell’altro sè stesso, lo Spi¬ rito, e attraverso l’altro forma un migliore, un più alto sè stesso. Processo di universalizzazione, dunque, processo eminentemen e etico. 11 miracolo dell'educazione è spiegato; e la prassi educativa ha nel concetto d e\\’autoeducazione il suo miglior lume, la guida più certa. È stato riconosciuto che nella storia della pedagogia 1 Sommario segna una tappa ideale confrontabile solo con YEmilio. Questo realismo spiritualistico del Sommario venne assumendo - è stato osservato - negli scritti successivi, L'esperienza pura e la realtà storica, e Teoria generale dello spinto come atto puro un carattere più univeversale in quanto dal problema del a formazione dell’uomo si passò a quello di dimostrare in esso la radice di tutti gli altri problemi concernenti la realta e le sue ca¬ tegorie. Il principio dell’idea come atto acquistò sempre piu carat¬ tere metafisico. Già nel primo dei due scritti suaccennati 1 atto viene concepito come pura esperienza che lo spirito fa di sè, eliminando in tal modo qualunque presupposto dello spirito, sia oggettivo che soggettivo, e generando da sè ogni realtà: tutta l’esperienza nelle sue infinite concrete distinzioni è posta dall’atto e. nell’atto in un'esperienza storica, non nei senso della storia presupposta all atto e quindi empiricamente concepita, ma della storia che si attua quale vita eterna dello spirito. Nell’atto veniva così risolta l’antitesi di a priori ( 1 ) Carlini.V. e di a posteriori, e si concludeva a un formalismo assoluto, o, che è lo stesso, a un empirismo assoluto (1). Ma questo esplicito significato metafisico appare in tutto il suo sviluppo nella Teoria, uno dei capolavori del G. Qui, attraverso i problemi della storia della filosofia, attraverso soprattutto il pro¬ blema kantiano e hegeliano, è dimostrato dal G. come lo spirito generi da sè stesso la natura: il mondo del molteplice e crei nella sua dialettica unificatrice — moltiplicatrice  spazio e tempo. Lo spirito viene concepito come conceptussui, concetto che pone sè stesso, autoctisi. Ma questo porsi è, naturalmente, non immediato, ma me¬ diato. Lo spirito si pone attraverso la natura, l’oggetto; il soggetto si pone mediandosi come oggetto. Quell’unità ch’è lo spirito si pone, perciò, come molteplicità, attraverso la molteplicità, appunto perchè non è unità immediata, statica, ma mediata in sè stessa, dialettica, unità, insomma, dinamica e concreta, vivente. In altri termini, lo spirito si afferma negando, non si svolge se non negando perennemente il suo opposto, la natura, che è per ciò suo essenziale momento dialettico, e però spirito anch’essa, e non un’entità a sè, concepibile come astratta dallo spirito. La natura, insomma, come non-essere di quell’essere ch’è lo spirito: e cosi l’errore, il male, il dolore sono egualmente il non-essere di quel¬ l’essere; eterno momento del processo della verità, del bene, della vita. Certo, se la verità, il bene, si concepiscono immutabili, ab aeterno, l’errore, il male sono inconcepibili. Ma se la verità e il bene, come pensa il Gentile, sono divenire, atto, essi devono pe¬ rennemente superare sè stessi, ritrovando in sè l’errore, il male da superare. E però, errore e verità, male e bene non sono realtà di¬ stinte, indipendenti, ma i momenti di una sintesi, che è « errore nella verità, come suo contenuto che si risolve nella forma», è «male onde il bene si nutre, nel suo assoluto formalismo». Finiremo con un cenno, purtroppo frettoloso e assai inadeguato, dell ultima grande opera del G., forse il suo maggior capolavoro, certo, a tutt oggi, il suo testamento filosofico, per la compiutezza della sistemazione: il Sistema di logica come teoria del conoscere. Uno dei concetti fondamentali della speculazione gentiliana, na¬ turalmente implicito nei precedenti, è quello dell’identità della filo¬ sofia con la sua storia: infatti se la filosofia è concepita come pro¬ cesso di autocoscienza, essa è storia, storia eterna in tempo; e però Carlini. ogni sistema coincide col corso storico del pensiero, in quanto esso riassume e potenzia in sè, giustificandoli, i sistemi precedenti, che non sono che momenti idealmente anteriori di que\Yunico processo di pensiero autocosciente, ch’è  eminenter  la filosofia. Orbene, il sistema di logica attinge certo la sua capitale impor¬ tanza, nell’assieme dell’opera del G., da questo: che esso vuol essere ed è l’ultima riprova concreta, effettuale del suaccennato prin¬ cipio dell’identità di filosofia e storia della filosofia. Esso ci mostra, di fatti, come il sistema gentiliano, la nuova logica del pensiero pensante, si costituisca a patto di ricapitolare in sè, di conservare e giustificare, inverandola, l’antica logica ari¬ stotelica, la logica del pensiero pensato. Infatti, la dialettica aristo- teiico-scolastica vien mostrata come grado necessario alla dialettica del concreto, in quanto essa, dandoci la legge del pensiero pensato (A — A) ci spiega il momento dell 'oggettività del pensiero a sè stesso, oggettività necessaria, se ricordiamolo il puro pensiero dev’essere concepito non come immediata soggettività, ma come soggettività-oggettività, soggetto-oggetto, mediazione, dialetticità. Occorre osservare, che qui il logo della logica del pensato, dell’astratto, cioè A = A, viene negato al tempo stesso che conservato, perchè non è più considerato a sè, da un punto di vista astratto, ma è considerato dal punto di vista concreto, cioè in funzione del logo della logica concreta, cioè del pensiero pensante, A = non A? Conservare ch’è negare; inverare, come è, difatti, di quel divenire ch’è lo spirito, la filosofia. E però è giusto -riconoscere, ancora, che in tal modo « tutto il processo storico del concetto di logica si risolve, identificandovisi, nel nuovo concetto dialettico: quello del Gentile; e che, ripetiamolo, la verità del principio del circolo di filosofia e storia della filosofia, è dimostrata dal sistema stesso del G.; che, mentre convalida quel principio, ne è, a sua volta, — si noti — convalidato, fondato positivamente: storicamente. Croce e Gentile hanno suscitato, da anni, un gran movi¬ mento di idee, e di discepoli, attorno a sè: il primo soprattutto nell’ampio campo della cultura letteraria e storica in genere: il se¬ condo nel campo della filosofia teoretica e della storia della filosofia. Nominare discepoli del Croce non è cosa facile, perchè, facenti) Spirito. V. dosi sentire il suo influsso nel largo campo della cultura storico- letteraria, tutti, in quest’ultimo ventennio, sono stati e sono ancora, in certo senso, crociani: in ispecie i critici di letteratura e arte e gli storici sono permeati di pensiero crociano, anche se lo negano- Soprattutto, il concetto crociano dell’arte è, si può dire, entrato a far parte del patrimonio di idee necessario a chi voglia pensare e vivere in armonia col progresso effettivo del pensiero della storia. Dei critici letterari, che hanno subito, consapevolmente o no, l’influsso dell’estetica crociana, ricordiamo qui Borgese, che, per quanto staccatosi in seguito dal Croce, serba traccie di pensiero crociano nelle pagine migliori; Cecchi; Gargiulo, autore d’un Annunzio; Russo, autore d’on Di Giacomo e di un Verga; e infine Momigliano (Studi Manzoniani, Goldoni, Verga). Nella critica delle arti figurative ci piace notare Venturi; nella critica musicale Torrefranca e Bastianeili. Piò facile è far qualche nome di discepoli del Gentile, essendo più tecnico, e quindi più ristretto, il campo su cui si è irradiato il pen¬ siero gentiliano: filosofia teoretica e storia del pensiero speculativo, come si è detto. Ricorderemo, anzitutto, due pensatori, Carlini e Saitta, che si posson dire i rappresentanti di due interpretazioni e svolgimenti opposti del pensiero del Maestro: la dottrina di destra — come è stato detto (I) - del Carlini, in cui si tenta di svolgere entro l’ambito de\V attualismo alcune esigenze empiristiche come quella della pluralità dei soggetti e quella di un mondo soggettivo, morale, distinto dal mondo oggettivo, della percezione, della conoscenza: si veda La vita dello Spirito; e la dottrina di sinistra del Saitta, che tende a un’ulteriore, più profonda iden¬ tificazione di io empirico e Io trascendentale: si legga Lo spirito come eticità. Carlini, professore nella R. Univ. di Pisa, proviene dalla filosofia crociana. Egli tende a elaborare il lato spiritualistico piuttosto che quello logico-dialettico della filosofia gentiliana. L’at¬ tualismo del maestro ubbidisce, a suo avviso, a due motivi diversi: l’uno costituisce l'originalità propria della filosofia gentiliana, ed è il motivo psicologico e lo sforzo di risolvere la dialettica nel ritmo stesso della vita interiore, onde l’autocoscienza e la personalità coin¬ cidono nel processo autocreatore dello spirito; l’altro è un ritorno al problema hegeliano-spaventiano della dialettica come logica melati) Cfr. Spirito. IL HEGELISMO ITALIANO 119 fisica, onde l’atto, più che spiegare se stesso si assume il compito di spiegare il mondo della natura e dello spirito. L’attualismo diventa cosi, dice il C., un puntualismo, in cui tutte le distinzioni di problemi spirituali si neutralizzano in un concetto generico dell’attività del pensare. Egli tenta, perciò, di ripigliare la prima posizione e di svolgere il concetto del ritmo interno all’atto come il problema fon¬ damentale dell’attualismo. L’atto realizza se stesso come quello. « Io penso» ch’è unità in una dualità di vita e di pensiero, di personalità morale e di riflessione filosofica su essa. La distinzione posta in seno all’atto gli permette di riguardare questo come condizione trascendentale di una dualità tra il mondo dell’esperienza sensibile o mondo del conoscere, e quello dell’azione ch’è propriamente il mondo storico-morale. Nello stesso tempo, l’atto, non coincidendo più dentro sè con se stesso, fa appello a un punto di vista trascen¬ dente, in cui quel dissidio venga pacificato, e pone così il proble¬ ma fondamentale della vita religiosa. Il Carlini e il Saitta sono anche storici, in ispecie il secondo: al Carlini si deve un’ampia monografia sul Locke, al Saitta mono¬ grafie sul Gioberti, sul Ficino e vari saggi. Alla destra appartengono ancora il Ferretti e il Codignola, pedagogisti; alla sinistra Guido De Ruggiero, autore di un saggio sulla Filosofia contemporanea e di una Storia della Filosofia, opere di carattere critico, prevalente¬ mente. La posizione mentale del de Ruggiero, di fronte aH’idealismo del Croce e del Gentile, può essere caratterizzata da una più viva preoc¬ cupazione dell’importanza speculativa dei problemi sulla scienza della natura. Il D. R. fin dal 1913 in una monografia dal titolo : La scienza come esperienza assoluta ripudiava nettamente le dottrine prammatistiche della scienza accolta nel sistema crociano e poneva il problema dell’unità della scienza della natura e della filosofia, ab¬ bozzando una teoria del positivismo assoluto, in cui le scienze, guardate nella loro intima genesi spirituale, piuttosto che nell’astratta oggettivazione naturalistica, erano reintegrate nella vita speculativa dello spirito. E più recentemente in un saggio sui Problemi della scienza e della umanità ha ulteriormente sviluppato questo punto di vista, mostrando la necessità che le due correnti dell’idealismo moderno, quello storicista che fa capo al Vico e allo Hegel e quella scientifica, che fa capo alla Critica della ragion pura di Kant, a torto dis¬ sociate dall’idealismo contemporaneo, vengano ricomposte in una unità articolata e sintetica, per cui, pur riconoscendo il carattere storico della vita spirituale, questa storia non s’isterilisca in un mero umanesimo, ma includa in sè l’opera delle scienze naturali, e V. attraverso di esso, il mondo stesso della natura nella sua pienezza. Ampia attività storica hanno esercitato altri due pensatori più ligi alle dottrine del Maestro: Vito Fazio-Allmayer, con saggi.su Ga¬ lileo e sulla Teoria della libertà in Hegel-, e Adolfo Omodeo autore di una Storia delle origini cristiane in più volumi. È da ricordarsi ancora Antonio Anzilotti, autore di un Gioberti, studiato nella sua filosofia e prassi politica e Cecilia Dentice D’Accadia, che ha dedicato specialmente la sua attività allo studio del problema re¬ ligioso in Schleiermacher e Kant. In pedagogia, Giuseppe Lombardo- Radice, autore di una Teoria e storia dell'educazione e di molti saggi pedagogici, è il maggiore interprete e prosecutore della pedagogia idealistica del Maestro, nella teoria e nella pratica. Galvano Della Volpe. POSTILLA BIBLIOGRAFICA SUL CROCE E IL GENTILE. Delle seguenti opere si cita solo l’ultima ediz. Benedetto Croce (n. a Pescasseroli, prov. di Aquila): Estetica come, scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e Storia 5» ediz. Bari, Laterza; Logica come scienza del concetto puro. 4‘ ediz. Bari, Laterza, 1920; Filosofia della pratica. Economica ed etica. Bari, Laterza; Teoria e storia della storiografia. Bari, Laterza; Problemi di Estetica e contributi alla storia dell’Estetica italiana. Bari; La Filosofia di VICO (si veda); Bari; Saggio sullo Hegel, Bari; Saggi di estetica. Bari. Gentile (n. Castelvetrano, prov. di Trapani): La riforma della dialettica hegeliana. Messina, Principato; 1 problemi della scolastica e il pensiero italiano, Bari, Laterza; Sommario di Pedagogia come scienza filosofica. Bari; Teoria generale dello Spirito come atto puro. 3* ed. Bari, id. 1920; Sistema di logica come teoria del conoscere. 2» ed. Bari, id. 1921-23; Discorsi di religione. Firenze, Vallecchi; BRUNO (si veda) e il pensiero del Rinascimento. Firenze; La Riforma dell’educazione. Bari, Laterza, 1920; Frammenti di estetica e letteratura. Lanciano, Carabba, 1921. Volpe. Keywords: critica del gusto per l’antico, il gusto per gl’antichi degl’antichi, chiave della dialettica storica, la logica come storia, espressione. Refs.:  H. P. Grice, The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Volpe: l’espressione” – The Swimming-Pool Library, Liguria. Volpe.

 

Luigi Speranza – Grice  e Volpi: la ragione conversazionale dell’essere univoco – la scuola di Vicenza – filosofia vicentina – filosofia veneta -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Vicenza). Filosofo vicentino. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Vicenza, Veneto. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. “Wild clarity” in Heidegger! Insegna a Padova. Borsista della Humboldt di Bonn, dell'Institut International de Philosophie, Parigi, dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti e dell'Accademia Olimpica di Vicenza. Insignito dei premi Montecchio e Nietzsche. Altri saggi: Heidegger e Brentano; La filosofia pratica, Francisci, Albano, Padova – Filosofia pratica e scienza politica, Francisci, Albano, Padova; Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova, Il nichilismo, Laterza, Roma, Guida a Heidegger, Laterza, Roma; I titani: una conversazione con Jünger e Gnoli; Dizionario delle opere filosofiche, Il dio degl’acidi, conversazioni con Hofmann e Gnoli;L'ultimo sciamano, conversazioni heideggeriane con Gnoli, Storia della filosofia dall'antichità a oggi con Berti.  Per Adelphi cura opere di Schopenhauer, Heidegger e Schmitt. Collabora alla Repubblica. Mentre e in sella alla sua bicicletta a Berici, e investito da un'auto e cadde in coma irreversibile. Muore il giorno successivo. Commemorato dal preside assieme a tutto il corpo docente di Padova. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Parolin, Commozione al Bo per l'addio a V., Giornale di Vicenza.  Altri saggi: L'aristotelismo e il problema dell'univocità dell'essere in Heidegger (Milani, Padova) – cf. Grice, ‘multiplicity of ‘being’ --; Il concetto di decadenza divina; Filosofia politica; Hegel e i suoi critici, Laterza, Roma; Interprete del pensiero contemporaneo, Incontro di studio, Padova, Vicenza, Accademia Olimpica, Atti dell'incontro, comune di Lavarone; Il pudore, Brescia, Morcelliana, Opere su Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Essere, tempo, esistenza, Associazione Asia, Sul valore e la funzione della filosofia; Sul significato e lo statuto di ‘Essere e tempo’ di Heidegger”, Capurro, Rezension von V. Heidegger e Aristotele, Daphne Editrice, Padova Zuerst erschienen in: W. Schirmacher Hrsg.: Schopenhauers Aktualität. Ein Philosoph wird neu gelesen. Schopenhauer-Studien 1/2. Passagen Verlag, Wien. In seinem 1967 in der Akademie der Wissenschaften und Künste in Athen gehaltenen Vortrag schreibt Heidegger:  "Die Kunst entspricht das physis und ist gleichwohl kein Nach- und Abbild des schon Anwesenden. Physisund téchne gehören auf eine geheimnisvolle Weise zusammen. Aber das Element, worin physis und téchne zusammengehören, und der Bereich, auf den sich die Kunst einlassen muß, um als Kunst das zu werden, was sie ist, bleiben verborgen." (M. Heidegger: Denkerfahrungen, Frankfurt a.M.). Für wen bleibt dieser Bereich "verborgen"? Zumal für unsere technische Zivilisation, die sich mehr und mehr, über alle Grenzen hinweg, ausbreitet und somit sich jeder Möglichkeit einer selbstkritischen Distanz beraubt. Und dennoch: wir sind dem nicht ausgeliefert. Heidegger wird öfter bekanntlich vorgeworfen, er verfalle mit seiner Auffassung des "Seinsgeschickes" im pessimistischen Mystizismus und ergreife die Flucht in die Antike durch seinen "Schritt zurück". Nichts von alledem. Wir lesen im selben Vortrag:  "Schritt zurück heißt: Zurücktreten des Denkens vor der Weltzivilisation, im Abstand von ihr, keineswegs in ihrer Verleugnung, sich auf das einlassen, was im Anfang des abendländischen Denkens noch ungedacht bleiben müßte, aber dort gleichwohl schon genannt und so unserem Denken vorgesagt ist." (ebda.)Das Thema Heidegger scheint indessen im deutschsprachigen Raum und insbesondere in der Bundesrepublik weiterhin von aller Art von Vorurteilen belastet zu sein. Man braucht nur an die klischeeartigen Ausführungen von Jürgen Habermas in seinen Vorlesungen "Der philosoophische Diskurs der Moderne" (Frankfurt a.M. 1985) zu denken, um das Groteske dieses Mißverständnisses (falls der Versuch eines Verständnisses unterstellt wird) zu exemplifizieren. Und Aristoteles? Er gilt inzwischen für viele als "Urvater" bzw. "Urheber" der heute herrschenden Technologie, nämlich der Informationstechnologie Die Bestrebungen der "Künstlichen-Intelligenz-Forschung", etwa in der Herstellung von "Expertensystemen", haben in der aristotelischen Logik ihr Rezeptbuch gefunden. V. lädt uns mit seinem schlicht betitelten Buch Heidegger und Aristoteles zu einer Begegnung dieser Denker ein, die, ganz außerhalb von diesen Klischees, zur Sache selbst führt. Der Dialog Heideggers mit Aristoteles ist zwar ein lebenslanger Dialog gewesen, aber der Verfasser betont mit Recht drei Höhepunkte, nämlich  die frühe Anwesenheit des Aristoteles in Heideggers Seinsfrage, indem diese durch den scholastischen Filter Brentanos und Braigs zu ihm drängt und zu Aristoteles führt;die (etwa zehnjährige) Periode des Ausbrütens von Sein und Zeit, als die entscheidende Zeit des Dialogs, die sich in den Marburger Vorlesungen sowie in Sein und Zeit selbst niederschlägt;und schließlich die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre".Dementsprechend fällt  der Schwerpunkt von Volpis Ausführungen auf den zweiten Höhepunkt, der mit der Überschrift "Wahrheit, Subjekt, Zeitlichkeit" gekennzeichnet ist. Heidegger begegnet Aristoteles ausgehend von den in der Husserlschen Phänomenologie offen gelassene Frage nach der ontologischen Konstitution des menschlichen Lebens (bzw. der "Lebenswelt"). In dieser Begegnung, die auf eine kategoriale Differenzierung hinausläuft, öffnet sich der Blick für die Kantische Frage nach der Einheit des Kategorialen, die, sofern sie auf ein endliches Subjekt zurückgeführt wird, den Zusammenhang zwischen Subjektivität (bzw. "Dasein") und Zeitlichkeit offenbart. Damit kündigt sich zugleich die zentrale "These" Heideggers bezüglich des metaphysischen Seinsverständnisses im Sinne von Anwesenheit, mit der dazugehörigen Privilegierung der zeitlichen Dimension der Gegenwart an. Gegenüber einer kategorialen (bzw. "gnoseologischen") Wahrheitsauffassung sucht Heidegger (Husserl folgend) in Aristoteles die Spuren einer präkategorialen "fundierenden" Wahrheit, wobei solange man den Bereich eines endlichen Subjektes nicht verläßt, eine solche "Fundierung" auf die Einheit von sinnlicher Wahrnehmung und Verstand bezogen bleibt. Der Verfasser erläutert in klaren Umrissen die Kernpunkte der Heideggerschen Analysen aus De interpretatione sowie aus ausgewählten Stellen der Metaphysik. Es geht dabei u.a. darum zu zeigen, inwiefern die Struktur des prädikativen logos nicht nur in die Frage nach der "Wahrheit", sondern vor allem in die nach dem "Wahr-sein", also noch einem ontologischen vorprädikativen Sinne von Wahrheit mündet. Die psyche ist "in" der Wahrheit, d.h. sie ist in der Weise des "Entbergens" (aletheuein). Während es bei den prädikativen Wahrheit um die Wahrheit bzw. Falschheit der Aussage geht, geht es bei der ontologischen Ebene um das "Vernehmen" bzw. "nicht Vernehmen" (noein / agnoein) des Sich-Entbergenden. Mit anderen Worten, das Sein, temporal vorverstanden als "Anwesenheit", ermöglicht erst die Prädikation des "Wahren" und "Falschen". Dieses temporale Vorverständnis des Seins bildet, wie der Verfasser richtig bemerkt, die eigentliche "Entdeckung" Heideggers, die ihn zu einem kritischen Durchgang durch die Geschichte der Metaphysik führt. In einem zweiten Schritt erläutert Volpi die gewissen Parallelität zwischen den ontologischen Bestimmungen von "Dasein", "Zuhandenheit" und "Vorhandenheit" (als die drei Seinsmodi, die Heidegger in Sein und Zeit eingehend erörtert) und den aristotelischen Unterscheidungen zwischen praxis, poiesis und theoria, wobei, nach Ansicht Volpis, die Korrespondez praxis / "Dasein" zunächst ungewöhnlich erscheint. Hier zeigt der Verfasser, wie mir scheint, den entscheidenden Durchbruch Heideggers in seiner Kritik der bisherigen Vorherrschaft einer kognitiv-theoretisch orientierten Bestimmung des Menschen. Hier liegt auch der Anknüpfungspunkt Heideggers am "praktischen" Denken Aristoteles' in der Nikomachischen Ethik (bes. im VI. Buch), wobei man erneut die erstaunliche produktive (!) Parallelität, die aus diesem Dialog hervorgeht, feststellen kann, z.B. in Bestimmungen wie "Gewissen" / phronesis, "Sorge" / orexis,  "Entschlossenheit" / prohairesis, "Befindlichkeit" / pathe  bis hin zur Deuttung des "Verstehens" im Sinne des nous praktikós. Im Hinblick auf die Frage nach der Zeit, den dritten Schwerpunkt von Volpis Analysen dieses zweiten Höhepunktes in der Begegnung zwischen Heidegger und Aristoteles, ist die (christlich-) kairologische gegenüber der "chronologischen" Erfahrung der Zeitlichkeit für Heidegger bedeutsam.  Heidegger reift schrittweise, so Volpi, zu seiner Auffassung, daß die Zeitlichkeit die Struktur menschlichen Lebens darstellt. In diesem Reifungsprozeß setzt sich Heidegger kritisch mit der naturalistischen Auffassung der Zeit bei Aristoteles auseinander, indem er, aufgrund einer Analyse der Bestimmung der Zeit in der Physik, die aristotelische Definition als die Frage nach dem Zusammenhang zwischen der Zeit und der (zählenden) "psyche", d.h. also als die Frage nach der ontologischen Bestimmung der "psyche" nachweist. Der Rezensent kann hier nur auf den analytisch "glasklaren" Text des Verfassers hinweisen, der diese schwierige Aus-einander-setzung zwischen Heidegger und Aristoteles in einer so zentralen Frage meisterhaft bewältigt. von der aristotelischen ("vulgären") Auffassung der Zeit führt dann der Weg zur Analyse der "Zeitlichkeit" sowie der "Temporalität", von wo aus erst das primus und posterius der Bewegung in ihrer Dimensionalität (wozu auch das nunc gehört) erfaßt werden können. So gelangt Heidegger, von Aristoteles ausgehend, zur Zeitlichkeitsstruktur des "Daseins" (in Sein und Zeit). Die Anwesenheit Aristoteles' nach der "Kehre", so der Titel des letzten Teils des Buches, weist zunächst auf die Heideggersche Radikalisierung der Metaphysik (etwa in der "Physis"-Schrift), indem das (metaphysische) Projekt einer "Fundamentalontologie" verlassen wird, hin. Der Verfasser vertieft aber die Anwesenheit Aristoteles' in den Jahren 1929 bis 1931, in denen die Fragen nach dem "Ort" des 'logos' im Ereignis der Wahrheit (seine weltbildende Kraft), nach dem Sein als Anwesenheit und als Wahrheit (Sein als "energeia") bis hin zur entscheidenden Entdeckung des Seins als physis (wie es die "Vorsokratiker", vermutlich erfahren haben) und seines "Einfangens" in der techne im Vordergrund stehen. Das Phänomen der Technik wird vom 'späten' Heidegger insofern radikal in Frage gestellt, als es die (anfänglich positiv bewertete) Operationalität des "Zuhandenen" beinahe monströsen bzw. zerstörerischen Dimensionen erreicht. Demgegenüber betont aber Heidegger, daß techne bei den Griechen das eigentliche "Gegenüber" der physis darstellt, d.h. das, wodurch die physis in ihrer Offenheit und "Verborgenheit" aufgenommen wird, sowie das, wodurch die physei onta so in ihren "Formen" (eidos, idea) erkannt werden, daß man etwas Entsprechendes gegenüberstellt. Dieses "Gegenüber" von techne und physisbedeutet aber (noch) nicht den Verlust der physis in ihrer "überwältigenden" Dimension. Was Heidegger in der "Physis"-Schrift leistet, so mit Recht der Verfasser, ist eine (im doppelten Sinne des Wortes) "epochale" Auslegung des Aristoteles, nämlich eine "Über-Setzung" von Fragen, die längst überholt schienen, während sie in Wahrheit unserer modernen Auffassung von Natur und Technik buchstäblich zugrundeliegen. Darauf weist Volpi ausdrücklich im Schlußkapitel hin. Gerade für eine Analyse der "Moderne" bietet der Dialog Heidegger-Aristoteles entscheidende Anhaltspunkte. Zwei kritische Bemerkungen schließen diese Arbeit: Vollzieht tatsächlich das Wesen der modernen Technik den originären impetus des griechischen logos? Und inwiefern ist dem "Finitismus" Heideggers zuzustimmen, daß die Zeit den logos formt (und nicht umgekehrt, wie für die Griechen? V. deutet an, beide Fragen gewissermaßen vereinigend, daß es einen "polyvalenten logos" gibt, den es gegenüber einem "eindimensionalen logos" wiederzugewinnen gilt. Müßte man nicht auch von einer 'polyvalenten techne' (bzw. Technik!) sprechen? Wie steht es aber dann mit der Frage nach der Kunst? Ist nicht Eros ein großer Dämon, der zu verdolmetschen weiß? Heidegger in Dialog mit Platon? Franco Volpi. Keywords: dizionario dell’opere filosofico: Lucrezio, Cicerone, Vico, Croce, Gentile… -- multiplicity of  being in Aristotele, univocita dell’essere; equivocita dell’essere, essere univoco, energeia, einheit, sein, als energeia, l’unita dell’essere come energeia. H. P. Grice, The Grice Papers, Bancroft, MS. Luigi Speranza, “Grice e Volpi: l’univocita dell’esere” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Volpi.

 

Luigi Speranza -- Grice e Volpicelli: la ragione conversazionale -- corpi e corpi – maschi fascisti – colossi fascisti -- la flosofia italiana nel veintenno fascista -- filosofia fascista – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia. filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “While Volpicelli does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is ultimately a naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I read with interest his “Nature and spirit.” At that time, at Oxford, there was not much of an Oxford spirit, so it spirited me.” Prende parte come sotto-tenente alla grande guerra. Si laurea in filosofia sotto GENTILE (vide). Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico del corporativismo integrale. Direttore di Nuovi studi e Archivio di studi corporativi. Altri saggi: Natura e spirito; L'educazione politica dell'Italia; I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo; Corporativismo e scienza giuridica; La certezza del diritto e la crisi odierna; Dizionario di Filosofia  Franchi, Per una teoria dell'auto-governo, ESI, Napoli. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. La filosofia di V. costituisce un importante e, probabilmente, ineludibile termine di confronto onde comprendere appieno, sul terreno proprio del diritto, gli sviluppi più profondi dell'attualismo di GENTILE (si veda) e le sue possibili conclusioni teoretiche circa la possibilità di ammettere, nel suo seno, una filosofia del diritto. Il peculiare interesse per i risvolti speculativi della sua dottrina nella corretta definizione di una Rechtsphilosophie fanno, infatti, di V, un insostituibile interlocutore. Punto di partenza della sua riflessione è, per l'appunto, la definizione di una FILOSOFIA del diritto. La distinzione con una mera SCIENZA del diritto che investe in primis la speculazione. [Tale problematica viene affrontata, parallelamente, seppur da un versante più marcatamente economico e sociologico, da SPIRITO (si veda), con il quale condivide le avventure e, soprattutto, le disavventure di “Nuovi studi di diritto, economia e politica” che, raccoglie i loro principali saggi e, in particolare, il loro tentativo di indagare - sulla base dell'insegnamento di GENTILE - quegli ambiti delle scienze pratiche nei quali il complesso rapporto con una FILOSOFIA  unificatrice ed escludente come l'attualismo determina l'esigenza di un approfondimento speculativo particolare. I Nuovi studi, riprendendo la felice sintesi di Franchi, possono] [teoretica tout court, ma che poi - come si vedrà - finisce per calarsi perfettamente nella definizione del diritto e nella tipologia di analisi e studio che concernono l'esperienza giuridica nel suo insieme? Fedele trascrittore della lezione di GENTILE, V.  separa schematicamente i due campi. La FILOSOFIA è la considerazione integrale e, quindi, reale dei fenomeni singoli come individuazioni assolute dell'intero universo. Scienza, invece, e una limitazione operata sull'universale individuo, e, quindi, una considerazione parziale e astratta della realtà.  Se dunque l'UNIVERSALITA FILOSOFICA si costituisce come determinatezza assoluta, occorre asserire che l'astrazione e limitazione scientifica non si costituisce fuori o accanto, ma sul fondamento e nell'ambito della conoscenza  filosofica. Perciò essa è distinta e autonoma, ma entro il circolo invalicabile della filosofia -- e della storia d’ITALIA. Una storia da pensare, si badi, sempre e comunque come l'immanente atto del pensiero concreto. La FILOSOFIA, dunque, non costituisce un Prolog im Himmel, ossia un semplice e grezzo materiale aggregato di preliminari nozioni scientifiche, ma piuttosto il sostrato ontologico su cui la scienza può e deve modellare quelle categorie e quelle nozioni idonee a favorire l'autentica conoscenza di determinati settori della vita spirituale. Essa, in altre parole, ha il compito di realizzare un determinato percorso gnoseologico il cui sviluppo non può prescindere dalla consapevolezza che il processo di unificazione o unità conoscitiva non avviene per opera della scienza, ma avviene già nella realtà. La scienza deve solo 'attuare', con i suoi termini e i suoi concetti, una realtà che storicamente già si compie come processo unitario'. Un] [considerarsi come "il manifesto dell'attualismo applicato alle scienze sociali" (cfr. G. Franchi, Araldo V.. Per una teoria dell'autogoverno, Napoli. Sul tema pure cfr. Losano, Prefazione a Id. cur., Kelsen – V. Parlamentarismo, democrazia e corporatirismno, Torino. Sul punto cfr. Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica, Milano. Cfr. V., Orlando, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul punto cfr. Riccobono, Intervento, in La filosofia del diritto IN ITALIA; Alti del Congresso nazionale di filosofia giuridica e politica, Napoli-Sorrento, Milano, Franchi. La scienza - sentenzia altrove V. - è, infatti, vero ed effettivo conoscere (cfr. Corporativismo e scienza del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Sul binomio realtà-storia V., nel già citato passaggio chiarisce così: "La realtà è una, categoricamente una ed omogenea, talché le sue distinzioni - innegabili e imprescindibili all'esistenza del mondo o, meglio, della realtà come mondo - non possono essere, e ciò per defini-zione, assolute, eterogenee; non possono cioè importare una contraddittoria moltiplicazione reale dell'unità. Le distinzioni sono e debbono essere per definizione omogenee, e non sostanziali. Ciò val quanto affermare che sono storiche, se è vero che la storia è il processo di differenziamento dell'uno: sì differenziamento e processo unitario, e cioe tale da importare l’omogeneita] [processo unitario il cui svolgimento, a sua volta, è contrassegnato da una dialettica intesa come «ritmo della realtà nella sua spirituale natura», ovvero non come essere ma come farsi.  Ciò che V. tenta di raggiungere, nell'ambito della riflessione giuridica, è la formulazione di un concetto del diritto che sia capace di incarnare l'intima e l'immediata attuazione 'scientifica' della teoria 'filosofica' dell'identità di individuo e Stato», e, al tempo stesso, di schivare il pericolo di una «arbitraria traduzione di essa nei disparati termini empirici della scienza giuridica..Dimensione ontologica della filosofia, funzione gnoseologica della scienza: sono questi i postulati da cui occorre muoversi per intraprendere la costruzione tanto di una filosofia quanto di una scienza del dintto. La realizzazione della prima passa per un confronto-scontro con CROCE (si veda), più tenue, e con VECCHIO (si veda), più violento, -- ossia con i due autori che con maggiore vigore si oppongono al positivismo filosofico di fine secolo, ma da posizioni differenti: idealista quella crociana, neo-kan-tiana quella del filosofo romano. La formazione della seconda, viceversa, parte da una revisione critica della dottrina dei due protagonisti, maestro e allievo, della pubblicistica italiana: Orlando eRomano. Il problema di fondo che V. intende affrontare è, quindi, quello di ridefinire la filosofia del diritto come scienza filosofica, ovvero come un'attività che indaga su un fenomeno particolare dell'esperienza esistenziale, ovvero il diritto. La particolarità del suo oggetto, seguendo questa impostazione, consentirebbe la possibilità di essere concepita come scienza, 'filosofica', e quindi subordinata alla filo-sofia, ovvero a quel processo speculativo che tende alla universalità. Secondo V., infatti, un difetto ricorrente delle filosofie del diritto coeve -soprattutto quelle di matrice positivista - era quello di considerare «le filosofie par-ticolari» - e quindi quella del diritto - «come entità irrelative e intermedie tra la filosofia e la scienza. A causa della deriva sociologistica e positivistica che conduce ad una «concezione naturalistico-deterministica della realtà umana e perciò del diritto», la filosofia del diritto alla fine dell'Ottocento, «non conserva che il] [sostanziale dei suoi differenziati momenti, senza di che non c'è processo e passaggio ma statica e irrelata molteplicità naturale" (cfr. V. CORPORATIVISMO e diritto, Cfr. V., La teoria dell'identità di individuo e stato, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. V., Corporativismo e scienza del diritto, V. La teoria del diritto di CROCE, in Nuovi studi di diritto, economia e politica] [nome. Il nodo cruciale è, insomma, l'impossibile distinzione tra una filosofia generale ed una speciale, come appunto si presenterebbe quella del diritto: una filosofia generale che ammette filosofia speciali non è più in grado di risolvere «sul suo terreno tutti i problemi della realtà. D'altro canto, una filosofia speciale che «ap-plica passivamente lo schema e il metodo» di una filosofia generale perde il suo compito essenziale ovvero «spiegare e necessitare il suo oggetto. Una riaffermazione di una riflessione intimamente gius-filosofica, quindi, «è possibile e intrinsecamente giustificabile» laddove si accetti il presupposto che il diritto sia «una posizione o forma assoluta dello Spirito stesso. Pertanto, oggetto e ragion d'essere della filosofia del diritto finiscono per identificarsi con «la determinazione della forma giuridica nel suo peculiare carattere e nella sua connessione intrinseca con le altre forme spirituali»"'. Solo in questo modo la filosofia del diritto «non è distinguibile dalla filosofia», ma nasce e si sviluppa «nell'ambito e nel sistema di essa» con lo scopo di perseguire due finalità essenziali: da un lato, in funzione anti-positivista, «considerare il diritto come attività dello spirito e non come «fatto» o schema»; dall'altro, in funzione anti-naturalista, «concepire storicamente il diritto come creazione incessante, progressiva ed organica. All'interno di questo quadro, V.  riconosce - in aperto contrasto col formalismo neo-kantiano - dei meriti anche a Croce: in particolar quello di aver ricomposto «il dissidio tra la filosofia e la storia, l'universalità e la concretezza, la categoria e l'esperienza» grazie al superamento del dualismo «di filosofia generale e filosofia particolari»'. Nonostante ciò, la posizione crociana va rigettata nel suo complesso per la presenza di insuperabili limiti speculativi: in particolare, in ambito filosofico-teoretico, la logica dei distinti; su un piano più specificamente giuridico, invece, la visione della legge come pseudo-concetto e la sua idea del rapporto tra società e Stato. Procediamo per gradi. Per V., l'ipotesi di una dialettica tra i distinti è una mera contraddizione in termini in quanto le distinzioni che accompagnano la A. V. Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. Si ripropone, perciò, il problema 'crociano' "dell'essere o del non essere" della filosofia del diritto "come materia d'insegnamento" (cfr. ibidem).A. V., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto. V. La teoria del diritto di Croce, L'errore del giusnaturalismo non consiste nel fatto della sua fissità, nel suo contraddire cioè alla autorevolezza delle leggi ma nel carattere trascendente di esso, come presupposto e limite a priori, e, solo conseguentemente, statico e fisso, della volontà"] [costante e continua formazione dello spirito si rivelano solamente nel «processo di auto-oggettivazione dell'Io. L'attività dello spirito, prescindendo dalla sua manifestazione fenomenica, «è solo ed essenzialmente attività etica»?': per cui l'autoco-scienza - del soggetto agente - nell'atto stesso in cui costituisce la volontà come tale, ne costituisce insieme e indistinguibilmente l'assoluto valore etico. Questa ripresa lineare e rigida della dimensione morale dell'intero processo spirituale dalla speculazione gentiliana è il presupposto che consente a V. di attaccare frontalmente «l'assurdità della distinzione spirituale tra attività economica e attività etica», poiché non è possibile concepirsi una differenza tra volontà universale e volontà individuale, ossia «tra fini che ci appagano come individui e fini che ci appagano come uomini. Due sono, dunque, le conseguenze derivanti da tali assunti: in primis, che l'utile «non è quella forma distinta di attività dello spirito, ma di un semplice, necessario modo di considerazione della volontà nel suo divenire. In secundis, che «il diritto è una forma distinta dell'attività dello spirito», che può presentarsi «come economia», ma soltanto «in virtù di una distinzione gnoseologica operantesi e risolventesi nel reale processo di svolgimento dello spirito come eticità. Rispetto dunque al primo punto, la critica ai 'distinti conduce ad una parziale e vaga accettazione dell'identità diritto-economia e ad una rapida e sbrigativa descrizione della relazione tra i vari momenti della praxis: diversamente da Gentile, e anche da Maggiore, in cui l'approdo alla moralità avviene in maniera graduale e complessa, in Volpicelli costituisce un dogma non approfondito, ma assiomaticamente sostenuto. V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nunc in virtù della libertà" (cfr. GENTILE, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, V. La teoria del diritto di Croce. Gentile, criticando la filosofia crociana dei distinti e, nel contempo, rigettando i presupposti della dialettica hegeliana, sostiene che la morale investa "ogni momento della vita dello spirito" in quanto proiezione di "un dover essere imprescindibile hic et nune in virtù della libertà" (cfr. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto, Firenze. Maggiore, invece, distin-guendo, in un primo tempo, teoria e prassi, colloca la morale al termine del percorso dialettico di formazione della volontà (sul punto cfr. Maggiore, L'unità del mondo nel sistema del pensiero, Palermo; in un secondo tempo, poi, riconsiderando l'esperienza giuridica nel suo insieme, giunge a decretare la sostanziale identità di diritto e morale (cfr. Id., Il diritto e il suo processo ideale, Palermo: un passaggio che segna l'inizio di un lento ma inesorabile allontanamento dall'attualismo e dall'idealismo tout court che si compirà negli anni successivi. Più in generale, sull'evoluzione della filosofia di Maggiore si rimanda a URSO (si veda), L'emersione del giuridico'nella filosofia di MAGGIORE (si veda): da L'unità del mondo a Il diritto e il suo processo ideale, in Annali dell'Università degli Studi Suor Benincasa, Napoli. Il vero problema filosofico-giuridico, del resto, è rappresentato dal rapporto tra volontà e legge. Contro l'impostazione di Croce, che la vedeva semplicemente come uno pseudo-concetto della sfera pratica, V. considera la legge «regola imperativa» che costituisce la base di «un momento sui generis e irriducibile dello spirito pratico»?. Essa, perciò, «non è una costruzione arbitraria», bensì «l'immanente proiezione astrattiva e generalizzante della concreta volontà e ad una prima lettura la legge appare, perciò, come «l'oggetto in cui la volontà si pone ed è reale», nel momento in cui la voluntas «se ne stacca», diviene «lo schema ideale dell'agire»; seguendo tale ragionamento, si può correttamente ritenere che «la sua dissoluzione è la condizione perché l'atto volitivo sorga e si effettui,?.Il diritto, allora, non può non identificarsi con la legge, cioè con il voluto «nella sua astrattezza e rigidezza di posizione innanzi e contro al volere»3°. Mentre la volontà etica «pone e risolve la legge nella sua libera ed intima creatività», la volontà giuridica è quella in cui «la legge è esterna però coattiva»''. Ecco il motivo per cui il diritto assume la coattività e l'esteriorità come elementi - gnoseologicamente - distinti dall'etica 32.Infine, V. intravede e contesta nel pensiero crociano una lettura 'machia-vellica' della politica: concepita come «la forma individuale o utilitaria dell'attività pratica dello spirito», essa si apre all'idea che la filosofia politica «non ha più per oggetto lo Stato» e quindi la sintesi di autorità e libertà, molteplicità e unità del valore. V., La teoria del diritto di Croce, V., La teoria del diritto di Croce. V. considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfi. A. Volpicelli, Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto).V., La filosofia della politica di Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, V. La teoria del diritto di Croce. V., La teoria del diritto di Croce. V. considera essenziale separare l'ambito gnoseologico da quello fenomenologico e deontologico: in particolare, nel criticare le conclusioni che Vanni prospetta ne Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita - ovvero l'idea che la filosofia costituisca un grado intermedio del conoscere mentre la scienza una mera filosofia applicata - sostiene che "il problema gnoseologico include quello fenomenologico, e questo esclude o sopprime il deon-tologico" (cfr. A. V., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto) . Questo approccio ricorda la distinzione gentiliana tra la categoria in sé, ossia "concetto universale, o eterno momento della vita dello spirito" (cfr. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze), e la categoria considerata come "contenuto di un certo atto conoscitivo" (cfr. ID., I fondamenti della filosofia del diritto. Volpicelli, La filosofia della politica di Croce, in Nuovi studi di diritto, economia e politica/ Logica e storia: l'attualismo giuridico di V. ] [V. riconosce al formalismo giuridico di ispirazione neo-kantiana un importante merito ma, di contro, attribuisce ad esso un altrettanto decisiva responsa-bilità: il suo pregio consisterebbe nell'aver riaffermato «l'identità e l'universalità del diritto», il suo difetto nello essersi arrestato a un concetto astratto e antistorico della categoria del diritto. Il formalismo critico, in altre parole, riaffermando l'apriorità e categoricità del diritto, rivendicava legittimità ed autonomia della rispettiva indagine filosofica. Un'autonomia che, in V., va sempre però concepita entro il perimetro della filosofia generale e mai al di fuori e all'esterno di essa. L'insuperabile limite del criticismo, allora, appare quello di inseguire un'illusione, ossia di poter sostenere l'autonomia dottrinale di quella particolare filosofia contro i congiunti ostacoli della filosofia generale e della giurisprudenza. E arriviamo, così, all'analisi del maggiore e più influente esponente del CRITICISMO ITALIANO, ovvero Vecchio. V. contesta due aspetti fondamentali della sua teoresi: la distinzione tra concetto e idea del diritto - che ripropone, sotto mentite spoglie, quella tra una giurisprudenza che studia il diritto particolare e la filosofia che studia il diritto universale; la riproposizione, consequenziale, dei tre compiti (gnoseologico, fenomenologico, deontologico) del diritto. V., La teoria del diritto di Croce.V., nel ritenere che la filosofia del diritto come una parte della FILOSOFIA nasce con Thomasius, interpreta la sua distinzione tra DIRITTO e MORALE [philosophical jurist] ome specchio della distinzione tra diritto NATURALE e diritto NON-NATURALE (Grice) o positivo (cfr. V., Indirizzi italiani di filosofia del diritto). V., La teoria del diritto di Croce. Per comprendere meglio la prospettiva volpicelliana, è interessante la lettura dell'opera di PETRONE (si veda). Sebbene consideri la sua filosofia come unico sforzo compiuto dal filosofismo accademico italiano per costruire una filosofia del diritto su fondamenti speculativi, in essa traspare nitidamente il fatto che l'apriori critico diviene una statica e trascendente idea innata e, di conseguenza, la realtà fenomenica come una bruta empiria avente fuori di sé il suo principio (cfr. Id., Indirizzi italiani di filosofia del diritto. Pertanto, nel suo idealismo critico permane, in fondo, tenace la concezione positivistica. Quando ci riferiamo criticismo ITALIANO, come sostiene nella sua ricostruzione storico-filosofica TABARONI (si veda), possiamo individuare tre filosofi per antonomasia, ovvero PETRONE (si veda), RAVÀ (i veda), e, per l'appunto, Vecchio; in merito cfr. Tabaroni, La terza via critica. Della gius-filosofia IN ITALIA, Napoli. Una problematica, questa, che viene approfondita da altri filosofi, tra i quali certamente spicca CAMMARATA (si veda). Si ricordi, a riguardo, soprattutto il contributo a una critica gnoscologica della giurisprudenza, in cui emerge, come scrive Serra, la necessità di ridare legittimità alla filosofia del diritto rifiutando l'elisione idealistica della realtà del diritto (cfr. Serra, Cammarata: la critica gnoseologica della giurispru-denza, Napoli. V. Indirizzi italiani di filosofia del diritto. In primo luogo, egli ritiene che la fenomenologia del diritto coincide con la storia stessa del concetto di diritto. Tra lo svolgimento dell'idea-diritto e la trasformazione del concetto-diritto non vi è, dunque, alcun dualismo ma piuttosto una sostanziale identità. Un'identità che consente a V. di accentuare quell'avvicinamento tra forma e contenuto del diritto, già riconoscibile nell'opera gentiliana e già intrapreso da MAGGIORE (si veda), che, pur riprendendo nozioni critiche, le plasma e le adatta all'interno della sua speculazione a consolidamento e sostegno della posizione attualista. La forma, per V., è sempre forma viva, ossia concreta, processuale e differenziantesi: una forma che, così intesa, può essere perfino definita come il contenuto medesimo nella sua spiritualità. Una forma che non può mai identificarsi con la vuota e indifferente nozione, di derivazione critiche, dell'universale logico. Da qui, la seconda fondamentale critica a VECCHIO (si veda), ossia la sua fatua distinzione tra essere e conoscere. Il fenomeno giuridico, infatti, va concepito, secondo tale lettura, come un qualcosa che non cade fuori dall'atto che la produce – il performativo o operativo nella legge scozese --, ma piuttosto come una realtà in cui si individua, e cioè si converte e rifonde senza residuo, l'universale attività concepente [costitutiva]. La riconduzione dell'elemento fenomenico nell'ambito formativo del processo spirituale determina, altresì, l'identificazione della conoscenza con il VALORE (l’assiologia di H. P. Grice), o meglio, dell'attività conoscitiva con quella valutativa. Lungi dall'accogliere la separazione weberiana tra giudizio di fatto e giudizio di valore, V. perviene al rifiuto dell'altra importante dicotomia nella filosofia delvecchiana, ossia quella tra idea logica e idea valutativa, da cui derivano rispettivamente il giudizio storico-positivo e il giudizio deontologico-razionale. Per l'allievo di Gentile, conoscere è, indistinguibilmente, e in sé medesimo, VALUTARE perché ogni valutazione avviene sempre in re, e non extra o post rem, e pertanto è possibile e giustificabile solo nell'atto. Un concetto di diritto che non è nulla di diverso e distinto dalle sue manifestazioni, ma è proprio, assolutamente, quest'ultima. Il critico attualista è quello che apre all'identità hegeliana di reale e razionale attraverso il ribaltamento del rapporto tra soggetto e oggetto e la negazione della pre-esistenza della realtà al pensiero. Una tale conquista - osserva Franchi - che capovolge il tradizionale rapporto tra il pensiero e l'essere, si sarebbe però arrestata, secondo V., con il riconoscimento di un dato che trascende il pensiero, cioè la materia, a cui il pensiero si limita a dare una forma, e che avrebbe obbligato al CRITICO a introdurre nel suo sistema il concetto di noumeno, elemento non conoscibile dall'intelletto, a fondamento della stessa realtà naturale (cfr. Franchi, V.). V., Indirizzi italiani di filosofia del diritto, Studi di diritto, economia e politica] conoscitivo, e non fuori o dopo di esso. Il valore, dunque, finisce per identificarsi con l'essere in maniera ancora più netta rispetto al fenomeno, essendo non altro che la stessa formale ed infinita creatività dello spirito: un'identificazione garantita dai suoi caratteri essenziali, ovvero l'autoposizione e l'infinità. Il valore così definito svolge, all'interno della ricostruzione volpicelliana, un'ultima importantissima funzione, ossia quella di offrire un ulteriore e decisivo argomento contro ogni visione giusnaturalista. Non potendo, infatti, rinunciare alla sua spirituale natura e immanenza, alla sua indole interiore e cosciente e alla sua inesauribile dialettica, il valore, applicato al diritto, trasforma questo in una peculiare espressione concreta della coscienza umana, specificamente quella dell'essere doveroso e continuo: un diritto che è sempre giusto. Alla luce di ciò, appare assolutamente INUTILE ipotizzare un diritto NATURALE a priori, eterno, immutabile – H. P. Grice: “Stevenson always used ‘mean’ in its natural usage in scare quotes!” --, espressione d’un ideale astratto sempre esterno alla realtà. Il giusnaturalismo, in ogni sua formulazione, svela sempre il suo carattere filosoficamente falso per questa sua incapacità di essere immanente e procedurale all'interno della realtà dello spirito: idealità e realtà, in definitiva, non si traducono mai in un dualismo, bensì si rapportano sempre nell'alveo di un processo dialettico. Passando sul versante del diritto, V. legge con interesse critico tanto l'opera d’Orlando quanto quella di Romano. Il confronto con entrambi scaturisce dall'interesse per lo stato, in particolar modo per la sua definizione e la sua funzione nell'ambito dell'esperienza giuridica. In sintesi, pur condividendo sensibilità e fini che la scienza del diritto pubblico mostra e per-segue, Volpicelli individua nella dottrina dei due giuristi siciliani degli elementi critici da cui occorre allontanarsi apertamente: in Orlando ravvisa il pericolo di una scissione tra diritto e legge con la subordinazione del primo nei confronti della seconda; in Santi Romano, invece, la riduzione dello Stato a species del genus diritto rappresenta un presupposto incauto da cui potrebbe derivare una frammentazione dell'universo giuridico e un abbandono del processo unitario che, viceversa, lo con-trassegna.Ciò che, invero, preoccupa maggiormente Volpicelli sul piano della scientia juris è quella che egli indica come «la tendenza più generale e caratteristica della giurisprudenza contemporanea», ossia quella «di determinare e porre alla base delle sue costruzioni il puro concetto di fatto giuridico»; un concetto, in altre parole, «valido**Ivi, pp. 109-110. Questa interiorità dell'atto conoscitivo, sorprendentemente, viene trovata da V. in Kant stesso, laddove "il conoscere", formandosi "secondo le forme funzionali dell'auto-coscienza" costituisce "già per ipotesi il nostro conoscere" (cfr. ibidem).49 A. V., Recenti indirizzi italiani di filosofia del diritto] una volta per sempre e per tutti i possibili fatti»'. E necessario, perciò, una forte contrapposizione a questo formalismo che, come «mostro insaziabile», divora e annulla la scienza «nell'assurda pretesa di rendere quanto più rigorosi e universali gli schemi scientifici»52.Per V. la scienza, in generale, «non astrae dalla realtà», ma piuttosto «in funzione» di essa. In questo senso, la logica - che è in capo a qualsiasi concezione epistemologica - e la storia - che è l'incessante motore della realtà ideale - determinano due verità che non possono non coincidere. La logica, infatti, in quanto «immanente forma della realtà storica», non può mai scindersi dalla cosa in sé, dalla concretezza dello spirito, ma fondersi sempre con essa 4Ma la scienza non può 'spiegare sé stessa, dal momento che la sua intima ragione può essere definita soltanto dal di fuori, ovvero dalla speculazione filosofica, «nes-suna scienza può scientificamente dimostrare i suoi presupposti» e quindi «la scienza giuridica non può pretendere di spiegare giuridicamente il diritto»55. La genesi e i fondamenti del diritto «trascendono la competenza e la stera della scienza giuridica» perché essi hanno una vera e genuina natura META-GIURIDICA – cf. Grice BOOTSTRAP: do not turn your meta-language stronger than your object-language or you’ll end up having to pull yourself up by your own bootstraps]. La scienza giuridica è «distinta ed autonoma nella politica o nella storia, ma non dalla politica e dalla storia. Il grande torto di Orlando, come si vedrà, sarà quello di aver cercato di rendere la scienza giuridica autonoma dalla politica, ovvero dalla storia, e perciò di affrancarla dalla filosofia. V., in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»8. Inoltre, egli sottolinea positivamente51 A. V., Santi Romano, in Nuovi studi di diritto, economia e politica, V., Orlando, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. VITTORIO EMANUELE ORLANDO V., in verità, apprezza di Orlando la posizione antirazionalista e antigiu-snaturalista, nonché l'aver fondato una scienza del diritto capace di cogliere organicamente quei principia juris che costituiscono «le premesse storico-ideali informatrici delle istituzioni giuridiche positive»58. Inoltre, egli sottolinea positivamente V., Romano, in Studi di diritto, economia e politica. V., Orlando, in Nuovi studi di diritto, economia e politica. V,, Orlando, Studi di diritto, economia e politica. In verità, come osserva Pietro Costa, in questa riconosciuta affinità con l'impostazione orlandiana, si può riscontrare quel più generale consenso verso "quella pregiudiziale antropologica (di ispirazione anti-individualistica e organicistica) che collega Volpicelli non solo ad Orlando, ma all'intera tradizione giuspubblicistica" (cfr. COSTA (si veda), Lo stato immaginario. Metafore e paradigmi della cultura giuridica ITALIANA, Milano] [l'atteggiamento dichiaratamente critico del giurista palermitano nei confronti sia del contrattualismo, sia del giusnaturalismo"".Ciò che, invece, rappresenta - come detto - uno strappo che determina il rigetto della visione orlandiana nel suo insieme è la distinzione, di matrice storicista, tra legge e diritto". Una distinzione che riproporrebbe - in altro modo - il dualismo tra diritto positivo e diritto naturale, laddove si affermi che «il diritto positivo o vigente (legge) dichiara e impone l'antecedente, genuino ed autonomo diritto so-ciale»61.In ciò non può non ravvisarsi, secondo l'interpretazione volpicelliana, uno sdoppiamento che è matrice e, a un tempo, figlia della medesima scissione tra Stato e società, già individuata e criticata - da Gentile e Maggiore - nell'hegeliana dialettica tra bürgerliche Gesellschafte Staaf2. Uno Stato che rimane mero titolare della legge con la quale riconosce e sanziona un diritto che non nasce in esso e con esso, ma in una società che precede sempre la sua formazione. Ma la società, secondo Vol-picelli, «non crea il diritto, se non in quanto Stato», assumendo in tale veste il ruolo di società politica 3.Il nesso tra diritto e politica, allora, costituisce il vero nodo da sciogliere, il terreno su cui è possibile porre le solide fondamenta della scienza giuridica, delineandone definitivamente caratteristiche e confini. Diritto e politica rappresentano l'astratto e il concreto del processo ideale che accompagna e contrassegna perpetuamente l'ente Stato. Se, perciò, il diritto può essere pensato come «l'obiettivazione astratta» del «concreto essere e operare» della politica, le scienze impegnate a studiare e definire i rispettivi oggetti sono agevolmente identificabili: la scienza del [ Orlando, infatti, da un lato considera il diritto come "una creazione spontanea, incessante ed organica della società", dall'altro sia allontana da tutte quelle dottrine che "ponevano a centro e a soggetto del mondo giuridico il puro individuo come immediatamente dotato di naturali diritti" (cfr.A. V., Orlando.V. scorge in questa separazione un retaggio diretto della scuola storica del diritto. Una corrente a cui viene riconosciuto un duplice merito: "contro il contrattualismo, riafferma l'apriorità e originarietà della società come fonte e principio del diritto; contro il giusnaturalismo, la storicità e positività di quest'ultimo" (cfr. ibidem). E, infine, "l'avversione costante e irriducibile di quella scuola alle codificazioni, che pretende di arrestare il corso storico" e alle riforme imposte "da una ragione arbitraria (perché metastorica). Ciò che, al contrario, valuta come un limite è la negazione dello Stato come fuoco incessante della società: una società descritta come "una realtà piena e perfetta prima e fuori dello Stato" e quindi una realtà "immediatamente statuale e giuridica" (cfr. A. V., Orlando. Cfr. A. V., Orlando. Il confronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riformaconfronto di gentile con la filosofia hegeliana si traduce in un più complessivo abbandono dello schema triadico della sua dialettica e nell'adozione di un processo di auto-sintesi che si regge sulla continua contrapposizione tra 'concreto' ed 'astratto'; sul punto soprattutto cfr. G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze. La critica di Maggiore ad Hegel, invece, si sviluppa organicamente, seguendo per grandi linee la lettura gentiliana, in Maggiore, Hegel, Milano.] [diritto ha il compito di analizzare lo Stato «ipostatizzandolo e irrigidendolo», considerandolo sempre come «obiettivo e statico ordinamento istituzionale», la scienza politica ha viceversa la funzione di approcciare alla realtà statuale «nel suo divenire concreto», ovvero «nel suo interno rapporto con la progressiva e piena volontàumana. In sintesi, diritto e politica - e con essi le relative scienze - sono senza dubbio distinti, ma non del tutto separati perché «non rispondono affatto a due concezioni opposte della realtà», ma piuttosto «poggiano su un fondamento ideale comune», lo Stato, di cui incarnano l'astratto e il concreto. L'approccio orlandiano, in questo senso, viene certamente 'salvato', dal momento che l'analisi e il valore degli istituti pubblici «nella loro giuridica realtà» costituiscono «il fine della scienza giuridica»: un fine che, tuttavia, non si persegue correttamente se questi «si staccano dal processo storico in cui si enucleano»66. Proprio qui, infatti, affiorerebbe il secondo e decisivo limite della ricerca di Orlando, ossia il tentativo impossibile «di accogliere e conciliare in un più comprensivo sistema i motivi parimente essenziali, ma inadeguati ed erronei nella loro unilateralità, delle due scuole di diritto pubblico»: la scuola francese, che continua a dare forma «alle premesse politico-ideologiche della rivoluzione», e la scuola 'tede-sca', che al contrario «avvia e apre a sostanziali sviluppi l'assolutismo tradizionale»67Se, dunque, il legame con la scuola storica lo conduce all'inaccettabile divaricazione tra legge e diritto (rectius: società e Stato), l'attenzione al modello francofono lo porta, viceversa, verso un imprudente abbandono proprio della dimensione storica (rectius: politica) della realtà giuridica in quanto realtà statuale"8. La vera 'colpa' di Orlando, dunque, sarebbe quella di non aver realizzato la sintesi tra le due teorie, ovvero di non aver costruito una scienza giuridica capace, a un tempo, di affermare «l'autonomia e l'assoluta sovranità dello Stato», nonché «l'esigenza dello Stato giu-ridico» e «della libertà civile»6. Il suo vero fallimento è determinato dal vano sforzo di conciliare la necessità delle prerogative sovrane della realtà statuale con l'esigenza [. Sul rapporto tra diritto e politica, come suggerisce Irene Stolzi, V. - insieme a SPIRITO (si veda) con il quale condivide fino in fondo le avventure e le disavventure dei Nuovi studi, rivendica "la netta supremazia del momento politico su quello giuridico", ossia "la necessità che la politica diventasse l'effettivo motore dello stesso diritto" (cfr. I. Stolzi, Il fascismo totalitario: il contributo della riflessione idealistica, in Historia et ius, historiaetius.eu)). V., Orlando. In verità, rileva Aldo Sandulli, le molteplici ascendenze culturali che caratterizzano la formazione della dottrina orlandiana, possono essere ricondotte "ad un ceppo comune culturale" rappresentato dalla "scuola storica di Savigny", dal quale poi si distanzia per seguire "gli indirizzi dei più rilevanti approdi della coeva giuspubblicistica tedesca", ovvero Gerber, Laband, e, infine, soprattutto Jellinek (cfr. Sandulli, Costruire lo Stato. La scienza del diritto amministrativo in Italia (1899-1945)Milano 2009, p. 72).6 A. V., Orlando] di riconoscimento della libertà politica ad ogni individuo. Volpicelli risolve questa, per lui, intollerabile giustapposizione orlandiana con la 'sintesi' dei due elementi, sovranità statuale e libertà politica, nella nozione di libertà civile che, andando a coincidere con l'autolimitazione statale, si realizza in «un congruo e determinatosistema di norme giuridiche. La libertà civile, intesa in senso volpicelliano, se traslata nel rapporto tra i singoli, può costituire i presupposti della libertà giuridica, cioè di quella libertà «insita e definita nello stesso diritto» che deriva «in modo indiretto, subordinato e contingente dal diritto posto» e che trova «nella empirica formulazione di legge il suo fondamento e i suoi limiti»". Mentre, quindi, l'attributo civile sembra connotare più propriamente i rapporti tra individuo e Stato, quella giuridica pare riferirsi in maniera più manifesta alle relazioni intersoggettive: due formulazioni della libertà che, da un lato, avallano una differenziazione tra ius - in quanto materializzazione dello [ Ibidem. Il problema dell'auto-limitazione dello Stato spinge Volpicelli ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale. Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare all’organica coesistenza di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano V. esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici. Il problema dell'auto-limitazione dello stato italiano spinge V. ad un naturale accostamento teoretico tra la dottrina d’Orlando e quella di Jellinek che costituisce, per il giurista romano, l'occasione per un ulteriore chiarimento concettuale. Se la dottrina di Jellinek ha il merito di mirare all’organica coesistenza di sovranità e libertà, sulla limitazione del potere sovrano V. esprime chiaramente la sua posizione differenziandola dalla teoria dei diritti pubblici soggettivi. Secondo quest'ultima, infatti, la limitazione giuridica del sovrano vuol dir soltanto relazione giuridica di esso col suddito -- relazione insidente nell'atto stesso onde lo stato italiano legifera o pone il proprio comando nella forma di legge (cfr. V., Orlando (si veda) .In V., dunque, è la legge medesima a contenere in sé il senso del limite. Essa, infatti, non è mai e solo un uni-laterale comando al suddito, ma è sempre un comando a se stesso, ossia un continuo organizzarsi e procedere giuridicamente. Del resto, se FILOSOFICAMENTE – MORALMENTE – CONCETTUALMENTE -- filosoficamente stato italiano e italiano si identificano, in ambito giuridico LEGALE NON MORALE la teoria dei diritti pubblici soggettivi non è accettabile perché presuppone l'auto-poiesi dello stato italiano, che si astrattizza nella fictio iuris della “persona,” non ontolgoica, ma meramente giuridica. Una fictio che poi s’sdoppia attraverso il riconoscimento della persona giuridica del cittadino italiano. La teoria dei diritti pubblici soggettivi presuppone la relazione tra due soggetti onto-logicamente diversi. L’attualismo filosofico, invece, li considera come i momenti distinti di un'unica sostanza. Il legame sovrano-suddito, stato-italiano/italiano è sempre interno e mai esterno – Esterna puo essere l’implicatura – cf. H. L. A. Hart on Austin, the legal philosopher. Perciò, su un piano filosofico speculativo è inaccettabile. Da un punto di vista della giurisprudenza, nel senso astratto datogli da V., puo anche essere accettata, quanto meno nei suoi presupposti se non in tutte le sue conclusioni. Rispetto ad ORLANDO (si veda), dunque, V. cerca una sorta d’interpretazione attualisticamente orientata dell'opera di Jellinek e della dottrina dell'auto-limitazione. Uno Jellinek il cui merito è quello d’essere partito dal puro atto legislativo UT SIC [cf. Grice, DEEMING A DOG A CAT], senza pretesa alcuna di assegnare e imporre allo stato italiano un determinato e MITICO atto legislativo iniziale, evitando così lo sdoppiamento tra sovranità e popolo. Legiferare è limitarsi. Pertanto, lo stato italiano legislatore e lo stato italiano giuridico non sono, in somma, DUE stati italiani – STATI NON SUNT MULTIPLICANDA PRAETER NECESSITATEM -- o incluso PARTI [cf. Grice, THE POWER STRUCTURE] staccate ed eterogenee d’un unico stato italiano- una originaria e sottratta al diritto (auto-cratica, illimitata, assoluta) e l'altra postuma, derivata e vincolata da esso, bensì i due momenti ideali e inscindibili d’un unico stato italiano nel suo processo storico di posizione e costituzione di sé. Lo stato italiano legislatore, in definitiva, è continuamente e inscindibilmente un sempre nuovo determinato stato italiano giuridico, cosicché la legge è l'atto che garantisce il continuo processo di produzione della giuridicità,Stato - e lex - in quanto astrazione individuale dello spirito, fugando però il rischio della scissione perpetrata d’ORLANDO (si veda), in cui rimane impossibile conciliare la statualità del diritto con la sua pre-esistenza allo stato italiano. In definitiva, attraverso tale duplice articolazione, V. finisce, volente o nolente, per assecondare, tramite il diritto, quella indispensabile identità gentiliana (GENTILE (si veda) di libertà e autorità: sovranità. Il percolo di una separazione tra stato italiano e società, già paventatosi in ORLANDO (si veda), trova, secondo V., con l'affermarsi dell'istituzionalismo romaniano – ROMANO (si veda) --, un'ulteriore fonte di minaccia, ma anche un'apprezzabile opportunità di sviluppo. Per far sì che la società sia l'immanente sostanza dello stato italiano e che quest'ultimo si trasformi nella co-estensiva e interiore organizzazione autorevole della societas medesima, occorre che il diritto PUBBLICO, lungi dal ridursi alla figura del rapporto politico tradizionale a-topicamente concepito, incominci a svolgersi e articolarsi in un compatto sistema d'istituzioni attraverso cui circoli tutta la vita sociale. In questo senso, V. può ben richiamarsi a [L'ordinamento giuridico, nel sostenere che il diritto non è norma o regola estrinseca di rapporti atomistici, bensì una compatta organizzazione sociale in cui le norme e i rapporti rientrano come particolari e subordinati momenti. Ma, soprattutto, la realtà giuridica è una organizzazione, in virtù della quale la società si articola e costituisce in un ente unitario ed autonomo rispetto ai vari elementi che lo compongono. In sostanza, in tale lettura si accetta, come fondamento incontestabile, l'inscindibile connubio tra IVS e societas. Un connubio che trova la sua primigenia unità nell'individuum. V., ORLANDO (si veda). Sul rapporto tra individuo e Stato inV. cfr. Gennaro, Crocianesimo – CROCE (si veda) e cultura giuridica. Cfr. GENTILE (si veda), I fondamenti della filosofia del diritto. Sul rapporto tra autorità e libertà in GENTILE (si veda), tra le possibili letture cfr. Barbuto, Nichilismo e stato italiano totalitario, Napoli. V., ROMANO (si veda). Per V. la norma è una linea divisoria tra le azioni umane, una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana openstarts.units. V., Orlando. Sul rapporto tra individuo e Stato inV. cfr. Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica. Cfr. Gentile, I fondamenti della filosofia del diritto. Sul rapporto tra autorità e libertà in Gentile, tra le possibili letture cfr. Barbuto, Nichilismo e Stato totalitario, Napoli. V., Romano. Per V. la norma è una linea divisoria tra le azioni umane, una connessione tra ordinamento giuridico e realtà umana che costituisce un limite oggettivo con "due FACCE (Face to face) assolutamente congrue. Cfr. V., Romano (continuo e fine), in Studi di diritto, economia e politica. Più in generale, l'attenzione per le teorie romaniane è un tratto comune a molti teorici appartenenti alla scuola gentiliana o comunque in qualche modo aderenti o vicini alla filosofia attualista. Oltre a V., come ricorda Stolzi, anche MAGGIORE (si veda) e PANUNZIO (si veda) riconobbero a Romano il merito di aver sollevato la questione della identità profonda del fenomeno giuridico e di aver chiarito come tale identità non puo in alcun modo esser ricavata dalla mera superficie normativa, dal semplice sistema del diritto POSITIVO (cfr. Stolzi, L'ordine CORPORATIVO: poteri organizzati e organizzazione del potere nella riflessione giuridica dell'Italia FASCISTA, Milano).V., Santi Romano] [medesimo. La società e il diritto, nel senso più genuino e completo, sono, infatti, presenti già nell'individuo isolato [IDIO di H. P. Grice – IDIO-LETTO – MEANING WITHOUT AN ADDRESSEE], il quale, malgrado rimane chiuso della sua vita interiore, in quanto espressione della soggettività concreta dello spirito, costituisce un solido e articolato sistema di VOLIZIONI e mezzi di vita, di poteri e istituti, di garanzie e di norme, di facoltà e obblighi, e quindi una forma di redenzione essenziale di sé con sé, motivo per il quale va considerato, senza ombra di dubbio, come una società – o POPOLAZIONE come preferisce C. A. B. Peacocke -- formalmente piena e perfetta. Tuttavia, ciò che rimane estraneo all'ortodosso attualismo volpicelliano è l'idea di un diritto oltre lo stato italiano. Il diritto, infatti, è l'obiettivazione positiva della volontà dello stato italiano, ossia l'organizzazione statica e obiettiva in cui, di momento in momento, si configura e conchiude il vivente processo politico dello stato italiano. Esso è certamente 'organizzazione' - come sostiene Romano - ma soltanto quella che si incarna nella forma, ma soprattutto nella sostanza, dello stato italiano. Inoltre, è la sua presupposta mutevolezza a fornire quella solida e irrinunciabile garanzia di adeguamento continuo all'azione dello stato italiano e, di conseguenza, della società tout court. In definitiva, se, da un lato, viene accolta favorevolmente, in funzione anti-formalista e anti-normativista la nozione del diritto come istituzione, dall'altro non è possibile sostenere la conseguente visione pluralista, derivante - per il vero - da una lettura accentuatamente progressista e innovatrice del saggio di Romano. L'istituzione, in ultima analisi, secondo V., non può che essere lo stato italiano, ossia il soggetto che, per affrancarsi definitivamente dalla sua ipostatizzazione,V., del resto, legge in chiave assai personale anche la crisi dello stato italiano.Nella sua ottica, il superamento dello statualismo rappresenta il passaggio dalla concezione normativa, e quindi individualistica e privatistica, a quella istituzionale e pubblicistica del diritto, ovvero dalla concezione atomistica e formalistica a quella socialitaria ed ORGANICA dello stato italiano (cfr. V., Romano (continuo e fine)). In realtà, la teoria di Romano anda letta come un tentativo di conservazione attraverso l'adozione di un modello organicistico e anti-individualistico, dello statualismo. Uno statualismo che, tuttavia, dove definitivamente accantonare le forme giuridiche. In tal senso, come scrive CASSESE (si veda), la visione di Romano rappresenta il contrario del pluralismo (cfr. Cassese, Lo stato italiano, stupenda creazione del diritto italiano, e vero principio e vita, Rivista di diritto pubblico, in Quaderni fiorentini, Milano. Pertanto, seguendo le parole di CATANIA (si veda), si può ulteriormente concludere che Romano elabora una concezione giuridica che, lungi dal riflettere e comunque lungi dal mettere in evidenza anche la possibilità di una lettura conflittuale della società, giuridifica la realtà stessa, in questo senso la formalizza, in questo senso depotenzia il conflittualismo perché in qualche modo la visione giuridica, nella sua struttura ordinamentale ed organizzatoria, tende ad esaltare tutti i momenti in cui appunto l'azione sociale si mostra fondativa e corroborativa dell'organizzazione stessa, senza che minimamente si formulino ipotesi sulla reale composizione e sul reale scontro delle organizzazioni sociali irrompenti sulla scena storico-politica (cfr. CATANIA (si veda), Formalismo e realismo nel pensiero di Romano, Teoria e filosofia del diritto. Temi, problemi, figure, Torino. Sull'interpretazione della dottrina romaniana, ancora cfr. SANSULLI (si veda), COSTRUIRE LO STATO – cf. Grice, LOGICAL CONSTRUCTION. [cideve assumere l'attributo dell'organizzazione. L'addivenire ad una qualsiasi teoria della pluralità degl’ordinamenti giuridici rappresenta il LOGICO corollario di una concezione formalistica del diritto e, a un tempo, la negazione flagrante della istituzionalità del diritto. Il diritto, in altre parole, è istituzione solamente se e perché il mondo dei rapporti giuridici si origina, si sviluppa e si conserva come una compatta unità. Ciò che, dunque, finisce sotto la lente critica volpicelliana è l'ipotesi di una elaborazione dottrinaria, da parte della giurisprdenza, di una teoria che consideri il diritto o l'istituzionVT SIC, nella sua purità e generalità, e che risponde così, in maniera fatua ma pericolosa, al più tormentoso ed insistente problema della giuspubblicistica, ovvero quello di legare o subordinare lo stato italiano al diritto. Un'operazione considerata vanamente astuta perché, passando da una surrettizia e apparente identificazione tra stato italiano e ordinamento, si traduce in un'inaccettabile riduzione del primo termine a species del genus istituzione, come il linguaggio, il dizionario, ecc. SINGER. Nel rigettare contestualmente l'identità stato-diritto e l'assorbimento dell'ordinamento statuale nella più ampia nozione di istituzione, V. ravvede il verificarsi di una FALLACIA ANALOGIA A QUELLA NATURALISTA dennunciata da Moore. Sebbene, infatti, lo statualismo è-, storicamente e filosoficamente, antitetico al GIUS-NATURALISMO perché dà al diritto una'fonte' immanente e positiva, ovvero un istituto, esso finisce per cadere nella stessa fallacia, ossia di subordinare al diritto lo stato italiano, che da tale subordinazione trade la propria esistenza e legittimazione giuridica. L'unica legittima identificazione, su un piano filosofico, di stato italiano e diritto è quella che vede il secondo come l'incessante organizzazione obiettiva del concreto processo politico, laddove politico corrisponde con ETICO – cf. Grice on the priority of LEGAL RIGHT OVER MORAL RIGHT. Questa familiare dialettica tra oggetto (diritto) e soggetto (stato italiano), tra astratto e concreto, che trova ampio riscontro nella filosofia di Gentile, in V. viene ulteriormente sviluppata attraverso l'approccio al tema del diritto inter-nazionale – tra, ad essempio, lo stato italiano e lo stato tedesco. Se lo stato italiano è, dunque, quella concreta realtà politica che pone e riforma e vivifica incessantemente se stesso come entità o istituzione giuridica, si pone il problema di definire, in maniera coerente con le premesse dell'attualismo filosofico, l'ordinamento fra Italia e la GERMANIA, ovvero rifiutando qualsiasi soluzione dualistica e, a maggior ragione, pluralistica. V. affronta la questione sostenendo che l'ordinamento fra l’ITALIA e LA GERMANIA, no una corporazione, trascende e comprende bensì il singolo STATO ITALIANO come soggetto giuridico -- rectius: i singoli ordinamenti giuridici statuali -- ma mai e in nessun modo LO STATO ITALIANO come soggetto politico in quanto centro vitali, costruttore e riformatore.  V., Romano] [dell'organizzazione giuridica tra due stati – ITALIA-GERMANIA. Solo in questo senso l'ordinamento tra due stati – ITALIA/GERMANIA può delinearsi come unica istituzione o organizzazione giuridica all'interno della quale sussistano molteplici relazioni giuridiche che sono appunto d’ordine intra-istituzionale. Ecco, allora, svelata la ragione del mantenimento della nozione di istituzione in un sistema rigidamente identitario e monistico come quello implicitamente o esplicitamente avallato dalla filosofia attuale. Lo stato italiano si identifica col diritto astrattamente, ma non concretamente. Sia nel rapporto interno, sia nel rapporto esterno, il processo identitario a cui V. continuamente fa ricorso concerne l'analisi giuridica (e quindi giusplubblicistica), non quella POLITICA, e quindi filosofica. Lo stato italiano, come realtà concreta e agente, crea sempre il diritto con cui, nell'atto creativo, va a identificarsi. Una cosa è, pertanto, lo stato FASCISTA italiano politicamente, o meglio, ETICAMENTE, inteso; un'altra lo stato italiano nella sua obiettivazione giuridica. Alla natura distintamente ontologica o NOUMENICA del primo, corrisponde - rimanendone ineluttabilmente separata ed estranea – la mera natura fenomenica e contingentemente storica del secondo. V. Urso, V. -- Arnaldo Volpicelli. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi e corpi, corporazione. H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Volpicelli: il naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e naturalismo” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Volpicelli.

 

Luigi Speranza -- Grice e Voltaggio—FILOSOFIA SICILIANA, NON ITALIANA -- all’isola, la scienza della fantasia di Vico -- la ragione conversazionale del ‘vel’: p v ~p – fondamenti della logica – la scuola di Palermo – filosofia siciliana -- filosofia italiana – filosofia siciliana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Palermo). Filosofo palermitano. Filosofo siciliano. Palermo, Sicilia. Essential Italian philosopher. Grice: “I enjoyed “What Leibniz actually said and not just implicated.” “Voltaggio also clarified Husserl to me.”  Filosofo italiano. Si laurea a Roma sotto ANTONI. Insegna a Roma, Mogadiscio e Macerata. Cappo ridattore di Sapere, collabora con Il manifesto, Lettera, di cui è socio fondatore, Apeiron, Janus, e Medical. Consulente di Sigma Tau di Roma e dell'istituto psico-nanalitico per le ricerche sociali, membro del seminario di filosofia di Senigallia. Altri saggi: Fondamenti di logica, Milano, Comunità; La funzione critica, Roma; Che cosa ha veramente detto Leibniz, Roma, Ubaldini; Scienza, Milano, Comunità; I filosofi e la storia, Milano, Principato; L'arte della guarigione, Torino, Bollati; Il filosofo nel bosco, Roma, Di Renzo; Scienza filosofica, Roma, Laterza; Italia mediterranea: I flussi migratori nelle principali città rivierasche, Roma, Edup; Antigone tradita: una contraddizione: libertà e STATO nazionale Roma, Internazionali; Il paradosso dell'infinito, Milano, Feltrinelli; Epistemologia e politica della ricerca, Roma, Armando; L'evoluzione di un evoluzionista, Roma, Armando; La conoscenza inespressa, Roma, Armando -- ‘a bit like my ‘tacit knowledge’ – Grice. --; L'ora della socio-biologia, Roma, Armando; L'arte della ricerca scientifica, Roma, Armando; Il potere: processi e strutture: un'analisi dall'interno, Roma, Armando; Progresso e razionalita della scienza, Radnitzky, Andersson, Armando, Roma); Verene: “VICO: La Scienza della fantasia” Armando, Roma; L'intelligenza scientifica: un'indagine sull'immaginazione creatrice dello scienziato; Roma, Armando; Filosofi per la pace, Roma, Riuniti; Galeno: Trattato sulla bile nera, Torino, Aragno. Voltaggio. Keywords: Vico, “la scienza della fantasia” fundamenti della logica – fundamenti della logica di voltaggio – veramente detto Vico – veramente impiegato Vico --. Refs.: Luigi Speranza, “Voltaggio: what Leibniz implicated, as explicated by Grice.” H. P. Grice, “Voltaggio,” BANC MSS 90/135 c. Luigi Speranza, “Grice e Voltaggio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria

 

Luigi Speranza -- Grice e Vopisco: La ragione conversazionale all’orto di Roma– filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice (Roma). Filosofo italiano. L’Orto. Patron of STAZIO (si veda). Grice: “When I say ‘Garden’ I mean: ‘filosofo che segue la dottrina dell’Orto” – i. e. Marius, the Epicurean! The category of ‘patron’ is more or less publicly unknown in Oxonian philosophy. The term is applied to what the stereotypical patron was applied, as when we say ‘Mecenas’ without meaning ‘Mecenas.’ Inglobati nel parco di Villa Gregoriana sono i resti di una antica villa romana. Essendo consoli a Roma Quinto Ninio Asta e V., dal genitore di V. e infatti edificata a Tivoli una villa di cui il STAZIO (si veda) ci dà conferma nelle sue “Sylvae.” Questa lussuosa villa e tanto spaziosa che si estende dall'attuale ingresso di Villa Gregoriana fino all'ex albergo Sirene. Le fonti antiche infatti ci dicono che la dimora e abbastanza articolata ed estesa. Il terreno e attraversato da un canale di acqua, proveniente dal vicino Aniene, che la divide in due parti: una era posta all'interno di Villa Gregoriana mentre l'altra e situata appunto vicino all'ex hotel Sirene. La scelta del luogo ove edificarla e influenzata dal fatto che qui si estende il bosco sacro di Tiburno, qui c'e la grotta della Sibilla, qui si ergevano i templi magnifici ed imponenti dell'acropoli. Dagli studi compiuti alcuni sostengono però che la villa Vopisco non sarebbe stata costituita da due ma da tre aree, attraversate dai canali Stipa e Chiavicone o V. i quali sono una specie di valvola di sfogo quando l'Aniene e in piena. Stipa dà luogo alla cascata del Bernini, dal Bernini che ri-struttura il canale di origine romana. STAZIO (si veda), nella sua opera, Sylvae, considera un'attrattiva della villa V. il fatto di essere fornita di acqua potabile dall'Acqua Marcia. Interessante a tal proposito è la fistola trovata in piombo. Nella villa infatti, nel corso delle esplorazioni, è stato rintracciato un acquedotto così come è documentata la presenza di una piscina utilizzata per l'allevamento ittico. Attualmente della villa rimangono solo 13 ambienti aperti e finalizzati ad essere delle sostruzioni su cui poggiare le varie parti edili della villa sovrastante. L'idea dell'architetto e che essi, guardandoli, dessero l'impressione di trovarsi davanti a delle grotte naturali e per questo motivo dove e possibile si lascia intatto il terreno roccioso. Tuttavia si suppone, basandoci sulla testimonianza di fonti, che la dimora e costituita da vari padiglioni isolati. Non è semplice oggi però la lettura di ciò che resta del complesso anche se Canina tenta di ricostruire come la villa doveva essere.Publio Manlio Vopisco. Keywords: la villa del filosofo.

 

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