Grice e Chiaromonte: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della parola – il cane ha
molto. Definizione d’ aggetivo – la correlazione – scuola di Rapolla –
filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Rapolla). Filosofo basilicatese. Filosofo italiano. Rapolla, Potenza, Basilicata. Grice:
“Problem with Chiaromonte is that he let things influence him too much! My
favourite is his tract on ‘silenzio e parola’ – where as he explains,
‘parabola,’ as used by the Greeks meant conversazione, because among primitive
people, it is all about ‘comparison,’ and that is what a parabole is – by
comparison we may think of miaow-miaow and the bow-bow theory of meaning!”. Esponente
antifascista, appassionato di filosofia (fu discepolo di Andrea Caffi) e di
teatro, fondò con Ignazio Silone la rivista culturale indipendente "Tempo
Presente". Il padre, medico, si trasfere con la famiglia a Roma, C.
si vota all'anti-fascismo, dopo una breve parentesi fra le file fasciste,
entrando a far parte della formazione Giustizia e libertà e finendo esule a
Parigi per evitare l'arresto della polizia. E in Spagna, combattente
repubblicano nella guerra civile spagnola contro le armate franchiste nella
pattuglia aerea di André Malraux (la figura di C. è adombrata in quella del
personaggio dell'intellettuale Scali, del romanzo L'Espoir), poi abbandonò il
fronte per contrasto con i comunisti. Allo scoppio del secondo conflitto
mondiale, in seguito all'invasione tedesca della Francia, riparò a New York,
facendosi notare nel gruppo dei cosiddetti New York Intellectuals. Fu
propugnatore del socialismo libertario che contrappose alle spinte trotzkiste
della rivista politics di Macdonald, a cui pure si legò in un sodalizio di
amicizia e di frequentazione intellettuale. Ebbe legami d'amicizia con filosofi
come Arendt e Camus, e scrittori come Orwell, e collaborò con Salvemini al
settimanale italiano a New York, Italia libera. Tornato in Italia una
prima volta e una seconda, si sentì esule in patria, anche per il suo rifiuto a
sottostare ai compromessi che volevano la cultura strettamente legata ai
partiti politici; per un periodo tenne una rubrica di critica teatrale sulla
rivista Il Mondo fondata da Mario Pannunzio. Assieme a Silone, fondò
"Tempo presente", rivista culturale indipendente, esperienza
innovativa nell'Italia dell'epoca che portò avanti, nonostante qualche
dissapore con Silone, con grande attenzione agli autori di notevole spessore
che riempivano le pagine del mensile. Le sue posizioni furono improntate
all'anticomunismo ma, a differenza di Silone, fu senz'altro più utopico; vicino
alle posizioni di Albert Camus, teorizzò «la normalità dell'esistenza umana
contro l'automatismo catastrofico della Storia». Nel testo La guerra
fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti (Fazi editore)
della storica e giornalista inglese Frances Stonor Saunders, si sostiene che la
rivista Tempo presente sia stata finanziata dalla CIA: la Saunders ne individua
i fondatori come personaggi di punta del Congress for Cultural Freedom e
principali destinatari dei finanziamenti della CIA per attività culturali in
Italia. Intrattiene una fitta corrispondenza con Mussayassul, amichevolmente
chiamata Muska, una monaca benedettina, sul tema della verità. Altre saggi: La
situazione drammatica, Milano, Bompiani, The Paradox of History, Londra, Le
Paradoxe de l'Histoire, prefazione di Adam Michnik, introduzione di Marco
Bresciani, Cahiers de l'Hôtel de Galliffet,
Credere e non credere, Milano, Bompiani; Collana Intersezioni, Bologna,
Il Mulino, Scritti sul teatro, Introduzione di Mary McCarthy, Miriam Chiaromonte,
Collana Saggi, Torino, Einaudi, Scritti politici e civili, Miriam Chiaromonte,
Introduzione di Leo Valiani, con una testimonianza di Silone, Milano, Bompiani,
Il tarlo della coscienza (The Worm of Consciousness and Other Essays, Prefazione
di Mary McCarthy), Miriam Chiaromonte, Collana Le occasioni, Bologna, Il Mulino,
Silenzio e parole: scritti filosofici e letterari, Milano, Rizzoli, Che cosa
rimane, Taccuini, Collana Saggi, Bologna, Il Mulino, Lettere agli amici di
Bari, Schena, Le verità inutili, S. Fedele, L'ancora del Mediterraneo, La
rivolta conformista. Scritti sui giovani e il 68, Una città, Forlì, Fra me e te
la verità. Lettere a Muska, W. Karpinski e C. Panizza, Una città, Forlì, Il
tempo della malafede e altri scritti, Vittorio Giacopini, Edizioni dell'Asino, Albert Camus-Nicola Chiaromonte,
Correspondance, Édition établie, présentée et annotée par Samantha Novello,
Collection Blanche, Paris, Gallimard, Dizionario Biografico degli Italiani. Simone
Turchetti, Libri: "Le attività culturali della Cia" Galileo, Cesare
Panizza, Nicola Chiaromonte. Una biografia. Presentazione di Paolo Marzotto, prefazione
di Paolo Soddu, Roma, Donzelli. Dizionario Biografico degli Italiani, XXIV, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
Treccani, Filippo La Porta, Maestri irregolari, Bollati Boringhieri. Gino
Bianco, Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede, Lacaita, Manduria-Roma-Bari,
Michele Strazza, Contro ogni conformismo. Nicola Chiaromonte, in "Storia e
Futuro", Filippo La Porta, Eretico controvoglia. Nicola Chiaromonte, una
vita tra giustizia e libertà, Bompiani. Bocca di Magra Altri progetti Collabora
a Wikiquote Citazionio su Nicola Chiaromonte
Nicola Chiaromonte, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Nicola
Chiaromonte, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Nicola Chiaromonte,. Fotografie e documenti di Nicola Chiaromonte
La cultura politica azionista. "Nuovo Partito d'Azione". Il fondo
librario Chiaromonte. Sotto il generico vocabolo “parola” (cf. Grice, ‘to
utter’) si può intendere qualunque segno communicativo che serve a
rappresentare una percezione o un'idea o concetto. Pur nondimeno questa voce
“parola” – cf. Grice “to utter” -- nell'uso ordinario è ristretta a signare un
suono articolato, con cui l’uomo esprime e communica la pércezione o la idea o
concetto ad altro uomo; e siccome il suono articolato e stato legato ad altro
segno, così la parola, oltre di esser pronunziata (pro-nuntiatum), è anche
scritta. Orche cosa è mai questa *communicazione* da un'uomo all'altro? Questa
communicazione propriamente è un mezzo di suscitare nell’altro uomo, al quale
si dirigge, una percezione o una idea o concetto consimile a quelle che ha e
che vuol *communicare* (o signare) colui che ‘signa’. Perciò la communicazione
consiste nel far sorgere nell’altro quella stessa percezione o quella stessa
idea. Ciò in due modi può succedere, cioè: o mediante una convenzione,
arbitrio, concordo, patto, sul segno, sia volontariamente fatta, sia
abitualmente seguita, cosicchè ogni segno per ragion di associazione
convenzionale desti una percezione o un'idea corrispondente; o pure mediante
una naturale (iconica, assoziativa) associazione o meglio co-relazione che si
stabilisce tra un segno e una percezione o idea o concetto, cosicchè non
abbisogni altro che imitare (proffere) appositamente questo segno per suscitare
nell’altro la percezione o idea o concetto naturalmente (iconico, assoziativo)
annessa o co-relata. È del primo modo – il modo di correlazione convenzionale
-- la maggior parte dei segni; poichè una convenzion prima espressamente o tacitamente
fatta, e l'uso che ciascun trova del sistema di communicazione del suo popolo,
fan sì che appena si manipula un determinato segno, tosto si destino in coloro
che ascoltano le percezioni e le idee co-rispondenti. Sono del secondo modo
ogni segno che per lo più imitano una proprieta naturale, come la voce del cane
(“Daddy wouldn’t buy me a bow-wow”), il romore del vento, lo scorrer del fiume
il rimbombo del tuono, della esplosione, ed altri simili. Ancorchè l'uomo non
sa per antecedente convenzione il ‘signato’ di tale ‘segno,’ egli tosto si fa
l'idea del ‘segnato’ che s'indica, perchè la imitazione – iconicita,
assoziativita – della proprieta naturale sveglia la percezione socia. Sentendo
“bac-buc” dei tedeschi, quantunque non sa l'alemanno, mi debbo far tosto l'idea
del vuotarsi di un vaso a bocca stretta. In questa categoria va pure il
vocativo “o”, perchè la pronunzia molto spontanea di questa vocale fa volgere
la persona verso il punto donde “o” vien pronunziato: e quindi da per sè stesso
il vocativo “o” serve a chiamare, perchè ottiene spontaneamente questo effetto
o risponsa nell’recipiente. Intanto il segno, oltre che serve a mettere in
communicazione due uomini fra loro ed a far nascere in essi la ri-produzione (o
trasferenza psicologica) di una percezione e di una idea secondo la volontà del
‘signante,’ è al tresi utile ad un'uomo solo, allorchè egli si racchiude in se
stesso e si va rappresentando le cose per meditarvi. Difatti è un'osservazione
ben comune che noi parliamo dentro noi stessi, allorquando pensiamo le diverse
cose, e principalmente allor quando ci rappresentiamo una idea astratta.
PRISCIANI GRAMMATICI CÆSARIENSIS.DE VOCE. PHILOSOPHI definiunt vocem effe ærem
temuffitmm ftfhtm,uel fiuwm fenfibile ut ritum,idefl quod propria auribus
accidit Et p efl prior definitio ii fubfhtntia fiumpta,
Altera nero d notione quam graa ivvotav dicunt Jnoc efl ab accidentibus Accidit
enimuod auditus quantum in ipfia efl Vedi autem differentia fiunt IV: articulato,
inarticulata, literata, illiterata. Articulata est qua
coarguta, hoc est copulata cum aliquo fienfiu mentis eius qui loquitur,
profertur. INARTICULATA
est contraria, qua a nui lo proficifettur affccfht mentis. Litterata est qua
ficribipotefl. IJ-literafa qua ficnbi nbpot. r nuenimtur igitur quadam voces articulata,
qua et feribi poffitnt et intellig, ut Arma uirtemq; cano Quadam qua no
peffunt feribi, intelligiinturth, ut fibili heminu et GEMITVS, ha enm voces
quamus sensium alique SIGNIFICENT proferentis eas, feribi tn no poffiint Ali vero
sunt qua quantus feribantur, tn inarticulata dicuntur, cum nihil significent,
ut coax, cr a baseni voces quanquam intelliginuis de qua fint
noluere proferte, tamen in articulata dicutur, qma vox fut superius
dixi){marticulata est, qua a Milio affvfhe profiafdtur. Alia sunt inarticulata et illitterdta, qua nec feribi possunt
nec intelligj, ut fl repitus, mugitur, et his similia. Scire autem debemus, quod
has IV pecies vocum p- fidunt IV superiores differentia generaliter voct
æddentes, bina per singulas inuictm coeuntes. Vox autem didht est vel
d Uo* cctndo, ut “dux”, “ducendo”, Uel ccto rojfioxco jsoco, ut quibufda
placet bE Lr fl pars minima uods composita, hoc efi l uods qua conflant
compositione litterarii, minima autem quantum ad totam comprehensionem uoas litterata,
ad hanc enim etiam produrtauoctiles hreuiffima partes inveniuntur, vel quod
omnium est brevissimum eorum quzdiuidi possunt, id quod dividi non potefl
Vcffumus et fic definire Littera e nox qua feribi potest mdiuiduauicitur
autem littera vel qudfi. 5 lenter d, eo quod
U<gndi iter prabeat, ue[atuaris (ut quilufda pia cet) qubdplerunq>in
caratis tabulis antiqui fcrilerc [oletans et pojha delere-Litteras aut, etiam
elementorum vocabulo nuncu pauerunt, ad simlitutem mundi elementorum-
Sicut enim illa coeutia omne cor fu perficiunt, fic etia ha
conimfia litterale vocem quafi corpus
aliquod componunt yuel magis nere corpus na fi acr corpus eji,
et nox qua ex ære icdo confiat, corpus ejfie cflenditur, quippe cum
et tangit aurem, et tripartito dividitur, quod eji finit corporis hoc eji
tu altitudinem, latitudinem, longitudine myunde ex omni parte potefi audiri-
Vraterea tamen singula syllabe altitudine quidem habent m tenore, craffimdinem
nero et latitudinem in spiritus longitudinem in tempore- Littera igtut eji
ricta elementi et uclut imagp quadam vocis litterata, qua cogmfidtur ex
qualitate et fti tute figura linearu-Hoc ergo mterefl inter elementa, et
litteras, quod elementa proprie dicuntur ipfie pronundationes nota autem carit
littera- Abufiue tamen et elementa pro litteris, et littera
pro elementis vocantur. Cum enim dicimus non poffie conflare
m eadem fiyl labd-K, ante V, no de litteris dicimus, fid de pronuntiatione
earum- nam quantum ad scripturam possunt coninng, non tamen etia enuciari, nifi
ipojl pofitR, ut princeps, sunt igitur figura litterarum quibus nos utimur-
XXUI- ipfie vero promnciationes earu multo ampliores. Quippe cum singula vocules
denos mueniantur habentes fionosyuel plures, ut putaa, littera brevis IV halet fimi
differentias, cum habet afrirationem, acuitur vel gravatur et rurfus cum
fime aft iratio e acuitur vel graudtur – ut: “habeo”, “habemus”, “abeo”, “abimus”- Longt vero eadem fex modis fionat,
cum habet ASPIRATIONEM et acuitur vel gravatur, vel drcunfleCHtur – ut: “hamis”
hdmoru hamus Et rurfits cum SINE ASPIRATIONE acuitur vel
gravatur vel ctr cunflecntur, ut dra ararum dra Similiter
ali uoatles pofjimt proferri- Vraterea tatnen-i, &. u, uoatles quando
media; fiunt alternos inter fie fionosuidetur confundere ytefk bonatofiut
vir. u, ut optumus, Eti, quidem quando poft-u, confortantem loco
digamma-V,fi<n<fhm Æolia ponitur brevis y sequcnte. d, vel. m, vel. r, ucl.t,
Uel x, fonum-y, graca videtur habere – ut: “video”,um, “virtus”,
“vitium”, uix-v, autem qudnuts contrastum eundem tamen fimum, hoc
efi y, habet, inter q} &-efueLiyHela, DIPHTHONGUM pofltum, ut que quis qua-
tenon inter. gt& ea fidem uoatles, cmi in una siyllaba fic imenitur, ut
pingte sanguis fiingtta . In confortantibus etiam fiunt differentia
plures, trdnfeuntmm in alias consonantes et non tran femtium, quippe diversie
firmi potefiatis. L tL a iij Ccidit igitur litteræ nomen
figura,poteffas- Uomen uefo a ti. a. b. c. Et fiunt mdechna ilia, tam apud græcos
elemetorum nomina, qudm APVD LATINOS sive p a barbaris inventa
dicuntur, sive p simplicra hæc Z7‘ fktlilia esse debent, qudfi
fundamentum omnis do firmæ nnmvbile, sine p nec aliter apud iatmos poterat esse,
cum a fias uoabus uocztles nominen tur, Saniuocales vero in se definant, Mutæ
autem a fi incipientes uo- atli terminetur, quas fiflefkts SIGNIFICATIO quocp
nominum una eud- nefcit vocales igitur ut difhtm efi per fi prolatæ nomen
fuuofien dunt. Semivocales vero ab.e, incipientes, &in je terminantes. A
bfip x, que sola ab. i, incipit per anafirophen gracct nominis. xi. quia necesse
fuit, cum fit fiemt uocalts, d uoath vnapere, Zjin fe terminare. quæ. x, nou\ ffimcd
LATINIS afjumptaypofi omnes ponitur litteras, qbus, LATINA dichones egent
p autem ab. i, incipit eius nomen, ofhmdit eti, am SERGIO in commento quod scripfitm
DONATO kisuer bis. Sunt, VII semivocales, qu<e ita
proferuntur, ut inchoent ab. e, littera, et definant innatur ale sonum,
ut f l. m-n. r. s. x- Sed. x, ab. i, inchoat. \d > etiam Eutropius
confirmat dicens. Una duplex. x, quæ ideo ab.i,m cipit, quia apud græcos
in eandem definit. Mutæ autem d fiincipientes, Z^m-e, uoculem definentes ^x
cæptis. K^t. quarum alteram a, altera in. u finitur, fua confiant nomina. H, enim
aspirationis magis est nota. Figuræ acadunt quas videmus in singulis
litteris Tote jhs vero ipsa pronuciatio,
propter qua, et figura ZTiwia fiunt ficht . Quidam ena
a dunt ordinem fied efi pars pote
fiatis litterarum. Ex his uocules dicuntur, quæ
per fe noces perficiunt uel fi ne quibus uox litteralis profirn non pote fi,
unde et nomen hoc præcipue fibi defe dunt. Cæteræ enim quæ cum his proferuntur
confortantes appellantur. Sunt igitur voaules numero V: A E I O U utimur etia. y,
grgeorum cuufia nominum. Q onfonantiu aliæ fiunt fi mino cedes, aliæ mutat.
Semiuocales fint ut plerisp LATINORUM placuit fiptemfil- m n- r- s. x.
Sed-f. multis cfienditur modis muta mazis, de quatpofi docebimus Z, quoque
utimur ingruas dcthonibushæ ergo, hoc efi fi- miuo cules, quantum uincuntur d
uoculibus, tantum fi p erant mutas, ideo apud græcos quidem omnes dichones, uel
in uocules uel in fimi- t:ocUlcs, quæ fecundam habent euphoniam, defiment, quam
nos SONORITATEM onoritatem pofjimus dhere, APUD LATINOS autem, ex maxima parte,
no tamen omnes. Inveniuntur enim quædam etiam m mutas definetes. Semivocales
autem furit appellata, qua plenam vocem non habent f ut fetnideos et
femiuiros appellamus, non qui dimidiam partem habent deorum, vel uirorwmfed qui
pleni dij uel uiri non fmt Reliquæ funt muta, ut quibufdam u\detur, numero IX: B
C D G H K P R S T. Et fnrvt: W1 wn bene hoc nomen putant easaccapi[fy cumba
quoq; partes fintuoctsqui nefiunt,<p ad comparationem ue ne sonantiwmita
funt nominata, uelut informis dicitur mulier, non qua atret forma, sed qua
male est formata y et frigidum dia mus eumynon qui penitus expers efl atlons, sed
qm minimo hoc utitur. Sic igitur mutas, non qua omnino noce atrcnt fed qua
exiguam parte muods habent. Vocales autem APUUD LATINOS omnes fmt anapites, vel
LIQUIDA liquida hoc est qua fialemodo produci f modo corripi pojfunt, Sicut
etiam apud antiquiffimos erant gr acor uni ante muentionem quibus
inuentis. t, &o, qua ante anapites erant reman, ferunt perpetua
breues, aim earum produdhtrum loca poffcfft fint d fupradiths uoatlibus semper
longis. Sunt etiam in confonantibus lo ga, ut puta duplices. xy&.Zr Slrut
enim longa vocalesy ficha qucq; longam fidunt jy liabam. Sunt similiter in
confonantibus anapites vel liquida ut. L y &-r y qua modo longam modo
breuem pofl mutas pofita m eadem syllaba fidunt syllabam his quidam addunt
non irrationabiliter m, &my quia ipfe quoq; communes fidunt syllabas
pofl mutas pofita yquod diuerforu confirmatur aufhritate
tamgra eorum, q latinorum . ouidius in deamo
Metamorphofeos. Vifcofimq;
gnidon.gr auidamq, ; Amathunta
metallis. » Euripides
iit Vphoemffis . /Wr#i
tro c/t hoc pidjuov
tio'punr. In cifdem .
xxax ojuitrSot.Jdco hocmo cmtofeis
tihvov, apud gracos fnnenitur
tamen. myante.n,pofita nec producens
ante fe uoctilem
mo re mutarum -Callimachus rcofjutv o
juvturx pætos ialiud
habet nrec littera
femiuoctihs,nifi nominis prolatione,
epire duo(yili incipit.
Sed h.ec pote
flatem mutare Iit
ter re non
deluit, fi enim
effet femiuoculis yneaffario
terminalis nomlnu inucniretur
quodminime repencs.nec anted,
uel.r, m eadem
fyllaba poni poffet, qui
locus mutarum efr
duntaxat.nec communem ante
eafdem pofita faceret
fy liabam. Vofiremo
grrect (quibus in
omni dottrina auflvnbus
utimur) hic quoq; error
d quibus *= dam
antiquis græcor um
grammaticis inna fit
latinos, qui. fi
alia ideo littera
efl exifhmanda q>c,debet.gyqncq; cum
fimiliter pr reponitur. u, amittenti
uim litterre alia
putari y et aha
cum id non
facit rdicimus enim anguis
ficuti quis, O4
ruignr fi cuti
cur. v nde
fi uelimus cu,
ueritate contemplari(ut diximus )
non plus quam
decem &ofh litteras, in
latino farmene habemus,
hoc cflfadeam antiquas
gr re eorum
&.fy&.x,pefka additas
eas quoq; ab
eifdem famptas.nam y
y&.^grrecvrum afufia nominum
(ut fapra difhun
efl) afamimus.H, æro
affirationis efr nota y
et nihil
aliud o.tbct litterre
nifii fgurdm/j" q>
in uerfa firibitur
inter alia* litteras.Qjeod fi fa
faceret ut elementum
putaretur, nihilominus quo
rundam enam numerorum
figuræ, quia in uerfiu
inter alias litteras
feribuntur, quanuis eis d
familes fint, el ementa fiunt habenda
fadmis nime hoc
efi adhibend-ctn, nec
aliud aliquid ex
accidentibus pro f prutatem
oflendit Umufcuiufq; elementi,
quomodo potefh,qua .Uret
affirationeqenim uoaths nec
confotum ejfe poteflnoculi$
non e fi.
b^quia dfieuocem non
fit, nec fiemiuocuhs
cum mlla fyllaba
latinauel grceafper integras
dittioes in eamdefnat,
nec muta cum
n eadem fyllaba, cum
duabus mutis bis
ponitur, ut phthius,
Erichtho = tiius-nulla enim
fyllaba plus duabus
mutis poteftbabere iuxta
fe po fitts,nec
plus tribus confonantibus
continuare authritus quoq;
tam Varronis q
Macri, teflv Cenforino,ncc-K,necq,neq;.h, in
numro adhibet litterarum -Videntur tamen
i,gy-u,cum in conlonantes
tra fiunt quantum
ad pote flatem, quod
maxrmum efiin elementis, alite litterte
ejfe pr teter fifpradidkts -multum enm
inter efi utrum
uoctiles fint an
confonantes-ficut enm, qnanuis
in uaria figura,
g? uario fwmine
fint-K,gy.q,gj*-c, tamen quia
u/nam um halent
tam in metro
q in fono,
pro una littera
accipi debent, fle. i,
&-u, qnanuis unum
twmcn,g? unam habeant
figuram, tam uocules
q con^onan tes, tamen
quia diuerfum j'onum,gj*
dmerfim umhabent in
metris, g? in
pronuntiatione fy liabar
um, non fiunt
in ei fidem,
meo iudicio, (lententis
acapiendte-quanuis et Cenjbri/w
dothfjlmo artis grammaticæ
idem placuit. multa enim
cjl differentia inter
confortantes, ut diximus,
gruocttlcstantum enmflre interefi
inter uoculcs gj*
confionantes, quantum inter animas
g? corpora, anim.e enim
per fi mouentur,ut
philofophis uidetur,gj* corpora
monent, corpora uero nec
per fe fime
anima moneri poffunt, nec
animas monent, fid
ab il Its
moucntur. Vocales fi militer
g? per fi
mouentur, ad perficienda
fyllabam,g? confionantes mouent
fecum, confionantes uero fime
uoculu bus immobiles
fintEt-J, quidem modo pro fi
mp lici, modo pro duplici
accipitur confonante-pro fimplici,
quando ab eo
incipit syllaba in
principio dithonis pofita,
fiubfiquente uocztliin eadem
syllaba, ut luno Juppiter
. pro duplici
autem quando in
medio diflioms ab
eo incipit fyllaba
pofiuoatlcm ante fi
pofifom, fu fiquente
quoq; uocttli in
eadem fyUab a, ut maius, peius,
eius, in quo
loco antiqui folebant
geminare eandem-i,l\tteram,gT maijus,peijus,eijus feribere,quod
non aliter prominctari
poffet quam fi
cum fitperiore syllaba
prior I,cum fiquente
altera proferretur, ut
peijus,cijus,tnaijus, gy duo. ij,
pro duabus conjonantibus
accipiebant. nam quantusT,fit confonans
incadcm syllaba geminatninngi
non poffet. ergo
non aliter quam
tellus, mannus proferri
debuit. unde Pompeiij quoque
genitiuum per tria-i,
antiqui feribeb aut, quorum duo
fiperioraloco confonatium accipiebant
jit fi diats
Pompeiij, nam tribus
ili, iunchs qua^
lis poffet fyllaba
pronuntiari ? nam
poftremum -l, pro uocttli
efi atcipienc lum .
quod Ci ^vuorotv
Fouiv.Ep enim h exametr u/m
heroicum, apud latinas quoq;
hoc idem-u,inuenitur pro
nihilo inmtris,& maximo
apud uetufb.fpmos comicorum, ut
Terentius in Andria M
sine muidia laudem
inuenias,Et amicos pares. eft.niamicum trimetrii, quod nifi,pne
mui,pro tribracho accipiatur, fhtre uerfus
non potejl.jciendu tamen
q> hcc ipptm Æoles quidem, ubiq;
loco ajpirationis ponebant
effligentes ffnritus affcritatem.nos dutmmultis
qui dem,non tamen
m omnibus illos
faquimur, ut cum
dicimus ueffera, uis,uejhs. hiatus quoq ;
atupt plebant illi mterponer e -F, digama, quod ojhndunt
et Poetæ Æolidæ
up,AlcmanxsH X" yocrrJ
pn Mio/
et 'Epigrammata, qu£ egmctleg
m tripode uetujhfprrw
Apollinis qui pat
in Xerolopho Byzatq pc pripta/nyoan fubiungi^nde
Æoles loco(ut diximus) afpirationis digamma
ponentes in dictionibus
ab -p Rapientibus j olent loco
digam ma-B fcnbere /ududntes debere
præponi diyrtmma qua.fi
uoathfeA rurfis quafi
confonanti digamma in
eadem fyllaba preepenere
re cu j, 'antes,comutxoant
id in-Bfiparcop fcpo Condicentes Sed
apud grte cos hxc
littera /idzji,p -multis modu fungitur
loco uoculif,ut in
decli natione nondnum
in,pcc,& in a
puram dcfmentum,qut luxus
pro w i os,
et publicus pro
TouvMHor, trismphus pro
dpfocyfros, gubernator pro
HvfitpvSx rnr, gobius
pro inofcio, Cære
*Vj' toJ %oupi
puniceus c. quduis
m trilus folis
mueniantur nominibus quæpoffint
declinari,hoc idem firuant,ut
caput rapitis, &ab
eo copojita, Ut
finciput fi 'napitis,
occiput occipitis, alec alecis, lac
l albis, in quoetia t. additur quare quibufdam
non irrationabiliter nominatum
hoc lath prolatus
inuenitur. Reliquæ uero cojonantes
mutantur, uel ab ij cimtur-d-ut
aliquid alicuius an. ut
templum, templi, peliumpelij-f
Ut magnus magni-x-rex
regis, nix niuis-ln uerborum
qucqipræte *= ritis p er fettis
jolent omnes modo
mutari modo manere,
cxcæptis-L p.fx Mæ
enim nunq mutantur, ut
habeohabui, iubeo iuffi,compefco compefcHi,dico dixi, afcendo
a fiendi, lædo Ufi, lego legi,
pingo pinxi, demo dempfi, pr
emo presfi, moneo monui, fi
no fui, nequeo
nequi ui, torqueo tor fi, differo differui,uro uffi,uertouertiftedv flexi. \llæ
au tem quattuor
ut fiupra diximus
nuquam mutantur, mpræterito
per fiflv.l. ut cælo cælaui,doleo
dolui,uolo uolui, mollio molhui.p .turpo turpaui,ftupeoftupui,fadpo fiulpfi,
lippio lippiui.fiquaffo quaffik
ui, cenfio cenfiti-arcefjo arceffim-x-nexo nexui. Voatles quoqiin eifde
præteritis perfiflis quæm
principalibus fy liabis mueniwntur
uerborum, modo ex correptis
producuntur, modo mutantur in
alias uo cales, modo manent
eæde-Troducuntur plemnq omnes,
ut fiiueo fani,
ctiueo cdui, fedeo
sedi, /ego' legi,uideo
nidi, moueo mom, fbueo
fo ui, fugio fugi .
Mutantur. a, &. e-a. quidem in. e. medo
produ&tm modo correptam.Vrodu(fhim,uta^p egi
capio cepi facio
faa.fi ango fregi. correpta, tango tetigi, cado
cecidi, parco peperci . E. uero
tranfitm.i.ut eo m,ueUij.Solinus in colledhtneis
uel polyhijhre. Tatius
in arce ubi
nuc ædes efl
xunonis Monetæ, qui
anno qntv q
mgrefptsurbem fuerat a
lauretibus inter e
p tus efl,/eptima
&uiqvffinia olmpiade hominem
exiuit.Qjteo quiui uel
quij. Hæc eadem uoculis
penultima muerbis fi
eundæ coniu^tiois fepe
mutatur in-u.ut doceo
docuiynoneo monui, doleo
doluuquod fimiliter efl
quado in tertia
uel quarta coniuqntione
patitur aut rapio
rapui, aperio aperui
M.&.o>manet in principalibus
fy liabis pofitæ
immutabiles,tempo Yimquoq ; m
quibufdam.ut ruo rui,
domo domui, doceo docui.
Hoc queep olfirnandu
efl p mnq
in fupradifiv tempore
poteft qeminari m ]
i i! - n
VK UBER Wf M principio
ncq; in fine
fyllaba ni fi
qucedtmte incipit ut tondeo
totondi, pendeo uel
pendo pependi, difco
didici f pofcv
popofii, tundo tutudi, pedo
pepedi, iungy tetigi, c&do eradi,
atdo evadi, pello
pepuli, fxllofifilii^rodo prodidi,
nendo uendidi-ex quo
etiam ap* paret . f .
uvm magis mutce
obtinere d quaincipiens
eft geminata fyllaba- Santvmutem pofita
muenimtur duo uerba
epice qeminant fy liabam
m prcetvrito.jb ficti, fiondeo fiepondi
Antiquiffnni etiam, fcindo
fdadi dicebant,q> innior er
fddi dx erunt,
ut mpr&terit* perfitfv
uerbi ofiendemus nec fine
ratione • 9. ante
mutam pofita vnuemtur
qvminatum uerbum, c/m samittit
unn fiiamplcnmcp, fic
pofita ante mutam,
wndenec in fecunda
fyllaba repetiturM -quocf ge minatur,
mordeo momordi, quee
loco nuttee in
multis fungitur, nam
ante-n pofitx communem
fiat fyllabam, ut r
amnes ramnetis, fieut
Cremes Cremetislamlicti enim
fiunt quee fic
declinantur, quod Callimachi
quoque au thr
itato con fi r
ma tu r
in A ct ijs,ficu t
i am t :f
radicium cfl hocucrfiu
7w; juiv o uvv ante-s
.pofita in finali
fyllaba nominis, more ma
tce interpofita i. fiat
genihuu hyems hycmls,ucl
uti inops inopis, eoe
leis ccehbis- Apparet igitur, imuicvm pro fe pofitee
inucniim tur,ut breucs,CT
longce quee habent
afiirationem, et quee atrent
ea A lice autem per coiuqationem,
uel cognationem cognatee littorce, 0*jg
feinuicem pofitee, ut. b.p.f.necnon-g
&-c-cim afiiratione fiue
fine ea-x»quoq; duplex,
fitnilitor-d.&.t. cum
afiiratione uel fine
ea, et cum his-z-duplcs-unde fiepe-d
feribentos latini hanc
exprimunt fi no, ut
medidics,hcdie, antiqui (fimi
qucq;Medentius dicebant, pro tnt
fentius. Qjxinenam fifimplexhabet aliquam cum fipr adi flis cognationem,
unde fiepe pro-z-eam folemus geminatam ponere, ut patrifjo pro
-jri{w pitiffo pro
tnaffil pro juoc(oc-&do, es
tj pro V . g
quoq; frut affines,
e. correpta fiue produdht
cum ei dipthongy,qHojr ehur,
robur, pro ehor
robor, et platanus pro
'TAocTx/or.A.quoq;
cwn-c.&.i-arceo g? coerceo. facio infido, nec, ion alue cum alqs.g? quia frequenter he m omnibus pene
litteris mutationes non
filum perafus,ucl tempora,
frd etiam per figurarum compofitxones, uel denuationes
gj* tranjlationes d
grreco in latinum
fieri filent, neceffarium
efi e arum
po nere exempla. A.
correpta conuertitur in
productam, faueofdui, In. e
. correptam parco peperci,
armatus mermis. I n e.
produ {ktm facio feci, apio
cepi producta quoque- a. im. e
.produ pleraq; nomina
qu^e cum uer^is
fiue partiapijs componuntur, uel nomiruttiui
mutant extremam fy liabam
in-i.cor reptam, ut arma
armipotens, homo homicida,
cornu cor niger, fivlla
fhlliger, arcus araten es fatum
fatidicus, nurum nunfrx, aiifa ctiufidicus
fadhts lucificus, cornu cornicen,
tuba tubicen, fidis
fidicvnfi^ des plurale, cuius ftngulare
fidis eft, unJe etiam
diminutiuum fidi = cula-tibia
tibicen, pro tibfan, tibia
enim, a-md-debuithmitare, ut
fit praditfhtm eft,unde pro
duabus- vj.breuibus una logafadla
ep\c[Uod in alia
huiufremodi compofihone non
muenies . uulnus uulm ficus,
magnus magnificus, amplus
amplificus, fruflas fruflificus,
opus opifrx uel
gemtna . ut uir
uiri, umpotens, par
paris parrict =da quod
uel a pari
componitur, uel ut
alij dicunt d
patre . ergo
fi efi d
pari-r-euphoni£ dufa additur,
find patre .tdn r. convertitur, quilufdam
tamen d parente
uidetur cffc compofitum,
g? pro JLIBER farentidda
per fyncopen, et commutationem -t.fn.r.fadbitn parn
eida frater fratris,fr
atruida foror for
oris, foror icida,
lux quoqj lu *
ets lucifer, flo; floris
florifer, fdcer facri
facnficus,ars artis artifix •
p aucti fwit quce
hanc non [eruant:
regiam, ut auceps,
anes atpiens0 mtnceps,mcnteatptus,municeps munera
cupiens, au^his augufius
[milia • &qute ex
duobus nominanuis componuntur, ut puta
tufiu randum,refpu.non
tnutant extremam fy liabam, fid ea cum defigu*
ris dicemus latius
traifhtbimus. O, aliquot Italia? ciuitates tefce
P linio, non habebant,
fed loco eius
ponebant. u . et maxime,
Vmbri, ojs bos. modo
pro . u .loga, ut
probus mus, modo
pro correpta to' pepv pa
purpura. In plerisfy
tamen £oles ficuti
hoc faarrns. I Ui
enim OQvycin? dicunt
pro Suyxrvp.oj.cor?/ M
»3 5) PRIMVS ripientes,Uel magif.v fino-u. jbliti pronuntiare,
ideoq; afcribunt e .
rwn ut dipbthongum
faciant ibifid ut fo iumu.
colicum ofiendanf Ut
Callimachus HX\hi%tafv %6oviF,ojpi'xs SouyxTup.
Qjsod nos fi
cuti u, modo correptam
modo productem halemus,
qua usis uidcatur-oJ -diphtkoYKg fanmi
habere . Pro .0, cpiocp.au, joletrt
frequenter ponere greeti
oj pos oj aos pro
5 poto hos, voj
iantemytero trimfiro feui.in.n,
ancus pro areus-S-in
metro apud uetufhffitrws yubn fiam
frequenter amittit . VIRGILIO (si
veda) in ENEIDE, Ponite fies
fibi quiscpidem in-xiu
^ inter fe
eoijjfe uirosymmmetur tibi
terebrum, mn - mittiturspinguis fangninis.
in . r. flos
floris, ius iuris,curfts
amiculus, «e/ curriculum -inx aiax
pro ausgr pi
flrix propiftris-in quo
fequimur dores.ilh enim o
pvtE pro
opvis. mdcujks cujbdis, pes
pedis,prafes pr a fidis, palus
paludis . in . t- nepos
nepotis, uirtus uirtutis,famnis famnitis .
in-u. condonantem bosbouts .
/ape pro afbiratione
ponitur m his
dictionibus quas d
gracis fump fimus, ut
/emis, fex,-feptem,fefal. nam
ijulv. eA/. t vtd . e
. «Ar
. rfjwd illos
aspirationem habent m
principio . adeo autem
cognatio ejl huic
littera idefi-s, cum
afbiratione }quoa pro ea
in quibufdam dicionibus
[olebant bceoti idefi
pro-s-h-fcnbere, nudi a.
pro mu fi, dicentes -huic-
s.prapcnitur-p. et loco. ‘b-grace fungitur, pro
qua claudius Cafar
antifigma X hac fiqaira
fcnbi noluit fed
nulli susfi funt antiquam
feripturam mutare, quamuis
non fine ratione
kacpuoq; duplex d graas
addita uideatur, nam
multo meliorem, et uclubiliorem fonitum
habet-^.qudm-ps.uelds-ha
tamen ideft.bs non
alias debent poni
pro ^ -hoc ep
in eadem fyllaba
coniunfla,mfi m fine
nominatiui, cuius gimtiuus m
bis definit, ut urbs
urbis, coelebs coelibis,araps arabis -Sicut
ergo-^. melius fonat
quam ps-uel.bs.fic . x-etiam
quam- gsuel.es -&-x- quidem
affump fimus -i- autem non • fed
quantum expeditior eft-^-qudm- ps. tantum ps-qudm
bsideoq ; twn irrationabiliter plerisqsloco
uidetur .^.ps -debere feribi, quod
de ordine litterarum
docentes plenius traChtb imus -xduplex modo
pro es.mvdo pro-gs. accipitur, ut apex
apicis, grex gr
e gps, tranfit
tamen etiam m-u-confonantem,ut nix
niuispiecmn in. 61. ut
nox no5hs, fu pellex fupellefUhsSedhac contra
regulam declinari nide ntur-fubit etiam-x. littera loco
aflpirationisfut uehouexi traho
traxi-x-uertitur in-f. ut
efficio effero. et /ciendum
cp quoticfuncp . ex prapositio,
Konitur compofita didonibus
duocahbus incipientibus,uel ab
peattuor confonantibus, hoc
eft.c -p.t.sintegra manet,
ut exaro, exeo, exigo,
exoleo, exuro, excutio,
expeto f extraho,
exe= quor,exfpes,in quo
uidenmr contra gracormn
facere conflatu = dinem-illi
enim. a . sequente nunquam præponunt, fcd-n pro
ea tuttK$ot!ri! . melius
ergo nos quoq;.
x . solam ponimus,
que locum obtinet,
es- cuius rationem nonfolum
ipfefonus auriu iudido
pof fit reddere,
fed etu hoc
f qemituiru s-Jifta
confonante a madente b
ij LIBER. minime potefl -geminari autem
indetur pofr confortantem -s-x* antecedente,qu£ loco-c.&.sfrinqjttcr fi
tyfia confequatuT,ut exfrquia
ex [e^uor -quod fi liceret,
licebat etiam pejt -bs, uel- ps. quas loco dupli
as acapnnus adderes, ut
dicer enm objfiffus, abjfichts, quod
minime licet -nunquam ennn
necs, riec aha conjonans
geminari potest, ut
diximus, alia antecedente confionante-nunc de
mutis dicrmus-B tranfit in
egit occurro fiuccnrro,m
f,ut
opfido,fifficto,fiffio,in-g,ut fuggro,
in-myut fivmmitto, globus glomus, in-p, ut fiuppo/io, nj-r, ut fitrnpio, ar
rtyio, ms,ut luleo iufp-nam
fiifdpio et fijluli d
fitfrum uel fiurfium
aduerbio compofiite fiunt,
wnde fiubtinnio et fihbcumlo
non mutauem runt-b-ins fijpicor quoque
fiffido d frufim
uel fiurfibm cvmponantur,
fed abqdum urnam
s -non enm didamus
fufjjnao fedfiujpU do,quia
non potejl duplicar
i conjonans alia
fu pquente conjonante,
quomodo nec antecedente,nifi fit
mutuante liquidam, ut fiupplex
ptf* fr agor
fi\\fifio,€ffiuo,efifirmts,fed
notam afeirationis, quam
gr æcorum antiqulffe.m
fimiliter ut latmi
in uerfe fer
ibebant, nunc autem diuiferunt, t dextram eius p
artem fefra litteram
p onente;, pfilen notam habent, quam
Remnius Palcerrwn exilem uocut.
Griliuis nero ad vir
gtium de
accentibus fcriben;, lenem nominat,
finijlram autem con *
trarix illi afpirationi; da fiam, quam Grillus
flatilem uocrtt-K-fef ertutata
eft,ut fefra diximus,
qu^e quatmis feribatur
nullam aliam uimhabet
quam- c. De-q- quoq ;
feffidenter fefra traflntum
efl, binos phthongosyhocefi,uoces comprehendunt. nam finqul d,
ut [ScPihv po ? bdellium genus
lapidis,abdir, aldomcnfmygdonides.C,
uero Zr-p, proponuntur fequcnte.t }ut a{htsylc£hisyaptusydiphthon gus.
Semiuoczths nulla proponitur
mutis nifi.s, fequete.b, ut
afbejhfs ajbufivs cfuelqyut fcutii
fquallor .p yut
[pes /phatra tjhtfusfihenni- us-Ante alum
autem nullam nuitur um.
Mutby magis fiuperio ns
ejl jyilaba:. cnyc nidus. dnyadnus ariadne.
gnygneusanyatna. pn, therapnefpnus. brybrennusyumbra.crycreber-drydrances.^rygratusfr,
frater- prfratum.trsracfhts. Ante.
mydutmuetiiutur-c.d.g.t* ut py r a
cmony
alcrneneydragmaydmoistadmetusyagmeytmolus, ifi mos.
T res aut
confio nates no
aliter pcjjimt iungi
in principio fiyllabce
nifii fit prima. syucl.cyuel py fecunda
pofi.syquidcm.cyuel.tyuel.p.
Tofit.ct aute aut- p,prma pales fiainda.tytertialHchrfd.lyin fiohs
illis quee ab.symapiunt.ut A fclepicdotus, fiyiba fitlopus fylendidus, fretus .
Ingratas etiam. debcthahere0 Utpfitacns, pfiudolus, ipje,mbo
quccp mp fi, scribo scnpfi
faciunt, quanuis analogia
per -b, cogat scribere,/edeuphonia
fuperat, qua etiam
nuptam non nubtam, et scriptum
non scribtum compellitper-p,non-b,dicere et scriberePROBI INSTITVTA ARTIVM. M R. PV. Vox
sive soDus est ær ictus,
id est percussus,
sensibilis auditu, quanlUDi
io ipso es(,
hoc est quam
diu resonat. nunc
omnis vox sive
sonus aul articulata
est aut confusa.
articulata esl, qua
homines locuntur et
5 lilteris conprehendi
potest, t puta
^scribe CICERONE (vedasi)', VIRGILIO
(vedasi) lege' et cetera
UHa. confusa vero
aut animalium aut
inanimalium est, quæ
litteris conprehendi non
potest. animalium est ut
puta equorum hinnitus,
rabies €3Dum, rugitus
ferarum, serpenlum sibiius,
avium cantus et
cetera talia; inaDimalium
autem est ut
puta cymbalorum tinnitus, flageilorum strepitus, uodarum pulsus,
ruinæ casus, fistulæ
auditus et cetera
talia. est et confusa vox
sive sonus homiiium,
quæ litteris conprehendi
non potest, ut
puta oris risus
vel sibilatus, pectoris
mugitus et cetera
talia. de voce
sive sono, quaDtum
ratio poscebat, tractavimus. Ars est unius cuiusque rei
scientia summa subtilitate adprehensa. Dam el
Græci aico TtjgciQSTijg,
a virlute, censebant
artem esse dicendam.
uDde et veleres
artem pro vlrtute
frequenter usurpant. nunc huius
artis, id est
grammalicæ, omnis dumtaxat Latinitas
ex duabus partibus
constat, hoc esl
ex analogia et anomaiia, et ideo utriusque parlis rationem sub20
iriiDus. Analogia est ratio
recta perseverans per
integram declinationis disciplioam,
ut puta hic
Catilina, hæc lupa,
hoc scrijnium et
cetera talia; $cilicet
(|uoniam hæc nomina
sic per omnes casus
secundum sua genera in
derlinalione perseverant, sic
uli est analogiæ
rccta declinationis disriplina. PROBI GRAMHATICI DB VIII
0RATI0NI8 MBMBRI8 ARS MINOR. DB
VOCE V Ci COdtParisinus incipit tractatosprobi granmatici
de uocb codex
Parisinus DE TocB fi:
cf. PrUeian. conl.
Prob. ed, Find.,
Pompei. ed, lixd. conl.
Prob. ed. f^ind.
4 omnis R
communis r ruditus corr, ragitus
R rndttus rv
serpentum R serpentium
rv scrioium rv scriptam
R analogiæ recta R
analogia recia r
analogia e recta
v. Anomalia est misrcns
vel inmutans aut
deficiens ratio per
declinationem. De miscente.
miscens anomaliæ per declinalionem ratio
esl ut puta ab
hoc altero, huic
aiteri; scilicet quoniam quæcumque nomina
ablativo casu numeri
singularis o littera
terminanlur, hæc secundum
analogiæ rectam rationis
disciplinam dativo casu numeri singularis o iittera definiun- tur. item
ab hac mula, his et ab his mulabus; scilicet quoniam quæcum- que nomina
ablalivo casu nueri singularis a littera terminantur, hæc secundum analogiæ rectam
ralionis disciplinam dativo
et ablativo casu
numeri pluralis is
litteris definiuntur. item ab
hoc iugero, horum
iugerum; scilicet quoniam
quæcumque nomina ablativo
casu numeri singularis
o liitera terminantur,
hæc secundum analogiæ
rectam ralionis disciplinam
genetivo casu numeri
pluralis orum litteris
definiuntur. sic et cetera
talia, quæ contra anaiogiæ
rectam rationis^disciplinam miscent
per casus declinatiouuro formas,
anomala sunt appellanda.
De inmutante. inmutans
anomaliæ per declinationem
est ratio, ut
puta hic luppiter,
huius lovis.' sic
et cetera talia,
quæ conlra analoglæ
rectam rationis discipfinam
inmutant per casus
declinalionum formas, anomala
sunl appeilanda. De
deficienle. deficiens anomaliæ
per declinalionem est
ratio, ut puta hoc nefas et cetera
(alla; scilicet quoniam
hæc contra analogiæ rectam rationis
disciplinam non per
omnes casus in
declinatione perseveranSic iam
et per ceteras partes orationis
analogia vel anomalia comsideranda est,
hoc est ut, quæcumque pars
oralionis neque miscet
neque inmutat aut
deficil per deciinalionis
disciplinam, ad analogiam
pertineat, quæ vero miscet
vel inmutat aut
deficit per declinationis
discipllnam, anomala sit
appellanda. nunc etiam
hoc monemus, quod
analogia maximam partem oralionis contineat, anomalia
vero aliqnam. de anomalia
et analogia, quantum
ratio poscebat, tractavimus. Liltera est
elementum vocis articulatæ.
eleroen{|tum autem est
unius cuiusqi.ie rei initium,
a quo sumitur incrementum
et in quod
resolvltur. accidit uni cuique
lilteræ nomen figura
polestas. nomen lilteræ
est quo appellatur.
sane nomen unius
cuiusque litteræ omnes
artis latores, præcipuequc
Varro, neutro genere
appellari iudicaverunt et
aptote decllnari iusserunt.
aploton est autem,
quando nomen per
omnes casus uno
schemate declinatur, ut puta
hoc a, huius a, huic a, hoc a, o a,
ab hoc a. sic
et ceterarum lillerarum
nomina genere neulro
aptote et numero
tantu esi inmiscens liv neqne
inmiscd Rv sit] sunt
Rv orationis o rationis
R in quod v et Diomedes in quo R p. 1U. R. V. siflgulari
declinanda suBt. figura
litteræ est qua
notatur et qua
scribitur. polestas litteræ est
qua valet, hoc
est qua sonat.
nunc omnes Latinæ
litteræ dumtaxat sunt
numero XXIII. hæ
nominantur Tocales semivocales
el mutæ. sed
semivocales et mutæ
appellantur consonantes. sane
qnærilor, qua de
causa semivocales et mutæ consonantes
appellanlur. hac de et causa,
quoniam coniunctis iliis
vocalibus sic nomina
earundem consonanl. sed
cum ad ipsas
litteras pervenerimus, iliic
quem ad modum
coniunctis illi.s Tocalibus
nomina earundem consonent
conpetenter tractabimus. Vocales
litteræ sunt numero
quinqu. hæ per se
proferuntur, hocio est ad vocabula
sua nuliius consonantium
egent societate, ut
puta a e i o u, et per
se syKabam facere
possunt, hoc esl ut
ipsæ inter se
tantum modo misceantur
et syilabæ sonus
efficialur, ut puta
ua ue oe
au ui ia et cetera
lalia. Iiarum, id est vocalium,
hæ duæ, i
et u, transeunt
in consonantium poteslatem
tunc, cum aut
ipsæ inter se
geminantur, ut luno
viator 15 rultus, vei quando cum aliis vocalibus iunguntur,
ut vates vecors
iam vos maiestas
maior et cetera
talia. nunc quæritur,
quando i vel
u litteræ loco
consonantissint positæ, vel
quando inter vocales accipi
debent quare hoc
monemus, ut tunc
i vel u
loco consonantis accipiantur,
quaudo præpositæ vocalibus
in syllaba scilicet sua
inveniuntur; quando vero
subiectæ, et ipsæ
vocales iudicenlur: ut
puta iu, utique
i nunc loco
consooaDtis et u
loco vocalis accipitur;
item ui, utiqueu
nunc loco consonantis
et I loco
II vocalis consideratur.
sic et iuxta vocales
alias, si i
vel u litteræ
in syitaba sua præponuntur, vim
consonantium habere iudicantur; si vero subiciuntur, vocalium loco
funguntur. Semi-vocales consonantium litteræ
sunt numero septem. hæ secundum
musicam rationem per se proferuntur,
hoc est ut ad vocabula
sua nullius vocalium
egeant societate, ut
f 1 m
n r s x. at vero
secundum metra Latina et
structurarum rationem subiectæ vocalibus nomina sua ao
elficiunt, ut ef el em
en er es
ex. sed per
se syllabam facere
non possunt, sciiicet
quoniam semivocales litteræ,
si inter se
misceantur, sonum syllabæ
facere non reperiuntur,
ut puta fl
ms rx ns;
et ideo, ut
diximus, per se
semivocales syllabam facere non possunt. ex his autem, id est ex
semi vacuæ R misceat r miscel corr. misceat R. R. 34V.sonum
contiDeaDt, necesse est
ut et in
ratione roetri vel
musicæ plus facultatis raUoGræca quam LATINA obtioeaL sed boc in metris
vel rousicis conpetenter traclabimUs. dudc et boc moDemus, quod pauci sciuDty
siquidero ood semper x littera duplex sit accipieuda; sed tUDC duplex accipieDda, quaudo subiecta
syllabam coDfirmat, ut puta dox et 6 Docs, lex et legs, felix et felics. et
celera talia, siquidem tuDc et soDum duaruffi litterarum coutiDeat.at vero
qqaDdo præposita syllabæ existat, noD duplex sed simplex est accipicDda, ut
puta maximus auxius: Dumquiduam macsimus aut aocsius? Et cetera talia; et ideo,
ut diximus, quotieos X [[ littera præpositasyllabæ existat, simplex est
supputaada, sciiicet loquoDiaro cs et gs litteræ geroinatæ, si vocalibus præpooaDtur,
numquam sonum syllabæ suscitabuDt de litteris, quaoluro ratio poscebat,
tractafimus. Etiaro de syllabis, quouiaro dod brevis ratio est, ideo alio loco
cod- i6 petenter cum roetris tractabimus. Partes orationis sunt VIII:
nomen, pronomen, participium, adverbium, coniuctio, præpositio, interiectio, et
verbum. Grice: “Italians speak of ‘parola’ easier than they
analise it. I play with ‘word’ and ‘sentence’. ‘Sentence’ of course comes from
Cicero, ‘sententia.’ I admit that it may not be possible to provide a formula
‘Expression means …’ unless you specify the ‘syntactic type’ to which E
belongs. I tried for adjectival ‘shaggy’. And even there I got into problems
with the idea of a correlation, where the utterer is asked to provide a
correlation of the type he has just provided!” -- Grice: “La voce e la parola”.
Nicola
Chiaromonte. Keywords: parola, parabola, Donatus, Priscianus, definizione di
voce, vox, verbum, word, Grice on ‘word’ – Corleo on ‘parola’ --. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Chiaromonte” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Chiavacci: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale poetica di Gentile – scuola di Foiano della Chiana –
filosofia aretina – filosofia toscana. filosofia italiana – Luigi Speranza, pwl
Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Foiano
della Chiana). Filosofo aretino. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Foiano della Chiana, Arezzo, Toscana. Grice: “Chiavacci is a good one; Italians tend to identify him with
Miichelstaedter, but surely there is more to Chiavacci than an exegesis of
Michelstaedter (especially to refute Gentile’s) – my favourite tracts are
three: his ‘critique of poetical reason’ – a critique we were lacking! --, his
little treatise on ‘man’ – and his ‘reality’ and not appearance, as Bradley
would have it, but ‘illusion,’ which is related to Latin ‘ludus,’ game – His
‘philosophical studies’ cap it all!” Partecipe della stagione
neoidealista italiana, fu tra i più innovativi interpreti ed eredi
dell'attualismo gentiliano. Riceve l'istruzione primaria a Cortona, e quella
secondaria nel liceo di Iesi. Frequenta la facoltà di lettere del Regio
Istituto di Studi Superiori a Firenze, dove fu allievo di Mazzoni, e conobbe
tra gli altri il poeta filosofo Michelstaedter, di cui divenne grande amico,
insieme ad Arangio-Ruiz, Cecchi, De Robertis, Lamanna, Facibeni. Si laureò con
una tesi sul Decameron di Boccaccio, e l'anno seguente ottenne una cattedra di
insegnamento per il ginnasio inferiore.
Con l'entrata dell'Italia nella prima guerra mondiale, C. combatté al
fronte come capitano di artiglieria. Tornato all'insegnamento, nell'immediato
dopoguerra vinse una cattedra per il ginnasio superiore, e iniziò nel contempo
a frequentare la facoltà di filosofia a Roma, dove incontrò Gentile, col quale
si laureò con una tesi su Antonio Rosmini.
Comincia a insegnare filosofia nei licei, e due anni dopo fu promosso a
preside di varie scuole, tra cui Siena dove nacque suo figlio Enrico. Divenne
professore universitario di pedagogia alla Scuola normale di Pisa, e insegnò
filosofia teoretica a Firenze, anche la cattedra di estetica. Entra a far parte dell'Accademia Roveretana
degli Agiati. Gli verranno quindi elargiti diversi altri titoli accademici e riconoscimenti,
come la medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte.
L'idealismo: tra Gentile e Michelstädter «Se mi domando che cosa debba al
pensiero filosofico di Gentile, quale mi sembri essere il nucleo più vitale
della sua dottrina, non trovo, a voler tutto restringere in una parola,
risposta più esatta di questa: la dottrina dell'atto puro. C., L'eredità di
Gentile, in «Giornale di metafisica». La filosofia di C. si muove tra
l'idealismo attuale di Gentile da un lato, e l'anti-dialettica esistenziale di
Michelstaedter dall'altro, conciliati in un'ottica spiritualista
cristiana. Dell'attualismo gentiliano
egli intende rivalutare la portata atemporale dell'atto puro dello Spirito, a
cui riconosce piena realtà, a differenza dell'attualità concepita come un
presente situato storicamente tra un passato e un futuro illusori. Riappropriandosi al contempo del criterio
della persuasione di Michelstädter, Chiavacci ritiene che non si debba a sua
volta fare dell'atto una teoria, una filosofia panlogista staccata dalla vita e
dal suo stesso attuarsi, «perché deve essere essa la vita». Gentile ha avuto il merito di elaborare una
filosofia anti-intellettualistica che non si esaurisce nel concetto, ma è
autoconcetto, mostrando come il mondo consista nell'autocoscienza dell'atto
pensante, in cui vi è «assoluto possesso, realtà attuale immanente al suo
farsi». Egli tuttavia non avrebbe compreso appieno le conseguenze di questo
attuarsi dell'atto, e sarebbe rimasto a sua volta dentro un "concetto"
dell'autoconcetto, cioè in una forma di mediazione logica, di costruzione
intellettuale, in un logo astratto che supera e smarrisce la «fonte della
verità». L'atto invece, per C., proprio
perché non può essere ridotto a fatto, cioè ad oggetto, è un atto «che sfugge
ad ogni metro di criterio preconcetto, e che, per comprenderlo, bisogna
rivivere dal di dentro». Tale
consapevolezza interiore che «il soggetto ha di sè senza oggettivarsi», è per
C. fondamentalmente un'intuizione, un sentimento, che permea la dialettica
dell'atto pensante articolata nel soggetto e nell'oggetto. Essa bensì è anche
un processo mediato, da cui risulta un logo "pensato" senza cui non
si avrebbe coscienza formante della sua stessa origine intuitiva, ma un pensato
che resterebbe vuota astrazione, «caput mortuum, se si distacca dalla sintesi
di cui vuol rendere conto, da quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e
sempre nuovo, e che è l'intuizione costitutiva dell'attualità dell'io e che
forse meglio si potrebbe dire sensus sui».
Essa è infine, negli esiti religiosi dell'ultimo C., essenzialmente
fede. Opere Tesi di laurea: La Commedia
nel Decamerone (Iesi, Fiori) Il valore morale nel Rosmini (Firenze, Vallecchi)
Illusione e realtà. Saggio di filosofia come educazione (Firenze, La Nuova
Italia), concepita come una traduzione in forma propositiva del tema della
«persuasione» che era stata esposta nell'opera di Michelstaedter in maniera
indiretta e non sistematica come contrapposizione alla «rettorica». Saggio
sulla natura dell'uomo (Firenze, Sansoni), dove il conflitto michelstädteriano
tra illusione e realtà diventa quello tra natura e ragione umana, superato
dalla dialettica dell'atto spirituale. La ragione poetica (Firenze, Sansoni),
divisa in due parti: Il momento dell'Indifferenza, che affronta il problema
della discordanza tra natura e intelletto, ovvero tra fatti e concetti, e tra
questi e valori; e Il momento della libertà, che assegna alla libera creatività
di una ragione non logica ma poetica il fondamento di quei valori, attraverso
le dimensioni dell'arte e della religione. C. ha inoltre curato l'edizione
delle Opere di Michelstaedter (Firenze, Sansoni), oltre a redigere, su
richiesta di Gentile, la voce "Michelstaedter" per l'Enciclopedia
Italiana. A lui si devono poi altri due
saggi sul Rosmini: Filosofia e religione
nella vita spirituale di A. Rosmini (Milano, Bocca), e La filosofia politica di
A. Rosmini (Milano, Bocca). Postume Quid est veritas? Saggi filosofici,
Leonardi, introduzione di Garin, Firenze, Olschki, Gentile-C.. Carteggio,
Simoncelli, Firenze, Le Lettere. Grita, C., su treccani. Antonio Russo, C.,
interprete di Michelstaedter, Trieste. Così C. ricorderà il suo primo incontro
con la figura di Gentile: «Leggendo per la prima volta la Teoria generale dello
spirito, ebbi un lampo di luce, pel quale intravidi la possibilità di
comprender la vita, di potervi trovare quel valore senza del quale ogni altra
cosa non ha pregio» (da una lettera di C. a Gentile, cit. in Gentile-C.:
Carteggio Simoncelli, Firenze). Scheda
su C. su agiati.org. Cit. anche in G.
C., Quid est veritas? Saggi filosofici, C. Leonardi, Olschki. C., Il pensiero
di Michelstaedter, articolo sul «Giornale critico della filosofia italiana».
C., Il centro della speculazione gentiliana: l'attualità dell'atto, in
«Giornale critico della filosofia italiana», C., Il centro della speculazione
gentiliana: l'attualità dell'atto, C., Quid est veritas? Saggi filosofici, C.
Leonardi, Olschki, C., Quid est veritas? Saggi filosofici, Russo, C. interprete
di Michelstaedter. Eugenio Garin, Introduzione a G. Chiavacci, Quid est
veritas? Saggi filosofici, Russo, C. interprete di Michelstaedter, C. su
sapere. Gaetano Chiavacci,
Michelstaedter in «Enciclopedia Italiana», Roma.Bontadini, Dall'attualismo al
problematicismo, Brescia, La Scuola, Guzzo, C. la "Ragione poetica",
in «Giornale di metafisica», Francesco Valentini, Recenti studi
sull'attualismo, in «Rassegna di filosofia»,
Antonio Testa, Michelstaedter e i suoi critici, in «Rassegna di
Filosofia», Gianfranco Morra, La scuola gentiliana e l'eredità dell'attualismo,
in «Teoresi», Vito A. Bellezza, Gentile e l'attualismo nell'ultimo ventennio,
in «Cultura e Scuola», Dario Faucci, L'«attualismo» di C., in «Filosofia»,
Negri, Gentile: sviluppi e incidenza dell'attualismo, Firenze, La Nuova Italia,
Antonio Russo, C. interprete di Michelstaedter, Campailla, in La via della persuasione. Carlo
Michelstaedter un secolo dopo, Venezia, Marsilio, Attualismo (filosofia)
Gentile Idealismo italiano Michelstaedter La Persuasione e la Rettorica C. C., in Dizionario biografico degli
italiani. L’encomiabile Bibliografia
michelstaedteriana1, regolarmente aggiornata, che appare sul sito della
Biblioteca statale isontina, ha
ormai assunto dimensioni più che
ragguardevolie, nell’ultimo anno,
per via del
centesimo anniversario della
sua morte, essa
si è di
molto arricchita. Sembra, quindi,
cosa ardua dire qualcosa di nuovo su Michelstaedter. Un’ulteriore problema,
poi, che presenta lo studio della sua opera, sorge allorché si tien conto che con il giovane pensatore goriziano ci
troviamo di fronte ad un intellettuale
anomalo, del tutto sconosciuto in vita e scomparso in un’età in cui di
solito gli altri muovono i primi passi
nella vita pubblica. La stessa sua opera principale, La persuasione e la
rettorica, era destinata ad essere la sua tesi di laurea ed è stata data alle stampe postuma; sicché
il riconoscimento tardivo e la fortuna,
non solo nell’ambito del panorama culturale italiano, ma anche di carattere internazionale, che essa
ha avuto, sono in gran parte dovuti alla devota
sollecitudine di un pugno di amici, cui si deve la sua pubblicazione e
quella degli altri scritti di
Michelstaedter. A loro si deve, infatti, dopo la sua scomparsa prematura, il
merito di aver sottratto alla morte la
sua memoria3 Tra di essi, e sono soprattutto i nomi che contano nella
ristrettissima cerchia degli amici
fiorentini, spiccano Arangio–Ruiz e
C.. Il lavoro paziente e
meticoloso del secondo, in particolare, per rendere accessibile la conoscenza
degli scritti di Michelstaedter, con la sua edizione delle Opere
(Firenze, Sansoni), “costituisce una
pietra miliare nella vicenda storico-culturale
e storico-critica del filosofo goriziano. L’edizione Sansoni di C. è
all’origine del lavorio critico e interpretativo che è seguito negli ultimi trent’anni e che
non accenna ormai a declinare” In uno
studio su Michelstedater,
non si può
allora perdere di
vista questa verità;
e, soprattutto non si può non
tenerne conto. Occorre, allora, affrontare il compito di chiarire il senso e i termini della ricostruzione del suo
pensiero proposti da C.e da Ruiz. E
parlare dei due fraterni amici di Michelstaedter significa non poter passare
sotto silenzio un autore,
Gentile, le cui suggestioni sono
penetrate per canali
vari e hanno
raggiunto un’egemonia ancora non del tutto esaurita nella cultura italiana. Non a caso, con aderenza
più o meno piena, da lui hanno preso le mosse molti autori che poi hanno svolto idee originali e autonome, accentuando,
ripensando o rivedendo l’uno o l’altro aspetto della sua
filosofia. Nella sterminata
letteratura critica che gravita sull’attualismo, i due filosofi fiorentini compaiono, sia pure con caratteristiche proprie che li
distinguono dall’uno e dall’altro indirizzo d’interpretazione, come “notevoli
esponenti” della sinistra (Ruiz) o della destra gentiliana (C.) Tuttavia, il
loro lungo e travagliato svolgimento dell’eredità neo-idealistica, sia
pure ripensata in novitate spiritus,
perloppiù non è stato mai messo a fuoco con efficacia e nei suoi risvolti più significativi ed è stato
oggetto solo di qualche timida e stentata paginaNon deve perciò apparire strano
che su questi problemi e su questi autori, e in particolare sulla loro collocazione speculativa
nell’ambito del panorama attualistico, si torni ad insistere: essi esordirono come attualisti; poi,
seguirono e amarono Gentile ; non persero mai di vista l’approfondimento del
suo pensiero e
si riconobbero in
esso nell’arco di
alcuni decenni, giungendo
ad un suo
“sincero ripensamento”. Una
lettera di dedica a Gentile
(che apre La ragione
poetica, Firenze, Sansoni), mette
ampiamente in evidenza l’effetto che provoca su C. la lettura della Teoria generale dello spirito
come atto puro :”ebbi un lampo di luce, pel quale intravidi la possibilità di comprendere la
vita, di potervi trovare quel valore, senza del quale ogni altra cosa non ha pregio. A questi dati
se ne potrebbero aggiungere molti altri. Qui, tuttavia, per ragioni di tempo e di
spazio, occorre prescindere da una approfondita analisi delle rispettive
biografie teoretiche e del contesto. E,
poi, per lo stesso motivo, si rende necessaria una ulteriore limitazione del discorso al solo rapporto C.-Michelstaedter-Gentile,
anche perché Ruiz non ha
lasciato un grosso volume sistematico,
ma solo volumi di saggi;
e quanto a Conoscenza e
moralità, che già subito non lo appagava più egli stesso
lo considera un saggio, non un
trattato; e, poi, egli è non tanto un filosofo sistematico (come H. P. Grice),
quanto un fine e colto letterato, un
autore di prosa morale o di polemica anti-ntellettualistica o di
discussione su problemi di estetica e di critica d’arte
Infine, tutta la sua opera è
pervasa sin dai suoi momenti iniziali da una polemica coi suoi
più vicini maestri: CROCE (si veda) e Gentile; invece, le posizioni speculative
di C. presentano tratti più sistematici, rientrano nel grande alveo dei
motivi tipicamente attualistici e culminano con maggior consapevolezza ed esiti
più cospicui in un tentativo di
rielaborazione, di compiuta espressione dell’idealismo. Qui,
come termine di
riferimento e di confronto, occorre
prendere in considerazione l’insegnamento di Gentile negli anni in cui
la sua attività didattica e scientifica trovò il suo più maturo affermarsi, a partire a Roma.
Sono, infatti, gli anni in cui si pongono le
basi di un fitto tessuto di relazioni
che interviene a connettere
C. a Gentile, in un rapporto che
diventerà sempre di
più assiduo, “amichevole
e confidente”. La
prima domanda da porsi, per
sgomberare il terreno
da equivoci, è di sapere, attraverso l’analisi
puntuale dei principali documenti letterari, quali furono il consenso e
i punti di dissenso. Ma vediamo i termini del discorso, senza perdere il
contatto con i testi. Gentile si
occupa ripetutamente di Michelstaedter. Su sollecitazione di
C., che si era iscritto in Filosofia, a Roma dopo averne letto i testi e
ascoltato le lezioni, interviene presso Vallecchi, una delle sue
cittadelle editoriali, per caldeggiare
l’edizione de LA PERSUASIONE E LA RETTORICA data effettivamente alle stampe; in lettera a C.)
chiede allo stesso C. di
redigere per l’enciclopedia Italiana
la voce Michelstaedter di 10
linee, e qualche giorno dopo decide di elevare lo spazio per la stessa
voce a 30 righe. Poi, recensisce l’opera di Michelstaedter data alle stampe per
i tipi della Vallecchi. Nel farlo, tributa innanzitutto elogi
all’iniziativa ad opera
di un fido
gruppo di amici di
Michelstaedter; rileva
subito dopo che si
tratta di uno scritto giovanile in
cui non c’è un approfondimento metodico degli argomenti
trattati, e né un loro sviluppo
sistematico. Infine, prende in considerazione “il problema dell’opposizione tra la persuasione vera,
che corrisponde al possesso della vita,
e la falsa persuasione, scopo della rettorica”.
Per Gentile, in Michelstaedter
la persuasione serve ad indicare il fatto che il “possesso della realtà e della verità...non cerca
vanamente fuori di sé il suo mondo”, ma è caratteristica della sufficienza,
dell’autarchia, come dissero i greci. La persuasione del vero sapere, come lo intuì e lo volle Socrate, tranquillo,
sereno, saldo sul punto che è il centro del suo mondo: nel suo animo”. Di contro, la rettorica è
espressione dell’individualità illusoria, inganna e s’inganna, è superficiale, prende il posto
del vero sapere, si prende “gioco dell’uomo, gli fa credere di vivere in mezzo ai piaceri; la rettorica uccide
la vita, irretisce l’uomo
“nella vana teoria
dei concetti, sdoppia il sapere
e la vita,
oppone alle cose direttamente
affermate il pensiero che afferma le cose” e così mostra
“l’insufficienza delle cose che hanno
nella persona il loro correlato e l’insufficienza della persona, che ha
nelle cose il suo termine integrante. Tuttavia, per
Gentile, anche se
il Michelstaedter sceglie
giustamente a suo
bersaglio la rettorica, alla quale dedica gran parte delle proprie forze
speculative e del proprio lavoro di
tesi, non ha né tempo né animo per considerare direttamente e con pari studio
la persuasione. Sono accenni qua e
là, e qualche spunto del suo pensiero
positivo si può scorgere nelle Appendici e, più precisamente, ne Il prediletto punto
d’appoggio della dialettica socratica. La persuasione, è vero, dice Gentile,
viene definita come caratteristica di chi permane. L’unica via di chi permane è
la sua forza; la forza di non asservirsi al futuro, e tenere raccolta nel presente la propria vita.
Ma qui si ha a che fare con una immagine
poetica, non con un concetto filosoficamente dimostrato; permangono
perciò interrogativi sul cos’è la vita,
questo permanere, ecc. Il merito indiscusso di Michelstaedter, il suo
guadagno speculativo più
cospicuo, secondo Gentile, consiste nel mettere in rilievo un universale
aspetto di verità, che consiste nel
fatto che l’uomo “rientra in
se stesso, liberandosi
della rettorica e gettando la
salda ancora della vita nel porto della persuasione”. Quali furono le reazioni di C. a questo
giudizio di Gentile Uno sguardo da
vicino all’elenco dei suoi
scritti e una loro attenta analisi consente di accertare che la sua personalità speculativa,
ma anche quella
di Ruiz, nasce dall’incontro con Michelsteadter, cioè “da un
humus fortemente sentimentale”, e il suo
“culto” per l’amico comune “restò
fino all’ultimo sempre vivo. Entrambi gli
autori, poi, pur se procedono con
diversa, e non certo marginale, fisionomia sistematica e speculativa, fanno proprie le istanze teoretiche
gentiliane centrali e le affrontano sotto le suggestioni di Michelstaedter, nel
tentativo di riguadagnare, come
nel caso di C.,
l’essenza dell’attualismo e
così di offrire
un contributo, perfettamente consentaneo, alla sua
più compiuta espressione.
L’intero percorso speculativo di C., ad esempio, manifesta fino in fondo la
fedeltà a conservare queste istanze,
comunque egli si muova, quali che siano gli andarivieni del suo pensiero. In particolare, egli dà
alle stampe nella “Rivista di cultura”, di cui Gentile è membro del
comitato di redazione, un testo intitolato Le due nature. In esso, egli affronta il
problema del rapporto tra finito
e infinito, sostenendo che “l’infinito
ideale non può realizzarsi come
immanente al finito, ma come immanente alla negazione del finito. Il testo viene pubblicato con una postilla dello
stesso Gentile, in cui il filosofo siciliano lo invita a non insistere tanto sulle differenze tra le
sue posizioni e quelle dell’attualismo e, soprattutto, ad approfondire meglio gli aspetti relativi al ruolo della “negatività nella dialettica propria dell’idealismo”, con particolare riferimento
al tema dell’attuosità dell’atto, della negazione in cui si deve cogliere una attività che passa e
supera il limite che si è posto e si afferma nella “sua libertà da ogni limite”, come valore o
realtà infinita, laddove il finito non rinvia ad una trascendenza, ma è il “campo nel quale si
celebra e trionfa la potenza dello spirito nella sua concretezza”.
Dopo questo intervento,
due anni dopo,
e sulla scia
evidente delle sollecitazioni di
Gentile, nel Giornale
critico della filosofia
italiana, la rivista fondata e diretta dallo stesso
Gentile, C. dà alle stampe un corposo articolo su Michelstaedter in cui cerca di mostrare, rispondendo ai rilievi
critici del suo maestro siciliano, che il pensiero di Michelstaedter non
è riconducibile ad una
realtà negativa, ma è la
positività dell’atto negante, in
quanto vero atto, cioè vita; esso non è “pura negatività”, e tutta la sua
novità consiste nel fatto che il positivo di Michelstaedter è l’attività
che crea se stessa dal nulla” e perciò
è senza condizioni o, in termini gentiliani, “libertà senza limiti”. Tutto il testo
di C. è una serrata, e pacata,
replica e a Gentile, in cui
si pone il problema di
precisare e difendere
le giuste esigenze,
quasi come una
esplicitazione in positivo del pensiero di Michelstaedter e in
particolare come una prosecuzione della sua tesi sulla
persuasione e la retorica.Già
il titolo dell’articolo
di C. è una
risposta a Gentile, che negava al Michelstaedter
l’esistenza di una vera e propria dottrina filosofica, di un
approfondimento metodico e di
uno sviluppo sistematico
e parlava piuttosto
di personalità filosofica. Per
C., invece, Michelstaedter non parla direttamente della persuasione, ma
non per questo è giusto dire che ne dia
pochi cenni della persuasione si parla in tutto il saggio, perché essa
è il criterio della lotta contro la rettorica”. Egli non ne fa la
teoria, come non fa la teoria del
positivo della PERSUASIONE, così si rifuta di considerarne il risultato, come
un fatto staccato dal processo”. Il
criterio che Michelstaedter usa non è una nuova teoria accanto a tante altre teorie che si sono avute nel
corso della storia del pensiero, ma “è Michelstaedter stesso vivente. Filosofia non sistematica,
perché ogni sua affermazione è il sistema, e il suo organismo vivo che non può contraddirsi”; e
perciò la definizione della persuasione risulta
“da tutto il saggio”. Una tale filosofia, nel nucleo essenziale del suo pensiero,
è l’attività vera, la vita, non ha
fuori di sé la vita “perché deve essere essa la vita. La via della
persuasione è se stessa e non ha un fine
fuori di sé. Essa intanto è la vita dell’infinito nell’individuo finito, è la vera vita del finito: è processo, vita. Michelstaedter non è un mistico; il suo
ideale non è un qualcosa di trascendente, “ma è la realtà
stessa più profonda
del soggetto; quel
che egli nega
del particolare “è
insieme affermazione, come
dice l’idealismo”: si
nega la particolarità del
particolare, nella sua
[C., Michelstaedter, Giornale critico della filosofia italiana, pretesa immediata, quel che si afferma è quel che implicitamente è in lui di
universale, senza di che non puo neppure
esser particolare: è lo sviluppo della sua parte migliore che dormiva. Quel che di lui perisce era quel che
non valeva, che non era mai stato reale: quel che del particolare ci deve premere, la sua aspirazione all’universalità, quella non perisce, ma s’invera. E’ in fondo quel che dice Gentile
stesso quando parla dell’immortalità”. Questo
particolare, questo esserci del mondo come particolare, come finito, non
è possibile senza “la richiesta
dell’universale”, è “il campo in cui lo spirito si celebra e trionfa è
il lampo che rompe la nebbia; è
sviluppo spirituale, mondo come fare non come è dato. La convergenza delle due
posizioni, e su punti e aspetti decisivi della vulgata attualistica, diventa qui profonda. In concreto, l’idea di
individuo, non più un essere naturale e che “non si restringe nei limiti del particolare:
perché egli non può né pensare, né sentire, né altrimenti realizzarsi, che in
un modo universale,
caposaldo e tipica
espressione dell’attualismo gentiliano chiamata in causa nel testo di C.,
viene pienamente accolta. E si pongono
così le basi di un consenso che non si discosterà molto negli ulteriori
svolgimenti del confronto tra i due
autori. Per cogliere ulteriormente i tratti principali del consenso tra Gentile
e C., al di là dei punti
di convergenza fin
qui messi in risalto, è necessario
tener presente i
principali scritti di Gentile di
quegli anni, in cui la sua attività didattica e scientifica “trovò…il suo primo affermarsi con volontà
rivoluzionaria. Si determinava
una svolta essenziale del suo pensiero e della sua azione. Gentile,
infatti, inizia il corso di storia della filosofia. E, nel
concludere la sua prolusione, traccia le linee direttrici per
un programma di rinnovamento della filosofia, con l’intento di rifare l’uomo
intero, che senta come pensa, e operi come parla, perché il vecchio letterato è morto l’accademia e la filosofia d’eruditi devono essere
davvero un passato irrevocabile: la vita deve diventare
una milizia continua. Come documento più significativo di questa svolta
può essere preso il proemio del primo numero del Giornale critico della
filosofia italiana, la rivista della Scuola romana gentiliana, in cui viene portato
avanti lo stesso discorso della prolusione. Non a caso, in esso, Gentile
propone di guardare all’avvenire” per incominciare una nuova
vita, uscendo dall’individualismo e
dall’egoismo. E, per farlo,
egli dice, occorreprecisare il rapporto tra scienza e
filosofia, contrapponendo le due forme di sapere. Da una parte c’è
la scienza e dall’altra LA FILOSOFIA. La
prima presuppone il proprio oggetto
di conoscenza ed è analisi
disgregatrice sintesi impotente a ricreare la vita distrutta la quale se potesse veramente realizzare il suo stesso
ideale, sarebbe affatto morta e quindi inesistente: critica presuntuosa,
intenta a rendersi conto della vita restandone fuori; la seconda, invece, e lo stesso discorso vale per la religione,
non presuppone, ma PONE; non guarda, ma crea;
non analizza perciò, ma vive; non è astratta teoria, ma teoria che è
prassi. Il problema di questo rapporto è un principio essenziale
dell’attualismo e costituisce l’aspetto fondamentale del programma della nuova rivista. Gentile
parla qui di sviluppo dialettico che si risolve e si supera
in un dramma eterno,
che, proprio perché continuo
superamento, rinvia necessariamente al continuo superato, all'oggetto
nel soggetto. Cosicché la realtà,
o atto spirituale, è una unità, ma non una mera
unità immediata, bensì unità del suo opposto, ossia della molteplicità. Tale idea di uno
svolgimento dialettico dello spirito, ribadita a più riprese, significa che
la filosofia non è più "teoria e contemplazione del
mondo, ma solo azione e creazione
del mondo stesso. Azione che non è, tuttavia, un immediato agire, bensì
coscienza di agire. Tanto che,
come afferma SPIRITO (si veda), "l'idealismo trionfa
veramente di ogni
intellettualismo non in quanto esso rimane una teoria dell'atto, ma solo
in quanto si attua, sicché il suo valore teoretico è assolutamente nulla (intellettualismo) se non diventa etico (attualismo).
Gentile insiste, in altre parole, sul valore dell’attività creatrice dell’uomo e sviluppa
il concetto di un mondo che noi facciamo
e dobbiamo fare. Anzi, esso è
l’unico veramente esistente.
Tutto il suo pensiero, perciò, è caratterizzato dall’esigenza pedagogica e dal
posto che il problema dell’educazione
occupa nella sua speculazione, che è così ”il massimo centro della sua concezione” e mette in luce “la
finalità più profonda del suo pensiero, tutta raccolta in
quell’umanesimo, che dà
significato fin da
principio alla teoria
e alla storiografia
dell’attualismo. La vita spirituale è educazione, anzi
autoeducazione...questa
affermazione non ha
un significato parziale,
e relativo ad una
determinata questione, ma
rappresenta l’essenza del
concetto di spirito che qualifica tutto
il pensiero del Gentile. E, perciò, per
intenderne a fondo il senso e l’importanza, occorre ”guardare al lato più propriamente etico della sua filosofia: a quello cioè per cui la
filosofia, essendo giunta alla completa liquidazionedel vecchio significato
intellettualistico, si afferma come
identica alla vita, come il
valore stesso della
vita. La filosofia del Gentile
è tutta Etica o meglio Pedagogia. Poiché
una filosofia che
non è concetto
della realtà, ma
autoconcetto, non può essere
più teoria e
contemplazione del mondo, ma solo azione e creazione del mondo stesso.
In forza di queste considerazioni, è chiaro che non si può indulgere a nessuna
inerzia. Una tale filosofia, infatti,
non può risolversi più in una pura e semplice contemplazione. Prima il filosofo
poteva rintanarsi nell’ozio
speculativo, far propria
una ideologia estetizzante da
filosofo - letterato, ed avere come unico compito quello di guardare e
giudicare, per intendere una realtà
altra ed indipendente da lui. Si trova così dinanzi a sé un mondo già dato, che
per il suo stesso esserci limitava e
vanificava la libertà dell’uomo. Con Gentile, invece, cessa ogni dualismo e ogni astratto concetto di
filosofia. Quest’ultima, anzi, diventa, azione consapevole di sé, vita umana, sociale, e quindi anche
educazione e politica. Vi è identità di conoscere e fare e viene meno la separazione meccanicistica, e con
essa ogni residuo dualistico, tra le varie sfere dell’attività umana; perciò
filosofo, educatore e politico diventano tutti termini sinonimi di uomo. Noi siamo artefici
assolutamente liberi e responsabili del nostro mondo e di conseguenza natura, società, storia, ecc. non costituiscono più
un limite. Tutto, infatti, è assolutamente immanente nel nostro io più intimo.
La nostra stessa umanità non è più quella degl’uomini presi nel loro atomismo
particolaristico, ma quella della nostra personalità, più profonda che non è di
fronte ad altre personalità, ma tutte le affratella raccogliendole nel suo seno in una vita unica
che deve farsi sempre più una, e cioè sempre
meno particolare ed egoista.
Così viene vanificata la
nozione individualistica della persona, nel tentativo di guadagnare una
societas in interiore homine, perché, per
usare le stesse parole del
Gentile della teoria generale dello
spirito come atto puro: altri,
oltre di noi, non ci può
essere, parlando a rigore, se noi lo conosciamo, e ne parliamo. Conoscere è identificare,
superare l’alterità come tale. L’altro è
semplicemente una tappa attraverso di
cui noi dobbiamo passare, se dobbiamo obbedire alla
natura immanente del nostro spirito: ma passare, non fermarci. Questo stesso concetto, poi, verrà
ripreso e ulteriormente approfondito in Genesi
e struttura della società, dove si afferma che l’individuo non da
considerare come un atomo; ad esso,
infatti, è : immanente al concetto di
individuo è il concetto di società. Perché
non c’è io, in cui si realizzi individuo, che non abbia, non seco, ma in
sé medesimo, un alter, che è il suo
essenziale socius. L’uomo, allora, non
può più rinchiudersi nella sua angustaempiricità e nella sua particolare
competenza, ma deve invece realizzare se stesso e la propria personalità nella
coscienza di una vita universale. Gentile, secondo SPIRITO (si veda), non solo
è pervenuto a questo nuovo concetto della realtà, ma con la propria vita ci ha dato l’esempio
per l’attuazione più alta e coerente della nuova idealità. In lui filosofia e politica, vita
individuale e vita sociale si sono realizzate nella sintesi più
concreta e consapevole. Egli,
perciò, nel significato più proprio dell’espressione hegeliana, è un individuo portatore dello
spirito; anzi, è il simbolo, e, meglio, che il simbolo, l’iniziatore di una nuova Italia,
perché la sua umanità non si riduce ad una vuota e vaga
astrazione, ma egli è un uomo intero, appunto perché è quella
universalità che si concretizza nella storia e
nell’individuo...vive concretandosi nell’individuo. Il che, nei suoi termini
essenziali, non è altro che lo stesso discorso che C. aveva svolto nel suo articolo. Per il filosofo
fiorentino, infatti, come abbiamo avuto modo di vederlo più sopra,
anche Michelstaedter non elabora una teoria della persuasione, e il criterio che egli usa è Michelstaedter stesso
vivente. Filosofia non sistematica, perché ogni
sua affermazione è il sistema, e il suo organismo vivo che non può
contraddirsi; e il nucleo essenziale del
suo pensiero, quindi, è l’attività vera, la vita, che non ha fuori di sé la
vita perché deve essere essa la vita. La via della persuasione è se stessa e
non ha un fine fuori di sé.
Essa intanto è la
vita dell’infinito nell’individuo finito,
è la vera
vita del finito: è processo, vita. Lo stesso tema verrà
ulteriormente ripreso da
C. Illusione e realtà,
e sua prima
opera sistematica di filosofia, per
usare un’espressione di GARIN (si veda),
può essere intesa come una sorta di esplicitazione in
positivo dela filosofia di Michelstaedter e in particolare come una prosecuzione della
sua tesi su La persuasione e la retorica
volta a metterne in risalto gli aspetti per così dire positivi, cioè
il tema della persuasione. Dà
alle stampe un Saggio sulla natura dell’uomo, Firenze, Sansoni, animato
dal proposito di tradurre nella tensione dialettica di natura/uomo la
precedente coppia di termini illusione/realtà e, così, di continuare la
chiarificazione delle principali
istanze michelstadteriane
in rapporto alle posizioni gentiliane. Tale compito campeggia sin dalle prime battute
discorsive del saggio, che perciò viene presentato come una visione
di scorcio, un discorso che dovrebbe riuscire
ad una riaffermazione di idealismo.
Nell’Epilogo, poi, il risultato
dell’argomentazione discorsiva,
considerato nelle sue rigorose e ultime conseguenze, lo porta ad individuare
nell’atto gentiliano, ossia in quella che egli chiama la ragione
poetica, il punto focale della
riflessione attorno a cui disegnare il tracciato del confronto Michelstaedter-Gentile. E questo atto consiste in una liberazione e in
un distacco da tutto ciò che è caduco e
relativo; epperò, nello
stesso tempo, conduce
a vivere con altra mente la vita
che ci troviamo
a vivere, un consistere nel
qualunque punto la sorte ci abbia gettato, è accettazione, perché tale atto “non cerca nulla fuori di sè e l’unica
sua gioia – unica pura gioia, se tale può dirsi – è lo stesso suo puro conoscere, la stessa sua
assoluta liberazione interiore. In un altro saggio, apparso ancora una volta
nel Giornale critico della filosofia
italiana, C. affronta di nuovo, e
non a caso, Il centro della speculazione gentiliana: l’attualità dell’atto. Nel
farlo ammette che il centro dell’attualismo
è l’attualità dell’atto,
ossia l’affermare la
realtà come un unico processo, un perenne “farsi quel che deve essere e
non è”, atto come processo che è
“assoluto possesso, realtà attuale immanente al suo farsi”. Per spiegare
come sia da intendere questa
affermazione di carattere fondamentale, C. analizza alcuni dei principali
testi del Gentile; mette in evidenza, poi, che la
realtà di cui il filosofo di
Castelvetrano parla non è un fatto, ma libera creatività “che sfugge ad ogni
metro di criterio preconcetto, e che, per comprenderlo, bisogna rivivere dal di
dentro. In questo processo, il finito,
l’io empirico, il mondo, “che deve essere negato nella sua pretesa sufficienza,
nella sua pretesa di sostituirsi
all’infinito”, non viene abolito, ma acquista tutto il suo valore, quando,
vedendosene l’insufficienza in sé,
è considerato nel suo essenziale
rapporto con l’infinito...perché visto
con altri occhi
nella sua vera
realtà. Per C., in questo consiste la verità elementare e il valore
incontestabile, positivo, di ciò che il gentilianesimo indica quando parla di attualità dell’atto.
Non più filosofia in senso logico, ma vita in atto, attività giudicante e nello stesso tempo
attività creatrice. Questo è l’aspetto
più importante, avvincente e
persuasivo, ossia il concetto della processualità dello spirito, in cui “il
processo è veduto come perenne farsi,
come assoluta perenne novità, e al tempo stesso come assoluta unità, come un
nuovo che è sempre identico, un conoscere che è nello stesso tempo fare e vivere. In questa concezione, per C. sembra annidarsi, comunque, una difficoltà di fondo, cioè:
anche l’attualità dell’atto
sembra essere una forma di
mediazione, di logica, e quindi in
definitiva di oggetto; e perciò sembra cadere nell’accusa di panlogismo già
rivolta a suo tempo contro la filosofia
hegeliana. Ma questa difficoltà si supera se si tien conto che per Gentile
l’attualità non è da considerare come una cosa, ma come “spirito, non fatto ma
atto, farsi. Viene facilmente
pensato che questa
sia la nuova mediazione;
giacché un farsi,
un divenire, non può essere in sé
un immediato, ma deve essere passaggio in atto dal non essere all’essere...Ma anche questa è mediazione
logica. La soluzione di questo problema è di
capitale importanza per poter intendere effettivamente il pensiero di
Gentile e per far si che esso non sia da
abbandonare come una realtà del passato definitivamente tramontato, ma sia più
vivo che mai. Per sciogliere i
nodi del problema
e dissipare i
dubbi, in modo
da comprendere l’essenza stessa
del nucleo centrale dell’attualismo, occorre tener presente che la mediazione attuale, di cui parla Gentile,
nel caratterizzare il suo modo di intendere l’atto in atto, è una mediazione non di opposizione, ma di distinzione, in cui non si
afferma né si nega più, ma si
vive direttamente, si possiede la propria vita, in quanto si vive la vita
altrui, e si vive l’altrui in quanto si vive la nostra. Questo è il vero e
incontestabile attualismo, ossia lo spirito che sempre si fa, sempre non
è, e che pure giunge a vivere questo suo non
essere (cioè questo suo superare
il finito) come l’eterna assoluta realtà (cioè come vita del finito
in cui si realizza l’infinito.
Nei testi Filosofia dell’arte e Genesi e struttura della società, in
particolare, C. trova conferma a questa sua rilettura del Gentile,
soprattutto quando si parla nell’ultima
opera del filosofo siciliano dell’individuo all’interno della società trascendentale o societas in interiore
homine: “la realtà, che è spirito, è originariamente, già nel suo
principio, non un’unità
semplice, un io indivisibile, un individuo atomistico: ma è unità fra un io e un altro che noi portiamo
dentro di noi, una società orginaria per la quale soltanto
ci possono essere l’io e
l’altro. Si tratta di
fondare una società, in cui
l’io, essendo conciliato con se stesso,
si trova anche conciliato con gli altri, e la vita di ciascuno è la stessa, identica vita di tutti. Solo nella
misura in cui l’uomo giunge a realizzare se stesso, si crea per lui una più vera e libera società in
cui l’uomo non è homini lupus, ma io nella sua più vera realtà, ora
consapevole e perciò
soltanto ora veramente
reale nella sua
concretaindividualità. Si tratta in altri termini di una
dialettica tra logo e attualità o attualità dell’atto, che consente al Gentile, secondo
C., di prendere le distanze e di realizzare
un fondamentale progresso rispetto allo stesso Hegel. Gli stessi termini
fondamentali del lessico gentiliano fin qui illustrati (ma poi anche quelli di illusione e realtà traducono in linguaggo
attualistico la distinzione michelstaedteriana
tra persuasione (vita del finito in cui si realizza l’infinito, campo in
cui lo spirito si celebra e trionfa) e
rettorica (affernazione illusoria di vita, individuo atomistico, ecc.). A
ulteriore dimostrazione di quanto fin
qui affermato, c’è
un altro testo di C., significativamente intitolato L’INDIVIDUO
[cf. Grice on Strawson, INDIVIDUAL]. L’individuo, in cui sin dalle prime
battute discorsive si dice che non si
comprende Michelstaedter se non si comprende cosa significhi per lui
individuo. Per cogliere il vero senso
del pensiero di Michelstaedter, occorre allora tener presente che egli è un uomo d’azione: il suo parlare è
agire un imperativo dunque, volto a creare una
nuova realtà, in cui il mondo e gli altri siano a lui identici, siano
una cosa sola con lui, in quanto egli
abbia raggiunto una vita che abbia in sé la ragione, e che perciò sia giusta
verso tutti, perché abbia raggiunto quel valore
individuale che fa vivere ‘le cose lontane. E,
nella stessa pagina, nell’intento di mettere a in luce e cogliere il
vero significato del pensiero di
Michelstaedter, C. ribadisce ulteriormente che il valore individuale è la
concreta consapevolezza che la nostra
essenziale esigenza trascende ogni singola determinazione. In tal modo si porta a una decisione la nostra
vita,...allora la coscienza acquisterà un’unità reale, che né spazio
e né tempo
potranno minacciare, e il molteplice del mondo si unifica
anch’esso e si farà a noi interiore”. Giunti fin qui, il quadro che nei
suoi tratti più peculiari ci si presenta agl’occhi, in particolare dopo la
sintetica analisi svolta di alcuni dei passi fondamentali e della vulgata attualistica e dei testi dati alle stampe da
C. nell’arco di alcuni decenni, è quello di un tentativo di riguadagnare il più
profondo significato dell’attualismo. C., in altri
termini, a partire dai
primi anni Venti,
riprende un motivo
tipicamente attualistico, espressione
di quell’idealismo che
egli considera come la più ricca
eredità tramandataci dalla storia
della filosofia moderna, e cerca
di mostrare i legami di fondo che stringono Gentile a Michelstaedter. Colloca così in
primo piano i punti di forza del momento
dellapersuasione e, nello
stesso tempo, del momento dell’attualità dell’atto per
mostrare in che misura entrambi convergono, seguitando a dare frutti. Di
Michelstaedter accentua, prolunga e
rinnova il problema della
persuasione e di Gentile quello
dell’atto in atto, che si
fa continuamente, che è vita. Il
suo intento è
quello di collocarsi
all'interno dell'attualismo nell'intento di chiarirne alcuni suoi
problemi fondamentali, per cogliere il senso più pieno, più recondito, del lascito gentiliano - e de La persuasione e la rettorica - e di non
lasciare che esso venga ridotto a teoria,
ad una chiusura
sinteticistica o una formulistica ripetuta
pedissequamente. Lo stesso
Gentile, per C., non sempre ha
piena coscienza degl’ulteriori svolgimenti impliciti nel suo discorso sulla
affermazione dell’attualità dell’atto, e ancor di più ai suoi seguaci è
sfuggito il significato profondo di questa sua conquista, ma questo non
autorizza ad arrestarsi alla lettera del suo discorso, ad una ripetizione
puramente verbale di ciò che egli disse.
Anzi, proprio questo “sarebbe non solo tradire lo spirito del suo pensiero, ma addirittura contravvenire al suo
esplicito imperativo, di superare perennemente le forme individuate in cui il
pensiero via via si realizza. Così C. ritiene di poter cogliere negli scritti
di Michelsteadter una forme maitresse, la cui chiave d’oro è data dal
significato che quest’ultimo attribuisce all’individuo, come una di quelle
verità fondamentali che una volta scorte non possono più essere perse di vista,
ma che possono essere pienamente accolte e fatte oggetto soltanto di ulteriori
svolgimenti e approfondimenti. Questa caratterizzazione dell’individuo, non più
inteso come atomo e che perciò non può
più rinchiudersi nella sua angusta empiricità, ma deve realizzare se stesso
nella coscienza di una vita universale - cioè far si che nasca in noi una nuova
realtà, così che il mondo sia con noi
una sola cosa, e che perciò sceglie di permanere, sceglie l’ora, il qui, convertendoli in sempre e dovunque:
sceglie la qualunque situazione che si trova a vivere, e esaurisce in essa
l’infinita sua esigenza: far finito l’infinito, far vicine le cose lontane,
rientra, sul terreno speculativo, nel grande alveo della teoresi gentiliana,
della sua dottrina dell’atto puro, e
rivela una profonda e sostanziale convergenza con essa, al di là di un
differente uso terminologico e d’enunciazioni gentiliane non sempre
rigorosamente univoche. Nei saggi successivi, fino ad arrivare agli ultimi dati
alle stampe, C. conferma e sviluppa ulteriormente queste posizioni, sempre
sullo sfondo del dialogo con Michelstaedter e con Gentile, ancora una volta nel
tentativo di conciliarne le esigenze di fondo. Così in un saggio,
significativamente incentrato su L’eredità di Gentile, si propone il compito di
individuare e descrivere ciò che deve al filosofo di Castelvetrano. E nel farlo
afferma senza mezzi termini. Se mi domando che cosa debba al pensiero filosofico di Gentile, quale mi
sembri essere il nucleo più vitale della sua dottrina, che egli lascia come
preziosa eredità a quelli che son rimasti dopo di lui, e che sentono l’impegno
di non disperderlo, così come i figli buoni sentono il dovere di non dilapidare,
ma anzi accrescere, il patrimonio che il padre per amor loro onestamente aveva
guadagnato e saggiamente risparmiato, non trovo, a voler tutto restringere in
una parola, risposta più esatta di questa: la dottrina dell’atto puro. Su
questo terreno speculativo, la chiave di volta è l’io; ed è un io senza residui intellettualistici che,
per poter assolvere opportunamente il suo compito e realizzarsi senza
impietrarsi, non deve avere alcuna realtà
presupposta, ma deve reintegrare la realtà dell’oggetto, senza farne un
presupposto del soggetto, nè in ogni modo
qualcosa fuori di questo. Si tratta qui di un io il cui carattere peculiare è di avere
una infinita apertura e attualità - che si sottrae alle leggi precostituite di
una logica formale, di una natura presupposta, di un mondo di idee già
codificato e platonicamente costruito sin dall’eternità, che si alimenta tutto
e sempre sull’infinita, indefettibile, unica attualità dell’atto e consiste
nell’essere l’io pensante nelle sue infinite individuazioni storiche” o la
consapevolezza che l’atto ha di sè come forma immanente dello stesso suo
concreto e individuato agire, assoluta
responsabilità di chi si assume
attualmente la responsabilità della propria vita nel cui infinito anelito è
implicata la vita dell’universo. Sicché non può
esservi altro che un’eternità che sia il senso immanente della
temporalità un infinito che si realizzi nel finito redimendone la
finitudine; e questo è il guadagno speculativo più cospicuo dell’attualismo
gentiliano, ossia la più esauriente risposta alla ricerca del pensiero moderno,
e tale da aprire la possibilità dei più felici sviluppi. Tuttavia, secondo C.,
il filosofo siciliano non è riuscito a dare alla propria riflessione una
formulazione in tutto e per tutto univoca; e anzi ha mantenuto aperte due possibilità
interpretative, che hanno dato vita ad altrettante enunciazioni del suo
pensiero, col rischio di invalidarne le
ragioni più genuine e geniali. In particolare, Gentile non avrebbe assolto
pienamente al proprio compito di riformare la dialettica hegeliana: avrebbe sì
investito in maniera efficace e acuta Hegel dell’accusa d’intellettualismo, per
esser eglrimasto legato ad una dialettica del pensato, ma poi non avrebbe
tratto tutte le conseguenze di questa sua battaglia e sarebbe ricaduto egli
stesso in una dialettica a sua volta intellettualistica, cioè in “una teoria
del reale che non è essa stessa il movimento per il quale il reale è; è il concetto dell’autoconcetto,
per dirla con Gentile¸ e cioè non l’autoconcetto stesso, che per essere tale
non può essere concetto, ma autocoscienza superante il concetto. In altri
termini, una volta intesa veramente la dialettica come dialettica del pensare,
nella sua attualità, come vita dell’atto
che è conceptus sui, questa attuosità non può essere colta da una teoria ad essa staccata
e sopranuotante che trascenda e
definisca il tutto, ricomponendo in
sintesi la tesi e l’antitesi e ponendosi come terzo rispetto ai due
momenti. Cosi facendo, per C., si ricade
soltanto, e ancora una volta, in una forma di platonismo o di dualismo; invece, la vita interiore dell’atto o,
meglio, della soggettività dell’io trascendentale “non può esser conosciuta che
per la consapevolezza che il soggetto ha di sé senza oggettivarsi, consapevolezza immanente al processo, in cui
un momento in tanto è se stesso, in quanto è
conscio del suo rapporto all’altro, così che il soggetto come vivente relazione non è
terzo oltre i due momenti, ma è tra i
due momenti stessi, che in tanto sono due in quanto ciascuno di essi è per se stesso il vivente rapporto
di sé all’altro. La dialettica dell’Atto non può essere che una monodiade. Il
passo che Gentile deve compiere per condurre a rigorosa coerenza il suo discorso filosofico consiste
nel far propria l’esigenza di una
dialettica attuale, fra
momenti attualmente vissuti
nella loro reale soggettività la dialettica
triadica degl’opposti era un
dannoso impaccio; occorre intendere
l’atto come il vivente attuale processo
unitario in cui gli oppos ti si
trasfigura non in distinti, in quanto l’io, realizzando la proprio
apertura infinita, supera le determinazioni intellettive e attua quella
coincidenza di individuale e di
universale, così profondamente vista e così suggestivamente proclamata tante
volte da Gentile, la quale mal si concilia con la solitudine del logo come
sintesi. Essa richiede invece un
interiore dialogo fra logo e sentimento, che ben si può scorgere nel più profondo
dell’esigenza gentiliana. Solo così, ossia liberando la dialettica dai residui
intellettualistici che ancora ne gravano la comprensione e il pieno sviluppo, è
possibile riaprire il discorso e operare un rinnovamento dall’interno dell’attualismo,
per farne fruttificare il lascito più genuino e importante. E questo è appunto
l’intenzione fondamentale che pervade anche gl’altri, successivi, saggi di C. -
tutti volti alla miglior comprensione e all’approfondimento delle stesse
istanze speculative – che aspira a connotarsiquesta sua più significativa e innovativa scoperta; ed
egli resta in definitiva ancora
impigliato nelle stesse difficoltà di Hegel. Per rendersi conto di
queste conclusioni, secondo C. occorre porsi all’interno della filosofia di
Gentile e prendere in esame il problema
del processo dialettico dell’autoconcetto, che è, appunto, il problema
dell’intuizione, ossia dello spirito che vive nell’intuizione; e poi è
necessario cercare di rispondere all’interrogativo sul modo in cui l’io
distingue se stesso dal suo opposto, e nascano insieme soggetto e oggetto, nasce cioè la
coscienzacome restitutrice del loro peculiare pregio ai motivi più propri
dell’attualità dell’atto, per così dire
mortificati da certe inadeguatezze, difficoltà di interpretazione,
incomprensioni. In un altro, denso e complesso, saggio su L’autocoscienza nella filosofia di Gentile, le posizioni fin qui prese in esame ricompaiono, imperniate sul bisogno di fornire ulteriori
precisazioni e sviluppi alle stesse istanze teoretiche. Esse, infatti, ruotano
sempre attorno al problema dell’atto e ai vari aspetti ad esso strettamente
correlati, e si concentrano soprattutto sulla dottrina dell’autocoscienza e
sulle sue articolazioni, perché essa, in quanto “intimità soggettiva dell’atto
del pensare, in cui consiste l’essenza
e l’esistenza concreta dell’io, diviene
il centro che sostiene la realtà di
tutto l’universo. Per C., tuttavia, nonostante che attorno a questo problema
graviti tutto il pensiero gentiliano,
negli scritti del filosofo siciliano,
tranne qualche sporadico cenno, non compare una esposizione adeguata del modo in cui l’io trascendentale
ha coscienza di se stesso. Nella teoria generale dello spirito come atto puro,
nel Sommario di pedagogia e in qualche
altra opera, ad esempio, si dice quà e là, e in maniera stringata, che l’io,
l’atto, in quanto realtà presa nella sua infinità, come tutto, non è
oggettivabile e che la vita dello spirito si conosce per via di intuizione, ma
non vi è mai una esposizione e una trattazione esplicita di questo aspetto. In
Gentile, poi, si dice anche che non v’è conoscenza che non sia logica,
mediazione; e si riconosce che ogni
grado della consapevolezza
(sensazione, percezione,
rappresentazione, intuizione,
sentimento, e così via) è cosciente perché si tratta di distinzioni relative di
certi atti psichici con certi altri, e in quanto
tali, sul terreno del logo
astratto, esse sono sempre espressione di un pensiero logico. Tuttavia,
affinché l’atto spirituale sia veramente uno, questa distinzione per gradi
tipica della psicologia empirica e di una
concezione analitica dell’anima umana,
nell’attualismo viene
abbandonata. In forza di queste considerazioni, Gentile, secondo C., per
evitare di ricadere in una visione cristallizata dell’atto e così di considerarlo come mero fatto, oggetto tra
oggetti, individua e ammette nell’intuizione una forma di logo che non è quella astratta del
logo oggettivo, epperò la traduce in termini diversi da quello di intuizione, ossia con
auto-concetto, facendo valere la distinzione tra pensiero pensante e pensiero
pensato. Tuttavia, pur se questa via è in profonda dissonanza con i modelli della comune
concezione psicologica precedente, sfugge al Gentile la piena portata. Per C.,
la distinzione tra i due termini del discorso emerge in chiaro soltanto nel momento in cui c’è una forma dell’io che conosce se stesso distinta da quella con
cui l’io conosce l’oggetto,
perché nel lessico gergale idealistico, stricto sensu parlando, l’io non ha alcun
contenuto; la realtà si risolve tutta nell’io, in quanto forma e contenuto si
identificano. Questo è un aspetto che orienta tutto il quadro di pensiero di
Gentile - e su cui egli è costantemente
ritornato, sottolineando l’esigenza unitaria e monistica della sua filosofia –
la cui chiarificazione comporta la necessità di precisare come concepire l’autocoscienza e quell’autotrasparenza per
la quale mentre vive la sua conoscenza delle cose, sa di essere in atto di conoscerle” .Si tratta qui di una
iniziale intuizione di sé, che si svela
ancora una volta come un atto logico, perché senza la mediazione propria del
pensiero pensato, concettuale e oggettivante, non ci sarebbe neppure
l’intuizione del soggetto. Questo atto iniziale però ha un carattere intuitivo, la cui peculiarità diventa ben
distinguibile se si prende in esame il processo della conoscenza sin dal suo
primo momento e se si tien conto,
secondo C., di come a partire da esso si
articola l’unione/distinzione di soggetto e oggetto. Ci si accorge allora che
si tratta di “un atto di analisi che dà
per risultato due termini intuiti, cioè conosciuti, come reali, concreti, come
due sintesi. Ed è questo carattere sintetico la spiegazione del fatto che anche
l’oggetto, pur essendo opposto al soggetto, è come lo specchio in cui il
soggetto si riflette, il contenuto della sua vita, il mondo che costituisce la
sua vita: la stessa cosa è il suo vivere e il
mondo che vive. E’ un conoscere logicamente anteriore al giudizio
predicativo pel quale si può dire
propriamente che nasce il concetto. Negli ulteriori svolgimenti
discorsivi, poi, sul terreno che in termini attualistici
viene coperto dall’area semantica
del pensiero pensato, in cui s’analizza
il contenuto sintetico
datoci attraverso l’intuizione e
si costruisce un fitto tessuto di
relazioni concettuali, cioè la kantiana sintesi a priori del giudizio, non si
fa altro che accogliere pienamente e non perdere di vista la verità “di quella
sintesi a priori che c’è già nell’oggetto sintetico analizzato”, per esplicitarla in maniera analitica. Una
cosiffatta mediazione concettuale, infine,
da punto di vista del filosofo di Castelvetrano non può non riconoscere la
propria astrattezza, cioè la
coscienza di essere una esplicitazione che rimane caput mortuum, se si
distacca dalla sintesi di cui vuol
rendere conto, da quella sintesi che gli dà un contenuto vivo e sempre nuovo,
e che è l’intuizione costitutiva dell’attualità
dell’io e che forse meglio si potrebbe dire sensus sui”. Quel che così si viene
a colpire è la logica del pensiero pensato che per quanto utile e per certi aspetti finanche necessaria, come momento essenziale dello sviluppo dialettico,
se abbandonata a se stessa verrebbe ad
annullarsi e a ridursi ad un puro e semplice vaniloquio, ma che invece se si alimenta alla fonte d’ogni
mediazione, che è la consapevolezza di sè
dell’io, crea per ciò stesso la propria ricchezza di sviluppi e trova nell’intuizione,
cioè nella concreta unità dell’atto che
è la sede dell’autocoscienza e certezza della verità, la sua vera e proficua
radice. Questa certezza C. la chiama anche fede, un termine contro cui si sono
addensate non poche critiche, ma che a
suo dire potrebbe tener conto adeguatamente dell’apertura alla religiosità
della vita spirituale mostrata da Gentile in
tutto l’arco della sua produzione filosofica. L’atteggiamento del
filosofo siciliano nei confronti della religione, tuttavia, in proposito avrebbe
potuto essere più evidente e di maggior
respiro, se egli avesse stabilito con chiarezza inequivocabile come
individuabile specificazione dell’autoconcetto ciò che esso veramente è:
intuizione o sentimento. Nel tracciato del grandioso disegno speculativo di
Gentile, invece, è proprio questo il punto più
debole e bisognoso di una riconsiderazione critica. Per C., infatti, la
sua costruzione logica, pur se foggiata in maniera geniale e improntata a una
visione metafisica di grande rigore
filosofico e fortemente innovatrice, presenta “il torto di tutte le
metafisiche, di oltrepassare con la
costruzione intellettuale, col loro logo
pensato, l’unica autentica fonte della verità, il logo pensante, in quanto
trasparenza della nostra vita a se stessa nell’attualità dell’atto. Questo non significa affatto
sminuirne l’importanza e le grandi possibilità
che essa ci dischiude; anzi, il valore sostanziale delle
sue tesi comporta il più ampio
riconoscimento e consiste nel fatto che con esse noi mettiamo a profitto
ciò che egli solo ci ha insegnato, riprendendo l’aureo filone dell’analisi dei
grandi filosofi sulla vita spirituale, e
arricchendolo nella sua maschia originalità. Certo è che la filosofia di
Gentile mi attirò fin dal mio primo
contatto con essa; e più tardi, nel primo dopoguerra, quando ero quasi giunto
al mezzo del cammin di nostra vita, mi fu di grande conforto per riconquistare
fiducia, il che mi permise di riprendere
il mio cammino attivamente. E di questo non cesserò mai di sentire gratitudine.
È una gratitudine non minore di quella che debbo a lui in persona, per
avermi sempre incoraggiato e aiutato
affettuosamente in ogni circostanza della mia vita”. Questa conclusione
riassuntiva implica il riconoscimento
dell’importanza fondamentale della teoresi gentiliana e, nello stesso tempo,
comporta anche l’impegno a farne fruttificare il più genuino e fecondo lascito. C., proprio
per questo, sottopone la teoria dell’atto ad approfondimento e revisione
interna, in un ampio, continuo e serrato dialogo, con una disamina volta a
stabilirne una più rigorosa coerenza che
valga a guidare e inquadrare la propria riflessione speculativa. In
particolare, la prospettiva a cui giunge C., nel corso del suo lungo cammino
intellettuale, presa nel suo complesso, comporta in definitiva un triplice
guadagno: un riuscito tentativo di promozione dell’opera dell’amico goriziano,
per accreditarle una sua peculiarità e
dignità filosofica, col metterla a confronto con la speculazione gentiliana; C.
nello stesso tempo raggiunge anche una sua personale elaborazione
teoretica dell’attualismo; gli spetta così il merito, con questo suo
atteggiamento rivalutativo di entrambi i filosofi citati, non solo di aver
speso con efficacia le sue migliori fatiche in difesa dell’amico, ma anche un posto d’onore, con una sua
originalità e competenza, nell’ambito
della letteratura che gravita su Gentile
e l’attualismo, tanto da poter essere considerato come espressione di un indirizzo del pensiero filosofico
contemporaneo in cui egli appare indubbiamente tra quelli che più sono progrediti. Senonché, a parte i
riconoscimenti fin qui menzionati che gli sono stati variamente tributati, le acute indagini e la argomentazioni del C.,
volte a svolgere una vigorosa opera di
individuazione e di messa in chiaro di un comune ambito teoretico tra
Gentile e Michelstaedter, non sempre trovarono unanime consenso; in alcuni casi
esse suscitarono non poche perplessità.
E’ questa, ad esempio, la convinzione di Spirito che, nel concludere la propria risposta all’amico C., non esita ad affermare. A me sembra C.,
profondamente legato alle esigenze dell’attualismo e a quelle
michelstaedteriane, non abbia potuto
conciliarle fino in fondo, sia rimasto
in una
posizione intermedia tra la
concezione dell’assoluto dialettico e quella dell’assoluto adialettico”.
Su questo punto, comunque, la riflessione critica che gravita sugl’autori fin
qui presi in considerazione (alquanto lacunosa, a dire il vero, soprattutto negli ultimi anni e per quanto concerne l’esigenza e il compito di saggiare
storicamente le posizioni di C.!!) a tutt’oggi non è concorde e perciò il
problema della conciliazione tra la speculazione gentiliana e quella di
Michelstaedter ci sembra tuttora aperto a ulteriori sviluppi
e approfondimenti che sono ben lontani dal venire realizzati, come un
compito non ancora del tutto assolto.
Ben consapevoli di queste difficoltà, in queste paginei abbiamo inteso soltanto
delimitare e precisare l’ambito di indagine, che è da valutare come un’ulteriore
approsimazione al problema, e offrire degli spunti utili a sostegno della
prosecuzione del discorso. Gaetano
Chiavacci. Keyowords: poetico, critica della ragione poetica, illusion,
allusion, ludo, la natura dell’uomo, carteggio con Gentile. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Chiavacci” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Chiocchetti: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale prammatica – scuola di Moena –
filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Moena). Filosofo trentino. Filosofo italiano. Moena, Trento, Trentino-Alto
Aidge. Grice: “I like Chiocchetti – a surname most Englishmen are unable to
pronounce, but cf. Chumley! – For one, he exapanded, alla Croce on Vico as
proposing ‘espressione’ as prior to ‘communicazione,’ as I do – but he went
further – he studied the Latin-language author, and saint, Aquinas, and his
‘modi di significare’ – Lastly, he expanded on ‘pragmatism’ as the term of
abuse it MUST be! Why are non-philosophers OBSESSED to keep miscalling me a
‘pragmaticist’ who is into ‘pragmatics’ – It’s totally anti-Oxonian – Oxford
being the epitome of aestheticism – to do so! Chiocchetti also played with the
abused term, ‘scolastic’: he thought there are two scolastics: the
palaeo-scolastici, or scolastici simpiciter, and the ‘neo-scolastici,’ like his
self! He wrote a little tract on Gentile, who ungently threw it onto the
wastepaper basket!” -- Veste l'abito francescano. Conclude gli studi
secondari a Rovereto. Durante il corso di teologia si appassionò agli studi
biblici, anche se non gli venne concessa la possibilità di approfondirli presso
l'Istituto biblico francescano di Gerusalemme e la Facoltà teologica di Vienna.
Ordinato sacerdote. Studiò filosofia a
Roma presso il Collegio internazionale di San Antonio. Tornò quindi a Rovereto
per insegnare filosofia presso il liceo interno all'Ordine dei Minori e iniziò
un'assidua collaborazione, su invito di Gemelli, alla Rivista di filosofia
neoscolastica fin dalla sua fondazione. Progettò uno studio sistematico sulla
filosofia di Henri Bergson, interrompendolo definitivamente per approfondire
ulteriormente la sua preparazione filosofica a Lovanio, centro degli studi
neoscolastici. Subito dopo si recò in Germania, a Fulda, per ascoltare
Konstantin Gutberlet, e successivamente a Vienna, dove frequentò come uditore
le lezioni di psicologia di Wundt. Tornato all'insegnamento a Rovereto, assunse
la direzione della Rivista tridentina.
Note C. su
siusa.archivi.beniculturali. Faustini,, C., SERBATI e la cultura trentina: un
filosofo ladino tra Trentino ed Europa, Trento, Pancheri. Faustini,, C.: un filosofo francescano di
fronte alle sfide del Novecento: antologia, scritti di filosofia e cultura,
Trento, Pancheri, C. un filosofo francescano tra il Trentino e l'Europa: atti
del seminario di studio promosso dal Museo storico in Trento, svoltosi a Trento.
"Archivio Trentino", Pietroforte, Storia di un'amicizia filosofica
tra neoscolastica, idealismo e modernismo: il carteggio Nardi-C., Firenze,
Sismel Edizioni del Galluzzo, Centi, Un filosofo francescano C. Trento, Gruppo
culturale Civis, Coen, C. in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (Dizionario
biografico degli italiani) G. Consolati,,
C. filosofo trentino rettore generale francescano e professore di storia
della filosofia moderna alla Università cattolica del S. Cuore, Trento,
Saturnia, C. in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. C., su siusa.archivi.beniculturali, Sistema
Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Opere di C..Pubblicazioni di C., su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur,
de la Recherche et de l'Innovation. LE GRANDI CORRENTI DEL PENSIERO
COLLEZIONE DIRETTA DA PICCOLI C. Milano IL 5a PRAGMATISMO agi
E 7 EDIZIONE ATHENA MILANOVia Vigentina' 7-9 s santo, MRETTRI
s», è ita, canina eno er insit) miri iztarta e ea
Nihil obstat quominus imprimatur 19 Mediolani, Bernareggi. Nihil obstat
quominus imprimatur Mediolani,Mons. Can. Cavezzali. ALL'AMICO
P. ARCANGELO MAZZOTTI CHE NELLA VITA VISSUTA ANCHE PIÙ TENUE SA
CERCARE E COGLIERE LA FILOSOFIA sg ca
Ripubblico, a richiesta d'amicì, in volume questi «saggi» sul
Pragmatismo, già pubblicati, parecchi anniì sono nella Rivista di
filosofia Neoscolastica, per chè il Pragmatismo contiene aspetti di verità
che non A vanno dimenticati. Quali siano quest» aspetti verrà
rilevulo nella esposizione che ne faccio seguendo i Uue principali
rappresentanti di esso il James e lo Schiller. f In
questa esposizione ho introdotto solo mulazioni accidentali, più che
altro verbali, che mettano quella corrente nei tempi suoi, già
mollo lontani spiritualmente dai nostri.a E. C. LLINEE FONDAMENTALI DEL
PRAGMATISMO. Sommarto. II Pragmatismo. Pragmatismo e Umanismo. Pragmatismo e
conoscenza. Nell' Inghilterra e nell'America, come è noto, la
filosofia ha avulo sempre un carattere prevalentemente pratico, cioè, ha
studiato con particolare predilezione quei problemi filosofici che si
riferiscono alla teologia, alla morale, al diritto e alle scienze
pratiche, in generale; e, anche quando si è sollevata alle più alte
speculazioni, non ha mai perduto il contatto intimo con la vita pratica «ed è
stata più sollecita della ricerca del vero in vista dell'organizzazione
della vita reale, che non dell'astrazione collivata per sè stessa e per
la sodisfazione dello Spirito. Per ciò che riguarda l'Inghilterra
basta pensare alla filosofia di Hobbes e di Bacone, all filosofi
cmpirica e crilica di Locke, alla filosofi naturale di Newton, alle
dottrine teologiche dei De Cfr. «Revue Néo-Scolastique», dove son tiLortate dall'opera: La
Philosophie en Amérique del VAN B CELAERE' (New-York) le parole citate.
La «Revue Néo-Sc Stiquen ne di un amplo riassunto col titolo: Le
mouveme hilosophiqgue en Amérique. Vedi anche i riassunti cli
relazioni sullo stato della filosofia contemporanea in InghilMica in America: «
Rivista di Filosofia Neo-Scolastica wu N. IL SEE. Linee
fondamentali sti, alla fase clica del movimento empirico del secolo XVIII,
all'Associazionismo e all'Utilitarismo. Nell'America i primi a interessarsi di
speculazioni filosofiche furono i colonizzatori della nuova Inghilterra,
degli inglesi emigrati, i quali naturalmente portarono al di lù
dell'Oceano la caratteristica della filosofia della madrepatria:
l'atteggiamento pratico, che assunse allora, per speciali circostanze
storiche, un carattere religioso. È vero che, nell’Inghilterra,
«una corrente più profonda non ha mai cessalo di rimontare in senso
opposto (alla corrente empirica). Essa si manifesta con Herbert di
Cherbury, con i Platonici di Cambridge, nella scuola scozzese. del
‘senso comune, e apparisce nella sua forma più sorprendente in Berkeley,
fondatore dell'’idealismo inglese; è rinforzata più tardi da Kant, Lichte,
Hegel e Lolze; ma anche questa controcorrente non ha mai perdulo
il'carattere pratico, sperimentale, e tende ad appoggiarsi più volentieri
sulla volontà e sul sentimento e a trascurare le categorie puramenle
logiche dell’Idealismo tedesco » . Lo stesso sì deve dire della filosufia
in America. Quando la rivoluzione americana pose fine al peTiodo
coloniale e nel libero paese cominciarono a manilestarsi varie e nuove
correnli filosofiche ppiella del senso comune, il Trascendentalismo
di Kunt e de’ suvi discepoli, specie di Hegel; l'Idealismo di Berkeley
ecc., la filosofia conservò sempre la tendenza ad avvicinare la
speculazione alla vita, a non perdere il contatto con la realtà, a far
risallare il carvaltere pratico dei problemi filosofici. « Negli scritti, p.
es., dei seguaci dell'Idealismo Kanliano non è la critica che tiene il primo
posto, ma la psicologia cosidella scientifica in opposizione alla
psicologia metufisica» . Cfr. in «Rivista di Filosofia Neo-Scolastica »
(1 i Ssunto della relazione del MACHENZIE: La EIA nea in Inghilterra,
donde sono prese le parole citate. Revue Néo-Scolastique », I. c. rat
ET tit, 0 ELLI a_n GI Il Pragmatismo ('S Allualmente i
due indirizzi filosofici predominanti nel mondo inglese-americano sono o
erano qualche anno fa il Neo-hegelianismo e il Neo-volontarismo.
Quale dei due trionferà? Se la storia ci può ammaestrare, se il carattere
cinico dei due paesi può servire di fondamento a una previsione, se,
sopratutto, i sc si guì dei lempi sono veridici c intendo la reazione
"i Vivissima contro l'indirizzo Neo-hegeliano e la ten- DI
denza della filosofia contemporanea a dare il valore Li principale
della valutazione delle vedule speculative i al sentimento e alla volontà
possiamo applicare anche all'Inghilterra quello che il Turner scrive
dell'America: « È verosimile che il corso fuluro del pen| siero filosofico non
subisca tanto l'influsso dei Neo. hi legeliani quanto quello dei
Neo-volontaristi ». Ebbene, poichè il Neo-volontarismo americano
non è che il Pragmalismo, non sarà senza interesse lo studiarlo,
lauto più che esso non è più limitato a quelle regioni, ma ha suscitato
anni addietro vivo a interesse in lutto il campo filosofico, dove,
accanto e ; ul critici severi, trovò dei caldi ‘ammiratori. 1 suoi
nu espositori cd apostoli più autorevoli ne annunziava-. n° no, con lono
da epinicio, il trionfo sicuro su tutte le filosolie avversarie. Già lo
Schiller aveva annunziato il maturarsi di grandi eventi nel mondo
intellettuale à danno delle antiche forme di pensiero e a tulto
vantaggio di una forma nuova. È, come a sintomi | di un tempo propizio a
nuove intraprese filosofiche secondo la nuova forma, egli guardava con
compiacenza al successo che ha avuto l'opera del Balfour: «Le basi della
fede»; alla serie di opere popolari. del James: «Lu volontà di credere,
Immortalità _ mana, Le varie forme della cuscienza religiosa» |
alle letture di James \vard « Naturalismo e agno È | Slicismo», e,
sopratutto, all'esser uscito da Oxforà, «una volla centro di Idealismo,
un manifesto così dace com'è «L’'idealismo personale» dello stesso
| Schiller e di altri membri dell’Università, e ai lavori Linee
fondamentali della scuola di Chicago (alla testa della quale slava
è il Prof. Dewey), pubblicali nelle « Decennial Publica ‘ tions»
della Università . i; Quivi afferma pure che il Pragmatismo «non
passa più inosservato: esso ha raggiunto la fase del «batti ma ascolta!»
e quando i falsi concetti, È dovuti a prella mancanza di famigliarità con
la dot- |A trina, saranno dissipati, entrerà in una fase di ulile D
applicazione ». D'allora fino a pochi anni fa, il Pragmatismo s'è *
affermato con sempre crescente energia, suscitando vive polemiche,
incontrando simpatie e disprezzo, seguaci c avversari, così che polè
scrivere il James: «Oggi la parola Pragmatismo empie le pagine
delle .. © riviste filosofiche » . E ancora: «Parecchi indirizzi di
pensiero che mancavano di un denominatore comune lo trovano nella parola
Pragmatismo » . Esso ha avuto in tutte le nazioni rappresentanti
di grande valore, fra quali, i principali sono: in America il James
e il Dewey; in Inghilterra Jo Schiller; in Germania il Simmel e il Jerusalem ,
in Ilalia gli seriltori del Leonardo, specialmente il Papini; in Francia,
ScHiLcen, IJumanisim, VIII-IX, London, Macmillan 1903. Ri;
(9) Der Pragmatismus. Ein neuer Name fr alte Denkmetho«en, trad, in tedesco dal
Prof. \VILHELM JERUSALEM, Leipzig. Verlag. von Klinkhardt. Di questa traduzione
tedesca mi servo nella esposizione del Pragmatismo. Sì è voluto vedere un
Pragmatista anche nell'Eucken. In s tà il suo «ttiwismo non ha niente a
che vedere col Pragmatsmo, L'Attivismo poggia sopra determinate
presupposizioni metafisiche, mentre il Pragmatismo è puramente empirico;
a eno il Pragmatismo inglese e americano, «Il ripudiare com fa
l'Eucken, Ja concezione intellettualistica della vita, non è una
caratteristica del Mo- | | talismo e di Misticism ca
À « n Pragmatismo ma di ogni specie di (OA 2 vrib
CE: Il Pragmatismo . Blondel, Roy, Bergson e molti fra i modernisli
più avanzati. Come si vede, aveva un po' ragione lo Stein quando
scriveva: «Abbiamo di nuovo una « parola d'ordine» filosofica, che è
diventola grido di guerra di un nuovo indirizzo di pensiero, di un movimento
filosofico che passa potentemente dall’ America sul vecchio mondo e
comincia a incerospare la superficie - delle nostre acque stagnanti ». Facciamoci a considerare
davvicino una tale filosofia, allenondoci specialmente ai suoi due rappresentanti
più illustri: il James e lo Schiller. gs 2 Il nome pragmatismo viene dal
greco pragma che significa azione, operazione, viene dalla stessa radice
che ha dato origine alle parole prassi, pratico; perciò, più italianamente
sì chiamercebhe praticalismo. Jl primo a introdurlo nella filosofia è PEIRCE
[citato da H. P. Grice] nel senso di un metodo che consiste nel giudicare
del valore di una affermazione dalle sue conseguenze nella pratica, ossia
di un metodo che era già stato applicato dall’empirismo inglese alla
valutazione delle conoscerize umane. Ecco in breve Ja sua dottrina. È un
falto psicologico che il dubbio, l'incertezza producono in noi uno stato
di malessere, di irritazione; uno stalo spiacevole insomma, Per
uscirne e noì vogliamo uscirne è necessaria una convinzione, una credenza in
cuì l’attività del pensicro possa riposare: la credenza
attutisce le sofferenze del dubbio. Produrre la credenza è
la sola funzione del pensiero: il pensiero in altività
non persegue allro fine che il riposo del pensiero e lo distinguono
profondamente dall'inglese-americano. «Archiv. fur system Philos.» Egli
espose il suo sistema fino dal 1878, ma non fu che | dopo essersi servito
lungo tempo della parola CART EVA nella conversazione, che la stampò nel
1902 in un articolo . | dizionario del Baldwin. Così MARCEL
HénerT, Le Pragmatism Bi. Alcan, Paris. Lan "a IL
pragmatismo francese ha peculiarità tutte proprie che. 2A f
10 Linee fondamentali quindi tutto ciò che non contribuisce alla
formazione della credenza non fa parte del pensiero propriamente detto.
La credenza, poi, ha per fine di produrre un'abiludine alliva, che diventa
regola per fazione. Se le credenze mettono fine allo slesso dubbio,
creando la stessa abiludine e la stessa regola d'azione, non
diversificano fra loro. Per sviluppare, quindi, il senso d'un
pensiero non c'è da far altro che determinare quali abitudini essa
produce, poichè il senso d’una cosa consisle semplicemente nelle abiludini che
essa implica. Il caraltere di un'abiludine dipende dal modo con cui essa
ci fa agire in ogui possibile circostanza... e il fine dell'azione è di
condurre a un risultato sensibile. Noi prendiamo, così, il sensibile e il
pralico come base di qualunque differenza di pensiero, per quanto
sottile possa essere. Non v'è nuance di sigmificalo così sottile da non
polev produrre una differenza nella pratica . In allre parole: Il
pensiero crea la “convinzione, la convinzione è regola dell'operare
e in tanto vale in quanto ci fa operare; fine dell’opel'are è il
risullato sensibile, pratico: questo, dunque, deve servirmi di crilerio
per giudicare del valore del pensiero, per conoscere con chiarezza il
significato dei concetti. Come render chiare le nostre idec? Inlerpreliumole
dal punto di vista pratico, domandianio ad esse quale efficienza pralica
contengono, quali Sensazioni possiamo aspellarci dall'oggetto che
ci bappresentano, e quali reazioni dobbiamo preparare. La
rappresentazione di questa efficienza pratica, mediaia 0 immediata, costituisce
per noi l'intera rap. presenlazione dell'oggello e in ciò sla tutto il
significalo positivo della rappresentazione. « L'idea di una cosa è
l’idea dei suoi effelli sensibili », dice PEIRCE [citato da H. P. GRICE] . «E contradittorio il dire che si conosce
con Così nell'articolo «ITow to make our ideas clear pub pippoz pt
Egnular Science SOA Y >, 1878-XII, e tradotto «Rev HosophiQuew
1879-VII: «( x È ados sansa DI phig TO-VII Comment vendre nos
« Revue philosophique». |
IRIS Il Prugmatismo precisione l'effetto di una forza, ma che non si
comprende ciò che è la forza in sè slessa; conoscendo gli effetti della
forza si conoscono tutti i fatti implicili nella affermazione della esistenza
della forza e uon v'è più nulla da conoscere. Come render chiare le
nostre idee? «Pensando », risponde il Des Carles, conducendole alla
evidenza della proposizione: « Cogilo ergo sum ». Agendo, ri sponde
PEIRCE [citato da H. P. Grice]; rendendo esplicita la potenzialità ‘*
d'azione che è in esse, nell'oggetto rappresentato: è ciò che
agisce, è distinto ciò che produce effetti distinti nella vila pralica: dunque
al: «Cogito ergo. sum » sì cosliluisca V« Ago ergo sun ». Tulta la
funzione della filosofia è di scoprire quale differenza definitiva forà a
ine 0 a te in definiti istanti della vila se questa è quella formuia del
mondo fosse la vera. 4 Tale è il principio del Pragmatismo.
Rimasto inosservato per venVansi fu mpreso dal James ed appli calo alla
religione , prima, alla conoscenza 10:C Ca nerale poi. D'ullova in por
tanto il nome quanto i principio hanno falto forluna, così che i due
leader: pragmalisti ce no possono dure una esposizione co vaggiosa
e abbastanza sistemalica in due opere ap parse nel niondo anglo-sassone e
diffuse rapidamente fra i cultori di filosofia. “a Per comprendere
l'importanza del principio enun: 3 ciato, ci avverte il James (8),
bisogna abiluarsi ad applicarlo vi casi particolari, come fece con
perfetta | chiarezza, senza nominare il Pragmatismo, l' Osl- wald
nelle sue lezioni sulla filosofia della. nalu -. TTI) 92. Ne
Tm una conferenza tenuta nel 1898
davanti alla società. fil “sofica di Howison nella università di
California, Al JAMES il n | me non Dpince, ma ormai «è troppo tardi per
cambiarlo »; egli dice nella prefazione al « Prugmatismus», D. X. Zweite Vorlesung, P. 29. 12 Linee
fondamentali conforme a ciò che egli stesso scrisse al
James: « Tutte le realtà influiscono sul nostro operare c ? questo
influsso è quello che per noi esse significano. - Nelle mie lezioni iv
sono solito domandarmi: in qual differente rapporto starebbe ‘il mondo se
fosse vera questa v quella alternaliva? Se non trovo niente per cui
sarebbe differente, l’alternaliva non ha sensi so » . Che è quanto dire: le
opinioni rivaleggianti, «nel caso. hanno identico significato pratico e
non esiste che un solo significato: il pratico . Ossia: qual'è il
valore di un’idea? Risolvetela in fatti; il valore di questi ‘rappresenta
il valore dell'idea. E poichè i falli in tanto sono in quanto sono da
noi csperimentali, il valore di un'idea mi è dato se la risolvo in
terraini di esperienza. Applichiamo, p. es., sil principio del
Pragmatismo all'idea di sostanza. Una sostanza noi la conosciamo per i
suoi attributi (accidenti) ai quali si riduce tulto ciò che di essa
si può esperimentare: che sotto gli accidenti ci sia o di essi, è
pralicamente indifferente, lanto che, se Dio, lasciando l'ordine degli
accidenti, distruggesse la sostanza, noi non lu potremmo neanche
sapere. Se del legno mi resta la combastibililà e la struttura
Vascolare che può imporlarmi del quid in sè inaccessibile ad ogni forma di
esperienza? d Dunque Ja sostanza come un quid in sè distinto dagli
accidenti non ha valore alcuno: per me la so| Slanza non è che il complesso de'
suoi accidenti. L'unica applicazione pragmatistica dell'idea di soStanza
si ha nell'Eucarislia, dove, per il caltolico non sono gli accidenti che
valgono, ma la soslanza del corpo e del sanguc di G. C. Così la crilica
del Berkeley della sostanza materiale è affatto pragmalîslica, e
pragmalistica è la critica del Locke e del l'Hume della sostanza
Spirituale, e, per parte del Bea, o n () P. 29:50.
Anche l'OstwaLo è contato f | dlallo SCHILLEK e dal JAMES; a
ragione, secondo SIT RESTRA 3 oro, secondo il Croce. Cfr. «
Critica» A. VI, {. IÎT ; Ibfa.
A non ci sia un quid come soggetto, sostegno,
substrato. ià It Se ll Pragmatismo 13
Locke, è l'autocoscienza, cioè, il fatto che noi, in un dato istante della
vita, ci ricordiamo di quello che eravamo in altri istanti e sentiamo
questi istanti come parli della stessa serie personale di avvenimenti
vissuti. Se, nella ipolesi dei sostanzialisti, Dio ci togliesse
l’'autocoscienza, a che ci gioverebbe la soslanza dell'anima? Ed ecco perchè
l'Hume e, dopo di lui, la maggior parte dei psicologi empirici,
negò l’anima addimttura . Altro esempio. Il teista afferma
che il mondo l'ha cercato Dio; il materialista lo dà come il risultato
di forze fisiche, cieche. Ebbene, le due teorie sono
identiche, se il mondo si. considera come un tutto terminato, completo.
Poichè «che valore ha Dio per il mondo, per noi, se Egli non lo può
mutare e far procedere di un passo? Sé il mondo fa lutto quello che Dio
fa?» Ma se il mondo non è al termine della sua evoluzione, allora
la questione: «Materialismo e Teismo» acquista una importanza vitale. La
‘scienza della natura pre“dica che la fine di ogni cosa e di ogni sistema
di cose cosmiche è lragica morte! Tutto sarà come non fosse slato
mai: luomo e il mondo, la virlù e gli ideali, i dolori e gli amori: ceco
l’ultima parola del materialismo! Ma se Dio esisle, se è Dio che
dice al mondo l’ullima parola, allora potrà perire il mondo materiale, ma
gli ideali saranno conservati e lrionferanno altrove. Il Materialismo
nega l'ordine morale e recide le speranze che su quello si fondano; lo
Spiritualismo afferma un eterno ordine morale del mondo e lascia libero spazio
alle speranze Dritte
Vorlesung, p. 52 seg. Non per nulla il JAMES ha dedicato il suo
libro alla memoria dello Stuart Mill, confes sando la sua dipendenza da
lul; «Alla memoria di Giovanni Stuart MIN, dal quale ho imparato
la prima volta la pragmatica apertura dello spirito e che, nella mia fantasia,
figuro. così. volentieri come il nostro duce, se vivesse al
presente Non per nulla il sottotitolo aggiunto al Pragmatismo
suon . uun nome nuovo per alcune vecchie maniere di pensare», sua:
sono, nient'altro, che Je maniere del vecchio Empirismo inglese,
14 Linee fondamentali dell'uomo . Lo slesso
principio si deve applicare alla questione della finalità nella nalura e
della libera volontà. Dio, finalità, volontà libera, pragmatislicamente hanno
un senso; intelleltualisticamente nessuno . ) x Empirismo,
dunque, e Pragmatismo applicano lo stesso principio, giungendo,
naturalmente, alle stesse conseguenze. Con una differenza però, tiene a
dirci il James. I vecchi empiristi non fecero che un uso frammentario del
principio pragmatislico: ne erano un semplice preludio. Il Pragmatismo rappresenta
l'empirismo in una forma più radicale e meno aperla alle obbiezioni. Esso
volta le spalle risoluto, una volla per sempre, a una mollitudine di
abitudini antiqualo, care ai filosofi di professione: alle astrazioni e
alle sottigliezze, alle soluzioni puramenle verbali dei problemi, alle
argomentazioni «a priobi» ai principî fissi, ai sistemi chiusi, all’assoluto
e all'originario, alla vecchia melafisica intellettualisfica, Insomma, la
quale, quando ha dato al princi. pio dell'universo un nome misterioso:
Dio, materia, ragione, assoluto, energia, crede di possedere il sismficalo
ullimo dell'essere e di aver raggiunto il fermine delle sue ricerche
metafisiche 13). L'atteogiamento di opposizione del Pragmatismo all’intelIeltualismo,
alla filosofia dell’assoluto, all'a priori è dci più decisi .
Il Pragmatismo si volge alla realtà, ai fatti, all'agire, alla forza, è
signore della disposizione empirica, ama l’aria libera e le molteplici
formazioni della natura, sì oppone al dogma, alle artificiosità,
alla pretesa di aver raggiunto la verità definitiva (9). Dritle Vorlesung, p. 59 sgg. p. 76. «Eine andere als dicse praktische.
Bedeu tung haben die Worte: Gott, Will Z, MO ATADen ensfrelheit, Zweck,
ùber Zweite Vorlesung, D.
31-33. E Spesso violento
contro i Neo-hegellani. Più che nel James tale violenza apparisce nello
Schiller, il quale si trova di fronte ad un hegeliano Vi gni
ig non meno aggressivo, quale è {l IUid. p. 32. ne 1° MN i
14 PACI ZZZ Il Pragmatismo 15 Il Pragmatismo è radicalmente
empirico e anti intellettualista perchè vuol essere una dottrina
per la vita prima che della vita, un metodo ordinato alla
sodisfazione dei bisogni umani quotidiani. « Esso non ha dogmi, non ha
dottrine, non ha che il suo melodo. Ci fa stornare da ciò che è primo, dai
principî, dulle calegorie, da presupposle necessità, e ci fa
volgere lo sguardo alle cose ullime, ai frutti, alle conseguenze, ai
fatti . Perciò non accella nulla, non ripudia nulla a priori. a
“sso chiede a tulte le teorie, a tutti i sistemi, a sa lulli i concelli:
qual'è il vostro valore pratico? siete. utili e come e quanto siete ulili
alla vila pratica, all'adattamento dell’uomo alla natura e della
natura all'uomo? L'uomo ha due grandi bisogni: di fatti e di
principî, di scienza e di religione. Ebbene, quale filosofia si offre
all'uomo per soddisfare a questi suoi bisogni? O l'Empirismo che degrada
l'uomo col suo Materialismo e nega la religione, o il Razionalismo
religioso bensi, ma lontano da ogni contatto col mon- : do, colle nostre
gioie e coi noslri dolori e per il quale le cose reali sono un niente: è
questo il dilemma atluale nella filosofia . ma Il Pragmatismo invece può
soddisfare ambedue quei bisogni: può conservarsi religioso come i si9
slemi razionalistici e può mettersi in intima unione coi falli (3;. Il
Pragmatismo, come dice il Papini, si. trova nel mezzo delle teorie come
un corridoio in un albergo. In una slanza v'è, forse, un uomo che
la-. vora intento ad uno scritlo ateislico; nella stanza ulligua un
allro chiede a Dio con la preghiera fede «e forza; in una {erza un
chimico ricerca le proprietà dei corpi; nella quarla sì sta abbozzando un
sistema Vily] Ib2d. n». 34. «Er hat keine Dogmen und keine
Leh ausser . seiner Methode. Die pragmatische Methode bedeutet.
Keineswegs bestimmte Ergebnisse, sondern nur eine orlentie- * rende
Stellungnahme ». >» JAMES consacra alla illustrazione di questo
dilemma tutta la prima lettura: «Das gegenwàrtige Dilemma in
der Philosophie ». Erste Vorlesung, DD. 10-12. o
x è 16 2 Linee
fondamentali di metafisica idealistica, nella quinta un Tizio dimostra
la impossibilità di ogni metafisica. E il corridoio appartiene a tutti.
Tutti vi debbono passare se abSE bisognano di una via praticabile per entrare e
per hi uscire ., Così il Pragmalismo è anzilulto un metodo: il
suo fine è di por terminc alle beghe filosofiche presenì lando un
criterio Pratico per giudicare del valore di NY”. lutte Je dotlrine. Il
mondo è una uni B va plicità? Vi domina il fato 0 vi è una volontà libera? È materiale o spirituale? I giudizi dati in Proposito valgono
tanto che niente e le discussioni sono interminabili. Ebbene, in questi
casi il metodo ; Ppragmatistico consiste nel lenlalivo di
interpretare a ognuno di questi giudizi dalle sue conseguenze prai tiche.
Quale differenza pratica risulterebbe per qualcheduno se fosse vero l'uno o
l'altro di quei giudizi? Se nessuna, i due giudizì opposti si equivalgono
r.raicamente e ogni discussione è oziosa : dove 1.n c'è differenza di
Significato pratico non vi può essere differenza di significato teoretico. Con
questo metodo, sempre secondo il James, si sare gli allriti,
attenuare le contese ie intelligenze, riuscire alla concordia e alla
pace, Esso © dunque un mataviglioso eirenicon perchè «non «Vale la
pena di opporre l'una all'altra nel campo «della speculazione due teorie
che abbiano le medesi f me fo eguenze pratiche per tutti e
in. tutti i fem- LE Pi» . .Contrariamente alla vecchia metafisica il
Inelodo Pragmalistico non permette ecc. come lermine
ultimo della ‘l'icerca, ma le fa lavorare nella corrente dell'esperienza:
le teorie non sono soluzioni, ma programma per nuovo lavoro;
non risposte definitive, ma strumenti d'azione, ma indice che cj addita i mezzi
per. Ì ) di considerare le parole : È __ Dio, materia,
energia, ty Gazelle Vorlesung, p. 34, Questi concetti sono
SvIluppati specialme t Il Lettura seconda: « ]J'gs will der Praggn,
tall, J ll Pragmatismo?), er Pragpmatismus? (Cosa vuole
“Ri ORANDO, La Mlosoha | «Rivista Rosminiana SERBATI (si
veda)» A Apologetica Moderna] dell'azione e vr » N., not?
PO UTNE e ne I Il Pragmatismo 1? k i) | 1 quali
le realtà esistenti possono esser mulate e adattate all'uomo . Il
Pragmatismo toglie così alle i leorie la loru rigidezza, le rende
malleabili, le fa la j vovare . Esso si accorda col Nominalismo nello
È i attenersi al parlicolore, con i’Utilitarismo nell’ac- es
| cenluare gli oggetti pratici, col Positivismo nel di-, i
sprezzo delle questioni inutili, delle soluzioni ver- “@ i bali,
delle astrazioni metafisiche, di tutto ciò insomma che non serve all'uomo nella
vita reale. Perchè luomo è il centro dell'universo, afferma l'Uma nismo conlro il Noaluralismo che considera l’uomo |
è. come parte della natura e contro l'Idealismo che lo son
subordina ad un Assoluto. Alla concezione cosmocentrica (Uanlica) e alla
teocentrica (la medioevale) ani deve sosliluirsi l'aniropocentrica.
«L'uomo è la misura di tulle Je cose!» proclama lo Schiller, il neo- È
prolagorista, con Prolagora l’umanista . L'Umanismo consiste
semplicemente nel rendersi conto che sono degli esseri umani coloro ai
quali è proposto. il problema filosofico, degli esseri umani che si sforzio
di comprendere un mondo di esperienza umana | coi mezzi che fornisce lo
spirilo umano. Secondo l'Umanisimo sono «il sentimento e la
vo lonlà che custiluiscono l'interesse centrale dell’essere che usa i
sensi e la ragione come suoi strumenti nel mondo esterno ». « Theorien werden... zu Werkzeugen », p:
33. Ibid, Macht sie geschmeidig
und lisst sie arbeiten n. Fra
V'Umanismo e il Pragmatismo, quale è esposto dal James, c'è differenza
poco più che di nome. Secondo lo Schil«_ ler l'Umanisino è più largo, il suo
metodo sì applica a tutto: i d@ll'etica, all'estetica, alla metafisica,
alla teologia, mentre il Pragmatismo non si applica che alla teoria della
conoscenza. In realtà Je applicazioni che fa lo Schiller del suo metodo,
È le sa o le accetta anche il James, Lo confessa il James stesso, ] P.
Al. n° AE | _., Protagora l'umanista, è il titolo del «Saggio XIV»
d Gli: Studies in Mumanism, p. 302. A p. 36 egli stesso chiam il
suo sistema « Nèo-Protagoreanismo », > o ip”td 54 18
- Lince fondamentali Perciò l'Umanismo implica il Volontarismo,
ossia la filosofia più autropocentrica che si possa dare. L’«ago
ergo sum», del Pierce può essere sostituito «dal «volo ergo sum».
L'Umanismo è anch'esso un melodo: ciò che lo caratterizza è il suo alleggiamento
benevolo di fronte a tutte le concezioni, purche non si voglia erigerle a un
che di « assoluto ”, ma sì prendano come pure interpretazioni umane
5, dell'esperienza umana. Non si dimentichi avverte Schiller «che l’uomo è
la misura di tutte le cose, cioè di iullo il mondo dell'esperienza... non
si dimentichi che l'’uomu è il fattore delle scienze che servono aì
fini umani» . Tutto dall'uomo, tutto all'uomo, tutto per l’uomo: ecco
l'’Umanismo. Il Pragmatismo accetta questa dottrina umanistica, e
«io dice il James la tratto sotto il nome di Pragmmalismo » . L’Uinanismo
è, per così dire, il soflio, l'anima che pervade le affermazioni pragma |
lisliche: non ha valore che ciò che ha un significato per l'uomo. La
logica finora ha tentalo di essere una pscudo-scienzu di un, processo non
esistente e im| possibile chiamaio pensiero puro. In nome di essa ci fu
comandalo di espungere dal nostro pensiero Ogni traccia di sentimento,
d'interesse, di desiderio © di emozione, come le Diù perniciose surgenti
di ertore. Così la logica fu ridolta ad una pura rappre| Sentazione sislemalica
falsata dal nostro pensare al luale, perchè non si è voluto osservare che
quegli inMussi (sentimento, emozione) sono egualmente fonle di verità e
pervadono tutto il nostro processo co| gilulivo . Poichè «il Primo passo nella
acquisiHumanisme, (Prefazione) p. xx. Lettura seconda, p. 4I, (8) ScHirLen,
Humanism, p. X. E allo Sc € dobbiamo principalmente 10 SEITE ELE 0
logico e gnoseo zione di nuove conoscenze è l'intervento di un postulato
emozionale. Non si può passare dal noto all'ignoto, o, certo,
la natura data di un conosciutu non può formare il a fondamento logico
per la inferenza di caratteristiche 0 opposte nel non conosciuto, se non
c'entra il deside- |. Ù rio. Come posso, p. es., inferire dal male che
c’è nel ò mondo la necessità dell’esistenza di un mondo mi: gliore,
sc il ragionare come afferma la logica tradizionale è il prodotto di un
pensiero puro non affetto da volizione? «Sollanto se una
trasfigurazione sconosciuta dell'altuale è desiderata, può esser pensata e, in
parecchi casì, ‘rovata. Tutte le concatenazioni di un pensiero puro non
influenzato dall'affetto non potrebbero mai raggiungere e ancor mero
giustificare quella conclusione: per raggiungerla il nostro pensiero deve
ricevere l'impulso ced esser guidato dai suggeri menti della volizione e
del desiderio » . La ragione «pura» e una pretla finzione c una impossibilità
si psicologica; lu strultuva reale della ragione attuale E è
essenzialmente pragmatistica ed è penetrata fino n] nelle midolla
(permeated (lhrough and through) da ulti di fede, da desiderì di
conoscere e da volontà di credere, di non credere, di far credere. E
altrove: Dini” La intellezione pura non è un fatto che abbia luogo
| in natura; essa è una finzione logica. Im realtà il * a nostro
conoscere è condotto e guidato, ad ogni passo, dai nostri interessi e
dalle nostre preferenze, dai | Il Praghiatismo / i
| nostri desiderî, dai nostri bisogni e dai nostri fini. x
Questi formano il potere movente della nostra vita intellettuale.
« Vi souo ragioni del cuore delle quali la testa non 3: sa nulla ,
postulati di una fede che sorpassano la È 2 p. XI. >» p. XII «To attain it, cur
thougth needs to be impelled vi ‘na guided by the promptings of volition
and desiro ». POS)
L'aforismo, citato dallo Schiller, è di
BIAGIO PASCAL,(Pensées), LA 4 20 Linee fondamentali
intelligenza pura e possiedono una razionalità più alta che un
gretto inlellettualismo non è riuscito a comprendere. L'irrazionale si
trova ad ogni passo, in ogni processo della vita conoscitiva ». La
fede «sla a base di ogni «ragione» e la pervade, anzi la
razionalità stessa è il supremo postulato della fede. Senza fede
non c'è ragione; la fede è un ingrediente nel progresso della conoscenza;
realizza sè stessa nella conoscenza che ne abbisogna e ia aiula
alle conquiste fulure. Così sparisce l’antitesi tra fede e ragione
perchè la razionalità pura non esiste . Il carattere leleologico della
vita mentale influenza e pervade le nostre ullivilà cognoscilive più
remole. Questo, secondo lu Schiller, è il pensiero centrale del
Pragmatismo: ne dà la vera definizione . Il pensiero Non è un prosesso
aslrallo, ma si svolge in una - psicologia concrela, è una
funzione vitale è perciò finalistica. L'uomo non pensa per pensare
e il Pragmalismo è: «una prolesta sistematica contro l'ignovanza della finalità
nella‘conoscenza » . La volontà, lintenzionalilà è da per tutto: il
Volontarismo si constata nella psicologia, nella logica e nella metafisica,
È questo uno dei lralli caratteristici del Punto di visia leleologico. Il
Pragmatismo si formula da per lutto in funzione della finalili. La
ragione è un'arma nella lolla per l'esistenza cun mezzo per l'adattamento
» . Ne segue che l’uso pratico che ha presiedulo al suo (della
ragione) Questi concetti lo
Schiller li ha svolti speci: te i JI S ° seialmenie in un articolo:
NFailh, reason and religion pubblicato SI The Ilibbert Journal» 1V, 2. Vi
si dice, tra l'altro, che è base essenziale in scienza e in religione partire
da supposizioni che TS OLolale provate o che non possono provarsi. Così,
se ; Viviaino per fede può anche esser veri r Ralemo pen pata L e esser
vero che cono Mumanism, D. 8. Cfr.
anche Stud. in Ium, Stud. in Hum Essay, I et * Èssay, I $ II È ques a ses sette
definizioni che lo Schiller ci dà del PRE Se nite e collegate
l’una con l'altra nei S S b ;3 «I cannot but conceive the Or AR] In the
struggle for existence and tation è. pag. 7, Humanism,
reason as being... a weapon a means of achieving adap
à, cea Il Pragmatismo i svolgimento, deve essersi
impresso profondamente nella sua strullura, se pure non l’ha
formata da istinti prerazionali. Una ragione che non ha valore n
pratico ai fini della vita è una mostruosità, una aber razione
morbosa, una mancanza di adattamento che la selezione naturale
presto o tardi deve far spari re {1). Quindi, da questo punto di vista il
Pragma lismo polrebbe definirsi: « Una applicazione coscien le alla
epistemologia (0 logica) di una psicologia te < leologica, che, in
ultima analisi, implica una metafisica voloniaristica » . pis TANA Nice
di questa psicologia felcologica applicata alla conoscenza i problemi
della logica devono apparire sotto un aspelto nuovo e si deve dare una imporlanza
decisiva ai concetti di proposito e di fine. Ta conoscenza presuppone
essenzialmente uno sforzo diretto a conoscere, che, come ogni sforzo, è
te-: leologico, ispirato da un bene che si vuol consegnire. SI Non
cè conoscenza senza valutazione; la conoscenza è una forma di malore, 0,
in allre parole, un fattore di bene . Lo aveva cià dello il
Lotze, nola lo Schiller. Il | Lofze, come è noto, insegnava che «la
scienza, come TU la logica, che ne è lo strumento, e come la metafisica
che ne è il coronamento, ha il suo fine e la sua giuslificazione
nell'elica, e irova il suo fondamento | slabile e sicuro in quel primo
dato originario e di | Ù conoscenza immediata che è la nostra vita
interiore, i col suo ricco contenuto di sensazioni, rappresenta
zioni, sentimenti e tendenze e col suo largo corredo di forme, calegorie
e leggi, da cui non possiamo pr scindere in qualsivoglia nostra
concezione e valut zione» . Mumanism, p. 8. È la settima definizione del Pragmatismo. Le
altre Je AFONSTRIDO parlando della verità e della realtà nel Pragma-
| smo. - ae p Humanism, p. 10. Cfr. anche sl quarto «Essay»
di questo volume: Lotze's Monism, D. 62 SE&. i » = L, AMBROSI, Per una monografia italiana sopra
Herm otze «La Cultura Filosofica», A. IMI, N. HI, p. 294-295,
ai dui # iii ar E° vee Linee
fondamentali Non è qui il luogo di dimostrare che, se il
Lotze ha dei punti di cuntalto con l'Umanismo, egli perè non è un
umanista alla Schiller. La ragione nelle sue esplicazioni molteplici, è
una strumento ordinato ai fini della vita. È questa la concezione
strumentalistica della conoscenza esposta dal Dewey e dallo Schiller e accettata dal James. Essa è un portato
del metodo evolutivo e della concezione biologica della conoscenza. Darwin con
la teoria della «lotta per l’esistenza » e della « selezio“ne naturale»
aveva insegnato «che nulla può susSistere o svolgersi che non abbia un
determinato Significato per l’intera concatenazione della vita ».
Scrittori posteriori (Spencer, Romanes, ecc.) sostennero che lu vita è un
continuo accomodamento alla natura circostante, fisica, sociale, morale.
E ora la teoria della evoluzione è chiamata da molti a spiegare anche il
sorgere e il progressivo. svilupparsi ella vita cognoscitiva e così i principt evolutivi di
cambiamento, di relalività e di movimento sono ipplicali a spiegare
l'origine e ‘lo sviluppo del pensiero in generale, il suo carallere, il suo
valore, allo 2 Stesso modo che erano già slali assunti a lumeggia-
i __Te c spiegare l'origine, Îo sviluppo, il significato, il Valore della stutlura, degli organi, di fulte
le dif__ Ierenziazioni biologiche. Come in bio non ha valore nè
senso che per la sua ulili dine all’adatlamento dell'individuo
condizioni fisiche circostanti, ha, cioè un valore e un senso puramente
Pratico, così in psicologia quaai 5 ao L'opera principale del Dewey è: Studies
1 Theory bey John Dewey, with the Cooperation of embe Fellows of
the Departement of Philosophy. Decennial Pubbli1 one of the
University of Chigago Second Series vol. XI e» Peli ha esposto le sue
teorie anche in: The esperimentai Pe: # in: eguig otel Mina (N. S. 59)
1906, Vol. XV Pp. 293-307; din; nd the Criterion uti Of
Tdeas (N Sì 6) "Vol NV she SII for tne Trutt of Ideas (N. S.
Lol),
Cir. Baowr, 7hioughi and rh; i * AP TS, ggpletaco, p. VILe VII. 11 Salto;
Vol. 1: Functional GI dottrina comuni col Pragmatism DIA ha parecchi
puntf Il Pragmatismo lunque differenziazione : sensazione,
coscienza, pensiero ecc., trova tutta la sua raison d’étre e la sua
giuslificazione nell’uso, nelle conseguenze, nella efficacia pratica. La
questione di valore non si può scindere dalla queslione di origine e di
sviluppo; la considerazione statica deve dar luogo alla considevazione
dinamica e quindi, per ciò che riguarda il pensiero, la logica formale
alla logica funzionale . La concezione biologica della conoscenza ha fatto un passo innanzi: non ha detto
semplicemente : applichiamo alla psicologia il metodo evolutivo,
(il che, per sè, non inchiude la riduzione della psicologia alla
biologia) ma ha detto che « tutti i prodotti del pensiero teorelico hanno
un carattere utilitario » (biologico) «cioè servono come strumenti al
conseguimento di fini essenzialmente biologici, perchè mirano a dare
soddisluzione alle esigenze dell’organismo cioè ai bisogni della vita» .
Questa subordinazione della vita teoretica alla vita pratica è
capilale per il Pragmatismo: nessuna maraviglia quindi se i suoi leaders
l'hanno accettata e fatta oggetto di studi speciali . DEWEY – Grice,
The John Dewey Memorial Lecture, New York --, oltre alla funzione generale
della conoscenza, ha soltoposto ad analisi il suo aspetto tipico: il
giudizio; mentre lo Schiller s'è occupato partico. larmente degli assiomi
primi della conoscenza. S'è veduto in che cosa consiste la
concezione strumentalistica 0 umanistica della conoscenza ; in base Baldwin, Op. c. 1. c. passim. È sostenuta specialmente dall’Avenarius, dal
Mach, dal Jerusalem, dall'Ostwald, dal Petzoldt e dal Simmel. Cfr.
le monografie di A. ALIOTTA sull’Avenarius, sul Mach, e sull Ostwald in
«Cultura Filosofica» a. II, n. 3, 5,7% a. DI, n. 3, 4. . Lo Psicologismo
logico dì A. LEVI: Cuit. Fil. a. III, n. 1, 9, 4, specialmente pp.
242-255. Vedi anche dell’Aliotta: /l pragmatismo anglo-americano, «
Cultura Filosofica » A. LEVI, Lo
Psicologismo logico, La « Cult. Fil.» a. IMI, pà et Intendiamoci: hanno
accettato la dottrina della subor‘dinazione della vita teoretica ai fini
pratici, in generale, no ai fini biologici esclusivamente, È 24 Lince fondamentali ad essa il
giudizio (dal Dewey) è interpretato in termini di funzione; esso è una
armonizzazione di varie parti della esperienza; è uno sforzo « per
determi. nare gli elementi che realmente procedono di conserva e per
respingere quelli che solo si collegano apparentemente »: così esso si
forma, per differenziazione, sotto l'impulso del bisogno di armonia e di
unità nelle esperienze . To Schiller afferma e dimostra, a modo suo, che gli
assiomi fondamenlali della conoscenza o primi princip! (di identità, di
contradizione, del terzo escluso, di causa) sono dei semplici postulati. Un
postulato è «una supposizione, che senza dubbio l’esperienza ha suggerilo ad
una mente che ricercava, ma che non è, nè può essere lenuta come provata,
poichè spesso di poi la si assume solo perchè la desideriaumo, contro tulta
l'apparenza dci fatti» . I postulali sono domande che noi facciamo alla
esperienza; processo di esperimento ordinato a porre il mondo in armonia
coi nostri desiderì; sono perciò un processo di sviluppo non dissimile
dalle altre attività e funzioni umane, derivando dalle esigenze
dell’uomo, dai suoi bisogni, dai suoi desiderì, dal suo volere: sono
quindi un prodolto della attività umana voliliva e affelliva. Noi
desideriamo che una cosa sia quello che è, che 4 sia sempre a, d
sempre Db, ecc. perchè diversamente, come polremo conoscere la sua
condotta futura rispetto a noi? e, per conseg&uenza noi desideriamo che
nulla venga a distruggere quella idenlità: così nascono il principio di
identità e di contradizione, che sono due aspelli (poSilivo e negalivo) dello
stesso principio, Noi esigiaMo delie distinzioni precise, delle disgiunzioni
complete, perchè con esse possiamo dominare (assimi- II, passim, Vedi
anche N. c. 257 dove si trovano le parole da’ Personal Idealism « Arioms 902.
La Cultura Filosofica » me citate, Macmiizs o! as Postulales
n London, ScHILLER in
3 «The Hibbert Journal» },
e, Il Pragmatismo lando ed eliminando) il lusso
ininterrotto della esperienza: vogliamo che una cosa sia o non sia: ecco
il principio del terzo escluso. Noi desideriamo di pro- si durre degli
avvenimenti utili alla vila e di impedire i nocivi; per agire abbiamo
bisogno di un mondo connesso, ordinato, postuliamo, cioè, una causa €
una ragione sufficiente. In realtà nulla è, tulto diventa; l'identità perfella
non esiste. La enntradizione è pensata frequentemente contro la grescrizione della
legge; l'esperienza non sodisfa le nostre esi- ae” genze, perchè in essa
non v'è una ragione suMceiente, e ve la poniamo noi. A chi
opponesse a questa concezione volontarislica delle leggi del pensiero, i loro
caratteri di universalità e di necessità, lo Schiller risponde che: «Ia
universalità di un postulato deriva dalla sua stessa natura, inquantochè,
quando ci serviamo di una proposizione di cui abbiamo bisogno,
intendiamo di farne uso ogni volta che ci piacerà; la necessità di un
postulato designa semplicemente il bisogno che noi ne abbiamo, ossia... deriva
dalle esìsenze di una volizione intelligente e finalislica; la incapacità
di pensare il contrario di una proposizione si riduce... ad un nostro
rifiuto di compiere un certo atto del pensiero ». Il James
accetta e fa sue le dottrine dello Schiller e del Dewey ce proclama: «Dalla logica scientifica è stala
cacciata la necessità divina, e al suo. posto fu messo l’arbitrio umano
». E altrove: pla mostri melodi fondamentali di pensare sono invenzioni
dci nostri antichissimi antenati e si sono. potuti conservare attraverso
{tutte le esperienze successive. pe Il James considera gli « Studies in Logical
Theory » com | fondamentali per il Pragmatismo. Cfr. Der Pragmatism
Vorwort, XI, AI ve, 26 Linee fondamentali Essi formano
ciò che si chiama «il senso comune », che, in filosofia significa l’uso
di certe forme dell’inlelletto e di determinate categorie del pensiero.
Noi pensiamo per calegoric: esse ci sono necessarie per mettere
unità e ordine nella piena confusa, nella Varietà sensibile delle
esperienze, per combinare con meno dispendio di forze possibili le nuove
con le vecchie esperienze, per fare i nostri piani, per conneltere il
iontano dell'esperienza col vicino, per adatlare, in una.parola, la esperienza
ai nostri bisogni dopo averla dominata. E la dominiamo razionaliz-
\ zandola. i «Se fra le impressioni dei sensi e i concetti
posè». cai È, t ATI tas siamo
trovare rapporti univoci abbiamo già razionalizzato le impressioni sensibili. I
senso comune > mette questa razionalità nelle esperienze
(vollzieht diese Ralionalisirung) con vna serie di concetti, dei
î sà quali i più importanti sono i seguenti ; 4 = Cosa
(in sè) Identità e Diversità Specie
Spi- x, rili -— Corpi Un lempo Uno spazio Soggello b e
ullributo Influsso causale Immagini fanta- > stiche
Realtà . 9 Queste categorie lrovale forse in momenti felici
ai nostri antenati si sono conservale e sono divenule la base del nostro
pensiero per la loro sufficienza a servire ai fini della vita pratica. Ma
sarebbe possibile che calegorie diverse dalle enumerate po__lessero
servirci, come quelle che usiamo ora, alla elaborazione della nostra
esperienza. Del resto il Senso comune non è che una fase della
evoluzione dello spirito umano, c, nonostante che la filosofia
_bemipatelica abbia tentato di fissare per sempre le Sue categorie,
concatenandole ordinandole in si _ stema, Mon si può dire, tuttavia, che
la concezione MICCCALVII È a più i DI lipi o fasi di pensiero: il
naturalistico 6 il car a scienza della natura e la filos
riti hanno. rotto i limiti del pensiero ATao CECI Finfte Vorlesung. Con
la scienza della natura cessa il Realismo ingenuo. Le qualità secondarie
perdono la loro realtà: non restano che le primarie. La filosofia critica
distrugge lutto: le categorie del senso comune non significano più nienle di
reale. Esse non suno che astuti provvedimenti del pensiero umano;
sono l'unico nostro mezzo per isfuggire alla inquietudine in cui ci getta
l'incessante corrente delle sensazioni . Noi abbiamo così tre tipi
caratteristici e diversi di pensare il mondo: Ugnuno ha i suoi meriti (il
naturalistico, almeno, può vantarsi di aver servito ai fini pratici
quanto il senso comune; si pensi al Galilei, ad Ampere, al Faraday! ìl
critico invece, pur troppo, nun ha dato che soddisfazioni teoretiche, 0 quasi);
nessuno di essi è assolutamente più giusto e più vero degli altri .
e; La loro verità dipende dalla loro utilità nei casi
particolari. Questo il Pragmatismo nel suo metodo e nelle sue
presupposizioni gnoseologiche fondamentali: melodo et presupposizioni che
ne costituiscono la vera essenza. Il James dice che un aspetto essenziale
del Pragmalismo è anche la sua leoria genetica della verità . Lo
Schiller, dal canto suo, scrive che: «parallela alla teoria della verità è
quella della realtà », e perciò la trallazione della prima non può
andar disgiunta dalla esposizione critica della seconda . A me pare
che tanto l'una che l'altra, più che dottrine essenziali del Pragmalismo, siano
corollari, 0 applicazioni del metodo alle due forme oggettivosoggettiva c
oggettiva dell’essere. E Di queste due applicazioni dobbiamo ora
occuparci lrattando della teoria della verità e della realtà nel
pragmatismo. Par Der Pragmatismus,
p. ki: Das wdre das Wesen des Pragmalismus: erstens eine Methode
und zweilens cine. gene tische Wahrhettstheorie », Stud, tn Hum., p. 284,
"E lla ate RA A da LTL LA TEORIA
DELLA VERITÀ E DELLA REALTA. La Condotta. La dottrina della verità. La
dottrina della realtà. Che cosa ci sa dire la filosofia intorno alla
condotta? La pone in allo o in basso, la esalta ponendlola sopra un piedestallo
all'adorazione del mondo 0 | la deprime perchè venga calpestata dalle
persone i Superiori? In allre parole: qual'è, secondo la filosofia. lo
relazione della lcoria colla pratica della vita, della cognizione
coll’azione, della ragione teoretica colla pralica? » . Così comincia lo
Schiller il suo primo saggio del volume: Umanismo, La base È
elica dellu metafisica ». E continua: «La dottrina di È, questo rapporlo
coslituisee uno dei capitoli più inbi tricali della storia del pensiero. Da
questo capitolo della storia risulla chiaramente un fatto: che le
prelese delle teorie antagonistiche (leoreticiste e praligra * cisle) sono così
larghe e così insistenti da rendere impossibile ogni compromesso
fra loro; bisogna scepai gliere-fra i due estremi: o la condolta è lutta la
vita. i O è nulla; 0 è la sostanza del tutto, o è la visione dì un
sogno: aul Caesar aut nullus. Noi sappiamo a giù quale dei due
estremi abbia scelto il Pragmatisil smo. Invece di supporre che il pensiero sia
altra cosa o dall'azione, esso tralta il pensiero come una forma di, È
condotta, come una parle integrale della vita attiva. umanism, Invece di
considerare i resultati pratici come poco o affatto importanti, fa dei
valore pratico un determinvute della verilà teoretica. Im una parola: la
condotta, in luugo di svanire nella nullità di una illusione, è ristabilita nel
potere di controllo di ogni dominio della vila. Dal punto di
vista pragmatislico della psicologia leleologica, inlcsa come s'è vedulo, tanto
i problemi logici quanio i metafisici si presentano in una luce |
nuova, poichè vien dala una importanza decisiva i | concetti di proposito
e di line. SH Il Pragmalismo è una protesta sistematica
contro l'abitudine di iguorare, neile nosire lcorie sul pensiero e sulla
realtà, la finalità del pensare attuale © i rapporti delle nustre realtà
attuali ai fini della vila; è r'aflermazione delta basc chica della
iogica e della id metafisica. « La valutazione (cologica è una
sfera speciale della ricerca clica, € quindi il Pragmatismo, To con
la sua accentuazione della teleologia in ogni (campo del pensiero,
assegna al metodo lipico «della elica una validità metalisica » ,
alfermando la su preva autorità della concezione etica di bene sopra
| da concezione logica di vero € la metafisica di reale. II bene,
il valore pratico © un determinante essenziale così della verità come della
realtà. La condotta è la sostanza del tulto. La nostra apprensione
del reale, la nostra comprensione delia verità si effet luano
sempre in esseri che tendono al consegui mento di qualche bene: sono
penetrate, informate “dalla tendenza a un fine pratico, dalle esigenze
della condotta. pt g 2. Chi studia seriamente i processi
conoscitivi della intelligenza umana viene subilo a trovarsi d
fronte al problema dell'errore. Tulte le proposizioni La teoria della
realtà e della verità logiche hanno l'audace pretesa, senza riserva e senza
d riguardi alle pretese delle altre, di esser vere. Eppure gran
parle di esse non sono che delle menzogne : non sono realmente vere e la
scienza deve respingere la loro pretensione. Per far questo è necessaria
una scella di ciò che è realmente vero dalle verità apparenti: una
condanna del falso ed una ricognizione del vero; il logico, in altre parole,
deve valutare le ioro prelensioni di verità . Con qual crìlevio? Come
dislinguere fra proposizioni che pretendono di esser veré c non sono, e le
pretese buone che pussono essere convalidale? Qual'è la nota, il
carattere distintivo della verità? Così si pone il problema crileriologico; e
una teoria della conoscenza che è impolenle a scioglicrio è già
condannata (@). © Quid est veritas? Per verità noi intendiamo una
proposizione alla quale è stato in qualche modo alluccalo (attached) ialtributo
«vero» e che, conse__Suentemento, è riguardala sub specie veri. « La veTila è
la lolalità delle cose alla quale e stato appli«cato o è applicabile questo
modo di lraltamento sia | ©hesi eslenda o meno alla totalità della nostra
espe_ Rienza» . È una qualità di certe rappresentazioni «© precisamente:
l'accordo di certe rappresentazioni con l’oggello {4). È questa la
definizione comune che | accellano, come qualcosa di evidente,
intellettualisti * pragmalisti. Il dissidio fra le due parti
comincia Quando si tratta di sapere che cosa propriamente si Bnifichi
«waccordu» e « Oggetto »; ovvero la «realtà » con la Tuale devono
convenire le nostre idee |, Secondo la concezione Opolare | n BRA
{ ot ROIO Popolare l'accordo consiste > In una copia dell'oggetto.
Alcuni idealisti affer ne ue le nostre idee sono vere quando
corrispondono. a or \<iò che Dio vuole che no pensiamo intorno al
loro alla /eoria della *&gello, Altri, streltamente
fedeli ScHmzLER: Stu Id., Jvta. Essay Y. @
JAMES, Der Pra i o gmatismus, p, i 0 JAMES, Id., Ibid, D 124, VI,
Vor], dies in MHumantsm, D. 3. Essay Il
Pragmutismo_ 31 i ì tre idee in copia («copytheory»), dicono che le
nostre in nilo sono vere in quanto corrispondono ai pensieri elerni
dell'assoluto. Vediamo quanto valgano queste concezioni. ;
Intanto la verità assoluta, scrive lo Schiller, non esiste. La
storia del pensiero umano è caratlterizzata dalla inslabilità delle opinioni,
dalla mutabilità delle credenze, dalle vicissitudini della scienza, Insomma.
dalla lransitorietà di ciò che è o passa per verità, Ogni verità umana,
com! è attualmente e com'è stata storicamente, sembra fallibile e transitoria...
le verità del passato sono riconosciute come errori al presente; quelle
del presente sono in via di essere riconosciule erronee in un domani più
o meno lontano. Quindi la verità umana non può affacciare pretese
di assolutezza. Per isfuggire allo scetticismo che sorge nelle anime di
fronte alla ininterrotta. rivalutazione e transvalutazione delle verità, che
forma la storia della conoscenza, si è ricorso ad una verità assoluta
trascendente indipendente dalle vicissitudini della verità umana; la quale
verità assoluta si concepisce come un modello da imitarsi, come una
misura per la valutazione delle verità nostre, come una rocca
inespugnabile in cui non può penetrare cangiamento alcuno . i
Si slabilisce, cioè, una distinzione fra verità al luale o umuna e
verità assoluta, ideale, che è posta al di fuori e al di sopra del flusso
della realtà. Le nostre verità sarebbero un riflesso dell’Assolulo,
ri . flesso imperfetto, ma valido, misleriosumente transustanziato per la
immanenza in esso dell'Assolulo e per la partecipazione della sua
stessa sostanza. i Mau l'espediente è fulile e dannoso. |
l'utile perchè l'assoluta, eterna verità, rigida e im- a mutabile,
non può discendere dagli eccelsi cieli della logica a trasformare le nostri ‘i
Ì La, e verità e a togliere la transitorietà alle nostre
concezioni; la verità umana, ScuiLLER. Stud. in Hum,, Essay VIII, p.
204. 32 La teoria della realtà e della verità dal
canto suo, non può SORIrare alle prerogative soRraumane dell’Assoluto (i). Se
la verità assoluta non può identificarsi, in qualche modo con la
umana, e se la cognizione umana non può diventare assolula, non può
congiungersi con l'Assoluto, l'Assoluto per nvi non esiste e non può
quindi redimere dal ilusso perpeluo le nostre verita. I che lale
unione luon esista, anzi che sia impossibile, si deduce dal
contrasto di caralleri fra la copia (verità umana) Cc tjuello che
dovrebbe essere il suo originale (verità lrascendente). La
verità umana è fluida, non rigida; temporale e lemporanea, mon elerna e
perenne; arbitraria, non necessaria; scella, non inevilabile ; nata, come
Afro dite, di passione e di slancio da un Inare schiumoso di
desideri, non puramente intellettuale e spassionata; incomplela, non perfetla ;
fallibile, non inertante ; assorbita nella tendenza di ottenere ciò che
ion c uncora compiulo; non beala nella. sua comiiulezza. Questi caratteri della
verità umana risultano dalle condizioni stesse onde ha origine ogni vetilà.
Essa è discorsiva perchè non puo abbracciare lutta la realtà; © fallibile
perchè è ‘essenzialmente parziale € puo quindi Sempre venir corretla e
completala da una cosuizione più vasta. Invece la verità assolula si estende al
lutto e dipende dalla cognizione del lutto. Li sua ussolulezza si fonda sulla
sua onMucomprensività . Se non V'è conoscenza conmpielamente adeguata
all'intero sistema della reallà on vi può essere verita assoluta . Orbene,
la no stra mente è capace di {ale conoscenza? No. Appunio perchè
parziale, la verità umana poggia su dati parziali, è generala dalle
parzialità dell'altenstone selelliva ed'e diretla a fini parziali. Un
abisso Separa le due specie di verità: fra loro non vi può essere
ne Corrispondenza nè interazione . È quindi verità attuale sia in «
accordo con la b RP assurdo che Ju he (I) SCHILLER,
07, cl, 7. E (I Ide TER OD. ci, p, 207, via {9) Id., 4bid. E SCHILLER, 1a., p. 2, i
Le Lia - di asta ideale, eterna,
Irascendente » come pretendono gli assolutisti. be La concezione della
verità assolula è anche perni ciosa. Poichè: o l'uomo percepisce la
differenza fra ia verità assoluta e la relativa o non la
percepisce. Nel primo caso egli disprezzerà le verità umane, 1m.
perfette, mutabili, le tratterà come apparenze, € lo | Scelticismo sarà
inevitabile. CIÒ è tanto vero che, ‘anche attualmente, la linea di
divisione. tra questa specie di assolutisti e gli scettici è molto
indecisa: insegni Bradley. Nel secondo caso l'uomo prenderà come
assolute anche le nostre verità. E poichè l’assoluto non soffre aumento nè
alterazione, egli non _ si sforzerà di migliorarla coi suoi sforzi,
rigetterà come falso tutto il nuovo, non vi-sarà progresso alcuno nella
conoscenza... ; ecco l’assurdo e con l'assurdo Ja rovina della teoria della
conoscenza. Nel nostro conoscere c'è aumento, c'è alterazione: e
una teoria della conoscenza che non li può spiegare, anzi li
esclude, non ha certo diritto alla nostra véenerazione, e non ci salverà dallo
scellicismo, reso anci ui tabil ; SE ’ «anche du Anevitabile dalla
impossibilità e dal rifiuto di ‘0 FUNe I nostro reale progresso
cognosellivo: ud est verilas? È forse un «accor realtà ; La
Accordo » Questa ipotesi reatitiae csfetto, del fallo. sterno?
A LI ‘a dice ancora lo Schiller ci conduce ad affer pe encore
lo ssChil era 5 CIOS alermare degli incredibili paradossi,
con la cha: 1 SE Rc e die n 3 n fis aipendente)
è conosciuto. da e RI » che «eg hipothesi » 16/x trascende SD
i E oanseo ALU soggeltivalin ACR BS È e] | Pragmatismo
- 3 x = SONA È [e È |< PRE e %% È
Da teoria della verità e della realtà c) Che noi conosciamo anche
questo e cioè che la «corrispondenza » tra il fallo, quale è in sè
stesso fuorì della noslra-conoscenza, e il fatto, quale appare
nella nostra conostenza, è in qualche modo perfelta e completa {1), il
ehe è assurdo, perchè noi non possiamo conoscere indipendentemente da un lato
il pen_ siero, dall'aîtro Voggello esterno. Nè si può dire che la verilà
consista nella « cocrenza sistematica ». Nell’universo non v'è delermina“zione
assolula e perciò la verità c la realtà possono «essere costruite im
diverse maniere, cioè in diversi Sistemi, con diverse «cocrenze »
sistematiche: bisocana lener conto delle possibilità pluralistiche . RR .
il problema si ripresenta: «quale dei sistemi è vero e quale è falso?
» Im che consisle la verità del «sistema coerente? » Dal punlo di
visla del razionalismo, cioè «a priori », on è possibile dare una
risposta reale alla questione; non si può indicare nessun metodo praticabile
di ululazione delle verità (e dei sistemi di verità) se non
concedendo alle applicazioni pratiche, alle con| seguenze, di saggiare la
validità delle rappresentazioni (c dei sislemi di rappresentazioni); se non
rica| Noscendo uno stadio intermedio, nel facimento della s0 pad, fra Ja
semplice pretesa (claim) di esser vero e tn ideale completo di verità
assoluta . Il Pragma smo è appunto il tentativo dì tracciare il modo
del > (I) Id, p. 181, Essay Di qui 11 nome di pluralismo dato
a dottrina _pragmatistica della verità e della A ita «ex
professo « nella quarta lezione (del vol. cit.): Etnlett uni Vielheit « Unita e
Pluralità. © pluralismo è la gucazione Metafisica della realtà come di
una molteplicità di ct Separati, indipendenti. Si divide in
matcrialistico (AtoTRIaIDO), in spiritualistico (Monadologia) è in duatistico
(Dua» smo). La concezione pluralistica è stata poi dal JAMES ulteente
svolta nel volume: .1 pluralistic universe, London, Longman Green
1909, tradotto in f [cato co. Nolo PRI oS Francese da Le BRUN e pubmar
ion I titolo: Philosophie de l'erpérience, Paris, Flam SCHILLER, Stud. in Hum. facimento aztuale
della verità, le maniere attuali di distinzione tra vero e falso per
giungere alle sue generalizzazioni circa il metodo di determinare la natura
della verità : mette in luce, in altre parole, lo sladio intermedio del
divenire della verità, il modo della convalidazione delle pretensioni di
verità. Orbene, come s'è veduto, non si può spiegare il movimento del pensiero
verso qualche cosa senza fare appello a motivi psicologici: desiderio,
sentimento, interesse, attenzione ecc. ; non è possibile descrivere
cosa alcuna in puri termini logici e senza costante ricorso alla psicologia
, ec quindi «i termini ullimi della definizione della verità sono
anzitutto psicologici»; ogni verità attuale è, in primo luogo «un processo
psichico, c, come tale, condizionato dalla varietà degli influssi psicologici
sentimentali e volitivi» . i E così anche i sistemi di verità.
L'esistenza di un numero di giudizì cocrenti connessi in sistema
non basta per avere da noi la ricognizione della verità. li
«sistema» per esser vero, deve anche aver valore ai nostri occhi; la
tendenza al «sistema» è parte della tendenza più vasta all'«armonia
attuale », 0 per lo meno ideale, della nostra esperienza. Il sistema non
è semplicemente un tutto di consistenza logico-formale, ma anche il
prodotto di influssi ema<ionali. in vista di soddisfazioni emozionali.
Perciò nessun sistema è giudicato intellettualmente « vero »
se non è migliore in rapporto alle nostre esigenze di un altro, se non
abbraccia e non soddisfa qualcosa di più che gli aspetti intellettuali astratti
delle. esperienza . « Pragmatism essays to trace out
the actual «making of truth», the aciual ways In which discri_minations
between the true and the false are effected, and derives from these its
generalisations about the metliod of determining the nature of truth ».
? Id.,
Humanism, Essay III, p. di. NI Id., ibid. Cir.: Riv di Filos. Neo-Scol. A.
II, N. 2, Specialmente p. 152 Sgg. ScuiLLer, J/umanism. Essay II, D.
42-50. ‘36 La teoria della realtà e della verità Vi
sono dei sistemi che, nonostante la loro coeren za, non hanno valore di
verità, perchè non TiMUON Î no e non risolvono un senso di disaccordo
finale nel l’esistenza; tali sono i sistemi pessimistici ; e n sono
delle verità, valutate come tali, per la loro effi cienza di armonia
sebbene non siano connesse in si-| slema . Non si dimentichi mai
ci avverte conti nuamente lo Schiller che la nostra conoscenza èi
maleriata di inleresse, di desideri e di sentimento; che la verità
e il sistema della verità è il prodotto dei mostri sforzi lelcologici .
Da ciò risulla che il prohlema della verità è essenzialmente psicologico,
€ deve essere formulato così: « Qual’è la natura psichica della
ricognizione della verità? A qual parte della nostra esperienza è
applicata questa ricognizione?» N
Pragmatismo risponde : «La verità è una ferma di valore; la natura
psichica della sua ricognizione è la valutazione » . « La valutazione
della nostra esperienza è un processo naturale ininterrotto in una
coscienza normale. Sponlaneamente, necessariamente noi giudichiamo le cose «
buone» e «cat. live », «belle » e « prulte », «vere» e «false». È l’osistenza
di quesl’abito che fa sorgere le scienze normutive rivolle a dirigere e
sistemalizzare le diverse valutazioni (per esempio «l'estelica » per le
valutazioni del «bello» e del « brutto»; Peolica » per le valutazioni del
«buono» e del « cattivo »). Anche la 1d., tDid. «AI pessimismo in filosofia » lo
Schiller consacra il IX Essay del sno /umanism. Anche il « pessimismo,
come ogni sistenin, è un determinato atteggiamento di fronte alla
grande classe di tiudizi che sono conosciuti come giudizi di valore a, «
La Vila è adeguata all'ottenimento del fine supremo dell'azione* Se St.
essa ha valore, è degna d'esser vissuta; se no, il suo valore è nullo e
non merita d’esser vissuta. Nel priRpanraso abbiamo l'ottimismo, nel secondo il
pesstalsmo LA . Mumanism, D., Specialmente là dove tratta del
ri a e Re ti el rapporto fra logica Humanism, Essay Truth is a form of a Value
».. Would be no «tru ren o na
er at Without valuation there Ri the at all» tv (4 4umunism, Essay > 7 Il Pragmatismo . 37
logica è una scienza normativa che ha per fine di regolare e di ridurre
a sistema le nostre valutazioni di «vero » e di «falso » .
Come in ogni altra classe di valulazioni anche nella valutazione
della verità l'inleresse umano è vitale,
il che vuol dire: che una verità ha conseguenze (ciò che non ha
conseguenze è senza significato), ha una portata sopra qualche interesse
umano, e che le conseguenze debbono valere, debbono essere conseguenze
per qualcheduno, in vista di un fine determinato, cioè, devono essere «buone» e
«pratiche ». berciò, a tulle Ie asserzioni che prelendono di esser
vere noi dobbiamo intimare: « Mostrateci che siet> buone di una bontà
pralica, e vi riconosceremo pet tali. Voi non avete una ragione
intrinseca di verità; noi dobbiamo altenerci alle vostre conseguenze:
dal frutto conosceremo l’ albero n. Una asserzione che soddisfa un
interesse umano pratico, che corrisponde al fini pratici dell'uomo è «vera»: è
vero ciò che è praticamente buono; è falso ciò che è praticamente
cattivo . 1 predicati «vero» c «falso» non sono in fondo che indicazioni
di valore logico, comparabili come valori, coì valori «elici» ed
«estetici». Similmente anche W. James: «ll Pragmatismo, invece di
considerare la verità intellettualisticamenle, cioè, come un rapporto puramente
statico fra rappresentazione e oggetto, si pone, di fronte ad ogni
pretesa di verita, Ie solile domande. Dato che una rappresentazione 0 un
giudizio affaccino la pretensione di verita, noi chiediamo: Quale diffevenza
concreta produce nella vita concreta di un uomo quel tal giudizio, quella
tale asserzione? Come potrà essere vissuta? In che sì moditicherebbe il
complesso dell'esperienza se quel tal giudizio fosse falso (0. 3
Id., bid. La parentesi è mia |’ (®) Sarebbe meglio dire:
«valutazione-verità », perchè que| Sta fla verita) non è che il processo della
valutazione. Ingl, | «truth-valuation ». Stud. in Hum, p. 5-8:
38 La teoria della realtà e della verità vero)? Qual'è il
valore della verità se noi la cambia: mo în moncla di esperienza? » ue Per il Pragmatismo porre la
questione è scioglier la: «Sono vere quelle rappresentazioni che
possiamo far nostre, cioè che possiamo far valere, lrasforma re in
forza e «verificare», sono false quelle che non sono suscettibili
di lule trasformazione in valore pra tico » . La verità di una
rappresentazione non è una proprietà immobile che le è inerente: la
sua ve rità è un accadimento: una rappresentazione non è vera,
ma divien vera; è un divenire, è il progresso della sua
auloverificazione (der Vorgang ihrer Selb È stbewahreilung); 1 valore
della verità non è altro che il processo del suo farsi valere . E si fa
vaÈ: lere, e si verifica con le sue conseguenze pratiche, con la sua
utilità: anzi il farsi valere e il verificarsi non sono in fondo che
queste conseguenze . Dalla definizione della verità come vulore logico segue che lutte le verità debbono
essere verificate. Una rappresentazione che non vuole o non può
sol: tomettersi alla verificazione è già condannala. Essa | può
avere lull'al più una verità potenziale, senza si«| _°‘’‘00‘gnificalo,
inintelligibile o congetturale, e dipendente “fl da condizioni non
uvverate. Per diventare realmente da 3 Der Pragmatismus, VI Vor, p. 125. <
è» « Walre Vorsteltungen sind
sotche, die wir uns aneigqneny die wir gellend machen, in Kraft
setzen und verifizierem hònpe; nen, [alsche Vurslellungen sind solche bei denen
dies alles ("g nicht moglich ist», 1A., IUld., p. 125-126. È il
Jaines stesso che n sottolinea. : E lo SCHILIER: «Che cosa erano le
verità prima p di venir scoperte?» La questione è oziosa, Se «vero»
significa «valutato da noi» è naturale che ogni verita diventa
vera quando è scoperta... Noi possiamo concepire tre stadi, mel LA
processo della verità: verità da venir fatta, verità diveniente, i verità
fatta. Il processo è unico e identico per tutte le verità a. Stud. in
Huni. p. 195-199. i JAMES.
fui. SCHILLER, Stud, in Hum. p. 5. Non sono que: Sei in fondo, che
formazioni e syolgimenti del principio del EIKCE. \ È
la prima definizione del Pragmatismo, secondo lo. Schiller: «'The
doctrine that lrw{hs are logical values» (Stud in Hum.) p. 5.
Me: ati t 44 vera deve venir
dichiarata e provata, e non si dichiara nè si prova che nell'applicazione,
nell'uso che 30. ne fa: la verità di un'asserzione dipende dalle
sue applicazioni . Le verità astralte, come tali, non sono verità.
Perfino le verità aritmetiche derivano il loro esser vere
dall'applicazione all'esperienza. Osservale per esempio ll’
enunciazione astratta: 22=4. Esso è incompleta. Noi dobbiamo, prima
di aderirvi, conoscere a che cosa si applicano 2 e 4, poichè
l’enunciazione non sarebbe ugualmente vera applicata a due leoni e due
agnelli; a due piaceri e due dispiaceri, a due + due goccie d'acqua,
ecc. Così si dica delle verità tutte in generale . Vi sono
delle verità fuori d'uso, e vi sono delle verilà che chiedono d'essere
incarnate nella vita concreta. Finchè non operano nel mondo della esperienza
immediala sono ambigue ; solo la potenza e le conseguenze del loro
operare le tolgono all’ambiguilà mostrandole, con la verificazione esperimenta-
M le, vere o false. Le verità sono regole per l'azione; ma una
regola che rimane nei campi dell’astratto non significa nulla, non regola
nulla: il significato d'una legge sla nelle sue applicazioni ec ogni st gnificato dipende dal
proposito , perchè qualunque applicazione della verità all'esperienza è
in istretta connessione con qualche fine il quale determina ta
natura dell'intero esperimento. Per ragione della dipendenza della logica dalla
psicologia, ogni signifi E la
seconda definizione del Pragmatismo (ivi p. 6). Stud. in Hum. p. 9. ; Ria ioè: sono in
potenza alla verità € alla falsità. 0) mind di questo AT delle idee
astratte lo SCHILLER nana consacrato un saggio intero: il V (Stud. in
Hum): «The ambiguity of Trutn» p. 141-162. > Secondo ALFRED SinGWicK_ seguito in questo
dallo | ScuiLcer le parole sot.olincate contengono l'essenza del
med todo |pragmatistico, e ne sono la terza definizione (Stud. in
Hum, p. 9). ., Questa defin. del
Pragmatismo risulta dalle due PD denti. (Id., ibid.). ib pi
A La teoria della verità e della realtà cato è selettivo e
teleologico: il giudizio logico è «valutazione » . ° Resta da
rispondere alla seconda questione: « A qual parte della nostra esperienza
è. attaccata la ricognizione della verità? » i Re: _Ciot: a che cosu
riconosciamo o neghiamo noi 1l valore di verità? Qualìi sono i principi
direttivi nella valulazione della nostra esperienza? È «vero» ciò
che è praticamente buono, sta bene; ma che cosa chiamiamo noi
«praticamente buono?» . «La risposta a quesla questione dice lo
Schiller ci mette nel cuore siesso del Pragmatismo, ci spiega in
che senso il Pragmatismo professi di avere un criterio di verità » . E la
risposta non è diflìcile. Il nostro pensiero tende all’armonia e alla quicte
del pensiero, a ridurre a sistema, con un lavoro di selezione guidala
dall’interesse, il complesso della esperienza, a coordinare, in visla
d’un fine, tutti gli elementi della vilu: quindi è vero, (cioè buono,
il che è, per lo Schiller lo stesso) «ciò che armonizza con le
leggi proprie del pensiero e con tulta la nostra esperienza anteriore » e ci serve di base e di centro vitale per
ulteriori esperienze. È vero ciò che ci fa progredire. Il possesso della
verità non è fine a sè stesso, ma mezzo per la soddisfazione di qualche
necessità della vita . La verità non è altro che la via, per la quale noi
siamo condotti da un frammento dell'esperienza ad allri frammenti che
mette conto di far nostri . La verità è una guida all’azione. Mettiamo
ch'io mi trovi sperduto in una selva în pericolo di morir di fame. Scopro
qualche cosa che assomiglia ad una strada, immagino in fondo ad
Cssa una casa; mì melto in viaggio e mi salvo. La Stud, in Hum, Essay IZumunism.
Essay JII, 2° Il Pragmatismo | I
rappresentazione della casa è vera perchè è verifi\i cala dalla sua ulilità; mi
salva facendomi prendere | la strada che vi conduce . Questo semplice e
per| severante carattere di « guida» che possiede e mo| stra una
rappresentazione è il vero prototipo del processo della verità. È vera quando,
finche-e in quante | «conduce n: e si intende
vera di verità reale; potenzialmente è vera la rappresentazione alla a condur-
_ ve, falsa la inutlu. ’lulto ciò sta bene. Ma un complesso
di valutazioni soggettive, individuali, che sono il prodotto di inte-
da ressi psicologici e mirano ad una soddisfazione s0ggettiva, non può
formare che un complesso di verità soggellive, individuali: la mia
esperienza è soltanto n la miu esperienza; le mie valutazioni sono
soltanto valulazioni mie: come si esce dal soggettivo? non x |
siamo in pieno «solipsismo? » No
risponde lo eo Schiller. Nessun protagorcamisla (umanista), facendo
na dell'individuale il suo punto di partenza, intende fili
fermarvisi. Egli sa che 1 giudizi individuali non sono che
una piccola percentuale di quelli riconusciuti come vulidi. Sa che
l'uomo è un animale sociale e che la verità è in gran parle un prodotto
sociale. La verità non ‘si salva finche rimane pura valutazione
individuale: Ra. bisogno di una ricognizione sociale, deve trasformarsi
in proprietà comune, E diventa sociale appunto per lu sua utilità ed
efficienza. Come nell’individuo. Anche lo ScuiLLer parla spesso della
«con: duciveness a «proprietà di condurre», come di un criterio di
Verità, Le «conseguenze pratiche» non sarebbero in fondo, che questo «
Hinfùhren» che permette poi uni specie di «previ-. sione » di cio che è
utile, Cf, a questo proposito: «La previstone nella teorin dellu conoscenza »
(rinnovamento A. I, Fa‘scicolo II, 1907) CALDERUNI. Vi.Si dice tra l'altro: «
Per conseguenze pratiche» vanno intese le esperienze particolari
‘che la dottrina o l'affermazione in questione permette di pre«vedere» p.
191. «Esperienze che costituiscono il criterio non | solo della
verità e della falsità ecc...» Id., ivid. -& Del «solipsismo» lo SCMILLER si occupa nel X
Essay (Stud. in Hum.) « Absolutism and Solipsism» 258-265.
Per | questione se «l'empirismo radicale» sia «solipsistico»
ctr ournal of Philosophy, vol. II, N. V e IX. li
42 La leoria della verità e della realtà Îl criterio
dell'uso, della ulilità regola Ie valutazioni soggellive, consolida e
subordina i vari interessi ai fini principali delia vila, così lo stesso
criterio (dellVuso) fa una selezione lra le valutazioni individuali e
cosfruisce, con maleriale delle valutazioni scelle, la verità oggelliva
che ottiene la ricognizione sociale. Ciò che non è socialmente ulile,
elliciente, operativo, presto o lairdi viene eliminato. L'utilità sociale
è così l'ultimo delerminante della verità . Protagora ha detlo:
«L'uomo è la misura delle cose ». 1 commenlatori sì domandano: uomo si deve
intendere in senso individualislico 0 generico? Tutte e due le interpretazioni
sono esatte dice lo Schiller. L'umani smo di Proiagora era abbastanza
vasto per estendersi all'uomo individuale e agli uomini , Egli riconosce dolie
distinzioni di valore fra le diverse percezioni individuali : fra i giudizi di
valore individuali si stabilisce una selezione dei migliori, che sopravvivono
agli altri e si consolidano in grandi sistemi di verilà oggellive accettabili
da tutti . Ed ora SI capisce anche come la verità è fatta (how truth
is made), «come viene prodotla dalle nostre operazioni sui dali
dell'esperienza umana. La conoscenza. cr'esce in estensione e in fidalezza
(trustwartiness) per la fecondità e la buona riuscita del suo
funzionamento, per l'assimilazione e incorporazione di nuovo materiale da
parte dei complessi organici preesistenti di cognizioni. I sistemi (come
organismi viventi) sono Im un conlinuo processo di « auloverificazione »
di Humanism. Essay His Humanism Was Wide enough to em and men», Stud, in Hum.,
Ess. JI
DI 34. RIS a Nel Teeteto
(16G-S) di Platone sì fa dire a Protagora che, se le percezioni di uno
non possono essere più vere di cuelle MATA AliTo possono, però est
NOLOrI, Sopra il giudizio di mo ignorante o rdinario sta È saggio.
Cfr.: Stud. in Hum. p° 35, sgg. melo ASI LUoO Humanism, p. 59: «Fra due teorie rivili noi
accettiamo come vera la migliore, quella che possiede «greater conduciVeness».
Con questo criterio (sclusivamente sì C astronomia copernicana, così
semplice troppo complessi. Il Pragmatismo 49 prova
della propria validità dalle conseguenze e dal potere di assimilare,
predire, controllare fatti nuovi . Ma, a simiglianza di quanto avviene nel processo
biologico, così anche qui assimilare significa transformare. Le verità
preesistenti, alla luce delle nuove, per la compenelrazione delle nuove,
assumono un aspetto dillerente e cambiano in realtà, inIrinsecamente poichè
diventano più operalive ed efficienli in causa della loro maggior coerenza ed
organizzazione; ci conducono meglio ai nostri fini, acquislano maggior capaciià
di armonizzare le esperienze future in reiazione a noi, al nostro
interesse e ai nostri desideri . In realtà siamo noi che facciamo
la verità. Dipende da noi l’accettare o il respingere falli nuovi, muove
esperienze: il fattore della sele ‘zione, è il nostro interesse, è la
loro utilità rispetto a noi. È questo processo di fare la verità è
continuo, progressivo e cumulativo. La soddisfazione di un intento
conoscitivo conduce alla formulazione di un altro; una verità nuova
diventa presupposizione di ulteriori imdagini . I così
all’indefinito: la conqui sla della verita assoluta, cioè della verità
adeguata ad ognì fine umano non è che un ideale, com'è pura: mente
ideale la verità stabile, immutabile, eterna . Ogni verilà può esser
mulala da una nuova esperienza. La Verità non esiste: esistono le verità. «
La Verità con leltera maiuscola è un mito. In realtà esi stono nel
mondo umano soltanto le verità, altrettante quanti sono gli: uomini, cioè
le rappresentazioni e le affermazioni praliche di cose che non sono, ma
di vengono, e divengono per il polere che l'io esercita su di esse,
lanto più eflicace, quanto più, con l’azione esso passa
dall'incosciente al consapevole ed al ri liesso . 4 Stud. in Iuni., «The
Making of Truth», VII Ess. 194-195. Id,, ibid. 23, «A new truth, when
established, naturally becomes ti e presupposition of SUECASE,
SSDIora Ono (Id. ibid.) E, 4)Id,, Ess. VIII, par. 8, Pp. |
ILEN a GIULIO VITALI, Note pragmatistiche. (Rassegna Nazio ita
le, 18 Dicembre ‘1906, p. 646, S6g.). de
4h La leorìa della verità e della realtà Qual'è dunque il
senso accettabile della nola definizione della verilà: «accordo con l'oggelto,
con lu realtà? » «La parola accordo dice James comprende ogni
processo mediante il quale da una tappresenlazione alluale siamo condotti
ad un avvehimento fuluro corrispondente ai nostri interessi v bisogni,
cioè utile alla nostra progressiva evoluzioue» (#). IL nostro dovere, poi, di
cercare e di riconoscere la verilà non è che una parte del dovere geherale di
cercare e di riconoscere ciò che torna conto. Il tornaconto, contenuto
nelle idec, è l’unica ragione che ci obbliga di allenerci ad esse» 3). k
lo Schiller: «La risposla alla questione » Che cos'è la verità? è
la seguente: se si ha di mira il fallo psichico della verilà-valutazione,
là verilà può definirsi: «la funzione finale (ullimate) della nostra allività
infellelliva; se si ha riguardo agli oggetti valutati come Veri essa è:
quella manipolazione di essi che lì rende Utili primariamente ad ogni
fine umano, ultimamenle allu perfetta armonia della nostra vita intera
che cosliluisce Ja nostra uspirazione finale. La dottrina della realtà è
affine a quella della verità anzi S’identifica, ìn un certo senso, con
essa. ll principio umanistico di Prolagora è universale: umano
genera e informa lutto ciò che è; anzi...j ma uscolliamo i due leaders
del Pragmatismo. Il Pragmalismo segua un passo in avanli nell'a
niutusi della nostra esperienza è, quindi, un prog) sso ln quella
cognizione di noi stessi dalla quale dipende. li-cognizione del mondo.
‘ale passo in avanti non è Ineno imporlanie di Quello che, nella storia
della filosofia, ha fatto compiere alla questione cpistemolologica la priorità
sulla questione ontologica . -1d., {bid., Vorles, VI, p.
135-136. Id., ibid. e passim in
tutta la medesima lezione. ° «Das
Lolnende, das unsere wahren Ideen enthalten, ist ner DES Grund, der uns
verpflichtet uns an sie zu halten» SCHILLER, Humanism : at
loin | + cat Il Pragmatismo : 45
Che cos'è la realtà? Così, cioè in lermini ontologici, era posta ia questione
fino a Kant, Ebbene, fino a tanto che non si melle in chiaro come la
realtà possa venire in noi, è impossibile qualsiasi risposta alla
questione; non esisfe, per noi, nessun reale se non in quanto è conosebile;
una realtà inaccessibiie alla nostra cognizione è inutile e quindi si
distrugge. Perciò la vera formazione del problema metafisico è
questa: Che cosu posso io conoscere comc reale? . La dollrina della
reallà è condizionala dalla dottrina della conoscenza; la ontologia
suppone come fondamento la epistemologia: ecco quella che Kant chiamava: «la
rivoluzione copernicana in filosofia ». Orbene, una rivoluzione
copernicana compie ora il Pragmalismo rispello alla formula
epistemologica. lisso dice: ta nostra conoscenza non è una operazione
meccanica di intelletto puro. spassionato: i nostri interessi ci
impongono le condizioni del rivelarsi a noi delle reallà. Questa,
infalli, ci rivela soltanto quegli aspelli che sono termine di un nostro
desiderio attuale, di una tendenza a conoscere: tutti gli altri sono per
noi inconoscibili e quindi irreali. BERGSON +- il rappresentante, in
Francia, della Philosophie nouvelle scrive: «La vita esige che noi
apprendiamo le cose nel rapporto che hanno coi nostri bisogni. Vivere consiste
nell'agire. Vivere significa accettare degli oggetti soltanto l'impressione
wfile », Ze Itire, Paris, Altan 1908, « Noi cerchiamo fino a qual punto
l'oggetto da conoscere è questo o queto, in qual genere noto rientra, e
quale specie di azione 0 di attitudine dovrebbe suggerirei (Introduction
a ta Métapliysigue). Cfr. anche La cultura dell'anima, Vol. 8. ENRICO
RerGSON: Lu filosofia dell'intuizione, trad. del PAPINI, p. 43. Il
Bergson è pragmatista? Risponda lui stesso: « Bisogna distinguere due
maniere profondamente differenti di conoscere una cosa... la prima si
ferma al relativo, l'altra ragglunge l'assoluto...; quella è l’analisi,
la cognizione per simboli, per concetti, condannata ad aggirarsi
unicamente intorno all'og: getto...; questa è la intuizione, ossia quella
specie di simpatia intellettuale per cui ci si trasporta nell'interno
d'un oggetto | per coincidere con ciò che ha di unico e per
conseguenzi d'inesprimibile; con l'assoluto »... «La prima nasce dalle
esigenze della vila pratica e non è filosofica, ma empirica: lil seconda
nasce dall’affrancamento dagli schemi pratici, dal concetti-ctichette ed
è quella per cui è possibile la vera meta 46 La teoria della verità e
della realtà Non cè reale per noi, cioè non è conoscibile, se
non ciò che è oggetto di una nostra tendenza, di un nostro desiderio e
volere; e non si desidera, non sl vuole che il bene. Dal che si
inferisce: nè la questio. «me di fatto (ontologica), nè la questione di
conoscen3a (cpislemologica) sono possibili a considerarsi in(ipendentemente e
senza coinvolgere come loro base la questione di valore
(psicologico-etica) . Le nostre | valutazioni pervadono la nostra
esperienza tulla «quanta e si applicano ad ogni falto, ad ogni cognizione.
Perciò la verità della formulazione epistemalogica del problema della realtà è
incompleta finchè «non realizza, tutto quello che è implicito nella cognizione
nostra: cioè il desiderio, la tendenza, l’inteSEEGS 3 La completa il
Pragmatismo così: Che cos'è la realtà per uno che aspira a conoscerla?
«Reale» significa: reale per qual proposito? per qual fine? per qual uso?
. È la «volontà di conoscere » che pons la questione e quindi non potrà
venir risolta che in termini della volontà di conoscere . Ecco la spie|
gazione. della diversità di dottrine che intorno al «reale» ci hanno dato
le scienze e le filosofie. La dix rezione della sforzo determinata dalla
«volontà di * conoscere» entra come fattore necessario e isradica
IN Di ar v fisica, cioè la cognizione
dell'assoluto » (Ibid.} passim). E ancora: «Il faut
s'habituer à penser l’'Étre directement, sans faire un détour.. Il faut
tAcher ici de voir pour voir er non plus de vor pour agire. (L'Evolutlon
creatrice). Bergson riedifica sulla intuizione il tempio
dell'Assoluto che prima aveva fatto crollare dimostrando l'inanità
dell'analist, della cognizione per idee astratte. Poco importa che non ci
sia riuscito. (Cfr.; La filosofia di Enrico Bergson di Gius. PREZZOLINI,
Rocca S. Casciano, Cappelli 1908; ATTOTTA, L'intuizionismo contro la filosofia,
La Cult. Filos., A. TIT, N. TIT ecc...) La distinzione delle due
differenti maniere di conoscere; intuitiva (metempirica) e analitica (empirica)
spiega l'apparente inconciliabilità dei passi citati e d'altri
ancora, Z/umanism, I, p. 9-10. Id., Ibil. the
answer comes in terms of the will to know which puts the question
il. Il
Pragmatismo urti . bile (ineradicable) in ogni rivelazione della
realtà a nol. i La risposta alle nostre questioni dipende dal
loro carattere, ma questo dipende in tutto da noi. Siamo noi che le
poniamo così e così; l'iniziativa è del tutto nostra. Dipende da noi il
consultare l'oracolo della nalura o l'astenercene; dipende da noi il
formulare le nostre domande alla natura. Se la domanda è falla bene
la nalura risponderà; se è fatta male non risponderà, e noi
dobbiamo ritentare la prova . ci Che cos'è dunque la realtà?
Procediamo -con or dine. Vediamo prima di lutto quali caratteristiche at «
lribuiscano alla realtà le scienze. Scienlificamente, cioè, in quanto
entra ed è trattata nelle scienze, la realtà presenta i seguenti
caratteri: non è rigida, ma plastica e capace di sviluppo. h)
non è reale assolutamente e incondizionatamenle, ma relaliva alla nostra
esperienza e dipendente dallo stato della nostra cognizione.
7.6) La concezione che noi abbiamo della realtà cambia e perciò: riduce
spesso all'irreale ciò che è slato accettalo lungo fempo come
reale. e) Una «realtà iniziale» (come una «verità iniziale») è reclamala
da ogni cosa sperimentabile: è necessario, CENCI un principio selellivo
che ci serva come di criterio a distinguere fra «realtà iniziale »
e «realtà reale » . M vecchio oracolo ammonisce: ogni cosa ha due maMichi: bada
di prendere quello giusto ». Emerson, American È Scholar. Rinn. A. (T.
Fase. IT, Magia PEZZÈ PASCOLATO. « La natu ta, quindi non risponde sempre,
a nostro piacere :... « Natura Mon nisi parendo vincitur», ha seritto
Bacone ». Si noti bene Questa confessione dei pragmatisti: vedremo
poi se è in corri. spondenza con altre loro asserzioni.
SCHILLER. Stud. in Hum. Essay VIII, p. 214. Vedremo tto Ja
differenza fra realtà «iniziale» (primaria) e realtà reale». :
VELA La teoria della verità e della realtà Contro la dottrina
scientifica il Razionalismo afferma: «La reallà è immutabile, è finita e
completa . da tutta VPeternità . Essa è una perehè ha un
fine uno, forma un sistema, narra un'unica storia . La
nostra esperienza della realtà è mulevole come la nostra cognizione della
verità, non perchè verità e realtà divengano, mutino, ma perchè la
esperienza dell'una e la cognizione dell'altra sono processi psichici:
siamo noi che mutiamo 0). Verilà e Realtà sono indipendenti da noi: noi
le scopriamo, conoscendo, non le fucciamo. La realtà è-stalica, rigida,
uon migliorabile; è e sarà quello che è stata; non diviene 4).
Il Pragmatismo si pone dal punlo di vista delle scienze. Per csso
la reallà assoluta è futile e dannosu come la verilà assoluta per le medesime
ragioni. Lu concezione della realtà assoluta non entra nelia nostra
cognizione attuale della realtà ; non e conoscibile, il che è quanto
dire: non esiste. Non esiste la realtà: csistono le realtà; cioè le
nostre esperienze, che crescono e decrescono. Fingiamo che
le realtà ora conosciute e accetlate siano un milione : tsse non
esauriscono tulle ie possibilità dell'univerSO: VI possono esistere accanto ad
esse allri dieci milioni, capaci di essere scoperti e
riconosciuti-come lalî se noi applichiamo certi esperimenti che sono
in mostro potere: molle realtà in potenza, cioè irreali, al
presente, possono venir realizzale dai nostri sforzi E viceversa: molle delle
realtà conosciute possono benissimo, prima 0 poi, essere dichiarate irleali e
rigellale . Non v'è nulla di assolutamente posto. La realtà
come la verità, diviene senza posa. La natura James, #0id., VI, Vorl. p. 143
Id., ibid., IV Vorl, SCHILLER. Stud. in Juri, VITI D. 219, Stud. in Mum., p. 218. (7) 1d.,
ibid. È lui che sottolinea. iii
Sali I Il Pragmatismo delle cose non è delerminata ma
determinabile come quella dei nostri simili. Prima del nostro
esperimento su di essa è indeterminata non solo per la nostra
ignoranza (soggettivamente), ma da ogni punto di vista, cioè anche
realmente (oggellivamente); si determina sotto i nostri esperimenti come il
carattere umano. La nozione del «fatto in sè », come quella della
«cosa in sè, è un anacronismo filosofico . Noi chiediamo allo
Schiller: su che cosa facciamo i nostri esperimenti se la reallà non c'è
e se è di pendente da noi? Schiller risponde: Noi ammelliamo
bene, a guisa di postulato, una base iniziale di fallo, come condizione
dei nostri esperimenti , ma quesla prima base è affatto indelerminala e
plaslica: può divenlare tullo quello che nvi vogliamo che essa divenli {8). Fra
le infinile possibilità noi possiamo scegliere e realizzare la migliore .
Noi chiediamo ancora: «qual'è la natura delia realtà iniziale
prima, della base di fatto dei nostri esperimenti? » E come
può ammetterla il Pragmatismo se essa sfugge alla nostra esperienza, se
non è conoscibile?» Schiller risponde: «La difficoltà di concepire
nel Pragmalismo l’accellazione del falto come base non dev essere
traltala come obbiezione ai metodo prag=* matico, ma come un mezzo per
mettere in rilievo lulto il suo significato. Dalla pertrallazione di
essa potrebbe ricever luce la distinzione importante tra realtà che è
«fatta» soltanto per noi, soggettivamente, cioè «scoperta », e ciò
che noi supponiamo che venga «fatto » real Humanism, p. 12 in nota Stud. in Mum. vp. 428-XIX. x
(8) EMERSON scrive: «Com'era plastico e fluido nella mano di Dio,
così Il mondo è in mano nostra». Queste parole sem: brano un commento
alle parole dello Schiller: « Noi possiamo quanto può Dio nello schema
intellettualistico di Leibniz». «E il nostro dovere e il nostro
privilegio di cooperare nella formazione del inondo », ibid.
Stud. in Hum. mente, oggettivamente, in
sè (I). Che noi facciamo tale dislinzione è chiaro, ma perchè la
facciamo? Se tanto ìl soggettivo come l’oggellivo « facimento della
rcalla» {making of reality) sono il prodotto dello slesso processo
cognoscitivo, sotto l'impulso degli sforzi soggellivi, come può sorgere o
mantenersi, da ullimo, quella distinzione? Ebbene: anzi tutto è chia «ro
che l'accellazione del metodo pragmatico nè ci ; costringe ad
ignorare quella distinzione, nè ad affer i mare «the making of reality »
in senso oggettivo. Sia È può benissimo concepire quel facimento
come pura| mente soggettivo, solo in rapporto alla nostra coquizione della
realtà e punto in relazione alla sua esistenza abituale. Il Pragmatismo
non fa della melafisica, ma della epistemologia: si può essere pragmualisli in
epistemologia e realisti in metafisica . Sia che si ammetta, sia che si
neghi che la realtà è fatta da noi anche oggettivamente resta sempre
vero che sono necessari i nostri sforzi per iscoprire la ‘vcealtà,
che i nostri desideri, i nostri interessi deb è bono anticipare le nostre
«scoperte» e farci la via id esse e che, perciò, la nostra concezione del
mondo .clipende sempre dalla nostra selezione soggettiva di Giò che
cì inleressa di scoprire nella tolaliltà dell’esi stenza . },Noicì
proponiamo i nostri fini, noi scegliamo i noSti mezzi; noi foggiamo «cause» ed
«effetti» nel Jlusso omogenco degli eventi . Per noi la
realtà iniziale è pura potenzialità, come la. verità iniziale è «Je»
{materia prima) di tullo | ciò che è deslinalo a diventar reale . È un
concetto # Ride: un: punlo, di appoggio, e di partenza delia
; U.C0E e; è la possibilità indeterminata di __ lutto cio che
sarà, di lutto ciò che noi facciamo, co nuscendo: ogni realtà attualmente
riconosciuta si . Ia.,
ibia., p, 12 in nota, È Il Pragmatismo deve concepire come evoluta
dal processo e nel pro: cesso conoscitivo nel quale ora la osserviamo e
come destinata ad avere una storia . Per la teoria praginalica della
conoscenza i principî iniziali sono lelteralmente dei semplici termini @ quo,
scelti variamente, arbilrariamente, casualmente, nella speransa e nel tentativo
di avanzare verso qualche cosa di meglio . lullo ciò che è, è
reale. Bisogna distinguere fra vealtà «primaria» (primary reality) e
reallà reale (real realtty). La realtà primaria è semplice domanda
di divenir reale: è la realtà non veryicata © compele anche alle «apparenze ».
Non c'è distinzione nè criterio di distinzione a priori fra apparenza e
realtà. La distinzione sorge soltanto quando la mente, mossa
dall'interesse, dal desiderio di operare su di essa passa a controllarla .
La reallà «primaria » che risponde alle noslre domande interessate diventa realla
«reale»; quella che non risponde ad esse si manifesta come apparenza. La realtà
«reale» non è che la realtà primaria passata a traverso il fuoco
del criticismo esperimentale e promossa a un grado superiore (i). I
poiche gli interessi crescono. e variano continuamente e i propositi sono
continuamente difterenziati, anche la realtà « reale » cresce in complesstla,
viene dillerenziala in serie, le serie si ordinano in sistemi, i sistemi
vengono coordinati e- subordinati fva loro . E così all'inciciimto.
Il processo della nostra co-, suizione della realtà (= della nostra
creazione delle reullà) si estende dal caos assoluto fino alla saddisfuzione
assoluta. (1} 14. td. ju., tbid., p. 439. Id., IX, p. 233-234, «Watever is, is «real» ls
what we begin with,.. Id., p. 244... «real» reality which has
survived the fire of criticism and been promoted to superior rank.
- Le conse- % | guenze provano la realtà come provano e fanno la
verità, Id., ebid., VIII
221. SCART ROTA À ge
52 La teoria della verità e della realtà La realtà è plastica.
Forse la lasticilà del reale
dipende (anche) da una vena di indeterminazione, di libertà che corre per
l'universo: questo giustifica il nostro trattamento delle idee come di
forze reali e Passerzione cho il nostro fare la verilà è necessarlamenle
il /ure ia realtà . Conoscendo facciamo la verità e la realtà. Neila
elaborazione connoscitiva. della nostra esperienza «reallà» e «verità»
crescono pari pussu . Realtà significa « realtà per noi» precisamente
come verità è «verità per nol». Noi assumiamo come «reale» e accettiamo
come « fatto » ciò che giudichiamo come « Vero » . E il vero è il
bene, l'ulile; l'elica, dunque, è la base della melafisica e della
logica. È il James: « Keallà è ciò di cui le nostre verità
debbono dar ragione, debbono controllare. Da queslo punto di visla la corrente
delle nostre sensazioni costituisce la prima parte della realtà. Esse ci
sono imposte, ci vengono non si sa donde. Non abbiamo nessun controllo sulla
loro natura, sul loro ordine e sulla loro quantità. Esse non sono
nè vere nè false, ma semplicemente sono. Sollanto ciù che noi
diciamo di esse, i nomi che diamo loro, le teorie intorno alla loro natura,
al loro essere, ai loro rapporti possono essere veri o falsi.
Il secondo elemento della realtà è costituito dai rapporli tra le
sensazioni e le immagini loro nella 4 Siamo in piena metafisica e come! Non solo la
livertà è nel reale ina anche la cognizione. « L'usare e l'essere usato implicano «conoscere a cd cssere
conosciuto («to use and to be used includes to know and to be know»). La nozione
della « materia » morta... non trova più favore nella scienza mo:
derna » «Bul is not this sheer hylozolsm?2 Non importa: l'umanismo è
largo: non indietreggia davanti alle parole « ilozoisino » 0 « panpsichismo »
posto cne siano utili alla interpretazione del basso (inferiore) in termini del
superiore, « Sebbene non sia che un metodo, tuttavia esso inclina a
questa 0 et quella metafisica secondo
che meglio corrisponde a’ suoi canoni fondamentali, Stud, in Hun, p.
422-4na. Id., p. 427. Id., p. 426. Id.,
20i4, JAMES, iUid., Vorl.
VII, p. 155. vr arde è RS | eee VI Il Pragmatismo
nostra coscienza. Di essi alcuni sono variabili e accidentali; p. es.
quelli di spazio e di tempo, altri sono sempre uguali a sè slessi ed
essenziali perchè si fondano sulla intima natura degli oggetti corrispondenti.
Gli uni c gli altri di questi rapporli vengono percepili immedialamente:
sono «falli ». Tultavia la spe cie di falli più importanti per la teoria
della cono- Fi scenza è l'ullima, perchè comprende le relazioni e-
sas terne, le quali vengono apprese ogniqualvolta gli Da i oggelli
sensibili sono messi in rapporto fra loro e | debbono essere sempre
riconosciute dal pensiero lo- e > gico-matematico. : Il
ferzo elemento della realtà consta delle verità È antecedenti che debbono
esser prese in considerazio- es ne in ogni nuova ricerca: questo elemento
ci oppone | molto minore resistenza degli altri due: finisce
quasi ty sempre col cederci il passo . i Ora, sebbene questi
elementi della realtà siano un po’ fissi, tuttavia, operando in
essi godiamo di una cerla libertà. Le sensazioni, p. es., sono, è vero;
il loro essere non dipende da noi; però dipende da noi, dal nostro
interesse di rivolgere l’attenzione a queste più tosto che a quelle; dipende da
noi di tener + a conto di alcune e di tralasciare le altre; dipende
da noi di dare, nei nostri giudizi, una importanza de- + cisiva
alle prime 0 alle seconde . LS Noi leggiamo le stesse cose diversamente
secondo il punto di vista da cui le guardiamo. La battaglia
di Waterloo è considerata come riltoria da un ingle‘se, come sconfitta da un
francese. Così l’ottimista. legge nell'universo la parola « vittoria», il
pessimi. Id., îbid, Come? tra le verità antecedenti vi sono ancl le
relazioni elerne fondate sull'intima struttura dell'oggett mi cedono il
passe anche queste? Ma il loro valore non è i discutibile? non formano
esse la struttura del nostro pensiero? ‘Non deve riconoscerle sempre il
pensiero logico-matematico? À parte questa incoerenza, è certo che il
James non sl pre «senta con le audacie quasi spavalde dello Schiller: a
vol sembra di trovarsi, leggendolo, davauti a un realista e
intel | lettualista autentico. Cfr. « Revue Néo-Scholastiguev, Vol.
15, «Bulletin d’Epistemologie » p. 278-298. = James, î'2d., p. 156, pers i: La teoria della
verità e della realtà È, sta la parola «sconfitta». «La esistenza della
real- © tà appartiene (ad essa) ma il contenuto suo dipende dalla nostra
scelta, e la scelta dipende da | noi» . La realtà è muta. Le
sensazioni dei rap (SAh porli loro non ci dicono niente intorno alla
propria natura: siamo noì che parliamo per loro. Noi rice 2 viamo il
blocco di marmo, ma siamo noi che vi scol piamo la statua. Giò vale anche
per le parli « eterne » della reallà. Noi scompigliamo le nostre
percezioni Mei rapporli inlrinseci e le ordiniamo a nostro pia .
cere; le classifichiamo in serie, le raggruppiamo in classi, consideriamo
ora l'una ora l’altra come fondamentale, finehè le nostre credenze formino
quei sistemi di verilà che conosciamo solto il nome di logica, di
geometria, di aritmetica. Im ognuno di quesli ‘sistemi la forma e
l'ordine è evidentemente opera (umana . È difficile parlare di una
realtà indipen «| ‘dente dal nostro pensiero. Essa si riduce al
concetto di ciò che è già nel campo dell’esperienza, ma non è
| @ncora denominato, oppure all'assolutamente mulo, o a, un
limite puramente immaginario della nostra coscienza . Ad ogni modo
è inaccessibile, inaffer | rabile: quando crediamo d’'averla còlla noi ci
troviamo lra Je mani un semplice surrogato, una crea . lura del pensiero
umano anteriore che ce l'ha rega lala per il noslro uso e consumo . La
corrente delle sensazioni c'è, chi lo nega? Ma ciò che noi di ciamo
di quel flusso è creazione nostra dal principio sino alla fine. Noi
condensiamo la corrente plastica | în cose, a nostro capriccio: noi
creiamo i soggetti e 1 predicali*dei nostri giudizi veri e falsi:
tutto cià «che è, è frutto della nostra elaborazione. «Il
mondo «| non è come vogliono i razionalisti l'edizione in
(1 1a. dbig. « Die Existenz der Wirklichkeit gehòrt ihr,
aber hr Inhalt hingt von der Auswal ‘ RO vahl, und die
Auswahl hangt (8) 1d., p. 159. | (a) Ia., ivia. Il
Pragmutismo folio infinita, l'edizione di lusso elernamente complota che le
coscienze individuali non riescono a decifrare nella sua interezza e rifanno in
lante piccole edizioni finite, piene di errori di stampa, più o
meno deformate e mutilate; ma è un’edizione non ancora perfetta,
che viene completandosi a poco a poco specialmenle per l’attività degli esserì
pensanti » . E questi la stampano nelle loro edizioni; la plasmano
nei loro schemi connoscitivi, in mille modi diversi, secondo i loro
diversi fini. E quei modi son lutti veri, hanno tutti lo slesso valore di
verità se rispondono al fine per il quale furono elaborati. L'anatomico
con sidera l'individuo come un organismo: la sua realtà sono i suoi
organi ; l'istologo vede in esso un comples- È so di cellule, il chimico
un insieme di molecole . Il n numero 27 si può considerare come la
terza potenza di 3, come il prodotto di 3 e 9; come la somma di 26
+ 1, come 100 73, ecc. ecc. Noi siamo creatori nel 0, conoscere come
nell’operare. Il mondo aspetta la sua forma _finale dalle nostre mani,
Così il Pragmatismo apre nuovi orizzonti alla forza divino-creatrice delPuomo
; così il pensatore è rivestito di dignità LI nuova piena di
responsabilità. 6 i Noi «solleviamo ad altezze nuove la realtà pree-
» sistente » se sappiamo credere, agire, lottare: la fede ci
fa salvi, ci porla alla conquista dell'universo, ul niglioramento
progressive della realtà La no:
stra sorle è nelle nostre mani! Lungi da noi il fatalismo, il quielismo,
l’indifferentismo: la vita è un ar: cobaleno: vi troviamo tutti i colori,
a nostro grado: la noslra azione ve li crea (9). a VP Cfr.:
La cultura filosofica, N. 2, Pi 124, > dove ho tolta la traduzione
delle parole qui citate. i Id., p. 161-161; passim. Ù (8) La
frase è del PAPINI, «der Fiihrer der italienischen V80 Pragmatisten »
come lo chiama il JAMES, ibid., p. 104. NP». int Le parole sono prese dall'EuckeN ima non si ha
alcuna e) citazione di opera; EUCKEN parla di una « Erhohung des vorge
i fundenen Dascins » -- p, 163. ine. , James, p. 170 sgg. SCHILLER: «like
a rainbow Life glitters ti în all the colours». /fum, 16, \?,
uindi, o uomini, imparale a conoscere voi stesvi consapevoli delle vostre
vocazioni; inallargate le vostre finalità: sollevatevi i | dominazione in
dominazione; sappiate volere e sappiate creder?, cioè uermare con tutto
il vostro essere che le cuse stanno realmente come voi le poele, © le
cose vi ubbidiranno, e la fede \} farà salvi, ioè vi permetterà di
conseguire i. fini della vostra esistenza. Sappiate che dopo lutto la
verità non esiste in sè; ma parlate, pensale, agile come se real ente
fosse tal quale voi la vedete, voi non servi, na padroni suoi © suoi
fallori» . ‘Questa è lu dottrina della realtà sostenuta dal
agmalismo. LA RELIGIONE ‘NEL PRAGMATISMO
“Sommario: x l. Le preoccupazioni etiche e religiose. L'esistenza di
Dio. Il concetto di Dio. \ 4. Religione e religioni. Esporre con una
certa ampiezza le dottrine pragmaliste, senza fare un posto speciale al
modo con cui in esse sono presenlali e risolti i problemi
religiosi, sarebbe una mancanza grave. Chi ha studiato o lello con amore, le opere
al meno le principali dello Schiller e del James, sa “che,
allraverso ad esse, si sentono passare, come n fremito, più o meno
distintamente, due preoccu| pazioni; luna, più generale, che tulto pervade,
tulto “colora, tulto fondamenla: la preoccupazione etica:
l’altra, più speciale, che nasce dalla prima come condizione necessaria o
postulato del coronamento dei valori e delle esigenze eliche: la
preoccupazione religiosa (I). È vero che questa (la
religiosa) nello Schiller non è così intensa e così manifesta come nel
James; lo Per questo io
credo che, se si può e si deve parlare di nn pragmatismo religioso (e
così pure di uno epistemologico, metafisico ed estetico) come di un
complesso di applicazioni del principio del Peirce alla religione (alla
metafisica cecc.), non si può invece parlare di un pragmatismo etico,
come di lina specie 0 soltospeci® del pragmatismo: Tutto il pragmaismo è
etico: l'etica è alla base della epistemologia, della mea Lab della SESLIgione
°, della IOICUCE Di quest'ultima non È ames e Jo Schiller non se ne son Ù
A articolare, Il non ne sono occupati La Religione nel
Pragmatismo Schiller il véro filosofo del pragmatismo, sebbene meno
popolare del James ha lavorato sopratlulta a stabilire e consolidare la
base stessa dell’edificio: il carattere, cioè feleologico-morale di ogni
nostra attività e di ogni prodotto dell’altività umana: tuttavia sono numerosi
i saggi nei quali egli si occupa ex-professo, più o meno largamente della
religione, V, e da per tulto si sente che per lui la religione
vale. - Del resto: non ci dice lui stesso, espressamente, che il
pragmatismo «non è soltanto un movimento che riguarda un insieme di
dottrine tecniche intorno al 7 problema della conoscenza, ma anche un
tentativo di determinare i rapporti tra «fede, ragione e reli
. gione?» . Quanto ai James è nolo per la sua stessa confessione
che la prima applicazione da lui falla del principio del Peirce fu
un'applicazione ai problemi KS. religiosi . Ed è noto del pari che,
dal giorno del ; suo primo discorso pragmatista all'Università di Ca È
lifornia (1898) fino all'opera: « A _Pluratistic Univer| Sen, attraverso la
«Volontà di credere», « Le varie forme dell'esperienza religiosa» e
«Pragmatism », lulte le volte che gli si presentò l'occasione, ha posto
\ e risollo, a modo suo, i più fondamentali tra i pro- i blemi
della religione. Il James fu un? anima carat- leristicamente religiosa. Dice di
lui il Boutroux: Egli ebbe da suo padre una tenerezza intima per il
inisticismo del grande pensalore svedese Swedlenborg, il principio del quale
era la relazione tra’ gli esseri terrestri e le potenze spirituali.
Questa «dottrina Swedenborshiana. circola traverso tutta la opera
del James» . Egli lrovava «la forza e lu pace del cuore e dello spirito
nella fedeltà alla crcdenza che fuori del mondo del nostro «pensiero co:
Sciente ve ne sono altri, ai quali noi allingiamo le energie capaci di
arricchire e di trasformare la no- Studies in Humanism, Essay XVI, p. Pragmatismus. BOUTROUX,
IV. James (Rev. d 5 Novemira, 1919, Db, isa ( © Metaph. et de Morale,
SEE. culi
* Il Pragmatismo stra vila» . «Chi sa scriveva egli, conchiudendo
un’opera classica sulla religione se la fedeltà di ogni uomo alle sue
umili credenze personali non possa aiutare Dio stesso a lavorare più
efficacemen{e ai deslini dell'universo? » . Aggruppo l'esposizione
intorno a questi tre punti: 1.) Esistenza di Dio; 2.) Concelto di
Dio; 3.) Religione e Religioni. Cominciamo con James, La storia
della filosofia è in gran parte la storia del conflitto dei temperamenti
umani, Ogni filosofia è l’espressione, il riflesso del carattere intimo
dell'uomo, la traduzione in idee del lemperamento; ogni intuizione
dell'universo (We/lanschauung) è nè più nè meno che un complesso di
reazioni del carattere umano assunte, o a propria insapula, o deliberatamente,
in faccia alla realtà . Questo spiega il sorgere dci sistemi e il batlagliare
continuo dei filosofi. Noi possiamo distinguere due principali tipi
spirituali d'uomini aventi caralterisliche affalto diverse: l'uomo dalla (empra
tenera (lender-minded) e l'uomo dalla tempra dura (tough-minded), cioè il
tipo simpatico c il cinico . Mettele questi due tipi
profondamente diversi in faccia all'universo e chiedele loro una
dottrina: avrele da una parle il malerialismo sensualista, con lutto il
suo contenuto di scetticismo e di pessimismo, come traduzione del
temperamento rude e cinico; dall’altra lo spiritualismo con contenuto
ottimistico, quale espressione deì tipo dalla tempra tenera.
L'antagonismo di queste due dottrine, il contrasto dei due
lemperamenti malcrialistico e spiritualisti co assumono tulto il
loro speciale rilievo di opposizione davanti al problema dell’esistenza di Dio.
Il L'Expérience religleuse, p. 436. /ui, p. 437. : Li Mi JAMES, Der Pragmatismus, I Vorl. p. 3-6; 4
Pluralistio. ; Universe, p. 20 Der Pragmatismus, p 7: A Plural. Univ. La
Religione nel Pragmatismo complessa delle cose che vediamo, che
esperimentia. mo e che abbiamo convenuto di chiamare « mondo » sono
il prodotto della materia o di Dio esistente fuori e sopra la maleria? «La
materia produce tulte le cose 0 e'è anche un Dio?» . Ecco il problema.
Il quale non sarà risolto mai e la storia è là a dimostrarlo in base alle
vuote, astratte e. sottilissime discussioni sull'essenza intima della materia
€ sui suoi caratteri osservabili o su pretese visioni htelleltualistiche
de! Dio che è in questione . Ogni speculazione è impotente di fronte al
materialismo ateo a dare una solida base razionale alla religione: i due grandi
(entativi sistematici di dimostrazione dell’esistenza di Dio il teismo scolasti
‘co e l'idealismo trascendentale hamno fallito al loro scnpo. Tulli
conoscono gli argomenti classici della filosolia Scolastica. Ebbene, Hume, col
cacciare per sempre la causalilà dal mondo fisico, ha reso impossibile
ogni inferenza dal creato a una causa prima; del resto l'idea di causa è
troppo oscura per servire di fondamento a tutta una teologia. Dopo
Hume, Kant ha dimostralo che, Dio, l'immortalità e la liberlà, non avendo
alcun contenulo sensibile, sono parole vuole di-senso dal punto di vista
della conoscenza (corica, e ha fatla giustizia una volta per sempre della
vecchia leologia, che ora non regna che nel volto e non è difesa che da
qualche ritardatario. Il darwinismo ha dato il colpo di grazia alla
prova per mezzo delle sue cause finali. L'ordine e il disordine che noi
troviamo nel mondo non sono che invenzioni umane: chiamianio ordine ciò che
corrisponde a un nostro ideale, disordine ciò che se ne I metodo
praginalista in: Saggi pragmatisti, p. 15 (traduzione PAPINI). Occorre far
notare che questa visione degli ontologi non è da confondersi con la
?n!uizione del sentimento, intuizione sorda e vivente, della «philosophie
nouvelle»? Vedi: PIAT, Insuffisance des Philosuphies de
l'Intuition, p. 129, Sg. Il Pragmatismo 61 allontana .
Finalmente
il pragmalismo, cacciando dal mondo la necessità logica, ha tollo ogni sperana
di una soluzione per coucetti del problema in questione, di modo che le prove
dell’esistenza di Dio non sono valide che per coloro che già credono in
Dio i e debbono trovare degli argomenti per difendere tale
3 3 i A “precredenza . ; L'idealismo
trascendentale non è più felice nel suo SG tentativo di dare una base
solida alla fede: vedremo quali assurdilà sono implicite nel concetto di
una coscienza concrela infinita che sarebbe l'anima de! x - inondo:
vedremo a che si riduce l'Assoluto. e «E allora? Quale altra via rimane
aperta per risol vere il problema? Già nell'opera : La volontà di credere,
il James assegnava ai molivi emozionali un valore definitivo, nel casu
che l'intelletto non polesE se offrire delle ragioni sulficienti per l'adesione
a i doltrine di caraltere religioso. La via è aperta: metliamoci in essa.
La questione: « Dio esiste? »per il pragmatismo si risolve in questa, più
determinata e più chiara: «Quali conseguenze pratiche importa (|
per la reallà, per noi, l'esistenza di Dio?» Se prali= camente, cioè dal punto
di vista del criterio della uti.lita pratica, la negazione dei malerialisti
vale quanlo l’allermazione dei leisti, le due teorie sono equivalenti in lutto
poichè delle teorie non esiste che il di lato e il valore pratico (9).
7 | Ebbene, la questione se il mondo sia creazione di Dio o
prodotto delle forze materiali può essere conpe sideralo da un doppio punto di
visla: relrospettivo + e prospettivu. lFingiamo che il mondo sia
completo. ti ed evoluto in tutte le sue partì (punto di vista retro|
spettivo). Esso non sarebbe che una somma di ri sultali buoni e caltivi,
dalla quale è escluso. qualun Jaars, L'Expérience religicuse, D. 418 (in nota),
p ce 369-331. ia a JAMES, L'Erpérience reliyicuse, p.
368-309: « Pour celui qui déjà croit en Dieu ces arguments sont
solides... La On {ltoure... des arguments pour défendre ces
croyances le doit les trouver ». : di Ò NI Vol., p. 59;
L'Experience JAMES, Der Prugmatismus, religlouse. INA
La Religione nel Pragmatismo que aumento e qualunque alterazione. Da un
mondo lale noi non avremmo nulla da sperare e nulla da temere,
perchè il potere creativo, qualunque fosse slato, si sarebbe esaurito
tutto in quello che è, che è irrevocabilmente, in tulle le sue
particolarità: uno dono che ci è stato dato e che non può essere ripre-
ì so. Orbene, in lale ipotesi, «quale sarebbe il valore «di Dio, sc
ci fosse con la sua opera compiuta e ìl suo mondo già trascorso? » . Egli
non varrebbe niente più del suo mondo; da lui, come dal suo mondo,
non avremmo nulla da sperare e nulla da lemere, poichè egli,
secondo tale ipolesi, nulla potrebbe togliere 6 aggiungere a ciò che è. A
un Dio simile noi saremmo riconoscenti per quello che ha fallo, non per
altro. lì ora prendiamo l'ipotesi contraria, che, cioè, le
parlicelle di materia, seguendo le loro «leggi» polessero fare lullo quello
che, nell’ipotesi precedente Da fatto Dio: saremmo noi loro meno
riconoscenti che a Dio? «In che soffriremmo noi mancanza se
lasciassimo cader: l’ipotesi di Dio e facessimo responsubile la sola maleria?
Come, essendo l'esperienza definitivamente cd irrevocabilmente ciò che è
sfata, “polvebbe la presenza di Dio in essa renderla più vivente e più
ricca al nostro sguardo?» « Chiamiamo
materia la causa del mondo e non leviamo neppure una parle di quelle che lo
compongono; nè, sc chiamiamo Dio la causa, esse aumentano ». Dunque
«materia e Dio significano precisamente la stessa | cosa, cioè il potere,
nè più né meno, capace di fare | questo mondo celerogeneo, imperfello e
tuttavia ter| Minato », e perciò «la dispula tra il materialismo e il
leismo diventa, in questo caso, oziosa e insignifiante». Se la presenza di Dio
«non porta un giro v lin risultato differente all'insieme del mondo,
non Ù può certumente accrescerne la dignità; nè gli (al: RE
TIE (I) JAMES, 12 metodo pragmatista,
in Saggi È : MES, li SI, gi pragmatisti, x D. 15-17. Noto una
volta per sempre che le Datore Calo da 3 Saggi pragmatisti, e messe tra
virgolette sono della traduzione | del PaPINI e del LruNarbo, Jl PAPINI
ha tradotto IL Metodo | pragmatista dall'inglese, James, 0 Metodo
Prag matista; Dì mus) ip, 06 g Dp. 16-17; Der Pragmatis: mondo)
verrebbe nessuna indegnità se Dio non hi fosse e se gli atomi rimanessero
1 soli attori ch È scena» . È saggio colui che volta le spalle a siffat‘la
inulile discussione . 3 ‘Meltiamoci ora a considerare il mondo da un
punto di visla prospellivo; poniamoci « questa volla nel inondo
reale in cui viviamo, mondo che ha un fuluro, che è tullavia incompleto. In
questo mondo non finilo l’allernativa di «ma lerialismo o teismo è
intensamente pratica». Essa si può formulare così: «In qual modo il
programma della nostra vila è allo a variare, secondo che si considerano
i fatti dell'esperienza come configurazioni di atomi senza finalità
(materialismo), oppure come dovuli alla provvidenza di Dio?» (teismo). È
vero che in questo mondo non finito la materia fa prati camente
lutto ciò che può far Dio, che essa equivale u Dio, che Dio è superfluo e
cessa ogni legiltima richiesta della sua esisienza? E vero che «la
materia, di cui paria Spencer, per la quale si compie il proi cesso
dell'evoluzione cosmica, è veramente un prin| cipio di perfezione infinita
quanto Dio? ». (8) Vediamo. Secondo il materialismo e la sua «
teoria dell'evoluzione meccanica, le leggi della distribuzione
della materia e del moto» sono rivolte incessante_Inente al disfacimento del
mondo, «a dissolvere tutte le cose che hanno falto evolvere ». Così il
Balfour cl rappresenta l’ullimo previdibile stato dell'universo
quale ce l'ha dalo la scienza evoluzionista: «Le eNergie del nostro sistema si
consumeranno ; la gloria del: TR cselrata, e la terra, inerle e
desolata, a disturbato 1a oltre la razza che per un momento E SS
GLILI a sua soliludine. L'uomo cadrà nel EF va suoi pensieri periranno. La
inquieta a... le «azioni immortali » moriranno, e l'ai More, più forte
che la morte, sarà come se non foss _ mai slalo. Nè vi ‘'à Il i i sli
se 1 sarà nulla che sia meglio o peggio i fu) d04, DD. La
Religione nel Pragmatismo per lulto ciò che il lavoro, il genio, la
devozione e la sofferenza dell'uomo avranno fentalo di effettuare
durante età innumerabili » . Dunque la sorte ulti ma di ogni cosa e di
ogni sistema di cose cosmicamente evolute è tragedia. Nulla rimarrà di ciò
che è slalo: non un'eco, non una memoria: la rovina sarà
universale. È si noti: « questa rovina e tragedia finale sono nell'essenza del
materialismo scienlifico. Le forze più basse, e non le più alte, sono le
forze eterne o quelle che sopravvivono ultime nel solo ciclo di
evoluzione che noi possiamo definilivamente vedere » . Ma se Dio
esiste, i risultati pratici dell'evoluzione dlel mondo saranno ben altri.
« Un mondo che conlenga un Dio che dica l’ullima parola, può bensi arderè o
ghiacciare, ma però noi pensiumo che Egli pensa sempre ar vecchi ideali e
ne assicura che alriveremo a goderne; perciò il naufragio e la dissoluzione non
sono mai assolulimente finali. Ml bisogno di un ordine morale eterno è
uno dei più profondi bisogni del noslro cuore... ». «Qui
giacciono i significati reali del materialismo e leismo...; matlcrialismo
signitica Ja negazione del. l'ordine morale eterno e l'esclusione delle
speranze ultime; il teismo significa l’afiermazione di un elerno ordine
morale e dà libero corso alla speranza. Un'altra conseguenza pralica di
grande importan: za deriva dalla affermazione feislica: il
sentimento d'intimità col mondo. I mulerialismo con la sua
visione impersonale dell'universo ci pone di fronte a una realtà muta,
in: differente, brutale che distrugge via via ltutlo ciò che crea,
senza curarsi del bene e del male, e dei biso - gni umani. I
bisogni umani! Ma che cosa è ma l'uomo per il quale si dovrebbe avere dei
riguardi: L'individualità di ciascuno di noi è come una BalFOUR, The Fondalions of Belie{ (Le basi
della fede) p. 30, citato dal JAMES in; Meludo praymatista, pp. 21-22,
in. Der Pragmalsmus, JAMES, IL Met. Pragm., p. 22; Der
Pragmat,, D. 66. Zuî, pp. 23-24; p. 66 sg. Il Pragmatismo
= rrasca, 7 are in burra sopra: unt ma senza trequi
epolto;che Loano È AESLLUSRANO FOT sj venti e le onde c iizoirenomoni
Uasc due i i non siamo che degli €} gli eventi . Come otza (dol
flusso irresistibile deG Letta così falla? È Si simpatia e amore per o a
senoi mettiamo 6, invece, nelle cose 0 MIO a esse ci appariscono n
Dio una som idenzar allora. lime al nostro cuo| ù calde, viù vicine a e voni
saremo più estra"o pensiero : > e al Nostro La non lo saranno a
noi. Ri Mg ici co ce eciesse: ‘agmalistico sì polrebbe dire Da un
punto di vista DER fra il maferialismo e il le la differenza che passa
fra de senlire i no: CE "nali el concepire e sentire ; O
spiritualismo) nel concepire : I ROGIE BLOGO SÌ differenza sociale.
£ i rapporti col mondo è una eee iamo malerialisti, noi dobbiamo DR
È SIGrgnn {ra socio, il mondo, difidenti e USE E guardia che non ci
GU slringorit Spiritualisli noi possiamo fidare li, S SECOLI
Nexbitualisti SIAE n ere fidenti sulla nostra " tai Ise peosstere
ident so utile, che on ai Rostri bisogni emozionali, che ci fa
‘Procedere coraggiosi nelle nostre esperienze sulla Tealtà nella speranza
che ln realtà risponda alle do mande che le rivolgiamo, è una Sani UerisUca
della | Verità, noi dobbiamo concludere che il (eismo è vero © il
materialismo è falso. Vi sonoaltre ragioni che autorizzano a tirare
conclusione in favore dell’esistenza di Dio. Se Dio, Egli produce
differenze prati porti call'universo; se c'è un Dio, renze « nella
sorte finale del mondo : lo. Ma possiamo dire d questa
c'è un che nei nostri lap questo s'è vedu i produca
differ . Ina durante tutto il ere che l’esistenza di
Mella sorte finale do» Ammetl ì, L'Expérience
religieuse, D. >, Il Metodo
pr agmut., p. 15; 4 Pluratistie Univer Il Met. Ppragm.
Egli produce diffe È più: se c'è un Dio noi possia-.
no aspellarci che egl enze non solo, | corso del monDio non possa
a 66 La Religione nel Pragmalismo cangiar nulla nella nostra
esperienza non è affermare ‘l’inverosimile? «il vero significato di « Dio
» sla appunto in quelle differenze che debbono essere ammesse nella nostra
esperienza, ove il concello sia ve“ro. Ebbene queste esperienze esistono cd
hanno un ‘intlusso polente sul sentimento e sulla condolta. La Z
esperienza fisica, o percezione degli oggetti esterni, e la esperienza
psicologica pura c semplice limitata alla tà percezione deil'io, non
colgono la realtà tolale e pie‘q namente reale, e non sono le uniche forme di
espericoza: ve n'è una terza: l’esperienza religiosa che (ci dà una massa
di esperienze concrele affalto ori«_—‘ginali. «Se voi chiedete cosa sono queste
esperienze vi dirò che sono conversazioni coll’invisibile, voci e
visioni, risposte fl preghiere, mutamenti di cuore, Ta liberazioni da
paura, influssi di speranza, assicura zioni di appoggio, ogni qual volta
certe persone si mettono in una cerla attitudine interna, con certi
modi appropriati. Il potere viene, va e si perde, e può esser trovalo
soltanto in una certa direzione determinata, proprio come se fosse una cosa
concreta e maleriale» xl}, Vedremo più sotlo perchè praticamente parlando
è cosa di poco momento che il Dio della teologia sistemalica esista o non
esista; «ma se il Dio di queste particolari esperienze è falso, è
una cosa lerribile per quelli la cui vita è poggiata su tali esperienze »
. _, Concludendo: «la controversia teislica assume un lreniendo
significato se noi la saggiamo coi suoi re; sultati nella vita attuale » . Il
naluralismo, il posiARI livismo e l’agnosticismu possono cominciare con culusiasmo
il lavoro rude della vita, ma liniscono fatalmente nella tristezza e nello
scoraggiamento inerte. Se invece, come afferma il teismo, la nostra
vita ‘cosciente di lutti i giorni fa parte d'un universo morale,
armonivso, elerno; se ognuna delle nostre sofl a O TAES: ALI
relty., ). AMES, Mel. pragm., pp. 28-29. Sono appunto queste |
‘esperienze che formano Ìl tema e l RA) ci CRA la e la materia di:
L'Experience /£ Metod. Pragni. a N ll
Pragmatismo 67° ferenze ha la sua ragion d'essere e il suo
valore; se il cielo sorride alla terra e se gli dei vengono a
visitare gli uomini; se la fede e la speranza sono come l'atmosfera della
nostra anima, allora la nostra vila scorre abbondante © colorita in mezzo
a grandiose prospellive i
Possiamo tirar subito una conseguenza importanle dal punto di vista
pragmatlistico ; la speculazione èimpotente a condurci a Dio; noi affermiamo la
grande probabilità della sua esistenza in base alle conseguenze pratiche,
all'utilità reale, in contanti, che derivano dall'accettarlo come
esistente. Naturalmente, e lo vedremo sotto, il pragmatismo non può darci
più che una probabilità. Lo Schiller con lo stesso metodo giunge
alle stesse conseguenze. Col James egli rigetta le prove tradizionali
dell'esistenza di Div e fa una guerra spietata alla identificazione con
Dio dell’Assoluto degli idealisli trascendentali. Per lui la comune
insufficienza delle prove tradizionali sta nella loro astrattezza. Esse,
infatti, sono applicabili alla concezione di un universo qualsiasi,
non ul nostro mondo particolare. Per esempio: l'argomento cosmologico inferisce
Dio dal fatto che vi è eausazione in astratto; l'argomento
fisico-teleologico è costruito arguendo, in maniera affatto
generale, dall'ordine un ordinatore . Ebbene questi argomen ‘li non
provano nulla perchè vogliono provar troppo. Dal momento che si
possono applicare ad'ogni solta di mondo, buono o cattivo che esso sia, ne
segue che la divinila inferita con questa specie di argomentazioni è
affatto indifferente al contenuto del mondo, al bene e al male che esso
racchiude: è un Dio amorale, che si può inferire così bene da un
universo ollimo come da uno pessimo. La inferenza di Dio dal mordo
sarebbe ugualmente buona nel Cielo e nel l'inferno, Ecco perchè tutti i
lonlativi di ascrivere a Dio attribuli morali sono condannati a ;certo
insuc 30. JAMES, L'Experionce religieuse. Se il
| cesso. Trascurando gli aspetli morali del nostro mondo come si può
giungere a un principio morale gli esso? Ebbene, non è di codeste prove
che noi abbiamo bisogno; non chiediamo una prova dell'esistenza di Dio
che sia valida per ognì universo pensabile, mù per il nostro mondo
aituale, che tenga conto del contenuto concreto, reale delle cose che noi:
esperimenliamo; ci occorre un Dio il quale ci dia sicurezza, che nel
nostro mondo vi è un polere capace e disposto a dirigerne il corso . È
È Il dialogo: Gods and Priestes (Dei e Sacerdoti) è lullo
una critica birichina degli argomenti razionali (teorici) dell’esistenza di
Dio. Dice Filono: «Mi pare che Vesislenza degli Dei si possa inferire dall’esistenza
dei sacerdoli, poichè, se gli dei non ci fossero, e che ci starebbero a
fare i sacerdoli? » Un argomenlo puerile, a dir poco, come si vede. Eppure
Anlinoro risponde: «Questo argomento è... migliore della più parte di
quelli dei teologi » . Più oltre Antinoro dice: .« Finchè il Dio ignoto
non è desideralo è incomoscibile » . Noi sappiamo che « inconoscibile »,
per l’umanismo, vuole dire «non-esistente ». Ma dunque il nostro
desiderare, volere Iddio è creare, fare Iddio? Senza dubbio: «il
desiderio fa reale l’irreale n. « Gli dei sono reali in quanto responsi
ideuli ai reali bisogni umani, che ci funno realmente agire» . Dio 6 un
postulato della fede ed è delia stessa nalura dei postulati della scienza
, cioè una supposizione uli- SCHILLER, Humanism., Ess, 1V, « Lotze's
Monism »; p. 82. = lo non posso indugiarmi a esporre largamente le teorie
religlo5e dello SCHILLE", come ho fatto col JAMES: un articola non
basta a ciò, Del resto non è neanche necessario, perchè lo SCHU.LER,
quando pula di religione. si appoggia spesso al JAMES, €,
sostanzialmente, lo riproditeo ScHiLLER, Studies in Humanism,
Essay.The gods nre real as the ideal responses to real human needs, which
really move us, Studies in Humanism, p. 136. Lo ScHILLER cita qui: La
tolontà di credere del James, = "i si » etiam Lu e e
ir__nnnn_nn_ RPEI EN oli Pragmulismo le,
una domanda di qualche cosa che corrisponda alle esigenze dell'uotno e
mella armonia in una speciale sfera di esperienze. L'uomo fa la
verilà e la realtà, come s'è veduto: È è vero e reale ciò che opera e in
quanto opera; la soslanza è allivilaà, e l'attività non esiste se non
come attività per noî. La domanda di Dio non è la domanda di un essere
lrascendente, ma di uno perfezioÈ nante la esperienza nostra . Perciò la
questione: LI, Dio esiste? significa: Qual'è il valore per noi del conX
cetto di Dio? | siecome le concezioni di Dio sono mol| le, qual'è il valore di
esse, 0 dei varì tipi ai quali lulte sì possono ridurre? E qual'è il
migliore fra i concetti di Dio? $ 9. Nella filosofia
spiritualisla noi troviamo due specie di (eismo in senso largo: il leismo
dualistico, o teismo propriamente detlo, e il leismo monistico o
panteislico. Il primo è la elaborazione teologica della filosofia
scolastica, il secondo è proprio dell’idealismo posl-kanliano, 0 idealismo
assoluto, o idealismo simpliciter, che si voglia chiamare . Esponianoli
brevemente ed esaminiamone il valore alla luce del pragmatismo.
>» Il'ieisino scolastico insegna che Dia è la Causa Prima, la quale
differisce tolo genere dalle sue creature. La sua essenza è di essere a sé.
L'ascità è la fonle di ltulli gli altri allributi metafisici: necessità e
assolutezza, immaterialità e semplicità, infinità e personalità metafisica,
ecc.; e degli attribuli morali: sanlità e onvipolenza, onniscienza e
giustizia, im mutabilità e amore, ecc. . Ebbene, applichiamo
a ScuuLer, ivi.
Considerazioni simili a quelle del James contro ia visione materialistica
della vita nol troviamo li Humanism, Ess. XIV, pp. 250 seg.: «The ethical
significance. of immortality ». Vi dintostra che la vita non è degna
d'esser "vissuta se non sono conservati i valori ideali. /
(29) JAMES, A Pluralistic Universe pp. 23-24; Der Pragmalismus, VIII
Vorl. p. 192. a JAMES,
L'Expérience Reltgieuse, pp. 371-376; Saggi pragmat., IL metod. pragm., pp.
25-20. ) ar n . 70
La Religione nel Pragmatismo RO T questi attributi di
Dio il principio del Pierce ec vedreL mo che fra essi ve n'ha di più e di meno
importanti. i Infatti, dal punto di visla pragmalistico che divenN gono
gli altribuli metafisici di Dio, distinti dai suol attributi morali?
Quali effetti possono produrre sulla nostra condotta? Che cosa importa
per la vita del. l'uomo che Dio sia a sè, che Dio basti a sè
stesso, che Dio non appartenga et nessun genere ecc. ecc.? «Come
può mai l'« aseità » di Dio loccarmi inlimamente? Quale speciale cosa posso io
mai fare per adattarmi alla sua « semplicità? n «O come devo de
terminare lu mia condotta da qui innanzi se la sua «felicità» è
assolutamente completa?» Anche quan‘do di quesli attributi ci si desse una
dimostrazione logica rigorosa noi dovremmo confessare che essi non
hanno senso, 4 poichè sono lontani dalla morale, lontani dai
bisogni umani . ‘Non è così degli attribuli morali. Essi
risvegliano il limore e la speranza e sono il sostegno dell’anima. Se Dio
è santo non può volere che il bene; se è onnipotente ne può assicurare il
trionfo; con la sua onniscienza ci vede nelle tenebre; per la sua
iustizia, Egli punisce le nostre colpe anche segrete. ègli è tulto amore,
dunque perdona; è immutabile e quindi possiamo contare sul suo amore.
i Iddio, nella creazione, si è proposto come fine la manifestazione
della sua gloria; « questo dogma ha certamente una qualche elficace
connessione pratica ©. colla vila, 0, meglio, Phu avula per l'enorme influen|
za che ha esercitato sulla storia ecclesiastica e per ? ripercussione
sulla storia degli Stati curopei» . Cerlo, quest'ullimo dogma, connesso
con la concezione monarchica del mondo, di una divinità con la sua corle
e le sue pompe non corrisponde più alla nostra mentalità, ma gli aliri
attributi hanno un valore religioso anche attualmente. Sc la teologia scolastica JAMES, L'Excpérience religieuse, DD. 375 S86.:
Il Metod. Pragm.
JAMES, L'Expérience religicuse, p. 376; Il Metod. Pragm. (op. c.), pagina
27-28. i LA 4 s = lì Pragmalismo
1 polesse stabilire in modo irrefutabile che Dio li pos- e) siede
(gli attribuli morali}, darebbe una base solida si alla religione.
Ma, come per l’esistenza di Dio, cusì 19 per gli allribali morali essa ba
fallito nel tentalivo sl {lo Schiller ce ne ba detto il percl®). Si può
provare d storicamente che essi non hanno mai convertito nes- È
suno. Provatevi a dimostrare, scolasticamente, a uno | che dubita
della bontà di Dio, che Dio è buono per- ì chè non vi è non-essere nella
sua essenza! Quegli ni
altribuli hanno valore non perchè e in quanto sono dedolti, dalla
scolastica, a filo di logica da certi du (erminali concetti o calegorie,
ma perchè e in quanto ur; eccilano in nvi la risposta di qualche
sentimento at- A livo e fanno appello a qualche particolare condotta
= da seguire» , non quindi in base a speculazioni, | Pi - ma
per la loro efficacia pratica. |, V'ha di più. La concezione
leistica (scolastica) dipingeudo Dio e la sua creazione come distinti
l'una dall'altra, anzi come affatto diversi, mette il soggello umano
fuori di ogni contatto con la più profonda realtà dell'universo. Dio è
separato dal mondo e dal- . l'uomo. Fra l’uomo e Dio vi è connessione o
rappot= in - lo unilaterale, non reciproco. La sua azione può toc-
: carci, si afferina, (conte possa toccarci è un misleto) ma
Lui non può essere affetto dalla nostra reazione. Il rapporto fra noi e
Dio non è sociale: i due terni. | ni sono separali da un abisso (8). Dio
non è cuore del nostro cuore, ragione della nostra ragione, ma
nostro maestro e giudice, ll nostro dovere inorale è di obbedire
ineccanicamente a’ suoi comandi, di aderire pussivamente alle verità che
non noi faccia > mo, ma che esistono per sè, « by (iod°s grace QI
CE ‘ decrec» . Ebbene, lutto questo meccanismo LEO= N logico, che
ha parlato così vivamente all’animo dei nostri antenati, con la sua
limitata elà del mondo, | con la sua creazione dal nulla, con la sua
moralità ta W) JAMES, L'Erper. relig., DD. JAMES, IL Met. pragm., PD. 26 . Ca ye 2 JAMFS, A Plural. Univ., pp. 25-27.
“i | James, «Ad Plural.
Univ. 72 La Religione nel Pragmalismo giuridica ed escatologica,
col suo gusto per le ricompense e le punizioni, col suo considerare Dio
cone un Jlegisialore esteriore, suona così vecchio al piu di noi
come se si trattasse di una religione selvaggia di stranieri. Le ampie vedute
aperte dall’evoluZionismo scientifico e lo marea monlanie degli ideali
delia democrazia sociale hanno cambiato il tipo del la nostra menlalità,
e il vecchio leismo monarchico è vielo e fuori di moda. IL posto del
divino nel mondo dev'essere più organico G più intimo. Un creatore
esteriore e lc sue islituzioni pussono essere professale ancora, verbalmente,
nella Chiesa in formule che sopravvivono grazia aila loro inerzia, ma la
vila è lontana da esse, non lano più adito nei nostri cuosti . Quel
magnifico uomo nou naturale che è
il ‘Dio del teismo non cì soddisfa più; è solto il livello delle
idee morali correnti e perciò condannato dall’'alinosfera morale regnante,
divenula per noì indi. spensabile. «I frulli che un tal Dio
ha dato ai nostri avi hanno perduto ogni valore per noi, le idee morali e
sociati nostre ci costringono, sc abbiamo bisogno di Dio, a
foggiarcelo in corrispondenza alle aspirazioni e agli ideali del lempo
nostro . Ed ecco che l'anima contemporanea ha veduto la
possibilità di una più intima Weltunschauung; la visione panteislica di un Dio
immanenfe come sostarza inlima del mondo, e il mondo come parle di quesia
profonda realtà. Questi concezione hu assunto due forme diverse: la
monistica e la pluralislica . pp. 29-30. Lo stesso pensiero è espresso più
largamente in: L'Eaperience reliyteuse, Qhap. IN: Critique de la
Saintele, pp. 250-284 La frase è dell'Arzold. Cir: A Plural.
Univ., JAMES, L'Ewper. relig. Si è detto che”il Dio tiel tolsmo è
rigettato dal JAMES semplicemente perchè così porta la moda,
Intendiamoci; se per ni0da si vuol significare «il complesso delle idee
morali e delle forme sociali» di una data epoca, l'osservazione è giusta;
se per moda s'intende quella brutta cosa che tutti conoscono, non credo che sia
esatto il dire chè il James giudica di Dio in base ad essa. Cfr..
L'Erpér, relig., 1. c. JAMES, LI Plural. Uniw., pp. 30-31. Secondo il
monismu la sostanza umana (e mondia- ©. le) si identifica bensì con
Ja divina, ma non diventa veramente tale che nella forma della totalità.
Lo spi- 3 rifo finito non ha realtà che neila comunione con lo
pi spirito Assoluto; cioè ìl divino esiste autenticamente È
solo quando è esperimentato nella sua assoluta l0 rà lalità. Pev il
monista essere significa due cose: se si È predica delle cose
finite significa: essere un oggetto Ì dell’Assoluto; se si predica
dell’Assoluto stesso vuol i dive: essere il pensamento dell'insieme
degli oggetti. LvAssolulo ci Îa pensandoci, precisamente come noi,
nei sogno, facciamo gli oggetti sognandoli, o, in una storia, i
personaggi immaginandoli. Mondo e assojulo sono la stessa cosa espressa con
nomi diversi: pensiero e pensato (Gedanke und Gedachleg s – cf. Grice,
SIGNIFICARE E SIGNIFICATO – SEGNARE E SEGNATO – Meinung – ge-meint). Quale
grandiosa concezione nella sua terribile unità!» esela: ma il James .
Quale intimità fra il mondo e 1 ASsolulo! > Ma, pur troppo, a un
esame diligente questa 31 LI St x. milà ci apparisce illusoria
e materiale; in realtà il divino è affatto estraneo al mondo come nel
teismo monarchico . E in vero: per lassolulisla noi, POSI ad
uno ad uno nella nostra finilezza empirica non abbiamo nessun rapporto
con l'Assoluto; per far (parle di esso dobbiamo perdere l'essere nostro
individnale con la sua limitatezza e coi suoi difetti. L'AsEa solulo è noì e
lutte le allre apparenze, ma non è I nessuno di noi in quanto fali,
poichè nel tutto TION x siamo « trasformati» diventiamo altra cosa. Dio
quaFat: tenus infinilus est è altro da Dio, qualenus humanam wr mentem
conslituit ha scritto lo Spinoza, il primo ; grande assolulisla . La vera
conoscenza di Div = serive l'Hegel comincia quando conosciamo che
le cose, quali ci si mostrano immediatamente, non han: ‘no verilà .
L'Assoluto secondo il Taggarl non è processo, ma stato immobile: il
movimento JAMES, ivi pp.
34-37, Zbta. James, A Plural. Univ., Di. » DI art ri È aaa” ul = Pa. ASTRA La Religione nel
Pragmatismo il cangiamento sono assorbiti nella sua
immutabili È i come forme di mera apparenza . Che cosa più DA
estranea a noi di un essere che non è nè intelligenza nè volontà, nè una
persona, ne una collezione di persone, nè vero, nè bello, nè buono nel senso
che noi diamo a queste parole? come scrive BRADLEY [citato da Grice,
Prolegomena]. Che cosa facciamo di questo mostro metafisico incapace: di odiare
e di amare, di soffrire e di desiderare? L’Assoluto non può essere personale nel
senso ordinario della parola; dunque non può interessarsi delle persone:
la sua relazione con ess? è tutt'al più una relazione di inclusione,
puramente logica, quindi, non morale . Io non posso avere nè cuore
nè pensiero per un essere che nulla ha comune con me; se Lui nella sua inerte
auto-beatlitudine non s’inleressa di me come posso io interessarmi di Lui? = Non solo l'Assoluto non è un principio
morale, ma non ha neppur valore scientifico. Per aver valore
scientifico dovrebbe essere un aiuto alla comprensione intellettuale
dell'Universo. Ebbene Esso non è la ragione suprema ed ullima di ogni
cosa in par ; ticolare (e l'universo si compone di cose particolari)
> appunto perchè è la ragione esplicativa di ogni cosa î in
generale; e qual'è il valore di una spiegazione gemerale che non spiega nulla
in particolare? . È, come si vede l'applicazione all’Assoluto
dell’astrat lezza dei concetti con i quali sì prova, in teologia, 2
che Dio esiste e se ne deiermina l’essenza, secondo lo Schiller. s JAMES, Ivi; SClilLLER, Stud, i D p o i
ud. in Hum. Essay XII, passim; JAMES, 0p. cit. pp. 47-48; SCHILLER, iul,
p. 286 g. e: (Essr IV, pagine 111-140.
IDRA RRE JAMIS, ©p. cut., avi,; SCHILLER, Ess.
JV. ScHILLER® Stud. in Hum,, D. | James, A _Plural Univ., p. id; SCHILLER, Stud.
in Hum. bp,; « If th» One is neither of these {hings (beautiful and
| good), I will not worship it. nor call it Good. If it is indifferent to 9ur
Gocd, I am indifferent to its existence n. SCHI,LER, Stud, in IHum., p. 25).
db Ît Pragmatismo Ti) Ma c'è di più. Uno dei problemi che ha
maggiormente alfalicalo il pensiero umano è il problema del î male, il
più fondamentale e il più pressante dei problemi religiosi. Esso ha un lalo
teorico e uno pratico. Il teorico si formula: « Com'è possibile il male?»
Il prutico: « Come liberarci dal male? » Il primo sor ge
dall’impossibilità di conciliare la bontà di Dio. con la sua onnipolenza
e con la sua infinità. Se Dio è il tutto, la perfezione assoluta,
senza limitazione nè possibilità di limiiazione, donde il nale? Se
Dio è onnipotente perchè non trionfa del male, di tulru
il male? . li panteismo assolulista ci dice che la periezione di
Dio è la sorgente delle cose; ebbene, guardate: il primo altu di questa
perfezione è la spa ventevole imperfezione di tutto il finito
sperimenta bile. Come mai la perfezione dell’assoluto, richiede
7 queste schifose forme di vita che troviamo nella realtà? Ecco il
problema che nessun assolutista € . nessun infiniusta potrà maì
risolvere. Negarlo nou è risolverlo. Lire, come fa l’assolutismo, che la
impertezione del tuito non è che apparenza, una illusione degli esseri finiti,
che il maligno non esiste 0 è assorbito con Dio nella sintesi superiore
dell’Assoluto, ecc., ecc., non è risolvere, ma ingarbugliare il problema.
Il male c è è noì vogliamo liberarcene. L ìl problema pratico si
presenta: « Come scemulti | x la quantita del male che è nel mondo? ». Il
lato pratico del problema, chie è il solo veramente importante, non ha sensu
per l'assolulista: tutto ciò che è, è necessariamente come apparenza
dell’Assoluto : ogni cosa l determinata nel suo essere e nel suo divenire;
ia connessione fra le cose è assoluta, ogni evento è determinato da
lulti gli eventi . Non esi lai” sad SCHILLER, po 287-258.
nati James, 1 Pturat. Univ. p. 117, Una simile domanda è rivolta dal
James al teismo creazionista del Leibniz (e si può | rivolgere ad ogui
specie di creazionismo). Vedi: A «Plural. Univ., vp. 119 120. « Perchè
Dio crea liberamente questo mondo imperfetto, e non si contenta di
contemplarlo nello schema ideale perfetto? » > 95 James,
4 Plural. Univ., pp. 55 © 77. 2a La Religione nel
Pragmatismo ioni; i é che stono possibilità di nuove
connessioni; non vi è c ; DE ‘possibilit: quela che s’identitica Son IP
DESeRa silà. L’indelerminatezza del reale e la bo. FR na sono
chimere. Ecco a che conduce. la Assoluto. Eibovo queste terribili
accuse ACCIAIO deil’Assolulo noi ci aspettiamo di NEdSri dan nato
alla irrealtà dal metodo PrOgmal sa MEO amet no RO . Dal punto di vista
intel: ì es , E ris : ) 5 : CRA gua SelSsolnio Do i SA ISRUIL
SDOlai elipotesi RO se l'Assoluto rende dei serDi all'uomo. Orbene,
quantunque l'Assoluto sia e non possa essere il Dio della religione popolaure
ordinaria e non si debba confondere col Dio del Cristianesimo c della
Lcologia ortodossa ne vedremo più sotto il perchè tuttavia è stalo e
può essere il Dio di una certa classe. d'uomini, che in Lui solo
trovano la pace {?). Ciò che sembra logicanente assurdo c impossihi può
essere dimostraio in q non le dice Schiller ualche modo con una
fede eroica e palelica, Non v'è materiale così poco proInettente che non
possa divenire il fondamento di una veligione. Non' vi sono conclusioni
così bizzarre che non possano essere accellale con fervore
religioso. Non vi sono desideri così assurdi Ia cui soddisfazione non
possa essere riguardata come un atto di cullo . Perciò l’assolulo
può esistere ed esiste come Dio se ha una reale iniluenza s
ulla vita umana, se è qual“ehe cosa di vitale e di valutabile
pragmalicamente. Ebbene, la storia delle religioni ne ha dimostrato
l'utilità. Vi sono unime che hanno bisogno di una sicurezza assoluta che
l'esito del mondo sarà buono, che l'universo non audrà in isfacelo sotto
il COZZO Zut; Der Pragmatismus, Vorl., ASSI, SCHILLER, S/ud. in Ilum., p. %6. i
Iîì Pragmatismo Ti degli clementi instabili e fortuiti;
lale sicurezza non può aversi che ammettendo un'assoluta necessità
e una interna coerenza del mondo, una determinazione a priori del
futuro. Vi sono anime che provano un sentimento d’orgoglio al
pensiero di essere una parle, una «manifestazione », un «veicolo» o una
ripreduzione della Mente Assoluta . Vi sono quaggiù anime stanche,
accasciate sotlo il peso del male, incapaci di trovare in sè stesse la
forza di vincerlo; la loro vita si sfascia ed hanno bisogno di risolversi
nell’Assolulo, come una goccia d'acqua nel mare. Noi tutti abbiamo dei
momenti in cui aspiriamo al Nirvana, alla liberazione di noi stessi dalla
esperienza finita. Questo stato è proprio degli Indiani, dei Buddisti e
dì certi temperamenti mistici ai quali è conforto ed ebbrezza il
sapere « che tutto è necessario ed essenziale, anche l’uomo col cuore e
con l’anima ammalati: che tutto è uno in Dio e che in Dio lullo è buono.
che in que-. slo mondo di apparenze, qualunque sia il nostro successo,
siamo sempre dei miserabili. Vi è dunque un istinto dell’Assoluto.
L’Assoluto può servire all'uomo, e perciò, nonostante le sue assurdilà,
il pragmatismo lo rispetta ci dicono a una voce il James. e lo Schiller
poichè gli istinti umani sono preziosi © sacri e tutto ‘ciò che opera è vero finchè
opera. IL’Assoluto è salvo sotto le grandi ali della misericordia... del
pragmatismo., Il quale pragmatismo inclina tuttavia ad
un'altra concezione del mondo e quindi di Dio. L’'Assoluto mena
necessariamente all’indifferenlismo e al quielismo; non è uno sprone al lavoro
audace dei forti che non rifuggono dal male della vita ma lo affrontano
pur nel dubbio di trionfarne, esso è per le anime un oppio spirituale; è il Dio
dei deboli, degli stan- JAMES, Mer Praymatismus, VITI Vorl., pp. 174-194,
passim; SCHILLER, Stwal. in Mum., JAMES, pp. 187-188. Numerosi esempi di
questo singolare stato d'anicao ha offerto il James in: L'Expér. relig.,JAMES,
Der l'ragmat.; SCHILLEK, op. c., p. YI. fo) La Religione nel
Pragmatismo chi ; il pragmatismo non può accertarlo. Si è aCcusato
il pra matismo di irrceligione; @ torto però. Non è a credere che la
dottrina pragmalista, rigeltando VAssoluto e il Dio del teismo monarchico, neghi
che il mondo contenga in forma di coscienza qualcosa di più grande e di meglio
che la nostra coscienza. Forse che la nostra fede istintiva in esseri
superiori, il nostro persistente rivolgersi verso una società divina non
è che una illusione patetica di anime incorreggibilmente sociali e
immaginative? . No, l'ipotesi di Dio è vera, perchè ha una eMceacia
reale; per quanto possano essere gravi le difficoltà che le si oppongono,
l'esperienza dimostra che essa opera. Il problema di Dio consiste in
questo: come elaborare l'idea di Dio in muniera di farla entrare in
accordo con le allre verità operative? , Ebbene, è logicamente possibile
di credere in esseri sovrumani senza punto identificarli con l'Assoluto. Il con_celto
dell’Assoluto sta in funzione del monismo idealistico ; il concetto pragmalista
di Dio sla in funzione del pluralismo: è la forma pluralistica del panteismo
religioso. Il pluralismo in quanto ha rapporto con la religione ammette
col monismo la immanenza di Dio nel mondo, come vita e sostanza profonda
delle “cose, sostanzialmente identica con la vita e con l'essere più vero
dell'uomo , ma differisce inconciliabilmente dal monismo negli svolgimenti
ulteriori della lesi unica. Per il pluralismo la vera realtà delle
cose è la loro individualità. Il mondo è collezione, non unità.
Ogni JAMES, iui, pp. 176 @
188. Jimes, Her Praugmal.,
pp. 178-192, Anche lo Sc È Ste 4 DI È 162, A o SCHILLER prois
contto LASERSA CIFITTRLIEIONO fatta alle nuove dottrine f adley, Cfr:
Stud. in Mum., D. 195. Per Îl res della citazione, vedi; A Plural, Unlv.,
n° 133. Per E Jamrs, ber Pragmat., James, A Plarai. Univ, Schiller parla
del Pluralisino in generale in: Stud. in Human D 907 è 459; vl
ROSSO alla sfuggita in altri luoghi per la relazione del. pluralismo con
l'Umanismo, vedi. Humanism, PI LA SE cosa pensabile,
per quanto vasta e inclusiva, ha un ambiente esteriore: non è mai
(ullo-inclusiva (AU inclusive). Nessuna inchiude lulte le cose assorbendone
la realtà tutta, nessuna domina su tutte. Men{re la realtà del monismo è
caratterizzata dalla All form (formia del tutto o dell'uni-tulto), quella
del pluvalismo è caratterizzata dalla Zach-form (forma del le
individualità o distributiva, come altrove la chiama il James): è la forma
dataci dalla esperienza iminediata. Il mondo pluralistico è piuttosto una repubblica
federale che un impero, un regno. L'unione delle cose singole atomi e
unità spirituali non è compenetrazione di tulte in ognuna, non è il tipo
del la unione monislica della tosalità-unità (Alleinheit), non è
complicazione universale, ma contiguità, continuità, concatenazione di
individui; è il lipo di unione synechislica , quindi vi è dislinzione e indipendenza.
Perciò nessun centro di coscienza, nessuna azione puo lutto abbracciare:
qualche cosa sfugge sempre e non può mai essere ridotta all'unità
to) Non c'è un'assoluta unità causale del mondo; non cè un'assolula
unila generica; non e'è un'assoluta unità teologica e morale; non c'è
un’assolula unità estetica, non c'è un’assolula unità noelica
attuale JAMES, A Plural
Univ., pp. 34, 321, 325. Il «synechismo» è quella tendenza del pensiero
filosofico che fa dell’idea di continuità una delle più Importanti in
filosofia. Il continuo è inteso come qualens cosa le di cui possibilità
di determinazione sono inesavribiti. Oltre questo synechismo che è
metafisico ve n'è uno epistemologico, cioè la concezione della
verità sistematica come gradualmente approssimabile, ma non mai
interamente taggiunsipilo dal pensiero. I.'uomo tende a una interpretazione
scinpre più razionale e coupleta dell'universo, ma ogni fase del processo
conoscitivo non è che una razionalizzazione parziale della realtà. CIr. l’arucolo del PrRcE Pragmatism nel ictionary of Philosophy
del Bal&win. Secondo
il Peirce il | Pragmatismo è parte deila dottrima più larga del
synechismea. (Credo che il nemne sia del Peirce). Cfr. la bellissima
opera Thegries of Knowledge, del P. WALKER S. T., TLongmans, Londra: da
essi ho prese queste cliazioni n proposito del symechismo,
dal La Religione nel Pragmalismo dell'universo . Vi sono «reali possibilità,
reali indelerminazioni, reali incominciamenti, reali finì, roali
mali, reali crisi, reali catastrofi e reali scompi . Nel mondo accanto
all'ordine vi è il Cso ne, accanto al sapere, vl è l'ignoranza, accanto
a bello il brutto, accanto al bene il male: non vi è dunque
perfetta, unità, ma molteplicità reale neil unità imperfetta. Forse l’unità
perfetta non vi sarà mai; forse non potranno essere liberate dalla
disgregazione e dal disordine che certe parli del mondo, quelle alle quali si
estende la nostra allivilà uni ficatrice. Ad ogni modo la piena unità, se
sarà possibile, nella ipotesi pluralista non è al priucipio ma alla fine,
non un primo ma un ultimo ; la salute ogni salule, anche ia parziale non
è necessaria, certa a priori, ma solo possibile. Nella concezione assolulista
il fondamento della realtà è l’unità statica; nella pluralista sono delle
possibilità, pure possibilità. Il pragmatismo riconosce un valore reale alla
prima, ma preferisce la seconda, come più in armenia col suo temperamento,
poichè essa è alta a suscitare nel nustro spirito un numero maggiore
di esperienze future e sprigiona in noi determinate allivilà. Il suo
effetto sull'uomo non è il quielismo, 1a il lavoro strenuo, poichè
com’essa insegna, da lui {dall’uomo) dipende la vittoria sul male:
vittoria possibile a prezzo di lotta contro i pericoli e la resi stenza
della realtà ad essere redenta è unificata. Così il jvagmatismo tiene Ja
via di mezze fra l'ollimismo per il quale la salvezza del mondo e
dell’uomo è “sicura e il pessimismo per il quale ogni salute anche
parziale è impossibile. Il pragmatismo è meliotristi: per esso il fuluro sarà
di più in più migliore del vresente come il presente è migliore del
passato. E la possibilità anzi la probabilità della salvezza per JAMES,
Mer Pragmatismus, p. 79-102; A Puwal. Univ. specialmente Zesi.
JAMES, Will to Believe, p. IX { Schiller: In Huinanism, pagina SI p,
Gitato dallo Schiller JAMES, Der Pragmatismus. i mo. il
Pragmatismo 8 ja liberazione dal male e per la diminuzione
della moltiplicità non unificata aumenta in proporzione del numero
e della bontà delle forze iiberatrici. Vi sono delle forze
sovrumane che lavorano e lottano con noi? Allora la incertezza
della salute è ridoita di mollo; possiamo sperare che l'esito del mondo sarà
buono. Qui si mostra in tutto il suo valore reale l'ipolesi di Dio; per questo
gli uomini religiosi del tipo pluralistice hanno sempre credulo in Lui .
Ma chi accelta il pluralismo ed ha bisogno di forze sovrumane , deve
elaborare il concello di queste in modo da accordarlo con le esigenze e con le
verità operative di tale dollrina. Quindi: la realtà divina (o le lealtà:
vedremo più sotto se al singolare o al plurale) deve coesistere con lulte le
altre realtà individuali inferiori, non assorbirle;j deve lasciar sussistere le
possibilità, le indeterminazioni, la libertà e quindi la incerlezza del futuro;
dev'essere personale al iagdo nostro, poichè diversomente ci è
impossibile 1 mità con essa: in una parola: può e deve esSIRO più grande di
noi, ma ron infinita, più potente RT Ta Tio onnipotente. Noi non sappiamo
che Alon Si Di s7ranico alla nostra natura; noi vo: FTT ESAC sla
intimo a ciò che è umano in Tondo dr 5 amen e umano, al mondo in quanto è
ONT sperienza. Noi e il mondo di cui siamo Perche Dig SO nel tempo e
abbiamo una storia; RSA la f apporti reali, non puramente astratCES col
mondo deve esistere nel tempo e una storia, deve quindi escludere
la staticità È RE Der Pragmat., pp. 182, 183, 191. IESUe i
celli accetta il pluralismo con tutti i suoi pericoli e Îlifmonda Fuso 4
se la sente di lottare du solo per rendere Riones E TERE RMS: tali uomini
non hanno bisogno ui reliTenero » che pool temperamento diameualmente opposto
«al tieni Ja SR dsc lAssuluto. Come si vede, il pragmatismo sulla
AT i mezzo che è la via aurea perchè conta a dleì temperamenti umani. I
più degli sono dai i . I pi egli uomini : si EONANO I SIANZA dei
due temperamenti opposti: a questi mamente ul tipo meltorislico del
telsmo, Pragmatismo PEPE], Pg ASS RE. I RARE 1 pragmatismo È s2
La Religione ne,” ed avere Un ambienté esiratemporale
dell'Assolulo esterno come noi. essere, IN una arola, uno degli
euch, UD mombro del mondo pluralistico, una conti nuazione di esso . i
; Uno o più? Monoteismo 9 polteismo? Si può con: cepire Dio
monoteisticamente e politeisticamente _. ‘dice il James purchè sj ammetta
la sua finità; è Vunica via per sfuggire a tutti gli assurdi e gli 1nconvenienti
che por sè l Assoluto . Tuttavia il pragmatismo inclina evidentemente al
politeismo, alla concezione di diversi del, ognuno dei quali Ss!
occupa di una frazione dell'universo; © di una gerarchia di coscienze inferiori
che vanno dalla c0d una suprema, senza soluzione scienza della
razza ® | i a non è infinita perchè di continuità; © la suprem
infir ‘sintesi di coscienze finite ; © è dice il Boutroux ‘un
sostituto pragmatistico dell'Uno astratto degli idealisti; in essa
€ per essa le coscienze inferiori possono entrare in relazione fra loro, amarsi
e comprendersi : sla qui il suo valore pratico. Tanto James come Schiller
tengono molto a rovarci che la loro concezione del divino sì
accorda perfettamente con la religione pratica, con la esperienza
religiusa dell'uomo ordinario, e con la teolo ia orlodossa non inquinata
dal veleno monistico. Ne Jehova dell'Antico Testamento nè il Padre Celeste del
Nuovo hanno nulla di comune con l'Assojulo se non questo, che lutti e tre sono
più grandi dell'uomo. Difficilmente io posso concepire qualche
fn 9” cosa di più diverso dall'Assoluto del Dio di David 0 JAMES,
A putrat, Univ., DI. JAMES. 13) È la teoma di Fechner che il JAMES €S
sone nella IV Let ‘tara del suo: 4 Plural. Unw.: "Concerning.
Fechner 0 oo : ì questa coscienza
feclneriana « esistente dietro le quinte ; da È del mendo» e non
ienulicabilc con l'Assoluto dei ° rascendentalisti, il James sveva già pirlato
in una conferenza « sull'im- i Saggi “Pragmatisti: « L'ime | i |
mortalità dell'anima, Cfr: (mortalità dell'anima », Di JI. Il
Pragmatismo di Isaia. Il loro Dio è un essere essenzialmente finito... nel
cosmo; vi ha un'abitazione e attaccamenti locali e personali. La
coscienza religiosa ordinaria postula un Dio parziale, un Dio che ci soccorra e
simpatizzi con noi poveri framinentli finiti del tutto . In nessuna
religione il Divino, il principio dell'aiuto e della giustizia, è riguardalo
come onnipolente in pratica. Il politeismo originario dell'umanità si è
svolto solo imperfellamente e oscuramente nel monoteismo. E il
monoteismo stesso, in quanto è veramente una religione e non il tema di
conferenze universitarie, ha sempre vedulo in Dio nient’allro che un
aiuto, un primus int:r pares in mezzo alle altre potenze che presicdono
alla storia del mondo e la formano {4). Il teisimo pratico e popolare è sempre
stato piu o meno francamente un pluralismo, per non dire un politeismo.
Cioè, il leismo volgare si adatta a un universo risullante di più
principì indipendenti gli uni dagli altri, purchè gli sì permetta di credere
che il principio divino (dal quale viene l’aiuto) sia il principio supremo,
al quale gli altri sono subordinati . E vero che questo Dio e rivestito
anche dal volgo, come dai filosofi, di qualcuno di quegli attributi melafisici
che abbianìo così severamente giudicali. È «unico », è «infinito »; l'idea che
possano esistere -più dei finiti nn è neanche discussa. Ciò si spiega dal
falto che il popolo s'inchina davanti alla autorità dei filosofi amanti
di unità e dei mistici inclinati al monoteisra9». In reullà la credenza
religiosa è semplicemen'e la fede in qualche cosa di più grande in cui si
può trovare la liberazione dal male. I bisogni pratici e le
esperienze (i; James, A Plural. Univ. SQUILLER, Stud. in Zum., Schiller
aveva difesa. e svolta la idea di un Dio finito gia In: Riddles of the
SpIinz Cfr.: Le Dieu fini (par Dessoulavy), Rev. de Fhilos. Scun LER, Stud, in IHum. TAMES, Der Pragmat., p. 192. JAMES, L'Expér. relig., Chap. V, p.
pormi T u oei”niuocoenau<{iite0tt@ en TEZZE RR a ge
84 La Religione nel Pragmatismo dell'anima religiosa NOn esigono
altra credenza che esta: esisle per ogni individuo una porsnza
supe: riore et lui, e a lui favorevole, alla quale può \.nirsl
perchè parlecipa della sua stessa nabvura. Per suscitare la confidenza
dell’uomo pasta che quel potere sia assai grande, sia più grande dell'io
cosciente, non è necessario che sia infinito © unico. Si potrebbe conceirlo
come Un “ jo» più grande € più divino, del quale io attuale non sarebbe
che l'espressione in piccolo: Puniverso spirituale sarebbe allora
Vinsienic di questi «io» più 0 meno comprensivi, ma non la uniti ussoluta.
Questa specie di politeismo è sempre stata la religione del popolo e 10 è
ancora . La credenza opolare “ ammette ì miracoli e le direzioni provVIdenziali;
non prova nessuna difficolià @ mescolare il mondo ideale è il mundo
reale, i supporre che le polenze spirituali intervengano nel gioco delle forse
tisiVide che a determinarne gli avvenimenti particolari ». Qui sta il
vero valore di Dio o del Divino e ì praginaUusti sì schierano tra i
difensori di questo sopraunatutali. smo. Il soprannaturaUsino grossolano?
Si, dice il Ja mes; e io sono persuaso che questa è L'ipotesi che sodita
disfa un più gran numero di legittime aspirazioni del cuore e dello
spirilo: per questo il pragmatismo la fa sua, ed anche perchè è
mirabilmente confermera da ai cerle esperienze religiuse. Quelli che le
hanno provate st Riti sanno che nol abillamo in un ambiente spirituale invisibile,
donde ci viene l’aiuto; che la nostra anima è misteriosamente una con
un'animu più vasta di cul noi siamo gli strumenti. Niente ci forza a
credere che uesta anima sla intinita, perfetta : l'ipotesi più nalurale e
più probabile è ammettere che VI ha un Dio, ina finito, sia in potere 0
in sapere 0 nell'uno e neli'al- } tro. 1:4% (i) gas, L'Erpér.
relig., DD, 7 i, JAMES, LED. 131-193,
dove si trovano le parole sottoli î neate da ine; A piurat. Univ., PD.
308, gli. A_PAE: 125 è più
Da categorico. DOpu aver dgto ragione 2 Giovanni Mul il quale DI aveva detto
che bio non può essere oggetto di religione ine L che non gli si toglie
la onnipotenza, aggiunge: “ To credo che : unicamente un Dio finito è
degno di questo nome », appunto perche, per lui, Dio è e dev'essere il
Dio della religione.bd mici dissi a = o Ie
Les E così è sciollo il problema del male. Im questa concezione Dio non è
responsabile dell’esistenza del male, non lo sarebbe nemmeno se il male
non dovesse mai esser vinto, Nel mondo panteistico, come s’è veduto, il
male, come ogni altra reallà, deve avere il suo principio in Dio: e la bontà di
Dio, che è essenziale assolutaumente alla religione dice lo Schiller come
sì salva? Ebbene ammettiamo che fin dall'origine il mondo è un insieme di
principî distinti, che il male non è parte essenziale, ma un elemento
indipendente e la bontà di Dio è salva: il problema teorico del male èsciolto.
E col leorico anche il pratico. Se tullo ciò che è, è essenziale,
come parte dell'Assolulo, il male è indistruttibile; se invece è elemento non
appartenente alessenza della realtà, noi possiamo sperare di poterÌ lo
espellere (il male) presto 0 tardi . Perciò lutte a le forme di teologia,
eccettuata quella più filosofica che ee ha subito l'influsso degli
assolutisli, concepiscono di fulto il male come dovuto a un potere che
non è Dio e ne è in qualche modo indipendente: è denominato
variamente: materia, volontà libera, o il diavolo. La onnipotenza di Dio dei
teologi non è quella dell’Assoluto: essa è dipendente da necessità metafisiche
. HE Concludendo: In questa concezione di Dio elaborala col
criterio del valore pratico sulle rovine della critica. È
dell'Assoluto e del leismo scolastico e in armonia col si pluralismo,
abbiamo tutto ciò che corrisponde alle. 4 esigenze umane del divino; è
salva la libertà dell'uomo: è dato un fondamento alle sue speranze è al
suoi desideri di salule ed è resa possibile la massima. intimità fra il
mondo c Dio: intimità di sentimento e intimità morale, cioè la vera
religione, che tanto ha operato e opera sulla condotta. : Noi
chiediamo ; « Di che natura sono le reallà spl TOA = L'Expér.
relig., Chap. V, D. 107. . “A () ScHILLer, Stud, in Mum.; JAMES, 4
Plural. Uniw,, La Religione nel Pragmatismo ; P,
rituali più alte? » « Io l’ignoro » risponde il James . Chiediamo
ancora: ‘ esistenza di Dio è un puro "contenuto soggettivo, ovvero è
oggettiva? » Poichè am mettiamo bene che l’azione di Dio,
nell'esperienza re| ligiosa, è reale, che ha un'efficacia reale e che
tutto | accade come Se una forza sopramondana agisse direttamente sul
mondo dell'esperienza umana ; am mettiamo bene che l’esistenza di Dio ha
un reale valore pratico quando è affermata con fede, specialmente coloso
com'è quello del pluralismo ; in un mondo peri ina noi sappiamo dal
James stesso « che certi oggetti ovocano in nol delle reazio
uramente intellettuali pr C i C î ‘così 0 più forli che gli oggetti
sensibili o reali . Ora è precisamente questo che domandiamo: le
realtà sovraumane hanno un'esistenza oggeltiva, indipen dente
per sé dalla nostra esperienza soggettiva, 9 in dipendente solo perchè
noi, con Patto di [ede, V'alfer miamo lale? e TS il
pragmatismo questa domanda non ha sen -S0; richiamiamoci alla mente la
sua dottrina della verità, della realtà e della conoscenza.
Una dottrina che nega il valore rappresentativo dei concetti e
professa il nominalismo; che dichiara di te abbandonare la logica
francamente, recisamente © irrevocabilmente» non può condurre che
all'agnoslicismo e allo scetticismo. È Ben poco ci rimane da dire
dell’applicazione pragmalistica del criterio delle conseguenze alla
reli gione dopo quanto siamo venuti esponendo fin qui. Che cos'è la
religione? È assai probabile che nen e che quindi è impossibile
definirla. « Religione » non designa un principio unico, ma piuttosto una
collezione: non v'è un'emozione religiosa elementare, come L'Expér. relig., D. 136. James,
L'Erper. relig.. D. 433, Zut, p.
45. ù A_Plur, Univ. arriveremo mai a scoprire “ l'essenza
della religione »- Il Pragmatismo 87_ non esistono nè un
oggelto religioso nè un atto religioso specificamente determinati. Se è
impossibile dare una definizione astratta della essenza della religione non è
però impossibile delimitarne il campo e inchiudere in una formula i lraiti
caratteristici empimci délla religione. Una divisione salta subito agli
occhi: tra istituzioni religiose (0 religioni stabilite) e
religioni individuali (o personali). La religione stabilita è un insieme
di istituzioni, di cerimonie, di riti, di sacrifici propiziatori, di
dogmi, di organizzazione del clero; si può definirla: un'arte pratica di
assicurarsi il favore della divinità, La religione personale è la vita
interio re dell'uomo religioso; gli atti che essa produce sono personali,
non rituali ; l'individuo sbriga da sè i propri affari con la divinità ; e la
chiesa coi suoi preli, coi suoi sacrumenti e con tutti i suoi
intermediari passa in ultima linea. Si può definire: «le impressioni,
i sentimenti, gli atli dell'individuo preso isolatamente in quanto
si considera in rapporto con ciò che gli apparisce conie divino » , comunque
poi s'intenda questo divino: come legge dell'universo, come anima del
mondo o come un Dio personale. Parliamo anzitutto del valore della
religione in senso personale e poi del valore delle religioni o
istituzioni religiose. Per quanto grande sia la differenza con cui
l'elemento religioso si combina nell'uomo con gli altri elementi del
pensiero, anzi, per quanto diverso sia il principio stesso religioso
nella molteplicità delle sette, dei credo, e dei tipi religiosi , noi
possiamo affermare che le credenze più caratteristiche della vita
religiosa sono: 1.° Il mondo visibile non è che una parte d'un universo
invisibile e spirituale, dal quale viene lutto il suo valore. 2.° Il fine
dell'uomo è l'unione intima, armoniosa con questo universo. James, L'Expér. relig., D. 2427. «
Nous entendrons exclusivement par le divin une réalité première de telle
nature que l'individu se sent obbligé de prendre vis-A-vis_ delle
‘une attitude solennelle et grave, en Jaissant de coté tout blasphème et
toute plaisanterie. Son io che sot» | tolineo. JAMES,
L'Expér, relig., P. 406, tas dee tie. nea 880. La Religione
nel Pragmatismo La preghiera, cioè la comunione con lo spirit
dell'universo sio esso un Dio 0
solamente una ; legge è UV atto
che non resta senza effetto: ne i risulla un influsso di energia
spirituale che può mo“A ‘ dificare in una maniera sensibile (anto i
fenomeni materiali quanto quelli dell'anima . (ei
Nella valutazione di queste credenze il criterio non sarà,
naluralmente, un sistema speculativo o {eologico, ma i frutti, le conseguenze
pratiche : dal frutto . sì conosce. l'albero. E poichî nella religione il
sentimento vi ha la parte fondnmentale, vediamo qual'è il valore
affettiva della religione. Tolstoi ha detto che Ja religione fa vivere
gli uomini. Il sentimento veligioso è uneccitazione giocunda, un'espansione
dinemogenica che tonifica e rianima la potenza vitale: aggiunge n valore
nuovo alla vita, c agli oggetti più ore inart un fascino e uno splendore
insolili. Se la religione non avesse che questo valore
soggettivo, IR non fosse che una serie di fenomeni psichici, senza }
$ nessull contenuto intellettuale, vera 0 falsa che cessa RAI fosse, nol sarebbe meno una delle funzioni
biologi UU: che più importanti della specie umana; ciò che ha SRO,
fatto dire al Leuba che il fine della religione non è Dio, ma la vita, una
vila più larga, più ricca: Dio 2: non si conosce, non si
comprende, Ma si sfrutta . Ma la religione ha anche un'immensa
fecondità pratica sociale. II frutto della vila religiosa è la
santità, che inchiude in sè tutto ciò che di meglio ci abbia dato la storia. La
santità ha avulo bensì delle manifestazioni ché la coscienza moderna non
può acceltare, ma VE n'ha di quelle e SONO più numerose che ci rivelavo nei santi
dei precursori © dei creatori. La sanlità accresce nel mondo în somma di
energia mora: le, di bontà, d'armonia, di felicità. La santità con
la AMES, 405. Nol sappiamo già a quale fra le varie convezioni «el
divino il pragmatismo dà la preferenza e per quali ragioni. Citato dal
JAN:S, D.: «Il ne faut Pas dire que l’on connalt Dieu, cu qu'on Je
comprend; ll faut dire que l'on s'en serta, sua forza
d'animo, col suo amore eroico pei miserabili più ributltanti, col suo spirito
di. sacrificio, è un fallore essenziale del benessere sociale. La religione
è la condizione necessaria di certi effetti, la «fonte dei quali nè
l'individuo nè la società hanno saputo trovare altrove: il disinteresse,
l'energia, la perseveranza. : 2 BAR Olire questo valere affettivo, o
biologico, indivi duale e svciale, la religione ha anche un valore inlelleltuale?
Questa questione si divide in due dice il James: «Solto la moltitudine
delle credenze vi sono delle affermazioni comuni? » E: «sono vere
tali affermazioni?» La risposta alla prima questione è affermativa:
in tutte le religioni vi sono due stali »- . d'anima identici: il sentimento
d’inquietudine che <S in noi c'è qualche cosa che va male, e il
sentimento che noi siamo salvati dal male entrando in rapporto con
esseri superiori con qualche cosa più
yrande di noi: lotta e liberazione: ecco la sintesi della religione
personale e il perchè del suo immenso valore sulla vita. Ma che cos'è
questo qualche cosa di più grande? È reale o immaginario? Come possiamo
en{rare in rapporto con lui? Qual'è, insomma la verità della
religione? Xispondeve a quesle questioni impiicile nelia
se-. conda è costruire delle sopracredenze (surcroyances)
individuali e collettive, tutte buone se aiimentano il nucleo vitale
della religione. Vi possono essere e vi sono di fatto tante aggiunte
individuali alla credenza unica quanle sono le anime o i lipi religiosi ,
Il «rapporto col divino potendo essere, o essere inter{ pretato come
rapporto o morale o fisico, o rituale, «Si capisce come possano
nascere delle costruzioni 7A _ losofiche e leologiche delle quali abbiamo
visto | Valore e anche come
sorgano le Chiese. James, e con lui, naturalmente, più o meno tuil SA
JAMES, L'Expérien. relig., Chap. VIII e IX. E) JasrEs, Ci è nota la sua croyance. 0%
‘La Religione net Pragmatismo pragmalisti non ama a dir poco
le Chiese, con la loro organizzazione, coi loro. dogmi, con le loro
tradizioni, perchè in esse è uccisa la vita inte AQ ogni modo e dogmi e
culto e mi debbono es: sere giudicati daì frutti individuali e social, e
i frutti della vita religiosa sono sommessi alla giurisdizione del
buon sense e dei pregiudizi filosofici e
istinti morali dice allrove . Ed essendo questi pregiu‘dizt, questi
istinti e questo buon senso frutti, essi stessi, dî una. evoluzione
empirica incessante, anché le idee religiose si andranno incessantemente
modificando. Dal giorno che ìi frutti di una data forma religiosa perdono ognì
valore, dal giorno che la vec chia credenza è in contraddizione con un
nuovo ideale; dal giorno che la ragione la dichiara lroppo puerile, troppo
assurda o troppo immorale essa cade trascinando, nella sua caduta, il Dio
creato dall'uomo per «servirsene. E noi confessiamo che in i una dottrina
interamente antropocentrica, nella quale l'uomo è la misura di iulte le cose,
cioè, le esi È enzo, i desideri e gl’interessi umani nel modo che
s'è veduto, lutto ciò è logico ©... anche utile, fino et un certo punto. Ed è naturale che il
pragmatismo crede di fare un mondo di bene alla religione € alle
religioni. Ci dice Schiller: Il pragmatismo jo uma nist,0) ha dimostrato
che la volontà di credere sta. ulla base, non solo della religione, ma di
qualunque - gpecie di inferenza 0 di atto razionale, e che, quindi,
la sfera dei iudizi di valore non è coestensiva solo | |» alle verità
religiose, ma a qualunque verità: la fede i lia così cessato dì essere un
‘avversario e un sosli- i futo della ragione ed è diventata un suo
costitutivo | essenziale. Come potrà la ragione contestare la validità
della dor: L'Erpér. relig. Pel «s î actetta: Pel «servirsene» cita
ancora il Lepba L lì Pragmatismo dI fede, se la fede è
essenziale alla sua stessa validità? E altrove: « Tutte le religioni
(concrete) possono profillare dell’atteggiamento di simpatia che
l'umanismo assume davanti agli istinti religiosi della nalura umana e verso le
evidenze e i metodi delle religioni. 1l pragmatismo, affermando il fatto
religioso e il suo valore sulla base dell'esperienza interiore e dei risultati
individuali e sociali, rende vani gli altacchi razionalistici e mette la
religione al sicuro dalle confutazioni dialettiche. Il pragmatismo inol(re,
come si è mostrato un eccellente « eirenicon » tra le dottrine
filosofiche, apparirà un «eirenicon» non meno efficace tra le religioni.
Non è vero che lutte operano (in senso pragmatista) in una cerchia più
o meno vasta? Ma allora esse sono identiche nella loro parle
veramente vilale, attiva: e che importa sc differiscono teoricamente? Terzo
beneficio: il: pràgmalismo libera, così, le religioni da ciò che vi è in
esse di non-funzionale, dalle incrostazioni parassilarie ed
csiziali, e, per tal modo, le rinvigorisce.
Che cos'è la parte non-funzionale della religione? È il suo
lato teologico . 18 qui una tirata contro i sistemi teologici, contro le
infiltrazioni della metafisica greca nel « Credo atanasiano » e contro
l’identificazione di Dio con «l'Uno». Già! La conclusione possiamo accettarla anche noi,
ma basandola su fondamenti affutio diversi da quelli del pragmatismo: «La reli-
5 gione più vera è quella che proclama una vita mi- $, gliore e la
promuove. ; Stud. in Hum. ScurLrer: Stud. in
Hum. |,..(8ì E la conclusione dell'Essay, XVI: Fatt, Reason and Ri
ligion in: Stud. in Humarism: «the truest reli tons that Which
issues in and fosters the best life», Rd A eri della Logica formale
nella con= S 1. Caratt {
2. La validità formale. cezione di Schiller. gi. Schiller sotto il nome di « logica formale» inchiude e condanna
non solo quella che da al tri è designata col nome di logica formalistica
mn anche la logica formale propriamente detta, e, criticando e condannando
quella, presume di aver criticato e condannato anche questa, cioè, in blocco,
. tulla la logica tradizionale e classica, alla quale dovrà sostituirsi
la logica psicologica, 0 psicologistica, cioè quel complesso di leggi o
regole o norme del pensiero che risultano dall'analisi psicologica del
pensiero, ossia dalla considerazione dei processi del pensiero, non in una
pretesa forma di esso di materia idel concetto, del giudizio, del
raziocinio con: siderati astraltamente nella loro forma verbale di
temine, proposizione € sillogismo considerai9 esso pure, a sua volla,
astrattamente), ma nel loro sorgere e syolgersi allraverso la fitta rete
psichica di Fferessi, di desideri, ecc. : la logica dello psicologi
smo e della forma speciale di esso offertaci dal pragmatismo, insomma. Una
logica et posteriori risut SCHILLER.
Formul Logic. A sclentifle and s0cial Problem. > Un yol, Macmillan
and 0.9, London. stinta dalla | er selezione, non a
priori, una logica, pare, SOA sì, ma indotta in base a postulati,
non dedotta. Il pensiero puro, così come la forma pura del pensiero
non esistono; quindi ogni logica è necessariamente empirica nella sua origine e
nel suo valore. E così con la logica sillogislica è condannata anche la
logica del concello col solo semplicismo che abbiamo imparato a conoscere
altre volte nello Schiller. Ma, evidentemente, prima di condannare in blocco,
bisogna vedere se tra la logica formale e formalislica c'è idenlità, o se non
c’è invece una diiferenza radicale che impone una pertraltazione a parle
e radicalmente diversa di quelle due discipline. La logica formale vera è
la dottrina della forma unica del pensiero: il concelto, come sintesi di
individuale c come concelto universale contro, come scienza del
concetto puro. Per essa la forma verbale in cui si suole incarnare
generalmente il concetto non ha nessun valore logico e si guavda bene dal
cousiderane le distinzioni verbali come distinzioni conceltuali 0
l’identità di forma verbale come identità concettuale. La logica
forinalislica invece, trasporta nei concetti le qualità e le distinzioni
dei termini, trasporta nei giudizi le modalita e le specie delle
proporzioni, lrasporta nei raziocinì le figure e ì modì dei sillogismi:
anzi la distinzione stessa delle forme logiche in concelti, giudizì e raziocini
è nient’allro che una proiezione di forme verbali nell’altivita del pensiero.
Perciò la logica formalistica qua talis, non ha valore speculativo (logico
in senso vero), ima solo empirico © UCSCLILLvo; ci dà, Massunti, con piu
o meno pretese (il copielezza, i modi piu consueti dei quali l'uomo
51 serve nel suo discorrere, nell'esposizione e ncila a discussione delle
idee; è un'arte in senso di tecnica, 9 meglio, è una collezione (non
connessione) delle forme del discorso empirico umano, una specie di
leltorica 0 grammatica messa a servizio non del parlur bello ma del parlur
giusto. Può essere ed è fino a un certo punto praticamente utile come
tutte le discipline descriltive assunte a discipline nurmative d
universale, come storia o guidizio sintetico, a priori, . DA |
Sèhiller e la logica formale e precettistiche, ma non ha valore
speculativo, ron ci dè, anzi ci nastonde la forma intima. del
pensiero necessario € unico, © SÌ contenta di offrire! le
forme esteriori, arbitrarie è quindi componibili € combina: bili
all'infinito. I Jo Schiller na un buon gioco a mostrare il caraltere
arbitrario di questa logica, la astrallezza di essa, la îmulilità e
perfino il danno non leggero che essa può anrecare allo sviluppo Serio
delle scienze © della mente individuale. Ha ragione
lo Schiller: « IL îs nol .? ossible t0 abstract {rom the aclual use
of the logical | material and lo consider
forms ol lought @ 4
Ihemselves, voilout incurring thereby a total loss, 1’ hi nol
only of Wrui, but also of meaning ”. i s 2. Ma con ciò non si è
déito che ba ragione @ | ‘non riconoscere altre logica ché que:lu
psicolugica, | tutt'altro. Oltre la logica formalistica (0 tormale cu-
| mè la chiama erroneamente lo Schaller), c'è la logica i formale
vera secondo la quale la maleria è fusa nel la forma, poichè per èssa la
forma logica, concel‘tuale, sintesi di materia e forma, di pensiero e lup ‘esentazione:
è forma Non astratta me concrela ; e tulto il pensiero reale storico
perchè appunto sun: f (esi univarsale individuale: è il razionale-reale,
il fl concetto.È Dio ci salvi dalla logica psicologica 0 psicologistica!
Poichè in essa, oltre che non trovare nulla di # meno arbitrario che
nella logica forinalistica non sì ì trova neanche quella apparenzà di
necessità e di asSolutezza che la logica tradizionale ci oifre, sia pure
solto una forma astratta e verbalistica. Finchè non si accetta e non SÌ
capisce la logitù del concetto puro e semplice, ogni tentativo di riforme
logiche sarà nulla più che un saltare dall'arbiltàrio
all’avbitrario, dall'astratto ali’astratto e un aggiungere al mele nuovo
male o una forma nuova del male. L per yitenere questo scopo non mette certo
conto di scrivere un grosso libro come questo. Sé lo Schiller
avesse rinesso bene su quelli che lui ritiene e sono i due
caratteri fondamentali della 1oMl Praqmalismo' gica formalistica e cioè: I° la
credenza che sia possibile considerare la «validità formale» come una
cosa a parle e indipendente e astrarre dalla verità «materiale »; 2° la
credenza che sia possibile trattare la iogica senza riguardo alla psicologia e
di aslrarre dal contesto atluale in cui le asserzioni sorgono, tempo,
luogo, circostanze, Scopo, personalilà, ecc. e se avesse poi esaminato con
più spassionatezza la logica del concetto-sloria, non avrebbe forse futto
giustizia sommaria di lutta la logica tradizionale cd avrebbe trovato che
parecchie delle sue critiche sono state già fatte da altri, i quali non
senlirono però il bisogno di sostituire, come fa lui, le elichelte
psicologiche alle elichette della logica formalistica. In questo libro c'è
molto del buono anche perchè dai principio alla fine corre nelle pagine
una domanda sempre crescente di concretezza ce, anzi, pare a volte
che lo Schiller abbia colto il centro della critica e della ricostruzione.
Purtroppo i: pregiudizi pragmalislici gli impediscono di assurgere ad
un punto di vista superiore; anche lui, pur nella lotta contro gli
schemi e !e elichetle, maneggia schemi ed etichette; meno mole, anzi
molto bene che, da buon pragmatisla, ne è consapevole.:= et | La reazione
contro l'intellettualismo. Verità e ‘utilità.
Del pragmatismo non si parla più che com di un indirizzo di
ricerche e di asserzioni, che ha avi | {fo il suo proverbiale quarto
d'ora di celebrità pei scomparire per sempre e senza visibili influssi
sullu svolgimento complessivo ulteriore del pensiero. Nata da une
reazione all'intellettualismo razionalislico ed empiristico, che non
sapevano valutare l'attività de: soggetto nella creazione del mondo del
pensiero € della vita; allermalosi come volontarismo ceudemo:;
nistico o come filosofia dell'azione utilitaria, non ha sapulo nè volulo
evilare, con una doverosa distin: zione dì logica e psicologia, lo
scoglio terribile dellà formula protagorica: l’uomo è la misura di tutte
lt cose ed'è finito nello agnoslicisnio e nello scellici sino, È
inulile she ci ripetiamo. Iidotla la filoso; fia a un prodolto
dell'individuo, © ad espressioni del la nostra soggellività volitiva e i
giudizi scientifici speculativi a semplici giudizi morali; negala la
pos sibilità di raggiungere l'assoluto, la ragione intima immanente
e ascendente dell'essere o del divenire con l'affermazione della
universale soggettività e Ie ‘natività; posto l’utilitarismo a base di
ogni costruzio: ne concelluale e considerati, quindi, i concetti
com‘ funzioni dell'interesse individuale, 0 tutt'al più s0 ciale,
il pragmatismo si risolve logicamente in uni rinunzia a fi osofare. Può
essere metodo per sè, I i UT Il Pragmatismo : i lla vita colta non
filosofia sc IRRMIgSORE E So nella sua razionalità e nei s o ve omalismo
profes E, infatti, come s'è veduto, 1 flo: esso non ha sa di essere
semplicemente ua Coe etodo WNGNan: dog int aa istcao mon è forse una
dottrina? Magli vamestto he riassume il meNon è una dottrina la formula c
arsi tutte todo pragmatistico: « Sono er 6 da acco utili le neri
SAS SIE n è forse implicito alla svitaza in: ilitari ico e, insieme,
il n più Sconto no leorecot È esp ducslo ab: Dima definito, credo,
Felino due aspetti più es ziali la teoria pragmati nd AR Sa
CLES Della quale non è qui il luogo di TISIRLS estesamente il valore
storico. Possiamo dire il nos D pensiero in due parole: il pragmatismo è
andato all'eccesso opposto nella sua reazione all intellettualismo, perchè ha
negato addirittura il concetto come tale, ogni concello, rendendo, con
ciò stesso, vano, perchè senza fondamento, la Rane buona . dell'indirizzo,
quella che, purificata di tutto l’utilitarismo + materialistico che
troppo spesso la intorbida, si può esprimere nelle parole evangeliche: Dai
frutti conoscerete l'albero. L'utilità
nel senso spirituale altissimo della parola è un aspetto della
verità: la verità eleva, la verità libera, la verità sacrifica. Ma, non
dimentichiamolo mai, una dottrina non è vera, a propriamente parlare,
perchè e in quanto è utile, ma è utile perchè‘vera. La verità
metafisica e logica di una idea e di un Sistema d’idee è il fondamento di
tutti gli altri attributi dell'idea e del sistema e di tutte le loro corrispondenze
alle esigenze etiche dell'uomo. Yogi Pragmatis Rimandiamo alle
seguenti pibliografie: « The Pych Zev. » Parini, Saggì pragmatisti, R.
Carabba, Lanciano; SPIRITO, Il pragmatismo nella Jilosofia contemporanea,
Firenze, Vallecchi Sinvio TISSI, Nota bibl. al vol. su James, Milano,.
Ed. Athena | Segnaliamo poi, nella ricchissima bibliografia dell’argomento
oltre ui molti scritti segnalati occasioalmente nelle note le seguenti opere:
G. VAILATI, Scritti, Firenze, Secher; Papini, Sul Pragmatismo, Milano,
Libr. Ed. Milanese (ripubblicato da Vallecchi); M. CALDERONI è G. VAILATI,
IL $ pragmatismo, Lanciano, R. Carabba, SPIRITO, ; M. CaLpeRONI, Scritti,
a cura di O. CAM7 Cna, con pref. di G. PAPINI, Firenze, «La Voce», INDIVISUO
LINEE FONDAMENTALI DEL PRAGMATISMO. Il Pragmatismo anglo-americano. Pragmatismo
e Umanismo.Pragmatismo e conoscenza. LA TEORIA DELLA VERITÀ E DELLA REALTÀ.
La condotta. La dottrina dolla verità. La dottrina della realtà. LA
RELIGIONE NEL PRAGMATISMO. Lo preoccupazioni etiche e religioso. L’esistonza
di Dio. Il concetto di Dio.Religione e Religioni. SCHILLER E LA LOGICA
FORMALE.Caratteri della logica formale nella concozione dello Schiller.
La validità formale Ù 5 5 9 - VALUTAZIONE CRITICA. La reazione contro
l’intellettualismo. Verità e utilità. È. NOTA BIBLIOGRAFICA. I MAESTRI DEL
PENSIERO. VOLUMI CHE INIZIANO LA COLLEZIONE i) ei n VALENTINO PICCOLI À {Bi:
INTRODUZIONE DELLA FILOSOFIA. ROTTA PAOLO ROTTA. ARISTOTELE BERKELEY |
IALENTINO SETCOO LI ! TAROZZI PLATONE LOCKE | S: PICURO. LAMANNA
AAA ° "KANT RUIZ na LOTINO MAGGIORE FICHTE HQ C. AGOSTINO
MIGNOSI E. C. SCHELLING AQUINO MAGGIORE | C. HEGEL i S. FIDANZA
Big ni x TISSI c ARTESI O SCHOPENHAUER i Fa PAOLO. ROTTA E.
MOTOMIL MI o SPINOZA STUART MILL “50 »ALENTINO PICCOLI E.
MORSELLI Î Y MIENIINO PICCOL CUORSEI È Pubblicati: P. ROTT _
SEINOZS x ì. MiGGIONE HEGE ZINI =. 2 SoioFENnAUER LAMANNA KA
MAGGIORE FIGI TITE . C. S. TOMASO VICO "TISSI _
GATESIO MORSELLI. COMTE BOT. ARISTOTELE. SCHELUINO
IRINA Kc} fe3: Emilio Chiocchetti. Chiocchetti. Keywords: prammatico, Grice: “In Italy, just to know that a philosopher
has a religion orientation disqualifies as a philosopher, and that is at it
should. The
keyword is: anti-Popish, Vico, Croce, estetica, Aquino, Gentile,
Neo-Scolastica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiocchetti” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Chiodi: l’implicatura
conversazionale dell’esistenti – scuola di Corteno Golgi – filosofia bresciana
– filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Corteno
Golgi). Filosofo bresciano. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Corteno
Golgi, Brescia, Lombardia. Grice: “I like Chiodi; for
one, he plays, somethings rather sneakily, with the Italian language as
Heidegger played with the German language: Heidegger is able to play with
Latinate versus Germanic words: tat (deed) versus fakt. The Italians only have
‘fatto’ and this leads Chiodi to restrict ‘fatto’ to ‘tat’ and invent ‘effetto’
for ‘fakt!’ – “But other than that he was a genius!” Frequenta le scuole
elementari al paese natio e le medie inferiori e superiori a Sondrio sotto la
guida di Credaro, che lo avvia allo studio della filosofia. Dopo aver
conseguito l'abilitazione magistrale si trasferì a Torino, dove si laureò sotto
la guida di Abbagnano. Nell'anno successivo ottenne la cattedra di storia e
filosofia del liceo classico Giuseppe Govone di Alba, dove insegnò/ Qui entrò
in contatto con Cocito, del quale divenne intimo amico, ed ebbe tra i suoi
allievi Fenoglio. Questi ricorderà più volte nei suoi scritti i due insegnanti,
con i loro nomi o con pseudonimi; Chiodi diventerà così, nel romanzo Il
partigiano Johnny, il personaggio di Monti.
Grazie ai suoi contatti con Cocito, fervente comunista e antifascista, C.
entra far parte di una formazione partigiana Giustizia e Libertà col nome di
battaglia di “Piero”. Venne catturato dalle SS italiane, assieme ai suoi
compagni, e deportato in un campo di prigionia a Bolzano, quindi a Innsbruck.
Aiutato dal comandante del lager e da un medico, ottenne il visto di rimpatrio.
Era alla stazione di Innsbruck diretto a Verona. Il 3 ottobre, verso sera,
giunse nell'albese. Qui riprese la sua attività di partigiano, ora sotto il
nome di battaglia di Valerio, mettendosi a capo, nelle Langhe, di un
battaglione della CIII Brigate Garibaldi intitolato al suo collega Cocito,
impiccato dai tedeschi a Carignano (località pilone Virle), insieme ad altri
patrioti. Narrò la propria esperienza di lotta, di prigionia e di guerra civile
nel libro scritto in forma diaristica e pubblicato dall'ANPI, Banditi, uno dei
primi memoriali di deportati politici italiani.
Dopo la liberazione di Torino, C.
torna ad Alba. Si trasfere come insegnante al Liceo di Chieri e poi al
Liceo Alfieri del capoluogo piemontese. Ottenne la libera docenza e fu
incaricato e poi titolare della cattedra di Filosofia della storia alla Facoltà
di Lettere e filosofia a Torino. L’Accademia Nazionale dei Lincei gli assegnò
il premio del Ministero della Pubblica Istruzione per la filosofia e negli fu
conferito il Premio Bologna. Alla
ristampa di Banditi C. premise questa avvertenza, poi conservata nelle edizioni
successive: «La presente ristampa si rivolge particolarmente ai giovani, non
già per far rivivere nel loro animo gli odi del passato, ma affinché, guardando
consapevolmente ad esso, vengano in chiaro senza illusioni del futuro che li
attende se per qualunque ragione permetteranno che alcuni valoricome la libertà
nei rapporti politici, la giustizia nei rapporti economici e la tolleranza in
tutti i rapportisiano ancora una volta manomessi subdolamente o violentemente
da chicchessia». Raccolse grande stima
ed affetto tra suoi allievi, che ne conservano tuttora il ricordo di un grande
Maestro, limpido esempio di tolleranza e serenità di giudizio. Attività filosofica L'attività filosofica di
C. si concentra specialmente sull'Esistenzialismo, riletto in chiave positiva.
La maggior parte delle sue opere è dedicata a Heidegger. Egli è il primo traduttore in italiano di “Essere
e tempo.” Proprio a C. si deve la definizione della terminologia heideggeriana
in italiano, divenuta poi abituale tra gli studiosi. Valga un caso per tutti:
la traduzione di “Dasein” come “esserci”, capolavoro di sintesi ed efficacia,
spesso e volentieri non ancora raggiunta in questo specifico caso in altre
lingue. Al filosofo tedesco dedica anche, ovviamente, diversi saggi:
L'esistenzialismo di Heidegger, L'ultimo Heidegger, Esistenzialismo e
fenomenologia. È, inoltre, traduttore di L'essenza del fondamento e Sentieri
interrotti. A Kant dedica, invece, La deduzione nell'opera di Kant e ne
tradusse la Critica della ragion pura e gli Scritti morali. È infine da
ricordare il suo interesse per Sartre, del quale si occupa nell'opera Sartre e
il marxismo. L'esperienza partigiana
rimase sempre una pagina fondamentale nella vita di C.i, per cui il valore
della libertà occupa sempre il primo posto. Non è un caso che Fenoglio fa
rivolgere da parte di Monti, nel Partigiano Johnny, proprio questo ammonimento
ai giovani partigiani di Alba: «Ragazziteniamo di vista la libertà». La sua
unica opera narrativa, Banditi, ricca di valore non solo storico e morale ma
anche letterario, è stata definita da Lajolo «Il più vivo, più semplice, più
reale di tutta la letteratura partigiana» (L'Unità) e da Fortini “un capolavoro.”
Ci sono dei tratti straordinari, nel tragico come nel comico». Opere C., Banditi, con introduzione di
Beccaria, Torino, Einaudi, C., Esistenzialismo e filosofia contemporanea,
Cambiano, Pisa, Edizioni della Normale, Deportati Politici Italiani, su restellistoria.altervista.org.
C., Banditi, Torino, Einaudi, Conoscere la Resistenza, Milano, Unicopli,
Resistenza italiana Deportati politici italiani Esistenzialismo Heidegger Opere
di C.,. Biografia di C. nel sito
dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, su anpi. Centro Studi Fenoglio
C., su centrostudibeppefenoglio.Antifascismo Filosofia Filosofo del XX
secoloPartigiani italiani Corteno Golgi TorinoBrigate Giustizia e
LibertàDeportati politici italiani. Chiodi. Keywords: esistenti,
nulla annhihila, Kant imperative, counsel of prudence, rule of ability,
practical reason, existentialism, Heidegger, greatest philosopher, maxim
universality, maxim universability. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiodi” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Chitti: l’implicatura
conversazionale – scuola di Citanova – scuola di Macerata – filosofia
maceretese – filosofia marchese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Citanova). Filosofo marchese. Filosofo italiano. Citanova, Macerata, Marche. Grice:
“I like Chitti; not so much for what he philosophised about – law and law and
law – but the way he corresponded with Say – a French philosopher – on the lack
of an adequate philosophical vocabulary in Italian to express Aristotle’s principles
of oeconomia!” Fervor,
temperanza e, ingegno finissimo fanno di lui uno di quegli filosofi che sono
atti egualmente alla filosofia ed all'azione. Figlio di Giuseppe, avvocato e giudice alla
Gran Corte Criminale di Reggio. Partecipa a Napoli, col padre ed i fratelli,
alla rivoluzione. In seguito alla capitolazione del Forte Castel Nuovo, ripara
in Francia. A Parigi, termina gli studi giuridici e strinse amicizia con molti
patrioti del tempo. Ferdinando I delle
Due Sicilie Tornato a Napoli, esercita in città la professione di avvocato e difese
Casalnuovo (l'odierna Cittanova) contro la feudataria del luogo, la principessa
di Gerace, davanti alla regia commissione feudale. Fattosi un nome come
avvocato, dopo la restaurazione ha la nomina di segretario generale al
Ministero di Grazia e Giustizia del Regno. A Napoli sposa la figlia di Hipman,
un capo dipartimento di uno dei Ministeri del Regno. Coinvolto nella rivolta
contro Ferdinando I organizzata dai sottotenenti Morelli e Silvati, e quindi
privato della carica ed esiliato. Passa un periodo a Londra, e tenta di
ritornare a Napoli, ma ha l'inibizione ufficiale a rientrare nella capitale.
Anda a Firenze e di lì a poco, chiamato da amici, si reca a Bruxelles. In Belgio da lezioni di diritto pubblico e di
economia sociale, ottenne la carica di segretario della Banca Fondiaria e si
fece un nome. Il governo belga gli confere la licenza di professare Economia
Sociale, e tenne quattro letture pubbliche nel Museo di Bruxelles. Le sue
quattro letture sono intitolate da lui stesso «Corso di Economia sociale»,
compendio delle sue vaste vedute e della sua non comune cultura sull'argomento.
Pubblica altre saggi ed in seguito alla fama acquisita, il governo belga gli
conferì la carica di professore alla facoltà di diritto dell'Bruxelles. In
Belgio pubblica la maggior parte dei suoi saggi e strinse amicizia con GIOBERTIi,
che lo define valente economico. Nonostante la revoca dell'esilio, non torna a
Napoli ma rimane in Belgio. Altre saggi: “Trattato di economia politica o
semplice esposizione del modo col quale si formano, si distribuiscono e si
consumano le ricchezze; seguito da un'epitome dei principi fondamentali
dell'economia politica di Giovanni Battista Say” (Napoli, Stamperia del
Ministero della Segreteria di Stato). Ermenegildo
Schiavo, Four centuries of Italian-American history, Vigo Press. The New York
Herald morning edition mercoledì. New York Daily Times pag. 4 Daily Free Democrat. The American almanac and
repository of useful knowledge, Center for Migration Studies Special Issue:
Four Centuries of Italian American History Wiley Online Library Vincenzo De Cristo, Prime notizie sulla vita
e sulle opere di C. Economista, Prem. Tip. e Lib. Claudiana, Dizionario
biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Per
una rassegna delle interpretazioni dell’azione economica corporativa si
veggano i nostri : Lineamenti di politica economica corporativa. Catania,
Studio Editoriale Moderno, Sono ivi ricordati i contributi più notevoli,
teorici e descrittivi, nel campo dell’azione economica corporativa. Si
vegga pure il nostro studio : « Homo Oeconomi- cus » e Stato Corporativo
in : Giornale degli Economisti. Riportiamo qui la bibliografia essenziale dei
contributi italiani allo studio dell’economia corporativa, tralasciando
di segnalare gli studi, numerosi, di carattere polemico e giornalistico, ma
privi di consapevolezza scientifica e, spesso, deformatori della
stessa realtà politica corporativa : Alberti M. : L’ « Homo Ooecomoinicuis » e
V Esperienza Fascista in Giornale degli economisti, Arias G. : L’Economia
Nazionale corporativa, Roma, Libreria del Littorio, idem. idem. Economia
Corporativa, Firenze, Poligrafica Universitaria, Amoroso L. e Stefani A.
: Scritti cit. ; Arena C. : Scritti, cit. ; Benini R. ; Scritti cit. : Breglia
A. : Cenni di teoria della politica economica, in « Giornale degli
Economisti ». Classifica le varie politiche economiche. Carattere di
quella corporativa: autogoverni economici particolari, con il compito di
emanare misure rispondenti, nei rami particolari, alla politica economica
generale emanante dal governo economico centrale. Le corporazioni
sarebbero gli autogoverni economici particolari). Bruguier G. : A proposito di
interventi statali, in «Archivio di studi corporativi », Pisa; Borgatta G. :
Prefazione al nostro volume av. cit. : Lineamenti di politica economica corporativa;
Carli F. : Teoria generale della economia politica nazionale, Milano, Hoepli, e
dello stesso: Le crisi economiche delV ordinamento corporativo
della produzione, in « Atti del II Convegno di studi sindacali
corporativi», Ferrara; Chessa: Caratteri e forme delT attività economica,
in «Rivista di Politica economica » Secondo questo autore J
economia corporativa non è altro che un’ economia di complessi economici,
che dev’ essere studiata nella sua realta concreta, prescindendo da
erronee identificazioni dell individuo con la società e di questa con lo
Stato). Dello stesso autore: Vecchio e nuovo corporativismo economico in
«Saggi di Storia e Teoria economica, in onore di Prato», Torino, In
questo studio l’autore conclude che il corporativismo italiano pur traendo
alcuni suoi elementi dalle teorie enunciate dal Genovesi, dal Bastiat e dal
List si differenzia da queste in quanto che inquadra le sue idee in una
concezione piu larga, che non tiene solo conto degli interessi dei
singoli, ma anche di tutta la collettività nazionale, che per essere
sempre più aderente ai bisogni ed agli interessi della Nazione, viene
organizzata gerarchicamente dallo Stato); Degli Espinosa A.: La forma e
la sostanza della economia corporativa, Firenze Poligrafica Universitaria; Del
Vecchio G.: Teoremi economici deW ordinamento corporativo.
Comunicazione alla XIX riunione della «Società pel Progresso della
Scienza», riassunta in « Lo Stato »; Einaudi L. : Trincee economiche e
corporativismo in « La Riforma Sociale », ; e dello stesso: Corporazione
aperta in «La Riforma Sociale » Fanno M. scritto cit.; Fasiani M.:
Contributo alla teoria delVuomo corporativo, in « Studi sassaresi », ;
Ferri C. E.: L’ordinamento corporativo dal punto di vista economico,
Padova, CEDAM, Fovel M.: Economia e corporativismo, Ferrara, S.A.T.E. e
dello stesso: La rendita e il Regime Fascista, Milano, Ediz. dei «
Problemi del Lavoro», Politica economica ed economia corporativa, Ediz.
«Diritto del lavoro»; Camera corporativa e redditi di gruppo, S.A.T.E. Ferrara;
Fossati A.: Premesse per lo studio di ima economia e di una pplitica economica
corporativa, in : « Rivista di Politica Economica », (Ritiene questo A. che tanto la
politica economica corporativa, quanto l’attività corporativa come condotta
ipotetica degli individui dei gruppi animati di una coscienza corporativa sono
teorizzabili: il secondo per definizione, e in tanti modi quanti
significati vogliano attribuirsi alla coscienza corporativa (all’autore parendo
il più adatto perchè conforme alle direttive del Regime quello che
ha a base 1 interesse della Nazione, ossia il massimo benessere individuale
compatibile col benessere della Nazione); ed il primo, quando le norme abbiano
sufficiente chiarezza (univocità) e costanza da consentire una
costruzione logica di conseguenze possibili. Purché non si mescolino precetti e
teoremi, e peggio, non si confondano gli uni con gli altri, è
perfettamente legittimo fare della economia corporativa una « economia »
astratta, trovare il nocciolo razionale del concreto empirico). Gobbi U. : Il
procedimento sperimentale della economia corporativa, « Giornale degli
economisti»; Galli R. : Corso di economìa politica, Firenze, Poligrafico
Universitario, e dello stesso: Corso sulle imprese industriali, Firenze,
Poligrafico Universitario; Jannaccone P.: La scienza economica e
Vinteresse nazionale (Discorso tenuto all’inaugurazione dell’anno accademico
della R. Università di Torino, e dello
stesso : Scienza, critica e realtà economica, in « La Riforma Sociale »;
Lanzillo A.: Studi di economia applicata, Padova, Cedam, e dello stesso
A.: Il contenuto dell’ economia corporativa, Rivista Bancaria, ed Economia
corporativa e politica economica, Giornale degli Economisti; Lo Stato come
fattore di produzione, Rivista Bancaria (Lo Stato come inserzione di
volontà nell’ attività economical. Anche Ettore Lolini, a parte la sua
antipatia per la scienza economica tradizionale e la notevole incomprensione
degli economisti ortodossi i quali riescono interessanti a seguire non come
simpatizzanti delle idee liberali o di altre tendenze, ma come scienziati
dell’economia, riconosce che per dare un carattere di socialità, che
concili l’interesse privato con quello sociale o nazionale, alla economia
privata, non è necessario giungere alla totale abolizione dell’economia
privata ed alla identificazione dell’ economia pubblica, come ha fatto
Spirito, il quale col porre erroneamente al centro dell attività
economica umana la produzione e non lo scambio non ha visto che nello
scambio si ha la sintesi dell’ interesse individuale e dell’
interesse sociale, perchè nello scambio, mentre l’interesse è
individuale, il risultato è sociale. Per eliminare del tutto, come
vorrebbe Spirito, il carattere individualistico dei valori economici ed
il movente egoistico dei fatti economici e identificare F iniziativa economica
privata coll’iniziativa economica pubblica o statale, bisognerebbe
trasformare la psicologia umana, abolire la personalità economica umana e con
essa tutte le diff erenze di bisogni, di desideri e di gusti che esistono
ed esisteranno sempre fra gli uomini, differenze che costituiscono la
base dello scambio e la molla del progresso economico e che nessun
sistema di economia socialista è mai riuscito a sopprimere. Il porre a
fondamento dell’economia corporativa la produzione e quindi
l’organizzazione e la gestione economica della produzione invece dello scambio,
inteso nel senso della ripartizione del prodotto di ogni grande
ciclo produttivo fra tutti i fattori della produzione mediante l’accordo
contrattuale dei prezzi del lavoro, del capitale, della direzione tecnica
e dell’opera degli intermediari, porta a delle conseguenze pratiche
fonda- mentali per la definizione dei fini e delle funzioni della
Corporazione. Nel primo caso, infatti, si dovrebbe giungere alla
Corporazione organo di gestione economica col passaggio di tutta l’iniziativa
economica privata alla Corporazione e con la conseguente trasformazione di
tutta l’economia privata in economia pubblica. Nel secondo caso, invece, la
Corporazione non assumerà la direzione della gestione economica della
produzione, ma avrà la funzione economico-sociale di eliminare il classismo o
particolarismo economico, di impedire che uno o più fattori della produzione si
facciano la parte del leone nei confronti con gli altri fattori e di adeguare
l’andamento dei prezzi al produttore con quello dei prezzi al consumatore. Cfr.
di questo A.: Il problema fondamentale dell’economia corporativa,
Critica Fascista; Masci F.: scritti cit. e: Saggi critici di teoria e
metodologia economica, Catania. Sono raccolti con lievi modificazioni gli
scritti citati ed altri saggi); Paoni C.: A proposito di un tentativo di
teoria pura del corporativismo, in « Fiamma italica », e dello stesso:
Strumenti teorici di corporativismo, in Giornale degli economisti, (in questi scritti il Pagni critica a
fondo la costruzione teorica corporativa del Fovel. Contro questi si schiera
anche Bru- guier nello scritto sopra citato ed anche noi nei nostri
scritti av. cit. Contra anche Arias ed altri); Sensini G.: L’equazione
dell’equilibrio economico nei regimi corpo- rativisti, in «Lo
Stato; Serpieri A.: Lo Stato e Veconomia, in «Educazione Fascista », e,
dello stesso : Economia corporativa e agricoltura, in Atti del Convegno di
studi sindacali e corporativi», Ferrara; Spirito U.: La critica
dell’economia liberale, Milano, Treves, dello stesso: I fondamenti dell’
economia corporativa, Milano, Treves, e Capitalismo e corporativismo,
Firenze, Sansoni. L’interesse suscitato degli scritti filosofici di
questo A. sono dovuti a ragioni di carattere esclusivamente
polemico. Nulla di nuovo ha espresso il giovane filosofo. Nella critica
all’economia liberale, infatti non fa che ripetere, con sintesi
brillante, quanto è stato detto dai seguaci della scuola storica tedesca
e dagli istituzionalisti americani contro la economia liberale. È confusa
la scienza economica con la praxis dei governi liberali e demoliberali.
Nella critica al capitalismo non fa che ripetere, in linea essenziale,
quanto il Sombart ha espresso nella sua opera monumentale sul
capitalismo e quanto altri economisti contemporanei hanno scritto
contro il sistema capitalistico, e che l’A. si guarda bene dal ricordare.
Nè è fatta alcuna discriminazione, fra capitalismo e capitalismo, senza,
per es., ricordare che m Italla 11 capitalismo è, appena, al suo inizio.
Nei tentativi di costruzione teorica del corporativismo fascista tiene
conto, in particolare delle dichiarazioni della Carta del Lavoro che
rincalzano la propria tesi per Ja quale vede la soluzione corporativa n
clini entità assoluta tra Stato ed individuo che riecheggia il pensiero
di Hegel e di Marx. Nulla di nuovo nemmeno nella costruzione teorica
la quale e apparsa a sfondo social-comunista per l’ammis- sione
della corporazione come proprietaria. Propugna, inoltre, 1 A. il
partecipazionismo operaio, altro espediente vecchio e già discusso ampiamente
nei tempi passati. Ma, con buona volontà, si può Scorgere nel
sistema di Spinto anche un liberalismo assoluto per cui dopo aver letto
gli scritti di questo A. del corporativismo si riuscirà a capire meno di prima.
E non m tenrnamo quii su altri grossolani errori espressi dall A.
nel campo delle realizzazioni pratiche corporative, come per es. su quelle in
cui consiglia per il nostro Paese una industrializzazione ad oltranza, la
emissione di prestiti esteri, una politica commerciale che sara forse
realizzata, ecc (Tutte queste idee sono espresse nel voi.: Capitalismo e
Corporativismo, Sansoni, Firenze). Contra a Spirito, si vegga:
Arias, cit., Jannaccone, cit., Lanzillo, cit., Moretti, appresso cit..
Vinci, appresso citato, ed i seguenti scritti. CROCE (si veda), L’economia
filosofata e attualizzata, Critica; Galli, Sull’identità dell’individuo
con lo stato, La Vita Italiana; (jANGEMI L. : Individuo e Stato nella
concezione corporatina, m «Atti del Secondo Convegno di Studi Sindacali e
Corporativi, Ferrara; Brucculeri: L economia corporativa, in «La Civiltà
Cattolica», e dello stesso: Crisi e capitalismo, nella stessa rivista, etc. Cesarini-Sforza
in un lucido scritto: Individuo e Stato nelle Corporazioni (Archivio di
Studi Corporativi) mostra come la formula dell identità è chiarissima nel
pensiero dei socialisti e dei liberali. L’individualismo moltiplicando le
sue forze non rinuncia ad essere sè stesso. Il grande significato
del Corporativismo è la disciplina economica nazionale. Con il
Corporativismo si passa dal soggettivismo all’oggettivismo. Alla organizzazione
professionale è affidata, sopratutto la oggettivazione delle scelte
economiche. Il nuovo modello della realtà economica non potrà non
essere anch’eseo, naturalistico e deterministico: non c’è scienza senza
determinismo. Caratteristica delle concezioni dello Spirito è l’ottimismo. (Per
es. nello Stato Corporativo non vi saranno più disoccupati!). La
nostra divergenza ideale con l’economia degl’idealisti non va assolutamente
confusa con le invettive di quei messeri interessati ad un intervento che
oggi chiedono e ieri respingevano, nè con le interpretazioni di
coloro che hanno gli occhi sulla nuca! Ricordiamo ancora: Moretti
V.: I principii della Scienza Economica e l’economia corporativa
(«Rivista di Politica Economica»). M. rifiuta 1 identificazione fra Stato
e Individuo. Integrando e correggendo le opinioni di Arias e Fovel
considera l’economia corporativa come una economia non
euclidea. Papi, Un principio teorico dell’economia corporativa, Giornale
degli Economisti, e più diffusamente in Lezioni di Economia Generale
e Corporativa», Gedam, Padova. (P. ritiene che il sistema
corporativo si possa considerare come lo strumento capace di assicurare
le imprese contro i (risdhi extra-economici (guerre, crisi, scioperi,
etc.). Rossi, Economia e Finanza. Chiarifica il concetto di
concorrenza e mostra i caratteri della teoria dell’equilibrio economico
generale. L’ordinamento corporativo traduce nel diritto positivo un
complesso di norme di diritto naturale, che presiedono al fenomeno sociale
della ricchezza. Ne risulta un diritto corporativo, definizione giuridica della
libertà economica c e sottopone 1 arbitrio del singolo alla regola; e
la figura dell’uomo corporativo si risolve nell’uomo economico libero.
L’economia corporativa importa la penetrazione nell’organismo produttivo di un
sistema organico, razionale di politica economica. L’economia corporativa
risolve il contrasto fra l’essere e il dover essere della vita economica.
Dover essere: razionalità (teoria economica pura), eticità (politica
economica). Le forze direttrici corporative devono fornire al dinamismo
economico il volano regolatore). Vinci F.: Il corporativismo e la scienza
economica (Rivista Italiana di Statistica, etc.. Questo A., conscio
delle interdipendenze fra i vari fattori di produzione e fra le varie imprese e
delle condizioni di concorrenza mondiale, ha dimostrato che la «
disciplina unitaria e l’autodecisione, ove conducesse fino ala determinazione
delle produzioni e dei consumi, esorbiterebbe largamente dalle attribuzioni dell’uria
o dell’altra Corporazione investirebbe i rapporti reciproci, non solo fra
due o tre, ma fra tutte le Corporazioni, imponendo al Consiglio Nazionale delle
Corporazioni un continuo, pericoloso compito di revisione e di
conciliazione in base a valutazioni complicatissime, a criteri di difficile
determinazione oggettiva. Sulla Finanza Corporativa. Si
espressero anni addietro a favore del contingente: Griziotti, Finanza di
guerra e riforma tributaria, in «La Riforma Sociale. Contro il
contingente: Einaudi, Principii di Scienza delle Finanze, Torino. Ed oggi, a
favore del contingente (citiamo gli scritti più seri): Benini, loco
cit. ; Montemurri G. : Per una finanza corporativa, Echi e Commenti, e dello
stesso: Ordinamento corporativo e ordinamento tributario, in « Atti del
II Convegno di Studi Sindacali e Corporativi », Ferrara; Bonanno:
L’extra-individualismo nelle entrate del bilancio dello Stato, « Dir. e
prat. trib. »e dello stesso: Lo Stato corporativo e la sua finanza,
Diritto del Lavoro; Uckmar : Ordinamento Corporativo e ordinamento
tributario, Relazione al I Convegno nazionale di Studi Corporativi»,
Roma, e dello stesso: Verso una revisione corporativa della pubblica
finanza, Diritto del Lavoro, Roma; Riforme tributarie e Stato
corporativo, in « Diritto del Lavoro», Roma, 1929; Finanza corporativa, in «
Diritto e Pratica Tributaria. Roma, ed infine, sempre dello stesso:
Ordinamento corporativo e ordinamento tributario, in Atti del II Convegno
di Studi Sindacali e Corporativi, Ferrara. Fra questi autori la corrente
radicale trova favorevoli Benini, Bonanno e Montemurri. Uckmar
ritiene che la finanza sia individualista e perciò la vorrebbe riformata in un
senso meno individualista, ma nei suoi studi esprime delle proposte che
trova consenziente tutti coloro, fra i quali lo scrivente, che
riconoscono doversi inserire nell’ordinamento corporativo anche la finanza allo
scopo di raggiungere quei fini che gli conferiscono caratteri
fascisti. Sono contro D’Alessio, in un suo articolo: Evasione
fiscale e riforma tributaria, Augustea, e Genco («Comunicazione al II Convegno
di Studi Sindacali e Corporativi », Ferrara) i quali vorrebbero arrivare
all’abolizione o per lo meno alla riduzione degli organi finanziari
statali ed alla loro sostituzione con le Corporazioni! Uckmar,
contingentista moderato, riconosce che il potere impo- sizionale
tributario spetta allo Stato. Quest’autore quindi può inscriversi fra i fautori
di una finanza coordinata all’ordinamento corporativo, ma è lontano dalle
Improvvisate e rivoluzionarie trasformazioni. La finanza oltre a
presentare un contenuto politico, riveste un contenuto tecnico con il quale
male si accorda la improvvisazione degli innovatori. Ai quali rimarrà la
soddi- stazione di essere considerati rivoluzionari al cento per
cento, mentre agli altri rimarrà la soddisfazione di non avere incoraggiato
i salti nel buio che in materia finanziaria si scontano amaramente dalla
Nazione, e perciò si ritengono solleciti dell’interesse nazionale e cioè
non meno rivoluzionari dei loro colleghi che manifestano i ce piu
radicali. Il tempo sarà giudice sereno fra tanto contendere. Ricordiamo i
seguenti scritti fra i tanti che accolgono, con moderazione, una riforma
tributaria in ™° m A a C °p 1 ^gamzzazione corporativa: Garino Ca-
Problemi di Finanza, Torino, Giappichelli; Scandali: E.: Imposizione tributaria
e Stato Cor- porativo in « Echi e Commenti », e dello TTr- A
r-,ane r e in «Giustizia tributaria»,; Gangemi L-
rinanza Corporativa, in « Rivista di Politica Economi- Stato
C e dell ° stesso: La finanza nello Stato Corporativo, Commercio, Roma, £
r” cernii in «Rivista di Politica Economica» (e una carica a
fondo contro la funzione graduale, ransitona e limitata del contingente
come è propugnata da Montemurri e dal Cardelli il quale ultimo ha
espresso la sua tesi in Il Commercio)i Toselli Colonna: Teoria e problemi
della- economia finanziaria corporativa, Alessandria Colombani (è questa una
diligente rassegna dei problemi corporativi della finanza). Infine, si
segnala 1 eccellente studio di Borgatta: Le funzioni WaC “ f *’ in « Lo
Stato », febbraio e CEDAM L Tfmi {XeZ ' W ' t SCÌCnZa delle fi
nanze ’ Padova, CEDAM) non sembra opportuno affidare all’Associazione
Sindacale la ripartizione degli oneri tributari a gin associati. Le
associazioni sindacali, probabilmente « non sarebbero neppure molto disposte ad
assumersi tali compiti, ohe spesso non sarebbero neppure in grado
di svolgere efficientemente data la limitatezza e l’inadeguatezza dei mezzi che
hanno a propria disposizione, anche a prescindere dal giusto timore dei
dirigenti di potersi creare m tal modo animosità lesive di quella
compattezza dell’Associazione Fascista, che costituisce uno dei suoi
requisiti più essenziali in relazione ai fini propostisi dal nostro
legislatore. Un chiarimento sulla tesi riformista di Benini. La ritorma
propugnata da questo autore (studio cit.), per quanto riguarda
l’imposizione diretta, è vasta e coraggiosa: due tipi di imposte dirette,
proporzionali, l’una sul reddito totale di famiglia, l’altra sul
patrimonio-. Senza dubbio, la scienza finanziaria ed il
procèsso evolutivo della legislazione fiscale degli Stati moderni
pongono in evidenza i tributi globali e personali come il fondamento di
un corretto sistema di imposizione diretta in luogo delle imposte reali
imperfette e causa di sperequazioni gravi ed inevitabili. Il nostro
sistema attuale è fondato appunto sui tributi reali, integrati da una
imposta personale, la complementare, che con i procedimenti fatti
approvare dal Ministro Jung presenta una struttura che le consente di assolvere
agli importanti suoi compiti. Ma, appunto perchè la riforma proposta dal
Benini muterebbe radicalmente, ab imis, il nostro sistema d’imposizione
diretta, sono necessari, per giungere ad essa, lunghi e ponderati studi
sulla entità, sulla composizione, sulla distribuzione e sul
raggruppamento dei redditi, sulla organizzazione tecnica della nuova
amministrazione; sopra tutto occorre, per concepire ed attuare una
riforma così vasta e complessa che le condizioni dell’economia nazionale e
della pubblica finanza entrino in un periodo di sufficiente tranquillità
e stabilità. Tutte cose queste di cui il Benini è consapevole. Un
posto a parte tiene Griziotti il quale fra le due opposte opinioni che
esiste una finanza corporativa oppure il contrario che questa non esiste
sostiene una terza e differente che trova riscontro nei seguenti
scritti: La trasformazione delle finanze pubbliche nello Stato
Corporativo fascista, Il Diritto del Lavoro); Idee generali sulla
trasformazione del nostro sistema tributario, esposte al Primo
Convegno di Studi Corporativi a Roma, in « Bollettino del Consi.
glio Prov. dell’Economia di Pavia; Le finanze pubbliche e l’ordinamento
corporativo, in « Economia », N. 6 del 1930. Il Griziotti, se non
erriamo, desidera un sistema di imposte congegnate in modo da
rispettare le esigenze della produzione. Vuole un sistema tecnico e razionale
che sodisfi anche i criteri della giustizia nella ripartizione dei
carichi pubblici. Rico- Gangemi, Dottrina Fasciata ed
economia. nosce che l’opera del primo periodo della finanza fascista ha
tenuto conto delle esigenze della produzione. Queste idee evidentemente
indicano in Grìzìotti un fautore della finanza corporativa. Dove il
nostro non ci trova consenzienti è nei dettagli (ammortamento delle
imposte, tassazione esclusiva delle rendite e dei sopraredditi, ecc.). Ma su
questo sarebbe lungo il discorso. Secondo un distinto allievo del
Griziotti, il Pugliese (La Finanza e i suoi compiti extra-fiscali negli
Stati Moderni, Padova, GEDAM) « Nello Stato Corporativo l’economia
continua a basarsi fondamentalmente sulla iniziativa privata dei capitalisti,
nè alcuno dei principi che reggono l’economia capitalista viene
apriosticamente ripudiato: ma vi si aggiunge un elemento che è quello del
controllo sociale che, sulla iniziativa privata e sul suo svolgersi,
viene attuato dallo Stato. Nello Stato corporativo anche la
politica finaziaria deve necessariamente seguire le direttive, che non
coincidono nè con quelle del sistema liberale-capitalista (benché ad esse
siano assai più vicine) nè con quelle del sistema collettivista.
Essendo l’imposta uno dei principali strumenti di cui lo stato
qualora rispetti il principio della proprietà privata si può valere, per intervenire nel campo
dell’economia, individuale, è logico che ad essa faccia più largo ricorso uno
Stato, che ha per principio l’intervento, ogni qualvolta l’interesse
nazionale lo richieda. E essenziale rilevare che nel sistema
corporativo, mutano fondamentalmente i modi dell’azione statale:
mentre nel sistema liberale-capitalista lo Stato si propone fini di benessere e
prosperità, che vengono attuati mediante la protezione di tutte quelle
forze individuali che si dimostrano utili a tale intento, lo Stato
corporativo, oltre a proseguire per tale via i propri fini, si fa esso
stesso agente diretto e primario per l’attuazione degli scopi suddetti, non
solo proteggendo e favorendo le forze utili' ai propri fini, ma facendosi
iniziatore dei provvedimenti atti ai dirigere le forze individuali all’obbiettivo
prefisso. Non possiamo chiudere questa nota senza ricordare il
contributo che, anche in questo campo ha dato Maffeo Pantaleoni col suo
scritto: Finanza fascista, in « Politica », maggio-giugno 1933, scritto
che i nuova- tori sistematici ed i creatori di schemi astratti farebbero
bene a leggere ed a meditare se veramente sono, come si ritengono, difensori
dell’interesse nazionale. Luigi Chitti. Chitti. Keywords: economia
sociale, economia politica, l’economia filosofica d’Aristotele, econnomia
corporativa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chitti” – The Swimming-Pool
Library.
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