Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Wednesday, January 8, 2025

GRICE ITALO A-Z C CH

 

Grice e Chiaromonte: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della parola – il cane ha molto. Definizione d’ aggetivo – la correlazione – scuola di Rapolla – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rapolla). Filosofo basilicatese. Filosofo italiano. Rapolla, Potenza, Basilicata. Grice: “Problem with Chiaromonte is that he let things influence him too much! My favourite is his tract on ‘silenzio e parola’ – where as he explains, ‘parabola,’ as used by the Greeks meant conversazione, because among primitive people, it is all about ‘comparison,’ and that is what a parabole is – by comparison we may think of miaow-miaow and the bow-bow theory of meaning!”. Esponente antifascista, appassionato di filosofia (fu discepolo di Andrea Caffi) e di teatro, fondò con Ignazio Silone la rivista culturale indipendente "Tempo Presente".  Il padre, medico, si trasfere con la famiglia a Roma, C. si vota all'anti-fascismo, dopo una breve parentesi fra le file fasciste, entrando a far parte della formazione Giustizia e libertà e finendo esule a Parigi per evitare l'arresto della polizia. E in Spagna, combattente repubblicano nella guerra civile spagnola contro le armate franchiste nella pattuglia aerea di André Malraux (la figura di C. è adombrata in quella del personaggio dell'intellettuale Scali, del romanzo L'Espoir), poi abbandonò il fronte per contrasto con i comunisti. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, in seguito all'invasione tedesca della Francia, riparò a New York, facendosi notare nel gruppo dei cosiddetti New York Intellectuals.  Fu propugnatore del socialismo libertario che contrappose alle spinte trotzkiste della rivista politics di Macdonald, a cui pure si legò in un sodalizio di amicizia e di frequentazione intellettuale. Ebbe legami d'amicizia con filosofi come Arendt e Camus, e scrittori come Orwell, e collaborò con Salvemini al settimanale italiano a New York, Italia libera.  Tornato in Italia una prima volta e una seconda, si sentì esule in patria, anche per il suo rifiuto a sottostare ai compromessi che volevano la cultura strettamente legata ai partiti politici; per un periodo tenne una rubrica di critica teatrale sulla rivista Il Mondo fondata da Mario Pannunzio. Assieme a Silone, fondò "Tempo presente", rivista culturale indipendente, esperienza innovativa nell'Italia dell'epoca che portò avanti, nonostante qualche dissapore con Silone, con grande attenzione agli autori di notevole spessore che riempivano le pagine del mensile.  Le sue posizioni furono improntate all'anticomunismo ma, a differenza di Silone, fu senz'altro più utopico; vicino alle posizioni di Albert Camus, teorizzò «la normalità dell'esistenza umana contro l'automatismo catastrofico della Storia».  Nel testo La guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti (Fazi editore) della storica e giornalista inglese Frances Stonor Saunders, si sostiene che la rivista Tempo presente sia stata finanziata dalla CIA: la Saunders ne individua i fondatori come personaggi di punta del Congress for Cultural Freedom e principali destinatari dei finanziamenti della CIA per attività culturali in Italia. Intrattiene una fitta corrispondenza con Mussayassul, amichevolmente chiamata Muska, una monaca benedettina, sul tema della verità. Altre saggi: La situazione drammatica, Milano, Bompiani, The Paradox of History, Londra, Le Paradoxe de l'Histoire, prefazione di Adam Michnik, introduzione di Marco Bresciani, Cahiers de l'Hôtel de Galliffet,  Credere e non credere, Milano, Bompiani; Collana Intersezioni, Bologna, Il Mulino, Scritti sul teatro, Introduzione di Mary McCarthy, Miriam Chiaromonte, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Scritti politici e civili, Miriam Chiaromonte, Introduzione di Leo Valiani, con una testimonianza di Silone, Milano, Bompiani, Il tarlo della coscienza (The Worm of Consciousness and Other Essays, Prefazione di Mary McCarthy), Miriam Chiaromonte, Collana Le occasioni, Bologna, Il Mulino, Silenzio e parole: scritti filosofici e letterari, Milano, Rizzoli, Che cosa rimane, Taccuini, Collana Saggi, Bologna, Il Mulino, Lettere agli amici di Bari, Schena, Le verità inutili, S. Fedele, L'ancora del Mediterraneo, La rivolta conformista. Scritti sui giovani e il 68, Una città, Forlì, Fra me e te la verità. Lettere a Muska, W. Karpinski e C. Panizza, Una città, Forlì, Il tempo della malafede e altri scritti, Vittorio Giacopini, Edizioni dell'Asino,  Albert Camus-Nicola Chiaromonte, Correspondance, Édition établie, présentée et annotée par Samantha Novello, Collection Blanche, Paris, Gallimard, Dizionario Biografico degli Italiani. Simone Turchetti, Libri: "Le attività culturali della Cia" Galileo, Cesare Panizza, Nicola Chiaromonte. Una biografia. Presentazione di Paolo Marzotto, prefazione di Paolo Soddu, Roma, Donzelli. Dizionario Biografico degli Italiani,  XXIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Filippo La Porta, Maestri irregolari, Bollati Boringhieri. Gino Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede, Lacaita, Manduria-Roma-Bari, Michele Strazza, Contro ogni conformismo. Nicola Chiaromonte, in "Storia e Futuro", Filippo La Porta, Eretico controvoglia. Nicola Chiaromonte, una vita tra giustizia e libertà, Bompiani. Bocca di Magra Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Nicola Chiaromonte  Nicola Chiaromonte, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Nicola Chiaromonte, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Nicola Chiaromonte,.  Fotografie e documenti di Nicola Chiaromonte La cultura politica azionista. "Nuovo Partito d'Azione". Il fondo librario Chiaromonte. Sotto il generico vocabolo “parola” (cf. Grice, ‘to utter’) si può intendere qualunque segno communicativo che serve a rappresentare una percezione o un'idea o concetto. Pur nondimeno questa voce “parola” – cf. Grice “to utter” -- nell'uso ordinario è ristretta a signare un suono articolato, con cui l’uomo esprime e communica la pércezione o la idea o concetto ad altro uomo; e siccome il suono articolato e stato legato ad altro segno, così la parola, oltre di esser pronunziata (pro-nuntiatum), è anche scritta. Orche cosa è mai questa *communicazione* da un'uomo all'altro? Questa communicazione propriamente è un mezzo di suscitare nell’altro uomo, al quale si dirigge, una percezione o una idea o concetto consimile a quelle che ha e che vuol *communicare* (o signare) colui che ‘signa’. Perciò la communicazione consiste nel far sorgere nell’altro quella stessa percezione o quella stessa idea. Ciò in due modi può succedere, cioè: o mediante una convenzione, arbitrio, concordo, patto, sul segno, sia volontariamente fatta, sia abitualmente seguita, cosicchè ogni segno per ragion di associazione convenzionale desti una percezione o un'idea corrispondente; o pure mediante una naturale (iconica, assoziativa) associazione o meglio co-relazione che si stabilisce tra un segno e una percezione o idea o concetto, cosicchè non abbisogni altro che imitare (proffere) appositamente questo segno per suscitare nell’altro la percezione o idea o concetto naturalmente (iconico, assoziativo) annessa o co-relata. È del primo modo – il modo di correlazione convenzionale -- la maggior parte dei segni; poichè una convenzion prima espressamente o tacitamente fatta, e l'uso che ciascun trova del sistema di communicazione del suo popolo, fan sì che appena si manipula un determinato segno, tosto si destino in coloro che ascoltano le percezioni e le idee co-rispondenti. Sono del secondo modo ogni segno che per lo più imitano una proprieta naturale, come la voce del cane (“Daddy wouldn’t buy me a bow-wow”), il romore del vento, lo scorrer del fiume il rimbombo del tuono, della esplosione, ed altri simili. Ancorchè l'uomo non sa per antecedente convenzione il ‘signato’ di tale ‘segno,’ egli tosto si fa l'idea del ‘segnato’ che s'indica, perchè la imitazione – iconicita, assoziativita – della proprieta naturale sveglia la percezione socia. Sentendo “bac-buc” dei tedeschi, quantunque non sa l'alemanno, mi debbo far tosto l'idea del vuotarsi di un vaso a bocca stretta. In questa categoria va pure il vocativo “o”, perchè la pronunzia molto spontanea di questa vocale fa volgere la persona verso il punto donde “o” vien pronunziato: e quindi da per sè stesso il vocativo “o” serve a chiamare, perchè ottiene spontaneamente questo effetto o risponsa nell’recipiente. Intanto il segno, oltre che serve a mettere in communicazione due uomini fra loro ed a far nascere in essi la ri-produzione (o trasferenza psicologica) di una percezione e di una idea secondo la volontà del ‘signante,’ è al tresi utile ad un'uomo solo, allorchè egli si racchiude in se stesso e si va rappresentando le cose per meditarvi. Difatti è un'osservazione ben comune che noi parliamo dentro noi stessi, allorquando pensiamo le diverse cose, e principalmente allor quando ci rappresentiamo una idea astratta. PRISCIANI GRAMMATICI CÆSARIENSIS.DE VOCE. PHILOSOPHI definiunt vocem effe ærem temuffitmm ftfhtm,uel fiuwm fenfibile ut ritum,idefl quod propria auribus  accidit  Et p efl  prior definitio ii fubfhtntia fiumpta, Altera  nero d notione quam graa ivvotav dicunt Jnoc efl ab accidentibus Accidit enimuod auditus quantum in ipfia efl Vedi autem differentia fiunt IV: articulato, inarticulata, literata, illiterata. Articulata est qua coarguta,  hoc est copulata cum aliquo fienfiu mentis eius qui loquitur, profertur. INARTICULATA est contraria, qua a nui lo proficifettur affccfht mentis. Litterata est qua ficribipotefl. IJ-literafa qua ficnbi nbpot. r nuenimtur igitur quadam voces articulata, qua et feribi poffitnt et intellig, ut Arma uirtemq; cano Quadam qua no peffunt feribi, intelligiinturth, ut fibili heminu et GEMITVS, ha enm voces quamus sensium alique SIGNIFICENT proferentis eas, feribi tn no poffiint Ali vero sunt qua quantus feribantur, tn inarticulata dicuntur, cum  nihil  significent, ut  coax, cr a  baseni voces quanquam intelliginuis  de qua fint noluere proferte, tamen in articulata dicutur, qma vox fut superius dixi){marticulata est, qua a Milio affvfhe profiafdtur. Alia sunt inarticulata et illitterdta, qua  nec feribi possunt nec intelligj, ut fl repitus, mugitur, et his similia. Scire autem debemus, quod has IV pecies vocum p- fidunt IV superiores differentia generaliter voct æddentes,  bina  per singulas inuictm coeuntes. Vox autem didht est vel d Uo* cctndo, ut “dux”,  “ducendo”, Uel ccto rojfioxco jsoco, ut quibufda placet  bE Lr fl pars minima uods composita, hoc efi l uods qua conflant compositione litterarii, minima autem quantum ad totam comprehensionem uoas litterata, ad hanc enim etiam produrtauoctiles hreuiffima partes inveniuntur, vel quod omnium est brevissimum eorum quzdiuidi possunt, id quod dividi non potefl Vcffumus et fic definire Littera e nox qua feribi potest mdiuiduauicitur autem littera vel qudfi. 5  lenter d, eo quod U<gndi iter prabeat, ue[atuaris (ut quilufda pia cet) qubdplerunq>in caratis tabulis antiqui fcrilerc [oletans  et pojha delere-Litteras aut, etiam elementorum vocabulo nuncu pauerunt, ad  simlitutem mundi elementorum- Sicut enim illa coeutia omne cor fu perficiunt, fic  etia  ha  conimfia  litterale  vocem  quafi  corpus  aliquod  componunt yuel magis nere corpus na fi acr corpus eji,  et nox qua ex ære icdo confiat, corpus ejfie cflenditur, quippe cum et tangit aurem, et tripartito dividitur, quod eji finit corporis hoc eji tu altitudinem, latitudinem, longitudine myunde ex omni parte potefi audiri- Vraterea tamen singula syllabe altitudine quidem habent m tenore, craffimdinem nero et latitudinem in spiritus longitudinem in tempore- Littera igtut eji ricta elementi et uclut imagp quadam  vocis litterata, qua cogmfidtur ex qualitate et fti tute figura linearu-Hoc ergo mterefl inter elementa, et litteras, quod elementa proprie dicuntur ipfie pronundationes nota autem carit littera- Abufiue tamen et elementa pro litteris,  et littera  pro  elementis  vocantur. Cum enim dicimus non poffie conflare m eadem fiyl labd-K, ante V, no de litteris dicimus, fid de pronuntiatione earum- nam quantum ad scripturam possunt coninng, non tamen etia enuciari, nifi ipojl pofitR, ut princeps, sunt igitur figura litterarum quibus nos utimur- XXUI- ipfie vero promnciationes earu multo ampliores. Quippe cum singula vocules denos mueniantur habentes fionosyuel plures, ut putaa, littera brevis IV halet fimi differentias, cum habet afrirationem, acuitur vel gravatur et rurfus cum fime aft iratio e acuitur vel graudtur – ut: “habeo”, “habemus”, “abeo”,  “abimus”- Longt vero eadem fex modis fionat, cum habet ASPIRATIONEM et  acuitur vel gravatur, vel drcunfleCHtur – ut: “hamis” hdmoru  hamus  Et rurfits cum SINE ASPIRATIONE acuitur  vel gravatur  vel ctr cunflecntur, ut  dra  ararum dra Similiter ali uoatles pofjimt proferri- Vraterea tatnen-i, &. u, uoatles quando media; fiunt alternos inter fie fionosuidetur confundere ytefk bonatofiut  vir. u, ut  optumus, Eti, quidem quando poft-u, confortantem loco digamma-V,fi<n<fhm Æolia ponitur brevis y sequcnte. d, vel. m, vel. r, ucl.t,  Uel x,  fonum-y, graca videtur habere – ut: “video”,um,  “virtus”,  “vitium”,  uix-v, autem qudnuts contrastum eundem tamen fimum, hoc efi y, habet, inter q} &-efueLiyHela, DIPHTHONGUM pofltum, ut que quis qua- tenon inter. gt& ea fidem uoatles, cmi in una siyllaba fic  imenitur, ut  pingte sanguis fiingtta . In  confortantibus etiam fiunt differentia plures, trdnfeuntmm in alias consonantes et non tran femtium, quippe diversie firmi potefiatis.  L tL   a iij  Ccidit igitur litteræ nomen figura,poteffas- Uomen uefo a ti. a. b. c. Et fiunt mdechna ilia, tam apud græcos elemetorum nomina,  qudm  APVD LATINOS sive p a barbaris inventa dicuntur, sive p simplicra hæc Z7‘ fktlilia esse  debent, qudfi fundamentum omnis do firmæ nnmvbile, sine p nec aliter apud iatmos poterat esse, cum a fias uoabus uocztles nominen tur, Saniuocales vero in se definant, Mutæ autem a fi incipientes uo- atli terminetur, quas fiflefkts SIGNIFICATIO quocp nominum una eud- nefcit vocales igitur ut difhtm efi per fi prolatæ nomen fuuofien dunt. Semivocales vero ab.e, incipientes, &in je terminantes. A bfip x, que sola ab. i, incipit per anafirophen gracct nominis. xi. quia necesse fuit, cum fit fiemt uocalts, d uoath vnapere, Zjin fe terminare. quæ. x, nou\ ffimcd LATINIS afjumptaypofi omnes ponitur litteras, qbus, LATINA dichones egent p autem ab. i, incipit eius nomen, ofhmdit eti, am SERGIO in commento quod scripfitm DONATO kisuer bis. Sunt,  VII semivocales, qu<e  ita  proferuntur, ut inchoent ab. e, littera, et definant innatur ale sonum, ut f l. m-n. r. s. x- Sed. x, ab. i, inchoat. \d  >  etiam Eutropius confirmat dicens. Una duplex. x, quæ ideo ab.i,m  cipit, quia apud græcos in eandem definit. Mutæ autem d fiincipientes, Z^m-e, uoculem definentes ^x cæptis. K^t. quarum alteram a, altera in. u finitur, fua confiant nomina. H, enim  aspirationis magis est nota. Figuræ acadunt quas videmus in  singulis litteris Tote  jhs vero ipsa pronuciatio, propter qua,  et figura ZTiwia fiunt ficht .  Quidam  ena  a  dunt  ordinem  fied  efi  pars  pote  fiatis  litterarum. Ex  his  uocules  dicuntur, quæ per fe noces perficiunt uel fi ne quibus uox litteralis profirn non pote fi, unde et nomen hoc præcipue fibi defe dunt. Cæteræ enim quæ cum his proferuntur confortantes appellantur. Sunt igitur voaules numero V: A E I O U utimur etia. y, grgeorum cuufia nominum. Q onfonantiu aliæ fiunt fi mino cedes, aliæ mutat. Semiuocales fint ut plerisp  LATINORUM placuit fiptemfil- m n- r- s. x. Sed-f. multis cfienditur modis muta mazis, de quatpofi docebimus Z, quoque utimur ingruas dcthonibushæ ergo, hoc efi fi- miuo cules, quantum uincuntur d uoculibus, tantum fi p erant mutas, ideo apud græcos quidem omnes dichones, uel in uocules uel in fimi- t:ocUlcs, quæ fecundam habent euphoniam, defiment, quam nos SONORITATEM onoritatem pofjimus dhere, APUD LATINOS autem, ex maxima parte, no tamen omnes. Inveniuntur enim quædam etiam m mutas definetes. Semivocales autem furit appellata, qua plenam  vocem non habent f ut fetnideos et femiuiros appellamus, non qui dimidiam partem habent deorum, vel uirorwmfed qui pleni dij uel uiri non fmt Reliquæ funt muta, ut quibufdam u\detur, numero IX: B C D G H K P R S T. Et fnrvt: W1 wn bene hoc nomen putant easaccapi[fy cumba quoq; partes fintuoctsqui nefiunt,<p ad comparationem ue ne sonantiwmita funt nominata, uelut informis dicitur mulier, non qua atret forma, sed qua male est formata y et frigidum dia mus eumynon qui penitus expers efl atlons, sed qm minimo hoc utitur. Sic igitur mutas, non qua omnino noce atrcnt fed qua exiguam parte muods habent. Vocales autem APUUD LATINOS omnes fmt anapites, vel LIQUIDA liquida hoc est qua fialemodo produci f modo corripi pojfunt, Sicut etiam apud antiquiffimos erant gr acor uni ante muentionem  quibus inuentis. t, &o, qua ante  anapites erant reman, ferunt perpetua breues, aim earum produdhtrum loca poffcfft fint d fupradiths uoatlibus semper longis. Sunt etiam in confonantibus lo ga, ut puta duplices. xy&.Zr Slrut enim longa vocalesy ficha qucq; longam fidunt jy liabam. Sunt similiter in confonantibus anapites vel liquida ut. L y &-r y qua modo longam modo breuem pofl mutas pofita m eadem syllaba fidunt syllabam his quidam addunt non irrationabiliter m, &my quia ipfe quoq; communes fidunt  syllabas pofl  mutas pofita yquod  diuerforu confirmatur aufhritate  tamgra eorum, q  latinorum .  ouidius  in  deamo  Metamorphofeos. Vifcofimq;  gnidon.gr  auidamq, ;  Amathunta  metallis.   »  Euripides  iit  Vphoemffis .  /Wr#i  tro c/t  hoc  pidjuov  tio'punr.   In  cifdem .  xxax ojuitrSot.Jdco  hocmo  cmtofeis  tihvov,  apud gracos  fnnenitur  tamen. myante.n,pofita  nec  producens  ante  fe  uoctilem  mo  re  mutarum -Callimachus rcofjutv  o  juvturx  pætos  ialiud  habet  nrec  littera  femiuoctihs,nifi  nominis  prolatione,  epire  duo(yili  incipit.  Sed  h.ec  pote  flatem  mutare  Iit  ter  re  non  deluit,  fi  enim  effet  femiuoculis  yneaffario  terminalis  nomlnu  inucniretur  quodminime  repencs.nec  anted,  uel.r,  m  eadem  fyllaba  poni  poffet, qui  locus  mutarum  efr  duntaxat.nec  communem  ante  eafdem  pofita  faceret  fy  liabam.  Vofiremo  grrect  (quibus  in  omni  dottrina  auflvnbus  utimur)  hic  quoq; error  d  quibus *=  dam  antiquis  græcor  um  grammaticis  inna  fit  latinos,  qui.  fi  alia  ideo  littera  efl  exifhmanda  q>c,debet.gyqncq;  cum  fimiliter  pr reponitur. u,  amittenti  uim  litterre  alia  putari y  et  aha  cum  id  non  facit rdicimus  enim  anguis  ficuti  quis,  O4  ruignr  fi  cuti  cur.  v  nde  fi  uelimus  cu,  ueritate  contemplari(ut  diximus )  non  plus  quam  decem  &ofh  litteras, in  latino  farmene  habemus,  hoc  cflfadeam  antiquas  gr  re  eorum  &.fy&.x,pefka  additas eas  quoq;  ab  eifdem  famptas.nam  y  y&.^grrecvrum  afufia  nominum  (ut  fapra  difhun  efl)  afamimus.H,  æro  affirationis  efr  nota  y  et  nihil  aliud  o.tbct  litterre  nifii  fgurdm/j"  q>  in  uerfa  firibitur  inter  alia*  litteras.Qjeod  fi  fa faceret  ut  elementum  putaretur,  nihilominus  quo  rundam  enam  numerorum  figuræ, quia  in  uerfiu  inter  alias  litteras  feribuntur, quanuis  eis  d  familes  fint, el ementa  fiunt habenda  fadmis  nime  hoc  efi  adhibend-ctn,  nec  aliud  aliquid  ex  accidentibus  pro f   prutatem  oflendit  Umufcuiufq;  elementi,  quomodo  potefh,qua  .Uret  affirationeqenim  uoaths  nec  confotum  ejfe  poteflnoculi$  non  e  fi.  b^quia  dfieuocem  non  fit,  nec  fiemiuocuhs  cum  mlla  fyllaba  latinauel  grceafper  integras  dittioes  in  eamdefnat,  nec  muta  cum  n  eadem  fyllaba, cum  duabus  mutis  bis  ponitur,  ut  phthius,  Erichtho =  tiius-nulla  enim  fyllaba  plus  duabus  mutis  poteftbabere  iuxta  fe  po  fitts,nec  plus  tribus  confonantibus  continuare  authritus  quoq;  tam  Varronis  q  Macri, teflv  Cenforino,ncc-K,necq,neq;.h,  in  numro  adhibet  litterarum -Videntur  tamen  i,gy-u,cum  in  conlonantes  tra  fiunt  quantum  ad  pote  flatem, quod  maxrmum  efiin  elementis, alite  litterte  ejfe  pr teter  fifpradidkts -multum  enm  inter  efi  utrum  uoctiles  fint  an  confonantes-ficut  enm,  qnanuis  in  uaria  figura,  g?  uario  fwmine  fint-K,gy.q,gj*-c,  tamen  quia  u/nam  um  halent  tam  in  metro  q  in  fono,  pro  una  littera  accipi  debent,  fle. i,  &-u,  qnanuis  unum  twmcn,g?  unam  habeant  figuram,  tam  uocules  q  con^onan  tes, tamen  quia  diuerfum  j'onum,gj*  dmerfim  umhabent  in  metris,  g?  in  pronuntiatione  fy  liabar  um,  non  fiunt  in  ei  fidem,  meo  iudicio,  (lententis  acapiendte-quanuis  et  Cenjbri/w  dothfjlmo  artis  grammaticæ  idem  placuit. multa  enim  cjl  differentia  inter  confortantes,  ut  diximus,  gruocttlcstantum  enmflre  interefi  inter  uoculcs  gj*  confionantes, quantum  inter  animas  g?  corpora, anim.e  enim  per  fi  mouentur,ut  philofophis  uidetur,gj*  corpora  monent, corpora  uero  nec  per  fe  fime  anima  moneri  poffunt, nec  animas  monent,  fid  ab  il  Its  moucntur. Vocales  fi  militer  g?  per  fi  mouentur,  ad  perficienda  fyllabam,g?  confionantes  mouent  fecum, confionantes  uero  fime  uoculu  bus  immobiles  fintEt-J, quidem  modo  pro  fi mp lici, modo  pro  duplici  accipitur  confonante-pro  fimplici,  quando  ab  eo  incipit  syllaba  in  principio  dithonis  pofita,  fiubfiquente  uocztliin  eadem  syllaba, ut  luno  Juppiter  .  pro  duplici  autem  quando  in  medio  diflioms  ab  eo  incipit  fyllaba  pofiuoatlcm  ante  fi  pofifom,  fu  fiquente  quoq;  uocttli  in  eadem  fyUab a, ut  maius, peius,  eius,  in  quo  loco  antiqui  folebant  geminare  eandem-i,l\tteram,gT  maijus,peijus,eijus  feribere,quod  non  aliter  prominctari  poffet  quam  fi  cum  fitperiore  syllaba  prior  I,cum  fiquente  altera  proferretur, ut peijus,cijus,tnaijus,  gy  duo. ij,  pro  duabus  conjonantibus  accipiebant. nam  quantusT,fit  confonans  incadcm  syllaba  geminatninngi  non  poffet.  ergo  non  aliter  quam  tellus,  mannus  proferri  debuit. unde  Pompeiij  quoque  genitiuum  per  tria-i,  antiqui  feribeb aut, quorum  duo  fiperioraloco  confonatium  accipiebant  jit  fi  diats  Pompeiij,  nam  tribus  ili,  iunchs  qua^  lis  poffet  fyllaba  pronuntiari  ?  nam  poftremum  -l, pro  uocttli  efi      atcipienc lum  .  quod  Ci  ^vuorotv  Fouiv.Ep enim  h exametr u/m heroicum, apud  latinas  quoq;  hoc  idem-u,inuenitur  pro  nihilo  inmtris,&  maximo  apud  uetufb.fpmos  comicorum, ut  Terentius  in  Andria M  sine  muidia  laudem  inuenias,Et  amicos  pares. eft.niamicum  trimetrii, quod  nifi,pne  mui,pro  tribracho  accipiatur, fhtre  uerfus  non  potejl.jciendu  tamen  q>  hcc  ipptm  Æoles  quidem, ubiq;  loco  ajpirationis  ponebant  effligentes  ffnritus  affcritatem.nos  dutmmultis  qui  dem,non  tamen  m  omnibus  illos  faquimur,  ut  cum  dicimus  ueffera,  uis,uejhs. hiatus  quoq ;  atupt plebant  illi  mterponer e -F, digama, quod  ojhndunt  et  Poetæ  Æolidæ  up,AlcmanxsH  X" yocrrJ pn  Mio/  et  'Epigrammata, qu£  egmctleg  m  tripode  uetujhfprrw  Apollinis  qui  pat  in  Xerolopho  Byzatq pc pripta/nyoan  fubiungi^nde  Æoles  loco(ut  diximus) afpirationis  digamma  ponentes  in  dictionibus  ab -p Rapientibus  j olent  loco  digam  ma-B  fcnbere /ududntes  debere  præponi  diyrtmma  qua.fi  uoathfeA  rurfis  quafi  confonanti  digamma  in  eadem  fyllaba  preepenere  re cu j, 'antes,comutxoant  id  in-Bfiparcop  fcpo Condicentes  Sed  apud grte  cos  hxc  littera /idzji,p -multis modu fungitur  loco  uoculif,ut  in  decli  natione  nondnum  in,pcc,&  in  a  puram  dcfmentum,qut  luxus  pro  w  i  os, et  publicus  pro  TouvMHor,  trismphus  pro  dpfocyfros,  gubernator  pro  HvfitpvSx  rnr,  gobius  pro  inofcio,  Cære  *Vj'  toJ  %oupi  puniceus  c.  quduis  m  trilus  folis  mueniantur  nominibus  quæpoffint  declinari,hoc  idem  firuant,ut  caput  rapitis,  &ab  eo  copojita,  Ut  finciput  fi 'napitis, occiput  occipitis, alec  alecis, lac  l albis, in  quoetia  t. additur quare  quibufdam  non  irrationabiliter  nominatum  hoc  lath  prolatus  inuenitur. Reliquæ  uero  cojonantes  mutantur, uel  ab ij  cimtur-d-ut  aliquid  alicuius  an. ut  templum, templi, peliumpelij-f  Ut  magnus  magni-x-rex  regis, nix  niuis-ln  uerborum  qucqipræte *=  ritis  p er fettis  jolent  omnes  modo  mutari  modo  manere,  cxcæptis-L  p.fx    enim  nunq  mutantur, ut  habeohabui,  iubeo  iuffi,compefco  compefcHi,dico  dixi, afcendo  a fiendi, lædo  Ufi, lego  legi,  pingo  pinxi, demo  dempfi, pr  emo  presfi, moneo  monui, fi  no  fui,  nequeo  nequi  ui, torqueo  tor fi, differo  differui,uro uffi,uertouertiftedv  flexi. \llæ  au  tem  quattuor  ut  fiupra  diximus  nuquam  mutantur,  mpræterito  per  fiflv.l.  ut  cælo  cælaui,doleo  dolui,uolo  uolui,  mollio molhui.p .turpo  turpaui,ftupeoftupui,fadpo  fiulpfi,  lippio  lippiui.fiquaffo  quaffik  ui, cenfio  cenfiti-arcefjo  arceffim-x-nexo  nexui. Voatles quoqiin  eifde  præteritis  perfiflis  quæm  principalibus  fy liabis  mueniwntur  uerborum, modo  ex  correptis  producuntur, modo  mutantur  in  alias  uo cales, modo  manent  eæde-Troducuntur  plemnq omnes, ut  fiiueo  fani,  ctiueo  cdui,  fedeo  sedi,  /ego'  legi,uideo  nidi,  moueo  mom, fbueo  fo  ui, fugio  fugi .  Mutantur. a,  &. e-a. quidem  in. e. medo  produ&tm  modo  correptam.Vrodu(fhim,uta^p  egi  capio  cepi  facio  faa.fi  ango  fregi. correpta, tango  tetigi, cado  cecidi, parco  peperci .  E. uero  tranfitm.i.ut  eo  m,ueUij.Solinus in  colledhtneis  uel  polyhijhre.  Tatius  in  arce  ubi  nuc  ædes  efl  xunonis  Monetæ,  qui  anno  qntv  q  mgrefptsurbem  fuerat  a  lauretibus  inter  e  p  tus  efl,/eptima  &uiqvffinia  olmpiade  hominem  exiuit.Qjteo  quiui  uel  quij. Hæc  eadem  uoculis  penultima  muerbis  fi  eundæ  coniu^tiois  fepe  mutatur  in-u.ut  doceo  docuiynoneo  monui,  doleo  doluuquod  fimiliter  efl  quado  in  tertia  uel  quarta  coniuqntione  patitur  aut  rapio  rapui,  aperio  aperui  M.&.o>manet  in  principalibus  fy  liabis  pofitæ  immutabiles,tempo  Yimquoq ;  m  quibufdam.ut  ruo  rui,  domo  domui, doceo  docui.  Hoc  queep  olfirnandu  efl  p  mnq  in  fupradifiv  tempore  poteft  qeminari m  ]   i   i!  - n    VK UBER Wf  M  principio  ncq;  in  fine  fyllaba  ni  fi  qucedtmte  incipit ut  tondeo  totondi,  pendeo  uel  pendo  pependi,  difco  didici  f  pofcv  popofii,  tundo  tutudi, pedo  pepedi,  iungy  tetigi, c&do  eradi,  atdo  evadi,  pello  pepuli,  fxllofifilii^rodo  prodidi,  nendo  uendidi-ex  quo  etiam  ap*  paret . f .  uvm  magis  mutce  obtinere  d  quaincipiens  eft  geminata  fyllaba- Santvmutem  pofita  muenimtur  duo  uerba  epice  qeminant  fy liabam  m  prcetvrito.jb  ficti, fiondeo  fiepondi  Antiquiffnni  etiam,  fcindo  fdadi  dicebant,q>  innior er  fddi  dx  erunt,  ut  mpr&terit*  perfitfv  uerbi  ofiendemus nec  fine  ratione •  9.  ante  mutam  pofita  vnuemtur  qvminatum  uerbum, c/m samittit unn  fiiamplcnmcp,  fic  pofita  ante  mutam,  wndenec  in  fecunda  fyllaba  repetiturM -quocf  ge minatur,  mordeo  momordi,  quee  loco  nuttee  in  multis  fungitur,  nam  ante-n  pofitx  communem  fiat  fyllabam,  ut  r amnes  ramnetis,  fieut  Cremes  Cremetislamlicti  enim  fiunt  quee  fic  declinantur,  quod  Callimachi  quoque  au  thr  itato  con fi  r  ma  tu  r  in  A  ct  ijs,ficu  t  i  am  t :f  radicium  cfl  hocucrfiu  7w;  juiv  o  uvv   ante-s  .pofita  in  finali  fyllaba  nominis, more  ma  tce  interpofita  i. fiat  genihuu  hyems  hycmls,ucl  uti  inops  inopis, eoe  leis  ccehbis- Apparet  igitur, imuicvm  pro  fe  pofitee  inucniim  tur,ut  breucs,CT  longce  quee  habent  afiirationem, et  quee  atrent  ea A  lice autem per coiuqationem, uel cognationem cognatee  littorce,  0*jg  feinuicem pofitee, ut. b.p.f.necnon-g  &-c-cim  afiiratione  fiue  fine  ea-x»quoq;  duplex,  fitnilitor-d.&.t. cum  afiiratione  uel  fine  ea, et  cum  his-z-duplcs-unde  fiepe-d  feribentos  latini  hanc  exprimunt  fi  no, ut  medidics,hcdie, antiqui (fimi  qucq;Medentius  dicebant, pro tnt fentius. Qjxinenam fifimplexhabet aliquam cum fipr adi flis cognationem, unde  fiepe pro-z-eam  folemus geminatam  ponere, ut patrifjo  pro  -jri{w  pitiffo  pro  tnaffil  pro  juoc(oc-&do,  es  tj   pro V .  g   quoq;  frut  affines,  e. correpta  fiue  produdht  cum  ei  dipthongy,qHojr  ehur,  robur,  pro  ehor  robor, et  platanus  pro  'TAocTx/or.A.quoq;  cwn-c.&.i-arceo  g?  coerceo. facio  infido, nec, ion alue cum alqs.g?  quia frequenter he m  omnibus pene  litteris  mutationes  non  filum  perafus,ucl  tempora,  frd  etiam  per figurarum compofitxones, uel  denuationes  gj*  tranjlationes  d  grreco  in  latinum  fieri  filent,  neceffarium  efi  e  arum  po  nere  exempla. A.  correpta  conuertitur in productam,  faueofdui,  In.  e .  correptam parco  peperci,  armatus mermis.  I n  e.  produ {ktm  facio  feci, apio  cepi producta  quoque- a. im. e .produ  pleraq;  nomina  qu^e  cum  uer^is  fiue  partiapijs  componuntur, uel  nomiruttiui  mutant  extremam  fy liabam  in-i.cor  reptam, ut  arma  armipotens, homo  homicida, cornu  cor  niger, fivlla  fhlliger, arcus  araten es  fatum  fatidicus, nurum  nunfrx, aiifa  ctiufidicus  fadhts  lucificus, cornu  cornicen,  tuba  tubicen,  fidis  fidicvnfi^  des  plurale, cuius  ftngulare  fidis  eft, unJe  etiam  diminutiuum  fidi =  cula-tibia  tibicen, pro  tibfan,  tibia  enim,  a-md-debuithmitare,  ut  fit  praditfhtm  eft,unde pro  duabus- vj.breuibus  una  logafadla  ep\c[Uod  in  alia  huiufremodi  compofihone  non  muenies .  uulnus  uulm ficus,  magnus  magnificus,  amplus  amplificus,  fruflas  fruflificus,  opus  opifrx  uel  gemtna .  ut  uir  uiri,  umpotens,  par  paris  parrict =da  quod  uel  a  pari  componitur,  uel  ut  alij  dicunt  d  patre  .  ergo  fi  efi  d  pari-r-euphoni£  dufa  additur,  find  patre  .tdn r. convertitur,  quilufdam  tamen  d  parente  uidetur  cffc  compofitum,  g?  pro JLIBER   farentidda  per  fyncopen, et  commutationem -t.fn.r.fadbitn  parn  eida  frater  fratris,fr  atruida  foror  for  oris,  foror  icida,  lux  quoqj  lu *  ets  lucifer, flo;  floris  florifer,  fdcer  facri  facnficus,ars  artis  artifix •  p aucti  fwit  quce  hanc  non  [eruant:  regiam,  ut  auceps,  anes  atpiens0  mtnceps,mcnteatptus,municeps  munera  cupiens,  au^his  augufius  [milia •  &qute  ex  duobus  nominanuis  componuntur, ut  puta  tufiu randum,refpu.non  tnutant  extremam  fy liabam, fid  ea  cum  defigu*  ris  dicemus  latius  traifhtbimus.  O, aliquot  Italia? ciuitates  tefce  P linio,  non  habebant,  fed  loco  eius  ponebant. u .  et  maxime,  Vmbri,  ojs  bos. modo  pro .  u  .loga, ut  probus  mus,  modo  pro  correpta  to' pepv pa  purpura.  In  plerisfy  tamen  £oles  ficuti  hoc  faarrns.  I Ui  enim  OQvycin?  dicunt  pro  Suyxrvp.oj.cor?/    M   »3 5) PRIMVS  ripientes,Uel  magif.v fino-u. jbliti  pronuntiare,  ideoq;  afcribunt  e .  rwn  ut  dipbthongum  faciant  ibifid  ut  fo  iumu.  colicum  ofiendanf  Ut  Callimachus  HX\hi%tafv  %6oviF,ojpi'xs  SouyxTup.  Qjsod  nos  fi  cuti  u, modo  correptam  modo  productem  halemus,  qua  usis  uidcatur-oJ -diphtkoYKg  fanmi  habere .  Pro .0, cpiocp.au,  joletrt  frequenter  ponere  greeti  oj pos  oj aos  pro  5  poto  hos, voj  iantemytero  trimfiro  feui.in.n,  ancus  pro  areus-S-in  metro  apud  uetufhffitrws yubn  fiam  frequenter  amittit . VIRGILIO (si veda)  in ENEIDE, Ponite  fies  fibi  quiscpidem  in-xiu   ^  inter  fe  eoijjfe  uirosymmmetur  tibi  terebrum,  mn - mittiturspinguis  fangninis.  in .  r.  flos  floris,  ius  iuris,curfts  amiculus,  «e/  curriculum -inx  aiax  pro  ausgr  pi  flrix  propiftris-in  quo  fequimur  dores.ilh  enim  o pvtE  pro  opvis.  mdcujks  cujbdis,  pes  pedis,prafes  pr a fidis,  palus  paludis .  in .  t- nepos  nepotis,  uirtus  uirtutis,famnis  famnitis .  in-u.  condonantem  bosbouts .  /ape  pro  afbiratione  ponitur  m  his  dictionibus  quas  d  gracis  fump fimus,  ut  /emis,  fex,-feptem,fefal.  nam  ijulv.  eA/.  t  vtd  .  e .  «Ar  .  rfjwd  illos  aspirationem  habent  m  principio .  adeo  autem  cognatio  ejl  huic  littera  idefi-s,  cum  afbiratione  }quoa pro  ea  in  quibufdam  dicionibus  [olebant  bceoti  idefi  pro-s-h-fcnbere,  nudi  a.  pro  mu fi, dicentes -huic- s.prapcnitur-p. et  loco. ‘b-grace  fungitur, pro  qua  claudius  Cafar  antifigma X  hac  fiqaira  fcnbi  noluit  fed  nulli  susfi  funt antiquam  feripturam  mutare,  quamuis  non  fine  ratione  kacpuoq;  duplex  d graas  addita  uideatur,  nam  multo  meliorem,  et uclubiliorem  fonitum  habet-^.qudm-ps.uelds-ha  tamen  ideft.bs  non  alias  debent  poni  pro  ^ -hoc  ep  in  eadem  fyllaba  coniunfla,mfi  m  fine  nominatiui, cuius  gimtiuus  m  bis  definit, ut  urbs  urbis, coelebs  coelibis,araps  arabis -Sicut  ergo-^.  melius  fonat  quam  ps-uel.bs.fic .  x-etiam  quam- gsuel.es -&-x- quidem  affump fimus -i- autem  non •  fed  quantum  expeditior  eft-^-qudm- ps. tantum  ps-qudm  bsideoq ;  twn  irrationabiliter  plerisqsloco  uidetur  .^.ps -debere  feribi, quod  de  ordine  litterarum  docentes  plenius  traChtb imus -xduplex  modo  pro  es.mvdo  pro-gs. accipitur, ut  apex  apicis,  grex  gr  e  gps,  tranfit  tamen  etiam  m-u-confonantem,ut  nix  niuispiecmn  in.  61. ut  nox  no5hs, fu pellex  fupellefUhsSedhac  contra  regulam  declinari  nide ntur-fubit  etiam-x. littera  loco  aflpirationisfut  uehouexi  traho  traxi-x-uertitur  in-f.  ut  efficio  effero. et  /ciendum  cp  quoticfuncp .  ex  prapositio, Konitur  compofita  didonibus  duocahbus  incipientibus,uel  ab  peattuor  confonantibus,  hoc  eft.c  -p.t.sintegra  manet,  ut  exaro, exeo,  exigo,  exoleo,  exuro,  excutio,  expeto  f  extraho,  exe=  quor,exfpes,in  quo  uidenmr  contra  gracormn  facere  conflatu =  dinem-illi  enim. a . sequente  nunquam præponunt,  fcd-n pro  ea  tuttK$ot!ri! .  melius  ergo  nos  quoq;.  x  . solam  ponimus,  que  locum  obtinet,  es- cuius  rationem  nonfolum  ipfefonus  auriu  iudido  pof  fit  reddere,  fed  etu  hoc  f  qemituiru  s-Jifta  confonante  a madente   b  ij    LIBER. minime  potefl -geminari  autem  indetur  pofr  confortantem -s-x*  antecedente,qu£  loco-c.&.sfrinqjttcr  fi  tyfia  confequatuT,ut  exfrquia  ex [e^uor -quod fi  liceret, licebat  etiam  pejt -bs, uel- ps. quas  loco dupli  as  acapnnus  adderes, ut  dicer enm  objfiffus, abjfichts,  quod  minime  licet -nunquam  ennn  necs, riec  aha  conjonans  geminari  potest,  ut  diximus, alia  antecedente  confionante-nunc  de  mutis  dicrmus-B tranfit  in  egit  occurro  fiuccnrro,m  f,ut  opfido,fifficto,fiffio,in-g,ut fuggro,  in-myut  fivmmitto, globus  glomus, in-p, ut fiuppo/io, nj-r, ut  fitrnpio, ar  rtyio, ms,ut  luleo  iufp-nam  fiifdpio et  fijluli  d  fitfrum  uel  fiurfium  aduerbio  compofiite  fiunt,  wnde  fiubtinnio  et  fihbcumlo  non  mutauem  runt-b-ins fijpicor  quoque  fiffido  d  frufim  uel  fiurfibm  cvmponantur,  fed  abqdum  urnam  s -non  enm  didamus  fufjjnao  fedfiujpU  do,quia  non  potejl  duplicar  i  conjonans  alia  fu  pquente  conjonante,  quomodo  nec  antecedente,nifi  fit  mutuante  liquidam, ut  fiupplex  ptf*  fr agor fi\\fifio,€ffiuo,efifirmts,fed  notam  afeirationis,  quam  gr  æcorum  antiqulffe.m  fimiliter  ut  latmi  in  uerfe  fer  ibebant, nunc  autem  diuiferunt, t dextram  eius  p artem  fefra  litteram  p onente;, pfilen  notam  habent, quam  Remnius Palcerrwn  exilem  uocut.  Griliuis  nero  ad  vir gtium  de  accentibus  fcriben;, lenem  nominat,  finijlram  autem  con *  trarix  illi  afpirationi; da fiam, quam  Grillus  flatilem  uocrtt-K-fef  ertutata  eft,ut  fefra  diximus,  qu^e  quatmis  feribatur  nullam  aliam  uimhabet  quam- c. De-q- quoq ;  feffidenter  fefra  traflntum  efl,  binos  phthongosyhocefi,uoces  comprehendunt. nam  finqul d,  ut  [ScPihv po ? bdellium  genus  lapidis,abdir, aldomcnfmygdonides.C,  uero  Zr-p, proponuntur  fequcnte.t }ut  a{htsylc£hisyaptusydiphthon  gus.  Semiuoczths  nulla  proponitur  mutis  nifi.s,  fequete.b, ut  afbejhfs  ajbufivs cfuelqyut  fcutii  fquallor  .p  yut  [pes  /phatra tjhtfusfihenni- us-Ante  alum  autem  nullam  nuitur um.  Mutby  magis  fiuperio ns  ejl  jyilaba:.  cnyc nidus. dnyadnus  ariadne.  gnygneusanyatna.  pn,  therapnefpnus.  brybrennusyumbra.crycreber-drydrances.^rygratusfr, frater- prfratum.trsracfhts.  Ante. mydutmuetiiutur-c.d.g.t*  ut  py  r  a  cmony  alcrneneydragmaydmoistadmetusyagmeytmolus, ifi  mos.  T  res  aut  confio  nates  no  aliter  pcjjimt  iungi  in  principio  fiyllabce  nifii  fit  prima. syucl.cyuel  py fecunda  pofi.syquidcm.cyuel.tyuel.p.  Tofit.ct  aute  aut- p,prma pales  fiainda.tytertialHchrfd.lyin  fiohs  illis  quee  ab.symapiunt.ut  A fclepicdotus,  fiyiba fitlopus fylendidus,  fretus .  Ingratas  etiam. debcthahere0  Utpfitacns, pfiudolus,  ipje,mbo  quccp  mp fi, scribo  scnpfi  faciunt,  quanuis  analogia  per  -b, cogat scribere,/edeuphonia fuperat,  qua  etiam  nuptam  non  nubtam,  et  scriptum  non  scribtum  compellitper-p,non-b,dicere  et  scriberePROBI INSTITVTA ARTIVM. M  R.  PV.  Vox  sive  soDus  est  ær  ictus,  id  est  percussus,  sensibilis  auditu,  quanlUDi  io  ipso  es(,  hoc  est  quam  diu  resonat.  nunc  omnis  vox  sive  sonus  aul  articulata  est  aut  confusa.  articulata  esl,  qua  homines  locuntur  et  5  lilteris  conprehendi  potest,  t  puta  ^scribe CICERONE (vedasi)',  VIRGILIO (vedasi) lege'  et  cetera  UHa.  confusa  vero  aut  animalium  aut  inanimalium  est,  quæ  litteris  conprehendi  non  potest.  animalium  est  ut puta  equorum  hinnitus,  rabies  €3Dum,  rugitus  ferarum,  serpenlum  sibiius,  avium  cantus  et  cetera  talia;  inaDimalium  autem  est  ut  puta  cymbalorum  tinnitus, flageilorum  strepitus, uodarum  pulsus,  ruinæ  casus,  fistulæ  auditus  et  cetera  talia.  est  et  confusa  vox  sive  sonus  homiiium,  quæ  litteris  conprehendi  non  potest,  ut  puta  oris  risus  vel  sibilatus,  pectoris  mugitus  et  cetera  talia.  de  voce  sive  sono,  quaDtum  ratio  poscebat,  tractavimus. Ars est unius cuiusque rei scientia summa subtilitate adprehensa. Dam el  Græci  aico  TtjgciQSTijg,  a  virlute,  censebant  artem  esse  dicendam.  uDde  et  veleres  artem  pro  vlrtute  frequenter  usurpant. nunc  huius  artis,  id  est  grammalicæ, omnis  dumtaxat  Latinitas  ex  duabus  partibus  constat,  hoc  esl  ex  analogia et anomaiia,  et ideo utriusque parlis rationem sub20 iriiDus. Analogia  est  ratio  recta  perseverans  per  integram  declinationis  disciplioam,  ut  puta   hic  Catilina,   hæc  lupa,  hoc  scrijnium  et  cetera  talia;  $cilicet  (|uoniam  hæc  nomina  sic  per omnes  casus  secundum  sua  genera in  derlinalione  perseverant,  sic  uli  est  analogiæ  rccta  declinationis  disriplina. PROBI  GRAMHATICI DB   VIII  0RATI0NI8 MBMBRI8  ARS  MINOR. DB  VOCE   V   Ci COdtParisinus incipit  tractatosprobi  granmatici  de  uocb  codex  Parisinus DE  TocB  fi:  cf.  PrUeian.   conl.  Prob.   ed,  Find.,  Pompei. ed,  lixd.  conl.  Prob.   ed.  f^ind.  4  omnis  R  communis  r ruditus corr,  ragitus  R  rndttus  rv  serpentum  R  serpentium  rv scrioium  rv  scriptam  R analogiæ  recta  R  analogia  recia  r  analogia  e  recta  v. Anomalia  est  misrcns  vel  inmutans  aut  deficiens  ratio  per  declinationem.   De  miscente.  miscens  anomaliæ  per declinalionem  ratio  esl  ut  puta ab  hoc  altero,  huic  aiteri;  scilicet  quoniam quæcumque  nomina  ablativo  casu  numeri  singularis  o  littera  terminanlur,  hæc  secundum  analogiæ  rectam  rationis  disciplinam dativo casu numeri singularis o iittera definiun- tur. item ab hac mula, his et ab his mulabus; scilicet quoniam quæcum- que nomina ablalivo casu nueri singularis a littera terminantur, hæc secundum analogiæ  rectam  ralionis  disciplinam  dativo  et  ablativo  casu  numeri  pluralis  is  litteris  definiuntur.  item ab  hoc  iugero,  horum  iugerum;  scilicet  quoniam  quæcumque  nomina  ablativo  casu  numeri  singularis  o  liitera  terminantur,  hæc  secundum  analogiæ  rectam  ralionis  disciplinam  genetivo  casu  numeri  pluralis  orum  litteris  definiuntur. sic  et  cetera  talia, quæ  contra  anaiogiæ  rectam  rationis^disciplinam  miscent  per  casus  declinatiouuro  formas,  anomala  sunt  appellanda.   De  inmutante.  inmutans  anomaliæ  per  declinationem  est  ratio,  ut  puta  hic  luppiter,  huius  lovis.'  sic  et  cetera  talia,  quæ  conlra  analoglæ  rectam  rationis  discipfinam  inmutant  per  casus  declinalionum  formas,  anomala  sunl  appeilanda.   De  deficienle.  deficiens  anomaliæ  per  declinalionem  est  ratio,  ut  puta hoc nefas et  cetera   (alla;    scilicet  quoniam   hæc  contra  analogiæ rectam  rationis  disciplinam  non  per  omnes  casus  in  declinatione  perseveranSic  iam   et  per ceteras partes orationis analogia vel  anomalia comsideranda  est,  hoc  est  ut,  quæcumque  pars  oralionis  neque  miscet  neque  inmutat  aut  deficil  per  deciinalionis  disciplinam,  ad  analogiam  pertineat,  quæ  vero miscet  vel  inmutat  aut  deficit  per  declinationis  discipllnam,  anomala  sit  appellanda.  nunc  etiam  hoc  monemus,  quod   analogia  maximam  partem oralionis contineat, anomalia vero  aliqnam.  de  anomalia  et  analogia,   quantum  ratio  poscebat,  tractavimus. Liltera  est  elementum  vocis  articulatæ.  eleroen{|tum  autem  est  unius  cuiusqi.ie  rei initium,  a  quo sumitur  incrementum  et  in  quod   resolvltur. accidit  uni  cuique  lilteræ  nomen  figura  polestas.  nomen  lilteræ  est  quo  appellatur.  sane  nomen  unius  cuiusque  litteræ  omnes  artis  latores,  præcipuequc  Varro,  neutro  genere  appellari  iudicaverunt  et  aptote  decllnari  iusserunt.  aploton  est  autem,  quando  nomen  per  omnes  casus  uno  schemate  declinatur, ut  puta  hoc a, huius a, huic a, hoc a, o a,  ab  hoc  a. sic  et  ceterarum  lillerarum  nomina  genere  neulro  aptote  et  numero  tantu esi  inmiscens  liv neqne  inmiscd  Rv sit]  sunt  Rv orationis  o  rationis  R in quod v et Diomedes in quo R p. 1U. R. V.  siflgulari  declinanda  suBt.  figura  litteræ  est  qua  notatur  et  qua  scribitur. polestas  litteræ  est  qua  valet,  hoc  est  qua  sonat.  nunc  omnes  Latinæ  litteræ  dumtaxat  sunt  numero  XXIII.    nominantur  Tocales  semivocales  el  mutæ.  sed  semivocales  et  mutæ  appellantur  consonantes.  sane  qnærilor,  qua  de  causa  semivocales  et  mutæ  consonantes  appellanlur.  hac  de  et  causa,  quoniam  coniunctis  iliis  vocalibus  sic  nomina  earundem  consonanl.  sed  cum  ad  ipsas  litteras  pervenerimus,  iliic  quem  ad  modum  coniunctis  illi.s  Tocalibus  nomina  earundem  consonent  conpetenter  tractabimus.  Vocales  litteræ  sunt  numero  quinqu.    per se  proferuntur,  hocio  est  ad  vocabula  sua  nuliius  consonantium  egent  societate,  ut  puta a e i o u,  et  per  se  syKabam  facere  possunt,  hoc  esl ut  ipsæ  inter  se  tantum  modo  misceantur  et  syilabæ  sonus  efficialur,  ut  puta  ua  ue  oe  au  ui  ia  et  cetera  lalia.  Iiarum,  id  est  vocalium,    duæ,  i  et  u,  transeunt  in  consonantium  poteslatem  tunc,  cum  aut  ipsæ  inter  se  geminantur,  ut  luno  viator  15  rultus, vei quando cum aliis vocalibus  iunguntur,  ut  vates  vecors  iam  vos  maiestas  maior  et  cetera  talia.  nunc  quæritur,  quando  i  vel  u  litteræ  loco  consonantissint  positæ,  vel  quando inter  vocales  accipi  debent  quare  hoc  monemus,  ut  tunc  i  vel  u  loco  consonantis  accipiantur,  quaudo  præpositæ  vocalibus  in syllaba  scilicet  sua  inveniuntur;  quando  vero  subiectæ,  et  ipsæ  vocales  iudicenlur:  ut  puta  iu,  utique  i  nunc  loco  consooaDtis  et  u  loco  vocalis  accipitur;  item  ui,  utiqueu  nunc  loco  consonantis  et  I  loco  II  vocalis  consideratur.  sic  et  iuxta vocales  alias,  si  i  vel  u  litteræ  in  syitaba  sua  præponuntur,  vim  consonantium habere iudicantur; si vero subiciuntur, vocalium loco funguntur. Semi-vocales  consonantium litteræ sunt  numero septem. hæ  secundum  musicam  rationem  per  se  proferuntur,   hoc  est  ut  ad  vocabula  sua  nullius  vocalium  egeant  societate,   ut  f  1  m  n  r  s  x. at  vero  secundum  metra  Latina et  structurarum rationem subiectæ vocalibus nomina sua  ao  elficiunt,  ut  ef  el  em  en  er  es  ex.  sed  per  se  syllabam  facere  non  possunt,  sciiicet  quoniam  semivocales  litteræ,  si  inter  se  misceantur,  sonum  syllabæ  facere  non  reperiuntur,  ut  puta  fl  ms  rx  ns;  et  ideo,  ut  diximus,  per  se   semivocales syllabam facere non possunt. ex his autem, id est ex semi  vacuæ R  misceat r miscel corr. misceat R.  R. 34V.sonum  contiDeaDt,  necesse  est  ut  et  in  ratione  roetri  vel  musicæ plus facultatis raUoGræca quam LATINA obtioeaL sed boc in metris vel rousicis conpetenter traclabimUs. dudc et boc moDemus, quod pauci sciuDty siquidero ood semper x littera duplex sit accipieuda; sed  tUDC duplex accipieDda, quaudo subiecta syllabam coDfirmat, ut  puta dox et  6 Docs, lex et legs, felix et felics. et celera talia, siquidem tuDc et soDum duaruffi litterarum coutiDeat.at vero qqaDdo præposita syllabæ existat, noD duplex sed simplex est accipicDda, ut puta maximus auxius: Dumquiduam macsimus aut aocsius? Et cetera talia; et ideo, ut diximus, quotieos X [[ littera præpositasyllabæ existat, simplex est supputaada, sciiicet loquoDiaro cs et gs litteræ geroinatæ, si vocalibus præpooaDtur, numquam sonum syllabæ suscitabuDt de litteris, quaoluro ratio poscebat, tractafimus. Etiaro de syllabis, quouiaro dod brevis ratio est, ideo alio loco cod- i6 petenter cum roetris tractabimus.  Partes orationis sunt VIII: nomen, pronomen, participium, adverbium, coniuctio, præpositio, interiectio, et verbum. Grice: “Italians speak of ‘parola’ easier than they analise it. I play with ‘word’ and ‘sentence’. ‘Sentence’ of course comes from Cicero, ‘sententia.’ I admit that it may not be possible to provide a formula ‘Expression means …’ unless you specify the ‘syntactic type’ to which E belongs. I tried for adjectival ‘shaggy’. And even there I got into problems with the idea of a correlation, where the utterer is asked to provide a correlation of the type he has just provided!” -- Grice: “La voce e la parola”. Nicola Chiaromonte. Keywords: parola, parabola, Donatus, Priscianus, definizione di voce, vox, verbum, word, Grice on ‘word’ – Corleo on ‘parola’ --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiaromonte” – The Swimming-Pool Library.   

 

Grice e Chiavacci: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale poetica di  Gentile – scuola di Foiano della Chiana – filosofia aretina – filosofia toscana. filosofia italiana – Luigi Speranza, pwl Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Foiano della Chiana). Filosofo aretino. Filosofo toscano. Filosofo italiano.  Foiano della Chiana, Arezzo, Toscana. Grice: “Chiavacci is a good one; Italians tend to identify him with Miichelstaedter, but surely there is more to Chiavacci than an exegesis of Michelstaedter (especially to refute Gentile’s) – my favourite tracts are three: his ‘critique of poetical reason’ – a critique we were lacking! --, his little treatise on ‘man’ – and his ‘reality’ and not appearance, as Bradley would have it, but ‘illusion,’ which is related to Latin ‘ludus,’ game – His ‘philosophical studies’ cap it all!” Partecipe della stagione neoidealista italiana, fu tra i più innovativi interpreti ed eredi dell'attualismo gentiliano. Riceve l'istruzione primaria a Cortona, e quella secondaria nel liceo di Iesi. Frequenta la facoltà di lettere del Regio Istituto di Studi Superiori a Firenze, dove fu allievo di Mazzoni, e conobbe tra gli altri il poeta filosofo Michelstaedter, di cui divenne grande amico, insieme ad Arangio-Ruiz, Cecchi, De Robertis, Lamanna, Facibeni. Si laureò con una tesi sul Decameron di Boccaccio, e l'anno seguente ottenne una cattedra di insegnamento per il ginnasio inferiore.  Con l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale, C. combatté al fronte come capitano di artiglieria. Tornato all'insegnamento, nell'immediato dopoguerra vinse una cattedra per il ginnasio superiore, e iniziò nel contempo a frequentare la facoltà di filosofia a Roma, dove incontrò Gentile, col quale si laureò con una tesi su Antonio Rosmini.  Comincia a insegnare filosofia nei licei, e due anni dopo fu promosso a preside di varie scuole, tra cui Siena dove nacque suo figlio Enrico. Divenne professore universitario di pedagogia alla Scuola normale di Pisa, e insegnò filosofia teoretica a Firenze, anche la cattedra di estetica.  Entra a far parte dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Gli verranno quindi elargiti diversi altri titoli accademici e riconoscimenti, come la medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte. L'idealismo: tra Gentile e Michelstädter «Se mi domando che cosa debba al pensiero filosofico di Gentile, quale mi sembri essere il nucleo più vitale della sua dottrina, non trovo, a voler tutto restringere in una parola, risposta più esatta di questa: la dottrina dell'atto puro. C., L'eredità di Gentile, in «Giornale di metafisica». La filosofia di C. si muove tra l'idealismo attuale di Gentile da un lato, e l'anti-dialettica esistenziale di Michelstaedter dall'altro, conciliati in un'ottica spiritualista cristiana.  Dell'attualismo gentiliano egli intende rivalutare la portata atemporale dell'atto puro dello Spirito, a cui riconosce piena realtà, a differenza dell'attualità concepita come un presente situato storicamente tra un passato e un futuro illusori.  Riappropriandosi al contempo del criterio della persuasione di Michelstädter, Chiavacci ritiene che non si debba a sua volta fare dell'atto una teoria, una filosofia panlogista staccata dalla vita e dal suo stesso attuarsi, «perché deve essere essa la vita».  Gentile ha avuto il merito di elaborare una filosofia anti-intellettualistica che non si esaurisce nel concetto, ma è autoconcetto, mostrando come il mondo consista nell'autocoscienza dell'atto pensante, in cui vi è «assoluto possesso, realtà attuale immanente al suo farsi». Egli tuttavia non avrebbe compreso appieno le conseguenze di questo attuarsi dell'atto, e sarebbe rimasto a sua volta dentro un "concetto" dell'autoconcetto, cioè in una forma di mediazione logica, di costruzione intellettuale, in un logo astratto che supera e smarrisce la «fonte della verità».  L'atto invece, per C., proprio perché non può essere ridotto a fatto, cioè ad oggetto, è un atto «che sfugge ad ogni metro di criterio preconcetto, e che, per comprenderlo, bisogna rivivere dal di dentro».  Tale consapevolezza interiore che «il soggetto ha di sè senza oggettivarsi», è per C. fondamentalmente un'intuizione, un sentimento, che permea la dialettica dell'atto pensante articolata nel soggetto e nell'oggetto. Essa bensì è anche un processo mediato, da cui risulta un logo "pensato" senza cui non si avrebbe coscienza formante della sua stessa origine intuitiva, ma un pensato che resterebbe vuota astrazione, «caput mortuum, se si distacca dalla sintesi di cui vuol rendere conto, da quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e sempre nuovo, e che è l'intuizione costitutiva dell'attualità dell'io e che forse meglio si potrebbe dire sensus sui».  Essa è infine, negli esiti religiosi dell'ultimo C., essenzialmente fede.  Opere Tesi di laurea: La Commedia nel Decamerone (Iesi, Fiori) Il valore morale nel Rosmini (Firenze, Vallecchi) Illusione e realtà. Saggio di filosofia come educazione (Firenze, La Nuova Italia), concepita come una traduzione in forma propositiva del tema della «persuasione» che era stata esposta nell'opera di Michelstaedter in maniera indiretta e non sistematica come contrapposizione alla «rettorica». Saggio sulla natura dell'uomo (Firenze, Sansoni), dove il conflitto michelstädteriano tra illusione e realtà diventa quello tra natura e ragione umana, superato dalla dialettica dell'atto spirituale. La ragione poetica (Firenze, Sansoni), divisa in due parti: Il momento dell'Indifferenza, che affronta il problema della discordanza tra natura e intelletto, ovvero tra fatti e concetti, e tra questi e valori; e Il momento della libertà, che assegna alla libera creatività di una ragione non logica ma poetica il fondamento di quei valori, attraverso le dimensioni dell'arte e della religione. C. ha inoltre curato l'edizione delle Opere di Michelstaedter (Firenze, Sansoni), oltre a redigere, su richiesta di Gentile, la voce "Michelstaedter" per l'Enciclopedia Italiana.  A lui si devono poi altri due saggi sul Rosmini:  Filosofia e religione nella vita spirituale di A. Rosmini (Milano, Bocca), e La filosofia politica di A. Rosmini (Milano, Bocca). Postume Quid est veritas? Saggi filosofici, Leonardi, introduzione di Garin, Firenze, Olschki, Gentile-C.. Carteggio, Simoncelli, Firenze, Le Lettere. Grita, C., su treccani. Antonio Russo, C., interprete di Michelstaedter, Trieste. Così C. ricorderà il suo primo incontro con la figura di Gentile: «Leggendo per la prima volta la Teoria generale dello spirito, ebbi un lampo di luce, pel quale intravidi la possibilità di comprender la vita, di potervi trovare quel valore senza del quale ogni altra cosa non ha pregio» (da una lettera di C. a Gentile, cit. in Gentile-C.: Carteggio Simoncelli, Firenze).  Scheda su C. su agiati.org.  Cit. anche in G. C., Quid est veritas? Saggi filosofici, C. Leonardi, Olschki. C., Il pensiero di Michelstaedter, articolo sul «Giornale critico della filosofia italiana». C., Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, in «Giornale critico della filosofia italiana», C., Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, C., Quid est veritas? Saggi filosofici, C. Leonardi, Olschki, C., Quid est veritas? Saggi filosofici, Russo, C. interprete di Michelstaedter. Eugenio Garin, Introduzione a G. Chiavacci, Quid est veritas? Saggi filosofici, Russo, C. interprete di Michelstaedter, C. su sapere.  Gaetano Chiavacci, Michelstaedter in «Enciclopedia Italiana», Roma.Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, La Scuola, Guzzo, C. la "Ragione poetica", in «Giornale di metafisica», Francesco Valentini, Recenti studi sull'attualismo, in «Rassegna di filosofia»,  Antonio Testa, Michelstaedter e i suoi critici, in «Rassegna di Filosofia», Gianfranco Morra, La scuola gentiliana e l'eredità dell'attualismo, in «Teoresi», Vito A. Bellezza, Gentile e l'attualismo nell'ultimo ventennio, in «Cultura e Scuola», Dario Faucci, L'«attualismo» di C., in «Filosofia», Negri, Gentile: sviluppi e incidenza dell'attualismo, Firenze, La Nuova Italia, Antonio Russo, C. interprete di Michelstaedter, Campailla, in  La via della persuasione. Carlo Michelstaedter un secolo dopo, Venezia, Marsilio, Attualismo (filosofia) Gentile Idealismo italiano Michelstaedter La Persuasione e la Rettorica C.  C., in Dizionario biografico degli italiani.  L’encomiabile Bibliografia michelstaedteriana1, regolarmente aggiornata, che appare sul  sito della  Biblioteca statale isontina,  ha ormai assunto  dimensioni più che ragguardevolie,  nell’ultimo  anno,  per  via   del   centesimo   anniversario   della  sua  morte,  essa   si   è   di  molto arricchita.  Sembra, quindi, cosa ardua dire qualcosa di nuovo su Michelstaedter. Un’ulteriore problema, poi, che presenta lo studio della sua opera, sorge allorché si tien conto  che con il giovane pensatore goriziano ci troviamo di fronte ad un intellettuale  anomalo, del tutto sconosciuto in vita e scomparso in un’età in cui di solito gli altri muovono  i primi passi nella vita pubblica. La stessa sua opera principale, La persuasione e la rettorica, era destinata ad essere la sua tesi di laurea ed è  stata data alle stampe postuma; sicché il  riconoscimento tardivo e la fortuna, non solo nell’ambito del panorama culturale italiano, ma  anche di carattere internazionale, che essa ha avuto, sono in gran parte dovuti alla devota  sollecitudine di un pugno di amici, cui si deve la sua pubblicazione e quella degli altri scritti  di Michelstaedter. A loro si deve, infatti, dopo la sua scomparsa prematura, il merito di aver  sottratto alla morte la sua memoria3 Tra di essi, e sono soprattutto i nomi che contano nella ristrettissima cerchia degli amici  fiorentini, spiccano Arangio–Ruiz e  C.. Il  lavoro paziente e meticoloso del secondo, in particolare, per rendere accessibile la conoscenza degli scritti di Michelstaedter, con la sua edizione delle  Opere  (Firenze, Sansoni), “costituisce una  pietra   miliare nella vicenda storico-culturale e storico-critica del filosofo goriziano. L’edizione Sansoni di C. è all’origine del lavorio critico e interpretativo  che è seguito negli ultimi trent’anni e che non accenna ormai a declinare”   In  uno  studio su Michelstedater,  non   si  può  allora   perdere  di   vista  questa   verità;  e,  soprattutto non si può non tenerne conto. Occorre, allora, affrontare il compito di chiarire il  senso e i termini della ricostruzione del suo pensiero proposti da C.e da Ruiz.  E parlare dei due fraterni amici di Michelstaedter significa non poter passare sotto silenzio  un   autore,  Gentile, le  cui suggestioni   sono  penetrate   per  canali   vari  e   hanno  raggiunto un’egemonia ancora non del tutto esaurita  nella cultura italiana. Non a caso, con  aderenza  più o meno piena, da lui hanno preso le mosse  molti autori che poi hanno svolto  idee originali e autonome, accentuando, ripensando o rivedendo l’uno o l’altro aspetto della  sua  filosofia. Nella sterminata  letteratura critica che gravita sull’attualismo,  i due filosofi fiorentini compaiono,  sia pure con caratteristiche proprie che li distinguono dall’uno e dall’altro indirizzo d’interpretazione, come “notevoli esponenti” della sinistra (Ruiz) o della destra gentiliana (C.) Tuttavia, il loro lungo e travagliato svolgimento dell’eredità neo-idealistica, sia pure  ripensata in novitate spiritus, perloppiù non è stato mai messo a fuoco con efficacia e nei  suoi risvolti più significativi ed è stato oggetto solo di qualche timida e stentata paginaNon deve perciò apparire strano che su questi problemi e su questi autori, e in particolare  sulla loro collocazione speculativa nell’ambito del panorama attualistico, si torni ad insistere:  essi esordirono come attualisti; poi, seguirono e amarono Gentile ; non persero mai di vista  l’approfondimento  del  suo  pensiero  e  si   riconobbero   in  esso  nell’arco  di  alcuni   decenni,  giungendo  ad  un  suo  “sincero   ripensamento”.  Una  lettera di dedica a Gentile   (che   apre La   ragione   poetica,   Firenze, Sansoni),   mette  ampiamente in evidenza l’effetto che provoca su C. la  lettura della Teoria generale dello spirito come atto puro :”ebbi un lampo di luce, pel quale  intravidi la possibilità di comprendere la vita, di potervi trovare quel valore, senza del quale   ogni altra cosa non ha pregio. A questi dati se ne potrebbero aggiungere molti altri. Qui, tuttavia, per ragioni di tempo e di spazio, occorre prescindere da una approfondita analisi delle rispettive biografie teoretiche  e del contesto. E, poi, per lo stesso motivo, si rende necessaria una ulteriore limitazione del  discorso al solo rapporto C.-Michelstaedter-Gentile, anche perché Ruiz  non   ha  lasciato un grosso volume sistematico,   ma   solo volumi di   saggi;   e   quanto a  Conoscenza e  moralità,  che   già subito non lo appagava più egli  stesso  lo considera un  saggio, non un trattato; e, poi, egli è non tanto un filosofo sistematico (come H. P. Grice), quanto un fine e  colto letterato, un autore di prosa morale o di polemica anti-ntellettualistica o di discussione  su  problemi di estetica e di critica d’arte Infine, tutta  la sua opera è pervasa  sin dai suoi   momenti iniziali da una polemica coi suoi più vicini maestri: CROCE (si veda) e Gentile; invece, le posizioni speculative di C. presentano tratti più sistematici, rientrano nel grande alveo  dei   motivi tipicamente attualistici e culminano con maggior   consapevolezza ed   esiti   più  cospicui in un tentativo di rielaborazione, di compiuta espressione dell’idealismo.  Qui,  come   termine  di  riferimento   e  di confronto,   occorre   prendere  in  considerazione  l’insegnamento di Gentile negli anni in cui la sua attività didattica e scientifica trovò il suo  più maturo affermarsi, a partire a Roma. Sono, infatti, gli anni in cui si pongono le  basi di un fitto tessuto di relazioni  che  interviene a   connettere   C. a Gentile, in un  rapporto   che   diventerà   sempre   di   più   assiduo,  “amichevole   e   confidente”.  La   prima  domanda da   porsi, per  sgomberare  il  terreno   da equivoci,   è di   sapere, attraverso  l’analisi  puntuale dei principali documenti letterari, quali furono il consenso e i punti di dissenso. Ma vediamo i termini del discorso, senza perdere il contatto con i testi.  Gentile si occupa  ripetutamente di  Michelstaedter. Su sollecitazione   di  C., che si era iscritto in Filosofia, a Roma dopo averne letto i testi e ascoltato le lezioni, interviene presso Vallecchi, una delle  sue  cittadelle   editoriali, per caldeggiare l’edizione  de  LA PERSUASIONE E LA RETTORICA data  effettivamente alle stampe; in lettera a C.) chiede  allo stesso   C. di   redigere  per  l’enciclopedia  Italiana  la  voce  Michelstaedter   di 10  linee, e qualche giorno dopo decide di elevare lo spazio per la stessa voce a 30 righe. Poi, recensisce l’opera di Michelstaedter data alle stampe per i tipi della Vallecchi. Nel  farlo, tributa   innanzitutto   elogi   all’iniziativa   ad   opera   di  un  fido   gruppo   di   amici di  Michelstaedter; rileva  subito  dopo che   si   tratta di  uno   scritto giovanile  in   cui non  c’è   un approfondimento metodico degli argomenti trattati, e né un loro sviluppo  sistematico.  Infine, prende  in considerazione “il problema  dell’opposizione tra la persuasione vera, che  corrisponde al possesso della vita, e la falsa persuasione, scopo della rettorica”.  Per Gentile, in   Michelstaedter la persuasione  serve ad indicare il  fatto che il “possesso  della realtà e della verità...non cerca vanamente fuori di sé il suo mondo”, ma è caratteristica della sufficienza, dell’autarchia, come dissero i greci. La persuasione del vero sapere, come  lo intuì e lo volle Socrate, tranquillo, sereno, saldo sul punto che è il centro del suo mondo:  nel suo animo”. Di contro, la rettorica è espressione dell’individualità illusoria, inganna e  s’inganna, è superficiale, prende il posto del vero sapere, si prende “gioco dell’uomo, gli fa  credere di vivere in mezzo ai piaceri;   la rettorica   uccide   la vita,   irretisce   l’uomo  “nella  vana   teoria   dei   concetti, sdoppia il  sapere   e   la   vita,  oppone alle  cose   direttamente  affermate il pensiero che afferma le cose” e così mostra “l’insufficienza delle cose che hanno  nella persona il loro correlato e l’insufficienza della persona, che ha nelle cose il suo termine  integrante. Tuttavia,   per   Gentile,   anche   se   il   Michelstaedter  sceglie   giustamente   a   suo  bersaglio la rettorica, alla quale dedica gran parte delle proprie forze speculative e del proprio   lavoro di tesi, non ha né tempo né animo per considerare direttamente e con pari studio la  persuasione. Sono accenni qua e là,  e qualche spunto del suo pensiero positivo si può scorgere nelle Appendici e, più precisamente, ne Il prediletto punto d’appoggio della dialettica socratica. La persuasione, è vero, dice Gentile, viene definita come caratteristica di chi permane. L’unica via di chi permane è la sua forza; la forza di non asservirsi al futuro,  e tenere raccolta nel presente la propria vita. Ma qui si ha a che fare con una immagine  poetica, non con un concetto filosoficamente dimostrato; permangono perciò interrogativi sul  cos’è la vita, questo permanere, ecc. Il merito indiscusso di Michelstaedter, il suo guadagno  speculativo   più   cospicuo, secondo Gentile, consiste nel mettere in rilievo un universale aspetto di verità,   che  consiste nel  fatto   che  l’uomo “rientra   in   se stesso, liberandosi   della  rettorica e gettando la salda ancora della vita nel porto della persuasione”.    Quali furono le reazioni di C. a questo giudizio di Gentile Uno sguardo da  vicino  all’elenco dei  suoi   scritti e una  loro attenta  analisi consente di   accertare che la sua personalità speculativa, ma   anche   quella   di Ruiz,   nasce  dall’incontro con Michelsteadter, cioè “da un humus fortemente sentimentale”, e il suo  “culto” per l’amico comune  “restò fino all’ultimo  sempre vivo. Entrambi gli autori, poi,  pur se  procedono con  diversa,  e non certo  marginale, fisionomia sistematica  e speculativa,  fanno proprie le istanze teoretiche gentiliane centrali e le affrontano sotto le suggestioni di Michelstaedter, nel tentativo   di   riguadagnare,  come   nel   caso   di C.,   l’essenza  dell’attualismo   e   così   di   offrire  un   contributo, perfettamente   consentaneo, alla   sua   più  compiuta espressione. L’intero percorso speculativo di C., ad esempio, manifesta fino in fondo la fedeltà a  conservare queste istanze, comunque egli si muova, quali che siano gli andarivieni del suo  pensiero. In particolare,  egli dà  alle stampe nella “Rivista di cultura”, di cui Gentile è membro del comitato di redazione, un testo intitolato Le due nature. In esso, egli  affronta il   problema del rapporto tra  finito e infinito, sostenendo  che “l’infinito ideale non  può realizzarsi come immanente al finito, ma come immanente alla negazione del finito. Il  testo viene pubblicato con una postilla dello stesso Gentile, in cui il filosofo siciliano lo invita  a non insistere tanto sulle differenze tra le sue posizioni e quelle dell’attualismo e, soprattutto,  ad approfondire  meglio gli aspetti relativi   al ruolo della “negatività  nella dialettica propria  dell’idealismo”, con particolare riferimento al tema dell’attuosità dell’atto, della negazione in  cui si deve cogliere una attività che passa e supera il limite che si è posto e si afferma nella  “sua libertà da ogni limite”, come valore o realtà infinita, laddove il finito non rinvia ad una   trascendenza, ma è il “campo nel quale si celebra e trionfa la potenza dello spirito nella sua  concretezza”.  Dopo   questo   intervento,   due   anni   dopo,  e  sulla   scia   evidente   delle  sollecitazioni  di  Gentile, nel  Giornale critico  della  filosofia   italiana,  la  rivista fondata e diretta dallo stesso Gentile, C. dà alle stampe un corposo articolo su Michelstaedter in  cui cerca di mostrare, rispondendo ai rilievi critici del suo maestro siciliano, che il pensiero di  Michelstaedter  non  è   riconducibile   ad una  realtà  negativa, ma  è la  positività   dell’atto  negante, in  quanto vero atto, cioè vita; esso non è “pura  negatività”, e tutta  la  sua novità  consiste nel fatto che  il positivo di Michelstaedter è l’attività che crea se stessa dal nulla” e   perciò è senza condizioni o, in termini gentiliani, “libertà senza limiti”. Tutto il  testo  di C. è una serrata,  e pacata, replica  e a Gentile,  in cui  si pone il  problema   di   precisare   e   difendere  le   giuste   esigenze,   quasi   come   una   esplicitazione   in  positivo del pensiero di Michelstaedter e in particolare come una prosecuzione della sua tesi  sulla  persuasione e  la  retorica.Già  il   titolo  dell’articolo  di   C. è   una  risposta  a   Gentile, che negava al Michelstaedter l’esistenza di una vera e propria dottrina filosofica, di  un   approfondimento   metodico e   di   uno   sviluppo   sistematico   e   parlava   piuttosto   di personalità filosofica.  Per C., invece, Michelstaedter non parla direttamente della persuasione, ma non  per questo è giusto dire che ne dia pochi cenni della persuasione si parla in tutto il saggio,   perché essa  è il criterio della lotta contro la rettorica”. Egli non ne fa la teoria, come non fa  la teoria del positivo della PERSUASIONE, così si rifuta di considerarne il risultato, come un fatto  staccato dal processo”. Il criterio che Michelstaedter usa non è una nuova teoria accanto a  tante altre teorie che si sono avute nel corso della storia del pensiero, ma “è Michelstaedter  stesso vivente. Filosofia non sistematica, perché ogni sua affermazione è il sistema, e il suo  organismo vivo che non può contraddirsi”; e perciò la definizione della persuasione risulta  “da tutto il saggio”. Una tale filosofia, nel nucleo essenziale del suo pensiero, è l’attività vera,   la vita, non ha fuori di sé la vita “perché deve essere essa la vita. La via della persuasione  è se stessa e non ha un fine fuori di sé. Essa intanto è la vita dell’infinito nell’individuo finito,  è la vera vita del finito: è processo, vita.  Michelstaedter non è un mistico; il suo ideale non è un qualcosa di trascendente, “ma è la  realtà  stessa  più   profonda  del  soggetto;  quel  che   egli  nega  del   particolare   “è  insieme  affermazione,   come   dice   l’idealismo”:   si   nega   la   particolarità   del   particolare,  nella   sua  [C., Michelstaedter, Giornale critico della filosofia italiana,  pretesa immediata, quel che si afferma  è quel che implicitamente è in lui di universale,  senza di che non puo neppure esser particolare: è lo sviluppo della sua parte migliore che  dormiva. Quel che di lui perisce era quel che non valeva, che non era mai stato reale: quel che  del particolare ci deve premere, la  sua aspirazione all’universalità,  quella non perisce, ma  s’invera. E’ in fondo quel che dice Gentile stesso quando parla dell’immortalità”. Questo  particolare, questo esserci del mondo come particolare, come finito, non è possibile senza “la  richiesta dell’universale”, è “il campo in cui lo spirito si celebra  e trionfa è  il lampo che  rompe la nebbia; è sviluppo spirituale, mondo come fare non come è dato. La convergenza delle due posizioni, e su punti e aspetti decisivi della vulgata attualistica,  diventa qui profonda. In concreto, l’idea di individuo, non più un essere naturale e che “non  si restringe nei limiti del particolare: perché egli non può né pensare, né sentire, né altrimenti  realizzarsi, che   in   un   modo   universale,   caposaldo  e   tipica   espressione   dell’attualismo  gentiliano chiamata in causa nel testo di C., viene pienamente accolta. E si  pongono così le basi di un consenso che non si discosterà molto negli ulteriori svolgimenti  del confronto tra i due autori. Per cogliere ulteriormente i tratti principali del consenso tra Gentile e C., al di là  dei  punti  di   convergenza  fin  qui   messi  in risalto, è   necessario  tener  presente   i  principali  scritti di Gentile di quegli anni, in cui la sua attività didattica e scientifica “trovò…il suo  primo affermarsi con  volontà   rivoluzionaria.  Si determinava una   svolta   essenziale del suo  pensiero e della sua azione. Gentile, infatti, inizia il corso di storia della filosofia.  E, nel  concludere la  sua  prolusione, traccia le linee direttrici per un programma di rinnovamento della filosofia, con l’intento di rifare l’uomo intero, che senta come pensa, e operi come parla, perché il  vecchio letterato è  morto l’accademia e la  filosofia d’eruditi devono essere davvero   un  passato irrevocabile: la vita deve diventare una milizia continua. Come documento più significativo di  questa svolta  può essere preso il proemio del primo numero del Giornale critico della filosofia italiana, la rivista della  Scuola romana gentiliana, in cui viene portato avanti lo stesso discorso della prolusione. Non a caso, in esso, Gentile propone di guardare all’avvenire” per incominciare una  nuova   vita,   uscendo   dall’individualismo   e  dall’egoismo. E,  per   farlo,  egli  dice,   occorreprecisare il rapporto tra scienza e filosofia, contrapponendo le due forme di sapere. Da una  parte c’è  la scienza e dall’altra LA FILOSOFIA. La  prima presuppone il proprio oggetto   di  conoscenza ed è analisi disgregatrice sintesi impotente a ricreare la vita distrutta la quale se  potesse veramente realizzare il suo stesso ideale, sarebbe affatto morta e quindi inesistente: critica presuntuosa, intenta a rendersi conto della vita restandone fuori; la seconda, invece,  e lo stesso discorso vale per la religione, non presuppone, ma PONE; non guarda, ma crea;  non analizza perciò, ma vive; non è astratta teoria, ma teoria che è prassi. Il problema di questo rapporto è un principio essenziale dell’attualismo e costituisce l’aspetto fondamentale  del programma della nuova rivista. Gentile parla qui di sviluppo dialettico che si risolve e si  supera   in   un dramma   eterno,   che, proprio   perché   continuo   superamento,   rinvia  necessariamente al continuo superato, all'oggetto nel soggetto. Cosicché   la   realtà,   o  atto  spirituale, è una unità, ma non una mera unità immediata, bensì unità del suo opposto, ossia   della molteplicità. Tale idea di uno svolgimento dialettico dello spirito, ribadita a più riprese,  significa che  la   filosofia  non è più "teoria e  contemplazione   del  mondo, ma solo azione e  creazione del mondo stesso. Azione che non è, tuttavia, un immediato agire, bensì coscienza  di   agire. Tanto   che,   come   afferma  SPIRITO (si veda),   "l'idealismo   trionfa   veramente   di   ogni  intellettualismo non in quanto esso rimane una teoria dell'atto, ma solo in quanto si attua,  sicché il suo  valore teoretico è assolutamente nulla   (intellettualismo)  se non diventa etico  (attualismo).  Gentile insiste,  in altre  parole, sul valore  dell’attività creatrice dell’uomo e sviluppa il   concetto di un mondo che   noi facciamo  e dobbiamo fare. Anzi,  esso   è   l’unico veramente  esistente. Tutto il suo pensiero, perciò, è caratterizzato dall’esigenza pedagogica e dal posto  che il problema dell’educazione occupa nella sua speculazione, che è così ”il massimo centro  della sua concezione” e mette in luce “la finalità più profonda del suo pensiero, tutta raccolta  in   quell’umanesimo, che   dà significato   fin   da   principio   alla   teoria   e   alla   storiografia  dell’attualismo.  La   vita spirituale   è educazione,   anzi  autoeducazione...questa   affermazione  non   ha   un   significato   parziale,  e relativo   ad   una   determinata   questione,   ma   rappresenta  l’essenza del concetto di  spirito che qualifica tutto il pensiero del Gentile. E, perciò, per  intenderne a fondo il senso e l’importanza, occorre  ”guardare al lato più propriamente etico  della sua filosofia: a quello cioè per cui la filosofia, essendo giunta alla completa liquidazionedel vecchio significato intellettualistico, si  afferma   come   identica  alla vita, come il valore  stesso   della   vita. La filosofia   del   Gentile   è  tutta   Etica o meglio Pedagogia.  Poiché  una  filosofia   che   non   è   concetto   della   realtà,   ma   autoconcetto, non   può essere più   teoria   e  contemplazione del mondo, ma solo azione e creazione del mondo stesso. In forza di queste considerazioni, è chiaro che non si può indulgere a nessuna inerzia. Una   tale filosofia, infatti, non può risolversi più in una pura e semplice contemplazione. Prima il   filosofo   poteva   rintanarsi   nell’ozio   speculativo,   far  propria  una   ideologia   estetizzante   da  filosofo - letterato, ed avere come unico compito quello di guardare e giudicare, per intendere  una realtà altra ed indipendente da lui. Si trova così dinanzi a sé un mondo già dato, che per  il suo stesso esserci limitava e vanificava la libertà dell’uomo. Con Gentile, invece, cessa ogni   dualismo e ogni astratto concetto di filosofia. Quest’ultima, anzi, diventa, azione consapevole  di sé, vita umana, sociale, e quindi anche educazione e politica. Vi è identità di conoscere e   fare e viene   meno la separazione meccanicistica, e con essa  ogni   residuo dualistico, tra le  varie sfere dell’attività umana; perciò filosofo, educatore e politico diventano tutti termini  sinonimi di uomo. Noi siamo artefici assolutamente liberi e responsabili del nostro mondo e  di conseguenza natura,  società, storia, ecc. non costituiscono più un limite. Tutto, infatti, è assolutamente immanente nel nostro io più intimo. La nostra stessa umanità non è più quella degl’uomini presi nel loro atomismo particolaristico, ma quella della nostra personalità, più profonda che non è di fronte ad altre personalità, ma tutte le affratella raccogliendole nel suo  seno in una vita  unica   che   deve  farsi sempre più una, e cioè   sempre  meno particolare ed  egoista. Così  viene  vanificata  la   nozione individualistica della persona, nel tentativo di guadagnare una societas in interiore homine, perché, per  usare le stesse parole del  Gentile della teoria generale dello  spirito  come atto puro: altri, oltre di  noi, non ci  può  essere,  parlando a  rigore, se noi lo conosciamo, e ne  parliamo. Conoscere è identificare, superare  l’alterità come tale. L’altro è semplicemente una tappa  attraverso di cui noi  dobbiamo  passare, se dobbiamo  obbedire alla  natura immanente del nostro spirito: ma passare, non  fermarci. Questo stesso concetto, poi, verrà ripreso e ulteriormente approfondito in Genesi  e struttura della società, dove si afferma che l’individuo non da considerare come un  atomo; ad esso, infatti, è  : immanente al concetto di individuo è il concetto di società. Perché  non c’è io, in cui si realizzi individuo, che non abbia, non seco, ma in sé medesimo, un alter,  che è il suo essenziale socius.  L’uomo, allora, non può più rinchiudersi nella sua angustaempiricità e nella sua particolare competenza, ma deve invece realizzare se stesso e la propria personalità nella coscienza di una vita universale. Gentile, secondo SPIRITO (si veda), non solo è pervenuto a questo nuovo concetto della realtà,  ma con la propria vita ci ha dato l’esempio per l’attuazione più alta e coerente della nuova  idealità. In lui filosofia e politica, vita individuale e vita sociale si sono realizzate nella sintesi  più   concreta  e consapevole. Egli, perciò, nel significato più proprio dell’espressione  hegeliana, è un  individuo portatore   dello   spirito;  anzi,   è il simbolo, e, meglio, che il  simbolo, l’iniziatore di una nuova Italia, perché la sua umanità non si riduce ad una vuota e  vaga  astrazione, ma egli è un uomo intero, appunto perché è quella universalità  che si  concretizza nella storia e nell’individuo...vive concretandosi nell’individuo. Il che, nei suoi termini essenziali, non è altro che lo stesso discorso che C. aveva  svolto nel suo articolo. Per il filosofo fiorentino, infatti, come abbiamo avuto modo di vederlo più  sopra,  anche  Michelstaedter non  elabora una teoria della  persuasione, e il  criterio che egli usa è Michelstaedter stesso vivente. Filosofia non sistematica, perché ogni  sua affermazione è il sistema, e il suo organismo vivo che non può contraddirsi; e il nucleo  essenziale del suo pensiero, quindi, è l’attività vera, la vita, che non ha fuori di sé la vita perché deve essere essa la vita. La via della persuasione è se stessa e non ha un fine fuori  di  sé.  Essa  intanto  è   la vita  dell’infinito nell’individuo  finito,  è   la  vera  vita  del finito: è  processo, vita. Lo stesso tema  verrà   ulteriormente   ripreso   da   C. Illusione  e  realtà,  e  sua  prima   opera  sistematica di filosofia, per usare un’espressione di GARIN (si veda),  può essere intesa come una sorta di esplicitazione  in  positivo dela filosofia di Michelstaedter e in  particolare come una prosecuzione della sua  tesi su La persuasione e la retorica volta a metterne in risalto gli aspetti per così dire positivi,  cioè  il tema della  persuasione. Dà alle  stampe un Saggio   sulla natura dell’uomo, Firenze, Sansoni, animato dal proposito di tradurre nella tensione dialettica di natura/uomo la precedente coppia di termini illusione/realtà e, così, di continuare la chiarificazione delle principali   istanze michelstadteriane   in   rapporto   alle posizioni gentiliane. Tale  compito campeggia sin dalle prime battute discorsive  del saggio,  che perciò viene presentato come una visione di scorcio, un discorso che dovrebbe riuscire  ad   una   riaffermazione di idealismo. Nell’Epilogo,  poi, il risultato dell’argomentazione  discorsiva, considerato nelle sue rigorose e ultime conseguenze, lo porta ad   individuare  nell’atto gentiliano, ossia in quella che egli chiama la ragione poetica, il punto focale della  riflessione attorno a cui disegnare il tracciato del  confronto Michelstaedter-Gentile. E  questo atto consiste in una liberazione e in un  distacco da tutto ciò che è caduco e relativo;  epperò,  nello  stesso   tempo,  conduce  a vivere con altra mente la vita  che   ci  troviamo  a  vivere, un consistere nel qualunque punto la sorte ci abbia gettato, è accettazione, perché tale  atto “non cerca nulla fuori di sè e l’unica sua gioia – unica pura gioia, se tale può dirsi – è lo  stesso suo puro conoscere, la stessa sua assoluta liberazione interiore. In un altro saggio, apparso ancora una volta nel Giornale critico della filosofia  italiana, C.  affronta di nuovo, e non a caso, Il centro della speculazione gentiliana: l’attualità dell’atto. Nel farlo ammette che il centro dell’attualismo  è  l’attualità  dell’atto,  ossia   l’affermare  la  realtà come un unico processo, un perenne “farsi quel che deve essere e non è”, atto come  processo che è “assoluto possesso, realtà attuale immanente al suo farsi”. Per spiegare come  sia da intendere questa affermazione di carattere fondamentale, C. analizza alcuni dei  principali   testi  del  Gentile; mette in evidenza, poi, che la realtà di cui il  filosofo di Castelvetrano parla non è un fatto, ma libera creatività “che sfugge ad ogni metro di criterio preconcetto, e che, per comprenderlo, bisogna rivivere dal di dentro. In questo processo, il  finito, l’io empirico, il mondo, “che deve essere negato nella sua pretesa sufficienza, nella sua  pretesa di sostituirsi all’infinito”, non viene abolito, ma acquista tutto il suo valore, quando, vedendosene   l’insufficienza   in sé,   è   considerato nel suo essenziale rapporto con l’infinito...perché visto  con   altri  occhi   nella   sua  vera   realtà. Per C., in questo consiste la verità elementare e il valore incontestabile, positivo, di ciò che il gentilianesimo  indica quando parla di attualità dell’atto. Non più filosofia in senso logico, ma vita in atto,  attività giudicante e nello stesso tempo attività creatrice. Questo è l’aspetto  più importante,  avvincente e persuasivo, ossia il concetto della processualità dello spirito, in cui “il processo  è veduto come perenne farsi, come assoluta perenne novità, e al tempo stesso come assoluta unità, come un nuovo che è sempre identico, un conoscere che è nello stesso tempo fare e  vivere. In questa  concezione, per C. sembra   annidarsi, comunque, una difficoltà di  fondo, cioè:  anche l’attualità dell’atto  sembra essere una  forma di mediazione, di logica, e  quindi in definitiva di oggetto; e perciò sembra cadere nell’accusa di panlogismo già rivolta a  suo tempo contro la filosofia hegeliana. Ma questa difficoltà si supera se si tien conto che per Gentile l’attualità non è da considerare come una cosa, ma come “spirito, non fatto ma atto,  farsi. Viene facilmente pensato  che  questa  sia la   nuova  mediazione;  giacché   un  farsi,  un  divenire, non può essere in sé un immediato, ma deve essere passaggio in atto dal non essere  all’essere...Ma anche questa è mediazione logica. La soluzione di questo problema è di  capitale importanza per poter intendere effettivamente il pensiero di Gentile e per far si che  esso non sia da abbandonare come una realtà del passato definitivamente tramontato, ma sia più vivo che mai. Per  sciogliere  i  nodi  del   problema   e   dissipare  i  dubbi,  in  modo   da   comprendere l’essenza stessa del nucleo centrale dell’attualismo, occorre tener presente che  la mediazione attuale, di cui parla Gentile, nel caratterizzare il suo modo di intendere l’atto in  atto, è una mediazione non  di opposizione, ma   di distinzione, in  cui non si  afferma né si  nega più, ma si vive direttamente, si possiede la propria vita, in quanto si vive la vita altrui, e  si vive   l’altrui in quanto si vive la  nostra. Questo è il vero e incontestabile   attualismo,  ossia lo spirito che sempre si fa, sempre non è, e che pure giunge a vivere questo suo non  essere  (cioè questo suo superare il finito) come l’eterna assoluta realtà (cioè come vita del  finito  in cui  si realizza l’infinito. Nei testi Filosofia dell’arte e Genesi e struttura della società, in particolare, C. trova conferma a questa sua rilettura del Gentile, soprattutto  quando si parla nell’ultima opera del filosofo siciliano dell’individuo all’interno della società  trascendentale o societas in interiore homine: “la realtà, che è spirito, è originariamente, già  nel suo  principio,   non un’unità semplice, un io indivisibile,   un   individuo atomistico: ma è  unità fra un io e un altro che noi portiamo dentro di noi, una società orginaria per la quale  soltanto  ci  possono essere  l’io  e l’altro. Si   tratta  di  fondare  una società,  in  cui l’io,  essendo conciliato con se stesso, si trova anche conciliato con gli altri, e la vita di ciascuno è  la stessa, identica vita di tutti. Solo nella misura in cui l’uomo giunge a realizzare se stesso, si  crea per lui una più vera e libera società in cui l’uomo non è homini lupus, ma io nella sua più vera realtà, ora consapevole   e   perciò   soltanto   ora   veramente   reale   nella   sua   concretaindividualità. Si tratta in altri termini di   una   dialettica  tra   logo e attualità o attualità  dell’atto, che consente al Gentile, secondo C., di prendere le distanze e di realizzare  un fondamentale progresso rispetto allo stesso Hegel. Gli stessi termini fondamentali del lessico gentiliano fin qui illustrati (ma poi anche quelli  di illusione e realtà traducono in linguaggo attualistico la distinzione michelstaedteriana  tra persuasione (vita del finito in cui si realizza l’infinito, campo in cui lo spirito si celebra e  trionfa) e rettorica (affernazione illusoria di vita, individuo atomistico, ecc.). A ulteriore dimostrazione di   quanto  fin   qui   affermato,  c’è   un  altro   testo di C., significativamente intitolato L’INDIVIDUO [cf. Grice on Strawson, INDIVIDUAL]. L’individuo, in cui sin dalle prime battute discorsive si dice che  non si comprende Michelstaedter se non si comprende cosa significhi per lui individuo.  Per cogliere il vero senso del pensiero di Michelstaedter, occorre allora tener presente  che egli è un uomo d’azione: il suo parlare è agire un imperativo dunque, volto a creare una  nuova realtà, in  cui il  mondo e gli altri siano a lui identici, siano una cosa sola con lui, in   quanto egli abbia raggiunto una vita che abbia in sé la ragione, e che perciò sia giusta verso  tutti,  perché abbia raggiunto quel valore individuale che fa vivere ‘le cose lontane. E,  nella stessa pagina, nell’intento di mettere a in luce e cogliere il vero significato del pensiero  di Michelstaedter, C. ribadisce ulteriormente che il valore individuale è la concreta  consapevolezza che la nostra essenziale esigenza trascende ogni singola determinazione. In  tal modo si porta a una decisione la nostra vita,...allora la coscienza acquisterà un’unità reale,  che     spazio  e      tempo  potranno   minacciare,  e il molteplice del mondo si  unifica  anch’esso e si farà a noi interiore”. Giunti fin qui, il quadro che nei suoi tratti più peculiari ci si presenta agl’occhi, in particolare dopo la sintetica analisi svolta di alcuni dei passi fondamentali e della vulgata  attualistica e dei testi dati alle stampe da C. nell’arco di alcuni decenni, è quello di un tentativo di   riguadagnare il  più   profondo   significato   dell’attualismo. C., in   altri  termini, a   partire   dai   primi   anni   Venti,   riprende   un   motivo   tipicamente   attualistico,  espressione  di   quell’idealismo  che  egli   considera come la più  ricca  eredità  tramandataci  dalla storia  della filosofia moderna, e  cerca di mostrare  i legami di  fondo che stringono  Gentile a Michelstaedter. Colloca così in primo piano i punti  di forza del   momento   dellapersuasione e, nello  stesso   tempo,  del momento dell’attualità dell’atto per mostrare in che misura entrambi convergono, seguitando a dare frutti. Di Michelstaedter accentua, prolunga e  rinnova il  problema della persuasione e  di Gentile quello dell’atto in atto,  che   si   fa  continuamente, che  è vita. Il   suo   intento  è   quello  di  collocarsi   all'interno   dell'attualismo  nell'intento di chiarirne alcuni suoi problemi fondamentali, per cogliere il senso più pieno, più  recondito, del lascito gentiliano - e de  La persuasione e la rettorica - e di non lasciare che  esso venga ridotto a   teoria,   ad   una   chiusura   sinteticistica o   una   formulistica   ripetuta  pedissequamente. Lo stesso  Gentile,  per C., non sempre ha piena coscienza degl’ulteriori svolgimenti impliciti nel suo discorso sulla affermazione dell’attualità dell’atto, e ancor di più ai suoi seguaci è sfuggito il significato profondo di questa sua conquista, ma questo non autorizza ad arrestarsi alla lettera del suo discorso, ad una ripetizione puramente  verbale di ciò che egli disse. Anzi, proprio questo “sarebbe non solo tradire lo spirito del suo  pensiero, ma addirittura contravvenire al suo esplicito imperativo, di superare perennemente le forme individuate in cui il pensiero via via si realizza. Così C. ritiene di poter cogliere negli scritti di Michelsteadter una forme maitresse, la cui chiave d’oro è data dal significato che quest’ultimo attribuisce all’individuo, come una di quelle verità fondamentali che una volta scorte non possono più essere perse di vista, ma che possono essere pienamente accolte e fatte oggetto soltanto di ulteriori svolgimenti e approfondimenti. Questa caratterizzazione dell’individuo, non più inteso come atomo e che  perciò non può più rinchiudersi nella sua angusta empiricità, ma deve realizzare se stesso nella coscienza di una vita universale - cioè far si che nasca in noi una nuova realtà, così che  il mondo sia con noi una sola cosa, e che perciò sceglie di permanere, sceglie l’ora, il  qui, convertendoli in sempre e dovunque: sceglie la qualunque situazione che si trova a vivere, e esaurisce in essa l’infinita sua esigenza: far finito l’infinito, far vicine le cose lontane, rientra, sul terreno speculativo, nel grande alveo della teoresi gentiliana, della sua  dottrina dell’atto puro, e rivela una profonda e sostanziale convergenza con essa, al di là di un differente uso terminologico e d’enunciazioni gentiliane non sempre rigorosamente univoche. Nei saggi successivi, fino ad arrivare agli ultimi dati alle stampe, C. conferma e sviluppa ulteriormente queste posizioni, sempre sullo sfondo del dialogo con Michelstaedter e con Gentile, ancora una volta nel tentativo di conciliarne le esigenze di fondo. Così in un saggio, significativamente incentrato su L’eredità di Gentile, si propone il compito di individuare e descrivere ciò che deve al filosofo di Castelvetrano. E nel farlo afferma senza mezzi termini. Se mi domando che cosa debba al  pensiero filosofico di Gentile, quale mi sembri essere il nucleo più vitale della sua dottrina, che egli lascia come preziosa eredità a quelli che son rimasti dopo di lui, e che sentono l’impegno di non disperderlo, così come i figli buoni sentono il dovere di non dilapidare, ma anzi accrescere, il patrimonio che il padre per amor loro onestamente aveva guadagnato e saggiamente risparmiato, non trovo, a voler tutto restringere in una parola, risposta più esatta di questa: la dottrina dell’atto puro. Su questo terreno speculativo, la chiave di volta è l’io; ed  è un io senza residui intellettualistici che, per poter assolvere opportunamente il suo compito e realizzarsi senza impietrarsi, non deve avere alcuna realtà  presupposta, ma deve reintegrare la realtà dell’oggetto, senza farne un presupposto del soggetto, nè in ogni modo  qualcosa fuori di questo. Si tratta qui di  un io il cui carattere peculiare è di avere una infinita apertura e attualità - che si sottrae alle leggi precostituite di una logica formale, di una natura presupposta, di un mondo di idee già codificato e platonicamente costruito sin dall’eternità, che si alimenta tutto e sempre sull’infinita, indefettibile, unica attualità dell’atto e consiste nell’essere l’io pensante nelle sue infinite individuazioni storiche” o la consapevolezza che l’atto ha di sè come forma immanente dello stesso suo concreto e individuato  agire, assoluta responsabilità di chi  si assume attualmente  la responsabilità  della propria vita nel cui infinito anelito è implicata la vita dell’universo. Sicché non può  esservi altro che un’eternità che sia il senso immanente della temporalità un infinito che  si  realizzi nel finito redimendone la finitudine; e questo è il guadagno speculativo più cospicuo dell’attualismo gentiliano, ossia la più esauriente risposta alla ricerca del pensiero moderno, e tale da aprire la possibilità dei più felici sviluppi. Tuttavia, secondo C., il filosofo siciliano non è riuscito a dare alla propria riflessione una formulazione in tutto e per tutto univoca; e anzi  ha mantenuto aperte due possibilità interpretative, che hanno dato vita ad altrettante enunciazioni del suo pensiero, col  rischio di invalidarne le ragioni più genuine e geniali. In particolare, Gentile non avrebbe assolto pienamente al proprio compito di riformare la dialettica hegeliana: avrebbe sì investito in maniera efficace e acuta Hegel dell’accusa d’intellettualismo, per esser eglrimasto legato ad una dialettica del pensato, ma poi non avrebbe tratto tutte le conseguenze di questa sua battaglia e sarebbe ricaduto egli stesso in una dialettica a sua volta intellettualistica, cioè in “una teoria del reale che non è essa stessa il movimento per il quale  il reale è; è il concetto dell’autoconcetto, per dirla con Gentile¸ e cioè non l’autoconcetto stesso, che per essere tale non può essere concetto, ma autocoscienza superante il concetto. In altri termini, una volta intesa veramente la dialettica come dialettica del pensare, nella sua  attualità, come vita dell’atto che è conceptus sui, questa attuosità non può essere colta da una  teoria ad essa  staccata  e sopranuotante  che trascenda e definisca il tutto, ricomponendo in  sintesi la tesi e l’antitesi e ponendosi come terzo rispetto ai due momenti. Cosi facendo, per  C., si ricade soltanto, e ancora una volta, in una forma di platonismo o di dualismo;  invece, la vita interiore dell’atto o, meglio, della soggettività dell’io trascendentale “non può esser conosciuta che per la consapevolezza che il soggetto ha di sé senza oggettivarsi,  consapevolezza immanente al processo, in cui un momento in tanto è se stesso, in quanto è  conscio del suo rapporto all’altro, così   che il soggetto come vivente relazione non è terzo  oltre i due momenti, ma è tra i due momenti stessi, che in tanto sono due in quanto ciascuno  di essi è per se stesso il vivente rapporto di sé all’altro. La dialettica dell’Atto non può essere che una monodiade. Il passo che Gentile deve compiere per condurre a rigorosa  coerenza il suo discorso filosofico consiste nel far  propria l’esigenza di una dialettica  attuale,  fra  momenti   attualmente  vissuti  nella   loro  reale soggettività la  dialettica   triadica  degl’opposti era un dannoso impaccio; occorre  intendere l’atto come il vivente attuale  processo unitario in cui gli oppos  ti si trasfigura non in distinti, in quanto l’io, realizzando la proprio apertura  infinita, supera  le determinazioni intellettive e attua quella coincidenza di  individuale e di universale, così profondamente vista e così suggestivamente proclamata tante volte da Gentile, la quale mal si concilia con la solitudine del logo come sintesi. Essa  richiede invece un interiore dialogo fra logo e sentimento, che ben  si può scorgere nel più profondo dell’esigenza gentiliana. Solo così, ossia liberando la dialettica dai residui intellettualistici che ancora ne gravano la comprensione e il pieno sviluppo, è possibile riaprire il discorso e operare un rinnovamento dall’interno dell’attualismo, per farne fruttificare il lascito più genuino e importante. E questo è appunto l’intenzione fondamentale che pervade anche gl’altri, successivi, saggi di C. - tutti volti alla miglior comprensione e all’approfondimento delle stesse istanze speculative – che aspira a connotarsiquesta sua  più significativa e innovativa scoperta; ed egli resta in definitiva ancora  impigliato nelle stesse difficoltà di Hegel. Per rendersi conto di queste conclusioni, secondo C. occorre porsi all’interno della filosofia di Gentile e prendere in esame il problema  del processo dialettico dell’autoconcetto, che è, appunto, il problema dell’intuizione, ossia dello spirito che vive nell’intuizione; e poi è necessario cercare di rispondere all’interrogativo sul modo in cui l’io distingue se stesso dal suo opposto, e nascano insieme  soggetto e oggetto, nasce cioè la coscienzacome restitutrice del loro peculiare pregio ai motivi più propri dell’attualità dell’atto, per così  dire mortificati da certe inadeguatezze, difficoltà di interpretazione, incomprensioni. In un altro, denso e complesso, saggio su  L’autocoscienza nella  filosofia di Gentile, le posizioni  fin qui prese in esame ricompaiono,  imperniate sul bisogno di fornire ulteriori precisazioni e sviluppi alle stesse istanze teoretiche. Esse, infatti, ruotano sempre attorno al problema dell’atto e ai vari aspetti ad esso strettamente correlati, e si concentrano soprattutto sulla dottrina dell’autocoscienza e sulle sue articolazioni, perché essa, in quanto “intimità soggettiva dell’atto del pensare, in cui consiste  l’essenza e  l’esistenza concreta dell’io, diviene il centro che  sostiene la realtà di tutto l’universo. Per C., tuttavia, nonostante che attorno a questo problema graviti tutto il  pensiero gentiliano, negli scritti  del filosofo siciliano, tranne qualche sporadico cenno, non compare una esposizione  adeguata del modo in cui l’io trascendentale ha coscienza di se stesso. Nella teoria generale dello spirito come atto puro, nel Sommario di pedagogia  e in qualche altra opera, ad esempio, si dice quà e là, e in maniera stringata, che l’io, l’atto, in quanto realtà presa nella sua infinità, come tutto, non è oggettivabile e che la vita dello spirito si conosce per via di intuizione, ma non vi è mai una esposizione e una trattazione esplicita di questo aspetto. In Gentile, poi, si dice anche che non v’è conoscenza che non sia logica, mediazione; e si  riconosce  che ogni  grado della  consapevolezza (sensazione,  percezione, rappresentazione,  intuizione, sentimento, e così via) è cosciente perché si tratta di distinzioni relative di certi  atti psichici  con certi altri,  e in quanto  tali, sul terreno del  logo astratto, esse  sono sempre  espressione di un pensiero logico. Tuttavia, affinché l’atto spirituale sia veramente uno, questa distinzione per gradi tipica della psicologia empirica e di una  concezione analitica dell’anima umana,  nell’attualismo viene  abbandonata. In forza di queste considerazioni, Gentile, secondo C., per evitare di ricadere in una visione cristallizata dell’atto e così  di considerarlo come mero fatto, oggetto tra oggetti, individua e ammette nell’intuizione una  forma di logo che non è quella astratta del logo oggettivo, epperò la traduce in termini diversi  da quello di intuizione, ossia con auto-concetto, facendo valere la distinzione tra pensiero pensante e pensiero pensato. Tuttavia, pur se questa via è in profonda   dissonanza con i modelli della comune concezione psicologica precedente, sfugge al Gentile la piena portata. Per C., la distinzione tra i due termini del discorso emerge in chiaro soltanto nel  momento in cui c’è una forma dell’io  che conosce se stesso distinta  da quella con  cui l’io  conosce l’oggetto, perché nel lessico gergale idealistico, stricto sensu parlando, l’io non ha alcun contenuto; la realtà si risolve tutta nell’io, in quanto forma e contenuto si identificano. Questo è un aspetto che orienta tutto il quadro di pensiero di Gentile - e su cui egli è  costantemente ritornato, sottolineando l’esigenza unitaria e monistica della sua filosofia – la cui chiarificazione comporta la necessità di precisare come concepire  l’autocoscienza e quell’autotrasparenza per la quale mentre vive la sua conoscenza delle cose, sa di essere in  atto di conoscerle” .Si tratta qui di una iniziale  intuizione di sé, che si svela ancora una volta come un atto logico, perché senza la mediazione propria del pensiero pensato, concettuale e oggettivante, non ci sarebbe neppure l’intuizione del soggetto. Questo atto iniziale però ha un carattere  intuitivo, la cui peculiarità diventa ben distinguibile se si prende in esame il processo della conoscenza sin dal suo primo momento e se  si tien conto, secondo C.,  di come a partire da esso si articola l’unione/distinzione di soggetto e oggetto. Ci si accorge allora che si  tratta di “un atto di analisi che dà per risultato due termini intuiti, cioè conosciuti, come reali, concreti, come due sintesi. Ed è questo carattere sintetico la spiegazione del fatto che anche l’oggetto, pur essendo opposto al soggetto, è come lo specchio in cui il soggetto si riflette, il contenuto della sua vita, il mondo che costituisce la sua vita: la stessa cosa è il suo vivere e il  mondo che vive. E’ un conoscere logicamente anteriore al giudizio predicativo pel quale si  può dire propriamente che nasce il concetto. Negli ulteriori  svolgimenti  discorsivi, poi, sul terreno che in termini  attualistici   viene coperto dall’area  semantica del  pensiero pensato, in cui s’analizza il  contenuto  sintetico  datoci  attraverso l’intuizione e si costruisce  un fitto tessuto di relazioni concettuali, cioè la kantiana sintesi a priori del giudizio, non si fa altro che accogliere pienamente e non perdere di vista la verità “di quella sintesi a priori che c’è già nell’oggetto sintetico analizzato”, per  esplicitarla in maniera analitica. Una cosiffatta mediazione  concettuale, infine, da punto di vista del filosofo di Castelvetrano non può non riconoscere la propria  astrattezza, cioè   la  coscienza di essere una esplicitazione che rimane caput mortuum, se si distacca dalla sintesi  di cui vuol rendere conto, da quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e sempre nuovo, e  che è l’intuizione costitutiva dell’attualità dell’io e che forse meglio si potrebbe dire sensus sui”. Quel che così si viene a colpire è la logica del pensiero pensato che per quanto utile e   per certi aspetti finanche necessaria, come  momento essenziale dello sviluppo dialettico, se  abbandonata a se stessa verrebbe ad annullarsi e a ridursi ad un puro e semplice vaniloquio, ma che  invece se si alimenta alla fonte d’ogni mediazione, che è la consapevolezza di sè  dell’io, crea per ciò stesso la propria ricchezza di sviluppi e trova nell’intuizione, cioè nella  concreta unità dell’atto che è la sede dell’autocoscienza e certezza della verità, la sua vera e proficua radice. Questa certezza C. la chiama anche fede, un termine contro cui si sono addensate  non poche critiche, ma che a suo dire potrebbe tener conto adeguatamente dell’apertura alla religiosità della vita spirituale mostrata da Gentile in  tutto l’arco della sua produzione filosofica. L’atteggiamento del filosofo siciliano nei confronti della religione, tuttavia, in proposito avrebbe potuto essere più evidente e  di maggior respiro, se egli avesse stabilito con chiarezza inequivocabile come individuabile specificazione dell’autoconcetto ciò che esso veramente è: intuizione o sentimento. Nel tracciato del grandioso disegno speculativo di Gentile, invece, è proprio questo il punto più  debole e bisognoso di una riconsiderazione critica. Per C., infatti, la sua costruzione logica, pur se foggiata in maniera geniale e improntata a una visione metafisica di  grande rigore filosofico e fortemente innovatrice, presenta “il torto di tutte le metafisiche, di  oltrepassare con la costruzione intellettuale,  col loro logo pensato, l’unica autentica fonte della verità, il logo pensante, in quanto trasparenza della nostra vita a se stessa nell’attualità  dell’atto. Questo non significa affatto sminuirne l’importanza e le grandi possibilità  che  essa ci  dischiude; anzi, il valore sostanziale delle sue tesi comporta il più ampio  riconoscimento e consiste nel fatto che con esse noi mettiamo a profitto ciò che egli solo ci ha insegnato, riprendendo l’aureo filone dell’analisi dei grandi filosofi sulla vita spirituale, e  arricchendolo nella sua maschia originalità. Certo è che la filosofia di Gentile mi attirò fin   dal mio primo contatto con essa; e più tardi, nel primo dopoguerra, quando ero quasi giunto al mezzo del cammin di nostra vita, mi fu di grande conforto per riconquistare fiducia, il che mi  permise di riprendere il mio cammino attivamente. E di questo non cesserò mai di sentire gratitudine. È una gratitudine non minore di quella che debbo a lui in persona, per avermi  sempre incoraggiato e aiutato affettuosamente in ogni circostanza della mia vita”. Questa conclusione riassuntiva implica il  riconoscimento dell’importanza fondamentale della teoresi gentiliana e, nello stesso tempo, comporta anche l’impegno a farne fruttificare il  più genuino e fecondo lascito. C., proprio per questo, sottopone la teoria dell’atto ad approfondimento e revisione interna, in un ampio, continuo e serrato dialogo, con una disamina volta a stabilirne una più rigorosa coerenza  che valga a guidare e inquadrare la propria riflessione speculativa. In particolare, la prospettiva a cui giunge C., nel corso del suo lungo cammino intellettuale, presa nel suo complesso, comporta in definitiva un triplice guadagno: un riuscito tentativo di promozione dell’opera dell’amico goriziano, per accreditarle una  sua peculiarità e dignità filosofica, col metterla a confronto con la speculazione gentiliana; C. nello stesso tempo raggiunge anche una sua personale elaborazione teoretica  dell’attualismo;  gli spetta così il merito, con questo suo atteggiamento rivalutativo di entrambi i filosofi citati, non  solo di aver  speso con efficacia le sue migliori fatiche in difesa dell’amico,  ma anche un posto d’onore, con una sua originalità e  competenza, nell’ambito della letteratura  che gravita su Gentile e l’attualismo, tanto da poter essere considerato come espressione di un  indirizzo del pensiero filosofico contemporaneo in cui egli appare indubbiamente tra quelli  che più sono progrediti. Senonché, a parte i riconoscimenti fin qui menzionati che gli sono stati variamente tributati,  le acute indagini e la argomentazioni del C., volte a svolgere una vigorosa opera di  individuazione e di messa in chiaro di un comune ambito teoretico tra Gentile e Michelstaedter, non sempre trovarono unanime consenso; in alcuni casi esse suscitarono non  poche perplessità. E’ questa, ad esempio, la convinzione di Spirito che, nel concludere la  propria risposta all’amico C.,  non esita ad affermare. A me sembra C., profondamente legato alle esigenze dell’attualismo e a quelle michelstaedteriane,  non abbia potuto conciliarle fino in fondo, sia  rimasto in   una  posizione  intermedia  tra la  concezione dell’assoluto dialettico e quella dell’assoluto adialettico”. Su questo punto, comunque, la riflessione critica che gravita sugl’autori fin qui presi in  considerazione  (alquanto lacunosa, a dire il vero,  soprattutto negli ultimi anni e per quanto  concerne l’esigenza e il compito di saggiare storicamente le posizioni di C.!!) a tutt’oggi non è concorde e perciò il problema della conciliazione tra la speculazione gentiliana e quella di Michelstaedter ci sembra tuttora aperto a ulteriori  sviluppi  e approfondimenti che sono ben lontani dal venire realizzati, come un compito non ancora del  tutto assolto. Ben consapevoli di queste difficoltà, in queste paginei abbiamo inteso soltanto delimitare e precisare l’ambito di indagine, che è da valutare come un’ulteriore approsimazione al problema, e offrire degli spunti utili a sostegno della prosecuzione del discorso.  Gaetano Chiavacci. Keyowords: poetico, critica della ragione poetica, illusion, allusion, ludo, la natura dell’uomo, carteggio con Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiavacci” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Chiocchetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale prammatica – scuola di Moena – filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Moena). Filosofo trentino. Filosofo italiano. Moena, Trento, Trentino-Alto Aidge. Grice: “I like Chiocchetti – a surname most Englishmen are unable to pronounce, but cf. Chumley! – For one, he exapanded, alla Croce on Vico as proposing ‘espressione’ as prior to ‘communicazione,’ as I do – but he went further – he studied the Latin-language author, and saint, Aquinas, and his ‘modi di significare’ – Lastly, he expanded on ‘pragmatism’ as the term of abuse it MUST be! Why are non-philosophers OBSESSED to keep miscalling me a ‘pragmaticist’ who is into ‘pragmatics’ – It’s totally anti-Oxonian – Oxford being the epitome of aestheticism – to do so! Chiocchetti also played with the abused term, ‘scolastic’: he thought there are two scolastics: the palaeo-scolastici, or scolastici simpiciter, and the ‘neo-scolastici,’ like his self! He wrote a little tract on Gentile, who ungently threw it onto the wastepaper basket!” -- Veste l'abito francescano. Conclude gli studi secondari a Rovereto. Durante il corso di teologia si appassionò agli studi biblici, anche se non gli venne concessa la possibilità di approfondirli presso l'Istituto biblico francescano di Gerusalemme e la Facoltà teologica di Vienna. Ordinato sacerdote.  Studiò filosofia a Roma presso il Collegio internazionale di San Antonio. Tornò quindi a Rovereto per insegnare filosofia presso il liceo interno all'Ordine dei Minori e iniziò un'assidua collaborazione, su invito di Gemelli, alla Rivista di filosofia neoscolastica fin dalla sua fondazione. Progettò uno studio sistematico sulla filosofia di Henri Bergson, interrompendolo definitivamente per approfondire ulteriormente la sua preparazione filosofica a Lovanio, centro degli studi neoscolastici. Subito dopo si recò in Germania, a Fulda, per ascoltare Konstantin Gutberlet, e successivamente a Vienna, dove frequentò come uditore le lezioni di psicologia di Wundt. Tornato all'insegnamento a Rovereto, assunse la direzione della Rivista tridentina.  Note  C. su siusa.archivi.beniculturali. Faustini,, C., SERBATI e la cultura trentina: un filosofo ladino tra Trentino ed Europa, Trento, Pancheri.  Faustini,, C.: un filosofo francescano di fronte alle sfide del Novecento: antologia, scritti di filosofia e cultura, Trento, Pancheri, C. un filosofo francescano tra il Trentino e l'Europa: atti del seminario di studio promosso dal Museo storico in Trento, svoltosi a Trento. "Archivio Trentino", Pietroforte, Storia di un'amicizia filosofica tra neoscolastica, idealismo e modernismo: il carteggio Nardi-C., Firenze, Sismel Edizioni del Galluzzo, Centi, Un filosofo francescano C. Trento, Gruppo culturale Civis, Coen, C. in Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (Dizionario biografico degli italiani) G. Consolati,,  C. filosofo trentino rettore generale francescano e professore di storia della filosofia moderna alla Università cattolica del S. Cuore, Trento, Saturnia, C. in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere di C..Pubblicazioni di C., su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation. LE GRANDI CORRENTI DEL PENSIERO  COLLEZIONE DIRETTA DA PICCOLI  C. Milano IL 5a  PRAGMATISMO agi   E 7 EDIZIONE ATHENA MILANOVia Vigentina' 7-9 s santo, MRETTRI   s»,  è ita, canina eno er insit) miri iztarta e ea  Nihil obstat quominus imprimatur 19 Mediolani, Bernareggi. Nihil obstat quominus imprimatur  Mediolani,Mons. Can. Cavezzali. ALL'AMICO  P. ARCANGELO MAZZOTTI  CHE NELLA VITA VISSUTA ANCHE PIÙ TENUE  SA CERCARE E COGLIERE LA FILOSOFIA    sg ca    Ripubblico, a richiesta d'amicì, in volume questi  «saggi» sul Pragmatismo, già pubblicati, parecchi  anniì sono nella Rivista di filosofia Neoscolastica, per chè il Pragmatismo contiene aspetti di verità che non  A vanno dimenticati. Quali siano quest» aspetti verrà  rilevulo nella esposizione che ne faccio seguendo i  Uue principali rappresentanti di esso il James e lo   Schiller.   f In questa esposizione ho introdotto solo mulazioni  accidentali, più che altro verbali, che mettano quella    corrente nei tempi suoi, già mollo lontani spiritualmente dai nostri.a E. C. LLINEE FONDAMENTALI DEL PRAGMATISMO. Sommarto. II Pragmatismo. Pragmatismo e Umanismo. Pragmatismo e conoscenza. Nell' Inghilterra e nell'America, come è noto, la filosofia ha avulo sempre un carattere prevalentemente pratico, cioè, ha studiato con particolare predilezione quei problemi filosofici che si riferiscono alla teologia, alla morale, al diritto e alle  scienze pratiche, in generale; e, anche quando si è  sollevata alle più alte speculazioni, non ha mai perduto il contatto intimo con la vita pratica «ed è stata  più sollecita della ricerca del vero in vista dell'organizzazione della vita reale, che non dell'astrazione  collivata per sè stessa e per la sodisfazione dello Spirito. Per ciò che riguarda l'Inghilterra basta  pensare alla filosofia di Hobbes e di Bacone, all  filosofi cmpirica e crilica di Locke, alla filosofi  naturale di Newton, alle dottrine teologiche dei De   Cfr. «Revue Néo-Scolastique», dove son  tiLortate dall'opera: La Philosophie en Amérique del VAN B  CELAERE' (New-York) le parole citate. La «Revue Néo-Sc  Stiquen ne di un amplo riassunto col titolo: Le mouveme  hilosophiqgue en Amérique. Vedi anche i riassunti  cli relazioni sullo stato della filosofia contemporanea in InghilMica in America: « Rivista di Filosofia Neo-Scolastica wu N. IL   SEE. Linee fondamentali sti, alla fase clica del movimento empirico del secolo XVIII, all'Associazionismo e all'Utilitarismo. Nell'America i primi a interessarsi di speculazioni  filosofiche furono i colonizzatori della nuova Inghilterra, degli inglesi emigrati, i quali naturalmente  portarono al di lù dell'Oceano la caratteristica della  filosofia della madrepatria: l'atteggiamento pratico,  che assunse allora, per speciali circostanze storiche,  un carattere religioso. È vero che, nell’Inghilterra,  «una corrente più profonda non ha mai cessalo di  rimontare in senso opposto (alla corrente empirica).  Essa si manifesta con Herbert di Cherbury, con i  Platonici di Cambridge, nella scuola scozzese. del  ‘senso comune, e apparisce nella sua forma più sorprendente in Berkeley, fondatore dell'’idealismo inglese; è rinforzata più tardi da Kant, Lichte, Hegel  e Lolze; ma anche questa controcorrente non ha  mai perdulo il'carattere pratico, sperimentale, e  tende ad appoggiarsi più volentieri sulla volontà e  sul sentimento e a trascurare le categorie puramenle logiche dell’Idealismo tedesco » . Lo stesso sì  deve dire della filosufia in America.   Quando la rivoluzione americana pose fine al peTiodo coloniale e nel libero paese cominciarono a  manilestarsi varie e nuove correnli filosofiche  ppiella del senso comune, il Trascendentalismo di  Kunt e de’ suvi discepoli, specie di Hegel; l'Idealismo di Berkeley ecc., la filosofia conservò sempre  la tendenza ad avvicinare la speculazione alla vita,  a non perdere il contatto con la realtà, a far risallare il carvaltere pratico dei problemi filosofici. « Negli scritti, p. es., dei seguaci dell'Idealismo Kanliano non è la critica che tiene il primo posto, ma la  psicologia cosidella scientifica in opposizione alla  psicologia metufisica» .     Cfr. in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica » (1 i Ssunto della relazione del MACHENZIE: La EIA  nea in Inghilterra, donde sono prese le parole citate.  Revue Néo-Scolastique », I. c. rat ET tit, 0 ELLI a_n GI   Il Pragmatismo ('S   Allualmente i due indirizzi filosofici predominanti  nel mondo inglese-americano sono o erano qualche  anno fa il Neo-hegelianismo e il Neo-volontarismo.  Quale dei due trionferà? Se la storia ci può ammaestrare, se il carattere cinico dei due paesi può servire  di fondamento a una previsione, se, sopratutto, i sc  si guì dei lempi sono veridici c intendo la reazione "i  Vivissima contro l'indirizzo Neo-hegeliano e la ten- DI    denza della filosofia contemporanea a dare il valore Li  principale della valutazione delle vedule speculative i  al sentimento e alla volontà possiamo applicare  anche all'Inghilterra quello che il Turner scrive dell'America: « È verosimile che il corso fuluro del pen| siero filosofico non subisca tanto l'influsso dei Neo.  hi  legeliani quanto quello dei Neo-volontaristi ».  Ebbene, poichè il Neo-volontarismo americano non  è che il Pragmalismo, non sarà senza interesse lo  studiarlo, lauto più che esso non è più limitato a  quelle regioni, ma ha suscitato anni addietro vivo  a interesse in lutto il campo filosofico, dove, accanto e  ; ul critici severi, trovò dei caldi ‘ammiratori. 1 suoi  nu espositori cd apostoli più autorevoli ne annunziava-.  n° no, con lono da epinicio, il trionfo sicuro su tutte le  filosolie avversarie. Già lo Schiller aveva annunziato  il maturarsi di grandi eventi nel mondo intellettuale  à danno delle antiche forme di pensiero e a tulto  vantaggio di una forma nuova. È, come a sintomi |  di un tempo propizio a nuove intraprese filosofiche  secondo la nuova forma, egli guardava con compiacenza al successo che ha avuto l'opera del Balfour:  «Le basi della fede»; alla serie di opere popolari.  del James: «Lu volontà di credere, Immortalità  _ mana, Le varie forme della cuscienza religiosa»  | alle letture di James \vard « Naturalismo e agno È  | Slicismo», e, sopratutto, all'esser uscito da Oxforà,  «una volla centro di Idealismo, un manifesto così  dace com'è «L’'idealismo personale» dello stesso  | Schiller e di altri membri dell’Università, e ai lavori Linee fondamentali    della scuola di Chicago (alla testa della quale slava è  il Prof. Dewey), pubblicali nelle « Decennial Publica ‘  tions» della Università . i;  Quivi afferma pure che il Pragmatismo «non  passa più inosservato: esso ha raggiunto la fase  del «batti ma ascolta!» e quando i falsi concetti, È  dovuti a prella mancanza di famigliarità con la dot- |A  trina, saranno dissipati, entrerà in una fase di ulile D  applicazione ».  D'allora fino a pochi anni fa, il Pragmatismo s'è *  affermato con sempre crescente energia, suscitando  vive polemiche, incontrando simpatie e disprezzo,  seguaci c avversari, così che polè scrivere il James:  «Oggi la parola Pragmatismo empie le pagine delle  .. © riviste filosofiche » . E ancora: «Parecchi indirizzi  di pensiero che mancavano di un denominatore comune lo trovano nella parola Pragmatismo » .   Esso ha avuto in tutte le nazioni rappresentanti di  grande valore, fra quali, i principali sono: in America  il James e il Dewey; in Inghilterra Jo Schiller; in Germania il Simmel e il Jerusalem , in Ilalia gli seriltori del Leonardo, specialmente il Papini; in Francia,    ScHiLcen, IJumanisim, VIII-IX, London, Macmillan 1903. Ri;    (9) Der Pragmatismus. Ein neuer Name fr alte Denkmetho«en, trad, in tedesco dal Prof. \VILHELM JERUSALEM, Leipzig. Verlag. von Klinkhardt. Di questa traduzione tedesca mi servo nella esposizione del Pragmatismo. Sì è voluto vedere un Pragmatista anche nell'Eucken. In  s tà il suo «ttiwismo non ha niente a che vedere col Pragmatsmo, L'Attivismo poggia sopra determinate presupposizioni  metafisiche, mentre il Pragmatismo è puramente empirico; a  eno il Pragmatismo inglese e americano, «Il ripudiare com  fa l'Eucken, Ja concezione intellettualistica della vita, non è  una caratteristica del  Mo- |  | talismo e di Misticism  ca  À «  n  Pragmatismo ma di ogni specie di  (OA 2  vrib CE: Il Pragmatismo .  Blondel, Roy, Bergson e molti fra i modernisli più avanzati. Come si vede, aveva un po' ragione lo Stein quando  scriveva: «Abbiamo di nuovo una « parola d'ordine»  filosofica, che è diventola grido di guerra di un nuovo indirizzo di pensiero, di un movimento filosofico  che passa potentemente dall’ America sul vecchio  mondo e comincia a incerospare la superficie - delle  nostre acque stagnanti  ».   Facciamoci a considerare davvicino una tale filosofia, allenondoci specialmente ai suoi due rappresentanti più illustri: il James e lo Schiller.   gs 2  Il nome pragmatismo viene dal greco pragma che significa azione, operazione, viene dalla stessa radice che ha dato origine alle parole prassi, pratico; perciò, più italianamente sì chiamercebhe praticalismo. Jl primo a introdurlo nella filosofia è PEIRCE [citato da H. P. Grice] nel senso di  un metodo che consiste nel giudicare del valore di  una affermazione dalle sue conseguenze nella pratica, ossia di un metodo che era già stato applicato dall’empirismo inglese alla valutazione delle conoscerize umane. Ecco in breve Ja sua dottrina. È un falto psicologico che il dubbio, l'incertezza  producono in noi uno stato di malessere, di irritazione; uno stalo spiacevole insomma,   Per uscirne e noì vogliamo uscirne è necessaria una convinzione, una credenza in cuì l’attività    del pensicro possa riposare: la credenza attutisce    le sofferenze del dubbio. Produrre la credenza è la    sola funzione del pensiero: il pensiero in altività    non persegue allro fine che il riposo del pensiero e lo distinguono profondamente dall'inglese-americano.   «Archiv. fur system Philos.»   Egli espose il suo sistema fino dal 1878, ma non fu che  | dopo essersi servito lungo tempo della parola CART EVA nella conversazione, che la stampò nel 1902 in un articolo .    | dizionario del Baldwin. Così MARCEL HénerT, Le Pragmatism Bi. Alcan, Paris. Lan    "a  IL pragmatismo francese ha peculiarità tutte proprie che. 2A  f    10 Linee fondamentali    quindi tutto ciò che non contribuisce alla formazione  della credenza non fa parte del pensiero propriamente detto. La credenza, poi, ha per fine di produrre un'abiludine alliva, che diventa regola per  fazione. Se le credenze mettono fine allo slesso dubbio, creando la stessa abiludine e la stessa regola  d'azione, non diversificano fra loro.   Per sviluppare, quindi, il senso d'un pensiero non  c'è da far altro che determinare quali abitudini essa  produce, poichè il senso d’una cosa consisle semplicemente nelle abiludini che essa implica. Il caraltere di un'abiludine dipende dal modo con cui essa  ci fa agire in ogui possibile circostanza... e il fine  dell'azione è di condurre a un risultato sensibile.  Noi prendiamo, così, il sensibile e il pralico come  base di qualunque differenza di pensiero, per quanto  sottile possa essere. Non v'è nuance di sigmificalo  così sottile da non polev produrre una differenza  nella pratica . In allre parole: Il pensiero crea la   “convinzione, la convinzione è regola dell'operare e  in tanto vale in quanto ci fa operare; fine dell’opel'are è il risullato sensibile, pratico: questo, dunque,  deve servirmi di crilerio per giudicare del valore del  pensiero, per conoscere con chiarezza il significato  dei concetti. Come render chiare le nostre idec? Inlerpreliumole dal punto di vista pratico, domandianio ad esse quale efficienza pralica contengono, quali  Sensazioni possiamo aspellarci dall'oggetto che ci  bappresentano, e quali reazioni dobbiamo preparare. La rappresentazione di questa efficienza pratica, mediaia 0 immediata, costituisce per noi l'intera rap.  presenlazione dell'oggello e in ciò sla tutto il significalo positivo della rappresentazione. « L'idea di una  cosa è l’idea dei suoi effelli sensibili », dice PEIRCE [citato da H. P. GRICE]  . «E contradittorio il dire che si conosce con  Così nell'articolo «ITow to make our ideas clear pub  pippoz pt Egnular Science SOA Y >, 1878-XII, e tradotto   «Rev HosophiQuew 1879-VII: «( x È  ados sansa DI phig TO-VII Comment vendre nos     « Revue philosophique». | IRIS Il Prugmatismo precisione l'effetto di una forza, ma che non si comprende ciò che è la forza in sè slessa; conoscendo  gli effetti della forza si conoscono tutti i fatti implicili nella affermazione della esistenza della forza e  uon v'è più nulla da conoscere.  Come render chiare le nostre idee? «Pensando »,  risponde il Des Carles, conducendole alla evidenza  della proposizione: « Cogilo ergo sum ». Agendo, ri  sponde PEIRCE [citato da H. P. Grice]; rendendo esplicita la potenzialità  ‘* d'azione che è in esse, nell'oggetto rappresentato:   è ciò che agisce, è distinto ciò che produce effetti distinti nella vila pralica: dunque al: «Cogito ergo.  sum » sì cosliluisca V« Ago ergo sun ». Tulta la  funzione della filosofia è di scoprire quale differenza  definitiva forà a ine 0 a te in definiti istanti della  vila se questa è quella formuia del mondo fosse la  vera. 4   Tale è il principio del Pragmatismo. Rimasto inosservato per venVansi fu mpreso dal James ed appli  calo alla religione , prima, alla conoscenza 10:C Ca  nerale poi. D'ullova in por tanto il nome quanto i  principio hanno falto forluna, così che i due leader:  pragmalisti ce no possono dure una esposizione co  vaggiosa e abbastanza sistemalica in due opere ap  parse nel niondo anglo-sassone e diffuse rapidamente fra i cultori di filosofia. “a   Per comprendere l'importanza del principio enun: 3  ciato, ci avverte il James (8), bisogna abiluarsi ad  applicarlo vi casi particolari, come fece con perfetta   | chiarezza, senza nominare il Pragmatismo, l' Osl- wald nelle sue lezioni sulla filosofia della. nalu    -. TTI) 92. Ne   Tm una conferenza tenuta nel 1898 davanti alla società. fil  “sofica di Howison nella università di California, Al JAMES il n  | me non Dpince, ma ormai «è troppo tardi per cambiarlo »;  egli dice nella prefazione al « Prugmatismus», D. X.   Zweite Vorlesung, P. 29.  12 Linee fondamentali    conforme a ciò che egli stesso scrisse al James:  « Tutte le realtà influiscono sul nostro operare c  ? questo influsso è quello che per noi esse significano.  - Nelle mie lezioni iv sono solito domandarmi: in  qual differente rapporto starebbe ‘il mondo se fosse  vera questa v quella alternaliva? Se non trovo niente  per cui sarebbe differente, l’alternaliva non ha sensi so » . Che è quanto dire: le opinioni rivaleggianti,  «nel caso. hanno identico significato pratico e non  esiste che un solo significato: il pratico . Ossia:  qual'è il valore di un’idea? Risolvetela in fatti; il  valore di questi ‘rappresenta il valore dell'idea. E  poichè i falli in tanto sono in quanto sono da noi  csperimentali, il valore di un'idea mi è dato se la  risolvo in terraini di esperienza. Applichiamo, p. es.,  sil principio del Pragmatismo all'idea di sostanza.  Una sostanza noi la conosciamo per i suoi attributi  (accidenti) ai quali si riduce tulto ciò che di essa si  può esperimentare: che sotto gli accidenti ci sia o di essi, è pralicamente indifferente, lanto che, se  Dio, lasciando l'ordine degli accidenti, distruggesse  la sostanza, noi non lu potremmo neanche sapere.  Se del legno mi resta la combastibililà e la struttura  Vascolare che può imporlarmi del quid in sè inaccessibile ad ogni forma di esperienza?  d Dunque Ja sostanza come un quid in sè distinto  dagli accidenti non ha valore alcuno: per me la so| Slanza non è che il complesso de' suoi accidenti.  L'unica applicazione pragmatistica dell'idea di soStanza si ha nell'Eucarislia, dove, per il caltolico  non sono gli accidenti che valgono, ma la soslanza  del corpo e del sanguc di G. C. Così la crilica del  Berkeley della sostanza materiale è affatto pragmalîslica, e pragmalistica è la critica del Locke e del   l'Hume della sostanza Spirituale, e, per parte del  Bea,  o    n () P. 29:50. Anche l'OstwaLo è contato f   | dlallo SCHILLEK e dal JAMES; a ragione, secondo SIT RESTRA   3 oro, secondo il Croce. Cfr. « Critica» A. VI, {. IÎT ;   Ibfa. A    non ci sia un quid come soggetto, sostegno, substrato.  ià It Se   ll Pragmatismo 13    Locke, è l'autocoscienza, cioè, il fatto che noi, in un  dato istante della vita, ci ricordiamo di quello che  eravamo in altri istanti e sentiamo questi istanti come parli della stessa serie personale di avvenimenti  vissuti. Se, nella ipolesi dei sostanzialisti, Dio ci togliesse l’'autocoscienza, a che ci gioverebbe la soslanza dell'anima? Ed ecco perchè l'Hume e, dopo  di lui, la maggior parte dei psicologi empirici, negò  l’anima addimttura .   Altro esempio. Il teista afferma che il mondo l'ha  cercato Dio; il materialista lo dà come il risultato di  forze fisiche, cieche.    Ebbene, le due teorie sono identiche, se il mondo si.  considera come un tutto terminato, completo. Poichè «che valore ha Dio per il mondo, per noi, se  Egli non lo può mutare e far procedere di un passo?  Sé il mondo fa lutto quello che Dio fa?» Ma se il  mondo non è al termine della sua evoluzione, allora  la questione: «Materialismo e Teismo» acquista  una importanza vitale. La ‘scienza della natura pre“dica che la fine di ogni cosa e di ogni sistema di  cose cosmiche è lragica morte! Tutto sarà come non  fosse slato mai: luomo e il mondo, la virlù e gli  ideali, i dolori e gli amori: ceco l’ultima parola del  materialismo! Ma se Dio esisle, se è Dio che dice  al mondo l’ullima parola, allora potrà perire il mondo materiale, ma gli ideali saranno conservati e  lrionferanno altrove. Il Materialismo nega l'ordine  morale e recide le speranze che su quello si fondano; lo Spiritualismo afferma un eterno ordine morale del mondo e lascia libero spazio alle speranze     Dritte Vorlesung, p. 52 seg. Non per nulla il JAMES ha    dedicato il suo libro alla memoria dello Stuart Mill, confes  sando la sua dipendenza da lul; «Alla memoria di Giovanni    Stuart MIN, dal quale ho imparato la prima volta la pragmatica apertura dello spirito e che, nella mia fantasia, figuro.  così. volentieri come il nostro duce, se vivesse al presente    Non per nulla il sottotitolo aggiunto al Pragmatismo suon  . uun nome nuovo per alcune vecchie maniere di pensare»,  sua: sono, nient'altro, che Je maniere del vecchio Empirismo  inglese,       14 Linee fondamentali    dell'uomo . Lo slesso principio si deve applicare  alla questione della finalità nella nalura e della libera volontà. Dio, finalità, volontà libera, pragmatislicamente hanno un senso; intelleltualisticamente  nessuno . ) x   Empirismo, dunque, e Pragmatismo applicano lo  stesso principio, giungendo, naturalmente, alle stesse conseguenze. Con una differenza però, tiene a  dirci il James. I vecchi empiristi non fecero che un  uso frammentario del principio pragmatislico: ne erano un semplice preludio. Il Pragmatismo rappresenta l'empirismo in una forma più radicale e meno  aperla alle obbiezioni. Esso volta le spalle risoluto,  una volla per sempre, a una mollitudine di abitudini antiqualo, care ai filosofi di professione: alle  astrazioni e alle sottigliezze, alle soluzioni puramenle verbali dei problemi, alle argomentazioni «a priobi» ai principî fissi, ai sistemi chiusi, all’assoluto e  all'originario, alla vecchia melafisica intellettualisfica, Insomma, la quale, quando ha dato al princi.  pio dell'universo un nome misterioso: Dio, materia,  ragione, assoluto, energia, crede di possedere il sismficalo ullimo dell'essere e di aver raggiunto il  fermine delle sue ricerche metafisiche 13). L'atteogiamento di opposizione del Pragmatismo all’intelIeltualismo, alla filosofia dell’assoluto, all'a priori è  dci più decisi .   Il Pragmatismo si volge alla realtà, ai fatti, all'agire, alla forza, è signore della disposizione empirica, ama l’aria libera e le molteplici formazioni  della natura, sì oppone al dogma, alle artificiosità,  alla pretesa di aver raggiunto la verità definitiva (9). Dritle Vorlesung, p. 59 sgg.     p. 76. «Eine andere als dicse praktische. Bedeu  tung haben die Worte: Gott, Will Z, MO ATADen ensfrelheit, Zweck, ùber     Zweite Vorlesung, D. 31-33.   E Spesso violento contro i Neo-hegellani. Più che nel  James tale violenza apparisce nello Schiller, il quale si trova    di fronte ad un hegeliano Vi  gni ig non meno aggressivo, quale è {l     IUid. p. 32.    ne 1° MN i 14 PACI ZZZ Il Pragmatismo 15  Il Pragmatismo è radicalmente empirico e anti  intellettualista perchè vuol essere una dottrina per   la vita prima che della vita, un metodo ordinato alla  sodisfazione dei bisogni umani quotidiani. « Esso non  ha dogmi, non ha dottrine, non ha che il suo melodo. Ci fa stornare da ciò che è primo, dai principî,  dulle calegorie, da presupposle necessità, e ci fa  volgere lo sguardo alle cose ullime, ai frutti, alle  conseguenze, ai fatti . Perciò non accella nulla,  non ripudia nulla a priori. a  “sso chiede a tulte le teorie, a tutti i sistemi, a sa  lulli i concelli: qual'è il vostro valore pratico? siete.  utili e come e quanto siete ulili alla vila pratica,  all'adattamento dell’uomo alla natura e della natura  all'uomo? L'uomo ha due grandi bisogni: di fatti e   di principî, di scienza e di religione. Ebbene, quale  filosofia si offre all'uomo per soddisfare a questi suoi  bisogni? O l'Empirismo che degrada l'uomo col suo  Materialismo e nega la religione, o il Razionalismo  religioso bensi, ma lontano da ogni contatto col mon- :  do, colle nostre gioie e coi noslri dolori e per il quale  le cose reali sono un niente: è questo il dilemma atluale nella filosofia . ma  Il Pragmatismo invece può soddisfare ambedue  quei bisogni: può conservarsi religioso come i si9 slemi razionalistici e può mettersi in intima unione  coi falli (3;. Il Pragmatismo, come dice il Papini, si.  trova nel mezzo delle teorie come un corridoio in un  albergo. In una slanza v'è, forse, un uomo che la-.  vora intento ad uno scritlo ateislico; nella stanza  ulligua un allro chiede a Dio con la preghiera fede  «e forza; in una {erza un chimico ricerca le proprietà  dei corpi; nella quarla sì sta abbozzando un sistema Vily]   Ib2d. n». 34. «Er hat keine Dogmen und keine Leh  ausser . seiner Methode. Die pragmatische Methode bedeutet.  Keineswegs bestimmte Ergebnisse, sondern nur eine orlentie- *  rende Stellungnahme ». >»  JAMES consacra alla illustrazione di questo dilemma  tutta la prima lettura: «Das gegenwàrtige Dilemma in der   Philosophie ».     Erste Vorlesung, DD. 10-12.  o  x    è   16 2 Linee fondamentali    di metafisica idealistica, nella quinta un Tizio dimostra la impossibilità di ogni metafisica. E il corridoio  appartiene a tutti. Tutti vi debbono passare se abSE bisognano di una via praticabile per entrare e per  hi uscire .,  Così il Pragmalismo è anzilulto un metodo: il suo  fine è di por terminc alle beghe filosofiche presenì lando un criterio Pratico per giudicare del valore di  NY”. lutte Je dotlrine. Il mondo è una uni B  va plicità? Vi domina il fato 0 vi è una volontà libera?  È materiale o spirituale?  I giudizi dati in  Proposito valgono tanto che niente e le discussioni  sono interminabili. Ebbene, in questi casi il metodo  ; Ppragmatistico consiste nel lenlalivo di interpretare  a ognuno di questi giudizi dalle sue conseguenze prai tiche. Quale differenza pratica risulterebbe per qualcheduno se fosse vero l'uno o l'altro di quei giudizi?  Se nessuna, i due giudizì opposti si equivalgono r.raicamente e ogni discussione è oziosa : dove 1.n  c'è differenza di Significato pratico non vi può essere differenza di significato teoretico. Con questo  metodo, sempre secondo il James, si  sare gli allriti, attenuare le contese ie  intelligenze, riuscire alla concordia e alla pace, Esso  © dunque un mataviglioso eirenicon perchè «non  «Vale la pena di opporre l'una all'altra nel campo  «della speculazione due teorie che abbiano le medesi  f    me fo eguenze pratiche per tutti e in. tutti i fem- LE  Pi» . .Contrariamente alla vecchia metafisica il Inelodo   Pragmalistico non permette    ecc. come lermine ultimo della  ‘l'icerca, ma le fa lavorare nella corrente dell'esperienza: le teorie non    sono soluzioni, ma programma  per nuovo lavoro; non risposte definitive, ma strumenti d'azione, ma indice che cj addita i mezzi per.    Ì ) di considerare le parole : È  __ Dio, materia, energia,    ty Gazelle Vorlesung, p. 34,  Questi concetti sono SvIluppati specialme t Il  Lettura seconda: « ]J'gs will der Praggn, tall,   J ll Pragmatismo?), er Pragpmatismus? (Cosa vuole   “Ri ORANDO, La Mlosoha   | «Rivista Rosminiana SERBATI (si veda)» A Apologetica Moderna]   dell'azione e vr  » N.,  not? PO UTNE e ne I Il Pragmatismo 1? k    i)   | 1 quali le realtà esistenti possono esser mulate e  adattate all'uomo . Il Pragmatismo toglie così alle   i leorie la loru rigidezza, le rende malleabili, le fa la j vovare . Esso si accorda col Nominalismo nello È   i attenersi al parlicolore, con i’Utilitarismo nell’ac- es   | cenluare gli oggetti pratici, col Positivismo nel di-,   i sprezzo delle questioni inutili, delle soluzioni ver- “@   i bali, delle astrazioni metafisiche, di tutto ciò insomma che non serve all'uomo nella vita reale. Perchè luomo è il centro dell'universo, afferma l'Uma  nismo  conlro il Noaluralismo che considera l’uomo | è.  come parte della natura e contro l'Idealismo che lo son  subordina ad un Assoluto. Alla concezione cosmocentrica (Uanlica) e alla teocentrica (la medioevale) ani  deve sosliluirsi l'aniropocentrica. «L'uomo è la misura di tulle Je cose!» proclama lo Schiller, il neo- È    prolagorista, con Prolagora l’umanista . L'Umanismo consiste semplicemente nel rendersi conto che  sono degli esseri umani coloro ai quali è proposto.  il problema filosofico, degli esseri umani che si sforzio di comprendere un mondo di esperienza umana |  coi mezzi che fornisce lo spirilo umano.   Secondo l'Umanisimo sono «il sentimento e la vo  lonlà che custiluiscono l'interesse centrale dell’essere che usa i sensi e la ragione come suoi strumenti  nel mondo esterno ».     « Theorien werden... zu Werkzeugen », p: 33.   Ibid, Macht sie geschmeidig und lisst sie arbeiten n.   Fra V'Umanismo e il Pragmatismo, quale è esposto dal  James, c'è differenza poco più che di nome. Secondo lo Schil«_ ler l'Umanisino è più largo, il suo metodo sì applica a tutto:  i d@ll'etica, all'estetica, alla metafisica, alla teologia, mentre il  Pragmatismo non si applica che alla teoria della conoscenza.  In realtà Je applicazioni che fa lo Schiller del suo metodo,  È le sa o le accetta anche il James, Lo confessa il James stesso,  ] P. Al. n°  AE  | _., Protagora l'umanista, è il titolo del «Saggio XIV» d  Gli: Studies in Mumanism, p. 302. A p. 36 egli stesso chiam  il suo sistema « Nèo-Protagoreanismo », > o  ip”td  54  18 - Lince fondamentali    Perciò l'Umanismo implica il Volontarismo, ossia  la filosofia più autropocentrica che si possa dare.  L’«ago ergo sum», del Pierce può essere sostituito  «dal «volo ergo sum». L'Umanismo è anch'esso un  melodo: ciò che lo caratterizza è il suo alleggiamento benevolo di fronte a tutte le concezioni, purche non si voglia erigerle a un che di « assoluto ”,  ma sì prendano come pure interpretazioni umane  5, dell'esperienza umana. Non si dimentichi avverte Schiller «che l’uomo è la misura di tutte le  cose, cioè di iullo il mondo dell'esperienza... non si  dimentichi che l'’uomu è il fattore delle scienze che  servono aì fini umani» . Tutto dall'uomo, tutto  all'uomo, tutto per l’uomo: ecco l'’Umanismo. Il  Pragmatismo accetta questa dottrina umanistica, e  «io dice il James la tratto sotto il nome di  Pragmmalismo » . L’Uinanismo è, per così dire, il  soflio, l'anima che pervade le affermazioni pragma | lisliche: non ha valore che ciò che ha un significato  per l'uomo. La logica finora ha tentalo di essere una  pscudo-scienzu di un, processo non esistente e im| possibile chiamaio pensiero puro. In nome di essa  ci fu comandalo di espungere dal nostro pensiero  Ogni traccia di sentimento, d'interesse, di desiderio  © di emozione, come le Diù perniciose surgenti di ertore. Così la logica fu ridolta ad una pura rappre| Sentazione sislemalica falsata dal nostro pensare al luale, perchè non si è voluto osservare che quegli  inMussi (sentimento, emozione) sono egualmente fonle di verità e pervadono tutto il nostro processo co| gilulivo . Poichè «il Primo passo nella acquisiHumanisme, (Prefazione) p. xx.   Lettura seconda, p. 4I, (8) ScHirLen, Humanism, p. X. E allo Sc € dobbiamo principalmente 10 SEITE ELE    0 logico e gnoseo zione di nuove conoscenze è l'intervento di un postulato emozionale.   Non si può passare dal noto all'ignoto, o, certo,  la natura data di un conosciutu non può formare il a  fondamento logico per la inferenza di caratteristiche 0  opposte nel non conosciuto, se non c'entra il deside- |. Ù  rio. Come posso, p. es., inferire dal male che c’è nel ò  mondo la necessità dell’esistenza di un mondo mi:  gliore, sc il ragionare come afferma la logica tradizionale è il prodotto di un pensiero puro non  affetto da volizione?    «Sollanto se una trasfigurazione sconosciuta dell'altuale è desiderata, può esser pensata e, in parecchi casì, ‘rovata. Tutte le concatenazioni di un pensiero puro non influenzato dall'affetto non potrebbero  mai raggiungere e ancor mero giustificare quella  conclusione: per raggiungerla il nostro pensiero deve ricevere l'impulso ced esser guidato dai suggeri  menti della volizione e del desiderio » . La ragione «pura» e una pretla finzione c una impossibilità si   psicologica; lu strultuva reale della ragione attuale E  è essenzialmente pragmatistica ed è penetrata fino n]  nelle midolla (permeated (lhrough and through) da  ulti di fede, da desiderì di conoscere e da volontà di  credere, di non credere, di far credere. E altrove: Dini”  La intellezione pura non è un fatto che abbia luogo |  in natura; essa è una finzione logica. Im realtà il * a  nostro conoscere è condotto e guidato, ad ogni passo,  dai nostri interessi e dalle nostre preferenze, dai   | Il Praghiatismo /  i  |    nostri desiderî, dai nostri bisogni e dai nostri fini. x  Questi formano il potere movente della nostra vita  intellettuale.   « Vi souo ragioni del cuore delle quali la testa non 3:  sa nulla , postulati di una fede che sorpassano la È    2       p. XI.     p. XII «To attain it, cur thougth needs to be impelled vi  ‘na guided by the promptings of volition and desiro ». POS)  L'aforismo, citato dallo Schiller, è di BIAGIO PASCAL,(Pensées), LA 4    20 Linee fondamentali    intelligenza pura e possiedono una razionalità più  alta che un gretto inlellettualismo non è riuscito a  comprendere. L'irrazionale si trova ad ogni passo,  in ogni processo della vita conoscitiva ». La fede    «sla a base di ogni «ragione» e la pervade, anzi la    razionalità stessa è il supremo postulato della fede.  Senza fede non c'è ragione; la fede è un ingrediente  nel progresso della conoscenza; realizza sè stessa  nella conoscenza che ne abbisogna e ia aiula alle  conquiste fulure. Così sparisce l’antitesi tra fede e  ragione perchè la razionalità pura non esiste . Il  carattere leleologico della vita mentale influenza e  pervade le nostre ullivilà cognoscilive più remole.  Questo, secondo lu Schiller, è il pensiero centrale del  Pragmatismo: ne dà la vera definizione . Il pensiero Non è un prosesso aslrallo, ma si svolge in una    - psicologia concrela, è una funzione vitale è perciò    finalistica. L'uomo non pensa per pensare e il Pragmalismo è: «una prolesta sistematica contro l'ignovanza della finalità nella‘conoscenza » . La volontà,  lintenzionalilà è da per tutto: il Volontarismo si  constata nella psicologia, nella logica e nella metafisica, È questo uno dei lralli caratteristici del Punto  di visia leleologico. Il Pragmatismo si formula da per  lutto in funzione della finalili. La ragione è un'arma nella lolla per l'esistenza  cun mezzo per l'adattamento » . Ne segue che  l’uso pratico che ha presiedulo al suo (della ragione)     Questi concetti lo Schiller li ha svolti speci: te i  JI S ° seialmenie in  un articolo: NFailh, reason and religion pubblicato SI The  Ilibbert Journal» 1V, 2. Vi si dice, tra l'altro, che è base essenziale in scienza e in religione partire da supposizioni che  TS OLolale provate o che non possono provarsi. Così, se  ; Viviaino per fede può anche esser veri r Ralemo pen pata L e esser vero che cono   Mumanism, D. 8. Cfr. anche Stud. in Ium, Stud. in Hum Essay, I et  * Èssay, I $ II È ques a ses  sette definizioni che lo Schiller ci dà del PRE Se    nite e collegate l’una con l'altra nei  S S b ;3   «I cannot but conceive the Or AR]  In the struggle for existence and  tation è. pag. 7, Humanism,    reason as being... a weapon  a means of achieving adap     à, cea  Il Pragmatismo i    svolgimento, deve essersi impresso profondamente   nella sua strullura, se pure non l’ha formata da  istinti prerazionali. Una ragione che non ha valore n   pratico ai fini della vita è una mostruosità, una aber razione morbosa, una mancanza di adattamento che   la selezione naturale presto o tardi deve far spari re {1). Quindi, da questo punto di vista il Pragma lismo polrebbe definirsi: « Una applicazione coscien le alla epistemologia (0 logica) di una psicologia te < leologica, che, in ultima analisi, implica una metafisica voloniaristica » . pis  TANA Nice di questa psicologia felcologica applicata  alla conoscenza i problemi della logica devono apparire sotto un aspelto nuovo e si deve dare una imporlanza decisiva ai concetti di proposito e di fine.  Ta conoscenza presuppone essenzialmente uno sforzo diretto a conoscere, che, come ogni sforzo, è te-:  leologico, ispirato da un bene che si vuol consegnire. SI  Non cè conoscenza senza valutazione; la conoscenza  è una forma di malore, 0, in allre parole, un fattore   di bene . Lo aveva cià dello il Lotze, nola lo Schiller. Il  | Lofze, come è noto, insegnava che «la scienza, come  TU la logica, che ne è lo strumento, e come la metafisica che ne è il coronamento, ha il suo fine e la sua  giuslificazione nell'elica, e irova il suo fondamento  | slabile e sicuro in quel primo dato originario e di |  Ù conoscenza immediata che è la nostra vita interiore,  i col suo ricco contenuto di sensazioni, rappresenta  zioni, sentimenti e tendenze e col suo largo corredo  di forme, calegorie e leggi, da cui non possiamo pr  scindere in qualsivoglia nostra concezione e valut  zione» .   Mumanism, p. 8.   È la settima definizione del Pragmatismo. Le altre Je  AFONSTRIDO parlando della verità e della realtà nel Pragma- |   smo. - ae  p  Humanism, p. 10. Cfr. anche sl quarto «Essay» di  questo volume: Lotze's Monism, D. 62 SE&. i »  =  L, AMBROSI, Per una monografia italiana sopra Herm  otze «La Cultura Filosofica», A. IMI, N. HI, p. 294-295,   ai  dui  #  iii ar E° vee  Linee fondamentali    Non è qui il luogo di dimostrare che, se il Lotze  ha dei punti di cuntalto con l'Umanismo, egli perè  non è un umanista alla Schiller. La ragione nelle sue esplicazioni molteplici, è una  strumento ordinato ai fini della vita. È questa la  concezione strumentalistica della conoscenza esposta  dal Dewey e dallo Schiller  e accettata dal James.  Essa è un portato del metodo evolutivo e della concezione biologica della conoscenza. Darwin con la  teoria della «lotta per l’esistenza » e della « selezio“ne naturale» aveva insegnato «che nulla può susSistere o svolgersi che non abbia un determinato  Significato per l’intera concatenazione della vita ».  Scrittori posteriori (Spencer, Romanes, ecc.) sostennero che lu vita è un continuo accomodamento alla  natura circostante, fisica, sociale, morale. E ora la  teoria della evoluzione è chiamata da molti a spiegare anche il sorgere e il progressivo. svilupparsi  ella vita cognoscitiva  e così i principt evolutivi  di cambiamento, di relalività e di movimento sono  ipplicali a spiegare l'origine e ‘lo sviluppo del pensiero in generale, il suo carallere, il suo valore, allo 2  Stesso modo che erano già slali assunti a lumeggia- i  __Te c spiegare l'origine, Îo sviluppo, il significato, il   Valore della stutlura, degli organi, di fulte le dif__ Ierenziazioni biologiche. Come in bio   non ha valore nè senso che per la sua ulili  dine all’adatlamento dell'individuo  condizioni fisiche circostanti, ha, cioè un valore e  un senso puramente Pratico, così in psicologia quaai 5  ao     L'opera principale del Dewey è: Studies 1  Theory bey John Dewey, with the Cooperation of embe  Fellows of the Departement of Philosophy. Decennial Pubbli1 one of the University of Chigago Second Series vol. XI  e» Peli ha esposto le sue teorie anche in: The esperimentai  Pe: # in: eguig otel Mina (N. S. 59) 1906, Vol. XV Pp. 293-307;  din; nd the Criterion uti Of Tdeas (N Sì  6) "Vol NV she SII for tne Trutt of Ideas (N. S.    Lol), Cir. Baowr, 7hioughi and rh; i *  AP TS, ggpletaco, p. VILe VII. 11 Salto; Vol. 1: Functional GI dottrina comuni col Pragmatism DIA ha parecchi puntf    Il Pragmatismo lunque differenziazione : sensazione, coscienza, pensiero ecc., trova tutta la sua raison d’étre e la sua  giuslificazione nell’uso, nelle conseguenze, nella efficacia pratica. La questione di valore non si può  scindere dalla queslione di origine e di sviluppo; la  considerazione statica deve dar luogo alla considevazione dinamica e quindi, per ciò che riguarda il  pensiero, la logica formale alla logica funzionale .   La concezione biologica della conoscenza  ha  fatto un passo innanzi: non ha detto semplicemente :  applichiamo alla psicologia il metodo evolutivo, (il  che, per sè, non inchiude la riduzione della psicologia alla biologia) ma ha detto che « tutti i prodotti  del pensiero teorelico hanno un carattere utilitario »  (biologico) «cioè servono come strumenti al conseguimento di fini essenzialmente biologici, perchè mirano a dare soddisluzione alle esigenze dell’organismo cioè ai bisogni della vita» .   Questa subordinazione della vita teoretica alla vita  pratica è capilale per il Pragmatismo: nessuna maraviglia quindi se i suoi leaders l'hanno accettata e  fatta oggetto di studi speciali . DEWEY – Grice, The John Dewey Memorial Lecture, New York --, oltre alla funzione generale della conoscenza, ha soltoposto ad analisi il suo aspetto tipico:  il giudizio; mentre lo Schiller s'è occupato partico.  larmente degli assiomi primi della conoscenza.   S'è veduto in che cosa consiste la concezione strumentalistica 0 umanistica della conoscenza ; in base    Baldwin, Op. c. 1. c. passim.   È sostenuta specialmente dall’Avenarius, dal Mach, dal  Jerusalem, dall'Ostwald, dal Petzoldt e dal Simmel. Cfr. le  monografie di A. ALIOTTA sull’Avenarius, sul Mach, e sull Ostwald in «Cultura Filosofica» a. II, n. 3, 5,7% a. DI, n. 3, 4.  . Lo Psicologismo logico dì A. LEVI: Cuit. Fil. a. III, n. 1, 9, 4,  specialmente pp. 242-255.  Vedi anche dell’Aliotta: /l pragmatismo anglo-americano,  « Cultura Filosofica »  A. LEVI, Lo Psicologismo logico, La « Cult. Fil.» a. IMI,  pà et Intendiamoci: hanno accettato la dottrina della subor‘dinazione della vita teoretica ai fini pratici, in generale, no  ai fini biologici esclusivamente, È   24 Lince fondamentali    ad essa il giudizio (dal Dewey) è interpretato in termini di funzione; esso è una armonizzazione di varie  parti della esperienza; è uno sforzo « per determi.  nare gli elementi che realmente procedono di conserva e per respingere quelli che solo si collegano  apparentemente »: così esso si forma, per differenziazione, sotto l'impulso del bisogno di armonia e  di unità nelle esperienze .   To Schiller  afferma e dimostra, a modo suo, che  gli assiomi fondamenlali della conoscenza o primi  princip! (di identità, di contradizione, del terzo escluso, di causa) sono dei semplici postulati. Un postulato è «una supposizione, che senza dubbio l’esperienza ha suggerilo ad una mente che ricercava, ma  che non è, nè può essere lenuta come provata, poichè spesso di poi la si assume solo perchè la desideriaumo, contro tulta l'apparenza dci fatti» . I  postulali sono domande che noi facciamo alla esperienza; processo di esperimento ordinato a porre il  mondo in armonia coi nostri desiderì; sono perciò  un processo di sviluppo non dissimile dalle altre attività e funzioni umane, derivando dalle esigenze  dell’uomo, dai suoi bisogni, dai suoi desiderì, dal  suo volere: sono quindi un prodolto della attività  umana voliliva e affelliva. Noi desideriamo che una  cosa sia quello che è, che 4 sia sempre a, d sempre  Db, ecc. perchè diversamente, come polremo conoscere  la sua condotta futura rispetto a noi? e, per conseg&uenza noi desideriamo che nulla venga a distruggere quella idenlità: così nascono il principio di  identità e di contradizione, che sono due aspelli (poSilivo e negalivo) dello stesso principio, Noi esigiaMo delie distinzioni precise, delle disgiunzioni complete, perchè con esse possiamo dominare (assimi-  II, passim, Vedi anche  N. c. 257 dove si trovano le parole da’   Personal Idealism « Arioms  902.    La Cultura Filosofica »  me citate,  Macmiizs o! as Postulales n London,     ScHILLER in 3   «The Hibbert Journal» }, e,   Il Pragmatismo    lando ed eliminando) il lusso ininterrotto della esperienza: vogliamo che una cosa sia o non sia: ecco  il principio del terzo escluso. Noi desideriamo di pro- si  durre degli avvenimenti utili alla vila e di impedire  i nocivi; per agire abbiamo bisogno di un mondo  connesso, ordinato, postuliamo, cioè, una causa €  una ragione sufficiente. In realtà nulla è, tulto diventa; l'identità perfella non esiste. La enntradizione è pensata frequentemente contro la grescrizione della legge; l'esperienza non sodisfa le nostre esi- ae”  genze, perchè in essa non v'è una ragione suMceiente,  e ve la poniamo noi.    A chi opponesse a questa concezione volontarislica delle leggi del pensiero, i loro caratteri di universalità e di necessità, lo Schiller risponde che:  «Ia universalità di un postulato deriva dalla sua  stessa natura, inquantochè, quando ci serviamo di  una proposizione di cui abbiamo bisogno, intendiamo  di farne uso ogni volta che ci piacerà; la necessità di un postulato designa semplicemente il bisogno che noi ne abbiamo, ossia... deriva dalle esìsenze di una volizione intelligente e finalislica; la  incapacità di pensare il contrario di una proposizione  si riduce... ad un nostro rifiuto di compiere un certo  atto del pensiero ».   Il James accetta e fa sue le dottrine dello Schiller  e del Dewey  ce proclama: «Dalla logica scientifica è stala cacciata la necessità divina, e al suo.  posto fu messo l’arbitrio umano ». E altrove: pla  mostri melodi fondamentali di pensare sono invenzioni dci nostri antichissimi antenati e si sono. potuti  conservare attraverso {tutte le esperienze successive.  pe     Il James considera gli « Studies in Logical Theory » com  | fondamentali per il Pragmatismo. Cfr. Der Pragmatism  Vorwort, XI, AI  ve,  26 Linee fondamentali    Essi formano ciò che si chiama «il senso comune »,  che, in filosofia significa l’uso di certe forme dell’inlelletto e di determinate categorie del pensiero. Noi  pensiamo per calegoric: esse ci sono necessarie  per mettere unità e ordine nella piena confusa, nella  Varietà sensibile delle esperienze, per combinare con  meno dispendio di forze possibili le nuove con le  vecchie esperienze, per fare i nostri piani, per conneltere il iontano dell'esperienza col vicino, per adatlare, in una.parola, la esperienza ai nostri bisogni    dopo averla dominata. E la dominiamo razionaliz- \  zandola.    i «Se fra le impressioni dei sensi e i concetti posè».    cai  È, t ATI    tas    siamo trovare rapporti univoci abbiamo già razionalizzato le impressioni sensibili. I senso comune   > mette questa razionalità nelle esperienze (vollzieht   diese Ralionalisirung) con vna serie di concetti, dei î   sà quali i più importanti sono i seguenti ; 4   = Cosa (in sè)  Identità e Diversità  Specie  Spi- x, rili -— Corpi Un lempo Uno spazio Soggello b   e ullributo  Influsso causale  Immagini fanta- >   stiche Realtà . 9    Queste categorie lrovale forse in momenti felici  ai nostri antenati si sono conservale e sono divenule la base del nostro pensiero per la loro sufficienza a servire ai fini della vita pratica. Ma sarebbe  possibile che calegorie diverse dalle enumerate po__lessero servirci, come quelle che usiamo ora, alla  elaborazione della nostra esperienza. Del resto il  Senso comune non è che una fase della evoluzione  dello spirito umano, c, nonostante che la filosofia  _bemipatelica abbia tentato di fissare per sempre le  Sue categorie, concatenandole ordinandole in si _ stema, Mon si può dire, tuttavia, che la concezione  MICCCALVII È a più i  DI lipi o fasi di pensiero: il naturalistico 6 il car    a scienza della natura e la filos riti  hanno. rotto i limiti del pensiero ATao CECI Finfte Vorlesung. Con la scienza della natura cessa il Realismo ingenuo. Le qualità secondarie perdono la loro realtà:  non restano che le primarie. La filosofia critica distrugge lutto: le categorie del senso comune non significano più nienle di reale.   Esse non suno che astuti provvedimenti del pensiero umano; sono l'unico nostro mezzo per isfuggire alla inquietudine in cui ci getta l'incessante corrente delle sensazioni .   Noi abbiamo così tre tipi caratteristici e diversi di  pensare il mondo: Ugnuno ha i suoi meriti (il naturalistico, almeno, può vantarsi di aver servito ai fini  pratici quanto il senso comune; si pensi al Galilei,  ad Ampere, al Faraday! ìl critico invece, pur troppo, nun ha dato che soddisfazioni teoretiche, 0 quasi); nessuno di essi è assolutamente più giusto e più  vero degli altri . e;   La loro verità dipende dalla loro utilità nei casi  particolari.   Questo il Pragmatismo nel suo metodo e nelle sue  presupposizioni gnoseologiche fondamentali: melodo  et presupposizioni che ne costituiscono la vera essenza. Il James dice che un aspetto essenziale del  Pragmalismo è anche la sua leoria genetica della verità . Lo Schiller, dal canto suo, scrive che: «parallela alla teoria della verità è quella della realtà »,  e perciò la trallazione della prima non può andar  disgiunta dalla esposizione critica della seconda .  A me pare che tanto l'una che l'altra, più che dottrine essenziali del Pragmalismo, siano corollari, 0  applicazioni del metodo alle due forme oggettivosoggettiva c oggettiva dell’essere. E   Di queste due applicazioni dobbiamo ora occuparci  lrattando della teoria della verità e della realtà nel  pragmatismo. Par   Der Pragmatismus, p. ki: Das wdre das Wesen des    Pragmalismus: erstens eine Methode und zweilens cine. gene    tische Wahrhettstheorie »,   Stud, tn Hum., p. 284,    "E    lla ate    RA A da LTL   LA TEORIA DELLA VERITÀ E DELLA REALTA. La Condotta. La dottrina della  verità. La dottrina della realtà. Che cosa ci sa dire la filosofia intorno alla  condotta? La pone in allo o in basso, la esalta ponendlola sopra un piedestallo all'adorazione del mondo 0 |  la deprime perchè venga calpestata dalle persone i  Superiori? In allre parole: qual'è, secondo la filosofia. lo relazione della lcoria colla pratica della vita,  della cognizione coll’azione, della ragione teoretica  colla pralica? » . Così comincia lo Schiller il suo    primo saggio del volume: Umanismo, La base  È elica dellu metafisica ». E continua: «La dottrina di  È, questo rapporlo coslituisee uno dei capitoli più inbi tricali della storia del pensiero. Da questo capitolo    della storia risulla chiaramente un fatto: che le prelese delle teorie antagonistiche (leoreticiste e praligra * cisle) sono così larghe e così insistenti da rendere   impossibile ogni compromesso fra loro; bisogna scepai gliere-fra i due estremi: o la condolta è lutta la vita.  i O è nulla; 0 è la sostanza del tutto, o è la visione dì  un sogno: aul Caesar aut nullus. Noi sappiamo    a giù quale dei due estremi abbia scelto il Pragmatisil smo. Invece di supporre che il pensiero sia altra cosa  o dall'azione, esso tralta il pensiero come una forma di, È condotta, come una parle integrale della vita attiva. umanism, Invece di considerare i resultati pratici come poco  o affatto importanti, fa dei valore pratico un determinvute della verilà teoretica. Im una parola: la  condotta, in luugo di svanire nella nullità di una illusione, è ristabilita nel potere di controllo di ogni  dominio della vila.   Dal punto di vista pragmatislico della psicologia leleologica, inlcsa come s'è vedulo, tanto i problemi  logici quanio i metafisici si presentano in una luce  | nuova, poichè vien dala una importanza decisiva i  | concetti di proposito e di line.   SH Il Pragmalismo è una protesta sistematica contro  l'abitudine di iguorare, neile nosire lcorie sul pensiero e sulla realtà, la finalità del pensare attuale © i  rapporti delle nustre realtà attuali ai fini della vila;  è r'aflermazione delta basc chica della iogica e della  id metafisica. « La valutazione (cologica è una sfera  speciale della ricerca clica, € quindi il Pragmatismo,  To con la sua accentuazione della teleologia in ogni  (campo del pensiero, assegna al metodo lipico «della  elica una validità metalisica » , alfermando la su preva autorità della concezione etica di bene sopra |  da concezione logica di vero € la metafisica di reale.  II bene, il valore pratico © un determinante essenziale così della verità come della realtà. La condotta  è la sostanza del tulto. La nostra apprensione del  reale, la nostra comprensione delia verità si effet  luano sempre in esseri che tendono al consegui mento di qualche bene: sono penetrate, informate  “dalla tendenza a un fine pratico, dalle esigenze della    condotta. pt    g 2.  Chi studia seriamente i processi conoscitivi  della intelligenza umana viene subilo a trovarsi d  fronte al problema dell'errore. Tulte le proposizioni  La teoria della realtà e della verità logiche hanno l'audace pretesa, senza riserva e senza d  riguardi alle pretese delle altre, di esser vere. Eppure  gran parle di esse non sono che delle menzogne :  non sono realmente vere e la scienza deve respingere la loro pretensione. Per far questo è necessaria  una scella di ciò che è realmente vero dalle verità  apparenti: una condanna del falso ed una ricognizione del vero; il logico, in altre parole, deve valutare le ioro prelensioni di verità . Con qual crìlevio? Come dislinguere fra proposizioni che pretendono di esser veré c non sono, e le pretese buone  che pussono essere convalidale? Qual'è la nota, il  carattere distintivo della verità? Così si pone il problema crileriologico; e una teoria della conoscenza  che è impolenle a scioglicrio è già condannata (@). ©  Quid est veritas? Per verità noi intendiamo una  proposizione alla quale è stato in qualche modo alluccalo (attached) ialtributo «vero» e che, conse__Suentemento, è riguardala sub specie veri. « La veTila è la lolalità delle cose alla quale e stato appli«cato o è applicabile questo modo di lraltamento sia  | ©hesi eslenda o meno alla totalità della nostra espe_ Rienza» . È una qualità di certe rappresentazioni  «© precisamente: l'accordo di certe rappresentazioni  con l’oggello {4). È questa la definizione comune che  | accellano, come qualcosa di evidente, intellettualisti  * pragmalisti. Il dissidio fra le due parti comincia  Quando si tratta di sapere che cosa propriamente si Bnifichi «waccordu» e « Oggetto »; ovvero la «realtà »  con la Tuale devono convenire le nostre idee   |, Secondo la concezione Opolare | n BRA  { ot ROIO Popolare l'accordo consiste  > In una copia dell'oggetto. Alcuni idealisti affer  ne ue le nostre idee sono vere quando corrispondono. a or  \<iò che Dio vuole che no pensiamo intorno al loro  alla /eoria della  *&gello, Altri, streltamente fedeli  ScHmzLER: Stu  Id., Jvta. Essay Y. @ JAMES, Der Pra  i o gmatismus, p,  i 0 JAMES, Id., Ibid, D 124, VI, Vor],    dies in MHumantsm, D. 3. Essay Il Pragmutismo_ 31  i ì tre idee in  copia («copytheory»), dicono che le nostre in  nilo sono vere in quanto corrispondono ai pensieri  elerni dell'assoluto. Vediamo quanto valgano queste    concezioni. ;   Intanto la verità assoluta, scrive lo Schiller, non  esiste. La storia del pensiero umano è caratlterizzata dalla inslabilità delle opinioni, dalla mutabilità  delle credenze, dalle vicissitudini della scienza, Insomma. dalla lransitorietà di ciò che è o passa per  verità, Ogni verità umana, com! è attualmente e  com'è stata storicamente, sembra fallibile e transitoria... le verità del passato sono riconosciute come  errori al presente; quelle del presente sono in via di  essere riconosciule erronee in un domani più o meno  lontano. Quindi la verità umana non può affacciare  pretese di assolutezza. Per isfuggire allo scetticismo  che sorge nelle anime di fronte alla ininterrotta. rivalutazione e transvalutazione delle verità, che forma la storia della conoscenza, si è ricorso ad una  verità assoluta trascendente indipendente dalle vicissitudini della verità umana; la quale verità assoluta  si concepisce come un modello da imitarsi, come una  misura per la valutazione delle verità nostre, come  una rocca inespugnabile in cui non può penetrare  cangiamento alcuno . i   Si slabilisce, cioè, una distinzione fra verità al  luale o umuna e verità assoluta, ideale, che è posta  al di fuori e al di sopra del flusso della realtà. Le  nostre verità sarebbero un riflesso dell’Assolulo, ri  . flesso imperfetto, ma valido, misleriosumente transustanziato per la immanenza in esso dell'Assolulo    e per la partecipazione della sua stessa sostanza. i  Mau l'espediente è fulile e dannoso. |   l'utile perchè l'assoluta, eterna verità, rigida e im- a  mutabile, non può discendere dagli eccelsi cieli della logica a trasformare le nostri ‘i Ì  La, e verità e a togliere la  transitorietà alle nostre concezioni; la verità umana,     ScuiLLER. Stud. in Hum,, Essay VIII, p. 204.    32 La teoria della realtà e della verità    dal canto suo, non può SORIrare alle prerogative soRraumane dell’Assoluto (i). Se la verità assoluta  non può identificarsi, in qualche modo con la umana,  e se la cognizione umana non può diventare assolula, non può congiungersi con l'Assoluto, l'Assoluto  per nvi non esiste e non può quindi redimere dal  ilusso perpeluo le nostre verita. I che lale unione  luon esista, anzi che sia impossibile, si deduce dal  contrasto di caralleri fra la copia (verità umana) Cc  tjuello che dovrebbe essere il suo originale (verità  lrascendente).   La verità umana è fluida, non rigida; temporale e  lemporanea, mon elerna e perenne; arbitraria, non  necessaria; scella, non inevilabile ; nata, come Afro  dite, di passione e di slancio da un Inare schiumoso  di desideri, non puramente intellettuale e spassionata; incomplela, non perfetla ; fallibile, non inertante ; assorbita nella tendenza di ottenere ciò che  ion c uncora compiulo; non beala nella. sua comiiulezza. Questi caratteri della verità umana risultano dalle condizioni stesse onde ha origine ogni vetilà. Essa è discorsiva perchè non puo abbracciare  lutta la realtà; © fallibile perchè è ‘essenzialmente  parziale € puo quindi Sempre venir corretla e completala da una cosuizione più vasta. Invece la verità assolula si estende al lutto e dipende dalla cognizione del lutto. Li sua ussolulezza si fonda sulla sua  onMucomprensività . Se non V'è conoscenza conmpielamente adeguata all'intero sistema della reallà on vi può essere verita assoluta . Orbene, la no  stra mente è capace di {ale conoscenza? No. Appunio perchè parziale, la verità umana poggia su  dati parziali, è generala dalle parzialità dell'altenstone selelliva ed'e diretla a fini parziali. Un abisso  Separa le due specie di verità: fra loro non vi può  essere ne Corrispondenza nè interazione . È quindi   verità attuale sia in « accordo con la    b RP assurdo che Ju   he (I) SCHILLER, 07, cl, 7.  E (I Ide TER OD. ci, p, 207,  via {9) Id., 4bid.  E  SCHILLER, 1a., p. 2,   i   Le   Lia  - di   asta ideale, eterna, Irascendente » come pretendono gli assolutisti. be  La concezione della verità assolula è anche perni  ciosa. Poichè: o l'uomo percepisce la differenza fra  ia verità assoluta e la relativa o non la percepisce.  Nel primo caso egli disprezzerà le verità umane, 1m. perfette, mutabili, le tratterà come apparenze, € lo  | Scelticismo sarà inevitabile. CIÒ è tanto vero che,  ‘anche attualmente, la linea di divisione. tra questa  specie di assolutisti e gli scettici è molto indecisa:  insegni Bradley. Nel secondo caso l'uomo prenderà  come assolute anche le nostre verità. E poichè l’assoluto non soffre aumento nè alterazione, egli non  _ si sforzerà di migliorarla coi suoi sforzi, rigetterà  come falso tutto il nuovo, non vi-sarà progresso alcuno nella conoscenza... ; ecco l’assurdo e con l'assurdo Ja rovina della teoria della conoscenza. Nel  nostro conoscere c'è aumento, c'è alterazione: e una  teoria della conoscenza che non li può spiegare, anzi  li esclude, non ha certo diritto alla nostra véenerazione, e non ci salverà dallo scellicismo, reso anci  ui tabil ; SE ’ «anche  du Anevitabile dalla impossibilità e dal rifiuto di  ‘0 FUNe I nostro reale progresso cognosellivo:   ud est verilas? È forse un «accor  realtà ; La Accordo »  Questa ipotesi reatitiae csfetto, del fallo. sterno?   A LI ‘a dice ancora lo Schiller   ci conduce ad affer pe encore lo ssChil era 5  CIOS alermare degli incredibili paradossi,    con la    cha: 1 SE  Rc e die   n 3 n fis aipendente) è conosciuto. da e RI  » che «eg hipothesi » 16/x trascende SD   i E oanseo ALU soggeltivalin ACR BS È   e]  | Pragmatismo - 3 x = SONA È [e    È |<    PRE e  %% È Da teoria della verità e della realtà  c) Che noi conosciamo anche questo e cioè che la  «corrispondenza » tra il fallo, quale è in sè stesso  fuorì della noslra-conoscenza, e il fatto, quale appare  nella nostra conostenza, è in qualche modo perfelta  e completa {1), il ehe è assurdo, perchè noi non possiamo conoscere indipendentemente da un lato il pen_ siero, dall'aîtro Voggello esterno.  Nè si può dire che la verilà consista nella « cocrenza sistematica ». Nell’universo non v'è delermina“zione assolula e perciò la verità c la realtà possono  «essere costruite im diverse maniere, cioè in diversi  Sistemi, con diverse «cocrenze » sistematiche: bisocana lener conto delle possibilità pluralistiche . RR  . il problema si ripresenta: «quale dei sistemi è vero  e quale è falso? »  Im che consisle la verità del «sistema coerente? »  Dal punlo di visla del razionalismo, cioè «a priori »,  on è possibile dare una risposta reale alla questione; non si può indicare nessun metodo praticabile di  ululazione delle verità (e dei sistemi di verità) se  non concedendo alle applicazioni pratiche, alle con| seguenze, di saggiare la validità delle rappresentazioni (c dei sislemi di rappresentazioni); se non rica| Noscendo uno stadio intermedio, nel facimento della  s0 pad, fra Ja semplice pretesa (claim) di esser vero e  tn ideale completo di verità assoluta . Il Pragma  smo è appunto il tentativo dì tracciare il modo del    > (I) Id, p. 181, Essay Di qui 11 nome di pluralismo dato a   dottrina _pragmatistica della verità e della A  ita «ex professo « nella quarta lezione (del vol. cit.): Etnlett uni Vielheit « Unita e Pluralità. © pluralismo è la  gucazione Metafisica della realtà come di una molteplicità di  ct Separati, indipendenti. Si divide in matcrialistico (AtoTRIaIDO), in spiritualistico (Monadologia) è in duatistico (Dua»  smo). La concezione pluralistica è stata poi dal JAMES ulteente svolta nel volume: .1 pluralistic universe, London,    Longman Green 1909, tradotto in f  [cato co. Nolo PRI oS Francese da Le BRUN e pubmar ion I titolo: Philosophie de l'erpérience, Paris, Flam   SCHILLER, Stud. in Hum. facimento aztuale della verità, le maniere attuali di  distinzione tra vero e falso per giungere alle sue generalizzazioni circa il metodo di determinare la natura della verità : mette in luce, in altre parole,  lo sladio intermedio del divenire della verità, il modo  della convalidazione delle pretensioni di verità. Orbene, come s'è veduto, non si può spiegare il movimento del pensiero verso qualche cosa senza fare  appello a motivi psicologici: desiderio, sentimento,  interesse, attenzione ecc. ; non è possibile descrivere  cosa alcuna in puri termini logici e senza costante  ricorso alla psicologia , ec quindi «i termini ullimi  della definizione della verità sono anzitutto psicologici»; ogni verità attuale è, in primo luogo «un processo psichico, c, come tale, condizionato dalla varietà degli influssi psicologici sentimentali e volitivi» . i   E così anche i sistemi di verità. L'esistenza di un  numero di giudizì cocrenti connessi in sistema non  basta per avere da noi la ricognizione della verità.  li «sistema» per esser vero, deve anche aver valore  ai nostri occhi; la tendenza al «sistema» è parte  della tendenza più vasta all'«armonia attuale », 0  per lo meno ideale, della nostra esperienza. Il sistema non è semplicemente un tutto di consistenza  logico-formale, ma anche il prodotto di influssi ema<ionali. in vista di soddisfazioni emozionali. Perciò    nessun sistema è giudicato intellettualmente « vero »  se non è migliore in rapporto alle nostre esigenze  di un altro, se non abbraccia e non soddisfa qualcosa di più che gli aspetti intellettuali astratti delle.    esperienza .  « Pragmatism essays to trace out the  actual «making of truth», the aciual ways In which discri_minations between the true and the false are effected, and  derives from these its generalisations about the metliod of  determining the nature of truth ». ?    Id., Humanism, Essay III, p. di.   NI  Id., ibid. Cir.: Riv di Filos. Neo-Scol. A. II, N. 2, Specialmente p. 152 Sgg.   ScuiLLer, J/umanism. Essay II, D. 42-50.  ‘36 La teoria della realtà e della verità    Vi sono dei sistemi che, nonostante la loro coeren  za, non hanno valore di verità, perchè non TiMUON Π no e non risolvono un senso di disaccordo finale nel  l’esistenza; tali sono i sistemi pessimistici ; e n  sono delle verità, valutate come tali, per la loro effi  cienza di armonia sebbene non siano connesse in si-|    slema . Non si dimentichi mai ci avverte conti  nuamente lo Schiller che la nostra conoscenza èi  maleriata di inleresse, di desideri e di sentimento;    che la verità e il sistema della verità è il prodotto dei  mostri sforzi lelcologici . Da ciò risulla che il prohlema della verità è essenzialmente psicologico, €  deve essere formulato così: « Qual’è la natura psichica della ricognizione della verità? A qual parte  della nostra esperienza è applicata questa ricognizione?»  N Pragmatismo risponde : «La verità è una  ferma di valore; la natura psichica della sua ricognizione è la valutazione » . « La valutazione della  nostra esperienza è un processo naturale ininterrotto  in una coscienza normale. Sponlaneamente, necessariamente noi giudichiamo le cose « buone» e «cat.  live », «belle » e « prulte », «vere» e «false». È l’osistenza di quesl’abito che fa sorgere le scienze normutive rivolle a dirigere e sistemalizzare le diverse  valutazioni (per esempio «l'estelica » per le valutazioni del «bello» e del « brutto»; Peolica » per le  valutazioni del «buono» e del « cattivo »). Anche la     1d., tDid. «AI pessimismo in filosofia » lo Schiller consacra il IX Essay del sno /umanism. Anche il « pessimismo, come  ogni sistenin, è un determinato atteggiamento di fronte alla  grande classe di tiudizi che sono conosciuti come giudizi di  valore a, « La Vila è adeguata all'ottenimento del fine supremo  dell'azione* Se St. essa ha valore, è degna d'esser vissuta; se  no, il suo valore è nullo e non merita d’esser vissuta. Nel priRpanraso abbiamo l'ottimismo, nel secondo il pesstalsmo  LA .  Mumanism, D., Specialmente là dove tratta del ri a e  Re ti el rapporto fra logica     Humanism, Essay Truth is a form of a Value »..  Would be no «tru    ren o na    er at  Without valuation there Ri  the at all» tv    (4 4umunism, Essay  >    7 Il Pragmatismo . 37    logica è una scienza normativa che ha per fine di regolare e di ridurre a sistema le nostre valutazioni di  «vero » e di «falso » .   Come in ogni altra classe di valulazioni anche nella  valutazione della verità  l'inleresse umano è vitale, il che vuol dire: che una verità ha conseguenze  (ciò che non ha conseguenze è senza significato), ha  una portata sopra qualche interesse umano, e che le  conseguenze debbono valere, debbono essere conseguenze per qualcheduno, in vista di un fine determinato, cioè, devono essere «buone» e «pratiche ».  berciò, a tulle Ie asserzioni che prelendono di esser  vere noi dobbiamo intimare: « Mostrateci che siet>  buone di una bontà pralica, e vi riconosceremo pet  tali. Voi non avete una ragione intrinseca di verità;  noi dobbiamo altenerci alle vostre conseguenze: dal  frutto conosceremo l’ albero n. Una asserzione che  soddisfa un interesse umano pratico, che corrisponde al fini pratici dell'uomo è «vera»: è vero ciò che  è praticamente buono; è falso ciò che è praticamente  cattivo . 1 predicati «vero» c «falso» non sono  in fondo che indicazioni di valore logico, comparabili  come valori, coì valori «elici» ed «estetici». Similmente anche W. James: «ll Pragmatismo,  invece di considerare la verità intellettualisticamenle, cioè, come un rapporto puramente statico fra rappresentazione e oggetto, si pone, di fronte ad ogni  pretesa di verita, Ie solile domande. Dato che una  rappresentazione 0 un giudizio affaccino la pretensione di verita, noi chiediamo: Quale diffevenza concreta produce nella vita concreta di un uomo quel  tal giudizio, quella tale asserzione? Come potrà essere vissuta? In che sì moditicherebbe il complesso  dell'esperienza se quel tal giudizio fosse falso (0. 3  Id., bid. La parentesi è mia    |’ (®) Sarebbe meglio dire: «valutazione-verità », perchè que| Sta fla verita) non è che il processo della valutazione. Ingl,  | «truth-valuation ». Stud. in Hum, p. 5-8:   38 La teoria della realtà e della verità    vero)? Qual'è il valore della verità se noi la cambia:  mo în moncla di esperienza? »  ue   Per il Pragmatismo porre la questione è scioglier la: «Sono vere quelle rappresentazioni che possiamo  far nostre, cioè che possiamo far valere, lrasforma re in forza e «verificare», sono false quelle che non   sono suscettibili di lule trasformazione in valore pra tico » . La verità di una rappresentazione non è   una proprietà immobile che le è inerente: la sua ve rità è un accadimento: una rappresentazione non   è vera, ma divien vera; è un divenire, è il progresso   della sua auloverificazione (der Vorgang ihrer Selb È stbewahreilung); 1 valore della verità non è altro  che il processo del suo farsi valere . E si fa vaÈ: lere, e si verifica con le sue conseguenze pratiche,  con la sua utilità: anzi il farsi valere e il verificarsi  non sono in fondo che queste conseguenze .  Dalla definizione della verità come vulore logico    segue che lutte le verità debbono essere verificate.  Una rappresentazione che non vuole o non può sol:  tomettersi alla verificazione è già condannala. Essa |  può avere lull'al più una verità potenziale, senza si«| _°‘’‘00‘gnificalo, inintelligibile o congetturale, e dipendente  “fl da condizioni non uvverate. Per diventare realmente   da  3  Der Pragmatismus, VI Vor, p. 125. <   è»  « Walre Vorsteltungen sind sotche, die wir uns aneigqneny   die wir gellend machen, in Kraft setzen und verifizierem hònpe; nen, [alsche Vurslellungen sind solche bei denen dies alles  ("g nicht moglich ist», 1A., IUld., p. 125-126. È il Jaines stesso che  n sottolinea. :  E lo SCHILIER: «Che cosa erano le verità prima   p di venir scoperte?» La questione è oziosa, Se «vero» significa    «valutato da noi» è naturale che ogni verita diventa vera  quando è scoperta... Noi possiamo concepire tre stadi, mel  LA processo della verità: verità da venir fatta, verità diveniente,  i verità fatta. Il processo è unico e identico per tutte le verità a. Stud. in Huni. p. 195-199. i     JAMES. fui. SCHILLER, Stud, in Hum. p. 5. Non sono que:  Sei in fondo, che formazioni e syolgimenti del principio del   EIKCE. \    È la prima definizione del Pragmatismo, secondo lo.  Schiller: «'The doctrine that lrw{hs are logical values» (Stud  in Hum.) p. 5. Me:   ati t 44  vera deve venir dichiarata e provata, e non si dichiara nè si prova che nell'applicazione, nell'uso che 30.  ne fa: la verità di un'asserzione dipende dalle sue  applicazioni . Le verità astralte, come tali, non  sono verità. Perfino le verità aritmetiche derivano il  loro esser vere dall'applicazione all'esperienza.   Osservale per esempio ll’ enunciazione astratta:  22=4. Esso è incompleta. Noi dobbiamo, prima di  aderirvi, conoscere a che cosa si applicano 2 e 4,  poichè l’enunciazione non sarebbe ugualmente vera  applicata a due leoni e due agnelli; a due piaceri e  due dispiaceri, a due + due goccie d'acqua, ecc.  Così si dica delle verità tutte in generale .   Vi sono delle verità fuori d'uso, e vi sono delle  verilà che chiedono d'essere incarnate nella vita concreta. Finchè non operano nel mondo della esperienza immediala sono ambigue ; solo la potenza e le  conseguenze del loro operare le tolgono all’ambiguilà mostrandole, con la verificazione esperimenta- M  le, vere o false. Le verità sono regole per l'azione;  ma una regola che rimane nei campi dell’astratto  non significa nulla, non regola nulla: il significato  d'una legge sla nelle sue applicazioni  ec ogni st  gnificato dipende dal proposito , perchè qualunque  applicazione della verità all'esperienza è in istretta  connessione con qualche fine il quale determina ta  natura dell'intero esperimento. Per ragione della dipendenza della logica dalla psicologia, ogni signifi   E la seconda definizione del Pragmatismo (ivi p. 6).     Stud. in Hum. p. 9. ; Ria  ioè: sono in potenza alla verità € alla falsità. 0)  mind di questo AT delle idee astratte lo SCHILLER nana  consacrato un saggio intero: il V (Stud. in Hum): «The  ambiguity of Trutn» p. 141-162. >   Secondo ALFRED SinGWicK_ seguito in questo dallo |  ScuiLcer le parole sot.olincate contengono l'essenza del med  todo |pragmatistico, e ne sono la terza definizione (Stud. in  Hum, p. 9). .,   Questa defin. del Pragmatismo risulta dalle due PD  denti. (Id., ibid.).    ib pi A  La teoria della verità e della realtà    cato è selettivo e teleologico: il giudizio logico è «valutazione » . °   Resta da rispondere alla seconda questione: « A  qual parte della nostra esperienza è. attaccata la ricognizione della verità? » i Re:  _Ciot: a che cosu riconosciamo o neghiamo noi 1l  valore di verità? Qualìi sono i principi direttivi nella  valulazione della nostra esperienza? È «vero» ciò  che è praticamente buono, sta bene; ma che cosa  chiamiamo noi «praticamente buono?» .    «La risposta a quesla questione dice lo Schiller  ci mette nel cuore siesso del Pragmatismo, ci  spiega in che senso il Pragmatismo professi di avere  un criterio di verità » . E la risposta non è diflìcile. Il nostro pensiero tende all’armonia e alla quicte del pensiero, a ridurre a sistema, con un lavoro  di selezione guidala dall’interesse, il complesso della  esperienza, a coordinare, in visla d’un fine, tutti gli  elementi della vilu: quindi è vero, (cioè buono, il  che è, per lo Schiller lo stesso) «ciò che armonizza  con le leggi proprie del pensiero e con tulta la nostra  esperienza anteriore »  e ci serve di base e di centro vitale per ulteriori esperienze. È vero ciò che ci  fa progredire. Il possesso della verità non è fine a sè  stesso, ma mezzo per la soddisfazione di qualche necessità della vita . La verità non è altro che la  via, per la quale noi siamo condotti da un frammento dell'esperienza ad allri frammenti che mette  conto di far nostri . La verità è una guida all’azione. Mettiamo ch'io mi trovi sperduto in una selva  în pericolo di morir di fame. Scopro qualche cosa  che assomiglia ad una strada, immagino in fondo ad  Cssa una casa; mì melto in viaggio e mi salvo. La     Stud, in Hum, Essay    IZumunism. Essay JII, 2°    Il Pragmatismo    |  I rappresentazione della casa è vera perchè è verifi\i cala dalla sua ulilità; mi salva facendomi prendere  | la strada che vi conduce . Questo semplice e per| severante carattere di « guida» che possiede e mo| stra una rappresentazione è il vero prototipo del processo della verità. È vera quando, finche-e in quante  |       «conduce n: e si intende vera di verità reale; potenzialmente è vera la rappresentazione alla a condur- _  ve, falsa la inutlu.   ’lulto ciò sta bene. Ma un complesso di valutazioni  soggettive, individuali, che sono il prodotto di inte- da  ressi psicologici e mirano ad una soddisfazione s0ggettiva, non può formare che un complesso di verità  soggellive, individuali: la mia esperienza è soltanto  n la miu esperienza; le mie valutazioni sono soltanto  valulazioni mie: come si esce dal soggettivo? non x  | siamo in pieno «solipsismo? »  No risponde lo eo  Schiller. Nessun protagorcamisla (umanista), facendo na  dell'individuale il suo punto di partenza, intende fili  fermarvisi.   Egli sa che 1 giudizi individuali non sono che una  piccola percentuale di quelli riconusciuti come vulidi.  Sa che l'uomo è un animale sociale e che la verità è  in gran parle un prodotto sociale. La verità non ‘si  salva finche rimane pura valutazione individuale: Ra.  bisogno di una ricognizione sociale, deve trasformarsi in proprietà comune, E diventa sociale appunto  per lu sua utilità ed efficienza. Come nell’individuo. Anche lo ScuiLLer parla spesso della «con:  duciveness a «proprietà di condurre», come di un criterio di  Verità, Le «conseguenze pratiche» non sarebbero in fondo, che  questo « Hinfùhren» che permette poi uni specie di «previ-.  sione » di cio che è utile, Cf, a questo proposito: «La previstone nella teorin dellu conoscenza » (rinnovamento A. I, Fa‘scicolo II, 1907) CALDERUNI. Vi.Si dice tra l'altro: « Per  conseguenze pratiche» vanno intese le esperienze particolari   ‘che la dottrina o l'affermazione in questione permette di pre«vedere» p. 191. «Esperienze che costituiscono il criterio non   | solo della verità e della falsità ecc...» Id., ivid. -&   Del «solipsismo» lo SCMILLER si occupa nel X Essay   (Stud. in Hum.) « Absolutism and Solipsism» 258-265. Per   | questione se «l'empirismo radicale» sia «solipsistico» ctr   ournal of Philosophy, vol. II, N. V e IX.    li    42 La leoria della verità e della realtà    Îl criterio dell'uso, della ulilità regola Ie valutazioni  soggellive, consolida e subordina i vari interessi ai  fini principali delia vila, così lo stesso criterio (dellVuso) fa una selezione lra le valutazioni individuali  e cosfruisce, con maleriale delle valutazioni scelle,  la verità oggelliva che ottiene la ricognizione sociale.  Ciò che non è socialmente ulile, elliciente, operativo,  presto o lairdi viene eliminato. L'utilità sociale è così  l'ultimo delerminante della verità . Protagora ha  detlo: «L'uomo è la misura delle cose ». 1 commenlatori sì domandano: uomo si deve intendere in senso individualislico 0 generico? Tutte e due le interpretazioni sono esatte dice lo Schiller. L'umani  smo di Proiagora era abbastanza vasto per estendersi all'uomo individuale e agli uomini , Egli riconosce dolie distinzioni di valore fra le diverse percezioni individuali : fra i giudizi di valore individuali si stabilisce una selezione dei migliori, che sopravvivono agli altri e si consolidano in grandi sistemi di verilà oggellive accettabili da tutti . Ed ora  SI capisce anche come la verità è fatta (how truth is  made), «come viene prodotla dalle nostre operazioni  sui dali dell'esperienza umana. La conoscenza. cr'esce in estensione e in fidalezza (trustwartiness) per la  fecondità e la buona riuscita del suo funzionamento,  per l'assimilazione e incorporazione di nuovo materiale da parte dei complessi organici preesistenti di  cognizioni. I sistemi (come organismi viventi) sono  Im un conlinuo processo di « auloverificazione » di     Humanism. Essay His Humanism Was Wide enough to em  and men», Stud, in Hum., Ess. JI DI 34. RIS a     Nel Teeteto (16G-S) di Platone sì fa dire a Protagora che,  se le percezioni di uno non possono essere più vere di cuelle  MATA AliTo possono, però est NOLOrI, Sopra il giudizio di  mo ignorante o rdinario sta È  saggio. Cfr.: Stud. in Hum. p° 35, sgg. melo ASI LUoO     Humanism, p. 59: «Fra due teorie rivili noi accettiamo  come vera la migliore, quella che possiede «greater conduciVeness». Con questo criterio (sclusivamente sì C  astronomia copernicana, così semplice   troppo complessi. Il Pragmatismo 49    prova della propria validità dalle conseguenze e dal  potere di assimilare, predire, controllare fatti nuovi . Ma, a simiglianza di quanto avviene nel processo biologico, così anche qui assimilare significa  transformare. Le verità preesistenti, alla luce delle  nuove, per la compenelrazione delle nuove, assumono un aspetto dillerente e cambiano in realtà, inIrinsecamente poichè diventano più operalive ed efficienli in causa della loro maggior coerenza ed organizzazione; ci conducono meglio ai nostri fini, acquislano maggior capaciià di armonizzare le esperienze  future in reiazione a noi, al nostro interesse e ai  nostri desideri . In realtà siamo noi che facciamo  la verità. Dipende da noi l’accettare o il respingere  falli nuovi, muove esperienze: il fattore della sele  ‘zione, è il nostro interesse, è la loro utilità rispetto    a noi. È questo processo di fare la verità è continuo,  progressivo e cumulativo. La soddisfazione di un  intento conoscitivo conduce alla formulazione di un  altro; una verità nuova diventa presupposizione di    ulteriori imdagini . I così all’indefinito: la conqui  sla della verita assoluta, cioè della verità adeguata  ad ognì fine umano non è che un ideale, com'è pura:  mente ideale la verità stabile, immutabile, eterna .  Ogni verilà può esser mulala da una nuova esperienza. La Verità non esiste: esistono le verità. « La  Verità con leltera maiuscola è un mito. In realtà esi  stono nel mondo umano soltanto le verità, altrettante  quanti sono gli: uomini, cioè le rappresentazioni e le  affermazioni praliche di cose che non sono, ma di  vengono, e divengono per il polere che l'io esercita su  di esse, lanto più eflicace, quanto più, con l’azione    esso passa dall'incosciente al consapevole ed al ri  liesso .  Stud. in Iuni., «The Making of Truth», VII Ess. 194-195.   Id,, ibid. 23,    «A new truth, when established, naturally becomes ti e   presupposition of SUECASE, SSDIora Ono (Id. ibid.) E,  4)Id,, Ess. VIII, par. 8, Pp. | ILEN  a GIULIO VITALI, Note pragmatistiche. (Rassegna Nazio ita   le, 18 Dicembre ‘1906, p. 646, S6g.). de          4h La leorìa della verità e della realtà    Qual'è dunque il senso accettabile della nola definizione della verilà: «accordo con l'oggelto, con lu  realtà? » «La parola accordo dice James   comprende ogni processo mediante il quale da una  tappresenlazione alluale siamo condotti ad un avvehimento fuluro corrispondente ai nostri interessi v  bisogni, cioè utile alla nostra progressiva evoluzioue» (#). IL nostro dovere, poi, di cercare e di riconoscere la verilà non è che una parte del dovere geherale di cercare e di riconoscere ciò che torna conto.  Il tornaconto, contenuto nelle idec, è l’unica ragione  che ci obbliga di allenerci ad esse» 3). k lo Schiller:  «La risposla alla questione » Che cos'è la verità?  è la seguente: se si ha di mira il fallo psichico della  verilà-valutazione, là verilà può definirsi: «la funzione finale (ullimate) della nostra allività infellelliva; se si ha riguardo agli oggetti valutati come  Veri essa è: quella manipolazione di essi che lì rende  Utili primariamente ad ogni fine umano, ultimamenle allu perfetta armonia della nostra vita intera che  cosliluisce Ja nostra uspirazione finale. La dottrina della realtà è affine a quella della  verità anzi S’identifica, ìn un certo senso, con essa.  ll principio umanistico di Prolagora è universale:  umano genera e informa lutto ciò che è; anzi...j ma  uscolliamo i due leaders del Pragmatismo.    Il Pragmalismo segua un passo in avanli nell'a  niutusi della nostra esperienza è, quindi, un prog) sso  ln quella cognizione di noi stessi dalla quale dipende.  li-cognizione del mondo. ‘ale passo in avanti non è  Ineno imporlanie di Quello che, nella storia della filosofia, ha fatto compiere alla questione cpistemolologica la priorità sulla questione ontologica .    -1d., {bid., Vorles, VI, p. 135-136.   Id., ibid. e passim in tutta la medesima lezione.  °  «Das Lolnende, das unsere wahren Ideen enthalten, ist  ner DES Grund, der uns verpflichtet uns an sie zu halten»  SCHILLER, Humanism :  at loin    | +    cat  Il Pragmatismo : 45    Che cos'è la realtà? Così, cioè in lermini ontologici, era posta ia questione fino a Kant, Ebbene, fino  a tanto che non si melle in chiaro come la realtà  possa venire in noi, è impossibile qualsiasi risposta  alla questione; non esisfe, per noi, nessun reale se  non in quanto è conosebile; una realtà inaccessibiie  alla nostra cognizione è inutile e quindi si distrugge.  Perciò la vera formazione del problema metafisico è  questa: Che cosu posso io conoscere comc reale? .  La dollrina della reallà è condizionala dalla dottrina  della conoscenza; la ontologia suppone come fondamento la epistemologia: ecco quella che Kant chiamava: «la rivoluzione copernicana in filosofia ».   Orbene, una rivoluzione copernicana compie ora  il Pragmalismo rispello alla formula epistemologica.  lisso dice: ta nostra conoscenza non è una operazione meccanica di intelletto puro. spassionato: i nostri  interessi ci impongono le condizioni del rivelarsi a  noi delle reallà. Questa, infalli, ci rivela soltanto  quegli aspelli che sono termine di un nostro desiderio attuale, di una tendenza a conoscere: tutti gli  altri sono per noi inconoscibili e quindi irreali.  BERGSON +- il rappresentante, in Francia, della Philosophie nouvelle scrive: «La vita esige che noi apprendiamo  le cose nel rapporto che hanno coi nostri bisogni. Vivere consiste nell'agire. Vivere significa accettare degli oggetti soltanto l'impressione wfile », Ze Itire, Paris, Altan 1908, « Noi  cerchiamo fino a qual punto l'oggetto da conoscere è questo o  queto, in qual genere noto rientra, e quale specie di azione 0  di attitudine dovrebbe suggerirei (Introduction a ta Métapliysigue). Cfr. anche La cultura dell'anima, Vol. 8. ENRICO  RerGSON: Lu filosofia dell'intuizione, trad. del PAPINI, p. 43.   Il Bergson è pragmatista? Risponda lui stesso: « Bisogna  distinguere due maniere profondamente differenti di conoscere  una cosa... la prima si ferma al relativo, l'altra ragglunge  l'assoluto...; quella è l’analisi, la cognizione per simboli, per  concetti, condannata ad aggirarsi unicamente intorno all'og:  getto...; questa è la intuizione, ossia quella specie di simpatia  intellettuale per cui ci si trasporta nell'interno d'un oggetto |  per coincidere con ciò che ha di unico e per conseguenzi  d'inesprimibile; con l'assoluto »... «La prima nasce dalle esigenze della vila pratica e non è filosofica, ma empirica: lil  seconda nasce dall’affrancamento dagli schemi pratici, dal  concetti-ctichette ed è quella per cui è possibile la vera meta  46 La teoria della verità e della realtà    Non cè reale per noi, cioè non è conoscibile, se non  ciò che è oggetto di una nostra tendenza, di un nostro desiderio e volere; e non si desidera, non sl  vuole che il bene. Dal che si inferisce: nè la questio.  «me di fatto (ontologica), nè la questione di conoscen3a (cpislemologica) sono possibili a considerarsi in(ipendentemente e senza coinvolgere come loro base  la questione di valore (psicologico-etica) . Le nostre  | valutazioni pervadono la nostra esperienza tulla  «quanta e si applicano ad ogni falto, ad ogni cognizione. Perciò la verità della formulazione epistemalogica del problema della realtà è incompleta finchè  «non realizza, tutto quello che è implicito nella cognizione nostra: cioè il desiderio, la tendenza, l’inteSEEGS 3  La completa il Pragmatismo così: Che cos'è la  realtà per uno che aspira a conoscerla? «Reale» significa: reale per qual proposito? per qual fine? per  qual uso? . È la «volontà di conoscere » che pons  la questione e quindi non potrà venir risolta che in  termini della volontà di conoscere . Ecco la spie| gazione. della diversità di dottrine che intorno al  «reale» ci hanno dato le scienze e le filosofie. La dix rezione della sforzo determinata dalla «volontà di  * conoscere» entra come fattore necessario e isradica  IN   Di  ar  v    fisica, cioè la cognizione dell'assoluto » (Ibid.} passim). E ancora: «Il faut s'habituer à penser l’'Étre directement, sans  faire un détour.. Il faut tAcher ici de voir pour voir er non  plus de vor pour agire. (L'Evolutlon creatrice). Bergson riedifica sulla intuizione il tempio dell'Assoluto  che prima aveva fatto crollare dimostrando l'inanità dell'analist, della cognizione per idee astratte. Poco importa che non  ci sia riuscito. (Cfr.; La filosofia di Enrico Bergson di Gius.  PREZZOLINI, Rocca S. Casciano, Cappelli 1908; ATTOTTA, L'intuizionismo contro la filosofia, La Cult. Filos., A. TIT, N. TIT ecc...)  La distinzione delle due differenti maniere di conoscere; intuitiva (metempirica) e analitica (empirica) spiega l'apparente  inconciliabilità dei passi citati e d'altri ancora,  Z/umanism, I, p. 9-10.   Id., Ibil. the answer comes in terms of the will to know which  puts the question il. Il Pragmatismo urti    . bile (ineradicable) in ogni rivelazione della realtà a  nol.   i La risposta alle nostre questioni dipende dal loro  carattere, ma questo dipende in tutto da noi. Siamo  noi che le poniamo così e così; l'iniziativa è del tutto  nostra. Dipende da noi il consultare l'oracolo della  nalura o l'astenercene; dipende da noi il formulare  le nostre domande alla natura. Se la domanda è  falla bene la nalura risponderà; se è fatta male non   risponderà, e noi dobbiamo ritentare la prova .   ci Che cos'è dunque la realtà? Procediamo -con or dine. Vediamo prima di lutto quali caratteristiche at « lribuiscano alla realtà le scienze. Scienlificamente, cioè, in quanto entra ed è trattata   nelle scienze, la realtà presenta i seguenti caratteri: non è rigida, ma plastica e capace di sviluppo.    h) non è reale assolutamente e incondizionatamenle, ma relaliva alla nostra esperienza e dipendente  dallo stato della nostra cognizione.    7.6) La concezione che noi abbiamo della realtà cambia e perciò: riduce spesso all'irreale ciò che è slato accettalo  lungo fempo come reale. e) Una «realtà iniziale» (come una «verità iniziale») è reclamala da ogni cosa sperimentabile: è  necessario, CENCI un principio selellivo che ci serva  come di criterio a distinguere fra «realtà iniziale »  e «realtà reale » . M vecchio oracolo ammonisce: ogni cosa ha due maMichi: bada di prendere quello giusto ». Emerson, American  È Scholar. Rinn. A. (T. Fase. IT, Magia PEZZÈ PASCOLATO. « La natu ta, quindi non risponde sempre, a nostro piacere :... « Natura  Mon nisi parendo vincitur», ha seritto Bacone ». Si noti bene   Questa confessione dei pragmatisti: vedremo poi se è in corri.   spondenza con altre loro asserzioni.    SCHILLER. Stud. in Hum. Essay VIII, p. 214. Vedremo  tto Ja differenza fra realtà «iniziale» (primaria) e realtà  reale». :  VELA La teoria della verità e della realtà    Contro la dottrina scientifica il Razionalismo afferma: «La reallà è immutabile, è finita e completa    . da tutta VPeternità . Essa è una perehè ha un fine    uno, forma un sistema, narra un'unica storia .  La nostra esperienza della realtà è mulevole come  la nostra cognizione della verità, non perchè verità  e realtà divengano, mutino, ma perchè la esperienza  dell'una e la cognizione dell'altra sono processi psichici: siamo noi che mutiamo 0). Verilà e Realtà  sono indipendenti da noi: noi le scopriamo, conoscendo, non le fucciamo. La realtà è-stalica, rigida,  uon migliorabile; è e sarà quello che è stata; non  diviene 4).   Il Pragmatismo si pone dal punlo di vista delle  scienze. Per csso la reallà assoluta è futile e dannosu come la verilà assoluta per le medesime ragioni. Lu concezione della realtà assoluta non entra  nelia nostra cognizione attuale della realtà ; non  e conoscibile, il che è quanto dire: non esiste. Non  esiste la realtà: csistono le realtà; cioè le nostre  esperienze, che crescono e decrescono. Fingiamo che    le realtà ora conosciute e accetlate siano un milione :    tsse non esauriscono tulle ie possibilità dell'univerSO: VI possono esistere accanto ad esse allri dieci  milioni, capaci di essere scoperti e riconosciuti-come  lalî se noi applichiamo certi esperimenti che sono in  mostro potere: molle realtà in potenza, cioè irreali,  al presente, possono venir realizzale dai nostri sforzi E viceversa: molle delle realtà conosciute possono benissimo, prima 0 poi, essere dichiarate irleali e rigellale .   Non v'è nulla di assolutamente posto. La realtà  come la verità, diviene senza posa. La natura     James, #0id., VI, Vorl. p. 143    Id., ibid., IV Vorl, SCHILLER. Stud. in Juri, VITI D. 219,   Stud. in Mum., p. 218.   (7) 1d., ibid.    È lui che sottolinea.    iii    Sali    I  Il Pragmatismo delle cose non è delerminata ma determinabile come  quella dei nostri simili. Prima del nostro esperimento  su di essa è indeterminata non solo per la nostra  ignoranza (soggettivamente), ma da ogni punto di  vista, cioè anche realmente (oggellivamente); si determina sotto i nostri esperimenti come il carattere  umano. La nozione del «fatto in sè », come quella  della «cosa in sè, è un anacronismo filosofico .   Noi chiediamo allo Schiller: su che cosa facciamo  i nostri esperimenti se la reallà non c'è e se è di  pendente da noi?   Schiller risponde: Noi ammelliamo bene, a guisa  di postulato, una base iniziale di fallo, come condizione dei nostri esperimenti , ma quesla prima  base è affatto indelerminala e plaslica: può divenlare tullo quello che nvi vogliamo che essa divenli {8). Fra le infinile possibilità noi possiamo scegliere e realizzare la migliore .   Noi chiediamo ancora: «qual'è la natura delia  realtà iniziale prima, della base di fatto dei nostri  esperimenti? »   E come può ammetterla il Pragmatismo se essa  sfugge alla nostra esperienza, se non è conoscibile?»   Schiller risponde: «La difficoltà di concepire nel  Pragmalismo l’accellazione del falto come base non  dev essere traltala come obbiezione ai metodo prag=*  matico, ma come un mezzo per mettere in rilievo  lulto il suo significato. Dalla pertrallazione di essa potrebbe ricever luce  la distinzione importante tra realtà che è «fatta»  soltanto per noi, soggettivamente, cioè «scoperta »,  e ciò che noi supponiamo che venga «fatto » real     Humanism, p. 12 in nota   Stud. in Mum. vp. 428-XIX. x      (8) EMERSON scrive: «Com'era plastico e fluido nella mano    di Dio, così Il mondo è in mano nostra». Queste parole sem:  brano un commento alle parole dello Schiller: « Noi possiamo  quanto può Dio nello schema intellettualistico di Leibniz».    «E il nostro dovere e il nostro privilegio di cooperare nella    formazione del inondo », ibid.   Stud. in Hum. mente, oggettivamente, in sè (I). Che noi facciamo  tale dislinzione è chiaro, ma perchè la facciamo? Se  tanto ìl soggettivo come l’oggellivo « facimento della  rcalla» {making of reality) sono il prodotto dello  slesso processo cognoscitivo, sotto l'impulso degli  sforzi soggellivi, come può sorgere o mantenersi, da  ullimo, quella distinzione? Ebbene: anzi tutto è chia «ro che l'accellazione del metodo pragmatico nè ci   ; costringe ad ignorare quella distinzione, nè ad affer i mare «the making of reality » in senso oggettivo. Sia   È può benissimo concepire quel facimento come pura| mente soggettivo, solo in rapporto alla nostra coquizione della realtà e punto in relazione alla sua  esistenza abituale. Il Pragmatismo non fa della melafisica, ma della epistemologia: si può essere pragmualisli in epistemologia e realisti in metafisica .  Sia che si ammetta, sia che si neghi che la realtà è  fatta da noi anche oggettivamente resta sempre vero  che sono necessari i nostri sforzi per iscoprire la  ‘vcealtà, che i nostri desideri, i nostri interessi deb è bono anticipare le nostre «scoperte» e farci la via  id esse e che, perciò, la nostra concezione del mondo  .clipende sempre dalla nostra selezione soggettiva di  Giò che cì inleressa di scoprire nella tolaliltà dell’esi stenza . },Noicì proponiamo i nostri fini, noi scegliamo i noSti mezzi; noi foggiamo «cause» ed «effetti» nel  Jlusso omogenco degli eventi .   Per noi la realtà iniziale è pura potenzialità, come  la. verità iniziale è «Je» {materia prima) di tullo  | ciò che è deslinalo a diventar reale . È un concetto   # Ride: un: punlo, di appoggio, e di partenza delia   ; U.C0E e; è la possibilità indeterminata di   __ lutto cio che sarà, di lutto ciò che noi facciamo, co nuscendo: ogni realtà attualmente riconosciuta si .     Ia., ibia., p, 12 in nota, È    Il Pragmatismo deve concepire come evoluta dal processo e nel pro:  cesso conoscitivo nel quale ora la osserviamo e come  destinata ad avere una storia . Per la teoria praginalica della conoscenza i principî iniziali sono lelteralmente dei semplici termini @ quo, scelti variamente, arbilrariamente, casualmente, nella speransa e nel tentativo di avanzare verso qualche cosa di  meglio .   lullo ciò che è, è reale. Bisogna distinguere fra  vealtà «primaria» (primary reality) e reallà reale  (real realtty). La realtà primaria è semplice domanda  di divenir reale: è la realtà non veryicata © compele anche alle «apparenze ». Non c'è distinzione nè  criterio di distinzione a priori fra apparenza e realtà.  La distinzione sorge soltanto quando la mente, mossa dall'interesse, dal desiderio di operare su di essa  passa a controllarla . La reallà «primaria » che risponde alle noslre domande interessate diventa realla «reale»; quella che non risponde ad esse si manifesta come apparenza. La realtà «reale» non è  che la realtà primaria passata a traverso il fuoco del  criticismo esperimentale e promossa a un grado superiore (i). I poiche gli interessi crescono. e variano  continuamente e i propositi sono continuamente difterenziati, anche la realtà « reale » cresce in complesstla, viene dillerenziala in serie, le serie si ordinano  in sistemi, i sistemi vengono coordinati e- subordinati fva loro .   E così all'inciciimto. Il processo della nostra co-,  suizione della realtà (= della nostra creazione delle  reullà) si estende dal caos assoluto fino alla saddisfuzione assoluta.    (1} 14. td.   ju., tbid., p. 439.     Id., IX, p. 233-234, «Watever is, is «real» ls what we  begin with,..     Id., p. 244... «real» reality which has survived the fire    of criticism and been promoted to superior rank. - Le conse- %  | guenze provano la realtà come provano e fanno la verità,     Id., ebid., VIII 221.       SCART ROTA    À ge    52 La teoria della verità e della realtà    La realtà è plastica. Forse  la lasticilà del reale  dipende (anche) da una vena di indeterminazione, di  libertà che corre per l'universo: questo giustifica il  nostro trattamento delle idee come di forze reali e  Passerzione cho il nostro fare la verilà è necessarlamenle il /ure ia realtà . Conoscendo facciamo la  verità e la realtà. Neila elaborazione connoscitiva.  della nostra esperienza «reallà» e «verità» crescono pari pussu . Realtà significa « realtà per noi»  precisamente come verità è «verità per nol». Noi  assumiamo come «reale» e accettiamo come « fatto »  ciò che giudichiamo come « Vero » . E il vero è  il bene, l'ulile; l'elica, dunque, è la base della melafisica e della logica.   È il James: « Keallà è ciò di cui le nostre verità  debbono dar ragione, debbono controllare. Da queslo punto di visla la corrente delle nostre sensazioni costituisce la prima parte della realtà. Esse ci  sono imposte, ci vengono non si sa donde. Non abbiamo nessun controllo sulla loro natura, sul loro  ordine e sulla loro quantità. Esse non sono nè  vere nè false, ma semplicemente sono. Sollanto ciù  che noi diciamo di esse, i nomi che diamo loro, le  teorie intorno alla loro natura, al loro essere, ai loro  rapporti possono essere veri o falsi.   Il secondo elemento della realtà è costituito dai  rapporli tra le sensazioni e le immagini loro nella    4  Siamo in piena metafisica e come! Non solo la livertà  è nel reale ina anche la cognizione. « L'usare e l'essere usato  implicano «conoscere a cd cssere conosciuto («to use and to  be used includes to know and to be know»). La nozione della  « materia » morta... non trova più favore nella scienza mo:  derna » «Bul is not this sheer hylozolsm?2 Non importa:  l'umanismo è largo: non indietreggia davanti alle parole « ilozoisino » 0 « panpsichismo » posto cne siano utili alla interpretazione del basso (inferiore) in termini del superiore, « Sebbene  non sia che un metodo, tuttavia esso inclina a questa 0 et  quella metafisica secondo che meglio corrisponde a’ suoi canoni fondamentali, Stud, in Hun, p. 422-4na.    Id., p. 427.    Id., p. 426.    Id., 20i4,     JAMES, iUid., Vorl. VII, p. 155. vr arde è RS  | eee VI   Il Pragmatismo    nostra coscienza. Di essi alcuni sono variabili e accidentali; p. es. quelli di spazio e di tempo, altri sono  sempre uguali a sè slessi ed essenziali perchè si fondano sulla intima natura degli oggetti corrispondenti.   Gli uni c gli altri di questi rapporli vengono percepili immedialamente: sono «falli ». Tultavia la spe  cie di falli più importanti per la teoria della cono- Fi  scenza è l'ullima, perchè comprende le relazioni e- sas  terne, le quali vengono apprese ogniqualvolta gli Da  i oggelli sensibili sono messi in rapporto fra loro e  | debbono essere sempre riconosciute dal pensiero lo- e >    gico-matematico.  : Il ferzo elemento della realtà consta delle verità È  antecedenti che debbono esser prese in considerazio- es  ne in ogni nuova ricerca: questo elemento ci oppone    | molto minore resistenza degli altri due: finisce quasi  ty sempre col cederci il passo .  i Ora, sebbene questi elementi della realtà siano un    po’ fissi, tuttavia, operando in essi godiamo di una  cerla libertà. Le sensazioni, p. es., sono, è vero; il  loro essere non dipende da noi; però dipende da noi,  dal nostro interesse di rivolgere l’attenzione a queste più tosto che a quelle; dipende da noi di tener + a  conto di alcune e di tralasciare le altre; dipende da  noi di dare, nei nostri giudizi, una importanza de- +  cisiva alle prime 0 alle seconde . LS  Noi leggiamo le stesse cose diversamente secondo   il punto di vista da cui le guardiamo. La battaglia  di Waterloo è considerata come riltoria da un ingle‘se, come sconfitta da un francese. Così l’ottimista.  legge nell'universo la parola « vittoria», il pessimi.  Id., îbid, Come? tra le verità antecedenti vi sono ancl  le relazioni elerne fondate sull'intima struttura dell'oggett  mi cedono il passe anche queste? Ma il loro valore non è i  discutibile? non formano esse la struttura del nostro pensiero?  ‘Non deve riconoscerle sempre il pensiero logico-matematico?  À parte questa incoerenza, è certo che il James non sl pre  «senta con le audacie quasi spavalde dello Schiller: a vol   sembra di trovarsi, leggendolo, davauti a un realista e intel  | lettualista autentico. Cfr. « Revue Néo-Scholastiguev, Vol. 15,  «Bulletin d’Epistemologie » p. 278-298. =   James, î'2d., p. 156,    pers    i: La teoria della verità e della realtà  È, sta la parola «sconfitta». «La esistenza della real- ©  tà appartiene (ad essa) ma il contenuto suo dipende dalla nostra scelta, e la scelta dipende da   | noi» . La realtà è muta. Le sensazioni dei rap (SAh porli loro non ci dicono niente intorno alla propria  natura: siamo noì che parliamo per loro. Noi rice 2 viamo il blocco di marmo, ma siamo noi che vi scol piamo la statua. Giò vale anche per le parli « eterne »   della reallà. Noi scompigliamo le nostre percezioni   Mei rapporli inlrinseci e le ordiniamo a nostro pia . cere; le classifichiamo in serie, le raggruppiamo in  classi, consideriamo ora l'una ora l’altra come fondamentale, finehè le nostre credenze formino quei  sistemi di verilà che conosciamo solto il nome di logica, di geometria, di aritmetica. Im ognuno di quesli   ‘sistemi la forma e l'ordine è evidentemente opera   (umana . È difficile parlare di una realtà indipen «| ‘dente dal nostro pensiero. Essa si riduce al concetto   di ciò che è già nel campo dell’esperienza, ma non è   | @ncora denominato, oppure all'assolutamente mulo,   o a, un limite puramente immaginario della nostra   coscienza . Ad ogni modo è inaccessibile, inaffer | rabile: quando crediamo d’'averla còlla noi ci troviamo lra Je mani un semplice surrogato, una crea . lura del pensiero umano anteriore che ce l'ha rega lala per il noslro uso e consumo . La corrente   delle sensazioni c'è, chi lo nega? Ma ciò che noi di ciamo di quel flusso è creazione nostra dal principio   sino alla fine. Noi condensiamo la corrente plastica   | în cose, a nostro capriccio: noi creiamo i soggetti e   1 predicali*dei nostri giudizi veri e falsi: tutto cià   «che è, è frutto della nostra elaborazione. «Il mondo   «| non è come vogliono i razionalisti l'edizione in     (1 1a. dbig. « Die Existenz der Wirklichkeit gehòrt ihr, aber    hr Inhalt hingt von der Auswal ‘  RO vahl, und die Auswahl hangt    (8) 1d., p. 159.  | (a) Ia., ivia.  Il Pragmutismo folio infinita, l'edizione di lusso elernamente complota che le coscienze individuali non riescono a decifrare nella sua interezza e rifanno in lante piccole  edizioni finite, piene di errori di stampa, più o meno  deformate e mutilate; ma è un’edizione non ancora  perfetta, che viene completandosi a poco a poco specialmenle per l’attività degli esserì pensanti » . E  questi la stampano nelle loro edizioni; la plasmano  nei loro schemi connoscitivi, in mille modi diversi,  secondo i loro diversi fini. E quei modi son lutti veri,  hanno tutti lo slesso valore di verità se rispondono  al fine per il quale furono elaborati. L'anatomico con  sidera l'individuo come un organismo: la sua realtà  sono i suoi organi ; l'istologo vede in esso un comples- È  so di cellule, il chimico un insieme di molecole . Il n    numero 27 si può considerare come la terza potenza  di 3, come il prodotto di 3 e 9; come la somma di  26 + 1, come 100 73, ecc. ecc. Noi siamo creatori nel 0,  conoscere come nell’operare. Il mondo aspetta la sua  forma _finale dalle nostre mani, Così il Pragmatismo  apre nuovi orizzonti alla forza divino-creatrice delPuomo ; così il pensatore è rivestito di dignità    LI nuova piena di responsabilità. 6 i  Noi «solleviamo ad altezze nuove la realtà pree- »  sistente » se sappiamo credere, agire, lottare: la fede    ci fa salvi, ci porla alla conquista dell'universo, ul  niglioramento progressive della realtà  La no:  stra sorle è nelle nostre mani! Lungi da noi il fatalismo, il quielismo, l’indifferentismo: la vita è un ar:  cobaleno: vi troviamo tutti i colori, a nostro grado:  la noslra azione ve li crea (9). a    VP Cfr.: La cultura filosofica, N. 2, Pi 124, >  dove ho tolta la traduzione delle parole qui citate.    i  Id., p. 161-161; passim.    Ù (8) La frase è del PAPINI, «der Fiihrer der italienischen  V80 Pragmatisten » come lo chiama il JAMES, ibid., p. 104. NP».  int  Le parole sono prese dall'EuckeN ima non si ha alcuna  e) citazione di opera; EUCKEN parla di una « Erhohung des vorge  i fundenen Dascins » -- p, 163. ine.  , James, p. 170 sgg. SCHILLER: «like a rainbow Life glitters  ti în all the colours». /fum, 16, \?,   uindi, o uomini, imparale a conoscere voi stesvi consapevoli delle vostre vocazioni; inallargate le vostre finalità: sollevatevi  i | dominazione in dominazione; sappiate volere e  sappiate creder?, cioè uermare con tutto il vostro  essere che le cuse stanno realmente come voi le poele, © le cose vi ubbidiranno, e la fede \} farà salvi,  ioè vi permetterà di conseguire i. fini della vostra  esistenza. Sappiate che dopo lutto la verità non esiste in sè; ma parlate, pensale, agile come se real  ente fosse tal quale voi la vedete, voi non servi,  na padroni suoi © suoi fallori» .   ‘Questa è lu dottrina della realtà sostenuta dal  agmalismo.  LA RELIGIONE ‘NEL PRAGMATISMO       “Sommario: x l. Le preoccupazioni etiche e religiose. L'esistenza di Dio. Il concetto di Dio.  \ 4. Religione e religioni. Esporre con una certa ampiezza le dottrine  pragmaliste, senza fare un posto speciale al modo  con cui in esse sono presenlali e risolti i problemi  religiosi, sarebbe una mancanza grave.   Chi ha studiato o lello con amore, le opere al  meno le principali dello Schiller e del James, sa  “che, allraverso ad esse, si sentono passare, come  n fremito, più o meno distintamente, due preoccu| pazioni; luna, più generale, che tulto pervade, tulto   “colora, tulto fondamenla: la preoccupazione etica:  l’altra, più speciale, che nasce dalla prima come  condizione necessaria o postulato del coronamento  dei valori e delle esigenze eliche: la preoccupazione  religiosa (I).   È vero che questa (la religiosa) nello Schiller non  è così intensa e così manifesta come nel James; lo     Per questo io credo che, se si può e si deve parlare di  nn pragmatismo religioso (e così pure di uno epistemologico,  metafisico ed estetico) come di un complesso di applicazioni  del principio del Peirce alla religione (alla metafisica cecc.),  non si può invece parlare di un pragmatismo etico, come di  lina specie 0 soltospeci® del pragmatismo: Tutto il pragmaismo è etico: l'etica è alla base della epistemologia, della mea Lab della SESLIgione °, della IOICUCE Di quest'ultima non  È ames e Jo Schiller non se ne son Ù A   articolare, Il non ne sono occupati La Religione nel Pragmatismo Schiller il véro filosofo del pragmatismo, sebbene  meno popolare del James ha lavorato sopratlulta  a stabilire e consolidare la base stessa dell’edificio:  il carattere, cioè feleologico-morale di ogni nostra attività e di ogni prodotto dell’altività umana: tuttavia sono numerosi i saggi nei quali egli si occupa  ex-professo, più o meno largamente della religione,  V, e da per tulto si sente che per lui la religione vale.  - Del resto: non ci dice lui stesso, espressamente, che  il pragmatismo «non è soltanto un movimento che  riguarda un insieme di dottrine tecniche intorno al  7 problema della conoscenza, ma anche un tentativo  di determinare i rapporti tra «fede, ragione e reli   . gione?» .   Quanto ai James è nolo per la sua stessa confessione che la prima applicazione da lui falla del  principio del Peirce fu un'applicazione ai problemi   KS. religiosi . Ed è noto del pari che, dal giorno del  ; suo primo discorso pragmatista all'Università di Ca È lifornia (1898) fino all'opera: « A _Pluratistic Univer| Sen, attraverso la «Volontà di credere», « Le varie  forme dell'esperienza religiosa» e «Pragmatism », lulte le volte che gli si presentò l'occasione, ha posto \  e risollo, a modo suo, i più fondamentali tra i pro- i  blemi della religione. Il James fu un? anima carat- leristicamente religiosa. Dice di lui il Boutroux: Egli ebbe da suo padre una tenerezza intima per  il inisticismo del grande pensalore svedese Swedlenborg, il principio del quale era la relazione tra’  gli esseri terrestri e le potenze spirituali. Questa  «dottrina Swedenborshiana. circola traverso tutta la  opera del James» . Egli lrovava «la forza e lu  pace del cuore e dello spirito nella fedeltà alla crcdenza che fuori del mondo del nostro «pensiero co:  Sciente ve ne sono altri, ai quali noi allingiamo le  energie capaci di arricchire e di trasformare la no- Studies in Humanism, Essay XVI, p.   Pragmatismus. BOUTROUX, IV. James (Rev. d 5  Novemira, 1919, Db, isa ( © Metaph. et de Morale, SEE.    culi *  Il Pragmatismo stra vila» . «Chi sa scriveva egli, conchiudendo un’opera classica sulla religione se la fedeltà  di ogni uomo alle sue umili credenze personali non  possa aiutare Dio stesso a lavorare più efficacemen{e ai deslini dell'universo? » .   Aggruppo l'esposizione intorno a questi tre punti:   1.) Esistenza di Dio; 2.) Concelto di Dio; 3.) Religione e Religioni. Cominciamo con James,  La storia della filosofia è in gran parte la storia  del conflitto dei temperamenti umani, Ogni filosofia  è l’espressione, il riflesso del carattere intimo dell'uomo, la traduzione in idee del lemperamento; ogni  intuizione dell'universo (We/lanschauung) è nè più  nè meno che un complesso di reazioni del carattere  umano assunte, o a propria insapula, o deliberatamente, in faccia alla realtà . Questo spiega il sorgere dci sistemi e il batlagliare continuo dei filosofi.   Noi possiamo distinguere due principali tipi spirituali d'uomini aventi caralterisliche affalto diverse: l'uomo dalla (empra tenera (lender-minded) e  l'uomo dalla tempra dura (tough-minded), cioè il tipo  simpatico c il cinico .   Mettele questi due tipi profondamente diversi in  faccia all'universo e chiedele loro una dottrina: avrele da una parle il malerialismo sensualista, con  lutto il suo contenuto di scetticismo e di pessimismo,  come traduzione del temperamento rude e cinico;  dall’altra lo spiritualismo con contenuto ottimistico,  quale espressione deì tipo dalla tempra tenera.   L'antagonismo di queste due dottrine, il contrasto  dei due lemperamenti malcrialistico e spiritualisti    co assumono tulto il loro speciale rilievo di opposizione davanti al problema dell’esistenza di Dio. Il  L'Expérience religleuse, p. 436.   /ui, p. 437. :    Li Mi   JAMES, Der Pragmatismus, I Vorl. p. 3-6; 4 Pluralistio. ;    Universe, p. 20   Der Pragmatismus, p 7: A Plural. Univ. La Religione nel Pragmatismo complessa delle cose che vediamo, che esperimentia.  mo e che abbiamo convenuto di chiamare « mondo »  sono il prodotto della materia o di Dio esistente fuori e sopra la maleria? «La materia produce tulte le  cose 0 e'è anche un Dio?» . Ecco il problema. Il  quale non sarà risolto mai e la storia è là a dimostrarlo in base alle vuote, astratte e. sottilissime discussioni sull'essenza intima della materia €  sui suoi caratteri osservabili o su pretese visioni htelleltualistiche de! Dio che è in questione . Ogni  speculazione è impotente di fronte al materialismo ateo a dare una solida base razionale alla religione: i due grandi (entativi sistematici di dimostrazione dell’esistenza di Dio il teismo scolasti  ‘co e l'idealismo trascendentale hamno fallito al  loro scnpo. Tulli conoscono gli argomenti classici della filosolia Scolastica. Ebbene, Hume, col cacciare per  sempre la causalilà dal mondo fisico, ha reso impossibile ogni inferenza dal creato a una causa prima;  del resto l'idea di causa è troppo oscura per servire  di fondamento a tutta una teologia. Dopo Hume,  Kant ha dimostralo che, Dio, l'immortalità e la liberlà, non avendo alcun contenulo sensibile, sono  parole vuole di-senso dal punto di vista della conoscenza (corica, e ha fatla giustizia una volta per  sempre della vecchia leologia, che ora non regna che  nel volto e non è difesa che da qualche ritardatario.  Il darwinismo ha dato il colpo di grazia alla prova  per mezzo delle sue cause finali. L'ordine e il disordine che noi troviamo nel mondo non sono che invenzioni umane: chiamianio ordine ciò che corrisponde a un nostro ideale, disordine ciò che se ne I metodo praginalista in: Saggi pragmatisti, p. 15 (traduzione PAPINI). Occorre far notare che questa visione degli ontologi non  è da confondersi con la ?n!uizione del sentimento, intuizione  sorda e vivente, della «philosophie nouvelle»? Vedi: PIAT,  Insuffisance des Philosuphies de l'Intuition, p. 129, Sg.    Il Pragmatismo 61    allontana . Finalmente il pragmalismo, cacciando dal mondo la necessità logica, ha tollo ogni sperana di una soluzione per coucetti del problema in questione, di modo che le prove dell’esistenza di Dio non  sono valide che per coloro che già credono in Dio    i  e debbono trovare degli argomenti per difendere tale 3  3  i  A  “precredenza .  ; L'idealismo trascendentale non è più felice nel suo  SG tentativo di dare una base solida alla fede: vedremo  quali assurdilà sono implicite nel concetto di una  coscienza concrela infinita che sarebbe l'anima de! x  - inondo: vedremo a che si riduce l'Assoluto. e  «E allora? Quale altra via rimane aperta per risol  vere il problema? Già nell'opera : La volontà di credere, il James assegnava ai molivi emozionali un  valore definitivo, nel casu che l'intelletto non polesE se offrire delle ragioni sulficienti per l'adesione a  i doltrine di caraltere religioso. La via è aperta: metliamoci in essa. La questione: « Dio esiste? »per il  pragmatismo si risolve in questa, più determinata e  più chiara: «Quali conseguenze pratiche importa  (| per la reallà, per noi, l'esistenza di Dio?» Se prali= camente, cioè dal punto di vista del criterio della uti.lita pratica, la negazione dei malerialisti vale quanlo l’allermazione dei leisti, le due teorie sono equivalenti in lutto poichè delle teorie non esiste che il  di lato e il valore pratico (9). 7  | Ebbene, la questione se il mondo sia creazione di  Dio o prodotto delle forze materiali può essere conpe sideralo da un doppio punto di visla: relrospettivo  + e prospettivu. lFingiamo che il mondo sia completo.  ti ed evoluto in tutte le sue partì (punto di vista retro| spettivo). Esso non sarebbe che una somma di ri  sultali buoni e caltivi, dalla quale è escluso. qualun Jaars, L'Expérience religicuse, D. 418 (in nota), p    ce 369-331. ia   a JAMES, L'Erpérience reliyicuse, p. 368-309: « Pour celui  qui déjà croit en Dieu ces arguments sont solides... La On  {ltoure... des arguments pour défendre ces croyances le    doit les trouver ». : di  Ò NI Vol., p. 59; L'Experience JAMES, Der Prugmatismus,  religlouse.    INA  La Religione nel Pragmatismo  que aumento e qualunque alterazione. Da un mondo  lale noi non avremmo nulla da sperare e nulla da  temere, perchè il potere creativo, qualunque fosse  slato, si sarebbe esaurito tutto in quello che è, che  è irrevocabilmente, in tulle le sue particolarità: uno  dono che ci è stato dato e che non può essere ripre- ì  so. Orbene, in lale ipotesi, «quale sarebbe il valore  «di Dio, sc ci fosse con la sua opera compiuta e ìl suo  mondo già trascorso? » . Egli non varrebbe niente  più del suo mondo; da lui, come dal suo mondo, non  avremmo nulla da sperare e nulla da lemere, poichè  egli, secondo tale ipolesi, nulla potrebbe togliere 6  aggiungere a ciò che è. A un Dio simile noi saremmo  riconoscenti per quello che ha fallo, non per altro.  lì ora prendiamo l'ipotesi contraria, che, cioè, le  parlicelle di materia, seguendo le loro «leggi» polessero fare lullo quello che, nell’ipotesi precedente  Da fatto Dio: saremmo noi loro meno riconoscenti  che a Dio? «In che soffriremmo noi mancanza se  lasciassimo cader: l’ipotesi di Dio e facessimo responsubile la sola maleria? Come, essendo l'esperienza  definitivamente cd irrevocabilmente ciò che è sfata,  “polvebbe la presenza di Dio in essa renderla più vivente e più ricca al nostro sguardo?»  « Chiamiamo materia la causa del mondo e non leviamo neppure una parle di quelle che lo compongono; nè, sc  chiamiamo Dio la causa, esse aumentano ». Dunque  «materia e Dio significano precisamente la stessa  | cosa, cioè il potere, nè più né meno, capace di fare  | questo mondo celerogeneo, imperfello e tuttavia ter| Minato », e perciò «la dispula tra il materialismo e il  leismo diventa, in questo caso, oziosa e insignifiante». Se la presenza di Dio «non porta un giro v  lin risultato differente all'insieme del mondo, non  Ù può certumente accrescerne la dignità; nè gli (al:    RE TIE           (I) JAMES, 12 metodo pragmatista, in Saggi È   : MES, li SI, gi pragmatisti,  x D. 15-17. Noto una volta per sempre che le Datore Calo da  3 Saggi pragmatisti, e messe tra virgolette sono della traduzione  | del PaPINI e del LruNarbo, Jl PAPINI ha tradotto IL Metodo  | pragmatista dall'inglese, James, 0 Metodo Prag matista; Dì  mus) ip, 06 g Dp. 16-17; Der Pragmatis: mondo) verrebbe nessuna indegnità se Dio non hi  fosse e se gli atomi rimanessero 1 soli attori ch È  scena» . È saggio colui che volta le spalle a siffat‘la inulile discussione . 3  ‘Meltiamoci ora a considerare il mondo da un punto  di visla prospellivo; poniamoci « questa volla nel  inondo reale in cui viviamo, mondo che ha un fuluro, che è tullavia incompleto. In questo mondo non finilo l’allernativa di «ma lerialismo o teismo è intensamente pratica». Essa  si può formulare così: «In qual modo il programma  della nostra vila è allo a variare, secondo che si considerano i fatti dell'esperienza come configurazioni  di atomi senza finalità (materialismo), oppure come  dovuli alla provvidenza di Dio?» (teismo). È vero  che in questo mondo non finito la materia fa prati  camente lutto ciò che può far Dio, che essa equivale  u Dio, che Dio è superfluo e cessa ogni legiltima richiesta della sua esisienza? E vero che «la materia,  di cui paria Spencer, per la quale si compie il proi cesso dell'evoluzione cosmica, è veramente un prin| cipio di perfezione infinita quanto Dio? ». (8)  Vediamo. Secondo il materialismo e la sua « teoria  dell'evoluzione meccanica, le leggi della distribuzione  della materia e del moto» sono rivolte incessante_Inente al disfacimento del mondo, «a dissolvere tutte  le cose che hanno falto evolvere ». Così il Balfour  cl rappresenta l’ullimo previdibile stato dell'universo  quale ce l'ha dalo la scienza evoluzionista: «Le eNergie del nostro sistema si consumeranno ; la gloria  del: TR cselrata, e la terra, inerle e desolata,  a disturbato 1a oltre la razza che per un momento  E SS GLILI a sua soliludine. L'uomo cadrà nel  EF va suoi pensieri periranno. La inquieta  a... le «azioni immortali » moriranno, e l'ai More, più forte che la morte, sarà come se non foss  _ mai slalo. Nè vi ‘'à Il i i sli se  1 sarà nulla che sia meglio o peggio    i fu) d04, DD. La Religione nel Pragmatismo per lulto ciò che il lavoro, il genio, la devozione e la  sofferenza dell'uomo avranno fentalo di effettuare  durante età innumerabili » . Dunque la sorte ulti  ma di ogni cosa e di ogni sistema di cose cosmicamente evolute è tragedia. Nulla rimarrà di ciò che  è slalo: non un'eco, non una memoria: la rovina  sarà universale. È si noti: « questa rovina e tragedia finale sono nell'essenza del materialismo scienlifico. Le forze più basse, e non le più alte, sono le  forze eterne o quelle che sopravvivono ultime nel  solo ciclo di evoluzione che noi possiamo definilivamente vedere » .   Ma se Dio esiste, i risultati pratici dell'evoluzione  dlel mondo saranno ben altri. « Un mondo che conlenga un Dio che dica l’ullima parola, può bensi arderè o ghiacciare, ma però noi pensiumo che Egli  pensa sempre ar vecchi ideali e ne assicura che alriveremo a goderne; perciò il naufragio e la dissoluzione non sono mai assolulimente finali. Ml bisogno  di un ordine morale eterno è uno dei più profondi  bisogni del noslro cuore... ».   «Qui giacciono i significati reali del materialismo  e leismo...; matlcrialismo signitica Ja negazione del.  l'ordine morale eterno e l'esclusione delle speranze  ultime; il teismo significa l’afiermazione di un elerno ordine morale e dà libero corso alla speranza. Un'altra conseguenza pralica di grande importan:  za deriva dalla affermazione feislica: il sentimento  d'intimità col mondo.   I mulerialismo con la sua visione impersonale  dell'universo ci pone di fronte a una realtà muta, in:  differente, brutale che distrugge via via ltutlo ciò che  crea, senza curarsi del bene e del male, e dei biso   - gni umani. I bisogni umani! Ma che cosa è ma  l'uomo per il quale si dovrebbe avere dei riguardi:  L'individualità di ciascuno di noi è come una     BalFOUR, The Fondalions of Belie{ (Le basi della fede)  p. 30, citato dal JAMES in; Meludo praymatista, pp. 21-22, in.  Der Pragmalsmus, JAMES, IL Met. Pragm., p. 22; Der Pragmat,, D. 66. Zuî, pp. 23-24; p. 66 sg.  Il Pragmatismo    = rrasca,  7 are in burra  sopra: unt ma senza trequi epolto;che Loano È AESLLUSRANO FOT  sj venti e le onde c iizoirenomoni Uasc  due i i non siamo che degli €} gli eventi . Come  otza (dol flusso irresistibile deG Letta così falla?  È Si simpatia e amore per o a senoi mettiamo  6, invece, nelle cose 0 MIO a esse ci appariscono  n Dio una som idenzar allora. lime al nostro cuo| ù calde, viù vicine a e voni saremo più estra"o pensiero : >  e al Nostro La non lo saranno a noi. Ri  Mg ici co ce eciesse: ‘agmalistico sì polrebbe dire  Da un punto di vista DER fra il maferialismo e il  le la differenza che passa fra de senlire i no:  CE "nali el concepire e sentire  ; O spiritualismo) nel concepire : I ROGIE  BLOGO SÌ differenza sociale. £  i rapporti col mondo è una eee  iamo malerialisti, noi dobbiamo DR È SIGrgnn  {ra socio, il mondo, difidenti e USE E  guardia che non ci GU slringorit  Spiritualisli noi possiamo fidare li, S SECOLI  Nexbitualisti SIAE n ere fidenti sulla nostra  " tai Ise peosstere ident so utile, che  on ai Rostri bisogni emozionali, che ci fa  ‘Procedere coraggiosi nelle nostre esperienze sulla  Tealtà nella speranza che ln realtà risponda alle do mande che le rivolgiamo, è una Sani UerisUca della  | Verità, noi dobbiamo concludere che il (eismo è vero  © il materialismo è falso.  Vi sonoaltre ragioni che autorizzano a tirare  conclusione in favore dell’esistenza di Dio. Se  Dio, Egli produce differenze prati  porti call'universo; se c'è un Dio,  renze « nella sorte finale del mondo :  lo. Ma possiamo dire d    questa  c'è un  che nei nostri lap  questo s'è vedu  i produca differ  . Ina durante tutto il  ere che l’esistenza di    Mella sorte finale  do»  Ammetl    ì, L'Expérience    religieuse, D.  >, Il Metodo pr    agmut., p. 15; 4 Pluratistie Univer  Il Met. Ppragm.    Egli produce diffe    È più: se c'è un Dio noi possia-.  no aspellarci che egl enze non solo,  | corso del monDio non possa a 66 La Religione nel Pragmalismo    cangiar nulla nella nostra esperienza non è affermare  ‘l’inverosimile? «il vero significato di « Dio » sla appunto in quelle differenze che debbono essere ammesse nella nostra esperienza, ove il concello sia ve“ro. Ebbene queste esperienze esistono cd hanno un  ‘intlusso polente sul sentimento e sulla condolta. La  Z esperienza fisica, o percezione degli oggetti esterni, e  la esperienza psicologica pura c semplice limitata alla  tà percezione deil'io, non colgono la realtà tolale e pie‘q namente reale, e non sono le uniche forme di espericoza: ve n'è una terza: l’esperienza religiosa che  (ci dà una massa di esperienze concrele affalto ori«_—‘ginali. «Se voi chiedete cosa sono queste esperienze  vi dirò che sono conversazioni coll’invisibile, voci e  visioni, risposte fl preghiere, mutamenti di cuore,  Ta liberazioni da paura, influssi di speranza, assicura  zioni di appoggio, ogni qual volta certe persone si  mettono in una cerla attitudine interna, con certi  modi appropriati. Il potere viene, va e si perde, e  può esser trovalo soltanto in una certa direzione determinata, proprio come se fosse una cosa concreta  e maleriale» xl}, Vedremo più sotlo perchè praticamente parlando è cosa di poco momento che il Dio  della teologia sistemalica esista o non esista; «ma  se il Dio di queste particolari esperienze è falso, è  una cosa lerribile per quelli la cui vita è poggiata  su tali esperienze » .  _, Concludendo: «la controversia teislica assume un  lreniendo significato se noi la saggiamo coi suoi re; sultati nella vita attuale » . Il naluralismo, il posiARI livismo e l’agnosticismu possono cominciare con culusiasmo il lavoro rude della vita, ma liniscono fatalmente nella tristezza e nello scoraggiamento inerte.  Se invece, come afferma il teismo, la nostra vita  ‘cosciente di lutti i giorni fa parte d'un universo morale, armonivso, elerno; se ognuna delle nostre sofl a    O TAES: ALI relty., ). AMES, Mel. pragm., pp. 28-29. Sono appunto queste  | ‘esperienze che formano Ìl tema e l RA) ci  CRA la e la materia di: L'Experience  /£ Metod. Pragni. a    N   ll Pragmatismo 67°    ferenze ha la sua ragion d'essere e il suo valore;  se il cielo sorride alla terra e se gli dei vengono a  visitare gli uomini; se la fede e la speranza sono  come l'atmosfera della nostra anima, allora la nostra vila scorre abbondante © colorita in mezzo a  grandiose prospellive  i   Possiamo tirar subito una conseguenza importanle dal punto di vista pragmatlistico ; la speculazione èimpotente a condurci a Dio; noi affermiamo la grande probabilità della sua esistenza in base alle conseguenze pratiche, all'utilità reale, in contanti, che  derivano dall'accettarlo come esistente. Naturalmente, e lo vedremo sotto, il pragmatismo non può darci  più che una probabilità.   Lo Schiller con lo stesso metodo giunge alle stesse  conseguenze. Col James egli rigetta le prove tradizionali dell'esistenza di Div e fa una guerra spietata  alla identificazione con Dio dell’Assoluto degli idealisli trascendentali.   Per lui la comune insufficienza delle prove tradizionali sta nella loro astrattezza. Esse, infatti, sono  applicabili alla concezione di un universo qualsiasi,  non ul nostro mondo particolare. Per esempio: l'argomento cosmologico inferisce Dio dal fatto che vi è  eausazione in astratto; l'argomento fisico-teleologico  è costruito arguendo, in maniera affatto generale,  dall'ordine un ordinatore . Ebbene questi argomen  ‘li non provano nulla perchè vogliono provar troppo.    Dal momento che si possono applicare ad'ogni solta di mondo, buono o cattivo che esso sia, ne segue  che la divinila inferita con questa specie di argomentazioni è affatto indifferente al contenuto del mondo,  al bene e al male che esso racchiude: è un Dio  amorale, che si può inferire così bene da un universo  ollimo come da uno pessimo. La inferenza di Dio dal  mordo sarebbe ugualmente buona nel Cielo e nel  l'inferno, Ecco perchè tutti i lonlativi di ascrivere a  Dio attribuli morali sono condannati a ;certo insuc   30.   JAMES, L'Experionce religieuse. Se il  |  cesso. Trascurando gli aspetli morali del nostro mondo come si può giungere a un principio morale gli  esso? Ebbene, non è di codeste prove che noi abbiamo bisogno; non chiediamo una prova dell'esistenza  di Dio che sia valida per ognì universo pensabile, mù  per il nostro mondo aituale, che tenga conto del contenuto concreto, reale delle cose che noi: esperimenliamo; ci occorre un Dio il quale ci dia sicurezza, che  nel nostro mondo vi è un polere capace e disposto a  dirigerne il corso . È È   Il dialogo: Gods and Priestes (Dei e Sacerdoti)   è lullo una critica birichina degli argomenti razionali (teorici) dell’esistenza di Dio. Dice Filono: «Mi pare che Vesislenza degli Dei si possa inferire dall’esistenza dei sacerdoli, poichè, se gli dei non ci fossero,  e che ci starebbero a fare i sacerdoli? » Un argomenlo puerile, a dir poco, come si vede. Eppure Anlinoro risponde: «Questo argomento è... migliore della  più parte di quelli dei teologi » . Più oltre Antinoro  dice: .« Finchè il Dio ignoto non è desideralo è incomoscibile » . Noi sappiamo che « inconoscibile », per  l’umanismo, vuole dire «non-esistente ». Ma dunque  il nostro desiderare, volere Iddio è creare, fare Iddio?  Senza dubbio: «il desiderio fa reale l’irreale n. « Gli  dei sono reali in quanto responsi ideuli ai reali bisogni umani, che ci funno realmente agire» . Dio 6  un postulato della fede ed è delia stessa nalura dei  postulati della scienza , cioè una supposizione uli- SCHILLER, Humanism., Ess, 1V, « Lotze's Monism »; p. 82.  = lo non posso indugiarmi a esporre largamente le teorie religlo5e dello SCHILLE", come ho fatto col JAMES: un articola  non basta a ciò, Del resto non è neanche necessario, perchè lo  SCHU.LER, quando pula di religione. si appoggia spesso al  JAMES, €, sostanzialmente, lo riproditeo    ScHiLLER, Studies in Humanism, Essay.The gods nre real as the ideal responses to real human needs, which really move us, Studies in Humanism, p. 136. Lo ScHILLER cita qui: La  tolontà di credere del James,    = "i si » etiam  Lu e e ir__nnnn_nn_    RPEI EN   oli Pragmulismo    le, una domanda di qualche cosa che corrisponda alle  esigenze dell'uotno e mella armonia in una speciale  sfera di esperienze.  L'uomo fa la verilà e la realtà, come s'è veduto: È  è vero e reale ciò che opera e in quanto opera; la  soslanza è allivilaà, e l'attività non esiste se non come  attività per noî. La domanda di Dio non è la domanda di un essere lrascendente, ma di uno perfezioÈ nante la esperienza nostra . Perciò la questione:  LI, Dio esiste? significa: Qual'è il valore per noi del conX cetto di Dio? | siecome le concezioni di Dio sono mol| le, qual'è il valore di esse, 0 dei varì tipi ai quali  lulte sì possono ridurre? E qual'è il migliore fra i  concetti di Dio?    $ 9. Nella filosofia spiritualisla noi troviamo due  specie di (eismo in senso largo: il leismo dualistico,  o teismo propriamente detlo, e il leismo monistico  o panteislico. Il primo è la elaborazione teologica  della filosofia scolastica, il secondo è proprio dell’idealismo posl-kanliano, 0 idealismo assoluto, o idealismo simpliciter, che si voglia chiamare . Esponianoli brevemente ed esaminiamone il valore alla luce  del pragmatismo. >»  Il'ieisino scolastico insegna che Dia è la Causa Prima, la quale differisce tolo genere dalle sue creature. La sua essenza è di essere a sé. L'ascità è la fonle di ltulli gli altri allributi metafisici: necessità e  assolutezza, immaterialità e semplicità, infinità e personalità metafisica, ecc.; e degli attribuli morali:  sanlità e onvipolenza, onniscienza e giustizia, im   mutabilità e amore, ecc. . Ebbene, applichiamo a       ScuuLer, ivi. Considerazioni simili a quelle del James  contro ia visione materialistica della vita nol troviamo li  Humanism, Ess. XIV, pp. 250 seg.: «The ethical significance.  of immortality ». Vi dintostra che la vita non è degna d'esser  "vissuta se non sono conservati i valori ideali. /    (29) JAMES, A Pluralistic Universe pp. 23-24; Der Pragmalismus, VIII Vorl. p. 192. a   JAMES, L'Expérience Reltgieuse, pp. 371-376; Saggi pragmat., IL metod. pragm., pp. 25-20. ) ar       n . 70 La Religione nel Pragmatismo    RO T   questi attributi di Dio il principio del Pierce ec vedreL mo che fra essi ve n'ha di più e di meno importanti.  i Infatti, dal punto di visla pragmalistico che divenN gono gli altribuli metafisici di Dio, distinti dai suol  attributi morali? Quali effetti possono produrre sulla  nostra condotta? Che cosa importa per la vita del.  l'uomo che Dio sia a sè, che Dio basti a sè stesso,  che Dio non appartenga et nessun genere ecc. ecc.?  «Come può mai l'« aseità » di Dio loccarmi inlimamente? Quale speciale cosa posso io mai fare per    adattarmi alla sua « semplicità? n «O come devo de  terminare lu mia condotta da qui innanzi se la sua  «felicità» è assolutamente completa?» Anche quan‘do di quesli attributi ci si desse una dimostrazione  logica rigorosa noi dovremmo confessare che essi  non hanno senso, 4  poichè sono lontani dalla morale,    lontani dai bisogni umani .  ‘Non è così degli attribuli morali. Essi risvegliano  il limore e la speranza e sono il sostegno dell’anima. Se Dio è santo non può volere che il bene; se  è onnipotente ne può assicurare il trionfo; con la  sua onniscienza ci vede nelle tenebre; per la sua  iustizia, Egli punisce le nostre colpe anche segrete.  ègli è tulto amore, dunque perdona; è immutabile  e quindi possiamo contare sul suo amore. i  Iddio, nella creazione, si è proposto come fine la  manifestazione della sua gloria; « questo dogma ha  certamente una qualche elficace connessione pratica  ©. colla vila, 0, meglio, Phu avula per l'enorme influen| za che ha esercitato sulla storia ecclesiastica e per  ? ripercussione sulla storia degli Stati curopei» .  Cerlo, quest'ullimo dogma, connesso con la concezione monarchica del mondo, di una divinità con la sua  corle e le sue pompe non corrisponde più alla nostra  mentalità, ma gli aliri attributi hanno un valore religioso anche attualmente. Sc la teologia scolastica     JAMES, L'Excpérience religieuse, DD. 375 S86.: Il Metod.  Pragm. JAMES, L'Expérience religicuse, p. 376; Il Metod. Pragm.  (op. c.), pagina 27-28. i LA    4  s  =    lì Pragmalismo 1  polesse stabilire in modo irrefutabile che Dio li pos- e)  siede (gli attribuli morali}, darebbe una base solida si    alla religione. Ma, come per l’esistenza di Dio, cusì 19  per gli allribali morali essa ba fallito nel tentalivo sl  {lo Schiller ce ne ba detto il percl®). Si può provare d  storicamente che essi non hanno mai convertito nes- È  suno. Provatevi a dimostrare, scolasticamente, a uno |    che dubita della bontà di Dio, che Dio è buono per- ì  chè non vi è non-essere nella sua essenza!  Quegli ni    altribuli hanno valore non perchè e in quanto sono  dedolti, dalla scolastica, a filo di logica da certi du  (erminali concetti o calegorie, ma perchè e in quanto ur;  eccilano in nvi la risposta di qualche sentimento at- A  livo e fanno appello a qualche particolare condotta =  da seguire» , non quindi in base a speculazioni, | Pi    - ma per la loro efficacia pratica. |,   V'ha di più. La concezione leistica (scolastica) dipingeudo Dio e la sua creazione come distinti l'una  dall'altra, anzi come affatto diversi, mette il soggello umano fuori di ogni contatto con la più profonda  realtà dell'universo. Dio è separato dal mondo e dal- .  l'uomo. Fra l’uomo e Dio vi è connessione o rappot= in  - lo unilaterale, non reciproco. La sua azione può toc- :   carci, si afferina, (conte possa toccarci è un misleto)  ma Lui non può essere affetto dalla nostra reazione.  Il rapporto fra noi e Dio non è sociale: i due terni. |  ni sono separali da un abisso (8). Dio non è cuore  del nostro cuore, ragione della nostra ragione, ma  nostro maestro e giudice, ll nostro dovere inorale  è di obbedire ineccanicamente a’ suoi comandi, di  aderire pussivamente alle verità che non noi faccia  > mo, ma che esistono per sè, « by (iod°s grace QI CE  ‘ decrec» . Ebbene, lutto questo meccanismo LEO= N  logico, che ha parlato così vivamente all’animo dei  nostri antenati, con la sua limitata elà del mondo, |  con la sua creazione dal nulla, con la sua moralità    ta W) JAMES, L'Erper. relig., DD. JAMES, IL Met. pragm., PD. 26 . Ca  ye 2  JAMFS, A Plural. Univ., pp. 25-27. “i |     James, «Ad Plural. Univ. 72 La Religione nel Pragmalismo    giuridica ed escatologica, col suo gusto per le ricompense e le punizioni, col suo considerare Dio cone  un Jlegisialore esteriore, suona così vecchio al piu  di noi come se si trattasse di una religione selvaggia di stranieri. Le ampie vedute aperte dall’evoluZionismo scientifico e lo marea monlanie degli ideali  delia democrazia sociale hanno cambiato il tipo del  la nostra menlalità, e il vecchio leismo monarchico  è vielo e fuori di moda. IL posto del divino nel mondo dev'essere più organico G più intimo. Un creatore  esteriore e lc sue islituzioni pussono essere professale ancora, verbalmente, nella Chiesa in formule che  sopravvivono grazia aila loro inerzia, ma la vila è  lontana da esse, non lano più adito nei nostri cuosti . Quel magnifico uomo nou naturale  che è il  ‘Dio del teismo non cì soddisfa più; è solto il livello  delle idee morali correnti e perciò condannato dall’'alinosfera morale regnante, divenula per noì indi.  spensabile.   «I frulli che un tal Dio ha dato ai nostri avi hanno  perduto ogni valore per noi, le idee morali e sociati  nostre ci costringono, sc abbiamo bisogno di Dio, a  foggiarcelo in corrispondenza alle aspirazioni e agli  ideali del lempo nostro .   Ed ecco che l'anima contemporanea ha veduto la  possibilità di una più intima Weltunschauung; la visione panteislica di un Dio immanenfe come sostarza inlima del mondo, e il mondo come parle di quesia  profonda realtà. Questi concezione hu assunto due  forme diverse: la monistica e la pluralislica .     pp. 29-30. Lo stesso pensiero è espresso più largamente in: L'Eaperience reliyteuse, Qhap. IN: Critique de la  Saintele, pp. 250-284    La frase è dell'Arzold. Cir: A Plural. Univ., JAMES, L'Ewper. relig. Si è detto che”il Dio  tiel tolsmo è rigettato dal JAMES semplicemente perchè così  porta la moda, Intendiamoci; se per ni0da si vuol significare  «il complesso delle idee morali e delle forme sociali» di una  data epoca, l'osservazione è giusta; se per moda s'intende quella brutta cosa che tutti conoscono, non credo che sia esatto  il dire chè il James giudica di Dio in base ad essa. Cfr..  L'Erpér, relig., 1. c. JAMES, LI Plural. Uniw., pp. 30-31. Secondo il monismu la sostanza umana (e mondia- ©.   le) si identifica bensì con Ja divina, ma non diventa  veramente tale che nella forma della totalità. Lo spi-  3 rifo finito non ha realtà che neila comunione con lo   pi spirito Assoluto; cioè ìl divino esiste autenticamente   È solo quando è esperimentato nella sua assoluta l0 rà lalità. Pev il monista essere significa due cose: se si   È predica delle cose finite significa: essere un oggetto   Ì dell’Assoluto; se si predica dell’Assoluto stesso vuol   i dive: essere il pensamento dell'insieme degli oggetti. LvAssolulo ci Îa pensandoci, precisamente come noi,  nei sogno, facciamo gli oggetti sognandoli, o, in una  storia, i personaggi immaginandoli. Mondo e assojulo sono la stessa cosa espressa con nomi diversi: pensiero e pensato (Gedanke und Gedachleg s – cf. Grice, SIGNIFICARE E SIGNIFICATO – SEGNARE E SEGNATO – Meinung – ge-meint). Quale  grandiosa concezione nella sua terribile unità!» esela:  ma il James . Quale intimità fra il mondo e 1 ASsolulo! >   Ma, pur troppo, a un esame diligente questa 31 LI St  x. milà ci apparisce illusoria e materiale; in realtà il  divino è affatto estraneo al mondo come nel teismo  monarchico . E in vero: per lassolulisla noi, POSI   ad uno ad uno nella nostra finilezza empirica non  abbiamo nessun rapporto con l'Assoluto; per far  (parle di esso dobbiamo perdere l'essere nostro individnale con la sua limitatezza e coi suoi difetti. L'AsEa solulo è noì e lutte le allre apparenze, ma non è  I nessuno di noi in quanto fali, poichè nel tutto TION  x siamo « trasformati» diventiamo altra cosa. Dio quaFat: tenus infinilus est è altro da Dio, qualenus humanam  wr mentem conslituit ha scritto lo Spinoza, il primo  ; grande assolulisla . La vera conoscenza di Div =  serive l'Hegel comincia quando conosciamo che le  cose, quali ci si mostrano immediatamente, non han:  ‘no verilà . L'Assoluto secondo il Taggarl  non è processo, ma stato immobile: il movimento   JAMES, ivi pp. 34-37,   Zbta.   James, A Plural. Univ.,   Di.   » DI art ri È  aaa”  ul = Pa. ASTRA La Religione nel Pragmatismo    il cangiamento sono assorbiti nella sua immutabili  È i come forme di mera apparenza . Che cosa più  DA estranea a noi di un essere che non è nè intelligenza  nè volontà, nè una persona, ne una collezione di persone, nè vero, nè bello, nè buono nel senso che noi  diamo a queste parole? come scrive BRADLEY [citato da Grice, Prolegomena]. Che cosa facciamo di questo mostro metafisico incapace: di odiare e di amare, di soffrire e di  desiderare?  L’Assoluto non può essere personale  nel senso ordinario della parola; dunque non può  interessarsi delle persone: la sua relazione con ess?  è tutt'al più una relazione di inclusione, puramente  logica, quindi, non morale . Io non posso avere  nè cuore nè pensiero per un essere che nulla ha comune con me; se Lui nella sua inerte auto-beatlitudine non s’inleressa di me come posso io interessarmi di Lui?  =  Non solo l'Assoluto non è un principio morale,   ma non ha neppur valore scientifico. Per aver valore  scientifico dovrebbe essere un aiuto alla comprensione intellettuale dell'Universo. Ebbene Esso non  è la ragione suprema ed ullima di ogni cosa in par ;  ticolare (e l'universo si compone di cose particolari) >  appunto perchè è la ragione esplicativa di ogni cosa î  in generale; e qual'è il valore di una spiegazione gemerale che non spiega nulla in particolare? . È,   come si vede l'applicazione all’Assoluto dell’astrat lezza dei concetti con i quali sì prova, in teologia,  2 che Dio esiste e se ne deiermina l’essenza, secondo  lo Schiller. s  JAMES, Ivi; SClilLLER, Stud, i D p  o i ud. in Hum. Essay XII, passim;  JAMES, 0p. cit. pp. 47-48; SCHILLER, iul, p. 286 g. e:  (Essr IV, pagine 111-140.  IDRA RRE   JAMIS, ©p. cut., avi,; SCHILLER, Ess. JV.   ScHILLER® Stud. in Hum,, D.  |  James, A _Plural Univ., p. id; SCHILLER, Stud. in Hum.  bp,; « If th» One is neither of these {hings (beautiful and  | good), I will not worship it. nor call it Good. If it is indifferent to 9ur Gocd, I am indifferent to its existence n.     SCHI,LER, Stud, in IHum., p. 25).  db  Ît Pragmatismo Ti)    Ma c'è di più. Uno dei problemi che ha maggiormente alfalicalo il pensiero umano è il problema del î  male, il più fondamentale e il più pressante dei problemi religiosi. Esso ha un lalo teorico e uno pratico. Il teorico si formula: « Com'è possibile il male?»    Il prutico: « Come liberarci dal male? » Il primo sor ge dall’impossibilità di conciliare la bontà di Dio.  con la sua onnipolenza e con la sua infinità. Se Dio   è il tutto, la perfezione assoluta, senza limitazione   nè possibilità di limiiazione, donde il nale? Se Dio   è onnipotente perchè non trionfa del male, di tulru   il male? . li panteismo assolulista ci dice che la  periezione di Dio è la sorgente delle cose; ebbene,  guardate: il primo altu di questa perfezione è la spa  ventevole imperfezione di tutto il finito sperimenta   bile. Come mai la perfezione dell’assoluto, richiede 7  queste schifose forme di vita che troviamo nella realtà? Ecco il problema che nessun assolutista € .  nessun infiniusta potrà maì risolvere. Negarlo nou  è risolverlo. Lire, come fa l’assolutismo, che la impertezione del tuito non è che apparenza, una illusione degli esseri finiti, che il maligno non esiste 0  è assorbito con Dio nella sintesi superiore dell’Assoluto, ecc., ecc., non è risolvere, ma ingarbugliare  il problema. Il male c è è noì vogliamo liberarcene.   L ìl problema pratico si presenta: « Come scemulti | x  la quantita del male che è nel mondo? ». Il lato pratico del problema, chie è il solo veramente importante, non ha sensu per l'assolulista: tutto ciò che  è, è necessariamente come apparenza dell’Assoluto :  ogni cosa l determinata nel suo essere e nel suo divenire; ia connessione fra le cose è assoluta, ogni   evento è determinato da lulti gli eventi . Non esi  lai” sad  SCHILLER, po 287-258. nati James, 1 Pturat. Univ. p. 117, Una simile domanda è  rivolta dal James al teismo creazionista del Leibniz (e si può |  rivolgere ad ogui specie di creazionismo). Vedi: A «Plural.  Univ., vp. 119 120. « Perchè Dio crea liberamente questo mondo  imperfetto, e non si contenta di contemplarlo nello schema  ideale perfetto? » >    95 James, 4 Plural. Univ., pp. 55 © 77. 2a    La Religione nel Pragmatismo    ioni; i é che  stono possibilità di nuove connessioni; non vi è c ;  DE ‘possibilit: quela che s’identitica Son IP DESeRa  silà. L’indelerminatezza del reale e la bo. FR  na sono chimere. Ecco a che conduce. la  Assoluto.  Eibovo queste terribili accuse ACCIAIO  deil’Assolulo noi ci aspettiamo di NEdSri dan  nato alla irrealtà dal metodo PrOgmal sa MEO  amet no RO . Dal punto di vista intel:  ì es , E ris : ) 5 :  CRA gua SelSsolnio Do i SA ISRUIL SDOlai  elipotesi RO se l'Assoluto rende dei serDi all'uomo. Orbene, quantunque l'Assoluto  sia e non possa essere il Dio della religione popolaure ordinaria e non si debba confondere col Dio  del Cristianesimo c della Lcologia ortodossa ne  vedremo più sotto il perchè tuttavia è stalo e può  essere il Dio di una certa classe. d'uomini, che in  Lui solo trovano la pace {?). Ciò che sembra logicanente assurdo c impossihi  può essere dimostraio in q non le dice Schiller  ualche modo con una fede  eroica e palelica, Non v'è materiale così poco proInettente che non possa divenire il fondamento di una  veligione. Non' vi sono conclusioni così bizzarre che  non possano essere accellale con fervore religioso.  Non vi sono desideri così assurdi Ia cui soddisfazione non possa essere riguardata come un atto di  cullo .  Perciò l’assolulo può esistere ed esiste come Dio  se ha una reale iniluenza s    ulla vita umana, se è qual“ehe cosa di vitale e di valutabile pragmalicamente.  Ebbene, la storia delle religioni ne ha dimostrato  l'utilità. Vi sono unime che hanno bisogno di una  sicurezza assoluta che l'esito del mondo sarà buono,  che l'universo non audrà in isfacelo sotto il COZZO Zut; Der Pragmatismus, Vorl.,  ASSI,   SCHILLER, S/ud. in Ilum., p. %6. i    Iîì Pragmatismo Ti    degli clementi instabili e fortuiti; lale sicurezza non  può aversi che ammettendo un'assoluta necessità e  una interna coerenza del mondo, una determinazione  a priori del futuro.   Vi sono anime che provano un sentimento d’orgoglio al pensiero di essere una parle, una «manifestazione », un «veicolo» o una ripreduzione della  Mente Assoluta . Vi sono quaggiù anime stanche,  accasciate sotlo il peso del male, incapaci di trovare  in sè stesse la forza di vincerlo; la loro vita si sfascia ed hanno bisogno di risolversi nell’Assolulo, come una goccia d'acqua nel mare. Noi tutti abbiamo  dei momenti in cui aspiriamo al Nirvana, alla liberazione di noi stessi dalla esperienza finita. Questo  stato è proprio degli Indiani, dei Buddisti e dì certi  temperamenti mistici ai quali è conforto ed ebbrezza  il sapere « che tutto è necessario ed essenziale, anche  l’uomo col cuore e con l’anima ammalati: che tutto  è uno in Dio e che in Dio lullo è buono. che in que-.  slo mondo di apparenze, qualunque sia il nostro successo, siamo sempre dei miserabili.   Vi è dunque un istinto dell’Assoluto. L’Assoluto  può servire all'uomo, e perciò, nonostante le sue assurdilà, il pragmatismo lo rispetta ci dicono a una  voce il James. e lo Schiller poichè gli istinti umani sono preziosi © sacri  e tutto ‘ciò che opera è  vero finchè opera. IL’Assoluto è salvo sotto le grandi  ali della misericordia... del pragmatismo.,   Il quale pragmatismo inclina tuttavia ad un'altra  concezione del mondo e quindi di Dio. L’'Assoluto  mena necessariamente all’indifferenlismo e al quielismo; non è uno sprone al lavoro audace dei forti  che non rifuggono dal male della vita ma lo affrontano pur nel dubbio di trionfarne, esso è per le anime un oppio spirituale; è il Dio dei deboli, degli stan- JAMES, Mer Praymatismus, VITI Vorl., pp. 174-194, passim;  SCHILLER, Stwal. in Mum., JAMES, pp. 187-188. Numerosi esempi di questo singolare stato d'anicao ha offerto il James in: L'Expér. relig.,JAMES, Der l'ragmat.; SCHILLEK, op. c., p. YI. fo) La Religione nel Pragmatismo    chi ; il pragmatismo non può accertarlo. Si è aCcusato il pra matismo di irrceligione; @ torto però.  Non è a credere che la dottrina pragmalista, rigeltando VAssoluto e il Dio del teismo monarchico, neghi che il mondo contenga in forma di coscienza qualcosa di più grande e di meglio che la nostra coscienza. Forse che la nostra fede istintiva in esseri  superiori, il nostro persistente rivolgersi verso una  società divina non è che una illusione patetica di  anime incorreggibilmente sociali e immaginative? .  No, l'ipotesi di Dio è vera, perchè ha una eMceacia  reale; per quanto possano essere gravi le difficoltà  che le si oppongono, l'esperienza dimostra che essa  opera. Il problema di Dio consiste in questo: come  elaborare l'idea di Dio in muniera di farla entrare  in accordo con le allre verità operative? , Ebbene,  è logicamente possibile di credere in esseri sovrumani senza punto identificarli con l'Assoluto. Il con_celto dell’Assoluto sta in funzione del monismo idealistico ; il concetto pragmalista di Dio sla in funzione del pluralismo: è la forma pluralistica del panteismo religioso.  Il pluralismo in quanto ha rapporto con la religione ammette col monismo la immanenza di  Dio nel mondo, come vita e sostanza profonda delle  “cose, sostanzialmente identica con la vita e con l'essere più vero dell'uomo , ma differisce inconciliabilmente dal monismo negli svolgimenti ulteriori  della lesi unica.  Per il pluralismo la vera realtà delle cose è la loro  individualità. Il mondo è collezione, non unità. Ogni     JAMES, iui, pp. 176 @ 188.     Jimes, Her Praugmal., pp. 178-192, Anche lo Sc   È Ste 4 DI È 162, A o SCHILLER prois contto LASERSA CIFITTRLIEIONO fatta alle nuove dottrine  f adley, Cfr: Stud. in Mum., D. 195. Per Îl res della  citazione, vedi; A Plural, Unlv., n° 133. Per E Jamrs, ber Pragmat., James, A Plarai. Univ, Schiller parla del  Pluralisino in generale in: Stud. in Human D 907 è 459; vl  ROSSO alla sfuggita in altri luoghi per la relazione del. pluralismo con l'Umanismo, vedi. Humanism,   PI LA  SE  cosa pensabile, per quanto vasta e inclusiva, ha un  ambiente esteriore: non è mai (ullo-inclusiva (AU  inclusive). Nessuna inchiude lulte le cose assorbendone la realtà tutta, nessuna domina su tutte. Men{re la realtà del monismo è caratterizzata dalla All  form (formia del tutto o dell'uni-tulto), quella del pluvalismo è caratterizzata dalla Zach-form (forma del  le individualità o distributiva, come altrove la chiama il James): è la forma dataci dalla esperienza iminediata. Il mondo pluralistico è piuttosto una repubblica federale che un impero, un regno. L'unione  delle cose singole atomi e unità spirituali non è  compenetrazione di tulte in ognuna, non è il tipo del  la unione monislica della tosalità-unità (Alleinheit),  non è complicazione universale, ma contiguità, continuità, concatenazione di individui; è il lipo di unione synechislica , quindi vi è dislinzione e indipendenza. Perciò nessun centro di coscienza, nessuna  azione puo lutto abbracciare: qualche cosa sfugge  sempre e non può mai essere ridotta all'unità to)  Non c'è un'assoluta unità causale del mondo; non  cè un'assolula unila generica; non e'è un'assoluta  unità teologica e morale; non c'è un’assolula unità  estetica, non c'è un’assolula unità noelica attuale     JAMES, A Plural Univ., pp. 34, 321, 325. Il «synechismo» è quella tendenza del pensiero filosofico che fa dell’idea  di continuità una delle più Importanti in filosofia. Il continuo  è inteso come qualens cosa le di cui possibilità di determinazione sono inesavribiti. Oltre questo synechismo che è metafisico ve n'è    uno epistemologico, cioè la concezione della verità sistematica  come gradualmente approssimabile, ma non mai interamente  taggiunsipilo dal pensiero. I.'uomo tende a una interpretazione scinpre più razionale e coupleta dell'universo, ma ogni  fase del processo conoscitivo non è che una razionalizzazione  parziale della realtà. CIr. l’arucolo del PrRcE Pragmatism nel  ictionary of Philosophy del Bal&win. Secondo il Peirce il |  Pragmatismo è parte deila dottrima più larga del synechismea.  (Credo che il nemne sia del Peirce). Cfr. la bellissima opera  Thegries of Knowledge, del P. WALKER S. T., TLongmans, Londra: da essi ho prese queste cliazioni n proposito del    symechismo,  dal La Religione nel Pragmalismo dell'universo . Vi sono «reali possibilità, reali  indelerminazioni, reali incominciamenti, reali finì,  roali mali, reali crisi, reali catastrofi e reali scompi . Nel mondo accanto all'ordine vi è il Cso  ne, accanto al sapere, vl è l'ignoranza, accanto a  bello il brutto, accanto al bene il male: non vi è  dunque perfetta, unità, ma molteplicità reale neil unità imperfetta. Forse l’unità perfetta non vi sarà  mai; forse non potranno essere liberate dalla disgregazione e dal disordine che certe parli del mondo, quelle alle quali si estende la nostra allivilà uni  ficatrice. Ad ogni modo la piena unità, se sarà possibile, nella ipotesi pluralista non è al priucipio ma  alla fine, non un primo ma un ultimo ; la salute  ogni salule, anche ia parziale non è necessaria, certa a priori, ma solo possibile. Nella concezione assolulista il fondamento della realtà è l’unità statica; nella pluralista sono delle possibilità, pure possibilità. Il pragmatismo riconosce un valore reale alla prima, ma preferisce la seconda, come più in armenia col suo temperamento, poichè essa è alta a  suscitare nel nustro spirito un numero maggiore di  esperienze future e sprigiona in noi determinate allivilà. Il suo effetto sull'uomo non è il quielismo, 1a  il lavoro strenuo, poichè com’essa insegna, da lui  {dall’uomo) dipende la vittoria sul male: vittoria possibile a prezzo di lotta contro i pericoli e la resi  stenza della realtà ad essere redenta è unificata. Così  il jvagmatismo tiene Ja via di mezze fra l'ollimismo  per il quale la salvezza del mondo e dell’uomo è  “sicura e il pessimismo per il quale ogni salute anche parziale è impossibile. Il pragmatismo è meliotristi: per esso il fuluro sarà di più in più migliore  del vresente come il presente è migliore del passato.  E la possibilità anzi la probabilità della salvezza per JAMES, Mer Pragmatismus, p. 79-102; A Puwal. Univ.  specialmente Zesi.  JAMES, Will to Believe, p. IX { Schiller: In  Huinanism, pagina SI p, Gitato dallo Schiller JAMES, Der Pragmatismus.  i mo. il Pragmatismo 8    ja liberazione dal male e per la diminuzione della  moltiplicità non unificata aumenta in proporzione  del numero e della bontà delle forze iiberatrici.   Vi sono delle forze sovrumane che lavorano e lottano con noi?   Allora la incertezza della salute è ridoita di mollo; possiamo sperare che l'esito del mondo sarà buono. Qui si mostra in tutto il suo valore reale l'ipolesi di Dio; per questo gli uomini religiosi del tipo  pluralistice hanno sempre credulo in Lui . Ma chi  accelta il pluralismo ed ha bisogno di forze sovrumane , deve elaborare il concello di queste in modo da accordarlo con le esigenze e con le verità operative di tale dollrina. Quindi: la realtà divina (o le  lealtà: vedremo più sotto se al singolare o al plurale) deve coesistere con lulte le altre realtà individuali inferiori, non assorbirle;j deve lasciar sussistere le possibilità, le indeterminazioni, la libertà e quindi la incerlezza del futuro; dev'essere personale al  iagdo nostro, poichè diversomente ci è impossibile 1 mità con essa: in una parola: può e deve esSIRO più grande di noi, ma ron infinita, più potente  RT Ta Tio onnipotente. Noi non sappiamo che  Alon Si Di s7ranico alla nostra natura; noi vo:  FTT ESAC sla intimo a ciò che è umano in  Tondo dr 5 amen e umano, al mondo in quanto è  ONT sperienza. Noi e il mondo di cui siamo  Perche Dig SO nel tempo e abbiamo una storia;  RSA la f apporti reali, non puramente astratCES col mondo deve esistere nel tempo e   una storia, deve quindi escludere la staticità    È RE Der Pragmat., pp. 182, 183, 191.  IESUe i celli accetta il pluralismo con tutti i suoi pericoli e  Îlifmonda Fuso 4 se la sente di lottare du solo per rendere  Riones E TERE RMS: tali uomini non hanno bisogno ui reliTenero » che pool temperamento diameualmente opposto «al  tieni Ja SR dsc lAssuluto. Come si vede, il pragmatismo  sulla AT i mezzo che è la via aurea perchè conta a dleì temperamenti umani. I più degli  sono dai i . I pi egli uomini  : si EONANO I SIANZA dei due temperamenti opposti: a questi mamente ul tipo meltorislico del telsmo,  Pragmatismo PEPE], Pg ASS RE. I RARE 1 pragmatismo È s2 La Religione ne,”  ed avere Un ambienté    esiratemporale dell'Assolulo  esterno come noi. essere, IN una arola, uno degli  euch, UD mombro del mondo pluralistico, una conti  nuazione di esso . i ;  Uno o più? Monoteismo 9 polteismo? Si può con:  cepire Dio monoteisticamente e politeisticamente _.  ‘dice il James purchè sj ammetta la sua finità; è  Vunica via per sfuggire a tutti gli assurdi e gli 1nconvenienti che por sè l Assoluto . Tuttavia  il pragmatismo inclina evidentemente al politeismo,  alla concezione di diversi del, ognuno dei quali Ss!  occupa di una frazione dell'universo; © di una gerarchia di coscienze inferiori che vanno dalla c0d una suprema, senza soluzione    scienza della razza ® | i  a non è infinita perchè  di continuità; © la suprem infir  ‘sintesi di coscienze finite ; © è dice il Boutroux  ‘un sostituto pragmatistico dell'Uno astratto degli    idealisti; in essa € per essa le coscienze inferiori possono entrare in relazione fra loro, amarsi e comprendersi : sla qui il suo valore pratico. Tanto James come Schiller tengono molto a  rovarci che la loro concezione del divino sì accorda perfettamente con la religione pratica, con la esperienza religiusa dell'uomo ordinario, e con la teolo ia orlodossa non inquinata dal veleno monistico. Ne Jehova dell'Antico Testamento nè il Padre Celeste del Nuovo hanno nulla di comune con l'Assojulo se non questo, che lutti e tre sono più grandi  dell'uomo. Difficilmente io posso concepire qualche    fn 9”  cosa di più diverso dall'Assoluto del Dio di David 0 JAMES, A putrat, Univ., DI. JAMES.  13) È la teoma di Fechner che il JAMES €S sone nella IV Let  ‘tara del suo: 4 Plural. Unw.: "Concerning. Fechner  0 oo  : ì questa coscienza feclneriana « esistente dietro le quinte ;  da È del mendo» e non ienulicabilc con l'Assoluto dei ° rascendentalisti, il James sveva già pirlato in una conferenza « sull'im- i  Saggi “Pragmatisti: « L'ime | i | mortalità dell'anima, Cfr:  (mortalità dell'anima »,  Di JI.  Il Pragmatismo di Isaia. Il loro Dio è un essere essenzialmente finito... nel cosmo; vi ha un'abitazione e attaccamenti  locali e personali. La coscienza religiosa ordinaria postula un Dio parziale, un Dio che ci soccorra e simpatizzi con noi poveri framinentli finiti del tutto . In nessuna religione  il Divino, il principio dell'aiuto e della giustizia, è riguardalo come onnipolente in pratica. Il politeismo originario dell'umanità si è svolto solo  imperfellamente e oscuramente nel monoteismo. E il  monoteismo stesso, in quanto è veramente una religione e non il tema di conferenze universitarie, ha  sempre vedulo in Dio nient’allro che un aiuto, un  primus int:r pares in mezzo alle altre potenze che presicdono alla storia del mondo e la formano {4). Il teisimo pratico e popolare è sempre stato piu o meno  francamente un pluralismo, per non dire un politeismo. Cioè, il leismo volgare si adatta a un universo  risullante di più principì indipendenti gli uni dagli altri, purchè gli sì permetta di credere che il principio  divino (dal quale viene l’aiuto) sia il principio supremo, al quale gli altri sono subordinati . E vero che  questo Dio e rivestito anche dal volgo, come dai filosofi, di qualcuno di quegli attributi melafisici che abbianìo così severamente giudicali. È «unico », è «infinito »; l'idea che possano esistere -più dei finiti nn  è neanche discussa. Ciò si spiega dal falto che il popolo s'inchina davanti alla autorità dei filosofi amanti  di unità e dei mistici inclinati al monoteisra9». In  reullà la credenza religiosa è semplicemen'e la fede  in qualche cosa di più grande in cui si può trovare la  liberazione dal male. I bisogni pratici e le esperienze (i; James, A Plural. Univ. SQUILLER, Stud. in Zum., Schiller aveva difesa.  e svolta la idea di un Dio finito gia In: Riddles of the SpIinz  Cfr.: Le Dieu fini (par Dessoulavy), Rev. de Fhilos. Scun LER, Stud, in IHum. TAMES, Der Pragmat., p. 192.   JAMES, L'Expér. relig., Chap. V, p.  pormi T u oei”niuocoenau<{iite0tt@ en TEZZE RR a ge    84 La Religione nel Pragmatismo    dell'anima religiosa NOn esigono altra credenza che  esta: esisle per ogni individuo una porsnza supe:  riore et lui, e a lui favorevole, alla quale può \.nirsl  perchè parlecipa della sua stessa nabvura. Per suscitare la confidenza dell’uomo pasta che quel potere sia  assai grande, sia più grande dell'io cosciente, non è  necessario che sia infinito © unico. Si potrebbe conceirlo come Un “ jo» più grande € più divino, del quale  io attuale non sarebbe che l'espressione in piccolo:  Puniverso spirituale sarebbe allora Vinsienic di questi  «io» più 0 meno comprensivi, ma non la uniti ussoluta. Questa specie di politeismo è sempre stata la  religione del popolo e 10 è ancora . La credenza  opolare “ ammette ì miracoli e le direzioni provVIdenziali; non prova nessuna difficolià @ mescolare il  mondo ideale è il mundo reale, i supporre che le polenze spirituali intervengano nel gioco delle forse tisiVide che a determinarne gli avvenimenti particolari ». Qui  sta il vero valore di Dio o del Divino e ì praginaUusti  sì schierano tra i difensori di questo sopraunatutali.  smo. Il soprannaturaUsino grossolano? Si, dice il Ja  mes; e io sono persuaso che questa è L'ipotesi che sodita disfa un più gran numero di legittime aspirazioni del  cuore e dello spirilo: per questo il pragmatismo la fa  sua, ed anche perchè è mirabilmente confermera da  ai cerle esperienze religiuse. Quelli che le hanno provate  st Riti sanno che nol abillamo in un ambiente spirituale invisibile, donde ci viene l’aiuto; che la nostra anima  è misteriosamente una con un'animu più vasta di cul  noi siamo gli strumenti. Niente ci forza a credere che  uesta anima sla intinita, perfetta : l'ipotesi più nalurale e più probabile è ammettere che VI ha un Dio, ina  finito, sia in potere 0 in sapere 0 nell'uno e neli'al- } tro.  1:4% (i) gas, L'Erpér. relig., DD,  7 i, JAMES, LED. 131-193, dove si trovano le parole sottoli  î neate da ine; A piurat. Univ., PD. 308, gli.  A_PAE: 125 è più    Da categorico. DOpu aver dgto ragione 2 Giovanni Mul il quale  DI aveva detto che bio non può essere oggetto di religione ine  L che non gli si toglie la onnipotenza, aggiunge: “ To credo che  : unicamente un Dio finito è degno di questo nome », appunto  perche, per lui, Dio è e dev'essere il Dio della religione.bd  mici dissi a    = o    Ie Les E così è sciollo il problema del male. Im questa concezione Dio non è responsabile dell’esistenza del male,  non lo sarebbe nemmeno se il male non dovesse mai  esser vinto, Nel mondo panteistico, come s’è veduto, il male, come ogni altra reallà, deve avere il suo principio in Dio: e la bontà di Dio, che è essenziale assolutaumente alla religione dice lo Schiller come sì  salva? Ebbene ammettiamo che fin dall'origine il mondo è un insieme di principî distinti, che il male non è  parte essenziale, ma un elemento indipendente e la  bontà di Dio è salva: il problema teorico del male èsciolto.   E col leorico anche il pratico. Se tullo ciò che è, è  essenziale, come parte dell'Assolulo, il male è indistruttibile; se invece è elemento non appartenente alessenza della realtà, noi possiamo sperare di poterÌ lo espellere (il male) presto 0 tardi . Perciò lutte a  le forme di teologia, eccettuata quella più filosofica che ee  ha subito l'influsso degli assolutisli, concepiscono di  fulto il male come dovuto a un potere che non è Dio  e ne è in qualche modo indipendente: è denominato  variamente: materia, volontà libera, o il diavolo. La onnipotenza di Dio dei teologi non è quella  dell’Assoluto: essa è dipendente da necessità metafisiche . HE   Concludendo: In questa concezione di Dio elaborala  col criterio del valore pratico sulle rovine della critica.   È dell'Assoluto e del leismo scolastico e in armonia col  si pluralismo, abbiamo tutto ciò che corrisponde alle.  4 esigenze umane del divino; è salva la libertà dell'uomo: è dato un fondamento alle sue speranze è al  suoi desideri di salule ed è resa possibile la massima.  intimità fra il mondo c Dio: intimità di sentimento e  intimità morale, cioè la vera religione, che tanto ha  operato e opera sulla condotta. :  Noi chiediamo ; « Di che natura sono le reallà spl TOA =  L'Expér. relig., Chap. V, D. 107. . “A  () ScHILLer, Stud, in Mum.; JAMES, 4 Plural. Uniw,, La Religione nel Pragmatismo    ; P,   rituali più alte? » « Io l’ignoro » risponde il James .  Chiediamo ancora: ‘ esistenza di Dio è un puro  "contenuto soggettivo, ovvero è oggettiva? » Poichè am   mettiamo bene che l’azione di Dio, nell'esperienza re| ligiosa, è reale, che ha un'efficacia reale e che tutto  | accade come Se una forza sopramondana agisse direttamente sul mondo dell'esperienza umana ; am  mettiamo bene che l’esistenza di Dio ha un reale valore pratico quando è affermata con fede, specialmente  coloso com'è quello del pluralismo ;  in un mondo peri  ina noi sappiamo dal James stesso « che certi oggetti  ovocano in nol delle reazio  uramente intellettuali pr C i C î  ‘così 0 più forli che gli oggetti sensibili o reali .  Ora è precisamente questo che domandiamo: le realtà    sovraumane hanno un'esistenza oggeltiva, indipen dente per sé dalla nostra esperienza soggettiva, 9 in dipendente solo perchè noi, con Patto di [ede, V'alfer miamo lale?   e TS il pragmatismo questa domanda non ha sen  -S0; richiamiamoci alla mente la sua dottrina della  verità, della realtà e della conoscenza.   Una dottrina che nega il valore rappresentativo dei  concetti e professa il nominalismo; che dichiara di  te abbandonare la logica francamente, recisamente ©  irrevocabilmente» non può condurre che all'agnoslicismo e allo scetticismo. È  Ben poco ci rimane da dire dell’applicazione   pragmalistica del criterio delle conseguenze alla reli gione dopo quanto siamo venuti esponendo fin qui.  Che cos'è la religione? È assai probabile che nen    e che quindi è impossibile definirla. « Religione » non  designa un principio unico, ma piuttosto una collezione: non v'è un'emozione religiosa elementare, come     L'Expér. relig., D. 136.    James, L'Erper. relig.. D. 433,   Zut, p. 45. ù    A_Plur, Univ. arriveremo mai a scoprire “ l'essenza della religione »- Il Pragmatismo 87_    non esistono nè un oggelto religioso nè un atto religioso specificamente determinati. Se è impossibile dare una definizione astratta della essenza della religione non è però impossibile delimitarne il campo e inchiudere in una formula i lraiti caratteristici empimci  délla religione. Una divisione salta subito agli occhi:  tra istituzioni religiose (0 religioni stabilite) e religioni  individuali (o personali). La religione stabilita è un insieme di istituzioni, di cerimonie, di riti, di sacrifici  propiziatori, di dogmi, di organizzazione del clero; si  può definirla: un'arte pratica di assicurarsi il favore  della divinità, La religione personale è la vita interio  re dell'uomo religioso; gli atti che essa produce sono personali, non rituali ; l'individuo sbriga da sè i propri affari con la divinità ; e la chiesa coi suoi preli, coi  suoi sacrumenti e con tutti i suoi intermediari passa  in ultima linea. Si può definire: «le impressioni, i  sentimenti, gli atli dell'individuo preso isolatamente  in quanto si considera in rapporto con ciò che gli apparisce conie divino » , comunque poi s'intenda questo divino: come legge dell'universo, come anima del  mondo o come un Dio personale.   Parliamo anzitutto del valore della religione in senso  personale e poi del valore delle religioni o istituzioni  religiose. Per quanto grande sia la differenza con  cui l'elemento religioso si combina nell'uomo con gli  altri elementi del pensiero, anzi, per quanto diverso  sia il principio stesso religioso nella molteplicità delle  sette, dei credo, e dei tipi religiosi , noi possiamo  affermare che le credenze più caratteristiche della  vita religiosa sono: 1.° Il mondo visibile non è che  una parte d'un universo invisibile e spirituale, dal  quale viene lutto il suo valore. 2.° Il fine dell'uomo  è l'unione intima, armoniosa con questo universo. James, L'Expér. relig., D. 2427.  « Nous entendrons  exclusivement par le divin une réalité première de telle nature que l'individu se sent obbligé de prendre vis-A-vis_ delle    ‘une attitude solennelle et grave, en Jaissant de coté tout  blasphème et toute plaisanterie. Son io che sot» |    tolineo. JAMES, L'Expér, relig., P. 406,    tas dee tie. nea  880. La Religione nel Pragmatismo  La preghiera, cioè la comunione con lo spirit  dell'universo  sio esso un Dio 0 solamente una  ; legge  è UV atto che non resta senza effetto: ne  i risulla un influsso di energia spirituale che può mo“A ‘ dificare in una maniera sensibile (anto i fenomeni    materiali quanto quelli dell'anima . (ei   Nella valutazione di queste credenze il criterio non  sarà, naluralmente, un sistema speculativo o {eologico, ma i frutti, le conseguenze pratiche : dal frutto .  sì conosce. l'albero. E poichî nella religione il sentimento vi ha la parte fondnmentale, vediamo qual'è  il valore affettiva della religione. Tolstoi ha detto che  Ja religione fa vivere gli uomini. Il sentimento veligioso è uneccitazione giocunda, un'espansione dinemogenica che tonifica e rianima la potenza vitale:  aggiunge n valore nuovo alla vita, c agli oggetti  più ore inart un fascino e uno splendore insolili. Se  la religione non avesse che questo valore soggettivo, IR non fosse che una serie di fenomeni psichici, senza  } $ nessull contenuto intellettuale, vera 0 falsa che cessa  RAI  fosse, nol sarebbe meno una delle funzioni biologi UU: che più importanti della specie umana; ciò che ha  SRO, fatto dire al Leuba che il fine della religione non è Dio, ma la vita, una vila più larga, più ricca: Dio    2: non si conosce, non si comprende, Ma si sfrutta .  Ma la religione ha anche un'immensa fecondità  pratica sociale. II frutto della vila religiosa è la santità, che inchiude in sè tutto ciò che di meglio ci abbia dato la storia. La santità ha avulo bensì delle manifestazioni  ché la coscienza moderna non può acceltare, ma VE  n'ha di quelle  e SONO più numerose che ci rivelavo nei santi dei precursori © dei creatori. La sanlità accresce nel mondo în somma di energia mora:  le, di bontà, d'armonia, di felicità. La santità con la AMES, 405. Nol sappiamo già a quale fra le  varie convezioni «el divino il pragmatismo dà la preferenza  e per quali ragioni. Citato dal JAN:S, D.: «Il ne faut Pas dire que l’on connalt Dieu, cu qu'on Je comprend; ll faut dire que  l'on s'en serta,   sua forza d'animo, col suo amore eroico pei miserabili più ributltanti, col suo spirito di. sacrificio, è  un fallore essenziale del benessere sociale. La religione è la condizione necessaria di certi effetti, la  «fonte dei quali nè l'individuo nè la società hanno saputo trovare altrove: il disinteresse, l'energia, la perseveranza. : 2 BAR Olire questo valere affettivo, o biologico, indivi  duale e svciale, la religione ha anche un valore inlelleltuale? Questa questione si divide in due dice  il James: «Solto la moltitudine delle credenze vi  sono delle affermazioni comuni? » E: «sono vere tali  affermazioni?» La risposta alla prima questione è  affermativa: in tutte le religioni vi sono due stali »- .  d'anima identici: il sentimento d’inquietudine che <S  in noi c'è qualche cosa che va male, e il sentimento  che noi siamo salvati dal male entrando in rapporto  con esseri superiori  con qualche cosa più yrande  di noi: lotta e liberazione: ecco la sintesi della religione personale e il perchè del suo immenso valore  sulla vita. Ma che cos'è questo qualche cosa di più  grande? È reale o immaginario? Come possiamo en{rare in rapporto con lui? Qual'è, insomma la verità  della religione?   Xispondeve a quesle questioni impiicile nelia  se-.  conda è costruire delle sopracredenze (surcroyances)  individuali e collettive, tutte buone se aiimentano il  nucleo vitale della religione. Vi possono essere e vi  sono di fatto tante aggiunte individuali alla credenza  unica quanle sono le anime o i lipi religiosi , Il  «rapporto col divino potendo essere, o essere inter{ pretato come rapporto o morale o fisico, o rituale,   «Si capisce come possano nascere delle costruzioni 7A  _ losofiche e leologiche delle quali abbiamo visto  | Valore  e anche come sorgano le Chiese. James, e con lui, naturalmente, più o meno tuil SA JAMES, L'Expérien. relig., Chap. VIII e IX. E)  JasrEs,  Ci è nota la sua  croyance. 0%   ‘La Religione net Pragmatismo    pragmalisti non ama a dir poco le Chiese,  con la loro organizzazione, coi loro. dogmi, con le  loro tradizioni, perchè in esse è uccisa la vita inte  AQ ogni modo e dogmi e culto e mi debbono es:  sere giudicati daì frutti individuali e social, e i frutti  della vita religiosa sono sommessi alla giurisdizione  del buon sense  e dei pregiudizi filosofici e istinti  morali dice allrove . Ed essendo questi pregiu‘dizt, questi istinti e questo buon senso frutti, essi  stessi, dî una. evoluzione empirica incessante, anché  le idee religiose si andranno incessantemente modificando. Dal giorno che ìi frutti di una data forma religiosa perdono ognì valore, dal giorno che la vec  chia credenza è in contraddizione con un nuovo ideale; dal giorno che la ragione la dichiara lroppo puerile, troppo assurda o troppo immorale essa cade trascinando, nella sua caduta, il Dio creato dall'uomo per «servirsene. E noi confessiamo che in i  una dottrina interamente antropocentrica, nella quale l'uomo è la misura di iulte le cose, cioè, le esi È  enzo, i desideri e gl’interessi umani nel modo che  s'è veduto, lutto ciò è logico ©... anche utile, fino et  un certo punto. Ed è naturale che il pragmatismo crede di fare un mondo di bene alla religione € alle  religioni. Ci dice Schiller: Il pragmatismo jo uma  nist,0) ha dimostrato che la volontà di credere sta.  ulla base, non solo della religione, ma di qualunque  - gpecie di inferenza 0 di atto razionale, e che, quindi,  la sfera dei iudizi di valore non è coestensiva solo |  |» alle verità religiose, ma a qualunque verità: la fede i  lia così cessato dì essere un ‘avversario e un sosli- i futo della ragione ed è diventata un suo costitutivo |  essenziale. Come potrà la ragione contestare la validità della dor: L'Erpér. relig. Pel «s î  actetta: Pel «servirsene» cita ancora il Lepba L  lì Pragmatismo dI fede, se la fede è essenziale alla sua stessa validità? E altrove: « Tutte le religioni (concrete)  possono profillare dell’atteggiamento di simpatia che  l'umanismo assume davanti agli istinti religiosi della nalura umana e verso le evidenze e i metodi delle  religioni. 1l pragmatismo, affermando il fatto religioso e il suo valore sulla base dell'esperienza interiore e dei risultati individuali e sociali, rende vani  gli altacchi razionalistici e mette la religione al sicuro dalle confutazioni dialettiche. Il pragmatismo inol(re, come si è mostrato un eccellente « eirenicon » tra  le dottrine filosofiche, apparirà un «eirenicon» non  meno efficace tra le religioni. Non è vero che lutte  operano (in senso pragmatista) in una cerchia più o  meno vasta? Ma allora esse sono identiche nella loro  parle veramente vilale, attiva: e che importa sc differiscono teoricamente? Terzo beneficio: il: pràgmalismo libera, così, le religioni da ciò che vi è in esse  di non-funzionale, dalle incrostazioni parassilarie ed  csiziali, e, per tal modo, le rinvigorisce.  Che cos'è  la parte non-funzionale della religione? È il suo lato  teologico . 18 qui una tirata contro i sistemi teologici, contro le infiltrazioni della metafisica greca nel  « Credo atanasiano » e contro l’identificazione di Dio  con «l'Uno». Già!  La conclusione possiamo accettarla anche noi, ma basandola su fondamenti affutio diversi da quelli del pragmatismo: «La reli- 5  gione più vera è quella che proclama una vita mi- $, gliore e la promuove. ; Stud. in Hum. ScurLrer: Stud. in Hum.  |,..(8ì E la conclusione dell'Essay, XVI: Fatt, Reason and Ri    ligion in: Stud. in Humarism: «the truest reli tons  that Which issues in and fosters the best life», Rd A eri della Logica formale nella con=  S 1. Caratt   { 2. La validità formale. cezione di Schiller. gi. Schiller  sotto il nome di « logica formale» inchiude e condanna non solo quella che da al  tri è designata col nome di logica formalistica mn anche la logica formale propriamente detta, e, criticando e condannando quella, presume di aver criticato e condannato anche questa, cioè, in blocco, .  tulla la logica tradizionale e classica, alla quale dovrà sostituirsi la logica psicologica, 0 psicologistica,  cioè quel complesso di leggi o regole o norme del  pensiero che risultano dall'analisi psicologica del pensiero, ossia dalla considerazione dei processi del pensiero, non in una pretesa forma di esso di  materia idel concetto, del giudizio, del raziocinio con:  siderati astraltamente nella loro forma verbale di  temine, proposizione € sillogismo considerai9 esso  pure, a sua volla, astrattamente), ma nel loro sorgere e syolgersi allraverso la fitta rete psichica di  Fferessi, di desideri, ecc. : la logica dello psicologi  smo e della forma speciale di esso offertaci dal pragmatismo, insomma. Una logica et posteriori risut SCHILLER.  Formul Logic. A sclentifle and s0cial Problem. > Un yol, Macmillan and 0.9, London. stinta dalla |   er selezione, non a priori, una logica, pare,  SOA sì, ma indotta in base a postulati, non  dedotta. Il pensiero puro, così come la forma pura  del pensiero non esistono; quindi ogni logica è necessariamente empirica nella sua origine e nel suo valore. E così con la logica sillogislica è condannata  anche la logica del concello col solo semplicismo che  abbiamo imparato a conoscere altre volte nello Schiller. Ma, evidentemente, prima di condannare in blocco, bisogna vedere se tra la logica formale e formalislica c'è idenlità, o se non c’è invece una diiferenza radicale che impone una pertraltazione a parle e  radicalmente diversa di quelle due discipline. La logica formale vera è la dottrina della forma unica del  pensiero: il concelto, come sintesi di individuale c come concelto universale contro, come scienza del  concetto puro. Per essa la forma verbale in cui si  suole incarnare generalmente il concetto non ha nessun valore logico e si guavda bene dal cousiderane  le distinzioni verbali come distinzioni conceltuali 0  l’identità di forma verbale come identità concettuale.  La logica forinalislica invece, trasporta nei concetti  le qualità e le distinzioni dei termini, trasporta nei  giudizi le modalita e le specie delle proporzioni, lrasporta nei raziocinì le figure e ì modì dei sillogismi:  anzi la distinzione stessa delle forme logiche in concelti, giudizì e raziocini è nient’allro che una proiezione di forme verbali nell’altivita del pensiero. Perciò la logica formalistica qua talis, non ha valore speculativo (logico in senso vero), ima solo empirico  © UCSCLILLvo; ci dà, Massunti, con piu o meno pretese  (il copielezza, i modi piu consueti dei quali l'uomo  51 serve nel suo discorrere, nell'esposizione e ncila a discussione delle idee; è un'arte in senso di tecnica,  9 meglio, è una collezione (non connessione) delle  forme del discorso empirico umano, una specie di  leltorica 0 grammatica messa a servizio non del parlur bello ma del parlur giusto. Può essere ed è fino  a un certo punto praticamente utile come tutte le discipline descriltive assunte a discipline nurmative  d    universale, come storia o guidizio sintetico, a priori, . DA | Sèhiller e la logica formale e precettistiche, ma non ha valore speculativo, ron   ci dè, anzi ci nastonde la forma intima. del pensiero   necessario € unico, © SÌ contenta di offrire! le forme  esteriori, arbitrarie è quindi componibili € combina:   bili all'infinito. I Jo Schiller na un buon gioco a mostrare il caraltere arbitrario di questa logica, la astrallezza di essa,  la îmulilità e perfino il danno non leggero che essa può  anrecare allo sviluppo Serio delle scienze © della  mente individuale. Ha ragione lo Schiller: « IL îs nol .?   ossible t0 abstract {rom the aclual use of the logical |  material and lo consider  forms ol lought  @ 4  Ihemselves, voilout incurring thereby a total loss, 1’  hi  nol only of Wrui, but also of meaning ”. i  s 2. Ma con ciò non si è déito che ba ragione @ |  ‘non riconoscere altre logica ché que:lu psicolugica, |  tutt'altro. Oltre la logica formalistica (0 tormale cu- |  mè la chiama erroneamente lo Schaller), c'è la logica i  formale vera secondo la quale la maleria è fusa nel  la forma, poichè per èssa la forma logica, concel‘tuale, sintesi di materia e forma, di pensiero e lup ‘esentazione: è forma Non astratta me concrela ; e tulto il pensiero reale storico perchè appunto sun: f  (esi univarsale individuale: è il razionale-reale, il fl  concetto.È Dio ci salvi dalla logica psicologica 0 psicologistica! Poichè in essa, oltre che non trovare nulla di #  meno arbitrario che nella logica forinalistica non sì ì  trova neanche quella apparenzà di necessità e di asSolutezza che la logica tradizionale ci oifre, sia pure  solto una forma astratta e verbalistica. Finchè non  si accetta e non SÌ capisce la logitù del concetto puro  e semplice, ogni tentativo di riforme logiche sarà  nulla più che un saltare dall'arbiltàrio all’avbitrario,  dall'astratto ali’astratto e un aggiungere al mele nuovo male o una forma nuova del male. L per yitenere questo scopo non mette certo conto di scrivere  un grosso libro come questo.   Sé lo Schiller avesse rinesso bene su quelli che lui    ritiene e sono i due caratteri fondamentali della 1oMl Praqmalismo' gica formalistica e cioè: I° la credenza che sia possibile considerare la «validità formale» come una  cosa a parle e indipendente e astrarre dalla verità  «materiale »; 2° la credenza che sia possibile trattare la iogica senza riguardo alla psicologia e di aslrarre dal contesto atluale in cui le asserzioni sorgono,  tempo, luogo, circostanze, Scopo, personalilà, ecc. e se avesse poi esaminato con più spassionatezza la logica del concetto-sloria, non avrebbe forse futto giustizia sommaria di lutta la logica tradizionale cd avrebbe trovato che parecchie delle sue  critiche sono state già fatte da altri, i quali non senlirono però il bisogno di sostituire, come fa lui, le  elichelte psicologiche alle elichette della logica formalistica. In questo libro c'è molto del buono anche  perchè dai principio alla fine corre nelle pagine una  domanda sempre crescente di concretezza ce, anzi,  pare a volte che lo Schiller abbia colto il centro della  critica e della ricostruzione. Purtroppo i: pregiudizi  pragmalislici gli impediscono di assurgere ad un  punto di vista superiore; anche lui, pur nella lotta  contro gli schemi e !e elichetle, maneggia schemi ed  etichette; meno mole, anzi molto bene che, da buon  pragmatisla, ne è consapevole.:= et | La reazione contro l'intellettualismo. Verità e ‘utilità.  Del pragmatismo non si parla più che com di un indirizzo di ricerche e di asserzioni, che ha avi |  {fo il suo proverbiale quarto d'ora di celebrità pei  scomparire per sempre e senza visibili influssi sullu  svolgimento complessivo ulteriore del pensiero. Nata  da une reazione all'intellettualismo razionalislico ed  empiristico, che non sapevano valutare l'attività de:  soggetto nella creazione del mondo del pensiero €  della vita; allermalosi come volontarismo ceudemo:;  nistico o come filosofia dell'azione utilitaria, non ha  sapulo nè volulo evilare, con una doverosa distin:  zione dì logica e psicologia, lo scoglio terribile dellà  formula protagorica: l’uomo è la misura di tutte lt  cose ed'è finito nello agnoslicisnio e nello scellici  sino, È inulile she ci ripetiamo. Iidotla la filoso;  fia a un prodolto dell'individuo, © ad espressioni del  la nostra soggellività volitiva e i giudizi scientifici  speculativi a semplici giudizi morali; negala la pos  sibilità di raggiungere l'assoluto, la ragione intima  immanente e ascendente dell'essere o del divenire  con l'affermazione della universale soggettività e Ie  ‘natività; posto l’utilitarismo a base di ogni costruzio:  ne concelluale e considerati, quindi, i concetti com‘  funzioni dell'interesse individuale, 0 tutt'al più s0  ciale, il pragmatismo si risolve logicamente in uni  rinunzia a fi osofare. Può essere metodo per sè, I i UT  Il Pragmatismo : i lla vita colta  non filosofia sc IRRMIgSORE E So  nella sua razionalità e nei s o ve omalismo profes E, infatti, come s'è veduto, 1 flo: esso non ha  sa di essere semplicemente ua Coe etodo WNGNan:  dog int aa istcao mon è forse una dottrina?  Magli vamestto he riassume il meNon è una dottrina la formula c arsi tutte  todo pragmatistico: « Sono er 6 da acco utili  le neri SAS SIE n è forse implicito  alla svitaza in: ilitari ico e, insieme, il  n più Sconto no leorecot È esp ducslo ab:  Dima definito, credo, Felino due aspetti più es ziali la teoria pragmati nd AR   Sa CLES Della quale non è qui il luogo di TISIRLS  estesamente il valore storico. Possiamo dire il nos D  pensiero in due parole: il pragmatismo è andato all'eccesso opposto nella sua reazione all intellettualismo, perchè ha negato addirittura il concetto come  tale, ogni concello, rendendo, con ciò stesso, vano,  perchè senza fondamento, la Rane buona . dell'indirizzo, quella che, purificata di tutto l’utilitarismo +  materialistico che troppo spesso la intorbida, si può  esprimere nelle parole evangeliche: Dai frutti conoscerete l'albero. L'utilità  nel senso spirituale altissimo della parola è un aspetto della verità: la verità eleva, la verità libera, la verità sacrifica. Ma, non dimentichiamolo mai, una dottrina non è vera, a  propriamente parlare, perchè e in quanto è utile, ma  è utile perchè‘vera. La verità metafisica e logica di una idea e di un  Sistema d’idee è il fondamento di tutti gli altri attributi dell'idea e del sistema e di tutte le loro corrispondenze alle esigenze etiche dell'uomo. Yogi Pragmatis Rimandiamo alle seguenti pibliografie: « The Pych  Zev. » Parini, Saggì pragmatisti, R. Carabba, Lanciano; SPIRITO, Il pragmatismo nella Jilosofia contemporanea, Firenze, Vallecchi Sinvio TISSI, Nota bibl. al vol. su  James, Milano,. Ed. Athena  | Segnaliamo poi, nella ricchissima bibliografia dell’argomento oltre ui molti scritti segnalati occasioalmente nelle note le seguenti opere: G. VAILATI,  Scritti, Firenze, Secher; Papini, Sul Pragmatismo, Milano, Libr. Ed. Milanese (ripubblicato da Vallecchi); M. CALDERONI è G. VAILATI, IL  $ pragmatismo, Lanciano, R. Carabba, SPIRITO, ; M. CaLpeRONI, Scritti, a cura di O. CAM7 Cna, con pref. di G. PAPINI, Firenze, «La Voce»,  INDIVISUO  LINEE FONDAMENTALI DEL PRAGMATISMO. Il Pragmatismo anglo-americano. Pragmatismo e Umanismo.Pragmatismo e conoscenza. LA TEORIA DELLA VERITÀ E DELLA REALTÀ. La condotta. La  dottrina dolla verità. La dottrina  della realtà. LA RELIGIONE NEL PRAGMATISMO. Lo preoccupazioni etiche e religioso. L’esistonza di Dio. Il concetto di Dio.Religione e  Religioni. SCHILLER E LA LOGICA FORMALE.Caratteri della logica formale nella  concozione dello Schiller. La validità formale Ù 5 5 9 - VALUTAZIONE CRITICA. La reazione contro l’intellettualismo. Verità e utilità. È. NOTA BIBLIOGRAFICA. I MAESTRI DEL PENSIERO. VOLUMI CHE INIZIANO LA COLLEZIONE   i)  ei n VALENTINO PICCOLI À {Bi: INTRODUZIONE DELLA FILOSOFIA. ROTTA PAOLO ROTTA. ARISTOTELE BERKELEY |  IALENTINO SETCOO LI ! TAROZZI PLATONE LOCKE |  S: PICURO. LAMANNA  AAA ° "KANT RUIZ na   LOTINO MAGGIORE FICHTE HQ C. AGOSTINO MIGNOSI  E. C. SCHELLING AQUINO MAGGIORE |  C. HEGEL i  S. FIDANZA Big ni x  TISSI  c ARTESI O SCHOPENHAUER i  Fa PAOLO. ROTTA E. MOTOMIL MI  o SPINOZA STUART MILL  “50 »ALENTINO PICCOLI E. MORSELLI  Î Y MIENIINO PICCOL CUORSEI È Pubblicati: P. ROTT _ SEINOZS  x ì. MiGGIONE HEGE  ZINI =. 2 SoioFENnAUER  LAMANNA KA  MAGGIORE FIGI TITE  . C. S. TOMASO  VICO    "TISSI _ GATESIO  MORSELLI. COMTE   BOT. ARISTOTELE. SCHELUINO    IRINA  Kc}  fe3: Emilio Chiocchetti. Chiocchetti. Keywords: prammatico, Grice: “In Italy, just to know that a philosopher has a religion orientation disqualifies as a philosopher, and that is at it should. The keyword is: anti-Popish, Vico, Croce, estetica, Aquino, Gentile, Neo-Scolastica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiocchetti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Chiodi: l’implicatura conversazionale dell’esistenti – scuola di Corteno Golgi – filosofia bresciana – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Corteno Golgi). Filosofo bresciano. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Corteno Golgi, Brescia, Lombardia. Grice: “I like Chiodi; for one, he plays, somethings rather sneakily, with the Italian language as Heidegger played with the German language: Heidegger is able to play with Latinate versus Germanic words: tat (deed) versus fakt. The Italians only have ‘fatto’ and this leads Chiodi to restrict ‘fatto’ to ‘tat’ and invent ‘effetto’ for ‘fakt!’ – “But other than that he was a genius!” Frequenta le scuole elementari al paese natio e le medie inferiori e superiori a Sondrio sotto la guida di Credaro, che lo avvia allo studio della filosofia. Dopo aver conseguito l'abilitazione magistrale si trasferì a Torino, dove si laureò sotto la guida di Abbagnano. Nell'anno successivo ottenne la cattedra di storia e filosofia del liceo classico Giuseppe Govone di Alba, dove insegnò/ Qui entrò in contatto con Cocito, del quale divenne intimo amico, ed ebbe tra i suoi allievi Fenoglio. Questi ricorderà più volte nei suoi scritti i due insegnanti, con i loro nomi o con pseudonimi; Chiodi diventerà così, nel romanzo Il partigiano Johnny, il personaggio di Monti.  Grazie ai suoi contatti con Cocito, fervente comunista e antifascista, C. entra far parte di una formazione partigiana Giustizia e Libertà col nome di battaglia di “Piero”. Venne catturato dalle SS italiane, assieme ai suoi compagni, e deportato in un campo di prigionia a Bolzano, quindi a Innsbruck. Aiutato dal comandante del lager e da un medico, ottenne il visto di rimpatrio. Era alla stazione di Innsbruck diretto a Verona. Il 3 ottobre, verso sera, giunse nell'albese. Qui riprese la sua attività di partigiano, ora sotto il nome di battaglia di Valerio, mettendosi a capo, nelle Langhe, di un battaglione della CIII Brigate Garibaldi intitolato al suo collega Cocito, impiccato dai tedeschi a Carignano (località pilone Virle), insieme ad altri patrioti. Narrò la propria esperienza di lotta, di prigionia e di guerra civile nel libro scritto in forma diaristica e pubblicato dall'ANPI, Banditi, uno dei primi memoriali di deportati politici italiani.  Dopo la liberazione di Torino, C.  torna ad Alba. Si trasfere come insegnante al Liceo di Chieri e poi al Liceo Alfieri del capoluogo piemontese. Ottenne la libera docenza e fu incaricato e poi titolare della cattedra di Filosofia della storia alla Facoltà di Lettere e filosofia a Torino. L’Accademia Nazionale dei Lincei gli assegnò il premio del Ministero della Pubblica Istruzione per la filosofia e negli fu conferito il Premio Bologna.  Alla ristampa di Banditi C. premise questa avvertenza, poi conservata nelle edizioni successive: «La presente ristampa si rivolge particolarmente ai giovani, non già per far rivivere nel loro animo gli odi del passato, ma affinché, guardando consapevolmente ad esso, vengano in chiaro senza illusioni del futuro che li attende se per qualunque ragione permetteranno che alcuni valoricome la libertà nei rapporti politici, la giustizia nei rapporti economici e la tolleranza in tutti i rapportisiano ancora una volta manomessi subdolamente o violentemente da chicchessia».  Raccolse grande stima ed affetto tra suoi allievi, che ne conservano tuttora il ricordo di un grande Maestro, limpido esempio di tolleranza e serenità di giudizio.  Attività filosofica L'attività filosofica di C. si concentra specialmente sull'Esistenzialismo, riletto in chiave positiva. La maggior parte delle sue opere è dedicata a Heidegger.  Egli è il primo traduttore in italiano di “Essere e tempo.” Proprio a C. si deve la definizione della terminologia heideggeriana in italiano, divenuta poi abituale tra gli studiosi. Valga un caso per tutti: la traduzione di “Dasein” come “esserci”, capolavoro di sintesi ed efficacia, spesso e volentieri non ancora raggiunta in questo specifico caso in altre lingue. Al filosofo tedesco dedica anche, ovviamente, diversi saggi: L'esistenzialismo di Heidegger, L'ultimo Heidegger, Esistenzialismo e fenomenologia. È, inoltre, traduttore di L'essenza del fondamento e Sentieri interrotti. A Kant dedica, invece, La deduzione nell'opera di Kant e ne tradusse la Critica della ragion pura e gli Scritti morali. È infine da ricordare il suo interesse per Sartre, del quale si occupa nell'opera Sartre e il marxismo.  L'esperienza partigiana rimase sempre una pagina fondamentale nella vita di C.i, per cui il valore della libertà occupa sempre il primo posto. Non è un caso che Fenoglio fa rivolgere da parte di Monti, nel Partigiano Johnny, proprio questo ammonimento ai giovani partigiani di Alba: «Ragazziteniamo di vista la libertà». La sua unica opera narrativa, Banditi, ricca di valore non solo storico e morale ma anche letterario, è stata definita da Lajolo «Il più vivo, più semplice, più reale di tutta la letteratura partigiana» (L'Unità) e da Fortini “un capolavoro.” Ci sono dei tratti straordinari, nel tragico come nel comico».  Opere C., Banditi, con introduzione di Beccaria, Torino, Einaudi, C., Esistenzialismo e filosofia contemporanea, Cambiano, Pisa, Edizioni della Normale, Deportati Politici Italiani, su restellistoria.altervista.org. C., Banditi, Torino, Einaudi, Conoscere la Resistenza, Milano, Unicopli, Resistenza italiana Deportati politici italiani Esistenzialismo Heidegger Opere di C.,.  Biografia di C. nel sito dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, su anpi. Centro Studi Fenoglio C., su centrostudibeppefenoglio.Antifascismo Filosofia Filosofo del XX secoloPartigiani italiani Corteno Golgi TorinoBrigate Giustizia e LibertàDeportati politici italiani. Chiodi. Keywords: esistenti, nulla annhihila, Kant imperative, counsel of prudence, rule of ability, practical reason, existentialism, Heidegger, greatest philosopher, maxim universality, maxim universability. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiodi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Chitti: l’implicatura conversazionale – scuola di Citanova – scuola di Macerata – filosofia maceretese – filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza  (Citanova). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Citanova, Macerata, Marche. Grice: “I like Chitti; not so much for what he philosophised about – law and law and law – but the way he corresponded with Say – a French philosopher – on the lack of an adequate philosophical vocabulary in Italian to express Aristotle’s principles of oeconomia!” Fervor, temperanza e, ingegno finissimo fanno di lui uno di quegli filosofi che sono atti egualmente alla filosofia ed all'azione.  Figlio di Giuseppe, avvocato e giudice alla Gran Corte Criminale di Reggio. Partecipa a Napoli, col padre ed i fratelli, alla rivoluzione. In seguito alla capitolazione del Forte Castel Nuovo, ripara in Francia. A Parigi, termina gli studi giuridici e strinse amicizia con molti patrioti del tempo.   Ferdinando I delle Due Sicilie Tornato a Napoli, esercita in città la professione di avvocato e difese Casalnuovo (l'odierna Cittanova) contro la feudataria del luogo, la principessa di Gerace, davanti alla regia commissione feudale. Fattosi un nome come avvocato, dopo la restaurazione ha la nomina di segretario generale al Ministero di Grazia e Giustizia del Regno. A Napoli sposa la figlia di Hipman, un capo dipartimento di uno dei Ministeri del Regno. Coinvolto nella rivolta contro Ferdinando I organizzata dai sottotenenti Morelli e Silvati, e quindi privato della carica ed esiliato. Passa un periodo a Londra, e tenta di ritornare a Napoli, ma ha l'inibizione ufficiale a rientrare nella capitale. Anda a Firenze e di lì a poco, chiamato da amici, si reca a Bruxelles.  In Belgio da lezioni di diritto pubblico e di economia sociale, ottenne la carica di segretario della Banca Fondiaria e si fece un nome. Il governo belga gli confere la licenza di professare Economia Sociale, e tenne quattro letture pubbliche nel Museo di Bruxelles. Le sue quattro letture sono intitolate da lui stesso «Corso di Economia sociale», compendio delle sue vaste vedute e della sua non comune cultura sull'argomento. Pubblica altre saggi ed in seguito alla fama acquisita, il governo belga gli conferì la carica di professore alla facoltà di diritto dell'Bruxelles. In Belgio pubblica la maggior parte dei suoi saggi e strinse amicizia con GIOBERTIi, che lo define valente economico. Nonostante la revoca dell'esilio, non torna a Napoli ma rimane in Belgio. Altre saggi: “Trattato di economia politica o semplice esposizione del modo col quale si formano, si distribuiscono e si consumano le ricchezze; seguito da un'epitome dei principi fondamentali dell'economia politica di Giovanni Battista Say” (Napoli, Stamperia del Ministero della Segreteria di Stato). Ermenegildo Schiavo, Four centuries of Italian-American history, Vigo Press. The New York Herald morning edition mercoledì. New York Daily Times pag. 4  Daily Free Democrat. The American almanac and repository of useful knowledge, Center for Migration Studies Special Issue: Four Centuries of Italian American History Wiley Online Library  Vincenzo De Cristo, Prime notizie sulla vita e sulle opere di C. Economista, Prem. Tip. e Lib. Claudiana, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Per una rassegna delle interpretazioni dell’azione  economica corporativa si veggano i nostri : Lineamenti  di politica economica corporativa. Catania, Studio Editoriale Moderno, Sono ivi ricordati i contributi più notevoli, teorici e  descrittivi, nel campo dell’azione economica corporativa. Si vegga pure il nostro studio : « Homo Oeconomi-  cus » e Stato Corporativo in : Giornale degli Economisti. Riportiamo qui la bibliografia essenziale dei contributi italiani allo studio dell’economia  corporativa, tralasciando di segnalare gli studi, numerosi, di carattere polemico e giornalistico, ma privi di  consapevolezza scientifica e, spesso, deformatori della  stessa realtà politica corporativa : Alberti M. : L’ « Homo Ooecomoinicuis » e V Esperienza Fascista in Giornale degli economisti, Arias G. : L’Economia Nazionale corporativa, Roma, Libreria del Littorio, idem. idem. Economia Corporativa, Firenze,  Poligrafica Universitaria, Amoroso L. e Stefani A. : Scritti cit. ; Arena C. : Scritti, cit. ; Benini R. ;  Scritti cit. : Breglia A. : Cenni di teoria della politica  economica, in « Giornale degli Economisti ». Classifica le varie politiche economiche. Carattere  di quella corporativa: autogoverni economici particolari, con il compito di emanare misure rispondenti, nei  rami particolari, alla politica economica generale emanante dal governo economico centrale. Le corporazioni  sarebbero gli autogoverni economici particolari). Bruguier G. : A proposito di interventi statali, in «Archivio di studi corporativi », Pisa; Borgatta G. : Prefazione al nostro volume av. cit. : Lineamenti di politica economica corporativa; Carli F. : Teoria generale della economia politica nazionale, Milano, Hoepli, e dello stesso: Le  crisi economiche delV ordinamento corporativo della  produzione, in « Atti del II Convegno di studi sindacali corporativi», Ferrara; Chessa: Caratteri e  forme delT attività economica, in «Rivista di Politica  economica » Secondo questo autore  J economia corporativa non è altro che un’ economia di  complessi economici, che dev’ essere studiata nella sua  realta concreta, prescindendo da erronee identificazioni  dell individuo con la società e di questa con lo Stato).  Dello stesso autore: Vecchio e nuovo corporativismo economico in «Saggi di Storia e Teoria economica, in  onore di Prato», Torino, In questo studio l’autore conclude che il corporativismo italiano pur traendo alcuni suoi elementi dalle teorie enunciate dal Genovesi, dal Bastiat e dal List si differenzia da queste  in quanto che inquadra le sue idee in una concezione  piu larga, che non tiene solo conto degli interessi  dei singoli, ma anche di tutta la collettività nazionale,  che per essere sempre più aderente ai bisogni ed agli  interessi della Nazione, viene organizzata gerarchicamente dallo Stato); Degli Espinosa A.: La forma e  la sostanza della economia corporativa, Firenze Poligrafica Universitaria; Del Vecchio G.: Teoremi  economici deW ordinamento corporativo. Comunicazione  alla XIX riunione della «Società pel Progresso della  Scienza», riassunta in « Lo Stato »; Einaudi L. : Trincee economiche e corporativismo in « La Riforma Sociale », ;  e dello stesso: Corporazione aperta in «La Riforma Sociale » Fanno M. scritto cit.; Fasiani  M.: Contributo alla teoria delVuomo corporativo, in  « Studi sassaresi », ; Ferri C. E.: L’ordinamento corporativo dal punto di vista  economico, Padova, CEDAM, Fovel M.: Economia  e corporativismo, Ferrara, S.A.T.E. e dello stesso:  La rendita e il Regime Fascista, Milano, Ediz. dei « Problemi del Lavoro», Politica economica ed economia corporativa, Ediz. «Diritto del lavoro»; Camera corporativa e redditi di gruppo, S.A.T.E. Ferrara; Fossati A.: Premesse per lo studio di ima economia e di una pplitica economica corporativa, in : « Rivista di Politica Economica »,  (Ritiene  questo A. che tanto la politica economica corporativa,  quanto l’attività corporativa come condotta ipotetica degli individui dei gruppi animati di una coscienza corporativa sono teorizzabili: il secondo per definizione, e in  tanti modi quanti significati vogliano attribuirsi alla coscienza corporativa (all’autore parendo il più adatto  perchè conforme alle direttive del Regime quello che  ha a base 1 interesse della Nazione, ossia il massimo benessere individuale compatibile col benessere della Nazione); ed il primo, quando le norme abbiano sufficiente chiarezza (univocità) e costanza da consentire  una costruzione logica di conseguenze possibili. Purché non si mescolino precetti e teoremi, e peggio, non  si confondano gli uni con gli altri, è perfettamente  legittimo fare della economia corporativa una « economia » astratta, trovare il nocciolo razionale del concreto empirico). Gobbi U. : Il procedimento sperimentale della economia corporativa, « Giornale degli economisti»; Galli R. : Corso di economìa  politica, Firenze, Poligrafico Universitario, e dello  stesso: Corso sulle imprese industriali, Firenze, Poligrafico Universitario; Jannaccone P.: La scienza  economica e Vinteresse nazionale (Discorso tenuto all’inaugurazione dell’anno accademico della R. Università di Torino,  e dello stesso : Scienza,  critica e realtà economica, in « La Riforma Sociale »; Lanzillo A.: Studi di economia applicata, Padova, Cedam, e dello stesso  A.: Il contenuto dell’ economia corporativa, Rivista Bancaria, ed Economia corporativa e politica economica, Giornale degli Economisti; Lo Stato come fattore di produzione, Rivista Bancaria (Lo Stato  come inserzione di volontà nell’ attività economical.  Anche Ettore Lolini, a parte la sua antipatia per la  scienza economica tradizionale e la notevole incomprensione degli economisti ortodossi i quali riescono interessanti a seguire non come simpatizzanti delle idee liberali o di altre tendenze, ma come scienziati dell’economia, riconosce che per dare un carattere di  socialità, che concili l’interesse privato con quello  sociale o nazionale, alla economia privata, non è necessario giungere alla totale abolizione dell’economia  privata ed alla identificazione dell’ economia pubblica,  come ha fatto Spirito, il quale col porre erroneamente  al centro dell attività economica umana la produzione  e non lo scambio non ha visto che nello scambio si  ha la sintesi dell’ interesse individuale e dell’ interesse  sociale, perchè nello scambio, mentre l’interesse è individuale, il risultato è sociale. Per eliminare del tutto,  come vorrebbe Spirito, il carattere individualistico dei  valori economici ed il movente egoistico dei fatti economici e identificare F iniziativa economica privata  coll’iniziativa economica pubblica o statale, bisognerebbe trasformare la psicologia umana, abolire la personalità economica umana e con essa tutte le diff erenze  di bisogni, di desideri e di gusti che esistono ed esisteranno sempre fra gli uomini, differenze che costituiscono  la base dello scambio e la molla del progresso economico  e che nessun sistema di economia socialista è mai riuscito a sopprimere. Il porre a fondamento dell’economia corporativa la  produzione e quindi l’organizzazione e la gestione economica della produzione invece dello scambio, inteso  nel senso della ripartizione del prodotto di ogni grande  ciclo produttivo fra tutti i fattori della produzione mediante l’accordo contrattuale dei prezzi del lavoro,  del capitale, della direzione tecnica e dell’opera degli  intermediari, porta a delle conseguenze pratiche fonda-  mentali per la definizione dei fini e delle funzioni  della Corporazione. Nel primo caso, infatti, si dovrebbe  giungere alla Corporazione organo di gestione economica col passaggio di tutta l’iniziativa economica privata alla Corporazione e con la conseguente trasformazione di tutta l’economia privata in economia pubblica. Nel secondo caso, invece, la Corporazione non assumerà la direzione della gestione economica della produzione, ma avrà la funzione economico-sociale di eliminare il classismo o particolarismo economico, di impedire che uno o più fattori della produzione si facciano la parte del leone nei confronti con gli altri fattori e di adeguare l’andamento dei prezzi al produttore con quello dei prezzi al consumatore. Cfr. di  questo A.: Il problema fondamentale dell’economia  corporativa, Critica Fascista;  Masci F.: scritti cit. e: Saggi critici di teoria e metodologia economica, Catania. Sono raccolti con lievi  modificazioni gli scritti citati ed altri saggi); Paoni C.:  A proposito di un tentativo di teoria pura del corporativismo, in « Fiamma italica », e  dello stesso: Strumenti teorici di corporativismo, in Giornale degli economisti,  (in questi  scritti il Pagni critica a fondo la costruzione teorica corporativa del Fovel. Contro questi si schiera anche Bru-  guier nello scritto sopra citato ed anche noi nei nostri  scritti av. cit. Contra anche Arias ed altri); Sensini G.:  L’equazione dell’equilibrio economico nei regimi corpo-  rativisti, in «Lo Stato;  Serpieri A.: Lo Stato e Veconomia, in «Educazione Fascista », e, dello stesso : Economia corporativa e agricoltura, in Atti del Convegno di studi  sindacali e corporativi», Ferrara; Spirito U.: La  critica dell’economia liberale, Milano, Treves, dello  stesso: I fondamenti dell’ economia corporativa, Milano,  Treves, e Capitalismo e corporativismo, Firenze,  Sansoni. L’interesse suscitato degli scritti filosofici di questo  A. sono dovuti a ragioni di carattere esclusivamente  polemico. Nulla di nuovo ha espresso il giovane filosofo.  Nella critica all’economia liberale, infatti non fa che  ripetere, con sintesi brillante, quanto è stato detto dai  seguaci della scuola storica tedesca e dagli istituzionalisti americani contro la economia liberale. È confusa  la scienza economica con la praxis dei governi liberali  e demoliberali. Nella critica al capitalismo non fa che  ripetere, in linea essenziale, quanto il Sombart ha  espresso nella sua opera monumentale sul capitalismo  e quanto altri economisti contemporanei hanno scritto  contro il sistema capitalistico, e che l’A. si guarda bene  dal ricordare. Nè è fatta alcuna discriminazione, fra  capitalismo e capitalismo, senza, per es., ricordare che  m Italla 11 capitalismo è, appena, al suo inizio. Nei  tentativi di costruzione teorica del corporativismo fascista tiene conto, in particolare delle dichiarazioni della  Carta del Lavoro che rincalzano la propria tesi per  Ja quale vede la soluzione corporativa n clini entità  assoluta tra Stato ed individuo che riecheggia il pensiero di Hegel e di Marx. Nulla di nuovo nemmeno nella costruzione teorica la  quale e apparsa a sfondo social-comunista per l’ammis-  sione della corporazione come proprietaria. Propugna,  inoltre, 1 A. il partecipazionismo operaio, altro espediente vecchio e già discusso ampiamente nei tempi  passati. Ma, con buona volontà, si può Scorgere nel  sistema di Spinto anche un liberalismo assoluto per  cui dopo aver letto gli scritti di questo A. del corporativismo si riuscirà a capire meno di prima. E non  m tenrnamo quii su altri grossolani errori espressi  dall A. nel campo delle realizzazioni pratiche corporative, come per es. su quelle in cui consiglia per il  nostro Paese una industrializzazione ad oltranza, la  emissione di prestiti esteri, una politica commerciale  che sara forse realizzata, ecc (Tutte  queste idee sono espresse nel voi.: Capitalismo e Corporativismo, Sansoni, Firenze).   Contra a Spirito, si vegga: Arias, cit., Jannaccone,  cit., Lanzillo, cit., Moretti, appresso cit.. Vinci, appresso citato, ed i seguenti scritti. CROCE (si veda), L’economia filosofata e attualizzata, Critica; Galli, Sull’identità dell’individuo  con lo stato, La Vita Italiana;  (jANGEMI L. : Individuo e Stato nella concezione corporatina, m «Atti del Secondo Convegno di Studi Sindacali e Corporativi, Ferrara; Brucculeri: L economia corporativa, in «La Civiltà Cattolica», e dello stesso: Crisi e capitalismo, nella stessa rivista, etc. Cesarini-Sforza in un lucido scritto: Individuo e  Stato nelle Corporazioni (Archivio di Studi Corporativi) mostra come la formula  dell identità è chiarissima nel pensiero dei socialisti e  dei liberali. L’individualismo moltiplicando le sue forze non rinuncia ad essere sè stesso. Il grande significato  del Corporativismo è la disciplina economica nazionale.  Con il Corporativismo si passa dal soggettivismo all’oggettivismo. Alla organizzazione professionale è affidata,  sopratutto la oggettivazione delle scelte economiche.  Il nuovo modello della realtà economica non potrà non  essere anch’eseo, naturalistico e deterministico: non c’è  scienza senza determinismo. Caratteristica delle concezioni dello Spirito è l’ottimismo. (Per es. nello Stato  Corporativo non vi saranno più disoccupati!).   La nostra divergenza ideale con l’economia degl’idealisti non va assolutamente confusa con le invettive di quei messeri interessati ad un intervento che oggi  chiedono e ieri respingevano, nè con le interpretazioni  di coloro che hanno gli occhi sulla nuca!   Ricordiamo ancora: Moretti V.: I principii della  Scienza Economica e l’economia corporativa («Rivista  di Politica Economica»). M. rifiuta 1 identificazione fra Stato e Individuo. Integrando  e correggendo le opinioni di Arias e Fovel considera  l’economia corporativa come una economia non euclidea. Papi, Un principio teorico dell’economia corporativa, Giornale degli Economisti, e  più diffusamente in Lezioni di Economia Generale e  Corporativa», Gedam, Padova. (P.  ritiene che il sistema corporativo si possa considerare  come lo strumento capace di assicurare le imprese contro i (risdhi extra-economici (guerre, crisi, scioperi, etc.). Rossi, Economia e Finanza. Chiarifica il  concetto di concorrenza e mostra i caratteri della teoria dell’equilibrio economico generale. L’ordinamento  corporativo traduce nel diritto positivo un complesso  di norme di diritto naturale, che presiedono al fenomeno sociale della ricchezza. Ne risulta un diritto corporativo, definizione giuridica della libertà economica  c e sottopone 1 arbitrio del singolo alla regola; e la  figura dell’uomo corporativo si risolve nell’uomo economico libero. L’economia corporativa importa la penetrazione nell’organismo produttivo di un sistema organico, razionale di politica economica. L’economia corporativa risolve il contrasto fra l’essere e il dover  essere della vita economica. Dover essere: razionalità  (teoria economica pura), eticità (politica economica). Le forze direttrici corporative devono fornire al dinamismo economico il volano regolatore). Vinci F.: Il corporativismo e la scienza economica  (Rivista Italiana di Statistica, etc..  Questo A., conscio delle interdipendenze fra i vari fattori di produzione e fra le varie imprese e delle condizioni di concorrenza mondiale, ha dimostrato che  la « disciplina unitaria e l’autodecisione, ove conducesse  fino ala determinazione delle produzioni e dei consumi, esorbiterebbe largamente dalle attribuzioni dell’uria o dell’altra Corporazione investirebbe i rapporti  reciproci, non solo fra due o tre, ma fra tutte le Corporazioni, imponendo al Consiglio Nazionale delle Corporazioni un continuo, pericoloso compito di revisione  e di conciliazione in base a valutazioni complicatissime, a criteri di difficile determinazione oggettiva. Sulla Finanza Corporativa.   Si espressero anni addietro a favore del contingente:  Griziotti, Finanza di guerra e riforma tributaria, in  «La Riforma Sociale. Contro il  contingente: Einaudi, Principii di Scienza delle Finanze, Torino. Ed oggi, a favore del  contingente (citiamo gli scritti più seri): Benini, loco  cit. ; Montemurri G. : Per una finanza corporativa, Echi e Commenti, e dello stesso: Ordinamento corporativo e ordinamento tributario, in « Atti  del II Convegno di Studi Sindacali e Corporativi », Ferrara; Bonanno: L’extra-individualismo  nelle entrate del bilancio dello Stato, « Dir. e prat.  trib. »e dello stesso: Lo Stato corporativo e la  sua finanza, Diritto del Lavoro;  Uckmar : Ordinamento Corporativo e ordinamento tributario, Relazione al I Convegno nazionale di Studi  Corporativi», Roma, e dello stesso: Verso una  revisione corporativa della pubblica finanza, Diritto  del Lavoro, Roma; Riforme tributarie e Stato  corporativo, in « Diritto del Lavoro», Roma, 1929; Finanza corporativa, in « Diritto e Pratica Tributaria.  Roma, ed infine, sempre dello stesso: Ordinamento corporativo e ordinamento tributario, in Atti  del II Convegno di Studi Sindacali e Corporativi, Ferrara. Fra questi autori la corrente radicale  trova favorevoli Benini, Bonanno e Montemurri.  Uckmar ritiene che la finanza sia individualista e perciò la vorrebbe riformata in un senso meno individualista, ma nei suoi studi esprime delle proposte che  trova consenziente tutti coloro, fra i quali lo scrivente,  che riconoscono doversi inserire nell’ordinamento corporativo anche la finanza allo scopo di raggiungere quei  fini che gli conferiscono caratteri fascisti.   Sono contro D’Alessio, in un suo articolo: Evasione fiscale e riforma tributaria, Augustea, e Genco («Comunicazione al II Convegno di Studi Sindacali e Corporativi », Ferrara) i quali vorrebbero arrivare all’abolizione o per  lo meno alla riduzione degli organi finanziari statali  ed alla loro sostituzione con le Corporazioni! Uckmar,  contingentista moderato, riconosce che il potere impo-  sizionale tributario spetta allo Stato. Quest’autore quindi può inscriversi fra i fautori di una finanza coordinata all’ordinamento corporativo, ma è lontano dalle  Improvvisate e rivoluzionarie trasformazioni. La finanza  oltre a presentare un contenuto politico, riveste un contenuto tecnico con il quale male si accorda la improvvisazione degli innovatori. Ai quali rimarrà la soddi-  stazione di essere considerati rivoluzionari al cento per  cento, mentre agli altri rimarrà la soddisfazione di non  avere incoraggiato i salti nel buio che in materia finanziaria si scontano amaramente dalla Nazione, e perciò  si ritengono solleciti dell’interesse nazionale e cioè non  meno rivoluzionari dei loro colleghi che manifestano  i ce piu radicali. Il tempo sarà giudice sereno fra tanto contendere. Ricordiamo i seguenti scritti fra i tanti che  accolgono, con moderazione, una riforma tributaria in  ™° m A a C °p 1 ^gamzzazione corporativa: Garino Ca-  Problemi di Finanza, Torino, Giappichelli; Scandali: E.: Imposizione tributaria e Stato Cor-  porativo in « Echi e Commenti », e dello   TTr- A r-,ane r e   in «Giustizia tributaria»,; Gangemi L-   rinanza Corporativa, in « Rivista di Politica Economi-   Stato C e dell ° stesso: La finanza nello  Stato Corporativo, Commercio, Roma, £ r” cernii in   «Rivista di Politica Economica» (e una carica a fondo contro la funzione graduale,  ransitona e limitata del contingente come è propugnata da Montemurri e dal Cardelli il quale ultimo  ha espresso la sua tesi in Il Commercio)i Toselli Colonna: Teoria e  problemi della- economia finanziaria corporativa, Alessandria Colombani (è questa una diligente rassegna dei problemi corporativi della finanza). Infine,  si segnala 1 eccellente studio di Borgatta: Le funzioni  WaC “ f *’ in « Lo Stato », febbraio e   CEDAM L Tfmi {XeZ ' W ' t SCÌCnZa delle fi nanze ’ Padova,  CEDAM) non sembra opportuno affidare all’Associazione Sindacale la ripartizione degli oneri tributari  a gin associati. Le associazioni sindacali, probabilmente « non sarebbero neppure molto disposte ad assumersi  tali compiti, ohe spesso non sarebbero neppure in grado  di svolgere efficientemente data la limitatezza e l’inadeguatezza dei mezzi che hanno a propria disposizione,  anche a prescindere dal giusto timore dei dirigenti di  potersi creare m tal modo animosità lesive di quella  compattezza dell’Associazione Fascista, che costituisce  uno dei suoi requisiti più essenziali in relazione ai fini  propostisi dal nostro legislatore. Un chiarimento sulla tesi riformista di Benini. La  ritorma propugnata da questo autore (studio cit.), per  quanto riguarda l’imposizione diretta, è vasta e coraggiosa: due tipi di imposte dirette, proporzionali, l’una sul reddito totale di famiglia, l’altra sul patrimonio-.   Senza dubbio, la scienza finanziaria ed il procèsso  evolutivo della legislazione fiscale degli Stati moderni  pongono in evidenza i tributi globali e personali come  il fondamento di un corretto sistema di imposizione diretta in luogo delle imposte reali imperfette e causa di  sperequazioni gravi ed inevitabili. Il nostro sistema attuale è fondato appunto sui tributi reali, integrati da  una imposta personale, la complementare, che con i  procedimenti fatti approvare dal Ministro Jung presenta una struttura che le consente di assolvere agli importanti suoi compiti. Ma, appunto perchè la riforma proposta dal Benini  muterebbe radicalmente, ab imis, il nostro sistema d’imposizione diretta, sono necessari, per giungere ad essa,  lunghi e ponderati studi sulla entità, sulla composizione,  sulla distribuzione e sul raggruppamento dei redditi,  sulla organizzazione tecnica della nuova amministrazione; sopra tutto occorre, per concepire ed attuare una  riforma così vasta e complessa che le condizioni dell’economia nazionale e della pubblica finanza entrino  in un periodo di sufficiente tranquillità e stabilità. Tutte  cose queste di cui il Benini è consapevole. Un posto a parte tiene Griziotti il quale fra le  due opposte opinioni che esiste una finanza corporativa oppure il contrario che questa non esiste sostiene  una terza e differente che trova riscontro nei seguenti  scritti: La trasformazione delle finanze pubbliche nello  Stato Corporativo fascista, Il Diritto del Lavoro); Idee generali sulla trasformazione  del nostro sistema tributario, esposte al Primo Convegno  di Studi Corporativi a Roma, in « Bollettino del Consi.  glio Prov. dell’Economia di Pavia; Le  finanze pubbliche e l’ordinamento corporativo, in « Economia », N. 6 del 1930. Il Griziotti, se non erriamo,  desidera un sistema di imposte congegnate in modo da  rispettare le esigenze della produzione. Vuole un sistema tecnico e razionale che sodisfi anche i criteri della  giustizia nella ripartizione dei carichi pubblici. Rico-   Gangemi, Dottrina Fasciata ed economia. nosce che l’opera del primo periodo della finanza fascista ha tenuto conto delle esigenze della produzione.  Queste idee evidentemente indicano in Grìzìotti un  fautore della finanza corporativa. Dove il nostro non  ci trova consenzienti è nei dettagli (ammortamento delle imposte, tassazione esclusiva delle rendite e dei sopraredditi, ecc.). Ma su questo sarebbe lungo il discorso.   Secondo un distinto allievo del Griziotti, il Pugliese  (La Finanza e i suoi compiti extra-fiscali negli Stati  Moderni, Padova, GEDAM) « Nello  Stato Corporativo l’economia continua a basarsi fondamentalmente sulla iniziativa privata dei capitalisti, nè  alcuno dei principi che reggono l’economia capitalista  viene apriosticamente ripudiato: ma vi si aggiunge un  elemento che è quello del controllo sociale che, sulla  iniziativa privata e sul suo svolgersi, viene attuato dallo  Stato.  Nello Stato corporativo anche la politica finaziaria deve necessariamente seguire le direttive, che non  coincidono nè con quelle del sistema liberale-capitalista  (benché ad esse siano assai più vicine) nè con quelle  del sistema collettivista.   Essendo l’imposta uno dei principali strumenti di  cui lo stato qualora rispetti il principio della proprietà privata  si può valere, per intervenire nel campo dell’economia, individuale, è logico che ad essa faccia più largo ricorso uno Stato, che ha per principio  l’intervento, ogni qualvolta l’interesse nazionale lo richieda.  E essenziale rilevare che nel sistema corporativo,  mutano fondamentalmente i modi dell’azione statale:  mentre nel sistema liberale-capitalista lo Stato si propone fini di benessere e prosperità, che vengono attuati  mediante la protezione di tutte quelle forze individuali  che si dimostrano utili a tale intento, lo Stato corporativo, oltre a proseguire per tale via i propri fini, si fa  esso stesso agente diretto e primario per l’attuazione degli scopi suddetti, non solo proteggendo e favorendo le forze utili' ai propri fini, ma facendosi iniziatore dei  provvedimenti atti ai dirigere le forze individuali all’obbiettivo prefisso. Non possiamo chiudere questa nota senza ricordare  il contributo che, anche in questo campo ha dato Maffeo Pantaleoni col suo scritto: Finanza fascista, in  « Politica », maggio-giugno 1933, scritto che i nuova-  tori sistematici ed i creatori di schemi astratti farebbero bene a leggere ed a meditare se veramente sono,  come si ritengono, difensori dell’interesse nazionale. Luigi Chitti. Chitti. Keywords: economia sociale, economia politica, l’economia filosofica d’Aristotele, econnomia corporativa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chitti” – The Swimming-Pool Library.

No comments:

Post a Comment