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Wednesday, January 8, 2025

GRICE ITALO A-Z C CAT

 

Grice e Catalfamo: all’isola -- l’implicatura conversazionale e la metafisica della libertà – scuola di Catania -- filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Catania, Sicilia. Grice: “I love Catalfamo; his ‘metaphysics of freedom’ is better than anything that soi-dissant Dame Mary Warnock wrote on ‘existentialism’! Catalfamo, like most Italian philosophers, take, as Strawson and I do, the concept of a ‘person’ seriously – indeed, so seriously that he, along with a few other Italian philosopher, turn it into an –ism: his is a critical personalism, though, best defined as an expansion from scepsis to hope. Della corrente del "personalismo storico o critico".  Si laurea in Pedagogia e in Scienze Politiche. Prima assistente volontario di Galvano Della Volpe (che definisce unico filosofo a livello di Croce), poi discepolo di Vincenzo La Via (che si era formato alla scuola di Gentile, del quale era stato assistente), e suo collaboratore dal 1946, diviene libero docente, incaricato di Pedagogia e infine ordinario di Pedagogia. Fonda e diviene direttore dell'Istituto di Pedagogia all'Messina.  Il suo pensiero si snoda in quattro fasi: dell'epistemologo, del personalista storico ed antidogmatico, dello scettico, dell'uomo di fede. La formazione filosofica (fu Assistente di ruolo di Filosofia e scrisse sulla rivista "Teoresi", fondata dai suo maestro La Via) traspare nel suo pensiero pedagogico, concepito, e nel tempo modificato, all'insegna dell'apertura e dell'innovazione anche didattica. Nel suo personalismo, che ha come principi critici la storicità, la trascendenza e la problematicità "egli rintraccia nuovi aspetti... e incomincia a fare i conti con la storia e le sue fenomenologie", " il personalismo... lentamente ma inesorabilmente si qualificherà come «storico»; la persona assume una significanza fenomenologica di unità... in costruzione", "Catalfamo collega l'esserci e il farsi della persona al flusso della realtà oggettiva, nel doppio senso: nell'influenza e stimolazione di questa verso quella e della trasformazione della realtà oggettiva ad opera della persona". "L'uomo come soggetto agente impedisce che l'esperienza sia un limite, cerca di oltrepassarla vedendo in essa quello che non è e quello che potenzialmente è. La persona, dunque, è una realtà trascendente". L'aspetto problematico del suo pensiero, infine, fa riferimento alla "posizione stessa della persona, la quale, costituita nell'esperienza, è radicata nella problematicità di essa, perché "il mondo per la persona è sempre un problema, così come un problema è il suo essere nel mondo".  C. è stato fondatore e direttore della rivista "Presenza" assieme al prof. Gianvito Resta; fondatore e direttore di "Prospettive pedagogiche". Prorettore dell'Messina. Gli è stata conferita dal Presidente della Repubblica, la Medaglia d'oro al merito della Scuola, della Cultura, dell'Arte. La Giunta del Comune di Messina gli ha intitolato un tratto di strada nei pressi dell'Università, all'Annunziata alta. Più recentemente, a Messina, si è tenuta una solenne cerimonia, nel corso della quale è stata scoperta una targa commemorativa, che riporta una sua rilevante riflessione, e gli è stato intitolato un Istituto Comprensivo.  Altre opere: Kant, Lezioni di pedagogia, Ed. Messina Empirismo pedagogico e filosofia, "Teoresi", anno IV, nn.1-2 Pedagogia e Filosofia, "Biblioteca dell'educatore", AVE, Milano Marxismo e Pedagogia, Avio, Roma Il fondamento della pedagogia. Disegno di una pedagogia personalistica, Sessa, Messina Personalismo pedagogico, Armando, Roma La pedagogia contemporanea e il personalismo, Armando, Roma L'educazione fondamentale, Armando, Roma I fondamenti del personalismo pedagogico, Armando, Roma La pedagogia dell'idealismo (corso universitario), Providente, Messina Elementi di psicopedagogia e pedagogia sperimentale (corso universitario), Providente, Messina Storia della pedagogia come scienza filosofica, Barbera, Firenze Criteriologia dell'insegnamento: la didattica del personalismo, Bemporad Marzocco, Firenze Personalismo senza dogmi, Armando, Roma Giuseppe Lombardo Radice, Ed. La Scuola, Brescia La pedagogia marxista sovietica (in collaborazione con Salvatore Agresta), Edizioni dell'Istituto, Messina La filosofia contemporanea dell'educazione, Istituto di Pedagogia, Messina Compendio di psicopedagogia e pedopsichiatria (in collaborazione co Vitetta), Parallelo 38, Reggio Calabria L'individualizzazione dell'insegnamento (in collaborazione con Agresta), Peloritana editrice, Messina Lo spiritualismo pedagogico, EDAS, Messina Introduzione alla psicologia dell'età evolutiva (in collaborazione con L. Smeriglio), A. Signorelli Editore, Roma Ideologia e pedagogia, EDAS, Messina La pedagogia del personalismo storico, EDAS, Messina L'ideologia e l'educazione, Peloritana, Messina Aspetti della socializzazione, Peloritana, Messina Le illusioni della pedagogia, Milella, Lecce Fondamenti di una pedagogia della speranza,La Scuola, Brescia L'educazione politica alla democrazia, Pellegrini Editore, Cosenza Educazione della persona e socializzazione, EDAS, Messina Preliminari ad una dottrina dell'apprendimento, Catalfamo e il personalismo critico. "Nuove Ipotesi" D.U.E.M.I.L.A., Palermo. Il personalismo Catalfamo, Accademia Peloritana dei Pericolanti. Di qui appunto si può anticipatamente scorgere, che le difficoltà più profonde incluse nel concetto di liberta,  si potranno risolvere coll’ idealismo in sè preso,  tanto poco quanto con qualunque altro sistema  parziale. L’ idealismo invero porge, della libertà,  da un lato il concetto più generale, dall’altro  quello meramente formale. Ma il concetto reale ’e  vivente è, che essa consista in una facoltà del  bene e del male.   Questo è il punto della difficoltà più grave, che,  in tutta la dottrina della libertà, è stata da lungo  tempo avvertita, e che tocca, non solo questo o  quel sistema, bensì, più o meno, tutti 1 : nel modo  più spiccato di cerio il concetto dell’immanenza;  poiché, o si ammette un male reale, e allora è  inevitabile collocare il male nell’ infinita sostanza o  nell’ originario volere stesso, con che si distrugge  interamente il concetto di un essere perfettissimo;  o bisogna negare in qualche maniera la realtà del  male, e con ciò svanisce insieme il concetto reale  di libertà. Non minore è l’intoppo, anche se intendiamo nel modo più esteso la relazione tra Dio e  gli esseri mondani; poiché, dato pure che essa  venga limitata al cosiddetto concursus, o a quella  necessaria cooperazione di Dio all’ agire delle creature, che dev’ esser accettata grazie alla essenziale  dipendenza loro da Dio, anche se vuoisi del resto  affermare la libertà: in tal caso però Dio apparirà  innegabilmente come cooperatore del male, giacché il permetterlo in un essere in tutto e per tutto  dipendente non vai meglio che il contribuire a  produrlo; o anche qui, in un modo o nell’altro,  dovrà esser negata la realtà del male. La proposizione, che tutto il positivo della creatura venga  da Dio, anche in questo sistema dev’essere affermata. Ora, se si ammette che nel male vi sia al- Schlegel ha il merito di aver fatto valere  questa difficoltà specialmente contro il panteismo nel suo  scritto sugl’ Indiani e in parecchi luoghi; ma è a deplorare  soltanto che quest’ acuto erudito non abbia creduto opportuno comunicare la sua propria veduta sull’ origine del  male c sul suo rapporto col bene. cunchè di positivo, anche questo positivo deriverà  da Dio. Qui si potrà opporre: il positivo del male,  in quanto positivo, è bene. Con ciò il male non  viene a sparire, benché non venga neppure spiegato Infatti, se ciò che nel male sussiste' è bene,  donde mai nasce ciò, in cui questo sussistente è,  la base, che forma propriamente il male? Tutta  diversa da quest’affermazione (sebbene spesso,  anche di recente, confusa con la prima) è 1’ altra,  che nel male, in ogni caso, non vi sia nulla di  positivo, o, per usare un’espressione diversa, che  esso non esista affatto ( neppure con e in un altro  elemento positivo), ma che tutte le azioni siano  più o meno positive, e che la differenza tra loro  consista in un semplice plus o minus di perfezione,  con che non si stabilisce alcuna opposizione, e  però il male svanisce interamente. Sarebbe questa  la seconda possibile ipotesi in rapporto alla proposizione, che tutto il positivo scaturisca da Dio.  Allora la forza, che si mostra nel male, sarebbe  sì, al paragone, più imperfetta di quella che appare  nel bene, ma, considerata in sé, o fuori del paragone, sarebbe una perfezione pur sempre, la quale  dunque, come ogni altra, dev’ esser derivata da  Dio. Ciò che noi in tal caso chiamiamo un male,  è solo il minor grado di perfezione, il quale però  solo per il nostro bisogno di comparazione appare  come difetto, mentre nella natura non è punto. Che  questa sia la vera opinione di Spinoza, non è  possibile negare. Qualcuno potrebbe tentare di  sfuggire a quel dilemma, rispondendo: che il  positivo derivante da Dio sarebbe la libertà, la  quale è in se stessa indifferente verso il male e  il bene. Ma, se egli concepisce questa indifferenza,  non in modo puramente negativo, bensì come una Nel testo: « Seietide. vivente e positiva facoltà di determinarsi al bene  e al male, non si vede come da Dio, che vien  considerato come pura bontà, possa mai seguire  una facoltà di eleggere il male. È evidente da ciò,  per dirla di passaggio, che, se la libertà è realmente quel che in conformità di questo concetto  deve essere (ed è immancabilmente), non si può  essa giustificare con la già tentata derivazione  della libertà da Dio; poiché, se la libertà è un  potere di far il male, essa dovrà avere una radice  indipendente da Dio. Così incalzati, si può esser  tentati di gettarsi in braccio al dualismo. Ma questo  sistema, se dev’ esser concepito effettivamente come  la dottrina di due principii opposti e tra loro indipendenti, non è se non un sistema del suicidio e  dello sconforto della ragione. Se poi il principio  cattivo è pensato come dipendente in un certo  senso dal buono, tutta la difficoltà della derivazione del male dal bene è certo concentrata in  un solo essere, ma viene così ad essere accresciuta  anziché diminuita. Anche supponendo che questo  secondo essere fu dapprincipio creato buono e per  propria colpa si staccò dall'essere originario, resta  sempre inesplicabile in tutti i sistemi, che si son  avuti finora, la prima facoltà di un atto di ribellione a Dio. Perciò, anche se noi finiamo col  sopprimere, non solamente l’identità, ma ogni legame degli esseri mondani con Dio, considerando  la loro esistenza attuale e quella del mondo con  essa come un allontanamento da Dio, la difficoltà è solo spostata di un punto, ma non tolta.  Infatti, per potere scaturire da Dio, essi dovevano  già esistere in un certo modo, e non si potrebbe  menomamente opporre al panteismo la dottrina  dell’emanazione, presupponendo essa un’originaria  esistenza delle cose in Dio e quindi naturalmente  il panteismo. A spiegare quell’ allontanamento, si  potrebbe solo addurre quanto segue. O esso è    involontario da parte delle cose, ma non da parte  di Dio: e allora, siccome esse da Dio furono gettate nello stato d’ infelicità e di malizia, Dio è  1’ autore di un tale stato. O è involontario da ambe  le parti, cagionato forse da esuberanza dell’ essere,  come alcuni affermano: rappresentazione insostenibile affatto. O è volontario da parte delle cose,  uno svellersi da Dio, dunque la conseguenza di  una colpa, alla quale segue una sempre pivi profonda caduta: e allora questa prima colpa è già  per se stessa il male, e non dà alcuna spiegazione dell’ origine di esso. Senza un tale espediente poi, che, se spiega il male nel mondo,  estingue viceversa, e interamente, il bene, e invece  del panteismo introduce un pandenionismo, svanisce precisamente nel sistema dell’ emanazione  ogni proprio contrasto di bene e male; il Primo, si perde per infiniti gradi intermedii, mediante un  graduale attenuarsi, in ciò che non ha più alcuna  parvenza di bene, suppergiù allo stesso modo in  cui Plotino, 1 con sottigliezza bensì, ma senza  lasciar appagati, descrive il transito del bene originario nella materia e nel male. Invero, da un  costante processo di subordinazione e di allontanamento, vien fuori un Ultimo, di là dal quale il  divenire è impossibile, e questo appunto (ciò che  è incapace di produrre ulteriormente) è il male.  Ovvero: se qualche cosa è dopo il Primo, dev’ esserci anche un Ultimo, che del Primo non ha più  nulla in sè, e questo è la materia e la necessità  del male. Dopo tali considerazioni, non sembra giusto  rovesciare tutto il peso di questa difficoltà su di  un solo sistema, specialmente se ciò che di più  alto si pretende di opporgli, è così poco soddi1 Ennead. I. L. Vili, c. 8.    sfacente. Anche le generalità dell’ idealismo non  ci possono dare qui alcun aiuto. Con dei concetti  lambiccati di Dio, come /’ actus purissimùs, del  genere di quelli che stabiliva la filosofia antica, o  di quelli, che la moderna cava fuori pur sempre,  con la preoccupazione di tenere Dio a gran distanza dall’ intiera natura, non si riesce a nulla  di nulla. Dio è qualcosa di più reale che un semplice ordinamento morale del cosmo, ed ha in sè  ben altre e ben più vive forze motrici di quelle  che P arida sottigliezza degl’ idealisti astratti gli  attribuisce. L’orrore per ogni realtà, quasi che lo  spirituale possa contaminarsi in ogni contatto con  essa, deve naturalmente produrre anche la cecità  per l’origine del male. L’idealismo, se non ha per  base un realismo vivente, diviene un sistema altrettanto vuoto e lambiccato, quanto il leibniziano, lo  spinoziano, o qualunque altro sistema dogmatico.  Tutta la nuova filosofia europea dal suo principio  (con Descartes) ha questo comune difetto, che la  natura non esiste per essa, e che le manca un  vivo fondamento. Il realismo dello Spinoza è pertanto così astratto, come l’idealismo del Leibniz.  L’idealismo è l’anima della filosofia; il realismo  n’ è il corpo; solo tutti e due insieme fanno un  tutto vivente. Il secondo non può mai offrire il  principio, ma bisogna che sia la base ed il mezzo,  in cui quello si realizza, prendendo carne esangue.  Se ad una filosofia manca questo fondamento vivo,  il che d’ ordinario è segno che anche il principio  idea'e aveva originariamente in essa una debole  efficacia: essa verrà a perdersi in quei sistemi, i  cui distillati concetti di aseità, modificazioni ecc.  stanno nel più acuto contrasto con la forza vitale  e la pienezza della realtà. Dove poi il principio  ideale è fornito davvero e in alta misura di forza  operativa, ma non può trovare una base di conciliazione e di mediazione, produrrà un torbido e selvaggio entusiasmo, che finirà nella macerazione  di se stessi, o, come accadeva ai sacerdoti della  dea Frigia, nell’ evirazione, la quale in filosofia si  compie abbandonando la ragione e la scienza.   È parso necessario incominciare questo trattato  con la giustificazione di concetti essenziali, che  da lungo tempo, ma in particolare ultimamente,  sono stati ingarbugliati. Le osservazioni fatte sinora debbono perciò considerarsi come semplice  introduzione alla nostra indagine vera e propria.  Noi l’abbiamo già dichiarato: solo con i principii d: una vera filosofia della natura si può  svolgere quella veduta, che dà completa soddisfa  zione al tema che ci proponiamo. Noi non neghiamo perciò che una tale esatta veduta sia stata  già da lungo tempo anticipata da alcuni intelletti. Ma erano anch’ essi appunto quelli, che senza temere gli epiteti ingiuriosi di materialismo, panteismo ecc., usuali da un pezzo contro ogni filosofia  realistica, cercavano il principio vivente della natura, e, in contrapposto ai dogmatici ed agl’idealisti astratti, che li respingevano come mistici,  erano filosofi naturali (nell’ uno e nell’altro senso). La filosofia naturale dei nostri tempi ha per la prima volta introdotta nella scienza la distinzione tra  l’essere, in quanto esiste, e l’essere, in quanto  è semplice fondamento di esistenza. Tale distinzione è vecchia quanto la prima esposizione scientifica di essa. 1 Nonostante che proprio in questo  punto essa diverga nel modo più reciso dalla via  di Spinoza, pure in Oermania si è poiuto fin adesso  affermare che i suoi principii metafisici siano tutt’uno con quelli di Spinoza; e sebbene quella distinzione appunto porti nello stesso tempo la più recisa Si veda nella Zeitschrift tur spekul. Physik Bd. II,  Heft 2, § 54 nota, inoltre nota 1 al § 93 e la  spiegaz. a p. 114 [S. 203).  distinzione della natura da Dio, ciò non ha impedito che la si accusasse di confondere Dio con  la natura. Poiché sulla medesima distinzione si  fonda la presente ricerca, sia detto quanto segue  a fine d’ illustrarla.   Non esistendo nulla prima o fuori di Dio, conviene che egli abbia in se stesso il fondamento della  sua esistenza. Cosi dicono tutti i filosofi; ma  essi parlano di questo fondamento come di un  puro concetto, senza farne alcunché di reale e di  effettivo. Questo fondamento della sua esistenza,  che Dio ha in sé, non è Dio assolutamente considerato, cioè in quanto esiste; poiché esso non  è se non il fondamento della sua esistenza, esso  è la natura in Dio; un essere inseparabile, è  vero, ma pur distinto da lui. Questo rapporto si  può chiarire analogicamente con quello tra la  forza di gravità e la luce nella natura. La forza  di gravità precede la luce, come suo eternamente oscuro fondamento, il quale per se stesso non è  actu e si dilegua nella notte, mentre la luce  (l’esistente) sorge. 11 suggello, sotto cui essa è  chiusa, non è sciolto interamente neppur dalla  luce. ' Appunto perciò essa non è nè l’ essenza  pura nè l’essere attuale dell’ assoluta identità, ma  non fa se non seguire dalla sua natura; o essa  è, considerata in altri termini nella potenza determinata: poiché del resto, anche ciò, che relativamente alla forza di gravità appare come esistente,  in se stesso poi appartiene al fondamento, e la  natura in genere è pertanto ciò che rimane di là  dall’essere assoluto dall’identità assoluta. 3 Per  quanto del resto concerne quella precedenza, essa  non è a concepirsi nè come precedenza di tempo,  nè come priorità di essenza. Nel circolo, da cui  ogni cosa deriva, non v’ è alcuna contradizione  ad ammettere che ciò, da cui 1’ Uno è prodotto,  sia alla sua volta prodotto da esso. Non v'è qui  un primo ed un ultimo, perchè tutto si presuppone  a vicenda, nessuna cosa è 1’ altra e tuttavia non è  senza l’altra. Dio ha in sè un intimo fondamento  della sua esistenza, che in questo senso precede  lui come esistente; ma Dio a sua volta è del pari il  Prius del fondamento, giacché questo, anche come  tale, non potrebbe essere, se Dio non esistesse actu.   Alla medesima distinzione porta la riflessione  scaturiente dalle cose. Primieramente è da lasciare  affatto in disparte il concetto dell’ immanenza, in  quanto esprima per avventura una morta comprensione delle cose in Dio. Noi riconosciamo piuttosto, che il concetto del divenire sia l’unico appropriato alla natura delle cose. Ma queste non  possono divenire in Dio, assolutamente considerato, mentre sono tato genere, o per parlare più  giusto, infinitamente diverse da lui. Per essere  staccate da Dio, occorre che divengano in una  base differente da lui. Ma nulla potendo essere  fuori di Dio, la contradizione si scioglie solo ammettendo, che le cose abbiano la loro base in ciò  che in Dio non è Egli stesso ', ovvero in ciò che  è base della sua esistenza.   Se vogliamo accostare maggiormente quest’ essere all’ intelletto umano, possiamo dire : che egli  sia il desiderio, che sente l’Eterno Uno, di generare    1 È questo l’unico vero dualismo, cioè quello che nello  stesso tempo concede un’unità. Più su era in questione il  dualismo modificato, secondo cui il principio malvagio è, non  coordinato, ma subordinato al buono. C’e appena datemere  che qualcuno confonda il rapporto stabilito qui con quel  dualismo, in cui il subordinato è sempre un principio essenzialmente cattivo, e appunto perciò rimane totalmente  incomprensibile nella sua origine da Dio.  se stesso. Non è l’Uno stesso, ma pure è coeterno  con lui. Vuol generare Dio, cioè l’impenetrabile  unità, ma in questo senso non è in se stess’o an  cora V unità. È dunque, considerato per sè, anche  volere; ma volere in cui non c’è intelligenza, e però  anche, non autonomo e perfetto volere, perchè l’intelletto propriamente è il volere nel volere. Tuttavia  esso è un volere che si dirige all’ intelletto, cioè  desiderio e brama di esso; non un conscio, ma  un presago volere, il cui presagio è l’intelletto.  Noi parliamo dell’essenza del desiderio in sè e  per sè considerata, che dev’essere ben tenuta  d’occhio quantunque sia stata da gran tempo soppiantata dal principio superiore, che si è elevato  da essa, e quantunque non possiamo afferrarla  sensibilmente, ma solo con lo spirito e col pensiero. Secondo l’eterno atto dell' auto- rivelazione,  tutto invero nel mondo, come lo scorgiamo adesso,  è regola, ordine e forma; ma nel fondo c’è pur  sempre l’irregolare, come se una volta dovesse  ricomparire alla luce, e non sembra mai che l’ ordine e la forma siano l’originario, ma che qualcosa di originariamente irregolare sia stata sollevata ad ordine. Questo è nelle cose l’inafferrabile  base della realtà, il residuo non mai appariscente,  ciò, che, per quanti sforzi si facciano, non si può  risolvere in elemento intellettuale, ma resta nel  fondo eternamente. Da questo Irrazionale è,- nel  senso proprio, nato l’ intelletto. Senza il precedere  di questa oscurità, non v’è alcuna realtà della  creatura; la tenebra è il suo retaggio necessario.  Dio solo egli medesimo l’Esistente — abita  nella pura luce, poiché egli solo è da se stesso.  La presunzione dell’ uomo si ribella assolutamente  a quest’origine, e anzi va in cerca di principi!  morali. Tuttavia non sapremmo che cos'altro potesse maggiormente spinger l’ uomo a tendere con  tutte le sue forze verso la luce, che la coscienza  della profonda notte, da cui egli è stato tratto all’esistenza. I lamenti feminei, che in tal modo si  ponga F inintelligente come radice dell’intelletto, la  notte come principio della luce, si fondano in  parte su di un’equivoca interpretazione della cosa  (in quanto non si capisce, come con questa veduta la priorità dell’intelletto e dell’essenza secondo il concetto possa tuttavia sussistere); ma essi  esprimono il vero sistema degli odierni filosofi,  che volentieri produrrebbero fumum ex fulgore, al  che non basta la potentissima precipitazione fichtiana. Ogni nascita è nascita dall’ oscurità alla  luce; il seme dev’essere profondato nella terra e  morire nelle tenebre, affinchè la bella e luminosa  forma vegetale si aderga e si spieghi ai raggi del  sole. L’uomo vien formato nel corpo della madre;  e dal buio dell’irrazionale (dal sentimento, dalla  brama, 1 splendida madre della conoscenza) germogliano i luminosi pensieri. Noi pertanto dobbiamo rappresentarci la brama originaria, come dirigentesi verso l’intelletto, che essa non ancora  conosce, così come noi nell’aspirazione aneliamo  ad un bene ignoto e senza nome, e agitantesi presaga, come un mare che ondeggia e ribolle, simile  alla materia di Platone, secondo una legge oscura  ed incerta, senza la capacità di formare qualcosa  che duri. Ma, rispondendo alla brama, che, quale  fondamento ancora oscuro, è il primo segno di  vita dell’essere divino, si genera in Dio stesso  un’ intima riflessiva rappresentazione, mercè la  quale, poiché non può avere altro oggetto che  Dio, Dio contempla in una immagine se stesso.  Tale rappresentazione è la prima forma in cui si  realizza Dio, assolutamente considerato, benché  solo in lui stesso ; è in Dio inizialmente, ed è Dio Nel testo: Sehnsucht ». stesso generato in Dio. Tale rappresentazione è  ad un tempo l’ intelletto  il verbo di quell’aspirazione, e l’eterno spirito, che sente in ih il  verbo e insieme l’infinita aspirazione, mosso dall’amore, che è egli medesimo, esprime il verbo,  che oramai, accoppiandosi l’intelletto all’aspirazione, diviene volontà liberamente creativa e onnipotente, e nella natura, dapprincipio sregolata, produce come in un suo elemento o strumento. 11  primo effetto dell’ intelligenza in essa è la separazione delle forze, potendo egli solo così dispiegare l’unità che vi è contenuta inconsciamente,  quasi in un seme, eppur necessariamente, a quel  modo stesso che nell’ uomo la luce s’ insinua nell’oscuro desiderio di cercare qualcosa, per il fatto,  che nel caotico tumulto dei pensieri, che tutti  s’intrecciano, ma ognuno impedisce all’altro di sorgere, i pensieri si scindono e sorge l’unità, che è  nascosta nel fondo e che tutti li comprende sotto di  sè; o come nella pianta, solo nel rapporto del dispiegarsi e propagarsi delle forze, si scioglie l’oscuro vincolo della gravità e viene a svilupparsi  l’unità nascosta nella materia distinta. Poiché invero quest’essere (della natura primordiale) non  è altro che l’eterno fondamento dell’esistenza di  Dio, perciò deve contenere in se stesso, benché  chiara, l’essenza di Dio, quasi un lume di vita  risplendente nell’oscurità. II desiderio poi, eccitato  dall’ intelligenza, tende ormai a conservare quel  lume di vita che ha accolto in sè, e a rinchiudersi  in se stesso, per rimanere pur sempre come fondamento. Quando perciò l’intelletto, o il lume  posto nella natura primordiale, spinge alla separazione delle forze (all’abbandono dell’oscurità) il  desiderio che si ritira in se stesso, facendo sor- Nel senso in cui si dice: la parola dell’enigma.] gere, appunto in questa separazione, l’unità inclusa nel distinto, il nascosto lume di vita, nasce  in tal modo per la prima volta alcunché di comprensibile o di singolo, e in verità, non per via  di rappresentazione esterna, bensì di vera immaginazione, ' poiché quel che sorge nella natura è  figurato di dentro; o, più esattamente ancora, per  via di un risveglio, in quanto che l’intelletto fa  sorgere l’unità o l’idea occultata nel fondamentale distinto . Le forze separate (ma non completamente staccate) in tale distinzione son la materia,  onde poi è configurato il corpo; invece il legame  vivente che nasce nella distinzione, e però dall’imo  fondo naturale, come centro delle forze, è l’anima. Siccome l’intelletto originario trae l’anima,  come elemento interiore, da un fondo indipenden e da esso, rimane perciò anch’essa indipendente, come un’essenza speciale e sussistente di  per sé.   È facile vedere, che nella resistenza del desiderio, necessaria alla perfetta nascita, il legame  strettissimo delle forze si scioglie in uno svolgimento che avviene per gradi e, ad ogni grado  della separazione delle forze, sorge dalla natura un  nuovo essere, la cui anima sarà tanto più perfetta, quanto più contiene distinto ciò, che negli  altri è ancora indistinto. Mostrare come ogni successivo processo venga ad avvicinarsi sempre  più all’essenza della natura, finché nella massima  separazione delle forze si schiude il più intimo  centro, è ufficio di una perfetta filosofia della  natura. Per lo scopo presente è essenziale quanto  segue. Ognuno degli esseri, sorti nella natura    1 Nel testo ; Ein-Bildilng, onde un gioco di parole intraducibile nella nostra lingua. Alla lettera; « nel fondamento distinto »; in dcm geschiedenen Grande. (N. d. T).  secondo la maniera indicata, ha in sè un doppio  principio, che è uno e identico in fondo, ma sipuò considerare sotto due aspetti. Il primo principio è quello, per cui essi son distinti da Dio,  o per cui sono nel solo fondamento; ma, siccome  tra ciò, che è esemplato nel fondamento, e ciò,  che è esemplato nell’intelletto, ha pur luogo una  originaria unità, e il processo della creazione tende  solo a trasmutare internamente o a rischiarare  nella luce il principio originariamente oscuro  (perchè l’intelletto, o la luce introdotta nella natura, cerca in fondo propriamente la luce affine,  rivolta a loro): così il principio tenebroso per sua  natura è appunto quello, che è insieme rischiarato nella luce, ed entrambi, sebbene in determinato grado, son uno in ogni essere naturale. Il  principio, in quanto nasce dal fondo ed è oscuro,  è il volere individuale della creatura, il quale però,  in quanto non è ancora assurto (non comprende)  a perfetta unità con la luce (come principio dell’intelletto), è mera passione o brama, ossia volere cieco. A questo volere individuale della creatura si contrappone l’intelletto come volere universale, che si serve del primo, subordinandolo a  sè come semplice strumento. Se infine, procedendo la trasformazione e separazione di tutte le  forze, è messo in piena luce il punto più interno  e profondo della primordiale oscurità in un essere, allora il volere di quest’essere è bensì, in  quanto esso è un individuo, egualmente un volere particolare, ma in sè, o come centro di tutti  gli altri voleri particolari, è uno col volere originario o coll’intelletto, cosicché di entrambi si fa  ora un unico insieme. Quest’elevazione del più  profondo centro alla luce non accade in nessuna delle creature a noi visibili fuorché nell’uomo. Nell’uomo è tutta la potenza del principio  tenebroso e ad un tempo tutta la potenza della luce. In lui è il più profondo abisso e il più alto  cielo, o entrambi i centri. Il volere dell’uomo è  il germe occultato nell’ eterna brama di un Dio  esistente ancora nel fondamento; il divino lume  di vita chiuso nel profondo e che Dio vide, quando  concepì il volere di crear la natura. In lui soltanto  (nell’ uomo) Dio ha amato il mondo; e la brama  accolse nel suo centro appunto quest’immagine  di Dio, quando entrò in conflitto con la luce.  L’uomo per ciò, che egli scaturisce dall’ imo fondo  (è una creatura), ha in sè un principio indipendente per rapporto a Dio; ma per ciò, che siffatto principio senza cessare tuttavia di essere  tenebroso nel suo fondo è chiarificato nella  luce, si schiude insieme in lui qualcosa di più  alto, lo spirito. Infatti l’eterno spirito esprime  l’unità o il verbo nella natura. 11 verbo espresso  (reale) poi è solo nell’unità di luce e tenebre  (vocale e consonante). Ora in tutte le cose vi  sono bensì i due principii, ma senza piena consonanza, a causa della manchevolezza di ciò che è  elevato dal fondo. Solo nell’uomo dunque è pienamente espresso il verbo, che in tutte le altre cose  è ancora arrestato e incompiuto. Ma nel verbo  espresso viene a rivelarsi lo spirito, cioè Dio, esistente come actu. Essendo poi l’ anima identità  vivente dei due principii, essa è spirito; e lo spirito è in Dio. Ora, se nello spirito dell’ uomo  l’identità dei due principii fosse altrettanto indissolubile che in Dio, non vi sarebbe alcuna differenza, cioè Dio, come spirito, non si rivelerebbe.  Quella medesima unità, che in Dio è inseparabile,  deve essere adunque separabile nell’ uomo, ed  ecco la possibilità del bene e del male.  libertà Capacità del soggetto di agire (o di non agire) senza costrizioni o impedimenti esterni, e di autodeterminarsi scegliendo autonomamente i fini e i mezzi atti a conseguirli. La l. può essere definita in riferimento a tre elementi: il soggetto o i soggetti di l. (chi è libero), i campi entro cui essi sono liberi (definiti dai vincoli), gli scopi o i beni socialmente riconosciuti che si è liberi di perseguire (che cosa si è liberi di fare). Come vi sono vari tipi di agenti che possono essere liberi (persone, associazioni, Stati), così vi sono molti tipi di condizioni che li vincolano e innumerevoli generi di cose che essi sono liberi o non liberi di fare. In questo senso esistono molte l. diverse (morale, giuridica, politica, religiosa, economica, ecc.). Di conseguenza, quando cerchiamo di definire stati di l., abbiamo a che fare con questioni relative all’identificazione di chi, sotto quale descrizione pertinente per il riconoscimento collettivo, è libero di fare che cosa, rispetto a quali vincoli, entro quale campo di azione e significato sociale. La riflessione sul tema della l. accompagna tutta lo storia del pensiero filosofico, dall’antichità all’epoca contemporanea, con accenti e approcci diversi.   Il tema della libertà nella filosofia antica. Nel pensiero di Socrate hanno un grande rilievo i due motivi, strettamente connessi tra loro, della involontarietà del male e dell’attraenza del bene. Socrate è convinto che nessuno fa il male volontariamente, cioè per il gusto di fare il male, e che ognuno agisce sempre in vista di quello che egli crede sia il bene e il meglio per lui. Se per questo verso Socrate resta all’interno del cosiddetto soggettivismo dei sofisti, nel senso che anche per lui non è mai possibile uscire dall’ambito delle valutazioni, dei gusti e delle preferenze individuali, tuttavia questi vengono continuamente giudicati, criticati e discussi attraverso il διαλέγεσϑαι («il disputare») e ciò permette di ritrovare criteri comuni e validi universalmente. Fare il male, per Socrate, vuol dire seguire un bene apparente invece del bene reale; infatti, se uno conoscesse il bene, lo farebbe anche, perché il bene è tale che, una volta conosciuto, attrae irresistibilmente la volontà dell’uomo e si presenta senz’altro come ciò che è preferibile. Di qui l’equazione socratica di scienza e virtù, strettamente connessa all’eudemonismo che caratterizza tutta l’etica socratica. Di qui, implicitamente, una concezione della l. come meta raggiungibile attraverso la scienza. Questa concezione ritorna anche in Platone, sia pure all’interno di una prospettiva escatologica: si pensi al mito di Er (Repubblica), il guerriero che ha passato dodici giorni nell’Ade e che può ricordare ciò che ha visto. L’anima, che è immortale, deve reincarnarsi ciclicamente per espiare i peccati che ha commesso, e poiché essa ricorda le sue vite precedenti, può scegliere fra vari «modelli di vita». Ciascuna anima è responsabile della propria scelta, «la divinità non vi ha minimamente parte», e ognuna avrà, per guidarla nella sua vita, il demone che si sarà scelto. Una volta avvenuta la decisione, non ci sarà più possibilità di sottrarvisi. Ma solo chi ha ascoltato la filosofia sa riflettere con discernimento: se la scelta, dunque, è libera, di questa l. è possibile fruire nel migliore dei modi solo attraverso la filosofia. Anche in Aristotele troviamo il consueto rapporto greco tra l. e conoscenza. Secondo l’analisi svolta nell’Etica nicomachea (III, 1), involontarie sono quelle operazioni «che avvengono per costrizione» o «per ignoranza»; la costrizione ha luogo ogni volta che «il principio dell’azione sia esteriore, di modo che l’agente, o paziente, non vi contribuisca per nulla. Quanto alle azioni commesse per ignoranza, l’involontarietà deriva dal fatto che «ogni malvagio ignora ciò che si deve fare e ciò da cui ci si deve astenere». Pare dunque, conclude Aristotele, che «sia volontario ciò il cui principio si trova nell’agente che conosce tutte le circostanze particolari dell’azione». In questo modo Aristotele congiunge strettamente la l. del volere alla scelta volontaria. Un’ampia analisi dei problemi connessi con la libertà ci dà Plotino nelle Enneadi. Egli si chiede «se sia qualche cosa rimessa alla nostra libertà», e poiché moltissime sono le passioni che ci trascinano, «noi ci domandiamo perplessi», dice Plotino, «se non siamo, per avventura, altro che nulla, e nulla sia rimesso alla nostra libertà». Plotino riconduce la l. del volere non a un impulso sensibile, bensì «al retto ragionamento e alla giusta tendenza»; è necessar io, insomma, che «la ragione e la conoscenza si rivolgano proprio contro l’impulso e lo vincano». Perciò esse devono rifarsi a un principio non-sensibile, a una non-sensibile tendenza al bene. Coloro che sono guidati da impulsi sensibili, non potremo considerarli, sostiene quindi Plotino, «compresi sotto un principio di l., perché anche agli incapaci, che agiscono per lo più in quel modo, non riconosceremo mai l. del volere: a chi, invece, per la virtù operosa del suo intelletto, è immune dalla passionalità del corpo, attribuiremo veramente la libera indipendenza». Cristianesimo e Riforma. Sul concetto di l. influisce in modo profondo l’avvento del cristianesimo. Hegel osservava a questo proposito (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio) che intere parti del mondo, l’Africa e l’Oriente, non avevano mai avuto questa nuova idea della l.; i Greci e i Romani, Platone e Aristotele, e anche gli stoici sapevano solo che l’uomo è realmente libero in virtù della nascita (come cittadino spartano, ateniese, ecc.) o in virtù della forza del carattere e della cultura, in virtù della filosofia (lo schiavo, anche come schiavo e in catene, è libero). Ma una nuova idea di l. si afferma per opera del cristianesimo; per il quale l’individuo come tale ha valore infinito, ed essendo oggetto e scopo dell’amore di Dio, è destinato ad avere relazione assoluta con Dio come spirito, e a far sì che questo spirito dimori in lui: cioè l’uomo in sé è destinato alla somma libertà. Se il concetto di l. del volere diventa centrale per il cristianesimo, perché senza la l. dell’uomo non sarebbe concepibile il peccato, e dunque non avrebbe senso alcuno la redenzione, tuttavia il concetto di l. deve congiungersi strettamente a quello di grazia divina, a un qualcosa cioè di esterno e indipendente. Agostino sente la necessità di affermare la responsabilità umana e insieme un prestabilito disegno divino. A Pelagio, che asseriva che il volere umano, dopo il peccato, può anche volgersi al bene, Agostino risponde che certamente «può»; ma la maniera in cui riesce concretamente a volere quel bene che «può» volere è che le reali forze di volerlo gli siano date da quello stesso vivente Bene a cui volse le spalle. E a Giuliano d’Eclano Agostino risponde che la predeterminazione divina non annulla ma include il libero arbitrio umano e le sue scelte, e che, se Dio concede il suo aiuto a chi vuole, ciò non toglie che con un volere libero, sebbene ridestato dall’aiuto divino, l’uomo riesca a volere il bene, sicché un reale merito, per quanto reso possibile solo dalla grazia, è premiato con la salvezza. Tommaso, a sua volta, sostiene che il poter fare il male proviene sì dalla l., ma da un suo difetto, non da una sua perfezione: «che il libero arbitrio possa scegliere oggetti diversi rispettando l’ordine delle finalità, appartiene alla perfezione della l.: ma che scelga alcunché travolgendo tale ordine – ciò che è peccare – questo appartiene a un difetto di libertà» (Summa theologiae). Dopo il Medioevo, nel quale la soluzione agostiniana è accolta da taluni con più intensa accentuazione dell’onnipotenza della grazia nel volere umano, da altri con maggiore preoccupazione di mostrare che il libero arbitrio non è tolto neppure dall’onnipotenza della grazia, il Cinquecento è il secolo nel quale la questione è ridiscussa interamente. Da un’interpretazione di Agostino sorgono le dottrine di Calvino e di Lutero, entrambe negatrici di ogni libero arbitrio umano, entrambe affermatrici di una l. nel bene che coincide con la più rigorosa necessitazione del volere umano da parte della grazia. Per i rifor- matori la l. cristiana è una realtà ‘spirituale’: essi avversano con decisione la sua interpretazione distorta in termini politici. Se Lutero, tornando a un’interpretazione di Paolo, si impegna a fondo nella critica della l. cristiana come libertas ecclesiae, che nient’altro diviene se non l’insieme dei privilegi, delle immunità e delle rivendicazioni dell’istituzione ecclesiastica, Calvino sottrae al regimen politicum o all’ordinamento civile il concetto della l. cristiana, che viene invece ascritto all’ambito autonomo della teologia. La tesi della l. della coscienza vincolata soltanto alla parola di Dio, in quanto tale non sottoposta ad alcuna autorità ecclesiastica o secolare, e l’aperta protesta contro una simile coartazione della coscienza, il rigetto delle pretese mondane di potere della Chiesa e della sua sovraordinazione all’ambito statuale-secolare prepareranno la strada alla concezione moderna della l. e al dibattito sul suo significato politico-giuridico. Il dibattito su libertà e necessità. Nel Seicento, Spinoza ripristina il concetto stoico dell’universale necessità e il concetto parimenti stoico di una l. che non presuppone, anzi nega il libero arbitrio, ed è fatta consistere nel riconoscimento e nell’accettazione della necessità universale stessa. Nel secolo seguente abbiamo la concezione di Kant, con la sua distinzione tra leggi della necessità, che regolano i fenomeni dell’Universo naturale, e le leggi morali o leggi della libertà. Per «l. morale» si deve intendere, secondo Kant, la facoltà di adeguarsi alle leggi che la nostra ragione dà a noi stessi. Noi possiamo dunque scegliere tra il seguire la causalità empirica, che rende il nostro volere eteronomo, e l’obbedire alla legge morale che, esprimendo l’essenza più profonda del nostro Io, rende il nostro volere autonomo e, così, libero. E come l’essenza profonda del nostro essere è la l., così all’origine dell’intero Universo che alla scienza si presenta determinato, è il libero volere di un Essere intelligente, che ordina teleologicamente ciò che alla conoscenza scientifica appare invece meccanicamente causato. La l. come autonomia morale dell’uomo e sua intima dignità è il grande concetto che Fichte svolge, riprendendolo da Kant. Al concetto, elaborato da alcuni scolastici, di «l. o arbitrio d’indifferenza» (facoltà di volere, immotivatamente o indifferentemente, l’una o l’altra di due cose contrarie o anche nessuna delle due), che, non sapendo o non potendo risolvere la propria indifferenza, resta in fondo un’inerte possibilità d’azione, Hegel oppone un concetto più concreto della l., quello della l. come autodeterminazione e intima spirituale necessità. Al determinismo positivistico reagiscono tutte le filosofie del «ritorno a Kant», intese a salvare la l. della condotta morale. E, nel quadro del ritorno all’idealismo classico dei primi decenni dell’Ottocento, i movimenti neohegeliani insistono sulla hegeliana coincidenza di l. e necessità, rinnovando la polemica contro il mero arbitrio o l. d’indifferenza. Il rifiuto della concezione hegeliana della l. come processo speculativo della ragione universale distingue invece il pensiero di Marx, che identifica la l. con un processo di liberazione economica, politica e sociale volto ad affrancare l’uomo dal bisogno e dalla lotta di classe e a creare le condizioni per una concreta autorealizzazione materiale e spirituale. Per tutt’altra via passa l’opposizione all’hegelismo intrapresa dal contingentismo, per il quale nella l. è da vedere anzitutto indeterminazione; e spontaneità, piuttosto che autodeterminazione, cioè autonomia, è la l. per la filosofia dello «slancio vitale» (Bergson). Nell’esistenzialismo la l. viene a coincidere con la stessa necessità della situazione, di fronte alla quale l’uomo non ha altra scelta che accettarla consapevolmente o piombare nella «esistenza inautentica», come in Heidegger. In L’essere e il nulla Sartre sostiene che l’uomo è «essenzialmente» libero di scegliere, in quanto sua caratteristica è la «mancanza», il «nulla» di essere, ed è perciò continuamente teso alla scelta di possibilità esistenziali. L’equivalenza, di qui derivante, di tutte le scelte viene tuttavia eliminata nelle opere successive.   Il dibattito contemporaneo. Il significato politico-giuridico del concetto di l. è al centro del dibattito contemporaneo. Particolarmente influente è stata a questo riguardo la distinzione espressa da Berlin fra l. negativa e l. positiva, fra l. da e l. di: la prima concerne l’area entro la quale una persona è o dovrebbe essere lasciata fare o essere ciò che è in grado di fare o essere senza interferenze da parte di altre persone. La seconda riguarda l’area in cui si situa la fonte del controllo e dell’interferenza che può determinare che qualcuno faccia o sia una cosa piuttosto che un’altra. La l. negativa corrisponde alla l. dei ‘moderni’ di Constant, che ne definisce appunto il senso e il valore nella celebre contrapposizione con la l. degli ‘antichi’; essa è l’indipendenza individuale difesa da J.S. Mill: il soggetto della l. negativa è l’individuo, e l’arena della l. negativa è circoscritta da un confine che, per quanto mobile e variamente tracciato, separa la sfera ‘privata’ dalla sfera ‘pubblica’, la sfera individuale da quella collettiva. L’assenza di vincoli o interferenze va quindi interpretata principalmente come assenza di vincoli o interferenze da parte dei detentori di autorità legittima, che è tale se e solo se non viola o viola il meno possibile l’autonomia individuale. Contro la distinzione analitica dei due concetti di l. si è espresso Rawls nella sua teoria della giustizia come equità. La l. o, meglio, il sistema delle l. è oggetto del primo principio di giustizia. Esso prescrive che il sistema delle l. sia per ciascuno il più ampio possibile, compatibilmente con il sistema delle l. di ciascun altro. Nella prospettiva di Rawls, la massimizzazione del sistema delle l. individuali è prioritaria rispetto a quanto prescritto dal secondo principio di giustizia, il cosiddetto principio di differenza, che deve modellare le istituzioni responsabili della distribuzione di una classe particolare di risorse, considerate come beni sociali primari spettanti a tutti i cittadini. Accettare la priorità dell’eguale sistema delle l. implica accettare un principio di equità nella distribuzione dei beni sociali primari, in quanto un eguale sistema di l. non ha, di regola, eguale valore per individui diversamente dotati. Proponendo un ordinamento fra l. ed equità, espresso dalla priorità del principio di l. sul principio di differenza, Rawls ha di mira la soluzione di un conflitto fra la l. e un altro valore sociale quale l’uguaglianza. A questa prospettiva, e ai suoi importanti sviluppi ad opera di Sen e di Dworkin, si contrappone radicalmente la tesi sui diritti negativi propria della teoria libertaria. In partic., Nozick ha confutato la pretesa di teorie della giustizia distributiva di proporre criteri o modelli di distribuzione giusta. Se ci si basa sull’assegnazione di valore intrinseco alla l. individuale, qualsiasi precetto distributivo è inaccettabile perché non può che violare la l. individuale stessa. Nella più recente controversia nell’ambito della teoria normativa, il conflitto distributivo ha finito per lasciare spazio ad altro tipo di conflitto, il conflitto di identità o conflitto per il riconoscimento. E questioni relative all’assegnazione di valore alle l. si sono così connesse a questioni di riconoscimento di nuove identità o di identità prima escluse, a questioni di inclusione in o esclusione da comunità di ‘pari’ dai differenti confini.Elzeviro Catalfamo. Il personalismo di Catalfamo. Giuseppe Catalfamo. Keywords: metafisica della libertà, il concetto di persona, la transubstanziazione dell’umano nella persona, identita personale, il concetto di persona, pronome personale, la prima persona duale --, il ‘noi’ -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Catalfamo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Catena: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della logica matematica -- logica arimmetica – la base arimmetica della metafisica – scuola di Venezia – scuola veneta – filosofia veeziana – filosofia veeta -- filosofia veneziana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Venezia, Veneto. Grice: “I love Catena – of course he thought he was being an Aristotelian – and the confusing title he gave to his philosophising – Universa loca Aristotelis’ would have you think that – but he is a thorough Platonist – consider ‘pulcher’ as applied to Alicibiades – but ‘pulcher’ gives ‘pulchrum,’ an universal --!” Precursore della rivoluzione scientifica rinascimentale, indaga i rapporti tra matematica, logica e filosofia, occupando la stessa cattedra in seguito occupata da Galilei. Filosofo, eccellente conoscitore del latino. Lettore pubblico di metafisica a Padova. Gli succedettero Moleti, poi Galilei.  Pubblica a Venezia “Universa loca in logica Aristotelis in mathematicas disciplinas” -- la raccolta dei brani delle opere aristoteliche che riconoscevano il prevalente carattere speculativo del sapere matematico, tema a cui dedicò anche un'altra opera. Altre opere: “Super loca mathematica contenta in Topicis et Elenchis Aristotelis”; “Astrolabii quo primi mobilis motus deprehenduntur canones” (Padova, Fabri); “Oratio pro idea methodi” (Padova, Percacino). Agostino Superbi, Trionfo glorioso d'heroi illustri, et eminenti dell'inclita e marauigliosa città di Venetia, per E. Deuchino. Domus Galilæ Biografia universale antica e moderna; ossia, storia per alfabeto della vita pubblica e privata di tutte le persone che si distinsero per opere, azioni, talenti, virtù e delitti; Catalogo breve de gl'illustri et famosi scrittori venetiani (Rossi); Le filosofie del Rinascimento, B. Mondadori); Alle radici della rivoluzione scientifica rinascimentale: sui rapporti tra matematica e logica. Con riproduzione dei testi originali, Domus Galilæana. On this subject, Catena writes two works, in one of which, Universa Loca in Logica Aristotelis in Mathematicas Disciplinas (Venezia), he tries to supply the lost mathematical basis for Aristotle's theory of demonstration as explained in the Posteriora Analytica. Dizionario biografico degli italiani.  Della sua vita si conoscono pochissimi elementi: nacque a Venezia nel 1501; lettore di matematiche presso l'università di Padova (la stessa cattedra che occupò più tardi Galileo Galilei). Morì di peste a Padova. L'importanza storica del C. consiste nel fatto che egli fu uno dei primi, nel sec. XVI, a porsi il problema della valutazione formale ed epistemologica della matematica euclidea, naturalmente dal punto di vista della logica e della filosofia aristoteliche, inserendosi in tal modo autorevolmente nella quaestio de certitudine mathematicarum che a metà del Cinquecento impegnò noti autori dell'università padovana, come Francesco Barozzi ed Alessandro Piccolomini, nell'ambito del più vasto dibattito europeo sulla methodus delle scienze.  ADVERTISING A questo riguardo assumono particolare importanza tre sue opere: Universa loca in Logicam Aristotelis in mathematicas disciplinas (Venetiis); Super loca mathematica contenta in Topicis et Elenchis Aristotelis; Oratio pro idea methodi (Patavii). Nelle prime due il C. svolse un'analisi formale della matematica euclidea attraverso la quale concluse per una sua differenza strutturale, e quindi per una sua autonomia logica ed epistemologica, nei confronti della logica sillogistica aristotelica, basandosi principalmente sulla constatazione che le dimostrazioni matematiche non appartengono al genere tradizionale delle cosiddette demonstrationes potissimae, e giungendo ad affermare decisamente che la scienza matematica si differenzia nettamente da qualsiasi scienza di tipo aristotelico. La differenza metodologica che distingueva la matematica euclidea dalle restanti scienze in uso nel Cinquecento venne posta in rilievo dal C. nella terza opera, ove affermò chiaramente il legittimo costituirsi della matematica come metodo scientifico autonomo, intervenendo così costruttivamente nel dibattito sulla methodus, che ancora si trascinava in quegli anni, e contribuendo soprattutto alla creazione di un clima culturale favorevole alla rivoluzione scientifica galileiana con l'ampliare notevolmente la prospettiva gnoseologica tradizionale.  Oltre alle citate, il C. scrisse diverse altre opere: Astrolabii quo primi mobilis motus deprehenduntur canones (Patavii), che costituisce una correzione ed un aggiornamento di un'altra opera anonima, che fu pubblicata a Venezia, e che tratta dell'uso pratico del noto strumento astronomico; Sphaera (Patavii), un trattato di astronomia, redatto probabilmente ad uso degli studenti, in cui viene esposto il sistemato tolemaico, e che, pur basandosi naturalmente su trattati analoghi, allora notoriamente numerosi, rappresenta l'opera astronomica più compiuta del C.; Procli Diadochi Sphaera (Patavii), traduzione del noto trattato del matematico e filosofo neoplatonico; De primo mobili librum singularem; Ephemerides annorum XII; De calculo astronomico libros II; queste tre ultime sono citate dal Papadopoli e dal Poggendorff senz'altra indicazione e non se ne è rintracciato alcun esemplare.  Nel corso della sua attività accademica, il C. trattò successivamente del primo e del settimo libro degli Elementi di Euclide, della Sphaera del Sacrobosco. della teoria dell'astrolabio, della geografia di Tolomeo, dell'astronomia del sistema tolemaico, e, probabilmente delle "meccaniche" di Aristotele, come viene affermato da Baldi, che fu suo allievo, e da lui stesso in una sua opera (Universa loca); Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, Venetiis; Cinelli Calvoli, Biblioteca volante..., Venezia; Riccardi, Biblioteca matematica ital. dalla origine della stampa, Modena; Favaro, I lettori di matematiche nell'univers. di Padova…, in Istituto per la storia dell'Università di Padova, Memorie e docum. per la storia della Università di Padova, Padova, Giacobbe, La riflessione metamatematica di P. C., in Physis; Id., La riflessione epistemologica rinascimentale: le opere di P. C. sui rapporti tra matematica e logica, con riproduzione dei testi originali, Pisa; Ch. G. Jocher, Allgemeines Gelehrten-Lexicon, ad Indicem; Nouvelle Biogr. Universelle, ad Indicem;Biogr. Universelle; British Museum, General Catalogue of Printed Books; Poggendorff, Biogr.-Lit. Handw. z. Gesch. d. ex. Wissensch., ARTIVM ET THEOLOGIAE DOCTOR, PROFESSOR PVBLI. CVS ARTI VM LIBERALIVM IN GYMNASIO PATAVINO, SVPER LOCA MATHEMATICA contenta in Topicis et Elenchis Aristotelis nunc et non antea, in lucem ædita. ka CVM PRIVILEGIO, LOLOTILLON 0 V ENETIIS Apud Cominum de Tridinum Montisferrati. C. DOMINICO MONTE. SORO DOCTORI MEDL song CO EXCELLENTISSIMO OPICORVM libri din Elenchorum Aristotelis quædamloca obscuriuſću la contincbant qnæ apud Gręcos philofophos erant in primis clara, et per ea co tera loca maiori difficulta ti inherentia declaraban tur, ob id autem illis con tingit, quod veritatis amatores et philoſophiæ principes videri apud exteras nationes cupiebant, quod et re ipfa tales exiſtimarentur, niſi furto å Caldeis, egiptijs, et alijs abſtuliſſent, id autem, alįe na ſua feciſſe, vitio non omni ex parte abeſt, La tini vero quidam auaritiæ fine præſtituto(latinos hoc loco voco cos qui litteris illisRomanis, vel voce, vel etiam fcriptis ſuos conceptus explicant) philoſophiæ extremis partibus ita incumbunt A vt ſemper lutuoli,verlantesin excrementa naturæ appareant, quod quidem laude dignum effet,fi vt præclară prolem, quemadmodú boni viri faciunt aliqui egros inuiſerent, quo igiturme uerterem in inuio, non erat conſilium,ničí Reuerendus domi nus Laurentius Venetus ex nobis familia foſca. rena Canonicus Veronenſis, virum Dominicum Monteſorum Gręca ambitione et auaritia immu nem oftenderet, cui hæc noſtra loca immo Ari ſtotelis declarata dedico, quæ fi Aristotelis fco pum attigerint, vt exiſtimo et tibi fore grata co gnouero ad reliqua philoſophiæ Ariſtotelis loca declarandanon piger animus noſter erit, quod fi minus,cenſoriam amicorum virgam nonfugiet hæc noftra expoſitio,interimmegratum habeas. Vale. IN PRIMO CAPITE PRIMI LIBRI TOPIC ORVV M. I DETV Ř autem hic modus differre à dictis ſyle logiſmis nequeenim ex veris, &primis ratioci natur pſeudographus,neque ex probabilibus, nem in deffinitionem non cadit; neque enim quæ omni. bus videntur accipit, neque quæ plurimu i,neque qnæ fapientibus, et his neque omnibus neque plu. rimum, neque probatiſſimis; ſed ex proprijs quidem alicuiſcientie fumptis,non tamen veris ſyllogiſmumfacit,nam vel.eo quod femi circulos deſcribit non vt oportet, vel eo quòd lineas aliquas dicit non vt ducendæ ſunt paralogiſmum facit. VNC textum declarant Greci, et Latini vſque ad locum illum quo Ariſtoteles exemplo vtitur Geometrico,ad quem locum pręclari expoſitores cum per uenerint Tantis Tinebris vinctum loris, et funibus reliquerunt Ariſtotelem, vt ab Alexandri tempore(vo reor) vſque modo, omnes qui illas preclaras interpretationes legea rint, illius loci notitia priuati fint, quos prçclaros expoſitores pro prio ſuo citarem nomine, vt amatores Aristotelis eos cauerent vt infames ſcopulos acróceraunię, fed eos prçtereo vt in hacparte inu liles, line Geometria logiculos, legantfine liuore et vafricia expo fitores illius lociomnes, et has noftras declarationes non quidem criſpis naribus, ſubinde iudicent,fi intellexerint, quanti ingenö fuit, ficut in cæteris ipſe Aristoles, hæc citra in Alatas buccasdixiſſe ve lim, quiſquevt intelligat, fed vt litterarum aliquando illuſores re primantur pariterque eorum indocta audatia, fufcipiatur igitur recta linea, a bquę feccetur quomoçunque contingat in puncto c, et ſuper vtranearī a ccb, ſemicirculus,non vt primīī petitū docet, facto d centro vnius et e alterius deſcribatur perperā ſemicirculus a h c,alter chb, quiſeſe Tangantin puncto h ſuſcipiaturque centrū huius ſemicirculiah cipſum d, illius autem ch b ſit centrum e, a punctis igitur d; et e,ſemicirculorum centris ducantur duæ lineæ ad h contactum, et intelligatur Triangulus d he, quoniam autem 3 5 dur'lineædc et dhexeunta centro ad circunferentiam ipfæ per dif finitionem circuli funt æquales, pariter per eandem definitionem duæ lineæ ec et ehſunt æquales, duæ igiturdc et ce duabus d h et eheruntæquales, duæ autem ille dc, ceſuntvnum latus trian guli dhe,ergo vnum latus d e trianguli d heeft æquale duobus la ceribus eiuſdem triangulidh et e h,quod eſt impoſsibile contra vi gefimam primi elemērorum Euclidis,duo enim latera omnis trian guli quomodocunque ſumpta, ſunt maiora reliquo et non æqua lia, vtpſeudographo ſyllogiſmo machinabátur proteruus,hocau. cem vitium non ex coprouenerat qex falfis fyllogiſmus fic con fectus,quia ex veris, et immediatis, et exeodem ſcientię genere, vt ex definitione 17 primi elementorum ſyllogiſthus affectus eſt,ſed error atque peccatum proceſsit ex co ofemicirculos defcribit non vt oportet, quod notauit nobiliſsimus geometra Ariſtoteles, fic 1 a 6 etiamhi qui falfo fyllogizant,vnum fatus trigonimaius eſſe duo bus reliquis trigoni lateribus, no vt oportet femicirculos diſcriben tes, fic.n.linca a b et puncta in ea ſuſcipiantur cd et circa vtranq ac, &db, rectam ſemiciruli deſcribantur fe inuicem tangentes in puncto e alter a ec cuius centrum f,reliquus bed cuius centrum g, &a centro fprotrahatur recta fe fimiliter a punctog protraliatur gerecta, tunc triangulusfe g habebit latus f g maius duobus lateribusfe, et ge, quod fic perſuadetur,lineafc eft æqualis lineæf e cum vtraque exeat,a centro ad circunferentiam, fimiliter linca g deft æqualis geeadem ratione, fi igitur c d linea addatur lineis fc, et dg, equalibusfe et gcefficiunt linea fg latus trigoni fe gma jusduobus lateribus fe, et ge quod eſt impoſsibile per 20 primi clemcntorum,vel eo q lincas aliquas ducit non vi ducendæ funt d g paralogiſmum facit, ſi ducatur linea a centro fad centrum g, illa non tranfibit per contactum e,vtin hac fecunda figura apparet, ve linea abf,in g,non tranſit per punctum e vt oporteret, per xi tertij clementora Euclidis, fi duo circuli fe contingunt et acentro ynius ad centrum akerius recta ducatur linea illa de neceſsitate applicabi tur contractui, ex mala igiturdeſcriptione attulit Ariſtoteles exem plum de ſyllogiſmo falſigrapho, qui oſtenſiuo fyllogiſmo oppo. Situs eft. Similiter vero e ſi cubilali magnitudinepoſita dixe rit, quod ſuppofitum eft cubitalem magnitudinem ere, eo quid eft dicit, et quantum fignificat. RES duorum generum propinquorum continuiatas diſcre. ti vnius tamen generis remoti &analogi, quantitatis videlicet, in vnacubitali magnitudine continetur,obid, duodicit, qui magnicu dinem cubitalem,effe magnitudinem duorum cubitorum, &quid, quando dicit magnitudinem, et quantum, quando dicit,cubitorum duorum, hinc manifeftum eft in ynoquod prædicamento reperiri quid,vthoc Ariſtotelis exemplo patet demagnitudine,aliud eft no tandum, quomodo vnum accidens,vt duorum,quod ad Arithme ticam pertinet,accidere magnicudini,quod ad Geometriam attineta. QVAEDAM enim statim &nominibus alia ſunt,vtacu to in voce contrarium eſt graue, in magnitudine autem, acuto, obtufum contrarium est. Multiplicita - tem huius vocis # (acutumdemon Itrat Ariſtoteles, quia et angulum norar, et vocem, # US Angulus accutus rectominor et contrarius eft obruſo, &voxac cuta graui vociopponitur, et graui contrariatur accutum in voce, leue in ponderibusgraui oppugnāt. Sed dubitatur,cum quantitati nihil fit contrarium, quo pacto acuto angulo obtufus contrarius fit? Dico quod angulus noneft quantitasfed ex quantitate quan. titati adiuncta proueniens accidit quãtitati vt fit accata vel obtuſa pariterque pondus &lauitas funt quidem magnitudiniadiuncta, fed no eſ pondus,et leuitas, quatitas, ſi contraria fint leue et graue. cantus IPSIvero queà conſiderando eft, quòd diameter cofta incom menfurabile, nihil. DEincommenfurabilitate coſtæ cum diametro abunde faris in pofterioribus declaraui,quantum vero adhunc locumattinet, Art ſtoteles inquit, non effe quippiam oppofitum ipfi incommenſura bilitaci,vrpura commenfurabilitas, inter coftam atque diametrum quadrati nihil contrarij eft,dubitatur,cum in præcedenti textu, ſit de terminatum,& ea quęaddita eránt magnitudini, vt pondus et leui tas contrariarentur,hæc autem quæ magnitudini coſtę et diainetro, vtincommenſurabilitas, non contrarietur commenſurabilitati? Reſpondeo, prius dicta cótraria pondus et leue in naturalibus reppe riebantur,hæcautem incommenſurabilitas in abſtractis geometria cis; Præterea, nonfuit dictum omnia quæ in magnitudinibus re periuntur eſſe contraria,Pręterea et li opponanturcommenſurabi liincommenſurabile,non tamen contraria ſunt, vel etiam fi contra ria fint,non tamen ratione ſubſtractorum,quçſuntquantitates,co fta et diameter, contraria effe dicuntur, potus enim fitinon eft nifi quodammodo contrarius, delectatio autem, quæ ex potu prouenit opponitur contrarie triſtitiæ, quæ prouenit ex fiti, Præterea graue et leweſuntabſoluta quædam in diuerfis ſubiectis poſita ſeorfim, incommenſurabilitas autem relatio eft; quæ indiſcriminatim funda tur in coſta,ad diametrum et in diainetro ad coftam. CON SIMILITER autem et acutum,nam non eodem mo do in omnibus idem dicitur,nam vox acuta quidem velox,quemad modum quidem dicunt ſecundum numeros armonici. NOTA dignnm eft hocloco conſiderandum, a vox hoc lo co non accipienda eft pro humana voce tantum, ſed pro ſono, qui quidem fita cordulis inſtrumentorum, nam gratilior corda fitan gatur plures aeris percuſsiones facit quain crafsior cordula, fiea dem vi moueatur, modo inter percuſsiones multas aeris cordulæ gratilioris ad percuſsiones cordulæ craſsioris fi inultitudine repere ris duplam,diapaffon, fi fefqualteram, diapente, fi vero epitritam diateſaron, vt aiunt Armonici continentiam inuenies, quia tamen Ariſtoteles de generatione animalium libro quinto capite feptimo pucat concinentiam fieri ex alia caufa quam ex proportione illo, rum ſonorum numeratorum ad alios fonos numeratos,vt pytha. gorici volunt, ideodicit quemadmodum quidem, vt dicuntarmo nici, quia fententia Ariſtotelis alia atque diuerfa eft ab illis armoni cis, qui Pythagoræ affentiri videbantur. ET quòd pun&tusin linea do vnitas in numero, nam vtrun. que eft principium. PRÍNCIPIV M lineæ punctus, principium autem nu merivnitas eſt, ſed punctus non componitlineam alős punctis ap pofitus,vtin pofterioribus demonftraui,vnitas vero cuin alñs vni tatibus numeruin conftituunt atque componunt, principium tamé lineç atque finis,punctus eſt ex cuius fluxu linea fit vt Ariſtoteles in mechanicis et ego in diſcurſu geminico determinaui, non tamen linea ex punctis conſtat, VEL duplicis et dimidij. AN ſit ne eadein diſciplina duplicis atque dimidă conſiderare oportet, quod profecto allerere videtur ex capire de relatiuis, cum nemo ſciat duplum,niſi cuius ſit duplum ſciueric, quod diinidium eft, fi pro relatiuis vtrunque ſuſcipiatur. HOC autem non ſemper faciendum, fed quando non facile pojumus communem in omnibus vnam rationem dicere, quemad modum Geometra quòd triangulus duobus rectis æquos isabet tres angulos. NVLLI id in controuerſiam venit, an omnis triangulus ha beat tres angulos duobus rectis æquales, ſed illud dubium eft,an id quod rectilineumeft,habens angulos duobus rectis æqualis,trian gulus ſir, velquid horuin in plus fe habeat, et non fit vtrunque ſe cundum q ipſum, ſed vniuerſalius fit, habereangulos duobus reo Ctis æquales, atque comunius,an potius triangulum effe, ad quam dübitacionein, dico quod duobusrectis pates habere angulos, eſt quid communius, quam efſetrigonum, id autem inanifeſtum eſt de pentagono, cuius quodlibet latus, duo ex reliquis lateribus fec cat latera, id autem per primam partem 32, primiElementorum bis fumptam et per fecundam partem eiuſdem zz. ſemel ſum pram, vt in figura ſubſcripta deduci facile eft, et fi habere tres çqua les duobus rectis conuertatur cum trigono,non tamen habere om nes angulos equales duobus rectis,conuertitur cum effe trigonuir. Dico igitur, quod habere omnes angulos equales duobus rectis,co mune eſt ipſi trigono, et pentagono, cuiusvnum latus ſeccat duo ex reliquis latera, habet tamen penthagonus quinque equales tri bus, qui tres duobus rectis pares funt, et fic figuramihabentem B omnes angulos duobusrectis pares communius eft, quam fit trian gulus, non igitur eſt affectio trianguli neque angulorum triangu. li, fed quid communius trigono, vel tribus angulis trigoni, non eft igitur eius proprium,quod videturfoluere dubium fuper textu mo tum,fed affectio trianguli eft habere tantum tres equales duobus rectis,velęqualitas duobus rectis, conuenit tribus angulis figuræ triangulari, et non omnes angulos, elle çquales duobus rectis. VEL pt buius a fecundum lechu ius ſecundum acci dens, vt fecundum Se quidem quòd tri angulus duobus re b Etis æquales habeat tres angulos, ſecun. dum accidens autē, quòd æquilaterus, quoniam enim acci dit triangulo,& qui. laterum effe trian gulum, perhocco gnoſcimusquòdduo bus reétis habeat internos. QVIDAM interprætes fic perperam exponunt Ariſtotele, quod habere tres duobus rectis pares,ipfi triangulo per ſe infit,ipfi vero Iſoſcheli cõuenit quidem habere tres duobus rectis parcs, ſed non per ſe,ſed per accidens, fic vt hæc predicatio, Iloſcheles habet tres duobusrectispares, ſit accidentalis,hec quidem ſua interprę. tatio et nulla eſt, &nullo modo ad Ariſtotelis textum facit, quod nulla fit, et falfa, manifeſtum eſt ex capite de per fe in poſteriori. bus, quia quod enim ſuperiori per fe ineft &inferiori pariter per ſe ineſt, ineſt tamen ſuperiori perfe et primo, inferioriautem, per ſe fed non primo. Aliter igitur exponendus venit is textus, primo igitur aduertendum quod circa idem ſubiectum fit prædicatio per fé et per accidens, vtpura circa triangulum, per fe quidem fic, tri angulus habet tres duobus rectis pares, per accidens vero ſic, trian gulus eſt Iloſcheles; vbi aduertendum,vtin præcedentibus libris declarauit Ariſtoteles,omne inferius ſuo ſuperiori accidens eſt,cum abeffentia fuperioris omnino fecludatur inferius, et vt alienum a fui natura ſibi conueniat. SIQVIS infecabiles ponens lineas, indiviſibile genus earum dicat eſſe, nam linearum habentium diuifionem non eft quod di Etum eſt genus, cumſint indifferentes ſecundum ſpecicm, indiffe-, rentes enim ſibi inuicem fecundum fpeciem rectæ lineæ omnes. TRACTATVS quidem de lineis infecabilibus extat,e greco latinitati donatus quem Ariſtotelis quidem effe exiſtimant, tametfi Georgii pachimerñ nonnulli effe dicunt, quod, quia cuiuf cunque fuerit,non facit ad expofitionem litteræ affequendam, me rito prætermitto auctorem fore inueſtigandum,vt Ariſtotelis decla rationi infiftamus, pro quo in memoriam reuocandī eft id, quod Porphyrius habet, ſuperius genus de inferioribus ſpeciebusneceſe, fario predicari, quod fi de illis non prædicauerit,neque ad illas, illud eſſe genus manifeſtum erit, quapropter fiquis inſecabiles poſuerit lineas,atque ad illas genus id, quod eft indiuifibile,effe dicat,ftatim in contradictionem reducitur,ob id, quia,diuiſibile,genus eſſe ad li ncas conſtat,modo lineas omnes eandem deffinitionem ſuſcipien. tes,eiufdem ſint fpetiei, fieri autem nequit, vt aliqua eiuſdem ſint ſpeciei, et genere fint diuerfa, quod quidem contingeret, fi indiuifi bile,ad lineas aliquas, genus effe diceretur,tunc enim indiuiſibile di ceretur de lineis infecabilibus p hypothefim cũ fic ſupponatur (fal ſo tamen ) ad illas eſſe genus, et etiam de alñs, quæ per 10. primi Elementorum ſecabiles ſunt cum etiam adillas ſit genus, quod qui dein efle, nullo modopoteft, propter contradictionem, ET ſi differentiam ingenere poſuit tam quimſpeciem,vt im par quidem numerum, Differentia quidem numeri, impar, et non ſpeties eſt, neque videtur participare differentia genus,nam omane quod eft, genus, velfpeties, vel indiuiduum eſt, differentia autem, neque fpeties, neque indiuiduum, manifeftum igitur quoniam non participat genus differentia, quare neque imparopetieserit, fed differentia quoniamnon participat genus. B ñ 9 tra NVMERV S quieſt ex vnitatibus profuſa multitudo,paro; titur in numeruin imparem, &in numerum parem, vel perhas differentias diuiditur, quę ſunt, paritas, et imparitas, quarum neu includit numerum, qui genus eſt ad omnes numeri ſpecies,& fi ifta vera fic,rationale et animal, quando ly rationale accipitur pro Specie, quæ homo eft, et non pro rationalitate in abſtracto, qux eſt hominis conſtitutiua differentia,eodem modo, et numerus prædi catur de pari in concreto et non de abſtracta paritare, hęcenin et fimiles illi, ſunt ſemper falle, paritas eſt numerus, vel imparitas eſt numerus,quodquia oinnia manifeſta, et nora Ariſtoteles cíle vo. luit, exemplo arithmetico declarauit, A 11 PLIVS ſi genus in petie pofirit, vt contiguitatem id ipſum quod eſt continuitatem, non enim neceſſariuin contingui. tatem continuitaternelle, led e conuerſo, continuitatem contigui tatem non enim omne contiguum continuatur, led quod cortina tür contigurn eft. CONTINVVM illum effe dico cuius partes copulantur ad terminuin vnum communem, qui quidem terminus elt tantuin potentia inter illas partes ipſius continui, nõ etiam actu, &opere, vt linea lineæ continuatur per punctum, qui non actu exiſtit, ſed tantum potentia inter illas duas lineas, velinter duas partes linex, quod et de partibus ſuperficiei, quæ per lineam in potentia copu lantur, &corporis partes, per ſuperficiem in potentia, Contiguum autein illud effe dico, quod alteri applicatur et iungitur non per mediuin potentia exiſtens,fed per mediuin quod actu et opere exi 1tit, vt manifeſtum eſt de cæleſtibus orbibus, concaua eniin ſuperó ficies ſuperioris orbis augem defferentis, et fuperficies connexa or bis differentis epy ciclum ſunt due ſuperficies actu exiſtēres inedia, per quas continguantur adinuicem illi orbes, non tamen continu: antur adinuicem: Cælum primū continuum quoddam eſt, et con. tiguaru: Cælo nono ſecundum fuperficiem concauam ipfius pri mi mobilis actu exiſtentem,non tamen fequitur, primum mobile eſt contiguum cum nona ſphera, igitur continuum eſt cum nona iphera,quemadmodī non fequitur, quinque digiti adinuicem funt contigui, igitur quinque digiti ſunt continui, ſed bene ſequitur, quinque digiti ſunt continui, igiturquinque illi digiri ſunt conti gui, vt quando clauditur manus, vel manus aperiatur quinæ digi zi aeri ſunt contigui,vel aquç contigui, li in anforæ aquam inanum ponas, vel etiain cirotececontiguantur, et ratio eft, quia vnum quodque naturale corpus, alteri contiguatur, ne vacuum daretur in natura. CONSIDERAN DV M autem eſt, fi quod translatiue. dictum eſt, ut genus aſsignauit,vt temperantiam, confonantiam, nam omnegenus proprie deſpeciebusprædicatur,conſonantia ve. ro detemperantia,non proprie,fed translatiue, omnis enim confo Wantia in ſonis eft. CONSONANTIA eſt diſsimilium vocum acuti gra. uiſque in vnum redacta concordia, quæ fine ſono, quę aeris percuſ fio eft fieri nullo modo poteſt, illa autem confonantia quæ transla tiue dicitur, quæ effrenatam libidinem moderat, non quidem a ſo no, quæ eft aeris percuſsio, fed illa quidem eſt, quæ a concordia diſsimilium dicitur, hæc autem non neceſſario in Conis reperitur, vt eſt illa ſupercæleſtis Armonia, quæ nil aliud eſt, quam coeleſtium motuumdiuerſorum,in vnam munditotius conſeruationem apta concordia, quam celebrant quidem illi ſapientes pythagorei, quos gratis in libris de cælo redarguit Ariſtoteles, quam armoniam di ces illam effe de quaMarcus Tullius in 6 derepublica, cui de ſoin. no Scipionis nomen indidit, docte meminit, hanc quidein dico nul lo modo conſtare in fonis, ſed illam quam libro primo capite deci mumtertio et in hoc capite tetigit Ariſtoteles. AVRSV M ji non ad idem dicitur fpecies 2 ſecundum ſe, da fecundumgenus, vt fi duplum dimidiy dicitur duplum o multi plum dimide oporter dici, li autem non, non erit multiplam genus cupli, abundansſimiliter cicitnr ſimpliciter ſecundum om. nia fuperiora genera ad dimidium dicetur. ABVNDANS numerus is eſt, cuius partes omnes fimul additæ in vnum exuperant totum illud cuius partes erant, vt duo, cenarius eſt abundans, quia 6,4, 3, 1, ſiin vnum aggregentur 16 coinplent maiorem numerum duodenario, de quo quidem abun. danti, qui eſt fimilis centimanugiganti, non loquitur Ariſtoteles hoc loco, fed abundansillud eft, quod ſuperius eſt ad multiplum, ad ſuperparticularem, et ſuperparrienrem, abundans præterea,vthic accipit Ariſtoteles,eſt ad aliquid, quod etiam de multiplici, at& lu perparticulari, et ſuperparrienti, &de omnibus ſub illis contentis, dicitur,duplum igitur triplum,quadruplumque cummultiplun lit et pariter vnumquodq; abundans erit, fi igitur abundansnon eſt, non eritmultiplum,neque etiam duplum, itaque abundans vniuer lale magis quam multiplum eft. 1 era QVONIAM autem muſicum, qua muſicum eftfciens,elle muſica ſcientia qua eft. MVSICA enim quathenusmuſicũ effe facit, nõ quathenus cantorem, qualitas eſt de prima qualitatis fpecie,quathenus autem ſcientia eft, &fciens facit, relatiuum quidem eft, vt in capite ad ali quid fuit in prædicamentis determinatum. NVMERVM diuiſibile,e conuerſo autem non,nam diuifibi le non omne, numerus, DIVISIBILITAS non modo magnitudini ſed etiam numero conuenit, non tamen omni numero, ſed numero tantum pari,impari autem ob vnitatis interuëtum nequaquam, Veletiam melius erit dictu, diuifibilitas in duo æqualia, numero tantum pari conuenire, diuiſibilitas autem fimpliciter omni numero conuenire, id quod Ariſtoteles hoc loco velle videturdicere, ſeu in duo æqua. lia,vel in duo inæqualia numerus ipfe diuidatur, fic vtdiuiſibilitas in partes integrales cuilibetnumero conueniat, non diuiſibilitas in partes aliquotas omni numero, ſed tantum numero pari conuenire eft neceffe, aduerte etiam quod ipfinumero primo conuenit diuili. bilitas in tot partes, quot vnitates habet;in plus igitur ideft,quod diuiſibile eft, quam id,quod numerum eſſe, quia diuiſibile, eſt com mune ad diſcretum, quod in partes aliquotas &in partes integran tes diuiditur etiam ad continuum,ſequitur igitur recte,numerus eft, igitur diuiſibile, ſi diuiſibile accipiatur commune ad id, quod in ali quotas et integrantes diuidatur partes, &non econuerſo, vt diui fibile eft, igitur numerus, LOGICVM problema. PROBLEMA apud Euclidem eſt propoſitio,in qua vnum datur, et aliud (vt in pluribus) quæritur, vt ſuper datamrectam li neam triangulum collocare, linea quidem datum eſt, quefitum au tem ef trigonum ipſum conftituendum ſuper lineam datam, ſem per enim problema verſatur circa praxim,quapropter, problema Geometricum,eftpropofitio practica, Theoremavero Geometri. cum,eſt ſpeculatiua propoſitio,modo Ariſtoteles non ingnarus hu. ius duplicis fignificationis problematis Geometricc, et logice,pro pofitionem dubiam ad vtráque partem, dixit problema logicum, &non Geometricum debuifTe intelligi, inquit enim, logicum au tem eſt problema,ad quod rationes fiunt, &crebræ quidē, et bong ERIT enim ſecundum hoc bene poſitum humidiproprium, vt qui,qui dixit humidiproprium, corpus quod in omnem figuranı ducitur, vnum aßignauit proprium, o non plura,erit fecundum boc bene pofitum humidi propriuns. FIGURA hicaccipiatur in corpore locante humidum,humi. dum enim cum corpus fluxibile atque dilatabile fit, ſuſcipit quan cunque figuram a re locànte, quæ figura, feu natura, fiue etiamarti ficis opere introducta fit, in illo vaſe locantehumidum, accipere igitur hocmodo figuram a re locante, proprium eft ipfius humi di, et non alterius cuiuſque, NON omne ſenſibile extra ſenſum faftum,immanifeftum eft, latens enim eft, fi adhuc ineft, eo quòd fenfu folo cognoſciiur, erit autem verum hoc,in his, quæ non ex neceſitate ſemper conſequun tur, vt quia, qui pofuitſolis proprium, aštrum quod fertur fuper terram lucidiſſimum, tale vſus eſtin proprio (ſuper terram in, quamferri) quod ſenſu cognoſcitur, non vtique erit benefolis af fignatum proprium immanifeſtum enim erit cum occiderit ſol, si adhuc ferratur fuper terram, eo quòd nos tunc deſeruimus fenfium. CECVS enim huius quod eft, folem fuper terram ferri,nul. lam habet ſenſationem,ſed videns, illius ſenſationem habet quan do folem ſuper terram in die artificiali conſpexerit, quam primum autem fol occiderit, et fub orizonte conditus fuerit, definit ſenſus percipere folem fuper terram ferri, fi igitur illud proprium eſſet folis, illo deficiente, (quod contingeret nullo conſpiciente ſo lem ferri ſuper terram ) proprio, et Sol, effe defficeret, quod quia abſurdum, non igitur proprium eft folis eum videri ferri fuper terram, licet femper Sol ſuper terram fereatur, id etiam, haud folis proprium eft, cum fyderibus omnibus, Igni, Aeri ſem per conueniat, id autem quod proprium eſt, conuenit omni foli et femper,inodo fecunda particula, (quod eft foli) non conue nit foli, fed etiam alijs a ſole, et a fyderibus, et elementis, conuenit; Præterea folem femper ferri ſuper Terram, et fi proprium ſolis ef fet,illud tamen non eſt ſenſibile, led immaginatum,perceptibile,vel intelligibile, particula tamen illa aftrum lucidiſsimum, ipfi tantum foli conuenit, CONSTRVENTI vero, fi tale aßignauerit proprium, quod non ſenſu est manifeſtum, aut cum ſit ſenſibile ex neceſsitate ineſe manifeftum eft,hoc benepoſitum proprium, vt quia, qui po fuit fuperficieiproprium quòd primum coloratum eſt, ſenſibili qui dem aliquo vfus eft (coloratum eſſe inquam) tale quidem quod ma nifeſtum est ineſſe ſemper, erit fecundum hoc, bene aſsignatum fit perficiei propriim. IMMEDIATVM ſubiectumn coloris fuperficies eſt, ſub. ftantia enim colorata eſt, quia corpus coloratum,etideo corpus co loratum eft, quia ſuum extremum eft coloratū, extreinum autem, ſeu terminus, ſub quo corpuscontinetur ſuperficies eft, in qua im mediate color fuſcipitur, iſtud autem proprium,non ex natura ſu perficiei profluit, fed extrinſece aduenit color ipſi ſuperficiei, quæ quantitas quidem eſt, color, autem qualitas, fed cum ſenſibili per fenfum percipiatur, et fecundum apprehenſionem fiat exiſtimatio, et quia ſuperficies omnis,affecta ſit colore, ſequitur quod recte pro prium afsignabit ſuperficiei, fiquis dixerit eain effe coloratam et erit proprium ſuperficiei, proprium quidem ſenſibile,non tamen ex intrinſeca natura ſuperficiei. PRIMVMergo deſtruenti quidem, infpiciédum eſt ad vnum quodque eorum cuius proprium aßignauit, vt ſi nulli ineſt; aut fi non fecundum boc quidem verificatur, aut fi non eſt proprium c18 iuſ que eorumſecundum illud cuius proprium aſsignauit; non enim erit proprium,quod pofitum eſt elle proprium, vt quia de Geome tra non verificatur indeceptibilemeſe ab oratione (nam decipi tur Geometra cum pſeudographiäfacit ) non erit hocſcientis pro prium, non decipi ab oratione. HIC locus videtur opponi ei quod Ariſtoteles determinauit de Geometra primo poſteriorum,vbi ait Geometram non mentiri concipientem 9 concipienten lineam bipedalem, quæ tamenminimebipedalis eſt, fed fiquis recte inſpiciat,nulla certe oppoſitio apparebit, fed vtera quelocorum mutuo ſeſe alternatim declarabit, cuinam in dubium illud venit,fępemens ynī interne concipere, quod falax manus ex trinſece, illud peruertit: hoc quidé prothagoręfæpe contigiffe reffe runt, vt aprehenfo, ad ſcribendum calamo,id ſcripfiffe quod men ti fuę opponeretur, et id vitii non ſolum manui, fed linguæ ſæpe etiam contingit, quis enim id in feipfo non eft expertus. vt quan doque ynum ex inſperato lingua profferat, Q tamen aliter mente prius conceperat,id autem etiam cuidam Geometræ, ſi contingar, vt perperam ſemicirculos deſcribat veltrahat lineas,non vt opor tet (vt interiusprius mente concepir) ficut primo topicorum capite primo fuit declaratuin,non tamen id proprium eft Geometræ,cum non ſemper vnicuique Geometræ conueniat, ſed raſo etiam vni accidat. SIMPLICITER igiturnotius, quod prius eſt poſteriore, vt punctum linca, o linea ſuperficie, et ſuperficiesſolido, quem admodum vnitas numero prius enim &principiã omnis numeris. VIDETVR hic textus contra determinationem philoſophi primo de phiſico auditu capite de primo cognito, vbi determinat de circulo p priino cognoſcitur, quam quod fit figura plana vna linea contenta: pro cuius loci huius &illius intelligentia, fcire debes deffinicum cum ignotum ſit, per deffinitionem explicatur,ipſa vero definitio per ea quę nota ſunt, ingnotum definitummanife ftum facit, quod Euclides,vbilineam rectam deffinit primo Elemē. torum prius punctum explicuit,quiin deffinitionem lineæ ponere, tur, vt furt declaratum capite de per ſe,primopofteriorum fubinde lineam per punctum, et fuperficies per lineam, et tandem libro 11, corpus per ſuperficiem deffiniuit, quo autem modo diuerſo ſe ha heat punctus in linea ab eo modo, quo vnitas in numero,id in na lyticis capite de per ſe fuit manifeſtīt, ſed id in dubiữ verticur, quo nam modo corpore ſuperficies, et fuperficie linea, &linae punétus noctiora fint:'cīí hæc omnia apud Geometrā, et ftereometram ab ſtracte conſiderentur. Dico quod cum abſtractione in his omnibus minor et maior fimplicitas repperitur,vt in puncto quam in linea &fic deinceps, Adid autem de primo phiſicorum de circulo nulla videtur oppofitio in Ariſtotelis verbis, ibi enim de vniuerfali con fufe aprehenſo hicauté de ſinipliciori dictincte concepto loquitut C 1 pro no OPORTET autem non latere quædam fortaſſe aliter deffi niri non poffe, vtduplum, line dimidio. ID notandum euenit hoc loco, quod Ariſtotiles capite de ad ali quid poft multa examinara ibidemn determinauit,quodad aliquid non eft, cuius effe fit elle alterius, fed cuius eile eft ad aliud quodam modo refferri, vt dupli efTe, fic eft, vt abfque relatione ad illud cu ius eft duplum minimne poflit percipi, licet non cognoſcat illud fub nomine et natura dimidii,ſed tantum quathenus duplationen ter minat, quę fundatur in eo, quod illa duplatione duplum eft. OPORTET autem ad deprehendenda talia fummere mine orationem, vt quod, dies, eſt ſolis latio fuper terram. QVI deffiniet diem artificialem (qui incipit ab emerſu ſolis ſu pra orizontem vſquequo accidat ) ponit in definitione lationem ſtelle apparentis fuper terram (qui fol dicitur )nam qui die vtitur et ſole vei neceffe eft, acquiſolem deffinir, ſtellam in die apparentem dicit, in qua deffenitione alterius,alterum ponit eo modo quo ea, quæ ad aliquid deffiniuntur, RVRSVS fieo quod e diuerſo diuiditur, id quod e diuerſo di uiditur diffiniuit, vt impar eſt qui vnitate maror eſt pare, fimul enim natura, quæ ex eodem genere e diuiſo diuiduntur, impar au. tem et parediuerſo diuidunt,nam ambonumeri differentia. PRETER eas quas Euclidesin elementis et Boetius primo Arithmeticæ deffitiones de impari atque,pari numero dederunt,hęc Vna eít,qua in comparatione et non abfolute imparemnumerum in ordinead parem deffinit fic vt neuter abfque altero intelligi que at, et alter indeffinitione alterius ponatur,vtocto par, vnitatem imparem feptem ſuperet, et hic fenarium parem eadem vnitate maior euadat. Duo enim funt quæ diuidunt e diuerſo ipſum nume rum par, et impar, et in deffinitione alterius alter ponitur,cum ad feinuicem rellatiue conſiderantur et non abfolure, SIMILITER autem et fi per inferiora ſuperiora deffiniuit, pt parem numerum quibipartiteſecatur, name bipartite ſuma ptumest à duobus quæ paria ſunt. HIC textus obfcuriuſculus redditur in littera,ſenſus tamen fa. cilis eſt, ſuperius enim fi per ſuum inferius deffinitur, vt notius fia at, fuperius hic eft quod, bipartire ſecatur,inferius autem numerus eſt par,optime enim fequitur, hic numerus par eft igitur, bipartite fecatur,fed fi arguas bipartite ſeccatur igitur numerus eft,incõftans eft ifta argumentatio, neque y ſquam valida eft, nifi intelligatur 1 numerus in confequente pro numéro numerato, vt funt etiam ma. gnitudines, quæ nuineri ſunt, vt in pofterioribusdeciaratum eft per me, ita vtin conſequente accipiatur numerus pro quodam comu. ni ad numerum numeratū &ad numerum qui eſt ex vnitaubus profuſus aceruus,fic enim quod bipartitīī par numeruseft, et ficin deffinitione ſuperioris, quod eſt bipartiri veimur oumero pari,qui inferior eſt ad bipartiri ſimauis, bipartiri,a binario numero capias qui binarius inferioreſtad numerum parem,cum quaternarius, et ali quam plurrimi fint pares numeri,modoqui in deffinitione nu. meri paris vtitur bipartiri, ille quidem in ſuperioris definitione Vtitur ſuo inferiore, AVT rurſum qui deffinit noĉtum umbram terra. TERRA eniin cum ſit opacum corpus radë Colaresnon pof. funt illud ingredi et vltra progredi (quod in traſparenti aericone tingit,) ſed impediuntur a parte terræ, quæ pars ad folem reſpicit, ex alta autem terræ parte,luminis priuatio contingit, quæ priuatio luminis folaris fuper terram nox appellarur et cft liquis igitur no Etem definiat, fic inquiens nox eft priuatio luininis folis ob er iæ opacitatem proueniens, fimiliter terram quis deftiniens dicet, terra eſt corpus ex cuius opacitace nox fit, vide quo pacto &ter am in deffenitione noctis, et noctem in deffitione terræ et vtrun que in vtriufque deffinitione ponitur, fequuntur quædam Ariſtore lis verba in textu de multiplici et ſubmultiplici, atque de duplo et dimidio, quæ quia alias declarata ſunt pretereunda duxi, fed id no. tandum eft quod in deffinitione priuatiui, vtputa noctis, ponitur poftiuum, vtputa terra, quod etiam in multis eft aduertendum, quia non ſolum ponitur pofitiuum,fed etiam priuatiuum, vtly pri uatio lurninis. Si autem aliquurum complexorum aßignetur terminus, con fiderandum eft aufſerendo alterius eorum, quæ comple et tuntur ora tionem, fi eft et reliqua reliqui, Nam fi non,manifeftum quonia, neque tota totius, vtſi quiſpam deffinit lineamfinalem rectam fic nem plani habentis finis, cuius medium ſuperaditur extremis, ſi finalis linca ratio est,finis plani habētis fines recte oportet effe re liqui, cuius medium fuperadditur extremis,fed infinita,neque me dium neque extrema habet, re &ta autem est, quare non est relo qua reliqui oratio. ст · AVTEM quain ad expofitionem textus deueniam primo liç terai Ariſtotelis in tralatione Argyropili et in textu Auerois cor rigendam puto de mense Ariſtotelis ex Euclide iuxta cheonem, le gitur enim in vtroque textu cuius medium ſuperadditur extre mis, vbi legi debet, cuius mediuin ' non reſulta ab extremis 86 Aueroes in expofitione fic interpretatur,cuius inedium non occu. lit duo extrema, et videtur afſentiri ipfi Platoni deffinienti rectă, recta inquit linea eſt, cuius medium non obumbrat extremna, cæ, terīt mens Ariſtotelis eſt, quo pacto complexum deftiniatur often dere, vt fi homo gramaticus deffiniatur,hæcenim erit ſua deffini tio, fíue terminus,aninal rationale mortale recte legens atque ſcri bens, tota quippehec ratio, huic toti coplexo, nempe, homo gram maticus,conuenit,modo liably homo, ly gramaticus aufferatur, &ab ly animal rationale mortalely recte legens atque ſcribens, vt fic dicatur, homo eſt aniinal rationale mortale, &gramaticus eft recte,legensatque ſcribens, peroptime data erit deffinitio primo ipſius complexi,homo gramaticus,quod Ariſtoteles in Geometria exemplificat,iminaginans (de mente aliorum,) planum efle infini tum ſecundum longitudinem tantum, finitum ſecundum latitudi. nem, quod quidein terminatur linea recta, quæ eius finis ſecundū latitudinem ellet, modo ſiquis definiret lineam finalem rectam die cens,effe finem planihabentis (ſecundum latitudinem ) fines,cuius (quidein finis) medium non relultat ab extreinis,hæc particula, fi nes plani habentis fines, in definitione pofica recte conuenit lineæ finalis, fed hæc particala, cuius medium non reſultat ab extremis, nonconuenit illi particulæ pofitæ in complexo, quæ eſt ly recta, velly linea, quia non conuenit niſi recrę lineç finicę, et non infi nitę, quęinfinita, vt fupponebatur, non habet medium, neque ex. trema,ideo deffinitio ipſius totiuscomplexi minime recte data erat quia ficut vna ablata particula in deffinitione conueniebat ablatę particule deffiniti, non fic reliqna particula deffinitionis conuenit relique particule complexi deffiniti, $ I autem differentia terminum alignauit confiderandum, fi eg alicuius numerun comunis est aſſignatus terminus, vt cum imparem numerum aliusmdium habentcm dixerit, deter minandum est, quo pacto medium habentem, nam numerus qui dem, comunis in vtrique rationibus eſt, imparis autem coaſſum pta eſt oratio, habent autem &linea et corpusmedium, cum non fintimparia, quare non vtique erit deffinitio hæc imparis. 12 IMPAR numerusin duoæqua dicendinequit ob vnitatis in teruentum medium indiuilibilis denumerantis totum numerum cuius illa vnitasıncdium eft, linea autem et corpus et ſi medium habeat,linca quidem punctum medium, quod per 10 primielemen torum inuenitur fi diuidatur, et fuperficies medium habet diame trum, illa tamen media,vt nec punctum lineam,neque linea ſuperfi ciem dimittuntur, neque illa componunt ea, quoruin media ſunt, determinatū igitur eft, quo pacto numerus medium habet, et quo pacto linea atque ſuperficies, et hoc de numero iinpari intelligas, cuius inedium interduas partes æquales,vnitas eſt, et non de pari, ficut etiam Ariftoteles ait in textu, ex eis QV AE DA M enim ſic ſe habent ad inuicem, vt nibil ex fiant; vt linea numerus. LINEA in lineam fiducatur vt 45 primielementorum Eucli dis docet et prima et ſecunda; ſecundi elementorum fuperficies pro ducitur, pariterque numerus, ſi in numerumduxeris,numerus pro ducetur, vt ex ſeptimo elementorum manifeftum eſt, non tamen idem prouenit per additionem, quia linea lineæ addita non facit ſur perficić, &fi hoc milliesmillienamillia addieris adinuicemlineas, non reſultabit ſuperficies, neque fi puncta ad fe inuicem addideris linea vnquam reſultabit, vnitas tamê li vnitatibus, velvnitati,nu. merus (tatim reſultabit, qui acccruus eft ex vnitatibus protufus, vt etiam in prædicamento quantitatis fuit declaratum. Avr fi eodem ab vtroque ſublato, quod relinquitur eſt alte rum, vt ſi duplum dimidi, co multiplum dimidij idem dixerit elje, fublato enim ab vtroque dimidio, reliquu oporteret indicare, non indicant autem, nam duplum &multiplum non idem fignificant. VLTRA cà quæ de duplo et multiplo libro quarto capite quarto ibi dicta ſunt,vnum illud conſiderandum eſt, quod a nega. tionc dupli ad interremptionem multiplex fiquis argueret commit teret conſequétis falatiam vniuerſalius enim eft ipfum multiplum ipfo duplo, vt eft animal equo vtrunque tamen ad aliquid eft, et duplum ad dimidium, &multiplum ad ſubmultiplum. VIDET V R autem &in diſciplinis quædam ob definitionis deffe &tum, non facile deſcribi, vt quoniam quæ ad latusſeccat planum linea,fimiliter diuidit &lineam &locum, definitione au tem di&ta ftatim manifeftum eft quod dicitur,nam eandem ablatio nem babent.loca d linea, eft autem definitio eius orationis hac. DEFFINITIO ſecunda tertń elementorum intellectum prebet huius deffinitionis pofitæ ab Ariſtorele, definitū eft ly linea fec cās planum, definitio eft ly linea fimi a Jiter diuidēs lineam &lo ct, fic enim Jittera ordi netur, linea quæ ad latus ſeccat pla num, eft li. nea diuidens lineam et locuni terminatum ab ipla linea recta, fieri enim non po teft, vt linea ſecet planum terminatum linea, quin il.. la linea terminans planum ſeccetur ab eadem feccante linea, id autē manifeſtum g eft ex fecunda, tertia, et quarta definitione tertń elementorum Euclidis, et alisexipfo tertio elemen forum, et xi fecundi, ly li. mea quæadlatusfeccat pla num,vocatAriftoreies orationem in hocloco, vbi ait, oautem: deffinitio eius orationis, hæc, id etiam dignī notatu cum deffinitio per genus, et differentiam detur,loco generis in hac definitione, eſt ly linea diuidens lineam, inodo cum linea prior fit plano, manife, ftum eft,quodde genere dicendum erat in hac definitione, SIMPLICITER autem prima elementorum, pofitis qui dem definitionibus (vt quid linea vel quid circulus) facillimum oftendere, verum non multis ad vnumquodque eorum eft argumen tari, eo quòd nonſunt multa media, ſi autem non ponanturprinci piorum definitiones,fortaſſe autem omnino impoßibile. PRIM A elementorum hoc loco,non ſunt intelligenda princie pia, quæ definitiones,petita,& animi conceptiones ſunt, ſed princi, pia ipſa,ſunt propoſitiones,quæ in probleniata et theoremata diui duntur, quæ prima elementorum, ideo dicunturcum per ipfa, quæ proponuntur in alís ſcientñs probentur, vt quid fit linea,videlicet longitudo illatabilis, et quid linea recta,cuius mediñ ſua ex æquali interiacet figna,tunc ſuper datam lineam rectam triangulum colo care proponit prima, primi elementorum, et pofita definitione cir culi per ipſam probatur triangulum ſuper datam lineam colloca. tum effe æquilaterum, et folum perilla media videlicet definition nem circuli 17 et primam animi conceptionem primi elemento rum, quæ definitio, et animi conceptio fi prius non ponantur diffi cile erit oftendere, fortaſſe omnino impoſsibile, quod triangulus conftitutus fuper datam lineam ſit æquilaterus, 1 SIMILITER autem his et in his quæ funtcirca orationes Je habe nt; non igitur latere oportet, quando difficilis argumenta bilis eft poſitio,quòd eft aliquid eorumquæ di&ta funt. LINE A quidem, atque circulus ſunt quædam incomplexa quæ diffinibantur ab Euclide deffinitione tertia et 17 primi ele mentorum,fed linea quæ ad latus ſeccat planum, fiue linea ſeccans planum ad latus, id totum complexum eft,atque compoſitum, et licut fieri non poterat, vt oftenderetur æqualitas laterum trianguli, abſque definitione incomplexicirculi, fic etiam fieri non poterit, vt quippiam de quopiam demonftretur, quando in demonſtratione ingreditur aliquod extremum complexum, quia tunc vtimur toto iſto tanquam principio,ly linea leccans ad latus planum, nifi prius ipfius complexi atque orationis præierit deffinitio, quę eſt,ly linea fimiliter diuidens lineam terminantem locum &locum, ita vtpar. ticula illa circa orationes non intelligatur yt gramatici, et rhetores intelligunt orationes, fed oratio, pro quodam intelligatur comple xo indiſtantitamen, hoc eft fine copula, et verbo principali,parti cula illa, pofitio, cum inquit Ariſtoteles quãdo difficilis eſt pofitio, non intelligitur pro petitione, feu petito, quia petitum non eft argu mentabile,hoc eſt per argumentum probabile,neque difficile, ne facile, cum ſit primum principium &non probetur, fed petitio in hoc loco accipitur pro ipfa propoſitione, quæ probanda venit, ſeu fpeculatiua,vel etiain practicafit, feu problema, vel etiam theore, ma fuerit,et tunc talis propofitio difficile argumérabilis eft, quando inter probandam ipſam,contingit aliquod deffiniendī, quod com plexum fit, quod nifi delfiniatur,difficilis argumentabilis eſt propo ſitio, et fortaffe omnino inpoſsibile, quando id quod dictum eſt contigerit,videlicet quod complexum deffiniendum interueniat, ly fortaffe autem omnino impoſsibile in præcedenti textu non dubi tatiue ſed magis comprobationis particula accipienda eſt. VELV T Zenonis quòd non contingitmoneri, neque ſtadium pertranfire. PROTERVI Zenonis eft fententia dicentis ftadium, quod octaua pars milliaris eft,pertranfiri non polle, inter genera menſu. rarum quæ magis notæ ſunt,ftadium numeratur,quod iuxta Ptho. Jamei ſententiã primo Geographiæ eft milliaris Italici pars octaua. OPORT ET autem eum quibene transfert diale &tice,& non contentioſe transferre, vt GeometramGeometricæ,fiue falſum fiue verum fit; quod concludendum eft. DIALECTIC A trallatio eft,quæ apparens quidem eft,et conuenientiam habet ad illam remi fecundumquam trallatio facta eft, et non debet effe dubia,contentiofa, et fophiſtica, ſed magis ad inſtar geometræ, qui nõ errat aliquo pacto circa ſuam materiam er formam, vt primo poſteriorum declaraui, vel etiam quitransſeng hanc vocem triangulus, a ternario numero, et quadratum a nunc ro quaternario propter ternarium, et quaternarium numerum vel æquicrus a duobusæqualibus tibás, vel gradatus propter tria 1112 - qualia latera, quæ vt gradus concipiuntur, 2 CAPITE QVINTO. AXT fiquis corum qua ſequuntur ſeinuicem ex neceſſitateal Strumpetat vt latus incomenſurabile cle diametrofi oportet dia meter lateri. PRIMO pofteriorum fuit declaratum et demonſtratū quo pacto diameter quadrati coftę fit incommenſurabilis, quantum autem ad hunc locum attinet, non ſemper per ca que ſe conſequun tur immediate,probatio fieri debet, fed medium debet effe aliquo modo idem cū extremis,&aliquomodo diuerſum, vt in 10 clemë torum de diametro, &cofta eftmanifeftū,Prçterea,non eft proban dumaliquod ingnotum per equc ignotum, quod fi alterum peta tur in alterius probatione, nil penitus demonſtratur, IN PRIMO ELENCORVM. CAPITE PRIMO, POSTQVAM enim ipſas per ſe res in difputationem alla tas vfurpare dicendo non eſt, ſed vocum veluti nutibus,rerum die ce primur, ſiquid in id incidit vitij,in ipſis eſſe rebus, nõ in vocibus putamus,quod vfu venire his,qui calculisrationem ineunt, ſolet. CALCULATORES noſtri temporis characteribus caldaicis vtuntur, per quos, in numerorī cognitionem trahuntur, ficut per voces in rerum cognitionem ducimur, IN TERTIO CAPITE, DIVISIONE vero,vt quoniam quinqueſuntduo et tria, fieri vt paria fint imparia, et maius fit æquale. SI diuiſim ſummas3.& 2. nunquam, quinque faciunt, ſecue autem fi coniunctim, &ceffatomnisinftantia. Neque dixit terna fium, et binarium, quia due ſpecies numeri, non componunt terº tiam fpeciem numerorum,ſed quinque vnitatcs pro materia quiné sii accipiuntur. VD ANTVM vt quale,quale vt quantum. IN primo pofteriorum in de triplici errore circa vniuerfale fuit oftenfum,proportionem proprie circa quantum &non circa qua le effe, ita vi ſiquis pPomba proportionem proprie eſſc circa quale, is quale pro ipſo vretur quanto vitioſe. IN QVARTO CAPITE. AVT quod idem eiuſdem duplum, et non duplum, duplum quidem in longuni, non duplum antem inlatum. CVM dederic eiufdem ad diuerfa: vt duo ad uſum &ad tria dat deinceps exemplum eiuſdein ad idem fecundâ diuerfa tama, Vt linca a b quatuoc,ad lineam a cduo actu dupla eft,no autem dú pla in latū immo quadrupla elt a badac duo quod eft effe fuũ in potentia, quod manifeſtuin eſt, in triangulo a bccuius ca b'rectus eft, id autem manifeftum eft ex 46 primi Elementorum, Eucli dis, vel dicas ab duplam ad a cin longitudine, non autem in latiu dine, qua caret, eft dupla 1: 6 . NEQYE ſi triangulusduobus rečtis tres æquoshabet, et ei. velfigură,del primum,vel principium eſſe dicit;quod velfigura, del primum, vel principium eſt triangulus eft, nam non quathe nusfigura del primum pel principium, ſed quatbenus triangulus demonftratio erat. TRIANGVLVS enim rectilineus figurarum rectilinea. sum prima eſt,ita vt fic et figura, et prima, et principium,vt qui buſdam placet omnium figurarum rectilinearum,non tamen id ve tum eft fecundum Euclidis fcicum; vtAs primi clementorum dos cet, &vt Amonius determinat capite deſpecie ſupra porphirit, ſed hoc loco famoſe loquitur Ariſtoteles, et determinat quod no con uenit criangulo habere tres duobus rectis æquales, ratione corum quæ de eo dicta funt, fed ratione ſui ipſius,non aucem quathenus,fi gura,vel primī, et principium neque etiam fi ifta fuſius accipian tur,figura,primüm principium inferunt triangulum efle, arguere. tur enim ex conſequente ad antecedens, et exmagis vniuerfale ad minus vniuerfale,ex ſuperiorique ad inferius, figura enim nedum triangulo conuenit, ſed pentagono &alijs multis,primum nedum figuræ, fed etiamnumero principium quoque in naturalibus, et his quæ arte fiunt repperitur, nedum in figuris cöpofitis (vt ais. bant ex triangulo ſape ſumpto, Hoc autem ab accidente differt, quoniam accidens quidem 1 I 1 in uno ſolo ſummere eft, vt idem,elle flauum of melse album ege cygnum,quod autem propter confequens in pluribusſemper opora tet,nam quæ vni et eidem funteadem er fibi ipſa poſtulantur elle eadem propter quodfit ea quæ propter conſequens eft redargutio, eſt autem non omnino verum, viſifit album ſecundum accidens, nam &nix cygnusalbedo idem,autrurſum Melyſji oratio, ide elle poftulat,fa &tum eſſe, &principium babere', autæqualisfieri Geandem magnitudinem accipere,quoniam enim principium ba bet quodfa &tum eft.co quod factum eſt, babet principium,fa &tum elle postulatstam quam ambo eadem fint eo quod principiū fa &tu elle finitumquc habent, ſimiliter auto e in his que æqualiafa &ta Junt, ſi eandem magnitudinem et vnam ſumendo æqualia fiunt, et quæ æqualia faéta funt eandem dim onam magnitudinem ſum munt, quare conſequens ſummit. TRES modos errandiin falatia conſeguentis adducit philofa phus, primade accidente, ve de albo,aiebant quidam cõſequencia hác valere, cignus eft,igitur album eſt, et econuerſo,album eft,ige tur cygnus eft,determinat Ariſtoteles, quod album elle,vniuerſali us fit,quã effe cygnum, a magis comune ad minus comuneargud do cõinictitur fallacia cõrequêtis,albedo enim nedum eft in cygno, fed etiã in niue, et alñs reperitur: Secundo vt Melyflus aiebat, hæc duo videlicet, ly factum efle, et ly principium habere, vt recte fer quebatur fecundum Melyſſum factum eft, igitur principiñ habet, principium habet igiturfactum eſt, principium enim habere, vni uerfalius eft quam factum effe cælum enim principium habet, ma teriain ſuam ſcilicet &formam, attamen, non eft factum, quia fer cunduin falſam Ariſtotelis opinionem ſemper fuit, principiữenim.comune eft et ad id quod materiam &formă haber, et adid quod cæpit efle, in tempore modo a magis comune ad minus comune arguendo committitur error confequentis, Tertio loco, aduertic Ariſtoteles quod eadem magnitudo, &æqualis magnitudonon couertuntur,in plus eniin eſt æqualia effe,quam cadem effe,fiquis igitur inferat,magnitudo magnitudini eadem eft,igitur magnitudo 'magnitudiniæqualiselt,recte quidem intulit, vi in probatione ſce cunde partis quintæ lib. primi Elementorī vna &eadem linea di fit balis in duobus triangulis eft, fibiipfi æqualis et in quinta et ſexta terti Elementorum vna &eadé linea a centro exiens ad cor cunferentiam (quæ duabos lineis ali comparatur )elt æqualis fibi, fed non omne quod eft æquaļe alteri,elt fibi ipfi idem, vipatet, in 1.. tertia primi, Elementorum,cuin de longiori æqualis breuiuri ſinex linea feccacur, ob id Euclides, In quinto Elementorum propofitio, ne 11.propoſuit probandum,quod quæ vni ſunt cadera &libica: dem ſunt,quod fi principiuin primafuiſſet, licuti eft, quæ vni ſunt E qualia inter ſe ſunt equalia, non propoſuillet illud in quinto eile probandum,quod Ariſtoteles confiderauit. QVARE manifeftum eft, quodeo demonſtraționes redargu. tiones funt &veræ quidem,nam quæcunque demonftrare licet, ca Gredarguere eū,qui contradi tione veri ponet,licet, vtſicomen furabilem diametra pofuerit;redarguatquis demonftratione, quod incomenſurabilis;quare omnium oportet efle, nam alia quidem ea quæ in Geometriaſunt principia eorumque concluſiones &cæt. SIQ VIS diametrum commenſurabilem coſtæ ponat redar, guitur ab Euclide lib, 10 elementoruin propoſitione 115, vel leo cundum campanuin, per illam demonſtrationem, quæ ibi adduci. tur,quæ demonftratio,redargutio eft ipfius proteruiafferentis con. trarium, fic vt pro declaratione huius textus fatis fit, quod ipía de monſtratio veri,redargutio eft falli allerti,vel afferendi a proteruo, NAM ſecundum vnamquanque,artem ſyllogiſmus falfus est, vt fecunlum Geometriam Geometricus, " VIDETVR ex hoc textú quod geometra paralogizet quod oppoſitum eft ei, quod determinatum eſt in poſterioribus, Geometram videlicet non paralogizare, Dico Ariſtotelem loqui non de Geometrico fyllogiſmo in quo,neque circa materiam nec circa formam error contingit, fed de fyllogiſmo in quo terminus, ſeu vox aliqua repperitur Geometrica, contraria lux fignifica tioni a Geometra pofita, vt quod triangulus pro circulo accipia tur,vel error paratur in conſequentia,vt fi triangulus, igitur dua. bus lineis clauditur, et vtroque modorum erit pfeudogeometri cus fyllogifmus, vt fi quis pſeudogeometra per numerum inipa sem æqualem pari fyllogizer diametrum commenſurabilem effe ipfi coſtr,hoc ſuo fyllogilino non falſum redarguit, quin potius fal fum ingerit, de quo fyllogiſmo pſeudogeometrico, hic Ariſtoteles Intelligatur, et non de Geometrico, vt in pofterioribus determi, nauit philoſophus, et per me fuit declararā, quo modo Geometra non paralogizat lad ſyllogizat, et id, hoc loco in memoriam reuo candum eft, quod in prioribusde prima figura dictum fuit, quo nam pacto Geometra illa vtatur, IN NONO CAPITE. ET la cuis viletur plura ſignificare triangulus, deditque, nos, vt cam figuram de qua concludebat quòd duo re&tis, verum ad in telle &tum illius difputauit,hic an non? TRIANGVLVS enim eft figura plana tribus rectis li. neis contenta de qua Euclides ſecīda parte 32.primi elementorum demonſtrat quod habet tres angulos duobus rectis equales, modo fiquis immaginaretur quod triãgulus aliquid aliud fit, a tali figura (qui triangulus eſt ) propter id quod omnes anguli ipfius figuræ fint etiam duobus rectis æqualcs, vtoninesanguli pentagoni,cu. ius vnumquodque lacusſeccat duo ipſius reliqua latera, talis pro fecto non diſputabit de triãgulo, quiaad intellectuin triangulinon reſpicit,fed ad aliud, vt ad talem pentagonum, no enim neceffe eft, vequicquid habet angulos duobus rectis pares, fit triangulus, nes quod habent tres duobus rectis pares, fed quæ figura habet tan tum tres angulos duobus rectis pares,ille triangulus eſt. VNITATEs binarijs in quaternzrijsæquiles efle,at binse rij hic quidemſic infunt illiautemſecus, SIQ VIS ex illo principio, quæ vni et eidem ſunt æqualia, inferre tentauerit quod binarij fint quaternarii, hoc medio, omnes vnitates ſunt ęquales vnitatibus binarë,omnis numeri quaternarij vnitates ſunt æqualesvnitatibus binarë, iglur omnes vnitates quaternarñ ſunt æquales Vnitatibus binarij,igitur quacernarius eft binarius,ad maiorem et minorem prime coufequentiæ dicendum, quod fi vnitates ſingulę et diuiſion accipiantur concedendæ ſunt vtræque et confequentia prima, fed fecunda confequentia interris matur, fi vero vnitates in maiori et minori acceruarim ſuſcipian, tur vtraque præmiſſarum eft falla et fequitur conclufio falfa, et les cundę conſequentiæ anteccedens eft falluin, et conſequentia fequi tur, et conſequens etiam falſum eſt. NEOVE liquod pſeudographum circa verum eft vt Hyppo cratis quadratura que per lunulas, ſed qualiter Brifo circulã qua, drauit,tametficirculus quadretur,tamen quis non ſecundum rem ideo ſophiſticus est, quare etiam qui de bis apparens ſyllogiſmus cft,oratio plane eſt contentiola. / ! HYPPOCRAS tentauit circulum quadrareper lunulas et reduxit lunulam deſcriptam ſuper coſtarn quadrati inſcripti in ciro culo ad figuram rectilineam &exiſtimauit omnem lunulam redu ci poffe ad rectilineam figuram, ob id fuppofuit lunulas deſcrip tas fuper latus exagoni circulo inſcripti,poffe reduci adrectilineam figuram ex quo ſuppoſito non demonftrato, progreſſus eſt ad cir. culi quadraturam &variauit diagramma,tranfiens à quadrato ad exagonum, et tranfiens a lunula exiſtente ſuper lacus quadrati in fcripti circulo ad lunulam deſcriptam fuper lacus exagoni inſcripti in circulo, et fic preudographus factus eſt, Briſo fimiliter errauit circunſcribens circulo et infcribens circulo quadratum,vterque fo phiſtice proceſsit,et fyllogizarunt contētiofe, fed alter in diagrāma te vt Hyppocras, reliquus vero in principäs proprös neque in illa rione, reliquus autem in conſequentia, et quia vtebatur principös coinmunibus, et fi circulus quadretur fophiftice, tamen non fecun dum rem, vt non per principia propria, neque per deſcriptionetti diagramatum,hoceft per cõſtructionem debitam figurarum,nec ex neceffaria cófequutione principiorum ad conclufionem ex illis principñsneceffario illatam, fyllogiſinus igitur quo Hyppocrates et Briſo fyllogizabant quadraturam circuli, contentioſa erat al tera,vt quæ Brilonis, non contentiofa vero reliqua, vi hyppocra. cis,vti Ariſtoteles inferius in hoc capite declarat inquiens, CONTENTIOS A vero quodam modo ſic ſe ad dialetti cam habet,quemadmodum pleudographa ad Geometriam, namex eiſdem, diferendi modo,captiose et pſeudographa Geometrice de cipit,fed hæc quidemnon eſt contentiofa,quia ex principys et con clufionibus quæ funt fub arte pſeudographa facit,quæ autem ex his eftquafuntfub diale et tica,circa alia quide contentiofam efle mani feftum eft,vt quadratura quidem, quæper lunulas non contentio Sa, Brifonis autem contentiofa eft. ILLA ars quę falſum cöcludit vel potius artifex ille,an potius pſeudoartifex qui ſyllogizat falium ex principiis veris vel ex theo rematibus probatis, vt fecit Hyppocras in quadratura circuli,non contentioſe procedit, quia ex propriis principiis et theorematibus Geometriæ,Briſo autem proceſſic ex his, quæ nedum Geometria, fed etiam aliis diſciplinis applicari poffunt, vt, quæ vni et eidem funt æqualia inter fe æquaha effe conftat,quod principium et Geo metriæ Arithmeticæ ſtereometriæ &ei quæ de ponderibus tractat diſciplinæ applicari poteft, pariter ratio Antiphontisde quadratu. G 16 ra contentiora eft, qua negat principium Geometriæ, quod eft fe cundum theorema certii elementorum Euclidis, et negat etiam li. neain poffe in infinitum diuidi, et dicit rectum eſſe curuum, et cur uum rectum, et dari duo puncta inmediata in linea circulari, quæ omnia fequuntur ex conſtitutione hilochilium triangulorum qui conſumunt lunulam contentam a circunferencia circuli et recta linea. VT impar numerus ejt medium habens, eſt aut numerus im par, eft igitur numerus, numerus medium habens. IMPAR numerusa pari differt vnitatis incremento vel im minutione, vt quinarius a quaternario, et ſenario, in his igitur vo cibus, ly numerus et ly impar committitur vitium nugationis, quale committitur in his quæ ad aliquid dicuntur, vt fimitas naſi quidem curuicas eft,modo fic ordineturfyllogiſmus, Omnis impar eſt numerus habens medium. Sed numerus eft impar Igitur numerus eſt numerus habens medium Ecce quod bis numerus reppetitur in concluſionc, inaniter factum. ACCIDIT autem quandoque ficut in mathematicis confia gurationibus, vt illic quæ foluimus quandoquecomponcre iterum non queamus. OVADRATVM, penthagonum, et cæteras figuras re. etilineas reſoluimus in triangulos,non tamen ex triangulis quadra tum fit ſed ex dacta linea recta in fe ducta deſcribitur&, 45primi clementorum Euclidis, et cæteræ figuræ, vt ex quartolibro elemen torum Euclidis patet,fed per id non videtur factum effe fatis textui Ariſtotelis,nifi dixeris, quod non ea facilitate idem componimus, qua facilitate ſoluitur in triangulos, vel etiam dicas quodin Geo metria abſolute non componitur figura ex triangulis, et fi omnia figura rectilinea in triangulos refoluatur, fecus auteminri athmetica de mente pythagoræ, tefte Boetio libro fecundo Arithmetices immo vnaqueque figurarum ſpecies, componitur ex præcedenu fpecie et triangulo,vt eo loco demonftratur, vel meliusex tot vni tatibus, quotpræcedensſpeciesconſtat, et vnitatibus triangulorum, vt illis declaratur locis. VNIVERSA LOCA IN LOGICA M A R то тв LIS IN MATHBMATICAS DISCIPLINAS HOC NOVVM OPVS DECLARAT. сум PRIVILEGIO. aistas f 4 VBNBTUIS IN OFICINA FRANCISCI,COLINI GROENIGLICHEN AD LECTORES. Primum limen huius ingreſſus eft in hunc librum,utintel ligat lector Euclidein citatum eſſe fecundum Theonem et fecundum Campanuim indiſcriminatim. Pretcrca illud aduertendum eſt quod Textus Ariſtotelis partiti funt fecundum Ioannem Grammaticum, et nume rus alius, cui præponitur ly aliàs, aut ly uel,in fronte ca pitis denotat partitionein Auerois in Paraphraſi, Tertio loco numerus denotatpartitionem commentationis mas goæ Auerois, Illustriſsimo Venetorum Confilio cautum eft, ne quis hoc Opus imprimere audeat ante decenniuń, fubpena Ducatorum centum, áammißionis librorum; ut in Priuilegio conceſſo Domino Presbitero Petro Cathena artium et facræ Theologie Doétori, pro feßorique publicoliberalium artium in Gymnaſio Paduano: LASERLICH HOFBIB WIEN L MARCOLINI GROENIGLICHEN AD LECTORES. Primum limen huius ingreſſus eft in hunc librum,utintel ligat lector Euclidein citatum eſſe fecundum Theonem et fecundum Campanuim indiſcriminatim. Pretcrca illud aduertendum eſt quod Textus Ariſtotelis partiti funt fecundum Ioannem Grammaticum, et nume rus alius, cui præponitur ly aliàs, aut ly uel,in fronte ca pitis denotat partitionein Auerois in Paraphraſi, Tertio loco numerus denotatpartitionem commentationis mas goæ Auerois, Illustriſsimo Venetorum Confilio cautum eft, ne quis hoc Opus imprimere audeat ante decenniuń, fubpena Ducatorum centum, áammißionis librorum; ut in Priuilegio conceſſo Domino Presbitero Petro Cathena artium et facræ Theologie Doétori, pro feßorique publicoliberalium artium in Gymnaſio Paduano: LASERLICH HOFBIB WIEN LCOLINI GROENIGLICHEN AD LECTORES. Primum limen huius ingreſſus eft in hunc librum,utintel ligat lector Euclidein citatum eſſe fecundum Theonem et fecundum Campanuim indiſcriminatim. Pretcrca illud aduertendum eſt quod Textus Ariſtotelis partiti funt fecundum Ioannem Grammaticum, et nume rus alius, cui præponitur ly aliàs, aut ly uel,in fronte ca pitis denotat partitionein Auerois in Paraphraſi, Tertio loco numerus denotatpartitionem commentationis mas goæ Auerois, Illustriſsimo Venetorum Confilio cautum eft, ne quis hoc Opus imprimere audeat ante decenniuń, fubpena Ducatorum centum, áammißionis librorum; ut in Priuilegio conceſſo Domino Presbitero Petro Cathena artium et facræ Theologie Doétori, pro feßorique publicoliberalium artium in Gymnaſio Paduano: LASERLICH HOFBIB WIEN LIOTHEK PETRVS CATHENA VENETÝS PRESBITERORVM OMNIVM MINIMVS REVERENDISSIMO DOMINO MARCO LAVRETANO EPISCOPO NONENSI AC PATRONO S V O COLENDISSIMO. S. P. மரா NTER munera,quæ diuiniore calculo benigna humanitatis arti fex natura nobiscontulit, uirtu tum de litterarum facratiſsime antistes, ad poftremum haud quaquam adducitur ipſa ratio, nempe ad quamomnia prope quæhumana addicuntur ſubstan tiæ ad unum adhæferunt, cuius munere ſi quis minime recte ufus fuerit ipſum naturæ aduerſari, atſi bonis artibus que de periere iam &deciderunt, quippiamſplendoris &utilitatiscor rogauerit et farcuerit, illum rationismunereperfunctumeſſe ne mo nefciat, hac de caufaconſiderans hominum mentes eodem effe quo arua fato, quæ ſi excolantur bona ſinegligantur mala perfe runt germina,uidiſſem multos, qui philofophi nominari uolunt prepoſteris imbutos litteris,quorum mentes ſentes alunt Gmon stra, quibusuellicandisne unus quidem Herculesſatiseffet, uin Etum in inestricabiles laberinthos quin potius in carcerem te terrimum Aristotelem ut ciuimilites traxiſſe,qui inutilibus que stionibus &Græcis tenue intincti literis, bomis artibusnegletis, fimiles factifunt oculo, qui quòd in tenebris fit lucem flocifecerit Aij decreuiquoingenijuires,etiam fi exignas(nam apprime noui quàm fitmihi curtaſuppellex ) expenderem in eruendo Ariſtotele ex illo obfcuro, id autem tam comode quàm apte fieri putabam ſi Mathematica exempla ſua expreſsiora redderem, quibus in ex plicandis Logicis ufusfuit ipſe prefertim hoc tempore qua publi cis lectionibus Mathematicis in PaduanoGimnaſio incumbebam, ad huius etiam clariſsimi Philofophi elucidationem accedebat hor tatio iuuamen ReuerendissD.. Ioannis Marie Piſauri Epiſco pi Paphenſis &mecenatis optimi cuius expenſis opus imprimeba tur, hortabaturque me ille, ne opus hocpermiterem ex ire in ho minummanus fine duce aliquo cumpreſertim milta, &fere difi cilima hac tempestate contineret, que aut ab interpretibus uniuer fis omiffa, autoppoſita his effent que interpretati ſunt. Te igitur patronum Dominum meum delegi,qui et Ariſtoteleam Philo ſophiam uniuerſam cales, &qui has liberalesartes Latinis duri bus inuulgauit. Itaque ea. Aristoteles loca qua potui diligentia il lustraui, et quæ lucem claritatemque deſiderare uide bantur, curſimebreuis annotamenti lumine perui afeci, qua in reſi effe cerim quod uoluizesło iudex &cenfor. Has autem primores inge - ný nostri fæturastuo nomini Reuerendiss. Domine eam ob rem dicatas uolui,quo plane intelligeres noftri animigratitudinem pro innumeris quibus me in dies cumulare deſideras beneficijs, eoque quod aliter non datur temeum reuerear benefactorem; neque ob aliud ſanete reuerear quàm quòd omni laude digniſsimum: Vale præfulum decus. ed RE agat, ueletium num in ſemen uiri, uelmulieris, uel inmatricem, { OTS PORPHYRII DE GENERE PETRI CΑΤΗΕΝΑ PRESBITERI VENETINOVA INTERPRETATIO. IcetVR et alio modo genus uniuſcuiuſque principium or tus, tam ab co, qui genuit, quám a loco in quo eft quiſ piam ortus. Dicitur quòd locus, os pater cauſe funteffè &trices genis ti, diuerfimodetamen,quippe pater aétiua fit caufa, locus uero conſer uatiua tantum,que ad cauſam effe's Etricem non immerito reducitur,aps te magis quàm adquodcunque aliud cauſé genus. Dico tamen quod, et locusnedum conſeruatiuum prin cipium est, fic ut genitum folummodo conſeruet poftea quam genitum ipfum acquiſiuerit effe fuum,ſed etiam adiuuin principium eſt ipſe locus affe Ausrefpectu geniti accidentiumſententia est ipſius Ariſtotelis, quòd per acceſjum atque receſſum planetarumſub circulo obliquo fiunt in hæc inferioragenerationes atquecorruptiones, folis igitur, e planetarum aliorum lumine, ac motu, affectus locus, aštiue agit hoc pacto adgenera = tionem, atque parentes, fi fecus quis audiuerit, tunc sol, et pater non generarenthominem cum Sol non niſiſuis radijs reétis reflexis autfrae étis alterando aerem agatin ipſum, ca in contentum, quo autem pacto age quodmodo eidemſimili,quo etiam in uiſcera terre producitmineralia, o interræ fuperficie plantas. PORPHY RIVS DE SPE. DE SPET I E. VLCR A Fucies, debita parilitate demiſſa,coloria bus lineamentiſuć luculenter affecta,fpetiesà Pors phyrio in prima ſpetiei ſignificatione uocatur., ut Facies priami dignaeſt imperio, ad cuius fi militudinem, ill. est, quefub aßignato generepoa nitur, curus pulcritudo, est differentia fpecifica, qua pulcritudine informe genus contrahitur, atque pulcrumfit. Et Trianguluun, figuræ fpetiem ſimili modo ſignificat,fie gura rectilinea genus est ad triangulum, non figura in uniuerſum quamſic fufamfiguram Euclides primo Elementorum partitur in eam, que una clauditur linea, et in eam quæ pluribus lineis continetur, qui Triangulus Axties fitfigure reftilinee per hanc ſpecificam différen tiam qua est, claudi tantum tribus reftis, qua etiam differentia pula crum redditur figure genus. Indiuidua funt'infinita. Non intela ligas hoc uelim, niſi potentia,qua infinitatis affectione etiam numerus ita intelligatur; ſed modo quodam diverſo, numerus enim, quicunque fit, aexiſtat, finitus eſt, terminatus,ſic pariter indiuidua on nia, quæ exiſtunt finita funt, sed que preceſſerunt omnia,o que futu rafunt ex utraqueparte infinita diceret Ariſtoteles, numerus uero cum statum ad unitatemhabeat duplici modo finitus eſt,« actu, o deſcenden do,uerum indiuidua duobus modis dictis funt infinita, unico autem modo ut quæ præfentiafunt, finita etiamfunt. IN PREDICAMENTA ARISTOTELIS. DE QVANTITATE. ENARAI numeri partes, ut quinque, et quinque. Animaduerſione dignum exemplar hoc in loco pofuit Ariſtoteles, cum dixit quinque,& quin que partes eſe denarij numeri, non enim dixit quis narium, oquinarium denarium numerum compone re, quia nulla numerorun fpeties componitur ex di uerfisſpetiebus,neque etiam ex unis indiuiduis eiufdem fpetiei,ut diuerfa fpeties fiat, ex unis ternis uel quaternis, ant quinnis numeris nonfitfe nariusuel oftonarius aut denarius, ex unitatibus tamen quinis o quinis que materia eft. Cuiuslibet numeri, denari fpeties conflutur, eas ſententia Euclidis, Nichomaci, atque Boetij. Similiter et in cor pore fuimere aſsignareque lineam fuperficiemuè comu. nem terininun potes, quo partes corporis copulantur. Punctum esse lincæ terminum, or lineam ſuperficiei, e ſuperficiem corporis nemo neſcit, niſi qui Euclidis doctrina dignus est, ſed illud unum maiori egeret indagine, quo nam pa&o lineaſitforſan etiam ima mediatus corporis terminus,ne id Ariſtoteles aſſerens, quippiam affe rat contra Euclidis fcitum, prima enim deffinitione undecimi Elementorum inquit ille, corpus ſiue ſolidum est, quod longitudinem latitudia nem ocraßitudinem habet, folidi uero terminus fuperficies est, uide ergo quod ſolidi terminusnonſit linea ipfa, ut Ariſtoteles aſſerit. Ves rum quòd linea terminusfit corporis manifeſtum est, fi idquod Euclides ait deffinitione nona undecimi elementorum non ignores, solidus (inquit) angulus est, qui ſub pluribus duobus planis angulis comprehenditur non exiſtentibus in eodem plano, ad unum ſignum conſtitutis, plurium linearum igitur contactus (nulla ſuperficierum habita conſideratione) qui estfolidus angulus corpus terminat,fub illis igitur lineis angulusfox Tidus contentus, terminusest illius folidi, ville lineæ termini ſuntnes dum illarum ſuperficierum corpus ambientium, quin etiam inmediati terinini funtillius corporis, cum linea continentes illos angulos in puran Etum unum concurrant. Preterea idipſum Euclides afferit de angulo, quod fit immediatus terminusfolidi problemate tredecimo, libri tredeci mi Elementorum, et in fequentibus quatuor problematibus idem uit,in quibus docet conſtruere corpora regularia, queſuis angulis tangant ſu perficiem concauam circumſcribentis pheri, qui quidem uniuerſi angis li ſub tribus ad minus &pluribus tribus rectis lineis ad unum pun &tum concurrentibus continentur, &punctus ille, nedum est linearum terris minus, fed etiam regularis corporis finis,cum ſit terminus omnium linearum, quo termino tangit fphærum,patet igitur id, quod Ariſtoteles dixit de lineis nedum ueritatem habere, ſed ut etiam pun tusſit terminus ips fius corporis, ſecundum Euclidis ſcitum, perinde dicendum eft de ſuper ficie, quòd non tantum lineis, ſedetiam ipſis pun tis terminata fit, fide ea, quæ rectis lineis claudatur fermofiat, øde corpore Iſoperimetro, fiue quod pluribus re&tis fuperficiebusclauditur, hocquod dictum est in telligatur. Adid uero, quod Euclides primo Elementorum ait deſuper ficie fiuefigura rectilinea deffinitione uigefima, refponde, quod uerum dicit, figura rectilinea, inquit, contineturfub lineis reftis, enon die cit contineturfub punctis, agequod contineriſub pun &tis diuerfum eſt, ab terminari punctis. Ariſtoteles hoc uidens, dixit corpus lineis termia narinon tamenfub illis contineri,quod deſuperficie ſimiliter eft dia cendum. Vel etiam reétè dices, fi ita fenferis, quòd figura in uniuer. ſali, linea claudatur, neque una,neque pluribus, et corpus in uniuer far liambitu ſuperficie claudatur, neque itidem una aut pluribus, o neua tra deffinitio fic in uniuerfum accepta habet exclufiuam particulam,cum autem ad circulum uel ſpherum defcenderis,unum linea una clauditur re liquum uero una tantum fuperficie ſcias elſe claufum,reliquæ uerofigur re rectilineæ non deffiniuntur cum particula exclufiua abEuclide,vel di cas, quòd in littera Ariſtotelis, eſt fua met interpretatio, ubi enim dixe rit, in corporefumere aßignarequelineam comunem terminum, statim correxit ſe, dicens fuperficiem eſſe comuném terminum corporis et Euclides non dixit quòd punctus, ſed quod angulus tangat fphærum. Rurſus in pago quidem, multos homines, Athenis au tem paucos dicimus eſſe, qui tamen funt illis plures, et in domo quidem multos in theatro uero paucos,qui quidem et ipfi multo funt illis plures.Aduertas Ariſtotelem utroque exi emplo, o paucos et multos dixiſſe, comparationem faciens hominum ad loca in quibusfunt, non habens rationens hominum ad homines, ut fimile exemplun daretur ſiquis dicat pauciaurcifunt in arca, @mule ti in crumena, fi in crumena eſſent tantum fex, decem in arca, DE HIS QVÆ AD ALIQVID. VADRATIONIS enim circuli, et fcibilis eſt, ſcientia quidem nondum eſſe uidetur eft autem fcibilis ipſa. Quadam libertate hoc lo co loquutus eſt Arift.afferens id quod ignorauit, quia ſi non ignoraſcet eam,habuiſſet illiusſcientiam, o non dixiſſet (niſi forſan mendatio) ſcientia quidem now dum eſſe uidetur,fciens etiam quod nullus adtempus uſqueſuum proprijs principijs quadraturam inuenerit, nequecitra ad hanc ufq; horam,quis oftenderit,nififorſan quibufdamſuppoſitis,quu,et ipfa non minoriproba tione egerent quàm ipſa circuli quadratio,fedquidper iftud exemplum utilitatis Ariſtot. attulerit, illud effe puto, ut ammoto fcibili, oſcien tia ARISTOTELIS. tia eiusremoveri neceſſe eſt, ut putacaufa nunquam cauſante nuſquam effectus erit, quadratio igitur circuli cum non ſit, nequefcientia de ip. fa quadratura circuließepoteft. Quid nam antiqui de quadratura ſe na ferint in fractionibus Mathematicis declarabitur. DE QVALITATE. VARTVM qualitatis gen'us eft figura et ca quæ circa unumquodque eft forma, et in fuper rectitudo, et curvitas, et quicquid eſt hiſce fimile. De figura fcias Ariſtotelem lom qui, non ut de ea Geometrica abſtracte conſiderata, Jed de figura in re figurata exiſtente,ueluti in fubie et o, idem de forma, rectitudine, atque curuitate intelligas. Aduere tendum tamen ordinem quendam feruaffe hoc loco Ariſtotelem in his que proponit, à ſimpliciori ad magis compoſitum. Primo enim defi gura,quæ linea, uel lineis clauditur, fecundo de his, quæ ſimplici bus lineis, aut ſuperficiebus uniformibus, nempe uel tantum re tis, aut tantum curuis, uelſolummodo conuexis,aut etiain tantum concauis continentur, modus iſte ſecundus à primo non nihil differt, in hoc differentia est inter utrumque, quia primomodo de co quod planum eft, ueluti ipſa papyrus, ſecundo modo, de eo quod corpus, utmons, ficuti uulgus,quodfubtile eſt (ut papyrus) planum uocat, quod autem eft ualde craſſum, corpus appellat, ut montem, a facilioriperſuadens tya runculis ea,quæ etiam à uulgo principium cognitionis ſumunt. Triana gulus autem et quadratum cæteræque figuræ, non uidens tur talem rationem ſubire. Ariſtoteles parum ante dixit, que: nam ſint et, quæ magis, minufue ſuſcipiunt, ut puta qualia ipſa, gridus fufcipiunt intenfionis,modo uides quod neque trianguliis,nequequadras tum,qualia ſunt, fed quanta, que intenſione remißioninonſunt apta. Nam ea, quæ trianguli rationem circulinefuſcipiunt,trians guli fimiliter, aut circuli ſunt oinnia. Senſus huius eft, quòd triangulus. quilibet, uel omnia que triangula ſunt, niſi id quod tribus clauditur lineis,aliud non eſt, a circuli omnes, nil aliud funtquam und çlaudi linea, in cuius medio punctus eſt quod centrum dicitur, à quo oma. nes recte linea uſque ad circunferentiam ductæ inter fefunt cquales.com hoc nihil aliud quàm circulus eſt,nõ enim triangulus circulus,neque cira B 10 IN PREDICAMENT A culus triangulus eft, neque utrunque aliquid unum eſt, licet utrunque figura ſit,ſed hoc æquiuoce, et non uniuoce eſt. Neque te turbet hoc quia Ariſtoteles prius de triangulo, « quadrato propoſuit,c finit ſena tentiam de triangulo, e circulo, et non de triangulo, quadrato, quia de triangulo o quadrato dicens, ſubiunxit cæteræque figuræ quo uerbo etiam circulă intellexit, de quo ultimo loco explicite loquitur. Eorum uero, quæ rationein hanc, non ſuſcipiunt, nihil alio magis minúſie tale dicetur,non enim quadratum ma gis quàm altera parte longius circulus elt, quippe cum neu trum circuli fubeat rationem atque fimpliciter. Si non fubeat propoſiti, in quofit comparatio rationem, alteruin altero magis tale mi nuſueminimèdicetur. Quadratum neque circulus eſt, nec etiam altera parte longius circulus eſt,cum igitur propoſiti circuli rationem neus trum ſuſcipiat, neque quadratum circulus eft,nec etiam quadratum mas gis quam altera parte longius circulus est, idem age de altera partelons giore. Atquefimpliter pro hoc uerbo, ſcito Ariſtot.ſententiam hanc eſe, o ſi quadratum, &altera parte longius circulus eſſet, atque in eo conuenirent, quia tamen neutrum eorum, atque circulus, non eft qualis tas, fed quantitas,ideo à quadrato, o abaltera parte longiori, lymas gisminúfue,ſecludenda funt.Expoſitio hæc uidetur contra id, quòd Aris ſtoteles determinauit in capite de quali oqualitate, quo loco ait quara tum qualitatis genus eft figura,ad quodfoluendum, dicas figuram capi uno, atquealtero modo,primo figura conſideratur in ſe abſtracta aſus bie &to quocunque, cmſic quantumfeu quantitas eft,o non qualitas,nec etiam in quarto qualitatis genere, alio autem modo conſideraturfigura in refigurata, cui largitur tale eſſe, or ſicfigura in fubieéto aliquo,quam. litatis naturam non refutat. Neque musica, cuiuſpiam musica, niſi generis ratione ad aliquid, et ipsa dicatur. De uniuersali Aristoteles,& non para ticularimuſica loquens, ſiue humant uoce uel inſtrumentis praxis fiat, uel Theorica ipſa intelligatur, biffariam eam conſiderat, quatenus à fubieéto uel obiecto ſeu genere ipſo caufetur,et quatenus cauſata in ſubie eo quopiam eſt, primo modo ad fubie &tum quod genus uocat, tan quàm ad effectricem caufam reffertur, ut ad ſonum numeratum, non due tem ad Platonem in quo recepta est, relatiue dicitur. Vel etiam dicas, quòd refertur rationefuigeneris, ut quatenus scientia adfcibile. ARISTOTELIS. IL DE MODIS PRIOR IS. HR N DEMONTSRATIVIS scientisprius eſt nimirum atque pofterius ordine, Elemen ta nanque deſignationibus ordine priora ſunt. Scito elementa, ut deffinitiones, petita, animi conceptiones precedere ipfis propoſitiones in ſcientijs, id quod in Euclidis methodo patet,proa poſitio nem ſubſequitur expoſitio, quam expoſitionem statim deſigndz tio diagrammatisconſequitur, hancdeſignationem (que beneficio petia torum tantun fit) determinatio, determinationem demonſtratio, ſexto loco epilogus, ſiue propoſitionis repetitio. Vel dicas elementa,ipſatana tum eſſe petita reſpectu deſignationis tantummodo. Elementa etiam non tantum principia,utdeffinitiones,petita, et conceptiones animi, reſpectu propoſitionum, que per ea probantur dicuntur, fed ipſa propoſia tiones probatæ, quatenus ad alias fequentes propoſitiones probandas fumuntur, dicuntur elementa, hac de caufa, quidam uolunt libros quindecim Euclidis uocari elementa, alij nero non ob id, quindecim libri dicuntur elementa,ſed quia fingulis libris fua affiguntur principia, ut apud Campanum, ſed neuter modus dicendi placet, quin potius elea menta dicuntur oinnia, quæ in illis quindecim libris continentur, nedum propter deffinitiones, petita, Oʻanimi conceptiones,ut iſti, neque prou pter hoc, quòd alique prime propoſitiones, que demonſtratæ funt, fint pro alijs propoſitionibus fequentibus probandis principia, &elea menta,ut illi dicunt, quia tunc ultima propoſitio noneſſet elementuin ad. quippiam, cum ipſa ultima eſſet, ſed elementa, atque principia omnia illa dicuntur, reſpectu omnium propoſitionum per ipfa probandarum infcientijs fubalternatis ad illos quindecim libros. IN PREDICAMENTA DESPETIEB.V.S. MOTVS. i bЬ et CRET 10 ', alteratio non eft. Hoc perſuaa det Ariſtot. exs * emplo Geometri co (quod etiam multis modis in Arithmetica Boetius docet)Gnomon quidem,ut in fecundo clementorum deffinitione ſecunda ha betur,figura eſt ſex laterum,compoſi ta ex uno quadrato conſiſtente circa diametrum, « ſuplementis duobus, quefigura ab Euclide primo elemen torum propoſitione tirgeſima quar ta habetur, quæ est 6, quam fi huic addideris quadrato a, quadratiſpe ties minime alteratur, licet fiat acre tio quantitatis, ſic ut in hac figu ra ab, quod una diuerfa peties alteri fpetiei addita non uariet fpes tiem,exempla plus centum in tabule Pythagora, apud Nicomachum, Boetium,in numeris inuenies, ut pu ta ex duobus longilateris altrinfecus ad quadratum pofitis, bis medio fumpto quadrato, quod fit, quadra = tumest,licetfacta ſit acretio, ut ex duobus, fex, vbis quatuor, ut ofto, ſexdecim exoritur,qui etiam quadratus eft, pari modo,ex duo bus quadratis, er bis fumptomedio longilatero, nempe ex quatuor, e nouem,bisfumptoſenario longilate ro, uiginti quinque quadratus ortus alb ARISTOTELIS.i. 13 est, que intelligas uolo ex in ateria primi quadrati, atque longilateri, ut ex ipſis unitatibus, ego non de numeris tūlis formaliter fumptis, cum prius corrumpaturſpeties preceden tis quadrati minoris, atque longilas • teri, in aliam petiem maioris quas drati, qui ex illis oritur, acretio. igitur ubique facta eſt, nulla intera ueniente alteratione in fpetie ipſius quadrati, licet e gnomonis atque longilateri apertiſsime facta fit alte ratio. Aduertas tamen, ad id quòd Ariſtot. ait in hoc exemplo de addia • tione gnomonis ad quadratum, ſic, utfpetiesquadrati nõ alteratur.licet • fiat acretio, in Geometria uniuerſali ter ueritatem habet, fed non eſt ita planum in Arithmetica, niſi intelles Xeris de fpetie ſubalternāte,quòd ip fa non uariatur, uaristur tamen qua dratiſþeties ſubalternata, oſpetia liſsima,quòd patet ex eo quòdſi nu mero quadratoſexdecim,addus gno monem uiginti, statim ex pariter paa ri, ut puta ſexdecim, fit impariter par, uidelicet triginta fex, quorums uterque, o fifit quadratus, diucrfarum tamen fpetierum funt, ut ex libris Euclidis de Arithmetica mani feftum eft,quod exemplo fubſcripto manifeſtatur fatis, quapropter uni uerfaliter Ariſtotelem intelligas de quadrati, quatenus quadratum eft ', Apetie, hoceſt de fpetie quadrati in uniuerfum, non de quadratiſpe= tie ppetialifsima. vel etiam dicas quòd Ariſtoteles intelligit exemplifia cari in Geometria uniuerfaliter non autem uniuerfaliter fimpliciter, hoc oft non in omnibus difciplinis. 11 14: IN PRIMVM LIB. IN PRIMO PRIOR V M AN T E SECVNDVM SEC.TV M. n A M fine uniuerſali nô erit fyllogiſmus aut non ad pofitum aut quod ex principio pea tetur,ponatur enim mulicam uoluptatem et c. Sed magis efficitur inanifeſtum in de ſcriptionibus, ut quòdæquicruriæquales, quiad baſin, ſintadcentruin ductæ a,b, fi igitur æqualem accipiata, c, d, angulum, ipſib, d, c,non omnino exiſtimans æquales, qui ſemicirculorum, et rur. fus c, ipfi d,non omnem aſunens eum qui ſeçti. Amplius ab æquis exiſtentibus, totis Angulis, et ablatorum, æqua les eflc reliquos e,f; quod ex principio petet, nifi acceperit ab æqualibus æqualibus demptis,æqualia dereli nqui. Plaa num igitur quòdin omni oportet uniuerſale exiſtere. Si dubitaret quis,an. ſemicirculi eiuſdem ornnes anguli ſint equales, ſic perfuaderi uidetur, b omnes diametri eiufdem circuliſunt æquales per primam deffinitionem tertij elementorum,peripheria eiuſ de circuli uniformis eſt per xv. def finitionem primi elementorit, o me dietas circunferentiæ est æqualis al teri medietati eiufdě circunferentia cumque omnes recte à centro ad cir cunferentiam du &tæ fint æquales,fe quitur igitur, quod duo anguli a, c, d,cb, d, c, ſemicirculorum eiufdem circuli a, b, c, d, ſint ad inuicem æquales, hæc perfuafio fiat ei, qui non omnino exiſtimat æquales, qui ſemicirculorum, rurfus inquit c, ipſi d, angulus uidelicet uterý; minoris portionis æqualis eft alteri,nonaccepto toto angulo, ideſt,toto angulo ſemicirculib, d,c, e a cd, quod ſic perſuadetur, árcus c, d, eiuſdem est peripherie, que unir formis eſt, c, d, eſt unice, om eadem re&ta,ſi igitur utrunque angus lorum minoris portionis ab utriſque ſemicirculorum angulis detraxeris, qui anguli reininent uidelicet e, of, erunt æquales æquicrurus igitur. PRIORVM ARISTOT. 15 triangulus habet ad bafim poſitos æquales angulos, quod demonſtratum fuit,ſumpta iſta uniuerſali, ſi ab equalibus æqualia aufferantur, reli qua æqualia remanent, IN PRIMO PRIOR VM ANTE TERTIVM SECTV M. ECVNDVM uero unumquodque entium elia gere, ut de bono,aut fcientia,priuate auten fecundum unamquainque, funt plurima quare principia quidem quæ ſecundum unu quodq; funt,experimenti eſt tradere,dico au tem,ut Aſtrologicam experientiain aſtrolo gicæ ſcientiæ, acceptis enim apparentibus fufficienter, ita inuentæ funtaſtrologicæ demonſtrationes, &c. Compertum eſt aſtrolabio ſolem plus temporis conſumere à principio Arietis ad uſas finem Virginis, quam à principio Libre uſque ad Piſcium fines,idquod o hiſtoria traditum eft, propter hoc etiam Hiſtoria dereli&tum est Solem tres habere orbes, quorum medius,eccentricus eſt. Quibus habis tis apparentibus, facile eftdemonſtrationes de Sole concludere,oſimili ter in unaquaque diſciplina, prima principia hiſtoria data, &dereli Eta ſine probation funtpofteris, quibus principijs tanquàm uerisſupa poſitis (hiſtoriæ enim proprium eft ueritatem narrare) demonſtratio nes fiuntſi autem de principijs aliquafiat demonſtratio,illam « impro priain, a poſteriori, feu à ſigno eſſe, nemoeſt quineſciat. ANTE MVT V AM SYLLOGISMO RVM RESOLVTIONEM. On oportet autein exiſtimare penes id, quod exponimus, aliquid accidere abfurdum nis hil cnim utimur eo, quod eft hoc aliquid elle ſed quemadınodum Geometra, pedalem, et rectam hanc, fine latitudine dicit, quæ non ſunt: Textushic exponitur primo pofteriorum T. 52 fed hic tantum dubitatur,quo pacto intellectus ea poſsit ſufficienti appres henſione capere, quenon funt, ut quæ nunquam, fub fenfu fuerunt? 16 IN SECVNDVM LI B. Adfecundum refpondeo, quod animam eſſe, intelligit intellectus, quam tamen nunquam uidit oculus, aut manus tetigit. Ideo multa intelligit ins telle &tus,quorum nunquamſenfus ſenſationem habuit. Ad primum dico, quodficut intellectus concipit coclearem artem abſtraftam, quætamen kon eſt, niſi indeterminatis, ſingularibus hominibus, fic etiam li ncam ſuperficie?n intelligit, que tamen non ſunt, niſi in linea atrd. mento picta, o ſuperficie, in corpore naturali, IN SECVNDO PRIORVM CAPITE DE PETITIONE PRINCIPII. - o cautem eft quidem fic facere,utſtatim cens ſeat quod propofitum eſt, contingit uero, et in alia tranſeuntes apta nata per illud mon ſtrari, per hæc demonftrare quod ex princie pio,uelutiſi,a, monftretur per b,b autein per C, c autem natun efſet monitrari per a accidit cnim ita ratiocinantes ipſum a,per ipſuninet a monſtrare, quod faciunt, qui coalternas putant fcribere latent enim ipſi ſeipſos talia accipientes, quæ non eſt poſsibile monſtra: re non exiſtentibuscoalternis, quare accidit ita ratiocinans tibus unumquodque eſſe dicere, fi eft unumquodque, ſed ita omne erit per feipfum cognoſcibile, quod impoſsibile eft.Si propoſitum ſit probare, quod e ſit a, &id oftendatur per mes dium b,c fieret talis fyllogiſmus (e est b, beſt a, igitur e eſt 4. Pros batio primæ minoris uidelicet quæ eſt hæc, e eſt b, fit per hoc medium f, ut in hoc Syllogiſino (e eftc, c, eſt b, igitur e eſt b) Cuius minor, uis delicet hæc, et eft c,fiprobetur. Tunc reſumitur prima concluſio pris mi Syllogiſmi,quæ à principio probanda erat, ut in hoc Syllogiſmo e eſt 4,4 eſt c,igitur e eftc) &fic e eft a,quia e eſt a, Ofic error ijte uerfatur in probanda minore primi Syllogiſmi per plura media per c, oper a, propoſitio uero que probanda proponebatur, hæcuidelicet,e eft a, per tria media per b., perc, et per a, probatur, ſimiliter errant illi, qui nituntur probare parallelas effe per hoc, quod Triangulum habent tres æquales duobusreftis, quod quidem hoc probaretur modo, ſit triangu = lus a, b, c. cuius latusbc, ſi protendatur,caufabitur augulus d, c, d, exterior equalis duobus angulis a, b, intrinſecis ex oppoſito colla * catis PRIORVM ARISTOT. 19 [ b N catis, ut patet ex prima parte tri q geſimæſecunde primi elementorun Euclidis, à punéto c, parallela dua catur ipſi b, a, quæ fitc, e, patea bit per ſecundam partem eiufdemn tri geſimæſecundæ primi elementorum, - quòd triangulus a, b, c, habebit tres duobus re&tis æquales. Si aus tem fumatur probandum quod b, a, uc, e, fint parallelæ, per hoc medium, quia triangulus b, a, c, habeat tres duobus re&tis æqua. les, ideo ipſe parallelæ ſunt, ſic, exterior æqualis eft duobus intrinſe cis ex aduerſo poſitis, qui exterior angulus a, c, d, in duos pars titur angulos in a, c, e,we, c, d,, c, e æqualis eſt b, a,, ere, c, d, eft æqualis a,b, c; quorum utrunque probatur per lis neas eſſe parallelas,ut per uigeſimamnonam primi elementorum,feques retur igitur, quod a,b,oc, e, parallelæ funt,quia parallelæ ſunt,ut b, a,oc, f, parallelæ funt,quia triangulus a, b, c, habet tres duoc bus rectis equales, fed a, b, c, triangulus habet tres Angulos duos bus reftis equales, quia a, b, et c,e, parallelæ ſunt,igitur a, b,a col, parallele ſunt,,quia parallelefunt, quod uanum eft, oprobare quipe piam prius per aliquod pofterius, quod pofterius æget illo priori adſui probationem. Aliter exponatur Textus,ut fiintentü fit defcriberec, d, queſit parallela ipſi a, b, per uiges ſimamtertiam primi Elementorum d fiat angulus e, c, d, æqualis angulo 4,6,6, et argue poſtea,quod d, 0,4, ſit æqualis angulo b, a, 6, quod eſſe non poteſt, niſi b, d,egu c, d," parallele fupponantur, fic b connectatur inductio, quia Trian gulus a, b, c, habet duobus reftis æquales,parallelæ funt a,b, c,d, &quia paralellæ funt, ideo Triangulus habet duobus rectis æqualis, igitur paralella funt, quia parallele fit. a: í с 18.INSECVNDVM LIB. DE EO QUOD NON EST PENES HOC. VONIAM idem utique falſum per plures fup pofitiones accidere, nihil fortaffe inconue niens, ueluticoalternas coincidere, et fimas jor eft extrinſecus intrinſeco, et fi triangu lus haberet plures rectos duobus. Quod autem parallela a, b, c, d, coincidunt fic perſuaderiui. detur Angulus extrinfecus e, 8, 6, maior eft angulo intrinſeco g, b, d, (quod quidem ſummitur falfum, pe nes quodſequitur impoſsibile ) ſed 9 4,8,6,6,8, ho per xiij.primi a -b Elementorumſunt æquales duobus re&tis igitur b, 8,5,64,6,8, erunt d minores duobus reftis per illam igi tur communem fententiam, ſi una f recta ſuper duas rectas ceciderit at que ex una parte cadėtis linee duo anguli intrinſeci fuerint minoris duobus reétis, illas duas reétas ad pars tem illorum angulorum concurrere neceſſe erit, fi protrahantur. Et fi triangulushaberet plures rectos duobus. Duo Anguli g, h, k,68, k, h, ſuntmaiores duo. bus re&tis, multo magis igitur b, h, k, d, k, h, ſuntmaiores duos, bus rectis,igitur duo a, h, k, k, h, ſunt minores duobus res a. h b et is, quia omnes quatuor 6, h, k. a, b, k. d, k, h. @c, k, h. og ſunt æquales quatuor reftis per des cimamtertiam primi Elementorum bis fumptam,igitur b, a, d, c, f adpartem a, c, protracte concurs rent, per illam animi conceptionem,fire &ta ſuper duas reétas cadensfes cerit duos angulos'ex una parte minores duobus reétis, illa duæ lineæ ad illam partem protracte neceſſario concurrent. ! Co Cс PRIORVM ARISTOT. IN DE DECEPTIONE QVÆ FIT SECVNDVM SVSPITIONEM. ELVTI fia, ineft omnib, buero omni c, a omni c inerit, fi itaque quiſpiam nouit quòda ineſt omni, cuib, nouit et quòd cui c, fed nihil prohibet ignorare c, quòd eft, ut ſia duo recti, in quo autem b, triangulus,in quo uero c, ſenſibilis triangulus, fufpicari nanque poflet aliquis non eſſe c,fciens quod omnis trian gulus haberet duosrectos, quare fimulnoſcet,& ignorabit idem. Textum ſimilem habes in pofterioribus in principio primi,preu ter ea, quæ ibi dicentur pro nunc ad explanationem huius Textus, prie mo littera exponatur, omne b eft a, omne c eſt b, igitur omne ceſta, uel omnis triangulus habet tres duobus rectisæquales, qui conſtitutus eſt in tabula est triangulus, igitur qui conſtitutus eft in tabula habet tres: duobus reétis æquales,ſed ſimul dicas o charateres terminos,omne, b trigonum eſt habens tres angulos duobus rectis æquales, omnec fen. fibiletriangulum eſt triangulum, igitur omne c ſenſibile triangulum habet tres angulos æquales duobus re &tis. Cum teneret quis hanc uni uerfalem, omnis triangulus habet tres angulos æquales duobus reétis nondum fciebat, quòd ſenſibile triangulum effet huiuſmodi, quòd han beret tres, uidelicet duobus re &tis æquales, niſi potentia, non autem actu; quàm primum autemfyllogizauit ſubſumptaminore, statim intua. lit, «cognouit, quod ſenſibilis triangulus, tres duobus rectis pares haberet. Cum autem ait ſuſpicarinanque poſſet aliquis, non eſſec, non eft intelligendum, ſic ut Græci, o omnes exponunt, quaſi quod ignos retur an fit c, fed hoc non uult Ariſtoteles dicere,ſed cum inquit fufpicari nanque poſſet aliquis non eſſe c, hoc intelligas modo, quod stante prima uniuerſali, poterit ignorare anc, habeat tres duobus re &tis equales, licet non ignorauerit c effe, fed ignorabit c eſſe huiuf modi, utputa, quod habeat tres duobus rectis æquales; ſcietigitur po tentia in uniuerſali propofitione, Waétu ignorabit in particulari ante quàmfiat fyllogiſmus. Syllogiſmo autem fačto,feu fa et ainduftione Geos trica de qua inprimo posteriorum Textufecundo)a et tu ſcit, quòdfenſis bilis triangulus duobus re&tis tres pares habeat,nihil igitur prohibetfi. Cij 20 IN SECVN. RIO. ARIST. mulſcire, ignorareidem ſecundum diuerſa, ut ſcire potentia iniſud uniuerſali, et antequam fiat inductio, oignorare ſimpliciter, ut pus ta in particulari. DE ABDVCTIONE. UT Rurſus fi pauca ſint media ipſorumb, c, nanque et fic proximius ipfi cognoſcere uelutiſid eſſet quadrati, in quo autem e,re etilineum, in quo uero z circulus, fi ipfius é z ſolum eſſet medium,hoc, quod eft cum lunulis, æqualem fieri circulum rectilineo ce ſīpoflet prope ipfum cognofcere. In predicamento ad ili quid circa quadrare circulum fuit determinatum quantum fiebat fa tis ad Ariſtotelis intentionem, e de quadratura fuſius in fragmena tis noftris, fuper Logicis, multa declarabo, quo ad preſentem te - xtum Ariſtoteles facit fyllogifmum, cuius minor, cumſit dubia e oba ſcura, dicit unum eſſe medium ad probandam illam, arguit e, rectilis neun, d quadratur, ſed z, circulus fit reetilineum, igitur circulum quadrari,poſſet quis eſſe prope cognoſcere, minorem tentauit Antipho, Hypocrates chiusprobare per id medium, quod lunulas ad rectilis neas figuras nixi ſunt reducere, diuerſis tamen medijs, alio enim mos do tentauit Antipho, o aliter Hypocrates chius, qux figure reetilis neæ reducebantur poſtea ad quadratum, eo artificio, quo Euclides docet ultima ſecundi Elementorum, oſyllogiſmus connectatur ſic, ut fimul dicam characteres, me terminos Ariſtotelis, e, rectilinea figura, d quadratur, fed z circulus e figura rectilinea facta est, igitur zcirculus, d, quadratur. IN PRIMVM LIBRVM POSTERIORVM ARISTOTELIS, PETRI CATHENÆ NOVA INTERPRETATIO. TEXTVS SECVNDVS. VPLICITER autem neceffarium eft præ cognofcere, alia nanque, quia ſunt prius opinarineceffe eft,aliaueroquid eft, quod dicitur intelligere oportet, quædam autein utraque, ut quoniam omne quidem, quod eſt, aut affirmare, aut negare uerumeſt quia eſt, Triangulum autem quoniam hoc fignificat; ſed unitatem utraque, et quid ſignificat, eſt quia eft, non eniin fimiliter horum unumquodque manifeftum eſt nos bis. Græci omnes, pariter et Latiniuniuerſi confuſione plenum rede dunthoc in loco Ariſtotelem, nedum qui ſcripſerunt, fed etiam recens tiores, quihac tempeſtate eum interpretantur, et priuatis colloquijs, epublicis etiam lectionibus. Anſammultorum errorum pofteris omnis bus prebuit. Ioannes Grammaticus Cognoinento Philoponus, ſuper hoc Textu in cuius expoſitione plufquain errorum mille contra Ariſto telis ſententiamfcripſit, qua decaufa, ipfa ueritate fretus, &uniuers fæ logicorum utilitati conſulens, lucidum, facilein, atque clarum Aris stotelem in hac parte reddere decreui, o inſaniam ignorantiæ depri = mere, ne etiam in futura tempora amplius à forticulis doctrina tamclan rißimiPhilofophilabefactetur, ſcito in primis, tres eſſe modos pres cognofcendi, quos Aristoteles ponit, in hoc Textu, unicuique hos rum modorum aptißimum,atquefacilimum exemplum poſuit, feruans exemplorum ordinem cum ordine modorum precognofcendi, ſic, ut primo precognofcendi modo primum exemplum aptet,ſecundo modoſe cundum, atque tertium tertio. Nequete perturbet, quod Ariſtoteles IN PRIMVM LIB. ait, dupliciter fit neceſſarium præcognoſcere'. Tripliciter autem dixes rim ego, primo autemmodo, opus eft præcognoſcere, quia eſt tantum, alio autem modo, quid eft id, quod nomen dat intelligere folummodo quos duos modos ab inuicem ſeiunctos, in tertio modo in unum aggregat uerum methodum compoſitiuam ſeruans. Duo igiturfunt modi precos gnoſcendi, alter quidem in parte oſeparatim, reliquus uero in totum, oin parte quidem biffariam. Vnus tantum quia eft,reliquus uero tans tum quid ſignificet, in toto uero ille eft modus, qui horum utrunque in ſe comple &titur. Exempla Ariſtotelis multos Geometric ignaros turs batosego stupidos reliquerunt, qui ab Apoline reprehenfi, &fpreti à Platone, uagantes fomniauerunt, hoc in loco, tria attůlliſje Ariſtotes lem exempla, in ſcientijs diuerſis. Nempe Methaphisica,Geometria, O Arithmetica, quod chimericum eſt, ex ipſa uunitate magis uanum, fi enim ueftigijs fapientum Methaphiſices,Geometrie, et Arithmetica, prima limina attigiſſent, non incidiſſent in hasſuas philoſophicas furias, dicunt enim, quod artificio, id Ariſt. fecit,ut de demonſtratione agens, que inſtrumentum uniuerſale est, tria exempla (ſuam oftendensfacuns diam ) in ſcientijs tribus fpeculatiuis, &uniuerſalißimis attuliffe, ſic, uttandem concludant in ſua expoſitione Ariſtotelem uoluiſſe equinam ceruicem humano capiti iungere, &uarias plumas diuerſarum ſcien tiarum inducere, ut tandem tria formoſa, &pulcru exempla deſinant in nihil dicere. In una demonſtratione, datum eſſet unitas, queſitum triangulus, e principium Methaphiſicum, ualeat pereatque cim ins terpretibus hæc interpretatio. Non est Ariſtotelis confuetudo, exeine pla afferre (aliter effet edire &to contra exemplorum naturam ) niſi,ut do&trina, que aliquatenus non innitiatis uidetur obfcura, atque diffi cilis, fole clarior, atque perfacilis omnibus reddatur, quid rogo cons fufius, quàm in una re logica explicanda, tria exempla mutila, o tim diuerfa afferre? ut in unotantum quia,in alio exemplo,folum quid,c. in tertio exemplo, ey quia, &quid, ut tandem in piſcem definat fora mofa demonſtratio. Dico, omnia tria exempla attulliſſe Ariſtotelem in unica atque determinata Arte; uel diſciplina Geometrica, quicquid Niphlus fentiat et fequaces, ex nulla eſt alia ueritas in hoc Ariſtotelis Textu, neque uerus fenfus, qui ad Ariftotelem faciat preter hunc, quem fubfcribo, uelint nolint omnes atque uniuerſi, qui philoponifena tentie initi uidentur, quem nullo modo ipſemet nec alij recteintelligunt, fcito primum, quod de lineis re&tis a centro ad circunferentiam du &tis POSTERIORVM ARISTOT. Veruin eſt dicere quod ad inuicem funt æquales, uel non equales, ut etian de quolibet quidem quod est,aut affirmare,aut negare ucrum est,quia eſt, fimiliter,quòd quæ uni og eidem funt æqualia interſe funtæqualia,uel in terſe nonſunt æqualia, uerum est dicere quia eſt,ſed alteram partem hu ius diſiun £ ti fummit Geometra deffinitione xv. primi Elementorum, cum Similiter alterum alterius diſiunéti partem prebet prima animi conceptio primi elementorum, &hoc est uerum, quia est linearum à centro ad circunferentiam protractarum, ut adinuicem ſintequales, « prima ani mi conceptionis,utſiab æqualibus equalia auferantur remanentia æqua lia erunt. Secundo loco exemplum poſitum est,quid hæc uox, Triangulus ſignificet,quod etiam fupponit Geometra deffinitione xxi. primi Elemen torum, ex ſignificatfiguram tribus re &tis lineis contentam,ſiue illud actu ſit ſiue actu non ſit, Quatenus tamen quæritur,nondü habetur,poteft tas men eſſe. Tertio loco ponit Ariſt.unitatem,quæ quidem unitas, a quid ſignificet, quia eft,utrunque habet. Hanc ego unitatem contra oma nes loquentes, « ad Ariſtotelis ſententiam aio, eſſe non eam, qua unaquaque res una dicitur,ut ea quæ eft principium numeri, ſed eſtres queuna ab illa unitate, quæ eſt principium numeri dicitur, nempe una linea recta data ſuper quam triangulum collocare oportet, ſiue ille fit æquilaterus, ut Euclides proponit, uel iſoſcelesaut gradatus, ut Arisſtoteles querit in uniuerſum, quod quidem Proclum diadocum,& Cam panumfuper primum primi Elementorum, non latuit, quæ unitas linea feu quæ linea una concluditur in decimaquarta primi Elementorum, tàm quàm queſitum, in qua quidem decimaquarta primi Elementorum ni hil de unitate, quæ fit principium numeri, ſed, una linea concludi tur, quæ linea una eſt datum inprimo problemate primi elementorum Euclidis, de qua lineæ unitate precognoſcitur, quid, utſit a puncto in punctum breuiſsima extenſio per diffinitionem tertiam primi elemehtoa rum, precognoſcitur etiam, quia est,cum ipfa detur in prima pros poſitione primi elementorum. Ab Euclidis igitur methodo non recedens Ariſtoteles facilitat, declarat exemplis ubique locorumfuam do&tria hæc igitur uera atque germana Ariſtotelis interpretatio eft, alia, ut dixi nulla, fomnia igitur quæcunque diluantur, putas ne Arie ftotelem afferre illud Methaphiſice principium, nullo modo ad artem ali quam peculiarem contractum, uni Tirunculo in Logica inſtituendo? ubi Methodus? que maior ordinis peruerſio? quis nam in Logicum eua dere poterit niſi prius Methaphiſicis inniciatus fit? hec omnia uanis 11 nam, IN PRIMVM'LIB. 2 tate plena ſunt, non faciunt niſi ad buccas inflandas. De unitate aus temdicit Ioannes ſic Ariſtotelem intelligere, ſicut docet Euclides pros poſitioneſextadecima ſeptimi Elementorum, fi unitas numeret quemli bet numerum, quoties quilibet tertius aliquein quartum, erit quoque, pernutatim,ut quoties unitas numerabit tertium, toties ſecundus quar tum numerauerit, datum inquit Ioannes, eſt unitas, quæ eft principium numeri, de qua habetur &quid, et quia eft, o ſi hoc exemplo uidea tur Ioannes ueritatem quidem dicere, licet non ad mentem Ariſtotelis. Dico tamen quod Ariſtoteles neq; exponitur, et quòdfalfum eft,id quod Ioannes dicit,ut quod unitas,quæ eſt principium numeri, fit datum,non enim eſt unitas datum in ſextadecima ſeptimi Elementorum, fed unitas cum refpeétu ad numerum aliquem, quem numerat, eſt datum, que = ſitum autem eſt, ut ipfa tertium numerum numeret, ut ſecundus nus merus numerat quartum, quemadmodum amplius declarabitur in de tris plici errore circa uniuerſale.Preterea dignitas ſiue premiſſa in hac loan nis indu &tione eſt duodecinaſeptimi Elementorum, que probatur per precedentes, onon eſt immediatum principium,exponitigitur Ariſtoc telem per unam demonſtrationem, quæ non procedit per immediata prin cipia, quod non eſt imaginandumin hoc propoſito, preualet igitur ex poſitio de unitate lineæ, quia ibifit deductio per immediata principia ut per xv.deffinitionem,& prima animi conceptionem primi Elementorum Ecce quàm aliena est loannis expoſitio ſuper Textum Ariſtotelis. Die co igitur datum, eſſe unam rectam lineam, quæſitum, ut ſuper ipfarn trigonum conſtituatur, &quod, id conſtitutum, ſit trigonum, probas tur per decimamquintam deffinitionem, vprimam animi conceptionem primi elementorum. TERTIVS TEXT V S. ST autem cognoſcere alia quidem prius cognofcentem. Aliorum vero, et fimul notitiam capientem, ut quæcunque, con= tingunt eſſe ſub uniuerſalibus quorum haa bent cognitionem; quòd quidem omnis triangulus habet tres Angulos æquales duobus rectis præfciuit, quòd uero hic, qui in ſemicirculo cft, triangulus fit, fimul inducens cognouit. Duos modos ſciendi POSTERIORVM ARIST. ſciendi hoc textu tangit Ariſtoteles, primus, qui eft per reminiſcens tiam,de quo nondubitarunt antiqui. Alter uero, es ſecundus est, quo de nouo aliquid ſcimus, qui fuit alienus ab antiquorum mentibus, ſur per hocſecundo, ſit noſtra expoſitio. Ioannes Grammaticushanc para ticulam, fimul inducens cognouit, interpretatur fic,ut per inducen tem intelligat eum, qui habens triangulum in ſemicirculo pićtum, ofub penula abſconſum, oftendat eum triangulum eſſe, quaſi abijciens penus lam, ey aperiens manum obijciat ipfum triangulumoculis uidere uolens tium, &Latini omnes fimiliter,& Aueroes fequuntur ipſum in hac interpretatione. Non poſſum non mirari hominisiftius alias doétißimi expoſitionem et omnium fequatium,que quidem interpretatio, fi ads mitatur,statim uidetur, quod Ariſtoteles uanus ſophifta effectus, id do ceat, quod ipſe reprehendit contramale foluentes,ubiinquit in fequenti textu,Nemoaccipit talem propofitionem,oinnis triangulus quem tu ſcis eſle triangulum,quod utique illi agebant de dualitate abſconfa inmanu,quòd neſciebant eameffe parem, quouſq;nonuiderent quòd illa eſſet dualitas. Ioannes &omnes interpretes Ariſtotelis allucis nati ſunt, putantes quod illa littera Ariſtotelis ſic debeat legi, quod ues ro est in femicirculo triangulus fit, fimul inducens cognouit;cognouit quidem quodfit triangulus, per induétionem, id eſt per oſtenſionem ad oculum, aperta manuin qua abfcondebatur, ſic ut illa induétio certificet de eſſe triangul, quod ridiculum est, o uſque ad hæc tempora, falfum pro uero habitum,henuga deſtruunt Ariſtotelis ſententiam; non enim Ariſtoteles de trigono in ſemicirculo defcripto dubitat an trigonum ſit, neque igitur estopus, ut dubium remoueatur per oſtenſionem ad oculum quòd trigonum ſit, quia ut dixi, hoc non reuocatur in dubium, ſed has bita, hac uniuerſali,omnis triangulus habet tres æquales duobus res Etis, dubitatur an qui in ſemicirculo eft triangulus, &qui quidein a &tu uideturſit huiufmodi, utputa, quòd habeattres angulos equales duo bus rečtis, quod quidem manifeftatur non per ſenſitiuum indu &tio s nem, quia per illam oftenditur tantum quòd fit triangulus, ut illi mda li interpretes exponunt. Neque id oftenditur per inductioncm Topia cam, que à particularibus ad uniuerfalem procedit, ocontrariatur huic poſterioriſtico proceſſui, quifit ab uniuerſali ad particularia, rea ftat igitur declarare quæ induétio fit illa de qua loquitur Ariſtoteles, quam dicunt aliqui elle ſenſitiuam, aliter tamen ſenſitiuam quàm loans nes Grammaticus intelligat, dicunt enim quod talis fenfitiua oftenfio 1 1 D IN PRIM VM LIB. couptatur in Syllogiſmoſic, omnis triangulus habet tres angulos equat les duobus rectis, ſed hic qui in ſemicirculo, eſt triangulus, igitur hic qui in ſemicirculo, habet tres duobus rectis aquales,ecce inquiunt,quos modo minor eſt ſenſitiua, quia ponitur illud pronomen oftenfiuum, isti funt in errore maiori forſan quàm precedentes, putant eniin quod illud pronomen, &fimilia pronomina ſint oſtenſiua ad fenfum, quid igitur dicendum erit de hisloquutionibus,hic Apolo eſt cui barbam abraderefe cit Dioniſius, huic Apolini coronam Papus, iufsit fieri, et iſte Aurifexfædauit aurum; ueletiam iſte est Euclides,quem Plato in theetes to commemorat, non ne omnia ifta pronomina oſtenfiua, funt ad intela lectum, et ſi quandoque per accidens ad ſenſum ſint oſtenſiua? ideo pronomen in iủa minori, ſiper accidens oftendatad ſenſum, oſtenſia uum tamen precipue eft ad intellectum, aliter cecus non poffet illum Syla logiſmum efficere, quòd manifefte falfum eft, ueritas non eis obuiam uenit ſic interpretantibus.Laborant adhuc dicentes,quod ila inductio nil aliud est quàmfubfumptio huius minoris, fed hic qui inſemicirculo est triangulus, fub illa uniuerſali nota, omnis triangulus habet tres angulos æquales duobus reétis, illam quidem diſpoſitionem premijarum in figus ra &modo, uocant inductionem, hoc autem non facit fatis ad Ariſtotea lis litteram; quia ante quam inferatur concluſio, neſcitur de triangulo conſtituto inſemicirculo quod tres habeat duobus reftis æquales niſi po= tentia, poſt quam autem illatafuerit concluſio,fcitur a &tu, o noi ama plius potentia, quòd uult Ariſtoteles,ut poſt quàmfactus fuerit ocoma pletus ſyllogiſmus, fimpliciter ſcitur,quod qui in tabula,habet tres æqua, les duobus rectis. Agamus igitur et nos,o. Ariſtotelis litteram prius diſponamus, ſubinde ſententiam exponamus.. De triangulo uero in feinicirculo conſtituto fimul inducens cognouit. Simulcum uniuerſale triangulo ſcit ipſum particularem trianguluna, quòd habet tres æquales duobus rectis, &hoc,inducens, uerbum hoc inducens du asinductiones ſignificat. Alteram Geometricam,reliquam ſyllogiſticam, quæ etiam ordine ponuntur in littera Ariſtotelis dicentis,antequàm in duétum ſit,uelfactus fuerit fyllogifmus, quæ duo uerba, non ſunt fynow nima, ita ut und &eadem res per, utrunque uerbum, inductum ſit, uel fa& usfuerit fyllogiſmus ſignificetur, quia in doctrinis,non utitur termin nis ſynonymis,neque Ariſtoteles multiplicat uoces, terminos ean dem rem ſignificantes. Dicendum igitur, quod aliam rem uox hæc indue dio, &aliam ifta uox,fyllogiſmus,ſignificat, non gūteſt indu &tio aliqua POSTERIORVM ARISTT. prediétismodisfupra citatis, ut probatum fuit, relinquitur igitur, ut inductio per quam ſcimus,quodtreshabeat æquales duobus reitis is,qui infemicirculo defcriptus est,nulla alia fit,neque excogitari poſsit quàm Geometrica induétio. Ila autem huiufmodi est, fuppofita deſcription per trigeſimamprimum primi Elementorum, Angulus c b d eft æquas lis ang ulo et c b, per primam par tem uigeſimenos lice primi Ele - mentorum Euclia dis, &Angulus dibe equalis eft ang ulo cab per fecundam partem uigeſimenone primi elementorum, totus igitu * cbe, eſt æqualis duobus angulis cøa, fed cbre, cum c b a per xiij. primi Elementorum equiualet duobusrectis, igitur angulia, cum eodem c b a, funt equales duobus reétis,quod inducendum erat, de triangulo ac b in ſemicirculo deſcripto,qui triangulus non erat abſcon fus immo ante oculos offerebatur, tamen illa oblatio,non erat inductio de qua Ariſtoteles intelligit, quam inductionem quis unquam utcun queetiam intin &tus litteris dicet, unum eſſe fyllogifmum? quofyllogif mounico (it inferius declarabo) poteratidemfyllogizari, neque enthis meina unum eft, cum ibi multe ſint conſequentie, Enthimemaautem und tantum conſequentia eft, quòd neque Topica, inductio, patet; quia ibi à ſingularibus ad uniuerfalem progredimur,in hac autem induétioneper decimamtertiam Guigeſimănonam primi Elementorum,quæ uniuerſales magis funt quàmſecunda pars trigeſimæfecundæ primi Elementorum per quam patet intentum de triangulo in tabula conſtituto. Neque mi reris quod in hacinduétione non fumitur illa maior, omnis triangulus habet tresangulos æqualesduobus re&tis, quia illa fumiturin inductione fyllogiftica, in inductione uero Geometrica, fumitur decimatertia,cui gefimanona primi Elementorum, in utraque induktione cumGeometri ca,tum etiam fyllogiſtica fit proceſfusab uniuerſalı ad particulare,uel ad minus uniuerſale, Syllogiſtica uero induétio,ex duabus premiſsis, illa ta concluſione conſiſtit, quafyllogiſtica indu &tione fæpeutitur Ariftoteles ut Tex.xciiy.Secundum partitionem loan.Grammatici,uel Textu trigeſi monono in paraphraſi, in magna, pero expoſitione Tex.clxiij.prima Dü IN PRIMVM LI B. poſteriorum, et alibi, habita o ſcita hac uniuerſali, omnis triangulus habet tres equales duobus reétis,fatur modo aliquo idem de conſti tuto in ſemicirculo triangulo, ſimpliciter autem non fcitur,ofacta ine duftione ſyllogiſticaſimpliciter ſcitur, quod qui in femicirculo eft triane gulus, ſit huiuſmodi, ſicut ſcita decimitertiaeuigeſimanona primi elee mentoruin ſcitur potentia, quod qui in ſemicirculo eſttriangulus, duo bus rectis tres habeat pares,licet nefciat, an qui in ſemicirculo,fit triana gulus,ut Ariſtot,ait Tex.101. uel 169.a{tu autem, o ſimpliciter fcitur per Geometricam induétionem, quæ ſemper ex ueris, primis, caufis ila latiuis conclufionis, ex magis notis procedit, non autem ex immediaa tis ſemper, nequc ex cauſis quedant eße, fed ex his tantum, quæ dant propter quid iŪationis, tale inſtrumentum quod induétionemGeomes tricam uoco,non est una conſequentia, fed plures, ut plurimum, neque per immediatafemper procedit,fedalternatim per immediata, oper ea que probatafunt procedit,inmediata autem, uoco propoſitiones per fe notas, etiam illas propoſitiones demonſtratas,quæ immediate proz bant fequentes, de hoc quidem toto inſtrumento non aliter Ariftoteles traftauit, nifi per particulas illas, utſupra commemoratas, ut ex ues ris Oc. Tractauit tamen de fuis partibus, ut de enthymemate, quòd pluries fumitur in tali induétione Geometrica,o de fyllogiſmo, ad quem reducitur talis inductio,non tamenadunun tantum,ſed ad pluresfyllogif mos, neque uelim dicas propter hoc, quod Logica, Geometriam debeat precedere,utplacet nonnullis niſi deLogica,que natura nobis ſuccurrit. Quorundam enim hoc modo diſciplina eft, et non per inedium ultimum cognofcitur, ut quæcunque fingularia jamelle contingit, uec de fubiecto quoppiam. Hunc locum Ariſtotelis extorquent penė.omnes,uerum quidemdicunt, ſed in fua ues ritate duo errores continentur, primus eft, quod interpretatio non est ad propofitum, fecunduserror, quia id quodaiunt contradicit huicloa ÇO Ariſtotelis, inquiunt enim, quod per medium, ſcitur ultimum, hoc est, quod ultimum. Nempe maior extremitas concluditur per medium de ipſa extremitate minori. V.ideas quanta fit horum hominum uanitas, Ariſtoteles negatiue loquitur. Et non per medium ultiinum cox gnoſcitur. Ipfi autem uani exponunt, per medium ultimum cognofcia tur, aduertendum quod medium in propoſito intelligit Ariſtoteles,quod non tantum fitu,medium intelligas, quod bis in premißis capitur, fed me dium hoc loco,nil penitus aliud est quam, quodquid eft ipſius rei, ut POSTERIORVM A R IST. fparfim in primo poſteriorum, e in ſecundo manifeftuin eſt, in pri moenim, Textu 201. Juxta partitionein philoponi, uel 39. uel Textu 169. iuxta aliain partitionem; ait Ariſtoteles, quod uniuerſale mon ſtratur per medium, &non particulare; uerbi gratia,hic non per mea dium,omnis homoest riſibilis Socrates eft homoigitur Socrates eſt riſi bilis, ly enim hono, non eft quodquid est, ſed eſt ſubiectum, hic uero per medium, omne animal rationale eſt riſibile, omnis homoeſt aniinat rationale, ergo omnishomo eft riſibilis, ibi enim animal rationale eft mes dium, fi inftes fic,omne animal rationale eſt riſibile Socrates est animal rationale,igitur Socrates est riſibilis. Dico quòd hoc non eft per fe,eta primo de Socrate, quòd fit animal rationale, nec etiam riſibile per ſe, et immediate,argués igitur fic,omnis triangulus habet tres æquales duo bus rectis,fed qui in ſemicirculo, eſt triangulus, igitur qui in ſemicir= culo habet tresæqualesduobus rectis. Ibi enim triangulus non eft quot quid eſt, ſed potius ſubie &tum, feu genus, ibi igitur non eſt demonſtras tio, licet fit fyllogifmus, &fi adhuc inftetur,quod per decimumtertiam &uigefimamnonam prini,demonftretur quòd qui in femicirculo, ha beat tres equales duobus rectis, igitur ei qui in ſemicirculo eſt, non con uenit; quia triangulus;fed per decimamtertiam euigeſimamnonam pris mi Elementorum. Dico quod in inductione Geometrica, qua de triana gulo in ſemicirculo cöftituto oftendebatur,quod habet tres æquales duos bus rectis per decinătertiam (uigefimamnonam primi, id immediate nõ conuenit triangulo quatenusſit in femicirculo deſcriptus, fed ut trian. gulus eſt, ut oſtenditur ſecunda parte trigeſimeſecunde primi Elemen torum,fecundoautem, &per fe non immediate,omnibus alijs triangulis. Quorundam igitur ſingularium (quorum quodque non predicatur de ali quo ſubiecto, quiafingularenon predicatur deſubiecto aliquo, ut in pre dicamentis determinatum est ab Ariſtotele ) diſciplina est, non per medium, ultimum cognofcitur, cognofcitur quidem ultimum nempe mie iorem extremitatemineſſe minori,fedhoc non permedium, id est non per quod quid est. Si vero non eft ita,quæ in Menone contin. get dubitatio, aut enim nihiladdiſcet feruus Menonis,aut quæ prius nouit addiſcet non eniin iam ueluti quidam ni. tuntur foluere dicendum eft particula illa. Si uero non eſt ita,videlicet fi non eft fcire de nouo,ab uniuerſali ad particulare progre diendo; tunc, quæ in Menone eſt, contingit dubitatio, particuld illa: Non enim iam. Yerbum illud iamfuturi temporis eſt, fic utfit ſens I N P R IM VM LIB.ſus habita mea doctrina,omodo quo dixi, nos fcire de nouo,quod id addiſcimus, quod tamen aliquo modo fcimus, non foluas poſt hac, eo modo, quo illi nitebantur foluere, fed eo palto ut predocui, it de omni dualitate fciens quod par ſit, de abfconfa in many dicas, quòd etiam de ea fcis potentia, quodſcit par. Veluti quidam nituntur ſoliere dicendum eſt. Exponunt Latini &Græci,hunc locum fic,quidam Platonici dicentes, nos nihil fcia rede nouo,fed fcire noſtrum eratreminiſci arguebant illos, qui dices bant quod de nouo fcimus, &nitebantur Platonici ducere eos in contra dictionem,hoc argumento interrogatiuo, aiunt enim Platonici ipſi jos ne omnem dualitatem eſe parem, nec ne anuunt quidam dicentes nos de nouo ſcire, ita eſſe, ſübinde atulerunt Platonici dualitatem dicentes, igitur fciebatis etiam hanc dualitatem, quam manu tegebamus eſſe pas rem, quod tamen effe non poteſt, quia nefciebatis ipſam eſſe dualitatem ecce contradictio, prius fatebantur ſeſcire omnemdualitatein eſſe par rem, &tamen neſciebantdualitatem hanc parem eſſe, quod manifeſtum contradictorium eft, reſpondebant autem illi, qui dicebant nosfcire de nouo, quod interrogati de omni dualitate, an par effet, reſponderunt non de omni dualitate abſolute, fed de dualitate quam utique dualitatem effe ſciebant, modo de illa, quæ abfconfam tenebant, oque non erat fibi nota, ut eſſe dualitas, non fatebantur illam eſſe parem, quia neſciebant illam effe dualitatem, ita ut hec expoſitio, eotendat, ut Ariſtoteles res prehendat illos, qui dicebant nos ſcire de nouo, quia male foluebant Argumentum Platonicorum, xnihil dicat Ariſtoteles contra Platoni. Cos. Expositio autem mea, e directo opponitur, huic omnium expofie tioni, ſic ut Ariſtoteles arguat Platonicos male foluentes argumentum dicentium nosfcire de nouo, et contra hos dicentes, quòd fcimus deno uo, nihil in hoc Textu dicit Ariſtoteles. Pro cuiusfententia declaranda, Queritate, est in primis aduertendum, quod in hoc textu, quoſdam in telligit Ariſtoteles dicentes, quòd de nouo nos fcire contingit aliquid, quod tamen etiam preſciebamus in uniuerfali, oiſti inquiſitiuo argu mento probant intentum contra tenentes, quòd ron ſcimus quippiam de nouo, quorum negantium de nouofcire reſponſionem redarguit Ariſtoa teles, einterargüendum, peccant og errant in perſuadendo id, quod probare nituntur, quem errorem, &peccatum dicentium nos de nouo ſcire, non redarguit Ariſtoteles propter duas cauſas, altera est, quia eft adeo manifeftus, ut fine reprehenſione à quolibet cognofcatur pre POSTERIORVM ARIST. meil, habita intelligentia primi textus huius primi, reliqua caufa quare: non eos redarguit est, quia primo textu feclufit fuam perſuaſionem, dicens omnis doétrina, o diſciplina intellectiua a diſcurſiua, ex præexiftens ti fit cognitione, ex preexiſtenti non quidem ſenſitiua, quia illa à Singue laribus ad uniuerſalem, hæc uero poſterioriſtica e contrario, ab uniuer ſali ad fingulare procedit, ideo eos non reprehendit Ariſtoteles, quia, quifq; per fe intelle &to primo Tex.cognoſcit; quo modo errabat ilii inter arguendum. Inquiunt enim arguentes, noftis neomnem dualitatem effe parem necne? afferentibus Platonicis attullerunt eis quandam dualitas tem, quam non exiſtimabant eſſe, quare neque parem, en dicebant iſti arguentes, ſciebatis in uniuerſali, quod omnis dualitas est par, otas hoc, ideſt paritatem de hac dualitate, qua manu abſcondebatur neſciebatis, quiaignorabatis quid eſſetin manu, num dualitas,uel quips piam aliud, autnihil, « nunc uos fcitis iam per apertionem manus prius eam tegentis, in particulari hanc determinatam, et particularem dualitatem eſſe parem, ecce quomodo ab uniuerſalicognitione deuentum fuerit in cognitionem particularis, quod prius dubium apud uos erat. isti ſic arguentes peccant contra primum textum, utſupra dixi, ocon tra Tex. 112. Neque per ſenſum eft fcire, putabant autem isti ars guentes illam intuitiuam ſenſationem eſſe doctrinam ſeu diſciplinam. Quia tamen cum Ariſtotele in intentione, quod de nouo fcimus, et quia etiam error in perſuadendo manifeſtus eft, ut predocui, de intelle &tiua quidem et diſcurſiua diſciplina loquitur Ariſtot.ut de uirtute in uniuer ſali etiam in Menone erat ſermo ideo modo Ariſtoteles dimittit illos,tam quàm non concludentes propoſitum, quodfatebantur, et diuertit ſe ad Platonicosmale foluentes argumentum,tenentes quod id quodaliquo mo do ſcimus non poſſumus de nouo addiſcere, uel quòd nostrum ſcire,fit re miniſci, foluunt argumentum ſic, non enim fatebantur Platonici ornem dualitatem eſſe parem, neque dixerunt ſeſcire omnem dualitatem eſſe pa rem,ſed dixeruut dualitatem, quam utique nouerunt dualitatem effe, mo do cum neſciuerint, an id, quod manu tegebatur effet dualitas, neque ali quo pacto fciebantipſam eſſe parem uel etiam imparem,quiaſic aiebant, prius,debemusſcire,an fit dualitas,&poſted,an parfit,uel etiam impar, ita ut quandointerrogati fuerant,an omnem dualitatein ſcirent eſſe parë uel imparem reſponderunt utique de dualitate hoc ſcire, quam quidem dualitatem eſſe nouerant, uerum eſſe, ſed de dualitate in manu abſconſa, nihil fciebant, nec quippiam deea aliquo modo fciebant, ideo nefciebant IN PRIMVM LIB. 3 idem uno modo, ut in uniuerſali de illa dualitate,quòd effet par, u idem ut quod effet par ignorarent in particulari, atqui ſciunt cuius des monſtrationem habent, et cuills acceperunt. Acceperunt autem non de omni, de quo utique nouerint; quòd triangulum aut quod numerus ſit, ſed fimpliciter acceperunt; illi arguebant deomni numero duali, atque triangulo,&c. Similiter reſponderunt illi, quod ſciebant omnem dualitatem efle parem. Verba hæcfunt Ariſtotelis contra tales reſpondentes,nullus enim propo nitſeu interrogat, aut nulla propoſitio accipitur talis, quòd quem tu. noſti eſſe numerum dualem, nofti ne eſſe parem? aut quam noſti rectili neam figuram eſſe triangulum, quòd habeat tres æquales duobis reétis? ſed accipit de omni numero duali, ede omni figura rectilinea trilatera, quis enim proponeretſuo tam inerudito colloquio fic,nunquid nofti oma nem dualitatem quam eſſe dualitatem nofti, quòd par fit,autnon?ines ptam igitur, contra loquendi modumfolutionem reprehendit Ariftot. reprehendens quidem Platonicos malefoluentes, cui non illos de nouo fci re dicentes perperam arguentes; &modum fciendiquo de nouo fcimus fimpliciter id, quod potentia ſciebamus epylogando dicit, Sed nihil (ut opinor) prohibet, quod addiſcit aliquis ſic in particula ri, ante ſciuiſſe in uniuerſali, et in particulari priusignos raſſe, abfurdum enim non eft,fi nouit quodam modo, quod addiſcit, ſed ita eſſet abfurdum, ut inquantum ads diſcit, co pacto ſciat. Idem diſcurſus &expoſitio fiat ſuper Textu fecundo priorum, in capitulo de Deceptione ſecundum fufpitionem, qué etiam Textum perperam interpretātur pſeudo philofophi. De dualitate autemſiquis nunc interrogaretur, noſti ne omnem dualitatem eſſe parent nec ne? annuat quod ſic, o ſi offeratur abfconfa in manus dualitas, dia cat quod etiam ſcit eam in potentia parem effe, licet neſciat a et u, quod dualitas ſit,e eft fententia Ariſtotelis Textu 101.0 in hoc Textuhas bita una atque altera interpretatione, cui dubium eft fecundam eſſe pres ftantiorem prima?niſi quis dicat primam eſſe preſtantiſsimorum philo fophorum tàm ueterum Græcorum quàm Latinorum omnium prefertim iuniorum mentem Ariſtotelis interpretantium, fecunda uero interpre tatio noua est, o hominis uniusfolius,quæ nullo modo preualere poteft contra tam preclariſsimosphilofophos, quihæc uerba, &fimilia proa ferunt ex Macrologia loquuntur,non ualentes intelligere nifi ea, que auctoritate proponuntur, fpreta ueritate ege ratione, quis iam tam inerudit POSTERIORVM ARIST. neruditus est, quipPomba Platonicos, qui ætatem confumpferunt in fua opinione de reminiſcentia, argumentari contra Peripateticos, niſi a Peripateticis prouocati ſint? &quomodo prouocari poſſunt niſi exci tentur? quo pa &to excitabuntur, nifi co argumenti modo, quem in ſecunda interpretatione narrauimus? deinde quare magis redarguit Ari ſtoteles ſemiperipateticos illos, qui conueniebantfecum in concluſione, quàm illos, quie diametro cpinabantur contra ipfum? depoſitaigitur emulatone iudicet id quiſque, quodmagisueritatem ſapit, uerum eſſe, O rationi magis conſentaneum, et erit,fifecunde interpretationi be rebit, primafpreta, &neglecta omni ex parte. TEXTVS NON VS. ERA quidem oportet eſſe,quoniam non eſt fcire quod non eft,ut quòd diameter fit fie meter. De diametro, coſta pluribus locis Arifto telesſermonemfacit, utinprioribus, et in Methaphy: ficis, quapropter, hoc loco declarabo eius fententiam, ut poſteafit omnibus in locis clara, primoſcire debes, quod uera eſſe oportet ea, quæ fciuntur, ita ut ueritas ſuſcipiatur pro illa ueritate que est in concluſione, &non pro ueritate, quæ in prins cipijs est, a hoc probat indire et te, quia fi falfum ſciremus, utputa quod diameter eſſet commenfurabilis coſte, tunc imparia æqualia paribus fierent, o e conuerſo, ut ſi paria equalia imparibusfunt, igitur diame ter eft coftæ commenfurabilis, quod estfalfumſi igitur hocſciremus,ſci remus utique quippiam ex non ueris, fed pofuit, quòd fcire ex ueris fit, igiturſciremus ex non ueris &ex ueris, quod eſſe non poteft per immea diatam contradi tionem.Diametrum igiturincommenfurabilem cofte ef ſe noſcimus, quia impar pari æqualisnon eſt,in qua re,talis eſt demons ftratio ſecundum Euclidis ſcitum in decimo Elementorum, qua ducitur ad hocincommodum, pofita iſta, quòd diameterſit commenfurabilis co ftæ,fequitur, quod numerus impar eſſet par, quod eftcontra primum principium ab Euclide poſitumfeprimo Elementorum ſexta &feptima deffinitionibus,uel etiam nono Elementorum prima &ſecundafecundum Campanum. In quare demonftranda fit diameter a b commenfurabis lis lateri a c (li ponatur) erit per quintam decimi Elementorum ab ad ac, ficut aliquis numerus ad alium numerum, quia illa communis, mene Б IN: P R I MVM LIB. b Cee '. fo... h... g k.... ei6 fo L. m 64 kıż8 h 81. a. fura,fehabebit ad illas duas lineds, diametrumfilicet, &coſtam a bigo á c, ficut unitas ad unum atque ad alium numerum,unitas enim ut duos numeros illos metitur, ſic illa communis menſura diametrum, o coſtam dimetiretur,cuius rei ſenfus eſt iſte, quòd quoties continebitur in uno ats que altero numerorum unitas, toties illa communis menfura, quæ linea eft, continebitur in diametro, atque coſta, fint ergo numeri e @ f, qui ſint minimi in fua proportione, eritque ob hoc, alter eorum impar, quod fic probatur, fi enim uterque eorum effet par, non eſſent iammis nimi in fua proportione, ſi enim par uterqueſit,uterque biffariam die uidi poſſet, outraque mediet asunius ad utramque alterius medietatem eandem haberet rationemficut totum ad totum,quorumfunt medietates, ut patet de octonario atq; ſenario, cuius medietates ſunt quatuor, et qut tuor, atque tria etria,eadem enim fexquitertiaest,octo ad fex, qua tuorad tria, ſic e ofnon eſſentminimi inſua proportione quod est contra aſſumptum, quia fuæ medietates effent minores, quadratiigitür illorum minimorum e « f, ſint ge h, ſi ergo e eſſet impar, a f par, erit quoque per trigeſimam noni Elementorum g impar, fit itaque k duplus ad h, eritque k par,ex deffinitione prima noni Eleinentorum, quia igitur a b ad a c, ut e -ad f, erit per decimamodtauam fexti, ego decimāprimam octaui Elementorum, quadratum ab ad quadratum ac, ut g ad h, eſt itaque g duplus ad h, ſic enim est quadratun a b ad quadratum a c per penultimam primi Elementorum, quia ita k, etiam dupluseft ad h per affumptum,ſequitur per nonam quinti Elemen torum, ut g numerus impar,ſit equalis K numero pari. Quod fi e fit par, f impar, erit proportio f ad dimidium e, quod fit L, ficut POSTERIORVM ARIST. 4 c ad dimidium ab, quod ſit ad, o ideo erit quadrati a c ad quadratum a d, ficut proportio numeri h, quieſt impar per trigeſi mamnoni Elementorumadquadratuin numeri L, quifit m, cui K poa natur effe duplus, eritque K per deffinitionem primam noni Elemento rum par, at quia quadratum a c est duplum ad quadratum a d per penultimam primi Elementorum, erit h duplus ad m. Cumque Kſit etiam duplus ad m, erit per nonam quinti, impar b, aequalis K nus mero pari, quod impoßibile à principio proponebatur demonftrandum C f... go!" k...... A Et ſi diceretur, quòd uterque eorum, quiſunt in fuaproportione mis nimi, ſit impar, ut quinque ad tria, ut ſcilicet e ſit quinque, ef tria quadrati illorum fint go b, eritigitur utraque eorum quadra= ta inparia per trigeſimam noni Elementorum, ſit itaque K duplus ad h, eritque k par ex deffinitioneprimanoni Elementorum,quia igis. tur a bad a c, ut e ad f, erit per decimamoctauam fextielementorum vundecimam octaui,quadratum ab ad quadratum a c, ut g ad h, eſt. itaque g duplus ad h, fic enim est quadratum a b ad quadratum ac, per penultimam primi elementorum, et quia etiam k duplus est ad h.. per affumptionem fequitur, per nonam quinti elementorum, ut g numea rus impar ſit, æqualis k numero pari, quod est impoſsibile. Illatum, ſeu concluſio habita per hanc induftionem Geometricam eft,quod impar par ſit, Ariſtoteles autem dicit, quòd diametrum effe comenſurabilem coft.e non ſcimus, quia ita non est, ſic ut illud fit conclufum, wnor af fumptum, ut in predi&ta indutione fa& um est. Vt autem fiatconcluſio Bij 336 " IN PRIMVM LIB. “, id, quod aſſumptum fuit, aduertendum, quod ut Ariftoteles in prima Poſteriorum determinat, Geometra non parallogizat, fed tota illa Geo metrica inductio est conſequentia formalis,quæ in omnibustenet, cs.com cludit,nequeinquit, parallogizat Geometra, ut textus 62 probat Arift. ſubinde aliud etiam eſt aduertendum, ut in Topicis determinatAri ſtoteles, oſparſim in Logica fua, quod illa formalis eſt conſequentit, quando ex oppoſito confequentis infertur antecedentis oppoſitum, mos do cum ex contradiétione poſita, ut diametrum cofte eſſe commenfuram bilem,ſequutum fit quòd impar numerus fit par, exoppoſito igitur con ſequentis, ut per numerus eft æqualis impari, igitur diameter coms menſurabilis ex coſte, id autem fequitur ex falfo poſito, ut quod ime parſit æqualis pari,igitur id quodſciretur, non eſſèt ex ueris, ſedpoſie tum fuit quod ex ueris oportet eſſe, igitur manifeſta eſt contradi&tio,res linquitur igitur,quód diameter, nullo modo eſſet coſta commenſurabilis, eft igiturfalfum, igitur nonſcitur, quia uera effe oportet,quæfcim us TEXTV EODEM VEL TEX. V. OSITIONIS autem, quæ quidemeſt utram libet partium enunciationisaccipiens,ut dico aliquid effe,aut no elſe, fuppoſitio eft, quæ ue ro ſine hoc,deffinitio elt; deffinitio enim pofi tio eft.Ponit enim Arithmeticus unitatem in diuifibilem effe fecundum quantitatem, lup pofitio enim non eft. Quid enim eſt unitas, et eſſe unitaté, non idein eſt. Deffinitio inquit Ariſtot. non ponitur, altero membro contradicéte reiecto,utfit in fuppoſitione accipienda,fed deffinitionis na tura talis eft, ut ad hocquod ipfa intelligatur aget docente, eſt tamen et ipfa deffinitio,poft quam intellecta ſit,etiam poſitio,cõmuni uoce diéta,et legatur textus fic paulatim,ponitenim Arithmeticus unitatem, utſiArithmeticum quis interroget, an unitas fit, uel non fit? annuat quòd ipſaunitas fit,indiuiſibilem autem fecundum quantitatem ſuppoſia tio noneſt,ſed definitio, os exponitur àdocente, quia numerus quilibet diuidi poteſt, cumautem ad unitatem, ex qua numerus cöponitur deuen tum ſit, impartibilis omnifariam reperitur, ut poſito quocunquenumes ro, ut ternario, ocirca ſe, ex utraque parteſuper ſe numeri,esſuper illos, alij circumponantur, id toties fieripoterit,quousq; ad unitate dem POSTERIORVM'ARIST. 37 SH it 13 uentum fuerit,at ubi ad ill.im deuentum erit,non fit ultraproceffus,ut cir ca tres,quatuor,& duo,etfuper hos,quinq; c unum,medium horū aggre gatorī erit ternaris, hoc exemplari 1 2 345 signum eftigitur unitate eſſe principium impartibile omnium numerorīt, ut Boetius in Arithmetica, docet,modo, exſententia Ariſtotelis, non eſt idem,unitatem fupponere, oipſam deffinire, quæ deffinitio eſt, unitas eft qua unumquodque unum effe dicitur, uel eft principium numeri, uel eſt indiuiſibilis, ex quo tamen indiuifibili, diuiſibilis numerus componitur, ad differētiam indiuifibilium fecundum magnitudinem, quæ indiufibilianon componunt diuiſibile ali quod. Age igitur,ut Ariſtoteli placet, quòd non eſt fatis ad demonſtratio nem procedere ex fuppofitionibus, etiam immediatis, fed opus eſt etiam ex immediatis dignitatibus, que etiam dignitates improprie poſitiones funt, ideo in precedenti declaratione concludebatur,numerū imparé eſſe parë,quia ex poſitione, quod diameter.eſſet commenfurabilis coſte, pros cedebatur, &non ex dignitate &deffinitione intelle &ta,atque poſita. TEXT. DECIMUS ALIAS QVINTVS, CH fi re Lisa co UE ofi 18 ар 3 VONIAM autem oportet credere et ſcire ré, in huiuſinodihabendo fyllogifmum, quē 110 cainus demonſtrationein. Eft autem fic, eò quod ea ſunt,ex quibus eft fyllogiſmus,necef ſe eſt, non folumpræcognoſcere prima, aut omnia, aut quædain ſed etiam magis. Quico gnoſcit quòd Triangulus habeat tres equales duobus rečtis, prius nes ceſſe eft,ut cognofcat XIII. ey xxIx. primiElementorum actu, non autem ufqueaddeffinitiones fit refolutio pro illa x xXJI cognos feenda, omniaautem prima cognofceremus,ſiuſque ad deffinitiones ago Elementa, ad que illius XIII. XXIX. primireſolutio fieret, que &fifitfactibilis, tedio tamennosafficeret, fi femperfieret ufqueadele mentaiſta reſolutio, fedfatis,quod hoc fieri poßit,ideo dicit Ariſtoteles neceffe eft præcognoſcere prima,aut omnia,aut quçdam, Sed etiam magis aduertendum, ut declarabo fuſius Tex. 108. huius primi,quòdquanto notitia eft deſimpliciori, illa, certior eft, quam que compoſitioriseft.Cum autem principium fit minus compoſităipfa concluſione, neceffe eft, ut &fua notitia ſit magiscerta, quam conclue fionis notitia,ideo XIII, XXIX. per quas probatur fecunda pars IN PRIM VM LIB. trigeſimeſecunde primi Elementorum, ſunt magis nota, oſcite,quàng illa fecunda pars trigeſimæfecundæ primi. TEXTVS XI. ALIAS V. MA 1 AGIs enim neceſſe eſt credere principiis, aut oinnibus,aut quibuſdam quam cons cluſioni. Aduertendum quòd magis credere,fine pluri, nempe faciliorem effe credentiam aliud eft, à credere per demonſtrationem, et propter quid, fe ptima, atque octaua propoſitiones quinti Elementos rum, primo intuitu quando inſpiciuntur, facilius eis adheremus oafa ſentimur, quàm aſſentiamur deffinitioni fextæ,atque o &taua eiufdé quins ti. Ecce quod non magis illis principijs credimus primointuitu, quins conclufionibus per ea principia demonſtựatis, ideo Ariſtoteles ait, aut: quibuſdam, non ſemper omnibus primo intuitu. Debentem autem habere ſcientiam per deinonſtrationé, non ſolum oportet principia magis cognoſcere, &, magis ipfis credere, quàm ei quod deinonſtratur. Sed et cete. Ada uertas quod et finotitia principiorü uideatur diſtantior intellectui quàm notitia concluſionis, tamen non poteſt uniri intellectui concluſionis notis tia,niſi per notitiam principiorum,quæ uidebatur ab intelle &u remotior, ut in illis concluſionibus, &principijs que precedenti comento citaui. TEXT. XVIII. AVT VIII. I ſiin omnilinea punctum finiliter eſt. Proprie hoc in propoſito de linea recta intelligas, que atu punéta habet terminantia, ficut homoactu eſt animal, o fi etiam de circulari intelligi poßit quæ in puncto à linea recta tangitur, fedde circulas ri expoſitio uideturfuperftitiofa, aliena à nas tura exempli, quia exempla per magisfaciliadantur, ita quòd, dequoa cunque uerum eſt dicere, quod fit linea recta, de co uerum eft dicere, quod in co eſt punctus. POSTERIORVM ARIS T. TEXT. XIX. VEL IX. 5, Elle P feo to oft 45 oné, 2015 Ado quan ER ſe autem funt, quæcunqueſunt in co, quod quid cft, utTriangulo ineſt linea, &: punctum lineę, ſubſtantia enim ipforum ex his eft, et quæcunqueinſunt in ratione di cente quid eſt. “ Philoponus et parum dicit ſuper hoc textu, uel étiam id quod dicit non facit ad propo ſitum Ariſtot. declarandum, uidetur enim quod tex. his contradicat que: determinat Ariſtoteles contra Platonem, uidelicet quodlinea non compo natur ex punctis, præcipue ſexto phiſicorum, primo de generatione, tertiometaphiſice,ubiex fententia concludit lineam non poſſe ex punétis componi, quid autem ſuper hoc textu, qui uidetur oppofitus locis ſupras dictis dici poßit notaui in prædicamétis, capite de quantitate, uerba aus tem illa, quia ſubſtantia corum ex ipfis eft, intellige terminatiue, ut linea terminat ſuperficiem triangularem ', pun &tum lineam termis nat, o nullo modo intelligendñ eſt compoſitiue, ſic ut puncta lineam com ponant, nec etiam linea triangulum, tametfi aliter ab indoctis intelligas tur, quiafi aliter textus hic concipiatur, ftatim fequitur, utſi linea ex punctis componeretur, quod diameter o coſta eiuſdem quadrati eſſent comenſurabiles, quod textu nono, eſſe falſum « impoßibile oſtējumeſt, quia utrumque per comunem menfuram dimetiretur, nempe per pū &tum, quod eft contra Ariftot. sententiam, et contra Euclidis ſcitum. Preterea tot puncta eſſent in coſta,quot in diametro, &ſic pars effet æqualis toti, ut coſta ipſi diametro, pro cuius indu &tione, ſit quadratum a b cd, cuius diameter a d, Cofta uero a c, in qua fuſcipiantur duo puncta e, f, immediata ſi poßibile ſit, ut aduerfarius ueritatis diceret, cum com ponatur ex punétis,à quibus, e, of, pun &tis duæ lineæ rectæ aufpicens tur innitia tranfeuntes per diametrū uſque ad aliă coſtum e regione pri me coſte collocatam,certü eft, quòd hæ duæ lineæſecabunt ipſam diame trum in duobus pun &tis, quæ etiam puneta in diametro immediata erunt, propter hoc quia lineæ protracte ex hypotheſiſunt immediate, igitur ſi recte lineæ tot protendantur à coſta in coſtam oppoſitam,quot pū &ta fue rint in ipſa coſta, per tot etiam punéta in diametro poſita tranſibūt eedë linee, nec erit in diametro punétum aliud per quod non tranſiuerit lined aliqua fic protracta ab immediatis pun&tis ipſius coſte, in puncta imme motia tunin eſt. Uligas, o achi poßit rcula à ma eguna dicera IN PRIM VM LIB. diata alterius coſte, ut patet in hac a. figura ficut f, immediatum eft ipfi e, fic etiam &, ipſih, ſi l, fit immedias tum ipſi m, patet propoſitum,fi au tem interl,om, intercipiatur pū Aumfitque illud K; ab illo per xxxi. f primi elemétorum excitetur paralles lus K, o, ipſif, 8, uel ipſie, he tunc ipſa cadet inter gb, ut in pun Eto, o, igitur g h, non erant imme diata,quod eſt contraaſſumptum,uel extra utrumqueg,oh, uerſus b, ueld, et tunc k o, neutri linearū f8, web, erit parallelus,quod eſt contra conſtructionem, patet igitur quòd tot eſſent in diametro quot in coſta pun&ta. De circulari autem linea, quod non componatur ex pun ftis, fic demonſtratur per tertium petitum primi elementorum, fuper centrum a, deſcribatur circulus d minor, ocirculus bc, maior,ficira cunferentia maioris componatur ex punétis,duo immediata puneta fi gnentur b @c, &per primum petitum eiufdem primi ducatur recta alla a ad b, &ab aad c, hæduæ lineæ tranſibunt per circunferentiam mino ris circuli, ſecabunt igitur circunferentiam in uno,uel in duobus pūétis, ſi in duobus, tot punčta erunt in minori circulo, ficut in maiori, fed ima poßibile eft, duo inequalidcomponi ex partibus æqualibus numero, ou magnitudine,punctusenim unus non excedit alium punctum in magnitudi ne,en tot funt in minori peripheria puncta quot ſunt in maiori, igitur pe ripheria minor eft æqualis maiori peripheric,igitur pars æqualis eft toa ti,quod pro impoßibile relinquitur, b ſi autem due recte linee a, b, 4, C, ſecent minorem circunferens tiam in eodem puncto, fit ille d, ſu = per illam a c, erigatur linea recta perpendicularis per xi.primi Elea mentorum ſecansſilicet eam in pun. &to d, quæ fit d e, que erit contina gens minorem circulum ex corrolda rio x vtertij elementorum, iftad, c.cum linea 4 b, ex xIII. primi Elemens POSTERIOR V MARIST. 2 d IN Elementorum conftituit duos angulos rectos, aut æquales duobus rectis, @ed cum linea a c facit duos angulos rectos ex conftru &tione, duo igitur anguli a de, obde, funt æquales duobus angulis a de, cde per tertiam petitionem prini Elementorum Euclidis, dempto igis tur communiangulo a d'e, reſidua eruntæqualia, igitur angulus b.de erit æqualis angulo c d é, &pars toti, quod eftimpoßibile. Adiſtud diceret aduerfarius, quod db, odc, non includunt ali = b. quem angulum; quia poſſet tunc illi angulo bafis ſubtendià puncto bad punétum c, quod est oppoſitum po ſiti, quia b c, poſita ſunt ima mediata, quando igitur diceretur, quod angulus c de, estmaior an gulo b.de negaretur ab aduerſa rio, quia per angulum b d c, nihil additur in angulo c d e, quia inter bec nihil mediat, e in concurſu bdoc din d, non est angulus. ifta reſponſio oſi ex ſe ipſa uideatur ua na, negandoangulum, ubi duæ rectæ line: bd, cd, concurrunt quæ expanduntur in eadem ſuperficie, oapplicantur non directe, o fit contra deffinitionem anguli, deffinitione ſexta primi Elementorum, negando etiam à b inc poffe duci lineam, neget primum petitum primi Elementorum, tamen quia aduerſarius non putaret iſta inconuenientia, quia ſequuntur ad id, quod ipſe dicit, ideo contra reſponſionem aliter ar. guo, angulus c d e includit totüm angulum b de, oaddit ſaltem pun Aum ſuper b de, o ſiproteruias quòd non addat angulum, et puns Etus per te, eſt pars, igitur c d e addit ſuper 6 d e partem aliquam, igitur c d e eſt totum adb d e. Aſſumptum patet, uidelicet quòd c de addat ſuper bd e, quia ſi angulus dicatur fpatium interceptum inter lineas non includendo lineas,ut Ariſtoteles concipit in queſtionibus meca nicis, queſtione octaua, tunc pun &tus primus lineæ b d extra circunfes rentiam minorem nihil erit anguli bde, o eſt aliquid anguli c de, igitur c d e maior est b de, a probatum fuit, quòd æqualis, igi tur aperta contradi&tio, fi autem angulus ultra ſpatiuin inter duaslie neas,includat lineam includentem,fpatium tunc primus punctus lineæ cd extra circunferentiam minorem nihil erit anguli b de, e est aliquid ans F ino tis 0 th I N PRIMVM LIB. guli c d e, addit, igitur utroque modo angulus c d e punctum fuper angulum b de, patet igitur ex principali demonſtratione et folutionis bus ad inſtantias, quod linea non componatur ex punétis, neque recta; neque circulari, ſubſtantia igitur lineæ ex punétis est terminatiue, o non compoſitiue, ut in principio expoſui vel dicas quòd Ariſtoteles famoſe, oexemplo loquitur de cauſa quæ dat eſe, vel etiam dicas, quod punétus,in deffinitione Geometrica ponitur, onon Methaphyfice conſiderata. TEX. X X. ALIAS I X. T rectum ineſt lincæ et rotundum. Verbum il lud rotundum legit Aueroes circulare, o melius, ut ali bi Ariſtoteles rectum ineft linee o circulare, ſic ut pro uerbo rotundum,legatur circulare,ratio quia circula re lineæ est proprium,quod uult Ariſtoteles in princis pijs mechanicarum queſtionum inquiens:In primis enim lineæ illi, que circuli orbem amplectitur,nullamhabenti latitudinem contraris quodam modo ineſſe apparent, concauum ſilicet,&conuexum. Rotondum uero proprie corpori conuenit, non lineæ, ut etiam placet Ariſtoteli libro fecundo Cali capite primo, quæ lectio non uidetur difplicere etiam Ioan ni Grammatico, &quodſit iſta mens Ariſtotelis, utfic legatur manife ftum eſt, per ea, quæ textu decimo ait, non enim, contingunt non ineſſc aut fimpliciter, aut oppofita,ut lineæ rectum aut obliquum,capiens ob liquum pro circulare. TEXT VSvs X. T par et iinpar numero. Par quidem ille eft, qui ab impari unitate differt cremento uel diminue tione, ut quinque à quattuor, uel à fex unitate, Vel par eſt, qui biffariam ſecatur, impar uero, qui ne in duo æqualia diuidatur, impedimento eft unia tatis interuentus. POSTERIOR VM AREST. Τ Ε Χ. XXV. ALI AS XI. NIVERSALE autem dico, quòd cum fit de omni, et per ſe eſt, et ſecundum quod ipfum eſt. Ioannes Grammaticus et fequaces determinant, ut hæc tria inter ſeſint diſtincta, fic quod id, quodper ſe eſt inſit abſque eo, quod fecundum, quod ipſum eſt, 1/oſceli quidem per ſe ineſt habere tres æquales duobus reétis,non tamen ineſt ei (inquit Ioannes).ſecundum quod ipſum, quia fecundum quod ipſum ineſt triangulo. Aduertendum quod famoſa doctrina (qua etiam fæpe Ariſtoteles utitur ) perſe Iſoſceli inefthabere tres æquales duobus reftis non tamen ſecundum quod ipſum. Alio autem modo per fe,id dicitur alicui conuenire, quod etiam conuenit ſecundum quòd ipfum, ita quod, id quod non conuenit ſecundum quod ipſum non etiam conueniat perſe, niſi quodam modo, fic quod perſe non immedia = te, oſecundum quod ipſum, diſtinguntur tanquam magis &minus uni uerfale per fe autem immediate, &ſecundum quod ipſum, hec quidem non diſtinguntur,ita ut unumſine alio poßit ineſſe eidem, Peccauit igitur Joannes ofequaces determinantes uniuerſaliter id, quod particulariter uerum est, uniuerfaliter autem falfum, Triangulo igitur immediate, cu per ſe, o ſecundum quod ipſum conuenit habere tresduobusre&tis æqua les, quodam autem modo non per ſe ipſi iſoſceli conuenit habere tres duobus rečtis equalis. Vt Ariſtoteles ſententia, hæc ſit, quòd per ſe immediate, ſecundum quod ipſum, idem fint, neque ab inuicem in aliquo diſtinguuntur, per le autem non primum, “ſecundum quod ip fum, hec duo uere diſtinguuntur, ut Ioannes ſuisexemplis, immo Ari ſtoteles in Texu,exemplomanifeſtat. HET luben 10a TE X. X X VI. ALIAS XI I. ## ling PORTET autem non latere, quoniam fæpe numero contingit errare, et non eſſe quod demonſtratur primum uniuerſale, ſecundum quòd uidetur uniuerſale demonſtrari primū, aberramus autem hac deceptione, cum aut ni hil ſit accipere ſuperius,peti fingulare, aut Fij 44? IN PR ÍMVM LI B. ſingularia. Aduertendum Ioannem Grammaticum et uniueros Ario ſtotelis interpretes, ſiue Greci, Latini, uel Arabes fuerint perperam eſſe interpretatos hunc Ariſtotelis Textum, &tres ſequentes textus @rita male fenferunt de Ariſtotele, quòd litteram pariter et fenfum omnem peruertunt &corruinpunt. Circa Ariſtotelis litteram, an tequim ad eius interpretationem acMilani, falſit as loannis, oſequa tium est hoc loco non pretereunds. Primo circa hunc textum, loans nes adfert exempla multa quorum neque unum tantum facit pro textus declaratione, ait enim Ariſtoteles. Cum nihil fit accipere fupes rius. Nihil fit, neque uox quidem, utputa nomen aliquod fictitium,& acceptum,cui tamen in re nihil refpondeat ut eſt hoc nomen chimera, cui nomini nihil extra in re conuenit,fic tandem, ut neque res ſi aliqua fie ue ens aliquod, ita ut nulla ſit res, neque ſit nomen aliquod ſignifi cans illud non ens. ipſe autem loannes explicat Ariſtot. litteram cirs ca illud, cui eſt accipere fuperius, &circa illud, cui nomen impoſitum eſt,ut est, Terra,' Sol, øMundus, &triangulus, horum omnium ex tant nomina, ut manifeftum eft; o ſingulum ſuperius est ad ſua indiuis dua, nempe ad hancterram, ad hunc Solem, ad hunc mundum, ad -Scalenonen, perperam igitur interpretatur loannes hunc textum cum ipfe adferat exemplum de eo, cui ſit accipere fuperius, cui nomer impofitum eſt, Textus autem Ariſtotelis dicat, cum non fit accipere fuperius. T E X. XXVII. i VT fi quid eft, fed innominatum fit in difo ferentibus fpetie rebus. Ioannes Toto errat Cees loo.fequentes ipfum, circa litteram e doctrinam Ari stetelis,textusfic habet. Si quid eft,illud tamen innominatum fit in differentibus fpetie res bus. Ioannes inquit, non exiſtente commune aliquo de quo non exiſtente, prebet exempla deexiſtentibus, contra feipſum V etiam de nominatis in differentibus petie rebus, contra Ariſtotelis textum, ait enim Ariſtoteles. Sed innominatum ſit in differens tibus fpetie rebus, exempla adfert Ioannes de Triangulo, qui nominatur, eft in pluribus fpetiebus differentibus, ut in Iſopleuro Iſoſcele, Scaler.one, o fimiliter de quanto prebet cxemplum loane nes, quod nedum nomen habet, fed in differentibus fpetie pluribus est POSTRIO RVM ARIST. par A @ etiam in pluribus generibusdifferentibus eft, neque mireris uelimſi Joannes ocæteri expoſitores aliò pedem retullerint, cumfaltus aſperie tatem ſenſerint &iuerit uſque Gorcie inficias, obfcurans Ariſtotelem Platonicis ſuadelis. Ut contingat eſſe ficut in parte totum in quomonftratur his enim quę funt in te, ineft quidem demonſtratio, et erit de omni, ſed tainen non huius erit primi uni uerfalis demonftratio, dico autem huius primi, ſecundum quod huius demonſtra tionem, cumfit primi unirerfalis. Bonus Ioannes ofequaces prefertim Niphus fueſſanus medices Neapolitanus philotheus Augu ftinus philoſophus, og fequaces multi fimiles ſine nomine, pleni nominis bus, quos in interglutiendam uniuerſam Ariſtotelis philoſophiam, os ho rum textū ſuffocauit, cū ad exempla deuenerint,quibus Ariſtoteles cla rum reddit id, quod in tribus modis errandi circa univerſale dixit, loan nes (eg peius cæteri) circa finem comenti huius textus fic ait,in reliquia trium modorum exempla per bec exponit, uerū non utitur ordine exem plorum cum ordine modorum errandi, propofitum enim exemplum ters tij eſt modi, Dico philofophum fummoartificio ordiri otexere modos errandi cum exemplis, ſicut modo cuique errandi correſpondeat pros prium &peculiare exemplum, ut quemadmodum tres numerauerit ers randi modos circa uniuerfale, tria exempla, ipſis correſpondentia fubiecit, ſic ut primum exemplum primo errandi modo, fecundum exem plum; ut in littera Ariſtotelis ponitur fecundo modo errandi correſpon deat, otertium exemplum ipſi tertio modo errandi apte conueniat, quo ordine confuſionem omni ex parte inter cxempla os modos errandi fuæ giens, in primis ſuo artificio, modum errandi &exemplum fibi corre fpondens notificauit circa id quod debet effe medium demonſtrationis, ſe cundus errandi modus &exemplum fibi correſpondens, cõcernitfubies Sum demonſtrationis, tertius modus errandi circa uniuerfale cum exem plo ſibi coherente, concernit totam demonftrationem, feu arguendi mo dum qui dicitur permutata proportio, errauit igitur Ioannes v omnes alij, qui aliter quam ut hucufque dixi extorquent Ariſtotelis textum, non intelligentes. I N P R I M VM LIB. Pro declaratione igitur uigeſimi fexti textus, fit hæc noftra prima ina ter expoſitores dilucidatio uel ſi difpliceat, dicas eam eſſe ſecundam,uel etiam millefimam. Primī modum errandiexpono ſic, ſcias quòd de duas bus lineis reétis, tanquam de ſubiecto, concluditur hec paßio, nempe quod non intercidant; uidelicet quòd parallelæ ſint ſeu equidiſt antes, per hoc, tanquam per medium, quia linea recta ſuper duas line as rectas cadēs eſt poſita in omnibus quatuor angulis rectis, ideo ille due recte parallelæſunt, oetiam per hoc me dium, quod cum linea recta ſuper duas lineas rectas cadensfecerit an- A. 6 gulos quomodolibet æquales, utputa alternos acutos ſibi inuicem æqua- c. d les, uel alternos obtufos ſibi inuicem equales, illæ duæ lineæ funt æquidis ftantes, iterum per hoc medium quãdo linea recta cadens fuper duas alias rectas lineas fecerit exterio rem angulum æqualem interiori ex eadem parte, ille duæ lineæ paraller le ſunt, &adhuc per iftud medium, ut fi linea recta cadens ſuper duas rectas lineas, fecerit duos intrinſecos angulos æquales duobus reftis,ut probant X X VII. XXVIII. primi elementorum quod adhuc illæ due recte linee parallelæ ſunt. Modo ſi Geometra putaret demonſtras, tionem factam per ſingulum mediorum di&torü,eſſe uniuerſalem,erraret primo errore circa uniuerfale,quia nullibi medium eſt uniuerſale et unī; nulla enim natura, nec res aliqua eft cómunisad omnes quatuor angulos rectos, ad binos acutos, binoſque obtuſos,ad intrinſecum et extrinfecum ex eadë parteſumptos, et ad duos intrinſecos ex eademparte acceptos, niſi quis uudeat dicere,quòd quædam cõmunis natura,eſt ad omnes pres nominutos angulos, utputa æqualitas angulori, quæ quidem angulorum equalitas,ratio eſſet, ut cõcludas lineas eſſeparallelas, iſtud ſomnium,ul tra quodfit falfitate plenum, eft etiam nimis procul ab apparenti mena dacio, non ne etiam in concurrentibus lineis repperitur æqualitas angu lorum? ut puta in his angulis qui ſunt ad uerticem poſiti, cauſati à linea cadenteſuper duas rectus lineas,illa enim cadens cum utralibet earumf1. per quas cadit, caufat uerticales angulos æquales ut ſunt anguli a gd, @ b8f, uel anguli c fe, em gfb, ſtatim hoc reiciet dicens,quod de al 1 POSTERIORVM ARI'S T. ternis angulis intelligenda eſt illa equalitas, ut natura illa communis tantum ſit equalitas coalternorum, hec reſponſio eft uana cũ illa equa a litas ſitequiuoca, uel dicas analo gam, ad equalitatem retorum, acu torum, obtuforum angulorum, @etiam dico, quod totã hoc,& qua litas angulorum,non eft und abſolu = ta naturd,una abſoluta (utputa) eſt unus atq; alter angulorum, reliqua natura eſt reſpectiua et ad aliquid, ut æqualitas inter utrumq;, ſi diceret quod accipitur pro medio, tantuin equalitas in omnibus illis fine pluri,dico quòd per æqualitatem non con cluditur, quod lineæ parallele ſint,niſi per æqualitatě talium angulorī, Et dico etiam quòd non tantum per equalitatem coalternorīt, ſed etiam per æqualitatë extrinſeciad intrinfecum, et per duos intrinſecos,quorīt alter acutus reliquus obtufus,qui equalesfunt duobus re et tis, quæ omnia non habent unum ſuperiusuniuocum, igitur non eft aliquid accipere ſus perius ad hæc omnia, igitur petimus tunc ſingularia media in propoſito concludendo, &ſicerramus, ſi nobis uideatur uniuerſale demonſtrare primū. Error igitur iſte circa uniuerſale,eſt circa medium demonſtratio nis quod quidem medium uniuerfale, cum non fit, fingularia media peti mus, ſimile habes huic per XXVII (XXVIII primi Elementorū, Euclidis per quas Ariſtoteles manifeſtat propoſitum. Itidem fimile per quintam, fextam, a ſeptimum fextiElementorum,quibus probat Eucli des per diuerſa media ſingularia, o non per unum uniuerſale medium, triangula eſſe equiangula. Aliud etiam in Euclide habes xui primi Elementorum « in ſexto Elementorum propoſitione xxx, quibus lo cis ſimile huic probat, quod duæ lineæ,in dire&tum cõiun&tafunt et lines und, ohoc per ſingularia odiuerfa media, quibus non eft aliquid unis accipere fuperius. Vigefimiſeptimitextusſit hec mea declaratio, immo.eft ipſius Ariſto telis ad unguem, quam Ioannes grammaticus, neque nouus aliquis, ſiue antiquus etiam interpres, non percepit, hoctextu affert Ariſtoteles les cundum errandi modum, à primo modo errandi longe dißimilem, atque diuerfum, in primo modo errandi nulla natura communis accipiebatur IN PRIM VM LI B. 1 fuperior, neque nomen aliquod, ſeu quæpiam uox habebatur, in hoc aue, tem ſecundoerrandi modo, natura ipſa communis eft, o inſuper nomen. ei impoſitum eſt. Verum quia natura illa non habet ſub ſe plures fpe=; cies, ideo illa, &fi fit, anominata ſit, in pluribus tamen differentibus fpecie rebus, innominataeſt, ob defficientiam ipſarum ſpecierum, quiail Leſpecies non ſunt, ut folis, terre, mundi natura, eſt innominatain plu ribus ſpeciebus terre, quia plures ſpecies terre nonſunt, fi igitur quiſ piam demonſtrationemde cælo tentaret, et quodfit dextrum in ipſo com cluderet, &putaret quod eſſet ſuademonſtratio uniuerſalis, quia no eft aliud primum cælum,erraret quia non de hoc cælo, primofitdemöſtra tio, fed de natura coeli, ut eft quid uniuerfalius ad hoc primum cælum, ſeu de cælo, fine contratione ad hoc ſingulare cælum, quam doctrinants Ariſtotelesſuis mathematicis exemplis, &quidem aptißimis, fole cans didiorum reddit; inquit enim in exemplo fecundo, quod quidem fecundo errandi modo correſpondet, oſi triangulus non effet aliud quàm 1f0a) ſceles, ſecundum quod Iſoſceles eſt. Videretur utiqiie ineſſe primo,has bere tres æquales duobus rectis, cum nullus effet alius triangulus,uel nul la alia eſſet ſpecies trianguli quam fofceles, &tunc error ſecundo mos: do contingeret. Explico Ariſtotelis ſententiam. In primis eft aduerten dum, quòd triangulus re ipſa hubet ſub ſe tres ſpecies triangulorum, fo pleurum, iſoſcelem oScalenonen, quod ſi tamen per imaginationem ponamns, quod non haberet ſub ſe ljopleurum, neque Scalenonen, per ſecluſionem illarum duarum ſpecierum, tantum haberet ſpeciem unā, ut iſoſcelem, eſſet tunctriangulu: innominatus in Scalenone atque Iſos: pleuro, quia fi in illis ſpeciebus triangulus nominaretur, ut fic,Scalenon eft triangulus, Iſopleurus eft triangulus, iam illæ ſpecies duæ triangu. lorum effent, quas ſuppofuit Aristoteles, ut non eſſent,ut ſuum oſtendat. propoſitum. His ſuppoſitis, ſiquis de foſcele concluderet; quòd tres haberet æquales duobus reétis,o putaret quòd uniuerſalis effet bec des monftratio, quia nullus eft alius triangulus, quam foſceles, crraretſes. cundo errandi modo, quia Iſoſceles habet fuperius o uniuerſalius fe, nempe triangulum, de quo primo concluditur talis affectio, et talis era, ror multa diuerſa à prinoerrandi modo habet,quorum unum eft, ut pri mus modus errandi,ſit circa.medium, et iſte ſecundus modus errandi fit. circaſubiectum demonſtrationis. Aliud, ut in primo nonſitfuperius ali quid nec etiam nominatum, In hoc ſecundo eſte ſuperius og nominas, tum, ut triangulus, Tertio illud innominatumſit in pluribusmedijs, hoc. autein? POSTERIORVMARIST DS autemfecundo modo innominatumfit in duabusfpeciebus tantum, uideli cet in Iſopleuro w Scalenone, Ibi ut in omnibus fit innominatum, Hic aue tem nominatum ſit tantum in una ſpecie, ut triangulus in 1fofcele. Advigeſimum octauum textum cã acceſſerit philoponus ad orchos in greſſus, non potuit ex inextricabılı labirintho egredi, ita ut ea, quæ pue rilia ſuntin interpretatione, perperam ej tortuoſe ſit interpretatus,vt puta uerbum hoc, aliquando, non temporaliter,inquit,audiendü eſt, ſed quaſi diminutius ut ait ipfe, non exacte fit audiendum, fimili modo ergo ijtud uerbum, Nunc,haud,inquit,temporaliter audiendum eſt, quin po tius, exacte, o ſecundum Methodum demonftratiuam, Pedagogorā mo dum inſequutus, qui quattuorgrecis litteris intineti temerario aufu, ſi ne quacunquefcientia aut liberaliarte ad explicandum Ariſtotelem uens toſi cum accefferint ipſi implicati non ut loannes plicis binis uel ternis terminos exponit, ſed denis centenis atq; millenis epiſtolis ſuos codiculos imptent promittunt etiam multis nobilibus ſe expoſituros Ariſt.uocantų; fepe illos nobiles nominatim ut teftes tādem ſint ſue infanie, et ut uidean tur etiam ipſi aliquid in Ariſtotele ſuo chere illuſtraſſe, cum nondum pri ma philoſophie elementa fufceperint, Pereant ipſi cum ſua ignorantia, uelfuis fericis ueftibus addifcere poft multa těpora incipiant,oſiferico indueti,atque equoinfedentes, o rabini facti addiſcere uerecundantur. fufcipiant eam quam decet philofophum, ueftem, o Euclidis honeſtate accedant ad Socratem; ne fintpoſt hac, fomenta praua difpofitionis preſtantißimæ iuuentuti in celebratißimis terrarum gymnaſijs. Qui dam alij interpretes quorum eſſe nefcio, quia ſuum eſſe nihil eft, neq; fuit unquam abradunt ly nunc, et locofuo,legunt, non, &ly aliquando,fo litarie fine fenfu relinquunt, quibus expofitionibus uel potius torturis iam iam incipiat Ariſtotelis lamétatio, Abigatur igitur cum mufcis afta bulòunaatque alteru interpretatio, feu magis Ariftotelis deprauatio, et legatur textus ut lacet in greco, quitextus græcus habet has particulas, aliquando, et nunc, que uerba temporaliter onullo alio modo intelligan tur, neque intelligi aliter poſſunt, onon legatur, loco de ly nunc, non, ut quidam facit hoc tempore, quenſcies, ſi tua ſcripta ab ipſo accepta le geris, Pro declaratione igitur uera, queunaſola eft, quă inferius fübi ciam, et nulla alia ab ifta uers effe poteft, ad Arijtotelem redeundo, textum expono. Proportionale, quod commutabiliter eſt. Aduertendū quod iftud de proportionale, exemplum, eft tertij modi, pro cutus declaratio 03 of 21 that * MA es G so IN PRIMVM LIB, ne dico Ariſtotelem proprium quantitatis determinaffe in fine predicar menti quantitatis dicentem; Proprium autě quantitati cft maxi. me çqualitas et inequalitas,reliqua uero queno ſunt quan ta no proprie æqualia ac inęqualia eſſe dicuntur, Velutidiſpo ſitio,uel etiam habitus æqualis, inequalisue non omnino propriedicitur, fed familispotius,atá; dißimilis, et album itidem æqualeinæqualeue non onnino dicitur, fed fimile dici atque dißimile dicifolet, Proportio ſeu ratio, ut ab Euclide deffinitur in quintoElemětorum eft duarum quantæcunquefint eiufdem generis quantitatum alterius ad alte ram habitudo quædam, ex Ariſtotele igitur habetur, quod proprium eft ipſi quantitati, esſe quale aut inequale. Ex Euclide uero quòd propora tio eſt quantitatumfolummodo, ex utroqueuero, quod tantum in quana titate proprie reperitur proportio, quæ quidem eſtæqualitatis, in equalitatis; inequalitatis uero proportio biffariamſecatur fecundum Boetium in primo Arithmeticæ in inequalitatem maiorematque minoa, rem,equalitatis proportio eſt quandofundamentā et terminusfunt æqua lia, ut duo ad duo, inequalitatis uero proportio eft quando fundamenti eſt maius, terminus autē minor, et hæceft maior inequalitas.uerominor eft,quando fundamentum eftminus terminus uero maior,ut sunr ad 21, maior,et 11 ad 1 1 1 1 minor, Præter hæc ſcito, quidam modiarguenda quibusmathematici utuntur(de quibusEuclides in quinto) indifferenter applicatur quantitatibus eiufdem, fiue etiam alterius generis, dummos do bina ſintuniusgeneris et bine alterius, ut in equaproportionalitate patet, hic autem modus-arguendi qui dicitur commutata proportio non niſi quantitatibus, quæ eiufdem generisſunt attribuitur. Quibus pras intelectis o declaratis, uides Platonem improprie applicuiffe uirtutia bus in Gorgia cõmutată proportionalitaté, quibus etiã qualitatibus,pro portio nonconuenit, ex deffinitione proportionis fuperius data,quapro, pter non eſt propria rerum natura, neque uera e propria Ariſtotelis ſententia,aliena docirina perturbanda. Vbienim ait Ariſtotelesloquens de tertio errandimodo,aut cótingit efle, ficut in parte totūztoti hoc loco,uniuerſale intelligendum eft,partem uero inferius ad ipfum uni uerfale, Mododico,quòd antiqui philofophi qui precefferütEuclidem Ariſtotelem ſæpißime errauerunt hoc tertio errandi modo, putantes de toto, feu uniuerfalemfacere demonftrationem, que tamen erat in par te demonstratio,hoc eſt particularis &non univerſalis, ideoait philoſos plus quemadmodum demonftratum, eft aliquando, uidelicetabantiquis POSTERIORVM ARIST. philoſophis, qui tempore Ariſtotelem,atque Euclidem preceſſerūt,quia ipfi non aduerterunt quod quantum, eſt id (id eſt natura aliqua) quod fum perius accipitur, nominatum eft in pluribus differentibus fpecie res büs, differt igitur iſte modus à primo, quia ibi non erat accipere aliquid ſuperius, o etiam differt àſecundo, quia in fecundo illud fuperiusnon erat nominatuin in pluribus differentibus ſpecie rebus, hoc autem, quod hic conſideratur, eft in pluribusſpeciebusnominatum, et comune,atque uniuerſale onnibus quantis, fiue illa diſcreta, ſeu cötinua ſint, quorun effe fucceßiuuki, feuetiam permanensſit, ut numeri ſunt,lines, folida, tempora, &alia huiufmodiſpecie differentia, feorfum ab inuicem ali quando acceperunt antiqui deſingulis demonſtrationemfacientes. Nunc uero, inquit,philofophus uniuerfale demonftratur, fenſus, uniuerſali ad hæc omnia,modusiſte arguëdi imediate et perſe attribuitur, ut ipſi quan titati, quatenus tale. Nunc dico, nedum in eo Ariſtoteleo quidem tempo të, et à philofophis reéte fapientibus, ſed etiam oprimo abEuclide; cuius clarißimi philofophi beneficio habetur demonſtratio uniuerſalis omnibus quantis, ut fuo quinto libro Elementorum docet, propoſitione fextadecima, Errabant igitur antiqui aliquando, arguendo permutatim in numeris ſeorſun, in lineis feorfum, cæteris feorfum, nunc au = tem non contingit iſte error his, qui ſequuntur Euclidis ſcitum, quia nunc, ideſt poſt Euclidis fcripta uniuerſaliter demonſtratur, hoc eſtmo:. dusiftearguendi primo per fequantitati conuenit, quægenuseft ergo üniverſale adomnia quanta, hæc autem eſt mea interpretatio, uera og germanaipſi Ariſtoteli, ut etiam ipſe ſuis uerbis manifeftat Text. 93. ubi apertißime declarat propoſitum. Propter hoc nec fi aliquis monſtret, unumquēque trian ĝulum demonſtrationeaut una, aut altera quod duos re čtos habet unuſquiſque Iſopleurus feorfum et Scalenon,& Iſoſceles, nondum cognouit triangulum, quòd duos rectos habet, niſi ſophiſtico inodo,rieque uniuerfaliter triangu huum,ne quidem fi nullus eſt, pręterhæc triangulus alter,no enim fecüdum quod trianguluseft cognouit,neque fi om= nem triangulum,ſed quatenus ſecundum numerum, ſecun dum autem fpeciem no omnem, et fi nullus eſt, quem non nouit. Non eſt ſurdaaure pretereundum artificium fummum, quod in hoc exemplo Ariſtoteles docet, fcias hoc exemplo de triangulo, comple &ti duos errandi modos, vel facerepro duobus modis, errandi, ſecun Gij sa IN PRIMVM: LIB. do, atque tertio, cum primum defingulo modo, fecundo &tertio, fe. paratim exempla aptißima e peculiaria pofuit, ftatim attulit aliud exemplum utrique, ſecundo uidelicet,atque tertio modo feruiens, Com. poſitiuam methoduin etiam in exemplis feruauit. Littera autem per particulas, ſic declaratur; inquit enim, demonſtratione aut una aut al tera; una enim demonſtratione numero fieri-non poteft, ut deIſopleuro folcele, C Scalenone, concludatur quod tres equales duobus reftis habeat, uia igitur fpecie demonſtratio erit, qua de his tribus triangu lorum fpeciebus demonſtrabitur, quod tres habeat æquales duobusree Atis, ideo dixit Ariſtoteles demonſtratione aut una aut altera; ac fi dices ret pluribus numero demonſtrationibus, de tribus ſpeciebus illis cons cludi, quod tres duobus rectis pares habeat hæc autem demonftratio, nullo modo intelligi potest, quòd fyllogiſtica ſit, quia tuncmaior pre. miſſa acciperet de uniuerfalitriangulo, quod haberettres equales duo bus reftis,ſic fyllogizando, omnis triangulus habet tres angulos æquam les duobus rectis, ſed Iſoſceles, uel Iſopleurus, uel Scalenon, eſt triangulus, igitur foſceles, uel Iſopleurus,uel Scalenon habet tres, æquales duobus rectis, Sic igitur fyllogizando uel particulatim abſque illo diſiunto, fed uno tantum affumpto triangulo, non ne, ſcio de triangulo uniuerſaliter, in maiori aſſumpta quòd triangulus habet tres æquales duobus reftis? quod e diametro opponitur ei quod Arift. ait,ut et fi de Iſopleuro, et cæteris fciuero,quòd habeat tres æquales duo bus,nondūſcio de triangulo,niſiper accidens,per accidés dico quatenus in ferius omne, ſuperiori accidit,modus igiturilledicendi, quein uidentur omnes latini atque greciſequi, non poteſtſtarecum Ariſtotelis ſentena tia, quia iam priusſciretuniuerſale in maiore fumpta et per uniuerſale in cognitionem particulariñ deueniretur,qui error non eſt, ſiquis autem di ceret, ut fic intelligi debeat demonſtratione,aut una fyllogiſtica, aut alte ra Geometrica, dico quod nullo modode ſyllogiſtica poteft intelligi, quia ſequeretur idein incommodum eo modo arguendiſyllogistice,contra dos Arinam ex litteram Aristotelis, ut fupra dixi, quia tunc per cognitio nem uniuerſalis deueniremus in cognitionem particularium quod ex ſi id uerum ſit, modusquo ipſe textu Il docet, quo modo de nouoſci mus,non hoctamen in hoc textu pertractat, ſed agit,hoc textu,& in hoc, exemplo, de errore, qui opponitur uero modo ſciendi,onon de mo: do, quo de nouofcimus quippiam. Niſi quis de ſyllogiſtica demonſtratio neintelligensafingularibus ad uniuerſale progredereturfic, omnis 1 / 0 POSTERIO RVM 'ARIS T. ſceles habet tres equales duobus rectis,fed triangulus iſoſceles est, igis tur triangulus habet tres duobus rectis pares, &de alijs fpeciebus limie liter, et tunc fciret iste ſecundum numerum i particulariſubiecto I fofce le ad uniuerfalem triangulum progrediendo,quod no diſplicet, et ſic una fpecieſyllogiſtica concluderetur de uniuerſali per particularia, uel etiã altera,nempe Geoinetrica. Pro cuius ellucidatione, eft fciendun; ultra ea, quæ de Geometrica demonſtratione dictum eſt in textu tertio, quod Euclides ſecunda parte trigeſimeſecunde primi Elementorun demonſtrat quod triangulus qua. tenus triangulus est, habet tres angulos æquales duobus-rectis, fi quis modo, utcunque intructus bonis litteris (non dico Ariftelis deuoratos, res uel potius carnium «acephalorum ſeptem, unis bycis uoraces, quiafi uerbauinitateplena habeant non tainen Aristotelis do& rinam tenent,quam falſo profitentur)iſus fuerit illa. demonftratione oſtendens de 1fofcele, quòd habeat tres e qualesduobus reftis per decimamtertiam O vigeſimumnonam primi Elementorum, aut altera numero, eadem ta menſpetie de Iſopleuro et Scaleno.ne idein oftendat, ita quòd de ſingus lis trianguloruin þetiebus inducat, quod habeat unaqueque ſpecies triangulorum tres equales duobus, nonduin cognouit inquit, triangus lum quòd duobus reftis æquales habet, niſi ſophiſtico modo, neque uni uerſaliter trianguluna effe huiufmodi, ne quidein fi nullus eft, preter, hec, triangulusalius, non enim quod triangulus eft huiufmodi cogno uit, nequeſi omnem triangulum, hoc habere contingut, utputs duobus reftis æquales,ſed quatenusfecundum numerum, ideft fecundum nume rumfpetierum triangulorum, ſecunduin autein fpetien, in uno uidelicet uniuerfali, non omnein ca ſi nullus eft fecundum ſpetiem, id eſt ſe cundumnumerum trium triangulorum petieruin, ſeparatim,quem non nouit. Erraret igitur duplici errore ille, qui putaret eße unia uerſale fubie&tum, et totum, id quod effet particulare fubieétum, parsfubieétiut, quia tunc acciperet in parte totum, id eft partem, to tum effe exiftimaret. Si autem triangulus immaginetur faluari in unica tantum fpetie, ut in iſoſcele, tunc exemplum intelligatur, aptari feo cundo modo errandi tantum, non etiam tertio. Vides igitur amice, quod Ariſtoteles modos tres attulit errandi circa uniuerfale,quorum cuique proprium, &peculiare exemplum aptauit. Neque legas poſt hac lyaliquando, prominus exacte, nequely nunc,pro exacte ita,ut neutrum,tempusſignificet, fed utrunque temporaliterlegatur, neque 1 i IN P R I M V M L I B. legendum eſt ly nunc pronon, ut quidam, qui nullus homo est facit. Ad id autem quod Ioannes de Gorgia tetigit, aie quod quantitas, natura ipſa, qualitatem precedit, fic ut quantitas, fit prior ipſa qualitate non dico tempore necetiam natura ſed ordine, oid quod propriumquan titati eſt prius est proprio qualitatis, fimiliter et modi,quiſunt ipſiquãti tati proprij, ut eſt proportio, et modus arguendi, qui dicitur permu. tata proportio, funt hæc quantitati propria oſibi primo conueniunt, deinde etiam qualitatibus ſecundario « improprie attribuuntur. Quem admodum etiamSyllogiſmus, qui omnibus philoſophiæ partibus eft com munis per attributionem, de eo tamen primo oproprijsſime Logicafa cultas agit, quòd ſi ſubſtantijs quantitate prioribus, quis tribuat come mutabiliter proportionari, tunc uniuerfaliter reſponde, quod omnibus entibus poteft attribui commutabiliter proportionari improprie tamen, oper quandam attributionem fecrındariam, quatenus omnia entia,has bent quantitatem molis, aut uirtutis in ſe,o ſic Plato attribuit in Gori gia commutabiliter proportionari illis qualitatibus improprie, opro ut ille qualitates includunt quantitatem uirtutis, quæ funtgradus pera feftionis. TE X. XXIX. ALIAS XIIII. VANDO igitur non nouit uniuerſaliter, et quando nouit fimpliciter, manifeftum eft utique. Quoniain, li idem erit triangulo eſſe et Iſopleuro, aut unicuique,aut omnibus fi uero non idem fed alteruin et cætera. Littera ſic exponatur, fi eadem deffinitio quæ trianguli est, cſJet ipſius etiam Iſopleuri propria o peculiaris, aut unicuique 1fos pleuro iſoſceli o Scalenoniſeparatim, aut etiam omnibus fimul in com muni à quanon ſit alia deffinitio ipſis conueniens, ſi uero non idem, id est finon est eadem unica deffinitio, quæ bis omnibus æque primo conue ! niat, fed alterum, id eſt diuerfum nempe deffinitio trianguli est figura tribus lineis rectis claufa, fed iſopleurus est figura tribus lineis rectis æqualibus claufa, iſoſceles est figura tribus lineis duabus nanque æquae libus, una inequali claufa, gradatus eſt figura tribus lineis inæquae libusclaufa, ecce modo, quàm diuerſa ſint deffinitiones, fi ineſt igitur tres habere his omnibus, hoc quidem eft unicuique, fecundum quod eſt triangulus, uelfecundum quod eft figura tribus rectis claufa, o non POSTERIORVM ARIST. has pro eta quia illis lireis equalibus, uel inequalibus claudatur. Vtrum autem fecundum quod eft triangulus, aut fecundum quod Iſoſce les infit, et quãdo ſecundum hoc, eſt primun, &uniuerfale, cuius eſt demonſtratio, manifeſtūeſt, quando remotis infit primo,ut Iſoſceli, æneo remoto,triangulo infunt duobus rectis pares, fed æncun eſle remoto, &Ifoſceli etiam remo to infunt tres duobus rectis pares, fed non inſunt tres duo bus rectis pares figura et termino remotis, quia etiam ipfis inſunt duobus rectis tres æquales, fed eis non primo, ut fi gura que clauditur termnino uel terminis, quo igiturprimo reinoto, cui priino conuenit; remouetur, et habere tres, fi itaque triangulus remoueatur, remouebitur et habere tres duobus rectis pares, et ſecundum hoc igitur, id eft few cundum triangulum ineſt, et aliis per ipſum et huiuſmodi trianguli uniuerſaliter eſt demonſtratio. Littera fic ordináta, artificiun Ariſtotelis est conſiderandum, in hac regula, quam prebet ad cognofcendum, quando erit uniuerfaliter demonſtratio, ego exem plum eft contraſecundum modum errandicirca uniuerſale,ſic,utſeruans hanc regulam,non errabitſecundo modo errandi circauniuerfale,& pri mo,remotis accidentibus indiuiduorī,utremoto ere,non remoueturaf feétio uniuerfalis ut habere tres duobus reétis pares, as enimfeu aneum effe,non conuenit fpeciebus triangulorum, niſi quia indiuiduis triangulis conuenit remota,fubinde fpecie trianguli, ut Ifofcele remoto, non pro pterea remouetur affectio uniuerſalis, quæ eft habere tres duobus reétis pares, quia in alijs fpetiebusſaluatur natura,cui primo conuenit habere tres,ut in ſopleuro,e Scalenone ſaluatur naturatrianguli,cui prinoco uenit habere tres,tertio remouet genus ad cuiusremotionem remouetur villa affeétio,ut remotafigura, &tres habere duobus re &tis pares remo uetur, Quarto cultimo remota deffinitione generis, ut remoto termino figura enim eſt, que termino uel terminis clauditur, remouetur og illa affectio ſed non primo, primo enim conuenit ipſi triangulo, triangulo igitur remoto, statim remouetur et illa affectio, habere tres duobusre Atis pares, demonftratio igitur qua concluditur quòd triangulus habet tres angulos equalesduobus reātis, eft uniuerſaliter. et eft Te i IN PRIMVM LIB. TEX. XXXVII. ALIAS XX. Pro quo VORVM autein genus alterum eft, ficut Arithmeticæ, et Geometriæ,non eft enim Arithmeticam demonftrationem accom modare ad inagnitudinum accidentia niſi magnitudines numeri fint. Gnarus Ari ſtoteles Geometrie et Arithmetica non dubitanz do loquutuseft inquiens,niſi magnitudines numeri fint, fed fuæ regulæ uniuerfalis exceptionem faciens, niſi inquit magnitudines numeri ſint. aduertas magnitudines nunquam fieri numeri nifi numeri nuo merati, o adhuc numeri illi numerati non fit diſcreta quantitas, ſic ut illinumerati numeri, non copulentur ad aliquem communem terminum, ſicut numeri, ofillabe, no:1 ad terminum copulantur communem,fed ad comunem terminum copulantar ille magnitudines que numeri funt per folum tamen intellectum à fe inuicem feparatæ intelliguntur ille quidem magnitudines quæ numerati numeri,Sunt non quod intellectus aliter quã ſint, eas percipiat oppoſito modo, fed eas tantum conhder atparticunt Latim, no intelligendo eas niſi priuatiuenon effe coniunctas,non tamen in telligendo eas negatiue, non effe coniunétas, ut pro exemplofufcipiatur id,quod Euclides proponit propoſitione quinta deci f mi Elementorum commens ar d ſurabiles magnitudines,ad inuicem rationem habent quam numerusad numeră be cuius deinonftratio talis est. Sint due inagnitudines a b communicantes, dico quod earum pro portio eft,ſicut alicuius numeri ad alium numerumfit enim maxima quan titas c cõmuniter menfurans a ®b, reperta ut docet xiij. Elementorum quæ inenfuret a fecundum numerum d, o b fecundum numerum e, erita; a ad c, ut d'ad unit atem eo quod ſicut a eft multiplex Citad eſt multiplex unitatis, at c adi b, ut unit as ad e, quoniam ſicut c eft ſubmultiplex b, ita unitas eſt ſubmultiplex e, igitur per aquam propor tionalitatem a adb, ut d ad e quod eft propoſitum, Ecce quod f linea fecans a lineam in puncto F, non ſeparatprima partē linet a, à fecunda parte CH POSTERIORVM ARIST. st n parte linee a, quis, punctus copulansprimam partem lineæ et cum fes cunda parte, manet idem, immo eſt communis punétus &ipfi lined a et ipſi f, intelle &tus tamen intelligit primam, atquefecundam partem li nea 4, abſque quòd conſideret,ut ad comunem punétum f copulentur. Ecce uides quomodo Euclides utitur medio Arithmetico,ut puta nume ro in constructione, «æqua proportionalitate ad probandam affeétio nëdemagnitudinibus, In vis uel 1 x propoſitione decimi utitur uns decima octaui, tamquam principio Arithmetico in concludenda affe ftio ne de magnitudinibus, hocfepißimefacit in toto decimo libro Eles mentorum Magnitudines, numeri funt, quando ille habent communem menfuram qua communiter dimetiantur, diameter igitur quadrati, Oſuacostanunquam funt, neque dicentur quod ipfæ numeriſint,de ma gnitudinibus etiä que numeri ſunt trattat Euclides in ſecundo Elemento rā à prima propoſitione ufq; ad undecimãexclufiue, Ecce quo pacto utis mur arithmetico principio,circa Genusgeometricã, quod græciala - tini non aduertentes prætereunt exponentesregulam Ariſtotelis uniuerfaliter, quãipſe uult intelligi cumparticula exceptiua, In hac parte ex= ponenda Aueroesimperitißimusfuit, ita utſua littera e directoſit con tra Ariſtotelis fenfum, inquiens &propterea demonſtratio, quæ eft de queſito computatiuo, non poteft trăsferri in aliam à computatiua,quem uirum clarißimum non miror, ſimendacium hoc dixerit in ifta re parut ſed magis,eum admiror quòd cum aliàsdiſciplinas mathematicas inuen taspropter ingenij exercitationem, &quia etiam philofophus dixerit eas puerost adipiſci, ipſumuero Aueroin,neque pueritia,necſuafeneétu te eas fuo ingenio intellexiſſe, niſi dixeris, quòd ipſe elleuatus in eſtaſi intelligebat omnia per intellectum in actu, quo multa peruerſo modo,e ordine intelligebat ſicut quædam fui fequaces Aueroico uerbo cupientes Aueroiſtas dici, ignorantes tamen que Ariſt. mathematicis explicanda propofuit, de quo intellectu poßibili, qui nihil eft eorum quæ uere ſunt ante quam intelligat,utproponit philoſophus,aliquando aperiam,quòd non de ſeparato illo chimerico intellectu ex littera cmente Aristotelis, debemus intelligere,ut quidã Aueroiſta perperăget fequaces peßime in= terpretantur, pertranfeo tamëhæc inpræfentiarü,et quia non eft hiclo cusdifferendiillud, et utfic docentes falfo,reſipiſcăt, et ueritatem Arifto telicăianiam incipiãt et intelligeret &alios post millenos annos docere. Hoc autem quemadmodum contingit in quibuſdam, po fterius dicetur. littera fic intelligi debet, magnitudines quando ſint 1 1 H S8 IN PRIMVM LIB: 3 numeri in quibufdam,nempein temporibus, ideft quádo ipfa tempord, ut numeri concipiuntur, Poſterius dicetur,ut in libris de philoſophia et de anima.Hoc loco habemus artificium ab Ariſtotele, quoGræcorumexpo fitorum abufius mille,o latinorü millies millena millia errorum cognoſci mus,De interpretibus uero noſtri temporis,ſierrent,non dico,fed intelli gas uelim, ut quot uerba proferunt, tot mendacia contra Ariſtotelis or dinem ýmethodum committunt. Quis enim legit Grecos, Latinos, o noftri temporis expoſitoresAriſtotelis, non uideret conſiderauerit, illos ſepe, et fepe fepius adducereloca odoctrinam datamin philofo phia uniuerſá, in libris de anima, methaphiſicis, pro declaratione lo coruin logices, quis modus iſte obfcuritatis eſt, per ignotißima declarda re ea, quæ aliquo modo ignota funt? eper ea quibus accommodantur principia, ipſaprincipia uelle declarare, oper poſterior aignota decla rare ipſum prius, ſic utfupponant iſti declaratores,hominem eſſe philoa fophum, animaſticum, et methaphiſicum antequàmfiat logicus,utille no Ater bonus homo docebat, quòd Ariftoteles attulit tria exempla in fecun do textu,in tribus ſcientijs,ut ibi notaui ha,ha,pereat modus iſte contra Ariſtotelis doctrinam,qui poftquàm exceptuationem uniuerſalis regulæ fue fecit, inquit, hoc autem, quomodo contingit, posterius dicetur, fic ut id,quod inphilofophia dicit, nonreuocetin logicis declarandis, fedt diuerſo,exceptione qua in hoc locofacit,Pombaur tanquam nota in philofo phia, ut ex notis ad ignota o utex uniuerfali ad particularia tēpora procedat,perfuadeturigitur illa exceptio exx. libro Elementorū ut des claratum eft, et non ex philofophiæ locis, vt proMilanius utpúta ex his, quæ in Geometria notafunt, ad ea declaranda, quæ inlogicis traa et antur, ut uera methodo, à notis diſcuramus adignota, fed fi idem in theologos ſacrosobijcias, qui indiſcriminatim ad declarındas theologia cas queſtiones loca uniuerſalis philofophiæ adducunt, igitur ipficra rant,refpondeo, In thcologia cui omnesſcientic &tota uniuerſalis phi lofophia ancilantur tanquam ſcalares gradus non inconuenit philofoe phic eliberalium artium theoremata adducere, quia proceditur à nos tis ad ignota declaranda. Ita ut ultra modum quo intelligimus Sacran do&trinam per reuelationem, ſunt quidam alij modi intelligendi, ſuppoſia ta tamen reuelatione primo, unus eſt modus deuotionis fpiritalis, quo particulariter dominusfuisfanétis, licet alias indoctis tribuit intelligere, ut Petro intelligebat ea,quecontinebantur in epiſtolis fratris noftri Pau li, quæ indocti deprauant ad fuum fenfum, non intelligentes, Alius mo POSTERIORVMARIS T. 0 4 Ac LE FO r dus intelligendi facras litteras prouenit ex ingenij uiuacitate tantum, qui modusmultas hærefes attulitfidelibus. Tertius eft modus intelligendi beneficio naturalis philoſophic, &hic etiam decipit innaniterfideles nis fiunctione fanétifpiritusmoliaturfua duricies, hoc quidem tertio modo non intelligit aliquis facras litteras, niſi inſtructus illis difciplinis, que precedunt ipfam reginam theologiam, valeant igitur, eantuna oma nes ad olas carnium, nonadScotia Thome libros, qui, his artibus &philofophia non callent, non peccant igitur Theologitertio modo di di, copeccato, quo multiGræci, Latini, &præfertim noui interpretes in Ariſtotelem peccant,confundentes docendi ordinem. Videtur hæc ex poſitio, Ariftoteli oppugnare, ubi inquit Ariſt. pofterius dicetur, ut in libris philofophiæ, dixi tamen ego ex decimo Elementorum. Dico Arie ftotelem promittere quomodo continuum diſcretum căcipiatur, fed Eye clides quo modo per principium Arithmeticum de magnitudineaffeflio demonſtretur atq; concludatur. • Ex codem enim genere cft, extrema et mcdia eſſe, fi namqucnonfunt per ſe accidentia erunt, propter hoc Geo metrię non eft demonſtrare, quod contrariorum eadein eſt diſciplina, ſed neque quòd duo cubi ſunt unus cubus, ſit heclitteræ expofitio, ut media oextrema debeant effe eiufdemgeneris, media intelligas, feu in conſtructione medium, ſeu medium ad probadum, quod eft, aut principium, uel etiam propoſitiopredemonftrata,que fus mitur ad probandam aliam, propofitionem; extremorum autem nos mine (ubiait extrema) intelligende funt ipſa concluſiones, utfitfenfus facilis, premiſſão concluſiones ex codem genereeſſe debent. Sed ne que quòdduo cubi unus cubus fit, Quomodounus tantum cus buserit,cum duo fint?duo prius feparatim erant,quiſi in unum redigan tur, unum tantum efficiunt,ut due lincæ etiam una linea tantum efficis citur, utdocet XIIII primi Elementorum xxx ſexti Elementos rum,vltra aduertendum quod cötrariorum cadem eſtdiſciplina,ſed hoc non probat Geometra ſimilitcr duo cubiunus cubus eft,quod etiam Geo metra non probat, his habitis odeclaratis., ſtatim perit declaratio. cus iufdam philoſophi noui qui maiorigrauitate quàm pondere utitur; dicit enim illa ſua innani interpretatione, duo cubi in Arithmetica non faciunt ynum cubum, quod eft di&tu, quod duo cubi numeri nonfaciunt unum cu bum numerum,ifta interpretatio opponitur littere Ariſtotelis; li ttera anim affirmatiuc loquitur, quòd duo cubi unumfaciuntcubum,oiſte no ни ex 46 in is hi De IN PRIMV M LIB. ) uus philofophus exemplificat negatiue, quo mododuo eubi non faciunt unum cubum; reiciatur igitur ſuainterpretatio, et Philoponi expoſitio ſuſcipiatur, quæ hoc in loco fatis conſiderata eft, atque docta;Ratio enim quare non demonſtrat Geometra,quòd duo cubi unum cubum far ciunt, eſt quia non uerſatur Geometra circa genus folidorum, ut circa ſuuinſubiectum, fed uerſatur tantun circa planorum genus, ut circa proprium ſubiectum, Stereometra autem habet demonſtrare, quod duo cubi adinuicem aditi cubum unum cõficiunt, ut ftatim explicabo inferius, cum de duplatione are delorum, et in fragmentis logicis de triplatione, quadruplatione, quincuplatione, fexcuplatione, eptuplatione, es dein ceps demonſtrationes fecero. In qua re ut Ioannes refert Apolonij peri gei talis eft demonſtratio ab innumeris mendis purgata, opermepri ſtino candori redita cum Euclidis propoſitionibus in locis fuis,utdecet appoſitis, ac ſiab Apolonij manibus nunc procederet. Pro cuiusdemonſtrationis notitia, aduertas quòd Art Delio Apoli ni dicata, eſto ſiuis ut trium eſſet pedum, quando Apolo imperauit dea lijs peſte laborantibus, eiuſdem Are duplationem, qui Geometrie impe riti (ut peneſunt in preſentiarum omnes totius orbis Gymnaſiste )adide runt alteram tripedalem Aram prime are, etſicturbata,atý; corrupta forma cubica are primæ,dederunt are duplate formă trabis, fic ut fex pedű extendereturlongitudine, latitudineuero et craſitie trium pedum extenſa eſſet Ara, forma in qua complacebat Apolo deperdita,fþreti igi tur propter hoc delij ab-Apoline, et graue peſte adhuc laborantes, ad Platoně confugerunt,qui eos redarguens, utGeometric imperitos tana dem eos adhuc dubios reliquit dicens eis, ut duas lineas medias inter exa tremas inuenirentſecundum eandem proportionem continuam. Et tunc ſcirent duplare Aram, formam habětem cubicam, In qua re plurimigre corum laborauerunt tandem unus Apolonius perigeus, duas inuenit lia neasillas medias Oſummo artificio duplarunt Aram delij,fubinde ad peſte quieuerunt. Dátis igitur duabus lineis inæqualibus, quarum altera ſit longitudo Ar et primo fabricatæ triumpedum, fecunda uero lineaſit ed, que deno tet longitudinem trabis quamcompoſuerunt delij, &eſto pedum fex,ina ter has duas reperiendæ funt duæ alia medie in continua proportionam litate,quod in numerisfieri neutiquam eſt poßibile, fint igitur duæ data, primafit b c, quæ erat longitudo prime Are, e a b.longitudo tras bis, &ponatur per undecimam primi Elementorum uel per uigeſima POSTERIORVM ARIST. tertiam eiufdem primi, ut rectumangulum contineant,eum uidelicet qui füb a b c o compleaturparallelogrammum bd; per tertiam atque tri geſimamprimam primi Elementorum;qg diameter ipſius per primum po ſtulatum primi Elementorum ducatur a c o circa triangulum ac di per quintam quarti Elementorum deſcribatur circulus a d.c, os produ catur linee b a,b c, per fecundum poſtulatum primi Elementorum in directum ufque ad fe 8,0 per primum poſtulatum coniungan tur f &, per lineam f g tranſeun b tem per punétum d, ita ut fe, æqualis fit lineæ e g, hoc enim tan quàm petitum ſummitur indemons Äratum. (De quo, forſan poſterius noſtra palade non nihil dicetur) ma nifeſtum utique eſt, quod ex fe æqualis eft ipfi dg per hipoteſim, @primam animi conceptionem. f a f 6 f 6 6 G gд g fil 6 g ď 6 6 egg f fa d Б6 c 1M14 8 с C f f a d AB Xa -f MC À с a TE lik mo Ma Quoniam igitur extra circulum a dc punctum fumptum est feab ipſo dufte linee rette f b, feſecant circulum ad punéta a v d, quod igi tur fit ex bf in fa, per trigeſimamquintam tertij Elementorum,æqua le eſt ei, quod fit ex ef, in fd, ac eadem ratione, &quodfit ex b et in c g æquale est, ei, quod fit ex dg ing e, aquale autem eft id quod fitex dg in g e, ei quodfit ex e f in f d, utraque enim utrij que equales funt, e f ſilicet ipſi d 8, og f d, ipſi eg, igitur, ego quòd fit, ex bf in fa, æquale eftei, quod fit ex bg ing c, eſt igitur, 62 IN PRIM VM.; L 1 B. ut fb ad b et perfecundam partem decimequinteſexti Elementorum, ita g c ad f a,fed ut fb adb 8, fic es fa ad ad per iij.fextiEleé mentorum, igitur per xi. quinti Elementorum g c ad f a,ut f a ad ad, fimiliter per eandem xi. quinti Elementorum, ut dc adc 8, fic cg ad fa, quia utraqueeft,ficutea, que est fb ad b 8, altera per fecundam partem xv. reliquaper quartam fexti;ut d.c.ad cgpro pter fimilitudinem triangulorum, est autem dcdqualisipfi ab,04 d, ipſi b c per xxxiij. primiElementorum, igituraut ab ad cg ita f a ad ad, erat autem, out f bad bg, ideft ut a bad c g,fic cg ad fa, igitur out ab adog, fic oipfacg.ad fia, o ipſa fid, ad b c, quatuor igitur rectæ linea 46,8c,fa,bc, inuicem prom portionales funt,o propter hoc erit; uta bad b c, ita quifit ex 4 b cubus, ad cubum, qui ex g cega qui ex g c, ad illum qui fit ex f a, e qui ex fa, ad illum qui ex b c ex corrolario xxxiij. undecimi Elementorum, igitur ut a b ad b ©, ita cubus quiex f a ad cubum qui ex b c, fed a b dupla fumpta fuità principio, ipſius b.c, eft igia tur cubus, qui exfa, duplus ad cu bum, qui ex b c, quod demon - g strandum errat. Berlin. g c.8 F G f 6 f 6 6 a. 6 6 G 8 6 g ggġ Ġ gofa dic figffa d. o ga a 6 2. BВ POSTERIORVM ARIS T. Eleg TEX. XLI. VEL XXII. F G ta 16 ORVM quæ ſæpe fiuntdemonſtrationes funt et fcientiæ, ut lunæ deffectus, Quee dam noua queſtio à quodam nouo interprete moues tur, circa particulas in textu poſitas, unde eft, quòdfæpefiat demonſtratio of ſcientia de lune men ſtruo? Cumſit, quod luna nonſemper, nequeſe pe eclypſetur, neque meſtruum patiatur? Queſtio mota fuit ex dus plici ignorantia queex duplici menſtruoſitate contingit, uidelicet Solis Lune, quia ille, qui eam mouerit, neque in die, neque nocte uidet, quid uelit Ariftoteles, ſi tamen alta uoce Ariſtoteles streperet in huius doctoris aures, hoc apponeretforſan miringam, ſın ditë, ſurdus ipſeerit ideo ille bonus homo,qui quidam homo erat,fed nunc nefcio an aliquis ho mo ipſe ſit, monſtruoſamde lunæ menſtruo folutionem,uel potius ligas mina tribuit auditoribus centum. Videas, ſepeenim inquit nofter nos uus interpres, fit Lune eclipſis, quia quandofit,tunc orientalibus quar ta hora, occidentalibus autem hora tertia, magis autem occidentalibus hora ſecunda noctis &alijs etiam ad indos magis tendentibus prima non et is hora apparet luna menſtrua:a, ecce inquit ille interpres do&tus,quid ſepefit, ut puta intot horis noftis, utfecunda&tertia atque alijs plu rimis. Quemirabilis doctrina @ſcientia, in dialogis &fabelis, quas apud ignem raulieres habentreponenda magis, quàm àuiro quoquo moa do etiam docto redarguenda eft, uel etiam à quouis audienda. Litteraſic ordinetur, eorum demonſtrationes et fcientia ſunt, eorum dico, que fæpefiunt. Dico igitur lunc deffe tusſæpe, atque ſemper fieri in plenie lunio, quum terra diametraliter ponatur inter Solem Lunam, quod quidemnon in omni plenilunio contingit, fed cum sol in capite, et Lue na in cauda draconisfuerit, quod Plato explicans ait linea re& ta eft cu ius medium obumbrat extrema, quamfententiam non intelligens quidam alius potius paraſcitus quàm doctor, &ille est, quem ſuperius dixi hae, bere grauitatem maioren, quàm pondus, redarguebat in quodam cons uiuio deffinitionem quam Paduano Gymnaſio in primis meis le &tionibus publicis dederam, explicans deffinitionem lineæ rectæ, que eft, à pun Ao in punctum breuißimaextenſio, aut cuius medium ex æquofua inter 1 incet ſigna, hoc eft, cuius medium non reſultat ab extremis, ſic explis IN PRIM VM LIB. cabam per fenfitiuam et materialem lineam, ut facilius ipfa Geomes trica linea à tirunculis intelligeretur, linea recta eft, cuius medium non obumbrat extrema, neque eſt hæc mea explicatio rectæ lineæ, Contrda ria illi à Platone datæ, cum hæc in Geometria, illa uero Platonis in Aſtronomia accomodanda ſit, neque in hoc ignofeendum erat, quia igna rus Grecarum litterarum eſſem, ut ille efuriens greculus non lingua ne que natione, fed apparentia tantum, Tipto propter tiptis duo agebat dicens mefalfam le&tionem Latinam vidiffe, qua legeram in Platone, lie nea recta eſt cuius medium non obumbrat, cum Græcus textus, affira matiue legatur fic cuius medium obumbrat extrema, mitto hæc in Cora bonam, oad propoſitum à quo uidebar digredi redeo, Cauſis igitur illis commemoratis concurrentibus, femper et ſaepe fit Luna defectus, de qua Luna menſtruata habetur ſcientia, per medium illud, quæ eft ter re interpoſitio inter Solem atque Lunam diametraliter, que cauſa pro pria, et propinqua eſt ad Eclipfim de Luna concludendam, modo anfe pe fiat demonſtratio uelfepe habeatur fcientia de Eclipſi Lune, hoc non tangit Ariſtoteles., quia ly ſæpe eſemper, non determinant ly demon ſtrationes, olyſcientia,fed determinantlydeffe &tusLune; illis igia tur cauſis contingit Luna deffeétus fæpec ſemper,non autem illis quas commemorauit ille phantaſticus, ſecunda uel tertia hora noétis. TEXTVS XLII ALIAS XXIII. VONIAM autem manifeftum eft, quod unữ. quodque demoſtrare non eſt, ſed aut ex uno. quoque principiorum, fi id quod demonſtra tur, ſit,ſecundum quod eft illud, non eſt ſcire hoc quidem fi ex ueris et indemõſtrabilibus monſtretur, et inmediatis, eſt enim ficmon, ſtrare, ficuti Briſon Tetragoniſinum,per commune enim demonſtrant rationes huiuſmodi, quod et alí ineſt, unde et alíjs conueniunt hæ rationes non cognatis, Quicquid anti qui dequadratura circuli fenferint, dicam quid fenferim ego, habita prius notia littere, &cognito textusſenſu, li ex ueris premißis, oins demonſtrabilibus, immediatis, fiat demonſtratio, non autem fiat ex præmißis proprijs, opeculiaribus illi generi,de quo fcientia queritur, ex illa demonſtratione per talia principia primadi&ta non habeturſcien tid POSTERIORVM ARIST. 6 tla,immoneq; illa erit demonftratio, quia per principia fieret talis pros ceſſus, que non tantum arti Geometrie, fed alijs difciplinis accommo dari poffunt, quo errore Brifo.crrauit tentans reducere aream circuli ad figuram rectilineam quadratam, quæ t alia erant principia datur max ius, datur minus, igitur datur æquale, quidamſciolus laborat, ut hæc principia uniuerfalia,propria fiant ipſiGeometric,dicens,daturquadra tum maius circulo, datur quadratā minus circulo, igitur datur quadras kun sequale ipſi circulo, et gloriaturinnani, et hoc fuum chimericâ con tulerit cum yno do&tißimo huiys noftri Gymnasij, qui non folum perfua fionemualidam, fed et demonftrationem eam effe affirmauit; fcito enim, quòd os folidis, e linels, o numeris coaptatur iſta dedu &tio, ut datur numerus maior denario eminor denario, igitur datur equalis nume rus denario, es ſic in alijs plurimis, dico tamen quod huius fcioli do&to ris contra tio in propoſito nulla eft ad oſtendendum intenti, quia ultra quod Briſo errans,proceßit per comunia principia,errauit etiam errorç peßimo in conſequentia,ut ex his quæfuperquintadecima terty Elemen torī Euclidis demonſtrantur &fuper trigeſima ciufdem,Ariſtoteles au tem folum redarguit ipfum in co, quod egit contra regulam de proprijs principijs,quicquid de confequentia fitprætermittens tanquam non res Marguendum, ut oppoſitum ſuedat& regul«. De quadratura, errore Brifonis, Anthiphontis, Hipocratisc Boetij atque iuniorum trattabo in fragmentis mathematicis ſuper live bro pofterioruin. TEXTVS XLV ALIAS XXIII. ED demonftratio non.conucnit in aliud nus, aliter quàm ut dictum eſt, Geometricæ in mechanicas, aut perſpectiuas, et arithme ticæ in harınonicas. XXXVII textu determis nauit Ariſtoteles quòd ad Geometram non pertinet de BRAVAS PRINT monſtrare quod duo cubifaciant unum cubum, ratio, ut ibi declarani aßignabaturquia Geometra O stereometrauerfantur cir ca diuerſagenera, alter circa planum, et reliquus circafolidum, hoc au fem textu dicit, quod geometrice demonftrationes conueniunt in genus mechanicum, ait enim geometrice in mechanicas, pro qua apparenti contradictione, eft aduertendum quòd Stereometrica per principia Gear I IN PRIMVM.LIB. metric probantur quia in terminis corporis, qui ſunt ſuperficies, ille geometricæ demonſtrationes attribuuntur, ideodemonftratio Geometri ca hoc modo in mechanicas,conuenit, o ſinon fint circa idem genus, necfubfe inuicem diſcipline. TEXTVS XLVI ALIAS XXIIII. VID quidem igitur fignificent, et prima, et quæ ex his funt, accipiendum eft, quòd au: tem ſint principia quidem, eft accipere, Alia uero demonftrare, ut unitas, et quid rectum, et quid triangulus,effe autem unitate accipe re et magnitudinem,altera uero demonftra re. Dedatoibi quid fignificent de dignitatibus ibi et priina. De que fito ibi, et quæexhisfunt. Exempla omniafunt in boc textu dedato; primum eft in decimaſextaſeptimi elementorum ubi de unitate,que ſe ba bet ad aliquemſecüdum numerum, ficut quilibet tertius adaliquem quar tum,concluditur q, ipſa unitas, itafe habebit ad tertiã numerum, ſicutfc cãdus numerus ad quartum,fecundã exemplum eftde data linea in prima propofitione primiElementorum,de qua demonſtratur quàd fit æqualis, welminor cæterisduabus lineis re&tis continentibus,Iſopleurum, uel ifo feelem, uel Scalenonem,uel etiam exemplum hoc apparet indecima pri mi Elementorum ubi concluditur de linea recta, quòd ſit biffariamfe &ta, Tertium exemplum de dato, eſt in xxx 11 primi Elementorum, ubi de dato Trigono concluditur. habeat tres angulos duabus re&tis paresnon tantum, quid ſignificentoportet preaccipere, fed etiam iſta effe, vt tan dem de dato nonfolum quidfignificet, quod etiam eſt queſiti,preaccipes re, fed eo quidſignificet effe, vtrumque fupponendum ſit (licet non femper,)ut quid ſit unitas,et unitatem effe,quemadmodum ſecundo textu predocuit Ariſtoteles, uerbum hoc, magnitudinem, intelligendum eſt, rectam lineam,ut decima primi elementorī,et triãgulum,ut trigeſima ſe cīda primi elemétorum,quem triangulum,et reetū, explicite protulit ab unitate,inquiens alia uero demonſtrare, ut quid unitas, quid rectiem, Oquid triangulus fignificet, elle autem unitatem accipere et magnitus dinem, hoc loco aduertendum est Ariſtotelem, ſeiunctam poſuiſſe unita tem à refto trigono, quæ duo nempe reétum et trigonum amplexi fuifſe in unico uerbo hoc, magnitudinem, propter hoc ut intelligenda POSTERIORVM ARIS T. effet unitas de qua hic loquitur principium numeri feu multitudinis, de. qua quidem unitate alia affe&tio concluditur, quàm de unitate linee, de qua loquebatur in fecundo textu huiusprimi, wratio interpretationis apparet exlittera, quia de quolibet dato. feparatim concluditur pro prium queſitum, ut hoc textu declaraui. TEX. XLVII VEL XX IIII et 24 Allia 721, pe Court Alle Blato che * with rima alis -life pri eld Side Vntautē quibus utimur in demonftratiuis ſciētíjs alia quidē propria uniuſcuiufq fcič tiæ, alia uero cómnunia, comunia autemfer cundum Analogiă, quoniam utile eft,quá. túeft in eo (quod eft fub fcientia ) genere, propria quidem, ut lincã elſe huiufinodi. &rectum, De dignitatibus hoc loco loquens, exempla de dignitatis bus prèbens ait. Alia quidem propria uniuſcuiuſq et c.Propria Geometrie ſunt ifta, utlineam elfelongitudinem illatabilem or ſine pro fonditate,hacde caufa dixit lineameſſe buiufmodi,id efthabere banc defa finitione, et reétum, vt puta recta linea est, que ſua ex æquali intera iacetſigna,uel linea recta eft à punéto in punctum breuißima extenſio, non intelligas lineam, &rectum, Jolitarie o incomplexe,quia hoc loco de dignitatibus,que complexa funtloquitur: non de incomplexis utde linea tantă, ca de recto tantum ſed, dehoc cöplexo linea est longitudo illa tabilis; ¢ linea recta eſt,quæ ex æquali ſua interiacet ſigna,de linea in uniuerfali, fubinde de contracta uſpecificalinea recta exempla explicăs, Communia autein ut æqualia ab æqualibus ſi auferas,quòd æqualia reliqua ſunt. Aliqui indoctirelatores interpretum et inter pretes Arifto, non intelligentes hunc locum; naturam Geometrie ſcien tie perdunt, dicentes Geometram per principia communia procedere, id autem eft contra ueritatem ex parte rei econtra Ariftotelis do &tria nam. Pro cuiusdifficultatis nodo extricando, aduertendum quod princi pium iftud,de quolibet ente,uerum eftdicere quodeſt,uel no eſt tale, nun quam in demonftratione ponitur, nec eo utimur niſicontrate, oquae dam determinationeadgenus aliquod terminatum, er pro altera diſiuna Eti parteaccepto,nulli enim fcientia eft, aut diſciplina, que utatur illo principio pro utrag; diſiunéti,fed pro altera tantū parte, Sinile de hoc (& alijs huiufmodi) principio, fi ab.equalibus æqualia auferas, que re MON jpes non exti ell I i IN PRIM VM LI'B. Manent,æqualia funt, audiendum eft, nulla quippe diſciplinaest, que es utatur niſi contracte, fic quòd Geometra nunquam eo ufus eft præters quam inhisquæ circa planum uerfantur, utfi ab equalibus lineis,uel fu perficiebus,aut angulis,equates lineæ, uel fuperficies aut anguli deman tur, quæ remanent lineæ,uel fuperficies,aut anguli funtæquales,quão primum autem principium hoc contrahitur, non eft amplius commune Guniuerfale, fed fit proprium illius generis fcientiæ ad quod contrahis tur, quod uerohæc noftra declaratio fit ad Ariſtotelis mentemmanifes. ſtum eſt ex predicamento quantitatis ubi de diſcreto econtinuo agens, determinat quod utrique proprium eft peculiare fecundum eamæqua leuel inæquale dici, ſi inſtetur ex menteAriſtotelis dicentis, principiunt. - iſtud effe commune, inquit enim,cõnunia autē &c. Dico illud prin cipium eſſe commune, ſi non contrahatur, quàmprimim uero contrahi tur non eftcommune amplius, ftatim enin fequeretur contradi&tio, quod eſſet commune ono commune, doétrina hæcmeacoheret his,quæ Aucroes commentationemagna affentiriuideturfuper hoc textu, o his que Ariſtoteles hoc loco dicitinquiens;fufficiens eft autemunumquoda que iftorum quantum in genere eſt,hoc eft quatenusad determinatū get nus contrahitur, de principijs loquens,ubi de datis dixerit, et tertio lo co de queſitis, ibi quodautē ſint demóftrant, o fi adhuc inftes e Theon &Campanus non contracteinquatuor primis libris Elemento rum, a quod Euclides affixit illud principium primo libro, dico quod Căpanus &TheonbreuiloquioStudentes accipiuntipſum principiū fne Contractione, femper tamen op ubique uolunt ipſum intelligi contra &te cum determinatone ad illud genus ad quod-co utimur, aliter. errarent, Euclides autem primo libro affixit, quid utitur ipfo con tracto in primis quatuor libris, Adhuc fi fortiuscontra hanc expo fitionem precipue inſtetur quod fiquid ueritatisſaperet, statim haberea tur circuli quadratura per hæcprincipia contra&ta, datur quadras tum maius circulo, datur quadratum minus circulo igitur dabitur quadratum æquale circulo, refpondeo, quò du os errores commiſit Briſo, o talis argutus doctorolus inter arguendum, primo quia Brie so per principia comunia, iſte audem do&tor per contra &ta illa princi pra, feduterque in æquiuocisarguebat, circulus enim et quadratum equi uoce funt figuræ altera enim curuilinea reliqua uero re&tilinea eft, hunc errorem fecundum non inuenies in mea hac expoſitione,&contra ipfam inftantianulla est, de crrore autem Briſonisfuſius in noftris fragmentis POSTERIOR V MARIS T. 3 Logicis. Idem enim faciet et fi non de omnibus accipiat fed in magnitudinibus folum, Arithmeticæ autein in numeris. Diuinus Philoſophus quàmprimum explicuerit, quæ namfunt propria per duplex exemplum uniusfeientia Geometria, linee uidelicet, &lia neæ recte, •fubiunxerit, que nam ſint communia principia exent plum prebens tale, nquit, ut æqualiaab æqualibusfi auferas quod æqua lia ſint remanentia, ſubiunxit quomodo hoc principium &fimilia cone trahantur ad proprium genus ſcientiæ &propriafiant dicens, ſuffia ciens eſt,unum quodque iſtorum, quantum in genere est, fufficiens quie dem acſi peculiaribus atqi proprijs principijsuteretur Geometra uteng iſto principio, æqualia ab æqualibus ſi auferas æqualia remanent, non quidemſi de omnibus accipiat, non quidem dico demonstrabit Geometra: fi fic de omnibus et uniuerfaliter ſine contractione utatur, fed demon, ſtrabit quidem, inquit Philofophus,ſi in magnitudinibus folum, id eſt contracte o determinatim,eo ufus fuerit.Vtfic, fi ab æqualibus lineis ſuperficiebus, angulis, Arithmeticus, fi ab æqualibus numeris æqua les lineas ſuperficies angulos uel numeros auferas quod æquales linea fuperficies anguli onumeri remanebunt. Tunc uult Ariſtoteles quód iftud principiumſic contractumreddatur propriumipſi Geometra, og Arithmetico &unicuique artifici in fua arte, ac fi peculiari epros prißimo uteretur, non procedit igiturGeometra per communia prins cipia neque ob id, quia per cominunia procedit Geometria, ideo non fit dicenda ſcientia ipſa Geometria, ut quidam ingeniofus noftri teme poris immaginatur. Sunt autem propria quidem et quæ acci piuntureſſe, circa quæ, fcientia fpeculatur, quæ ſunt per le, ut Arithmetica unitates, Geometria autem figna et lineas. Euclides in Arithmeticis ab oskaud propoſitionenoniElemene torum uſque ad tredeci mam incluſiue accipit unitates, ſed ſigna id eſt punta accepit in ſecunda wtrigeſima prima primi Elementorum, lie neas uero in primt, ſecunda,& tertia primi,atque in undecima undecimi Elementorum. Hæc enim accipiunt eſſe, et hoc eſſe, idemo dixit in principiofecundi textus,ut de dato precognoſcatur utrunque &quid &quia est, accipiunt eſſe,id est deffinitionemſeu deſcriptionem welquid per nomenfignificatur, ex hoceffe,nempeactueſſe, uel mente oaštu.confideratiuo effe, id quod concipiunt, quod eſſe potentia,uel effe aptitudinedicunt. Horum autem pafsiones funtper fe quid quidem figni IN PRIMVM L'IB. ficet unaquæque accipiunt, ut Arithmetica quidem quid par, Sicut uigefimaquinta noni Elementorum, aut impar, ut trige fimanoni Elementorum, Aut quadrangulus,ut xxxvi. noni Ele mentorum, &quilibet numerus à duobus duplus,ut xxxv. eiufdem, a eut declaraui ſuper textu xx. de altera parte longiori, Aut cubus ut quarta noni Elementorum ſic intelligantur termini exemplorum in Arithmetica;Geometra uero quid irrationale,ut XI. X. Elementorum, aut inflecti per contactum in unico puncto ex xij.ex xv.tertij Elemen. aut concurrere, ut xv.xi. Elementorum oprima Elementorum Geo metrie Vitellionis. Animaduerſione dignum est hoc, quod Geometra nunquàm hanc affectionem, ut irregularitatem deunica lineafola con = fiderat, neque etiam de una tantum linea id concludit, quicquid Cama panus ſentiat, fed id de linea una ad aliam comparata atque relata, cum qua non habet uliquam communem menſuram, ut est diameter wcofta quadrati. Inflexio uero in una atque eadem linea circulari eft, quætan gat aliam rectam lineam uel alium circulum interne, uel etiam exterins, in unopuncto tantum, quia inflexa non fecat nequere et amlineam, nes que etiam circulum, quorum utrumlibetfaceret linea recta, eifdem ! recte linee 6 circulo non contingenter neque in directum applicata. Quod autem fint paſsiones per fe demonſtrant per coin munia et ex his quæ demonftrata furt et Aftronomia funi liter. De datis dequibusaccipiebamus quid fignificarent &effe, de monſtrant artifices Arithmeticus OGeometra per communia, idef per uniuerſalia principia (que tamen unius generis ſint) v ex his etiam propoſitionibus, quæ prius demonſtrata funt, affectiones illas predis Etas, ſicut etiam aſtronomus facit, utper ea quæ in Geometria probas ta ſunt, etiam per propoſitiones probatas in Aſtronomia concludat etfiEtionesfequentrum Theorematun. TEX. XLVIII. ALIAS X XV. VASDAM tamen fcientias nihil prohibet quædain hortin defpicere, ut genus non ſupponere effe, et fit manifeftum quoniam eft,non eniin ſimiliter manifeftuin eft,quo niam numerus fit, et quoniam calidur, et frigidum fit. Natura enim &per fenfum notum POSTERIO RVM ARIST. $ 200 ill 0 si est, quonian calidum eft, ideo non eft opus precipere mente o ſuppoi fitione aliqua intellettuali, «quadamſcrupuloſa indaginefuum quiade calido, quando calidum eſt ſubiectum ſeu datum uel genus, hoc cafu, quandoeft notum quia est dati, deſpicitur præcognoſcere mentis inda gatione de dato, an fit? Quod noncontingit ſimiliter de numero, quans donumeruseft datum, de eo enim eft necefſe mente e intellectuali acte preaccipere quia numeri, Videlicet quod numerusaétu est mente con: ceptus, ac fiexifteret aétu, uel aptitudinem ad exiftendum habeat, en hoc quidempropter hoc, quod numerus neque nataraneque fenfu aetud liter percipiturquòd fit, fed tantun intelleétu dignofcitur, @ hæc duo exempla de dito prebetnobis Ariſtoteles,ſubinde de queſito feu paßione facit exceptionem dicent, et paſsiones non eft accipere quid fi gnificent ſi fint manifeltæ, ut puta ſi fit notiſsimum quodtale no men -notifsimam rem ſignificet. Tunceo cafu non prerequiritur indas gando quid fignificet illud nomen, quia iam notum eſt. De dignitatibus.au tem idein excipit ab uniuerſaliregula,qua dixit fecundo textu, alia nana que quia funt prius opinari neceſſe eſt,utomne quidem quod est,aut affir mareaut negare uerum eſt, quia eſt, o textu xlvi.aliud prebet exem plum, utæqualiaab æqualibus fiauferas, quòd æqualia reliqua ſunt, de his communibus principijs non eft preſuponerequia eft. Cum ipſorīt ugritas quafi natura nota fint, quaſi natura dico, utputa quia notis ter minis ipſarum dignitatum, statim notum est, quia est ipſarum dignitatum fecus autem eft de dignitatibus proprijs cuique arti,quia tunc non est,fa tis,quid fimplices terminiſignificent preaccipere,fed opus etiam eſt pré cognofcere copulationem terminorū effe neceffariam, ueram,ut quòd circulus fit figura plana unicalinea contentain cuius medio punctus est à quo ad circunferentiam omnes recta linea duétæ funtæqualesfecludit, igitur ariſt.àfubie&to ipſum quia quandoipſum eſſe,manifesti est,non ſecludit ipfum quid est, ut exponit loan.Gram. Alexander, A queſito ſecludit aliquádo quid eft,era comunibus dignitatibus ipſum quia,quando notumeft quid queſitumfignificet, &quando ueritasdignitatum eſt mani feftifsima quod autem hæcde datofeuſubiecto expoſitio ſit germanatex. Ariſt.ut uidelicet excludat àſubiecto ipſum quia,& non ipſum quid,mani feſtă eſt in littera,ubi ait,Genus non fupponere efle fi fitmanife ftūquoniã eſt non dicit Arift.genus no ſupponere quid ſitexemplü de queſito,quandonon accipiturquidſignificet est propoſitione xiiij.primi: Elemen.quod est,indiređã linea una,quod quidē quid ſignificet non tung OI MI deo per da Jet OB um 10 et IN PRIM VM LI B. preaccipitur,cumfit notum ex deffinitione quarta primi Elementorum, quodnon queratur, quia eft, quando est notum,id apertißime dicit philofophus textu fecundo ſecundi Poſteriorum,inquit enim,inuenien tes autem, quia deficit pauſamus, et fi in principio ſcirc mus, quia deficit,nó queremus utruin, cum autem fcimus ipſum quia,ipſum propter quid querimus et c. TEXTVS LII ALIAS XXV. EQYEGeometra falſa ſupponit,ſicut qui dam affirmant dicentes, quòd non oportet falſo uti, Geometram autem mentiri, dis centem lineam eſſe unius pedis,quę unius pedis non eft, autrectam lincam, non ree &tam cxiſtentem, ut in prima propoſitione prin mi elementorumfuper datam rectam lineam triangulum collocare, etiam in decima primi Elementorum datam lineam rectam, eum biffaria diuidere iubet Geometra, os ſiilla linea, que atramento pingitur, uel penna aut ſtilo protrahitur reta non fit, non ob id tamen dicendum eft, Geometram errare, quia non ad id intentionem dirigit Geometra quod oculis fubijcitur, fed ad id potius, quod intus animo concipit, dirigit intentionem, ideo non contingit Geometram circa aſſumptam materiam errare et mentiri, Geometra enim nihil concludit fecundum hanc lie neam pitam, quam ftilo pinxerat, fed fecundum intus conceptam lie neam, demonſtrationem percurrit,idem habet Ariſtoteles primo priorã ante mutuamfyllogifmorum reſolutionem non errat etiam Geometra cir ca formam fyllogiſticam, ut textu 59 62, ait Ariſtoteles, igitur cer tißimefunt diſciplinegeometria, et non quiafenfatæ fint, ut falfo quis dam dicunt, Quia intus concipiuntur. TEXTVS LIX ALIAS XXVIII. VONIAM autem ſunt Geoinetricæ inters rogationes non ne funt et non geometri. cæ? et in unaquaque fcientia,fecundü qua lem ingnorantiam funt Geoinetricæ? et utrum quiſecundum ingnorantiam fyllo giſmus eft, fit qui ex oppoſitis fyllogifo mus, POSTERIORVM ARIST. 3 dis 2018 pria vik est 200 gt mus; an paralogiſinus? In unaquaque fcientia contingunt fieri in terrogationes, ficut in Geometria, In geometria autembiffariam contin git interrogatiofieri, uno quidem modo,ut nihil fapiat de illo, quod inter rogat, ut fiquis querat an icoceruus habeat tres æquales duobus rectis, ignorans omnifariam &quidfit Icoceruus, et quid ſithabere tres duo bus reétis æquales, hic interrogans habet ignorantiam fecundum nega. tionem, quia omnis habitus negatur in eo de illa re, quam querit. Altero autem modo, ut interrogās ſciat quippe partim de illo, quod querit, par tim uero non, ut adinuicem parallelas concurrere,fciat nanque que nani lineæ rectæ fint, oſcit quòd in utranque partem protrahuntur, ſcit etiam, quisnam ſit duarum linearum concurſus, &quatenus iſta nouit et interrogat,Geometrica queſtio atq; Geometrica interrogatio eft, quate inus autem opinatur an parallelæ in infinitum protrate concurrant,hac ex parte,non eft Geometrica quæſtio, et habet hic ignorantium habitus, idest fecundum habitum, quo fcit lineas rectas, ceas in infinitum pro trahi polle, et concurſum linearum effe in eadem ſuperficie, cum illo qui dem habitu, ſtat hec ignorantia, ut ne ſciat quòd etiam ſi in infinitura protrahantur, non căcurrunt. Errore hoc peßimo in interrogatione er rauit Pſcelus Grecus, quifuitilla tempeſtate quorundain Grecorum ho minum, qui præter uoces re ipfa nihil penitusaut parum doctrinæ has bebant, in quam calımitatem credo plurimosnoſtri temporis Græculos incidiſſe, Tentauit ipfe diuidere tonum, qui fexquioctaua proportione co ſtat accipiebatô; neruos duos, qui tacti, interuallum foni haberent, quos rum utrumlibet biffariam diuidebat, fubinde arguens agebat, totus ners uus maior ad totum neruun minorein habebat toni ratione, igitur medie tas nerui ad nerui alterius medietate,ut medietas toni ad toni medietaté, poyo fic putabat dimidium Toni, hoc eſt ſemitonium uerum adinueniſſe, ignorans pauper, quod proportio totius nerui ad totum neruum eadem eft, que dimidij nerui ad dimidium alterius nerui per decimamoctauam @decimamnonam ſeptimi Elemětorum, erat igitur non Armonica quæa ftio, qua quærebat, an tonus dividi biffariam poſſet? Verus autem Geo. metra ille eft, qui non habet ignorantiam neque ſecundum negationem, neque fecundum priuationem, «ille non facitinterrogationes non geo metricas, neque interrogationes partimgeometricas opartim non geo métricas, ſed interrogationesfacit omnifarians geometricas, ut, an trian gulus cõſtitutus in tabula, habeat tres æquales duobus reitis pares, Geo metra non errat, circa uffumptam materiā,ut tex. 52. determinauit phi lik line et K IN PRIM VM LIB.. lofophus,non errat circa interrogationes, ut hoc textu patuit, neque era rat in forma, in ſua induftione, ut demonſtrat Ariſtoteles in textu. 62. nullus igitur error in Geometria contineri poteſt ex mente Ariſtotelis, hanc eandemfententia habet Galenus in de erroribuscognoſcendis et cor rigendis, quo loco innumeras Geometrie utilitates narrat. TEXTVS LXII ALIAS XXIX. ONTINGIT autem quofdam non fyllogi. ſtice dicere propter id quod accipiunt ad utraque conſequentia, ut et Ceneus facit, quod ignis in multiplicata analogia fit. Scito Ariſtotelem Cenei mentē recte intellexiſſe, que quia in formafyllogiſtica errabat parallogizădome rito eum redarguit, ut Joannes exponit,ſed aduertendum eſt in materia parallogiſmi, quo modo id cita creſcat in multiplicata analogia, quia ut Alexander errauit in hac expoſitione quëadmodum Philoponus ei ima ponit non minustamen et ipfe etium loannes grammaticus grauiter era rauit aliter exponens quàm Alexander,oſi fuam expofitionem confir met Procli diadochi auctoritate, qui Proclus, ſi ita fenferit, ut ioana nes refert, perperam hunc locum interpretatus eſt,«mentem Cenei nõ intellexit,inquit Ariſtoteles de mente Cenei, quod in multiplicata analo gia creſcit, id cito creſcit, non autem ait, quod in multiplicationetermi porum analogia creſcit, id cito creſcit ſicut ipſe loannes et Proclus terminos analogie multiplicentfic, 1,2,4, 8, 16, 32, 64, 128, 256, $ 12, 1024, 2048. Egouero aliter de mente Ariſtotelis Cenei dico ex doctrina Eucli dis deffinitione undecima quinti Elementorum, &ex deffinitione primi Geometrie uitellionis ubi quantitates denominantes ipſas proe portiones multiplicantur non termini, ut loannes Proclus facies bant,arguebat ſic Ceneus,quæcung cito creſcit augentur in multiplicata Analogia, ſed ignis augetur in multiplicata Analogia, igitur ignis cito creſcit,ubi maior &minor in ſecundafigura ſunt affirmatiua. Talis au tem error parallogizando à Geometra non committitur, igitur certiſie ma, ca in primo certitudinis gradu Geometria reponitur, POSTERIOR VM ARIST. 248 2 3 3.2 ov 4 64 16 1 2 8 16 2 S6 256 S 12, 1 256 65536 4 0 24 2 048 ei ad CI, C. qué mee erit 4096 8 1 9 z 1.63 8.4 32768 6 ss36 Julia ima 1 eta infor TEXTVS LXIII ALIAS XXIX. ină Tomi club = 56 wich ro cies ONVERTVNTVR autem magis, quæ funt in mathematicis, quoniam nullum reci s piunt accidens. Secunda pars trigeſimaſecunde primi Elementorum eſt, quodomnis triangulus duos bus rectis paret habeat, id autem probat prima pars trigefimaſecunde,& ſecunda, o prima pars uigefi menone, &tertia decima primiElementorum, quæ omnes propoſitio nes concurrunt ad probandam illam conclufionem, quæ conclufio ſi in fua principia illatiua reſoluatur,non niſiin illareſolui poteſt, que ſupra commemoraui, ubi cernis &compoſitiuam methodum, ab illis principijs ad illam illatam conclufionem, reſolutiuam methodum ab illa conclus fione ad illa principia regrediendo, quihabitus reſolutiuus altißimus eft, e profecto ſignum eft re &te fapientis. Cumautem conclufiones in mathematicis fequantur ex determinatis principijs, tunc ibi facie lior eft reſolutio à concluſione in principia quàm in Topicis, ubi ex uagis, ofolum apparentibus, quandoque etiamfufpeftis odiuerſis, cito # Bie Kij 7.6 IN PRIMVM LIB. @non ex unis principijs concluditur quippiam de hac re, abundantius infragmentis nostris mathematicis fuper Ariſtotelis loca dicturus fum. TEXTVS LXIIII ALIAS XXIX. et fit par eſt ers VGENT VR autein, non per media, ſed in aſſamendo, ut a de b, hoc autem de c, rurfus hoc de d, et hoc in infinitum. Et in Iatus, ut a de b, et de e, ut eſt numerus quantus, uel infinitus,hoc autem fit in quo eſt a, nunerus impar quantus in quo b, numerus imparin quo c,eft ergoade c, et fit quantus numerus, in quo d par numerus in quo e, go a de e. Exépla duo attulit primo in poſt ſumendo,ſecüdo in litus ſu mendo, primo exemplī prebet in numerisin poſtfumendo,ut a numerus, de b numero impari, et b,de numero c primodicitur igitur a numerus de c numero primodicitur, In latus ſumendo numero pariter exemplificat, pro cuius notia, imaginare arborem porphirianam,cui fimilē in numeris finge, &numerum quantū,qui etiam potentia infinitus eſt, loco ſubſtans tiæ apta; infinitus ait propterhoc, quia omnes imparis atque paris nu = meriſpecies,quæ in infiritum crefcunt,potentia continet,ſicutſubſtan = tia fuas inferiores potentia fpeties continet, his autem numerus non po teft effe aliquis determinatus quantus, quia quicunque daretur, aut par effet, aut impar, qui non poteft effe communis pari &impari, fed talis debet eſſe numerus uniuerſaliter ſumptus, noluit autem uti iſto uer bo, uniuerfaliter, quia non eſt terminus Arithmeticus,ſedſpectat magis ad dialecticuin, ideo loco debito ufus eſt proprio uerbo hoc, uidelicet, ins finitus,quæ uox numero conuenit, ſicut incremento creſcat in infinitum inſuis fpetiebus, et numerus fic acceptus diuiditur in imparem, atque pa rem, &imparis numeri diuiſio est, in primum numerum,ocompofi tum, prinus autem numerus dicitur in fui natura, &ſine comparation, ne ad alium quemcunque numerum,o ille eſt quiſola unitate metitur,ut. 3, 5, 85" 7, 13. Compoſitus numerus eft, qui alio numeroaf e,oo ab unitate diuerſo, dimetitur, ut 9, aut 25, à ternario, et à quinario dimetiuntur, is compoſitus diuiditur in parem, atque imparem, et par quidem numerus ille eſt,qui biffariam ſecari poteft, ohic partitur in pariter parem, qui in duo æqualia fecantur, partes eius, quoufquc POSTERIORVM ARIST. 1 ad unitatem uentum ſit, ut trigeſima. In pariter imparem qui quidem in duo equalia partitur, partes in duo æqualia non fufcipiunt ſectios niem,ut quatuordecim. In impariter partem, qui quidem in duo æqualia diuiditur partes ſimiliter in duo æqualia, fed hæc partitio, uſque ad unitatem non peruenit, ut trigintaſex, de quibus Euclides libris ſeptia mo o octauo, nono Elementoruin, Nicomacus atque Boetius primo Oſecüdo Arithmetice, Quo autem ad Ariſtotelis textī attinet, manife ftum erit exemplumſuum, numerus infinitus fiue quantusſit a numerus autē quantus &determinatus ſub ipſo ſit b, numerus alius nempe infes rior ad b ſit cog,par autem numerus quantus ſit d, qui trifaria ſeca tur in e k l, ut dictum fuit fupra, eft ergo a ded, &etiam de e k lo In latus autem dixit,quiane dum per rectam lineam arboris, fed ex utra que partefumptio facta fuit. ES 11 in Exemplum in poſt.fummendo. 5, Exemplum in latus fummendo. 11: 111erus 111: 11CTUS -is 14 impar primus 13 50 ut impar 6 d par ed S A i primus compofitis. 16 14 pariterper impariterpar pariter impar. 12 is 14 inte Aduertendumquod exemplum in numeris eſt contractius, quàm prius propofuerit per litteras,ideo ne labores in numeris tot numerosfübfea inuicem poſitos, quot litteras, ibicommemorat, exempla duoin numeris appofui ut alia ipſe in textufecit, ne alia aliterdefiderentur. mo. 6 8 IN PRIMVM LIB. > TE X. LXIIII. A LIAS X X X. Iffert autem quia et propter quid fcire primo quidem in eadem ſcientia et in hac dupliciter uno quidein modo, ſi non per immediata fiat fyllogiſmus, non enim accipitur prima cau fa, quæ uero fcicntia proprer quid, per pri mam caufam eft. Hoc quidem primo modo non prebet exemplum aliquod philofophus, quicquid Aueroes, Philopou nus, fequaces fentiant, fed exemplum profecundo modo appofuit unicum folummodo pro quia, de ſintillatione planetarum, de rotons ditate autem Lune dedit etiam exemplum,pro fecundomodo quia,quo ta men exemplo declarat etiam quo pacto fieret propter quid demonſtratio O ob id imminutus aut ſuperfluus non fuit, quia primo modo textus est clarus ſatis, c profecundo modo quia,duo exempla prebetin diuers ſis ſcientijs, utrunque exemplum est in ſcientijs medijs, alterum est in optica, reliquum est in Aſtronomia, &quia textus est ſatisclarus in duobus exemplis quantum ad inductionis modum. Primo declaro prie, mum modum, quo, quia à propter quid differt de quo primo modo,quo, quia a propter quid differt nullum dat exemplum,ubi ait uno quidem modo,fi non per immediata fiat fyllogif. ita habet textus Philo ponio Aucrois Argiropilus autě habet, uno quidē modo fi ratio tinatio non per ea, quę uacant medio fiat,utloco uerbiſyllogiſ. legatur ratiotinatio, omelius meo iudicio, cum illud uniuerſalius fit uer bū, fenfus tamen ille est, utfi fiat deduétio, non per immediata,erit demon ſtratio quia; ut fide homine concludatur reſpiratio, eo quod ſitanimal, ſi uero de homine concludatur quòd reſpirat, eo quòd pulmonem habet, eritdemonſtratio propter quid, oin utroque modo,concluditur res spiratio follogifmo ut omne animal reſpirat,cæt.velomne habens pul: monemreſpirat et c. Si uero lectiofiat ſecundum Argiropilum,Olegatur ratiotinatio, Tunc exemplum dari poteft pro primo modo, quando non per immediata fiat inductio, ut prima pars xxxij. primi Elementorum probatur per uigefimamnonam primi elementorum, et non per immes diata principia, fic ut fenfus fit, quod illa que probantur per alias pro poſitiones probatas prius, talia quidem probatione quia probataſint illa uero queprobanturper immediata principia propter quid demonftrens POSTERIORVM ARIST. zmo citer fiat maus prio DOM -cpon cofuit bton uo ta cratio extus iuers mes: FUS IN • prie quo, dem philo atio ogil uer tur, ut eſt queſitum primi, ſecundi, atque tertij problematum primi Elea mentorum,que quæfita per immediata principia demonſtrantur, facta prius deſcriptione, ut conuenit, neque dicendum est, ut quidam exiſtie mant,quod eafit propter quid,quando perimmediataspropoſitionesfiat deductio imediationem illam tribuentes adſitum propoſitionū ut fecundit pars xxvIII. per primam partem illius, oprima pars uigeſimeoctaua per uigefimumfeptimam primi Elementorum,fed hoc loco, non imme diata accipit Ariſtoteles, omnes propoſitiones probatas,uel etiam, quæ per prima probare poſſunt, cum demonftratio fiant ex primis, et im mediatis, oppungat,ut immediatafint, o non fint primaabſolute. Et in Geometria etiam alio modo quia eſt, differt à propter quit, ut quando ab effeétu ad caufam progreffus fit, neinpe quando per æqualitatem an = gulorum concluditur equalitas laterum,ut fexta primi Elementorum Eu. clidis proponit.Propter quid autem eſt,quádo à caufa ad effectum proces ditur, utputa quando ab equalitate laterum trianguli infertur æqualitas angulorum illa latera reſpicientium, ut prima pars quintæ elementorum Euclidis proponit. Atio autemmodo per immediata quidem non auteng percauſam, ſed per notius eorum que conuertuntur, ut lucidum non ſcintillare,o prope eſſe, fimiliter, creſcere per rotunda incrementa luz. cida, ceſſe rotundum æqualiter defe inuicem prædicant,notius tamen eft, non ſcintillare, quàm prope effe, &notius eſt creſcere per increa menta lucida rotunda, quàm eſſe rotundum, et primum eft per fenfum per induétionem in fingulisplanetis notummagis, non tamen caufa eft quare planetæ prope ſint, fed econtrario.Secundum etiam, ut quod incremento creſcere,non eſt caufa rotunditatis, licetfit notumfolummo do per ſenſum, non autem per inductionem à pluribus determinatis ſie mul exiftentibus, quia hoc tantum de unico incremento creſcente certi fumus, *cum per ipfa, fiunt inductiones, quòd planeta propefint, aut quod Luna rotundit ſit, talis utriuſque inductio eſt quid, quod fi ccontra riofieret, tunc propter quid, anon quia, erit demonſtratio, ifti igitur duo modi à fe diuerſi ſunt, eo quod primus, per priora quidem, non tas men immediata procedit. Alius autem per immediata non tamen per priora, fed ea quæeſt propter quid colligit utraque, et quod ex prio ribus fit, atque ex immediatis. Amplius quare planetæ, haud fcina tillare uideantur fuſius ſuper problemateultimo quintadecimæfectio nis problematum Ariſtotelis fiet per me declaratio, quæ etiam faciet fatis huic textui, eft tamen hoc loco aduertendum Ioannem dicere fira MON mal, het, pw atur non ros illa IN PRIMVM LIB. tillationem prouenire, quod protendentes uifus ufque ad aſtra fixa de biliores fiunt, quaſi quòd uiſio fieret per extramißionem radiorum, ut Thimeo &Empedocli placituin erat, quos Ariſtoteles reprehendit capi te ſexto De Senſu &ſenſili. In hac igitur parte reiciendus est Philopo nus, niſi exemplo loquatur famoſo. Alterum De rotunditate Lune fus per problemate oftauo eiufdem feftionis aperietur, ubi querit Ariftote les unde eſt, quòd Luna uideatur plana, cum fit rotunda. TEXTVS LXV. ALIAS X XX. MPLIVS in quibus inedium extraponitur etenim in his nó propter quidſed ipfius, quia demonſtratio eft, non enim dicitur caufa, ut propter quid non reſpirat paries, quia eſt ani mał. Tertium modum quo quia in eadem ſcientia à propter quid differt, nunc affert Ariſtoteles inquiens amplius eft, que quando neque cauſa probat 1,ut primus modus effe&tum infert, neque est,quando ex effectu caufa infertur, fed quando ex nega: tione pene cauſe infertur ipſius effe &tus negatio, feu etiam econuerfo, ut quia non funt parallele, ideo alterni anguli non funt æquales, opdo ri modo, quia extrinfecus angulus non eft æqualis intrinſeco'ex eadem parte, igitur parallele non funt; oeſt hic modus tertius, quo quia à propterquid differt in eadem ſcientia, dixi quando ex negationepene caufe, oc. Quia parallelas effe,non eft caufa ut alterni anguli ſintæqua les,nifi fuper ill. linea recta ceciderit, que propinqua caufa eft, quod al terni anguli fintæquales,ficut animal quidem longinqua caufa eft refpira di, propinqua eſt pulmo, totalis autem eſt animalhabemus pi Imonem me dium enim ad probandă affeétionem in perſpectiut accipitur extra perſpe fiuã, utputa in Geometria et Mechanica ad Stereometriam.ld no tißimum erit pariter v iocundum, fi id quod ait Ariſtoteles in ques ſtionibus mechanicis questione x l'intelligatur,onera qua mouentur ſua per ſcytalas facilius mouentur, quam fi ſuper plauftra mouerentur,ultrd rationes illas Phiſicas quas ibi Ariſtoteles adducit, etiam ratio propter quidſummitur ex primoſtereometrie Euclidis deffinitione decimao taud uel undecima ex Theonis littera, Q * tertio Elementorum deffinitione fez cunda, minus enim offenfant ſeytale, quam plauſtrorum rote, quia ana gulus fcytalarum longe maior eft, quàmfit angulus rotarum plauftrorit ut angulus POSTERIORVM ARIST. 1 unt 41 utangulus rota a fe, uel etiam a fd longe minor eft quàm angulus fcytale af c, et ideo minus ad planum af b offenſat ſcytala quam rota,quidfcytals,que in uſu noſtro tempore eſt, in questionibus mechaa nicis declarabo, pro nuncfcito illas eſſe ftangulas,quibus utuntur lapi cide in trahendis magnis lapidibus, f et Harmonica ad Aritmetica a -6 Tonum in duo equalia diuidiſemito nia minime poteſt,quod muſicus dea terminat, ut Boetius re&te fentit lis bro tertio capite primo muſices, le quicquid Pfelus Greculus ſentiat, fedfecaturin apothomen eſemi tonium minus, huius autem propter quid ratio, ab Arithmetico reddia tur, quiafuperparticularis propor tio non poteſt diuidi in duo equalia, ut Boetius in Arithmeticis docet. Tonus autem cum in ſeſquioctaua ſonorum proportione conſiſtat in duo equalia ſemitonia diuidi haud quaquam poteft. et Apparentia ad Aſtronomiam. Apparentia, ipfa eft phenomena de qua Euclides, e Aratus poeta agunt, atque VergiliusAgricolas docens tempus quo mila lium feminaredebent, ait in Georgicis loquens de occafu hellaco, Candi dus auratis aperit cum cornubus annum Taurus, oaduerfo cedens cda nis occidit aſtro,rationemſiqnis agricola deſideret, cur eo tempore cda nis, qui et Alabor dicitur, occidat beliace,id totum ab aſtronomo petat, qui rationem propter quid redet; Sol enim in orbe eccentrico à propria intelligentisex occidente in orientem motus, quicquid fomnietAlpetra gius Fracaſtorius, et fequaces,accedit annud orbita ad illud fydus, quod eft in geminis &fuo maximofplendore, non finit illud uideri, id autë fit cum Sol diſcurrës perſignum Tauri, attingit extremam partem Tauri, tunc enim canis perdit lumen ſuum, non uidetur amplius, propter So lis ad ipſumſydus uiciniam, quouſque iterum per motum eccentrici ab co fydere ellongetur Sol, quod iterum oriri heliace incipit; hi ſunt igitur modi quatuor, quibuspropter quid, à quia differt, tres quidem funt in eadem ſcientia fubalternante,oquartus, quando id quoddemon ſtrandum eft inſcientia media,per ea quæ in ſubalternante ſcientia nota funt, probatur, in quo quarto modo, funt plures demonſtratiomisgraa dus fpeculandi, quos quia Ariſtoteles non tangit,præterco. L Me hen 1 1 IN PRIMVM LIB. -7. Sunt autem hæc quæcunque alterum quiddam exiſten tia ſecundum fubftantiam, utuntur fpeciebils, Mathenati cæ enim ſecundum fpeciein funt, non enim de ſubiecto alia quo,fi cnim et de fubiecto aliquo Geometrica funt, ſed no quatenus Geometrica,de fubiecto funt. In præcedenti particu la huius textus dixit de ſcientia quia, quód fenfibilium eft, inquiens,Hic enim, ipſum quia ſenſibilă eft fcire, de fcicntia uero propter quid,quòd uniuerfalium ejt, per caufas habetur,ait,propter quid autem mathemde ticorum, hi enim habent caufaruin demor.ſtrationes, ofrequenter neſci unt ipſum quia, ficut illi uniuerſale conſiderantes, fepe quædam ſingula rium neſciunt propter id, quod non intendunt; Ecce quantimathematis cos ficiat philofophus, dicens eos noningnaros illorum, que uulgus tra Etat, fed Socratico more, ea non intendere quæfumuno ſtudio, amplectun tur uulzures, Differentia igitur ipſius,quiu à propter quid,adhuc magis explicans,ait, funt autě ip / e quidemfcientiæ, quia quecunq;,utuntur ſpe ciebus (fenfibilibusuidelicet, alterã quiddam fecundum fubjtantiam pecu lantes, alterum quiddam non folum fecundum ſubſtantium,fed etiamaltes xum quiddamn in exiſtentia,hoc eft in ſubiecto materiali exiſtens, Mathem matice enim, nempe quæ propter quid fient, circa fpccies ſunt, dubita. tur hocloco, cum ſcientia quia utatur fpeciebus, o ſciétia propter quid circa ſpeciesſit, quo nam puto, in quia, et quo modo in propter quid fpecies intelligatur. Dico, quod quia ſenſibilium eſt, ut ait Ariſtoteles, utitur, quia ſpeciebusſenſibilibus,quarum beneficio fenfus ſenſata perci piunt, fed propterquid,utiturfpeciebus abftractis àſubiecto materiali, ut ſuperficie, linea, puncto, &ſimilibus, quatenus affectiones aliquas de ipſis inipſis cognoſcit demonſtrator,non tamē circa hæc uerſatur Geo metra quatenus in ſubiecto funt,ſed preciſius abſtractione, ea conſides rat, fi talia nufquam, ſine fubiecto ſint. Habet autem fead perſpectiuam, ficut hæc ad Geome triam, et alia ad iftam, ut id quod de, iride eft. Traslatio Ar giropoli in hac, precedenti particula facilior,atque candidior eft, quàmfit textus Philoponi, ne uidear tamen in precedenti particula, e hac preſenti, litteram ſequi, quam pedagogio neoterici non doctores, ut fe præferunt, fæpe encruat; loannis textum in utraque particula ex pono, quo etiam plura uirtute continentur quam, contineat textus, Are giropoli tum etiam, quia accedit ad hæc Procli interpretatio, ut teftatur loannes, ſcientiasigitur quas in præfenti Ariſtoteles cõmemorat,fub ale POSTERIORVM ARIST. terno quodã ordine pofitæ funt;primo Geometria,cui imediate perſpecti ua,perfpe et iue autē ſpecularia &huic ſpecularie, ea ſcientia, quæ eft de Iride in qua, quæponuntur,perfpecularia probantur&, quæ in peculi ria, per ea quæ in perſpectiua funt notamanifeſtantur, qu: autê in pera fpectiua, per ea quæin Geometrianoșa, fuerunt, ut quòd iris ſit tricos lor,oquòdnunquamplures duabus Iridibus appareant; et quòd denigs Rõ fit nidor femicirculo, per fcientias ſuperiores, hee omnia probatur. Multæ autein et non fubalternarum, ſcienriarun fe has bent fic, ut medicina ad Geometriam, q eniin uulnera, cir cularia tardius fanentur medici eft fcire quia, propter quid autein Geometræ. Parum ſupra in anteprecedenti particula dixit philofophus,qu& namfcientiæ effentfere uniuoce inquiens, fere autem uniuocefunt hurumſcientiarī alique,ut aſtrologia ' et mathematicaet na ualis, o harinonica quae mathematica, oque fecundum auditum, in hac autem particuladeterminat de his fcientijs que nullo modouniuoce funt. ut Geometria os medicina que etiam fubalternate non funt, he enim due non ſubalternantur inter ſe, quia ſubiectum Geometrie eſt, id quod circa planum uerfatur, medicine uero ſubiectum eſt corpus jarabi le,id, eft, quod proponit; ut quod in alterafcientia proponitur,probatur per ea,quæ in alia fciētia nota funt; non tamen hæ fevětiæ funt uniuoce, neque fubalternatæ,ut in chierurgia,que pars eft medicina proponitür uulnusrotundum, difficultate fanari, ut canumexcoriatoresteftantur. Geometria autem nobilis fcientia reddi propter quid, primo Elemento * rum deffinitione decimaquinta, quia exomni parte æqualiter diftat cas o, ficut ibi acentro ipfa circunferentia. ly tie 20 SMS TEXT VS L XVII ALIAS X X X. 170 ot cs, tro autem modo, differt ipſum propter quid ab ipfo quia, quodelt, peralia fciené Stianu nrruinqué, ſpeciilari, Huiuſmodi au Matem funt, quæcunque fic fehabent, utals terum fub altero fit, ut perſpectina ad Geo metriani. vbi ait, per aliam ſcientiam fic intellis gatur per altam magis uniuerfalem et fubalternantem in aliam minus univerfalem. Vtrunquefpeculari, utrunque dixit refferens &propter. quid, quia, alia enim fcientia fpeculatur propter quid, c alia fpecus Ljj 84 IN PRIMVM LIB. 1.3 latur ipſum quia, ut Geometria proprer quid, perfpeétiuauero, quia, inquitenim Ariſtoteles. Hæ enimipſum quia, fenfibiliumest fcire, prom pter quid autem mathematicorum. Verbi gratia,oculus exiſtens in a uidens cd, uidet ipfam quantitatens minorem, quamſi idein oculus fiat in b, quia inquit perfpe&tiuus,uide tur ca ſubmaiori angulo ab oculo exiſtente in b, quam ab eodem oculo in a exiſtente,& quód angulus dbc ſit maior da c, Geometra id demon ſtrat primo Element propoſitione xxi. Dubitatur circa hoc, quod di cebatur de mente Ariſtotelis in dia et o exemplo perſpectiuo, quodne que percurrendum eſt ſicco pede,ut indoctifaciunt no intelligétes bonas artes, quicum ad Mathematica ex empla accedunt,pedem referunt,dia centes non eſſe uim ponëdum in illis. Ego autem econtrario dico, totum neruiim rei, eſſe in exempli intelles ione, ubi ait, quod perſpectiuus oftendit maius uideri id, quod de prope eft, demonftratione quia, o Geometra, idein propter quid, demonſtrat in vigeſimaprima primi Ele mentorum, qua uigefimaprimaprimi Elemen.non propter quid demon ſtratur, fed demonſtratione quia, ut demonftratio quia diſtinguitur, a propter quid primo modo, ficut textu 64. declaratumfuit, quòd illa des monftratio, quæ per mediata a probatas propoſitiones procedit, eft demonftratio quia, diftinguiturab illa ineadem ſcientia, quæ proces dit per immediata principia,quæ demonftratio propter quid dicitur,mo do ex fexagefimoquarto textu,determinatur quòd demonftratio uig eſi miprima primi Elementorum eſt, quia, hoc autem exemplo perſpectis uo dicit, quod eft propter quid, contradictio igitur manifeſta uidetur. Dico de mente Ariſtotelis hoc loco,&eft etiam loannis Grammatici ins tentio fuper textu fexagefimoquarto,dicentis. Quodammodo autem in precedéribus dicebamusquod ipſum quia eſt primomado,permediata mo firare, cum fecundo modo ipſumquia per immediata,ſimiliter w propter quid, unde aduertendum, quod demonftratio, quæfit fuper uigeſimam primam primi Elementorum,que per uigefimam decimāfextam primi elementorum procedit, fi ad demonſtrationem prime propoſitionis Elc. POSTERIORVM ARIST. es mentorum, quæ per immediataprincipia procedit comparetur demon Atratio quia, merito dicitur, ſi mero comparetur adperſpectiuam demone ftrationein, tunc propter quid dicetur, quia perſpectiuus pier eam pros bat intentum, u ſictricic apparentis argumenti explicite funt,fc cundum philofophiſcitum. TEX. LXVIII. ALIAS XXXI. IGVR A R v M autem faciens ſcire maxime pri ma eſt, etenim Mathematicæ fcientiarum per hanc demonſtrationes ferunt, ut Arith metica, et Geometria, et perſpectiua, et fes re (ut eſt dicere) quæcunque,quæ ipfius pro pter quid faciunt conſiderationem,aut enim omnino,aut licut frequentius, et in plurimisper hanc fi guram (quieſt propter quid fyllogifmus) fit, Textus hic uis detur edirecto contra expoſitionem nouam factam permeſuper iỹ. tex tu de inductione illa Geometrica, que tanquam fictitium quoddam, uanißimum, &nullo Greco et Latinoexpoſitore do&tißimoexcogitatū, inquit enim Ariſtoteles, etenim Mathematicæ ſcientiarum, per banc primam figuram demonſtrationes ferunt, non igitur Mathematic et fea runt demonftrationes per illam Geometricam inductionē, utibifuit des terminatum. Inftantia hæc,eft hominisuaniloqui,qui ea profert& fcri bit; quæ nonfunt notæ earum, quæin anima paßionumſunt, cum non folumanimamtanquàm abraſam tabellam habeant, fed potius tanquam ficcamcucurbitain, in qua nonniſi uentus reperitur, quia tamen nonfo lummodo fapientuin habenda eft ratio, stultis etians atque infipientibus pariter reſpondendum effearbitror, ne in fua ignorantia glorientur ua ne. In hoc textu Ariſtoteles nil aliud determinat, niſi quod preſtantior est prima, quàm fecunda et tertis figuræ,&quód Mathematica hac fepe utuntur, &hoc quidem quandofyllogiſtica arguunt, ut ait in tex. dicens, oin plurimis per hancfiguram, que eſt propter quidfyllogif mus fit, modo quid refert, ſi Geometra, utatur fyllogifmo, non nece ibi in tertio textu fuit declaratum, quo modofyllogiſmo utitur Geomes tra, &quomodo inductione Geometrica?fimodo quis ex hoc textu uca lit inferre, quod illa indu&tio Geometrica non detur, ipfe faciet mendas cem Ariftotelem, dicentem in tertio textu, quòd nedum fyllogifmo fed 70 IN PRIMVM LIB., oinduétione, ſcitur quòd triangulus in femicir culo conftitutus, habeus tres angulos æquales duobus reitis. TEX. LXXXVII. ALIAS XXXVI. EMONSTRATTO enim eft ex his, quæcun queipſa quidem inſunt, fecundum ſeipſa rebus, ſecundum feipſa uero, dupliciter, quæcunque enim in illis infunt in co quòd quid eft, et in quibus, ipſa in eo quodqınd eft inſunt ipſis, ut in numero, impar, quod ncit quidem numero, eft autem ipfe numerus in ratione ipfius, et iteruụn multitudo,aut diuiſibile in ratione nua meri, horum autem neutrum contingit infinita eſſe,nec ut impar numeri, Secundum fe ipſum bipartitur, ut quando prie mum deffinitio de deffinito predicatur. uel etiam quädo deffinitum de def finitione, ut numerus est multitudo ex unitatibus aggreguta, ut Euclia des ait fecundadeffinitione ſeptimi Elementori,et etiam multitudo ex unii tatibus agregata numerus est: impar nuſquà inuenitur in deffinitione nu meriupud Arithmeticū, neq; etiä numerusin deffinitione paris, quid igi tur uelit Arift. hoc exemplo noſatis à Græcis etLatinis explicatum est, puto tamen egoquod ficut in deffinitionibus, quædum fecüdum quod ipfa inueniuntur,pariter etiam id in diuiſione fit, ut fi quippiam, nume rus eſt, id quidem impar uel par statim eſſe dignoſcitur,oſi quid ims par uel parfit illud tale numerumeffe patet, ſic ut exempluinprimum Ariſtotelis, ſit circa diuiſionem, fecundum exemplum de deffinitios ne, quia tamen addit, aut diuiſibile in rationenumeri, nullibi apud Eus clidem reperitur quod diuſibile in numeri ratione ponatur, quatenus nu merus eſt, fed in deffinitione numeri paris; recteponitur, ut diuidatur in æqualia, ut primadeffinitione noni Elementorum manifeſtum eſt, par numerus eft, qui in duo æqualia poteſt diuidi, et quicquid in duo equa lia diuiditur, id numerus effe patet, fiueboc de numero, quo numerisa mus, feude numero numerato, hoc intellexeris, ueritatemhabet. Meto dumdiuifiuam, in his exemplis ſeruauit Ariſtot. primo enim in diuiſione ſubinde in deffinitione,et tertio loco infpecie contenta, fub deffinito ufus eft exemplo,Numeriigitur primadiuiſio eſt in imparem atqueparem; ut Boetius docet capite tertioprimi Arithmetica, definitio estſecunda septimi Elementorum, deffinitio autem paris; patet ex prima definitione noni Elementorum. Horum autem omnium nullum contingit infinita eſſe, numerus enim in imparem atque parem, impar in primum, compoſia tum, compoſitum in quadratun, o non quadratum, igitur quadratus compoſitus impar numerus eft, onumerus, eſt impar compoſitus qua dratus, feu numerus eft impar prinus, er prinus, impar numerus eft, ſicuti status eſt innumero,ut tandem ſit ultima particulaque à par te fubieéti ponatur, ſiiniliter ſtatus erit in alijs particulis, que ponun tur à parte predicati, quando ipfe numerus àparte ſubiecti pofitus erit neque igitur inſurlum,ncque igitur in deorſum infinita pre dicantia contingit eſſe in demonſtratinis fcientís, de quiz bus intentio eft, in furfum ait deffinitionem refpicientes, neque in deorfum diuiſionein feu partitionem animaduertit. d ac 38 mi TEX. LXXXVIII ALIAS XXXVII. for ONSTRATJslautem his, &e. Non te prea terit, quòd habere tres duobus reétis equales conie nito Joſcelio Scalenoni, neutri tamen per alte, rumconuenit,fed utriqueperhoc, quodfigurarea Eilinea trilatera eft, idfæpe fuit in precedentie bus declaratum exfecunda parte trigeſimeſecunda primi Elementorum.. other VA 16. TEXTVS.XCI. ALIAS XXXVIII. M ST autem inuin cuin iinmediatun fiat et una propoſitio ſinplex eft immediata et queinadınodum in alís eſt principium fimplex, hocautem non idem ubiqueeſt, fed in graui quidem untia, in melodia,alle tem diefis, aliud autein in alio, fic eft in fyllogitno unum, propofitio immediata, Secundum antiquos rumfcitum, ut Campanus refert ſuper oriaus xiiij. Elementorum unumquodqueintegrum in xij.partes æquales per rationen og intelle Etum diuiferunt, ipſum totuin fic diuifum in partes illas, aſſem uoc4 = werunt, undecim earum dixerunt deuncem, decem dextantem, nchem IN PRIM V M. LIB: dodrantem, o &to beſſem, feptem ſeptuncem, fex uero partes femiffen, quinque quincuncem, quatuor trientem, tres quadrantem, duas ſexa tantem, unam autem appellauerunt unciam, quam unciam in minorafra gmenta nonfecat philoſophus, quia eft ultimum fragmentum integri à quofuum initium fumit ipfum integrum, tanquàm ab immediato prins cipio,ex quo,fumiturfimile, quod in fyllogifmo etiam est ipſa immediata propoſitio, ultra quam nonfit refolutio in terminos,ſicut etiam ultra un ciam non fecit conſiderationem in minoresminutias, licet hoc fieripoßit, ficut propoſitio in terminos etiam quandoquidem refolui poterit. In melodia autem dieſis, Non eſt pretereundum filentio id,quod hoc loco Ariſtoteles tangit, id autem eſt, quod qui Logicam ipſiusprofi tetur quiſquis fit ille,omnibus diſciplinis Mathematicis debetin primis fſe inſtitutus,aliter enim euenietei, ut in adagio dicitur, operam fimul ooleum perdet, quid per dieſim intelligat, notum erit fitonum ſimpli cem, interuallum integrum, nondum ad armoniam pertingens diuidi in duas equus partes eſe impoßibile quis prius perceperit, ut etiam in tex. Lix. prædemonftratum eft, duas tamen in partes inæquales diuidi, quarum altera maior eft, quæ apothomen, ſeu ſemitonium mas ius, reliqua uero eft minor, quæ minusfemitonium nuncupatur, oip fum minus femitonium in duas partes æquales diuiditur, quartum utras que dieſis appellatur à uetuftioribus muſicis, ut Boetio atque Nicomas co primo libro Muſicæ,capite xxi. placet,idprincipium toni eft, quid minimum. Practici uero Muſici dieſim uocant inciſionem duarum linearumfuper alias duas ſic *quam incifionem fignant ipfi practici Cantores, ſuper eam notam, ſub quain deſenſus toni, faciunt defen fum ſemitonij, ſed id cantoribus relinquatur, prima dieſis acception Ariſtotelis ſententiam explicat, quia dieſis in illa acceptione, eft minia mum conſideratum à mufico, fiue id, quodminimum eſt in concinentia conſideratum, ſicut uncia in ponderibus oimmediata propofitio in de monſtrutione fyllogiſtica, o boc intelligas de minutijs integri, non de minutiaruin minutijs, de quibus phylolaus apud Boetium libro tera tio capite octauo agit,quiabec ad Ariſtotelisfententiam non faciunt pretermito. MAGIS tur POSTERIOR VM ARIST. 89 TEXTVS XCII. ALIAS XXXIX. AGIs autein ſeiinus unumquodque, ciim ipfum cognoſcimus ſecundun ipſum, quam fecundum aliud,utmuficun Coriſcum,quá do Coriſcus muſicus eſt, quàm quod homo muſicus fit, Hoc loco tentat Ariſtoteles elencho ar gumento probarequod particularis demonſtratio ſit uniuerfali potior. Quis nam fit muſicus aperit Nicomacus atque Boes tius primo libro muſices capite xxx111. ille quidem eft, quinon ex eo quod manu cytheram pulfat, fed ille qui rationis imperio cantillenas rum distonice, cromatice,atque enarmonice ratum, atque firmum ſta tum agnoſcit diiudicat, atque imperat, qua re intellectu,quærit Ariſto teles,num illa demonftratio, qua Coriſcus muſicus, an illa, qua homo mu ſicus co:rcluditur, quod eft, an particularis, uel ipſa uniuerfalis fit pos tior, Cui rationi reſpondendum; ut Ariſtoteles innuit per interemptios nem, negando quodCoriſcusſit muficus per fe, fiue quòd ifta cognofca tur per fe, Coriſcus eft muſicus. BI 74 1 142 ca TEXTVS XCIII. ici ha 10% OTior autem eſt, quæ eſt de eſſe quain de non eſſe, et propter quam non errabi tur quàin proptcr quam crrabitur eſt au tem uniuerſalis huiuſmodi, procedentes enim demonſtrant uniuerſale, quemadmo dum de eo quod eſt proportionale,ut quo = niam quod utique fit talc,erit proportionale, quod ncque linea; neque numerus, ncque ſolidum, neque planum eft, fed præter hæc aliquid. illud idem totum quod text. xx v di& um fuit, hoc loco repetatur, ubi Ariſtoteles text. xx v dixit hæc uer ba, nunc uniuerſalemonſtratur,hoc textu, magis aperit dicens, proces dentes enim demonſtrant uniuerfale, quod neque lined, &cæt. fed pre ter hæc aliquid, quod quidem eſtipſum quantum, quatenus quátum eft, quod uniuocum eft omnibus quantis, neque illudeſſe tale immagineris, quod oquanto &quali communefit,ut immaginabatur,lo4nnes gram M IN PRIMVM LIB. maticus afequaces, quia illud,analogum eſſet, quod à propoſitoſecludit Ariſtotelesnonagefimo quinto textu reſpondens ad fecundam difficulta tem. TEXTVS XCIIII. S IGIT VR triangulus in plus eft, et ratio eadem, et non fecundum æquiuocationem, conuenit triangulo et Iſoſceli, et ineſt oinni triangulo duobus rectis æquales,non utique triangulus ſecundum quod eſt Iſoſceles, led Iſoſceles ſecundum quod eft triangulus,ha bet huiufmodi angulos. Concludit Ariſtoteles hoc textu uniuers falem demonſtrationem particulari demonſtratione potiorem eſſe, o eft quando per rationem uniuocam concluditur affectio de ipſo uniuerfali, eper eandem uniuocam rationem concluditur eademet affeétio de par. ticulari aliquo, ut habere tres æqualesduobus reétis, probatur infecun da parte x x x 11primi Elementorum de triangulo primo, deinde de iſopleuro, ſoſcele, oScalenone non primo, fed quatenus trianguli ſunt, &hoc idem de illis concluditur perfyllogifmum, uel etiam per ean dem induétionem trigeſimæ ſecñde primiElementorum Eft in hoc textu non minima conſideratione dignum, quod etiam non eft prætereundura immobili calamo, Ratio enimtrianguli uniuoca eſt, quia o nomine for rede uniuerfali triangulo ode particulari Ifofcele prædicatur, utpuu tafigura,quæ tribus reétis lineis clauditur, non tamen per ipfam ratios nem, cõcluditur de Trigono uel iſoſcele habere tres duobus reftis equa les, ſed per primam partem trigeſimæ ſecunda, eper uigeſimā nonam Otertiä decimă primiElementorum, quapropter non uidetur quod exemplumſit ad propoſitum regulæ Ariſtotelis,de ratione uniuoca,Di cendum, quod naturaexemplieſt, ut non conueniat. Cum re in omni mor do,quia tunc non eſſet exemplü rei, ſed eſſet res ipſa.Dico fecundo quod memoria eſt dignum cum præfertimà nullo fit hucuſque perpéfum,quod nulla demonftratio mathematica eſt potißima, et ob idmathematicæ nul leſunt ſciētie ſiſtetur in doétrina Aristotelisratio,quia in nulla conclu ditur aliqua affectio deſubie &to per deffinitionem fubie &ti,quod tamen uo lunt uirigraues de mente Scoti, neque etiam per deffinitionem paßionis ut alij determinant de mente Thomæ, Modo dicas,quod quando per cane dem deffinitionem,fiue uniuocam rationem, demonſtratur affectio aliqua POSTERIORVM ARIST. ineſſeſubie o uniuerſali, &eadem ineſſeparticulari per eandem deffini tionem, quòd de uniuerſali, immediate et per fe,de particulari autem non immediate, neque per ſe, ſed per uniuerſale concluditur, ideo uniuer. falis ipſa particulari demonſtratione potior, atque præftantior est, ut fi per rationale mortale, concludatur de homine riſibilitas, &deinde per id, de Socrate, quod fit riſibilis, illa in qua de homine, quàm illa in qua de Socrate demonftratio, eft potior, ſicuti de triangulo uerbigratia,in fecunda parte trigeſime ſecunde primi Elementorum, &etiam de 1foſce le, probatur habere tresæquales duobus reftis, illa tamen inductio,que probat de triangu o potioreſt illa industione, quæ de iſoſcele idem cons cludit, quia primo de triangulo uniuerſali, ſubinde de particulari trian. gulo concluditur, hoc pacto Ariſtotelis regula o exemplum intel ligendafunt. TEXTVS XCVII. fed 72 th po 1 MPLIvs uſque ad hoc quæriinus propter quid, et tunc opinamur ſcire, cum non fit aliquid aliud propter quid fciamus, quàm hoc, aut quòd fiat, aut quòd fit, et cetera uſque ibi, Cum igitur cognoſcamus quidē, quod quiſunt extra æquales funt quatuor ſcétis, quoniam æquitibiarum,adhuc decft propter quid, quia triangulus, et hoc, quia eft figura rectilinea, ſi aus. tem hoc, non amplius propter quid aliud, tum maxi mc ſcimus et uniuerſale, tunc uniuerſalis itaque eft. Hoc tex tu Ariſtoteles determinatquòd, tunc arbitramurſcire cum ufque ad ul timas cauſas procedit nofter reſolutiuus diſcurſus, ait enim cum igitur cognoſcamus quidem quod, hi, quiſunt extra æquales ſunt quatuor rea &tis, o redit rationem, quoniam equitibiarum, ſed quia æquitibic figu ræ funt etiam quadrilatere, pentágone, adiecit proximiorem cau Jam dicens, quia triangulus, quia tamen trianguli diuerfa funt latera,ut curua, conuexa, conuexa o curua, curua Qrecta,conuexa a recta,ut omnia hæc excludat ait, qui eſt figura re{ tilinea, que cauſa magis udhuc proxima eft, quæ quidem ultima& propinqua cauſa, cumfucrit inuens taoaßignuta, non amplius propter quid aliud querimus, pq tunc mas xime fcimus, uniuerſale, o cæt. Quantum autem ad id, quod exem = plo, Ariſtoteles ait, paucis explicetur in fubie&ta figura a bc, cuius 1 1 Mij IN PRIM VM LIB. mnes extrinfecos angulos, quatuor reétis æquales effe dico, protrahan tur enim omnis latera a b, br, ca, uſque add, e, f, eritqüe per tertiã decimam primi elementorum duo anguliad c, pofiti æquales duobusrex et is, eadem ratione duoilli ad a, o reliqui duo ad b ſimiliter equales duobus re& tis, itaque omnes fex intrinfeci uidelicet,o extrinfeci,ſunt æquales ſex reftis, fed per fecundam partem trigefimæ fecunde prie mi Elementorum, tres intrinfecifunt æquales duobus re&tis, igitur tres reliqui extrinſeciſunt quatuor reftis equales,quod demonſtrandū erat. Non enim omnis triangulus uni uerfaliter fumptus, hahet tres an gulos duobus reétis equales, ſed ali quis habet duos angulos rectos, tertium acută, et quidam triangulus eft qui habet tres angulos rectos, ut Ptholameus cap. x. ſecüda dictionis magnæ cõſtructionis theoremate pri G mo, e ſequentibus manifestum faa cit, neque tamen id cötrariatùr pro poſitioni xyli primi elementorum, Euclidis ut quod duo anguli cuiusli bet trianguli fint minores duobus rectis, nec etiam eſt contra fecundam partem xxxl primi Elemen. Euclidis, quòd uidelicet omnis triangulos, habet tres duobus reftis æquales, ratio, quòdnulla inter hos fapientißia mosſit contradictio, eſt, quia de rectilineis Euclides, de fphelaribus ues ro Ptholameus et curuilineis triangulis agit, quod aduertens Ariftotea les adiecit, quia est figura rectilinea; ut fit abſolutus fenfus, quod equis tibia figura trilatera rectilinea, habet extrinſecos angulos quatuor ree Stis equales. TEXTV S CI. I MPLIV's autein et fic, uniuerſale enim ina. gis demonſtrare eft, co quòd eſtper medium demonſtrare, cuin propius fit principio, pro xime autem immediatum eſt, hoc autem eft principium;fi igitur quæ ex principio eſt, ea quæ non eft cx principio, quæ magis ex prin POSTERIORVM ARIST. cipio, ea quæ minus eft, certior eft demonſtratio. Hoc textu Ariſtoteles apponit extremammanum determinans,quòd uniuerfalis ſit particulari demonfiratione dignior, in quo quædamnon conſiderata à grecis,neque à latinis., difta tamen ohic ab Ariſtotele tertio tex tu, ibi, quorundam enim hoc modo diſciplina eſt, onon permedium ube timum cognoſcitur, ut quæcunque iam fingularia eſſe contingit, nec de fubiecto quopiam, ubi aduertit quod quidammodus est, quo fciuntur af fertiones deſingularibus, onon per medium,modus etiam est quo affea &tiones fciuntur de particularibus per medium, fed non primo de eis, ut declaraui in textů tertio 'nonageſimoquarto huius, affectiones uero que de uniuerſali cognofcuntur, he quidem per medium cognoſcuntur, hac de caufa uniuerfalis demonſtratio, eſt ipſa particulari potior, quia particularis non per medium, uniuerfalis uero per medium demonftrat, ut ait, uniuerſale enim magis demonſtrare est,eo quod eft per medium de monstrare,id autem Geometrico exemplo-manifeſtat dicens,quod ſi quis cognouit, quia omnis triangulus habettresduobus rectis æqualesfciuit, quodammodo, et quod ifcoſceles duobus reftis tres pares habet,utputa potentiafcit, quia uniuerfale fciens aetu, potentia etiam fcit. ea, quæfub. ipfo continentur, &ſi non cognouerit 1fofcelem quòd actu,oper aper tionemmanus (ut Philoponus tertio textu ofequaces interpretabane tur) triangulus ſit, hanc habens propoſitionem,hæcparticula legenda eft, cum particula aduerfatiua fic,hanc autem habens propoſitionem, nempefciens tantum potentia quod Ifoſceles habet tres duobus rectis pa rés, uniuerſale nullo modo cognouit, ut quòd triãgulushabeat tres equa les duobus rectis, neque potentia, neque actu, non quidem potentia, quia Iſoſceles non eſt uniuerfale ad triangulum,uniuerſale enim potentia ſua inferiora continet. Accedit ad hoc etiã, quia ſi non fcitur uniuerſale atu, non ſcitur potentia fuum particulare, fi igitur particulare non ſcie tur actu, ſed potentia tantī,quifieripoteft,ut propter id,ſuū uniuerſale potentia fciatur? non etiam actu fcitur uniuerfalepropterea,quòd fuum particularefcitur potentia, quia ex ſcibile potētia, non inferturſcitum actu. Exhoc textuę precedentibus quibus determinat Ariſtot.uniuerſa lem demonftrationem esſe potiorem demonftratione particulari habetur de particularibus difciplinam eſſe, particularem eſſe demonſtratioa nem quæcunquefit illa,aliter enim nulla effet comparatio Ariſtotelis in ter uniuerfalem o particularem demonſtrationem. Preterea etiam nos tatu dignum habetur, contra omnes interpretes, id autem eft, quod ali IN PRIMVM LIB. quatenus ij. textu ta&tum fuit, ubi determinat quod de nouo quippians ſcimus, introducit eos, qui tenentes quòd de nouo fciebamus interrogae bant Platonicos tentantes oſtendere ipſis Platonicis, quod de nouo ſci mus inquiunt enim, noftis ne quod omnis dualitas par ſit,nec ne? Vel etiam, quòd omnis triangulus tres duobus re et tis æquales habeat, annuen tibus autem Platonicis attulerunt dualitatem, uel triangulum manu aba fconfum dicentes, ecce quomodo uos de nouoſcitis, hanc dualitatem eſſe parem, quia priusneſciebatis hanc eſſe dualitatem Neotericies antiqui expoſitores inuoluunt locum, ſic ut nedum ipſi intelligant, fed eshi qui cos audiunt ita faſcinentur, ut nedum Ariſtotelem fed et feipfos pers dant. Dicunt enim ſine propoſito, quod prius non poterantfcirede dua litate in manu abfconſa, ueltriangulo conſtituto in tabula quod eſſet par, uel duobus rectis æquales haberet, quia neſciebant illam eſſe dualitatem, vel illum effe triangulum, putant iſti exponere Ariftotelis"doctrinam fic dicentes, anon aduertunt, quòd id dicunt quod Ariſtoteles reprehens, dit, quod illi qui dicebant de nouo fcire, male tamen perſuadentes per oſtenſionem ad fenfum, egr reſpondentes perperam, dicebant fe nonſcia re eſſe purem, niſi quam dualitatem eſſe ſciebant,apertißimehic Aristo. teles dicit, quòd qui ſcit omnem dualitatem eſſe parem, uel quòd omnis triangulus tres duobus re &tis pares habet, fcit quòd dualitas ſitpar, quod Ifofceles, tres duobus reftis æquales habet potentia, licet neſciat a &tu perſenfum, quòd iſoſceles triangulus ſit, quem locum à me notae tum inter cetera pulcriora exiftimo animaduerſione dignum propter fal fos Ariſtotelis interpretes ad hanc ufque noftram etatem. TEXTVS CVII. ALIAS XLII. T ca certior quæ non eſt de ſubiecto, ca quæ eſt de ſubiecto, ut Arithmetica armo nica. Numerus, ſubiectum eſt in ipfa Arithmetica qui quidem abſtractißimus est, nullum materiale ſubie &tum concernens, Armonica, uero de nume ro ſonoro, uel magis, de ſono numerato, quod magis concernitmateriain, ut fonum ipſum., qui fonus numeratus, ſub iectum in armonia eft, ut Boetio placet libro primo muſices, modo Arithmetica cum circa ſubiectum minus immerfum matericfit, certior POSTERIORVM ARST. estquamſit ipſa Armonia, quæfubie£tum conſiderat magis immerſum ipſimateria, eftigitur alia certioraltera propterſubiecti maioremabe ſtractionem? TEXTVS CVIII. T quæ eft ex minoribus certior eſt, et prior ea, quæ eft ex appofitione, utArithmetica Geometria. Dico autem ex appoſitione,ut unitas fubftantia eft fine poſitione, pun. tum autein fubftantia pofita,hoc autem eft ex appoſitione. Hoc in primis conſiderandum eft, quod hoc textu non loquitur Ariſtoteles de ſubie&to fcientiæ.,ſecundum quòd magis og minus abſtracteconſideratur, quia id in precedenti tex. determinauit; una enimſcientia determinat de abſtracto numero, reli qua uero defono numerato, unitas enim de qua hoc textu loquitur, non est ſubiectum in Arithmetica, niſiforfan in aliqua particularidemonftra tione, utin 15 ſeptimi ElementorumEuclidis,in quibuſdam alijs des monſtrationibus trium librorum Arithmeticæ Euclidis. Dico autem,ut unitas, ſubſtantia eſt, fine appoſitione, punetum autemfubftantia poſia ta, hoc est ex appoſitione,Nicomacus,Boetius, Tonſtallus Anglus,Lu cas Paciolus, in primis lordanus, o Euclides recte interpretarentur huncAriſtotelis textum ſiadeſſent, quem locum obſcurant rabini cum * ueſtra excellétia ex appoſitione nominati,heu me, in manusquorü inter pretum incidifti Ariſtoteles? quæ hominum dementia te torquet: erant ne ſimile hominum genus tuo tempore, ita inſipidi atque macrologia op preßi, qui Platonem, quique te audirent, expoliati Geometricis, &dis fciplinis orbati?ut funthoc tempore nedum iuuenes non recte imbuti lite teris, fed magis ſeneſcentes in fua, non tua philoſophia homines, exurs gant Romani uiri, liberalibus diſciplinis præditi, quorum bonarum are tium hereditas, negligentia pofteritatis, uerfa eft ad extruneas nationes o inter Barbaros fruftratim etiam dilaniatur, eo locum hunc inter pretentur. Non eget unitas ipſa;ut ſit in ſua natura,quod fit puncto affe et a, uellined, uelalio quoppiam alieno, fed punctus, uel linea', ſeufuæ perficies, uel etiam corpus,impoſsibile eft, quod ſit,quin pun &tus unus, uel una ſuperficies, aut corpusunum, uel plurafint: Plura autem pun et a, eſſe non poffunt, niſi prius punctum unum,uel unafuperficies,aut corpus unumfit, minus igitur eft unitas, quim punétum unum, Pombaiam IN PRIMVM LIB. ipfa uocemanifeſtum eſt.Vnitatem Arithmetica conſiderat: non ut fuum fubie &tum, fed ut id, quod adſuum ſubie tum quodam ordine attribuia tur tanquàm pars ad ſuum totum. Vnum pun &tum, feu lineam unam, uel etiam unum corpus Geometra, atque stereometraconſiderans appos nit lineam,pun et um &corpus ipſum unitati, uel illis unitatem appos nens, ex pluribusfacit fuam conſiderationem,quàm fit illi Arithmetici, qui unitatem conſiderat abſtractiſsime, nulli reiappoſitam. Ex hac declaratione patet id quod Ariſtoteles ait primo de anima in principio, quòd fcientia de anima nobiliſsima, eſt, duabus de cauſis prima ex nobi litate ſubie &ti, ſecunda ex certitudine, ex certitudine dico, non ut quis dam inueterati in philofophia craſſa exponunt, uidelicet ex demonſtra tionis certitudine,ſedcertior dico, quia exſubiecto ſimpliciori eft, que anima eſt, atque minus compoſito, quàmſint ſubiecta librorum,librum de anima precedentium, ex precedentis textus, atque huius expoſis tione id totum colligas uelim, ex precedenti, ſi de anima, ex præfens ti autem ſi de anime particula, loca libri de anima intelligantur. Claret etiam, ex hac noftra interpretatione,quod Mathematicæ diſcipline non ideo dicendæfunt non ſcientia, quia non funt circafubftantias, ut ans tiquusætate indostus quidam in hac parte, philoſophus non erubes fcitaſſerere', ofequaces,quia illas inquit merito dicendasſcientias los quitur, quæ tantum circa fubftantiasfunt; non autem que circa accia dentia, ut funt Mathematicæ, quod apud Ariſtotelem nunquam legitur Dico quòd Mathematice uere e in primis ſcientie, ſecundum nos et re ipfa funt, ex fententia doétifsimi Boetij in principiofue Arithmeticæ,ubi ait, ſcientiæ atque ſapientia uerehe funt, quæſunt circa res, quæ nunquàm mutantur, fed fua natura femper funt,utſunt fubftantia,a quantitates; quo nammaiore auctore hec noſtra ſentens tia corroboratur, quàm ſitipſemet Ariſtot. in hoc præexpoſito textu ! qui in fua doctrina conftans, punctum ſubſtantiam appellit, itidem unitatem ſubſtantiam dicit, ſi igitur fole ille ſint ſcientiæ, quæ circa fubftantiasfunt, in primis Arithmetica atque Geometria merito (quics quid balbitiant alij) ſcientiæ appellande nedum nomine, fed natura digna funt. Quia tamen de mente Ariſtotelis teneo Mathematicas diſciplinas, non eſſe ſcientias, non ob id, quia de accidentibus ſint,neque ex eoquod percominunia principia procedunt, ſed quia affectiones que in ipſis con cluduntur, non perdemonſtrationem, quemfyllogifmum ſcientialem Ariſtoteles uocat, concluduntur ut declaratum fuit textu nonageſia men, mo POSTERIORVM ARIST. moquarto,merito ſcientia non funt, ſiſcrupulofa indagine ſcientiæ not men indagari, quis uelit. TEX. CXII. ALIAS XLIII. 3 EYE per fenfum eft ſcire id, Exemplis duobus. Altero Geometrico reliquo, Vero Aſtro Nnomico, declarat Ariſtoteles, ſi enim ſenſus uifus uideret id, quod intellefius percipit fecunda par te trigeſimæſecundeprimi Elementorum,quód trian gulus. uidelicet, habet tres duobus rellis pares, non tamen propterea uidens illud diceretur fciens, fed ut fciensfieret ad huc demonſtrationem quereret,o huius rationem reddit dicens, necef= feenimquidem eſt ſentireſingulariter, ſcientia autem eſt in cognoſcen= douniuerfale, unde eſi ſupra Lunam eſſentus, utputa inſupremo orbe defferente augem Lune, uel in orbe defférente caput draconis,uel etiam in cælo Mercurij, uideremus Lunam ingredi umbram terra, e par timenftruum non propter hoc diceremur fcientes, quia illud, quod uiá deretur,effet ſingulare, &cum ſcientia ſit circa uniuerſale diſcurrene do, o per intellectionem ipſius uniuerfalis, ſequitur, quod per ſenſum non eft fcire. Aliter etiam exponaturſic, ut ſi eſſemusſuper planetum, qua Luna est, &in illa parte planete que terram, et centrum uniuerſi confpicit, &foc'es noſtra uerſus idem centrum mundi,quod.eſtterre cen trum ſentiremusquidem per ſenſum uifus, quòd deficeret Lund tunc, fed non propter quidomnino,quiaſenſus non plures percipit ecclipſes ſimul neque actu,neque potentia,fed unam tantum,necobid tumen ſcientes dice remur, non enim uniuerfalis est ſenfus, fed particularis ut ait, ex conſi deratione multotiesaccidente univerſale uenantes demonſtrationem ha bemus, non ſecludit hoc loco Ariſtoteles ſcientiam de purticularibus, ut Tex. iij. fuit determinatum, fed ita intelligas, quod ſenſus eft tantum particularium, intellectus autem utriuſque, Sunt tamen quædam reducta ad fenfus defeétum in propofitis et c. · In hac particula huius textus, idem perſuadet diuerſo exemplo, quòd. videlicet neque per ſenſum eſt ſcire, in prima huius textus particulas Exemplum attulit in phænomena eGeometria, in hac autem particula exemplum est in perſpectiua, eft etiam quoddam aliud diuerfum, quia precedensexemplumeft,de unica wſingulari eclypſi. In hac auten pars N IN PRIM VM LIB. ticula exemplum præbet de multis illuminationibus faétis per uitra pera forata, ſiue foraminailla ſint pori uitrorum, feu etiam foramina ſint ma gna,artificio quodam facta, que fenfusuifus in multis uitris confpiciens, compertum haberet, &manifeſtum eſſet, et propter quid illuminat, id eft,propter,quid illuminationes multæ fierent,quoniam, ut inquit,uis deremus quid ſeparatum in unoquoque uitro, id est foramina multa, per qua radijtranſeuntes illuminationes multe fierent in pariete e re gione collocato, uel in pauimento domus,quapropterſi plures eclypſes ſimul perciperet fenfus uifus,quodtamenfierinequit, &uideret etiam hoc euenire ex obiectu terræ inter Solem of Lunam, illud de Luna ex emplum nullo modo diuerfum eſſet ab iſto de uitris perforatis, niſi quod alterum in Phænomena, reliquum eſſet in perſpectiua; Ne.credas tam men propter multas irradiationes a uiſu ſimulperſpectas, Q uiſis etiam fingulis foraminibusſimul, uel poris in uitris per quos radiationes fica rent, quòd quis ob id diceretur fciens,ſed ex his fingularibusfenfu pera ceptis unum uniuerfale intellectus intelligens,deeo.fcientiam generaret qua poftea merito quis diceretur fciens, illud autem uniuerfale non cola ligebatur, ab intellectu ex unica tantum eclypſi uiſa, fed ex pluribus die uerſis temporibusobſeruatis,Ex hoc loco habetur quod non est ſatisad demonſtrationem habere propter quid., niſi propter quid habeatur, per difcurfum (fenſus autem non difcurit ) ab uniuerſalibus ad minus uniuer ſalia, ſenſusenim percipiebat quod multæ illuminationes propter multa foramina fiebant, nulla tamen erat ibu demonſtratio. TEXTVS CXIIII. IRCA Textus particulam illam, Aut æquale maius, autminus, Scire eſt, quod primi Elea mentorum eſt conceptio animi apudEuclidem, ut fi una quantitas comparetur ad aliam eiufdem genes ris, aut erit ei æqualis, aut eadem maior, uel e46 dem minor, ut quatuor, ad quatuor, uel ad tria, aut ad quinque,ſi comparentur, fieri nequit, quod eadem quantitas qus tuor,ad quantitatem unam di &tarum comparata, fit æqualis, a maior minoreadem,statim enim fequitur contradictio,fedfi ad diuerfas quan titates comparetur, verumquidein poteft effe, quòd unaſit maior emi nor et equalis,ſi non ad unicam tantum, fedfi ad plures fit comparata, POSTERIORVM ARIST P TEX. CX V. ARTIC VI. A huius Textu, Neque omnium. uerorum principia funt eadem, neque con ueniunt,ut unitates punétis non conueniūt, læ quidem enim non habent poſitionein,illa autem habent, Deappoſitione in punétis, eo pacto intelligas, ut tex.108 declaraui. Exemplo enim loqui tur de principijs,non quidem ex quibus inferatur conclufio, fed ex qui dus compoſitumfit, quia ex unitatibus pluribus ſimul coaceruatis com ponitur numerus, ex pluribusautem punctis non componitur quippiam ut terminaui tex. xix.huius, ſimpliciores ob idfunt ipſe unitates, que funt numerorum principia, quamfint puncta,que lineas terminant, uni tas enim,uel etiam unitates non ſupponunt punétum,uel punéta,punétus 'tamen uel puncta eſſe non poſſunt, quin uel punctum unum,uel plura pun et ta fint,non igiturconueniunt inter fe propter appoſitionem unitatis pñ to appoſite, wepropter non appoſitionem, puncti ipſi unitati, unitas enim non ideo unitus est, propter unum punétū,ſicutpunctum unum eſt, propter unitatis appofitionem, ®ultra ait, quòd diuerſafuntgenere, ille enim in diſcreta, hecuero in continua conſiderantur quantitate: TEX. CXX. ALIAS XLIIII. VONIA'M autem idein multipliciter dicitur eft autem, ut non commenfurabilein enim eſſe diametrum uere opinari inconueniens eſt, ſed quia diameter (circa quam ſunt opi. niones) idem, fic eiufdem eſt, ſed quod quid erat eſſe unicuique,ſecundum rationem non eſt idem, Circa eandemdiametrum ſcientia poteſt eſſe, opinio per media tamen diuerſa, falfam quidem opinionem habet ille qui diametrum commenſurabilem coſte eſſe ſentiet, ueram autem obtinebit ille qui Eucli dis demonftrationibus inftrúctus diametrum inconmenſurabilem coſte efje protulerit in qua re tex: 1x. huius determinatum et demonſtratum fuit, quod ipſe diameter incommenſurabilis eſt ipſi coſte,aliter enin, par numerus, impar effet, Circa idem igitur contingit diuerſitas, feu idem multipliciter dicitur, ut quòd diameter ſit commenfurabilis &inz commenfurabilis cofta. Nij IN SECVNDVM LIBRVM POSTERIORVM ARISTOTELIS, PRESBITER PETRVS CATHENA: V ENETV S. ** 3 TEX T VS II ALIAS I. TEATRI V M enim utrum hoc infit, aut hoc, quærimus in nume rumponentes,ut utrum deffi ciat Sol, uel non, ipſuin quia quærimus. Luna enim defficit in ſe a lumine, a patitur menſtruum, propter interpoſitam terram diame traliter inter Solem u Lunam, Sol autem non defficit lumine unquam in ſe, fed tantum non illuminat, quana do in capite uel cauda draconis res peritur fimul cum Luna hoc quidem prouenit, ex eo quod inter afpes Eum noſtrum o corpus folare interponitur Lund, quæ cum ſit core pus denfum, coppacum magis quàm alia pars fui orbis impedit fo lares radios, enon finit eos ad afpe&tum nostrum protellari. Dubita tur circa id quod fuit di&tum paruin ante,o quód fæpißimeait Ariſtote les, præfertim in ſequentibus,ufque ad textum nonum an Luna defficiat penitus lumine, quando patitur menftruum, quod eſt querere,an Luna habeat aliquod lumen àfe, uelſi non àfe, an conſeruet lumen in ſe imbis bitum tamen à Sole, utfomniat Aueroes, propterea quod, quandotota eclypfatur uidetur non nihilhabere luminis, apparere fubnigra, etiam apparet uideri eius rotunditas extra plenilunium, ad quod reſõſio abſolutißimafit,quod Luna nullum habet lumen,niſi à Sole ſecundoquod non imbibit lumen, quemadmodum ſpongia liquorem aquæum, cauſaaus të apparitionis luminis tempore eclypſis, uelfuæ rotunditatis antequam POSTERIOR V MARIS T. fit in oppoſitione Solis eft, quă ſtatim declarabo quibuſdam paucis pres intellectis, cum ipſa ſint corpus denfum &politum quemadmodum cæte ra fydera, radijſolaresquifortes ſunt, cuin ad ipfam pertingunt non talentes ultra penetrare propter denſitatem ad terram reuerberantur, Tempore autem eclypſis, radij ſolares impediti a terre occurſu nõ attın gunt lunam, ſed tunc radij aliorum fyderum, qui debiliores ſuntſolaribus radijs, pertingunt corpus lunare, &fua tenui uirtute Lunam illuftrat, ob id Luna uidetur habere nõ nihil luminis tempore ſuæ eclypſis, et pro pter hanc eandem caufam dicatur quod eius rotunditas apparet citra ple nilunium. TEXT VS I x. + 1 1 + VID conſonantia, ratio numerorü,in acu to et graui, et propter quid conſonat acue tum graui, propter id, quòd rationem has bent numerorum graue et acutum, utrum eſt conſonare acutum et graue, utrum ſit in numeris ratio corum,accipientes autem quia eſt, quid igitur eſt ratio querimus. inter ea quæ elucidan da funt in hoc textu, idin primis occurrit, notatu dignum; graue enim Cum motum fuerit, citius ad quietem redit quam leue æquali pulſumo tüm, Aliud etiam eft animaduerſione dignum hic notandum quòd neruus cumpellitur ininftrumentis non unumfolummodo ſonum efficere ſedmul tos, quiquidem multi à feinuicem distinti non percipiuntur, ut diſtins Eti, propter celeritatein unius poſt alium, Exemplum præberem de Tur bone,uiride, aut rubra linea lineato,qui propter celerem motumtotus ui deretur uiridis, aut rubcus, ſunt igiturmulti foni à grsui corda effceti ad quos, fi foni illi, qui leuiori neruo procreatifunt,comparentur has beanto ad illos ratione, ut quatuor ad tria,tūc diateſſaron cõfonantiaria minimam efficient, fi ueroeam quæ eſt nouem adſex diapente, odiapaf fon fi illam efficient, quæ quatuor ad duo, que concinentie, cum ſint ſimplices; exipſis aliæ que compoſitæ funt generantur,tanquam ex ſuis proximis elementis, ut eft diapentediapaffon,o biſdiapaſſon, quæ ome nia ex Boetio clara habentur, o ſibi do toresqui Calepino student, in declaratione Ariſtotelis hec gratis prætereant, Alia exempla à tertio textu uſque ad undecimum,que Ariſtoteles præbetfua Palade in mathea 1  IN SECVNDVM Ľ IB maticis, quæ quiaaliàs in præcedétibus dilucidata per mefuerunt,nunc conſulto pretereo, fed quæ di&ta funtfuper hoc textu non plane ſatisfae ciunt nostre menti,ubi enim nonfuerintplures pulfus ad pa uciores com parati, ut in humand uoce, căcinentia quidem reperitur inter re, ala licet nõ niſi ſingula,&fingula uox emittatur,non igitur interfonos paus ciores tantum, eu plures concinentia, ſed primo inter graue ego acutum reperitur, quæ autein uocum diftantia inter ſe reperiatur, ut debita; fiat concinentia, tum ex hominum ufu ab inſtrumentis accepto, cumetiä per ea que Boetius tractat manifeſtum est, ſed'in dubium occurrit illud, quod muſicifaciunt, quando fuper breuem ſillabam, plus temporis cona ſummunt, quim par ſit, eſuperfillabam longam, breui temporis notu la festinant, ita ut ea,quæ naturaſunt breues, fiant longe, &quæ longe ſuntſillabæ,breuesfiant, ſic ut'nonmodesta &doctaſit ipfa muſica, fed Barbara o contra ufum loquendi appareat, Ad quod dico, ſequen tia dubia quæ funt,an concinentia proueniat ex mouente, ut Aristoteles in libris degeneratione animalium, uel ex motis rebus, ut in rethoricis, an exnumeratis pulſibus, ut hoc textů tangit, quòd in nostris fragmens tis logicis hæc omnia clarafient, fed pro declaratione littera, huius tex tus,uideturexpoſitio feciſſe fatis. TEXTVS XIX. ¿ ALIAS II: MPLIvs omnis demonſtratio aliquid de aliquo demonſtrat, ut quia eſt, aut non eft, in deffinitione autem nihil alterum de altero prædicatur, ut neque animal de bis pede,neque hoc de animali,neque de plano figura, non eniin planum figura eſt, neque figura planum eft. Euclides póst quam deffinitionem plani dederit in primoElementoruin deffinitione quinta, ſtatim de angulis planis, e de fiquris planis adiecit deffinitiones, que figure ideo planæ dicuntur, quia in plano picte ſunt,feu quia in ſuperficie plana ſunt deſcripte, fi gura plana, hefunt due particulæ deffinitionis, quarum altera deals tera non predicatur, quia id quod planum, et id que in plano figura fit, 11on idem eft, demonſtratio uero cõcludit, quia eft hoc de hoc, ut de trian gulo, quod tres duobus rectis equales habeat, et q latus trigoni, quod fubtendien maiori angulo, nõ eft minies lateri fubtenſo minori angulo. POSTERIORVM ARIST. TEXTVS XLIX ALIAS X I. V ANIFEST VM eft autem et fic, propter quid rectus eſt, qui in ſemicirculo eft, quo exiftente rectus eft,fit igitur rectus in quo a, inediun duorum rectorü in quob, qui eft in feinicirculo in quo c, eius igitur, quod eſt a rectum inelle c, qui eſtin ſemi circulo caufa eft b, hic quidem ipfi a æqualis eft, c autem ipſi b, duorum enim rectorum dimidium eft b, igitur exia ſtente dimidio diiorum rectorum a, ineſt ipſi c, hoc autem erat in ſemicirculo rectum eſſe. Euclides xxx tertij uniuerſa lius proponit id, quod Ariſt. hoc loco ait magis contracte, ut ſecundum Ariſtotelem conſtruatur fic, ſit ſemicirculus a b d cuiuscentrum c, quo perpendicularis excitetur per undecimā primi Elementorum cd, ſecans arcum a b in puncto d, à quo, duæ lineæ protrahantur ad ter minos diametri dia,db, ſequiturper quintam primi angului a dc, bdc effe medietates reéti,quæ ſimulmedietates additæ faciunt angų lum a d bre&tum,ficut duæ unitates bi narium numerum, quia tamē non uide tur quòd philofophus particulariter proponat id, quod uniuerfaliter Eucli des docet, ut uidelicet quod perpendi çularis à puncto c excitetur, &quòd folus angulus,qui fit in puncto de deter minato, ubi perpendicularis ſecat ar cum, re et tus ſit, licet illa due medietates formaliter ſint unius re &ti, fina gulađ; dimidium refti, quæ pro materia recti accipiuntur, ficut due uni tates materia numeri binarij, Ideo aliter declaro et litteræ philoſoa phi magis cohærebit non in figura præfcripta,ſit angulus rectus a datus, b autemfit medietas duorum rectorum, c uero in ſemicirculo conſtitus tus, ſit æqualis b, quæ uero uni veidēfunt æqualia inter ſe funt æquae lia, cum autem a ſit æqualis b, quia uterqueeſt medietas duorum res. et orum, or ſimiliter c qui in ſemicirculo eſt ſit eidem b æqualis, c ipfi a equalis erit, a quippe rectus eſt ex dato igitur c, in ſemicircula conſtitutus rectus eſt, quod propoſuit Ariſtoteles, quis ſit angulus rer IN SECVNDVM L I B. Aus patet per deffinitionem octauam primi Elementorum, quod autem b in quocunque puncto peripherie femicirculi fit medietas duorum rectos rum, patet per trigeſimam tertij Elementorum, quodetiam omnis alius angulus in quocunque puncto arcus ſemicirculi fit æqualis 6, utputa 0, patet per uigeſimam tertij Elementorum, qubi in priori expoſitione di cebatur,quòd duæ medietates erant materia totius relti anguli, hic dica's tur,quòd illiduo partiales anguli b, ſunt materia torius anguli recti, fic ut demonftretur, quod angulus, qui in ſemicirculo conſtitutus, eſt re ctus, per materialem caufam, quæ materialis caufa, ſunt iple partes recti anguli ipſum integrantes. TEXTVS LIII. ONTINGIT autem idein et gratia alicuius eſſe, et ex neceſsitate, ut propter quid pe netrat laternam lumen, etenim ex neceſsitas te pertranſit, quod in parua eft partibilius, per maiores poros fiquidein lumen fit per tranſeundo, Minutiſsimæenimſunt; aut potius fub tiliſsime ſpecies uiſibiles ignis,quæ propter ſubtilitatem ſuam per poros uiri in quofranguntur exeuntes clarum iter oſtendunt, ne adlapidem pe: des offendamius, exemplum eſt in optica,inaterialis caufa eft uitrum, fi nalis,neolfendamus; fornalis eft illa compago uitrorum,lignorumq;, efficiens autem,eſt ipſe luterne artifex,quantum ad matheſimſpectat non eft niſi materialis cauſa in conſideratione, o radios fractos ipfius ignis in corpus disphinum, per quos illuminationes fiunt. TEXTVS LVI. ALIAS XII. CLIPSIS Lunæ futura, preſens, atque prete rita,medio interpofitionis terre, diametraliter in ter Solem et Lunam,nunc, olum, et in futurum con cluditur, cumfuerit Luna in capite uel cauda dras conis uelprope, o ſub'nadir Solis. SICVT POSTERIORVM ARIST. 105 TEX.LVII. ALIAS XIIII. IGVt ergo non funt puncta, adinuicem co pulata, ticque, quæ facta ſunt, utraque enim indiuifibilia funt. Puncta enim fiadinuicem copula rentur, statim haberetur, lineam ex pun &tis componi quod impoßibile effe demonftratum eft in primo, textu Wdecimo octauo. TEXTVS LX. ALIAS X VII. I co autein in plus ineſſe quæcúque, infunt quidem unicuique uniuerfaliter, Atuero et alij,ut eft aliquid quod oinni Trinitati, in eft fed et non Trinitati, ficut ens ineft Trini tati, ſed et non numero, numerum quemlibet ex materia oforma conſtare nemo eft qui neſciat, aliter cnim numerorumſpecies noneſſent numerofinitæ, potentia ueroinfis nite per unitatis additionem, fpecies autemexgenere odifferentia con ftat, genus uero materia differentia autemforma eft in numero, materia numeriſunt ipfæ unitates, ut in ternario numero, tres unitates materia eft numeri ternarij,formaautem eft ipfa Trinitas, ens inquit ineſt Trinita ti népe ternario numero,o hoc prædicatū, ens, extra genus arithmetică eft, quod quidem ens, alijs multo diuerſis genere à numeroconuenit. Impar uero et ineft omni Trinitati& in plus eſt. Etenin ipſi quinario ineft, fed non extragenus, ens quidem alijs ab arithmetico genere conuenit, imparuero nullis alijs niſi his, quæ infra arithmeticum genus continentur cõuenire poteſt,utquinariofeptinario &alijs multis. Huiufmodiigitur accipienda funt uſque ad hoc quouſ: que, tot accipiantur primum, quorum unumquodque qui dem in plus ſit, omnia autem non in plus. inquit quouſque tot dccipiantur primum, uerbum hoc, primum intelligatur ex æquo, feu ad equate, ut tot uenetur quis particulas deffinientes,quòd non fint ſuper abundantes, neque diminuteparticule, ſed ad idtendat, ad quod ille,qui tetragonicum latus alicuius figuræ quærit, utin libris de anima iubet phi bofophus. Duo præterea funt hic notanda precepta,ut unumquodquefit LO 6 IN SECVNDVM LIB. cum non in plus, nempeunaqueque particula deffinitionis uniuerſalior ſitdeffini to, ut animal,rationale,mortale,capaxbeatitudine, que omnes particu ie, in hominis deffinitione ſuntpofitæ, cunaqueque uniuerſalior eft ip sohomine, omnesautem fimul fumpte,nihilaliudnifihomo funt,Dubie tatur, an illa, quae in Elementorum Euclidis libris deffinitiones poſite funt, utunapromultis fimilibus excogitetur hæc,triãgulusredilineus, eft figura, plana,claufa,tribuslineis re&tis,fit conftituta ex omnibus par ticulis deffinientibus,quarū una,et altera,atqueſingulaſit uniuerſalior, ipſo triangulo rectilineo? Dicendum confequenteradAriftotelem pro pter particulam illam, tribus lineis reftis, illam non eſſe deffinitionem, fit uniuerſalior ipſo triangulo rectilineo, quapropter ſunt ma gis dignitates appellande, quàm deffinitiones,nifidixeris, quodAriſtote les intelligit de his particulis definientibus, quæ recto cafu, et non oblis quo explicantur, et fic proprie dicerentur deffinitiones, que interpreta tio qualiſcunque fit,non habetur ex Ariſtotelis littert, neque tamen ual de difplicet. Hanc enim neceſſe eſt fubftantiam rei eſſe, ut trinitati in cft oinni, numerus,impar, primusutroque modo, et ficut non menfurari numcro, et licut non componi ex numeris, hæ duæ particulæ,numerus,impar,nõ patiuntur, difficultaté,quinipſo. ternario uniuerſaliores ſint, ſed particula iſta primus utroq; modo,decla ratur ab ipfo Arift. quod fit uniuerſalior ternario numero,propter altes rī modorū, quonumerus primus dicatur eſſe ut unitatefola metiri poßit, multis conuenit numeris, ut quinario, ſeptenario,atque ternario, et alijs multis non cõponi ex numeris pariter multis cõuenit, ut ternario, qui ex binario ounitate conſtat, ſimiliter binario,qui conſtat non ex pluribus numeris,fed ex binis unitatibus, Ex hoc locohabeturnefcio quid contras Etius,quàm Euclides proponat,in feptimo Elementorü deffinitione x 15, XIII, quibus ait, quod primus numerus eſt, qui fola unitatemetie tur, Compoſitus autem eſt, qui dimetitur alio à fe ego ab unitate numero, quo loco uidetur quòdaliud fit dimetiri numero; &aliud numeris dia uerſis componi, ut ſeptenarius, nullo alio número ab unitate dimetina tur eſi componatur ex diuerfis numeris,ut ex binario o quinario,c. ex ternario &quaternario, primo enim modo aliquis poterit effe pris inus, qui compoſitus erit fecundo modo ut-XI, 0 X111, atque alij, quos vagu VI, VITI V Componunt nullus tamen eorum dimetia tur eorum alterum, var vi nullo modo dimetitur XI, VIII pariter POSTERIORVM ARIST.to v nullo modo dimetiuntur x1, cum neuter fit alicuius maioris pars, ut ex prima deffinitione quinti, &tertia deffinitione feptimiEle.. mentorum Euclidis manifeſtum eſt,hoc igitur loco dico, quod Ariſtotea les non loquitur fecundum Euclidis ſcitum,fed famoſe, ut philofophoa rum quorundam aliqui, Vbifecundum Ariftotelem tam partes aggregae tiua, que c irrationales, e integrantes dicuntur, quàm partes ali quote,qua rationales, odimetientes, dicuntur numerum compone re, ſed ſecundum Euclidis fcitum, non niſi partes proprie fumpte, que aliquotæfunt, numerum componunt; quod etiam Nicomachus et Boce. tius in arithmeticis aſſentiuntur, niſi dixeris quod etiam fecüdum Euclia dem,non omnem numerum,qui alium componit compoſitum dimetiri, fed ubi hoc Euclides fomniet non uidi. TEXTVS LXXVIII ALIAS XXV. ARTICVLA difficultatis ſe offert in hoc textu, quam Grecio Latini pretereunt, Aueroes tamen magna comentatione tangit nefcioquid, fed fcopum rei non tetigit iudicio eorü qui Ariſt.et Euclidis inſe quuntur,ueſtigis, Textus Ioannis grāmatici etArgi lopili obfcurăt aliquo modo primo intuitu pulchram Ariſtot.doctrinam, quam aperit textus Aucrois, ſiue Abramum, ſeu Bu, rinam inſpexeris, ipfius Aucrois interpretes, qua Ariſtotelis doctrina ex Aueroico textu bahita, illam poſtea ex loanne grammatico, Argi ropilo uidebis neceſſario effluere, loannis textus ita habetur, fi uero ficut in genere, finiliter fe habebit,ut propter quid con mutabiliter, Analogum eſt. Alia enim eit cauſa in lineis, et in numeris, et eadem, inquantum quidem lineæ, alia eft,in quantuin nero habens augınentun tale, eadem eſt, fic in omnibus, Argilopilus ſichabet fi fint ut in genere, medium ha bebunt finiliter,ueluti propter quid etiam mutato ordia oc, funilitudinein ſubeunt rationum, eft enim alia caufa in lincis, et in numeris, atque eadem alia quidem eſt, ut linea rum rationem fubit,eadem autem, ut tale habet incremen tum, et codem in omnibus modo; Aueroes fic habet commentar tionc magna,li autem fuerit fecundum modum generis,eft eis. affection IN'SECVNDVM LI B. uinum fimilitudine, uerbi gratia, cur quando permutantur: fint proportionalia, huius cnim caufæ in lineis et numeris ſunt diuerfæ, qua autem addit, hac ſpecie additionis, hoci modo eft una per ſe in omnibus,hoc textu nõ minus laboris fum pſi propter uarietatem textuum, quam etiam ob id, quod interpretes: non ita interpretari uidentur, ut textui Ariſtotelis cohæreant fue interpretationes aut nug et potius, præter Aueroin, qui magna come mentatione, confuſo tamen ordine dicit aliquid, faciens ad Aristotex: lis ſententiam, non tamen aperit uerum fenfum littera Ariſtotelis Pro vera igitur Ariſtotelis ſententia, in primisſcire debes, quod mas gnitudines ſeu continue quantitates, &multitudines feu quantitates die ſcrete omnes, uerfantur circa unum genus quanti, omnes enim quane titates funt, quæ antequàm permutentur, proportionalia eſſe debent, ut affeétio hæc,permutata proportionalitas,ſeu permutatim proportios nari, concluditur de quantitatibus proportionalibus, ratio autem qua concluditur hoc; de lineis, fuperficiebus,temporibus, vt corporibus, eadem de numeris concluditur, primum demonftratur propoſitione dea cimafexta quinti Elementorum Euclidis per alia principia, opropos ſitiones diuerſas ab his propoſitionibus &principijs, quibus de nume ris eadem permutata proportio concluditur in feptimo Elementorum, propoſitione decimatertia uel decimaquarta. Ecce igitur alia ratio in li neiseft,quia diuerſa e uniuerſalior, atque per diuerſa media, à ratio: ne qua idem de numeris concluditur, huius enim caufæ in lineis &nume ris ſunt diuerfæ, cauſas has, eas uoco, quæ folum dant propter quid et de his cauſis, que etiam dant eſſe, hoc loco minime intelligas uelim, quia tamen dicebam,quòd non concludebatur hæc affe &tio,permutata pro portio niſi de proportionalibus quantitatibus. Si modofieret queſtio, o cauſainueftigaretur,quare quantitates dicantur proportionales, uel que nam ſint quantitates proportionales, aut quando proportionales funt, Ariſtoteles dicit unam eſſe cauſam in omnibus, cum difcretis tum etiam continuis, quæ eft ex additione fimili utrobique pro cuius notitia mania feſta deffinitio ſexta quinti Elementorum, minime negligenda eſt, oeft Quantitates quedicuntur eſſe fecundum proportionem unam, prima ad fecundam vtertia ad quartam ſunt, quarum prime otertiæ æques multiplices, ſecunde «quarte equemultiplicibus comparat &, fimiles fuerint uel additione, ueldiminutione,uel æqualitate,eodem ordinefum POSTERIORVM ARI T. 10% ple. V'nica eſt héc caufâ, ut quantitates feu difcrete ſint, feu etiam continuefuerint,héc uidelicet fimilis additio,ueldiminutio,feu æquatio inter equemultiplicia,hoc autem eſt.quod ait in textu Ariſtoteles, in quantum uero habens augmentum tale, eadem eft fic in omnibus,hac igi: tur ſpecie additionis est una pér fe caufa in omnibus. Similem autem eſſe colorem colori, et figuram figuræ, aliam efſe alñ æquiuocum enim eft fimile in his. Hic quis dem eſt fortaſsis ſecundum analogiam habere latera, et æquales angulos. Figuræ rectilinee funtfimiles ex prima deffinitione fexti Elemen.quæ habent angulos omnesæquales, es latera illosæquales angulos continentia proportionalia,ſimilitudo igitur,non habet commus nefiguris ocoloribus, niſi nomenclaturam, non autem rem naturam unam, in coloribus enim non concernes, neque latera, neque angulos. Habent autem fe fic propter conſequentiam ad inuicem caufa, et cuius caufa,& cui eſt cauſa, unumquodque tamen accipienti, cuius eſt. cauſa, in pluseſt, utquatuor rectis æquales, qui funt extra plus ſunt, quàm triangulus, aut quadrangulus, in omnibusautem æqualiter. Quæcunque eniinquatuor rectis equales,qui ſuntextra,textus hicdeffétis uus eft, et mutilus apud Ioannem Grammaticum et Argiropilum, ma. gne commentationis textus est clarior, ſed non ad plenumfacit fatis,ut mens Ariſtotelis, fatim appareat. Caufe illationis, ſeu conſequentie, que mutuæ funt, feinuicem inferunt pro cuius exemplo, ad ea, quæ pri mo libro tex. xcvij. di &ta fuere inſpiciendum eſt, oultra aduertas quod uniuerſaliuseft habere omnes angulos extrinfecos æquales quatuor res Ais,quàm eſſe triangulum,uel quadrangulum,aut pentagonum,uel exago num, aut quippiamtale feorfum, fi autem accipiatur fic reétilineum est, igitur omnes anguli quiſunt extra, funt equales quatuor re& is, oecon uerfo, fic infertur, omnes anguli quiſunt extra funt æquales quatuor rectis,igiturid cuiusfunt anguli extrinſeci accepti, rectilineñ eft,quo uet bo, re &tilineum, comprehenduntur nedum triangulus, quadrangulus,co penthagonus, fed omnes figuræ re& ilinec, hoc igitur uult Ariſtoteles quandoinquit, quod habere extrinfecos quatuor re&tis æquales, uniuer Jalius eſt trigono, otetragono, ſi uero hec omuia accipiantur, ut in hoc uerbo, rectilineum, omnes figure rectilineæ comprehenduntur, ajo fic hoc pacto habentſe propter confequentiam,ut ad inuicem caufa «cu us caufa, &cui eft caufa. ilo: CAVSAB IGITVR ILLI SVMMAB SIT ILLS LAVS QY AM LINGVA ET VNIVERSA MENS CONCIPERE POTEST. FINISI RE G I S T R V M.. A B Omnes ſuntduerni. 37 Pac. 4. lined s publicis, à publicis. fac.4.li.6 incumbebam,abſtinere decreui..li.io laberinthos,labyrinthos.li.21 literis litteris ubique. Pd.4 li.3 comode, commode.li. 11 prefertim, præfertim ubique. li.12cales, calles. li. 16 Ariſtoteles, Ariſtotelis. Facis li.24 age, aie. Fac. 6.li. 2 pulcra, pulchra ubique. li, z fpetie, fpecie percubique. li. 32. quinnis, quinis. lin. 3 3 unis,pluribus ubique. Fac. 7 lin.6 neſcit, fcit.Fa.8 li.25 comunem,communem ubique. F2.13 li. 3 precedentis,precedentis ubique F &c.14 li.9 affumens, afſummens ubique. li.16 ſempliciter, fimpliciter. li. 12 equales æqualesubique. Fac.15.li.20 probation, probatione. Fa. 26 li. 26 reſumitur, reſummitur ubique. Fd. 19.3 1 Geotrica, Geomes trica. fac.20 li. o quadrati, quadrari. li. 10 e e Spoffet, effe poffet. li. 20 eeſſ;eſe. Fac.22 li. 10 A poline, A polline. Pac. 23 li. innitide tus,initatus. Fac.30 li. 12 fcit,ſit.fac.31.li.12 atulerunt attulerunt. fa. 3 2.li.27 manus, manu. fac. 34.li.7 ſilicet, ſcilicet ubique. fuc.36.li.4 Textus, Textu. li.25. aget, et get. fac.41. li:3 2 queſtione, queſtione ubique. fac.4.3 li. 25 texu, textu.fa. 48 li.34 prinus, primus. Fac.49 li.16.fue, ſua. fac.49.li.20 induéti, induti. fac. stili. 12recte,recti. fac.53 li. 11 A'riſtelis, Ariſtotelis.fac.53 li. 12 bucis, buccis ubique. li. 6 nltera, altera. fac.54.li.2.ie, git. fac. 57 li. 24 puerost, pueros, li. 25 illeuatus, eleuatus. fac.59 li. 7 olas, ollas. li. 3i ſimilitcr, ſimili ter. li. 3 4.innani,inani ubique. fac. 60 li.z eubi,cubi. li.25. apolini, apollini per,, ubique.lin. 28 pret, preti.fac.61.li.14.palade,pallade, li.24 filicet, ſcilicet ubique.fac.62 li. 23 rrrat, erat. fac.64. lin. 31 nos tid, notitia.fa.67 li.14 prebens,prebens.li.16.profonditate,profundis tate. fac. 68 li. 20 queſitis, quæfitis.fa, 9.li.6.nquiinquit. fac.75 li. s. paret, pares. fac. 76 li.16.notia.notitia. fac. 8 2.li. 13 ingnaros, ignaros.li. 27 preciſiua, preciſiua. li. 31. preedenti,precedentiubique fac. 83. li. 8.ſcienriarum, ſcientiarum. lin. 21.chierurgia, chirurgia. fac. 86 li. 10. neft, ineft.li. 17.angregata, aggregata. fac. 88 lin. 10 pretereundum, prætereundum.fac.91.li. 10.triangu o, triangulo. li.28. redit,reddet.fac.95li,31. eget,eget.fac.96.li.20 fequacea, fequaces. li. 32, balbitiant,balbutiant.fac. 104.11.18.uirum,uitrum. Et fi qua alia (que non funt pauca ) pretermiffa funt, diligens le& tor surum colligat &mufcas abigat.Grice: “The motivation behind my Immanuel Kant Lectures, Aspects of reason and reasoning, was to shed light on what Catena calls ‘demostrazione potetissima’.” Grice: “The Latin language – and the Italian language to some degree – allows for some fine inflections: there’s potius, which when cmbined with esse, gives posse, or potere – the ‘t’ is sometimes inarticulated as a ‘d’, as in ‘poderoso’, which goes for potius. Now, the interesting thing about potius, as Ross, and Mansel, and Aldrich and some Italian semioticians have found out – dealing with Roman law – is that a demonstrazione cn be ‘able’ (potis), in the positive degree. When it becomes comparative, the demonstrazione becomes ‘dimonstratio potior’, i.e. not able, but abler not capable, but capabler. Finally, if it’s the ablest or capablest, it’s demostrazione potissima, or demonstratio potissima. The ‘scuola padovana’ goes on to qualify ‘dimonstrazione potisima’ into two types, ‘dimonstrazione potissima affirmative,’ and ‘dimostrazione potisima negativa’. These are higher types of demonstration than the ‘demonstratio potior affirmativa’ and ‘demonstratio potior negativa’.” Petrus Cathena. Petrus Catena. Pietro Catena. Keywords: logica matematica, logica aritmetica, logica arimmetica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Catena” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Catone Maggiore – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.   Marco Porcio Catone  Voce Discussione Leggi Modifica Modifica wikitesto Cronologia  Strumenti Aspetto nascondi Testo  Piccolo  Standard  Grande Larghezza  Standard  Largo  Disambiguazione – Se stai cercando altri personaggi con lo stesso nome, vedi Marco Porcio Catone (disambigua). Marco Porcio Catone Censore della Repubblica romana  Particolare del Patrizio Torlonia, busto identificato con Catone il Censore Nome originale Marcus Porcius Cato Nascita Tusculum Morte Roma Coniuge Licinia Salonia Figli           Marco Porcio Catone Liciniano Marco Porcio Catone Saloniano Gens Porcia Padre Marco Porcio Tribuno militare Questura Edilità               199 a.C. Pretura Consolato Censura. Ceterum censeo Carthaginem esse delendam.»  (IT) «Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta.»  (Marco Porcio Catone)  Marco Porcio Catone (in latino Marcus Porcius Cato; nelle epigrafi M·PORCIVS·M·F·CATO; Tusculum, 234 a.C. circa – Roma, 149 a.C.) è stato un politico, generale e scrittore romano, chiamato anche Catone il Censore (Cato Censor), Catone il Sapiente (Cato Sapiens), Catone l'Antico (Cato Priscus), Catone il Vecchio per aver superato di molto l'età media massima di vita allora a Roma o Catone il Maggiore (Cato Maior) per distinguerlo dal pronipote Catone l'Uticense.  Biografia Ritratto Plutarco, autore delle Vite parallele, dà questo ritratto di Catone:  «Quanto al suo aspetto, aveva capelli rossastri e occhi azzurri, come ci rivela l'autore di questo poco benevolo epigramma: Rosso, mordace, dagli occhi azzurri, Persefone non accoglie Porcio in Ade neanche da morto.[1]»  «Fisicamente era ben piantato; il suo corpo s'adattava a qualunque uso, era tanto robusto quanto sano, poiché fin da giovane si applicò al lavoro manuale - saggio metodo di vita - e partecipò a campagne militari.[1]»  Origini familiari  De re rustica, 1794 Nacque nel 234 a. C. a Tusculum, da un'antica famiglia plebea che si era fatta notare per qualche servizio militare, ma che non aveva mai avuto esponenti tra le più importanti cariche civili. Fu allevato, secondo la tradizione dei suoi antenati latini, perché divenisse agricoltore, attività alla quale egli si dedicò costantemente quando non fu impegnato nel servizio militare. Ma, avendo attirato l'attenzione di Lucio Valerio Flacco, fu condotto a Roma, e divenne successivamente questore (204), edile (199), pretore (198) e console nel 195 percorrendo tutte le tappe del cursus honorum assieme al suo vecchio protettore; nel 184 divenne infine censore.  Marco Porcio Catone è considerato il fondatore della Gens Porcia. Ebbe due mogli: la prima fu Licinia, un'aristocratica della Gens Licinia, da cui ebbe come figlio Marco Porcio Catone Liciniano; la seconda, è Salonia, figlia di un suo liberto, sposata in tarda età dopo la morte di Licinia, da cui ebbe Marco Porcio Catone Saloniano, nato quando il Censore aveva 80 anni.  Carriera politica «I ladri di beni privati passano la vita in carcere e in catene, quelli di beni pubblici nelle ricchezze e negli onori»  (Marco Porcio Catone, citato in Aulo Gellio, Notti attiche, XI, 18, 18)  Nel 204 a.C. prestò servizio in Africa come questore con Scipione l'Africano, ma lo abbandonò dopo un litigio a causa di presunti sperperi. Nel 195 a.C. si oppose invano all'abrogazione della lex Oppia, emanata durante la seconda guerra punica per contenere il lusso e le spese esagerate da parte delle donne. Comandò poi in Sardegna, dove per la prima volta mostrò la sua rigidissima moralità pubblica, e in Spagna, che assoggettò spietatamente, guadagnando di conseguenza la fama di trionfatore (194 a.C.).  Nel 191 a.C. ricoprì il ruolo di tribuno militare nell'esercito di Manio Acilio Glabrione nella guerra contro Antioco III il Grande di Siria, giocò un ruolo importante nella battaglia delle Termopili e attaccando alle spalle Antioco permise la vittoria dei romani, che segnò la fine dell'invasione seleucide della Grecia. Nel 189 a.C. condusse un processo sia contro Scipione l'Africano sia contro il fratello Scipione l'Asiatico, accusandoli di aver concesso dei favori personali al re di Siria Antioco III e di aver dissipato il tesoro dello Stato. Il caso degli Scipioni consiste in uno dei più grandi scandali della Repubblica Romana, considerando che, soprattutto Scipione L'Africano, era considerato l'eroe della Seconda Guerra Punica.  Opera pubblica La sua reputazione di soldato era quindi consolidata; da quel momento in poi egli preferì servire lo Stato a casa, esaminando la condotta morale dei candidati alle cariche pubbliche e dei generali sul campo. Pur non essendo egli personalmente coinvolto nel processo per corruzione contro gli Scipioni (l'Africano e l'Asiatico), fu tuttavia lo spirito che animò l'attacco contro di loro. Persino Scipione l'Africano, che si rifiutò di rispondere all'accusa, affermando solo: "Romani, questo è il giorno in cui io sconfissi Annibale", venendo assolto per acclamazione, trovò necessario ritirarsi, auto-esiliandosi, nella sua villa a Liternum. L'ostilità di Porcio Catone risaliva alla campagna d'Africa quando discusse con Scipione per l'eccessiva distribuzione del bottino tra le truppe, e la vita sfarzosa e stravagante che quest'ultimo conduceva.  Censore Al secondo tentativo, nel 184, egli fu eletto censore ed esercitò questa carica per quattro anni così bene che gli venne assegnato il soprannome di Censore (anche per il suo carattere severo, per il suo austero moralismo e per l'asprezza delle critiche rivolte da lui contro ogni indizio di corruzione delle antiche virtù romane).  Contro l'ellenismo Catone si oppose inoltre all'ellenizzazione, ossia il diffondersi della cultura ellenistica, che egli riteneva minacciasse di distruggere la sobrietà dei costumi del vero romano, sostituendo l'idea di collettività con l'esaltazione del singolo individuo. Fu nell'esercizio della carica di censore che questa sua determinazione fu più duramente esibita e ovviamente il motivo dal quale gli derivò il suo celebre soprannome. Revisionò con inflessibile severità la lista dei senatori e degli equites, cacciando da ogni ordine coloro che riteneva indegni, sia per quanto riguarda la moralità, che per la mancanza dei requisiti economici previsti. L'espulsione di Lucio Quinzio Flaminino per ingiustificata crudeltà, fu un esempio della sua rigida giustizia.  Contro il lusso La sua lotta contro il lusso fu assai serrata. Impose una pesante tassa sugli abiti e gli ornamenti personali, specialmente delle donne, e sui giovani schiavi comprati come concubini o favoriti domestici (leggi sumptuariae). Nel 181 a.C. appoggiò la lex Orchia (secondo altri egli prima si oppose alla sua introduzione, e successivamente alla sua abrogazione), la quale prescriveva un limite al numero di ospiti in un ricevimento, e nel 169 a.C. la lex Voconia, uno dei provvedimenti che miravano a impedire l'accumulo di un'eccessiva ricchezza nelle mani delle donne, nei cui confronti in realtà Catone appare quasi un nemico. Ne limitò il lusso degli abiti e dei gioielli, e si oppose al possesso da parte della donna di denaro e ricchezza, sempre in difesa dei valori morali della Repubblica.[senza fonte] Con le donne di casa, mogli, figlie o schiave, fu assai severo, fino a sfiorare talvolta la tirannia; una delle cause di dissenso con gli Scipioni era proprio la libertà e il lusso che questi concedevano alle loro donne.  Contro i Baccanali Fu assai disgustato, assieme a molti altri dei romani più conservatori, dalla diffusione dei riti misterici dei Baccanali, che egli attribuì all'influenza negativa dei costumi greci; perciò sollecitò con veemenza l'espulsione dei filosofi greci (Carneade, Diogene lo Stoico e Critolao), che erano giunti come ambasciatori da Atene, sulla base della pericolosa influenza delle idee diffuse da costoro.  Contro i medici Catone provava ripugnanza per i medici, che erano principalmente greci. Ottenne il rilascio di Polibio, lo storico, e dei suoi compagni prigionieri, chiedendo sprezzante se il Senato non avesse niente di più importante da discutere del fatto che qualche greco dovesse morire a Roma o nella sua terra. Era quasi ottantenne quando, secondo quanto dicono le fonti biografiche, ebbe il suo primo contatto con la letteratura greca; anche se, dopo aver esaminato i suoi scritti, è verosimile ritenere che possa aver avuto un contatto con le opere greche per gran parte della sua vita.  Contro Cartagine Il suo ultimo impegno pubblico fu di spronare i suoi compatrioti verso la terza guerra punica e la distruzione di Cartagine. Nel 157 a.C. fu uno dei delegati mandati a Cartagine per arbitrare tra i cartaginesi e Massinissa, re di Numidia. La missione fu fallimentare e i commissari ritornarono a casa. Ma Porcio Catone fu colpito dalle prove della prosperità dei cartaginesi a tal punto da convincersi che la sicurezza di Roma dipendesse dalla distruzione totale di Cartagine. Da quel momento egli continuò a ripetere in Senato: «Ceterum censeo Carthaginem delendam esse.» ("Per il resto ritengo che Cartagine debba essere distrutta."). È noto che egli ripeteva ciò alla conclusione di ogni suo discorso.  Altre attività Riguardo alle altre questioni egli fece riparare gli acquedotti di Roma, pulire le fognature, impedì a soggetti privati di deviare le acque pubbliche per il loro uso personale, ordinò la demolizione di edifici che ostruivano le vie pubbliche, e costruì la prima basilica nel Foro vicino alla Curia (Livio, Ab Urbe condita, XXXIX, 44; Plutarco, Vita di Catone, 19). Aumentò inoltre la somma dovuta allo stato dai pubblicani per il diritto di riscuotere le tasse e allo stesso tempo diminuì il prezzo contrattuale per la realizzazione di lavori pubblici.  Morte Dalla data della sua carica di censore (184 a.C.) alla sua morte, avvenuta nel 149 a.C. sotto il consolato di Manio Manilio Nepote e Lucio Marcio Censorino[2], Porcio Catone non occupò nessun'altra carica pubblica, ma continuò a distinguersi in Senato come tenace oppositore ad ogni nuova influenza.  Solo dopo la sua morte si iniziò la spedizione contro Cartagine (149 a.C.), che lui aveva voluto.  La visione della società Per Porcio Catone la vita individuale era un continuo auto-disciplinarsi, e la vita pubblica era la disciplina dei molti. Egli riteneva il singolo pater come il principio della famiglia, e la famiglia come il principio dello stato. Attraverso una rigida organizzazione del suo tempo egli realizzò un'enorme quantità di opere; pretese inoltre la medesima applicazione dai suoi dipendenti.  Riconoscimenti Per i Romani stessi ci fu poco nella sua condotta che sembrasse necessario censurare; fu sempre rispettato e considerato come un esempio tradizionale degli antichi e più genuini costumi romani. Nel notevole passo (XXXIX, 40) in cui Livio descrive il carattere di Porcio Catone, non c'è alcuna parola di biasimo per la rigida disciplina della sua condotta domestica.  Opera letteraria Porcio Catone è tra le principali personalità della letteratura latina arcaica: egli fu oratore, storiografo e trattatista. Fu autore di una vasta raccolta di manuali tecnico-pratici, con i quali intendeva difendere i valori tradizionali del mos maiorum contro le tendenze ellenizzanti dell'aristocrazia legata al circolo degli Scipioni, indirizzata al figlio Marco, i Libri ad Marcum filium o Praecepta ad Marcum filium, di cui si conserva per intero soltanto il Liber de agri cultura, in cui esamina, soprattutto, l'azienda schiavile che tanto spazio si conquisterà poi in età imperiale.[3] Affrontò inoltre la tematica dei valori tradizionali romani anche in un Carmen de moribus, di cui sono ad oggi pervenuti pochissimi frammenti.  Fin dalla giovinezza si dedicò all'attività oratoria: sul finire della Repubblica erano note ben 150 sue orazioni,[4] mentre attualmente sono conservati solo frammenti, di varia estensione, riconducibili a circa ottanta orazioni diverse.[5] Si distinguono tra esse orationes deliberativae, ovvero discorsi pronunciati in Senato a favore o contro una proposta di legge, e orationes iudiciales, discorsi giudiziari di accusa o difesa.  Fu inoltre autore, in vecchiaia, della prima opera storiografica in lingua latina, le Origines, il cui argomento era la storia romana dalla leggendaria fondazione fino al II secolo a.C. Dell'opera, pur significativa dal punto di vista ideologico, si conservano scarsi frammenti.[6] Catone individua nel culmine del percorso educativo la formazione di un vir bonus, dicendi peritus (uomo di valore, esperto nel dire), espressione che sarà il cardine del successivo modello educativo romano.[7]  L'opera letteraria di Catone, in particolare quella storica e oratoria, fu elogiata da Cicerone,[8] che definì il censore primo grande oratore romano e il più degno d'essere letto. Nella prima età imperiale, nonostante l'ideologia catoniana coincidesse in buona parte con la politica restauratrice del mos maiorum promossa da Augusto, l'opera di Catone fu oggetto di sempre minore interesse. Con l'affermarsi delle tendenze arcaizzanti nel II secolo, invece, essa fu oggetto di grandi attenzioni, seppure a carattere esclusivamente linguistico ed erudito: Gellio e Cornelio Frontone ne tramandarono molti frammenti, e l'imperatore Adriano dichiarò di preferirlo addirittura a Cicerone.[9]  A partire dal IV secolo iniziò a perdersi la conoscenza diretta della sua opera, con l'eccezione del manuale sull'agricoltura. Grande diffusione ebbe invece la raccolta di proverbi in esametri erroneamente attribuitagli, denominata Disticha Catonis (con anche alcuni Monosticha Catonis), in realtà composta probabilmente nel III secolo.[9]  Edizioni Scriptores rei rusticae, Venetiis, apud Nicolaum Ienson, 1472 [Contiene i De re rustica di Catone, Varrone, Columella e Rutilio Tauro Palladio] (editio princeps). De agri cultura liber, Recognovit Henricus Keil, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, 1895. De agri cultura, ad fidem Florentini codicis deperditi edidit Antonius Mazzarino, Lipsiae, in aedibus B.G. Teubneri, 1962. Marci Porci Catonis Oratio pro Rhodiensibus. Catone, l'Oriente Greco e gli Imprenditori Romani. Introduzione, Edizione Critica dei Frammenti, Traduzione Ital. e Commento, a cura di Gualtiero Calboli, Bologna 1978. Traduzioni italiane Catone, De re rustica, con note, [Traduzione di Giuseppe Compagnoni], Tomo I-III, Venezia, nella stamperia Palese, 1792-1794 («Rustici latini volgarizzati»). Catone, Dell'agricoltura, Versione di Alessandro Donati, Milano, Notari, 1929. Liber de agricoltura, Roma, Ramo editoriale degli agricoltori, 1964. L'agricoltura, a cura di Luca Canali e Emanuele Lelli, Milano, A. Mondadori, 2000. Opere, a cura di Paolo Cugusi e Maria Teresa Sblendorio Cugusi, 2 voll., Torino, UTET, 2001. Note  Plutarco, Vita di Marco Catone, 1. ^ Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo, I, 13. ^ Antonio Saltini, Storia delle scienze agrarie, vol. I, Dalle civiltà mediterranee al Rinascimento europeo, 3ª ediz., Firenze, Nuova Terra Antica, 2010, pp. 41-50. ^ Cicerone, Brutus, 65. ^ G. Pontiggia - M.C. Grandi, Letteratura latina. Storia e testi, Milano, Principato, Pontiggia - Grandi, p. 164. ^ U. Avalle - M. Maranzana, Pedagogia, vol. I, Dall'età antica al Medioevo, Torino, Paravia, 2010, p. ? ^ Brutus, 63-69.  Pontiggia - Grandi, p. 165. Bibliografia (Per la bibliografia specifica sul De agri cultura e sulle Origines si rimanda alle rispettive voci)  L. Alfonsi, Catone il censore e l'umanesimo romano, Napoli, Macchiaroli, 1954 (estr.). A.E. Astin, Cato the Censor, Oxford, Clarendon press, 1978. C.C. Burckhardt, Cato der Censor, Basel, Reinhardt, 1899. L. Cordioli, Marco Porcio Catone il censore e il suo tempo, Bergamo, Sestante, 2013. F. Della Corte, Catone Censore. La vita e la fortuna, Torino, Rosemberg e Sellier, 1949 (rist. Firenze, La Nuova Italia, 1969). P. Fraccaro, Sulla biografia di Catone maggiore sino al consolato e le sue fonti, Mantova, G. Mondovì, 1910 (estr.). F. D. Gerlach, Marcus Porcius Cato der Censor, Basel, C. Schultze, 1869. F. Marcucci, Studio critico sulle opere di Catone il maggiore, vol. I [unico pubblicato], Analisi delle fonti, questioni varie, Orazioni del periodo consolare e degli anni posteriori fino alla censura, Orazioni del periodo censorio, Pisa, succ. fratelli Nistri, 1902. E.V. Marmorale, Cato maior, Catania, G. Crisafulli, 1944 (II ed. Bari, Laterza, 1949). C. Ricci, Catone nell'opposizione alla cultura greca e ai grecheggianti. Nota, Palermo, D. Lao e S. De Luca, 1895. E. Sciarrino, Cato the Censor and the beginnings of Latin prose. From poetic translation to elite transcription, Columbus, Ohio State University Press, 2011. Fonti antiche Cicerone, Cato maior de senectute Cornelio Nepote, Vita M. Porcii Catonis Tito Livio, Ab Urbe condita, Plutarco, Vita Catonis maioris Voci correlate Marco Porcio Catone Uticense, bisnipote Catóne, Marco Porcio, detto il Censore, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Plinio Fraccaro, CATONE, Marco Porcio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata Catone, Marco Porcio detto il Censore, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Catóne, Marco Pòrcio, detto il Censóre, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Marcus Porcius Cato, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (ES) Marco Porcio Catone, in Diccionario biográfico español, Real Academia de la Historia. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Marco Porcio Catone, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su Wikidata Opere di Marco Porcio Catone / Marco Porcio Catone (altra versione), su MLOL, Horizons Unlimited. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Marco Porcio Catone, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Marco Porcio Catone, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di Marco Porcio Catone, su LibriVox. Modifica su Wikidata (EN) Marco Porcio Catone, su Goodreads. Modifica su Wikidata Marco Porcio Catone, su Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi. Modifica su Wikidata (LA, IT) Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e note: M. Porcii Catonis quae supersunt opera, Venetiis excudit Joseph Antonelli, 1846. (LA, FR) Les agronomes latins, Caton, Varron, Columelle, Palladius, avec la traduction en français, M. Nisard (a cura di), Paris, Firmin Didot Fréres, 1856, pagg. 1 sgg. Historicorum Romanorum Reliquiae, Hermannus Peter (a cura di), vol. 1, in aedibus B. G. Teubneri, Lipsiae, 1914², pagg. 55-97. M. Catonis praeter librum de re rustica quae extant, Henri Jordan (a cura di), Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1860. Predecessore Fasti consulares Successore Lucio Furio Purpureo e Marco Claudio Marcello con Lucio Valerio Flacco Publio Cornelio Scipione II e Tiberio Sempronio Longo V · D · M Gens Porcia Cato V · D · M Plutarco Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Politici del III secolo a.C.Generali del III secolo a.C.Scrittori del III secolo a.C.Romani del III secolo a.C.Morti nel 149 a.C.Nati a TusculumMorti a RomaMarco Porcio CatoneAgronomi romaniCensori romaniConsoli repubblicani romaniPorciiStoria dell'agricolturaRetori romani[altre]. Catone. Keyword: censura ed impliacatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Catone” – Catone.

 

Grice e Catone: Minore – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Roma). Filosofo italiano.   Marco Porcio Catone Uticense  Voce Discussione Leggi Modifica Modifica wikitesto Cronologia  Strumenti Aspetto nascondi Testo  Piccolo  Standard  Grande Larghezza  Standard  Largo Niente fonti! Questa voce o sezione sugli argomenti politici romani e militari romani non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Marco Porcio Catone Uticense Pretore della Repubblica romana  Jean-Baptiste Roman e François Rude (1832-1835), Catone Uticense legge il Fedone prima di togliersi la vita. Museo del Louvre, Parigi. Nome originale Marcus Porcius Cato Uticensis Nascita Roma Morte Utica Coniuge Atilia Marzia Figli Marco Porcia Gens Porcia Padre Marco Porcio Catone Saloniano il Giovane Madre Livia Drusa Tribuno militare Questura in Cipro Tribunato della plebe Pretura Propretura in Cipro in Sicilia 47 a.C. in Africa Marco Porcio Catone Uticense (in latino Marcus Porcius Cato Uticensis, detto anche Minor per distinguerlo dal suo avo Marco Porcio Catone, detto pertanto Maior; Roma, 95 a.C. – Utica, 12 aprile 46 a.C.) è stato un politico, militare, scrittore e triumvir monetalis romano.  Se si eccettua l'accusa, non verificata, di ebrius (ubriacone) mossagli da Gaio Giulio Cesare, l'Uticense è descritto persino dalle fonti a lui ostili e dai suoi più aspri nemici come una figura di somma rettitudine, incorruttibile ed imparziale, molto scomodo per i suoi avversari. È mostrato come il campione delle prische virtù romane per antonomasia, uomo fuori del suo tempo, citato ogni qual volta si volevano lodare (o anche sbeffeggiare, come in Marziale) i Romani dei tempi eroici.  Seguace della filosofia stoica e celebre oratore, Catone Uticense viene ricordato, oltre che per la sua caparbietà e tenacia, per essersi ribellato alla presa di potere da parte del suo rivale Cesare, preferendo il suicidio all'umiliazione di farsi graziare da Cesare e assistere alla fine dei valori repubblicani di Roma, che aveva sempre difeso.  Fu pronipote di Catone il Censore.  Biografia Origini familiari Il figlio di Marco Porcio Catone il Censore e di Salonina, Marco Porcio Catone Saloniano, ebbe due figli, il maggiore dei quali, Marco Saloniano il Giovane, sposò Livia, figlia di Marco Livio Druso, console nel 112 a.C. Da questo matrimonio nacque, oltre quel Marco, che sarà l'Uticense, Porcia. Da un precedente matrimonio di Livia con Quinto Servilio Cepione erano nati Servilia e Quinto Servilio Cepione. Quest'ultimo avrà una figlia anch'essa di nome Servilia. Pertanto Marco (il futuro Uticense) e Porcia, Servilia e Quinto Servilio Cepione, erano figli della stessa madre.  Dal matrimonio di Servilia (sorellastra dell'Uticense e amante di Gaio Giulio Cesare) con il tribuno della plebe Marco Giunio Bruto, nascerà Marco Giunio Bruto il futuro cesaricida, che sposerà la cugina Porcia (figlia di Catone). L'altra Servilia, nipote dell'Uticense, andrà sposa a Lucio Licinio Lucullo e verrà da questi ripudiata per la sua scandalosa condotta. Una menzione a parte merita la moglie dell'Uticense, Marcia, ceduta dallo stesso al famoso oratore Ortensio, ricchissimo, e ripresa in casa dopo la morte di quest'ultimo.  Giovinezza e studi Plutarco, nella sua raccolta di biografie intitolata Vite parallele, descrive il giovane Catone Uticense come un ragazzo molto composto e deciso, dal carattere imperturbabile, sia nel parlare che nelle attività fisiche. Data la sua modestia e il suo coraggio sviluppato nel corso degli anni, Catone stava lontano da chi tentava di adularlo e si dimostrava autoritario invece nei confronti di chi lo voleva intimidire; tuttavia non era un tipo violento e non si lasciava sopraffare dall'ira. Sempre secondo Plutarco, Catone non sorrideva quasi mai e si rilassava solo in determinate occasioni.  Catone Uticense durante gli anni scolastici risultava essere molto più impacciato e duro di comprendonio rispetto ai suoi compagni, anche se aveva una grande capacità mnemonica. Nonostante le difficoltà negli studi, Catone li viveva molto seriamente e laboriosamente, ascoltando ed obbedendo sempre agli insegnamenti del suo saggio e comprensivo tutore, l'anziano Sarpedonte.  Durante questo periodo, gli alleati italici di Roma facevano di tutto per ottenere la cittadinanza romana, il che preoccupava non poco i militari e i senatori romani. Il condottiero marso Quinto Poppedio Silone, che alloggiava allora nella casa di Livio Druso, incitava il piccolo e suo fratello a prendere parte, una volta diventati uomini, alla battaglia per la cittadinanza:  "Orsù, fate in modo che in favore nostro preghiate lo zio ad adoperarsi per i nostri diritti." Il fratello di Catone, Cepione, accettò sorridendo, mentre Catone rimase in silenzio a guardare Silone e gli altri ospiti con disprezzo, quindi Silone lo afferrò da terra e lo avvicinò alla finestra, minacciando che l'avrebbe ucciso facendolo cadere da lì, ma Catone continuò a non dire niente. Silone, resosi conto che il ragazzo non aveva nessuna paura, lo rimise giù e disse:  "Quale fortuna per l'Italia che questi è un fanciullo; poiché se fosse stato adulto credo che neppure un voto ci sarebbe stato per noi nell'assemblea popolare"[1]. Carriera politica Nel 72 a.C. Catone combatté come volontario nella terza guerra servile contro Spartaco. Nel 67 a.C. venne nominato tribuno militare in Macedonia e legato di Pompeo per la guerra contro i pirati. Fu questore nel 64 a.C. e tribuno della plebe nel 62 a.C. Essendo tribuno designato, nel 63 a.C. ottenne dal senato la condanna a morte per alcuni seguaci di Catilina (pena che sarà poi eseguita dall'allora console Cicerone), in opposizione a Cesare, che proponeva pene più miti. Quindi fu questore e propretore tra il 58 a.C. e il 56 a.C., con l'incarico di ridurre a provincia romana l'isola di Cipro sottratta all'Egitto, pretore nel 54 a.C.. Intorno al 49 a.C. lo troviamo in Sicilia, non si sa bene se col grado di questore o di propretore. Poco portato al compromesso e indifferente agli interessi dei compagni di partito, quello degli optimates, conobbe anche l'insuccesso elettorale, nel 55 a.C., anno in cui si era candidato per la carica di pretore. Oltre che da Seneca, questo particolare ci viene riferito da Petronio Arbitro che considera tale bocciatura cosa disonorevole non per Catone, ma per il popolo romano.  Nell'esercizio delle sue funzioni, si oppose all'illegalità, dichiarandosi custode del mos maiorum e delle istituzioni repubblicane, attaccando chiunque non si muovesse entro quei limiti. Uniformò tutta la sua vita ai precetti dello Stoicismo, mostrando grande intransigenza nei confronti di potenti autocrati e dei più spregiudicati mestieranti della politica del tempo, non facendosi per nulla intimorire da minacce palesi contro la sua incolumità.  Contro i futuri Triumviri Si scagliò, infatti, contro Gneo Pompeo Magno, il conquistatore della provincia d'Oriente, al quale, opponendosi coi suoi seguaci in senato, negò il trionfo, le terre che Pompeo stesso chiedeva per ricompensare i suoi veterani e il riconoscimento della sistemazione che egli aveva dato ai territori sottomessi. Pompeo infatti, nel conquistare i territori della suddetta nuova provincia era andato oltre il suo mandato, violando la legge che prevedeva l'intervento del senato ove un governatore di provincia si fosse spinto oltre i limiti territoriali di sua competenza: Pompeo, nelle intenzioni di Catone, avrebbe dovuto rispondere all'accusa di interesse privato nella sistemazione territoriale, nella nomina di suoi clienti in posti chiave della provincia e al mantenimento, ai confini, di re e governanti che molto probabilmente avevano sborsato ingenti somme per essere mantenuti o posti sul trono.  Si oppose anche a Marco Licinio Crasso, (il vincitore della rivolta servile del 73 a.C., guidata da Spartaco e terminata, nel 71 a.C., con la crocifissione di 6000 schiavi lungo la via Appia) che chiedeva per i suoi amici, appartenenti all'ordine equestre, una parziale restituzione di somme, da costoro versate e già incamerate dall'erario, relative e conseguenti all'aggiudicazione delle gare d'appalto per la riscossione delle tasse nella provincia d'Oriente; anche in questo caso l'opposizione di Catone non lasciò spazio a ulteriori discussioni: le trattative si erano svolte regolarmente secondo contratti letti, accettati e sottoscritti dagli interessati; si accontentassero gli appaltatori delle imposte di guadagnare un po' meno.   Coppe di propaganda politica di Catone e Catilina. Non meno violenta fu l'opposizione di Catone a Gaio Giulio Cesare, (rinfocolata da animosità personali, se vogliamo credere ai pettegolezzi riferiti da Sallustio) sia quando questi proponeva, contro i congiurati che avevano fiancheggiato Lucio Sergio Catilina, pene alternative a quella di morte, proposta invece con vigore da Marco Tullio Cicerone e dallo stesso Catone, sia quando chiedeva, contestualmente al trionfo per le imprese di Gallia, la rielezione a console per l'anno successivo. Prassi voleva, rispose Catone, che il consolato non si potesse chiedere in absentia e che il trionfo si potesse celebrare dopo che il comandante avesse congedato le proprie milizie: rimproverava inoltre a Cesare l'essersi arricchito in Gallia a tal punto da poter pagare ingenti somme per saldare i debiti dei suoi tanti amici e fiancheggiatori, residenti in Roma: Catone, inoltre, voleva che Cesare deponesse la carica che deteneva da otto anni illegalmente, rientrando in Roma da privato cittadino. Su quest'atteggiamento ostile verso Cesare non si sa se e quanto avrà potuto influire la lunghissima relazione extraconiugale tra il conquistatore delle Gallie e Servilia, sorellastra dell'Uticense: di certo almeno in un'occasione l'Uticense ne rimase irritatissimo.  Con Cesare diventavano tre gli scontentati, rappresentanti della fazione dei populares: a questo punto i tre, Pompeo, Crasso e Cesare, umiliati da Catone, decidono di stringere un patto di mutua alleanza, il cosiddetto primo triumvirato, per impossessarsi del potere. In più di un'occasione Cicerone addebiterà all'Uticense la responsabilità d'aver rotto, col suo rigido atteggiamento, da stoico intransigente, la concordia ordinum, ossia quel delicato equilibrio su cui si reggeva, ma ancora per poco, il vecchio sistema repubblicano.  La svolta pompeiana Soltanto quando, morto Crasso nella battaglia di Carre contro i Parti, tra Cesare e Pompeo cominciano a manifestarsi gelosie e reciproci sospetti, Catone, in un estremo tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, si avvicinò a Pompeo, che nel frattempo strizzava l'occhio agli optimates in funzione anticesariana: intanto Cesare, il conquistatore delle Gallie, varca il Rubicone, puntando con le sue legioni su Roma: Pompeo, il senato romano e i catoniani abbandonano la città, sperando di ricongiungersi alle legioni anticesariane delle province. Gli eventi precipitano, portando allo scontro tra Cesare e Pompeo, e quando quest'ultimo, in fuga, dopo la battaglia di Farsalo (48 a.C.), viene ucciso a tradimento in Egitto, per ordine del quattordicenne faraone Tolomeo XIII, fratello di Cleopatra, per Catone e i suoi seguaci, incalzati dalle legioni di Cesare, non rimane che tentare un'estrema resistenza nelle Province. La più sicura di esse era la Numidia, governata all'epoca dal re Giuba I, anticesariano e protettore dei catoniani, già distintosi per aver inferto gravi sconfitte all'avversario, ma prossimo anche lui alla capitolazione, avvenuta nella battaglia di Tapso, e al suicidio (46 a.C.). Le milizie cesariane puntano ora su Utica, dove sono arroccati i Catoniani e dove si consuma l'estremo sacrificio di Catone.  Vita privata Catone ebbe due mogli. La prima fu Atilia, figlia di Caio Atilio Serranus, sposata nel 73 a.C., da cui ebbe il figlio Marco, morto a Filippi nel 42 a.C., e la figlia Porcia, che sposò Bruto. Da Atilia, Catone divorziò nel 63 a.C. per adulterio. La seconda moglie di Catone fu Marzia, che venne da questo "data in prestito" a Quinto Ortensio. Dopo la scomparsa di questo secondo marito ella però tornò dal primo, divenendo un simbolo di fedeltà coniugale, citato da numerosi autori, da Lucano a Dante Alighieri.  La fine  La morte di Catone, nell'interpretazione dell'artista francese Bouillon. Morto Pompeo, Catone raggiunse Utica con un contingente forte di ben diecimila legionari, con i quali era riuscito a percorrere ben 2253 km (da Arsinoe in Cirenaica a Utica) in condizioni estreme e in poco meno di quattro mesi. A Utica i suoi fautori, in un primo tempo decisi a difendersi con il favore degli abitanti, si perdettero d'animo e cominciarono a parlare di arrendersi a Cesare.  Catone non voleva abbassarsi a chiedere grazia; perciò diede a coloro che volevano partire i mezzi per il viaggio, pranzò con tranquillità, trascorse le ultime ore in discussioni filosofiche e nella lettura di alcuni passi del Fedone di Platone, ovvero il libro che parla della sopravvivenza dell'anima dopo la morte, poi si trafisse con la spada il ventre dopo aver letto il libro per l'intera nottata, esclamando: «Virtù, non sei che una parola».  Accorsi, i suoi amici gli fasciarono la ferita, ma egli, strappate le bende, volle morire infierendo nervosamente contro i suoi visceri. Per lui, stoico, la morte non era un male ma uno strumento di liberazione, dal momento che ogni altra via era preclusa. È per questo che Dante nel Purgatorio lo sceglie, pur suicida, come esempio di libero arbitrio, dono di Dio.  Si disse che Cesare avesse parole di ammirazione per questo suo ostinato avversario; ma quando Cicerone, Bruto e Fabio Gallo scrissero per esaltare la virtù e la preveggenza di Catone, Cesare rispose con gli Anticatones, due libelli polemici diretti a confutare l'esaltazione dell'Uticense, presentato dai suoi amici come martire della libertà repubblicana, dal tono volutamente denigratorio (anche in base a motivi di rancore personale poiché una figlia di Catone, Porcia, era appena diventata moglie di Bruto suscitando scandalo).  Opere letterarie  La morte di Catone l'Uticense, nell'opera di Guillaume Guillon Lethière, 1795, San Pietroburgo, Ermitage. Alla morte di Catone, vennero pubblicate parecchie opere commemorative, andate perdute, compreso il già citato Anticato (= Contro Catone), scritto da Cesare in chiave ironica, per svilirne l'operato e il ricordo. Del medesimo tenore, com'è dato capire da un passo di Svetonio, è verosimile che fossero i rescripta Bruto de Catone (=risposte a Bruto su Catone) dell'imperatore Augusto. Può quindi desumersi che la figura di Catone Uticense assunse, già fin dagli anni immediatamente successivi alla sua morte, le proporzioni di un simbolo, prima nazionale, poi universale[2].  Letteratura classica  Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (78 - 31 a.C.). Fonte principale su Catone Uticense è la biografia di Plutarco nelle Vite parallele che accentua i caratteri politici della sua figura e che sarà il modello delle elaborazioni moderne del personaggio. Sulla sua azione politica abbiamo notizie, soprattutto da Cicerone (Epistolario) e da Sallustio (Bellum Catilinae), suoi contemporanei tra i più noti.  L'azione politica e le imprese di Catone sono state anche oggetto di trasposizione poetica da parte di Lucano, nella sua Pharsalia o dir che si voglia Bellum civile che pone l'accento sulla sua integrità morale e sulla sua eroica fedeltà ad un ideale di libertà politica difesa fino alla morte.  Lusinghieri i giudizi sulla onestà, dirittura morale, fermezza d'opinione e coraggio messi in atto per la difesa della legalità che si leggono in autori di ogni epoca, quali Livio, (com'è dato supporre dalle periochae, riassunto della sua monumentale opera), Valerio Massimo, Seneca, Tacito, Marziale, Quintiliano, Publio Papinio Stazio per parlare dei più noti. In particolare il nome di Catone ricorre spesso in un'opera storica, per certi aspetti singolare, meglio conosciuta come Historia Augusta (HA), serie di biografie imperiali da Adriano a Numeriano (dal 117 al 284): esso viene evocato per elogiare imperatori "liberali", sotto i quali, dice l'autore (o dicono gli autori, cf. il libro di S. Mazzarino appresso indicato) "sarebbe stato felice di vivere persino Catone"; era il massimo elogio che si potesse tributare ad un imperatore.   Catone, di Giovanni Battista Langetti, 1660-1680, Ermitage, San Pietroburgo. Giudizi sull'Uticense si leggono anche in molti autori di letteratura latina cristiana: interessante è la posizione di Sant'Agostino che avanza più di un dubbio sulla coerenza dell'Uticense (cf. De civitate Dei), dandone un giudizio negativo.  Fortuna letteraria e nell'arte L'Uticense viene comunemente considerato come un grande politico, molto capace, ma soprattutto, un uomo che non avrebbe mai abbandonato la propria libertà politica. Piuttosto di essere catturato e arrestato, preferiva la morte per mano propria, infierendo addirittura contro il suo corpo mentre moriva. È certamente il massimo simbolo della libertà sociale, di pensiero e politica in assoluto, fatto ripreso da Dante Alighieri nel Purgatorio, Canto I, ponendolo non fra i suicidi, ma a guardia del Purgatorio.  «Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta.  Tu 'l sai, che non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara»  (Dante Alighieri, Purgatorio, Canto I vv 70-75)  In epoca medioevale l'Uticense ha quindi una notevole importanza, come personaggio di primo piano, nella Divina Commedia; egli, simbolo di rettitudine morale e di martire per la libertà viene, infatti, posto, da Dante, a custodia del Purgatorio, dove giacciono le anime che devono espiare le proprie colpe prima di poter salire al cielo. Tuttavia, nella stessa epoca, influenzati dalla posizione già detta di Sant'Agostino, valutano, fra gli altri, negativamente l'estremo gesto di Catone: Tommaso d'Aquino, Remigio dei Girolami, fra' Tolomeo da Lucca, Enrico di Gand, Vincenzo di Beauvais e nella stessa scia si colloca anche Francesco Petrarca.  La tragica fine dell'Uticense ha ispirato artisti di varie epoche, tra i quali vanno segnalati: Pietro Metastasio, per il suo melodramma Catone in Utica, i tragediografi Joseph Addison e Johann Gottsched, rispettivamente per Cato e Catone morente, i pittori Guercino, Guillaume Lethière, Giovan Battista Langetti. Di ottima fattura e inneggianti al tema della libertas si conservano monete, che circolarono in epoca romana, con la legenda M. P. Cato e la relativa indicazione della carica al momento ricoperta[senza fonte].  Statue e busti marmorei o di bronzo raffiguranti l'Uticense sono custoditi nei più importanti musei della romanità. Nel XVIII secolo, nei pressi di Frascati, sul versante di Monte Porzio Catone, sono stati rinvenuti ruderi di una villa romana che gli archeologi, confortati dall'autorevole parere del Winckelmann, sostengono essere appartenuta all'Uticense. La moralità di Catone e il suo atto estremo sono stati e continuano ad essere oggetto di appassionati studi e dibattiti.  Note ^ Ciò accadde probabilmente nel 91 a.C., quando Catone aveva quattro anni; ad ogni modo, vista la sua educazione esemplare, è possibile che avesse già sviluppato la propria opinione politica. L'evento è stato descritto anche da Valerio Massimo in Factorum et dictorum memorabilium libri IX, III, 1.2. ^ Una rassegna di autori antichi, più o meno contemporanei che si occuparono dell'Uticense, trovasi ne "Il pensiero storico classico" di Santo Mazzarino (Laterza, Bari, 1974, vol. 2,1). Bibliografia Fonti primarie Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX. Plutarco, Catone il Giovane, Vite parallele. Fonti secondarie Badian, E. "M. Porcius Cato and the Annexation and Early Administration of Cyprus", Journal of Roman Studies, 55 (1965): 110-121. Bellemore, J., "Cato the Younger in the East in 66 BC", Historia, 44.3 (1995): 376-9 Earl, D.C. The Political Thought of Sallust, Cambridge, 1961. Fantham, E., "Three Wise Men and the End of the Roman Republic", "Caesar Against Liberty?", ARCA (43), 2003: 96-117. Fehrle, R. Cato Uticensis, Darmstadt, 1983. Goar, R. The Legend of Cato Uticensis from the First Century BC to the Fifth Century AD, Bruxelles, 1987. Goodman, Rob. Soni, Jimmy. Rome's Last Citizen: The Life and Legacy of Cato, Mortal Enemy of Caesar. Gordon, H. L. "The Eternal Triangle, First Century B.C.", The Classical Journal, Vol. 28, No. 8. (May, 1933), pp. 574–578 Hughes-Hallett, Lucy. Heroes: A History of Hero Worship, Alfred A. Knopf, New York, New York, 2004. ISBN 1-4000-4399-9. Marin, P. "Cato the Younger: Myth and Reality", Ph.D (unpublished), UCD, 2005 Marin, P. Blood in the Forum: The Struggle for the Roman Republic, London: Hambledon Continuum, (April) 2009 ISBN 1-84725-167-6 ISBN 978-1847251671 Marin, P. The Myth of Cato from Cicero to the Enlightenment (forthcoming) Nadig, Peter. "Der jüngere Cato und ambitus", in: Peter Nadig, Ardet Ambitus, Untersuchungen zum Phänomen der Wahlbestechungen in der römischen Republik, Peter Lang, Frankfurt am Main 1997 (Prismata VI), S. 85-94, ISBN 3-631-31295-4 Syme, R., "A Roman Post-Mortem", Roman Papers I, Oxford, 1979 Taylor, Lily Ross. Party Politics in the Age of Caesar, University of California Press, Berkeley, California, 1971, ISBN 0-520-01257-7. Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Marco Porcio Catone Uticense Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Marco Porcio Catone Uticense Collegamenti esterni Catóne, Marco Porcio, detto Uticense, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Francesco Arnaldi e Massimo Lenchantin De Gubernatis -, CATONE, Marco Porcio, detto Uticense, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata Catone, Marco Porcio detto Uticense, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata Catóne, Marco Pòrcio, detto Uticénse, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN) Marcus Porcius Cato, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Marco Porcio Catone Uticense, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su Wikidata (EN) Marco Porcio Catone Uticense, su Goodreads. Modifica su Wikidata (EN) Traduzione in inglese del capitolo delle Vite di Plutarco dedicato a Catone Uticense, su penelope.uchicago.edu. Catone Uticense nella Divina Commedia, su litterator.it. V · D · M Guerra civile romana (49-45 a.C.) V · D · M Gens Porcia Cato V · D · M Stoicismo V · D · M Plutarco V · D · M Divina Commedia Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Esercito romano   Portale Filosofia   Portale Letteratura Categorie: Politici romani del I secolo a.C.Militari romaniScrittori romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Nati nel 95 a.C.Morti nel 46 a.C.Morti il 12 aprileNati a Roma (città antica)Personaggi citati nella Divina Commedia (Purgatorio)Morti per suicidioPorciiRetori romaniStoiciTresviri monetalesMorti in Tunisia[altre]Marco Porcio Catone -- M. Porcio Catone il Giovane ha come maestri due stoici, Atenodoro Cordilione -- che si reca a visitare a Pergamo perchè lo seguisse a Roma ove lo tenne come ospite -- e Antipatro di Tiro. In Sicilia Catone Uticense conosce l’accademico Filostrato. Nei suoi ultimi giorni in Utica, Catone Uticense ha vicino a sè lo stoico Apollonide e il liceale Demetrio. Catone Uticense e questore e pretore.Catone Uticense i oppose ai triumviri e nella guerra civile si schiera con Pompeo. Dopo Tapso, Catone Uticense si reca a presidiare Utica, ove si uccide.Catone Uticense coltiva con molto successo l’eloquenza e si compiace di introdurre discussioni filosofiche nelle orazioni. Catone Uticense scrive anche giambi. Cicerone chiama Catone Uticense perfettissimo stoico e nel "De finibus" gli assegna l'esposizione delle dottrine etiche di quella scuola di cui aveva studiato intensamente le opere. A statesman and a philosopher, he studied the philosophy of the Porch. He was a pupil of Antipater of Tyre and later befriended Apollonides and Demetrius the Peripatetic, and looked after Athenodorus Cordylion. A staunch republican, he committed suicide when he believed the ultimate victory of Giulio Cesare in the civil war was inevitable. He was much admired by Cicerone and many regarded him as an embodiment of traditional Roman values, just as his great-grandfather, Cato the Censor, had been before him.   CATO A TRAGEDY  BY MR. ADDISON. IL  CATONE TRAGEDIA  DEL SIGNORE  ADDISON...   Joseph Addison, Antonio Maria   Salvini     Digitized by Google      j7     Digitized by Google     Digitized by Google     G A T O     T Ut xA G E D Y   B Y Mr. A D D ISO N .   CATONE   TRAGEDIA     DEL SIGNORE ADDISON  TRADOTTA  D A   ANTON MARIA SALVINI   GENTILUOMO FIORENTINO.        IN FIRENZE, MDCCXXV.     Nella Stamperia di Michele Neftenus . Con \UM Stftr.  A iattanza di Battiano Scaletti.     Digitized by Googl     Catoni autem quum ìncredibilem trihuijjet Na*  tura gravitatevi , eamque ipfe perpetua con*  [tanna roboravìjjet , femperquc in propth  Jtto fufceptoqut confili* permanfijfet ,  tnoriutidum potim , quam tyranni  vultus afpiciendui fuit.   Cic.de Officlib. x.cap.jn     Digitize     ALL' ILLUSTRISSIMO SIGNORE &c.   — - ■ .   * •   Enrico Mylord Colerane.     iBajtrifàm Signore      E molte bbbligazioni , che  io protetto alla gentilezza di VS. Illuftriflìma , e la fperienza  avuta da' primi Letterati di emetta  Città del fuo profondo fapere , già pre- *  dicato dalla Fama , ed ammirato da   i etti     elfi per mezzo della fua dotta convenzione, mi fpirano un umile ardire di dedicarle la celebre Traduzione della infìgne Inglefe Tragedia  del Catone , che addio efee di nuovo col fuo fteflò Originale alla luce ;  ficuro che Ella 1' accetterà di buon  animo , come fuole , eftimatore giu-  ftiifimo , doverofamente incontrare  tutte le buone e belle opere degl' in-  gegni più follevati , e come prove-  niente da chi fi pregia d* effere   Di VS. Illuftrifsima     Ewotiffino e Obbligai iffmo Servitù?*   Baftiano Scaletti .   BE- C          Digitized by Google     *5 difperando il SigMuUin  di poter venire felicemente a capo nella intra-  prefa verfione , lafcio Ubero il campo ad altro  fpirito 9 o più ardito o più attivo del fm > cui più  agevolmente potejfe fot tire quefta nobile impre-  fa . Frattanto pero > perche il Tubblico non re-  ftajfe a fatto privo della lettura di qucfto inge-  gnofiffimo componimento , il fiprannominato Sig.  Boyer fi contento di pubblicare la fua verfione   in     Digit     in profa , impreffa /> anno 1 7 1 3 . 10 Londra per  Air. Giacomo Toh fon : della quale , quantunque  fedele , perocché priva della fua naturale armo-  nio/a bellezza , poffiamo dir giallamente , cta e/-  /# è mancante del fuo più chiaro fpleudore .   Quefle d'ufi citila pero di non esprimere felice-  mente i [entimemi più vivaci e gagliardi degli  fr ameri liuguàggi , in qualunque maniera fi fie-  no rapprefentati , non le pruova certamente il  no (irò Tofcano Idioma , // quale > giù a la f rafie  del noftro celebraùjftmo Carlo Dati di dolcez-  „ za e di eleganza non cede al ftcuro ad alcu-  „ na delle lingue vive , e colle morte più cele-  „ tri contende di parità , e forfè afpira alla  5 > maggioranza : fe pure non vogliamo dire af-  filatamente col Cavaliere Lionardo Salvi ati $  che ficcome la lingua Latina ha dolcezza mino-  re , che la Greca non ha ; così nella nojlra , non  ritrovando fi quella pronunzia difficultofa efpia-  cevole, che nella Greca fi trova, accagionatagli  dagli accoppiamenti multiplici delle confonanti ,  j quali comunemente rendono a/prezza ; n£ no*  Siri vocaboli , come in quella addiviene , quefta  durezza non e che rade volte 0 non mai . Ala  non efendo, queffo. luogo qppropofito per difcorr   rere     rere difufamente delle lodi del noftro volgare  Idioma , e particolarmente per effere (lata que-  fi a materia trattata con tanta aggiuflatezza ,  con tanto gufto e di fornimento non folo dà* fo-  pr -accennati chiarirmi autori , ma inoltre  cora dal Varchi , dal Bu orti watt ci , e da altri ,  che niente più ; mi riftrignerò a dir brevemente  quanto appartiene a quefla prefente Tragedia:  cui fe non ha goduto la bella forte di e fere (la-  ta trapiantata felicemente nel? Idioma Franze-  fe> renduto per altro oramai qua fi che neceffa-  rio air wtiverfale letteratura ; la ha ben ritro-  vata nel no Uro linguaggio per la fu a maravi-  glia efpreffione y fecondità , e dolcezza. Vin*  figne w flro e non mai abbaflanza lodato Aba-  te \Anton Maria Salvini , quegli   „ che d' alto fapere il petto pregno   „ Scorre a fua voglia il dotto e bel paefe  „ Dell' alma Grecia , e cui fon lievi imprefe  ^Spogliarla d' ogni fuo più caro pegno;  ( come di lui con aurea Tofana eloquenza can-  to P inclito Segretario della Reale %A ce ad ernia  di Frància , P cibate Regnier Des-31arais , )  tratto dalla fama di queflo nobiHfimo componi-  vi eutO) e dejiderofo di contemplarne neff Origi+  1 t naie     naie le fue rare bel Uzze , (limo lene rivoltare  tutto il fuo (ìndio a riajjumere P Inglefe Idioma,  da e/lo può a quel tempo traforato : lo che nel  breve giro di foli due mefi , non tanto per la  fua pertinace fatica , quanto per lo metodo eti-  mologico , fuo famigli ariffimo e quaft che natura*  le , in tal maniera gli venne fatto , che franca*  mente P attività penetrandone , poti con mae*  jlofa franchezza tutte le difficuìta fuperare ,  che nel tradurre queir Opera altrui fi erano at*  tr aver fate . Vedeva egli , come pratichi/fimo del  tradurre [ avendo arricchito delle fue {limati^  lifjime traduzioni la noSlra favella di tutte le  foavi , leggiadre , fièli mi, ed eleganti maniere,  che negli immenfi tefori de' Greci Toeti fi /la-  vano chiufe , e per così dire nafcofe] quanto a  tal fatto ella fia capaci fflma ; maneggevole per  fe medefima e fendo , e atta qual molle cera a  rapprefentar fedelmente i concetti , le parole , e  le ftefe efprefioni ; anzi , ciò che ì più malage-  vole , Paria ftejfa , il colore , e 7 carattere di  tutte quelle fembianze , che dagli Autori, che fi  prendono a tradurre , furono impreffe nette loro  compofizioni . Contribuigli a queflo inoltre non  poco la finora dolcezza del noftro maggior ver*   fi     Digitized by Googl     fi Tofcanó, il quale , oltre al non ejfere in fimi-  li componimenti inceppato , per così dire , e ri-  ftretto dalP orpellato vincolo delle rime , rifpon-  de il più delle volte in certo modo per la fua  mi fura a una fpezie degli Jambici degli Anti-  chi , i quali , come fi e detto di [opra , /limati  furono tanto proprj della Dramatica , che di  niuno altro mai non fi fervirono più facilmente  tutti gli antichi Greci t Latini Poeti . Impe-  gnatoli adunque il no/Ir o Salvini nella verfione  di quefta eccellente Tragedia : e sì per la pafto-  ftta della lingua y da effo tante volte in fimili  congiunture fperimentata : e sì pel maeflofo con-  certo de % ver fi , in cui la traduceva , a lei pro-  priijfimi , quanto altri mai , felicemente venuto-  ne a capo , vemie nelle mani degli Accademici  Compatiti della Citta di Livorno, da' quali nel  Carnovale dell* anno 1 7 1 4. recitata con bella  maniera , e con maeflofo apparato ; per la viva-  ce efprejfione , e per la fedeltà fmcerijftma fu  tanto ammirata da i Sig. Inglefi dimoranti in  quel Torto , che (limolarono il medeftmo a per-  metterne la pubblicazione , fuc ceduta /' anno ap-  preso in Firenze per mezzo delle Stampe de 9  Guidacci e Franchi , con applaufo univerfale de*   t * gli     3( sii )fr   £/' Intendenti deW uno e dell' altro linguaggio ,  mot* //* atteflano i Sig. Giornalifti di Venezia  nel loro Tomo XXll.pag.^/^. Ma per non de*  rogare alP ingenua modeflia del no/Iro chiarij/t-  ino Traduttore non ini pare fuor di propofito il  ripetere in queflo luogo , e colle fue flejje parole ,  /' obbligazioni che egli profeta ad alcuni nobili  /piriti Inglefi , che non poco gli conferirono a  perfezionare quefta verfione ; primizia , come  egli la chiama , del fuo fiudio in queW Idioma :  „ E perche ( dice egli nella Prefazione al Lettore  » appo Sia alla prima edizione ) fecondo il famo-  „ fo detto di Plinio eft plenum ingenui pudo-  „ ris , fateri per quos profeceris ; non debbo  „ non confeflare, molto dovere al già Inviato  J9 noftro d Inghilterra , genero fo ed ornato Ca-  yy valsere y Sig. Giovanni Moles-Worth , fitto i  „ cui aufpicj quefta mia traduzione nacque , e  „ al dotto Sigi Lochart , ambedue delle finezze  „ della noftra Lingua intendentifsimi .   *Da quefta Verfione ne efcì toffo in Venezia  un altra , ftampata peH Coletti , della quale  non fa di meftieri il parlarne , per effere in efta  in più parti travi fata la prima , troncando mol-  to del r e cit amento , sì per fervire, come dice il     Digitized by Google     fuo Imprefario , al gufto moderno del Teatro Ita-  li ano , ricucendola a foli tre Atti ; dovecch},come  fono tutte le antiche , ella è compofla di cinque :  sì ancora per lo continuo fnervamcnto della for-  za e della energia , cagionatole dalla mutazione  delle parole e de' ver fi , folo per piacere all'  orecchio del comun Topolo , che pago e contento  di quel femplice titillamento e prurito , non pe-  netra addentro nel midollo e nella foftanza del-  la materia .   •Ma per ritornare alla nojlra , appena ella  fu e f cita felicemente alla luce, che divenuta ra-  rifjìma non fu poffibile ritrovarne ne pure m  filo efemplare per foddisfare alle continue in-  ftanze , che giornalmente da tutte le parti ne  erano fatte ; onde conofcendo io da gran tempo  quanto gli amatori delle lettere fojjero defide-  rofi di vederne una nuova impresone , final-  mente mi fon rifoluto di farla comparire di nuo-  vo alla luce , arricchita dello (lejfo fuo Originale  lnglefe. Ne perocché fieno molti filmi quegli, che  alla cognizione di quel nobil linguaggio non fi  fono per anco affacciati , giudico io , che fia per  efjere alt univerfale difaggradevole quei/o mio  penfamento , potendolo almeno ciafcuno riputar-     *3( xiv )fr   / .     ' t • • • — A  4               r.     Digitized by Google     C A T O   A   T R A G E D Ya   IL CATONE   TRAGEDIA»     /7^ the So»l by tender Strokes of Arp y  fig| f;i r*//S? /Zrr G*///**, W /  7o Mankindtn cotifctous Virtue bold ,  Liwe oer eacb Scene , and Be isohat tbey he bold:  Tot thts the Tragic>Mnfe firfi trod the Stage ,  Commanding Tears to Jlream thro euery Age ;  Tyrants no more the ir Savage Nature kept ,  And Foes to V trtue monderà how tbey ivcft .  Our Atttbor shunt by *vulgjtr Springs to mwc  The Heros Glory, or the Virgin s Love;  In ptytng Love ive but our JVeaknefs show ,  And -wild Ambttton isoell deferves tts ÌVoe .  Here Tears shall flo-w from a more genrons Caufe y  Sucb Tears as Tatrtots shed f or dying Lawsi  He bidsyour Breafts witb Ancient Ardor rife >     And     Digitized by Google     PROLOGO     Del Sig. POPE      ■ Alma fvegliar con madri tocchi d'arte,  Erger Jo fpirto, ed emendare il cuore,  Far l'uomo in fua virtù franco ed ardito ,  Ch'ogni feena fi a norma di Aia vita ,  E s' ingegni effer ciò eh' ivi fi mira ì  Qucfto, quando da prima entrò in Teatro,  Fu di Tragica Mufa il fin fublime ;  Per quefto comandò, che in ciafeun tempo  Le lagrime a diluvj ne correderò .  I Tiranni, non più fieri e felvaggi :  E ; nimici a virtù ftupiano, come  Contra lor voglia disfaceanfi in pianto.  Sdegna V Autor per volgar modi muovere  Nelle femmine amor, gloria negli uomini.  In donare all'amor la pietà nottra ,  Non facciam che moftrar noftra fiacchezza :  E fiera ambizion metta fuoi guai .  Da più nobil cagion qui feorreranno  Le lagrime: tai lagrime, quai fpargono  Di Patria amanti fu fpiranti leggi.  Rcfpirin voftri petti antico ardore «   Ai E flit     Digitized by Google     And calli forth Roman Drops from Brtthb Eyet .  Vtrtue conferà in human Sbape be drawt ,  What Plato Tbougbt, and GodMe Caio Wat :  No common Objetl to your Sigbt dtfplayt ,  Bnt wbat wttb Pleafure Heavn tt felf furueys >  A brame Man ftrttggling tn the Stormi of Fate y  And greatly falltng wttb a falli ng State !  li bile Caio giva bit little Settate Laws ,  IVbat Bojom beati not in bis Country i Caufe ?  li bo feet btm aft , bnt crrviet enjry Deed t  Wbobeart bim groan y and doei not witb to bleedt  E*vn when proud Cafar 'midft triumpbal Cari ,  The Spaili of Nat ioni , and the Pomp of Wars , .  Ignobly Vain , and impotently Great ,  Òbowd Rome ber Cato t Figure drawn in State 5  Ai ber dead Fatbert revrend Image paft y  The Pomp wat darkend, and tbe Day oercaft ,   The Trinmpb ceatd Teart gmb % d from enfry Eye ;   Tbe M r orl£t great Viclor paft unbeeded by ;  Her Latt good Man de] e eie d Rome adord ,  And bonottrd C&fart Ufi tban Catat Sword,   Britaìnt attend : Be Wortb Itke tbif approdi d ,  And ibow yon bave tbe Virine to be mcwd.  Wttb bonejl Scorn the firft favi d Cato miewi     Rome     Digitized by Google     £ ftillln Roman pianto occhi Britanni.  In forma umana è qui Virtù ritratta :  Quel che Platon pensò, fu il divin Cato.  Non oggetto comun fi fpiega in vifta ;  Ma ciò che il Gel con fuo piacer rimira .  Un uom prode, che lotta del dettino  Traile temperie, c grandemente cade  Mifto a ruine di cadente Stato.  Mentre dà leggi al fuo picciol Senato  Catone , e qual mai fcn non batte allora  Nella gran caufa della Patria fua ?  Chi oprar lo mira, e non invidia l'opra?  Chi miralo fpirar, nè morir brama ?  Pure allora , che Cefarc fuperbo  Tra i carri trionfali, e tra le fpoglie  Delle nazioni, e pompa della guerra ,  Ignobil vano , e fattamente grande  Moftrò a Roma del fuo Caton V imago j  Del Padre fuo la reverenda imago,  Mentre ch'ella pattava, era feurata  La pompa , e'1 dì rannuvolato, e bruno:  Il Trionfo ceflava :da ciafeuno  Occhio fcn gian le lagrime fgorgando;  Ed il sì grande Vincitor del Mondo  Pattava fenza pur etter guardato :  L* ultimo fuo prod' uom Roma adorava  Abbattuta , dolente , e più la fpada  Di Caton , che di Cefare onorava .   Britanni, a un merto tal donate plaufo,  E moftratevi d'efferne commoffi ,  Se tanto di valore ancor ci retta .  Con bello sdegno il primo Cato vide     ìearning Arti from G ree ce , wbom $he fubdnd  Our Scene frecarionfly fubjtfts too lovg  On Frencb Transattoti y and Italtan Song .  Dare to bave Senfe your fehes', AJfert tbe Stage \  Be jnttly ivartrìd isottb your ow» Native Kage .  Sue b Plays alone sbonld pleafe a Brtttsb Ear ,  As Catos felf bad not dtjdaind to bear .      V     CATO     Roma da Grecia vinca apparar l'Arti.  Troppo lunga ftagion la noftra Scena  Di Francia da i teatri, e dell 1 Italia  Ha mendicato V umil fuo foftegno .  Voftre forze provate, ed al Teatro  Voftro la fua ragion ne richiamate.  Accefi fiate del nativo foco.  A Britannico orecchio , folo quelle  Opre deggion piacere, che Io (ledo  Catone d'afcolcar non sdegnerebbe.      AT.     Digitized by Google     «3C 8 )S»   A C T   SCENE     I.     L   t     Portius, Marcus.     He Dawn isover-cafl 5 tbe Mornìng ìovSrs\  And bcavily in Clouds brings on tbe Day  Tbe grcatjb* import ant Day\big r witb tbe Fate  Of tato and of Rome. — Our Fatbefs Deatb  Wouldfill tip ali tbe Gtuìt ofCivil ÌVar ,  And clofe tbe Scene of Flood . Already C&far  Has ravaged more tban balf ebe Globe 9 and fees  Mankind grown tbin by bit definiti tue Sbordi  Sbottld he go furtber > Humbcrs isoould be wanting  To form new Battelt , and fupport bis Crimet .  Te Gods , wbat Hawock does Ambition make  Among your Works !  Marc. Tby fteddyTemper, Portiate   Can look on Guilt , Rebellion, Fraud, and Gufar ,  In tbe cairn Ligbts of mild Fbìlofopby ;  Tm tortured^ e  Greatìy unfortunate , he figbts the Caufe  Of Honour , Virine , Liberty , and Rome .  Hts S-word nc"er fili but oh tbeGutlty Head}  Oppreffton , Tyranny , and Fowr tifar fi ,  Draw ali tbe Vengeanee of bis Àrm mponem .   Marc. Wbo kn *   Tofto che *J nome luo gìugne al mio orecchio 3   Farfalla al'a mia villa fi prcfenta :   Veggio calcar V infultator tiranno   II laitricato campo di Romani   Cadaveri , e inzuppato in civil ftrage,   E di fangue patrizio bagnate   Degli orgogliofi fuoi cavalli V unghie.   Scelta maledizion non avvi, o Porzio,   Nelle armerie del CicI fulmin riporto   Di non comune ira di Dio vermiglio ,   Ad abbattere, a ilruggere queir uomo,   Che della Patria fua lui le ruine,   Erge ( oh beati Iddii ! ) la fua grandezza?   Por£ Certo , Marco , eh' è quefta empia grandezza,  E ha troppo ortor per effere invidiata .  Quanto del noftro Padre i fatti illuftri ,  De i mali , che *J circondan , tra le nubi,  Spuntan brillanti di più chiara luce/  Di gloria 1* incorona il Tuo (offrire .  Sfortunato, maggior di fua feiagura,  Ei combatte collante per la caufa  D 1 Onor, Virtute , Libertate , e Roma.  Sovra rea teda foi cadde fua fpada:  L* oppreffion , la tirannia fol traforo  Sopra lor , del fuo braccio la vendetta .   Marc. E chi noi *i fa ? ma che può far Catone  Contr' ad un Mondo, un vile e guado Mondo ,  Che a Cefar piega il collo , e corre al giogo?  Di Romana grandezza ei forma indarno  Pover compendio in Urica rifpinto:  E da guardie Numidiche attorniato  Una ficvol Armata , ed un Senato   B 2 Voto     Remnants of mìgbty Battei: fongbt tn matti .  By Heavns , /ivi Virtues ,jo/nd witb fucb Sttccefs }  Diflratl wy very Soul : Our Fatber s Fontine  Wond almoft tempt ut to renounce bis Frecepts.   Por. Remember -wbat our Fatber oft bas told us :  Tbe Ways of Heavn are dark and intricate ^  Fu^led in Ma^es , and perplext ivttb Errors >  Our Under si andtv.g traces 'em in wain y  Lofi and brwtlderd in tbe fruttlefs Searcb 5  Nor fees ikutb bow mucb Art tbe Wtnitngs run ,  Nor wbere tbe reguìar Confufion ends .   Marc. Tbefe are Suggeftions of a Mind at Eafe:  Ob r erti us , dtdft tbott tafle b«t balf tbe Griefs  Tbat wrtng wy Soul , tbou coudfl not talk tbus coldly .  Fajjìon unpttyd , and fuccefslefs Love ,  Flant Dagpers tn my Heart , and aggravate  My otber Grtefs . Were but wy Lucia hnd! —   Por. Tbou feeft not tbat tby Brotber is tby Rivai:   Bnt I wufl bidè ìt .for I know tby Tewper . [ afide  Novj , Marcus y »0u>, tby Vtrtues on tbe Froof:  Fut fortb tby tttwofl Strengtb , >work evry Nerve ,  And cali up ali thy Fatber tn tby Soul:  To quell tbe Tyrant Love , and guard tby Heart  On tbts iveak Side , nvbere moft our Nature fails ,  Would he a Conqucft isoortby Catos Son .   Marc. Fort ìris , tbe Council wbicb I cannot taie y  Ioftead of beali ng , but npbraids wy Weaknefs .  Btd me for Honour pi unge into a iVar  Of tbtchft Foety     and     Digitized by Google     *3( '3 )S»   Voto dirige , riraafuglio e avanzo   D'afpre battaglie combattute invano.   Oh Ciel ! tali virtù con tai fucceflì   Confondon V Alma : la maligna forte   Del noftro Padre , a' begli fuoi precetti   Quafi di rinunziarci tenterebbe.  For%. Del noftro Padre ti rammenta quello   Ch' ei ci dicea fovente: che del Cielo   Sono feure le vie, ed intrigate:   Noftro intelletto le rintraccia indarno,   Perfo e fmarrito nella vana inchiefta .   Nè vede con quant'arte i giri vanno,   Nè dell* ordin confufo il termin feorge .  Marc. Pender fon quefti d' oziofa mente .   Porzio, fe la metà guftato avefli   Di quei dolor, che V alma mi trafiggono,   Freddamente così non parlerefti .   Paftìon non compatita, amor fgradito   PafTanmi il cuore, e gli altri duoli aggravano .   Oh fe a me fuffe Lucia pietofa !  Tor%. Non vede che '1 fratello è fuo rivale :   Uopo è eh' io il celi : il genio tuo conofeo . a parte   Or, Marco, ora al cimento è tua virtude.   Prova tutta tua forza , opra ogn' ingegno ,   Spira nell* alma tua tutto il tuo Padre .   Vincer Y amor tiranno, e *1 cuor guardare   Da quella debol parte , ov* uom più manca ,   Conquida fia da figlio di Catone .  Marc. Porzio , il configlio , eh' io prender non poffò ,   Non fana , nò , rinfaccia mia fiacchezza .   Fa che Y onor comandi di cacciarmi   In guerra tra foltiflìmi nemici,   E cor-     Digitized by Google     W r*/& ou certa/ n Dcatb }  Then fbalt tbou fee that Marcus is not JIo jj  To follali) Glory f and confefs bts Fathcr .  Love is not to he reafond down y or lofi  In htpb Amhttton , and a Tbtrfl of Greatnefs >  'Tss ficond Ltfc , tt grows into the Soni ,  Warms evry Vein y and beati in evry Fulfe y  I feel it bere : My Refolutton meltt —   Por. Beboldyoung ]uba , the Numidi an Vrinceì  Wtth bow mucb Care be forni s bimfelf to Glory ,  And breaks the Fiercenefs of bts Native Temper  To copy out our Fatber s brigbt Examplt .  He loves our Stfter Marcia , greatly lovet ber ,  Hts Eyes , bis Looks , bis Acltons ali betray it :  But fidi the fmotherd Fondnefs burns wttbtn bìm y  When moti tt fwells and lahours for a Veni ,  The Senfe of Honour and Dejire of Fame  Drive the big FaJJìcn back into htt Heart ,  Wbat ì fball an Afrtcan , fiali Jubas Ueir  Eeproacbgreat CatosSon, and fbo-jj the World  A Virttte voantivg in a Roman Sotti f   Ma re. Fortius , no more ìyonr Words leave Stings befana* em.  lVben-e % rc did Juba , or dtd Fort in s , fhow  A V ir tue that bat caji me at a Dtftance ,  And tbrown me out in the Furfnitt of Honoar ì   Por. Marcus , I know tby generous Temper weli ;  Fling but tV Appe arance of Dtfbonour on it ,  Itftrait takes Fire , and mounts iato a Bla^e.   Marc. A Brothers Suff rtngs clatm a Brothers Fity .     Por.     jitized     E correr frettolofo a certa morte y  Vedrefti alior , che Marco non è pigro  A feguir gloria, ed a ritrar dal Padre.  Amor non cede , nè a ragion , nè ad aita  Ambizion , nè a fete di grandezza .  Alma novella egli è della ftefs* Alma :  Scalda ogni vena , e batte in ciafcun pollo.  II Tento io qui : disfatto è il mio coraggio .   for^. Mira il Giovine Giuba, di Numiviia  Il Principe, con quanta cura ci forma  Se medefmoalla gloria, e la natia  Fierezza frena, a far vedere in lui  Del noftro Padre il vivo illuftre efempio.  La noftra fuora Marzia egli ama , e molto  L* ama : il dicon fuoi fguardi, atti, e fembianti j  Ma chiufo il fuoco pur gli arde nel petto.  Quand* ei più crefce , ed a sfogarfi a (pira ,  Sentimento d' onor, defio di fama  Spingon la fiamma a ritornare al cuore.  Che! un Affricano, ed un di Giuba erede  Rinfaccerà del gran Catone al figlio,  E potrà al Mondo tutto ancor moftrare  Una Virtù, che in cuor Romano manca ?   Marc. Porzio , non più : voflre parole lafciano  Puntura dietro a lor : quando mai Giuba ,  O Porzio ancor , mi trapaflaro tanto  Nella virtudc , e dell' onor nel corfo ?   Tor^ Marco, la gencrofa indole tua  Io ben ravvifo> che fe pur sù quella ,  Di difonor la minima favilla  Cada, ella prende fuoco , e forge in fiamma .   Marc. Vuol fraterno foffrir pietà fraterna.   Por^. Il     Digitized by Google     ,   Or muti at lengthgvvc up the World to Cafar.   Sempr. Noi ali the Pomp and Majefly of Rome  Can rat fa ber Senate more tban Catos f re fame %  Hit Vtrtues render our Affcmbly awful ,  Tbey ftrike ntsth fometbmg Itke religioni Fear  And make enfn Cafar trcmble at the Head  OfArmies fin fa d witb Conqaeft : 0 my Portiti,  Could I but cali tbat ivondrous Man my Fatber y  Woùd but t'by Sifter Marcia he propitiont  To tby Friend / Vowt : I migbt he blefad indeedi   Por. Alas ! Sempronio , woud/i tbou talk of home  To Marcia , wbitti ber Fatbert Lifes in Danger ?  Tbou migbift at ivell court the pale trembling Veftal ,  Wben fbe beboldt the boly Fiume expiring .   Sempr. The more Ifae the Wonders ofthy Race   The more Tm charm d . Tbou maft takcòeed y my Portimi  Tbe World bai ali its Eyet on Catos Som.  Tby Fatbert Merit fan tbe* up to View ,  And fbowt tbee in tbe f aere ft poi ut of Ltgbt ,  To make tby Virenti ir tby Fomiti confatemi .   Por. Welldoft tbou feem to check my Lìngring bere   On tbit importuni Hour FU Jlruit avuay ,   And -nobile tbe Fatbert of the Semate meet     In     Digitized by G     «3C *9 )S*   Quefta mattina il picciol fuo Senato  [ Avanzi di Farfalia ] adunar vuole ,  A confuicar fe ancora ei puote opporfi  Al torrente , che in giù precipitofo  Roma porta e i fuoi Dei : o pure al fine  Cedere il Mondo a Cefare . Sempr. Di Cato  La prefenza fol può Roman Senato  Erger non men , che maeftà di Roma .  Noltra affemblea fan reverenda Tue  Virtudi, e infpiran un devoto orrore.  E fanno ancora Cefare tremare  Alla tefta d' altiere vincitrici  Armate: Porzio mio, oh s' io potetti  Padre appellar qucnV uom maravigliofo ,  E propizia la tua Sorella Marzia  A i voti fu (Te dell* amico tuo ;  Veracemente io mi faria beato .   ?or£. Ah Sempronio , vuoi tu parlar d' amore  A Marzia , or che la vita di fuo Padre  Sta in periglio ? tu puoi carezzar anco  Una Veftale pallida tremante,  Che già miri fpirar la fanta fiamma .   Semfr. Quanto le meraviglie di tua ftirpe   10 feorgo , tanto più ne fon rapito .  Prenditi guardia , Porzio : il Mondo tutto  Tien gli occhi fuoi fui figlio di Catone.   11 merito paterno ponti in vifta ,   E ti moftra di luce al più bel punto,  A far più chiari tuoi vizj o virtudi .  Por%. Incolpi con ragion la mia lentezza  Su queft* ora importante ... Or ora io parto :  E mentre i Padri del Senato fono   Ci In     Digitized by Google     *3( *o )&*   In clofe Belate , to iveigb tV Eventi ofJFar,  TU ammcte the Soldtcrs drooptng Courage,  Wttb Lowe of Freedom, and Contempt of Life.  TU tbunder tn thetr Ears their Country s Caufe ?  And try to rouje up ali tbais "Roman tn *cm .   not tu Mori ah to command Succefs ,  But veli do more y Scmprontus noe II deferve it . [ Exit •   Sempronius folus .   Cnrfe on the Stripling ! bow be Ape's bis Sire ?  Rmbitioufly fententious ! — But I wonder  Old Sypbax comes not j bis Numidtan Genius  Is weli dtfpofed to Mtftbtef, were be prompt  And eager on it > but be muft be fpurrd ,  And ciìry Moment qutckr.ed to the Courfe .  Cato bas ufed me 111 : He bas refufed  Hts Daugbter Marcia to my ardent Vorws.  Befides , bis baffled Arms and rutned Caufe  Are Barrs to my Ambition. Cafars Favour,  Tbat fboisSrs down Greatneff on bis Friends , wsll raife me  To Kome's firft Honours . If 1 give up Cato,  I clatm in my Reward bis Captine Daugbter .  Bnt Sypbax comes ! — -   .SCENE III   Syphax, Sempronius.      Syph. — Q Empronius , ali it ready ,   O l v w founded my Numidi ans , Man ly Man ,   Ami     Digitized by Google     In ferrato contratto a bilanciare  Gli eventi della guerra j V abbattuto  E fcorrente coraggio de* foldati  Ergerò coir amor di lìbertade ,  Col difprezzo di vita : al loro orecchio  Intonerò la caufa della Patria ,  Ciò eh 1 è Romano in lor , dettar tentando .  Non è dell* uomo i) comandar fortuna 3  Ma quel eh* è più, Sempronio, è il meritarlo, parte   Sempronio filo .  Maledetto Garzon ! come fuo Padre  Contraffa egli , c 'I fentenziofo affetta !  Stupifco , che Siface ancor non viene .  Il fuo genio Numidico è ben atto  Alla cattività; fufs* egli pronto;  Ma d' uopo a ogni momento egli ha dì fprone .  Meco non ben Caton s* è diportato.  Rifiutato ha la fua figliuola Marzia  A gli ardenti miei voti : in oltre V armi  Sue abbattute e rumata caufa  Oftacol ranno all' ambizione mia .  Il favore di Cefare , ed il fuo  Piover grandezza fu gli amici fuoi  Alzerà me di Roma a i primi onori.  S* io tradifeo Caton , la figlia fua  Sarà mio premio. Ma Siface viene.   SCENA Ut   Siface , e Sempronio*   Sif. Q Empronio , tutto è prefto : ho io tentati  O Tutti i Numidi miei ad uno ad uno :   In     And fini Vw ripe for a Remoli : Tbcy ali   Complatn aloud of Catos Dtfcipltne ,   And watt but the Communi to clange their Majler .   Sempr. Believe me , Sypbax , tberes no Time to wafie $  £ il vincitor s* accoda ,  £ campo fopra noi prende a momenti .  L* attività di Celar non conofe? ,  Che con tremendo corfo Io precipita  Di guerra in guerra : invan formò natura  Montagne e mari a opporli a fuo paffaggio :  Ei formonca in Tua marcia, e varca tutto;  SpiananG avanti a lui Pirene ed Alpi :  Per entro a i venti , e V onde , e le tempefte  La via fi fa bramofo di battaglia .  Un giorno più , porrallo a noftre porte.  Ma dimmi; hai guadagnato il giovin Giuba?  A Cefar ciò si ti farà più grato ,  E ti farà più vantaggiofo. Stf. Ohimè !  E* perduto, Sempronio, egli è perduto.  Son tutti i fuoi pender delle virtuti  Pieni di Caro ... Ma io vo provare  Anco una volta [ perciocch' io V attendo  Qui a momenti ] s' ancor vincer poffo  Quelle m aflìme dure ed infleflibili  Di fe , d* onore , e di non so qu ai cofe ,  Che r indole Numidica hangli guada ,  E tutta 1* alma fua tinta ed infetta.   Scmpr. Imprimigli ben ben ciafeun motivo .  Se Giuba fi rcndeffe, poicrf è morto  Il Padre fuo ; darebbe nelle mani  A Cefar Y Affrica, c farebbel Sire   Della     Digitized by Google     And mah btm Lord of balf tbe buruing Zone .   Syph. Bup is it trae, Sempronius , tbat your Settate  Is calfd togetber ? Gods ! Tbou musi b'e cauttous !  Cato bas piercing Eyes, andivill dtfcern  Oitr Brands , unles (bey re cover d tbtck isoitb Art .   Scmpr. Let me alone , good Sypbax , TU conceal  My Tbougbts in Fajjton ( *$$$ tbefureft *way > )  TU bello w cut for Rome and f or my Country ,  And moutb at Cafar ttll I fbake tbe Settate .  Tour cold Hypocrtjjc's a ti ale Dewice y  A wotm out Trick: Wonldsl tbou betbougbt in Farne ftì  Cloatb tbyfetgnd Zeal in Rage, in Ftre , in Fury !   Syph. In trotb y tbotirt ablc to inftrutl Grey bairs ,  And teacb tbe wily African Deceit !   Scmpr Once more , Le fare to try tby Skill on Jnba.  Mean *wbi!e FU baslcn to my Roman Soldiers ,  Infame tbe Muttny , and under band  BlocJ »p tbeir Dijcontentt , tilt tbey break out  Unlocìid for , and dtf ebarge tbemfehes on Cato .  Remembcr, Sypbax , we muft work in Hafle :  O thrà wbat anxious Moment s pafs betwen  Tbe Btrtb of Flots 3 and tbeir laft fatai Periods .  Obi *tts a dreadful Internai of Time,  Ftltd up isottb Horror ali , and big witb Deatb !  Deftrutlton bangs on c*vry Word we fpeak ,  On evry Tbougbt , *till tbe concludi ng Stroke  Determtncs ali , and clofes our Dcfign . ( Exit •   Syphaxfolus   TU try ifyst I can reduce to Reafon   Thit     Digitized by Google     «3(   Della metà dell'infocata Zona.  Stf. E' egli ver, Sempronio, che 'J Senato   Vollro s* adunerà ? Sii ben guardingo :   Cato ha occhi sì acuti e penetranti,   Ch' egli fi accorgerà di noli re frodi ,   Se ben non fi ricuoprono con arte.  Sempr. Lafciami far , Siface : afeonder voglio   Dentro la paffione i miei penfieri .   Quefla è la via la più ficura : io voglio   Aito gridar per Roma e per mia Patria   Contra Cefar , Anch' io fcuota il Senato .   Le fredde ipocrifie fon moda antica ,   E ufato giuoco . Eflfer tu vuoi creduto   Sincero ? vedi il fimulato zelo   E di rabbia, e di fuoco, e di furore.  Stf Inver tu puoi infimi r vecchi anco fcaltri,   E infegnar frode all'Affocano ifteffo .  Sempr, A Giuba guadagnar tue arti impiega ,   Mentre al Romano efercito m' affretto   A incoraggiar gli ammutinati , e loro   Odii infiammar , foffiando fottomano ,   Finché impenfati rompan fopra Cato ,   Vuolfi , Siface, qui celeritade.   Quanto angofeiofi padano i momenti   Fra '1 nafeer di Congiure , e '1 fin fatale !   Oh qua 1 dubbio intervallo, afpro, e tremendo,   Colmo tutto d' orror , pregno di morte !   Da ogni voce pende la ruina ,   Da ogni penfier , finché P ultimo colpo   Termine ponga a perigliofa imprefa . farte .   Siface foìo .   Tentar vo* , s' anco pofso alla ragione   D Rad-     Digitized by Google     TWj beadìlrong Youtb, andmake bìm fpurn at Cato.  Tbe Ttme a Jbort , Csfar comes rufbtng on ut — —  Bnt boldl young Julafeet me y and approdi bes .   SCENE IV.   » >   Juba, Syphax .   Jub. O Tpbax , / joy to meet tbee thus alone .   O ì ha*V* objemed of late tby Looks are falYn y  Cfcrcaft "ysottb gloomy Cares 5 and Dtfcontent >  77>f » /f // wrf , Sypbax , / coniare tbee , w ,  Wbat are tbe T bonghi tbat hit tby Brow in Frownt y  And turn tbtne Eye tbus coldly on tby Prènce ?   Syph. Tèi not my Talent to conceal my Tbougbtt ,   • Nor carry Smtlet and Sun-fbtne in my Face ,  Wben Dtfcontent fits beany at my He art .  I baue not yet fo mucb the Roman in me .   Jub. Wby doji tbou caft ont facb ungenrout Termi  Againft tbe Lordi and Swreigm of tbe World ?  Doft tbou not fee Mankind fall down he f or e W,  And 9 )»  Il feroce deftriero, e Jo maneggia ?   Chi meglio in truppe guida gli Elefanti   A ramaelt rati, carichi di guerra?   Quefte fon, Prence mio, quelle fon Farti,   Per cui non cede Zama vofìra a Roma .   Gtnb. Arti d'inferior ordine fon quefte ,  Forza e perfezion d' o da e di nervi .  Più alto mira un'anima Romana ;  A formar rozzo e mal polito Mondo ,  E fottoporlo al freno delle leggi,  E render l'uomo all'uom mite ed amico;  Con fenno e difciplina e nobili arti  Domefticar felvaggi, e ornar la vita.  Tali arti fplender fan natura umana ,  Riforman l'alma, e i barbari fann' uomini.   S/f. O Cieli , fofferenza / d' un uom vecchio  Sia feufato il calor: quali fon quefte  Mirabili arti, e Romana vernice,  E pulito contegno, che cotanto  Fan domeftico l'uomo, e civilizzalo?  Buone non fon , che a mafeherar gli affetti,  E dal volto feordar fare i penfieri,  E frenar la natia voga dell'alma ,  E romper Aio commercio colla lingua,  E in altre creature trasformarci  Contra il difegno di Natura e Dio.   Ciuk Perchè tu taccia , volgi gli occhi a Cato.  In lui rimira , quanto predo a Dio  Virtù Romana innalza un uom mortale.  Per gli amici follecito , indulgente,  A fe fteftb fevero , il fonno niega ,  Il ripofo, ed il comodo , ed il     Col-     Digitized by Google     He ftriues witb TbnJI and Hungcr , Toil and Heat ;  And wb:n bts Fortune fets before btm ali •  Tbe Bomps and Bleafures tbat bis Sortì can wifb y  Hts rtgtd Vtrtne wtll accept of none.   Syph. Bcltcvc ine , Prtnce , theres not an Afri can  Tbat tra'verfes our wafi Numtdtan Dejarts  In qtteft of Prey , and Iwes upon bis Bow ,  Brtt better praclifes tbefe boafted Virtues.  Coarje are bts Meals , tbe Fortune of tbe Cbafe ,  Amtdft tbe rttnmng Stream be Jlakes bts Tbtrfl ,  ToiFs ali tbe Day , and at tb' approacb of Ntgbt  On tbe firft friendly Bank be tbrows btm down ,  Or rejìs bts Head upon a Boti "ttll Morn :  Tben rifes frefb , pttrfues bis wonted Game ,  And tf tbe followtng Day be chance to fini  A fiew Repafl y or an untafled Sprtng y  Bleffes bts Start y and tbtnks tt Luxury .   Jub. Tby Prejudices , Sypbax, wont dtf certi  Wbat Vtrtues growfrom Ignorance and Cboice y  Nor bow tbe Hero dtffers from tbe Brute .  But gtant tbat Otbers coti d witb equal Glcry  Look do cjn on Pleafuret and tbe Batts of Senfe 5  IV bere fiali we find tbe Man tbat bears Affiitlion ,  Great and Majefttck in bts Griefs , ìtke Cato ?  Heaiins y wttbwbat Strengtb , wbat Steadtnefs ofMind,  He Triumpbs in tbe mtdft of ali bts Sujferings ì  How does be rife againll a Load of Woes ,  And tbank tbe Gods tbat tbrow tbe IVetgbt upon btm \   Syph. T## Bnde y tank Bride y and Havgbttnefs of Soul ;     / tbink     Colla fete combatte, e colla famcj  Collo ftento, col caldo : e quando ancora  Tutte le pompe ed i piacer del Mondo  A contentargli l'alma s' offerì fsero ,  Sua rigida virtù rigctterebbegli.   S/f. Credimi, Prence: non ci è Affricano,  Che varchi noftre vafte erme contrade  Di preda a inchieda, e di fuo arco viva,  Che tai virtù meglio non metta in opra .  Rozzo mangiar ciò che gii da la caccia :  Nel corrente rufcel traflì la fete;  Tutto il dì (tenta , e quando vien la notte  Gettali filila prima amica ripa,  O fopra rupe la fua tetta pofa  Infino a giorno. Pofcia frefeo ci forge  A profeguir fuo giuoco: e fe'l vegnente  Giorno accade eh' ci trovi un nuovo pafto ,  O fcaturire un non guftaro fonte,  Dio benedice , e crede effer ciò ludo .   Ginb. La tua prevenzion quelle virtudi  Da non faper prodotte, da queir altre,  Che figlie fon d' elezione umana ,  Nè dal bruto diftinguer fa l'eroe.  Ma porto che con egual gloria fprezzi  Altri i piaceri e il lufinghevol fenfo ,  Dove fi troverà mai un Catone  Nel fuo dolore maeftofo e grande ?  Dei ! con qual fermo e valorofo cuore  Nel mezzo a i fuoi fofFriri egli trionfa,  Sotto T incarco de* fuoi guai s' innalza ,  £ di quel pefo ne ringrazia i Numi /   Sif. Orgoglio è quefto, e Romana alterigia ,     / ri/ffl the Romani cali tt Storci/m .   Had aot your Royal Fatber tbougbt fi b/ghty   Of Roman Virtù* y and of Catos Caufe y   He had not fui In by a Slave'; Hand inglorious :   Nor would bis slangbterd Army now baue lain   On Africk's Sands , dtsfigurd iutth their Wounds ,   To gorge the IFohes and Vttltures of Numtdta .   Jub. IV by doft tboa cali my Sorrows np afrejb ?  My Fatber s Name brtngs Tears into my Eyes .   Syph. Oh , tbat youd profit by your Fatber s tilt !   Jub. JVbat ivortd(i tbou baie me do ?   Syph. Abandon tato .   Jub. Sypbax , / fiori d be more tban twice art Orpban  Byfucb a Lofi .   Syph. Ay , tbere's the Tie tbat binds you !   Toh long to cali bim Fatber . Marctas Cbarms  Work in your He art unfeen y and pie ad f or Cato .  No 'wonderyou are deafto ali I Jay .   Jub. Sypbax ,your Zeal becomes importunate ;  httherto permitted it to rame ,  And talk at large 5 but learn to keep it in ,  Leaft tt fio» Id take more Freedom tban VII gfae it.   Syph. Sir , your great Fatber newer ujed me tbus .  Alas , he s Dead ì But canyou eer forget  The tender Sorrows , and the Pangs of Nature 3  The foud Embraces , and repeated Blvjjìngs ,  Wbtch you dreisofrom bim in your laìt Fareivel ?  Sttll muft I chertfb the dear fad Remembrance ,  At once to torture and to plcafe my Seul .     Tic     Digitized by Google     Chiamata da lor, credo,- Stoicifmo.   Non avtfle il reale padre voftro   Tanto avuto concetto del Romano   Valore, e della caufa di Catone;   Non faria fenz'onor così caduto   Per man fervile: nè Tarmata Tua   Sconfitta giacerla fu gli arenofì   Campi d'Affrica, caica di ferite   A ingraffar gli avoltoi della Numidia .  Giub. Perchè vuoi rinnovar mio cruccio atroce?   Chiamami al pianto di mio padre il nome.  Sif. Oh profittale delle fue fciagure /  Gtub. Che vuoi eh' io faccia? S$f. Abbandonar Catone.  Giub. Orfano mi farei più di due volte.  Sif. Oh, il vincolo è quefto che vi lega !   D l'aerare di chiamarlo padre.   Di Marzia i vezzi opran fui voftro cuore *   Quelli fon gli avvocati di Catone,   E a tutto quel ch'io dico vi fan fordo.  Giub. Siface , voftro zelo efee importuno.   Fin qui di vaneggiare io t' ho permeffo ,   E parlar largo; ora a frenarlo impara,   Nè voler franco effer più eh* io non voglio.  Sif. Sir; non sì meco usò voftro gran padre.   Laflb/ egli è morto: ed obbliar potete   I teneri dolori, e le trafitte   Di natura , ed i cari abbracciamenti   Le replicate benedizioni ,   Ch'egli vi diede nelf cftremo addio ?   E' d' uopo eh* f accarezzi la foave   Trifta rammemoranza , onde ne fente   Tormento in uno, e compiacenza l'alma.   E II     Digitized by Google     . «J(34)ì»>  Tbe good old King , at parting , wrung my Hand 9   ( Hts Eyes brim-full of Tears ) tbeu figbtng cryd ,   Prttbce be careful of my Som ! hts Grtcf   Swelfd uf fo htgb be coudnot utter more.   Jub. Alas , tby Story mclss away my Soni .  Tbat beft of Fatbers ! Ixrw /ball I dtfebarge  Tbe G rat nude and Duty , nsJbteb 1 o*we bim !   Syph. By ìaytng up bts Counctìs tn your He art .   Jub. Hts Counctìs bade me yteld to tby Dtretltons ;  Tben , Sypbax , cbtde me tu jevercjl Terms ,  Vcnt ali tby Pajfton , and III fland tts fbock ,  Cairn and unruffled as a Summer-Sea ,  IV ben not a Breatb of IVtnd fltes oer its Sur face .   Syph. Alas , my Prtnce , ld guide you to your Safety .   Jub. I do beitele tbou ivoud/i i but teli me bovu ?   Syph, Flyfrom tbe Fate tbat follorws Cdjars Foes .   Jub. My Fatber feornd to dot .   Syph. And tberefore dyd.   Jub. Better to die ten tboufand tboufattd Deatbs y  Tban isoound my Honour .   Syph. Ratber fay your Lame.   Jub. Sypbax y l ite promtsd to preferve my Temper .  Wby wilt tbon urge me to confefs a Fiume y  1 long bave fitfled , and woud fatn conce al ?   Syph. Beitele me , Prtnce > 'tts bard to conquer Love y  But eafie to drvert and break tts Force :  Abjence mtgbt cure tt , or a fecond Mtflrefs  Ltpbt up anotber Flame , and fut out tbts .  Tbe glowsng Dames of Zamds Royal Court  Have Faces flu[bt -witb more exalted Cbarms .  Tbe Sun , tbat rolls bis Cbariot oer tbeir Headt ,  Works up more Ftre ani Colour tn tbetr Cbcckt :   Were     Digitized by Google     Il buon vecchio al partir la man mi ftrinfe  [ Gli occhi pieni di pianto ] c fofpirando  Di ile ; Deh cura abbi del mio figliuolo .  E '1 gonfiato dolor così fe crollo,  Ch* egli più non poteo formar parola.   Gtub. Latto ! il racconto tuo mi ft r ugge 1* Alma .  Ottimo Padre / come potre* io  Adempir verfo lui i miei doveri ?   Sif. Gli avvifi fuoi nel voftro cuor ferbaee.   Gtub. Quefti tur di feguir gì* indrizzi tuoi.  Co' termin più feveri adunque bravami,  Siface : sfoga pur tutto il tuo sdegno ;  AH' impeto di lui ftarommi quieto  £ tranquillo , qual mar di (late , in calma \  Quando nè pure un venticcl 1* increfpa.   Sif. Prence, mia mira è fol voftra falvezza .   Gtub. C redolo j ma qual via ad effer falvo ?   Stf. De i nemici di Cefar fuggi il fato .   Gtub. Mio Padre ciò sdegnò . Stf. Perciò morio .   Gtub. Mille volte morrei , che fare oltraggio   Al mi* onor . Stf. Dite pure , al voftro amore .   Gtub. Data ho parola già di (tarmi quieto.  Perchè forzarmi a palefar la fiamma  Chiufa tenuta, e eh* io pur vo* celare?   Stf. Prence, amor fuperare è forte cofa;  Ma romperlo è leggiera, e divertirlo.  Lontananza lo farà , od altro amore  Accende un* altrafiamma , e eftingue quella.  Le Dame alla Real Corte di Zama  Splendono accefe d* un più bel vermiglio .  Il Sol , che fu (or tette il cocchio gira ,  Le guance tinge in più vivace fuoco.   E 2 Quc-     Were yon ivìtb tbefe , my Prtnce ,youd foonforget  The pale unripend Beauttes of the Nortb .   Jub. Tts not a Sett of Fatture: , or Compie xio» y  The Ttnfiure of a Sktn , tbat I admire .  Beauty [oon grows famtltar to the Louer ,  Fades in h/s Eye y and palls upon the Senfe .  The nìtrtuous Marcia towrs abo*ve ber Sex :  True y [he is fair , [ Ob 3 bow dtutnely fair ì ]  But ftìll the ìcvely Matd improbe s ber Charmi  Wilb inward Greatnefs , «naffctled Wtfdom ,  And Santltty of Manners . Catos Soul  Shtnes out tn enery tbtng (he atls or fpeakf ,  Wbtle isoinning Mtldnefs and attrattive Smilcs  Dwell in ber Lookf , and - with becoming Grace  Soften the Rigour of ber Fatbers Vtrtues .   Syph. How does yottr Tongtte gro-w u)anton in ber Praife §  Bnt on my Knees I begyoa isooud confider — —   Enter Marcia , and Lucia .   Jub. Bah ! Sypbax 5 f/V not fbe ! — - Sbe mowes tbis Way ;  And njttb ber Lucia , Lucius s fair Daughter ,  My Heart beats tbick • I prttbee Sypbax lea *o «yi Troops ,   «^«(/ /ir* ffo/r langutd Souls witb Catos Vtrtue ;  If e' re I Uad tbem io the Fteld y wben ali  The lì ar Jball ftanà ranged m tts juft Array ,  And dreadful Fomp : 1 ben wtll I tbtnk on ti: se l   0 lowely Matd , Tben wtll I tbtnk on Tbee !  And , in tbe Jbock of cbarging Hcfts , remember  U'bat glonous Deeds fboud grate tbe man, wbo bopes  Ter Marcia s Leve .   Lue. Marcia , you re too federe :   Hgvd ccud you cbide te young goodnatured Prince,  And drt*vc htm f rem you witb fo ftern an Air ,  A Prtnce tbat Icves and dotet on you to Deatb ?   Mar. T/x tberefore , Lucia , tbat 1 cbtde htm front me  Hit Air , bts Voice , bis Locks y and bonetl Sotti  Speak ali fo mwingly in bis Bebalf,   1 dare not truft my felfto bear btm talk .  Lue. IV ly ivi II you fighi agatnft fo fweet a Paffton y   And fi rei yeur Heart to fucb a World of Cbarms ?   Mar. Hciv , Lucìa , ivoudft tbou baie me fink away  In fleajing Drcams , and lofe my felf in Leve y  Wen enìry moment Catos Ltfes at Stake ?  Cafar comes arnid witb Terror and E^venge,  And atms bts Tbunder at my Fatbers Head :  Sboud not tbe fad Occafion fwallow up  My otber Cares , and draw tbem ali tnto it ?   Lue. Wby baie not I tbts Conftancy ofMtnd y     Wbo     Nè tanti cari momenti perduto.  Giub. Sono giudi i rimproveri, Donzella   Valorofa : nV invio alle mie truppe   Col valor di Catone a infiammar V alme.   Se mai ai campo condurrolle , quando   La battaglia fchierata fi preferiti   In fiera pompa ; in te terrò il penfiero,   Vaga Donzella , in te terrò il penfiero:   £ nel più forte della dura zuffa   Sovverrommi, quai fatti gloriofi   Un* amante fregiar deggian , che afpira   AH* amore di Marzia. fané  Lue. Sete,o Marzia ,   Troppo fevera. Come il cuor fofTrio   Di fgridar così buon giovine Prence,   E fcacciarlo con aria così torva,   Prence, che v' ama più della fua vita ?  Marifr Per quello, Lucia, da me lo difeaccio.   L' aria, la voce, il guardo , il gentil core   Parlan per lui con tal podente incanto ,   Che d' udirlo parlare io pur non ofo.  Lue. Perchè combattere un fi dolce affetto?   Perchè indurare a tanti vezzi il core ?  Mar^ Come mai , Lucia , vuoi eh* io mi disfaccia   In piacevoli fogni e in folli amori,   Orche in cimento èognor vita di Cato?   Vien di vendetta e di terrore armato   Cefare , e di Caton mira alla teda   II fulmin fuo : la trifta congiuntura   Impiega tutti quanti i miei penfieri,   E sì gli unifee e rinconcentra in ella.  tue. Se tanti ho io così gravofi affanni ,   F P Ih fond Compiami   Have     Digitized by Google     Perchè una tal fermezza non m' è data ?   Fcmmi natura di più molle parta ,   Co' più teneri affetti infievoiimmi ,   £ caricò Copra il mio debol fedo:   Pietà e Amor dittringommi a vicenda.  Mar%. Lucia, le cure tue fopra me pofa;   Mettimi a parte de* tuoi cupi affanni .   Dimmi, chi detta in te quello conflitto?  Lue. Non ho da aver rollar di nominare   I tuoi fratelli, e figli di Catone.  Mar%- Coli' occhio di lor fuora ambi ti mirano,   E il loro amor fovente hanmi fvelato .   Ma dimmi, qual de i due più favorifei?   Bramo faperlo, c pur temo d* udirlo.  Lue. Qual 1 è quegli , che Marzia brameria ?  Mar^. Niun de due, - e forfè anco amenduni -   Di Marzia nelle brame hanno egual parte   I giovani , e dividon la forella.   Ma dimmi: Lucia qua* di loro elegge?  Lue. Marzia, ambo fon nella mia (lima grandi,  Ma nel mi* amor . . . perchè vuoi tu eh' io '1 nomini  Ben tu fai , come è cieco amore e folle ,   II qual , ne fa perchè, vuole e difvuole .  Mar%. Lucia , io fon perplcffa . O dimmi , quale   Appellar deggia il mio fratel felice.  Lue. Se foffe Porzio , me 'n da re (le biafmo ?  O Porzio , m* hai involata Y alma mia .  Con qual leggiadra tenerezza egli ama !  Spira i difii più fchictti , e più gentili .  Verità , cortetla , mafehia dolcezza  Pulifcon le parole ed i penfieri .  Fervido è Marco , e impetuofi troppo   F 2 Sono     *3( 44 )fr  /firw mncb Farr.ejìnefs and PcJJton in tbem\   1 bcur bim ivitb a /cerei kind of Dread y   And tremile at bis Vebemence of Temper   Mar. Alas poor Tontb ! low cari fi tbou tbrow bim front the ?   Li: :ìa , tbou knormB not balf tbe Love be bears tbee\   H benecr be jpeaks of ti ce , bis Hearfs in Flames,   lls fendi ottt ali bis Soul in ewry Word ,   , 'mi tbixks , and talks , and looks like one tranfportcd.   Vnbappy Tontb! boiu v/ill thy CoUnefs raife   . i t v pijis and Stcrms in bis ajflicled Bojom !  I dread tbe Conjeqnence — Lue. Toh feem to plead  Agaìnfl your Bratber Tortius ~~ Mar. Heanin forbiti  Hail Ter t iris btcn tbe unfuccefsful Lonjer y  Tbe ft;;?;e Cofzpfffìofi ivoud baite falTn on bim .  Lue. Wus ever Virgin Loie dì/ìre/l like mine!  T ert ivi bimje.fcft falls in Tears before me y   /it if be mournd hit Rival's ili Succefs.   Tben liJs me bidè tbe Motions of my Heart ,   Nor fbow wbicb Way it turns . So mneb be fears   The (ad Fjfetts , tbat it ^ould bame on Marcus .  Mar. He knor&s tco xoell boisj eafly bc'sfired,   And -xijorìd not plunge bis Brolber in Defpatr ,  But isjaits for bappier Times , and kinder Moments i  Lue. Alas % tco late Ifindmy felf fn*vohed   Ln endlefs Griefs and Labyrintbs of Woe y   Eh» to affici my Marcia" s Family,   And fow Diffention in tbe He art s of Brotbers .   Tormentine Tbonght ! it cuts into my Soul .  Mar. Lct us not y Lncia , aggravate our Sorrowt y   But to tbe Gods permit tU Euent of Tbinps .   Our Li'ves , difcolonrd witb our prefetti ìVoes ,   May flill gro-jj hrtgbt , — •   and     Digitized by     Sono anco i fuoì più teneri lamenti.  Un fegreto timor provo in udirlo ,  £ tremo a) fiero fuo genio bollente .   2Aar%. Povero giovin / perchè sì cacciarlo?  Lucia , non fai a mezzo, quanto ci t* ama.  Quand* ei parla di te , fuo cuore avvampa :  E in ciafcun detto , Y anima efce fuore :  Ne i penfier, voci, fguardi, egli vaneggia.  O fventurato ! quante a lui nel feno  La tua freddezza fveglierà tempefte !  V efito io temo. Lue. Par, che voi facciate  Contro 'I voftro fratel Porzio la caufa.   Mar%. Tolgalo il Ciel, fe Porzio flato folTc  Un* infelice amante , la msdefma  Compadrone avrebbe avuta in forte.   Lue. Fuvvi amor di donzella al mio limile?  Porzio d' avanti a me dà fpeffo in pianti ,  Come di fuo rivai piangendo il fato.  Poi vuol , eh* io celi del mio cuore i moti,  E non moitri la via , end' ei fi porta .  Tanto per Marco i tritìi effetti teme.   Mar%. Sa quanto facilmente egli fi accenda,  Nè vuol giammai, che il fuo fratel difperi,  E i momenti più comodi egli afpetta.   Lue. Tioppo tardi mi trovo inviluppata  Di guai in labirinti , e immenfe doglie ,  La cafa a affligger di mia Marzia nata ,  E ne i cuor de i fratti difeordia porre.  Tnfto pender, che V alma mi divide !   Mar^ Lucia , non aggraviamo i noftri duoli.  Delle cofe gli eventi a i D i lafctacno .  Le nolhe vite or torbide di guai   Goder     « ( 4* ) 8»   •— and fmile isSitb bappicr Hourt .   So tbe pure limptd Stream y *wben foul 'wìtb Status   Of rujbing Torrenti , and defeendivg Rains ,   Works ìt felfclear, and as it rum , refines \   Tilt by Degrees , tbe fioating Mirrour jbines ,   Rtfletts eacb Floisor that on tbe Border gro-ws ,   And a neuo Hca  And cnvics us cvn Ubyas fultry Defarts.  Fatbers , pronounce your Tbougbts , «tv ,/?/// j£r*  7*0 £o/  Stili may you fi and bigb in yonr Country s Honours y  Do but comply , and makeyour Peace ivitb Cafar .  Rome isoill rejoict , and casi its Eyes on Cato ,  As on tbe Second of Mankind .   Cito . No more !   I muft not tbink of Life on fucb Conditions .   DtC. Cafar is well acquainted miri you* Virtues ,  And tberefore fets tbis Vaine on yonr Life :  Let bim but know tbe Price of Catos Friendfbif ,  And nume yonr Terms .   Cato. Bid bim disband bis Legions ,   Reflore tbe Common ive alth to Liberty ,  Submit bis Afcons to tbe Publick Cenfure ,     Da trattar non avete col Senato ?   Dee. Mio negozio è con Cato : vede Cefare  V anguftie , nelle quai voi vi trovate :  E come eh' ei V alto valor conofee  Di Catone, gli cai della Tua vita.   Cat. La mia vita è di Roma al fato unita »  Vuol falvar Cato ? la fua patria ei falvi .  Al voftro dittator ditegli quefto:  Ditegli , che Caton sdegna una vita ,  Cui egli in dono ha d' offerir la poffa.   Dee. Roma e '1 Senato riconofeon Cefare.  Più non fon già quei Generali c Confoli,  Ch* arreftarfue conquifte, e fuoi trionfi.  Perchè a un tal Cefar non è amico Cato ?   Cat. Quett* ifteffe ragion , che porti , il vietano.   Dee. Catone , ordini ho io di fare inftanza ,  £ ragionar con voi, come da amico.  Guardate alla borrafea, che s' aduna  Sul voftro capo , e di fcopplar minaccia ,  Alti onori occupare in voftra Patria  Potete ancor, purché cediate al tempo,  £ fia pace tra Cefare e Catone .  Godranne Roma , e mirerà Catone ,  Come dell' uman genere il fecondo •   Cat. Non più : vita non voglio a tal partito .  Dee. A Cefar note fon voftre virtudi ,  Perciò tanto valuta voftra vita .  Della voftra amiftà ditegli il prezzo  E le condizioni . Cat. Che licenzi  Le Legion, la libertà alla Patria  Reftituifca , i fatti fuoi fommecta  Alla Cenfura publica , e sì ftiafi   H i     the Jndgment of a Roman Settate .  Bid bim do tbis , and Caso is bis Friend.   Dee. Cato , the World talk's londly ofyour Wijdom • — -   Cato . Afcy/ , Catos Voice was ne\r employd  To clear the Guilty , and io marnifb Crime: ,  My fa ffwill mount the Refi rum tn bis Fawour y  And flrinje to gain bis Fai don from the Feofle.   Dee. A Stile like tbis hecome's a Conqueror .   Cato . Decius , a Stile like tbis hecome's a Roman .   Dee. What is a Roman , tbat is Cafars Foe ?   Cato . Greater than Cafar , bes a Friend to Virtne .   Dee. Confider, Cato , yonre in U tic a s   And at the Head ofyour own little Senate;  Ton dont now ti under in the Capito! ,  Witb ali the Mouths of Rome to fecond you .   Cato . Let him confider Tbat wbo driues us bit ber :  *Tis Cafars Sword bas made Rome's Senate little 9  And thinnd its Ranks . Alas , thy dasglcd Eye  BeboltPs tbis Man in a falfe glaring Ligbt,  Whicb Conqueft and Saccefs baie thrown ufon bim ;  D'vlft thon hut   But y by the Gods I fwear , Millions of Worlds  Shoud nenser bay me to he like tbat Cafar .   Dee. Dos Cato fend tbis Anfwer back to Cafar,     For     Alla fentenza d un Roman Senato :   Ch' ei faccia quefto , ed è Tuo amico Cato.   Dee. Caton decanta il Mondo il voitro ferino   Cat. Ancor di più ; benché non mai la voce  Di Caton s* impiegale a purgar rei ,  O a colorir delitti > tuttavia  Io dello monteronne fopra i roftri  A ottenergli dal popolo il perdono.   Dee. Quefto ftile convienfi a un vincitore .   Cat. Decio, quefto convienfi ad un Romano.   Dee. Che Roman? Chi è di Cefare nemico ?   Cat. E' più che Cefar , chi è a virtute amico .   Dee. Confiderà , Caton , che tu fei in Ucica ,  £ a tuo Senato picciolo prefiedi ;  Tu non fulmini aderto in Campidoglio  Di Roma favorito dagli applaufi .   Cat. Lo confideri quel, che ci ha qua fpinti ;  Spada di Cefar fe il Roman Senato  Picciolo , ed il fuo numero ha feemato .  Latto / Che gli abbagliati lumi tuoi  Miran queft* uomo in una falfa luce,  Onde i felici eventi circondaronlo !  Mirai diritto, e sì *1 vedrai tu nero  Di tradigion , micidio , facrilegio,  £ d' altri brutto ancor gravi delitti,  Che percuoton d* orror 1* anima mia ,  Che fi fpaventa folo a nominargli .  Io fo , che mi riguardi qual mefehino  Cinto di mali, e colmo di feiagure;  Ma giuro per gli Dii , milion di mondi  Non mi farebber mai effer qual Cefare .   Dee. Tal rifpofta Catone a Cefar manda     «3( 6 * »   jftv *// bis genrous Care* , « nà profftrd Friend/hip ?   Cato. tiis Caresfor me are infolent and uain :  Prefumptuous Man ! The Gods tuie Care of Cato .  IVoud Cafar fbow tbe Greatnefs of bis Sorti y  Bid bim cmploy bis Care for tbeje my Friends y  And rnake good ufe of bis ili gotten FoitSr ,  By fbeltring Men mucb better tban bimfclf.   Dee. Tour bigb unconquerd Heart makes you forget  Tbatyoure a Man . Tou rufb on your Dejhutlion .  But Ibave done . Wben I relate bereafter  Tbe Tale of tb 'ts unbappy Embaflìe  Ali Rome ivill be tu Te ars . [ exit Deci US   Sempr. Cato, uve tbank tbee .   Tbe migbty Genius of Immortai Rome  Speak' s in tby V oice , tby Soul breatb's Liberty :  C^far -will Jbrink to bear tbe ll 'ords tbou utterft ,  And fbudder in tbe miJft of ali bis Conquefts .   Lue. Tbe Senate owns its Gratis ude to Cato ,  IVbo isoitb fo great a Soul confulis its Safety,  And guarà* s ourLives , nobile be negletTs bis onson.   Sempr. Sempronius giws no Tbanks on tbis Account.  Lucius feemsfond ofLifcy     but     Per tutte lue sì generofc cure,   E per fua amiflade a lui proferta ?  Cat. Per me fue cure, ed infoienti, e vane:   Prcfontuofo ! cura di Catone   Prendon gli Dei : vuol Cefare moftrare   Del fuo cuor la grandezza? digli , che   In quefti amici miei Tua cura impieghi y   Ed il malprefo Tuo poter ben ufi   In protegger migliori di fé fteflfo .  Dee. V altiero voftro , ed indomabil core   Obbliare vi fa, che voi fete uomo.   A voftra certa diftruzion n* andate .   Ho detto ; ma quand' io narrerò pofeia   D*efta Ambafciata V infelice evento,   Diftruggeraffi tutta Roma in pianto. parte Decio   . S C E N A III.  Sempronio, Lucio , e Catone. .     Sempr. Ato a te grazie noi tutti   Parla in tua voce il Genio potente  Di Roma eterna , e *i cor libertà fpira.  Cefar sbigottirà la tua rifpofta ,  E tremerà in mezzo alle conquide.   Lue. II Senato a Catone il fuo buon grado  Confetta ; che con alma cosi grande  Confulca del Senato la falvezza,  E difende le noft re proprie vite,  Mentre la propria fua mette in non cale .   Sempr. Sempronio non ringraziati per qucfto .  Lucio tenero fembra della vita 5     but wbat is Life ì  % Tis not toftalk ahout , and drawfrefb Air  From time to time , or ga^e upon tbe Sun 5  % Tis to he f ree . When Liberty is gotte ,  Life grorwt injipid, and bat loft its Relifb .  O coud my dying Hand but lodge a Sisjord  In C& fars Bofom , and reixnge my Country ,  By Heavns Icond enjoy tbe Pangs of Deatb y  And Smile in Agony .  Lue. Otk rs perbapt   May ferve tbe ir Country witb at warm a Zeal,  Tbo % tis not kindled imo fo ntucb Rage .  Scmpr. Tbis fober Conduci ts a migbty Vertue   In luke-warm Patriot s .  Cato . Come ! no more , Sem proni ut ,   Ali bere are Friends to Rome , and to eacb otber .  Let ut not vveakcn ftill tbe weaker Side ,  By our Dnjìfions .  Sempr. Cato, my Refentments   Are facrificed to Rome 1 fi and reproved .   Cato. Fatbers, >*# time you tome to a Refolve .  Lue. Cato , isje ali go into your Opinion .  Cafars Bebaiìiour bus convìneed tbe Senati  Wc ougbt to bold it out tilt Terms arrive.  Scmpr. We ougbt to bold it out till Deatb i but, Cato,   My private Voice is drown d amid tbe Semate 's.  Cato. Tben let ns rife, my Friends, and ftrive to fili  Tbis little Internai , tbis Paufe of Life ,  [ IVbile yet our Liberty and Fates are doubtful ]  IVitb Revolution , Frìendfbip f Roman Brani ry ,  Aad ali tbe Virtues isjc can crowd into it ;   Tbat     Digitized by Google     *S )fr   Ma che è vita? Non è in piede ftarfi^  E la frefea aria trar di mano in mano ,  O il Sol mirare; è libero efler, vita.  Allorché Libertà è andata, viene  Infipida la vita, e foiza gufto.  Piantaffe pur mia moribonda mano  Dentro il feno di Cefare una fpada 9  E così vendicaffi la mia Patria !  Per Io Ciel goderia della mia morte,  E nella mia agonia io riderei.   Lue. Per ventura altri può fervir fua Patria  Con così caldo zel , bench' ei non Ca  Da tanta rabbia e furia infiammato.   Sempr. A i tiepidi amatori della Patria  Sobria condotta è una virtù poflente.   Cat. Non piò : Sempronio , tutti Cam qui amici  A Roma , e Y uno all' altro; ah non volere  Infiacchir la già troppo debol parte  Per noftre divifion. Sempr. Caton de i miei  Rifcntimenti un facrificio io faccio  A Roma , e a voftri rimproveri io cedo .   Cat. Padri , qui di rifolvere fia d' uopo.   Lue. Tutti in voftro parer , qui fiam concordi .  Cefare per fuoi modi fa rifolvere  Al Senato, che attendanti 1' offerte .   Sempr. Anzi la morte 5 ma, Caton , la mia   Voce non è più udita . Cat. Andiamo , Amici   E temiam riempir quefto intervallo   Picciolo , quella paufa della vita   [ Mentre libertà noftra , e faro pende ]   Di coftanza, amicizia , e cuor Romano,   E di tutte virtù, che entrar vi ponno;     *( 66 )>•  That Hearìn may Jay y U ougbt to le prolong i.  Fatbcrs , fareweli — Tbe young Numidian Trina  Comes for-ward) and expetfs to know ottr Connetti .   [ exit Sena to rs .   cntcr Juba •   Cato . Juba 5 ibi Roman S enate bas reJoln)d y  Till Time gi luba , il Roman Senato ha rifoluto  \J Attender miglior tempo: e fguainata   Contra Cefar tener Ja fpada intanto.  Giub. Quefto conviene ad un Roman Senato .   Soffri , Catone , e condifeendi alquanto   Ad un giovane udir . Mio Padre , quando   Alcuni giorni avanti la Tua morte   Di marciare per Urica ordinommi ,   [ Laflo ! fua morte io non credea sì preflò ]   Piangendo mi firingea in fue vecchie braccia.   E come il duol gli permettea : mio figlio,   Dille [ qual forte avvenga al Padre tuo ]   Sii di Catone amico; egli alle illuftri   £ valorofe imprefe a Ile vera rt i :   Tu ben Y oiferva; apprenderai da lui ,   O fchivar le (venture, o fopportarle.  Cat. Giuba, era un degno Principe tuo Padre,   E degno ( ahi Jaffo ! ) di miglior dettino >   Ma altramente difegnaro i Cieli .  Giub. Il deftin di mio Padre, ad onta ancora   Di tutta la fortezza , che- rifplende   Nel vivo e grande efempio di Catone,   L'anima doma, e gli occhi empie di pianto.  Cat. E' un onefto dolore, e ti ila bene .   I i Giub. Fca-     Jub. My Vatber drew Refpecl front forcìgn Climes :  The Kings of Africk fought bim for tbsir Friend;  Kittgsfar remote , that rule , as Fame r efori* ,  Behind the btdden Som ce s of the Nile ,  In diflant JVorlds , on iother fide the San:  Oft bave the ir Hack Amhaffadors appeard y  Loadett witb Gifts , and fiWi the Court s of Zama.   Cato. / am no S franger to thy Fathers Greatnefs .   Jub. Iwould Kot boaìi the Greatnefs of my Fatbcr,  Bttt poÌKt out new Alliances to Cato .  Had we not better leave tbis Utica ,  To arm Numidia in our Caufe , and court  Tb % Ajjtftancc of my Fathers powrful Friends t  Did tbey know Cato , our remoteft Kings  Woud pour embattled Multitudes about bim ; .  Their fwartby Hofts wottld darken ali our Flains y  Doubling the native Horrour of the IVar 5  And making Deatb more grim .   Cato. Andcanft thou thivk   Cato will fly before the Sword of C&far ?  Reduced, like Hannibal , to feek Relief  From Court to Court , and wander up and down y  A Vagabond in Africk !   Jub. Cato , perbaps   Tm too cjficious , bttt my forward Cares  JVoud fatn preferxe a Life of fi mucb Vaine.  My Heart is wounded , wlen I fee fucb Virtue  Affiitled by the Weight of fueb Mhfortunes*   Cato . Thy Hoblenefs of Soni obliget me .     Digitized by Google     *C *9 ) S»  Gìtìb. Feano a mio Padre ftrani climi onore :   Cercavan fua amiftà Regi Africani,   Remotiflìmi Re, che come fama   Rapporta, dietro alle nafcofe fonti   Del Nilo regnano, in lontani Mondi ,   Di là dal Sol : fovenje fon comparii   Lor negri Ambafciator, carchi di doni,   Ed empiute di Zama hanno le Corti .   Cat. Della grandezza di tuo Padre ignaro  Non fon . Givi. Non la decanto ; ma fol voglio  Additare a Caton nuove allianze .  Non è il miglior, quefV Utica Jafciare  Per armare Numidia in noftra caufa ,  E cercar 1' aflìftenza de' potenti  Amici di mio Padre? Se a ior noto  Fotte Catone ; i più remoti Regi  Turbe battaglierefche intorno ad eflo  Verferian pronti : Ior morefche armate  Ofcureriano tutti i noftri piani,  Della guerra l'orror natio doppiando,  E crefcendo alia morte lo fpavento.   Cat. E puoi penfar che Cato fuggir voglia  Così di Cefar d'avanti alla fpada,  Ridotto , come Annibale , a cercare  Di Corte in Corte mendicando aita ,  E per T Affrica errare vagabondo ?   Gìnb. Caton , forfè eh' io fon troppo officiofo >  Ma P ultronee mie cure volentieri  Prefervar voglion vita di tal pregio.  Vien ferito il mio cuor, quand' io rimiro  Un tal valor, di tai fventure afflitto.   Cat. Tua nobiltà di cuor molto m* aggrada •   Ma     Digitized by Google     Bnt faow , young Prince , /taf V atout foars alone   Wbat the World calli Misfortune and Afflicìion .   Tita/ff , I cortld piene myHcart,   MjfooJifù He art ! Was ever Wretcb Vile Juba f   Syph. Alas , tny Prince boisj are you ebanged of late !  Fve known young Juba rife , before tbe San y  To beat tbe Tbicket vjhere tbe Tyuer flept ,  Or feek tbe Don in bis dreadfnl Haunts :  Ho-w àid tbe Cclour mount into yo&r Cbecks ,  IV ben firfì you rotti d bim to tbe Cbace ! Tve feen you  Eva in tbe Lybian Dog- day s bunt btm down,  Tben ebarge btm clofe 3 protoke bim to tbe Rage  Of Fangs and Claws , and ftooping from your Horfe  liivet tbe panting Savage to tbe Ground,  Frisbee y no more !.   Syph. Hoc nuoti d tbe old King f mite   To [ce you voùgh tbe Faws, vubcM tìffitsAtb Gold,   Ani     Digitized by Google     Non è tempo a parlar, che di catene :   O di conquida , Jibertade , o morte. fmeCat)   SCENA V.  Sifacc, e Giaba.   «   Sif. Ty Rence , che è ciò ? perchè cosi confutò?  Jt Par giudo, come fequedo Filofofo   Rigido, or or v' a vede rampognato.  Ciab. Ah Siface, fon morto. Sif. Io ben Io veggio.'  Club. Difpregiami Caton. Sif Sì faran tutti.  Ciub. Io aveva a lui feoperta la fiacchezza   Di mi* alma , 1* amor eh* io porto a Marzia.  Sif Bel perfonaggio certo quel di Cato   A confidargli un' iftoria d' amore !  Ciub. Oh potefs' io paffarmi il cuor , mio feiocco   Cuore; fu feiagurato mai qual Giuba ?  Sif Prence, oh quanto da quel di pria cangiato/   Da quel che fi levava avanti al Sole,   Battea la macchia , ove dormia la tigre,   £ cercava il lion nella fua tana .   Come il color montava in vodre guance,"   Todochè di/cacciato ei fuor fcappava !   Io ho veduto voi ancor ne* giorni   Canicolari d* Affrica sforzarlo,   Caricarlo ferrato, provocarlo   Alla rabbia de denti e delle zampe:   £ dal veltro deftriero giù badandovi   Al fuolo conficcar 1' anfante belva .  Ciub. Deh non più. Sif Come forride va il vecchio   Rege a vedervi delle gravi zampe   K - Guar-     Digitized by Google     «3 ( 74 ) S»   And tbrow tbe jbnggy Spoils about your Shouìders /*   Jub. Syfbax , fai/ o/i Afa» V Talk [ Honry fl   May fuba ever live in Ignorarne ì  Syph. Go, go> youreyotitjg .  Jub. Coir, muft I tamely bear   Ibis Arrogance unanfwerd ! Tbourt a Traitor 1  AfalfeoldTraitor. .  Syph. / baie gone too far. ( Afide i   Jub. Cato fball know tbe Bafenefs of tby Soul.  Syph. Imuft appeafe tbisStorm^orpcrìfbinit. ( Afide à  Toung Prince , Moli tbefe Locks , tbat aregrown wbito  Beneatb a Helmet in your Fatbers Battels .  Jub. Tbofe Locks fball neer profeti tby Infoiente .  Syph. Muft one rafb Word y tb y Infirmity ofAge y  Tbrow down tbe Merit of my better T earsì  Tbis tbe Reward of a wbole Life of Service !  Carfe on tbe Boy ! How fteadily be bcars me ! ( Afide,  Jub. // it becattfe tbe Tbrone of my Fore-fatbers  Stili (lands unfiird, and tbat Numidìas Crown  Hangs doubtful yet , wbofe Head it fball enelofe ,  Tbou tbus prefumeft to treat tby Prince witb Scorn ?  Syph. Wby isoill you rive my He art vjìtb fnch Exprefflons ?  Do / not old Sypbax follow yon to War ?   Wlat     Digitized by     *3( n)b   Ed i Catoni ( queiY Iddìi terrcftri )  Di violate vergini , e rapite  Sabine , tutti fon la fpuria razza . u  Club. Temo , che in quefti tuoi capei canuti j   S'appiattiairoppo TAfiFricane frodi. j \  Sif. Certo , mio Prence , non avete il Mondo  Per anco apprefo, nèftudiato l'uomo.  Giovane ammiri d* anima Romana  Le dog] iole gonfiezze, e di Catone  Gli arditi voli, e di virtù ftranezza.  Club. Senei fa pere il Mondo, l'uomofafli   Disleal, viva ognor Giuba ignorante.  Sif. Via via : giovin fete. Giub. Oh Cicl ! degg'io  Cheto fofFrir queft' arroganza ? Sei  Tradicor, falfo vecchio traditore.  Sif. a fané. Troppo lungi fon corfo. Giub. Saprà Cato  La viltà del tuo cuor. Sif. Bi fogna eh' io  Calmi quefta tempefta , o che perifeavi . a parte .  Mira qucfti capei venuti bianchi  Sotto l'elmetto là nelle battaglie  Del Padre voftro , o Prence ? Giub. Quefti tuoi  Capei non copriranti Y infolenza .  Sif. Da un debol vecchio uno (cappato motto  Porterà via de* migliori anni il meno?  A ciò vengono i dì fpefi in fervizio?  Maledetto fanciul / Com'duro afcoltami! a parte*  Giub. Forfè perchè de' miei maggiori il trono  E* voto ancora , e ancor dubbiofa pende  La corona Numidica , pjefumi  Di fchernire il tuo Prence ? Sif. Perchè vuoi  Partirmi il cor con qqefti duri accenti ?  Siface il vecchio non vi fegue in guerra ?   Ch'è     Digitized by Goo     Wbat are bis Aims ì Wby dos be load witb Darts  His trembling Hand y and crufb lene ai b a Cask  His wrinkled Brows ? Wbat is it be afpires to ?  Is it not (bis ? to fbedtbe jlow Remains ,  His laft poor Ebb of Blood in your De f enee 1   Jub. Sypbax y no more ! I wou d not bear you talk .   Syph. Not bear me talk ! Wbat y wben my Fatto to ]t*ba y  My royal Maflers Son y is eaWd in queftion f  My P fine e may ftrike me dead , and TU be dumb :  But wbìlft I li ve I mufi not bold my Tongue^  And languifb ont old Age in bis Difpleafure .   Jub. Tbon knowfl tbe IVay too well into my He art ,  / do bclicve tbee loyal to tby Prince .   Syph. Wbat greater hi fl ance can l girne ì Fwe offerd  To do an Aftion wbub my Soni abbors y  And gain you wbomyou love at any Priee .   Jub. Was tbis tby Motive ? I bave been too bafty.   Syph. And 'tis for tbis my Prince bas caWd me Traytor .   Jub. Sure tbou miflakeft j I did not cali tbee fa .   Syph. Ton did indeed y my Prince y you calN me Traytor :  Nay y furtber y tbreatendyoud complain to Cato .  Of wbat , my Prince y wou d you complain to Cato ?  Tbat Sypbax lo r vesyoa , and woud facrifice  His Life y nay more y bis Honour in your Service .   Jub. Sypbax y 1 know tbou lowft me y but indted  Tby Z e al for Juba carried tbee too far,  Honottrs a facred Tie , tbe Law of Kings y  Tbe noble Mintfs diflinguifbìng Perfeùìion y  Tbat aià's and ftrengtbens Virtue y wbere it meets ber ,  And imitates ber Aclions y wbere fbe is not:  It ougbt not to be fported witb .   Syph. By Heavns   Imrawfht wben you talk tbus y tbo yoa thide me     Digitized by     Ch'è Aia mira? perchè di dardi carica  La tremula fua mano, e forco Telmo  Preme rugofa fronte ? a che afpir* egli ,  Altro che a ciò ? Spargere i pigri avanzi,  E il fil di fangue eftreroo in tua difefa.   Giub. Taci, Siface; udirti io più non voglio.   Sif Non più udirmi ? allorché mia fede a Giuba  Il figlio del mio Re , viene in contefa ?  Può darmi morte il Prence, ed io fio quetoj  Ma viver non G può tacendo, e trarre  La mala età languendo in fua difgrazia.   Giub. Ben conofei le vie dentro al mio cuore :  Credo, che al Prence tuo tu fii leale.   Sif Qual maggior prova io potea dar , che a tua  Amata guadagnarti ad ogni prezzo ,  Cofa proporre, che'l mio cuore abborre?   Ciub. Fu quefto il tuo motivo? Io corfi troppo.   Sif. Perciò il mio Prence traditor chiamommi .   Giub. T'inganni: così io non ti chiamai.   Sif. Certo, o mio Prence, traditor chiamaftimi.  Anzi più: minacciarti a Cato dirlo:  Che dir, mio Prence, fe non che Siface  V'ama , e facrificar vuol la fua vita  In fervizio di voi, anzi il fuo onore.   Giub. Siface , so che ra' ami \ ma di vero  Tuo zel per Giuba andava troppo innanzi.  Santo vincolo è onor, legge de* Regi,  Delle menti gentili illuftre impronta,  Che virtude avvalora ove fi trova;  Ed ove non fi trova , egli 1* imita .  Non fi dee far beffe di lui. Sif. Oh Cieli !  Il tuo parlar, benché mi fgridi, incantami .   Laffo:     Digitized by Google     AUt y T*vc hìtberto been nfed to tbink  A blind officious Zeal to ferve my King  Tbe ruìing Principle , tbat ougbt to bum  And qucncb ali otbers in a SubjetJs Heart .  Happy tbe People iscbo f re ferve tbe ir Honour  By tbe fame Duties tbat oblige tbeir Prince !   Jub. Sypbax y tbou uow beginfi to fpeak tby felf,  Numidia s grown a Scorn among tbe Nations  For Breacb of publick Vowt. Our Punici Faitb  Is infamous > and branded to a Proverb .  Sypbax , Tvclljo'm our Cares , topurge away  Our Country t Crime t , and clear ber Reputatoti.   Syph. Belirve me , Prince, you moke old Sypbax isjeef  To bear you talk ■— but 7ix isoitb Teart offof .  lfe*reyour Fatbers Crown adornyour Browt ,  Numidia voill be bleft by Catot Leèluret.   Jub. Sypbax , tby Hand ! ve' Il mutuai ly forget  Tbe IVarmtb ofToutb y and Frowardnefs of Age:  Tby Prince etieems tby Wortb , and loiìct tby Perfon .  // ere tbe Scepter comet into my Hand ,  Sypbax fball fi and tbe fecond in my Kingdom .   Syph. IV bk v) di you owerwbelm my Age vSitb Kindnefsì  My Joy grows burdeafome , I fba ut fupport it .   Jub. Sypbax , farewell . 27/ beate , aad try to find  Some bleft Occofioa tbat may fet me rigbt  In Catos Tbougbtt . Td ratber bave tbat Man  Apprwe my Deedt y tban Worldtfor my Admirert . [ Exit.   Syphax folus .   Toung Mea fooa gicd y and glorie s in its Htigè? .  Sucb is tbat bawghty Man y bis fo-tv ring Soni 9  % Mìdft ali the Shock s and Injuries òfPorttfne- 9  Rifes fuperiòr , and looks downon Cafar .   Syph. But *wbats tbis Meftengér*   Sempr. Vwe praElisd vótlrblm,   Andfound a Mèàns to let tbe Vitlor know  Tbat Sypbax and Sempronio are bis- Fritnds .     But     Digitized by Google     Tradltor: quelle voci, temerario  Garzon , chi sa? ti cofteran ben caro.  Folle affetto per te finora avea ;  Ma via, è andato, io lo confegno a i venti,  Cefar, fon tutto tuo     SCENA V l     S'tface, e Sempronio.   Sif. Ob / ben venuto   Sempronio; sì, che rifolvè il Senato  Di Caro, d'afpcttare d' un' affedio  Il furore più tofto, che di cedere.   Semp. Siface, ambo del fato all'orlo fummo,  Lucio volea la pace, e di trattarne  A Cato offriva il meflaggier di Ce fa re .  Se il Senato ù folle fortomeffo  Pria che i noftri difegni maturaffero ,  Nella comun ruina ambo rinvolti  Perivamo indiftinti . Sif. Che fa Cato ?   Semp. Scorgerti il Monte Atlante: mentre in cima  Fulminan le borrafche, e le temperie  £ i mari al piede fuo rompono l' onde ,  Superbo di fua altezza, immobil ftaffii  Tal quefto altier. Su' alma torreggiarne  Tra i contratti e gli affronti di fortuna  Sta fopra , e guarda Cefar giù nel fondo.   Sif. Ma qual è quefto meffaggicr? Semp. Con lui  Io praticai , e lo trovai buon mezzo  A far fapcre al vincitor , che fìamo  Ambi del fuo partito , or tu mi lafcia   L a Efami-     Bar Ut me now examine in my Tarn :   Is Juba fixtì  Syph. Tes , but U is to Caio.   Fw tryd the Force of e^ry Reafon on bìm ,   Soottid and carrefsd y been angry , footUd agaia 9   Layd Safety , Life , and Ini refi in bis Sigbt ,   Bue ali are vain y be feorns tbem ali f or Caco.  Sempr. Come y Uis no Matter , uve /ball do -witbout bim ;   Hill mate a p retry ligure in a Triumpb ,   And ferme to trip before tbe Viclois Cbariot.   Syphax , I tio-w may bope tbou hafl forfook   Thy Juba s Caufe , and "jjifbesl Marcia mine .  Syph. May jbe be ibi ne as fafl as tbou ivo/i dsl bave ber!  Sempr. Syphax , / loie tbat Woman\tbo Icnrfe   Hcr and my felf \ yet flight ofme, I love ber.  Syph. Make Cato Jure , and gi>   > - famttt :bet .   / farri to tbhl hs not but witb Life .   Marc. Fortius , tbou knowfi my Soul in ali hi Weahtefs  Then pritbee fpare me on its tender Side ,  Indulge me but in Love , my otber Fajftons  Sball ri [e and fall by Virtues niceft Kules .   Porr. Wben Loves wcll t'irne à , *tis not a Fault tolove .  Tbe Stro»? y the Brave , the Virtnons , anà the IVifc y  Sink tu the foft Captìvity together.     I wotid     Digitized by Google     ATTO     IIL     SCENA l     Marco, e Tornio.     I   Mar. Razie alle flellc , ch'io non ho cercato   ■ _ Per T erme ftrade della vita amico .     E per tempo infegnommi , per fegreta  Forza d'amar, la tua perfona, avanti  Che il gran merito tuo io conofceffi $  Finché quel ch'era inftinto, amiftà venne.   Tor£. Marco, del Mondo l'amiftadi fpeffo  Leghe di vizj fono e di piaceri.  La noftra in bafe di virtù fondata  Terminare non può, che colla vita.   Mar. Porzio, tu fai tutte le mie fiacchezze :  Rifparmia il cor dalla Tua debol parte :  Solamente in amor fi imi indulgente.  La virtù colle Tue più efatte norme  Degli altri affetti miei farà alto e baffo."   Por%. Allora quando è di ftagion l'amore ,  Non è fallo l'amare: il forte, il bravo,  L' uom dabbene , e '1 prudente sì fi danno  In una dolce fchiavitude infieme .      Natura a me prima additò il mio Porzio;     M     Non     J u>o*V not urge tbee to difmifs tby Faffton ]  [ / kuou) 'fwere *vain ] but to fupprefs iti Force l  Till Inter Times may moke it look more graceful *   Marc. Alasi tbou talìCft like one isolo ncvcr feh  Tti imjatient Throbbs and Lottgittgs of a Sotti ,  Tbat panis , and reacbes after difiant Good.  A Lcver dos not li  And yet ivben 1 beboldibe cbarming Maid  Tm tentimes more undonej isolile Hope, and Feafy  And Grief, and Ragr , and Love , rife up at once ,  And isoitb Variety of Pain diftratl me .   Port. Wbat can tby Portius do togiue tbee Help ?   Marc. Forti us , tbou oft enjoyfi tbe Fair Qnc*s Frefeuctt  Tben undcrtake my Cauje y and plead it to ber  IVitb ali tbe Strengtb and Heats of Eloquence  Fraternal Love and Friendjbip can infpire.  Teli ber tby Brotber langttifbe's to Deatl ,  And f ade s aisoay , andwitbers in bis Bloom ;  Tbat be forgets bis Sleep y and loatìfs bis Food ,  Tbat Totttb , and Healtb , and War are joylefs to htm :  Dejcribe bis anxious Days , and reftlefs Night ,  And ali tle Torments fiat tbou feefi me fuffer .   Port. Marcus , I beg tleegive me net un Office   Tbat fuits witb mefo ili . Tbou bnowft my Temper .   Marc. IVilt tbou bebold me finking in my IVoes f  And wilt tbou not reacb out a friendly Arm r     To     Di     Non prefserom a cacciar tua paffione  ( Sò che farebbe van ) ma a raffrenarla ,  Finché tempo miglior ne la ftagìoni .   Mar. Eh che tu parli come uom , che non mai  Provò Je dure e le cocenti cure  D'un cor gì' impazienti afpri tlnghiozzì,  Che ftiran I alma dietro a un ben lontano.  Non è tempo comun quel dell'amante .  Porzio , allorché mia Lucia era lontana ,  Ptfava e m' era a carico la vita ;  Ma quando poi rimiro la vezzoia  Donzella, fua prefenza mi disface:  Mentre fpeme, timor, dolor, furore,  Ed amor fi follevano ad un tempo ,  Em'arrabbian con varj lor tormenti.   Tor%. Qual può tuo Porzio a te donare aita?   Mar. Porzio , tu godi fpeffo la prefenza  Della bella: or tu prendi la mia caufa ,  E in mia difefa tutta quella forza,  E vivo ardore d' eloquenza adopra ,  Che amor fraterno ed amiftade infpirì.  Dille, che il tuo fratel languifce a morte,  Ed appafsifce e feccafi in fuo flore s  Tal ch'oblia il fon no , ed abborrifee il cibo»  Gioventù , fanitade , e guerra fono  A lui prive di gioja : sì , deferivi le  Gli anfiofi giorni , e le inquiete notti ,  E ogni martir , che tu vedi eh' io fofTro .   Tor. Marco , io ti priego non m* ingiugner carico  Che mi torni sì mal : tu mi conofei.   Mar. Voi tu mirarmi morto ne' miei guai?  Negando porger amichevol braccio   Mi A tr     To raìfe me from amidft tbis Flange ofSorrows ?   Port. Marcus , tbou tanfi notask wbat Vd refife.  But bere beitele me Tue a tboufand Reafons —   Marc. / know tbou le Jay my Pafftons out of Seafon y  Tbat Catosgreat Examfle and Misfortunes  Sbould botb candire to drive itfrom my Tbougbtt.  But ivlai* ali ibis to one *wbo love* like me !  Ob Portius y Portius , from my Soul I vuifb  Tbou dìdfl but know tby felf wbat Vii to love i  Tben woudfi tbou pity and ajjìft tby Brotber .   Porr. Wbatfboud I do! If I difclofe my Fafson  Our Friend/hip 1 s at an end: If I conceal ìt 9  Tbe World will cali me f alfe to a Friend and Brotber. Afide'.   Mar. But Jee wbere Lucia at ber wonted Hor/r y  Amid tbe tool ofyou bìgb Marble Arcb y  Enjoyt tbe Noon-day Bree^e ! Obferve ber , Portius f  Tbat Facejtbat Sbapejbofe Eyes, tbat Heavn of Beauty #  Obferve ber wcll, and blame me if tbou tanfi.   Port. Sbe fees tts , and advances —   Marc. TU witbdraw ,   And leaue you for a vjlile . Remember , Fortini \   Tby Brotber s Life depends upon tby Tongue . [ Exit »   Entcr Lucia.   Lue. Did notlfee yonr Brother Marcus bere?  Wby did be fly tbe Place , and fbun my Prefence *   Port. Ob , Lucia , Language is too faint to fbou>  Hit Rage of Love j it preys upon bis Life >  He pine*) be fickens, be defpairs , be dìes ;   -   Hit     > Digitized by Google     A trarmi fuor di quefto mar d' affanni?  For%. Marco, chieder non puoi cofa , ch'io nieght;   Ma qui, credimi, ho io mille ragioni . . .  Mar. So, che fuor di ftagion tu dì, il mio affetto ,   Di Cato il grand' efempio e le (venture   Cofpirare a cacciar me '] dalla mente j   Ma che è tutto ciò ad un amante ,   Qual io fon? Porzio , Porzio , che tu ftefso,   Che cofa è amor, provafsi , adorerei :   Pietade allor di tuo fratello a v retti .  Tor%. Or che farò ? Se mia pafsion difeuopro ,   Noftr' amicizia è ita : s'io la celo,   Falfo amico e fratel dirammi il Mondo , a [arte  Mar. Ma vedi dove all' ufata ora Lucia   Della marmorea loggia in mezzo al frefeo   Sta godendo il meriggio ! Porzio , mirala .   Che occhi, volto, vita! che bellezza !   Mirala bene : e fe tu puoi , mi biafma .  tor%. Eliaci vede, e avanza. Mar. Io voglio andare   £ per un poco di tempo lafciarti .   Sovvienti , Porzio , che di tuo fratello   Dalla tua lingua la vita dipende . [arte   SCENA IL     Lucìa , e Forgio *   lue. V 7 Oo ho veduto qui voftro fratello ?   lN Perchè fuggì , fchivo di mia prefenza ?  lors>. O Lucia, troppo è debole la lingua   A dimoftrar il fuo rabbiofo amore .   StruggeG, langue, fidifpera, e more.   Si     94 )>   Hit paffions ani bis Virtues He confaci ,  And mixt togetber in fo wild a Tumuli ,  Tbat tbe tubale Man is qu'ite disfiguri in bini ,  Heawnt ! njouà one tbink Uivcre pojjìble for Love  To mah fftcb Ravage in a noble Soni !  Ob , Lucia, Vm diftrefsdì my Heart bleeis for bìm\ m  Evn now , nobile tbus I ftand bleft in tby Prefenct , *  A fecret Dump of Grief comes oer my Tbougts ,  And Vm unbappy > tbo tbou fmilesl upon me .   Lue. How vuilt tbou guard tby Honour , in tbe Shock  Of Love and Friendjbip ! tbsnk betimes , wy Porti us ,  Tbink bow tbe Nuptsal Tie , tbat migbt enfure  Our mutuai Blijs , vvoud raife to fuch a Height  Tby Brothers Grief s, us migbt perbaps deftroy bim.   Porr. Aìas ,poor Toutb! wbat dofi tbou tbink } my Lucia ?  His genrous , open , undefigning Heart  Has btgd bis Rivai to folliàt for him.  Tben do not firike bim dead witb a Dentai ,  But bold bim ttp in Ltfe , and ebeer bis Seul  Witb tbe faint glimm ring of a doubtful Hope:  Perbafs , wben bave pafsd tbefe gloomy Hottrs ,  And weatber'd ora tbe Storm tbat beats erpon us —   Lue. No, Portius , no ! Ifee tby Sislers Tears ,  Tby Fathers Avguijb , and tby Brotbers Deatb ,  In the Purfuit of our illfated Loves.  And, Portius, bere Ifwear, to Heavn I fwear,  To Heavn, and ali tbe PoisSrs tbat judge Mankind ì  Never to mix my flight ed Hands -witb thinc y     Wbih     Digitized by     Sì con un certo Incognito indiftinto   Son virtudi ed affetti in un confufi ,   Che tutto Tuom dei tutto è in Jui disfatto.   Cieli ! come è pofsibil, che cotanto   Abbia guado V amor sì gentil' alma?   O Lucia , fono in grande angofeia; è il cuore   Per mio fratel trafìtto : anco in queft' ora ,   Che felice mi trovo at tuo cofpetto ,   Segreta nebbia di dolor mi grava :   Mi fero io fon , benché da te gradito .   Come vuoi tu il tuo onor guardare  In contratto d'amore e d' amicizia?  Penfa per tempo, caro Porzio, penfa,  Che il vincol nuzial , che ri afsicura  Noftri mutui contenti , a sì fublime  Punto alzerà del tuo fratel le pene ,  Che di fua diftruzion fian la cagione.  ?or%, Povero giovan / Che penfi , mia Lucia ?  Suo generofo, aperto, e fchietto cuore  Chiefc al rivai follecitar per lui.  Dunque non dargli morte con un niego 5  Ma tienlo io vita, e V alma gli carezza  Con fottil tremolar di dubbia fpeme.  Forfè, quando i di fofchi avrem pafsati ,  £ alla tempefta , che ci batte 9 retto.. . .  Z*r. Nò, Porzio: veggio di tua fuora il pianto,  Del padre il duolo , e del fratel la morte  Nel (eguir reo deflin di noftri amori .  Io giuro, Porzio, per 11 cieli io giuro,  Per li cieli , e per tutte le potenze,  Che l'uman gener giudican, non mai  Gon tue mifchiar le mie congiunte mani „   Men-     Digitized by Google     «8( 9* )h   IVhìU faci a Ciotti of Mifcbicfs bangs ahut ttt l  But to forgct onr Loves y and drive tbec cut  From ali my Tbougbts y as far — as I am abh   Port. Wbat baft tbou Jaid ! Tm tbunder-JIruck ! ..—Recali  Tbofe bafìy IVords , or I am loft for ever .   Lue. Has not tbe Vow already pafs'd my Lips ?  Tbe Cods bave beard it y and Vii fcaCd in Heavn.  May ali tbe Vengeance y tbat was cver pourd  On perjurd Heads y o\r-j;belm me y if I break it !   [ After a Paufe,   Port. Fixt in Aftonifbmcnt y I ga^e ujton tbe e ;  Like one jufi blafted by a Stroak from Hcavn ,  il bo pani s for Breatb y and fliffens y yet alive y  In dr e ad fui Looks : A Montment of Wratb !   Lue. At lengtb Fve acled my fevereft Fart y  Ifeel the IVoman breaking in vpon me y  Jind mclt atout my Heartl my Tears utili flow.  But oh VII tbìnk no more ! tbe Hand of Fate  Has torn tbee from me y and I muft forge t the e.   Port. Hard-bcartcd\ cruci Maidl   Lue Ob ftop tbofe Sounds y   Tbofe killing Sound: ! IV by doft tbou frorwn upon me t  My Bloodmns cold , my Hcart forge fs to beave ,  And Life itt felf goes out at tby Difpleafure .  Tbe Gods forbid as to indulge our Loves ,  But ob ! I cannot bear tby Hate and live !   Port. Talknot of Love y tbou nevcr kncwft Ut Force.  Fve becn delti ded , led info a Dream  Of fancied Blifs. 0 Lucia, cruci Maidl  Tby dreaJful Vow y loaden isoitb Deatb y Jlill fottni s  In my fiumi d E ars . IVbat [ball I fay or do?  Qvick y /et r/s part ! Ferdìtìons in tby Frcfence ,   And     Digitized by Google     Mentre tal nube di feiagura pende  Ma obbliar noftri amori, e fuor cacciarti  De' miei penfier ... si lungi ... quant'io pofso.   Tor^. Ch'ai detto? fulminato fon : richiama  Le temerarie voci, och'io fon perfo.   Lue. Pacate ha le mie labbra il giuramento:  Dei l'anno udito, ed è firmato in cielo.  Può tutta -la vendetta, che giammai  Si versò fopra le fpergiure tede ,  Inondar me, fe '1 giuramento io rompo.   apprejfo uvapaufo,   Tor^. Fifso in ifmarrimento , io pur ti guato ,  Qua] divampato da celefte foco ,  Che anfanando intirizzati ancor vivo  In fieri fguardi , monumento d' ira .   Lue. Già fatta ho io la più fevera parte:  Spuntare in me la femmina ornai fento ,  Ed ammollirti il cuor: verrammiH pianrrj  Mai' non vo'più penfar. La man del Fato  T ha da me fvelto , ed io debbo obbliarti .   ?or%. Difpietata , crudel ! Lue. Ferma gli accenti  I fieri accenti : a che sì corvo mirimi?  S'agghiaccia il fangue, e più non batte il cuore,  E pe *1 tuo difpiacer la vita manca .  Ceflan gli Dei de' noftri amori il corfo;  Ma da te odiata , ohimè, viver non poffo.   For%. Taci d'amor: tu noi provarti mai.  Stato fono ingannato con un fogno  D'immaginato ben. Lucia crudele !  Tuo voto fier, carco di morte , ognora  Mi rintruona l'orecchie 5 or che degg'io  Dire o far? tolto > via : sì , fepariamoci :   N Ster-     HG/ror W/r 4fo*f / — Hai , yj* f  flPrtft £ I am ! what bas my Rafbnefs done !  Lucia , tbou injurd Innocencc / tbou beft  Andlovclyft of tby Sex ! awake , my Lucia f  Or Portins rnfbe's on bis Sword tojoin tbee .   — He r Imprecations reacb not to tbe Tomb ,  Tbey jbut not out Society in Dcath . —   But Hab ! Sbe monjes \ Life wandert up and down  Tbrougb ali ber Face , and ligbt's uf enjry Cbarm .  Lue. 0 Portius , was ibis vocìi I — tofrown on ber  Tbat lives upon tby Smiles ! to cali in Doubt  Tbe Faitb ofone expiring at tby Feet ,  Tbat Ionie*! tbee more tban euer Woman lovd !   — Wbat do I Jay ? My balf- recover d Senfe  Forge? s tbe Vow in vjbicb my Soni is bound .  Deftrutlion ftani s betwixt us\We muti part .   Porr. Name not tbe IVord, my frigbted T bonghi t run back,  And tlartle into Madnefs at tbe Sound.   Lue. Wbat woudfi tbou baite me do ? Confider well  Tbe Traìn of llls onr Love woud draw bebind it.  Tbink, Portius ^ tbiuk, tbou [ce ft thydying Brotbet  Stabb"d at bis He art , ani ali befmeard -witb Blood y  Storming at Heavn and tbee ! Tby arwful Sire  Sternly demani s tbe Caufe , tV aeeurfed Caufe ,  Tbat robb's bim of bis Son ! poor Marcia trembles %  Tben tearet ber Hair , and frantici in ter Griefs  CalFs out on Lucia !     Wbat     Digitized by Google     *( 99 )S*   Sterminio e orror t'attornia ... Ah! Ella fviene.  Sciagurato eh* io fon / Che feci mai ?  Oltraggiata innocenza ! Oh tu , che fei  La migliore e più amabil delle Donne !  Svegliati , Lucia mia ; fe nò , il tuo Porzio  Cade falla fua fpada a unirti teco .   I tuoi giuri non flendonfi alla tomba ,  Nè vietan noftro unirci nella morte,..  Ma ecco ! ella refpira , ella fi muove ;  Già la fmarrita vita al fuo fembiante  Ritorna , e accende quivi ogni fuo vezzo.   Lue. O Porzio , parti fofse buona cofa   Torvo guardar chi del tuo rifo vive?   £ rivocare in dubbio di colei ,   Che fpira a' piedi tuoi la ferma fede ?   Ch'ama più ch'altra femmina giammai?   . .. Ma che difsi ? il mio mezzo ricovrato  • Senfo dell' alma obblia lo ftabil voto .   Sta ruina fra noi / d'uopo è Earrjyc^ - —  Por%. Non dir ciò: miei penfier tremando arretrano,   E fuggon delirando a quelli accenti .  Lue, Che vuoi eh* io faccia ? be n rip enfa al treno   De guai, che'l noftro amor portati dietro.   Pcnfa, Porzio, deh pente, che tu vedi   Tuo fratel moribondo effer trafitto   Nel fuo cuore, e grondar tuttodì fangue,   II Cielo e te fgridando: il venerando  Signor , forte dimanda la cagione ,  La cagion maledetta , che il fuo figlio  Gl'invola: Marzia cattivella trema»   Quindi il crin (traccia, e in fuo gravofo duolo  Farneticando , fi richiama a Lucia.   N 2 Equal     4( *oo >jt   Wfo* Lucia anfwerf  Or bow ftand up in fucb a Scene of Sorrow !   Porr. To my Confufion , and Eternai Gricf,  1 mufl acrome the Sentence tbat deftroys me \  The Mijl tbat bung about my Msnd clears up >  And now , atbwart tbe Terrori tbat tby Voiso  Has flanted round tbee ^ tbou appearft more fair y  More ami alle , andrifefl in tby Charmi,  LoDÌyJl of\Vomen\ Heavn is in tby Soul .  Beauty and Virtue fbìne for ever round tbee y  Brighi ning eacb other ! Tbou art ali Divine !   Lue. Portius, no more ! tbyWordt fboot tbro my Usarti  Melt my Rejohes , and turn me ali to Love .  Wby are tbofe Tcars of Fondnefs in tby Eyet ?  IVby bsavss tby Heart ? Wby fwells tby Soul witb Sorrtrwt  It foftens me too mricb — — Farrwell, my Portius ,  Pareteli y tbo Deatb is in tbe Word, For-evcr !   Port. Stay , Lucia 5 ftay ! IVbat doft tbou fay ? For-cver !   Lue. Have I not feorn ? If, Portius , tU Succefs  Muft tbrow tby Brotber on bis Fate , Farewell,  Ob, bow fiali Irepeat tbe Wordì For-evcr !   Port. Tbus oer tbe dying Lamp tb % unfteady Piarne  Hangs quivring on a Point y leap's off vy Fits y  And fair s again y as loatb to quit itt Hold  — Tbou mufl not go } my Saul flill hovers oer tbse-  And can V get loofe.   Lue. If tbe firm Portius fbuke   To bear of Parting , tbink wbat Lucia fiffers !   Port. Ti* true ; unruffled and fcrene F{. A mia confufione, e eterno cruccia  Ho da approvar Temenza, che m'atterrai  Quella nebbia > che mia mente ingombrava y  Schiarafi , ed a traverfo de* terrori ,  Che 'I giuramento tuo t' ha podi intorno >  Tu più bella e più amabile apparila ,  £ ricrei ccndo fpiccano i tuoi vezzi .  Obelliflima donna ! hai il ciel nell'alma.  Beltà e virtù fplendeti ognora intorno ,  L' una altra ornando : fei tutta divina .  la:. Porzio , non più : paffanmi il cuor tue voci y  Dhhn la mia fermezza, e a amar mi sforzano .  Perchè negli occhi tuoi coterie lacrime ?  Perchè il cuor batte , c di duol s' empie V alma ?  Troppo m* intenerito : addio , mio Porzio ,  Addio ; benché morte fta in quel : Per Tempre.  Tor%. Pian , Lucia , pian . Che detto hai tu : Per fernp  Lue. Giurato non ha io ? Porzio > k tua  Ventura al tuo- fratello effer fatale  Dovefse , addio ; oh come potrò ora  Quella parola ripeter: Per fempre.  For%. Così cade, e riforge in un fol punta  Stretta , e mal volentier fuo pofto lafcia  La tremolante e moribonda fiamma .  ... Tu non hai da partir ; l' alma mia fopra  Te fi rigira , e non può mai lafciaru.  ve Se ad udir di partenza , il fermo Porzia  Trema , penfa che cofa foffre Lucia /  Trovavanmi fereno e imperturbato  r comuni accidenti della vita ;   Ma     ♦J( 102 kfc   Sucb an unlook % d for Storm of Uh fair s on me ,  It bcais down ali my Strengtb. I tannot bear it.  We muft noi part .  Lue. Wbat do fi thou fayf Not part ?   Haft tbou forgot tbe Vow tbat I bave madef   Are tbere not Heavns and Gods and Thunder oer us !   « Bu{ fee tby Brotber Marcus benàtt tbis way !   1 ficken at tbe Sigbt . Once more , Farewell ,  Farewell , and know tbou wrongft me , if tbou tbinVfl  Ever was Love , or ever Gnef, like mine • [ Exit .   Enter Marcus.   Marc. Fortius , wbat Hopes ? bow flands Sbe ì Ami doomd   To Life or Deatb 1  Port. Wbat woudft tbou bave me fay t  Marc. Wbat meant tbis penfive Fotturc t tbou appeaiH   Like one ama^ed and terrified.  Port. Ive Re a fon .   Marc. Tby down-caft Looks , and tby diforderdTbougbtt  Teli me my Fate . I a si not tbe Suctefs •  My Cauje bas found.   Port. Vm grievd l undertook it.   Marc. Wbat ? dos tbe barVrous Maid infult my Heart,  My ahtng He art ! and triumpb in my Paint?  Tbat I coud casi ber from my Tbougbts for ever !   Port. Away ! youre too fujpicious in your Griefs >  Lucia , tbougb fworn ttever to tbink of Love ,  Compajftonate s your Fains , and pitie s you .   Marc. Compajftonate s my Fains , and pitie s me!  Wbat is Com paffton when 'tis void of Love !   Fool     i     Digitized by     •!( *°i )h   Ma quefta di fciagure non previdi  Burrafca, batte giù tutta mia forza.  Io non vaglio a (offrirla: ah non partiamo.  Lue. Che cofa hai detto mai: Ah .non partiamo?  Non thfovvien del giuramento fatto?  Che Cieli , e Dei , e fulmin ci fon fopra ?  ... Ma vedi il tuo fratcl Marco, che viene.  Mi rincrefee il vederlo . Ancora addio,  Addio : e fappi , che a torto crederai  Altro amore o dolore eguale al mio- parte Lucìa .   S C E N A UT.   Marea y e Tornio.   Mar. Ty Orzio, ci è fpeme? che fa ella? fono   JL Detonato alla vita od alla morte?  Fonr. Che vuoi ch'io dica? Mar. Che vuol dir cotefla   Politura penfofa? tu mi fembri   Spaventato e fmarrito. Por%. Honne ragione .  Mar. Queft' occhi baffi , e confufi penCeri   M'annunziano il mio fato: io più non chiedo,   Qua! fia il fucceffo della caufa mia .  Por^. D'averla prefa a far , forte mi pefa.  Mar. Forfè la cruda ATI mio. cuore infulta?   Su 1 cuor trafitto e nel mio duol trionfa ?   Poteffila dal cuor cacciar per fempre !  Por%. Via: troppo fofpettofo il duol fi rende.   Lucia, benché giurò di non penfare   D'amor , pure ha pietà di voftre pene.  Mar. Di mie pene ha pietà ? ma qual pietate   Vota d' Amor ! folle eh' i' era a fcegliere   Edi     *2 ( KM ) S»  Tool tbat I mas to elafe fo colà a Friend   To urge my Canfe ! Compafftonates my Paint]   Tritbse niSbat Art , what Rbet'rick d'tdffi thou fife   To gain tbis mighty Booti ? Sbe pitie s me !   To one tbat ask's tbe warm Return? of Love ,   Compaffions Crueky , Vw Scora 5 9 $it Death —   Porr. Marcus , no more! bave 1 deferì % d tbis Treatment ?   Marc IVat bave I faidì O Fortius , 0 forgile me !  A Sotti exafprated in llls falls ont  Wìth entry tbing , Ut Friend , its felf — — But bah ,  IV but means tbat Sbottt, big witb tbe Soands ofìVar?  What new Alarm ?   Porr. A fecond y louder yet ,   Swells in tbe Winds , and comes more fall npon ut.   Marc. Ob , fcr fome glorio» s Caufe tofall in Battei !  Lucia , thou baffi undone me i tby Difdain  Has Iroke my Heart : 'tis Death muffi giqje me Eafe,   Porr. Quid , lei ut benec, wbo kno-ws ifCatos Life  Stand furel 0 Marcus y I am vjarmd, my Heart  Le api at tbe Trumpeft Voice y and burns fot Glory ;   [ Excunt:   Enter Sempronius vvith the Lcadcrs of the Mutlny :   Sempr. At lengtb tbe Winds are raisdfhe Storm blowshigb,  Be ityonr Care , my Friends, to ieep it up  In ii sfidi Fury , and direft it right ,  Ti// // has f pent it felf on Catos Head.  Mean Tubile FU bird among bis Friends , and feem  One of tbe Number , tbat isohateer arrive ,   My     Digitized by     x r „ «?( »*J )&*   Un così freddo amico a proccurare   Mia caufa . Ella ha pietà de] le mie pene ?   Deh qual'arte o rettorica impiegaci   A procacciarmi quefta gran mercede ?   Ella ha pietà di me? A un che chiede   Vicendevole fiamma ncir amore ,   Pietate è crudeltade , è fdegno e morte  For%. Marco, non più: ho io ciò meritato?  Marc. Che mai ho detto ? Porzio , perdóno .   Un'alma, eh' è inafprita ne'fuoi mali,   D'ogni cofa s'annoja; degli amici,   Di fe ftefla . Ma oh ! quefto rumore   Che vuol dir , di guerrieri (boni pregno ?   Qual nuovo all' arme? Por%. Un' altro ancor più alto *   Gonfio dal vento , e vien più forte a noi ? 5  Marc . Oh per degna cagion cadeffi in Guerra I   Lucia , tu tn hai feonfitto : il tuo difdegno *   Spezzommi il cuor: fia morte il mio ripofo.  Tor%. Pretto, leviamei: forfè è mal ficura   Di Catone la vita. O Marco, il cuore   Alla tromba fvegliato arde di gloria . partoM   SCENA IV.   Eatra Sempronio co i Condottieri dell' Ammutinamento.   Sempr. Q Offian già i venti , e la tempefta sbuffa :  O Sia voftra cura , amici , mantenerla  Nella fua piena furia , e dirizzarla  A feoppiar fulla tefta di Catone .  Mentre tra' fuoi amici mi frammifehio ,  E rafsembro un di lor > comunque accaggia ,   O Miei     Digitized by Google     *3 ( ic6 ) ?»   Afy Friends and Fellow Soldiers may be /afe.  i. Lcad . «// if# 7*/* , Sempronius is our Friend.  Sem proni us is as brame a Man as Caio .  But beark ! be Enters . Bear up boldly to bìm ;  Be fare you bear bim down , and bind bìm fa/i :  This Day will end our Toils , and giwe as Refi j  Fear notbing , for Semfronius is our Friend.   En ter Cato , Semproni u s , Lucius , Por t ius , a n d Marcus .   Cato . Wbere are tbefe bold intrefid Sons of War y  Tbat greatly tnrn tbeir Backs upon tbt Foe ,  And to tbeir General fend a brame Defiance ?   Sempr. Carfe on tbeir Daflard Souls , tbey ftand aftonifb* d\   [ Afide .   Cato . Perfidious Men ! and willyou tbus difbonoar  Tour pafi Exploit s , and fully ali yoar Warsì  Doyou tonfefs 'twas not a Z e al for Rome,  Nor Love of Liberty, nor Tbirtl of Houour ,  Dre-w you tbus far i but bopes to /bare tbe Spot!  Of conquerd Towns , and pi under d Province s ?  Fired witb fu eh Motives you do isoell to join  Witb Catos Foes , andfollow Céfars Banner s.  JVby did 1 fcape tbe invenomd Afpics Rage,  And ali tbe fiery Monfiers of tbe Defart ,  To fee tbit Day ? JVby coud not Cato fall  Witboutyour Guilt ì Bebold, ungrateful Men ,  B e bold my Bofom naked to your Simrds ,  And let the Man tbafs injured flrike tbe Blorw •     Wbub     Digitized by Google     Miei amici, e compagni falverannofi.  Tr. Cond. Siam tutti fai vi , e ci è Sempron io amico .  Sempronio puote pareggiar Catone.  Ma piano! egli entra: Andate arditi incontro:  Battetti giufo, ebenlegatel forte.  Oggi avran fine i guai , e noi ripofo.  Nulla temete: ci è Sempronio amico.   S C E N A V. *     Entra Catone , Sempronio, Lucio , Tornio, e Marco.   Cat. T 7' Sono quefti intrepidi Guerrieri ,   vJ Che bravamente ali* inimico volgono   Le fpalle , e al General mandan disfida ?  Sempr. Codardi, maladetti ! ah , (tanno attoniti ! a parte  Cat. Traditori , così vituperate   Voftre prodezze, e le pattate guerre ?   Chiaro non è, che non lo zel di Roma ,   Amor di libertà, defio d'onore   Portovvi quà; ma fpeme di partire   Di Città conquiftate e di Provincie   Saccheggiate le fpoglie ? Da tai fini   Spinti , ben vi giugnete co* nemici   Miei , feguendo di Cefar le bandiere .   Dunque fcappato io fono dalla rabbia   D' afpidi velenofi e fieri moftri   Del deferto , acciocch' io tal dì vedeffi ?   Cader non potea Cato fenza voftra   Malvagità ? Or ecco, uomini ingrati,   Ecco il mio feno a voftre fpade ignudo .   Chi oltraggiato fi crede, il colpo faccia .   O i Ma     *?( io* )p  Ritiri 0/ ^0*4// fttfpctTs that he is nsorongd ,   Or fuffers greater llls tban Cato ?   Am I dtftinguifV d from you but by Toils ,   Super ior Toils y and beavier Weigbt ofCares !   Tainful Pre-emincnce !   Sempr. By He ani m tbey drcop !   Confufion to the Villains ! Ali is loft . [ Afide .   Cato. Have yo» forgotten Lyhta s bttrning Waft ,  /// barre» Rocks , par eh' J Eartb , and Hìlls of Sancì ,  Its tainted Air , and ali its Broods of Poi fon t  Wbo iva; tbe firft to explore tV untrodden Fatò ,  Wben Life vuas ha^arded in eniry Step ?  Or , fainting in tbe long laborious March ,  Wben on tbe Banks of an unlookdfor Stream  Toufunk tbe River nsuith repeated Drangbts,  Wbo -was tbe laft in allyour HoH tbat tbirfted ?   Sempr. Iffome penurious Source by chance appeard ,  Scanty of IVaters , wben yon fcoop'd it dry ,  And offerd tbe fall Helmet up to Cato ,  Did not he dafb tb* untafted Moift are from bim }  Did not he leadyon tbrougb tbe Midday Sun ,  And Clouds of uuft ? Did not bis Temples gloiu  In the fame fultry Winds , and fcorcbing Heats ?   Cato . Hence -wortblefs Men ! Hence } and complain to Csfar  Tou could not undergo the Toils of War ,  Nor bear tbe Hardfbips that yonr Leader bore.   Lue. See , Cato , fee tti ttnhappy Men / tbey weep !  Fear , and Remorfe , and Sorrow for tbeir Crime ,  Appear in eniry Look , and pie ad for Mercy .   Cato . Learn to he boneft Men , give up yonr Leader s >  And Pardon fball defeend on ali tbe reti .   »   Sempr. Cato,     Digitized     *J( 109 )£*   Ma chi di voi può creder d' efler tale ,   O di (offrir più guai , che Cato ideilo?   Sol da voi mi diftinguon le fatiche,   Affai maggior fatiche e più pefanti .   Penofa diftinzione! Sempr. OhCiel, s'abbattono,   Sconfondonfi i vallati / tutto è perduto . a parte  Cat. I torridi deferti della Libia,   Le ignude rupi , adotto fuol , montagne   D'arena, ed aria infetta, e tutte fue   Ragioni di venen v' ufcir di mente ?   Chi fu il primo a fpiar vie non battute ,   Quando vita iva a rifchio ad ogni paflb ?   O quando nella lunga fatico(a   Marcia l'uom fianco fi veniva meno,   Allorché di corrente pria non vifta   Fiume afciugafte in replicati forfi ,   Chi dopo tutti la fua fere fpenfe?  Sempr. Se qualche rivo per cafo appariva   Povero d'acque, quando il pieno elmetto   Offrirle a Cato , non rigettò egli   Da fe lontano il non guftato umore ?   Per nuvoli di fabbia ei non guidovvi ?   E non furo infiammate le fue tempie   Da arficci venti , e fieri ed afpri caldi?  Cat. Via dunque indegni, via: e dite a Cefare ,   Che voi non potevate le fatiche   Portar, che ben foffriva il voftro Duce .  Lue. Mira,Caton, mira queft' infelici:   Timor, rimorfo, e duol di lor delitto   Son ne 1 lor fguardi , e gridano mercè .  Cat Da qui avanti il dover voftro imparate .   Dateci i Duci in man : perdono al retto .   Semp. A     Digitized by Google     «8( no )S»   Scmpr. C*/o, commit tbefe Wretcbes to my Cari.  Firfi let f em eacb he broken on tbe Rack ,  Tben y witb wbat Life remata /, imfaled, and left  To uoriibe at lei/are round the bloody Stake .   \ Tbere Ut % em bang, and taint the Southern IVittd .  Tbe T art neri of tbeir Crime iuill learn Obedience ,  ìVben tbey look up and (ee tbeir Fellow Trattori  Stuck on a Fork , and blacVning in tbe Sun .   Lue. Sempronius , wby , wby -wilt tbou urge tbe Fate  Ofwretebed Meni   Sempr. How ! woudft tbou clear Rebellion !  Lucius , [ good Man ] pitie s tbe foor Offenders  Tbat woud imbrue tbeir Hands in Catos Blood.   Cato. Forbeaty Sempronius! See tbey fuffer Deatb,   But in tbeir Deatbs remember tbey are Men .  Strain not tbe Larws to moke tbeir Tortures  Lucius , tbe bafe degenerate Age requiret  Sewity and Juftice in its Rigour j  Ibis WW* an impious , bold y offenàing World ,  Commandos Obedience , andgiwes Force to Lau>s.  Wben by jttft Vengeance guilty Mortals ferifb ,  Tbe Gods bebold tbeir Punisbment witb Pleafure ,  And lay tb % uplifted Tbunder-Bolt afide.   Scmpr. CatOy L execute thy Wtll'witb Pleafure.   Cato. Mcan-uobilc watt Jacrifice to Liberty.   Remember , O my Frieuds , tbe Laws , tbe Rigbts y  Tbe genrous Pian of Pouer deltuerd down,  From Age to Age , by your renorwnd Forefathers ,  [ So dearly bougbt , tbe Price of fo mucb Blood ]  O let it never perifb in your Hands !  But poufly tranfmit it to your Cbildren .  Do tbou , great Liberty , infpire our Souls ,   And     Digitized by Google     Hs»   &i0/r. A cura mia fien , Caco , etti fciaurati .   Rotti fien fui martoro , e con gli avanzi   Delia vita impalati: ivi Jafciati   A (torcerli fui palo , ed infettare   Gli auftrali venti; impareranno i complici   Ubbidienza , quando mireranno   Lor fozii traditori Tulle forche   Starti confìtti ad annerir fi al Sole.  Lue. Perchè a'mefchini caricare il fato?  Sempr. Come! Vuoi tu fcufarquefti ribelli?   Lucio il buon uom, compiange i poveretti ,   ChediCatonel fangueardean bruttarti.  Cut. Pian j Sempronio : guardate eh* effi muojano ;   Ma fov vengavi infieme, che fon uomini :   Per lor penar le leggi non (lira ce .   Lucio , il fecolo vile e tralignante   Severa chiede e rigida giuftizia .   Quella pon freno a un' empio ardito Mondo ,   Rifpetto imprime , e dà forza alle leggi .   Quando puniti giuftamente i rei   Qui perifeon, rimiran con piacere   Gli Dei il gaftigo, e il fulmine rifparmiano.  Sempr. Catone, volentieri io v* ubbidifeo.  Cat. Facciam' or faenfìcio a libertade .   Sovvengavi, o amici , delle leggi ,   Della nobi le forma di governo ,   £ di quei dritti, a voi di mano in mano   Da'voftri Avoli illuftri confegnati .   [Di fangue sì gentil comprati a prezzo]   Oh non perifean mai in voftre mani !   Ma pi; a* voftri figli tramandateli .   Tu , fama Libertade , i cuor e infpira ;   Facci     Digitized by Google          Entcr Syphax .   Syph. Ourfirft Dcjtgn, my Friend, Las proved abortive i  Stili tbere remains art After-game to play :  My Troops are mounted ; tbeir Numidion Steeds  Snuffup the IVind, and long to fcow'rtbc Defart :  Le: but Sempronius bead us in our Flight ,  Well force the Gate wbere Marcus keeps bis Gttard ,  And bew down ali tbat would oppofe our Fajfage .  A Day vili bring us info Cdfars Camp»  Sempr. Confufion \ I bave faiU of half my Furpofe.   Marcia , the ebarming Marcia s Uff bebind!  Syph. How? will Sempronius turnaWomans Slave!  Sempr. Tbitik not thy Friend can ever fcel the foft  Unmany iVarmtb , and Tendcmcfs of Love .   I long to claff that baughty Maid ,  And bend ber ftnbborn Virtue to my Faffion :  Wben l bave game tbt/s far , Vd cafl ber off.  Syph. WellfaUI thafs fpoken like tbyfclf, Sempronius.  JVbat bindefs tben , but tbat tbou find ber out >  And burry ber ansoay by manly Force ì  Sempr. But boia to gain Admìffion ì for Accefs  Is givn to none but ]uba , and ber Brothers.  Syph Tbou sbare bave Jubas Drefs, andjubas Guardi :  Tbe Doors will open , -wben Numidia sFnncc  Seems to appear before the Slave* , that vatcb tbem .  Sempr. Hcavns,what a Tbought is tbere! Marcia s my      SCENA VIL  Siface , e Sempronio .   Stf. \ Mico , a male andò '1 primo difegno ;  XjL Ma ancor ci retta un colpo di riferva .  Prette mie truppe fono : i dettrier Numidi  Sbuffano, e braman fcorrere il deferto.  Sol fia Sempronio a noftra fuga capo.  Le porte forzerem , che guarda Marco :  Uccidercm , chi s' opporrà al paflaggio,  Ed in un giorno noi faremo a Ceìare.   Stmpr. Ciel! mi è fallito a mezzo i! mio difegno.  Lafciata è indietro la vezzofa Marzia !   Sif. Come ? Sempronio è fchiavo d' una femmina   Sempr. Non penfar , che '1 mio cuor poco virile  S'infiammi e intenerita da IV amore.  Stringere io bramo fol l'altiera donna ,  E piegar V inflelTibile al mio foco .  Fatto ciò, la rigetto . Sif. Oh che ben detto !  Parlare da Sempronio ! Or perchè dunque  Non la trovi , e la porti via per forza ?   Sempr. Come trovarla? s'alia fua prefenza  Non è ammefso che Giuba e i fuoi fratelli ?   •Si/. Avrai di Giuba l'abito e le guardie:  Apriranfi le porte a tua comparfa .   Sempr, Cieli ! che bel penfier / Marzia è già mia.  Di qual fia colmo anfiofa gioja , quando  La terrò contrattante in le mie braccia,  Con beltà accefa , e fcrrmigliate trecce,  Mentre ch'ira c timor con vezzo alterno   P 2 Ba     4g( Iltf )>  jP  Juba might moke tbe proudefi of our Sex y  Any of IVomankind , bnt Marcia , bappy .   Lue. And -wby not Marcia ? Come y yon flrinje in    Ma chi ha di quelli, al par di Porzio, incanto ?  Mar%. Fammi un piacer: non nominar Sempronio.   Quel Tuo altiero Crepitar, m* è noja.   A eroica bravura aggiugne Giuba   Tenero amore, e kmminil dolcezza.   La più fuperba ei può del no (ho fefso   Feliciflima far, fuori che Marzia.  Lue, E Marzia , perchè nò? via, in van tentate   Celarvi ad una , che ben fa per prova   GÌ* interni ardor d'innamorato cuore.  Mari£ E' ragion, che la figlia di Catone,   Non     *     Digitized by Google     To ione or bcf , liti c » kUì direcls .   Lue. But ficu. Ih Fi !.. ^rjeyou to Ssmpronius?   Ma-c. tiare net ; • -v v ìli : bai if be fboud —  Why issili tbort a ! d to ali theòriefs Ififfer   . Imstginary llls > and fancyd Tot tur et ?  I bear the Sound of Feet ! they march this IVay !  Let ut retire , and try if wc cai: droisjn  E a eh fofter Tbougbt in Scufj of prefint'Danger,  IVhen Love once fead's AdmJJton to our He arti  ( In J fighi of ali the Virine ive ca'i boaft )  The II oman that Deliberata is lofi . ( Exeunt.   Entcr Scmpronius, drefs'J likejuba, vvicli  Numidiam Guards.   Scmpr. TheDeertslodgd.tnetrach ber to ber Contri.  Be fnreyou mini the Word , and wben Igine it y  Bufi in at once , and fii^e uponyour Prey.  Let not ber Cria or Te ars bane Force to mone yOM .  •— i FIow ivi II the yottn* Numidi an rane , to fi e  Hit Miflrefs lofi ? If augbt coti d gì ai my Sotti ,  Beyond tb % Ettjoywent of fo brighi a Fri^e ,  ^Tisjoud be to torture that yonv.g , gay , Barbariatt.  — But bark , isùhat Nei fi ! Death to my Hopes ! % tis be y  'Tis fubas filfl there it but one Way le fi — -  He muft be murder V, anà a Fafiage cut  Through thofe bis Guards — ttfi, Daftardsjoyotttrcmblcl  Or att lite Me ts > or by yon a^ure Heann —     Enter     Digitized by Google     ^( 111 )fc   Non odii od ami alcun , ch- a al (no piacere.  Lue. Ma fe'J tuo Padre defseci a Sempronio?  Mar^. Io non ofo penta rio; ma fe pure...   Perchè giugner vuoi tu a i guai , di' io fo&o   Di finti mali immaginate larve ?   Odo il fuono del piè: ei qua ne viene.   Ritiriamci a veder, fe cacciar puotc   Rifchio prefente i reneri penficri .   Qiiando amor tenta entrar ne'noftri cuori,   [ Malgrado del valor, che noi vantiamo]   La donna , che delibera , è perduta . fartom .   SCENA IL   Entra Sempronio in Abito di Giuba con Guardie   Numidicbe.   Stmfr. T A Lepre è a covo : T ho fin qui tracciata .  JL/ Attenti al cenno : e quando io dolio , a un  Su correte, ghermite voftra preda. [ tratto   Non vi muovan fue lagrime , nè (Irida .  Qual Ha la rabbia del giovan Numidico,  Di Tua dama alla perdita ! fe cofa  Potefse rallegrarmi , oltre al godere  D* un si bel premio , certo farla quella  Di dar martoro a quel bel giovan barbaro .  ... Ma zitto / che rumor ? morta è mia fpeme •  Egli è , è Giuba ftefso : fol ci refta . . .  D* ucciderlo , e far via tra le fue Guardie . , .  Codardi! ah ! voi tremate ! o voi fiate uomini,  O pur per quefto azzurro Ciel ... ,   CL 'Entra     Digitized by Google     ♦:( »* )»     Enterjuba.   Jub. What do I fee ? Wbos tbis tbat daret ufurf  Tbe Guards and Habits of Nnmidias Prènce f   Sempr. One tbat was horn to fcourge tby Arrogane* >  Prefumftuous Toutb!   Jub. What can tbis mean 1 Sempronio!   Scmpr. My Sword [ball anfwertbee. Have at tby Heart .   Jub. Mai i tban to*>*r* *h (mn > P r0U(i > barbrous Man I   ( Serr.pr. fai Is. His Guards furrender .   Sempr. Curfe on my Stars I Am I tbcn doomd to fall  By a Boys Hand? disfidar d in a vile  Numidi an Drefs y and f or a wortblefs Woman ì  Gods , Tm Diftratled ! Tbis my Clofe of Life !  O for a Peal of Tbnnder tbat wo*d make  Eartb,Sea y and Air, and Hea&   jE//rr* Giuba.   Giub. ...... Che vedo !   Chi è quel, ch'ofa ufurpar le Guardie e gli abiti  Del Prence di Numidia ? Sempr. Uno, che nato  A fruttar tua arroganza , audace giovane .   Giub. Che è quello ? Sempronio / Sempr. La rifpo da  Farà meglio mia fpada : ecco , al tuo cuore .   Giub. Ah guarda bene il tuo, fuperbo , barbaro.   Sempronio cade , e le fre Guardie fi rendono .   Sempr. Maledetta deftin / dunque ho a cadere  Per mano d' un garzon ? da ignobii Numido  Mafcherato, e per vìi feraina? oh Cieli,  Arrabbio, e cosi termino la vita .  Scocchi fulmin , che faccia e Terra, c Mare,  Ed Aria , e Cielo , e Cato in un tremare. muore.   Giub. Con qual furor la cruda alma fi fciolfe  Dal corpo , che ancor fpringa in fieri guizzi/  Orsù rechiamo, quelli fchiavi a Caco.  Ivi potremo a lungo di/coprire  Quefto milleriofo e reo difegno.   parte Giuba ci Prigionieri .   SCENA III.   Entra Lucia , e Marcia.   Lue. S~>il era rumor di fpade: ho così l'alma  VJ Abbattuta e fommerfa nel dolore ,  Singhiozza dal timore , e a ogni fuono trema .  O Marzia, i tuoi fratelli a conto mio...     »4 )fr   1 die awdy    10 fvcngo dall' orrore al fol penfarlo.  Jkfar^. Ve*, Lucia, ve': ci è fangue ed omicidio.   Ah! un Numido ! oh Dei falvate il Prence.   E* la faccia rinvolta nella vede.   Ma, ah orrida vifta ! un diadema,   Purpurea vefta! oh Dei / egli è, egli è.   Giuba il giovin più bel , che mai 'nvaghifse   Donzella, Giuba, ahi morto qui fi giace.  Lue. Or, Marzia, ora richiama in tuo ioccorfo   L* ufata forza , e del tuo cuor coftanza ;   Tu por non la puoi certo a maggior prova.  Mar%. Lucia, qui mira, e ammira il mio foffcire.   Non ho ragion di vaneggiar , di battermi   11 petto, e'l cuor fpezzare di dolore ?  Lue. Che penfar pollo o dire a tuo conforto?  Mar%. II conforto riferba a leggier mali:   Ecco vifta , che uccide ogni conforto .   Entra Giuba , ascoltando .   Sfogar voglio il dolore, e fcior la briglia   AI mio furor penofo e difperato .   QuefVUom, quelVottim'uomo ben Io merita.  Giuk Che afcolto? era ottim uomo, queir uomfalfo   Di Sempronio ? Oh cadeffi io come lui !   Fofs* io pianto così , farei felice .  Lue. Qui mi darò compagna ne* tuoi guai:   T'aiterò col mio pianto. Qua od' io miro   Perdita qual la tua, la mia dimentico.  Mar%. Non può il dettino alleggerir mio duolo.   Il van Mondo, ora a me trifto deferto,   Nulla lafciò per far Marzia felice.  Giub. Sto full* cculeo ; er' ci da lei sì amato ?   Mar% Oh     ' *{ «* )8»   Marc. Oi le was ali made up of Love and Cbarm ,   IVbatcvcr Maid coud   But 'wben be talk V, tbe prondeft Roman bluftid  To bear bis Virtues , and old Age grew isoije .   Jub. 1 fiali run Mad —   Marc. O Juba ! Juba ! Juba !   Jub. Wbat means tbat Voice? did fie not cali onjuba ?   Marc. Wby do I tbink 01* wbat be was! be's dead !  Hes dead , and nrver knew bow mneb I lonìd bim .  Lucia , ivlo kmnsSs but bis poor bleeding Heart  Amidjl its Aponics , rememberd Marcia y  And tbe lafl Words be ut ter d calfd me Cruci /  Alas , be kneiv not , baplefs Toutb , be kneuu not  Mar ad t wbole Soni was full of Love and Juba !   Jub. IV bere am il do l live ! or am indeed  Wbat Marcia tbink' 5 ! ali it Elifium round me f   Marc. Te dear Remains of tbe mojl lonid of Men !  Nor Modefty nor Virtue bere forbid  A loft Embrace tubile tbus — -   Jub. See y Marcia , fee ,   Tbe happy Juba lives ! be linxs to catcb %  Tbat dear Embrace , ondo to return it too  Witb mutuai Warmtb and Eagernefs of L  Ciò che amar fa donzella, o ammirar uomo ,  Piacer degli occhi / Quand'egli apparia ,  Segreta gioja rallegrava tutti .  Ma al Aio parlare s* arroffia il Romano  Il più fuperbo in udir Tuo valore;   £ i vecchi (tedi n'apprendeano fenno.  Giub. Io verrò folle. Mar%. O Giuba I Giuba ! Giuba f  Ciub. Che vuol tal voce? nonchiamonne Giuba ?  Mar%. Perchè pcns' io a quel ch'eifu? è morto;   E' morto, e non fapea quant' io l'amava.   Lucia, chi fa, fe il fanguinante cuore   Traile agonìe non raramentaffe Marzia,   E crudel la chiamale in voci eftreme ?   Non fapea, pover giovin, non fapea,   Empier tutto il mio cuore Amore e Giuba .  Ciub. Ove (od? vivo? o fono in fatti quello,   Che Marzia penfa? io fon ne' Campi Elisj.  Mar%, Cari avanzi di quel , eh* io tanto amai »   Nè oneftà , nè modeftia qui ne vietano   L'ultimo ampleffo, mentre . . . Giub. Marzia vedi,   gettandofi alianti di Uh.   Vedi , che vive Giuba ; ei vive a accogliere   Il caro ampleflfò , e a ritornarlo ancora   Con reciproco ardordi vìvo amore.  Mar%. Con piacere e ftupore io redo attonita.   Certo , eh' è un fogno : morto e in vita a un tempo.   Se tu fei Giuba , chi è quello ? Giub. Un mifero   Mascherato da Giuba in reo difegno .   Lungo è il racconto : parte fol n' ho udito .   Tuo Padre tutto il fa : io non fofferfi   Lafciarti in vicinanza della morte s   Ma a     Digitized by Google     «3( »8) g»   1 coud not bear  To le ave tbee in tbe Neigbbourbood of Deatb ,  But flew y in ali tbe bafte of Love, to find tbcc .  1 forinà tbee ^eping , and confefs tbis once ,  Am wrafd witb Joy to fee my Marcia 's Tears.   Marc. Tvebcen furpri^ed in anunguarded Hour 9  But mufi not now go back : Tbe Love , that lay  lialf fmotbsrd in my Breafi , bai broke tbrougb ali  Its weak Kefir aints , and burri $ in its full Luflrc y  I cannot , if l woud, concedi it from tbee .   J jb. Tm lofi in Extafìe \ and dofi tbou lowe ,  Thou cbarming Maidì   Marc. And dofi tbott lime to ask it ?   Jub. Tbis , tbis ss Life iudced ! Life isjortb preferving !  Srich Life as Jub a never felt till now !   Marc. Belicve me , Vrince , le f ore I tbougbt tbee dead,  I d'nl not knrw my felf bow mach 1 lovd tbee .   Jub. O fortunate Mifiake !   Marc. O happy Marcia!   Jub. My Joy! mybeft Beloved! my only Wifb!  How {ball I jpeak tbe Tranfport of my Soul !   Marc. Lucia, tbyArm! Ob let me refi *pon />/ —  Tbe Vi tal Blood, tbat badforfook my He art ,  Return s again in fucb tnmnltuous Tidet ,  It quite oercomes me . Lead to my Apartment .  0 Vrince! I blufb to tbink wbat I bave fatd ,  But Fate bas wrefted tbe Confejjìon from me ;  Go on , and profper in tbe Patbs of Honour ,  Tby Virtue will exenfe my Paffìon far tbee ,  And Make tbe Gods propitious to our Love. [ Ex.Mar.and   Jub. lam Jo blefsd, I fear 'tis ali a Dream . [Lue.   Tor-     Digitized by Gc     *S( )fr .  Ma a te Volai in amorofa frerra .   Io ti trovai piangente : e ti confefso   Che quefta volta io fui colmo di gtoja   Nel rimirar della mia Marzia il pianto.  Mar%. In mal guardata ora fon ftata prefa .   flitrarfi non fi può: l'amor, che in mio   Petto quafi affogato fi giacca ,   Diè fuor, rompendo i fuoi deboli freni ,   E rifplende or nella fua piena luce:   Nè pofTo , s io voleffi , a te celarlo .  Club. Io fon rapito in eftafi : e tu ami,   Bella figlia r Mar%. E tu vivi a domandarlo ?  Ciub. Quella di vero è vita : vita degna   Di confervar , qual non fentì mai Giuba .  Mar%. Pria, ch'io t'avelli, Principe, per morto ,~   Io fletta non fapea quant' io t' amava .  Ciub. O fortunato crror Mar^. Marzia felice !  Ciub. Mia gioja, mio amor, mia fola brama !   Come pofs* io ridir dell'alma l'cftafi?  Mar^ Lucia , il braccio; oh di quel fammi foftegno .   Quello, che il cuore avea abbandonato,   Vital fangue, ritoma ancora indietro   Tumultuofo, e in rapidi rifluffi ,   Che del tutto m' opprime . Or via conducimi   A rìpofare al mio appartamento .   Prencipe, arroflò di penfare a quello,   Che ho detto, ma il deflin me '1 fece dire,   E la confeflìon mi t rafie a forza.   Va , et' avanza nelle vie d'onore.   Tuo valore al mio amor farà ragione ,   E faragli proprizj anco gli Dei . pare. Marq% c Lue  Ciub. Felice sì io fon , che il temo un fogno .   R Di     Digitized by Google     I     Tortane , thou now bufi made amcnds for ali   Tby faft Unkindnefs . / abfolve my Stars .   What tho Numidi a add ber conquerd Tonuns   And Prwinccs to fwell tbe Viilors Triumpb ?   Juba will ncver at bis Fate repine ,   Let Csfar bave tbe World , if Marcia s mine. [exit.   A March ata Diftance,   Enter Cato and Lucius.   »   Lue. I sland aflonijljt ! What , the hold Sempronius !  % Tbat (lill breke foremoft througb the Croud of Patriot* ,  As witb a Hurricane of Zeal tranfported ,  And virtttous cvn to Madnefs — •  Cato. Truft me , Lucius ,   Our civil Dìfcords bave froduced fucb Crimes ,  Sucb monftrous Crimes, I am furfrisred at notbing .  — - 0 Lucius , l am fick of this had World !  Tbe Day-ligbt and tbe Sun grow painful to me .   , •  Enter Portius ,   But fee  e Cefar prenda il Mondo, parte Giuba*   SCENA IV.   Una Marcia in lontananza .   Entra Catone y e Lucio.   r   Loc. QTupifco: che? Sempronio V audace ?   O Quel g ran campiondi libertadc, quello ,   Che da turbin di zelo era rapito ,   Di Patria amante sì , che n'era folle. .  Cut. Le civili difcordie tai delitti ,   Moltruofi delitti hanno prodotto,   Che nulla ammiro . Io fon del viver fianco :   Il giorno fteffo e '1 Sol mi fon penofi .   Entra Tortilo.   Ecco vien Porzio : perchè quefta fretta ,  E codefto ferobiante tuo cangiato ?  Tor%. E' gravato il mio cuor ; trifte novelle  Al Padre mio io reco. Cat. Ha Cefar forfè  Sparfo ancor più del Roman fangue ? For%. Nò *  II traditor Siface , le fu e truppe  Mentre che nella Piazza efercitava,  Dato il cenno, volò co' cavai Numidi  AirAultral Porta, cui guardava Marco-   R 2 Per-     Totbc South Gate , wbere Marcus bolds th Watck.  Ifaw y and calfd to ftop bim , but in vai»  Ih tojsd bis Arm aloft , and proudly told me ,  He woud notftay and pertfb Uke Sempronius /  Cato. Perfidious Men ! But bafte my Som , and fee   Tby Brotber Marcus alTs a Roman s Pari . [exit Port.  — Lucius , the Torrent bears too hard upon me :  Juftice gives Way to Force : tbe conquerd World  Is Csjars : Cato bus no Bufine fs in it .  Lue. Wbile Pride , Opprejfion , and In juftice rtìgn  Tbe World will ftill demand ber Catos Prefence .  In Pity to Mankind , fubmit to Cd far,  And reconcile tby Migbty Soul to Life .  Cato . Woud Lucius bave me live to f-well the Nnmber  OfC&fars Slavet, or by a bafe Submiflion  Give up tbe Caufe of Rome y andowna Tyrant ?  Lue. Tbe VtBor ntver vaiti impofe on Cato  Ungcnrous Terms . His Enemies confefs.  Tbe Virtues of Humanity are Cafars .  Cato. Carfe on bis Virtues ! T bey ve tendone bit Country.  Sucb Popular Humanity is Trcajon — •  But fee youngjubal tbe goodToutb appears  Full of tbe Guilt ofbis perfidious Subjecls .  Lue. Alas y pow Princel bis Fate deferves Compaffion.   Enterjuba.  Jub. / blufb, and am confounded to appear   Before tby Prefence, Cato,. Cato. Wbat's tby Crime >  Jubt I m a Numi di an, Cato . And a brave one toa 9  Tbou bufi a Roman Soul. Jub. Haft tbou not he ani  Ofmy falfe Countrymen t Cato . Alas , young Prince,  Falfbood and Fraud fboot up in evry Soli ,   Tbe P rodati of ali Climcs Rome bas iti Cafart.   Jub.     Digitized by G'     «3( '33 )8»  Ferma, io gridava: ohJà, ferma; ma indamo.   Alzava il braccio, e mi dicea bravando:   Non refto qui a perir, come Sempronio .  Cat Traditori / ma via, mio figlio , e vedi ,   Che il fracel Marco faccia da Romano . parte Por^.   O Lucio, come reggere al torrente ?   Cede alla forza la Giustizia: il Mondo   E' di Cefar: non ci ha che far Catone.  Lue. Finché orgoglio , oppreffione , c il torto regna ,   Al Mondo necefsario fia Catone.   Del Mondo per pietà , fopponti a Cefare .   Di vita il tuo gran cuor rientri in grazia .  Cat. Vuoi, eh* io con vii fommiffione il numero   Di fchiavi a Cefar gonfi , e a Roma vinta   Io dia la caufa , ed un Sovran confeffi?  Lue. Il vincitor non porrà mai a Cato   Dure leggi. I nimici ancor ravvi fa no   Virtù d* umanitade effer di Cefare .  Cat. Maledetta virtù , di Patria pefte !   Tal popolaritade è sradigione. . . .   Ma ecco Giuba : il buon Giovane appare   Qual reo di colpa de' malvagi fudditi .  Lue. Povero Prence / è degno di pietate .   Entra Giuba .   Giub. Confufo, mi vergogno d' apparire   D'avanti a Cato. Cat. Quai*è il tuo delitto ?   Giub. Numido io fono , Cat. E valorofo Numido :  Hai un'alma Romana . Giub. Non udifti  De' miei perfidi Numidi [ Cat. Ohimè Prence!  Perfidia e frode fpunta io ogni fuolo ,  Sotto ogni clima vien : Roma ha i Cuoi Cefari .   Giub. E*     «J( 134 )S»   Jub. Tu gen rotti tbut to comfort the Diftrefsd.   Cato. Tu juft (ogive Applaufe wbere V/j defervi ;  Thy Virtue , Prince , hat flood the Tefl of Fortune ,  Like pure fi Glod y that , torturi in the Fumate ,  Cowf/ o/i/ J»or* brighi , bringi forth ali iti IVcight*   Jub. ffia* yZw// I anfwer thee ? my raviftìd Heart  O'crflowi witb fecret Joy : Vi rathsr gain  Thy Praifc, O Cato, than Namidiat Empire.   Entcr Portlus haftily.   Porr. Miifortune on Mitfortutte] Criefon Griefl  My Brother Marcut — •   Caco . Hab ! what hai he ione ?   Hat he forfook bit Pofl ? bai he givn way t  Did he look tameìy on , and letern pafs f   Porr. Scarce bad I left my Futber , but I met him  Born on the Shieldi of hit furviving Soldiert ,  Breathleft and pale , and cover i oer witb ÌVounit .  Long^ at the Head of bit few faitbful Friendt y  He flood the Shock of a wbole Hoft of Foet ,  Till olftinately Brave , and bent on Deatb ,  Opprsft witb Multitudet , he greatly fell .   Caro. Tm fatitfyd. Porr. Nor did he fallbefore   Hit Sword bad piercd throrigb the f alfe Heart ofSyphax:   Tonder he lie*t . I faw the hoary Traytor   Grin in the Pungi of Death , and bite the Ground .   Caro. Tbankt to the Godi ! my Boy hai ione hit Duty .  — - Portiut , when £ am dead y befure tbou place  Hit Urne near mine . Porr. Long may tbey keep afunder!  Lue. O Caio, arm tby Soni witb ali Ut Patience j  Sec wbtrctbc Corp of thy dsad Son approachet !   The     Digitized by     «3( hs )h   Giub. E'generofo il confolargli afflitti.   Cat. E* giufto dare applaufo al vero merto.  Tua virtù è ftata a prova di fortuna ,  Come finiflìmo Or, che nel cruccjuolo  Tormentato , più fplende , e ftanne al pefo ,   Giub, Che ti rifponderò ? mio cuor rapito  Trabocca in gioja : pregio io , Catone,  Tua lode più , che di Numidia il Regno .   Entra Tornio frettolosamente .   For%. Difgrazia trae difgrazia , e duolo duolo .   Miofratel Marco... Cat. Ahimè! Ch'ha egli fatto'   Ha abbandonato il pofto ? ha egli ceduto ?   O freddamente gli ha paffar lafciati ?  Torsfr Partii da voi appeua , che incontrailo   Portato fopra feudi de 1 Soldati ,   Pallido, fmorto, efangue , ricoperto   Di ferite : più tempo egli alla teda   De'fuoi pochi fedeli amici, flette   Delle fchiere nemiche incontr'all' urto,   Ed oftinatamente bravo , e fermo   Di morire , da folta turba oppreffo ,   Grandemente al fin cadde. Cat. Io fon contento.  For%. Nè cadde pria, che la fuafpada il perfido   Cuor di Siface trapalato aveflTe .   Là giace . Vidi il traditor canuto   Nella morte ringhiar , mordere il Aiolo .  Cat. Grazie al Ciel ! fatto ha *1 fuo dover mio figlio .   Porzio , quand' io morrò , fa che fia pofta   Sua Urna alla mia accanto. Por%. Oh Ha ciò tardi!  Lue Catone , arma tuo cuor di fofferenza:   Ecco il corpo di tuo figlio s* appreffa ,   ICit.     «5( »3« )>   The Citizen: ani Senators , alami d,   Rame gatberd round it 3 and attend it isjeeping .   Cato meeting theCorps.   Cato. Welcome my Son ! Here lay htm down ^my Friends  Full In my Sigbt , tbat I may wiew at lei/tre  The bloody Coarfe , and counr iljofe glorious Womds .  How beautiful is Death , tuberi earnd hy Vìrtue !  Wbo wond not he tbat Toutb ? ivbat Fity is ir  Tbat we can die but once to Jerve our Country \  W by fifs tbis Sadnefs on your Brows, my Friends ì  1 fbotidhave blufb'd ifCatos Houfe bad flood  Secure^andflourifb'd in a CìdìI War.   Fortius , bebold tby Brotber y and remember   Thy Life is not tby own, wben Rome demands ir.   Jub. Was enxr Man like tbis ! [ afide.   Cato. Alas my Friends !   Why monrn you tbus ? Let not a private Loft  Afflici your Hearts . Tii Rome requires our Tears .  The Mitfrcfs of tbe World , the Seat of Empire y  The Nurfe of Heroes , tbe Deligbt ofGods ,  Tbat bumbled tbe proud Tyrants of tbe Eartb y  Avd fet tbe Nations free , Rome is no more.  0 Liberty ! 0 Virtue ! 0 my Country !   Jub. Bebold tbat uprigbt Man ! Rome fills bis Eyes  Witb Tears , tbat flowd not o % er bis own dead Son . [afide.   Cato . Wbateer tbe Roman Virtue bas fubdud,   Tbe Sun s wbole Courfe , tbe Day and Tear , are Cafar V.  For bim tbe fclf-dcvoted Decii dyd ,  The Fabii fell y and tbe great Scipio s tonquerd:  Evn Fompey fougbt for Cafar . Ob my Friends !  How is tbe Toil of Fate , the Work of Ages ,   The     Digitized by     I Cittadini e' Senator dolenti  Circondante , e accompagnante piangendo   Catone incontrando il Corpo .   Cat. Benvenuto , o mio figlio : giù ponetelo  Qui in mia vifta , acciocch* io con agio miri  E conti T onorate fue ferite . '  Bella è la morte per valor fudata.  Chi d' effer quefto Giovan non torrebbe ?  Qual' è difgrazia , per la Patria fua   II non poter morir ch'una fol volta/  Amici, perchè quefta in voi meftizia?  Se cafa di Catone in ci vii guerra  Salda e profpera fufse, onta farebbemi.  Mira , Porzio : e fovvengati , la vita   Non effer tua , fe Roma l'addimanda . ( mici ;  Gikb.afart. Fu mai Uom come quefto ? Cat. PerchèJU   Pianger così una privata perdita?   Roma è quella , che chiede il noftro pianto «   Donna del Mondo , fede dell' Impero ,   D'Eroi nutrice, degli Iddi; diletto ,   Che i tiranni abballava , ed affrancava   Nazioni ; quella Roma or non è più .   Oh libertà / oh virtù ! oh Patria mia !  Oìuk Prod' uom ! Roma da lui fpreme le lagrima ,   Che trar non può del figlio fuo la morte, a {arte  Cat, Tutto quel che domò Roman valore ,   Tutto il corfodel fole, il giorno, V anno   Son di Cefar : per lui i votati Decti ,   I Fabii cadder, vinfer gliScipioni.   Anco Pompeo pugnò per Cefar. Cieli!   Fatica del deftin , lavor de' fecoli ,   S Gran-     Digitized by Google     4( 138 )»   Tbe Roman Empire falVn ! O curfl Ambition !  T alln into Cd/ars Hands ! Our great Fore-Fatbert  Had left b'im nongbt to Conquer but bis Country.   Jub. IVbile Cato lives, Cafar voill blufb to fee  Mankind cvflavcd , and be afbamed of Empire ,   Cat. Ce far ajbamed ! Has not bc fccn P bar fall a !   Lue. Cato, Vi/ Time tbou fave tby felf and us .   Cat. Lofi not a Tbougbt on me. fm out of D anger .  Heavn voill not leave me in tbe Viftors Hand .  Cafar fball never fay Fve conquer d Cato .  But ob ! my Friends , your Safcty fillt my Heart  Witb anxious Tbougbt s : A tbou f and fecret Terrors >  Rife in my Soul : How fball I fave my Friends ì  Ti/ now , O Cafar y I hegin to fear tbee .   Lue. Cafar bas Mercy , if we ask it of bim .   Cat. Tben ask it , l conjure you ! let bim know  IVbate'er was done againft bim , Cato did it .  Aid , if you pleafe , tbat I requeft it of bim ,  Tbat l my felf \ vSitb Te ars , requeft it cf bim y  Tbe Virtue of my Friends may pafs unpunifb'd,  fui? a , my He art is trifbled for tby Sake.  Sboud I advìfe tbte to regain Numidia ,  Or feek tbe Conqueror ì — — •   Jub. If Iforfah tbee 1   Whìlfc l bave Life, may Heavn chandon Juha !   Cat. Tby Virtues , Fri are , if If ore fee arìgbt ,   IVill ove Day make ibee Grece ; at Rome , bereafter ,   *T vaili be no Crime to bave been Cato s Friend .   Vortius , drava near ! My Son , tbou oft baft feen   Tby Sire engaged in ù corrttytcd State ,   IVreflling -witb Vice atsd Fatlion : N>w tbou fee fi me   Spent 5 overpoisSrd , defpairing of Succefs ;   Let me advìfe tbee to retreat betimes     U( 119 )S* J   Grande Imperio Roman , com lei caduto !   , Oh maladetta ambizion ! caduto  Nelle mani di Cefare. I Maggiori  Non lafciargli altro a vincer, che fua patria.   Club. Vivente Cato , arroffiraffi Cefare   D' un Mondo fchiavo , e avrà V Impero ad onta .   Cat. Ad onta Cefar ? non vide ei Farfalla ?   Lue. Cato, egli è tempo te fai vare , e noi.   Cat. Deh non penfare a me : fon fuor di rifehio ;  In man del vincitore io mai non fia :  Ne Cefar mai dirà : vinto ho Catone.  Ma oh / Amici miei , voftra falute  Stammi fui cuor : mille fegrete angofee  Spaventar! l'Alma. Oh come falverò  I miei amici / Or , Cefare, io ti temo .   Lue. Cefar, fe a lui chieggiamla, avrà clemenza.   Cat. Chiedila, te'n feongiuro: il tutto [ ei fappia ]  Che contra lui fu fatto, il feo Catone.  Soggiungi , fe ti piace , eh* io '1 richiedo ,  ' Che il valor de* miei amici fia impunico .  Giuba, per amor tuo turbato è il cuore.  A Numidia tornar configlierotti,  O andare a Cefar ? Club. Se giammai ti lafcio  Finch' io vivo , abbandoni il Cielo Giuba .   Cat. Tue virtù, Prence, s' io prevedo dritto >  T esalteranno, c a Roma in avvenire  Non fia delitto l'amirtà di Cato.  Porzio , quà traggi : Figlio mio , tu hai vitto  Sovente me impanato in guado Stato ,  Con vizj e con fazioni contrattante :  Or fianco e difperante del {uccellò,   Io ti configlio a ritirarti a tempo   S 2 A tua     Digitized by Google     To tby Patemal Seat , tbe Sabine Fieli,   Wbere the great Cenfor toiN witb bis ow» Hands ,   And ali our frugai Anceftors -were bit fi i   In bumble Vtrtues , and a Kural Life.   There Uve retired, prayfor tbe Feace of Rome ^   Content thy felf to be Objcurely good .   When Vice prevails , and impìous Men bear Sway,   Tbe loft of Honour is a frisate Station .   Port. 1 bope , my Fatber does not recommend  A life to Forti as , tbat be feorns bimfelf.   Cat. Farewcl, my Friends ! iftbere be any ofyotà  Tbat dares not truft tbe Vitlort Clemency ,  Know tbere are Sbips prepared by my Command,  [ Tbeir Saìls already ofning to tbe Winds ]  Tbat f ball convey you to tbe wifbt-for Port .  2> tbere augbt elfe y my Friends, I can do f or you ?  Tbe Conqueror draws ne or . Once more Fare-wel !  Ifeer we me et ber eafter, we fiali meet  In bappter Climes , andona fafer Sbore ,  Wbere Capir never fiali approacb us more  Tbere tbe brave Toutb , vitb Love ofVirtue fired,   Pointing to the Body of his dead Son.  Wbo greatly in bis Country s Caufe ex pire d ,  Sball ino-w be Conquerd. Tbe firm Patriot tbere  l Wbo made tbe Welfare of Mankind bis Care ]  Tho'ftill, by Fatlion, Vice, and Fortune , croft y  Shall fmd the genrous Lahour was not lofi*     END OF THE FOURTH ACT.     ACT     Digitized by Google     «3( '4i )S*  A tua fede paterna, al Sabin campo,   Che 'J gran Cenforc a Tua mano facra.   Là 've i frugali Avoli noftri in umili   Virtudi , c in rurar vita eran beaci.   Per la pace di Roma ivi tu prega ,   Celato ftando e in tua virtute involto..   Quando il vizio prevale, e gli empi regnano,   Il più onorevol pofto è il più privato.   ' Tor£ Spero, che il Padre mio non raccomandi   A Porzio vfta , eh* ei medefmo fdegni .   Cat. Addio , Amici : fc v' è alcun , che tema   Del vincitor fidarfi alla clemenza >   Sappia , che per mi* ordine fon prede   Navi, lor vele già fpiegandoai venti,   Che condurranvi al deGato Porto.   Altro c è , Amici , che per voi far debba ?   S* appreffa il vincitor : di nuovo , addio .   Se mai e incontrerem , e' incontreremo   In più felici climi , e in miglior fpiaggia ,   U* Cefar non fia mai a noi vicino.   additando il corpo del morto Tiglio *   Il prode Giovan di virtude accefo ,   Che fpirò nella cauta di fu a Patria ,   Vi faprà , eh* ei vincca. Il fermo amante   Del fuo Paefe y eh' ha fatta Aia cura   La falute del Mondo , ancorcri egli abbia   Fazion, Vizio, Fortuna a lui contrarj ,   Non perderà fuoi generofi affanni.   FINE DEL QUARTO ATTO :     Digitized by Google     A ( m* ) S»   A C T V.     SCENE I.     Cato folus , fttttng in a thoughtful Po/Iure :  hi bis Hand Tlato's Book on the Im-  mortality of the Sotti. A dravvn  Svvord on the Table by bim .      "IT T wuft he fo fiato , tbou reafonsl wett ! —   | Elfe uuhsnce tbis pleafing Hope , tbis fond De/ire ,   J Tbis Longing after lmmortality ?  Or ivbence tbis fccret Dread , and inward Horror ,  Of falling info Nongbt ? IV by fbrinks the Soni  Back on ber felf y and ftartles at Deftrvtlion ?  *Tis tbe DWinity tbat flirt witbin us ,  Ti/ Heanìn its felf y tbat point's out an Hereafter ,  And intimate t Eternitj to Man.  Eternit j ! tbon pleafing y dreadful , Tbotrgbt l  Tbrougb wbat Variety of untryd Being ,  Tbrougb wbat nevu Scenes and Cbanges mnfl tue pafs !  Tbe ispide , tb % unbonnded Pro/peti y lie's before me >  But Sbadows y Clouds } and Darbiefs , refi u$on it .     Here     »   Digitized by Googl     «( '43 )S»     atto v;     SCENA I.   Catone folo , fedendo iti una pofoura penfierofa  In mano il Libro di Platone dell' Immorta-  lità delT Anima . Spada [gita mata  folla Tavola vicino a Lui .   E Lia è cosi; Platon, tu hai ragione .  Se nò; donde vien quella lufinghevole  Speranza : quel desìo e ardente brama  Dell' immortalità ? e donde qucfto  Tcrror fegreto , e naturale orrore  Di cader nel niente ? Perchè V alma  Ritirata in fé ftefla, e impaurita  Alla diftru/ion s' aombra e fugge ?  E* la Divinità, che muove dentro;  Il Cielo è quel che 1' avvenire addita,  E air Uom V eternitade accenna e moftra •  Eternità ! pender grato , tremendo !  Per qual elTer diverfo, e non provato,  E per qual mutazion di nuove feene  Dobbiam pattar? la vafta (terminata  Villa avanti fi (tende j ma in ombre,  In nubi , in fcuiità fi da rinvolta .   Mi     Digitized by Google     *8( M4 )8l  Urti volli 1 lold . Jf tberes a Boisor ahove m j   \ And tbat there is ali Nature cries alwd   Through ali ber Works ] He mujl delight in Virine \   Ani tbat vvbicb be delight s in mufl he happy .   But ivben ! or wbere ! — Tbis World mas madefor Cafar.   Vm weary of Conjeclures — Tbis m ufi end 'em.   ( Laying his Hand on his Svvord.   Tbns am Idouhìy armd: my Deatb and life ,   My Barn and Antidote are botb before me :   Ibis in a Moment brings me to an End :   But tbis informs me I /ball newer die ,   The Sovl , fecurd in ber Exiftence 5 fmiWs   At the drawn Dagger , and deficit iti Point .   The Stars /ball fade v&ay , the Sun bimfelf   Grow àim isSitb Age , and Nature fink in Tears >   But thou fbalt flourifbin immortai Toutb,   Unburt amidfi the War of Elemcnts ,   The Wrecks of Master, and tbe Crufb ofWorlds*   Wbat means tbis Heavtnefs tbat bangs upon me t   Tbis Letbargy tbat creeps through ali my Senfes t   Nature ofprefs'd , and barrafsd out litb Care ,   Sinks down to "Refi . Tbis once Fllfauour ber.   Tbat my awakend Soni may take ber Flight ,   Renrwd in ali ber Strengtb , and frefb witb Life *   An Ofringfitfor Heavn. LetGuiltor Fear   Difiurb Mans Resi : Cato knows neitber of f   Indijfrenì in bis Cboice tojleep or die*     Eotcr     Digitized by Google     , • s '« )S*   Mi fermo io qui : fe ci è un Potei* fovrano^   [ E eh* ei ci fia , alto Natura grida ]   Dilettarfi egli dee nella virtude ;   £ dee ciò che '1 diletta, efter felice.   Ma quando, o dove ? Il Mondo è fol per Cefare.   Ma/ che dubbi/.... Firmagli quefto.   ponendo la fra mano alla Spada.  Armato a doppio io fon: mia morte e vita,  Mio veleno ed antidoto ho d' avanti.  Quefto in un punto recami alla fine .  M' infegna, quel , eh* io non finirò mai.  L* alma nel Aio Eller ficura , ride  AI tratto ferro , e la fua punta sfida .  Le fte/Je mancheranno, il Sole fteffo  Fia abbacinato , e fu- voi la Natura  Inveccherà sfi cirrata , ma tu frefea  D* immortai gioventù /rcr/Vat* &mpre,  Degli elementi infra le guerre illefa ,  Tra naufraga materia , urto di Mondi •  Che è qu'éfta triftezza , che m' affale?   Qual letargo ferpeggia entro a* mici fenfi ?  Natura oppreffa e faticata cafea ,  E vuol ripofo : contentarla or giovami .  Dettata Y alma piglierà il fuo volo,  Rinnovata in fua forza , e frefea in vita ,  Degna offerta pe '1 Ciel . Colpa o timore  Sveglino altrui : Caton non gli conofee ,  A dormire o morire indifferente .     T     Enter Portius- .   But labi hows tbtty my Son t Wby ibis Intrufoli ?   Were not my Orders tbat 1 woud le private ?   Wby am 1 difobeyd f  Port. Alat y my Fatber !   Wbat Ì72GCWS tbis Swordì tbis Inflrument ofDcatbl   Lct me convey it bence i  Cato . Rafb Toutb , forbear t   Port. 0 let tbe Frayrs , tb* Entreatiss of your Friends ,  Tbeir Tears y tbeir common Danger vvre/t it from you .   Cato. Woudfft tboubetray meì Wou % d ti tbou giue me up  A Slave , a Cattive , iato Cafars Hands l  Retire , and learn Obedience to a Fatber ,  Or know , you*tg Man ! —   Port. 0 Sir , foi >give your Son,   JVbofe Grief bangs beavy on bim\ O my Fatber !   How am I fare it it not tbe la/I Ttme t   I c*er {ball cali you fo ! Be not difpleafcdy   O be not angry vitb me isobilft I weep ,   And, in tbe Anguifb of my He art , befeeeb yon   To quit tbe dreadfnl Furpofe of your Soul *   Cato. Tbou bafi been ever good and dati fui. (Embracing him.  JVeep not, my Son. Ali ivi II be -meli again.  Tbe rigbt.ousGods y wbom I bave fougbt to pie afe ?     mu     Digitized by GoogI        •*.*** » «   . > S C E N A IL . ..   J ...... .. . .   Carne, e forgio.   Gifc V ^ A, che è ciò, mio Figlio? Perchè quà?   JlVJI Non avea detto, ch'io volea ttar foio? \   perchè cjifubbidire ? Pot%. Ohimè! mio Padre 1  . :Che fa efta fpada qui di morte arredo ?  .-Via ^crterolla. Cat. Temerario, ferma.  P0f£ Le infìanze, i preghi degli amici, il pianto,   li comun lor periglio a voi la (veglione  Cat. Vorrefti tu tradirmi ? e darmi fchiavo ,   Prigioniero, di Cefar nelle mani ?   Va* via: e ad ubbidire un Padre impara ,   Ofappi, giovin . . . Por%. Non mirar sì torvo»   Morrei più tofto , che difubbidirvì .  Cat. Ben fia! Torno Padrone di me ftefso.   AtTedi) r>r, Cefar, pur le noftre porte,   Ed ogni adito chiudi: le tue Flotte   CuopT*»no il mare, e ferrino ogni porto* ,   Carr^.'.Vv/rà a fe medefimo un patio, \   E li . *anr ;rà le tue fperanze . . . Por%. Al figlio   Tritio /dolente tuo perdona. Oh Padre/   Ahi / forfè quefta ria V ultima volta ,   Ch' io ti chiami così ! non difguftarti,   Nè t' adirar con meco, mentr* io piango,   E tra l'angofcia del mìo cuor ti prego   A lafcìar tuo orribile pi n fiero.  Cat. Tu hai fempre adempiuto! tuoi doveri, {abbrac-   Non pianger, Figlio: il tutto anderà bene» (dandolo   I giudi Dei, cui mi ftudiai piacere,  ... T z Pre-     Digitized by Google     Will fuccour Cato f and preferve bit Cbildren.  Port. Tour Wordt girne Comfort tù my droofing Heart .  Cato. Portiut y tbou mayft rely upon my Conduci.   Jby Fatber will not aQ wbat mtsbecomct bim.   But go ymySotty and fee if augbt bc wantìng   Among tby Fatber t Friendt ; fra tbem embarqued ;   And teli me if tbe IVinds and Seat be friend tbem .   My Soni it quite weigb'd down witb Care , and ash   Tbefoft Refrefbment of a Moment' t Sleep. [ Exit .   Port. My Tbongbtsare more at Eafe, my Heart rrvivet.   » -   Enter Marcia*   0 Marcia , O my Sifler , fiill tbere't Hcfe !  Our Fatber wtll not caft away a Life .  So needful to ut ali , and to bit Country .  He it r air ed to Refi , and feemt to eberifb  Tbougbtt full of Peate. He bat difpatcbt me benee  Witb Ordert , tbat befpeak a Mind compofed ,  And fiudiout for tbe Safetby of bit Friendt . '  Marcia , tale tare tbat none difturb bit Slumbert . [ Exit  Marc. 0 ye immortai Powert, tbat guard tbe Good y  ìVatcb round bit Coucb 9 and foften bit Repof* , i \  Banijb bit Sorrowt, and becalm bit Sosti  Witb eafie Dream s ; remember ali bit Virtuet ì ■  And fbaw Mantind tbat Goodneft it your Care .     Enter     Digitized by Google     «( 149 )S»  Prcfervcran Catone c i figli fuoi .   Tori» Voi conf° r " tc »• mio abbattuto cuore.  Cat. Di me fidati , o Porzio : il Padre tuo   Non farà cofa mai', che gli (convenga . * * 1   Or va, mio Figlio: e Ve*, che nulla manchi   A i noftri amici : vedigli imbarcare ;   Dimmi , fe venti e mar gli favorifcono .   Tratta è giù P alma da pefanti cure ,   E d' un breve dormir follievo chiede . parte Cato  For£ Miei penficrfon più qucti, c'1 cor refpira.   SCENA IH.   • m % I   • • •   Tornio , e Marcia .   Fors?.f~\ Marzia, o mia Sorella, ci è ancor fpcrac.  V_/ Il Padre , via non butterà una vita   A noi sì neceffaria ed alla Patria .   Ripofa , e fembra intrattener penfieri   Di p?ce . Ei rn ha con ordini fpedito ,   Ch' una mente comporta ed anfiofa   Della falvezza de gli amici moftrano .   Marzia ; fa che niun (turbi i fuòi fonni . fatte  Mar^ Numi immortali , che guardate il giudo.   Vegliate intorno al letto, e '1 fuo ripofo   Addolcite , bandire i fuoi dolori   E con facili fogni gli calmate   L'anima: rammentatevi di fue   Virtudi : e a tutti gli uomini inoltrate,   Che degP Iddi) è la bontà penfiero .   S C E*     Digitized by Google     •se w )i»    and awf#l ss a, God y.  He knows not bow to winì at bumnc Frail ty ,  Or pardon IVcaknefs , tbatbe ne*ver felt-.   Marc. Tlwr/gb fieni and aufuì to tbc Foes ofRome y  He is ali Goodncfs. i Lucìa, , jlways mìld,  Compaffionate , and gentle to Vis Friends .  F'i\ld n>itb Domtfl'tck Tendernefs , the b'eff 9  The ìùnJeft Fatììet t I bave c*vtr fpuud bim  Eafie, and good, audfanfeoustojnylVifbes. . . ,\   Lue. Til bit Confent aloni tan male m blefid ,   Marc ta , we botb tre eQuallyivpol'V'd ;  In tbe fame intricate >iFtff'*4i Difircfs . . r f -  The cruci Handof Fata , ìbat fa- deflroyd .  . T£y £ro*kr Man*; y infoia ta* botb- lamtnì — » '   Marc, -/W fwr lamenta unbappyToutb !   Lue. Ha/ /5r/ my Soul at largo , W uow Ifiand   Loofe ofmyVowr £ut y tybo Jinows Catos Thugbts ?   IVbo faow's bowyet b^ m^Afpofe ff Portiat e t   Or bas determini fi \ of' tby felfì . . ; * , , /. 1 1. * J   Marc. Zs»   Entcr Lucius '.   Lue. Sweet are the Slumbers of the wìrtuous Man !   0 Marcia , I bave Jeen thy Godlike Fatbcr :  Some Tornir invsfible fupporis bis Soul^  And bears it up in ali its wonted Grcatnefs,  A kittd refrefling Sleep isfalTnupon bini:   1 faw bìm ftretcbt at Eafc , bis Fancy loft   In pleafeng Dream * as I drew near bis touch ,  He fmiUd , and cryd^ Cafar tbon canft not burt me .  Marc. His Mind ftill labours witb fome dreadful Tbougbt  Lue. Lucia , wby ali tbis Grief y tbefe Floods ofSorrow  Dry up thy Tears , my Cbild , we ali are fafe  Wbtle Caso iives His Prefence bile Rome furvived ,   Woud not bave match' d bis Daugbter witb a King ,  But Cafar s Arms bave tbrowndown ali Dijlinclion ;  Whoe'er is Brave and Vìrtuous , is a Roman —  — • Vm ftck to Deatb O wben (ball I get loofe  From tbis vain World , tV Abode ofGuilt and Sorrow ! —   — And yet metbìnks a Beam of Ligbt breaks in  On my departing Soul . Ala s , Ifear   Tve beentoo bajly . Oye Powrs, tbat fearcb  The Re art ofMan, and uteigb bis inmo/t Tbougbts ,  // I bave done amtfs , impute it not ì — —  The beft may Erre , butyou are Good , and — oh ! [Dics  Lue. Tbere fled tbe greatefl Soul tbat ever ivarmd  A Roman Brcaft . O Cato ! 0 my Friend !  Thy WiU fiali be religionjly obfervd  Bui Ut us bear tbis awful Corps to Cafar ,     Ani     Digitized by Google     Ch* io pago al Padre gli ultimi doveri .  Giuk Quefti i Trionfi fon , tue Imprefc , o Cefare !  Lue. Ora Roma è caduta daddovero /   Catone , portato avanti nella fua feJia .   Cat. Po fa temi qui giù. Porzio t'accoda.   Son gli amici imbarcati ? Puoffi fare   Alcuna cofa ancor per lorfcrvigio,   Mentre ancor vìvo? ch'io non viva in vano/   . . . O Lucio , fei tu qui ?.. . Sei troppo tenero ! . . .   Tra i noftri figli V amicizia viva :   Porzio felice fa nella tua Lucia .   Pover' Uom / piange ! . . . Marzia , la mia Figlia . . .   Oh/ mandatemi avanti. Giuba t'ama.   Di Roma un Senaror, vivente Roma,   Spofata non avrìa con Re fua Figlia ;   Ma tutto confufo han di Cefar V armi .   Chi è bravo e valorofo , egli è Romano.   ... Morir mi fento/ Oh ! quando farò fciolto   Dal Mondo , di dolor di colpe albergo ! . . .   . . . Pur parmi , che di luce un raggio fpunti   All'alma che fi parte. Laffo / io temo   D'aver troppo affrettato. Oh / Numi, voi,   Che penetrate il cuor dell' uomo , e i fuoi   Intimi movimenti ne pefate,   Se fallit'ho , a me non l'imputate . . .   I migliori crran : buoni fiete , e . . . oh ! . . muore.  Lue. La più bell'alma ora volò, che mai   Un Roman petto rifcaldafle. O Cato!   Amico mio ! farà tua volontade   Da noi con fomma religion fervata.   Portianne il corpo venerando a Cefare :   In     « US )fc  ^«J /ay U in bis Sigbt , that it may fi and  A Fence betwixt ut and the Vittor i Wrath s  Cato , thò dead, fiali ftill proteB bis Friend* .  Trom bence , le t farce contendìng Nations know  Wbat dire Effecls from Ci quai crudi effetti da civile  Difcordia featurifeoo. Quefta è quella,  Che le noftre contrade ne feompiglia,  E Roma dà a Romane armi in preda :  Crudeltà, Lite, Frode partorifee,  £ invola al Mondo reo vita di Caco,     FINE DEL QUINTO, ED ULTIMO ATTO     }   Stante la relazione fatta dal M. R. Sie. Francefco Giufeppe  Morelli Profefsore di lingua Inglcle concordare la pre-  lente Traduzione col Tuo Originale in queir idioma ftam-  pato,   Si riftampi l'un, e V altra.  Orazio Ma^ei Vicario Generale .     Attefa la relazione del P. Ilario Flood Agoftiniano nativo  di Scozia ,   Si (rampi.   Maeftro Fr. Gio: Francefco Mefftni Mi». Covri). Vicario del  S. Ufi^io della Città di Colle , e Provicario Generale   del S.Ufiyo di Firenze.      Filippo Buonarroti Sem , e Aud. di S. A. R. Catone. Keywords: portico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Catone.”

 

Grice e Cattaneo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale longobarda -- Vico e la sapienza italiana – il dialetto milanese e il sostratto latino – scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo Lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Grice: “I like Cattaneo; in fact, I LOVE Cattaneo; he is so much like me! I taught at Rossall, and he defended the the teaching in what the Italians (and indeed the ‘Dutch’) call the ‘gym’ not just of Grecian and Roman, but Hebrew – He famously claimed to know Hebrew when he interviewed for a job as a librarian! – From a semiotic point of view, he saw semiotics as the phenomenon the philosopher must consider when dealing with communication – he explored semantics, but also ‘sintassi’ in connection with ‘logic,’ and obviously, pragmatics – He was interested in comparing systems of communication in Homo sapiens sapiens and other species – and being an Italian, he was especially interested in how Roman became Latin – he opposed the Tuscany rule!” --  Grice: “Only a philosopher like Cattaneo is can understand Cattaneo’s contributions to semiotics!”. Figlio di Melchiorre, un orefice originario della Val Brembana, e di Maria Antonia Sangiorgio, trascorse gran parte della sua infanzia dividendosi tra la vita cittadina milanese e lunghi e frequenti soggiorni a Casorate, dove era spesso ospite di parenti. Fu proprio durante questi soggiorni che, approfittando della biblioteca del pro-zio, un sacerdote di campagna, si appassioa alla filosofia, soprattutto dei classici della filosofia romana.  Il suo amore per le lettere humanistiche classiche lo indusse a intraprendere gli studi nei seminari di Lecco prima e Monza poi, che avrebbero dovuto portarlo alla carriera ecclesiastica, ma già all'età di diciassette anni, abbandonò il seminario papista per continuare la sua formazione presso il Sant'Alessandro di Milano e in seguito al ginnasio e liceo classic di Porta Nuova dove si diploma. La sua formazione filosofica fu plasmata, durante gli studi superiori, da maestri quali Cristoforis e Gherardini, i quali gli aprirono le porte del mondo filosofico milanese. Grazie a queste opportunità, oltre alla passione per gli studi classici, Cattaneo inizia a nutrire interessi di carattere sstorico. Sempre in questo periodo furono fondamentali per la sua formazione filosofica le letture presso la Biblioteca di Brera e il contatto con il cugino paterno, direttore del gabinetto numismatico, era anche un importante esponente del mondo filosofico milanese. Altro punto chiave per il percorso formativo degli suoi interessi furono la frequentazione assidua dell’Ambrosiana, grazie alla sua parentela materna Sangiorgio con il prefetto Pietro Cighera, e della biblioteca personale dello zio. La Congregazione Municipale di Milano lo assunse come insegnante di latino e poi di umanita nel ginnasio comunale di Santa Marta. Approfondizza le sue frequentazioni con gli filosofi milanesi, entrando a far parte della cerchia di Monti. Di questi stessi anni sono le sue amicizie con Franscini e Montani. Dopo aver iniziato a frequentare le lezioni di Romagnosi nella sua villa, ne divenne presto amico e allievo. Si laurea Pavia con il massimo dei voti.  Risale il suo saggio dato alla stampa e apparso sull’antologia, si tratta di una recensione all'assunto primo del concetto di “giure naturale”. Saggio sulla Storia della Svizzera italiana. Convinto sostenitore di richieste di maggiore autonomia del regno lombardo-veneto dalla corte di Vienna, pensava di puntare su una politica non violenta per avanzare tali richieste. Il motivo del suo rifiuto nei confronti della violenza si può comprendere da questa affermazione poco conosciuta del filosofo milanese che al tempo stesso lascia trasparire cosa egli ne pensasse di un'annessione al Regno di Sardegna. Siamo i più ricchi dell'impero, non vedo perché dovremmo uscirne. Ottenne alcune concessioni dal vice-governatore austriaco, subito annullate dal generale austriaco Radetzky.  Purtroppo l'evoluzione tragica delle Cinque giornate di Milano, degenerate in violenza, fecero capire a C. che un dialogo tra la nobiltà lombarda e la corte di Vienna e effettivamente difficile, stessa impressione che curiosamente ebbe anche Radetzky che nel periodo del suo governo nel lombardo-veneto punta a cercare il favore del volgo. C.  e i suoi amici parteciparono quindi e contribuirono alle cinque giornate di Milano, senza agire con azioni di violenza gratuita. Ma dopo di esse, rifiuta l'intervento piemontese. Considera il Piemonte meno sviluppato della Lombardia e lontano dall'essere democratico. Presidente del Consiglio di guerra di Milano, che governa insieme al Governo provvisorio fino alla caduta di Milano al ritorno degli austriaci. Dopo una serie di moti popolari, nel frattempo, viene proclamata la repubblica romana, guidata da un triumvirato costituito da Mazzini, Saffi ed Armellini.  In seguito alla conclusione dei moti ripara nella ivizzera e si stabilì a Castagnola, nei pressi di Lugano, nella villa Peri. Qui ebbe modo di stringere maggiormente la sua amicizia con Franscini, potente filosofo ticinese, e di partecipare alla vita filosofica del Cantone e della città. Fonda il liceo di Lugano, che volle fortemente per creare un'istruzione pubblica laica libera dal giogo del papa, al fine di formare una generazione liberale e laica che era alla base dello sviluppo economico del resto della Svizzera. Amico di Manara, anda a Napoli per incontrare Garibaldi, ma poi tornò in Svizzera, perché deluso dall'impossibilità di formare una confederazione di repubbliche. Pur essendo più volte eletto in Italia come deputato del Parlamento dell'Italia unificata, rifiuta sempre di recarsi all'assemblea legislativa per non giurare fedeltà ai Savoia. Viene ricordato per le sue idee federaliste impostate su un forte pensiero liberale e laico. Acquista prospettive ideali vicine al nascente movimento operaio-socialista. Fautore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani sullo stile della svizzera. Avendo stretto amicizia con filosofi ticinesi come Franscini, ammira nei suoi viaggi l'organizzazione e lo sviluppo economico della Svizzera interna che imputa proprio a questa forma di governo -- è più pragmatico del romantico Mazzini -- è un figlio dell'illuminismo, più legato a Verri che a Rousseau, e in lui è forte la fede nella ragione che si mette al servizio di una vasta opera di rinnovamento della communità. Pur essendogli state dedicate numerose logge massoniche e un monumento realizzato a Milano dal massone Ferrari, una sua lettera a Bozzoni, consente di escludere la sua appartenenza alla massoneria, per sua esplicita dichiarazione, sovente in quel periodo tenuta segreta e negata.  Per lui scienza e giustizia devono guidare il progresso della communità, tramite esse l'uomo ha compreso l'assoluto valore della libertà di pensiero. Il progresso umano non deve essere individuale ma collettivo, comunitario, attraverso un continuo confronto con l’altro. La partecipazione alla vita della communita à è un fattore fondamentale nella formazione dell'individuo. Il progresso può avvenire solo attraverso il confronto collettivo comunitario. Il progresso non deve avvenire per forza o autoritarismo, e, se avviene, avverrà compatibilmente con i tempi: sono gli uomini che scandiscono le tappe del progresso. Nega il concetto di “contratto” comunitario o sociale. Due uomini si sono associati per istinto. La comunita, la diada, la società è un fatto naturale, primitivo, necessario, permanente, universale -- è sempre esistito un federalismo delle intelligenze umane -- è sorto perché è un elemento necessario di due menti individuali.  Pur riconoscendo il valore della singola intelligenza monadica, afferma però, che più scambio, conversazione, dialettica, e confronto ci sono, più la singola intelligenza monadica diventa tollerante dell’altro nella diada. In questo modo anche la società e la comunita diadica e più tollerante. Le due sistemi cognitivi dei individui della diada devono essere sempre aperti, bisogna essere sempre pronti ad analizzare nuove verità.  Così come le due menti si devono federare, lo stesso devono fare gli stati europei che hanno interessi di fondo comuni. Attraverso il federalismo i popoli, le comunita, possono gestire meglio la loro partecipazione alla cosa pubblica. La communita, il popolo deve tenere le mani sulla propria libertà. La comunita, il popolo non deve delegare la propria libertà ad un popolo lontano dalle proprie esigenze.  La libertà economica è fondamentale per C. -- è la prosecuzione della libertà di fare -- la libertà è una pianta dalle molte radici. Nessuna di queste radici va tagliata sennò la pianta muore. La libertà economica necessita di uguaglianza di condizioni. La disparità ci saranno ma solo dopo che tutti avranno avuto la possibilità di confrontarsi nella conversazione aperta. E un deciso repubblicano e una volta eletto addirittura rinuncia ad entrare in parlamento rifiutandosi di giurare dinanzi all'autorità e la forza del re. Viene richiamato quale iniziatore della corrente di pensiero federalista in Italia. Fonda il periodico Il Politecnico, rivista che divenne un punto di riferimento dei filosofi lombardi, avente come intento principale l'aggiornamento tecnico e scientifico della cultura nazionale. Guardando all'esempio della Svizzera cantonale (improntata alla democrazia diretta), define il federalismo come "teorica della libertà" in grado di coniugare indipendenza e pace, libertà e unità. Nota al riguardo che abiamo pace vera, quando abiamo gli stati uniti dell’Europa, alla svizzera. Cattaneo e Mazzini videro negli nella Svizzera l’unico esempio di vera attuazione dell'ideale repubblicano. Federalista repubblicano laico di orientamento radicale-anticlericale, fra i padri del Risorgimento, e alieno dall'impegno politico diretto, e punta piuttosto alla trasformazione culturale della società. La rivista Il Politecnico fu per lui il vero parlamento alternativo a quello dei Savoia.  In accordo con il Tuveri redattore del Corriere di Sardegna, intervenne in merito alla questione sarda in chiave autonomistica locale. In tal senso, denuncia l'incapacità ed incuranza del governo centrale nel trovare una nuova destinazione d'uso al mezzo milione di ettari (più di un quinto della superficie dell'isola) che avevano costituito i soppressi demani feudali, sui quali le popolazioni locali esercitavano il diritto di ademprivio, per usi civici.  A lui è dedicato l'omonimo istituto di ricerca. Altre saggi: “Scritti filosofici”; “Interdizioni israelitiche”; “Psicologia delle menti associate” – questo saggio – associazione -- non è stata completata e rimane allo stato di frammenti. Il tema de saggio sarebbe dovuto consistere nel cercare un'interpretazione sociale – diadica -- nello sviluppo dell'individuo o monada. La città – cittadino – cittadinanza -- considerata come principio ideale delle istorie italiane; Dell'India antica e moderna; Notizie naturali e civili su la Lombardia Vita di ALIGHIERI (si veda) di Cesare Balbo Il Politecnico, Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità e coltura sociale e comunitaria; Dell'Insurrezione di Milano e della successiva guerra. Rapporto sulla bonificazione del piano di Magaldino a nome della società promotrice, In Lugano, Tipografia Chiusi. Le cinque giornate di Milano di Carlo Lizzani -- interpretato da Giannini. C. e le cinque giornate di Milano  Secondo una tesi, non comprovata e non accolta dai dizionari biografici, C. sarebbe nato a Villastanza, frazione del comune di Parabiago in provincia di Milano. Certamente più antica è la Villa prospiciente la Chiesa, sulla piazza ed attualmente in proprietà del signor Luigi Gagliardi, cui è giunta per eredità dagli avi. Un'insistente tradizione vuole che in questa casa, abbia avuto i natali nientemeno che C.. Ma C. deve aver passato qui soltanto alcuni anni della sua infanzia, ospite nei mesi estivi della famiglia amica ai propri genitori. Si veda, a tal riguardo, “Storia di Parabiago, vicende e sviluppi dalle origini ad oggi, Unione Tipografica di Milano. (Tortora), da Filosofico (Fusaro)  Arch. Fant Milano  Bertone, Camagni, Panara, La buone società: Milano industria. Almanacco istorico d'Italia, Battezzatti. C. genealogy project, su geni_family_tree. Il Famedio, su  del Comune di Milano; Lacaita, Gobbo, Turiel La biblioteca di C., Le riforme illuministiche in Lombardia, articolo dal saggio introduttivo a Notizie naturali e civili della Lombardia, come riportato da Pazzaglia in Antologia della letteratura italiana,  Il monumento milanese che lo raffigura reca l'iscrizione, A C.  -- La massoneria italiana, Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Milano, Bompiani. Fonte:// manfredi pomar.com/.  l'Enciclopedia, alla voce "Politecnico", in La Biblioteca di Repubblica, POMBA-DeAgostini; Petrone, Massoneria e identità, Taranto, Bucarest; Fiorentino, Non proprio un modello: gli Stati Uniti nel movimento risorgimentale italiano; Teodori, "C., Garibaldi, Cavallotti": i radicale anti-clericali, anti-papa, in Risorgimento laico. Gli inganni clericali sull'Unità d'Italia, Rubbettino; M. Politi, D. Messina, G. Pasquino, Teodori, Dibattito "Risorgimento laico". Presentazione del saggio di Teodori, su Radio Radicale, Milano, Fondazione Corriere della Sera. Tuveri, in Rassegna storica del Risorgimento; Ambrosoli (scelta e introduz. di). C. e il federalismo, Roma, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, Archivi di Stato,  Bobbio, Una filosofia militante: studi su C., Einaudi, Torino; Campopiano, "C. e La città considerata come principio ideale delle istorie italiane", in "Dialoghi con il Presidente. Allievi ed ex-allievi delle Scuole d'eccellenza pisane a colloquio con Ciampi", M. CampopianoL. Gori; Martinico, E. Stradella, Pisa, La Normale. C. e Tenca di fronte alle teorie linguistiche di Manzoni, in «Giornale storico della letteratura italiana; Colombo, Montaleone, C. e il Politecnico, Angeli, Milano, Frigerio, dir. de Rougemont, Bruylant, Bruxelles, Fubini, Gli scritti letterari di C., in Romanticismo italiano, Laterza, Bari. Lacaita, L'opera e l'eredità di C., Feltrinelli, Milano. Puccio, Introduzione a Cattaneo, Einaudi, Torino); C. nel primo centenario della morte, antologia di scritti, edizioni Casagrande, Bellinzona, Antonio Gili, Pagine storiche luganesi, Arti grafiche già Veladini, Lugano; Lacaita, Economia e riforme in C., Ibidem; Cotti, C. in una lettera inedita di Lavizzari, C.: studio biografico dall'Epistolario»; opera di  Michelini (Milano, NED), C. scrittore, in Manzoni e la via italiana al realismo, Napoli, Liguori, Cattaneo una biografia. Il padre del Federalismo italiano, Garzanti, Milano; Il ritratto carpito di C., Casagrande, Bellinzona; Cattaneo federalista europeo, in «Il Cantonetto, Lugano, Fontana Edizioni SA, Pregassona,  L'istruzione educante nel pensiero di C., Carlo Moos, Carlo Cattaneo: il federalismo e la Svizzera, Mariachiara Fugazza, Una lettera inedita di Cattaneo a De Boni. La Repubblica Romana, Ibidem, Moos, C.  in Ticino, Bollettino della Società Storica Locarnese, Tipografia Pedrazzini, Locarno, Michelin Salomon, C.. Una pedagogia socialmente impegnata, Messina, Samperi; Mario: C. Cenni. Cremona. Cantoni, Il sistema filosofico di C., Milano; Torino: Dumolard, Matteucci, Romagnosi Cinque giornate di Milano Federalismo in Italia, Ferrari (filosofo) Liceo di Lugano Stati Uniti d'Europa Sostrato (linguistica) Università Ca. C. su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C. in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  C., in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., su Enciclopedia Britannica, C. in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., su siusa. archivi. beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere C., su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere C., su storia.camera, Camera dei deputati. Raffaelli, C., in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Colombo, C., in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere Scritti di C. in classicis; Scritti di C.: testi con concordanze e lista di frequenza Indice Carteggi di C. Altro Cronologia della vita di C. su storia dimilano. C. Il contemporaneo dei posteri a cura del Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita  Filosofia Letteratura  Letteratura Politica  Politica Risorgimento  Risorgimento Categorie: Patrioti italiani Filosofi italiani Politici italiani Professore Milano Lugano Scrittori italiani Personalità del Risorgimento Positivisti Insegnanti italiani Filosofi della politica Repubblicanesimo Linguisti italiani Sepolti nel Cimitero Monumentale di MilanoPolitologi italiani Federalisti Deputati della VII legislatura del Regno di Sardegna Deputati dell'VIII legislatura del Regno d'Italia Deputati della IX legislatura del Regno d'Italia. Linguaggio e ideologia: la posizione di C., Comitato di Redazione matania edoardo ritratto di c.  xilografia, Matania, Ritratto di C., xilografia, di Prato  La centralità della figura di C. nell’ambito della cultura italiana  giustamente ricollegata al suo pensiero liberale e laico, agli studi giuridici che hanno contrassegnato l’intera sua formazione, all’interesse verso l’etnografia e la psicologia sociale. La sua personalità di studioso poliedrico e sfaccettato, fortemente influenzata dalla cultura classicista e dalla filosofia dell’illuminismo, si è concretizzata in varie forme tutte di grande rilevanza: il filosofo, l’economista, il critico, lo storico, lo scrittore politico, il fondatore della rivista Il Politecnico e, non da ultimo, il linguista.  Nel quadro di questa ricerca intellettuale così ricca e variegata un posto rilevante assumono i suoi studi etnico-linguistici di impianto storico-positivo e i suoi progetti politici orientati sul concetto di “nazionalità”. Con questo termine egli si riferiva allo stesso tempo sia alla più alta e unitaria aggregazione culturale, sia alla diretta partecipazione popolare allo sviluppo della società civile.  Proprio sugli interessi linguistici di C. concentreremo la nostra attenzione mettendo in evidenza l’impulso che egli ha dato alla costruzione dell’italiano come lingua comune che riflette il nesso tra la vitalità della lingua e la vitalità culturale della nazione di cui la lingua stessa è «il vincolo unitario in senso geografico e sociale» (Vitale), perché è da essa che dipende la possibilità per gli italiani di partecipare al progresso della cultura del proprio Paese. La forte coscienza del carattere comune della lingua faceva sì che C. potesse prescrivere la rinnovabilità della lingua – rifiutando quindi le angustie del purismo, i grecismi e i particolarismi provinciali – e sostenere anche un’opposizione recisa, basata su una coerente visione culturale di impronta europea, sia al neotoscanismo e al fiorentinismo manzoniano, sia all’accademismo della Crusca, in nome di un principio di unità di cultura e di vita civile nazionale.  Questa impostazione spiega poi la sua duplice posizione rispetto ai dialetti: da una parte riproponeva in termini nuovi, non antitetici,  i rapporti fra i dialetti e la lingua, riconoscendo la validità dei dialetti in quanto depositari di un patrimonio storico da preservare, apprezzando i valori riposti nelle culture popolari e sottolineando anche il valore della letteratura dialettale; dall’altra però considerava i dialetti come elementi superabili nel processo dialettico fondativo della lingua comune, essendo consapevole che il coinvolgimento dei parlanti nella lingua comune poteva avvenire nella misura in cui essi riuscivano progressivamente ad abbandonare l’uso esclusivo del dialetto.  Il primo scritto di linguistica di C. è quello sul Nesso della nazione e della lingua Valacca coll’italiana, pubblicato come parte di un lavoro più generale che riguardava l’influenza delle invasioni barbariche sulla lingua italiana e che non venne mai condotto a termine. Si tratta di uno studio sul passaggio dalla società tardo romana a quella feudale e poi comunale, condotto sulla scia dell’insegnamento di Romagnosi ma con una sostanziale differenza: mentre Romagnosi tendeva a ridurre la storia della civiltà in storia degli istituti giuridici e solo marginalmente si interessava di questioni linguistiche, C. già in questo primo scritto – il cui carattere storico generale è evidente – metteva al centro della sua trattazione il problema linguistico, considerando la lingua come espressione della nazionalità e testimonianza delle vicende della storia dei popoli.   La funzione sociale e in senso lato politica della lingua viene così enfatizzata con la finalità di studiare le interconnessioni tra le cose, cioè gli anelli che compongono le catene sociali che tengono uniti gli individui in quanto membri di una comunità: le parole, che sono ricche di sottili significati, possono essere comprese pienamente solo se situate in un contesto sociale più ampio di quello del loro svolgersi immediato (Lewis). Il nucleo che tiene insieme le memorie individuali e collettive è insomma costituito dalla lingua e l’esercizio della lingua rafforza tale nucleo dal quale poi dipende in buona parte l’identità di un popolo, la sua coscienza storica. In questo caso C. non si riferiva alla lingua solo come insieme di regole sintattiche e di etichette fonologiche, ma anche come modalità socialmente e regionalmente differenziata, dunque non la lingua come sistema, bensì come norma e istituzione: «è nelle parole della lingua che si condensano i path, i “sentieri” della memoria propri di ciascuna comunità» (Mauro).  Poli C. mostrò fin dagli anni giovanili grande interesse per l’opera di VICO, anche grazie all’influenza che ebbero su di lui le opere di Romagnosi e Ferrari che la interpretavano alla luce dell’antropologia laica dell’illuminismo. Proprio dal saggio di Ferrari, Vico e l’Italie uscito a Parigi, egli prese spunto per un saggio Sulla scienza nuova che pubblicò sul Politecnico nello stesso anno. L’interesse per le età primitive e per la vita collettiva dei popoli, il rapporto tra lingua e nazione denotano la presenza di motivi vichiani, con i quali C. corresse certi eccessi del razionalismo settecentesco, senza mai però rinunciare all’idea di progresso, e allo stesso tempo senza farsi influenzare dagli aspetti teologici della filosofia di Vico. La sua formazione illuminista lo portò a non condividere nessun mito del Risorgimento romantico e spiritualista, a celebrare come maestro Locke contrapponendolo alle fumosità dell’idealismo, ad avversare le posizioni di Rosmini, Gioberti e anche Mazzini.  L’illuminismo nella sua opera «si rivela sotto il carattere di una radicale antimitologia» (Alessio). Rispetto al Romanticismo la posizione di C. è contrassegnata da una sostanziale estraneità: giustamente Timpanaro osserva che parlare – come spesso si è fatto – di un romanticismo di Cattaneo può essere giusto se ci riferiamo al romanticismo come una categoria spirituale generale, definendo romantico ogni forma di interesse per le età primitive, per le tradizioni popolari e per il nesso lingua\nazione. Ma questo non ci deve far dimenticare che per il Romanticismo inteso come movimento culturale storicamente definito Cattaneo – come del resto anche Leopardi – mostrò sempre un atteggiamento critico e distante motivato dalla sua avversione al medievalismo, a quella concezione religiosa della vita che i romantici – sia pure con sfumature diverse – condividevano e al modo ambiguo con cui veniva da loro esaltato lo spirito popolare, inteso più come attaccamento alle tradizioni locali e forma di ingenuità, che come aspirazione democratica.  Sui rapporti tra romani e barbari e sulle origini della lingua italiana C. tornò diverse volte in altri scritti successivi quel saggio, sostenendo la derivazione dell’italiano dal latino volgare e limitando al massimo l’influsso delle lingue dei barbari sulla formazione dell’italiano, tanto più che secondo lui il numero dei barbari dominatori era stato assai esiguo contrariamente a quanto pensavano molti storici. Per valutare al meglio questa continuazione dell’italiano dal latino volgare per C. era necessario tener conto anche dell’influsso esercitato dalle antiche lingue dei popoli italici conquistati dai romani (etrusco, umbro, celtico ecc..).  Questa è l’importante teoria del sostrato senza la quale è difficile ad esempio spiegare la varietà dei dialetti italiani e che coinvolge soprattutto la fonetica piuttosto che il lessico: non si tratta quindi di una generale mescolanza di lingue, ma della stessa nuova lingua pronunciata in modo diverso in base ad abitudini fonetiche precedenti che rimanevano vive perché radicate dall’uso dei parlanti. Gli studi sull’origine dell’italiano sono importanti anche per spiegare la posizione che C. ha assunto nel dibattito sulla questione della lingua, che ha avuto del resto una grande rilevanza nella cultura italiana del tempo. C., infatti, non vedeva una scissione tra il suo impegno di linguista militante e i suoi studi di linguistica storica, al contrario riteneva lo studio storico delle lingue come la base, e dunque il fondamento, della linguistica normativa. Di fronte al problema di come la lingua italiana avrebbe dovuto essere formata e regolarizzata, egli sosteneva una rigorosa battaglia antitoscana, svolta su due fronti essenziali. Il primo era diretto – riprendendo una polemica che era stata inaugurata dagli illuministi lombardi del Caffè – contro il modello arcaico e passatista dell’Accademia della Crusca, che sosteneva una concezione immobilistica della lingua, estranea a ogni innovazione e fondata sulla netta scissione tra lingua e cultura. Il secondo fronte riguardava il modello certamente più moderno e funzionale del Manzoni, ma che ai suoi occhi risultava troppo accentrato e basato su un concetto di popolarità che egli non condivideva:  «la dottrina della popolarità da cui primamente si presero le mosse, oramai non significa più che si debba agevolare l’intendimento e l’arte della lingua agli indotti: ma bensì che si debbano raccogliere presso uno dei popoli d’Italia le forme che, più domestiche a quello, riescono più oscure a tutti li altri. Si intende un’angusta e inutile popolarità d’origine, non la vasta e benefica popolarità dell’uso e dei frutti» In alternativa, C. opponeva una forma di lingua che costituisse un punto d’incontro delle varie tradizioni dialettali italiane in maniera da poter svolgere veramente una funzione unificatrice della nazione. Una lingua, allo stesso tempo illustre, «insieme austera e moderna» (Timpanaro), adeguata non solo alla cultura letteraria, ma anche a quella scientifica e filosofica. Fin da quel primo articolo, cui abbiamo già fatto riferimento, C. dimostra inoltre di avere due maggiori capacità rispetto ad altri autori italiani suoi contemporanei. La prima era quella di saper andare al di là dei ristretti confini nazionali, interessandosi ad esempio delle lingue germaniche e del romeno. La seconda consisteva nell’avere ben presente il principio che la comunanza di origine tra due lingue è dimostrata dalla somiglianza delle strutture grammaticali, più che dei vocaboli – principio che ricavava dalla nuova linguistica comparata di Bopp e dei fratelli Schlegel che, proprio in quegli anni, erano diventati per lui importanti interlocutori anche polemici e avevano impresso nuovi sviluppi alle sue idee linguistiche. Biondelli pubblica sul Politecnico una serie di articoli sulla linguistica indeuropea, recensendo anche importanti opere dei comparatisti, informando così il pubblico italiano sui risultati scientifici da loro raggiunti. Questi articoli hanno indotto C. a prendere una posizione critica di fronte a questa corrente di studi e a scrivere il saggio Sul principio istorico delle lingue europee.  In questo saggio C. critica l’idea che dall’affinità delle lingue fosse possibile ricavare una comunanza d’origine dei popoli, perché era invece convinto che non ci fosse una connessione essenziale tra affinità linguistica e affinità razziale e che la linguistica e l’antropologia andassero attentamente distinte; inoltre credeva che si fosse troppo insistito sull’unità dell’indoeuropeo, trascurando le differenze tra le varie lingue dovute al sostrato. Guardava con sospetto l’esaltazione orientalizzante che costituiva forse la conseguenza più effimera e fuorviante del comparatismo indoeuropeo (Marazzini). Per Schlegel il sostrato svolgeva soprattutto una funzione negativa corrompendo la perfetta forma del sanscrito; per C., al contrario, la commistione del sanscrito con le lingue europee primitive ha dato luogo a un innesto fecondo perché il sostrato «rappresentava appunto il principio della varietà linguistica, non cancellata dall’azione unificatrice esercitata dal popolo colonizzatore» (Timpanaro). La parentela linguistica non è quindi nel sistema di C. identità di origine, bensì il risultato di un lento e progressivo avvicinamento delle popolazioni, dovuto all’istaurarsi fra di esse di rapporti politici, economici e culturali. Non si tratta, quindi, di un punto di partenza, ma di arrivo:  «Le lingue vive d’Europa non sono le divergenti emanazioni d’una primitiva lingua comune, che tende alla pluralità e alla dissoluzione; ma sono bensì l’innesto d’una lingua commune sopra i selvatici arbusti delle lingue aborigene, e tende all’associazione e all’unità. Se una volta in diverse parti d’Italia e delle isole si parlò il fenicio, il greco, l’osco, l’umbro, l’etrusco, il celtico, il carnico, e Dio sa quanti altri strani linguaggi, come tuttora avviene nella Caucasia, la sovraposizione d’una lingua commune avvicinò tanto tra loro i nostri vulghi, che ora agevolmente s’intendono tra loro. Il tempo che cangiò le lingue discordandi in dialetti d’una lingua, corrode ora sempre più le differenze dei dialetti; e lo sviluppo delle strade e la generale educazione promovono sempre più l’unificazione dei popoli.  Non è che una lingua madre si scomponga in molte figlie; ma bensì più lingue affatto diverse, assimilandosi ad una sola, divengono affini con essa e fra loro; e per poco che l’opera si continui, o a più riprese si rinovi, divengono suoi dialetti e infine mettono foce commune in lei. (C.) Sulla base di queste considerazioni, C., nell’ambito dell’acceso dibattito sulla monogenesi o poligenesi del linguaggio, sosteneva una posizione particolare: rifiutava evidentemente il primo, ma allo stesso tempo era anche distante da quel particolare tipo di poligenismo sostenuto da Schlegel, che consisteva nel separare nettamente pochi tipi linguistici originali dai quali sarebbero derivate tante lingue cosiddette “figlie”. Per lui invece esistevano tante lingue primitive originarie che si erano ridotte di numero, via via che le tribù avevano cominciato a unirsi in aggregati più ampi. Non esistevano quindi – come per Schlegel – delle lingue perfette fin dall’inizio (le lingue flessive); tutte le lingue avevano origini umili o, come scriveva lui stesso, “ferine”. I modelli di questo modo di intendere il poligenismo linguistico sono Epicuro, VICO e Cesarotti Sempre contro Schlegel, rivendica la giustezza della teoria agglutinante secondo la quale anche le forme flessionali più perfette e sofisticate derivavano dall’agglutinazione di monosillabi che all’origine avevano una funzione autonoma. E in quel articolo osserva infatti che le declinazioni della lingua latina e greca potevano derivare da semplici nomi con un articolo affisso (C.).  Psicologia delle menti associate carlocattaneoeditoririuniti La polemica con Schlegel riguardava anche la questione dell’origine del linguaggio: mentre per il primo la flessione indoeuropea era dovuta sostanzialmente a un intervento divino, per Cattaneo, l’origine del linguaggio non poteva che essere umana, e su questo avrebbe mantenuto una posizione coerente anche negli scritti successivi come le Lezioni di ideologia, dove, ad esempio, confutava il sofisma di Bonald che negava all’uomo la facoltà di costruirsi un linguaggio. Su questo tema come per tanti altri Cattaneo è vicino alla grande tradizione della linguistica illuminista che con Locke e Herder aveva respinto recisamente la concezione delle idee innate e l’origine divina del linguaggio (Prato) ed è del tutto immune dalla concezione misticheggiante della linguistica tanto cara ai romantici.  Proprio nel Saggio sul principio istorico delle lingue europee, C. si propone di verificare il rapporto tra fenomeni linguistici e tradizioni culturali, considerando la ricerca linguistica in stretta correlazione con una riflessione propriamente filosofica. L’analisi dei fenomeni linguistici non si riduceva per lui solo a una raccolta estemporanea di dati ma si traduceva in una vera e propria scienza sociale. Alla filosofia analitica degli Idèologues – che era rappresentata per gli scrittori italiani soprattutto da Condillac e Tracy – egli riconosceva senz’altro il merito di aver esaminato con acume e precisione i problemi del linguaggio, inserendoli in una prospettiva il più possibile concreta e razionale. Allo stesso tempo era tuttavia consapevole anche dei suoi limiti, che consistono nell’aver indicato come proprio oggetto di riflessione una figura di uomo dai caratteri astratti e indipendente dal rapporto con i suoi simili. Proprio «la famosa ipotesi della ‘statua’ condillachiana gli appariva emblematica di un concetto destorificato della natura umana» (Gensini). Non a caso alle conferenze tenute presso l’Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, C.volle dare il titolo di Psicologia delle menti associate, dove il termine di “psicologia sociale” è inteso appunto in senso antropologico sia come riflessione sull’uomo a partire dai rapporti che lo legano agli altri suoi simili, sia come ricostruzione delle mentalità e dei sistemi simbolici quale risultato di mediazioni sociali. In queste lezioni Cattaneo osservava che il lievito che fa fermentare le idee non si svolge in una mente sola perché «la corrente del pensiero vuole una pila elettrica di più cuori e di più intelletti. (C.). La genesi delle idee, che Locke aveva dimostrato scaturire dal linguaggio, in questa nuova prospettiva aperta da C., non può che radicarsi nella pratica sociale: «Nel commercio degli intelletti, promosso da felici condizioni, si svolgono le idee, come nel mondo materiale, al contatto delli elementi, si svolgono le correnti elettriche e le chimiche affinità. (C.) Il linguaggio stesso è la società (C.), ed è proprio su questo terreno che l’ideologia – ovvero l’analisi delle idee – iincontra la linguistica. Ideologia è del resto il titolo di una parte del corso di Filosofia che C. aveva tenuto presso il liceo di Lugano.  Non a caso aveva scelto questo titolo se consideriamo che per la sua chiara derivazione illuminista, l’ideologia rappresentava la sola reale forma di opposizione al conformismo della cultura del suo tempo perché l’ideologia era «un’arma efficace per una filosofia democratica, atta ad opporsi alla marea montante della filosofia restaurata, allo spiritualismo eclettico in Francia, all’ontologismo cattolico in Italia» (Formigari). I principi che contrassegnano l’intera ricerca di C. e che spaziano dal riconoscimento del valore del pensiero scientifico, alla negazione della metafisica e alla difesa della laicità, la rendono insomma pienamente aderente ai problemi e alle esigenze del nostro tempo, oltre che aperta a ulteriori forme di sviluppo e approfondimento.    Dialoghi Mediterranei.  Per un ritratto complessivo di C. e dei rapporti con i suoi contemporanei rimandiamo a Alessio e Mazzali. Studiati in particolare da Timpanaro. Si veda anche Gensini; Benincà; Geymonat. Negli Annali universali di statistica, si leggono ora in C. Si trova in C. [Anche per Giordani la lingua è il vincolo di una comunità che si identifica con la nazione (Cecioni). Per esempio nella recensione alla Vita di Dante di Balbo pubblicata sempre sul Politecnico(ora in C.) di cui viene criticato il contenuto religioso e metafisico e la difesa del neo-guelfismo. Questa teoria del sostrato come è noto verrà ripresa da Ascoli nei suoi celebri scritti linguistici. Sul rapporto tra Cattaneo e Ascoli rimandiamo alle dense pagine di Timpanaro e Timpanaro. Qui lo scrittore lombardo riprendeva un’idea ben radicata nella cultura italiana e che risaliva al De vulgari eloquentia di Dante. Su questo si può cogliere l’eco della Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca del Monti che Cattaneo del resto aveva letto fin da giovanissimo con passione e interesse. Sulla linguistica dei comparatisti si veda Morpurgo Davies.  Sulla funzione positiva svolta da Biondelli per lo sviluppo degli studi linguistici in Italia vedi De Mauro. Per esempio la Deutsche Grammatik di Jacob Grimm. Pubblicato sul Politecnico è certamente il suo scritto linguistico-etnografico più ampio e originale. Qui C. fa riferimento a Uber die Sprache und Weisheit der Indier, Sulle idee filosofico-linguistiche di Schlegel vedi Timpanaro; In particolare su Cesarotti e sul suo Saggio sulla filosofia delle lingue, che è stato per Cattaneo una lettura importante vedi Gensini. Pubblicate postume da Bertani nella raccolta di Opere edite e inedite, ora in C. Ideologia è del resto il titolo stesso di una parte del corso di Filosofia che aveva tenuto presso il liceo di Lugano: si trova ora in C.; Alessio, C. illuminista”, in C.; Benincà, “Linguistica e dialettologia italiana”, in Lepschy; Bobbio,  “Introduzione”, in C., Scritti filosofici, Firenze, La Monnier, C. Scritti letterari, artistici, linguistici e vari, a cura di Bertani, Firenze, Le Monnier. C. Scritti filosofici, letterari e vari, a cura di F. Alessio, Firenze, Sansoni; C., Scritti filosofici, a cura di N. Bobbio, Firenze, Le Monnier. C., Scritti su Milano e la Lombardia, a cura di E. Mazzali, Milano, Rizzoli. Cecioni, Lingua e cultura nel pensiero di Pietro Giordani, Roma, Bulzoni. Mauro, Idee e ricerche linguistiche nella cultura italiana, Bologna, Il Mulino. De Mauro, Il linguaggio tra natura e storia, Milano, Mondadori Università. Formigari,L’esperienza e il segno. La filosofia del linguaggio tra Illuminismo e Restaurazione, Roma, Editori Riuniti. Formigari, L. e Lo Piparo,  a cura di, Prospettive di storia della linguistica. Lingua linguaggio comunicazione sociale, Roma, Editori Riuniti. Gensini, Volgar favella. Percorsi del pensiero linguistico leopardiano da Robortello a Manzoni, Firenze, La Nuova Italia. Gensini, Cesarotti nei dibattiti linguistici del suo tempo”, in Roggia; Geymonat; C. linguista. Dal “Politecnico” milanese alle lezioni svizzere, Roma, Carocci. Lepschy, a cura di, Storia della linguistica, Bologna, Il Mulino; Lepschy, “Presentazione”, in Timpanaro; Lewis, Prospettive di antropologia, Roma, Bulzoni. Marazzini, Conoscenze e riflessioni di linguistica storica in Italia nei primi vent’anni dell’Ottocento”, in Formigari e Lo Piparo, Mazzali, Introduzione”, in C.  Morpurgo Davies, La linguistica, in Lepschy; Prato, Filosofia e linguaggio nell’età dei lumi. Da Locke agli idéologues, Bologna, I libri di Emil. Roggia, a cura di Cesarotti. Linguistica e antropologia nell’età dei lumi, Roma, Carocci. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri-Lischi. Timpanaro, Sulla linguistica dell’Ottocento, Bologna, Il Mulino. Vitale; La questione della lingua, Palermo, Palumbo. Almagià, Anghiera, Pietro Martire d’, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana; Baldi, L’origine del significato romantico di ‘ballata’, in Id., Studi sulla poesia popolare d’Inghilterra e di Scozia, Roma, Edizioni di storia e letteratura. Biondelli, Atlante linguistico d’Europa, Milano, Rusconi-Chiusi. C., Epistolario, raccolto e annotato da Caddeo, Firenze, Barbèra. Id.; Gli antichi Messicani, in Id., Scritti storici e geografici, a cura di Salvemini e Sestan, Firenze, Le Monnier; Tipi del genere umano, in Id., Scritti storici e geografici, a cura di Salvemini e Sestan, Firenze, Le Monnier, Lezioni, in Id., Scritti filosofici, a cura di Bobbio, Firenze, Monnier; On the origin etc. Sulla origine delle specie con mezzi di scelta naturale, ossia la Conservazione delle razze favorite nella lotta per vivere, di Darwin, Londra, in Id., Scritti letterari, a cura di Treves, Firenze, Monnier; Id. Carteggi, serie I. Lettere di C., cur. Cancarini Petroboni e M. Fugazza, Firenze-Bellinzona, Monnier-Casagrande. Id.; Carteggi, sLettere dei corrispondenti, a cura di C. Agliati, G. Albergoni e R. Gobbo, Firenze-Bellinzona, Le Monnier- Mondadori-Casagrande. Cella, I gallicismi nei testi dell’italiano antico, Firenze, Crusca. Cortelazzo; Zolli, Dizionario etimologico della lingua italiana, Bologna, Zanichelli. Cotugno, «Rinascimento» e «Risorgimento», in “Lingua e stile”; Ancona; Carteggio,  D’Ancona-Mussafia, a cura di L. Curti, Pisa, Scuola Normale Superiore; Filippi, L’uomo e le scimie, in “Il Politecnico”; Forcellini E. Totius latinitatis Lexicon, Padova, Tipografia del Seminario, Bettinelli. Foscolo, Epoche della lingua italiana, in Id., Opere, a cura di Puppo, Milano, Mursia, Fugazza. C., Scienza e società, Milano, Angeli. Galton F., C., Osservazioni meteorologiche sincrone fatte in Inghilterra e ridutte in forma di mappa dal Sig. F. Galton di Londra, in “Il Politecnico”; Geymonat, C.  linguista, Roma, Carocci, C.  prepara le Lezioni di Ideologia a Lugano, in “Nuova informazione bibliografica”; Gherardini, Voci e maniere di dire italiane additate a’ futuri vocabolaristi, Milano; Bianchi. Id., Supplimento a’ vocabolari italiani, Milano, Bernardoni. Giovannetti, Nordiche superstizioni. La ballata romantica italiana, Venezia, Marsilio. Lacaita, Gobbo, Priano., Laforgia (a cura di), Il Politecnico” di C.. La vicenda editoriale, i collaboratori, gli indici, Lugano-Milano, Casagrande; Marazzini,  L’ordine delle parole. Storia di vocabolari italiani, Bologna, il Mulino. Mussafia, Reihenfolge der Schriften Ferdinand Wolf’s, Wien, Hof- und Staatsdruckerei. Ramusio, Navigationi et viaggi, Venezia, Giunti, vol. III Ranalli, Vite di uomini illustri romani dal risorgimento della letteratura italiana, Firenze, Pagni. Romanini, Se fossero più ordinate, e meglio scritte. Ramusio correttore ed editore delle Navigationi et viaggi, Roma, Viella. Rusconi, Sopra i lai o canti degli anglo-normanni, in “Giornale dell’I. R. Istituto Lombardo di scienze, lettere ed arti o Biblioteca italiana”; Delle Lezioni tenute al Liceo di Lugano tra anni Cinquanta e Sessanta, si analizzano le versioni preparatorie di un paragrafo dedicato all’originarsi della poesia da canti e balli popolari, con particolare attenzione alla cosiddetta ballata. Ciò consente di riconoscere in C., che in quel periodo ha ripreso l’attività di studio e divulgazione, il perdurare d’interessi terminologici e il legame con dibattiti che avevano coinvolto suoi maestri, colleghi e amici. Curiosità e passioni s’intrecciano con letture, alcune delle quali avranno eco nella seconda serie de "Il Politecnico", altre rimarranno limitate alla pratica didattica e si possono in parte scoprire grazie agli appunti preparatori. Indice del saggio su C. linguista – recensione Resurggimento. Anche il latino è lingua di tutta Italia, ma gl'itali non sono tutti romani. I dialetti ne sono testimonianza. La serbata integrità nativa delle molteplici favelle del Caucaso di fronte alle indo-perse riflette l'imagine di quelle che popolano l'Italia innanzi che la copre LO STRATO LATINO. Ne invasioni armale, né importazioni di civiltà,  ne sovrapposizioni di  lingue alterarono i confini etno-grafici dei TUSCI, dei LIGURI, dei CISALPINI, dei  veneti e d'ogni altra. Non conosciamo ancora le svariate forme naturali del nostro paese, e nemmeno i nostri dialetti e le riposte  loro derivazioni. Non conosciamo i secreti nessi che collegano QUESTA LINGUA NOSTRA alla civiltà precoce della Persia e dell'India, e alla lunga barbarie dell'antico  settentrione. La filologia puo classificare le duemila lingue e dialetti morti e vivi in famiglie, come si costuma nelle faune e nelle flore – la botanica linguistica di H. P. Grice e J. L. Austin.  La scienza della lingua è luce aggiunta alla scienza dei luoghi, dei tempi e dei monumenti, a rischiarare il buio della storia. Per  lei si scoprono le cause onde i popoli comunicarono tra loro con certi modi peculiari i propri pensieri. Per lei si rileva, da lieve indizio di scrittura salvata, una gente ignota alla storia. Si  sorprendono sorelle nazioni che l' idioma apparentemente diverso inimica e in un dialetto si palesano segni d’origine  disforme e  di  ANTICHI ODII IN NAZIONE STIMATA OMOGENEA.  Per lei si assiste al ritorno su straniere labbra d'un vocabolo esulato dalla patria in età remota. Per  ei si rintracciano in una valle le reliquia d’una lingua fuggita dalla pianura negl’attriti del commercio o della conquista. Per lei si contemplas il transito d'una favella celebrata d’una letteratura e l'ascensione d'oscuro  dialetto del Lazio a dignità  d’idioma  illustre  in  compagnia della  fortuna militare del popolo romano. Per lei  rilucono  le  affinità  e  le  diversità  delle  lingue  tutte. LA NOSTRA LINGUA ITALIANA ha una nota affinità  primamente col latino -- e  colla  altra  lingua  dal  latino derivata: il francese. Queste due lingue viventi  e  li  innumerevoli loro dialetti si classificano dai linguisti sotto  il  nome  commune  di lingue romane o romanze o latine. Come una famiglia, si deduce che  i dialetti  e  pronuncie provinciali sono fili conduttori ad un’origine  prima. Si deduce che la varietà dei dialetti, delle  pronuncie  e  dell'aspetto degl’italiani trova esplicazione  e  commento nella  varietà  delle  stirpi  e di quella lingua  dei romani. Si deduce che l'azione  cementatrice della  lingua dei romani  s’è compiuta soltanto sovra popoli  barbari, e tali sono gl’europei  alla  comparizione  delle caste asiatiche;  che  avendo raggiunto  un  certo  grado  di  coltura,  ì  baschi  RESISTENO alla  lingua  dei romani. Quando noi troviamo nel  tedesco  e  nel  gotico  la  radice  della  parola  latina iraesagus,  dobbiamo indurre che  qualche  antichissima  relazione vi  fu  tra  li  avi  dei romani  e  li  avi  de’goti. Nello  stesso  modo  in  cui  possiamo  riferire l'italiano ed il  francese – o lingua gallica, come preferisco (i franci sono piu barbari) -- alla  commune loro madre, la lingua latina, o dei romani, come preferisco,  possiamo riferire il  latino, il  greco,  il  sanscrito,  il  zendo  ad  una  commune origine  celata  nella  notte dei  tempi. Se si paragona la lingua dei romani alle due lingue  sue  figlie, l’italiano e il gallico, si  trova  che  queste,  cioè  le lingue  moderne,  hanno maggior copia di voci  astratte.  La lingua dei romani ha lavoce  “fortis” -- ma non ha la voce  “forza.” Da vir  abbiamo  della lingua dei romani la  “virtus”,  l'italiano  e  il  francese  virtù,  vertu. Ma l'italiano e il  francese hanno inoltre le  parole  derivate  “virtuoso”, “virtuosamente”,  vertueux,  vertueusement;  e  il  francese  ha  inoltre il  verbo  évei^tuer.  Le voci  italiane ente, entità,  essenza, essenziale,  essenzialmente,  se  vengono  ricondotte  alla  forma  della lingua de romani: ens, entitas,  essentia, essentialis, essentialiter, non si trovano mai nei romani antichi,  ma  solo  in  quelli dei  bassi  tempi. L’'inglese,  che  per una  metà  de'suoi  vocaboli  deriva  dall'antica  lingua  anglo-sassone e  per  l'altra  metà  dalla lingua dei romani. Nelle  lingue  indo-europee la  radice è quasi sempre uni-sillaba. Una radice bi-sillaba  -- come  animo,  columna,  vidua,  susurrus,  titubare,  vacillare,  oscillare tentennare,  dondolare --  si  puo  considerare  o  come raddoppiamento o come  derivazione  di una voce  semplici più  antiche. Nella lingua dei romani, un verbo  semplice  p. e.  mitto, fero, traho, colle  sue  inflessioni  di persona,  di numero,  di tempo,  di modo,  e  coi  diversi  casi  de’suoi    participj, produce, nella sola  forma  attiva, circa un centinaio  d’inflessioni  -- mitto,  mittis,  mittens,  missuriis  etc.  etc. -- coir  aggìuiìta  delle forme nella voce passiva  -- mittor,  mitteris,  missus,  mittendus -- e  dei  nomi  ed  aggettivi  verbali  -- missio,  missilis y missivus --  ne forma duecento. Questo numero può ripetersi tante  volte quanti sono i verbi derivati e composti,  p. e.  mittito, AD-mitto, A-mitto,  eie.  epperò dalla sola  radice  uni-sillaba  di  mitt-o  possono diramarsi tremila suoni piu o meno diversi, ciascuno  dei quali esprime  un'idea in qualche grado modificata e distinta. P.  e., nelle  tre  voci  mitto,  misi,  mitfam,  vi  è  per lo meno la differenza  del tempo. Nelle voci  missuris  e  mittendis sono espresse tutte  quelle idee  che  in  italiano  significhiamo  con  dire:  a  quelli  che  manderanno,  ovvero  a  quelli  che  DEVONO ESSERE mandati.  Cosicché qui tre sillabe della lingua dei romani equivalgono  da  sette  a  tredici  sillabe  nella lingua degl’italiani. Codesti tremila vocaboli  nell’idioma  primitivo sono  rappresentati da una sola sillaba:  “mit.”  È  come la  quercia  rappresentata d’una  ghianda.  Qualunque sia  dunque  la  dovizia delle  forme  nelle  lingue  derivate, abbiamo  questa  legge  di  linguistica  che  le lingue  veramente  primitive  hanno  potuto consistere  in  poche  centinaia  di  radici  monosillabe. È  un fatto linguistico che  la lingua dei romani, la  lingua madre, nel propagarsi di paese in paese e nel venir  adottate  da  numerose  persone,  hanno perduto gran numero delle  loro  inflessioni. La lingua degl’italiani, paragonata alla lingua dei Romani, non ha più i verbi  passivi,  né i participi  futuri,  né i partecipali,    il genere   neutro, e  le  declinazioni dei  nomi  sono ridutte  a  due sole  desinenze: singolare  e  plurale.  Per rilevare le affinità non basta paragonare isolatamente  una  lingua  con un'altra. È necessario ravvicinarla a tutta la serie delle lingue della stessa  famiglia. A prima  vista  non  appare  similitudine  tra  il vocabolo dormire e il  tedesco  traumen,  che vuol  dire  sognare. Ma  appare  di  più  nell’inglese  “dream”,  che  ha le  stesse  consonanti  della lingua dei romani e lo stesso senso del  tedesco. Inoltre nelle due voci  della lingua dei romani, somniis  e  somnium,  e  nelle  italiane  “sonno”  e  “sogno”  si  trova  il  doppio  senso  di  dormire -- e  sognare. La  pronuncia  della lingua dei romani e della lingua degl’italiani proviene dalle loro origini, ossia dal genio imitativo più  o  meno DELICATO,  dalli  organi  vocali  più  o meno  flessibili, e  dall’abitudini  passate  in  tradizione.  E più facile mutare il  VOCABOLARIO dagl’italiani, dargli  una  nuova  lingua, che mutare la sua pronuncia. Questa  pronuncia sopravvive nei  dialetti,anche  dopo che  le  lingua è mutata. Ancora  oggi,  la  pronuncia e  il  dialetto  segnano  in Italia precisamente i confini  antichi  della  Gallia  Cisalpina  e della  Carnia  con  la  Venezia,  la  Toscana  e  la  Liguria. In  Italia, due soli dialetti  hanno  aspirazione:  il toscano  e  il bergamasco.  I due  dialetti  PIÙ DOLCI (forse) sono  il  veneto  e  il  siciliano,  alle  opposte  estremità dell'Italia. VICO rinvenne  nelle  radici latine  le  vestigia  d'una  antica  sapienza italica e fa  essendo  a  quei  tempi  ignota  ancora  la  scienza  linguistica  e  non  osservata  la  consonanza  della lingua dei Romani col  zendo  e  col  sanscrito,  Vico  attribuì  quella  sapienza alli  aborigeni  dell'Italia,  e  perciò  scrive  il  De  antiqiiissima  Italorum  sapientia  et  latinae  linguae  originibus  emenda, e correttamente! Carlo Cattaneo. Keywords: cinque giornate, community, communita, diada, monada, associazione, contratto sociale, conversazione, psicologia filosofica, psicologia, sociologia filosofica, ego e alter ego, logica e linguaggio, il latino, l’italiano di lombardia, il natale di Cattaneo – regione Lombardia – provincia -- – Milano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cattaneo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dello stratto --  scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I love Cattaneo, but then you would, wouldn’t you – He reminds me of H. L. A. Hart, and then *I* am reminded that Cattaneo translated Hart to Italian as a pastime! What I like about Cattaneo is that instead of focusing on “Roman law” and Cicero – he focuses on Pinocchio!”. Si laurea a Milano sotto Treves. Su consiglio di Treves e Bobbio ha soggiornato al St. Antony's, criticando Hart, professore di Giurisprudenza, di cui su suggerimento di Bobbio e Entreves ha tradotto “Il concetto di legge”. Insegna a Ferrara, Milano, Sassari, Treviso. Analizza l'evoluzione storica delle teorie della pena e le opere dei grandi giuristi italiani. Membro della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica. Altre opere: Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto” (Milano); “Il positivismo giuridico” (Milano); “Il partito politico nel pensiero dell'Illuminismo e della Rivoluzione” (Milano); “Le dottrine politiche” (Milano); Illuminismo e legislazione” (Milano); “Filosofia della Rivoluzione” (Milano); “Diritto liberale” “Giurisprudenza liberale” (Ferrara); “Filosofia del diritto, Ferrara); La filosofia della pena” (Ferrara); Delitto e pena” (Milano); Il problema filosofico della pena, Ferrara); Stato di diritto e stato totalitario, Ferrara); Dignità umana e pena nella filosofia di Kant, Milano); “Metafisica del diritto e ragione pura, studi sul platonismo giuridico di Kant” (Milano); “Goldoni ed Manzoni: illuminismo e diritto penale, Milano); “Carrara e la filosofia del diritto penale, Torino); “Libertà e Virtù” (Milano); Pena, diritto e dignità umana” (Torino); Diritto e Stato nella filosofia della rivoluzione” (Milano); Suggestioni penalistiche”; “Persona e Stato di diritto Discorsi alla nazione europea, Torino); Critica della giustizia, Pisa); L'umanesimo giuridico penale” (Pisa); Pena di morte e civiltà del diritto” (Milano); Terrorismo ed arbitrio, Il problema giuridico del totalitarismo, Padova); Il liberalismo penale di Montesquieu” (Napoli); Dignità umana e pace perpetua, Kant e la critica della politica” (Padova); “L’idolatria sociale (Napoli); “L’umanesimo giuridico, Napoli); Kant e la filosofia del diritto” (Napoli); Diritto e forza. Un delicato rapporto, Padova); Giusnaturalismo e dignità umana, Napoli); Dotta ignoranza e umanesimo” (Napoli); La radice dell'Europa: la ragione, uno studio filosofico-giuridico (Napoli). “Analisi del linguaggio e scienza politica” (Filosofia del diritto); “Il concetto di rivoluzione nella scienza del diritto, Milano, Istituto editoriale Cisalpino); “Il positivismo giuridico e la separazione tra il diritto e la morale” (Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Milano. Richiamo a istituti di diritto privato per la risoluzione del problema dell'origine dello stato, in “La norma giuridica: diritto pubblico e diritto privato, Atti del IV Congresso di Filosofia del diritto, Pavia, Milano, Giuffre); “Il realismo giuridico” in »Rivista di Diritto Civile”; Alcune osservazioni sui concetto di giustizia in Hobbes, in Il problema della giustizia: diritto ed economia, diritto e politica, diritto e logica, Atti del V Congresso Nazionale di Filosofia del Diritto, Roma (Milano, Giuffre); “Hobbes e il pensiero democratico nella Rivoluzione inglese e nella Rivoluzione francese, in »Rivista critica di storia della filosofia”; “Il positivismo giuridico inglese: Hobbes, Bentham, Austin, Milano, Giuffre); Il partito politico nel pensiero dell'illuminismo e della Rivoluzione francese, Milano, Giuffre); Le dottrine politiche di Montesquieu e di Rousseau, Milano, La Goliardica Stampa); Il positivismo giuridico, in »Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto«, “Il concetto di diritto” (Milano, Einaudi); “Considerazioni sul ‘significato’ della proposizione, ‘I giudice crea diritto«, in »Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto«; Illuminismo e legislazione, Milano, Edizioni di Comunita); Leggi penali e liberta del cittadino, in »Comunita«, Montesquieu, Rousseau e la Rivoluzione francese, Milano, La Goliardica); dispense del corso di Storia delle dottrine politiche, Milano); Quattro Punti, in »Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto«, Liberta e virtu nel pensiero politico di Robespierre, Milano-Varese, Istituto Editoriale Cisalpino); Considerazioni sull'idea di repubblica federale nell'illuminismo francese, in »Studi Sassaresi”,Liberta e virtu nel pensiero politico di Robespierre, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino); Filosofo e giurista liberale, Milano, Edizioni di Comunita); Filosofia politica e Filosofia della pena, in Tradizione e novita della filosofia della politica, Atti del Primo Simposio di Filosofia della Politica, Bari, Bari, Laterza); Pigliaru: La figura e l'opera, testo della commemorazione tenuta i125 giugno 1969 nell' Aula Magna dell'U niversita di Sassari, in »Studi sassaresi«, Milano); Le elezioni e il liberalismo. Autonomia dell'Universita e neo-corporativismo, in »La Rassegna Pugliese«, Anti-Hobbes, ovvero i limiti del potere supremo e il diritto co-attivo dei cittadini contro il sovrano (Milano, Giuffre); Anti-Hobbes o il diritto co-attivo dei cittadini --; Considerazioni suI diritto di resistenza e liberalismo, in »Studi Sassaresi«, Ill, Autonomia e diritto di resistenza, Milano); La dottrina penale nella filosofia giuridica del criticismo, in Materiali per una Storia della Cultura Giuridica, ICorso di filosofia del diritto, Ferrara, Editrice Universitaria); La filosofia della pena nei secoli XVII e XVII: corso di filosofia del diritto, Ferrara, De Salvia). Discutendo giurisprudenza con Treves, pone il problema che sarebbe stato al centro di tutta la sua vita di uomo impegnato nello studio, nell'insegnamento, nella vita civile. Interrogandosi suI rapporto fra “rivoluzione” e “ordine giuridico”, vale a dire fra “fatto” (de facto) e “diritto” (de iure), giunge alIa conclusione che da un punto di vista epistemico-doxastico-giudicativo-conoscitivo-descrittivo non e possibile distinguere tra ordine giuridico e regime di violenza, autoritatismo, perche il diritto non e giusto per sua intrinseca natura, ma soltanto se e concretamente rivolto ad attuare il valore del giusto e rispetto della persona umana. Il rapporto fra forza autoritaria e la forza della legge, che da il  titolo a uno suo saggio, e la relazione fra diritto o gius come valore, costituisce infatti la questione su cui non cessa mai di interrogarsi, nella prospettiva del fondamento metafisico (escatologico, propriamente) del concetto di ‘giure’ non e riducibile alla volizione o ragione pratica del legislatore propriamente adgiudicato (alla Aristotele). In questo modo, C. indica la ricerca del giusto come compito specifico della filosofia del diritto e  pre-annuncia il suo intero percorso filosofico caratterizzato da un assunto basilaro. La filosofia, come assere Socrate, ha il suo carattere precipuo nel porre un problema piuttosto che nel risolverlo o dissolverlo, e, come nel mito platonico della caverna, l’analisi concettuale si muove suI piano della trascendenza escatologica, diverso e superiore a quello della realta empirica o naturale. Anche la filosofia giuridica, in quanto filosofia, e aperta alla escatologia metafisica e, avendo come base la conoscenza del codice u ordine del diritto romano-italiano *positivo*, pone il problema della sua valutazione escatologica alIa luce del valore della dignita kantiana umana e del concetto di un “stato di diritto”. Compito del filosofo non e dunque *descrivere* il diritto positive fattico empirico esistente, ma conoscerlo per condurne una meta-analisi critica al fine del suo adeguamento al modello ideale platonico socratico di giustizia contro il neo-trasimaco di Hart. Il problema giuridico della rivoluzione.  Il concetto di rivoluzione nella scienza e nel diritto, Milano-Varese. Neokantismo nella filosofia del diritto di Treves, in Diritto, cultura e liberta. Diritto e forza. Un delicato rapporto, Paova. La filosofia del diritto: il problema della sua identita, in Filosofia del diritto. Identita scientifica e didattica oggi, Cattania. IL tema del rapporto tra Diritto e Letteratura è stato più volte trattato dal Prof. Mario Cattaneo che ha pubblicato i seguenti saggi: ”Riflessioni sul <De Monarchia> di Dante Alighieri”, “L’Illuminismo giuridico di Alessandro Manzoni” pubblicato nelle Memorie del Seminario della Facoltà di Magistero di Sassari., “Goldoni e Manzoni. illuminismo e diritto penale” e “Suggestioni penalistiche in testi letterari. Nella Introduzione del volume su Goldoni e Manzoni rileva che i rapporti tra diritto e letteratura e la discussione di problemi giuridici in opere letterarie non sono stati in generale molto studiati; non mancano tuttavia alcune ricerche concernenti soprattutto il diritto nel teatro  Sono stati compiuti degli studi sul significato giuridico di alcune opere di Shakespeare daJhering  e  Kohler ed è stato esaminato il pensiero di alcuni poeti tra cui in Italia soprattutto Dante del quale si sono occupati Carrara, Vaturi, Vecchio, Mossini  e lo stesso Cattaneo.  Vi sono importanti opere della letteratura europea che hanno affrontato problemi giuridici rilevanti come il “Kolhaas” pubblicato da H. von  Kleist  e “Delitto e Castigo” di Dostoevskijj,l’ Autore rileva peraltro che la presenza di temi giuridici nella letteratura è particolarmente rilevante nell’illuminismo data la sensibilità civile di questo movimento. Il volume è dedicato all’esame degli aspetti giuridici – soprattutto di diritto penale – di due grandi autori italiani: Goldoni ed Manzoni.  Cattaneo rileva l’accostamento tra i due grandi letterati deriva da alcuni elementi di contatto: Goldoni passò l’ultima parte della vita in Francia e vide il declino dell’ancien regime francese e Manzoni trascorse parte della giovinezza in Francia nel periodo napoleonico. Goldoni visse gli ultimi anni della sua vita a Parigi nei primi anni della Rivoluzione francese ma non sappiamo come abbia seguito le fasi della stessa mentre Manzoni li seguì e scrisse l’ode “Del trionfo della libertà” che manifesta le opinioni del suo Autore e verso la conclusione della vita scrisse “La rivoluzione francese e la rivoluzione italiana” un saggio che fu pubblicato postumo e che, secondo C.,  è ispirato a sentimenti di libertà  i due scrittori  hanno un orientamento differente Goldoni, bonario ed ottimista,  esamina gli aspetti gioiosi della vita pur con una punta di satira e critica della società mentre Manzoni esamina gli aspetti essenziali e drammatici  della esistenza umana, sotto il profilo religioso Goldoni risulta tiepido ed alquanto indifferente mentre Manzoni nelle sue opere affronta il problema religioso.  Cattaneo evidenzia che l’accostamento tra i due letterati è già stata istituita da alcuni studiosi e cita l’opinione espressa da Ferdinando Galanti che evidenzia che Goldoni diede all’ Italia la nuova commedia, il ritratto della vita sulla scena, Manzoni è importante per la nuova tragedia ed il romanzo lasciando un popolo di caratteri originali, vivi e che rimarranno nella memoria di tutti come figure casalinghe, parlanti, che saranno ereditate di generazione in generazione quale caro tesoro di famiglia. Galanti ritiene che Manzoni abbia continuato, nel cammino della verità, l’opera di Goldoni.  Questo giudizio è ripreso da Federico Pellegrini in uno scritto che indica come elemento comune <il rispetto della natura> e ricorda i giudizi favorevoli di Manzoni su Goldoni in materia di lingua. Pellegrini rileva che nelle Commedie di Goldoni come nei Promessi Sposi l’esuberanza della fantasia non offende la sobrietà dell’insieme e vi è una processione di personaggi buoni e cattivi al di sopra dei quali vi è una idealità: la vittoria del bene sul male, questo è la morale di tutti i drammi. Pellegrini raffronta ed accosta  i personaggi delle opere dei due letterati e conclude affermando che: i geni si incontrano. Il Mazzoleni ha istituito un confronto fra “I Promessi Sposi” e “La Putta onorata”  commedia in cui Bettina, fidanzata di Pasqualino, viene rapita dal marchese Ottavio. Le coincidenze tra le due opere peraltro escludono l’influsso di Goldoni su Manzoni, per cui vi è affinità non dipendenza.  Il Petronio nel suo libro ”Parini e l ‘illuminismo lombardo” mette in rilievo che. “ben quattro volte l’Italia ha tentato una letteratura realistica”: “Una prima volta con l’illuminismo, col Parini e Goldoni; una seconda con il romanticismo lombardo, i tentativi generosi del Berchet nel verso e i risultati luminosi del Manzoni nella prosa; una terza col verismo meridionale e la soluzione geniale ma singolare, senza seguito, del Verga; una quarta in questo secondo dopoguerra” Passarella ha associato Goldoni, Manzoni e Collodi nel suo studio “Goldoni filosofo” ed ha definito i tre letterati “i più grandi umoristi del mondo” scrivendo che “Mentre Manzoni narra di lotte intime di uomini travolti dalla malvagità e Collodi sorride delle cadute e degli sforzi di quel Pinocchio fatto di legno ed emotivo e vivo di tutti gli elementi dell’essere umano, sintesi di tutta l’umanità aggrappantesi sulla ripida china che conduce a essere degni di chiamarsi umani, il sorriso col quale Goldoni guarda i suoi attori dice che il suo problema è la socialità: scontri ed incontri, beffe e incomprensioni, cadute e risollevamento nelle opinioni altrui”   C. evidenzia anche che un breve cenno comparativo tra Goldoni e Manzoni sotto il profilo giuridico è svolto anche daJemolo  il quale scrive a riguardo che Goldoni, che aveva studiato giurisprudenza, cercò nella commedia “L’Avvocato veneziano” di darci una figurazione di avvocato virtuoso, per cui la toga è davvero una divisa di soldato: Manzoni nel mondo del diritto non ci ha lasciato che la immagine imperitura di Azzecca-garbugli, il ricordo caricaturale delle Gride dei Governatori e quello del conte-zio, alto burocrate del suo tempo, il quadro atroce dei giudici della Colonna infame.  Padoan ha rilevato in un suo scritto che anche oggi, e non senza qualche ragione, potremmo indicare in Goldoni una polemica contro l’ozio nobiliare, anteriore al Parini; un atteggiamento di interesse verso il mondo degli umili, che non fu senza influenza sul Manzoni. C. conclude l’introduzione al volume affermando che le citazioni prima esposte sono sufficienti a giustificare la trattazione dei due autori in un unico volume, la sua analisi prende in considerazione la visione del problema giuridico dei due scrittori ed analizza il pensiero giuridico nelle sue premesse di fondo.nelle sue fondazioni filosofiche, nella misura in cui fare questo è possibile; a tal fine ritiene che l’elemento unificatore dei due autori in relazione al diritto, indicato anche nel titolo è l’illuminismo   L’autore evidenzia che nel Goldoni avvocato, difensore della professione forense, che mette in rilievo diversi problemi giuridici in molte sue commedie, si risente, in modo non marcato, l’influenza dell’Illuminismo, che è la radice della sua satira sociale, della sua garbata critica della nobiltà e delle disuguaglianze sociali, come in Manzoni critico della giustizia umana e della incertezza giuridica, che satireggia i pubblici funzionari e  gli avvocati, raccogliendo l’eredità del grande nonno Beccaria. C. ritiene che, oltre le apparenti differenze,.<< sia rintracciabile, nel pensiero di Goldoni e di Manzoni, il filo conduttore dato dai principi fondamentali dell’illuminismo giuridico, principi che si possono individuare essenzialmente nella certezza del diritto e nella dignità della persona umana. L’autore riferisce degli Studi su Goldoni avvocato rilevando che la critica ha tenuto presente in modo primario del significato letterario delle sue opere  un breve cenno agli studi giuridici di Goldoni era stato fatto da un grande recensore contemporaneo al commediografo Schiller nelle due recensioni  alla traduzione tedesca dei “MÉMOIRES.”  nella letteratura italiana Zanardelli, importante esponente dell’Italia risorgimentale, cita Goldoni in alcuni passi del volume “L’Avvocatura”  soffermandosi sulla figura della commedia “L’Avvocato veneziano” delineato come il tipo ideale dell’avvocato. Gli scritti italiani più importanti dedicati a Goldoni avvocato, scarsamente  ricordati nelle bibliografie goldoniane, sono opere di due studiosi parenti di C. Il primo è l’articolo “Goldoni avvocato” di Pascolato il secondo è di Cevolotto, avvocato di Treviso  Pascolato rifiuta la tesi che Goldoni sia stato un dilettante della giurisprudenza ed afferma la reale e profonda cultura giuridica attestata dall’esercizio dell’attività forense a Pisa dove vinse persino tre cause in un mese e che evidenziano il carattere schietto e buono anche in mezzo ai volumi dei dottori; Cervolotto esamina gli studi giuridici di Goldoni di tre anni a Pavia, ad Udine, la sua attività di coadiutore del cancelliere criminale a Chioggia e la sua laurea in legge a Padova. Un capitolo è dedicato alla attività professionale a Pisa dove esercitò più nel criminale che nel civile. Il penultimo capitolo è dedicato all’esame degli aspetti giuridici delle commedie goldoniane specie la commedia “L’Avvocato veneziano” che costituisce una esaltazione del foro veneto e altre note commedie. Cervolotto ritiene che Goldoni fu senza dubbio giurista, oltre che avvocato di valore non certo mediocre o comune evidenziando i buoni studi benché saltuari da lui compiuti e la sua conoscenza di molte questioni giuridiche presenti nelle sue opere. Cattaneo cita anche gli studiCozzi  e di Zennaro  Il secondo capitolo è intitolato “Goldoni, la procedura criminale e Il problema penale”  e C. riporta un passo dei “Mémoires” di Goldoni che tratta il tema della procedura criminale ed è commentato dal Pascolato che rileva che <<quella procedura criminale, colla continua ricerca della verità, coll’assiduo studio dei caratteri, lo aveva ammaliato: è una lezione interessantissima per lo studio dell’uomo. Di verità e di caratteri Goldoni faceva allora provvisione per i giorni, ancora lontani, della sua gloria. E intanto voleva diventare cancelliere  Goldoni sottolinea la presenza nel diritto vigente di limiti posti all’inquisizione dell’imputato, a tutela di questi ma non appaiono nelle sue opere chiari intenti riformatori della procedura criminale. IL terzo capitolo è intitolato “L’Avvocato veneziano: Goldoni fra diritto civile e diritto naturale” C. rileva che Goldoni stesso mette in rilevo i due fondamentali temi della commedia: la difesa della onorabilità della professione forense mettendo in scena la figura di un avvocato onesto ed onorato e la contrapposizione di due sistemi giuridici e giudiziari, quello di diritto comune e quello veneto, dando a quest’ultimo la preferenza;  la commedia come è stato evidenziato da alcuni studiosi, rompe una tradizione letteraria e teatrale di derisione e messa in cattiva luce della figura dell’avvocato, dell’uomo di legge che troveremo invece nella figura completamente negativa del dottor Azzeccagarbugli ne “I Promessi sposi”   Il quarto capitolo si intitola “Il giusnaturalismo illuministico di Goldoni: La Pamela e altre opere”  C. rileva che le radici illuministiche e giusnaturalistiche  del Goldoni si manifestano in rapporto alla procedura penale, al diritto penale, al problema delle fonti del diritto, ai rapporti fra la funzione del giudice e le opinioni dei giuristi. Il giusnaturalismo e l’Illuminismo di Goldoni si manifestano soprattutto nelle opere teatrali aventi come oggetto, o come sottofondo, il tema fondamentale della uguaglianza fra gli uomini, al di là delle differenze fra le classi sociali. Tra le opere significative per questa prospettiva giuridica teatrali emergono “La Pamela”, “Il Cavaliere e la Dama”, “Il Feudatario” “Le femmine puntigliose” il dramma giocoso per musica “I portentosi effetti della Madre Natura” e la tragicommedia (così definita dall’autore stesso) in versi “La bella selvaggia” che trattano il contrasto tra natura e società, infine la commedia in versi “La peruviana” che vengono esaminate negli aspetti più essenzialmente rilevanti sotto il profilo filosofico-giuridico dall’autore   che conclude il capitolo affermando che: “Quando si trattava dei valori supremi, come la pace, anche Goldoni sapeva essere religioso e invocare la grazia del cielo”  La seconda parte del volume è dedicata all’analisi di Alessandro Manzoni.  Il primo capitolo si intitola “Studi su Manzoni e il diritto”  e Cattaneo passa in rassegna gli studi esistenti dedicati espressamente ed esclusivamente o all’idea di giustizia nel pensiero di Manzoni, o agli aspetti giuridici della sua opera. L ‘autore commenta il lungo articolo di Zino, “Il diritto privato nei “ Promessi Sposi”, esamina poi l’articolo di Alessandro Visconti “Il pensiero storico-giuridico di Alessandro Manzoni nelle sue opere”.. Il più importante e più completo studio sul pensiero giuridico di Manzoni è il volume di Roberto Lucifredi. “Manzoni e il diritto”. Tale volume si conclude con alcune considerazioni generali sulla mentalità giuridica di Manzoni e Lucifredi ritiene che Manzoni era molto dotato per lo studio del diritto e sarebbe divenuto un ottimo cultore delle discipline giuridiche, un ottimo magistrato, un ottimo avvocato nel senso più nobile della parola e della funzione.. Nel 1939 Fortunato Rizzi ha pubblicato il volume “Alessandro Manzoni. Il Dolore e la Giustizia”  di cui la terza parte è dedicata al problema della giustizia. Nel 1942 è uscito il saggio di Opocher “ Il problema della giustizia nei Promessi Sposi”  in cui ribadisce che tutto il capolavoro manzoniano è essenzialmente un poema sulla giustizia e conclude affermando: ”I Promessi Sposi non costituiscono soltanto la storia attraverso cui la Provvidenza sana le sofferenze del giusto, ma anche, e vorrei dire soprattutto, la storia attraverso cui la Provvidenza feconda queste sofferenze, facendone lo strumento della redenzione degli oppressori” Nel 1961 il Tanarda ha pubblicato uno scritto “Il diritto nell’opera di Alessandro Manzoni”  in cui ribadisce che Manzoni era cresciuto in una famiglia coperta da una grande aureola giuridica, nipote di Cesare Beccaria, familiare dei Verri, amico di Rosmini; per lo scrittore lombardo l’uso del diritto autentico non può mai contrastare con la morale. Concludo ricordando la  strenna natalizia dell’editore Giuffrè pubblicata in occasione del bicentenario manzoniano con il titolo “<Se  a minacciare un curato c’è penale>”Il diritto nei Promessi Sposi” con saggi di noti docenti quali E. Opocher e Cotta.  In “Valori morali, giustizia, diritto naturale” C. ritiene opportuno esaminare la concezione manzoniana della giustizia, anche nelle sue premesse teoriche sulla base sia di alcuni brani, di pensieri inediti e di scritti di sapore filosofico. Dalla analisi di due postille redatte da Manzoni e da un brano scritto dallo stesso C. deduce che il grande scrittore lombardo esalta la tesi della certezza delle verità morali, tra le quali l’idea del giusto istituendo un paragone tra verità morali e verità matematiche.  Secondo C. questo brano manzoniano è affine alla dottrina platonica delle idee espressa nel dialogo “Parmenide”, vi è inoltre una affinità con Kant che afferma che non è cosa assurda pretendere di far derivare il concetto di virtù dall’esperienza, perché ciò significherebbe fare della virtù qualcosa di ambiguo e di mutevole secondo le circostanza. In realtà è sulla base  della idea di virtù che si giudicano gli esempi empirici di virtù e di comportamento morale.  L’Autore richiama anche la filosofia di Rosmini, il più grande filosofo italiano, la cui filosofia si fonda sull’idea dell’essere e cita un brano del “Nuovo saggio sull’origine delle idee” .Va anche evidenziato che Manzoni ribadisce una sostanziale e piena identità fra morale e religione, come si rileva dalle “Osservazioni sulla morale cattolica “ dedicato alla critica della distinzione fra filosofia morale e teologica. Cattaneo sottolinea che per Manzoni le leggi umane non raggiungono mai la giustizia, viceversa, la religione conduce naturalmente alla giustizia, senza ostacoli, perché si appella alla coscienza, perché porta a dare volontariamente (in vista di un bene futuro), il che non provoca opposizioni, ma solo ringraziamenti e benedizioni.  In “Le gride e l’illuminismo giuridico ne < I Promessi sposi>”.  C. rileva che se il problema morale e religioso della giustizia pervade tutta l’opera di Manzoni, ed in particolare il suo celebre romanzo, Stampa, figliastro dello scrittore lombardo, narra che Manzoni dichiarò che la prima idea del suo romanzo gli venne dalla lettura della grida fatta vedere dal dottor Azzeccagarbugli a Renzo, nella quale sono minacciate pene contro coloro i quali <con tirannide> e con minacce costringono un prete a non celebrare un matrimonio.  Dall’esame dei brani di ”Fermo e Lucia”  e dei “I Promessi sposi” risulta che Manzoni muove una pesante critica al sistema, in quei tempi diffuso, di consorterie e di caste, inoltre, descrivendo criticamente la società e la situazione giuridica di Milano sotto la dominazione spagnola, indica chiaramente il modo in cui le leggi penali non dovrebbero essere e le caratteristiche che le stesse non dovrebbero avere  Il risultato pratico di quella legislazione è da un lato l’impunità del  colpevole e dall’altro la vessazione degli innocenti e dei privati indifesi da parte dell’autorità  Manzoni raccoglie l’eredità dell’Illuminismo giuridico nella critica alla proliferazioni delle leggi e dell’incertezza giuridica, che può sorgere sia dalla mancanza di determinazione precisa delle fattispecie penali, sia dalla enumerazione eccessivamente prolissa dei delitti, a questa critica è connessa la denuncia dell’arbitrio degli esecutori della legge, che possono aumentare a capriccio le pene delle gride ed ai quali è sottoposta ogni mossa dei cittadini  Lo scrittore lombardo critica anche la comminazione di pene sproporzionate, misura considerata ingiusta ed inefficace per la prevenzione dei crimini, l’impunità dei colpevoli è indicata dagli illuministi come il risultato pratico che spesso deriva dalla eccessiva severità o crudeltà delle pene.   Il quarto capitolo si intitola  “La critica dell’utilitarismo e della prevenzione sociale”. Cattaneo sottolinea che la sfiducia di Manzoni nella giustizia penale umana si traduce in un atteggiamento critico verso la prevenzione generale come compito e funzione della pena, che si riscontra in numerosi passi de “I Promessi Sposi”; l’autore cita a proposito il brano del capitolo V in cui è inserita la conversazione alla tavola di Don Rodrigo, a cui assiste Padre Cristoforo, relativa al tema della carestia. Il conte Attilio raccoglie la tesi che la carestia dipenda dagli intercettatori e dai fornai che nascondono il grano e ribadisce che bisogna impiccare senza misericordia tali delinquenti senza processi, in tal modo il grano sarebbe saltato fuori da tutte le parti.. Questo brano rappresenta la mentalità violenta ed aggressiva che sta alla base della teoria della pena come <esempio>, cioè una pena esemplare esorbitante rispetto alla effettiva colpevolezza del reo, mirata esclusivamente a <dare un esempio> agli altri, per uno scopo sociale ed utilitaristico; in tal modo viene peraltro giustificata  la punizione dell’innocente. In altri passi del celebre romanzo manzoniano si rileva un atteggiamento mirato ad indicare non solo l’ingiustizia ma anche l’inefficacia e l’inutilità della prevenzione generale, unitamene ad una condanna della moltiplicazione dei supplizi, che finisce per favorire l’impunità, come messo n evidenza dagli scritti di molti giuristi illuministi. Significativo è a riguardo la conversione dell’Innominato e le ragioni per cui il potere pubblico non intende procedere contro lo stesso per i suoi passati delitti, in al modo viene dimostrata l’inefficacia della punizione nel caso di una persona che ha cambiato vita perché questa potrebbe avere solo l’effetto opposto a quello voluto  Nel penultimo capitolo il commento di Manzoni sulla situazione del bando di Renzo dal Ducato di Milano dopo le vicende della giornata di San Martino denota la tesi dell’impunità come risultato dell’eccessiva proliferazione di minacce legislative e del carattere esorbitante, situazione che porta ad una frattura tra il comando legislativo e l’esecuzione della pena.  C. conclude istituendo un parallelo sostanziale ed oggettivo (se pure a qualcuno potrà apparire sforzato) tra Manzoni e Kant, dato che:  “la visione della morale, nonché del diritto, ed in particolare del diritto penale è svolta in una prospettiva anti-empiristica e ani-utilitaristica, ed è caratterizzata da un <liberalismo cristiano >, vòlto a difendere la persona umana da ogni prevenzione collettivistica e <sociale>”   Il quinto capitolo si intitola“ La storia della Colonna Infame”  L’autore ribadisce che il motivo fondamentale della critica conto la ragione di stato, contro l’utilitarismo sociale, contro il prevalere dell’interesse generale  e sociale sui diritti individuali sta alla base dello scritto “Storia della Colonna Infame” due anni dopo l’edizione definitiva de “I Promessi Sposi”.. Di recente tale opera ha sollevato critiche severe sotto il profilo storiografico e si è accusato il Manzoni di non essere uno storico, ma di guardare alla storia da moralista, sul modello del cosiddetto <astrattismo> illuministico settecentesco, e quindi di non studiare le vicende storiche con partecipazione e simpatia ma di giudicare i comportamenti umani secondo un codice morale superiore Tale critica è stata formalizzata da Benedetto Croce . Dopo una lunga ed attenta analisi dello scritto e di alcuni dei suoi maggiori studiosi C.conclude che i punti di vista in relazione ai quali il volume manzoniano ha dato un importante contributo sono tre:Manzoni ha dato un contributo alla comprensione della storia, affermandone la non inevitabilità e questo punto ha suscitato le maggiori discussioni interpretative e le reazioni negative dei seguaci dello storicismo. Tale scritto manzoniano, come ha sottolineato Rovani, <non è per nulla inferiore alle altre opere del Manzoni, anzi rivela il suo ingegno e la sua dottrina e la profonda sua acutezza anche nelle materie giuridiche>  Tale scritto è un’opera giuridica, è senza dubbio la più giuridica del Manzoni. Il significato più importante del saggio è quello morale, come rilevato da Tenca, Rovani e Passerin d’Entreves e consiste nella difesa del libero arbitrio, della libertà del volere e nella rivendicazione della responsabilità morale dell’uomo. Libertà interiore dell’uomo, responsabilità morale, dignità umana; questo è il trinomio in cui Manzoni fonda la sua lezione morale o, come potremmo dire, la sua lezione etico-giuridica   Il sesto capitolo si intitola “Manzoni e la criminologia”  L’autore evidenzia che l’analisi della “Storia della Colonna Infame” ha portato a mettere in rilievo l’idea del libero arbitrio dell’uomo quale elemento centrale dell’impostazione manzoniana dei problemi giuridico-penali, della sua condanna dell’operato dei giudici milanesi. Vi sono studiosi come Graf e Sergi  che hanno creduto di vedere in tale opera di Manzoni ed in alcune figure di criminali de “I Promessi Sposi” dei precorrimenti delle correnti criminologiche sviluppatesi nell’ambito della Scuola positiva di diritto penale, che, rileva Cattaneo, ha respinto l’idea del libero arbitrio dal problema dell’imputabilità penale ed ha seguito la strada del determinismo. L’autore esamina in particolare lo scritto di C Leggiadri Laura “Il delinquente ne <Promessi Sposi> rivolto ad interpretare il pensiero manzoniano in chiave naturalistico-deterministica   e lo scritto del Preve “Manzoni penalista” che segue l’interpretazione del Leggiadri Laura e delinea nelle figure dei criminali del romanzo i tipi classificati dalla scienza lombrosiana. Dopo un attento esame critico di numerosi passi delle opere dei due autori prima citati e di altri studiosi  C. conclude che non ritiene valida la concezione di Manzoni come precursore del positivismo penale e criminologico, dato che per i positivisti non è questione di giustizia e di libertà del volere, bensì di determinismo e di difesa sociale. In “Manzoni teorico generale del diritto?”, secondo C.,  la forma mentis giuridica di Manzoni appare evidente anche negli scritti storici e storico-giuridici, in particolare essa si manifesta in modo tipico nel “Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia”  oltre che nello scritto postumo sulla Rivoluzione francese. C. mette in evidenza un aspetto meno noto che è peraltro presente nel libro: le osservazioni concernenti il rapporto tra Romani e Longobardi e le leggi regolanti la loro convivenza, osservazioni che sono di natura di una teoria generale del diritto. Le osservazioni riguardano  in particolare la concessione data agli Italiani di vivere secondo la legge romana che fu considerata dal Muratori <un bel tratto di clemenza, e una prova, fra le mole, della dolcezza e saviezza dei conquistatori longobardi> Manzoni dimostra una sensibilità moderna perché si preoccupa secondo C. di rendersi conto di come fosse strutturato l’ordinamento giuridico sotto i Longobardi e evidenzia la <struttura a gradi> dell’ordinamento giuridico, per dirla come Kelsen  e definisce alcune norme <leggi costituzionali>, le leggi così designate sono le <norme di competenza> di Ross  e le norme secondarie di Hart, cioè le norme che conferiscono il potere di emanare, modificare, abrogare le altre norme, concernenti direttamente il comportamento dei cittadini. Manzoni si preoccupa di esaminare quali fossero le norme di statuto, di competenza o secondarie, espressione del potere longobardo, le quali regolavano la permanenza delle leggi romane, che regolavano il comportamento dei cittadini di origine romana.  L’ottavo capitola si intitola “Manzoni e la Rivoluzione francese”  Il rapporto tra Manzoni e la Rivoluzione francese durò in varie forme per tutta la vita del letterato lombardo. Questi visse molti anni in Francia nel periodo napoleonico, scrive il “Trionfo della Libertà“ un poemetto di sentimenti giacobini ed anti-monarchici  con la condanna delle spietate repressioni penali. Nel ”5 Maggio” Manzoni fornisce un giudizio equanime su Napoleone  dapprima glorioso e poi rapidamente caduto e rileva la caducità degli idoli umani  Nel dialogo “Dell’Invenzione” Manzoni  esamina la figura di Robespierre ed abbandona il cupo giudizio di <mostro> del politico francese pur non abbandonando la tesi di una responsabilità avuta da Robespierre nel Terrore ridimensionata dalle moderne storiografie  Lo studio che esprime nel modo più chiaro il rapporto di Manzoni con la Rivoluzione francese è il saggio pubblicato postumo a cura di Ruggero Bonghi “La rivoluzione francese  e la rivoluzione italiana”   I motivi su cui si basa La critica di Manzoni alla Rivoluzione francese sono  La mancanza di un giusto motivo per la distruzione del governo di Luigi XVI e di una autorità competente nei deputati del Terzo Stato che ne furono gli autori. Questa distruzione avvenne indirettamente ma effettivamente in conseguenza dei loro atti. Il nesso di queste cause con gli effetti indicati Le riforme legittime, sentite dal popolo francese, avrebbero potuto avvenire per vie pacifiche e legali;  Manzoni peraltro non si rende conto che la sua critica non tiene conto della situazione dell’ancien régime, in cui il potere trovava la legittimità dal diritto divino mentre la critica da lui avanzata è accettabile entro i presupposi giuridico-costituzionali creati dalla Rivoluzione francese  Il letterato lombardo sottolinea l’aumento del dispotismo  dal Terrore, al Direttorio, al bonapartismo come risultato immediato degli atti iniziali della Rivoluzione francese. Trattando della “Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo” Manzoni discute il suo rapporto con la precedente Dichiarazione americana sottolineando le differenze. Lo scritto di Manzoni ha senza dubbio il merito di evidenziare il contrasto fra gli ideali e le realizzazioni pratiche della Rivoluzione francese, nella sua critica lo scrittore lombardo critica, come in altre opere, il potere politico umano che riveste in forme giuridiche la sostanza dell’arbitrio e della prepotenza ed ad esso contrappone il valore assoluto dell’idea del diritto, che è <una verità>  Tale considerazione induce C. a proporre un altro parallelo fra la posizione di Manzoni e quelle di Kant e Robespierre. Kant ha negato il diritto di un popolo alla rivoluzione ed ha considerato l’esecuzione di Luigi XVI un crimine inespiabile ma nello stesso tempo è stato un convinto sostenitore della Rivoluzione francese; Robespierre <rivoluzionario legalitario, giudicato non equamente dal Manzoni, fu un uomo dal forte sentimento giuridico e, nel momento della sua caduta,pur  proscritto e ricercato all’Hotel de la Ville, benché fosse esortato dagli amici a redigere un appello all’insurrezione popolare esitò e si chiese <Au nom de qui?>   come è attestato dalla sorella Charlotte  Nella lunga ed articolata conclusione  C. ribadisce che il pensiero giuridico di due letterati ha numerosi elementi in comune e svolge alcune considerazioni sul metodo seguito. L’autore evidenzia che il suo saggio ha <un taglio diverso> dagli studi citati sull’attività forense di Goldoni, sul significato riformatore delle sue commedie e sulle implicazioni politiche del pensiero di  Manzoni. Il punto di vista seguito nel volume dal docente è quello della considerazione a un lato del diritto come <categoria autonoma>, dotato delle sue specifiche caratteristiche e dall’altro del diritto inteso come fondato filosoficamente, posto in relazione con problemi storici, politici e sociali. Lo studio degli aspetti giuridici e dei problema del diritto nl pensiero e nell’opera di Goldoni e Manzoni non è stato disgiunto all’esame dei temi della riforma sociale e della riflessione politica nella loro attività letteraria. Il punto di vista seguito sempre dall’autore, come da lui steso dichiarato, è stato quindi¨<quello dell’ autonomia del diritto, ma non inteso secondo una prospettiva meramente logico-formale, bensì basato su una fondazione filosofica, e dotato di rilevanza politica. . L’angolo visuale usato come punto di riferimento per i due letterati è l’illuminismo giuridico. L’illuminismo  è coevo di Goldoni, che anticipa Rousseau nella proclamazione del principio dell’uguaglianza naturale ed è aperto al problema della riforma sociale,come è riconosciuto da numerosi interpreti delle sue opere. I rapporti tra Goldoni e l’illuminismo giuridico sono più evidenti nel passo dei “Mémoires “ sulla procedura criminale e nelle commedie L’uomo prudente e L’Avvocato veneziano . Manzoni è posteriore all’illuminismo ma l’autore ha cercato di indicare la presenza di una eredità Illuministica, con riferimento ai problemi giuridici, ne “I Promessi sposi” e nella “Storia della Colonna infame” dove peraltro sono presenti degli elementi di superamento delle concezioni illuministiche.  Il docente ritiene di rifiutare la tesi diffusa di coloro che interpretano Manzoni esclusivamente dall’angolo visuale della linea agostiniana-pascaliana con venature giansenistiche negando il profondo legame con l’illuminismo, in realtà Manzoni si dimostra erede dell’illuminismo per l’habitus mentale razionalistico del suo pensiero, per la sua considerazione della ragione e per la sua ricerca delle radici razionali della fede; in tal modo il grande scrittore lombardo fa propria l’eredità migliore dell’illuminismo, il filone etico-religioso che si contrappone al filone ateo e materialistico  di alcune correnti.   Ragonese   e Caretti  hanno bene sottolineato i rapporti tra Manzoni  e l’illuminismo. C. conclude il suo saggio ribadendo che il motivo comune fondamentale di Goldoni e Manzoni è il principio cristiano ed illuministico (e kantiano) della dignità umana.  In Goldoni questo principio è meno evidente ma è legato soprattutto all’idea della comune natura umana, al di là delle differenze sociali, che appare in numerose commedie ed opere drammatiche, in Manzoni la difesa della dignità umana è svolta ad un livello di maggior profondità ed è connessa ad una prospettiva religiosa come traspare chiaramente dal testo recitato dal coro de “Il Conte di Carmagnola”   Nella Appendice  viene riproposto lo studio di Pascolato “ Goldoni Avvocato” pubblicato su “Nuova Antologia” Cattaneo pubblica “Suggestioni penalistiche in testi letterari”. Il libro, che  è dedicato alla memoria del Prof. Renato Treves, per molti anni ordinario di Filosofia del Diritto all’Università degli Studi di Milano, tratta le opere di numerosi letterati. Il libro, che si articola in 12 capitoli ed una appendice, tratta di  scrittori  che nelle loro opere hanno affrontato il  tema della pena o problemi di natura giuridica. Il lavoro, rileva l’Autore, non ha avuto una genesi unitaria  Il primo saggio scritto riguardava Parini, un “poeta civile” rappresentante di un Illuminismo cristiano ed equilibrato, è seguito il saggio su Collodi, l’uomo del Risorgimento che ha combattuto a Curtatone e che mostra nel suo aperto scetticismo nei confronti della legge e dell’autorità costituita una opinione diffusa di molti uomini dell’Italia post-unitaria tra cui il grande giurista liberale Carrara..Il terzo saggio è stato dedicato a Foscolo che nello scritto < L’orazione sulla giustizia> ed altri due scritti <La difesa del sergente Armani> ed <una lettera al “Monitore Italiano”> tratta problemi relativi alla pena  Il primo saggio del volume si intitola “Studi Dante e il diritto penale”  Lo studio riguarda il rapporto tra il grande poeta ALIGHIERI ed il diritto penale.. C. rileva che gli studi di storici e filosofi del diritto che hanno trattato il pensiero giuridico di Dante hanno trascurato l’aspetto penalistico. ALIGHIERI non si è occupato di diritto penale ma l’analisi del suo capolavoro mostra un elaborato sistema di rapporti tra colpa e pena. Numerosi studiosi hanno rilevato che le pene crudeli descritte nell’Inferno del poema dantesco sono molto lontane dalle prospettive della legislazione penale moderna anche se occorre distinguere tra la prospettiva morale e religiosa del poema dantesco e le finalità delle legislazioni penali attuali Dante peraltro opera una distinzione tra peccati puniti fuori e dentro la città di Dite che può corrispondere  ad una distinzione tra peccati e delitti, il più rilevante contributo indiretto dato da Dante al diritto penale è il criterio di graduazione delle gravità delle colpe e le corrispondenti pene come è stato evidenziato da Vecchio. Il maggior contributo diretto di  Dante alla cultura giuridica moderna sono l’affermazione del principio di uguaglianza e di personalità delle pene e l’affermazione della volontà del volere dell’uomo quale presupposto della conseguente valutazione del merito o del demerito delle sue azioni.  C. conclude che:” Certamente, fare apparire Dante come un grande giurista, un grande penalista, può risultare sforzato e retorico. Ma nello stesso tempo, non è assolutamente possibile e lecito ignorare il contributo, diretto o indiretto, che Dante ha dato anche al diritto penale; la Divina Commedia è un costante punto di riferimento per qualunque problema, religioso, filosofico, umano;  ricordo che mio Padre diceva che nella Commedia <<c’è tutto>>”  Nella introduzione ho accennato a due recenti approfonditi studi su Dante ed il diritto, un tema caro a molti studiosi  Il secondo saggio si intitola “Giuseppe Parini e L’Illuminismo giuridico”.   C. rileva che Parini, sacerdote non per vocazione ma uomo profondamente credente, fu sensibile a numerosi ideali illuministici di riforma civile ed attraverso una delle sue Odi  riprende le idee illuministiche sul diritto penale, che propugnavano il principio umanitario della doverosità della mitigazione delle pene considerando l’inefficacia di pene eccessive in determinati contesti sociali. Vi è dunque una continuità di principi da Parini, cattolico ed illuminista, a Manzoni e Rosmini, cattolici liberali, una continuità di principi ed ideali umanitari relativi al problema della pena e nell’ode Il bisogno è presente una concezione penale cristiana ed illuminista.  C. conclude il suo saggio affermando che Parini poeta civile e morale interpreta il momento migliore dell’Illuminismo e si fa portavoce dei suoi più significativi valori.  In “Foscolo e la giustizia come forza,” C. rileva che notoriamente Foscolo fu un poeta impegnato nelle vicende politiche del suo tempo segnato dalla rivoluzione francese e dall’epopea napoleonica. Negli scritti di natura penalistica  il poeta accoglie i principi della dottrina giuridica illuministica, come la difesa della certezza del diritto ed il rispetto delle garanzie processuali. Foscolo inoltre critica la teoria della retribuzione morale e quella della prevenzione generale. Il quarto capitolo è intitolato. “Le <veglie notturne> di Bonaventura e la critica dei giuristi”  un libro tedesco poco conosciuto in Italia, opera uscita anonima nel 1805 a Penig (Sassonia) presso il poco noto editore F Dienemann, che l’aveva pubblicata nel suo <Journal von neuen deutschen Original Romanen>. C. evidenzia che nelle pagine dedicate a temi giuridici viene messo in rilievo l’invito a rendere il diritto più umano ed a metterlo al servizio degli uomini. La descrizione del giudice freddo paragonato ad una macchina o ad una marionetta, il rimprovero ai giuristi che si assumono il compito di tormentare i corpi, come i teologhi tormentano le anime, l’uccisione della giustizia da parte dei tribunali, il richiamo al diritto naturale, che dovrebbe essere il vero diritto positivo, la critica di una giurisprudenza svincolata dalla morale  sono chiari segnali di una aspirazione ad umanizzare il diritto, specie quello penale. In “Heine e la satira delle teorie della pena”, C. analizza il breve scritto che Heine aveva aggiunto quale appendice al suo volume “ Lutezia”Lo scritto è dedicato  al problema della riforma delle prigioni ed alla legislazione penale e porta il titolo <Gefaengnisreform und Strafgesetzgebung>.  Il saggio, pur nella brevità, è un esame attento delle teorie fondamentali della pena. C. suggerisce  che l’analisi critica del poeta si traduce in una satira delle dottrine della retribuzione, dell’intimidazione e dell’emenda e coglie i punti centrali di tali concezioni. Heine sottolinea l’ingiustizia della teoria dell’intimidazione generale  ed evidenzia il carattere patriarcale e paternalistico delle teoria dell’emenda. Nell’esaminare il principio di una prevenzione dei delitti commessi con mezzi diversi dalla pena, Heine ritiene che bisogna agire con durezza, reclusione ed addirittura con la pena di morte concepite come prospettiva di difesa sociale. C. rileva che è sempre più chiara e più facile la parte negativa della filosofia penale, cioè la critica delle dottrine sulle pena che la parte costruttiva  cioè l’indicazione di un fine positivo nella funzione penale.  Heine critica inoltre il sistema carcerario filadelfiano e quello auburniano  In “Victor Hugo e la pena come fonte di delitti,” C. rileva che il problema giuridico penale è presente nell’opera letteraria di Hugo con una severa critica del sistema penale dell’epoca e la sua difesa della dignità dell’uomo. Il problema emerge chiaramente nel celebre romanzo “Les Miserables”  e nel suo protagonista l’ex-forzato Jean Valjean. Il romanzo affronta il problema di una pena sproporzionata ed inumana, che è causa di nuovi delitti e di una spirale indefinita di reati e pene successive. Il tema è sviluppato nella figura centrale di Valjean.  Tutte le tragiche vicende del protagonista nascono da un tentativo di furto dovuto alla miseria ed alla fame; a causa del furto di un pezzo di pane,che poi viene gettato via,Valjean è condannato a 5 anni di detenzione e, in seguito a tre successive evasioni di breve durata, la sua detenzione dura ben 19 anni.  Vi è una enorme sproporzione  tra il danno causato dal reato e la pena che trasforma ed indurisce Valjean, la cui psicologia viene analizzata in profondità da Hugo. La pena continua a gravare su Valjean anche dopo la liberazione per cui questi riesce a lavorare solo per una giornata data la sua qualità di ex-forzato. Hugo critica sia l’atteggiamento di diffida e di rifiuto di tutta la popolazione sia la macchia di infamia stabilita dalla legge. C. rileva che è ammirabile la battaglia combattuta da Hugo contro la pena di morte, la sua  denuncia della sproporzione tra la gravità dei delitti e le pene, la critica dell’assurdo criterio nel valutare la recidiva. Queste battaglie  sono importanti contributi all’evoluzione del diritto penale ed alla difesa della dignità umana.  In “Dostoevskij la coscienza e la pena,” C.  evidenzia la centralità del tema del delitto, della colpa e della pena nello scrittore russo, come è stato rilevato nel profondo scritto di Italo Mancini, che ha evidenziato sia la validità di una ricerca su Dostoevskij pensatore e filosofo sia  che per lo scrittore russo < la questione penale non rappresenta solo un contenuto ma il contenuto>. Gobetti a proposito dei personaggi dello scrittore russo ha rilevato che <I suoi personaggi non si sforzano mai di arrivare ad una verità, ma piuttosto di chiarire e capire sé stessi>>  Nel volume “I ricordi della casa dei morti “ lo scrittore russo ricorda l’esperienza personale della prigionia in Siberia e sottolinea chiaramente l’incapacità  del carcere di procurare l’emenda del reo dato che Dostoevskij rileva che nel corso di parecchi anni non ha visto tra quella gente il minimo segno di pentimento, il minimo rimorso per il delitto commesso; lo scrittore russo  indica anche nella solitudine e nella mancanza di privatezza un elemento di particolare tormento della prigione.  Il lavoro nella prigione, rileva lo scrittore russo,  non era faticoso ma era penoso perché obbligato sotto la minaccia di un bastone. Dostoevskij evidenzia anche l’ineguaglianza della pena per i medesimi delitti in relazione alla classe sociale, da cui deriva l’ingiustizia e l’inefficacia della pena. Radicale è la sua critica svolta nei confronti del regolamento carcerario e del comportamento ottuso e crudele delle guardie carcerarie, severo è il giudizio sulla prassi della fustigazione definita una piaga della società> Nel <L’idiota>  lo scrittore russo pone un giudizio duro e severo  sulla pena di morte in bocca al principe  Miskin nelle prime pagine del romanzo. Nel brano Dostoevskij sottolinea la svalutazione del carattere meno afflittivo della decapitazione rispetto ai supplizi accompagnati da tormenti e la sofferenza morale generata dalla attesa della esecuzione, che è peggiore della sofferenza fisica. Nel romanzo “Delitto e castigo”  Dostoevskij evidenzia la tesi della necessità della pena giuridica quale espiazione della colpa e come risultato del rimorso avvertito dal colpevole.  La trama del romanzo mette in luce la progressiva conversione, il rimorso e la ricerca di espiazione del colpevole. Cattaneo sottolinea che il Leitmotiv del celebre romanzo è la ricerca della espiazione sulla base di una spinta interiore e del rimorso e che  tale impostazione pone lo scrittore russo sulla linea del Platone del Gorgia e di BOEZIO nel <Consolatio philosophiae>. La conclusione giuridica processuale del romanzo rileva una sensibilità giuridica moderna che pende in considerazione le circostanze attenuanti, le cause sociali, psicologiche e morali del delitto ed il recupero morale e sociale del colpevole. Il finale giuridico evidenzia la complessità del problema penale e l’interesse di Dostoevskij, spirito umanitario e riformatore,  per la riforma del procedimento penale, d’altra parte, sul piano morale, rileva il  desiderio di espiazione che conduce all’emenda.  Dostoevskij  manifesta l’atteggiamento del cristiano che si sente corresponsabile delle colpe degli altri e riprende le parole di Cristo “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra contro di lei” C. ribadisce che per Dostoevskij il punto che più conta è il rimorso per la colpa commessa e la auto-condanna da parte del delinquente. La pena giuridica non ha rilevanza, ciò che conta è il processo di autocondanna, di espiazione e di redenzione che avviene nella coscienza del colpevole. In “Tolstoj e la abolizione della pena,” C.  ribadisce che lo scrittore russo postula una radicale abolizione del diritto penale in una prospettiva di amore cristiano e di non violenza. I temi giuridici vengono affrontati da Tolstoj un due opere “Resurrezione” e la novella “Il racconto di Koni”.  Il romanzo Resurrezione  è fondato su una vicenda processuale, la condanna ad alcuni anni di deportazione in Siberia della protagonista Ekaterina Maslova, diventata prostituta a seguito di tristi vicende. Tolstoj analizza il processo e la successiva pena dei forzati deportati ed evidenzia che negli istituti di pena gli uomini erano sottoposti ad ogni genere di umiliazioni inutili, catene, teste rasate, divise infamanti per cui si inculcava l’idea che qualsiasi violenza, crudeltà e atrocità era autorizzata dal governo per chi si trovava in prigionia nella sventura. Lo scrittore sottolinea il distacco tra la condanna e la concreta esecuzione della pena con le sue brutalità. In Tolstoj il tema fondamentale è l’indicazione dell’ingiustizia dell’intero sistema repressivo-penale e la sottolineatura delle cause sociali dei delitti come Victor Hugo.  Lo scrittore  suggerisce anche la necessità di abolire la pena e sostituirla con il perdono, un ideale sublime ma difficile da realizzare in pratica e che indica tutta la complessità del problema, C. si chiede se si tratta “del sogno di un visionario, una utopia generosa o di un ideale verso cui la società deve tendere.”  In “Pinocchio e il diritto”, C. rileva che l’opera di Collodi è stata oggetto di numerose indagini . Le ricerche sulla natura pedagogica ed educativa sono state sviluppate da Bertacchini, Il testo di Collodi è stato esaminato sotto il profilo filosofico e teologico nei due volumi scritti da Frosini e Biffi . Frosini evidenzia che: << Il mito di Pinocchio si rivela……come un mito  tipicamente risorgimentale,  al tramonto di un’epoca; e anzi proprio di un risorgimentalismo di stampo repubblicano e mazziniano>> basato su principi di umanitarismo positivistico. Biffi sottolinea che Pinocchio fu scritto quando l’Italia era unita politicamente ma non era una nazione consapevole di sé e concorde sui valori che danno senso alla vita. Il Collodi aveva un cuore più grande delle sue persuasioni, un carisma profetico più alto della sua militanza politica, così poté porsi in comunione forse ignara con la fede dei suoi padri e con la vera filosofia del suo popolo. . La lettura di Pinocchio evidenzia interessanti problemi e temi di natura giuridica e filosofico-giuridica e lo scritto di Cattaneo evidenzia soprattutto i temi più rilevanti dal punto di vista penalistico.  Cattaneo sottolinea che Lorenzini (ovvero Collodi) era un fine umorista  che sapeva cogliere il lato ridicolo ed insieme  doloroso della vita umana (opinione espressa anche da Lina Passarella nel suo scritto prima citato su Goldoni filosofo), e cita  ad esempio l’episodio dei pareri opposti dei medici al capezzale di Pinocchio in casa della Fata dal Corvo e dalla Civetta e quello della condanna del burattino derubato degli zecchini dal giudice-scimmione. Pinocchio scappa di casa ed è acciuffato da un carabiniere  per il naso (Cattaneo rileva in tal modo la naturale predisposizione dei cittadini ad essere oggetto delle interferenza da parte del potere); dopo la riconsegna di Pinocchio a Geppetto e le sue proteste il carabiniere, a seguito dei commenti della gente, rimette in libertà il burattino e conduce in prigione Geppetto che piange disperatamente. L’episodio mostra un membro dell’apparato giudiziario che arresta Geppetto sulla base delle opinioni della <voce pubblica> compiendo un atto arbitrario senza motivazioni precise e mostra un innocente debole ed inerme che non riesce a difendersi di fronte all’atto arbitrario del potere.  Un altro episodio interessante è narrato nel capitolo XXVII, dove si descrive la battaglia con i libri di testo fra Pinocchio ed i suoi compagni. Un grosso volume scagliato verso Pinocchio colpisce alla tesa un compagno che cade come morto. Tutti i ragazzi fuggono e rimane Pinocchio a soccorrere il compagno. Arrivano due carabinieri che,dopo un breve colloquio, arrestano Pinocchio malgrado le sue dichiarazioni di innocenza. Il burattino fugge inseguito dal cane Alidoro al quale salva la vita mentre stava per annegare. Cattaneo evidenzia a riguardo che la vittima del potere è l’innocente, l’unico trovato vicino ad Eugenio, che viene arrestato perché le circostanze sono contro di lui La frase dei carabinieri “Basta così” è commentata da Biffi che evidenzia che l’invito a ragionare insospettisce spesso l’autorità, la quale è incline a tagliar corto. In molte vicende giudiziarie si nota che una concatenazione di indizi sfavorevoli dà l’avvio a processi indiziari seguiti da condanne di persone innocenti.  Un altro episodio clamoroso di palese ingiustizia è la vicenda che conclude il rapporto tra Pinocchio ed il due truffatori La Volpe ed il Gatto.  Pinocchio incontra la Volpe ed il Gatto e viene convinto a seminare i 4 zecchini d’oro nel Campo dei miracoli vicino alla città di Acchiappacitrulli. Tale città descritta minuziosamente  da Collodi  è,secondo C., e il simbolo dell’ingiustizia e di un diritto positivo basato sul puro potere politico; tale città esprime in modo chiaro il pericolo del prevalere della politica sulla giustizia  nella amministrazione della giustizia, come dimostra l’episodio giudiziario che riguarda Pinocchio. Pinocchio accortosi di essere stato derubato delle monete d’oro torna in città e denunzia al giudice i due malandrini che lo avevano derubato, ma,invece di ottenere giustizia, è vittima di una tragica beffa.  Il giudice scimmione, al quale Pinocchio si era rivolto,  ordina che il burattino  venga messo in prigione. L’ordine viene eseguito da due mastini che tappano la bocca al burattino, il quale resta 4 mesi in prigione e viene liberato a seguito di una vittoria dell’imperatore della città di Acchiappacitrulli.  Per ottenere la libertà Pinocchio dichiara al carceriere di appartenere al numero dei malandrini e così viene salutato rispettosamente e può scappare. C. rileva che la figura dello scimmione sottolinea la miseria della giustizia umana ed il carattere insoddisfacente dei tribunali umani dove, come scrive Platone, si discute sulle “ombre della giustizia” Biffi nel suo volume rileva dapprima l’aspetto positivo della figura del giudice che è descritto come un personaggio rispettabile, benevolo, attento al racconto del burattino, successivamente Biffi sottolinea che la figura dello scimmione della razza dei gorilla rappresenta la caricaturalità della giustizia terrena rispetto a quella vera, per cui  il giudice finisce con applicare la legge umana che con i suoi meccanismi colpisce il debole anche se innocente. Cattaneo rileva che la situazione proposta da Collodi ricorda quella descritta da Manzoni ne I Promessi Sposi dove i violenti erano organizzati e protetti ed i deboli, non sorretti da consorterie, erano vittime dei soprusi del potere.   La lettura di Pinocchio di Collodi ed in particolare di alcuni brani può dar luogo a considerazioni di natura filosofico-giuridica e giuridico- penale, come suggerisce acutamente  C. nel suo volume. Merito indubbio di Collodi è descrivere alcune situazioni caratterizzate da abuso di potere, oppressione dei deboli e sfasamento dei corretti rapporti stabiliti dagli ordinamenti giuridici, come del resto è stato rilevato da numerosi importanti interpreti. E’ opportuno sottolineare che il capolavoro di Collodi, come molte altre opere letterarie, affronta importanti problemi giuridici tra i quali va segnalata l’importante e costante aspirazione perenne che la legge in essere non sia solo la volontà del gruppo sociale dominante, una forma di controllo sociale, e che inoltre l’ordinamento giuridico tuteli la dignità e le aspirazioni degli uomini come attesta la storia del diritto. Il capitolo decimo è intitolato “Wilde e le sofferenze del prigione”  Wilde in alcune sue opere ha descritto la sua penosa esperienza carceraria ed il clima del carcere., lo scrittore inglese fu condannato a due anni di carcere che scontò interamente.  C. evidenzia che <Wilde fu il tipico capro espiatorio dell’ipocrisia della società vittoriana> Lo stesso letterato nel <De Profundis>,  redatto in carcere, attesta di essere passato dalla gloria all’infamia con un mutamento dell’opinione pubblica dalla esaltazione al disprezzo. Le osservazioni di Wilde sul problema della pena nel suo celebre <De Profundis> e nella accorata <The Ballad of Reading Gaol> hanno fornito un importante contributo alla battaglia per la riforma del sistema carcerario. Il volume <De profundis> fu redatto da Wilde negli ultimi anni carcere. L’opera è redatta sotto forma di lettera all’amico Alfred Douglas <Bosie> e contiene molti rimproveri all’amico per i suoi atteggiamenti durante il processo ed il successivo carcere. L’opera, dopo molte controversie, fu pubblicata definitivamente dal figlio di Wilde Vyvyan Holland. All’inizio dell’opera Wilde rimprovera l’amico Douglas   e soprattutto sé stesso e riflette sul suo stato di persona imprigionata e rovinata <a disgraced and ruined man>   lo angoscia dopo la sentenza e l’esperienza carceraria e e. Lo scrittore inglese rileva che per chi vive in carcere la sofferenza che lo domina è la misura stessa del tempo ed il fondamento del proprio continuare ad esistere  Wilde evidenzia che la terribile esperienza in prigione sia stata per lui più dolorosa che per altri e si e si lamenta per la perdita della patria potestà sui due figli e rimarca l’ingiustizia di tale procedimento che incrina il rapporto familiare. Lo scrittore rileva che per i poveri la prigione è un dramma che tuttavia suscita peraltro la simpatia delle altre persone mentre per gli uomini del suo ceto la prigione li rende dei <paria>, per cui i condannati di ceto abbiente non hanno più diritto all’aria ed al sole,la loro presenza infetta i piaceri degli altri e bisogna tagliare i legami con l’esterno dato che l’onore e la reputazione della persona condannata è leso.   Wilde evidenzia anche che molte persone,quando escono di prigione, nascondono il fatto di essere stati in carcere che considerano una sciagura e, rileva lo scrittore inglese,, è orribile che la società li costringa a tale comportamento. La società ha il diritto di punire i colpevoli ma non riesce a completare ciò che ha fatto e lascia l’uomo al termine della pena, quando dovrebbe iniziare la riabilitazione, sarebbe giusto invece che non ci fosse amarezza o rancore tra le parti (colpevoli e vittime). Cattaneo evidenzia l’ipocrisia che sta dietro l’idea della retribuzione morale  e cioè che subendo la pena il colpevole abbia pagato il suo debito verso la società, se si applicasse tale principio, dopo la fine della pena tutto dovrebbe cessare e non dovrebbero esservi più né fedine penali né casellari giudiziari. Nella realtà comune resta una macchia sulla persona che è stata in carcere, un pregiudizio che la società perpetua e l’onta non deriva dal delitto commesso ma dalla pena scontata. La società riconosce implicitamente l’inutilità della pena perché l’onta del colpevole incarcerato rimane. Analizzando la vita in carcere Wilde sottolinea che le privazioni e restrizioni del carcere rendono una persona ribelle ed impietrisce i cuori dei condannati. L’abito dei carcerati li rende grotteschi come clowns, oggetto di derisione e berlina della gente. Tali sofferenze ed umiliazioni dei condannati sono contrari al principio della dignità umana che Wilde riafferma come profonda esigenza morale della società. Lo scrittore afferma anche che tutti i processi sono processi per la propria vita e tutte le sentenze sono sentenze di morte; spesso anche una condanna alla prigione genera delle sofferenze che conducono alla morte e va rilevato che Wilde stesso morì pochi anni dopo il carcere in Francia . Wilde scrisse anche <The Ballad of Reading Goal>, l’anno del suo rilascio. in questa lunga ballata il poeta inglese descrive le  sofferenze e le crudeltà cui aveva assistito durante la prigionia e dalle sue considerazioni sulla triste sorte dei carcerati risulta un grande senso di pietà per i carcerati ed i condannati a morte. La poesia è pervasa da spirito religioso e Wilde mette in confronto il vero spirito cristiano, la pietà per i sofferenti ed i peccatori con l’atteggiamento chiuso, duro ed indifferente delle istituzioni religiose ufficiali e dei cappellani delle carceri . Cattaneo rileva che la tragica esperienza personale ha portato Wilde ad affrontare il tema della riforma delle prigioni e del sistema penale del quale si era occupato nello scritto “The soul of man under socialism” . Dalle riflessioni dello scrittore inglese redatte nelle opere dopo il carcere si ricava una denuncia della brutalità del trattamento carcerario e della inumanità nell’esecuzione della pena con critiche alla utilità sociale della stessa   In “Gide e il non giudicare,” il problema giuridico-penale è stato esaminato anche da un noto scrittore francese contemporaneo Gide, che lo ha affrontato in tre stimolanti scritti “Souvenir de la Cour d’Assise” che racchiude la sua esperienza quale giurato in alcuni processi penali, “L’affaire Redureau” e “La sequestrée de Poitiers” che poi sono stati pubblicati insieme in una raccolta dal titolo ”Ne jugez pas”  C. rileva che di tale scritto non si sono occupati molto i critici ed i commentatori, come sempre avviene quando si tratta di problemi giuridici in veste letteraria. L’analisi del volume di Gide è interessante perché il libro è molto rilevante per lo studio di rapporti tra diritto  penale  e letteratura e costituisce delle precise prese di posizione dirette su temi giuridico-penali, desunti dalla realtà della vita. C. mette in luce l’attenzione, la precisione, la serietà e la preparazione dimostrate dallo scrittore francese nel trattare i temi giuridici, soprattutto per la precisione del linguaggio giuridico. Gide dimostra competenza nel trattare problemi giuridico-penali e probabilmente “l’ indagine di certi casi criminali lo induce all’analisi di talune zone inesplorate della psiche umana”  L’atteggiamento dominante di Gide  è il “favor rei”  che si esprime in due modi o a due livelli: da un lato sul piano processuale lo scrittore volge l’attenzione al rispetto delle garanzie dell’imputato, ad una equilibrata ed equa conduzione dell’interrogatorio, alla escussione di tutti i testimoni, specie quelli della difesa. Lo scrittore francese solleva anche  nei suoi scritti l’esigenza di una riforma del modo di porre le domande ai giurati e di chiarire il loro contenuto. Gide si mostra sempre umano e compassionevole verso i colpevoli, mostra l’esigenza che la pena sia in generale ridotta e che si tenga conto degli elementi che valgono a titolo di difesa, quali motivi di giustificazioni e scuse. Lo scrittore francese si preoccupa che la pena possa causare mali peggiori e cerca di evitare risultati negativi della stessa. C. evidenzia che in sostanza nel libro di Gide “è primaria l’attenzione per l’uomo, la sua complessità e la sua imperscrutabilità psicologica, che porta al dubbio e alla perplessità circa il fatto che alcuni uomini possano giudicare altri uomini, queste pagine sono dunque dominate dal monito evangelico, per cui particolarmente adatto risulta il titolo complessivo della raccolta: Ne jugez pas.”  In “Franz Kafka, la legge e il totalitarismo”   C. ha discusso in molte opere il problema del totalitarismo che è stato analizzato soprattutto nel suo volume “Terrorismo ed arbitrio Il problema giuridico del totalitarismo”  Analizzando le opere di Kafka C. premette che è particolarmente rilevante il pericolo di un forte divario fra la letteratura critica ed interpretativa ed il testo originario dello scrittore per cui ritiene che siano legittime molte diverse interpretazioni dell’opera di Kafka, e molte <chiavi di lettura> ., certamente l’interpretazione più interessante dello scrittore ceco è quella data dall’amico Max Brod,  che evidenzia la religiosità ebraica presente nelle opere di Kafka ed in questa chiave interpreta i brani relativi al problema della legge, del processo e della colpa. Una interpretazione giuridica delle opere di Kafka è stata compiuta da Pernthaler.C. intende esaminare alcune opere di Kafka dalle quali il problema della legge emerge anche dal punto di vista filosofico-giuridico  In tali opere di Kafka ricorre il tema del difficile rapporto dell’uomo con la legge, che è interpretato in chiave religiosa o in chiave psicologica o psicoanalitica ma che può essere analizzato anche dal punto di vista filosofico-giuridico. C. esamina alcuni temi che emergono da “Il Processo”  dall’apologo “Vor dem gesetz”, dallo scritto ”Zur Frage der Gesetze” e dalla novella “In der Strafkolonie” e dall’analisi complessiva di tali opere interpreta Kafka come profeta e critico del totalitarismo che fu instaurato in alcune nazioni dopo la sua morte, lo scrittore ceco delinea situazioni di angoscia, di incertezza, di impossibilità di comunicazione, di errore e di ferocia tipiche del totalitarismo. Kafka collega la burocrazia e l’oppressione del potere sugli uomini caratteristica del nascente totalitarismo . PCitati rileva che <Nel Processo, l’immenso Dio sconosciuto, di cui non ascoltiamo mai pronunciare il nome, ha invece una vita così intensa e un potere così illimitato, come forse non ha ma avuto nei tempi> L’interpretazione di Citati è più psicanalitica che religiosa ma è priva di prospettiva giuridico-politica. Di impronta psicoanalitica è l’interpretazione data da Sgorlon del <Processo> di Kafka  ma la prospettiva giuridico politica, trascurata da questi studiosi, è presente e C.  evidenzia che proprio nel primo capitolo, in cui è narrato l’improvviso arresto mattutino di Joseph K esprime in modo preciso proprio la sensazione del passaggio graduale ed insensibile dallo Stato di diritto allo Stato totalitario .Di seguito le indicazioni che Joseph K riesce a ricevere da parte di vari personaggi connessi al Tribunale concernenti il meccanismo, il funzionamento, l’andamento del processo mettono in luce la totale assenza di garanzie giuridiche e processuali, di tutela dell’imputato, elementi che costituiscono l’esatta antitesi dello Stato di diritto Il tema della inconoscibilità e irragiugibilità delle leggi è ripreso da Kafka nello scritto <Zur Frage der Gesetze> In tale scritto Kafka delle <nostre leggi> che non sono conosciute da tutti, ma sono un segreto del piccolo gruppo della nobiltà che ci domina. Kafka dichiara di non avere in mente tanto gli svantaggi derivanti dalle diverse possibilità di interpretazione, quando questa è riservata ad alcuni e non all’intero popolo, questi svantaggi non sono poi molto grandi. Le leggi sono antiche, secoli hanno lavorato alla loro interpretazione, l’interpretazione è diventata essa stessa legge, e sussistono sempre, benché limitate, alcune libertà di scelta dell’interpretazione  Il motivo dominane l’intero scritto è il carattere inconoscibile della legge, dato che la legge è misteriosa e nessun membro del popolo è in grado di conoscerla per cui è comprensibile che vi sia qualcuno che arriva a negare l’esistenza delle leggi e riconosce peraltro il diritto all’esistenza della nobiltà  La fredda descrizione di uno strumento di supplizio, nell’ambito di un sistema processuale completamente privo delle fondamentali garanzie è il messaggio del racconto <In der Strafkolonie> (Nella colonia penale) e la conclusione della novella di Kafka riflette la logica del totalitarismo per cui quando il viaggiatore comunica all’ufficiale di essere avversario di questo sistema punitivo, l’ufficiale si rende conto di essere rimasto il solo difensore di tale sistema punitivo e libera il soldato dalla macchina del supplizio, si denuda e si pone lui stesso sul lettino al posto del condannato, la macchina del supplizio inizia a funzionare  e l’ufficiale muore senza aver capito il senso del supplizio   come ogni sistema totalitario si autodistrugge e divora i propri figli C. cita la fucilazione dei coniugi Ceausescu operata nell’ambito del totalitarismo comunista. L’Appendice del volume è intitolata “Vaclav Havel e la legge come <<alibi>> nel sistema post-totalitario” Havel, noto scrittore contemporaneo, che è stato Presidente della repubblica cecoslovacca, è autore di numerose opere letterarie e teatrali. C. ritiene che se Kafka rappresenta il tempo del pre-totalitarismo, Havel rappresenta il post-totalitarismo,al quale ha dedicato uno scritto bblicato che l’autore del volume esamina nella traduzione tedesca.  Havel delinea l’opposizione al comunismo, nel suo momento post-totalitario, come tentativo di vivere nella verità; la verità, intesa come opposizione ad un sistema che si fonda e si regge sulla menzogna. Lo scritto ha un carattere etico-politico ma contiene importanti pagine di natura giuridica e di critica dell’ordinamento giuridico proprio del regime totalitario e post-totalitario.  Tale sistema politico è caratterizzato, secondo lo scrittore ceco,  come una dittatura della burocrazia politica su una società livellata. Lo scrittore ceco  elenca le caratteristiche del sistema <post-totalitario> che lo distinguono dalla dittatura tradizionale ed evidenzia che  tale sistema non è delimitato territorialmente ma domina in un ampio blocco di forze ed è retto da una superpotenza  mentre le dittature classiche non hanno una solida radice storica, la radice di tale sistema dono i movimenti operai e socialisti. Tale sistema dispone di una ideologia strutturata ed elastica che ha i caratteri di una religione secolarizzata ed offre una risposta ad ogni domanda dell’uomo in una epoca di crisi delle certezze esistenziali. Alle dittature tradizionali spettano elementi di improvvisazione per quanto attiene alla tecnica del potere mentre lo sviluppo di anni nell’Unione sovietica e di anni nei paesi dell’Est europeo ha dimostrato la creazione di un meccanismo perfetto, che permette la manipolazione diretta ed indiretta della società. La forza di tale sistema è incrementata dalla proprietà statuale  e dalla amministrazione centralizzata dei <mezzi di produzione>  Nella dittatura classica vi è una atmosfera di entusiasmo rivoluzionario, di eroismo, di spirito di sacrificio che sono scomparsi nel blocco sovietico. Tale blocco sovietico, che è un elemento solido del nostro mondo, è caratterizzato dalla stessa gerarchia di valori presenti nei paesi occidentali sviluppati e  sono una forma di società consumistica ed  industriale. Il sistema sopra descritto è designato da Havel come <post-totalitario> perché è un sistema totalitario con caratteristiche diverse dalle dittature classiche e, rispetto al totalitarismo classico, è caratterizzato da una misura più attenuata di terrore ed arbitrio  Havel considera il sistema post-totalitario come caratterizzato dalla menzogna, ciò è un effetto del dominio della ideologia; gli uomini non devono credere alle mistificazioni totalitarie ma tollerarle in silenzio ed accetta, ciò è un vivere nella menzogna  e  lo scrittore insiste sul valore e sul significato morale ed esistenziale della dissidenza. Per quanto riguarda l’ordinamento giuridico nel sistema post-totalitario  lo scrittore rileva  che tale sistema sente la necessità di regolare tutto con una rete di prescrizioni, norme, istituzioni e regolamenti per cui gli uomini sono delle piccole viti di un meccanismo gigantesco.  Le professioni, le abitazioni ed i movimenti dei cittadini e le sue manifestazioni sociali e culturali sono controllate, ogni deviazione viene considerata un passo falso ed una manifestazione di egoismo ed anarchia. Havel rileva che non bisogna prendere alla lettera l’ordinamento giuridico e ciò che conta è come è la vita e se le leggi servono alla vita o la opprimono ¸la battaglia per la legalità deve vedere questa legalità sullo sfondo della vita come è realmente.  Analizzando il rapporto tra la società post-totalitaria e la moderna civiltà tecnologica, con riferimento anche agli scritti di Heidegger, Havel rileva che il sistema post-totalitario è solo un aspetto della generale incapacità dell’uomo contemporaneo di divenire <padrone della propria situazione> e la prospettiva giusta è quella di una rivoluzione esistenziale generalmente comprensiva  L’aspetto più interessane di Havel è la delineazione dei caratteri del sistema post-totalitario come fenomeno sorto dall’incontro della dittatura con la società industriale e consumistica.  Per quanto riguarda i problemi giuridici, Cattaneo rileva che Havel sottolinea il significato autentico del diritto, che deve avere coscienza dei propri limiti naturali, il diritto ha un significato esteriore, deve difendere alcune esigenze minime (tutela della convivenza civile dalla violenza e dalle invasioni nei diritti altrui ma non deve pretendere di adempiere a compiti per cui non è adatto  - In tal modo, sottolinea C., il letterato ceco riprende la migliore lezione del liberalismo classico per cui il diritto non è al servizio del potere, ma può essere un valore solo in quanto esso sia un mezzo di difesa e la garanzia della libertà e della dignità dell’uomo   Il grande insegnamento del letterato Havel è la tutela del valore più calpestato dal totalitarismo, la dignità umana che è lo scopo fondamentale ed essenziale del diritto,  dato che diritto e libertà sono collegati ed il diritto ha valore se garantisce e protegge la libertà. DISSERTAZIONE SULL’ORIGINE DELL’ANTICA IDOLATRIA E SULLA FORMA DE’PRIMI IDOLATRICI SIMULACRI COMPOSTA DALL'ABATE; Giuseppe luigi traversari H Patrizio Ravennate, Canonico Arciprete della Infigne Collegiata di Meldola, e tra gli Arcadi.LANIO' ATENIENSH.     PRESSO GIOSEFFANTONIO ARCHI.  DISSERTAZIONE   SULL' ORIGINE   DELL’ ANTICA IDOLATRIA  E SULLA FORMA DE' PRIMI   IDOLATRICI SIMULACRI. AL NOBILISSIMO CAVALIERE,   E DOTTISSIMO LETTERATO IL SIGNOR CONTE AURELIO GUARNIERI   PATRIZIO OS1MANO  L’AUTORE. Veneratissimo Signor Conte  fi 'S T fi Aria, intralciata, difficile, e per nju-  /. X no, ch’io fappia, di proposto rifchia-   tt » rata fi è la Queftione, che mi vien pro-   OS A porta a trattare, veneratiffimo Sig. Conte ; cioè fe i Simulacri primieri delle pagane divinità fodero lemplici e rozze Pietre, o quadrate, o rotonde, lenza veruna umana, o animalelca ferabianza . Io ricevo con Ibmmo giubbilo per  una parte l’onore de’ voftri cenni, e vi fi) al maggior fegao buon grado per avermeli gentilmente  partecipati . E’ una degnazion Angolare la voftra il  credermi pur capace di l'oddisfarvi in materia di erudizione . Ma per l’ altra ben coaofcendo la pochezA 3 za del v/ 6 ' Dksert. sull* Origine   za del mio talento, e la fcartezza di mie cognizioni, provo un eftremo roflòre di non potervi ubbidire in quel modo, che ad un voftro pari, ed alla  qualità dell’ argomento fi converrebbe. Inclinato  per genio all’ amena Letteratura, ma Tempre da impieghi fagri, e da gravi Itudj recinto, e fommerlo in occupazioni tutte diverte, lenza tempo, lènza relpiro come potrò teftenere la qualità di Letterato innanzi a Voi, che in ogni maniera di colte  Lettere liete Maeflro ? E ben fapete quanto male incontrante a colui, che fu ardito parlar di guerra inT 4 nanzi ad Annibaie. Ciò non pertanto, fcnibrandomi più teoncia la taccia di malcreato, e di (conofcente, che non quella d’ignorante, e di mal efperto, a telo fine di tellimoniarvi per alcun modo la  mia oltervanza, mi farò lecito di comunicarvi i miei  penlamenti. Sarà quindi gentile impiego del voltro  bel cuore infieme, e della vofira dottrina il compatirli te rozzi, o il rigettarli fe erranti. Permettetemi però, gentilifitmo Sig. Conte, che io nel  diitenderli mi allontani alquanto dal metodo fecco  e digiuno, che per alcuni fi tiene, e che foltanto  confine nel produrre Autori a rifate, e inzeppar felli, e affafteflar citazioni. Comecché molto io lodi  la fatica e l’ induftria di chi procede fifFattamente,  la materia, che abbiamo tra mano, fe io non vò  lungi dal vero, brama di fpaziare in più aperto cammino, « di venir rintracciata da’ Tuoi vetulti principi.  In due parti perciò credo ben fatto il dividere la  prefente Dillèrtazione, che a Voi trafmetto, e coufacro. Ragionerò nella prima alcun poco della origine, delle maniere, e degli oggetti di quella fatale  Idolatria, che a poco a poco lopprimendo i lumi  della natura, della ragione, della Religione, della  lloria, coprì di tenebre, e manommite tutta la faccia  dell’ Univerfo . Difcenderò pofeia naturalmente nella feconda a rendere, per quanto io polla, probabile la opinione, che t primi Idolatrici Simulacri  tollero di quadrata, o rotonda forma, e non aventi figura alcuna o di Animale, o di Uomo . In   questa    dell'antica Idolatria 7   quella guila crederò di potere all* autorità voìtra,  ed alla mia ubbidienza per alcuna via foddisfare. Si laici a Maimonide ( i J, ed alla Scuola Rabinica il fidare lenza prove agli Antidiluviani tempi l’epoca della nafcente fuperftizione. Entrando  nell’argomento, quel che puolli da noi con certezza affermare fi è, che poco tempo dopo il Di*  luvio s’ intrulè il Politeifmo a pervertir le menti degli Uomini . Il libro di Giosuè f a ) ne avverte,  che Tare Padre di Abramo, e di Nachor aveva fervito a* Dei menzogneri . Óra la nalcita di Tare ?  fecondo i calcoli dell’ Uflerio, accadde non più di  22 1. anni dopo la generale inondazione del nofiro  Globo. Il libro poi di Giuditta ci fa lapere,  che non pur Tare, ma eli Antenati di Abramo feguivano gli empj riti della Caldea adoratrice di più  falle Divinità. Labano chiama Tuoi Dei gl’ Idoli *  che Rachele tua Figliuola gli avea involati (”4), e  Giacobbe prima di offrire un facrificio all’ Altiifimo fa recarli da tutti quelli di fua comitiva gl’ Idoli, che ferbavano, e li nafconde (otterrà.   Molto, dagli Eruditi fi difputa qual folle dell*  Idolatria nafcente il primiero oggetto. Pretende  il Clerico ( 5 J elfère fiati gli Angeli adorati lenza  limitazione, e lenza relazione all* Onnipotente.  Volilo d* altra parte lòltiene, che il Dogma  de’ due Principi buono, e cattivo folle dell’ Idolatria più antica generatore. Noi non fiamo per dipartirci dalla fentenza più comune, e più comprovata, cioè che gli Altri, e quindi gli < Elementi  follerò i primi a rifcuoter l’ adorazione de’ tralignanti mortali. Fra un nembo di monumenti, e di autorità, che in conferma di tale fentenza recar po. A 4 * ' trei *   \ r »  De Idolat. curri Interpr. Dionyfi VoJJìi.  Cape 24. v. 2. ( 3 ) Cap. p. v. 8.   C4) Genef.cap. 31. v. 19. £?. 30., Cap. 3$. v. 2.   4 * (5 J Index Philolog. ad HiJÌ. Thil. Orienta  in voce Angelus, V Ajlra. ( 6 ) De idolat. lib. 1.8 Dissert. sull* Origine   trei 3 e che in Macrobio C i ), in Gerardo VofTio  già citato C 2 )> ne l Le Plucne ( 3 ), nel Bergero ( 4 )  lt polfòno agevolmente vedere, io trafcelgo il folo  Eufebio Cefarienlè, tanto più che in Lui rinvengo accennata non pur 1 ’ origine, ma V ingànnevol  motivo di quella umana depravazione.' Egli adunque colia (corta del gravilTìmo Diodoro Siciliano, parlando prima degli Egiziani, poi de’ Fenici, popoli, fra’ quali ebbe forfè 1 ’ Idolatria la fua  culla, e finalmente de’ Greci, dice, che,, i  „ primi Abitatori di Egitto, avendo volti gli occhi a contemplare il Mondo, e con alto ilupo„ re coixfiderando la natura di tutte le cole, ili3> marono, che il Sole, e la Luna follerò Dei lem3, piterni, e primarj, de’ quali per certo rapporto   „ chiamarono 1’ uno Ofiride, e 1’ altra Ilide,, infegnando eller quelli due Dei dell’ Univerfo  3, tutto moderatori. Rapporto poi ai Fenicj egli  afferma che •,, i primi fra loro datifi ( 7 ) a filo-,, fofare, tennero unicamente in luogo di Dei il,, Sole, e la Luna, e gli altri Pianeti, e gli Ele-,, men33. >   Saturnale lib. 1. C 2 ) De Idololat. Orig. lib ».  3. per totum. (3 ) Storia del Cielo Tom. I.   C 4 ) Trattat. Storie, della Relig. Tom. 1.   4 5 ) Yraparat. Evang. lib. I. c. 9.   ( 6 ) Tot* owj xotr A lyuirrov Avd’p'jìTHS ro  7 rcchctiQt ywofJLtviss ccvccfihr^ccvrcce tov xo$[jlov, xou  rlw rctfr oKw xa.rcLT'Kccyv/rcts re xoui  rocrras UTTohccfìett/ uvea Osar otihas re xou irpuru$ vihiW) xou rlw <relwnv y w rov \xiv Osipiv;  rlw ’Be Kit ovoyxKOA rara? Sé.Tttf Ozag   u<pirrocvr<u rov $i[/,tccvtcc xospLw ì>ioixe*v.   ( 7 ) HA/ok, xcu (reXlw/iv 5 xou r»? Tkoittxs  T rKetfY\rots ctrrepccs, xou rot sto%£cc } xta tvtoìs  nwoufiiy pLQvov lyivwsxov.    dell'antica Idolatria. 9   „ menti in oltre con quanto a !or fi congiunge,,  Finalmente paHando a far parola dei Greci, reca  il bel palio di Platone nel Cratilo, che in queite  note fi elprime ( i ):,, A me certamente ralfem-,,bra, che i primi ad abitare la Grecia quelli fol„ tanto per Dei riputalfero, che dalla maggior, pane de’ Barbari prefentemente fi adorano, il  ’, Sole cioè, la Luna, la Terra, gli Altri, il Cielo, quali vedendo e.fi con perpetuo corlb aggi-,, rarfi, dalla parola ra G«y correre, Aosi Dei li,, chiamarono.,, t   Il lèntimento di Eulebio, o di Diodoro, che  dee chiamarli il lèntimento di tutti gli Storici  più fenfati, potrebbe!! agevolmente con facra autorità comprovare. Mosè ( *J, Giobbe (i ), I* .Autore del libro della Sapienza ( 4 ) col profcrivere il culto fuperltiziofo degli Altri, e degli Elementi, il fuppongono tacitamente come il più antico, perchè il dipingono come il più lulinghiej>o, e capace a pervertire l'umano cuore.   Così fu veramente. Il cuore umano aggirato  da un fafeino teuebrofo di licenziole palliont, ammollito dal lbverchio amor del piacere, fcollò dal  natio genio d' indipendenza, languido, e indifferente negli efercizj della Religione, la quale già  inftillata nel primo Padre erafi poi tutta pura da  INoè trafmellà ne' difeeudenti, cominciò palio palio a   ( 1 ) tyojyovTout tj.ot 01 t porrà ruv P 1 tìpuiruv rwv   Trìpi TW EAÀa^a J T 8 TKf ^JjOVtSi Stai «y«>' 6 cU,   • WiTTlp vuù T0XK01 TVV (locpQctpW, t{KlOV, XOU  xcu ylw, xou carpa, xou tspcaov. art   OVLU tWTOC OpWTK TTOO/TCO OMrl 10 VTCL, XOU   Piovra, j curo tojuths tìk <piKi'j>s rns tu Orir Qks  curasi (tovoijlkìou.   (2) Deuter. c. 4. v. ip. (3) Job. C. 31. V. 16.  1 ( 4 ) Sap. c. 1 3.    Digitized by Google    io Dissert. sull'Origine  fo a perdere la giufta idea del vero Nfume, elio  gli brillava all’ intorno con tanta luce* Un guitto*  e terribil giudizio di Dio medeilmo, il quale, come  avverte S. Agostino, fparge penali tenebre (opra.  le illecite cupidigie, permife nell’ Domo un sì fatale dementamento. Chi fdegnava di rendere al  Facitore 1’ onor dovuto come a Sovrano, meritò  di perder colpevolmente lino le tracce per ravvifarlo. Abbandonato così alla stoltezza de' Tuoi penfieri, fcambiò la gloria sfolgoreggiarne, ed  immenia dell' incorruttibile Iddio co'’ limitati riverberi, che ne vedea nelle Creature. Gli Astri pri-.  ma di tutto a lui parvero contrallegnati co' maggiori caratteri della Divinità. Quel movimento •.  loro non interrotto, que’ periodi tempre uniformi,  quello fplendore Tempre brillante, quegl' in Aulii:  sempre benefìci fermarono il corfo alla di lui ammirazione, e riconofcenza, quando pur dovevano  lervirgli di guida per falire ad amar la bontà, a riconofcere la potenza del Creatore. Egli lcioccamente impadulò ne’ rulcelli, e dimenticò la lòrgente, e invece di riguardarli come Ministri delle  divine beneficenze, li adorò come Dei. L’ amor  proprio, la fuperbia, la mollezza, il libertinaggio  trovarono il loro conto in fimil delirio. Gli Astri  comparivano Dei benigni, comodi, utili, che nul*  la eligevano, nulla vietavano, per nulla al più corrotto genio opponevanlì, nè mettean freno alle più  torte inclinazioni. Il culto degli Elementi, della  Terra, del Fuoco, dell’Aria, de’ Venti lì congiunte ben presto con quello degli Astri, perchè appoggiato fopra gli stelli principj, e come un palio mal  mifurato lud’un pendio fdrucciolevole cagiona precipizi Tempre maggiori, fi venne ad attribuire la  divinità alle inlenfibili cole, ed infieme agli utili,  e dannofi animali, agli uni per riconolceili de’ benefizi, che fanno agli Uomini \ agli altri per placarli, e distornarli dall’ infierire. L’ antichiflima   opmio- Afojì. ad Rom, c. x. dell' antica Idolatria. n  opinione de’ due Principj buono, e cattivo ebbe forfè gran parte in questi folleggiamenti, eia verace, ma poi alterata dottrina degli Angeli, de’ Demoni, delle Anime de’ trapalfati trovolfi molto opportuna per dilatarli. Si volle credere tutta la natura animata. Animati lì tennero gli Astri dagl’  Indiani, dai Caldei, dagli Egizj, dai Maghi, da  Pitagora, da Platone, da Cicerone, da Varrone.  Il mare, i fiumi, le fontane, la pioggia, il tuono, le rupi, le caverne, le pietre, i monti, gli  alberi, le piante, gli erbaggi, e tutti poi gli Animali li coniìderarono come alberghi d’ una infinità  di attive prelìdi Intelligenze producitrici di quelli  effetti or nocevoli,.or vantaggiolt, che feulcono il fenlo umano. Le Anime de’ Trapalfati o  dalla riconolcenza, o dall’ amor degli Uomini confecrate ricevettero ben prello 1’Apoteolì, ed accrebbero il numero delle Intelligenze motrici della natura. Come MACROBIO C i ), e Pluche,il primo in aria da FILOSOFO, il fecondo in aria da Storico, diffiifamente ci mollrano,  Oliride, Ifidè, Amone,Oro, Serapide degli Egizj;  Zeus, o Dios Giove, Marte, Saturno, Venere,  Mercurio, Giunone, Cibele de’ Greci, e de’ Romani; Dionilìo, Urotalt,e Alilat degli Arabi; Marnas  de’ Fililtei; Moloch degli Ammoniti; Adad de’ Sirj;  Adonai, Achad, Architi, Baelet, Belfamin, Melchet de’ Paleltini, non erano da principio che il  Sole, la Luna, o la Terra, e quindi in progredii  Anime di Principi o Principelle, d’ Eroi o Eroine ite a regnar nel Sole, nella Luna, negli Altri,  o a preledere alla Terra. Quindi la turba degl’ Iddj Confenti o maggiori, degl’ Iddj fecondar) o  minori; e 1’ altra infinita plebaglia di unte varie  Divinità regolatrici di tutti gli effetti, e di tutti  gli elleri naturali, quale non meno accuratamente, che leggiadramente ci viene dal grande Agostino Saturnal. lib. I. f a J Star, del Ciel. lib. I*  i2 Dissert. sull* Origine   ftino C 1 J accennata. In Quella guifa le due opinioni del Volito, e del Clerico amichevolmente  fi legano colla opinione comune, e tutte unite ci  additano la prima origine del più grande accecamento degli Uomini.,, Deplorabile acciecamen-,, to ! (" concluda quello paragrafo il facro Autore del  Libro della Sapienza ) vana illufione di quelli,  „ che non conolcono Dio ! Attorniati da’ Tuoi be-,, nefizj non hanno veduta la mano, che li dif„ fonde; dalla magnificenza delle opere della natura non ne hanuo faputo riconofcere 1’ Artefice. Si fono perfuafi, che il fuoco, 1’ aria, i,, venti, le llelle. Tacque, il Sole, la Luna fof fero i Dei, che reggono il' Mondo Più miferabili ancora, perchè ripongono la lor fìducia in simulacri morti, ed inanimati; elfi dan„ no il nome di Dei all’ opera della mano degli  „ Uomini, alT oro, all’ argento indullriofamente,, lavorati a figure d’ animali, a pietre modellate, fecondo il gulto di un Artefice L’Uomo,, fi forma un Dio d’ un tronco inutile, a cui dà  •la propria forma dia', oppur quella d’ un Ani„ male.,,   Qui però vuole avvertirli, che T ufo de’ Simulacri in figura d’ Uomini, e d’ Animali appartiene bensì a’ tempi della già groil'olana, ed  avanzata Idolatria, ma non a quelli della nalcente.,, Un Uom fa J, che dritto ragioni f pro fieeue    fi) De Civit. Dei lib. V. VI.   ( 2 ) AM' ort y.ev oi rpurrot } koa tMcuot« TOl TUV (XV&pWTUJV, «Té VOCUy O/XoBojWfOWf TpOtìx.o *, «Té hot# ccipttpufjLcuriv j «tu t ore ypot~  tylXJfc, «Sé xA.afT.XW J yi yAlTTtXW, » « vlpict rrOTQITLKH f rCKVYK tpiUpyifAWYIS, 8^£ fJ.IV QLKQÒOUt*W, B^é op^iTtKTOVtKVis o-vujKTurrg y ra.ru ry  o ifjca mfaoyityj.(vy ìiyiXov etra*dell'antica Idolatria;.   fiegue il noftro Eufebio, rapportandoli alle tellimonianze di tutti gli Autori gentili ) può facil„ mente rimanere perfuafo, che i primi ed an„ tichiffimi Uomini niuna fatica, o Audio ripofe„ ro nel fabbricare Templi, ed innalzar Simulacri, non etlèndo Aate per anco inventate le  „ Arti della Pittura, della Statuaria, della Scol„ tura, anzi neppure 1’ Architettonica. Quindi  dopo avere ripetuto il già detto circa la primigenia adorazione degli Astri conclude, che „ da  „ principio niuna menzione vi fu di greca, o di  yy babilonica Teogonia, niun ufo di Simulacri y  „ niuna ridevole vanità nella denominazione degli Dei parte mafchj, e parte femmine • fi)  È veramente lembra cofa aliai naturale, che la  fòrgente Idolatria ne' vetustiffimi tempi, comecché  avelie cangiato 1* oggetto della Religion prima e  verace, non giungeiìè però sì tosto a cangiarne i  riti e le cerimonie. Porfirio fcortato da Teofrasto, e citato da Eufebio  J pretende delinearci il religiofo culto innocente degli antichi Politeisti. Ma in verità quell'impostore Filofofo nemico giurato del Cristianefimo nell’ adombrarci ì*  estrinseca religione de’ primi adoratori de’ falfi Dei,  non fa che prendere in prestito que’ colori, con  cui la Scrittura Santa ci adombra la Religione de’  Patriarchi adoratori del vero Dio. Nulla infatti di  più fèmplice e di più fchietto. Que' fanti IH mi v  Uomini negli efercizj di Religione poco curavanfi  dell’esteriore, e del fasto. Ellì la facev.an confistere in picciol numero di estrinfeche azioni, perfuafi, che il vero culto è quello del cuore. L’innalzamento de’ Templi non oltrepalla per avventura l’età di Mosè. Un femplice Altare in un luogo Oux tstpct ng Iw Qtoyoviccs EXXfuwX'f?, #  fiapGctpiKK rote TaXouTaTOtf f «^6/x »; tcw 7\oy<K y  • bhe &X.0VW ìlpustS y ìtìt Ó c. « Prjepar. Evang. lib, J,Djssert. sull’Origine   go mondo, e fpartato, lènza statue e lènza figu*  re, lènza adornamenti e lènza ricchezze, in un  bofco, o fovra d’ una eminenza era il luogo dove  Abele, Noè, Abramo, Ifiacco, Giacobbe colle loro famiglie fi raunavano per tributare all* Altiflìmo  i loro voti ed omaggi. Ivi a Lui predavano le  primizie dell’ erbe e de’ frutti, ovvero il latte, i  «radumi, e le lane degli Animali, che dopo il Diluvio cominciarono ad immolarli. Ora fu quelle  medefime tracce di religiofa femplicità io tengo per  certo, che nella fua infanzia procedette la Idolatria. Intela a venerar come Dei il Sole, la Luna,  la milizia celefte, gli elementi, le prelidi Intelligenze non Teppe sì tofto ufare altra forma di culto,  fe non fe quella, con cui aveva intefo, e veduto  adorarli da’ Patriarchi fedeli il fommo Conditore  dell’ Univerfo. Niun ulo adunque per anco de’ Simulacri rapprelentanti fiotto animalefica, o umana  lembianza le pretelè Divinità. Niun ufo di quelle  datue, che rozzamente in feguito, e grottefcamente modellate dagli Egizj, ottennero poi e castigato difiegno, e fipiccata *. motta, ed energico atteggiamento lotto lo ficalpello indulìre di Dedalo. Anzi qui dee acconciamente fioggiungerfi, che anche  dopo la coftruzione de’ Templi fi tardò molto prefi*  fo le antiche Nazioni ad ergere in elfi le llatue figurate; come degli Egiziani parlando afièrma Luciano, il quale aggiunge ( i ) d’ aver nella Siria  veduti Templi dell’ antichità più remota lènza immagine, o rapprefientanza veruna. Che più? Roma detta, che in paragon degli Egizj, e de’ Greci  nacque sì tardi, per oltre anni 170. ( come ci atteda Varrone citato da S. Agofiino ) Simulacri  non ebbe ( 3 ) ne’ proprj Templi,, finché Tarquinia   Fri fico  De Dea Syria. ( 2 ) De Civit. Dei lib. 4. c. 3 1. Dicit eiiam Varrò, antiquos Rcmanos ylufi   quam annos 170. Deos fine Simulacro coluijje.   Qiiod fi adhuc, inquit, manfijjet y caflius Dii ob fervarcntur. S. Auguft. citat.    dell’antica Idolatria. t?   Prifco Uomo di Greco, e di Tofcano genio tutta  di Simulacri inondolla. Anzi più didimamente  aflerifce Zonara ellervi date leggi, forfè di NUMA (vedasi), £ roibitive a’ Romani di rapprelentare la immagine  livina fotto la forma di Uomo, ovvero di Animale.( i ) Ma l’ Idolatria finalmente è l’opera delle tenebre, e per poco crefciuta, non potea a meno di non addenfarle nel cuor dell’Uomo. L’Uomo divenuto più empio circa gli oggetti dell’interno fuo culto, non tardò guari a fard ridicolo circa  le maniere di elercitarlo. Egli avea degradata abballala la fua ragione, adorando come Dei le femplici Creature. Quello medelìmo fpirito di vertigine il tratte ben pretto ad avvilirli viemmaggiormenfe coll’ adorare 1’ opera fletta delle fue mani.  Ei volle oggetti fenfibili e materiali anche all’  •efterno fuo culto. Ei pretefe di circolcrivere li  fuoi Dei per converfarvi più da vicino, ed innalzò, e venerò.Simulacri. Or di qual forma erederem noi, che follerò in quello genere le prime invenzioni dell’ umana ttoltezza > Quali gli fcogli,  in cui da quella banda urtarono primamente gli  Uomini deliranti ? Eccomi alla feconda parte della  Dittertazione pervenuto, ed eccomi al punto di nianifeltare la mia opinione.   Io reputo adunque probabiliflìmo, che follerò  in primo luogo i Pilieri, o le grotte pietre quadrate, le quau chiamate furon Betilie, e che ori f linariamente non erano, che Are ferventi alle rcigiole adunanze. Sanconiatone, Scrittore antichitfimo delle tradizioni Fenicie, portato da Portino  fino alle ftelle, e da Lui creduto informatilfimo  della Storia Giudaica, come non molto dittante  dalla età di Mosè, nel celebre fuo frammento, là  dove narra le imprefe del Dio Urano, o Cielo,   affer ( i ) At'typvrou$v, xan tyofiop$ov nxwa. tu Sa  eariSTca Pvy.yjois aTe-r/wcoo'. / uuar. Tom. a. y. io I  T 6 DlSSEftf. sull* Ortgtné    afferma, che,, Egli trovò le Betilie ( i ) coftrtien„ do con inlolita mirabil arte Pietre animate.,,  Io non ho letto di tale Frammento fé non la verdone greca fatta già da Filone Biblico, e riportata diftefamente da Eufebio. ( 2 J So, che il Signor di Gebelin colla fpiegazione di quello antico  irjonumento ha fatto vedere, che il Traduttor grecò ne avea malamente recato il lenfo, e che riducendo i termini al vero loro fignificato, 1 ’ Autor  Fenicio trovali uniforme al Legislator degli Ebrei. Checché ne fia, dilHetto non vengami di leguir le tracce già legnate dal grande Uezio, e dall*  erudito Calmet, affermando, che Sanconiatone in  quell’ accennato ritrovamento delle Betilie, e costruzion di Pietre animate ci adombra, benché in  modo affai alterato, la vera Storia del celebre monumento, o Altare di Giacobbe. Quest’ottimo Patriarca (~ 4 J nel fuo viaggio da Berfabee in Melopotamia postoli in certo luogo a dormire fu di un  grande, e ruvido Saffo acconciatoli a forma di guanciale, ebbe la sì nota vifion della Scala corfeggiata dagli Angeli, fu la di cui lòmmità appoggiato  flava 1 ’ AltilTìmo, da cui lènti rinnovarli le grandi  promelfe fatte ad Abramo. Deftatofi egli, efclamò Quanto è mai terribile quello luogo / Veramente non è egli altro, che la Cafa di Dio, e la  porta del Cielo. Diede a quel luogo il nome di  Beth - el, che lignifica nell’ ebreo linguaggio Cafa.  di Dio Conlècrò il Saffo, che la notte lèrvUo  gli aveva di guanciale, verfandovi dell’ Olio, e in  monumento 1 * erefle. Quindi concependo un Voto, il conclufe col dire cs II Signore farà il mi®  Dio se e quella Pietra chiameraffì Cafa di Dio c 5    ( I ) Et/ miwe 0»? Oupcao?    ( 2 ) Pr*p. Evang. lib. I. c. 9. C 3 ) AUeg. Orientai. p. 22. e 9 5. Memor. de V Accad. des Infcrip*  T. 6 1. in 12. p, 24 3. (4) Cenef.. Dalla V* dell'antica Idolatria; Dalla Mefopotamia tornando nella Terra di Ca*  naan, giunto allo Stello luogo, e Soddisfar volendo al già fatto voto d’ offerire a Dio la decima  de’ Tuoi beni, innalzò fimil mente un Altare di  pietra, e replicò il nome di Beth - el, Cafìz di  Dio. Finalmente di bel nuovo in que’ contorni  felicitato dall’ apparizien del Signore, nove! monumento di pietra cortrulle, d’ olio, e di libazioni Spalmandolo, ed a lui pure comunicando la  denominazione di Beth - el. Io ammetterò, che  quello termine Beth - el dato agli Altari, ed ai monumenti facri, quanto all’ edema efprelfione, fofr  fe uri ritrovamento di Giacobbe; ma follerrò con  egual verità, che quanto all’ idea, ed all’interno . concetto degli Uomini ei difcendelfè dalla tradi'  zion più rimota. Beth - el, Caja di Dio, potea fimilmente confiderai, e chiamarli 1’ Altare nell*  ulcir dall’ Arca edificato dal buon Noè, perchè  ivi 1’ AltiSTimo a lui diede fegni fenfibili di fua  prelenza, e mifericordia. Beth-el per Somigliante ragione potea appellarli 1’ Altare edificato da  Abramo fui monte Moria per fagrificare il Figliuolo; éd egli infatti chiamò quel monte Dominus vi debit. Beth-el giuftamente nomar fi poteano tutti  gli Altari innalzati da’ Patriarchi fedeli per ufo antichilfimo, forle dagli antidiluviani fecoli procedente, perchè tutti onorati da qualche' Speciale commercio della Divinità, percnè diftinti da qualche  fuperna verfata beneficenza, perchè in certo modo  protetti, ed invertiti dal Nume, e destinati a tributargli culto, Sacrifizio, e riconofcenza dalle circostanti Generazioni.   Ora da quefti Altari, e monumenti di pietra,  chiamati da Giacobbe per la prima volta Beth - el,  cioè Caja di Dio, e già tenuti per tali fino da*  remotiSfimi tempi, chi non conofce ( entra qui  acconciamente Pluche) (i J etìerne derivate  le sì note Betilie, quelle grolle pietre quadrate,   B che   to Stor. del Cielo, 1 8 D r SSERT. SULL* ORIGINE  che con ol) preziofi, ed aromatiche eircnze irrigavano, e che poi furono in tanti luoghi oggetto di  veturtiffima adorazione, come da più Autori, e nominatamente da Fozio nella fua Biblioteca dintoftrafi ? Chi non conofce dal Bethel di Giacobbe  C foggiunge opportunamente il Voflìo ) derivato il famofò Betilos, quel (allo prelentato a Saturno invece di Giove, come per relazione favolofa Efichio ci narra, e che ottenne poi tanto culto dalla forfennata Gentilità ? Ed io al Vofiìo, ed al Le Pluche fottofcrivendomi, concludo:  Chi non conofce in quelti monumenti, ed Altari  il primo inciampo degl’ Idolatri, ed il primo oggetto fènfìbile, e materiale delle adorazioni fuperìtiziofe ? Mettiamci di grazia in varj punti di villa  naturalismi. Confideriamo il genere umano dopo  la confufion delle lingue, e la differitone delle .Nazioni già prefo da uno fpirito di vertigine, e  già declinante al Politeifmo. Malgrado le volontarie tenebre, che incominciano ad acciecarlo et  l'erba tuttora nel cuore il fème della religion primigenia; e nella memoria i fagri riti, e le religiofe cerimonie dal Patriarca Noè tramandate.  Egli perciò innalza, e confagra in ogni luogo pietre modellate a fòggia d’ Altare per onorarvi la  Divinità: ei vi ft proftra all’ intorno: ci vi celebra le religiofè adunanze: ei vi prefenta i Tuoi  Sagrifizj, comecché forfè non più al folo, e vero  Nume, nta agli altri ' ancora, agli elementi, agli  fpiriti. Ei fa però, ed una tradizione non rimota glielo rammenta, che il primo Riparatore degli Uomini dopo il Diluvio ergendo un limile Altare, il vide torto adombrato dalla fènfibil prelenza, e maeftà dell’ Altiflìmo difeefo in atto di  ricevere, e di gradire placabilmente i fuoi Olo caufti.   CO De PhU. ChriJIUn. C? Theol. Gent. Vib. 6. t.:p. BatTuho? «toj fjtocXe-fTO o AtGo; to>   K poeti) cari &ios, Dell* antica Idolatria;   taufti. Comecché la Scrittura noi dica, io noa  credo temerità 1* aderire, che limili degnazioni  compartifle talvolta il Signore anche ai Figliuoli,  o ai Nipoti di Noè, che fi mantenner fedeli prima d' Aoramo. Ben il vecchio Sacerdote, e Re  di Salem Melchifedecco ne avea tutto il merito.  Checché ne fia, certamente il genere umano  non può non confiderar quelle pietre, od Altari,  che qual cola rilpettabile, e (anta. Fi le vede  fèrbate ad un culto Speciale della Divinità, e ad  un peculiar commercio col Cielo: ei le vede in nalzate o per rinnovar la memoria d' alcun luperno ricevuto favore, o per invitar gli animi ad una  fedele riconofceitza: ei le vede anche ufate per   edere teftimonio, e monumento durevole delle alleanze, de' patti, delle folenni prometle, e de' giuramenti, ne’ quali s’ interpone il tremendo nome »  e la Maeftà Divina. Gli efempli, che fu di ciò  abbiamo nella Scrittura, non fanno, che dinotarci  una vetuftidìma poftumanza. A tutto quello s' aggiunga 1' opinione già di fopra accennata, e che fino dai primi tempi fi propagò fra i mortali, cioè  che tutto ripieno folle d’ Intelligenze regolatrici  degli elleri, e degli effetti della natura. Connettali pure l’altra opinione d’ antichità non minore da S. Agoffino rammentataci ( i J colle parole del celebre Mercurio Trifmegifto, cioè che  per certe conlecrazioni rimanellèro li Simulacri  non pure inveititi, ma realmente animati dalli  Dei venuti ad abitarvi, affin di nuocere, o d?  giovare più da vicino ai loro adoratori. Ciò, che  forfè adombrar volle Sanconiatone con quella ef preffione di 7 ^ 0 ^$ Pietre animate. Con siderando noi il genere umano in tali profpetti,  qual cola più probabile, e naturale a concluderli,  eh' egli, parte abufando delle antiche tradizioni  veraci, parte ingannato dalle nuove folli perlua B 2 fioni, C t J De Civit. Dei lib. 7. e. 23. e 24* f    2 o Dissert. sull* Origine   fioni j e già rilbluto di voler oggetti fenfibili al  proprio culto, cominciale ben pretto a venerare  quegli Altari, que’ monumenti di pietra, quelle  Eetilie,.riguardandole o come Alberghi della Divinità, o come fimboli della prefenza divina, e  finalmente, tempre più creteendo 1* accecamento, come tanti veraci Iddii ? Se il genere umano  è pure intefiato di adorare l’opera delle tee mani, qual cofa più reverenda, e più degna di culto  ai di lui occhi pretentali, che i mentovati Altari,  o monumenti, o Betilie ?   Qui vorrà alcuno per avventura obbjettarmi,  che quando trattali d’antichità olcurilfima, più che col raziocinio, voglionfi colla fioria, e co’ fatti  fiabilir le opinioni j ed io non fono per contenderlo. Forte però, che l’opinione da me proposta non li deduce naturalmente in gran parte dai  Libri Storici di Mosè, i quali ( lanciando anche  ftare quella ifpirazione divina, che li confacra, e  mirandoli tei con occhio di Filotefo non tumido  per alterezza, nè da paliioni alterato ) ben vagliono aliai più, che tutti li Vedam de’Bramini,  gli Zend di Zoroaftro, i Kinghi di Confucio, e  di Se-ma-fiien, ed i racconti favololi di Erodolo ? Pur i*on fi creda, che io voglia in quella materia lafciare affatto il mio Leggitore digiuno di  monumenti, e di autorità. Il Volilo C i ) rapportaci, che il Beth - el, o  Pietra di Giacobbe, di cui tanto abbiamo parlato,  fu a fomiglianza del Serpente di bronzo, per lunga età foggetto di fuperfiiziofa adorazione a molti  Giudei, finché da’ veri Ifraeliti prete giuftameute in abbominio, gli fu cambiato il nome di JBef/iel % Cafa di Dio, in quel di Beth - ave, cioè Cafa  della Menzogna. Quali poi furono i primi Simulacri degli Arabi, tra i quali i Moabiti, e gli Ammoniti fi comprendevano? Gli Autori antichi, a’ quali rapportali    i ) lai’, d. r. 2p.   dell’ antica Idolatria. 21'   tali il Calmet, e che ci parlano delle prime  Divinità di que’ Popoli, le defcrivono come fempjici Pietre informi, o fcalpellate, ma non con  umana forma.,, Voi ridete, dice Arnobio,  „ che ne’ vetufti tempi gli Arabi adoraflero una,, Pietra informe. „ Malììmo Tirio ( 3 ) o di que*  ito, o d’ altro Arabico Simulacro parlando il chiania Tfrrpxyjìm Pietra, quadrangolare. Ed Eu timio Zigabeno nella fua Panoplia ragionando  co’ Saraceni:,, Ed in tjual modo, efclama, voi ab-,, bracciate la Pietra di Brachthan, e la baciate ?,, Alcuni rilpondono: Perchè Abramo fopra di efc   „ fa eboe il fuo primo commercio con Agar. Altri poi: Perchè ad ella legò il fuo CameTo quan-,, do fu per lagrifìcare Ilàcco. f  „ Non penio di meritar la taccia di capricciofo, fe giudico  quelle Pietre adorate in feguito nell’ Arabia nuli*  altro elfere fiate da principio, che vetulte Betilie, o rozzi Altari fors’ anche al vero Dio confecrati. Certamente Mosè, ("5 J in ciò ieguendo S er avventura la tradizione, e il più vetullo coume, prefcrive, che di rozze Pietre dal ferro  non tocche, e informi fallì, ed impoliti follerò  gli Altari, che dopo il patlàggio del Giordano fi  volelfero al Dio d’ Ifraello innalzare; e nuli’ altro, che grandi Pietre fpalmate alquanto di calce  folfero i monumenti defiinati. a fcrivervi lòpra le  parole della legge. Temette forfè il grande LeB 3 gisla 7 efor. cP Antich. tratto dai Coment, del Calmet T. 2. ( 2 J Lib. 6. C 3 J Sermon. 3 8. Ili* VfJUHi TposrpiQtsrt toj ?u 9 u» t ts  Bpxyficxv j xou tpiKsirt raro»; kou tiiik j aa>  ewrw tpctti y %tQTi tir coki) aura s trasloca rn Ay cefi  0 Afipaont. AÀA01 ?>£ ori rpotilìiKur carro» thv  xxiju iXov, fJ.iKho»r (jusai rov I sotux..   C s ) Deuter. Dissert. sull’Origine   gislatore, che fé tali monumenti, ed Altari fi f 0 f.  fero con più eleganza collutti, divenilfero più facilmente al rozzo fuo Popolo, e vacillante pietra  d’inciampo, e fomento d’idolatrica fuperllizione.   E qui, giacché dell’ Arabica fuperllizione ho fatto  parola, voglio avvertire, che della per lungo tempo mantenne!! nella lua primigenia feniplicità. Giobbe Arabo, o Idumeo, forfè contemporaneo, lenon anteriore a Mosè, accenna lenza meno l’ Idolatria del fuo Pael'e. Or ei non parla nè di llatue, nè di figure. Indica fidamente 1’adorazione, ed il faluto del Sole, e della Luna, che poi Uroralt, ed Alilat furono nominati. Segno manifelto, che fra que’ popoli non fi era introdotto per anco quel lopraccarico di moftruole  follie, con cui dalle Scolture Egiziane rimale aggravata l’ Idolatria. Che fe non pertanto gli Arabi ab antico proltravanfi a Pietre informi, o quadrate, quali io reputo Betilie, ed Altari, ben concluder potrai!!, che quelli follerò il primo. fcoglio, e il primo fcandalo al/ materialifmo de’ più  antichi Politeilli. Teltiinonio ne facciano i primi Abitatori della Germania. Colloro finché rimaforo nella vernila loro rozzezza, finché la fuperllizione fra eli!  col commercio delle arti Greche, e Romane non  giunfe a farli più vaga infieme, e più llolta, altri Simulacri non ebbero, come Tacito ( a J avverte, che folli informi di legno, e di rozze pietre. Erano quelle le forme degl’ Iddii, che portavanocon elfo loro alla guerra, penlando, che  folle un offendere la Divinità il rapprelèntarla  fotto umana fembianza. Ciò, che pure da molti   altri  C. 31. v. 16. ( 2 J De Morìb. Germart. Sta tua ex stipitibus rudibus, i? impolito lapide effigi e s, CP Jìgna quxdam detracia luci s in prxlium  ferunt. Nec cohibere parietibus Deos, ncque in  ullam humani oris Jpeciem affimilare ex magnitudine cotlejìium arbitrantur. altri Popoli di non peranche ingentilito collume,  per quanto narrano gravi Autori, collantemente  penfolfi. Ma e dove lalcio la celebre Madre degl*  Iddìi, o fia Cibele di Frigia portata in Roma da  Pelìinunte col miniftero di Scipione Nafica, e da*  Romani ottenuta per mediazione del Re di Pergamo al tempo della feconda guerra Cartagine!? ? Livio le dà il nome di fagra Pietra„  Pietra informe la chiama Minuzio Felice. Arnobio la defcrive come una Selce non grande  di forco, ed atro colore, e per angoli prominenti  ineguale. Eravi fra quei Popoli tradizione, che  quella Pietra caduta folle dal Cielo, e che appunto da jrK&y cadere la Città Pelfinunte folle Hata  chiamata.   La Grecia ftefTa non fu priva di quelle foggie di Simulacri. Paufania ci attefta, che in una  loia parte d’ Acaja furono da trenta Pietre tagliate in quadro, aventi ciafcuna il nome di una qualche Divinità, e con fomma venerazione riguardate, fendo llato collume antico de’Greci il prellar  culto a limili Pietre, non meno di quello, che  pofcia faceflèro alle figure, e alle llatue. Mi farà egli difdetto il probabilmente congetturare per  le ragioni di fopra addotte, che quelle, ed altre*  limili Pietre di Grecia nuli’ altro da principio foffero, che Betilie ? Servirono un tempo a niun altro ufo, che agli efercizj delle facre adunanze. L’Idolatria col farli più tenebrola giunte a divinizzarle. Betilie ùmilmente, o imitazione fenza meno delle Betilie pollòno crederli gli Ermi, di cui  la Grecia, e Roma furono ripiene, e che pofcia  ad abellire fervirono fpecialmente le Biblioteche.  Bili non erano da principio, che tronchi informi di  legno, o di marmo, o di pietre tagliate in quadro  fenza mani, e fenza piedi: T runcoque fiinillimus Herinu?, dille Giovenale. Ne* quattro di loro lati  pretendeva!! dinotare o le quattro ltagioni, o le quat B 4 tro   ( 1 J Lib. 2$4 ( 2 J Lib. 6 • ("3 ) SiiU Dissert. sull* Origine. tro parti del Mondo. Si confiderarono poi come  ilatue degli Dei, e di Mercurio principalmente „  Il di lui capo, che vi fi aggiunfe, fu fenza meno  un poderiore ornamento. Anche il Dio Termine  non fu nell* età più vetude rapprefentato, che fotto la figura di grolfi Saffi quadrati, cubici, privi   di mano, e di piede: Ttrpctywoi, xuQoziìitls y   K'Xttp&y xou airone?; quantunque al Dio Termine pur s’aggiungere la teda umana ne’ fecoli confeguenti. E che non può in quella parte una matta perfuafione a poco a poco crelciuta fra i barlumi di  tradizioni parte vere* e parte mendaci? A tutti è  noto, che da molti Popoli fi giunte per fino a venerare le Montagne, quali grandilfimi Simulacri  della Divinità. Il monte Atlante era il Dio degli AfFricani. Occidentali: un monte il Dio de’Oappadoci per allerzione di Malfimo Tirio: Moni  a pud Cappadoces prò Deo ejl, prò jur amento, atquc   Simulacrum. Un monte, o fia rupe SxotéA© r y   xoputplw il chiama Stefano, rifcoire pure  adorazione dagli Arabi. Giove fi venerava nella  cima de’ più alti monti, come dell’ Olimpo, del  Callo, dell’ Ida; e il nome quindi ne rifcuotea di  Giove Oljmpico, di Giove Cafio, di Giove Ideo.  Gl’ Italiani ilelfi predarono al monte Appennino  venerazione, come apparifce da una Ifcrizione riferita dal Matfèi nel tuo Mufeo Veronefe, la quale comincia IOVI APENINO. Ora e per qual ragione crederemo noi, che adorati veniflero tal»  monti, te non per la della, che confecrate avea  le Betilie ? Ce la prelenta naturalmente il Bergero.  Fu fcelta la cima de’ monti per offrirvi   de’ facrihzj, perchè credevano gli Uomini d’ e fiere più vicini al Cielo, e conseguentemente agli  Dei, qualora fi adoravano gli Altri. Per tal motivo  In Avsccpq. Trattai, della vera Relig. ìf  tfvo <i feielfero le pili alte. Tali cime per eli .«lercizj della Religione confècrare ben predo dir  vennero rilpettabili Immaginoifi, che gli Dei vi  fodero difcefi^ p®* ricevervi T’ incenfo, e gli omaggi degli Uomini. Pài non vi volle. Riguardata  prima come abitazione de* Numi, fi confidcrarono  ben predo quai Simulacri immenfi animati dalla  Divinità, ed ottennero una fpecie d’Apoteofi. Gon quanto fi è da me finora ragionato, e che,  le il tempo lo permettelle, con altre notizie, e  cagioni facilmente potrebbe!* dilatare, io giudico  refa ormai probabile la opinione di chi accinger  vogliali a fo denere, che. i primi Simulacri delìq  Gentilefche Divinità fodero femplicl Pietre riquadrate, od informi, fenza alcuna umana, q anima• Jefca fembianza.  Reda ora, che alcuna cola ragionili de* Simu»  * a, cr * ° rot °ndi, o tendenti a rotondità, a cui preito fuo culto primiero la cieca' fuperdizione, pfi*  ma che folle ai figuri te Statue provveduta.   Io non fono per ripetere quanto di fapra ba*  ftevolmente ti £ detto intorno a| culto degli Adri*  e degli Elementi, degli Spiriti, e degli Eroi. Aggiungerò (blamente, che non sdendo per anche  giunto lo fcalpello Adirio, o. Egiziano a rapprefentar le figure degli Uomini, e degli Animali, e  per elprelfioni di Arnobio, ( i J avanti 1’ ufo, e U difciplina della fcoltura, già penfato avea 1*  Idolatria a procacciarli, oltre le Betilie, oggetti  temibili alle lue adorazioni. Gonfiitevano quelli  iti certi fimboli q dinotanti, la potenza, e dabihta de’ Numi, o adombranti in qualche modo alcuna or qualità, J Battoni, le Verghe, le Afte,  che al dir di Trago Pompeo furono la prima  “^gna.dei Re, lignificavano il fommo imperio . de Numi, Le colonne, i cilindri, le pur non erano una imitazione più ‘ ingrandita dei Badoni da comando, ne accennavano l’ eternità. Gli Obe B 5 Ufchi, '   fi) Lib, et (Lib % ultima   t6 Dissert. sull* Origine   lifchi, le Piramidi, i Coni efprimevano i »gg*  «}el • Sole, e delle Stelle, o la natura del fuoco,  che -in alto vibrava!! acuminato. Menianrto pur  buone a Porfirio le interpretazioni sì fatte.  Concediamogli ancora, fe piace, che tali monumenti alzati dalla pili vetulla gentilità non fi riguarda fiero da principio, che come fimboli, o  meri Pegni d’ onore. Il Volfio, e forfè con troppo impegno, è dello fleflo parere; ma poi di Porfirio più ragionevole, perchè non tanto foffifta,  nè così empio, s’ arrende a concludere, che ben  pretto divennero occafione di lcandalo alla materiale Idolatria, e oggetto furono di profane adorazioni. Elfi in una parola ne’ primi tempi fletterò in luogo di quelle ftatue figurate, che poi ottenner l’ incenfo dalle corrotte umane generazioni. E qui bramo s’ avverta ? che dove di fopra io  dilli, aver preffo molte nazioni tardato non poco  le ftatue ad innalzarfi ne’ Templi anche dopo la  erezione de’medefimi, io intefi favellar foltanto  delle Statue rapprefentanti le Teodie fotto la forma di Uomo, oppur d’ Animale; ma non volli  giammai includere i Simulacri, per così dire, fimEolici, e non aventi figura. Quelli fono anteriori, non pure alla ftabil mole de’ grandi Templi,  ma eziandio a quei Padiglioni, o Tabernacoli, o  Tempietti portatili, con cui gli antichi Idolatri ebbero in ul'o di condurre a patteggio i loro  Numi.   Ora di quelli non figurati Simulacri parlando,  m’aprirò il varco con l'autorità di Filone Biblico ( aj, il quale nel fuo proemio alla interpretazione di Sanconiatone, diftinguendo gli Dei immortali, come il Sole, e la Luna, dagli Dei mortali,  cioè da que’ Principi, ed Eroi, che per le loro  getta avevano confeguita l’ Apoteofi, ci avverte  «fiere flato vetullo immcmorabil collume, fpecialmente   (ij Apud Eufeb. Trap. Evang. lib, 3. c. 7. JW. lib. 1. e. 9.   mente degli Egiziani, e Fenici, da’ quali preferì  norma le altre fazioni, d’ innalzare a quelle Chili  d’Iddii Colonnette, o Baftoni, o fia Scettri di le • J_ - -t fn..: ninmimpntl il nome di    (cerando. (i),„   Sanconiatone poi nel fuo frammento raccontaci fa J, che molti fecoli prima della coftruzione  de’ Templi, e formazione delle Statue Ufoo primo  navigatore avea dedicate due Colonne %uo sTtfKxS   al fuoco, e al vento, e prellato ad entrambe culto, e facrificio col fangue degli Animali. Proiie:   f He indi a narrare, che dopo la morte de primi  roi già divinizzati la grata pofterita onorata avea  la lor memoria, lotto i loro nomi confecrando verghe, e colonne, e con feftivi giorni, e fagre cerimonie adorandole. Finalmente ci addita, che  dopo lunghiffima età fu innalzata al Dio Agro vera  effigiata Statua nella Fenicia.Giu Teppe Ebreo f non diubmigliantl notizie prefentaci, aderendo, che i Tir) da principio  a’ loro Dii fornirono Afte, e Baftoni, poi Colon*  ne, e finalmente le Statue..Certo nella primitiva Egiziana Scrittura fimbolica non in altra foggia, che d’ un Bafton da  comando con un occhio efiprimevafi Ofmde, il   S uale originariamente fu il Sole, fignificar voleno la fua regale potenza, ed il mirar ch’egli fa  dall’alto tutte le cole. Ed io ben credo efftre  agli Eruditi notiffime le Piramidi, gli Obelifchi,  ed i Coni dall’ Egitto al Sole innalzati, come per   imitar * i   'Tru'Xas rt, xcu pa&lti; aipitpoiw coopero? ccuTiM, xoa rocurot ju.yaAw?, kou   ioprrccs m/J.or carrots Taf pryisrccs.   fi) Apud Eufeb. ibi c. io. Cont. Apìon.  lib. I. (4J Macrok. SatumaL lib. I.c. ai. aS DisserY. ' suit* Ormine  imitarne I fuqi raggi. Da ciò forfè provennero  quelle corna, d* cui in fedito 1 Egizia bizzaria  li compiacque ornar gentilmente il capo del tuo  Giove Amone, del fpo Apollo d*Eliopoli,e della  fua Ifide. Ove à no\ piaccia di ftare * certe lezioni per altro antiche del tetto di Quinto Curzio, CO ammetter dovremo, che 1' Amone adorato da’ Trogloditi, e proceifionalmente a fpalle di  Uomini condotto in una dorata barchetta per averne eli Oracoli, altra forma non avea, che d un  Goiìò, ó d’ un Ombelico tutto di fmeratdi, e P rc ~  ziofe gemme fmaltato. Almeno rigettar non potralTi 1* autorità di Brodiano,f 2 J il quale ci delcrive il Simulacro del Sole (otto nome di   Elegalu, venerato iq Edeilfo della Siria Apamena •  Di tale Simulacro (e ne può vedere adombrata «.  forma in una medaglia pretto il Vaillant battuta  all’ùltimo e più pazzo degl’ Imperadori Antonini.  Or ecco la defcrizione di Erodiano, giufta la verfione latina fatta dal ^oliziarfo. „ In Edefla non   v’ ha Simulacro atta Greca, o alla Romana em” «iato fecondo P immagine di quel Dio -, ma un  latto grande rotondo da imo > e, a P oco a P oco  crefcente in punta quali a figura di Cono. Nero  V, è il color della pietra, cui facciano eflere ca V, data dal Cielo. ed affermano quella 1   ” fer 1* immagine del Sole no n da umano artificio  3y lavnrata Su tali parole fa una riflettìone op /.ante voi* citato G^>  del soie: uiciiuc, 7 -, -,   Tentare gl* Iddìi fotto umana fembianza fu de pofteriorf Greci, e Romani. Ma gli Afiatici più ve.,  tutti, ecl anche gli Egizj moltq divamente fi *i P ° rt Chi °fà pertanto, che, fe ci rimane^ro le merie delle più antiche orientali Divinità, ^noi^noi* mone Lib. s. Lih 5- CO Uh. 9. c. io >    dell'antica IdoiatrYa. 19   le trovaffimo quali tutte in figura di Colonne, d?  Obelifchi, di Piramidi, o di Coni rappreleutate ?  Certo non fenza ragione i Settanta hanno in co(ìu«  me di traslatar per Colonne la voce ebrea Matgaba,  che ordinariamente traduce!! per ljìatue; e come il  Calmet ( t J ci avverte, il nome di Colonne lembra meglio corrifpondere al lignificato del termine  originale. Forfè que’ dottilììmi Interpreti vollero  dinotare la forma antica, con cui 1’Oriente, e la  Terra di Canaan rapprefentar foleva i fuoi Numi;  E forfè Mosè coll’ imporre, che fi demolillèr tutte  le ftatue delle profane incontrate Divinità, nuli’  altro impofe nella maggior parte, che la demolizione di Piramidi, e di Colonne. Dilli nella maggior  parte, e non in univerfale, poiché quel Sacrificaverunt fiulptilibus Canaan, che abbiamo nel Salmo, mi lece ellèr più continente nelle parole. E  de’ famofi Serafini di Rachele, primo monumento  d’ Idolatria materiale, che s’ incontri nella Scrittura, e degli altri Idoletti elìdenti prellb la làmiglia  di Giacobbe dalla Melopotamia recati, che diremo  noi ? S’ io pretendelfi figurarmeli come piccioli Coni,  o colonnette, con quai monumenti, ed autorità potrei ellère contradetto? Per verità io miro Giacobbe, che intefo a ripurgare la fua Famiglia, prende, e (otterrà, non folo gl’ Idoli chiamati Dei ftranieri: Deos alienos, ma angora i pendenti, che fi  trovavano all’ orecchie de’ fuoi feguaci Io   non crederò già, che le Pedone della comitiva di  Giacobbe, e malTìme le piilfime Donne Lia, e  Rachele ardlllèro di portare sfacciatamente agli orecchi appefe le (lamette, od immagini d’ alcuna profana Divinità. Primieramente potrebbe!! con tutta ragione foftenere, che di que’ tempi non eranò   peranco T. 2. DiJJìrt. de' Templi degli Antichi.  Genef C. 25. Dederunt ergo ei omnes Dcos  alienos, quos habebant, IP inaures, qua: erant in  auribus eorum. At ille infodit eas subter Terebin -thum.30 Dissert. sull* Origine  perineo in ufo le dame figurate. Le Rabbiniche  tradizioni dell’ arte datuaria efercitata fuperdiziofamente da Tare Padre di Àbramo fono già (ereditate prellò degli Eruditi. La pretefa antichità della Statua di Nino alzata a Belo fuo Padre rella dai  calceli dell’UHèrio fmentita. Nino regnò in Affina parecchj fecoli dopo Giacobbe. All’etàdique^  fio Patriarca il Sole, gli Aflri, e malfime il fuoco  adorati nella Caldea, Affiria, e Mofopotamia probabiliffimamente non aveano che Simulacri fimbolici. Quando pure fenza fondamento ammetter fi  voleflèro le Statue figurate ai giorni dello ftefiò  Giacobbe, io non potrò perfuadermi giammai, che  1’Uom fanto permeili avelie in alcun tempo ne’  fuoi l’ irreligiol'a ollentazione di tenerle appele agli  orecchi, comecché per folo ornamento. Il motivo ideilo, oltre a varj altri, che addurre potrei,  mi trattiene dal fottolcrivermi all’ opinione del  Grazio, e del Wandale, i quali pretendono, che  tali orecchini follerò fuperdiziofi Amuleti. Quale  relazione adunque degli orecchini cogl’ Idoli per  dovere anch’ «Ili meritare il fotterramento ? Se avefi  fi luogo ad edernare un mio non inverifimil pendere, direi, che la relazione confidelle in una certa edrinfeca fomiglianza colla fimbolica figura degl’  Idoli. Forle l’ ornato di quegli orecchini potea  edere qualche gemma, o preziofo metallo cadente,  e travagliato a maniera di goccia, di cono, o vergherà, che molto raflòmiglialTe la forma appunto  degl’ Idolatrici Simulacri. Quindi Giacobbe volendo abolita per fempre di quedi ultimi la memoria  predo de’luoi, nalcolè unitamente fotterra tutti  quegli ornamenti, che per la loro forma, e lavoro  potuto avrebbero in alcun tempo rifvegliarne la rimembranza. Ma fi torni in carriera, e col Voffio ( i ) ornai  fi rammenti, che non in figura umana, ma bensì  in figura di colonne o piramidi acuminate furono   i Si Lib. g. c. 5.  i Simulacri, a cui nei primi, e più rimoti fuoi tempi l’ idolatrante Grecia prodrofli; che le per conientimentò di tutti gli Autori ebbe la Grecia dagli  Orientali, e dall' Egitto principalmente i fuoi Numi, e le cerimonie di Religione, farà quella una  riprova novella, che di cilindrica, piramidale, o  conica forma federo i Simulacri almen più vetulli  dall’Oriente, e dall' Egitto inventati.   Ora nuli’ altro appunto, che una Colonna fu  la Giunone Argiva. Ce lo atteda Clemente Aleffandrino ( i ) recando alcuni verlì di un vecchio  Poeta Greco in lode di Callitoe prima Sacerdotellà di quella Diva predò gli Argivi. Io mi farò  lecito di darne una mia Traduzione;  Della Donna del Ciel preliede al Tempio  Clavigera Callitoe, che intorno  Di ferti, e bende un dì già ornò primiera  Dell’ Argiva Giunon 1 ’ alta Colonna.   Non altro, che femplici acuminate Colonne, o  Piramidi furono i Simulacri podi ad Apollo, e a  Diana, come lo Scaligero (3 ) dalle antiche memorie deduce. Non altro, erte una rozza Colonna di legno la Statua di Pallade Attica.,, Quan„ to ( dicea perciò Tertulliano) ( aJ diltinguelt,, dallo dipite d' una croce la Pallade Attica, o  „ la Cerere Farrea, che lènza effigie coda d’ un  „ rozzo palo, e d’ un legno informe. Un legno  „ non dolato ( proliegue Arnobio ) ( $ ) adorodì,, da que’ di Caria in luogo di Diana: in luogo  „ di Giunone un Pluteo da que’ di Samo; un’ Atta  „ dai Romani in luogo di Marte, come le Mule   » ài   'Zrpuu.eerwv I  K «XfaQoti cXifjLTtcìbos BajiAtw   H/W fi pryutK W> {Tìia/axsi, XM buiOCVOKl  ripa irti tx.orjj.tKur rtpt tttwx jJMxpw curctsitK.   Ad an. Eufib. 377, f 4 ) AJverf. Cent.   C 5 J Lib. 6. 3 2 Dissert. suix’ Origine   „ di Vairone ci additano.,, E giacché Arnobio  un Romano Autore ha citato, qui giovi connetterne un altro, cioè Trogo Pompeo, o fia il Tuo  Compilatore Giurino, il quale d’ Amulio,~e  di Numitore parlando ultimi fra i Re d’ Alba, in  quella foggia h efprime.,, In que’ tempi tuttora,, dai Re invece di Diadema portavanfi 1 ’ alle »,, che lcettri dai Greci furon chiamate. Conciof-,, liachè dalla prima origine delle cofe furono ado-,, rate 1 ’ Alle in luogo de’Simulacri degl' Iddii im-,, mortali. Ed in memoria di tal religione ai Si„ mulacri degl’ Iddii tuttora 1' Alte s’ aggiungono. „  Finalmente non altro, che un rozzo malconcio  legno, e deforme» liccome Ateneo ne fa fede era il Simulacro di Latoua prello a quelli di Deio y  c per fitìfatta guilà ridevole, che al ibi vederlo  n’ ebbe a icoppiar dalle rifa quel Parmenilco di  Metaponto, che dopo 1 * ufeita dall’ antro di Triionio non avea rifo giammai. Quindi non ci ltupiremo altrimenti al fapere» che un breve defeo  attaccato ad una lunghi ifima pertica folle il Simu*  lacro del Sole venerato da que’ di Peonia; e che  informi tronchi, maltagliati, e fenz' arte fodero  1 Numi degli antichi Germani e de’ prilchi Galli, come ne allicura Lucano. Molto mena  furem meraviglia in vedere queiti primi idolatrici  monumenti di legno più tolto, che d’ altra materia lavorati. Per poco che fiali nell’ erudizione  verfato » non può ignorarli » che i Simulacri primieri dell’ ancor giovane Idolatria materiale, giulta il collume degli Orientali pattato nella Grecia »  e nel Lazio, furono quali comunemente d’ argilla, o di legno, a cui fuccedè ben prello il marmo quindi i metalli v e finalmente 1’avorio. Non lafcianci dubitarne i be' palli, che abbiamo   in C O Lib. 43. (z) Mb. Simulacraque moejla Deorum Arte careni, caefisque extant informia truficis.  in Ifiaia, in Geremia in Ofiea, e  nel Libro della Sapienza. Gli eleganti verfi  poi di Tibullo CìJ 1 non Ibi rapporto a quello  capo, ma tutta in generale confermano la mia presente opinione. Non di legno però - ma di pietra in figura di  gran piramide, al dir di Pautania, fi il Simulacro fiotto il nome di Apollo da’ Megarefi guardato, e Umilmente una pietra fu la sì celebre Venere Pafia, il di cui Santuario tanta venerazione  rifico Uè non pur dall’ Ifiola di Cipro, ma dalla  Grecia tutta, e dall’Alia minore. Venere Pafia,  che ha data occafione, e primo impullò al mio  fieri vere, quella fi a appunto, che ornai gli dia  compimento. Il di lei Simulacro viene da Maflimo Tirio ad una piramide bianca paragonato. Noi  però più efatta ne prenderemo la detenzione da TACITO (vedasi), le di cui parole nel fiuo nativo linguaggio mi fo lecito di produrre: Haud crtt longum initi a religionis, temyli fitum, formanti Dea 9  ncque alibi fic habetur, vaucis dijjerere. Simulacrum Dea non effigie fiumana continuus orbis, la tiore initio tenuem m ambitum, met a modo exurgens, C? ratio in obfcuro - Or di quefia Venere  Pafia noi coi noftri proprj occhi ne potremo facilmente rilevar Ja figura tutta appunto conforme alla   C o f. 29. I. f 3 ) 4. 12, co «$•   Eleg.) Nam veneror, jèu Jìiyes habet defertus in agris,  $eu vetits in trivio florida Certa lapis f  Eleg. io. lib. Sed yatrii fervute lares, coluiflis CP idem  Curfarem veflros cum tener ante lares;   Kec yudeat yrifios vos ejfe e fliyite faclos, Sic veteris JeJes incoluiflis evi. T unc melius tenuere fidem, cum ytniyere teSÌ 9  l Stabat in exigua ligneus ade Q$us Orat. Dissert. sull'Origine   alla defcrizione di Tacito. Balla oflervar tre Me**  daglie riportateci dal Patino. La prima battuta dalla Città di Paflo a Drulo Celare. La  feconda coniata da’Cipriotti a Vefpalìano  La terza da’ Cipriotti Umilmente dedicata a Tramano C4J • Anzi non l’ Itola lòia di Cipro, come di lòpra toccai, e come attella, e comprova P eruditiffimo incomparabile Spanemio,  adorò la Venere Pafia. Il di lei culto propagolfi  ancora in altre Nazioni, e Città, le «juali perciò  lì fecero vanto di ornare col di lei Simulacro, e  Tempio i rovefci di lor medaglie. Fede ne faccia la Medaglia di Adriano battuta da que’di Sardi  nell’ Afia minore, e riferita dal Sirmondo, e  Umilmente un’ altra coniata da Pergameni fpettante ad Euripilo prellò il citato Spanemio;  ed anche un’ antica Corniola prodotta dall’ Agoltini, fenza accennare però, le Greca, o Romana. Ed io lòn di parere, che dal tempo, e  dagli Eruditi altri limili monumenti o fcoperti lì  fieno, o (coprire lì pollano dinotanti la venerazione dilatata, in che lì ebbe quella folle Palla  divinità, e infieme comprovanti la veridica deferii  zione, che del di Lei Simulacro Tacito ci rapprefenta. Debbo però confettare, che quanto ne*  monumenti addotti io riconol'co per vera ed el'atta la delcrizione mentovata, mi lòrprende altrettanto il modo, con cui Tacito la conclude: Met.r modo exurgens, ei dice, i? ratio in olj'curo. Poffibile, che ad un Uom si erudito, quale fu Tacito, sì gran meraviglia facelle il mirar Venere Pafia  in figura di un cono, o di una piramide ? Non  dovea egli piuttollo da una tale figura defumere 1*  antichità di tal Simulacro, o almeno la derivazione di   C 1 J Imy. Roin. Numis. C De   Praeft., t? Ufìi Numism. Dijf. Colleg. delle Med. del Col. Chiaram. di Parigi. C»J DiaL. ne di una veturtilfima coltomanza ? Non dovea Tape re, che ne’ più rimoti tempi, e come Trogo dicea, ab origine rerum, altri Simulacri non ebbero  i Numi, che o pietre quadrate, o piramidi, od obelifchi, o coni, o colonne di legno, e di fallo ?  Come ignorar potea il conico Simulacro d’ Apollo  in Megara, e del Sole in Ed e Ila, e gli obelifchi,  è le piramidi al Sole ideilo alzate in Egitto ? Come  gli ufeiron di mente i furti, o colonnette rozze di  legno, e le impolite pietre, che per di lui alferzione rifeuoteano le adorazioni della Germania ?  Come sfuggirono alla di lui maflima erudizione le  due colonne porte a Giove nel Tempio d’ Ercole  in Tiro; come le altre molte collocate nel Tempio  di Gadi; come le due confecrate al Sole dal Re  Ferone nel di lui Tempio in Egitto? Tante colonne infine fi J, con cui adombrar (i folevano  e Giove, e Giunone, e Bacco chiamato perciò TUputiovios Colutnnarius, e Apollo detto Ayiftfs   Compitali, ed Ercole, e Marte, e Bellona, non dovevano farlo falire all’ origine delle cole, ai coltomi dell’antica, e primiera rozzezza, e deporre la  meraviglia circa la forma del Simulacro di Venere  Pafia ? Ma qual cofa Tacito fi penfaflè in quella Tua  fofpenfione, egli fel vegga, e noi non ce ne brigheremo altrimenti.   Raccoglieremo bensì le vele ad una Dillertazione, che in vallo pelago trafeorfe ornai troppo  lungi. Voi, o dottiamo Sig. Conte, farete telfimonio o del Tuo felice tragitto, o del Ilio infaufto  naufragio; e onorar dovrete o di compatimento i  fuoi rilicofi viaggi, o i luoi errori di correzione.  Se 1 amor proprio non mi fa velo al giudizio, ere.   c " e ^ della tratto avelie a qualche porto di  1 ufficiente probabilità 1 opinione da Voi propolla™ l. \ c }°£ che i Simulacri più vernili delle pagane  Divinità follerò di quadrata, o di rotonda figura, o al- C O Ue^io Aìnetan. Qjiejì. lib. 3<5 Dissert. SuliTdolatria; (  o almeno tendente a rotonditi. Un più ralente  Piloto e di forze, e di tempo, e di finimenti più  agiato faprà condurla felicemente ad un porto di  fìcurezza. Quanto a me, fe altro non averti potato ottenere, Tarò almeno contentiamo d avervi   f er alcun modo tellimoniata la mia. ubbidienza, alto pregio, in che tengo 1’ autorità voftra, e ij  voltro merito Angolare.   l'idi t prò lUtàe, ac Revino D. V. Domini co  Al archi one Mancinforte Epifcopo F aventino  Albertus Raccagni Farocbus Sanfli Antonini.  Fr. Angelus Maria Merenda Ordinis Predicatorum Sacra Scripturx LeElor, ac f^icartus Gg~  neralis SaaEli Offici* F aventi a.  In tale direzione, si riscontra la necessità di condurre la ricerca a un livello sem iotico-sem iosico, ricorrendo alla sem iotica di Peirce, e in particolare alla sua definizione di “interpretante iconico”, segno creativo capace di comprendere meglio ciò che è altro dall’identico, ciò che differisce dal segno “idolo”. Attraverso una semiotica dell’interpretazione, si cercherà quindi di spiegare teoricamente il funzionamento degli elementi che compongono un testo, per una comprensione del concetto di scrittura e le prospettive che questa propone per la costruzione di un approccio critico alla problematica della lettura del testo BACON, LE QUATTRO SPECIE DI IDOLI Bacon espone in queste pagine la sua teoria sugli idola (i pregiudizi) che occupano la mente umana e le rendono difficile “l’accesso alla verità”. Bacon, Novum Organon, Gli idoli e le false nozioni che penetrarono nell’intelletto umano fissandosi in profondità dentro di esso, non solo assediano le menti umane in modo da rendere difficile l’accesso alla verità, ma addirittura (una volta che quest’accesso sia dato e concesso) di nuovo risorgeranno e saranno causa di molestia nella stessa instaurazione delle scienze: almeno che gli uomini, preavvertiti, non si agguerriscano, per quanto è possibile contro di essi. Quattro sono le specie degli idoli che assediano le menti umane. Per farci intendere abbiamo imposto loro dei nomi: chiameremo la prima specie idoli della tribú; la seconda idoli della spelonca; la terza idoli del mercato; la quarta idoli del teatro. Gli idoli della tribú sono fondati sulla stessa natura umana e sulla stessa tribú o razza umana. Pertanto si asserisce falsamente che il senso umano è la misura delle cose ché al contrario tutte le percezioni, sia del senso sia della mente, derivano dall’analogia con l’uomo, non dall’analogia con l’universo. Rispetto ai raggi delle cose l’intelletto umano è simile a uno specchio disuguale che mescola la sua propria natura a quella delle cose e la deforma e la travisa. Gli idoli della spelonca sono idoli dell’uomo in quanto individuo. Ciascuno infatti (oltre alle aberrazioni proprie della natura in generale) ha una specie di propria caverna o spelonca che rifrange e deforma la luce della natura: o a causa della natura propria e singolare di ciascuno, o a causa dell’educazione e della conservazione con gli altri, o della lettura di libri e dell’autorità di coloro che si onorano e si ammirano, o a causa della diversità delle impressioni a seconda che siano accolte da un animo preoccupato e prevenuto o calmo ed equilibrato. Cosicché lo spirito umano (come si presenta nei singoli individui) è cosa varia e grandemente mutevole e quasi soggetta al caso. Perciò giustamente affermò Eraclito che gli uomini cercano le scienze nei loro mondi particolari e non nel piú grande mondo a tutti comune. Vi sono poi gli idoli che derivano quasi da un contratto e dalle reciproche relazioni del genere umano: li chiamiamo idoli del mercato a causa del commercio e del consorzio degli uomini. Gli uomini infatti si associano per mezzo dei discorsi, ma i nomi vengono imposti secondo la comprensione del volgo e tale errata e inopportuna imposizione ingombra in molti modi l’intelletto. D’altra parte le definizioni o le spiegazioni, delle quali gli uomini dotti si provvidero e con le quali si protessero in certi casi, non sono in alcun modo servite di rimedio. Anzi le parole fanno violenza all’intelletto e confondono ogni cosa e trascinano gli uomini a controversie e a finzioni innumerevoli e vane.  XLIV Vi sono infine gli idoli che penetrano negli animi degli uomini dai vari sistemi filosofici e dalle errate leggi delle dimostrazioni. Li chiamiamo idoli del teatro perché consideriamo tutte le filosofie che sono state ricevute o create come tante favole presentate sulla scena e recitate che hanno prodotto mondi fittizi da palcoscenico. Non parliamo solo dei sistemi filosofici che già abbiamo o delle antiche filosofie e delle antiche sètte perché è sempre possibile comporre e combinare moltissime altre favole dello stesso tipo: le cause di errori diversissimi possono essere infatti quasi comuni. Né abbiamo queste opinioni solo intorno alle filosofie universali, ma anche intorno a molti princípi e assiomi delle scienze che sono invalsi per tradizione, credulità e trascuratezza. Il pensiero di F. Bacon, a cura di P. Rossi, Loescher, Torino. The idol fixes one's gaze on itself; the icon, for its part, demands that one go throughGrice: “Cattaneo’s philosophical background is much stronger than Hart’s! Hart always doubted his philosophical abilities – as he kept comparing himself to me! When Cattaneo was at St. Antony’s, Hart found that he had to play brilliant, since a ‘continental’ was watching! Cattaneo is especially good in the study of Roman-Italian giurisprudenza, from Cicero, Goldoni, Carrrara, and Manzoni, onwards! They don’t need no stinking Hart!” -- M. A. Cattaneo. Mario A. Cattaneo. Mario Alessandro Cattaneo. Mario Cattaneo. Keywords: eidolon, idolo, idol of the market place – bentham -- autorita, autoritarismo, positivismo di H. L. A. Hart, il concetto della legge, filosofia del linguaggio ordinario, scuola oxoniense di filosofia del linguaggio ordinario, il gruppo di giocco di Austin, il primo o vecchio gruppo di giocco di Austin al All Souls, giovedi notte; il nuovo gruppo di giocco di Austin sabato alla mattina. Hart, Hampshire, Grice. Grice, neo-Trasimaco, giustizia, fairness, valore legale, valore morale, le legge e la morale, priorita della moralita sulla legalita, concetti di priorita, priorita evaluativa, neo-trasimaco, neo-socrate, platonismo giuridico, positivismo pre-Kelsen: hobbes, bentham, autin. I giuristi italiani. Storia della giurisprudenza italiana. Goldoni, Carrara, Manzoni, Collodi, Lorenzini, Pinocchio, Foscolo, Perini, Beccaria, Colonna infame, letteratura italiana, fizione italiana, prosa italiana, giurisprudenza italiana, avvocatura ed implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cattaneo” – The Swimming-Pool Library. Cattaneo.

 

Grice e Catucci: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale d’ego et alter, E ed A – i giocchi cooperativi – Meinong et al. teoria del valore -- l’altro – scuola di Roma –filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I love Catucci – Ogden and Richards, whom I’ve read profusely, expand on Husserl – and Catucci is “our man in Husserlian phenomenology of intersubjectivity!” – Grice: “As a typical Itaian philosopher, viz. eclectic, he has philosophised on Luckacs, and Foucault, too!” -Grice: “Catucci’s approach to Lukacks is via ‘poverty,’ which has little to do with my idea that the poorer the semantics the richer the pragmatics: ‘His semantics was poor, but it was honest!”. Altre opere: “La filosofia critica di Husserl, Milano, Guerini et Associati); Beethoven Opera Omnia. Le Opere. Fabbri Classica); Bach e la musica barocca, Roma, La Biblioteca); Introduzione a Foucault, Bari-Roma, Laterza); La storia della musica, Roma, La Biblioteca); Spazi e maschere, Roma, (a cura di, con Umberto Cao), Meltemi Editore); Per una filosofia povera, Torino, Bollati Boringhieri); Imparare dalla Luna, Macerata, Quodlibet. Si laurea a Roma sotto Garroni. Studia a Bologna. Legge Tugendhat e Tertulian. Insegna a Camerino e Roma. Pubblica il saggio La filosofia critica di Husserl (ed. Guerini e Associati) la cui preparazione ha richiesto un periodo di ricerca presso lo "Husserl-Archief” di Leuven, in Belgio. Il lavoro sui manoscritti di Husserl lo ha portato alla pubblicazione di diversi saggi di carattere fenomenologico, tra cui “Le cose stesse”; “Note su un’autocritica trascendentale della fenomenologia di Husserl”, basato sull’analisi di testi husserliani inediti. Pubblicato per Laterza un saggio su Foucault. Quindi è stata la volta del saggio “Per una filosofia povera”, uno studio ad ampio spettro sulla filosofia italiana nella Grande Guerra (ed. Bollati Boringhieri). Ha inoltre collaborato alla stesura del Dizionario di Estetica curato per Laterza da Gianni Carchia e Paolo D'Angelo. Ha numerosi saggi su Foucault (La linea del crimine) sull’estetica, sull’architettura e sulla musica, in particolare musicisti come Wagner e Stockhausen. Potere e visbilità (ed. Quodlibet). La sua ricerca Imparare dalla Luna (ed. Quodlibet) ha ottenuto ampia risonanza anche al di là del campo degli studi filosofici, portandolo fra l’altro a tenere conferenze al Festival delle Scienze di Roma, al Festival Wired di Milano,  e al Congresso Nazionale della Società Italiana di Fisica. Membro della Società Italiana di Estetica. Coordina “I Concerti del Quirinale”. “Tutto Wagner”. Collabora regolarmente con l’Accademia Nazionale di S. Cecilia, Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, Teatro dell’Opera di Roma, Teatro Regio di Torino, Festival Mi-To Settembre Musica) e ha organizzato manifestazioni di tipo filosofico-musicale per la Biennale Musica di Venezia e per il Festival Play.it di Firenze, L'arte è un progetto? C. Estetica Elementare - L'esperienza del coro fra etica e tecnica C.-Prefazione/Postfazione book: Insieme. Canto, relazione e musica in gruppo - La storia dell'estetica come critica e come filosofia C. -AESTHETICA. PRE-PRINT (Centro internazionale studi di estetica) - Di cosa parliamo quando parliamo di teoria C. Cinque temi del moderno contemporaneo. Memoria, natura, energia, comunicazione, catastrofe - Bellezza C. Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Parole.  Il Kitsch: ieri, oggi, domani C. Riga - Aesthetics and Architecture Facing a Changing Society C. International Yearbook of Aesthetics (JP Službeni glasnik, ) Introduzione a Foucault. Saggio, Trattato Scientifico  Imparare dalla Luna. Nuova edizione riveduta e ampliata C.  Il corpo e le forme. Note sul discorso spirituale nella filosofia e nell'arte C. Della materia spirituale dell'arte - On the spiritual matter of art - - Perché gli artisti nei luoghi del disastro C. -Terre in movimento - The Prison Beyond its Theory. Between Foucault's Militancy and Thought C.- Prison Architecture and Humans - Postfazione C. - Prefazione/Postfazione book: Qualcosa sull'architettura. Figure e pensieri nella composizione - Prefazione. Vite di architetture infami C. - Incompiute, o dei ruderi della contemporaneità - Potere e visibilità. Studi su Foucault C. Prefazione a L. Romagni, Strutture della composizione C. Strutture della composizione. Architettura e musica - - Presentazione. Leo Popper: l'etica e le forme C. Articolo in rivista paper: AESTHETICA. PRE-PRINT (Centro internazionale studi di estetica) L'angelo della matematica C.  La vetrata artistica della Scuola di Matematica. Disegno di Gio Ponti per Luigi Fontana - A roadmap toward the development of Sapienza Smart Campus Pagliaro; Mattoni; Gugliermetti; Bisegna, Fabio; Azzaro, Bartolomeo; Tomei, Francesco; Ca. Atto di convegno in volume conference: 16th International Conference on Environment and Electrical Engineering, EEEIC  (Florence Italy) book: EEEIC 2016 - International Conference on Environment and Electrical Engineering - Luce, Illuminazione, Illuminismo C. - I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di Pietro Montani - L'opera d'arte e la sua ombra C.  L'estetica e le arti. Studi in onore di Giuseppe Di Giacomo - (La linea del crimine. Foucault e la vita degli uomini infami C. AGALMA (-Roma: Meltemi -Roma: Castelvecchi, = Materia primordiale e Growing Design C.; Lucibello, ANANKE (Firenze: Alinea, Preliminari a un'estetica della plastica C.Plastic Days. Materiali e Design / Materials et Design - Antropomorfismo C.Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica - Arte C. - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica - Einfühlung Catucci, Stefano - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica - Movimento Catucci, Stefano - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica - (Sovrastruttura C. - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica - Strutturalismo Catucci, Stefano - 02d Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Wikitecnica Il nome del presente. The name of the present C. DOMUS (Rozzano Milan Italy: Editoriale Domus) Imparare dalla Luna C.- 03a Saggio, Trattato Scientifico book: Imparare dalla Luna - Filosofia dell'eccedenza sensibile C. - 02a Capitolo o Articolo book: Vice Versa - La Gaia estetica C. - 02a Capitolo o Articolo book: Costellazioni estetiche: dalla storia alla neoestetica. Studi offerti in onore di Luigi Russo - - Conversazione con S. Gregory, Paola; C. - 02a Capitolo o Articolo book: Progetto e Rifiuti. Design and Waste. No-Waste - La contingenza impossibile: note su alcuni modelli espositivi dell'opera d'arte. C. - 02a Capitolo o Articolo book: Il museo contemporaneo. Storie, esperienze, competenze - Metamorfosi: un'architettura dopo il postmoderno C. - 02c Prefazione/Postfazione book: Autocostruzioni. O degli ultimi spazi del progetto - - Mission to Mars- C.- HORTUS (Roma: Facoltà di Architettura "Valle Giulia", universita' la "Sapienza" Direttore -Necessity and Beauty C. - 02c Prefazione/Postfazione book: Parks and territory: new perspective in planning and organization -  Eyes Wide Shut. Architecture without Philosophy C. - 04b Atto di convegno in volume conference: The Signifiance of Philosophy in Archtectural Education (Patrasso - Grecia - Dipartimento di Architettura dell'Università di Patrasso) book: The Signifiance of Philosophy in Archtectural Education - Estetica della speranza C. - 02c Prefazione/Postfazione book: Teoria critica del desiderio - "Reimparare a sognare". Note su sogno, immaginazione e politica in Foucault Catucci, Stefano - 02a Capitolo o Articolo book: La coscienza e il sogno. A partire da Valéry -Visione e dispersione. La regia architettonica Moretti Catucci, Stefano -  Atto di convegno in volume conference: Moretti architetto del Novecento (Facoltà di Architettura, Università di Roma "Sapienza") book: Moretti architetto del Novecento - Critica del contesto C. - 01a Articolo in rivista paper: PIANO PROGETTO CITTÀ (-Avezzano (AQ): LISt- Laboratorio Internazionale di Strategie editoriali,  -Avezzano (AQ): Ed'A- Editoriale d'Architettura -Pescara: Sala Editore Pescara Pescara: Clua) Essere giusti con Marx C. - 02a Capitolo o Articolo book: Foucault-Marx: paralleli e paradossi - La terza dimensione C. Articolo in rivista paper: VEDUTE (Roma-Macerata: Quodlibet, «Eine eigene fremde Welt»: le utopie terrestri di Karlheinz Stockhausen C. - 01a Articolo in rivista paper: ATENEO VENETO (Ateneo Veneto:Campo S. Fantin Venice Italy: "Des moustiques domestiques”: Notes on the Tautology of Visual Writing C. Atto di convegno in volume book: Beyond Media: Visions, catalogo della 9. Edizione dell’International Festival for Architecture and Media - Prolegomeni a un'architettura della relazione C. Capitolo o Articolo book: L'esplosione urbana - I generi musicali: una problematizzazione C. Voce di Enciclopedia/Dizionario book: (Enciclopedia Treccani Terzo Millennio), vol. II, Comunicare e rappresentare - Senso e progetto. Il contributo dell’estetica C. - Capitolo o Articolo book: Il progetto di architettura come sintesi di discipline - Il progetto di architettura come sintesi di discipline C.; Strappa, Giuseppe - 03a Saggio, Trattato Scientifico  Il lavoro della dispersione C.- Capitolo o Articolo book: L’idea e la differenza. Noi e gli altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo. - Introduzione a Foucault C. Tutto quello che "la musica può fare". Conversazione con Francesco e Max Gazzè. Magrelli, Valerio; Moretti, Giampiero; Piperno, Franco; Giuriati, Giovanni; C.; Scognamiglio, Renata; Caputo, Simone -  Capitolo o Articolo book: Parlare di musica  Costruire, abitare, patire C. - Capitolo o Articolo book: Arte, Scienza, Tecnica del Costruire - Elogio del parlare obliquo: la musica classica alla radio C. Parlare di musica - La proprietà intellettuale come problema estetico C. FORME DI VITA (Roma: DeriveApprodi) L’architettura al tempo di Nikolaj Rostov C. GOMORRA (Roma: Meltemi- Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, - Per una critica delle narrazioni urbane Catucci, Stefano - 01a Articolo in rivista paper: PARAMETRO (Faenza Italy: Gruppo Editoriale Faenza Editrice) Foucault filosofo dell’urbanismo C. Lo sguardo di Foucault - La cura di scrivere C. Atto di convegno in volume book: Dopo Foucault. Genealogie del postmoderno -La via dialogica dell’arte: i nuovi linguaggi urbani C. Atto di comunicazione a congresso conference: Nel convivio delle differenze. Il dialogo nelle società del terzo millennio (Roma - Pontificia Università Urbaniana) book: Nel convivio delle differenze. Il dialogo nelle società del terzo millennio, a cura di E. Scognamiglio e A. Trevisiol - Spartacus: i dilemmi della libertà Catucci, Stefano - 02a Capitolo o Articolo book: Una strana rivista: «Gomorra» Dizionario di Estetica C.Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Il colosso senza immaginazione C. Osservatorio Nomade: immaginare Corviale. Pratiche ed estetiche per la città contemporanea Il visibile e l’invisibile. Riflessioni sul potere in Foucault C.- 02a Capitolo o Articolo book: Conoscenza e potere. Le illusioni della trasparenza - Un passato che non passa. Bachelard e la fine dell’abitare C. Simbolo, metafora, esistenza. Saggi in onore di Trevi - Corridoi Transeuropei C. - 01a Articolo in rivista paper: GOMORRA (Roma: Meltemi- Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, La “natura” della natura umana Catucci, Stefano - Prefazione/Postfazione book: Della Natura Umana. Invariante biologico e potere politico. - Estetica e Architettura C. Capitolo o Articolo book: Contaminazioni culturali. Materiali di studio del Dottorato di Ricerca in Riqualificazione e Recupero Insediativo - (Criticare l’estetica per criticare il presente C.Articolo in rivista paper: GOMORRA (Roma: Meltemi-2001 Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, Le Corbusier a Pessac: un paradigma moderno Catucci, Stefano - 01a Articolo in rivista paper: SPAZIO RICERCA (CAMERINO:DIPARTIMENTO PROCAM DELL'UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI CAMERINO) Foucault: dalla novità storica all’estetica dell’esistenza C. Articolo in rivista paper: FORME DI VITA (Roma: DeriveApprodi La pensée picturale C.  Atto di convegno in volume conference: Colloque de Cerisy - Foucault: La littérature et les arts (Cerisy - Francia) book: Michel Foucault, la littérature, les arts - Attraverso Velázquez: Foucault, Las Meninas, la filosofia Catucci, Stefano - 02a Capitolo o Articolo book: Il classico violato. Per un museo letterario- Tre versioni del misurare C. SPAZIO RICERCA (CAMERINO:DIPARTIMENTO PROCAM DELL'UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI CAMERINO) Per una filosofia povera: la Grande Guerra, l'esperienza, il senso; a partire da Lukács C. - 03a Saggio, Trattato Scientifico book: Per una filosofia povera: la Grande Guerra, l'esperienza, il senso; a partire da Lukács - L'angelo dei rifiuti Catucci, Stefano Articolo in rivista paper: GOMORRA (Roma: Meltemi-Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan, Estetica dell'abitare C. Capitolo o Articolo book: La nuova Estetica italiana - Spazi e maschere Catucci, Stefano - 06a Curatela  Ambiguità C. - 02d Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica Poetica Catucci, Stefano - Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Architettura, teorie della C. Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Censura Ca. -Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Distruzione delle opere d'arte C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Fenomenologica, estetica C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Fisiognomica C. Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Fotografia, teorie della C.  Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica Kitsch C.Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Marxista, estetica C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Musica, teorie della C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Opera d'arte C.Voce di Enciclopedia Dizionario Dizionario di Estetica - Originalità C/ Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Particolarità Catucci, Stefano Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Realismo C.-Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - - Retorica C. Voce di Enciclopedia  Dizionario book: Dizionario di Estetica - Rispecchiamento C.Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Ritmo C.Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - - Scientifica, estetica C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Sociologia dell'arte C.Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Storicità C.Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Struttura C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - Strutturalista, estetica C. Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Terapie artistiche C. - Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Tipico C.Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica - - Autenticità C.Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - Oggetto estetico C. -Voce di Enciclopedia/Dizionario book: Dizionario di Estetica - - Estetica e politica C. Voce di Enciclopedia Dizionario book: Dizionario di Estetica -  Fra tempo e spazio: rassegna sul vuoto in musica C. GOMORRA (Roma: Meltemi-Roma: Castelvecchi Milano: Costa et Nolan) - Estetica della censura C. Capitolo o Articolo book: La cortina invisibile - Figures de l’art, figures de la vie. Une idée de philosophie chez le jeune Lukács C. - 02a Capitolo o Articolo book: Life - L'etica e le forme C. Capitolo o Articolo book: Scritti di estetica - - Saggi di Estetica Catucci, Stefano - 06a Curatela  - Gli animali di Céline Catucci, Stefano - 01a Articolo in rivista paper: RIVISTA DI ESTETICA (Rosenberg et Sellier:via Andrea Doria 1Turin Italy:: tina.cesaro rosenbergesellier.it, Dall’estetica all’ontologia. Lukács lettore della «Critica del Giudizio» C.  Senso e storia dell'estetica - La filosofia critica di Husserl C. Saggio, Trattato Scientifico book: La filosofia critica di Husserl - La fenomenologia negli Stati Uniti: metodo e fondazione C. Capitolo o Articolo book: Specchi americani. La filosofia europea nel Nuovo Mondo - La fenomenologia come teoria estetica. Note in margine a: Recensione a F. Fellmann, Phänomenologie als ästhetische Theorie Catucci, Stefano - 01a Articolo in rivista paper: STUDI DI ESTETICA (Sesto San Giovanni MI: Mimesis,  Bologna: CLUEB)  LA TEORIA COOPERATIVA Come accennato in precedenza, l’idea di gioco cooperativo `e stata introdotta da von Neumann e Morgenstern. Il contributo del loro libro `e fonda- mentale per aver reso lo studio dei giochi una disciplina sistematica, e per aver proposto un cambiamento radicale nel modo di studiare i problemi dell’economia, delle scienze politiche e di quelle sociali. Il metodo proposto consiste nel tradurre i problemi in giochi opportuni, nel trovare le soluzioni di questi con le tecniche sviluppate dalla teoria, e nel ritradurre le soluzioni trovate in termini di comportamenti economici ottimali. L’idea di GIOCO COOPERATIVO dall’esigenza di analizzare il comportamento razionale di agenti che interagiscono in situazioni non strettamente competitive. In tal 15Strategia dominata invece `e quella tale che, ne esiste un’altra che procura al giocatore maggiore utilit`a, qualunque cosa faccia l’altro. Una strategia dominata non pu`o far parte di un equilibrio di Nash. caso `e ragionevole pensare che i giocatori possano fare alleanze, formare coalizioni ecc. Ogni coalizione sar`a in grado poi di garantire una certa distribuzione di utilit`a all’interno dei suoi membri. Che cosa distingue IL GIOCO COOPERATIVO da quello non cooperativo? Il fatto che si ipotizzi la nascita delle coalizioni non significa che si suppone che i giocatori siano diversi, meno egoisti; le coalizioni sono uno strumento possibile per ottenere migliori risultati individuali, come nel caso non cooperativo. La differenza nei due approcci sta in un’altra cosa: secondo Harsanyi, con Nash, per l’Economia, un gioco `e definito cooperativo se GL’ACCORDI TRA I DUE GIOCATORI SONO VINCOLANTI. In caso contrario, il gioco `e non cooperativo. All’interno dei giochi cooperativi, la teoria distingue fra quelli d’utilit`a trasferibile e quelli d’utilit`a non trasferibile. Qui ci limitiamo a qualche esempio di gioco d’utlita trasferibile gi`a sufficiente comunque a introdurre le idee principali di questo approccio. Per definire un gioco cooperativo abbiamo bisogno dell’insieme N = {1,. . ., n} dei giocatori, e dal dato, per ogni A N, di un numero reale, denotato con v(A). “A N” rappresenta una possibile coalizione; “v(A)” rappresenta l’utilit`a, o in altri casi un costo, che la stessa `e in grado di garantirsi se i giocatori di A si alleano. V `e detta la funzione caratteristica del gioco. Il modo migliore di capire l’idea sottostante questa definizione `e di illustrarla con qualche esempio. Due persone sono interessate ad un bene che `e in possesso di una terza persona. Il giocatore 1, che possiede il bene, lo valuta meno di chi lo vuole comprare (altrimenti non c’`e situazione di interazione tra i tre). Fissiamo per esempio a 100 il valore che il possessore assegna al bene. Gli altri due, che chiamiamo rispettivamente 2 e 3, valutano il bene 200 e 300. Possiamo allora definire il gioco come N = {1,2,3}, e le coalizioni sono otto: {φ, {1}, {2}, {3}, {1, 2}, {1, 3}, {2, 3}, {1, 2, 3} = N}16. Possiamo inoltre porre v({1}) = 100, v({2}) = v({3}) = v({2, 3}) = 0, v({1, 2}) = 200, v({1,3} = v(N) = 30017. Consideriamo invece il caso di un compratore (giocatore 1) e due venditori dello stesso bene; la situazione pu`o essere descritta efficacemente ponendo v(A) = 1 se A = {1, 2}, {1, 3}, {1, 2, 3}, zero altrimenti. In questo caso, quando la funzione caratteristica v assume solo valori zero e uno, il gioco si chiama semplice, e v assume piu` il significato di indice di forza della coalizione (A `e coalizione vincente se e solo se v(A) = 1). Il gioco non cambia se al posto di 1 mettiamo un altro numero positivo. 16φ rappresenta l’insieme vuoto, cio`e la coalizione che non contiene giocatori. Anche se pu`o sembrare inutile, `e invece opportuno tenerla in considerazione; qualunque sia v, si assume che v(φ) = 0. 17 Perch ́e abbiamo definito in questo modo il gioco? Vediamo un paio di casi. Ad esempio, v({2,3}) = 0 perch ́e la coalizione {2,3} non possiede il bene, v({1,3}) = 300 perch ́e la coalizione {1, 3} possiede il bene, che valuta 300 (infatti non se ne priva per meno).  Esempio: La pista dell’aeroporto, la bancarotta, la societ`a per azioni). Gli Esempi 4, 5 e 6 sono anch’essi descrivibili come giochi cooperativi. Nel caso della pista dell’aeroporto, v rappresenta un costo e non un’utilit`a. E` naturale pensare che a una coalizione venga assegnato il costo della pista piu` lunga necessaria per le compagnie che formano la coalizione. Dunque si ha v({1}) = c1, v({2}) = c2, v({3}) = c3, v({1,2}) = c2, v({1,3}) = v({2,3}) = v(N) = c3. Il caso della bancarotta, anche se si intuisce facilmente che `e un problema analogo a quello dell’areoporto, `e un pochino piu` complicato, perch ́e non `e chiaro a priori che cosa una coalizione possa garantire per s ́e. Una stima molto prudente potrebbe essere quello che rimane dopo che tutti gli altri creditori sono stati pagati. Nel caso della societ`a per azioni, siamo in presenza di un gioco semplice, e daremo valore 1 a quelle coalizioni in grado da avere la maggioranza dei voti necessaria nei vari tipi di votazioni (semplice, qualificata ecc). Una generica soluzione di un gioco cooperativo con N = {1, 2, . . ., n} come insieme di giocatori `e un vettore ad n componenti, ciascuna delle quali `e un numero reale. Il significato dovrebbe essere chiaro: se (x1, x2, . . ., xn) `e tale vettore, allora xi `e l’utilit`a assegnata (o il costo, se v rappresenta dei costi) al giocatore i. Tanto per fare un esempio, nel caso dei due compratori e un ven- ditore, se proponessimo come soluzione (100,100,100) ci`o significherebbe che l’esito del gioco prevede un’utilit`a di 100 a testa per i tre18. Un concetto di soluzione invece rappresenta un modo per trovare vettori che soddisfino particolari propriet`a. Ad un gioco una soluzione pu`o associare un insieme grande di vettori, ad un altro nessun vettore, ad altri ancora un solo vettore. E` bene osservare che la soluzione in genere non `e interessata a quanto viene assegnato alle coalizioni, ma solo a quel che viene dato ai giocatori. Ancora una volta va ricordato che le coalizioni sono solo un mezzo che gli individui utilizzano per ottenere il meglio per se. L’idea di gioco cooperativo `e cos`ı generale da rendere necessaria l’introduzione di molti concetti di soluzione: qui accenniamo rapidamente ad alcuni fra i piu` importanti. Una soluzione deve per prima cosa essere un’imputazione, cio`e un vettore (x1, . . ., xn) tale che: 1. xi ≥ v({i}) per ogni i; 2. x1 +x2 +···+xn =v(N)19. SI RICHIEDE CIOE AD OGNI SOLUZIONE DI GODERE DELLE PROPRIETA DI *RAZIONALITA* INDIVIDUALE E DI EFFICIENZA COLLECTIVE. Ogni giocatore deve ricavare almeno quel che `e in grado di garantirsi da solo (altrimenti esce dal gioco), e tutto l’utile disponibile. Per il momento, non ci poniamo il problema se la suddivisione di utili proposta sia ragionevole. Vogliamo semplicemente capire che cosa significa in questo modello soluzione. Ad esempio sono imputazioni i vettori (100,100,100) nel gioco dei due compratori e un venditore  ( 13, 13, 31 ) nel gioco dei due venditori e un compratore, mentre in quest’ultimo non lo sono (0, 0, 0) e (1, −1, 1). va distribuito (e ovviamente non di piu`). Questa richiesta `e quindi da ritenere minimale. In realt`a, visto che le coalizioni sono possibili, sembra naturale richiedere che esse stesse gradiscano una distribuzione di utilit`a, altrimenti una parte dei giocatori potrebbe ritirarsi. Si arriva cos`ı ad uno dei concetti fondamentali di soluzione: il nucleo del gioco v `e l’insieme di quelle distribuzioni di utilit`a che nessuna coalizione ha interesse a rifiutare. D’altra parte, la coalizione A rifiuta quel che le viene proposto se la somma delle utilit`a proposte ai suoi giocatori `e inferiore al valore v(A) che, come detto, rappresenta quel che lei `e complessivamente in grado di procurarsi. Per capire meglio l’idea vediamo di caratterizzare il nucleo in un esempio. Quello dei due venditori e un compratore. Un elemento del nucleo `e un vettore x fatto da tre elementi, scriviamo x = (x1, x2, x3). Ora scriviamo i vincoli che questo vettore deve soddisfare:  x1 ≥0,x2 ≥0,x3 ≥0   x 1 + x 2 ≥ 1 x1 + x3 ≥ 1 .     x 2 + x 3 ≥ 0 x1 + x2 + x3 = 1. La prima riga impone le disequazioni relative alle coalizioni fatte dai singoli individui. Essi non accettano meno di zero, evidentemente. La seconda riga riguarda il vincolo imposto dalla coalizione {1, 2}; essa `e in gradi di garantirsi 1, quindi la somma di quel che viene proposto ai giocatori 1 e 2, cio`e x1 +x2, deve essere maggiore o uguale a 1. E cos`ı via, fino all’ultima coalizione N = {1, 2, 3}. Ora, confrontando l’ultima equazione con la seconda si vede che deve essere x3 ≤ 0, ma la prima dice x3 ≥ 0, quindi x3 = 0. Analogamente x2 = 0. Poich ́e la somma delle utilit`a deve essere uno, allora x1 = 1. Quindi, il nucleo consiste del solo vettore (1, 0, 0). Vediamo ora che cosa ci propone il nucleo in alcuni dei giochi. Nel gioco dei due compratori e un venditore, la soluzione proposta dal nucleo `e che il primo vende l’oggetto al terzo (che lo valuta di piu` rispetto al secondo), ad un prezzo che pu`o variare fra 200 e i 300 Euro (quindi il nucleo propone in questo caso piu` spartizioni possibili). Nel gioco invece in cui ci sono un compratore e due venditori dello stesso bene, come abbiamo visto il nucleo consiste nell’unico vettore (1,0,0), il che significa che il compratore ottiene il bene per nulla. E` interessante notare che, nel primo esempio, il ruolo del secondo giocatore, che pure alla fine non fa nulla, `e messo in evidenza dal fatto che il prezzo di vendita `e influenzato dalla sua presenza. D’altra parte questo `e logico. Se il terzo facesse un’offerta minore di 200 Euro, allora il secondo potrebbe a sua volta fare un’offerta superiore, fino a un massimo di 200 Euro. 20Anche se non si assume esplicitamente, l’ipotesi che v(N) ≥ v(A) per ogni A N `e verificata in quasi tutti i giochi interessanti. Anzi, spesso i giochi verificano l’ipotesi detta di superadditivit`a, che cio`e v(A B) ≥ v(A) + v(B) se A ∩ B = , che stabilisce che l’unione fa la forza. Questo fa s`ı che sia ragionevole assumere che i giocatori si metteranno d’accordo per spartirsi tutta la quantit`a v(N).   In questo caso, il nucleo propone tante soluzioni possibili. Nel secondo caso ci`o che indica il nucleo `e un fatto ben noto in economia, anche se qui espresso in maniera brutale: l’eccesso di offerta mette i venditori in balia del compratore. Infatti nel nucleo sta solo il vettore che assegna tutto al compratore, nulla ai venditori. Altre soluzioni propongono una soluzione diversa, che tiene conto del fatto che in qualche modo i due venditori non sono del tutto inutili. Un esempio ancora piu` interessante di come il nucleo possa proporre soluzioni bizzarre `e il famoso gioco dei guanti, di cui esistono infinite varianti. Una versione che ne mette bene in luce la stranezza `e quando si hanno 4 giocatori; il primo ed il secondo possiedono uno e due guanti sinistri, rispettivamente, mentre il terzo e quarto un destro ciascuno. Naturalmente lo scopo del gioco consiste nel formare paia di guanti. In questo caso il nucleo `e costituito dal solo vettore (0, 0, 1, 1), il che significa che i possessori di un guanto sinistro (guanti che sono in eccedenza) devono cedere il loro per nulla. Risultato che appare ancora piu` bizzarro se si pensa che il giocatore due potrebbe cambiare la situazione semplicemente eliminando un guanto in suo possesso. A dispetto del fatto che a volte le soluzioni proposte dal nucleo sembrino controintuitive, esso rappresenta un concetto di soluzione molto importante, soprattutto in applicazioni economiche. Per`o il nucleo presenta ancora un altro problema: `e facile verificare che in molti casi pu`o essere vuoto! L’esempio piu` semplice `e quando siamo in presenza di tre giocatori che si devono spartire a maggioranza una somma fissata (possiamo porre l’utilit`a della stessa uguale a 1). In tal caso, le coalizioni di due giocatori risultano vincenti (v(A) = 1) se il numero dei componenti la coalizione A `e almeno due, 0 altrimenti-ancora un gioco semplice- ed un calcolo immediato mostra che il nucleo `e vuoto21. Il che rende indispensabile la definizione di altre soluzioni, che possano suggerire possibili spartizioni anche nel caso in cui almeno una coalizione non sia soddisfatta della spartizione proposta. Una soluzione, che qui illustro solo a parole, considera, per ogni possibile imputazione, il grado di insoddisfazione e(A, x) della xi. L’imputazione x sta nel nucleo, ad esempio, se e solo se e(A, x) ≤ 0 per ogni A, cio`e se nessuna coalizione si lamenta. Se per`o il nucleo `e vuoto, allora qualunque sia la distribuzione proposta c’`e almeno una coalizione che si lamenta. Che fare in questo caso? Un’idea intelligente `e di considerare, per ogni imputazione x, il lamento della coalizione piu` sfavorita (cio`e di quella che si lamenta maggiormen- te), e poi scegliere quella distribuzione di utilit`a efficiente che minimizza questo lamento massimo. Se poi sono molte le distribuzioni che hanno questa propriet`a, fra queste si pu`o scegliere quelle che minimizzano il secondo massimo lamento, e cos`ı via. Si dimostra che in questo modo si arriva ad un’unica distribuzione di utilit`a, che viene chiamata il nucleolo del gioco. Nel gioco precedente dei compratori, il prezzo di vendita `e 250, e cio`e il prezzo 21Supponiamo (x1, x2, x3) sia un vettore del nucleo. Le condizioni x1 + x2 ≥ 1, x1 + x3 ≥ 1, x2 + x3 ≥ 1, imposte dalle coalizioni formate da due giocatori implicano, prendendo la loro somma, 2(x1 + x2 + x3) ≥ 3, che `e in contraddizione con la condizione di efficienza x1 + x2 + x3 = 1. Quindi il nucleo `e vuoto. coalizione A per la distribuzione dell’imputazione x: e(A, x) = v(A) − 􏰙 iA   intermedio fra quello minimo e quello massimo proposti dal nucleo; nel gioco di maggioranza a tre giocatori, propone l’imputazione ( 13, 13, 31 ): in questo caso ogni coalizione di due giocatori si lamenta 13, e non `e difficile verificare che ogni distribuzione di utilit`a diversa farebbe lamentare di piu` una coalizione. I risul- tati precedenti non sono sorprendenti, dal momento che il nucleolo `e soluzione che gode di forti propriet`a di simmetria; purtroppo per`o anche il nucleolo pu`o dare risultati bizzarri: ad esempio, siccome appartiene al nucleo, purch ́e natu- ralmente questo non sia vuoto, nel gioco dei due venditori ed un compratore il nucleolo assegna tutto al compratore. Passiamo al terzo concetto di soluzione che qui consideriamo: si chiama indice di Shapley. La sua formula `e un po’ complicata, ad una prima lettura, ma non bisogna spaventarsi. Se poi non si capiscono i dettagli, come ha scritto Nash nella sua celebre tesi, questo non impedisce a chi vuole di capire lo stesso le idee. Dunque, intanto va osservato che questa soluzione, come il nucleolo, ha l’interessante propriet`a di assegnare un’unica distribuzione di utilit`a ad ogni giocatore. La indichiamo con S, in onore di Shapley. Risulta cos`ı definita, per un qualunque gioco v22: Si(v) = 􏰚 (a − 1)!(n − a)![v(A) − v(A \ {i})]. iAN n! L’indice di Shapley associa al giocatore i i contributi marginali23 che esso porta ad ogni coalizione, pesati secondo un certo coefficiente (per la coalizione A \ {i} esso `e (a−1)!(n−a)! ). Tale coefficiente ha un’interpretazione probabilistica inte- n!   ressante: supponendo che i giocatori decidano di trovarsi per giocare, in un certo luogo e ad una data ora, il coefficiente (a−1)!(n−a)! rappresenta la probabilit`a  n! 24 che i al suo arrivo trovi gli altri giocatori della coalizione A, e solo loro . Nel gioco di maggioranza semplice fra tre giocatori, l’indice di Shapley pro- pone ( 31, 13, 13 ), come il nucleolo. Nel gioco dei guanti, invece la soluzione `e ( 1, 7, 7, 7 ). Vettore che presenta caratteristiche interessanti: tiene conto del 4 12 12 12 fatto che c’`e un eccesso di offerta di guanti sinistri, il che rende un po’ piu` debole degli altri il giocatore uno; il secondo ne risente relativamente, perch ́e sfrutta il fatto di poter soddisfare da solo la domanda dei giocatori col guanto destro. Questo mostra che il valore tiene conto di altri aspetti, ignorati dal nucleo. L’indice di Shapley ha applicazioni importanti anche nei giochi semplici. Come esempio, si pu`o pensare all’analisi della composizione di un Parlamento, potrebbe essere il Parlamento Europeo, o il Congresso negli Stati Uniti. Il problema fondamentale in questi casi `e come ripartire i seggi fra i vari stati. Tutti i metodi di ripartizione dei seggi hanno dei difetti: esiste persino un celebre risultato che lo afferma: si tratta del teorema di Arrow. Data una coalizione A, indicheremo con a la sua cardinalit`a, cio`e il numero dei giocatori che formano la coalizione A. 23Il contributo marginale che il giocatore i porta alla coalizione C `e la quantit`a v(C {i}) − v(C). Chiaramente pu`o essere interpretato come l’apporto che il giocatore porta alla coalizione. 24Assumendo equiprobabile l’ordine d’arrivo dei giocatori. per l’Economia), forse il piu` celebre di tutte le Scienze Sociali. Il valore Shapley `e quindi uno dei modi possibili per valutare il potere dei giocatori in un gioco. Per concludere, ecco la risposta che d`a l’indice di Shapley al problema di come suddividere le spese per la costruzione della pista dell’aeroporto (Esempi 4 e 12): il primo paga 13c1, il secondo 12c2 − 16c1, il terzo c3 − 16c1 − 12c2. Detto cos`ı non sembra molto significativo ma, per prima cosa `e utile osservare che la somma dei tre pagamenti fa proprio c3, il che mostra su un esempio quel che `e vero sempre, e cio`e che l’indice `e efficiente; poi, e questo `e molto interessante, il risultato, ha la seguente interpretazione molto naturale: il primo, che da solo spenderebbe c1, divide questa spesa equamente con gli altri due, che usufrui- scono dello stesso servizio. Il secondo chilometro porta un costo aggiuntivo di c2 − c1: questa spesa viene equamente divisa tra gli altri due che utilizzano la pista. Il resto che manca (c3 − c2) infine `e pagato dall’unico utente che ha bisogno del terzo chilometro. Concludo questo paragrafo riprendendo un concetto gi`a espresso: il fatto che esistano tante soluzioni per i giochi cooperativi non deve essere considerato sintomo di confusione. La variet`a di situazioni che vengono descritti come gioco cooperativo impone, in un certo senso, che si considerino diverse soluzioni possibili. Sta a chi utilizza questi modelli scegliere la soluzione piu` adatta. E nessuna soluzione `e adatta ad ogni gioco: per esempio l’indice di Shapley per il gioco del venditore e dei due compratori `e ( 650, 50, 200 ), cui sembra difficile dare un 333 significato sensato. Per questo le varie soluzioni vengono caratterizzate da pro- priet`a che servono a descriverle: abbiamo ad esempio ricordato che l’indice di Shapley ed il nucleolo godono di propriet`a di simmetria, il che significa che non privilegiano alcuni giocatori rispetto ad altri.Stefano Catucci. Catucci. Keywords: la via conversazionale, l’originarieta della conversazione; estetica della conversazione, filosofia dell’eccedenza sensibilie, rispecchiamento, parlare obliquo, Lukacks, filosofia povera, filosofia ricca, Husserl, Husserl-Archief, Leuven, Belgio, “la cosa stessa”, “la linea del crimine”, potere, la luna, musica, estetica della musica, estetica dell’archittetura, critica fenomenologia, Foucault. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Catucci” – The Swimming-Pool Library. Catucci.

 

Grice e Catulo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Ccombatte a Numanzia sotto Scipione Emiliano l'Affricano minore e così fu accolto nel suo circolo. C. e console con Mario e partecipa con lui alla vittoria di Vercelli sui cimbri. Sorse allora fra loro una mutua gelosia che provoca l’implacabile inimicizia di Mario la quale costrinse C., che era stato dalla parte del Senato, a darsi la morte col veleno per sottrarsi alla condanna capitale che lo attende.  Compose epigrammi latini, un liber de consulatu et de rebus gestis suis, che CICERONE loda al pari dei suoi discorsi. Gaio Lutazio Catulo.Catulo.

 

Grice e Catulo: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). A member of the Porch and a tutor of Antonino. Cinna Catulo. Catulo.

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