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Wednesday, January 8, 2025

GRICE ITALO A-Z C CE

 

Grice e Ceremonte: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Teacher of Nerone. Member of the Porch. He took a materialist view of the world, claiming that the gods should be IDENTIFIED with the planets, and that everything in the world can be explained in physical terms.

 

Grice e Ceretti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del PASŒLOGICES SPECIMEN – scuola d’Inra – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Intra). Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Intra, Verbania, Verbano-Cusio-Ossola, Piemonte. Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too! Ceretti distinguishes three stages in the development of a communication system. The first is very primitive, obviously, and avoids the reference to ‘io’ and ‘tu’ as metaphysical – ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he says may be all that some societies need – ‘green’ for this plant – The third stage involves the general concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed entity (animal) can refer to a plant or to an animal like himself or his companion – at this last stage, Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the affectations of the mind being what is communicated – if that’s not Griceian, I do not know what is!” -- I suoi genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di condizioni agiate, lo affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e successivamente ai docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo carattere refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole di disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i membri del gabinetto Vieusseux.  Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli altri.  Soggiorna nella villetta "La Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato alla stampe a Intra con lo pseudonimo d’Goreni. Trasferitosi alle Cascine a Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”. Adere all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi (Torino).  La sua opera è stata pressoché sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini della filosofia contemporanea in Italia” (‘C. e la corruzione dell'hegelismo’). A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Martinetti C. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata presso la POMBA di Torino. Gentile. Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia, Milano, Vigorelli.  Dizionario biografico degli italiani,  Opera Omnia D'Ercole, Torino, Vittore Alemanni, C.. L'uomo, il poeta, il filosofo, Hoepli, Pasquale D'Ercole, La filosofia della natura di C., POMBA, Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia, Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti, in Verbanus, Vigorelli, Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere considerato come l’ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione, e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum; e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce le specie “Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii. Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente manifeste, troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii individui pur differenti fra loro. Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò non si deve investigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini della specie, ossia nella variazione individuale del specimen. Questa variazione, tuttochè lentissima, modifica col volgere dei secoli le specie, così come la conchiglia microscopica, variando la propria natura, varia il terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva variazione sono di tre ordini, vale a dire: planetarii, psichici, e spirituali. Questi agenti sono progressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario modifica semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai lentamente, la facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p. es., la natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione geografica e topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare elementare, perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e del suolo. L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente modificabile, appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo neutralizzarsi fra se in una ricca varietà di modificazione. L’agente del secondo ordine e psichico (e no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò più intimo nell’organismo, ossia più essenziale. Un agente psichico modifica l'animale nella sua intima facoltà, ossia una attitudine, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questo secondo agente e nella sua essenzialità un maggiore sviluppo del primo agente naturale plantario, epperciò si manifesta nella generazione susseguente come una profonda modificazione dell’organismo e dell’sstintualità. Questa modificazione non e più mera variazione giusta una astratta affinità, per le quale, p. es., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifesta come una pura variazione quantitativa dell’istintualità. E una modificazione profonda che diventa la proprietà caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e qualche volta e affatto estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla facoltà della generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie (Homo sapiens) e venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà psichica si modifica sulla base di un istinto più svariato, il quale si neutralizza appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati. L’istinto dell’animali inferiore e tanto più fermo e rigido  quanto meno molteplice e svariato. Questa modificazione causata da un fattore psichico modifica il sistema anatomico e fisiologico, perocchè non e possibile una modificazione psichica sulla base d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E una modificazione profonde, la quale, se qualche volta poco modifica l'ordine anatomico-fisiologico sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto nell’elementi anatomico, nel così detto ordine istologico. La modificazione psichica non spetta, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde modificazioni dell’organismo e della corrispettiva istintualità. Essa rifletta piuttosto la mera individualità animale, epperciò e variabile indefinitamente. La condizione causale di questa modificazione e data dalla ciscostanza nella quale versa un certo individuo animale. Cosi non è solo la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche i varii vegetabili e animali con che vive; perocchè dette varia condizione e sufficiente a modificare l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia circostanza costringe un certo individuo a esercitare preferibilmente una certa facoltà psichica, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo sapiens”, questa facoltà variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi neutralizzato, ossia radicalmente variato, si trasmette alla generazione veniente; e cosi le condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima individuale, preparano il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore veramente spirituale. Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che appartene non alla specie, ma all'individuo animale, ed e un fattore che non più modifica l'anima senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante dell’animale. Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa) possegge un certo quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore. Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani. È questa la ragione per la quale l’animale non solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente giusta un certi statuto di un sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare della proprie osservazione; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al più giovane e trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della categoria istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La categoria spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria psichica (psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel suo amplo uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale, arriva all’esistenza come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente psichico; o come linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come linguaggio assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione proposizionale – la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo ed ultimo stadio, ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale, proprietà *esclusiva* (alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma solamente al primo stadio (psichico) e al secondo stadio (misto) del linguaggio che nasce e si sviluppa nell’animalità sub-umana, pre-razionale. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva nella spiritualità pensante proposizionale, è manifesto piuttosto dal linguaggio ‘muto’ o il gesto di una emozione del corpo e principalmente di quell’emozione della fisio-nomia. Quest’emozione formula un sistema comunicativo, in quantochè manifesta una definita emozione intima con una certa categoria, che, non essendo destinate alla mera soprevivenza o conservazione dello specimen o della specie, non si puo chiamare semplicemente psichica, ovverosia istintuale. L’animale sub-umano, p. es., lussureggia per una mera sensualità erotica – omo-erotica, come Socrate ed Alcibiade --, la quale non può essere destinata in verun modo alla propagazione della specie dei Grecci! Così pure due specimen giovani di animale giocano (la lotta greco-romana) colla vivacità propria dell’età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all’educazione e destrezza corporale dell’individualità. Così il padre non solo alimenta il suo figlio, ma l’educa e disciplina ad una pratica operazione requisita dalla propria specie, locchè dimostra che l’ingenita istintualità non puo bastare, ed abbisogna dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che ha già vissuto praticamente nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente di questo o quello gesto, il quale segna non solo una definita emozione dell’animo, ma una certa anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio, mentare, mentire). Così, per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che altre volte fu nocivo, puo involuntariamente fuggire guaiolando. Il gesto segna naturalmente la paura. Qui certo v’ha una psichica emozione provocata da una simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere legata alla *memoria* della *sensazione* originaria, la quale memoria appunto costituisce una determinazione *equivoca*, mista, psichica o mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che incluse un svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante una modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola) non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo, assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole, animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età dell’animalità. Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla specie (una rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore,  non solo lo specimen si distingue dalla specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi, p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase, costituiscono l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale dell’animale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell’organismo dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo costituiscono. L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza; perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente, l’animale sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso; perocchè la co-scienza e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo” e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo” (pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*. Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon) ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce* soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la risposta ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione (la risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto (che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente, ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come memoria), epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo oggetto. Una terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha osservato. Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria, dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato, un numero imaginario), tuttochè le semplici categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal “non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io (il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale, di piroti viventi e di pensanti, non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante, ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza. Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo, parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente. Cosi un soggetto è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso. Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente. In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non possiede, come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed insubordinabile al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del soggetto. Quest’idea prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è stata il primo germe del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non perchè sommamente ragionevole, ma perchè onnipotente. Nella religione spiritualmente più adulta rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l’attributo eminentissimo del sacro. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di essere stato lattante, di essere stato partorito, e cosi pure può sapere che OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre una certa mnassima età, ma morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa *che* il soggetto non solo nasce (si genera) e muore (corruption), ma può nascere in varie condizioni e morire in qualsivoglia momento della sua vita. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della co-scienza realizzato la prima volta che la co-scienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo (Adamo) prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non moriva, ed avendolo gustato dovrà morire. Veramente la co-scienza senziente non può sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione *trasmessa* (il trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero un'idea indotta dal fatto costante della morte. Questa crisi della co-scienza, ci manifesta che la co-scienza, dalla sensazione svolgendosi nella mentalità, procede in un sistema di distinzioni ideali o possibile o concettuali e astratte che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prototipicamente *imitatrice* o inconica della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la *forma logica* della sensazione stessa, che progressivamente si trasforma in quella del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche funzioni -- attenzione, memoria, ed imaginazione. Da queste tre prototipiche funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato temporaneo, e vive nella retrospettiva del passato, e nella prospettiva dell'avvenire. Questo conflato temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l’immediato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità inducibile dall'osservazione. Da quest’osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra. Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l’uomo nasce e muore, e finalmente che *io*, come uomo, ma no come persona, sono nato e devo morire. L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un’idea comunissima, è lungi dall'essere tale. La co-scienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte come un fatto costante. Ma, come la riſlessione, non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia necessario. Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l’uomo. Ma suppongono parimenti che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sfortunata accidentalità. La co-scienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione individuale. Ma proprie determinazioni non affettano un sistema generale della co-scienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della co-scienza è pienamente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comune in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato, ossia profetico, taumaturgico, e così via. Generalmente parlando, questa co-scienza trascendente subordina la comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità  romana ed etrusca. Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica contradittoria o contraria o opposta a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze generali della pratica oggettività, allora si dice che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso comune (in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività naturale e spirituale (in questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza trascendentale, ossia la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza essenzialmente poetica, è il polo opposto della co-scienza dominata dalla sensazione, co-scienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità, a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della sua storia. La funzione più essenziale e più generale della mentalità è la comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio del trasmesso è l'uso di una radice designativa – de-segna – segna. Qui io non segno che una presentazione o un modo di una presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie dello spazio e del tempo. Il pronome personali non fu primitivamente io e tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua, ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and th’other, thatness, thisness), ecc., categorie dello spazio. Un sistema di comunicazione che consta di radici semplicemente per la che io de-segno non può soddisfare alle esigenze più generali della mentalità, epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio consta della combinazione di una radice con la che de-segno con una radice pre-dicativa, ma tuttavia legate a una sensibile determinazione; cosi, p. es., per designare un oggetto, si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto, p.es., il verde per designar la pianta, il bianco per designer la neve. Quest’attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi o barbari, i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie o il genus o l’universale, ma semplicemente oggetti in certe sensibili condizioni. Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggelto; come, p. es., define la pianta non l'individuo verde, ma l’individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende ogni pianta; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. Il gesto è posseduto da ogni animale come inezzo psichico di movimenti o di formalità; ma il gesto che caratterizza la soggettività è appunto il trasmesso psichico che si svolse nella spirituale. La prima radice segna una mera affezioni dell'anima e più tardi si svolse in un segnato meta-forico, per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale fisico *espresso* dall'anima e l'anima esprimente (segnante) è quello stesso rapporto, ma più complesso, per il quale un animale segna con un certo definite gesto certa definite affezione della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l’inezzo per segnarla, si conobbe come specie comune. Il primo sistema di comunicazione quasi naturale deve essere stato pressochè identico in ogni umano, come ogni pecora bela, ogni cani abbaia ed urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e trasmesso senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La communicazione è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato, infatti, in molte sue opere. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande opera, cioè  Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “Prolegomeni,, Torino. Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale; nella Introduzione alla cultura generale (facente parte del predetto vol.), pag. 120 e seguenti. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite. L'uomo che possedette questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una aggregazione o società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degli altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio o barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario (il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite. Mi furono mandati a casa, in Torino, dal benemerito libraio Loescher tre grossissimi volumi intitolati Paselogices Specimen Theoo editum. Intri, etc. Un filosofo di nome Teofilo Eleutero è a tutti ignoto; e non fu poca la mia mera viglia nel vedere come un'opera filosofica così voluminosa, scritta e stampata in latino, avesse potuto sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda età, specialmente allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento filosofico. La curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse, mi fe' tosto gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di Prolegomena, e che, come subito vidi, era una Introduzione, o Propedeutica che voglia dirsi, a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle prime pagine del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del l'ammirazione: sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero entusiasmo. Io mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano di alto ingegno e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che quelli di una Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo stesso. Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il quale m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome C., dalla cui figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per prenderne conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo della figlia, essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che poco di poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la paralisi progressiva. Io continuai, naturalmente, a leggere e stu diare la preziosa opera, ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del filosofo, essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della posizione filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il ricordo, mi si conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa personalità. Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle poche notizie seguenti. Assolti bene o male, anzi piuttosto male che bene, i primi elementi della sua istruzione, comincia a trarre qualche profitto in un collegio di gesuiti a Novara. È una singolare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' gesuiti, avesse proprio da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto maggiore e un vero inizio di studi serii sono da lui fatti a Firenze, ove si reca subito dopo, mettendosi in relazione cogli uomini del famoso Gabinetto Viessieux e consacrandosi tutto agli studî' di lingue, lettere e scienze. Quanto a lingue, tra il tempo che e a Firenze e gli anni che immediatamente seguirono, ne apprese parecchie tra antiche e moderne, allo scopo non solo di legger la filosofia negli idiomi originali, ma anche di viaggiare, per prender diretta notizia di uomini e cose. Infatti, comincia subito a viaggiare percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche la Svizzera, la Francia, la Germania, l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che fa nella prima giovinezza si allargano e diveneno più intensi, quando dopo i viaggi si ritira nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi comincia anche a scrivere opere di vario genere, segnatamente filosofiche. Nella sua carriera di filosofo passa per varie fasi, che io (nella mia opera intitolata Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di Ceretti) designo e describo come fase poetica, fase filosofica in genere ed hegeliana in ispecie, fase di transizione, fase utopistica e riformativa della società civile, e fase ultima del pensiero cerettiano, la quale è quella del cosìdetto sistema contemplativo. Ad ognuna di queste fasi corrispondono opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del pensiero cerettiano gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali opere, se si considera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa addirittura ingente, che versa su tutte le parti dello scibile. E, infatti, un filosofo universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di saggi, ricordo innanzi tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica, la quale gli scalda tanto la mente ed il cuore, che gli fe ' dire: Cari poeti, voi dell'alma mia foste il primo verissimo Messia. Ad essa appartengono le opere poetiche di genere romantico: Eleonora di Toledo; il Prometeo; il Pellegrinaggio in Italia; le Poesie liriche: inoltre, queste altre di genere giocoso, satirico e filosofico e scritte anche in tempo posteriore alla giovinezza: le Avventure di Cecchino, e le Grullerie poetiche. A queste opere scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra scritta in prosa e pur facente parte di questa prima fase, cioè quella intitolata Ultime Lettere d'un profugo e costituente un romanzo sul genere del Werther di Goethe e del Jacopo Ortis di FOSCOLO (si veda). Questa prima fase nella quale la sua mente è ancora incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata dall'aspirazione di lui ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de' grandi uomini del suo tempo e di quello che immediatamente lo precede (Cenobium). Il che egli stesso riepiloga ed esprime dicendo. In giovinezza io fui innamorato e delirante alla Werther, patriota furibondo alla Ortis, stravagante alla Byron, dolorante alla Leopardi, misantropico alla Rousseau, satanico alla Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente miserabile alla mia propria maniera. Alla seconda fase, che contiene la sua filosofia più eminente e più compiuta, appartiene -- oltre ad un primo abbozzo di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della forza  la grande opera latina predetta “Pasælogices Specimen”. La filosofia di questa fase ha il fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi costituiscono poi una ulteriore deviazione tanto dal pensiero hegeliano in genere, quanto dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed esposto in que st'ultima. Come prima deviazione e ad un tempo come transizione alle fasi susseguenti si possono considerare la “Sinossi del l'Enciclopedia speculative”, le “Considerazioni sul sistema della natura e dello spirito; l'Insegnamento filosofico: le quali saggi hanno ancora spiccatamente il carattere di filosofia teoretica ed enciclopedica. La nota principale della suddetta deviazione è che al logo assoluto, il quale nella grande opera latina diviene il principio cerettiano riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de terminatamente e accentuatamente sostituito il principio della coscienza assoluta, Coscienza, che, a dir vero, e già apparsa nella stessa opera latina. Quale ulteriore deviazione, ma specificamente appartenenti alla fase utopistica riformativa della società civile, si ricordano le opere intitolate “Sogni e favole” e “Proposta di una riforma civile”. Oltre ad esse, vanno ricordate anche queste altre, le quali però sono scritte in forma di romanzi, cioè, i Viaggi utopistici; l'Inconcludente; Don Simplicio; Don Gregorio; il Protagonista, e qualche altra. La deviazione massima è in quegli altri saggi, che rappresentano più spiccatamente l'ultima fase, nella quale perviene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui designato, come è detto, col nome di sistema contemplativo. I pensieri di quest'ultima fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua vita, come per esempio, per nominarne alcuni, nella Vita di Caramella e nelle Memorie postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi, benchè già numerosi, non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, essendovene una quantità ancora notevole, che possono esser nominati scritti varii ed ai quali appartengono: Biografie, Autobiografie (tra queste, notevolissima, La mia Celebrità), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato d'Astronomia e un Trattato di Medicina. Come vede il lettore, quella che io chiamava una ingente massa di scritti, e versante sulla universalità dello scibile, non è una denominazione esagerata, ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea sommaria degli scritti del filosofo intrese. Per cio che concerne il filosofo propriamente detto, va considerato rispetto al corso della filosofia in genere ed al periodo filosofico idealistico tedesco in ispecie, nel qual periodo si riattacca alla maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la hegeliana. Si apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno studio e conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello scibile, sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze positive e naturali d'ogni specie; secondamente, di quelle attinenti alla filosofia propriamente detta. Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera del nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle diverse età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana) e in genere ne' testi originali de' medesimi ne ha dato un saggio notevolissimo egli stesso nel primo volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni. Ma nella Storia della filosofia uno de' periodi che più studia e conosciuto è il predetto periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di essa, come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, si ne' secondarii e pur importanti del medesimo, come Herbart, Schopenhauer ed altri. In questo periodo e naturale che quello che massimamente attraesse e legasse il suo spirito fosse Hegel, siccome quello che compendia in sè, primamente la Storia filosofica generale e, in secondo luogo, lo stesso speciale periodo tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come quello che ha raggiunta la più alta forma di speculazione nella scienza filosofica, sopratutto nella disciplina logica. Considerando il filosofo tedesco in tal modo, è naturale che nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a lui. Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che voglian dirsi. In conseguenza di ciò si propose da una parte, di additare questi vizii, dall'altra, di correggerli. E la correzione, che costituiva per lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la filosofia cerettiana stessa, quale è concepita ed esposta nella predetta grande opera latina. Ciò posto, seguiamo ora tal pensiero filosofico cerettiano ne suoi tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo come la predetta suprema manifestazione della coscienza filosofica, ei l'accoglie nel general fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che vengono da lui riassunti ne' seguenti principii generali. Primo, L'assoluto è l'Idea. Secondo, l'Idea concreta è lo spirito. Terzo, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito è l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea, nella quale evoluzione consiste il processo metodico di quest'ultima, avviene e deve avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto, come dice Hegel (dem Begriffe nach). Rispetto a tali principii designati come hegeliani non che come veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va però osservato, che di essi non può essere ritenuto come schiettamente e veramente hegeliano il terzo; giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito non è l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e semplice soltanto, e però immediata ed astratta, non ancora dialetticamente esplicata e, mediante l'esplicazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e concreta dello Spirito è per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente logica (da Idea logica ) si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea naturale o Natura), e, attraverso di questa, è giunta a coscienza di sè, ossia è divenuta spirituale, o, che vale lo stesso, è divenuta Spirito. In altri termini, l'essenza concreta assoluta dello spirito è la coscienza dell'idea, ovvero è l'idea conscia di sé, mentre l'idea logica hegeliana è ancora inconscia. Per cio che concerne i mancamenti e vizii della dottrina hegeliana, essi, secondo C. concernono l'evoluzione dialettica dell’idea, o, che vale lo stesso, concernono l'idea nel suo processo (esplicazione) dialettico. Un primo vizio generale in tale evoluzione è per lui quello che nella logica hegeliana concerne il prius e il risultato dell'idea. Notoriamente per Hegel, benchè l'idea sia, da una parte, il principio universale assoluto, e, dall'altra il principio iniziale dell'evoluzione dialettica assoluta, principio iniziale che farebbe come il prius ideale dialettico, pur non di meno pel filosofo tedesco il vero prius dell'idea non è questo iniziale, ma quello finale a cui l'idea perviene come risultato del processo dialettico, risultato finale che è propriamente lo spirito, ossia l'idea pervenuta a coscienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero prius non è l'idea logica, ossia l'idea pura ed estratta, ma lo spirito, che è l'idea che col processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or questo prius che Hegel pensa e pone come vero è invece da C. ritenuto falso, perchè pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico prestigioso e sconforme al vero ordine logico, che deve avere e seguire il logo (logo che, come tosto si vedrà, è il principio specifico assoluto cerettiano sostituito all’idea hegeliana). Accanto a questo vizio generale, trova e addita vizii particolari affettanti l'idea come logica naturale e spirituale. I vizii spettanti all'idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre. Il primo vizio è che nell'esplicazione dialettica dell'idea logica la genesi di questa sia una genesi della nozione dalla non-nozione. Il secondo vizio è che l'esplicazione dialettica dell'idea logica è piuttosto un'astratta esplicazione delle categorie, anzichè un concreto un rimmanente processo di esplicazione ed IMPLICAZIONE. Il terzo vizio è che il processo dialettico dell'idea logica hegeliana è piuttosto un logo astratto astrattamente esplicantesi e riassumentesi insultato, anzichè la sanzione (o affermazione) di sè stesso nella concreta immanente ed assoluta verificazione della propria posizione, dialettica e riassunzione. Il primo de' tre vizii indicati, riproducendo il mentovato general vizio del prius, ei lo determina meglio designandolo come processo inconscio dell'idea logica, processo che Hegel pensa appunto come inconscio ed C. pensa e vuole invece come conscio. E può dirsi che su tal coscienza dell'idea logica poggia il punto cardinale della differenza dell'idea hegeliana dal logo cerettiano. Quanto al vizio concernente l'idea naturale, esso è in grosso quello stesso dell'astrattezza, testè rilevato, o, che vale lo stesso, della non raggiunta realtà dell'idea nel farsi naturale. Infatti, l'idea logica, estrinsecandosi e divenendo natura, rimane in quello stato astratto e puramente e semplicemente ideale che ha come idea logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice, cioè a farsi vera realtà naturale. E finalmente, quanto allo spirito, od idea hegeliana spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa prestigiosità speculativa (speculativa prestigiositas), che ha trovata e rilevata per la logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio innanzi mentovato dell'idea hegeliana, che cioè essa sia un risultato, diviene più specifico nello spirito, in quanto questo, concepito da Hegel come l'idea che dal suo esser-altro (cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa, ha appunto il carattere speciale di essere un risultato e non una realtà, a dir cosi, originaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti l'idea nelle sue varie forme, logica, naturale e spirituale, ne rileva alcuni altri secondarii; ma noi, limitandoci alla indicazione de ' fondamentali, passiamo ad indicare le corrispondenti emendazioni di essi. Preposto che all’idea hegeliana egli in genere sostituisce il logo, principio universale ed assoluto anch'esso, la prima generale emendazione, concernente il prius ed il risultato dell'idea innanzi esposti, è fatta da C. nel senso che il logo è oiginariamente conscio e non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii dell'idea logica propone come emendazione (Mi piace di riferire colle stesse parole latine di C. il predetto triplice vizio. Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu prolegome norum designata, est primo, quatenus notionis a non-notione progenesis; secundo, quatenus categoriarum abstracta explicativ, potiusquam concreta explicationis et IMPLICATIONIS immanens contraprocessu osilas; tertio, quatenus abstractus er plicativce dialectica LOGUS in abstracta resumptione, potiusquam in concreta positionis, dialectica et remsumptionis immanente absoluta verificatione suun ipsum sanciens. Pasael. Spec., CENOBIUM) e però riformazione, che il primo venga emendato mediante il principio della generale coscienza logica della nozione od idea hegeliana: il che importa che il logo sia una nozione (idea) che si genera dalla nozione stessa e non già dalla non-nozione (nozione inconscia). La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso anche colla generale emendazione predetta del prius e del risultato. La emendazione del secondo vizio è dal nostro filosofo ottenuta col propugnare ed effettuare che la genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un processo astratto di sola esplicazione, ma secondo un processo concreto di esplicazione ED IMPLICAZIONE insieme: nel qual processo concreto i momenti astratti di esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò la loro unità. Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il logo assoluto in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione (risultato), ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di tutto il corso esplicativo, costituendo così un processo e contro-processo, in cui ogni momento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi all'idea naturale hegeliana, la emendazione (stata già implicitamente accennata nella critica fatta di essi ) consiste in quella che C. appella la NATURAZIONE del logo. E cioè, mentre Hegel concepisce la natura siccome l'idea ritornante a sè stessa dal suo esser-altro (dalla sua esternazione ed alterazione), il Ceretti invece pensa che la natura non è sol tanto ciò, ma è e dev'essere reale naturazione del logo, ossia reale incarnazione ed obbiettivazione del medesimo. E da ultimo, quanto all'emendazione del vizio dell'idea spirituale, essa nel complesso è quella già rilevata nella critica fatta del vizio, e consiste nel concepir la medesima, ossia lo spirito, siccome logo originariamente conscio e non divenente tale per risultato d'un processo. Le predette generali e fondamentali emendazioni, accanto ad altre subordinate e secondarie, son quelle che nella esposizione ed esecuzione delle idee filosofiche costituiscono la filosofia cerettiana riformativa della hegeliana, e filosofia riformativa che forma il contenuto della più volte mentovata grande opera di C., intitolata “Saggio di Panlogica.” Questo Saggio è un'opera veramente colossale ed è l'enciclopedia filosofica cerettiana, modellata sulla nota corrispondente Enciclopedia hegeliana (Encyclopädie der philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Concepì la propria enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volume. Il primo (i prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia. Il secondo contenente (col nome di “ESO-LOGIA”) l'esposizione della logica e metafisica. Il terzo, il quarto, ed il una con un quinto (col nome di ‘ESSO-LOGIA’) costituenti la trattazione ed esposizione della filosofia della natura nelle sue tre parti della Meccanica, della Fisica e della Biologia (od Organica). Il sesto, il settimo e l'ottavo (col nome di “SINAUTOLOGIA”) designati a trattare la filosofia dello spirito, distinta anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia, Antropo-pedeutica ed Antropo-sofia. Di questa vasta concezione ed esecuzione il principio fondamentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in fondo alla Esologia, Essologia e Sinautologia: Logo che, come si è detto, in Ceretti piglia il posto e la generale significazione del l'idea di Hegel. Il logo Cerettiano, come quest'ultima, è l'universa ed assoluta realtà, e realtà con preminente carattere ideale, comprendente in sè la realtà logica, la naturale e la spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo; tanto più veramente assoluto, in quanto, non meno e forse ancor più dell'hegeliano, abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di Idealismo apparse nel corso storico della filosofia, si in generale le antecedenti all'Idealismo tedesco, si in modo più speciale quelle di quest'ultimo, cioè gli Idealismi subbiettivi Kantiano e Fichtiano, l'Idealismo obbiettivo Schellinghiano, non che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano. Questo carattere di universalità ed assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una delle cose più spiccanti, più notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia filosofica del filosofo intrese. Quanto al principio assoluto del Logo, va parimenti rilevato, che, per la natura conscia del medesimo innanzi additata, esso vien da C. designato anche come puramente e semplicemente coscienza: per modo che coscienza e logo ricorrono quasi pro miscuamente nell’enciclopedia cerettiana ed anche in altre opere posteriori) come espressive e determinative del principio assoluto. È bene, inoltre, rilevare che tal principio assoluto e dal nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto l'assoluto, il quale corrisponde in tutto e per tutto al logo e alla coscienza consi derati come assoluti. Ciò fa intendere come per C. l'elemento conscio costituisce il carattere essenziale del suo principio assoluto, ossia del suo Logo in tutto il suo ambito, mentre per Hegel l'elemento conscio è caratteristico e specifico dello spirito propriamente detto, ossia dell'idea giunta a coscienza di sé. Ciò farà, d'altra parte, pari menti intendere come il filosofo intrese ponga come riformativa dell'hegelianismo la proposizione: L'assoluto è la coscienza. Per cio che concerne la designazione del principio assoluto, rilevo ancora che, ad esprimere il predetto principio assoluto, egli adopera tante altre volte anche le parole idea, nozione, persin Pensiere, come Hegel. Ma, se le espressioni son varie, il senso e valore fondamentale del suo principio è quello del logo pensato come Logo conscio o coscienza assoluta. Conformemente a ciò (e in grosso conformemente all'hegelianismo) il Logo vien pensato nella sua IN-TRINSECA natura e nel suo processo dialettico. Nella sua natura il Logo vien considerato in tre diverse forme di esistenza, cioè: quale è IN sè, quale è PER sè, e quale è IN sè E PER sè. La considerazione del Logo IN sè stesso costituisce la predetta “ESO-LOGIA”, da sis, és, dentro e logos, ossia la dottrina logico-metafisica del logo. Quella del Logo FUORI DI  sè costituisce la “ESSO-LOGIA” (da few, fuori, in latino, “Exologia”), ossia la dottrina filosofica della Natura. Quella del Logo IN sè E PER sė, o come il Ceretti la dice, del Logo IN sè e SON sè, costituisce la “SIN-AUTO-LOGIA”, da “syn” e “autos”, con stesso ), ossia la dottrina dello spirito. Degno di rilievo è inoltre che il logo IN sè è il logo nella sua subbiettività. Il logo FUORI DI sè è il logo nella sua obbiettività. Il logo IN sè e sè e il logo nella unità della sua subbiettività e della sua obbiettività, ossia è il logo subbiettivo-obiettivo, che è poi il logo assoluto. È bene parimenti rilevare che come il logo è per eccellenza il logo conscio, il quale è poi lo spirito o la coscienza, così si designano egualmente lo spirito e la coscienza nella loro subbiettività, nella loro obbiettività, e nell'unità della subbiettività e dell'obbiettività. Il predetto triplice modo di essere della natura del logo soggiace ad un processo esplicativo, che costituisce il processo dialettico, appellato anche metodo dialettico. Questo processo metodico ha, tanto per Hegel quanto per Ceretti, tre momenti anch'esso. Questi momenti, che il filosofo tedesco appella comunemente dell'IN sè, del PER sè e dell'IN sè e del PER sè, dando loro il valore e significato di momento immediato o intellettivo (della speculazione dell'idea ), di momento mediato o razionale negativo, e di momento immediato e mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal Ceretti appellati (nel complesso però con valore e significato simili a quelli di Hegel) momenti della posizione (thesis, positio), ri-flessione e con-cezione. La posizione, come la parola stessa indica, ha il valore e significato di quella che comunemente (in Fichte, Schelling ed Hegel), ricorre come “tesi”, mentre la ri-flessione ha significato e valore di contraddizione (opposizione, ob-positio, contra-posizione, antitesi ) e la concezione significato e valore di conciliazione (com-posizione, sintesi) degli opposti, sintesi della tesi e dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del logo (quelle di Eso-Logo, posizione; Esso-Logo; contra-posizione; e Sinauto-Logo, com-posizione, con le corrispondenti dottrine d’esologia, essologia e sinantologia, costituisce per C. i tre Cicli di quest'ultimo. Cicli che, mentre son tre, pur ne costitui solo sotto triplice forma: costituiscono cioè il logo assoluto uni-trino. Un altro punto pur degno di rilievo e caratteristico è il modo come determina la considerazione filosofica o speculativa de tre cicli. La considerazione del primo, ossia dell'Esologia (posizione) per lui il pensiero del Pensiero (“cogitatio cogitationis”, l’implicazione o impiegazione dell’impiegazione) quella del scono un ma secondo o dell'Essologia è il Pensiero del Pensato (“cogitatio cogitatis” – implicazione dell’implicato, o impiegazione dell’impiegato, e quella del terzo, o della Sinautologia, è il Pensiero del Pensante (“cogitatio cogitantis,” implicazione dell’implicante, impiegazione dell’impiegante). Anche nell'hegelianismo il Pensiero assoluto è identificato col l'idea assoluta, in quella guisa che il C. identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo assoluto. Però nella espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un significato più specifico, e propriamente questo, che cioè l'Esologia (posizione) è la considerazione del Pensiero in sè stesso, del pensiero puro hegeliano e potrei anche soggiungere, della ragion pura kantiana. L’Essologia (contra-posizione, impiegato) è la considerazione del Pensiero del Pensato, cioè del Pensiero non più in sè, puro ed astratto, del Pensiero estrinsecato (fatto per sè), obbiettivato. La Sinautologia (com-posizione) la considerazione del Pensiero del Pensante (impiegante: implicazione come relazione tra il implicante e l’implicato) cioè del pensiero come esistente ed esercitantesi nel subbietto pensante. Potrei dire che la predetta triplice considerazione è quella del Pensiero puro e semplice, quella del Pensiero come obbietto di sè medesimo (estrinsecatosi fuori di sè nella natura), e quella del pensiero astratto ed operante come proprio subbietto (nella coscienza del pensiero stesso o nello Spirito ). Dopo le antecedenti generalità, passiamo a considerare parte per parte il logo nelle sue tre forme di esistenza nella logico metafisica (Esogia, posizione), nella naturale (Essologia, contra-posizione) e nella spirituale (Sinautologia, composizione). La dottrina logico-metafisica, conformemente alla hegeliana, è pur distinta in tre parti che anche per lui, come per Hegel, son quelle dell'Essere, dell’Essenza e del Concetto: solo che queste nel filosofo tedesco si susseguono nel modo indicato e nel filosofo intrese mutan posto, diventando primo il Concetto, secondo l'Essere e terzo l’Essenza. Questo mutamento diposto nella serie porta poi naturalmente con sè un corrispondente mutamento nel processo dialettico. Le dottrine di queste tre parti così spostate hanno in Ceretti i nomi speciali di “PRO-LOGIA” (concetto); “DIA-LOGIA” (essere); e “AUTO-LOGIA” (essenza). La PRO-LOGIA con sidera il Logo esologico (ESO-LOGO) o logico-metafisico, nella astratta identità del Pensiero (impiegazione). La DIA-LOGIA (CONTRA-POSIZIONE) considera il logo nella differenza (IMPIEGATO) di esso. La AUTO-LOGIA (COM-POSIZIONE) considera il logo nella unità sintetica (IMPIEGANTE) dell'identità E della differenza del Pensiero stesso. Non credo che il nostro filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire l'ordine de' tre principii fondamentali predetti. Ma, checchè sia di ciò, è bene di allegare la ragione dell'invertimento da lui ritenuto razionale e necessario. La quale, a suo credere, è che per il logo conscio, o che vale lo stesso, per la Coscienza il primo (prius) PRO-LOGICO (cioè il primo con cui deve cominciar la logica) non dev'essere nè indeterminato, come sono l'essere di Hegel e di Rosmini-Serbati, nè determinato (impiegato), come sono l'Io di Fichte e la predetta Ragione di Schelling, ma dev'essere lo stesso prius, nel quale sieno implicitamente contenute tanto la indeterminazione quanto la determinazione. E un sì fatto prius è la PRO-POSIZIONE, che è il primo ed iniziale momento della sua Pro-logia, il quale è più primitivo e più semplice del giudizio (A e B) che ne costituisce il secondo, al quale poi segue il terzo unitivo de' due primi, che è il Sillogismo (CONIUNCTIO, CO-RAZIONALE). Quanto alla natura de suddetti momenti della Pro-logia, la Pro-posizione è la immediata ed indistinta coscienza logica, la quale, appunto per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva. Il Giudizio (la proposizione pensata) invece è la coscienza logica, che dalla indistinzione od indifferenza si esplica e passa nella subbiettività ed obbiettività di sè medesima. E da ultimo il Sillogismo (coniuctio, co-razionale) è la subbiettività della coscienza logica, la cui attività consiste nell'esplicare se stessa, esplicazione di sè stessa, che in fondo è poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto generale de' momenti della pro-logia, il nostro autore passa a considerare e determinar ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo metodico tricotomico della Posizione (Proposizione, impiegazione), della Riflessione (contra-posizione, impiegato) e della Concezione (com-posizione, impiegante). Conformemente a ciò, distingue la Pro-posizione in “posta”, ri-flessa e concepita; e in posto, riflesso e concepito, distingue e determina parimenti sì il giudizio (proposizione pensato) che il Sillogismo (impiegante, composizione). La trattazione ed esposizione di ciò è amplissima, specialmente quella del Sillogismo; ed è non solo amplissima, ma anche note volissima per le molteplici determinazioni logiche ed ontologiche non che illustrazioni ed applicazioni d'ogni genere alle diverse parti dello scibile e della stessa realtà. La trattazione è di tanto interesse che è degnissima di esser presa da ognuno in considerazione anche oggi alla distanza di una sessantina d'anni, dacchè fu pensata ed esposta. Non potendo entrare nelle particolarità a far intendere il pensiero cerettiano sì nella concezione de' momenti della predetta pro-logia sì nel passaggio da questa alla Dia-logia, allegherò un luogo nel quale l'autore lo ri-epiloga, e che è questo. Il pensiero pro-logico, uscito e passato dalla sua generalità formale (cioè, dalla pro-posizione) colla particolarità formale della sua generalità (cioè, col giudizio, impiegato) nell'unità formale della sua generalità e della sua particolarità (cioè, nel sillogismo, la com-posizione, impiegante), si concepisce come sistema metodico della RAZIONALITÀ, ossia come forma assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme pensabili insegna che il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è sistema all'in fuori del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non può essere fatto (posto) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il sistema assoluto del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò l'assoluto non può esser concepito altrimenti. Cosi a pag. 125 della Ragione Logica di tutte le cose. Esologia, nella versione dal latino (Torino, Baldini)) che nella forma sillogistica. Questa concezione porta con sè la necessità logica di sè, poichè è la nozione della nozione. Il sillogismo assoluto, come pro-logico, non è più che la formalità (la forma assoluta del logo, la quale invoca l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso. Quindi il sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua obbiettività IMPLICITA assoluta. Questa obbiettività è la verità della subbiettività sillogistica assoluta. Ciò posto, quella che ora effettua il passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dia-logia, che per eccellenza è la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola, sono in grosso quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti queste parole del filosofo intrese. La categoria (predicamento) è propriamente la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come necessaria; e la categorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della speculazione filosofica e la più alta concezione dal Pensiere umano. Nè meno importanti in proposito sono gli additamenti che fa intorno alla evoluzione storica delle categorie presso i diversi filosofi e corrispondenti scuole che spiccano intorno ad esse. Percio che concerne le categorie trattate e sviluppate nella Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere, dell’Essenza, e del l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per eccellenza; e da queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti momenti subordinati, ma non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il Logo generale ed indeterminato (est logus conscentiæ generalis), ma esso si particolarizza e de termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici. Per esempio, si distingue e particolarizza come QUALITATIVO, QUANTITATIVO, E MODALE, sorgendo così LE TRE CATEGORIE DELLA QUALITÀ, della QUANTITÀ e della MODALITÀ (misura). Ed inoltre l'Essere nella sua stessa generità (innanzi alla predetta particolarizzazione dunque) è essere (pro-posizione), non-essere (opposizione o contraposizione) e divenire (composizione): (esse, non-esse, latino FIERI, perduto nel volgare). Come, d'altra parte, le TRE CATEGORIE della QUALITÀ, QUANTITÀ e MODALITÀ alla lor volta si distinguono e particolarizzano in altre. Chi conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette categorie cerettiane la simiglianza con le corrispondenti hegeliane. Ed è forse questa la parte, nella quale si tiene più da vicino a quello, mentre in altre parti vi sono non poche dissimiglianze. Nel predetto citato volume della Esologia, ecc. Dall'essere il processo dia-logico conduce alla seconda categoria fondamentale predetta, cioè alla Essenza la quale non è altro che la particolarizzazione dello stesso Essere (Esse suam absolutam particolaritatem adeptum est Essentia). Ciò che si è detto avvenire per la categoria fondamentale del l'essere avviene anche per l’essenza, che cioè anche questa, alla sua volta distinguendosi e particolarizzandosi in sè medesima, ne produce di ulteriori, come quelle del fondamento, della sostanza, della materia, ecc. E quanto alla terza categoria fondamentale, cioè l'esistenza, essa è l'unità dell'essere e dell'essenza (INSISTENZA, ESISTENZA, CONSISTENZA). Ognuno nella “Ex-istentia” riconosce l'Esse come particolarizzato. Ma d'altra parte, nella particolarizzazione dell'Essere si specifica e manifesta anche l'elemento dell'Essenza, per forma che l'esistenza risulta siccome una manifestazione dell'essenza (“EX-SISTENTIA est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza (E-SISTENZA, EX-SISTENZA) dà anch'essa origine ad altre categorie subordinate, come realtà, necessità, La terza parte della Logica (o della Eso-logia ) cerettiana, cioè l'Auto-logia, si fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fondamentali, che son quelle di Sapere, Volere, Agire (Scire, Velle, Agere ), le quali sono in corrispondenza di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica hegeliana, e che sono l'idea del conoscere (die idee des erkennens ), l'idea del bene (die idee des guten) e l'idea assoluta (die absolute idee). Va però osservato che il volere e l'agire che in Hegel si congiungono nell’idea del bene, e costituiscono l’idea pratica, in C. appariscono, al contrario, come momenti e categorie distinte. Questa terza parte della Logica del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di quelle in cui il Ceretti è come più originale e più indipendente da Hegel. Il modo come vede la distinzione, la relazione e la unificazione del sapere, del Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stupendo e di vero, e lo si vede più chiaramente e più determinatamente di quel che possa vedersi nel, pure grandissimo, filosofo tedesco. Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in Hegel sono come ancora implicati e inviluppati, in C. ricorrono come più sviluppati e ad un tempo più sistemati. Il pensiero cerettiano dell'auto-logia è (secondo che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere filosofico del Ceretti) che l'assoluto è la coscienza logica che si sistematizza in se stessa, per quindi sistemarsi fuori di sè allo scopo finale di sistemarsi in sè e per sè come assoluta unità di sè stessa. L'Auto-logia costituisce un sillogismo assoluto (cioè una connessa triplicità assoluta), i cui termini sono i predetti di Sapere, Volere, Agire. Nella Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del Volere. Nel Volere c'è, infatti, esterîorazione del Saputo. Il volere è l'essenza del Sapere. L’agire è l'esistenza del Volere. Tutti e tre insieme costituiscono l'unitrinità della Coscienza. Anche le tre predette categorie si distinguono e particolarizzano in altre. Il Sapere si svolge ne ' momenti subordinati (i quali son tre sotto-categorie anch'essi) la prima sottocategoria di sapere immediato, la seconda sottocategoria di sapere mediato, e la terza sottocategoria di sapere assoluto. Il Volere si distingue e particolarizza alla sua volta nelle tre forme sottocategoriche. Prima sottocategoria del Volere subbiettivo. Seconda categoria del volere obbiettivo. Terza categoria del volere assoluto. La categoria auto-logica dell’Agire si particolarizza nelle sue corrispondenti tre sottocategorie. Prima sottocategoria di “agire attuoso”, aagire come atto puro e semplice. Una seconda sottocategoria come Agire volonteroso. Terza sottocategoria come Agire concettuale.Queste tre azioni o funzioni categoriche dell’Agire le designa come Agere actum, Agere voluntatem e Agere notionem. Questo è in breve il concetto e disegno della prima parte della grande opera enciclopedica del nostro filosofo. La seconda parte, quella del Logo FUORI sè (EXO-LOGO, esso-logo) o del Logo nella sua obbiettivazione, cioè la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione; e trattazione in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed indipendente rispetto alla corrispondente parte della Enciclopedia hegeliana. Essa è PER NOI ITALIANI TANTO più importante, in quanto non vi è in Italia, neppure presso i nostri filosofi maggiori moderni, una sola opera che, prima di questa di C., meriti il nome di filosofia della Natura nel senso ampio, vero e moderno della parola. Io ho scritto su questa parte della grande opera cerettiana tre lunghissime Introduzioni ai tre volumi che vi si riferiscono, le quali, riunite insieme e pubblicate sotto il titolo di “Filosofia della Natura” formano un'opera di ben 487 pagine; e in questa ho ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto ciò. Quanto al cenno che posso farne qui, specialmente a cagione della vastità di trattazione che ha in C., esso non può consistere in altro se non nella pura e semplice indicazione del disegno, della materia e dell'andamento della trattazione stessa. Premessa la determinazione della posizione e del concetto della filosofia della Natura nel Sistema pan-logico, passa alla considerazione di un punto importantissimo, quello cioè della evoluzione storica della concezione filosofica della natura, evoluzione che, secondo lui, passa per tre gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica, la forma estetico-teologica (o sentimentale) la forma empirico -matematica (o intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta (o concetturale). E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste forme, giungendo all'ultima, ossia alla hegeliana, alla quale egli si riattacca, ulteriormente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di difettivo. Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura, dividendola come abbiam detto in Meccanica, Fisica e Biologia, conformemente alla Natura distinta in sè stessa in meccanica, fisica, e biotica (vivente). Carattere costitutivo della Natura meccanica è la QUANTITà, della fisica la qualità, e della vivente l'UNITà (composizione) della quantità e della qualità, la quale unità è poi la MODALITà o la misura della medesima. Quanto all'unità inscindibile delle tre parti distinte e de' corrispondenti tre' caratteri della natura, sono notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese. Cioè: Il meccanismo é ove è la fisica (la natura fisica), e la fisica é ove è il meccanismo; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura vivente. Ad intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto filosofico delle predette tre parti e de' tre predetti corrispondenti caratteri, arreca un esempio illustrativo, che è bene di riprodurre anche qui. Il meccanismo suppone necessariamente l'esteriorità reciproca dei suoi termini. Quando questa esteriorità, passata nella sua interiorità, nella sua unità inseparabile, trascenda sé a sè esteriore, non versa più in un piano o campo meccanico, il quale ammetta per sè alcuna intrinsecazione qualitativa della esteriorità meccanica, ma versa propriamente nella natura fisica del meccanismo (in mechanismi physi), la quale è la à passatQUANTITa nella sua QUALITà che deve esplicarsi. Così, ad esempio, in qualunque modo supponiamo il ferro, diviso, figurato, posto in movimento, ecc., esso non cessa di essere ferro. E quando per azioni esterne, come ad esempio, per l'ossidazione, cessi di essere ferro, non consideriamo tali azioni come meccaniche, perchè due modi della materia (l'ossigeno e il ferro) sono divenuti un solo modo (neutrale), il quale non ammette più alcuna co-alteriorità esterna di fattori (essenzialissima al meccanismo, ma è in sè l'unità qualificata de' quanti, la natura fisica del meccanismo. La quale unità è poi LA VITA, ossia, quel principio grazie al quale l'alteriorità meccanica si neutralizza fisicamente, e la neutralità fisica si alteriora (si fa altra ) meccanicamente: il che, in quanto è nella circoscrizione essologica (naturale), è la vita. Ciò posto, concependo la natura meccanica o il meccanismo come il sistema della quantità, passa alla reale considerazione e corrispondente sistemazione filosofica di tutti i principii (detti anche categorie naturali) della medesima come spazio, tempo, moto, ecc. Conformemente a ciò, concependo la natura fisica parimenti come il sistema della qualità, svolge i principii o categorie naturali di essa, come etere (o materia eterea), luce calore, magnetismo, elettricità ecc. E s'intende che ciò che è detto della natura meccanica e della fisica, va detto anche della NATURA VIVENTE, della quale, come unità concreta delle due antecedenti, si vvolgono, determinano e sistematizzano i corrispondenti principii e momenti. Questi principii, coi relativi sistemi vitali, sono nella loro generalità e progressività evolutiva la vita cosmica od URANICA, la vita geologica e la vita fito-zoologica. Per questa intende la predetta reciproca esteriorità de' termini. La vastità di conoscenza delle discipline naturali non che la forza speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e collocarne i principii nel suo vasto disegno del sistema panto-logico sono tali da fare de C. una delle menti filosofiche più vaste e più profonde del nostro paese. Col terzo volume della Filosofia della Natura, che è il quinto della grande opera pan-logica, questa rimase interrotta; però se rimase interrotta, la iattura non è stata nè intera nè irreparabile. Giacchè i cenni e relativi concetti riformativi anche della terza parte del sistema pan-logico già delineati primamente ne' Prolegomeni, poscia qua e là considerati negli stessi quattro susseguenti volumi, son tali e tanti da potersi fare un concetto chiaro e de terminato anche di esso. Ma, per giunta ed ulteriore integrazione di questa, lascia due saggi che concernono proprio questa terza parte, cioè le due già mentovate intitolate, l'una, Considerazioni sopra il sistema generale dello spirito ecc. (Torino), l'altra, Sinossi del l'enciclopedia speculativa (Torino). Un brevissimo cenno anche di questa terza parte è il seguente. Quanto al concetto, obbietto e partizione di essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del logo o della coscienza assoluta, e la seconda la obbiettività, questa terza rappresenta l'assoluta unità delle medesime: assoluta unità, che vien cosi ad essere la Coscienza subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Coscienza obbiettiva subbiettivata. Or questa Coscienza risultata tale è ciò che C. (conformemente ad Hegel) appella comune mente anche spirito, il quale è appunto l'obbietto di questa parte da lui denominata sin-auto-logia. Intanto, siccome lo Spirito, benchè già sorgente nella stessa animalità, pur non giunge alla sua reale manifestazione, esistenza e verità se non nella umanità, così divien questa lo speciale obbietto della sin-auto-logia. La quale perciò è dal nostro filosofo, designata come speculante l'Uomo, primamente nella Subbiettività secondamente nella Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolutezza del medesimo: Assolutezza, che è l'unità della subbiettività e dell'obbiettività. Di questa triplice considerazione, o meglio speculazione, la prima costituisce ciò che egli chiama l'Antropo-logia, la seconda l'Antropo-pedeutica, la terza, l'Antropo-sofia. I lettori che conoscono la dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della dottrina cerettiana colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella di Spirito subbiettivo, spirito obbiettivo e Spirito assoluto. Senonché, se c'è simiglianza nella generale concezione, c'è anche una notevole differenza nella portico. L'uomo è la concreta verità dello Spirito (Homo est spiritus concreta veritas). lare trattazione della medesima. Per dire ancora qualche cosa della concezione e partizione cerettiana della predetta Sin-auto-logia rilevo che l'Antropo-logia considera l'Uomo come Subbietto generale. E come tal Subbietto consiste dell'elemento fisico o corporeo e dell'elemento meta-fisico ossia animico, così essa è primamente Psico-fisio-logia. Indi considera nel generale subbietto umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed è Noo-logia; in terzo luogo, la mente, o l'attività teoretica, si realizza come attività pratica e allora l’Antropo-logia nel suo terzo momento è Prasseo-logia o dottrina del l'azione spirituale. La Psico-fisio-logia, la Noo-logia e la Prasseo-logia hanno alla lor volta principii, ossia momenti subordinati, e vengono anche questi considerati, accolti e sistemati nella Antropo-logia L'Antropo-pedeutica, all'opposto della Antro-pologia che consi sidera l'Uomo subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella obbiettivazione della propria subbiettività: la quale obbiettivazione costituisce, primamente, la dialettica mondiale umana e produce ciocchè si appella la storia; è in secondo luogo il logo sistematico della dialettica obbiettiva, che in senso lato è ciocchè si appella la didattica; e in terzo luogo è la stessa obbiettività sistemata nel Subbietto, che è quella che si designa col nome di DIRITTO. Che anche queste tre parti dell'Antropo-pedeutica (Storia, Didattica, Diritto), si sviluppino, particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività, principii, ecc., lo s'intende da sè. E cosi viene assolta anche questa parte della Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di questa, cioè l'Antropo-sofia, la quale ha che fare coll'uomo considerato nella sua assolutezza, ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua attività artistica, religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e produzione del bello, del buono e del vero mediante l'ispirazione estetica: la Religione e l'apprensione, rivelazione e culto del divino, e tramezza la manifestazione estetica e la concezione filosofica; la FILO-SOFIA sviluppa la immediata apprensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto. La triplice ed assoluta attività dello spirito, artistica, religiosa e filosofica costituisce l'ultimo e supremo sillogismo del Logo assoluto o della Coscienza assoluta, e con esso si chiude il Sistema pan-logico. Tale è in nuce il vasto pensiere filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per ciò che è riferito in queste poche pagine rimando il lettore ai miei molteplici lavori intorno al Ceretti, specialmente alla Notizia degli scritti e del pensiere filosofico non che alla Filosofia della Natura » del medesimo. E soggiungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che ha occupato due decenni di studi della mia vita, son presso a finire l'ultima mia opera: opera che consiste in una estesa e particolareggiata esposizione di tutto intero il suo sistema panlogico, compresa la sinautologia. Ho forse speso intorno a lui più tempo di quel che conveniva per i miei propri studî e lavori. Ma non me nepento, non solo perchè è stato di giovamento a questi stessi, ma specialmente perchè ho contribuito a far conoscere un uomo, che fa onore grandissimo alla filosofia in genere e alla filosofia italiana in ispecie. Grazie! Diamo a giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora com pleto, delle opere postume di  C.: Traduzioni varie dal latino, francese, tedesco, inglese. (VIRGILIO, ORAZIO, Lamartine, Kozbue, Schiller, Shakespeare, Byron e Thompson).  Orig. Leonora di Toledo. Poemetto in tre canti, versi sciolti con liriche  intercalate, varie liriche. Ulttime lettere di un Profugo. Romanzo in prosa.  Pellegrinaggio in Italia. Canti. Poesie Uriche.  Prometeo. Poema.  Storia del diritto Canonico. Avventure di Cecchino. Poema. Miscellanee filosofiche. Scienze naturali e considerazioni storiche.  Scritti. Salùi. Sogni e Favole (umorismo trascendente), Apocalypsis (misticismo allegòrico) greco con versione latina (imitazione del greco e latino della Chiesa primitiva). Opuscolo. Grullerie Poetiche (umorismo parodiaco) Massime e Dialoghi. I Conferenti. Commedia nebulosa. Ormuzd. Dramma mistico. Synùp s i dell' Enciclopédia Siwr.idatirn -TSimplizio. Romanzo. Idee radicali delle discipline finite e delle matematiche empirico-induttive. Cavalier Sriovannino. Romanzo.  Manuale di medicina pratica.  L'Inconcludente. Romanzo.  Lo Zio Giuseppe. Commedia. Considerazioni sopra il anatema generale dello spirito entro i limiti della riflessione.  Considerazion i circa il sustema della natura entro i limiti della riflessione. Viaggi utopistici. Il Protagonista. Proposta di una riforma sociale. Considerazioni generali circa la caratteristica spiritualità dell'Italia. Insegnamento filosofico.Gregorio. Romanzo. Novellette morali Itinerario d'un Inqualificabile. Trattato di Astronomia. Introduzione alla coltura generale. La Divina Commedia. Vita di Giustino Caramella scritta da se stesso. Vita di due Comici. 1 volume, ld. Vita di Virginia Bonaventura. Sonnambulo. La mia celebrità. Inventario delle mie vicissitudini mondane. Memorie Posthume. Stramberie philosophiche. La pubblicazione, che si inizia con questo primo volume, è  un monumento che una figlia pia innalza alla memoria di un  amatissimo padre, non per adempiere ad una espressa o tacita  di lui volontà, ma piuttosto in contrasto a questa, e perchè gli  studiosi conoscano, almeno dopo la di lui morte, la profondità  del sapere che egli aveva potuto condensare nella propria mente,  e le diuturne e dotte speculazioni da lui compiute nella sua non  lunga vita.  E affinchè niuna meraviglia possa solére .dalla pubblicazione  stessa, e dalle opere che ne sono l'oggetto, in quanto che e l'una,  e le altre, si differenziano alquanto dal comune, parve opportuno  e conveniente di premettere una breve notizia, che dica al lettore  chi sia stalo, e come abbia vissuto fautore, e con quali intendi menti, e con quali criteri si diano alla luce i suoi scritti, che egli  non ha creduto di diffondere. C. ha i suoi natali in Intra, la città più popolosa tra quelle che si adagiano sulle amenissime rive del Lago Maggiore, e meritamente celebrata per le  sue potenti industrie, dal cav. Pietro. Il padre suo, uomo di chiaro ingegno, tutto compreso della  necessità dell'istruzione e della educazione, prerogativa abbastanza mia in quei tempi, e fervei ile pi opugualure di ugni istituzione, che ha per iscopo di promuovere quelle due fonti di  civile e materiale benessere, provvide tosto a coltivare la  mente del figliuolo. Seguendo però l'inveterala consuetudine avita,  dapprima l'affida alle cure di questo e quell'abate, che non riuscirono ad illuminare gran che il di lui intelletto irrequieto, come  egli stesso ha poi umoristicamente narrato in interessantissime  pagine. Di poi lo alloga nel seminario  di Arona e nel Collegio di Novara. Ma il giovanetto, vivace di animo, e la mente precocemente  inlesa ad altri ideali, poco o nulla approdilo di quei primi studi;  e liberatosi alfine dalle pastoie degli insegnanti e del vivere collegiale, tolse a maestro se medesimo, sorretto solo dalla terrea  tenacità del suo volere, e dall'imperioso ed irresistibile bisogno  di sapere. In breve, il diremo con frase che nel caso nostro non  è punlo rellorica, da fondo all'universo scibile; apprese a  parlare ben selle delle moderne lingue, e delle morte, al latino  insegnatogli dai precettori, aggiunse profonde cognizioni del  greco, dell'ebraico e del sanscrito. Si reca a Firenze, dove soggiorna qualche  anno, stringendo amicizia coi primari ingegni di quel tempo,  specie con Capponi, Niccolini, e con quella chiara  pleiade di filosofi che frequentarono il gabinetto del Vieusseux.  Più tardi, desioso di vedere paesi e persone, e fidente nel suo  temperamento robusto e nella florida salute, si da a lunghi e  singolari viaggi. Percorse in vero, più volle, e quasi sempre a piedi, l'Italia  peninsulare, la Sicilia, la Germania, la Francia, e l'Inghilterra, in cui fece lunga dimora. Ed è tanto in lui il desi ci) 1 suoi concittadini venerano ancora in lui il fondatore di un Asilo infantile, die è Ira i pili antichi, eil b modello a Inlla Italia, e lo zelante Sovra  Jtiteiifh'iitf, per più di 'ìi) unni, delle scuole elementari riviene.  derio di penetrare nei più ascosi recessi e della natura, e dell'animo umano, che attraversa i più malagevoli passaggi dei Pirenei, accompagnandosi colle frotte di zingari e malviventi,  clie abbondavano in quei paraggi.  Nulla lascia in quelle sue peregrinazioni di intentato, o inesplorato, che può servirgli nello studio dei suoi simili, e dell’abitudini e costumi dei diversi ordini sociali; e dalle più alle  società, dai primari alberghi, scese alle più umili taverne, mescolandosi colle infime classi, per indagarne i sentimenti e le tendenze. Dopo siffatto giro per l'Europa ritornò in patria, ove si compone nella pace famigliare, e si da tutto a viaggi di altro  genere, vogliamo dire a spedizioni lunghe e laboriose nel campo  immenso del sapere, leggendo, e più meditando, le opere dei  massimi filosofi e pensatori d'Italia, ed arricchendo la mente di un incommensurabile tesoro di cognizioni, di osservazioni e di pensieri   È notabile questo periodo della sua vita, in cui il nostro  autore condensa, per cosi dire, tutta l'umana sapienza nel suo intelletto; chè dopo d'allora, e in ispecie negli ultimi anni del viver suo, nei quali fu pur massima la fecondità dello scrivere,  ben poco legge, ed anzi si può asserire che più non consulta  nel dettare libro alcuno, ma lutto quanto gli occorresse, evocasse  dalla sua tenacissima memoria, dallo sterminalo accumulamento  di cognizioni, che ha in mente. Leniti e progressiva paralisi lo ha quasi immobilizzato; egli dove  ricorrere quindi all'alimi aiuto per ugni «no movimento, e i suoi Lunigliari  asseriscono che da anni ed anni non ha mai ad ordinare di recargli libro alcuno  da consultale, mentre detta continuamente per molte ore del giorno. Era d'altronde ima delle massime da lui predicate, che l'ingegno vero approfitta poco  del materiale altrui, bensì moltissimo dell'abitudine del coiu-etttrantento e della  riflessione; e solpva dirr fhp gran parte delle sue cognizioni non le (Tivca acqui state eolla lettura, ma colla meditazione e quasi per una catena di messori'  derivazioni. Infatti la maggior quantità dui suoi scritti data dall'epoca che cessa  di leggere. Manda ai torcili un primo saggio del buu ingegno,  un'opera letteraria, intitolata: II Pellegrinaggio in Italia di Alessandro Goreni, poema in ottava rima, ove con poesia profondamente inlima, sostanzialmente nuova ed originale, da sfogo ai  molti pensieri ed affetti, di cui aveva ripieno l'animo. E poco dopo pubblica, coll'allro pseudonimo di Tkeophilo  Eleutero, un secondo e ben diverso saggio della profondità del  suo sapere, e dell'acume del suo intelletto, mandando alla luce  Ire grossi volumi di un'opera filosofica, che intitola “Pasaelogices  Specimen”, e fa stampare in latino – saggio che per modestia  volle fosse edito in pochi esemplari, ma che in Germania da argomento a serie critiche nella Rivista filosofica Zcitschrift  (Halle) ed in altri periodici scientifici. Ma qui pur troppo s'arrestano i lavori edili del nostro Autore; chè all'infuori di qualche scritto di minore importanza,  apparso su giornali locali, nulla ei più permise che si da alle  stampe di quanto anda scrivendo fino alle sue ultime  ore. Racchiudendosi modestamente, e un poco anche egoisticamente, nelle soddisfazioni intime delle sue elucubrazioni, più non  volle che alle sue gioie mentali, alle sue indagini filosofiche, ai  suoi profondi ed originali pensieri partecipassero i lettori; e  studia e scrive per sè solo, per esercizio e ginnastica della sua   [Pasaelogices specimen, Tiikophilo Eleutero editimi. Voltimeli pr imitili. Prolegomena. Volumen secundum. Esologia.  Volumen tertium. Natura Medianica — Intra Torino e Firenze, lilucria di Loeschef. Ve ne  sonu altri due volumi inedili.  Ecco come ne parla, fra gl’altri, il Foglio Centrale Letterario di Lipsia  in un lungo articolo sull'opera stessa, di cui noi riportiamo solo un brano. E sorto un anonimo italiano. Egli parla nella lingua ecumenica del passato il suo è un lavoro che ò il risultato di un'escogitazione indefessa di   tanti anni, forse di tutta la sua vita con un'estensione di due mila pagine, e  che tratta di tutte le cose del cielo e della terra, e per di più della logica dello spirito assoluto; è una continuazione della speculazione di Hegel, dalla quale  perù vuole assolutamente distinguere la propria dottrina] inenLe elevatissima, del poderoso suo intelletto, per appagare la  sua smania del vero. Medita e scrive, al pari di  Gioberti, dodici e  più ore al giorno. I suoi concittadini il ritrovavano spesso solitario  per le campagne e i dolci declivi delle amene montagne che  stanno a cavaliere d'Intra, sotto al vitale raggio del sole, o seduto  alle ombre amiclie dei l'aggi e dei castani, colle lasche zeppe di  libri, sempre speculando ed annotando colla matita sopra la carta  i suoi pensieri.Al pari dei peripatetici si diletta di filosofare  camminando nell'aer puro, nella serena festività della natura,  alla luce gaia del sole, o nella tepida ed affascinante quiete dei  boschi. Dal ponderoso lavorio mentale del filosofare egli trova sollievo nelle arti belle e nelle belle lettere; ed allora detta quelle  innumerevoli poesie, che stanno raccolte sotto il caratteristico  titolo di Grullerie Poetiche, e nelle quali con vena originalissima,  non leziosa o ricercatrice di supposti e romantici ideali, e con  spirito satirico il più fine, spesse volte non facilmente apprezzabile, egli fìssa l'impressione del momento, o deride le costumanze  strane delle mode, o celebra i fasti cittadini, che giungono col  rumore dell'eco all'orecchio suo, lontano ornai dal consorzio  umano, e non abituato che alle voci dei suoi inlimi; ed allora  traeva dal prediletto flauto dolci suoni, o sull'arpa antica traduce la soave ispirazione dell'animo suo, o sul pianoforte combina le armonie musicali, consuonanti colle armonie delle idee  sue, della natura, e della verità, che a lui si disvelavano nelle  profonde sue speculazioni. Cosi vive C., tanto grande per intelletto, quanto  semplice di modi e di costumi. L'altezza della sua mente pareggiava la nobiltà affettuosa del suo cuore. Austero per indole,  tollerante delle fatiche, intrepido nei pericoli, alieno dagl’agi,  benché a lui permessi dai beni della fortuna, schivo del mondano  frastuono (non desiderò die una cosa: vivere sconosciuto), chiuse  in petto un'anima temprala a rettitudine, a purezza quasi primitiva, che lo rese incapace di odio e di avversioni contro chicchessia, e di qualunque simulazione o maldicenza. Naturale,  aborrente da leziosaggini, si riprodusse, quasi in specchio fedele,  nel suo stile semplice e rigido, tendente ad essere chiaro più che seducente. Affabile, unitissimo, nel conversare parve un fanciullo;  lo si sarebbe detto, anche per la modestia del vestire e del vivere,  un uomo taglialo alia grossa, e di rozzi sensi; ed invece di quanto  allo sentire, di quanta soavità d'animo era egli dotato! Un cullo  affettuoso ei professa per la consorte, troppo presto rapitagli;  un'inarrivabile tenerezza per l'unica sua figlia, che ne consola la  precoce inferma vecchiaia. Colpito invero a cinquantanni da lento, ma inesorabile morbo,  che gli impedi l'uso delle gambe, per quasi due lustri non si  mosse dalle sue stanze, che volle in uno spazioso lenimento, sull'alto della città, affine di poter distendere lo sguardo vivo e  sereno sul più ampio tratto possibile di quella natura, in cui egli  ha tanto liberamente voluto vivere fino allora. Il suo temperamento, pur tanto desioso di moto e di novità, si compone con  ammiranda rassegnazione alla quiete, a spaziare in pochi metri  quadrali di superficie. Con una forza d'animo, che solo può venire o da angelico spirito, o dal conforto della filosofia, sopporta  i dolori fisici e morali della lunga infermità; e mai un lamento,  mai un lagno uscì dalla bocca sua, neppur quando venne da  ultimo costretto al letto, e vi rimane fermo per gli ultimi diciotlo  mesi di vita. Che anzi consola e ravviva lo spirito afflitto della  figliuola; e l'anda preparando con filosofici pensieri alla sua  dipartila da questo mondo, che con spirito antiveggente e quasi  profetico, calcola prossima di mesi e di giorni.  Era solito di dire: morire non è, ni un bene, uè un mule, mn soltanto naturai rosa come il nascere. Siate perciò calmi come sono io. patimenti fisici non gli tolsero, estrema consolazione della  travagliosa vita, la lucidità e la fecondità del pensiero; e continua le sue meditazioni e i suoi sludi lavoriti, dettando incessantemente alla diligente sua lettrice. Fin negli estremi momenti, allorché l'ansia affannosa del respiro rese inintelligibili i suoi accenti, tenta più volte di esporre l'ultimo suo pensiero sull'opera  che aveva in corso. Tale in breve la vita del nostro autore, nella quale tu non  trovi da celebrare avventure o fatti straordinari, poiché fu tutta  dedicata, e modestamente dedicala, ad una faticosa, ma tranquilla  e serena lotta mentale, ad umbratili sludi, ad inlime soddisfazioni, originate dalla scoperta di nuovi veri, al cullo delle arti  belle e delle scienze; ma per compenso in essa ti si rivela un  inimitabile esempio di indefesso amore del sapere, di privale  eminentissime virtù, di sublime rassegnazione ai mali fisici. É in memoria adunque di quell'affettuoso padre, di quell'alta  e modestissima intelligenza, di quello squisito animo, che la figlia  sua, signora Argia Franzosim C., intraprende la pubblicazione delle numerose opere filosofiche, scientifiche e letterarie,  che egli lascia manoscritte ed inedite. L'abbiamo già detto, e convien ripeterlo, con questo nè interpreta un desiderio del padre, nè fa un pietoso sfregio alla volontà  di lui. Imperocché, come egli non ha pensato a proibirlo, cosi  non ha imposto nè esplicitamente, né implicitamente, per una  postuma vanità, che le sue opere vedessero la luce. Egli non  brama mai in vila sua di curarne la stampa. Lo sperimento fallo  del Pellegrinaggio in Italia e dello Specimen Pasaelogices gli  prova quante noie e quanti fastidi arreca il sorvegliare l'edizione  di poderosi manoscritti; e, ciò che a lui maggiormente dispiacque,  gli ruba soverchiamente di quel tempo, che egli ha sempre prezioso. Anda d'altronde convinto che i suoi concetti  si discostassero tanto dal modo volgare di pensare, da sembrare meri paradossi; e più volle invero nelle opere sue ripete essere  a lui consentila la maggior libertà di pensare e di scrivere, appunto perchè non teme di disgustare i suoi non-lettori. Questo però non è il parere di chi attende alla presente pubblicazione; è vero che negli scrini, che vedranno la luce, vi è  una originalità di pensiero, la quale può parer strana ai poco colti, ed impressionare anche i doni; ma è vero altresì che, anzi  che provocare censure, vi è piuttosto a credere che gli stessi desteranno l'ammirazione per la novità, la potenza, l'altezza dei  concetti che vi si affermano dal nostro filosofo; è piuttosto a  sperare che i lettori andranno lieti di poter rinvenire, in tanta  serie di scrittori o plagiari o volgari, una intelligenza, che esprime  idee tutte proprie, e forti, e vere, meritevoli insomma della più  grande considerazione. La quale originalità, che è riproduzione fedele del carattere  dell'Autore, è con suprema e scrupolosa cura conservata intatta. Più che ad adornargli la veste in modo, che gli accaparrasse a primo acchito la simpatia, più che a fornirlo di allettatici attrattive, si è mirato a presentarlo al pubblico nella fedele e polente  impronta del suo genio. Sicché, ad onla che sarebbe tornato facile di rimediare ad alcune mende del suo stile, piuttosto tendente a chiarezza che ad eleganza, e di ammodernare la sua  specialissima ortografia, nulla si volle sostanzialmente immutare,  e gli scritti si pubblicano quali si trovarono dettali, ad eccezione  di qualche correzione di forma, necessaria e solila di farsi anche  dagli autori stessi, allorché i loro manoscritti stanno per essere  consegnali al tipografo. Un'altra dichiarazione occorre porre avanli; ed è che la pubblicazione viene cominciata colle due opere conlciiute nel presente [Egli stesso, parlando rìrlle sue open 1, così si esprime. Miei scritti  potrebbero aen&rare a molti ti» ainmaxsn ili rontrailiziotii, o anche l'eccesso della  trivialità.] volume, pel solo motivo che esse sono quelle che, fra le poche  potute finora disaminare, parvero a preferenza scritte in modo  piano, ordinato e quasi melodico, e perciò facile ad essere compreso dall'universalità dei lettori; e quelle altresì, che, trattando  di una materia generale, si prestano a fare in modo riassuntivo  rilevare quale fosse la mente dell'autore e quali le sue dottrine,  quali le sue idee su gran parte delle cose umane. Nell'una invero si discorre dello spirito umano, e si descrivono e criticano i vari  sistemi, che si vennero formando dalla sua nozione; nell'altra si  tratta di tutti i principi cardinali, dei quali è la natura costrutta,  e si analizzano coi criteri forniti dall'intelligenza riflessa.  Ben si sarebbe potuto seguire o un ordine cronologico, man dando alle stampe le opere nella stessa successione nella quale  l'Autore le scrisse, oppure un ordine razionale, prefiggendosi un  punto di partenza, come dal generale al particolare, o dalle opere  letterarie alle filosofiche, e cosi via. Ma da un lato l'ordine cronologico non ha alcuna base in  ragione, dipendendo da pura casualità materiale che un'opera sia  stata scritta prima dell'altra; dall'altro il razionale, che certo  sarebbe stato più logico e preferibile, richiedeva per essere at tuato una previa disamina, anche solo sommaria, delle opere  tutte, che si hanno manoscritte; il che avrebbe cagionato un in gente lavorio da compiersi, per l'unicità dei criteri, da una sola  persona, e di conseguenza avrebbe ritardato chissà di quanto  tempo l'inizio di questa pubblicazione, che considerazioni morali  di non minor peso delle razionali consigliavano di intraprendere  tosto.  Diamo a giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora completo, delle opere postum e di C. Traduzioni varie dal latino, francese, tedesco, inglese (VIRGILIO, ORAZIO, Lamartine, Kozbue, Schiller, Shakespeare, Byron e Thompson).  Orig. Leonora di Toledo. Poemetto in tre canti, versi sciolti con liriche  intercalate, varie liriche. Tale in succinto lo scopo cui mira, il modo in cui vien  falla, e la ragione per cui si inlraprende in una guisa piullosto  che nell'altra, l'edizione delle Opere di C.  Le quali ben si prevede non abbiano a riscuotere popolari ap plausi, altrettanto fragorosi quanto facili e poco duraturi; ma si  spera in compenso che abbiano a fermare l'attenzione dei lettori  colti, studiosi, meditativi.   Noi neppure ci allentiamo di darne un riassunto analitico, o  di sintetizzare il sistema filosofico dello scrittore, o di esporre  quali furono i suoi ideali, e con quali mezzi assorse alle cognizioni  del buono, del bello, del giusto; poiché, oltrecchè, non essendoci  bastato il tempo a leggere i molti manoscritli da lui lasciati, da remmo giudizio incompleto ed immaturo, preferiamo che su di  essi si esprima liberamente la pubblica critica.   Per Colei poi, che promuove questa pubblicazione, sarà in  Ultime lettere di un Profugo. Romanzo in prosa,  Pellegrinaggio in Italia. Canti, Poesie Uriche. 1 volume (edito) con alcune liriche. Prometeo. Poema. Storia del diritto Canonico. Avventure di Cecchino. Poema. Miscellanee filosofiche. Scienze naturali e considerazioni storiche. Salùi (inedili).  # Sogni e Favole (umorismo trascendente), Apocalypsis (misticismo allegòrico) greco con versione latina (imitazione del greco e latino della Chiesa primitiva). Opuscolo.  Grullerie Poetiche (umorismo parodiaco) Massime e Dialoghi. I Conferenti. Commedia nebulosa. Ormuzd. Dramma mistico. Synùp s i dell' Enciclopédia Siwr.idatirn - Sffnpltcìo. homaiizo. Idee radicali delle discipline finite e delle matematiche empirico-indut tive. Cavalier (riovannino. Romanzo. Manuale di medicina pratica. L'Inconcludente. Romanzo. Lo Zio Giuseppe. Commedia.  ogni caso di sufficiente conforto l'aver dimostrato con essa come  il padre suo, nella sua apparente inoperosità, abbia invece compiuto un lavoro immenso, quasi incredibile potersi compiere da  una mente umana in sessantanni di vita; come, tuttoché da oltre  ventanni se ne stesse segregato dal mondo, tanto che lo si ritenne sdegnoso dell'umano consorzio, egli abbia seguilo e ritenuto  con diligenza, memoria, affetto ed acume sorprendenti tutto il  corso dei moderni avvenimenti, e si sia interessato alle vicende  anche più minute della vita umana, la quale egli, trattosene fuori,  contemplò e giudicò dall'alto e spassionatamente; ed infine con  quanta forza d'animo e vigoria di mente abbia, anche ammala to,  continualo l'aspra, diuturna e faticosa ricerca della verità e della  luce spirituale.   Che se poi le opere sue potranno servire ad accrescere le  cognizioni odierne, e disvelare nuovi orizzonti, a precisare sistemi. Considerazioni sopra il anatema generale dello spirito entro i limiti  ' della riflessione. Considerazion i circa il sustema della natura entro i limiti della riflessione. Viaggi utopistici.  Il Protagonista. Proposta di una riforma sociale.Considerazioni generali circa la caratteristica spiritualità dell'Italia.  Insegnamento filosofico. Gregorio. Romanzo. Novellette morali. Itinerario d'un Inqualificabile. Trattato di Astronomia. Introduzione alla coltura generale. La Divina Commedia. Vita di Giustino Caramella scritta da se stesso.Vita di due Comici. Vita di Virginia Bonaventura. Sonnambulo. La mia celebrità.  Inventario delle mie vicissitudini mondane. Memorie Posthume. IStramberie philosophiche. filosofici e speculativi oggidì ancora incerti ed indefiniti, essa  avrà nei contempo raggiunto un altro intento, quello cioè di far  contribuire all'aumento del patrimonio intellettuale scritti che  erano dal loro Autore destinati a rimanere sepolti. E ciò la conforterà maggiormente nell'adempimento dell'intrapreso assunto,  che è per lei il più sacro e il più caro dei doveri. L'arte della parola è per noi assai più spirituale che non le  arti del disegno e della musica. La medesima contiene idee definite come nell'arte del disegno, e medesimamente una successione temporanea come nella musica-, ma queste idee definite non  sono più astrattamente naturali come nell'arte del disegno (apparizione), nèuna successione temporanea di spirituali emozioni, corno  nella musica, ma piuttosto idee concrete (physiche e metaphysiche)  colle loro successicni definite di idee pensale non astrattamente  sentite. Si crede comunemente che l'arte della parola sia la vera resumzione del disegno e della musica; certamente essa può esprimere idee proprie, quali non potrebbero essere espresse da vermi  disegno e da veruna musica, ma questa proprietà non costituisce  una vera preminenza nel significato che a lei comunemente si  attribuisce. L'arte poetica riassume in se stessa ed esprime a  proprio modo certe idee, quali non potrebbero essere espresse da  quelle altre due arti, ma non potrebbe in verun modo essere sostituita alle prefate singole arti. La stessa può esprimere una successione di pensieri, ma non una successione temporanea di emozioni spirituali col prestigio proprio della musica; così pure può  esprimere definite rappresentazioni come le arti del disegno, ma  non può presentarle immediatamente e sensibilmente, al pari di  quella, la quale ripete il suo prestigio appunto da questa immediala sensibile rappresentazione.   Cosi generalmente parlando l'arie poetica da una parte può  essere considerala come resumliva unità delle idee divorziale  nella musica e nel disegno, dall'altra però può essere considerala  come il germe inesplicito delle suddette arti, che esplicandosi  nelle loro astrazioni generano il disegno e la musica. Infatti se  l'arte poetica da una parte accompagna il massimo svolgimento  della civiltà, dall'altra parte è stata un'arte assai primitiva e forse  cosi primitiva come il disegno ed assai più che la musica; le idee l'arte della parola contenute in queste possono considerarsi come generate da una  astrazione ideale, che costituisce le suddette arti. L'arte della parola si divide in tre periodi capitali: l'arte poetica come esiste nella letteratura propriamente   delta; l'arte prosaica, come esiste nelle discipline finite empirico-matematiche; l’'arte speculativa, come esiste in tulle le cosi delle  p/iilosophie, non arrivale alla necessità logica del pensiero, cppcrciò a quelle philosophie che devono persuadere o dimostrare  in qualche modo la propria verità. Questi tre periodi costituiscono la concreta arie della parola,  ossia quella che si svolge come manifestazione della Coscienza  pensante. Noi tratteremo brevemente, ma categoricamente questi  tre periodi della parola, che realmente sono anche i periodi dello  spirilo parlante, prima del quale è l'esistenza meramente psychica  e istintiva delle bestie, e oltre il quale il pensiero va in un altro  systema che non è più quello che possa interessare lo spirilo  slesso.   Intendiamo arte della parola quell'arte che si svolge nel pensiero concreto, epperciò si manifesta sotto le forme concrete del  medesimo, non in qualche sua astrazione, come quelle del disegno  e della musica, le quali si manifestano nell'astratta forma del senso  intimo o del senso esteriore. Denominiamo arte della parola quella  che si svolge mediante una lingua letteraria, non quell'idioma popolare che nasce e si sviluppa islinlivamenle nel popolo, ed appartiene alla natura piuttosto che allo spirilo pensante.   Quest'arte fu considerala astrattamente come lingua eslhelica,  ovvero poesia; ma essa prosegue il suo svolgimento anche nella  lingua prosaica (come nelle discipline finite), e nella lingua speculativa, ossia in quella che si chiama comunemente phìlosophia.  Questo svolgimento appartiene all'arie della parola, e comprende  lo spirilo assoluto (lo spirilo, non la Coscienza assoluta). ZNello  spirilo giova osservare che le categorie devono essere gerarchicamente coordinate, e non si potrebbe concepire un'esistenza spirituale che non possedesse vizi e virtù, buono e male, e cosi via. Perciò abbiamo dello che quella pura speculazione (dai theologanli meritamente chiamata abuso della speculazione) non appartiene allo spirito come tale, ma piuttosto è l'atto caratteristico,  col quale lo spirito si svolge dal pensiero in altro systema. Questa  speculazione pura è manifesta dalla parola, ma è il suo esilo finale,  epperciò nella parola che va via dallo spirilo. Così pure quel pensiero che nasce e si svolge istintivamente nel popolo non appartiene all'arte in discorso, ma piuttosto alla natura creatrice. L'arte della parola suppone uno spirito positivamente formulalo e muore colla morie dello slesso, epperciò la medesima  appartiene essenzialmente allo spirilo, non generalmente alla  Coscienza. Lo spirilo nasce dal non spirilo e muore nel non spirito, ossia è un momento storico nello svolgimento della Coscienza;  epperciò consideriamo come un prodotto della natura (ossia di  un systema non ancora positivamente spirituale) quella lingua e  quel pensiero che nasce e si svolge istintivamente nel popolo. È  una lingua psychica, che progressivamente e lentamente si svolge  in una spirituale; perciò troviamo nelle lingue esordienti la  parola determinala col semplice elemento delle intonazioni, ed  inoltre che le nostre idee metaphysiche ebbero tutte nelle lingue  primitive un significalo di phenomeno sensibile, e anche oggidì  si trovano negli uomini naturali lingue che possono significare  individui, non generi e specie, caratteristico di quelle spirituali.  Nell'infimo popolo le idee metaphysiche sono ancora mollo equivoche; cosi per es. suppongono lo spirito non solo in un tempo  ed in un luogo (vale a dire nella natura), ma anche con un possesso caratteristico del pensiero humano; questo non può risultare che da uno spirilo in una forma necessariamente humana.   Così quest'arie della parola comprende la totalità dello spirito (Coscienza pensante), ma esclude ogni altro systema della  Coscienza, che non sia quello dello spirilo. È questa la ragione  per la quale coll'arle medesima una verità si deve persuadere o  dimostrare; e quelle verità logicamente necessarie, che riescono  indifferenti a qualunque negazione o affermazione o dubitazione,  vale a dire si confermano con qualunque determinazione del  pensiero, non appartengono allo spirito, ma sono l'alto caratle[ i/arte poetica] - rìstico per il quale la Coscienza si svolge dallo spirilo in un altro  syslema. Perciò nell'arie della parola non comprendiamo la speculazione pura nelle sue verità logicamente necessarie.   Lo spirito è contenuto entro i limili della Coscienza pensante;  olire questi limiti non è spirito veruno, ma semplicemente un  qualche altro syslema della Coscienza slessa. Perciò l'arie della  parola è quella che si svolge: colle categorie del sentimento, verbigrazia colla persuasione, colla fede, coli' ispirazione, e cosi via; colle categorie dell' intelletto, verbigrazia colla dimostrazione assiomatica o empirica; colle categorie di una facoltà concettiva infantile, verbigrazia con quelle forme equivoche della pìdlosophia comune. Una speculazione pura, che introduca le verità logicamente  necessarie (le quali differiscono essenzialmente dalle verità suecennate), è il risultalo d'una facoltà concettiva adulta, la quale  conduce la Coscienza fuori dallo spirilo in un systema più hornogeneo, perocché quello non potrebbe vivere con siffatte verità. L'arte poetica è l'esordio dell'arte della parola, e lo spirilo  poetò assai prima di parlare prosaicamente, perchè la poesia  appartiene al sentimento ed all'imaginazione, e la prosa all'intellettualità riflessa. Si dice che gli uomini primitivi sono essenzialmente poeti,  ed il loro linguaggio non esprime mai un' idea esalta, ma una  forma piuttosto oscillante nel sentimento e nell'imaginazione. È  vero che gli stessi parlavano un linguaggio non menomamente  formulato dalla riflessione, ma semplicemente dal sentimento c  dall'imaginazione, che sono però ben altro da quell'intimità  melaphysica che noi possediamo, ed è piuttosto il risultalo dell'opposizione d'una mente prosaica con una mente poetica. La loro l'orma poetica è tuttavia profondamente immersa in un elemento immediatamente sensibile, che noi potremmo difficilmente imaginare. È questa la somma difficoltà che noi proviamo  nel concepire chiaramente le antichissime forme della poesia,  come per es. quella dei Vedi ed anche della nostra Bibbia.   Originariamente si scrisse ogni cosa in una lingua poetica,  se qualche volta non rigorosamente metrica, almeno tale da suonare all'orecchio con una qualche misura. Troviamo per es. i  salmi della nostra Bibbia scritti in una forma non esattamente  metrica, ma nullameno misurala. E ciò accadde perocché il pensiero era allora essenzialmente poetico; Hegel notò mollo assennatamente che il primo prosatore nel lernpo è il LIZIO, si scrissero bensì prima di lui molli pensieri in una lingua perfettamente non metrica, ma essi, nonostante quest'apparenza prosaica, etano  tuttavia poetici; per es. gli scritti dell’ACCADEMIA sono più poetici che  prosaici. Gl’argomenti, che oggidì consideriamo come necessariamente prosaici, erano trattali in poesia. Così presso gì' indiani  troviamo arylhmetiche, astronomie, vocabolari etc. distesi in una  lingua metrica, e si può dire generalmente che i primi popoli  civili non sapevano pensare e parlare se non poeticamente. Alcuni popoli, come gli as ia tici, ve rsano tuttavia in ques t'elemento  poetico che loro impossibilitò una sto ria.   La poesia, come esordio dell'arte della parola, si distingue in  tre momenti. È poesia epica, ossia immersa in un elemento oggettivo, in un'unità religiosa o elhnica;  Poesia lirica, ossia la soggellività che nasce e si svolge  da questa generalità;  La drammatica, ossia la poesia che oppone i vari sentimenti e le varie convinzioni, giusta le varie soggellività e le varie oggettività cosliluile. La poesia didattica veramente non è poesia, ma piuttosto una  riflessione legala nelle forme poetiche e misurale; è piuttosto una  vera dissonanza della riflessione colla sua forma, vale a dire, con  una forma che non è quella propria di lei, essenzialmente prosaica.   Generalmente parlando è poesia la forma del pensiero poetico,  il quale perciò reclama tale forma; e sluona lanlo una forma  l'arte POE l ICA  metrica con un pensiero prosaico, quanto un pensiero poetico con  una prosa libera, vale a dire, colla forma della riflessione; il linguaggi o ed il pe nsiero devono con sonare in una sola forma, non  in d ue diverse e contra rie.   Chiamo poesia epica quell'essenzialità ideale generalmente  immersa in qualche astrazione objettiva di costituzione religiosa  o di nazionalità, non quell'astratto formalismo di un'epopea o di p  una lyrica. Cosi per es. gli inni di Pyndaro e quelli di Tirteo J* "*^  appartengono all'epica, pero cché i lo ro soggetti non sono con - y^'^ wfs» '  centrati nella loro propria soggettività^ ma piuttosto immersi i n y*  un'obiettiva astrazione religiosa e nazionale. Possiamo dire clic all'epopea appartengono tutte le co mposizioni in ossequio d'una  qualche costituzione religiosa, o d'una qualche nazionalità.. Cosi  per es. il Malia- bahrata è una splendida epopea, tuttoché non  contenga veruna idealità nazionale, il Shah-Nameh dei persiani lo  è pure, tuttoché differisca essenzialmente dal Maha-bahrata. La Theogonia d’Esiodo è pure un'epopea religiosa, e così la Divina  Commedia d’ALIGHIERI (si veda), ed il Paradiso perduto di Milton. Le  epopee prettamente nazionali sono l’lliade d'IIomero, l’Eneide  di VIRGILIO (si veda), i Lusiadi di Camoens, e altre simili composizioni. Generalmente nell'epopea si realizza una somma grandiosità  poetica, ma l'uomo sj^om nare, per cosi dire, ne l l'unità religiosa  o nazional e, a celebrare le quali è destinato. All'epopea appartengono pure certe formule satyriche, come  per es. il Don Quijolte di Cervantes, e la Verdine d'Orleans s critta  da Voltaire, le quali veramente non sono destinale a celebrare il  sentimento religioso e l'heroismo nazionale, ma il loro argomento, tuttoché salyrico, è pur sempre religioso e nazionale. Si deve  avvertire che l'epopea appartiene sempre ad u n'astrazione objetliva di costituzione religiosa o nazionale, ma differisce sommamente per i vari gradi della civiltà, nella quale è nata.   Il secondo momento della poesia è la lyrica propriamente  detta. Chiamiamo lyrica quella poesia del soggetto raccolto in se  stesso, o per lo meno, nella sua vita privata. Gli asiatici generalmente sono troppo immersi nell'objellivilà  costituita religiosa o politica per conoscere una vera lyrica; si — uebetti, Canaidcr. sul list, rftiier. JeUu spirilo.  I:MI  oim:iu5 postumi-: ni hktro ceretti può diro che essa nacque la prima volla in Grecia ed in Roma  quando il soggetto principiava a sentire l'insufficienza di una  costituzione oggettiva ed i bisogni della sua propria soggettività.  Cosi non quelle forme che si chiamano comunemente lyriche,  come l’odi di Pyndaro, gl'inni religiosi eie, appartengono a una  vera lyrica, ma piuttosto quelle dedicate alla soggettività; per es.  appartiene alla vera lyrica l'antica poesia di Museo litolata Eri  e Leandr o, le erotiche di Anacreonle, alcune di Horazio, come  anche quelle di Catullo nei suoi rapporti colla Jjilage scherzosa. Oggidi la poesia lyrica è tuttavia persìstente, ma l'epica è  perfettamente abolita/yA questo genere, come nell' epopea, può  appartenere una poesia piuttosto umoristica, ironica e parodiaca,  perocché la lyrica non è menomamente vincolata alla serietà, ma  semplicemente alla soggettivazione. Il soggetto può poetare delle  varie cose seriamente o ironicamente, purché in essa varia o salyrica composizione lasci trapelare una qualche propria convinzione. La transizione da questo genere alla drammatica è caratterizzala da una poesia alquanto equivoca, nella quale il soggetto  tratta le varie cose ironicamente, parodiacamente eie, ma non  lascia trapelare veruna propria convinzione, così che le delle  poesie non contengono un'idea conclusionale; sono astrattamente  negative e non affermano cosa veruna. Queste poesie si realizzano  in un lempo mollo civile, e sostanzialmente vogliono dire che il poeta rimane semplicemente spettatore, non attore delle cose  ironicamente ricordate. Comunemente si chiamano queste manifeslazioni quelle di un genio spossato e di una certa decadenza  della civiltà; la storia, come abbiamo detto, per proseguire la  sua vita ha bisogno di principii serii; la forma dei principii può variarsi quanto si vuole, ma è necessario che la si fissi, vale a  dire, che si fìssi un qualche systema nel quale si svolga la storia  stessa. Ecco la ragione per la quale una rilassatezza di principii  è sempre giudicata un syntomo di .slorica decadenza; non si  avverte però che la rilassatezza di principii conosciuti è sem pre  la nascila vigoros a di principii nuovi e sconosciuti.   Il terzo momento della poesia abbiamo detto è la dramma tica.  Qui sono anlagoni o più soggetti di principii contrari, che si con- [l'arte poetica] tendono Ira loro, e appurilo in questa conlesa le antagonc convinzioni si neutralizzano, vale a dire, risulta la loro reciproca  insufficienza. L' un soggetto contende centra l' altro soggetto  avversario, e cosi amendue difendono la propria convinzione, Questa difesa si effettua mediante le ragioni che tornano favorevoli a esse convinzioni, m a, siccome esse sono due o giù contr arie, ciascheduna difendendo se stessa combatte la propria  avversaria. Non è certo una parte che preferisce un negativo  un positivo ( la quale preferenza sarebbe assurda), ma amendue  ^che preferiscono un po sitivo a un negativo, cosi che in ultima analysi amendue vogliono la stessa idea, ossia che il positivo pre( domini sul neg ativo. C o ntestano semplicemente se questo sia il  (positivo e quello il negativo, o viceversa, epperciò disputan o,  circa una cosa phenomenale, non circa un oggetto o un' idea  concreta. Tulli i soggetti reclamano il positivo ed avversano il  negativo (sono due termini dell'opposizione), ma tale soggetto  vuole a come un positivo, ed avversa b come un negativo; tal alito  soggetto vuole ed avversa inversamente. Giova osservare che  l chiamandosi a positivo e b negativo, quando siano invertiti si devono chiamare inversamente: a, che phenomenalmentc hora  funziona come positivo ed hora come negativo, è un mero giuoco  di parole; perocché sono appunto quei rapporti essenziali che  sono stali mutali i quali cosliluiscono l'oggetto. Cosi la contesa  della drammatica, esaminala con un logico criticismo perderebbe  ogni drammatico interesse, perocché non è contesa seria, ma  semplicemente logomachia. Nella drammatica però queste idee si contendono profondamente involute nella for ma de jjsent imenlo e_d eH'imaginazione, e  appunto da questa profonda involuzione risulla ogni drammatico  prestigio. A vero dire in essa non si contendono mai le idee puramente riflesse, ma piullosto quelle che possono grandeggiare nel  conflato del sentimento e dell'imaginazione. Infatti un interesse  drammatico non si potrebbe conseguire colla fredda e prosaica f v< -7 ^ t.'R'i  dimostrazione di un theorema matematico; questo vuol dire, m * m .% mm *40~X*l L  che l e verità della riflessione non sono le verità^ del sentimento, K> H — cru l'una è impolentissima a surrogare il posto dell'altra. Cosi pure na bella verità poetica, come sarebbe il conflato di un'azione  lieroica, non potrebbe interessare menomamente un Iheorema  malliemiitico e non potrebbe sostituirsi come dimostrazione.   La drammatica non insegna solamente che ogni ordine dello  spirilo ha le proprie verità, e la verità di un ordine non può  JCT*»**^**» essere q ue |] a di un altro, ma insegna altresì che certe convin-4   »>u^»*w^l« tìom sono così profondamente radicate nel soggetto, che non f   si lasciano sradicare da veruna eloquenza. Non consideriamo in *  quest'ordine i soggetti che persistono nelle proprie convinzioni  ^semplicemente perchè non le capiscono, nè possono capire altre  Sconvinzioni contrarie; que sj/opposizione non è spirit uale, e può  \ compararsi a quella della forza bruta la qual e dice; parlate come  volet e, via i o faccio co sì. I varii soggetti nella drammatica posseggono le proprie convinzioni e le oppongono alle contrarie; da  quest'opposizione risulla una reciproca soppressione di verità,  ossia la prova drammatica (nel sentimento e nell'imaginazione)  che tali non sono verità, ma gravi errori. Da questa reciproca  soppressione di verità astratte risulla una verità neutralizzala ed  assai più concreta, che se non persuade i contendenti della scena  persuade l'uditorio.   Ma un'arle_(ìnissim a di far prevalere nella dispula una prò- i  pria idea preconcetta è quella che, nonostante la manifestazione  di tulle le ragioni favorevoli a una certa idea, lascia fortemente  trasparire il lato debole della medesima. L'avversario traila questo  lato debole con molla generosità, ma appunto con quesla generosità vince una causa che si 6 mostrata troppo impotente. I  personaggi delle scene molto incivilite non si trattano con colleriche invettive, ma piuttosto colla massima cortesia; è il diplomatico che accarezzando il proprio avversario gentilmente lo  strozza. L'arte soprafma non è quella di combattere viltoriosamente le ragio ni dell'avversario, ma piuttosto di cond urre passo  passo l'avversario al proprio traviamento, cos icché sembri cadere  per_un suo proprio fallo, vale a dire, comballa contro se sless o.  Era questa l'arie finissima d'un antico philosopho, il quale non  contrariava mai le ragioni dell'avversario, ma lo raggirava cosi  che in ultima analysi questi contrariava se slesso. [l'arte prosaica]  Questa drammatica nasce da una profonda riflessio ne, ma  può vestire forme del sentimento e dell'imaginazione, e risulia  assai più polente di quella nata da una mera imaginazione e da  un mero sentimento. Credete voi che Dante, Shakespeare e Goethe  fossero semplicemente poeti inspirali, piuttosto che rob usti pensatori? Se fossero slati semplicemente poeti non avrebbero potuto  imaginare le composizioni così pregne di pensieri profondi, lo  non dico_clie i profondi pensatori, se si dedicano all'arte poetica,  debbano riuscire necessariamente drammaturgi, ma dico semplicemente che questa forma si presta maggiorm en te ad un larg o  svolgimento dell'idea . Goethe fu certamente un profondo pensatore e nullameno trattò non solo la drammatica, ma anche  Pepopea, la lyrica e d il romanzo. Questo vuol dire, che il pensiero, il quale abbia subito un largo svolgimento, a qualunque  forma si dedichi, partorisce capolavori. Varie prosaica è un secondo periodo nell'arie della parola,  il quale differisce essenzialmente dal primo periodo, ossia dall'arte poetica, perocché quella si volge al sentimento ed all'imaginazione, ma quesla si volge più particolarmente alla ri/h'ssint>i'. Quest'arte si distingue pure essenzialmente da qualsivoglia  philosophica eloquenza, perocché quella è dimostrativa o persuasiva secondo l'opportunità e comprende la totalità dello spirilo;  quesla è astrattamente prosaica e dimostrativa, epperció non può  mai riuscire come philosophia, nè acquistare un drammatico interesse. Essa è destinala a creare piuttosto quelle tali verità che si  chiamano scientifiche, non a creare veruna concreta verilà dello  spirito. L'arte prosaica esordisce come un mero opinalismo c nasce  dire ttamente dalla religiosità; i primi medici per es., i primi  astronomi, ed i primi chimici furono semplicemente sacerdoti, e  possedevano non una nozione di siffatte cose, ma semplicemente un'inlima convinzione od un fallo esteriore Le discipline Lulle,  che bora versano nella riilessione, originariamente versavano in  una mera convinzione religiosa di un fallo intimo o esteriore. Perciò noi vediamo che esse originariamente erano semplici professioni, o più propriamente, semplici operazioni sacerdotali, le  quali riposavano sopra una fede dogmatica, non sopra veruna  empirica od assiomatica dimostrazione. Tulli sanno che la prima  medicina fu nei tempii, e che la malattia originariamente si considerava come uno spirito maligno che invadesse l'ammalalo, vale  a dire, gli ammalali erano considerali come ossessi; tulli sanno che  originariamente si curava con semplici pratiche religiose, il cui  risultalo era dovuto alla fede. La reclamazione dell'intelligenza  riflessa non era nata, epperciò una simile medicina non conteneva veruna nozione analomica e physiologica, ma riposa semplicemente sulla pubblica credenza e sulla pubblica ignoranza.  Nella civile babilonia gli ammalali si sponevano pubicamente  affinchè ciascheduno dicesse il proprio parere circa la loro malattia ed i medicamenti requisiti. Il sacerdote, come religioso, dove sempre curare con medicamenti prestabiliti e s'egli forviasse dalla cura prestabilita era castigalo colla morie, precisamente come un herelico il quale non riconoscesse cerle verità  della fede. Allora non si conosceva cosa veruna e non era  naia veruna facoltà di dubilare, perocché tale facoltà appartiene  al criticismo della riflessione. Tutto era fede e religiosa convinzione, la quale conseguentemente escludeva ogni possibile  incertezza; si trattavano le cose mediche press' a poco come noi  trattiamo le verità logicamente necessarie le quali non si possono in verun modo dubitare, ossia non si possono dubitare cogitabilmenle. Non dico che quelle verità primitive somigliassero a quelle  essenzialmente indubitabili delle mathematiche pure, perocché  queste reclamano una dimoslrazione e non sono indubitabili che  in questa loro mathematica dimostrazione. La riflessione neona]&nét ìfent* scenle, che conduce progressivamente il secondo momenlo dell'arie prosaica, fu una semplice dimostrazione non intellettuale,  come noi la consideriamo, ma una dimostrazione graphica per la quale ceni phenomeni complessi si riducevano a presentazioni più  semplici, dalla cui unità risultavano i delti phenomeni complessi.  Così fu originalmente la dimostrazione mathematica, e noi sappiamo che una geometria graphica precedette per molli secoli  mia geometria analylica, e le stesse potenze uno, due eie, che  hora si considerano nella loro algebrica generalità, originariamente si consideravano come linee, super fìci, e così via. Le  dimostrazioni mathematiche, come un risultalo della semplice  riflessione, non sono anche oggidì concepite dai molli nella loro  vera essenzialità. Cosi per es. gli uomini comuni considerano una  dimostrazione graphica come equivalente ad una puramente intellettuale; giova osservare che la dimostrazione graphica è un  fatto sensibile, e si riferisce ad un dato problema presentabile  sensibilmente, ma la dimostrazione intellettuale si riferisce a un  fallo cogitabile, la quale riesce sempre irrefragabile anche per  quelle cose che non si possono presentare sensibilmente, purché  siano ridutlibili ad una tale equazione. L'arte prosaica consiste nel trovare questa dimostrazione, e  nel fare che una verità non sia più semplicemente soggettiva. Le verità apodittiche si distinguono dalle verità del primo momento  appunto perchè queste sono varie nei varii soggetti (varii soggetti  posseggono varie convinzioni), ma quelle sono identiche in tulli i  soggetti. Un soggetto può possedere una fede ed un altro soggetto può possederne una contraria, ma nessuno potrà pensare  che un theorema geometrico di Pithagora per es., non sia necessariamente vero, perocché nessun soggetto può dubitare che a = a,  identità alla quale, come alla propria radice, si riducono lulle le  verità mathematiche. Vi è una terza forma dell'arte prosaica, che è pure una forma  apodilhica, ma differisce essenzialmente dalla dimostrazione mathematica, perocché quella è semplicemente un mezzo a conoscere qualche verità naturale o spirituale, questa non è semplicemente un mezzo, ma è immanente al proprio scopo. Qui non  si tratta più di conseguire uno scopo con un mezzo adeguato, ma  si traila di conoscere una verità che ha in se stessa il proprio principio, mezzo e scopo. L'osservazione esplora ciò clic sia il soggetlo in se stesso, e suppone che la verità di esso sia in lui recondita e mediante l'osservazione si possa conoscere quello che e.  Le mathematiche pure contengono verità puramente intellettuali, epperciò verità irrefragabili e necessarie; ma come tali non possono contenere verun scopo naturale o spirituale; debbono assumere un elemento empirico, epperciò un'essenzialità contingente.  Le verità empiriche differiscono essenzialmente dalle mathematiche, perocché quelle sono irrefragabili e necessarie, ma queste  essenzialmente controvertibili; perciò nelle cose mathematiche  non si può avere una propria opinione, e si tratta solamente di  sapere se questa sia o non sia una verità mathematica, ossia una  verità mathematicamente dimostrata; nelle cose empiriche tutto  è conlroverlibile, epperciò i varii soggetti possono possedere varie  opinioni e varie convinzioni, ma queste verità controvertibili possono contenere una natuca concreta o uno spirilo concreto. L'osservazione insegna esattamente quello che sia ogni ordine  finito, epperciò insegna che ogni ordine empirico versa in una  necessaria contingenza. Presumere di conoscere qualcosa definitamente coll'osservazione è una presunzione puerile, perocché  tanto l'oggetto dell'osservazione, quanto l'osservazione stessa versano in una necessaria contingenza. Ogni ordine finito appartiene alle discipline empirico-induttive o alle discipline mathematiche  empirico-induttive; perciò i cultori di queste discipline finite  dicono, non vi è verità assoluta, ma ogni verità è necessariamente relativa. Questo è vero, perocché nelle discipline finite non  si può trattare se non la verità relativa, e quella verità assoluta  che possibilità la relazione non appartiene a delle discipline. Però  nelle medesime tutte le verità relative non sono identiche, ed esse  si coordinano gerarchicamente secondo il grado di relazione. Cosi per es. nelle cose spirituali si distinguono verità puramente  soggettive dalle nazionali, e le nazionali dalle verità humanilarie,  e le humanilarie dalle mondiali. Una verità positiva nell'ordine finito si chiama quella che  possiede rapporti più generali, cosi che possa essere poco affiena  dall'opinalilà soggettiva. Così per es. che i gravi cadano colle  leggi di Galileo è una verità empirica, ma essa è cosi generale e l'arte speculativa   cosi costante sul nostro globo, che non può essere affetta da  veruna opinalilà soggettiva. La medesima è una verità puramente  empirica, perocché se una pietra non cadesse nello spazio libero  sulla terra non si troverebbe una ragione contraria assolutamente  necessitala da opporre al suddetto phenomeno; la pietra deve  cadere nello spazio perocché è sempre caduta; è un documento  costante dell'osservazione; ecco lutto; e questo lutto non si può  trascendere in verun modo dall'intelligenza riflessa senza cadere  in gratuite supposizioni. La riflessione non può opporre per es.  che siccome il centro e la peripheria si suppongono necessariamente, cosi il corpo deve necessariamente procedere dal centro  alla peripheria, e viceversa per conseguire un'esistenza esteriore. Questa cosa si capisce chiaramente dicendo, che una materia  centrale è necessariamente una materia caduta, ed una peripheria  è necessariamente una materia spostata dal suo centro; cosi una  materia è pure un'oscillazione necessaria fra il centro e la peripheria, perocché la non si può supporre occupare due luoghi  nello spazio. Qui non si traila empiricamente di provare che  generalmente la materia debba essere attratta e respinta dal  centro alla peripheria e viceversa, ma semplicemente di provare  che questa tale materia hora e qui sia attratta o respinta, piuttosto che altrimenti.   Perciò l'osservazione non tratta le verità generali, ma semplicemente quelle nel tempo e nello spazio; ed i cultori delle  discipline finite dicono saggiamente, che tutte le verità sono relative; s'intende che tulle le verità finite sono lali. [L'arte speculativa] L'arie prosaica è necessariamente un'arte che tratta il finito,  ed è prosaica perchè appartiene alla riflessione. L'arte speculativa non è più tale, perocché si propone di conoscere non le  verità relative e finite, ma le verità generali, madri dì ogni  ordine finito. Quest' arie differisce essenzialmente lanlo dalla poetica quanto dalla prosaica, perocché aspira alla nozione,  e ad una nozione indipendente da ogni empirica autorità; sendo  tale, la non si può chiamare un' arte aslrallamente prosaica nè  astrattamente poetica, perocché contiene il suo argomento concreto, di cui la prosa e la poesia sono astratte manifestazioni.  Cosi lo spirito generalmente parlando non è poetico astrattamente,  perchè anche prosaico, e non è prosaico aslrallamente perchè  anche poetico. Nell'eloquenza philosophica qualche volta si vuole  persuadere (cioè parlare all'imaginazione e al sentimento, come  la poesia); qualche volta però si vuole dimostrare (cioè parlare  alla riflessione, come la didattica finita); in concreto però lo spirito vuol insinuare la verità, non imporla se sotlo una forma  poetica o prosaica; vuole insinuare una verità concreta di cui la  forma poetica e la prosaica sono forme astraile; lo spirilo vuol  trasfondere lo spirilo, il quale è semplicemente l'attitudine a  costituirsi poetico o prosaico. Quest'arte speculativa per conseguire il proprio scopo si svolse  caratteristicamente per tre momenti, che sono quelli della philosophia comunemente della. Cosi prima è una s peculazione immersa in un elemento poetico o religioso (come per es. l' ispirazione e la fede). Poscia è una speculazione immersa in una  dimostrazione mathematica o empirica, cioè una verità generale  diesi vuol conseguire col melhodo delle verità finite. Finalmente  è una speculazione scettica che si rillettc in se stessa, e conchiude  che l'inlellellualilà riflessa è incompetente a conoscere l'assoluto. La FILOSOFIA più o meno popolarizzata nei vari paesi civili  dell'Europa, appartiene sempre al primo momento, vale a dire,  è un sentimento od un'imaginazione più o meno philosophalc;  non si aspira categoricamente alla nozione, ma semplicemente a  persuadere una certa verità generale. Questa persuasione non può  riposarsi se non in una fede nella cosa o nel dichiarante la cosa.  Perciò si fa sempre appello o a un senso comune (come la scuola  scozzese), o a una verità rivelata (come generalmente tutte le Iheosophie, comprese anche quelle che si dicono speculative), o finalmente a una ragione esplicita colla forza dell'eloquenza, vale a  dire, a una ragione diretta al sentimento. La FILOSOFIA coi/arie speculativa mune della gente non può essere se non una philosophia più o  meno poetica, religiosa o irreligiosa; checché ne sia, le sue ra-gioni non sono mai dirette a costituire la nozione, ma semplicemente a commuovere il sentimento, o provocare l'imaginazione:  perciò quest'eloquenza philosophica non si può chiamare poetica  nè prosaica, ma semplicemente un'arte speculativa che persuade  o commuove secondo le varie circostanze. É la sola possibile  FILOSOFIA che si possa popolarizzare, perocché il sentimento e  l' imaginazione nella gente comune possono essere mediocremente  espliciti, ma la riflessione è sempre notevolmente debole.   In questo primo momento si dice, per es., che la philosophia  dev'essere nazionale, ovvero deve servire la Chiesa, ovvero lo  Stato, ovvero la civiltà, e così via; si vuol fare della philosophia  una disciplina finita con uno scopo finito. E veramente questa  manifestazione equivoca della mente humana non potrebbe trascendere a una pura speculazione, e d'altronde non potrebbe costituirsi una technica chiaramente professionale. Perciò quando?  udiamo che una persona ci risponde che il suo studio sono le mathematiche, la chimica, eie, sappiamo positivamente quelli  ch'essa dice, ma se udiamo che la della persona si dedica alla)  philosophia, rimaniamo piuttosto perplessi. Si é talmente generalizzato questo nome, che horamai non si sa più cosa si vogli a  dire,, quando lo si pronuncia. Tra una philosophia dell'ordine  succcnnalo, ed una philosophia come speculazione pura corre  una differenza molto maggiore che non fra la botanica e la giurisprudenza.   Un secondo momento dell'arte speculativa è quello che, abbandonando il campo della fede, si dedica alla dimostrazione  mathematica o empirica, vale a dire, a una philosophia che vuol  conseguire la propria verità col methodo d'una disciplina finita.  Cosi, per es., Spinoza tratta la sua etilica con un methodo rigorosamente geometrico (proposizione, dimostrazione, corollario). Nel  secolo passato questa manìa d' imitare i malhemalici fu mollo  generale nei philosophi; non avvertivano che le mathematiche  sono rigorosamente esatte, perocché versano in un'aslratla identità, vale a dire, si riducono alla loro assiomatica identità a = a,  locchè non potrebbe realizzarsi circa veruno scibile concreto, perocché esso scibile concreto deve contenere le categorie radicali  di qualsivoglia realtà, cioè la qualità e la quantità. Le mathematiche sono appunto esalte perchè contengono una sola categoria  (la quantità), e le loro verità non sono mai il rapporto di una  all'altra categoria (il quale rapporto costituisce l'essenza di qualsivoglia verità); questa sola categoria è appunto incontroverlihile,  perocché si riferisce semplicemente a se stessa; perciò si è dello  che i theoremi malhemalici sono giusti, ma non sono veri, appunto perchè non contengono la totale essenza di quella che noi  chiamiamo verità, o, per lo meno, le verità mathematiche hanno  un significalo altro da quello delle altre discipline. Cosi trattando  mathemalicamenle le materie philosophichesi sono dovute ridurre  a un'astratta identità affinchè riuscissero incontrovertibili come  le mathematiche. Spinoza, per es., poneva la massima cardinale  che due cose diverse non possono avere un rapporto fra loro,  perocché nella comunanza di esso rapporto elleno sarebbero identiche; di qui conchiuse una sostanza universale identica a se  slessa, la quale si manifesta nelle sue varie attribuzioni come la  spaziosità, la temporaneità, eie.; considerava la Coscienza come  una mera attribuzione di essa sostan za. Non avvertiva 1° che  nulla può essere reale se non sia Coscienza e p perc iò la Coscienza  non è un attributo ma la sostanza stess a di ogni cosa: che  ja mede sim a non è u j^ realtà, ma piuttosto i nfinita attitudine  a realizzarsi epperciò non si può chiamare nè universale, nè  particolare, nè identica, nè differente; ri on si può predicarla in  verun modo finito.   Vi ha pure un'altra forma della dimostrazione, che assai differisce dalla mathematica. E la prova empirica, della quale abbiamo più sopra riferito il caratteristico essenziale. Nulla di più  ovvio che ascoltare cosi sconsideratamenle dai philosophanli che  la philosophia dev'essere utilitaria, e riposare sopra i documenti  positivi dell'osservazione. Questa proposizione presuppone una  perfettissima ignoranza delle verità puramente philosophiche.  Basta osservare che la philosophia, sendo il termine più generale  della scibilità, non può essere subordinala a uno scopo altro dall'arte speculativa se stessa; esso scopo suppone necessariamente che vi sia qualcosa più concreto della philosophia. Solamente con questa supposizione si possono giudicare positive certe verità, alle quali   deve servire. Il terzo momento dell'eloquenza philosophica è, propriamente rnm«viAo  parlando, un'eloquenza scettic a. Si è scoperto che ogni idea consta  di due termini contrari, ma siccome la riflessione deve necessa- Se eìticìj  riamente affermare o negare, così s i conchiude che nè la ne iiiL zione nè l'afferma zione contengono le verit à. È questo lo scelticismo finale, al quale arrivò la speculazione greca. Negli ultimi V  tempi della philosophia greca apparvero tre syslemi, i quali,  benché non fossero prettamente sceltici, riuscirono perù praticamente allo scetticismo. Così, per es., lo stoicismo (il quale non era menomamente scettico, ed affermava che l'universo è il corpo  d'Iddio), conchiudeva che nel mondo non era cosa veruna pre- azjì^W- .v- V  feribile a un' allra, e così la vera beatitudine dell'uomo saggio, ^ (  non consiste nel conseguire certe cose ch'egli crede ottime, e f* 1 "* * f /"cansare certe altre eh egli crede grame; m a piuttosto nella piena indifferenza ad ogni cosa monda na. Cosi pure i neoplatonici, i quali non erano menomamente scettici, lant'è che proclamavano  che l'assoluto è uno, epperciò non intelligibile, perocché l'intelligenza suppone l'intelligente e l'oggetto dell'intelligenza, altro F.f te et \  dalla stessa), riuscivano praticamente all'estasi colla quale si ] z *iit',\t;c  astraevano da ogni senso esteriore. Gli scettici propriamente delti e poi avendo conosciuto che ogni termine ha il suo contrario, aspiravano ad un giusto equilibrio (melriopatfna) dei termini contrari, epperciò conchiudevano doversi speculare continuamente, senza pronunciare giudizio veruno. L’apathia o ataraxia degli stoici, l’estasi dei neoplatonici, la  mctriopathia degli sceltici, enunciano un solo fatto concreto, ossia rijr.fimp fflp ny.il riffll' i pio Hifr»"™ h iimang n p.nrirqflire l'assoluto.  Gli stoici trovavano quest'incompetenza nell'assoluta unità dell'universo, cosicché affermavano che l’intelligenza non polendo essere se non dualistica, necessariamente non poteva concepire l'assoluto, il quale è un'unità. I neoplatonici trovavano quest'incompetenza nell'intelligenza, che presuppone un oggetto essenzialmcnle altro dall'intelligente. Gli scettici finalmente trovavano  quest'incompetenza nell'assoluta contrarietà delle idee, dalla quale  arguivano l'assoluta incompatibilità di due idee contrarie. Sommariamente si può conchiudere che il sentimento  l’e imaginazio ne sono^cjjmpe tenti a concepire Tassoluto^ perocché  I ìvA*'tZ~ var j ano ne j varj soggetti; la riflessi one è pure incompetente a  t:|(*M,»*^. concepirlo, perocché deve supporre il suo oggetto essenzialmente   altro da se stessa, e trovando che ogni termine dell' idea ha il suo contrario, conchiude necessariamente che una tale idea debba  essere un affermativo o un negativo, ma dappoiché non è astrattamente nè l'uno né l'altro, ossia non è un astratto positivo  perché anche un negativo, e non è un astratto negativo perchè  anche un positivo, arguisce che l’intelletto è incompetente a  giudicare. Questo avviene perchè non si conosce quella facoltà,  wr^ÈTche noi chiamiamo facoltà concettiva, la quale differisce essenzialmente tanto dal sentimento come dalla riflessione. Il senlimento affermo giustamente la propria incompetenza a costituirsi t&wtfc-ccìv^vp-un assoluto, l’intelligenza a ffermò pure la detta incompelcnza, perocché capì che l'assolulo deve contenere anche la riflessione,  epperciò la riflessione non può giudicare quello che non può essere un suo oggetto altro da se stessa Cosi l'arte della parola, svolgendosi nel sentimento artistico  e nella riflessione scientifica, arrivò a uno scetticismo filosofico, e si giudica generalmente incompetente a costituirsi un assoluto. Lo scetticismo è la necessaria conclusione d'ogni intellettualilà, che abbia trasceso il sentimento, e non sappia trascendere alla pura speculazione. Il nostro filosofo si propone anche la celebre questione del progresso, ossia del cammino della civiltà; e trova che essa  fu  evolutivamente risolta coir una o coll'altra delle seguenti tre risposte: Il genere umano invecchia e invecchiando/dgiara  (sentenza prediletta dagli antichi, da parecchi ottimi poeti moderni e specialmente dai teologi; con essa lo spirito, scorgendo le migliori cose desiderabili, le illumina col prestigio della distanza nello spazio e del tempo.  Il  genere umano scuote le tenebre della sua ignoranza, ricerca la scienza, con cui recar rimedio alle sue infermità, e accrescere i beni, insomma migliora; (con essa lo spirito sforzatosi di prendere il governo del mondo,  raggiunge la sua dignità, dalla quale la mistica antichità lo dichiarò decaduto: ed è prediletta dai novatori in genere). L'uomo né peggiora né migliora, ma svolge in modo la sua spiritualità, che la prospettiva del suo processo rimanga duplice, a migliorare per una parte, a peggiorare per l'altra: lo spirito è una perpetua compensazione attiva del bene e del male, in modo che l'uno generi l'altro per necessità logica e questa é la soluzione preferita dal filosofo: soluzione, come si [Prolegomeni] Lo Spirito oggettivo vede, trascendentale, ma punto strana perchè l'esigenza del trascendentalismo è propria dell'uomo. Esso è necessario alla spiritualità, cosi come la respirazione al corpo umano, sebbene, sommando le opposizioni che si sono mosse alla speculazione, si vede che tutto lo scibile finito iu l'avversario d'ogni trascendentalismo speculative. La  determinazione suprema  della  voce, LA FAVELLA, cioè LA PRONUNCIA ARTICOLATA DELLA DIALETTICA PSICHICA è il vero fondamento dello scibile, perchè concreta sensibilmente lo sdoppiarsi del pensiero. Èla formula e insieme lo strumento più eminente della manifestazione spirituale. Sebbene  né  LA FAVELLA, né la facoltà di acquistarla siano necessariamente richieste per determinare la posizione dell'uomo nella natura il sorgere del LINGUAGGIO, È, COME IL PUDORE, SINTOMO della spiritualità che nasce e si afferma. Lo studio della linguistica che sembrerebbe poter procedere sopra un terreno libero da qualsivoglia pas-[Introduzione alla coltura generale, Prolegomeni Massime e Dialoghi, Fase. Spirito oggetiivo] sione partigiana, invece cammina sotto vane bandiere teologiche, o in balla del liberalismo naturalistico o finalmente asseconda le simpatie e avversioni etniche. Come ogni popolo crede ed ha creduto sempre di essere il primo popolo della terra, cosi crede ed ha creduto sempre di possedere la più perfetta di tutte le lingue -- opinione che naturalmente osta ad un bilancio del contributo che ogni idioma porta all'educazione dello spirito umano. Il problema dell'origine delle lingue, cosi come è posto per tanto tempo, è assurdo, giacché presuppone pre-nato alla lingua il pensiero, il quale mediante essa debba riferirne l’origine. L'unica ricerca genetica che, fuori del dominio speculativo, può condurre a utile risultato, è la determinazione di un periodo riconoscibile nelle vicende  storiche, dal quale si sono sviluppate le attuali forme linguistiche. Considerando il rapporto tra l’idea e le primissime radici designative si capisce che detto rapporto non è idealmente definibile, perchè è meramente naturale. É una ragione psichica immediata come quella per la quale il RISO è foneticamente altro dal LAMENTO e SIGNIFICA diversa condizione dell'anima. Ma l'idea progressivamente si emancipa dalle forme materiali e radicali. Giacché agevolmente si capisce come una radice viva, ossia espressiva di un solo concetto determinato, patisca in questa determinazione un impedimento alla sua dialettica e storica evoluzione. Anzi, la [Considerazioni ecc., Lo spirito oggettivo] radice e l'idea si legano reciprocamente, e così l'una e l'altra sono arrestate nel loro metamorfico svolgimento. Si può dire che il pensiero di un popolo tanto più liberamente si svolge nella storia quanto meno sia spiritualmente legato dalle radici vive della propria lingua, e che reciprocamente l'inerzia dialettica conserva le radici vive come l'attività le corrompe e spegne. Molta importanza ha lo studio delle lingue per la istruzione e l’educazione del pensiero. L’uomo è tante volte uomo quante lingue conosce, giacché tale studio concerne vari modi che rispondono ai vari gradi del pensiero. Infatti, l'idioma accenna progressivamente a dare le forme sensibili, le intellettive, e le concettuali. Quanto più il pensiero si avvia all'espressione rigorosamente logica tanto più si libera dalle esigenze tutte formali della lingua. Giovanetto, sperimentai che dalla lingua è occasionato il pensiero. Più tardi capii che  la lingua è mezzo necessario alla sua formulazione. Finalmente concepii che la vera forma intrinseca del pensiero non può essere manifestata da questo mezzo estrinseco, che è la lingua. Il che significa che essa, giunta che sia di fronte alla speculazione pura, o per dir meglio, al sistema contemplativo si esautora da sé medesima, riconoscendosi insufficiente a esprimerlo concretamente. Anzi, la lingua [Idee radicali delle discipline matematiche ed empirico-induttive. Introduzione alla coltura generale. Prolegomeni. Massime e Dialoghi. Fase. Lo spirito oggettivo] VOLGARE, per l’uso pratico della vita, vuol essere studiata assai differentemente che la letteraria e la FILOSOFICA, perocché lo scopo delle varie forme linguistiche non è menomamente identico. Anche la semplice nozione storica di un paese è assai collegata colla conoscenza del suo idioma speciale. Narrando di un viaggio fatto dall'eroe di uno de’suoi tanti romanzi, C. dice. Il mio protagonista studia sopratutto di famigliarizzarsi coi singoli idiomi che sono svariatissimi e giudica che la nozione à un certo paese suppone quella del minuto popolo, epperciò una pratica dell'idioma locale. E vedemmo che così si comporta nei suoi viaggi egli stesso. Quanto alla questione circa la preminenza del toscano sugl’altri dialetti nella nostra lingua letteraria, ecco le osservazioni, che noi riferiamo qui non perchè ci paiano originali, ma per dimostrare, una volta di più, quale sicurezza di sguardo ha C, in ogni questione, che si affaccia al suo intelletto. LA LINGUA ITALIANA possiede, come tutte l’altre, il suo proprio genio caratteristico, per il quale non può essere confusa con veruna delle lingue romaniche. I suoi dialetti, moltissimi e svariatissimi, si distinguono fra loro singolarmente per il loro specifico carattere, ma nessuno potrebbe sospettarli dialetti d'una lingua altrimenti che l'italiana. Questo avviene perchè, fra tante differenze, essi posseggono un carattere comune. Memorie  postunte,  Fase. Itinerario di un inqualificabile. Fase. Lo spirito oggettivo] grammaticale e lessicale; e L’UNITÀ DELLO SPIRITO ITALIANO, nonostante le sue profonde differenze, è improntata in questo generalissimo tipo comune dei dialetti. Oggidì da letterati si disputa seriamente se il solo toscano sia il tipo classico della lingua italiana, ovvero se IL GENIO DELLA NOSTRA LINGUA, essendo sparso in vari dialetti, si debba ecletticamente approfittare di tutti. Esporrò brevemente la mia opinione. Il toscano è senza dubbio il più ricco, il più venusto e sopratutto, diremo, il più prettamente italiano dei dialetti parlati nella penisola, e perciò esso è senza dubbio il repertorio più copioso e più italiano. Ma non si deve dimenticare che la lingua parlata in Toscana, quanto sivoglia buona, è pur sempre UN DIALETTO, epperciò non può essere una lingua letteraria sufficiente. Nessun popolo scrive come parla. Le lingue parlate nascono e crescono nel popolo, e contengono le mere idee del popolo; la letteraria e la scientifica sviluppano il materiale linguistico della parlata giusta le esigenze progressive delle lettere e delle scienze. Ora, questo materiale della lingua parlata è tanto più sufficiente quanto più ampiamente è desunto da tutti i dialetti italiani: ognuno di essi possiede certe locuzioni così proprie all'idea, quali non sono specificamente possedute da verun altro. Di queste precellenze particolari la lingua delle lettere e della scienza deve liberamente approfittare e non immiserirsi nell'idioma locale d'una provincia. Seguitiamo il buon esempio del grande ALIGHIERI, che, quantunque toscano, esordì a scrivere la sua Commedia non nell'idioma toscano, ma in una lingua veramente italiana. Spirito oggettivo. Molte forme grammaticali e lessiche sono riducibili allo SPIRITO GENERALE DELLA LINGUA ITALIANA, talune non lo sono. Il buon criterio del letterato deve scernere quelle da queste, e, se l'idea esige neologismi, li deve creare conformemente al genio della lingua, e omogeneamente ai materiali idiomaticamente o letterariamente prestabiliti nella lingua italiana. Coll'idioma esclusivamente toscano s'immiserisce non solo la lingua, ma conseguentemente anche  l'idea, la quale  trascende le limitazioni locali e popolari. Dai Sogni e Favole:   Dal Sogno fiiogoologico. Perfezione ed imperfezione degl’enti. Dalla Favola antropologica. Dialogo tra Fantasia, Lucifero ed il filosofo. Dalla Favola antropopedeutica. Dialogo tra Favola ed Filosofo. La filosofia e la solitudine. Dalla Favola angelica. La vita del filosofo. Dal Sogno utopistico. Dialogo fra il filosofo ed un ere   mita della futura società riformata. Dal Sogno utopistico. L’educazione in un ordinamento utopistico della società. Dalla favola utopistica. Una gita in aeroplano nella società riformata. Dalla Favola utopistica. Un casus belli Dalla Favola utopistica. Le condizioni economich  della società riformata dell’anno 2000. Dalla Favola utopistica. Un disegno di ordinamento cittadino nella società riformata dell’anno 2000.  Dal Sogno assurdo. La società nel secolo xix e nell’e   poca successiva della riforma. Dalla Favola assurda. L’igiene. Dal Sogno del diluvio riformatore. Un cataclisma. Dalla Favola di F.rato. Poesia, scienza, speculazione Dalla Favola ili Erato. La danza, la mimica, la musica, la poesia. Dalla Favola di Erato. I grandi poeti sono spiriti concettivi. Dalla Favola tecnica. Prolusione agli studi tecnici in una società futura. Dalla Favola filosofica. Manuale pratico di vita civile Dalle Massime e Dialoghi:  Reminiscenza.» Espressione della verità. Recondita opera della filosofia nella storia dell’ umanità. Gl’attori della nostra storia europea. Gli spiriti forti e la moralità. I filosofi nella società degli uomini comuni. Debolezza delle facoltà mentali. Celebrità e saggezza. I giudizi del mondo. Apprendere da sò stesso o dal maestro. II giornaletto umoristico. La tirannia della debolezza. L’apprezzamento della filosofia del mondo. Stazioni nell’itinerario degli studi. Dialogo di Patologo e Apatologo.» L’uomo piacevole.  Machiavellismo delle sette. Differenze spirituali. Un quinto giudizio del mondo.Erutti di una coatta abnegazione. La celebrità ed il sapere. Dialogo della Luna e della 'ltrra. Lagnanze e contentezze inopportune. L’intrinseco del mondo.  L’ineccepibile probità. Conosci te stesso. Il vero sentimento e la costumanza. La predica delle tre sorelle . Metodo per essere colto e sapiente. Scopo di un filosofo . Catechismo de! medico praticante. ”Documenti esteriori della soggettività. L’inettitudine dei filosofi e dei poeti . Annunzio librario. Dialogo di un filosofo con un amico. Orientazione dello spirito speculativo. L’infelicità degli uomini grandi . consigli delle persone. La setta. La personificazione delle maggioranze. I giudizi del mondo. Verità speculativa e verità della riflessione. Sentenziucce. Le ragioni delle sette. Predilezione del sentimento e della riflessione Le abitudini della vita pratica e teorica . Insegnamento delle massime pratiche mondane. L’hegeliana filosofia del diritto .  Trascendentalismo.  La divina provvidenza1 diritti della gente. Astrazioni viste sotto un solo aspetto. Ragioni della verbosità . La solitudine e la città. Le lodi e i biasimi del nostro tempo. La morte spirituale. L’inavvertenza. Politica. Circa la musica contemporanea. I desideri del filosofo .L’essenzialità del sistema contemplativo. Uno stravagante .  li soldato. Un rimprovero sconsiderato1. 'esigenza dello spirito. Il lavoro del cervello. L’educazione positive. La composizione. I ire periodi della storia umana  Intensità dell’esistenza ed annullamento  Insegnamento della lingua. I fondamenti dello scibile finito. La religiosità dell’Asia. La religiosità in ROMA. II Cristianesimo. L’igiene. L’ozio delle Trascendentalismo. La verità poetica. La responsabilità. Paradossi. La professione. Il regime.  L’educazione del getter. L’essenza e il formalismo dello scibile umano. Il bello poetico. Il deputato. Crepuscolo  di  Milano. Pellegrinaggio. Unione di Torino. Silorata. Revue franco-italienne di Parigi. Philosophische Monatshefte, Rabus. Pasaelogices Specimen. Zeitschrift fur Philosophie und philosophische  Kritik, Perseveranza. Antonietti. Considerazioni sopra il sistema dello Spirito e della Natura. Lorenzi   alle  Considerazioni. Gazzetta Letteraria Ercole. Filosofia delle Scuole Italiane, Ercole. Pasaelogices Specimen. Annuario biografico universale, Articolo d'indole generale. Lorenzi.  Notizia  degli  scritti  e  del  pensiero  filosoficodi  Pietro  Ceretti  accompagnata  da  un  cenno  autobiografico pel  medesimo  (la mia celebrità). Ercole. Torino, Unione Tip. Editrice. Prefazione de IP Autore In Atti deirAccademia Reale  delle  scienze  di  Torino (Classe di scienze morali, storiche e filosofiche). Adunanza. Nuova Antologia.Valdarnini.  Zeitschrift filr Philosophie und philosophi-sche  Kritiky  Halle,  Notizia  bibliografica.In  Rivista  Italiana  di  Filosofia  dNotizia  bibliografica  del  Prof.  Felice  Tocco.Introduzione  dei  traduttori  ai  Prolegomeni, Nuova  Antologia. Letteratura. Tarozzi. Ercole. Rivista Italiana di Filosofia, Ercole. Machiavelli, T. C. In Lettere ed Arti.Lenzoni. Ateneo Veneto.Ift Revue philosophique de la France et de L’Etranger. Perez. Ercole. Sinossi. Rassegna  Nazionale. Un poeta filosofo.Notizia. Rivista Italiana di Filosofia. Notizia Valdarnini. Risveglio educativo, La pedagogia di Ceretti. Studio del Val-darnini.  Prefazione  dell’autore  In  La  Coltura, La  fama  postuma  di  un  Filosofo  poeta,  di  Zannoni. In Voce del Lago Maggiore, C. poeta, di Alemanni. La  Filosofia  della  Natura  di  P.  Ceretti  per  Pasquale  D'Ercole.  Torino,  Unione  tip.  Editrice. The Mind,  Benn. Zeitschrift fììr Philosophie nnd philosophische Kritik, Leipzig, Notizia sulle opere, Hermann. Rinnovamento  Scolastico,  Roma, Ceretti nella storia della Pedagogia, di Fantuzzi. Deutsche Litteraturzeitung, Notizia sul volume dell'Essologia, del Giovanni Cesca. Rivista  Italiana  di Filosofia,  Un  nuovo  Trattato di Filosofia della Natura del Valdarnini. Nella Storia della Pedagogia Italiana di Valdarnini, Paravia  e C.,Dizionario  illustrato  di  pedagogia  di  Martinazzoli  e  Credaro. Rumori  mondani  di  Negri, Milano Discorso. Ercole. Inaugurazione del monumento a C., Intra,Vedetta. Alemanni, Saggi di Filosofia Teoretica. Valdarnini.  Firenze  Prefazione  dell’autore. Introduzione. Ercole. Essologia, Stampa Notizia sul voi. deirEssologia. Alemanni.Rassegna Nazionale NotiziaAlemanni.  Rivista  Italiana  di  Filosofia,  stX.i,-La  Coscienza  Fisica,  studio Alemanni.   Nella  Storia  Compendiata della Filosofia di Cantoni (Milano  Hoepli) Rivista  Pedagogica Italiafia, La filosofia naturale di C.  Valdarnini. Coltura, Notizia di Petrone, Rivista Italiana  di Filosofia, Le dottrine  estetiche di C.. Studio. Alemanni  (Literarisches Centralblatt, Essologia. La Fisica. Nella  Enciclopedia  universale  illustrata,  Milano,  Vallardi  Editore.  Cenno  sul  Ceretti.   Grundriss  der  Gcschichte der.Philosophie,Viertel Theil di Ueberweg-Heinze. Notizia  su C. (Credaro), Rivista  Filosofica. La  filosofia  di  C..  Alemanni. C. (n. intra), filosofo. implicatio — empiegazzione — ES implicatum — empiegato — EX implicans — empiegante — SYN. L'uomo nella serie zoologica.L'uomo vuol essere consideralo come l'ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più recente dell'albero 200 logico. E qui nasce oggidi rispetto all'uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da ' più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla specu lazione, e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità empirico - induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distin zioni teoriche del nostro intelletto . La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum; e conseguentemente le distinzioni caratteristiche, che costituiscono le specie, non risul tano se non in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii . Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente mani feste, troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii indi vidui pur differenti fra loro . Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò non si deve inve stigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini della specie, ossia nelle variazioni individuali. Quesle variazioni, tuttochè lentissime, modificano col volgere dei secoli le specie, così come le conchiglie microscopiche, variando la propria na tura, variano il terreno che ne risulta. Gl’agenti che effettuano la suddetta progressiva va riazione sono di tre ordini, vale a dire : agenti planetarii, agenti psichici, agenti spirituali. Questi agenti sono pro gressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia spirituale. Gli agenti del primo ordine modificano semplicemente l'orga nismo, e indirettamente, ma assai lentamente, le facoltà istintuali. Sono gli agenti puramente planetarii, p. es., la natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, le condizioni geografiche e topografiche, e cosi via.Questi agenti si possono chiamare elementari; perocchè operano su tulla l'animalità senza distinzione veruna, e sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale, che gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le modificazioni necessitate dalle progressive va riazioni dell'aria e del suolo . Gl’istinti delle specie animali infe riori sono rigidi e difficilmente modificabili, appunto perchè sono istinti poco variati, che non possono neutralizzarsi fra loro in una ricca varietà di modificazione. Gli agenti del secondo ordine sono psichici, epperciò più intimi nell'organismo, ossia più essenziali . Questi agenti psichici modificano l'animale nelle sue intime facoltà, ossia attitudini, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questi secondi agenti sono nella loro essenzialità un maggiore sviluppo dei primi, epperciò si manifestano nelle generazioni susseguenti come profonde modificazioni dell'organismo e dell'istinlualità . Queste modificazioni non sono più mere variazioni giusta una astratta affinità, per le quali, p. es., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifestano come pure variazioni quantitative dell'istintualità . Sono modificazioni profonde che diventano la proprietà caratteristica dell'animale e qualche volta sono affatto estranee e contradittorie alle facoltà delle genera zioni preesistenti. Allora si dice, che nuove specie sono venute all'esistenza, e le vecchie si sono spente . Le facoltà psichiche si modificano sulla base di istinti più svariati, i quali si neutralizzano appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati . Gl'istinti degli animali inferiori sono tanto più fermi e rigidi, quanto meno molteplici e sva riati. Queste modificazioni causate da fattori psichici modificano realmente il sistema anatomico e fisiologico ( perocchè non sa rebbe possibile una modificazione psichica sulla base d'una inva riabilità anatomico - fisiologica ), ma sono modificazioni profonde, le quali, se qualche volta poco modificano l'ordine anatomico fisiologico sensibilmente manifesto, sono però effettuate piuttosto negli elementi anatomici, nel così detto ordine istologico. Le dette modificazioni psichiche non spettano, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde modificazioni dell'organismo e della corrispettiva istintualità; esse riflettono piuttosto le mere individualità animali, epperciò sono variabili indefinitamente. Le condizioni causali di queste modificazioni sono date dalle varie ciscostanze, nelle quali ver sarono certi individui animali. Cosi non è solo la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vivono, ma anche i varii vegetabili e animali con che vivono; perocchè dette varie condizioni sono sufficienti a modificare l'anima dell'animale . Le delle varie circostanze costringono certi individui a eser citare preferibilmente certe facoltà psichiche, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà delle facoltà istintuali proprie della specie, queste facoltà varia mente si combineranno fra loro e si neutralizzeranno. Gl’istinti cosi neutralizzati, ossia radicalmente variati, si trasmettono alla generazione veniente; e cosi le condizioni succennate, variando le altitudini dell ' anima individuale, preparano il terreno alle più ricche e più profonde azioni dei fattori veramente spirituali . I fattori spirituali modificano quelle attitudini che appartengono non alla specie, ma all'individuo animale, e sono fattori che non più modificano l'anima senziente, ma lo spirito ideante dell'animale. Tuttochè questi fattori, nel loro concreto sviluppo, appartengano meramente allo spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., le scimie antropomorfe) posseggono un certo quale esercizio equivoco e parziale dei suddetti fattori. Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’indi vidui più vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani . È questa la ragione per la quale i suddetli animali non sola mente si aggregano fra loro, ma si organizzano gerarchicamente giusta certi statuti del loro sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare delle proprie osser vazioni; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la quale dai più vecchi è partecipata ai più giovani e trasmessa alle generazioni vegnenti come una dialettica delle categorie istintuali, che più tardi si svilupperanno in una vera mentalità. Le categorie spirituali funzionano qui come sviluppate cate gorie psichiche, epperciò il linguaggio, nel suo amplo significato, vera sintesi e genesi manifesta delle categorie spirituali, arriva all'esistenza : come linguaggio puramente psichico; come linguaggio equivoco, ossia psichico -spirituale; come linguaggio assolutamente spirituale. Qui non occorre accennare al terzo stadio, ossia al linguaggio spirituale proprietà esclusiva dell'uomo, ma solamente al primo e secondo stadio del linguaggio che nasce e si sviluppa nell'animalità subumana. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo svi luppo dell'anima senziente nella spiritualità pensante, è manifesto piuttosto dal linguaggio muto delle emozioni del corpo e princi palmente di quelle della fisionomia. Quest'emozioni possono for mulare un vero linguaggio, in quantochè manifestano definite emozioni intime con certe categorie, che, non essendo destinate alla mera conservazione dell'individuo e della specie, non si pos sono chiamare semplicemente psichiche, ovverosia istintuali. L'animale, p . es., lussureggia per una mera sensualità erotica, la quale non può essere destinata in verun modo alla pro pagazione della specie. Così pure gli animali giovani giocano colla vivacità propria dell'età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all'educazione e destrezza corporale dell'indivi dualità. Così i genitori non solo alimentano la loro prole, ma la educano e disciplinano alle pratiche operazioni requisite dalla propria specie, locchè significa che l'ingenita istintualità non potrebbe bastare, ed abbisogna di ammaestramenti delle osser vazioni date a coloro che hanno già vissuto praticamente nella vita . Il linguaggio che abbiamo chiamato equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel tale linguaggio fonetico, che veramente non consta di vocaboli, ma semplicemente di VOCIFERAZIONI, le quali significano non solo definite emozioni dell'animo, ma certe anfibologiche determinazioni della mente. Così, per.es., i cani, alla presentazione d'un oggetto che altre volte fu loro nocivo, possono fuggire guaiolando.Qui certo v'ha una psichica emozione provocata da un simile oggetto, ma quest'emozione dev'essere legata alla memoria di una sensazione, la quale memoria appunto costituisce una deter minazione equivoca, psichica o mentale. Gli animali superiori posseggono una svariatissima facoltà SIGNIFICATIVA, mediante una modulazione fonetica, di queste equivoche determinazioni. Quando l'animale arriva definitivamente alla soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suolo distinto categoricamente dal non-io, entra categoricamente nella coscienza spirituale. Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano. Qui l'umanismo si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico ( la definita soggettivazione), e si manifesta colla parola non certo coi documenti anatomico-fisiologici, che non possono bastare se non a certe ample generalità della distinzione animale.1 Sguardo retrospettivo sullo sviluppo della Coscienza naturale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi impor tantissima, ossia lo sviluppo dell'anima nello spirito, dobbiamo rapidissimamente riassumere la speculazione retrospettiva della Coscienza dall'ordine uranico nel planetario e vegeto animale. Nell'ordine uranico la coscienza procede verso un'individuazione dalla nebulosa alle comete, al sole ed ai pianeti. Quest'individua [Questo punto è espresso molto determinatamente e chiaramente nel l'altra opera di C. Considerazioni sopra il sistema generale dello Spirito,, oveè detto. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo (assai più caratteristico di quell'antichissima vaga definizione dell'uomo ragio nevole) è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa sogget tivazione è fatta con parole, con gesti o altri inezzi spiritualmente formolati, Conformemente a ciò, più innanzi, l'uomo è designato anzi definito come coscienza soggettivatazione, qualunque la si voglia supporre, non può essere una sog gettivazione; perocchè l'individuo non si distingue dalla specie, e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalis siino, le varie specie vegetabili ed animali sono varie età della vegetazione e dell'animalità. Ma nelle specie vegetabili l'individuo principia a distinguersi dalla specie . Nell'ordine animale non solo l'individuo si distingue dalla specie, ma anche il soggetto dall'individuo ė progressivamente distinto. Cosi, p. es., il corpo animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall'una in altra fase, costituiscono i varii organi ed apparecchi e funzioni vitali dell'a nimale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell'animale concreto non negli animalcoli gregarii che lo costi tuiscono . L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Lo Spirito o la Coscienza spirituale . Senso e pensiero e la loro distinzione. Qui dobbiamo caratterizzare definitivamente la distin zione del senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla Coscienza; perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente, ma può supporsi astratto dalla Coscienza del senso; perocchè la Coscienza e il senso possono funzionare indistinta inente . Finchè la Coscienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto, è una coscienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la Coscienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: Io sono e l'oggetto è. Io sono quello che sono, e l'oggetto quello che è, cioè l’lo e il non lo siamo due termini distinti . Quest'idea fondamentale che si percepisce un lo è la soggettività ossia la nascita dello spirito. Quando C. dice qui nascita dello spirito, intende dire nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A con ferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio sensitivo non come pura e semplice sensazione, ma come sentimento. Sulla predetta distinzione, del resto, ritorna nei paragrafi susseguenti. Le fasi dello spirito. Lo spirito consta di tre fasi, il sentimento, l'intel letto ed il concetto. Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato, che poco si distingue dall'anima senziente, ma quest'anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si percepisce soggetto. Il sentimento. Qui dobbiamo brevemente storiare lo spirito nella sua prima fase, ossia nel sentimento. Il sentimento consta di tre termini: l'attenzione, la memoria, l'imaginazione. La funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la soggettività, che lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile. L'attenzione deve funzionare nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve sentire che il senso della natura, ossia l'istinto, più non gli basta. Questo sentimento dell'insufficienza del proprio istinto l'avverte, che necessita osservare ed imparare le pratiche della vita; è la prima funzione della mentalità . Epperciò tutte le lingue ariane conservano più o meno esplicite le traccie della parentela lessica di maneo e mens, quasichè pensare e fermarsi, ossia fermare l'attenzione sopra un oggetto, siano due opera zioni molto affini. Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste ope razioni, nella loro sensibile inanifestazione esteriore s'identificano in un fatto comune, quello dell'arrestarsi. La coscienza che fissa l'attenzione sopra un oggetto, cerca nell'oggetto qualcosa oltre il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente. La seconda funzione caratteristica del sentimento è la memoria. Mediante la memoria una sensazione presente si può risu scitare quando non sia più presente. La coscienza attentiva all'oggello studia un oggetto esteriore ed abbisogna della pre senza di esso oggello per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa l'oggetto osservalo, epperciò si costituisce indipendente dalla presenza del medesimo.La terza funzione caratteristica del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo conserva l'oggetto osservato, ma crea l'oggetto che non ha osservato. Questa funzione emancipa la Coscienza, non solo, come la memoria, dalla presenza dell'oggettto, ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo, epperciò l'imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività. Questa facoltà crea non solo l'oggetto composto di oggetti osservati, ossia non crea solo la mera composizione, ma crea gli oggetti che non constano di elementi osservati, ma oggetti radi calmente imaginari, tuttochè le semplici categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire all'imaginazione se stesse per possibilitare la creazione. Il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all'uomo, è pure una progressiva distinzione della Coscienza in soggettiva ed oggettiva . Qui la detta distinzione è una mera distinzione generale dell'lo dal non-Io. L'lo si sup pone vivente e pensante altro dal non- io, in sè stesso parimenti vivente e pensante. La natura si rivela come un popolo di viventi e di pensanti, non si suppone ancora l'altro dal vivente -pensante, ossia il non vivente e il non -pensante; si suppone semplicemente l'altro dal moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e ininerale, la vegetabile e l'animale si suppongono distinte dal mio lo, non però distinte dall’lo generalmente par lando, ossia si suppongono possedere un loro lo analogo a quello della Coscienza umana . Esaminale le radici, ossia gli antichissimi suoni elementari del linguaggio e troverete ogni dove significata l'universa natura come vivenle e pensante analogicamente alla coscienza umana; non vi troverete mai la natura morta colle sue forze cieche, go vernale da necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento esplicito dalla Coscienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro individuo. È questa comuni cazione la prima proprietà per cui l'idea cogitabile è distinta dalla mera sensazione. Nessun linguaggio potrà fornire una sensazione, se questa non sia stala data dal senso come tale lo potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo degli oggetti visibili, ma il cieco nato non potrà mai comprendere che sia la visibilità. Se un soy getto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva, potrà, parlando degli oggetti veduti, richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non potrà mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice imaginazione.La prima conseguenza della Coscienza senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l'idea come tale, ossia nella forma della Coscienza cogitante, può essere trasmessa dal l'uno all'altro soggetto, non può essere trasmesso il senso come tale, ossia nella forma della Coscienza senziente . Cosi il soggello è abilitato a sapere quello che non egli, ma gli altri hanno percepito col senso, oppure quello che egli in altro tempo ha per cepito col senso, oppure indurre un'idea da quello che presen lemente percepisce col senso  C.. Sinossi, ecc. Cosi, p . es., la pecora condotta al macello vede macellare la sua simile e non solo non induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che questa presente operazione signi fichi un'uccisione; perocchè non possiede l'idea della morte. Cosi il soggetto pensante può sapere quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce da una facoltà, per la quale da una sensazione si astrae un'idea. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato colla memoria, e nell'avvenire coll'imaginazione; il soggetto senziente vive astrattamente nella sua sen sazione presente. In virtù della sensazione, che non può essere indotta in un'idea, egli non possiede, come il pensante, la distin zione di una natura predominante ed insubordinabile al soggetlo, e di una natura subordinabile e passibile del soggetto. Quest'idea prototipa della forza è un'idea cardinale dello spi rito, è stata il primo germe della religiosità. Osservate il Dio di tutti i popoli, e lo troverete Dio, non perchè sommamente ragio nevole, ma perchè onnipotente. Nelle religioni spiritualmente più adulte rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l'attributo eminentissimo della divinità. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di essere stato lattante, di essere stalo partorito, e cosi pure può sapere che tutti i soggetti, nessuno eccettuato, non vissero oltre una certa inassima età, ma morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa che il sog getto non solo nasce e nuore, ma può nascere in varie condizioni, e morire in qualsivoglia momento della sua vita . $ 126. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della Coscienza realizzato la prima volta che la Coscienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapiente inente nella genesi è detto che l'uomo prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non inoriva, ed avendolo gustato dovrà morire .Veramente la Coscienza senziente non può sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione trasmessa dall'uno all'altro soggetto, ovvero un'idea in dotta dal fatto costante della morte. Ricapitolando, questa crisi della Coscienza, ci mani festa che la Coscienza, dalla sensazione svolgendosi nella men talità, procede in un sistema di distinzioni ideali, che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prolotipicamente imitatrice della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la forma della sensazione stessa, che pro gressivamente si trasforma in quella del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentimento, e funziona in tre caratteristiche fun zioni cioè : come attenzione; come memoria; come imaginazione. Da queste tre prototipiche funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più vive nell'immediata sensazione, ma crea il conflato temporaneo e vive nella retrospettiva del passato e prospettiva dell'avvenire. Questo conflalo temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l'imme diato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità induci bile dall'osservazione. Da quest'osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra . Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l'uomo nasce e muore, e finalmente che io come uomo sono nato e devo morire . L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un'idea comunissima, è lungi dall'essere tale. La coscienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte come un fatto costante; ma, come la riſlessione, non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia necessario . Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l'uomo; ma suppongono pari menti che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sforlu nata accidentalità. La coscienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione indi viduale; ma proprie determinazioni non affettano un sistema generale della Coscienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della Coscienza è piena mente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comuue in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato, ossia pro fetico, laumaturgico, e così via . Generalmente parlando, questa Coscienza trascendente subor dina la comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità . Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica con tradittoria a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze gene rali della pratica oggettività, allora si dice, che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso comune ( in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività natu rale e spirituale ( in questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi ). La Coscienza trascendentale, ossia la Coscienza domi nata dall'idealismo, Coscienza essenzialmente poetica, è il polo opposto della Coscienza dominata dalla sensazione, Coscienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità, a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della sua storia.Il linguaggio e i suoi stadii. L'organo più essenziale e più generale della mentalità è LA LINGUA. Il primo stadio della lingua è l'uso della RADICE DESIGNATIVA. Qui la lingua non designa che la presentazione o il modo della presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie del tempo e dello spazio. I pronomi personali non sono primitivamente Io, Tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua, ma: “qui,” “là”, ecc. -- categorie dello spazio. Una lingua che consta di radici semplicemente designative non può soddisfare alle esigenze più generali della mentalità, epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio consta di una RADICE *PREDICATIVA*, ma tuttavia legata a una sensibile determinazione. Cosi, p. es., per DE-SIGNARE un oggetto, si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto (“shaggy”) p. es., il verde per DE-SIGNARE la pianta. Quest'attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi, i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie, ma smplicemente oggetti in certe sensibili condizioni. Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggetto; come, p. es., definie la pianta non l'individuo verde, ma l'individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende tutte le piante; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. La lingua è posseduta da tutti gli animali come lingua psichica di movimenti o di formalità. Ma la lingua che caratterizza la soggettività è appunto la lingua psichica che si svolse nella spirituale. Altrove abbiamo trattato esplicitamente quest'argomento e crediamo superflua una ripetizione. Qui giova solamente accennare, che le prime radici della lingua significarono mere affezioni dell'anima e più tardi si svolsero in significati metaforici, per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il suono espresso dall'anima e l'anima esprimente è quello stesso rapporto, ma più complesso, per il quale DETERMINATI ANIMALI SIGNIFICANO (alla Grice) con certi definiti suoni cerle definite affezioni dell'anima loro .L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l'organo per significarla, si conobbe come specie comune. La prima lingua quasi naturale deve essere stata pressochè identica in tutti i soggetti umani, come TUTTE LE PECORE BELANO, tutti i cani abbaiano ed urlano. Dovette essere una lingua nata con loro e trasmessa alle generazioni senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La lingua è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente trattati da C., il quale la conosce, ed a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato, infatti, in molte sue saggi. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande opera, cioè Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “ Prolegomeni, Torino. Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale; nella Introduzione alla cultura generale. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite . Stato primitivo dell'uomo.L'uomo che possedetle questa lingua visse nelle foreste in aggregazioni o società piuttosto fortuite, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degl’altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, con sanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest'enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l'affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella mentalità. È una mentalità che si ma [Sono certo che la quasi totalità de' lettori non sarà d'accordo su questo punto col Ce., e riterrà l'associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare carattere.] nifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l'uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio in procinto di essere cattivalo dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai. L'istinto della propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano fra gl’animali pensanti. Tuttochè qui dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della lingua, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggetto, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla nessuna organizzazione. La lingua appartiene cosi al soggetto solitario come al soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni dell'amore. L'uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico, occasionale. Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre . Ma la lingua, che persuase la copula dell'amore, è la medesima lingua, colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la lingua può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si può dire in tesi generale, che la lingua genera la storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento   SINOSSI DELL'ENCICLOPEDIA SPECULATIVA della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana mentalità, e, conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite. Proseguiamo a speculare circa i fenomeni più radicali della soggettivitàesologica" Il sillogismo che passa dall'astrazione esologica nella essologica è il sistema dell'Essere-Essenza-Coscienza, che passa nel sistema del Meccanismo-Chimismo-Vita. L'Essere esologico è Quantità - Qualità - Modalità, dall'unità corriflessa delle quali categorie avviene (sorge) l’Essenza. L'Essere essologico determina la Qualità nell'Alteriorità, la Quantità nella Esteriorità, la Modalità nell'Apparizione. Quindi l'Alteriorità diventa Temporalità, l'Esteriorità diventa Spazialità, l’Apparizione diventa Luce... Esologica Alessandro Goreni’. La  determinazione  suprema  della  voce, la  favella,  cioè  la  pronuncia  articolata  della  dialettica  psichica,  è  il  vero  fondamento  dello  scibile,  perchè  concreta  sensibilmente  lo  sdoppiarsi  del  pensiero:  è  la  formula e insieme lo strumento più eminente della manifestazione spirituale.  Sebbenené la favela, né la facoltà di acquistarla siano necessariamente richieste per determinarela posizione dell'uomo nella natura il sorgere del linguaggio, è, COME IL PUDORE, sintomo della spiritualità che nasce e si afferma. Lo studio della linguistica che sembrerebbe poter procedere sopra un terreno libero da qualsivoglia passione [Introduzione alla coltura generale, Prolegomeni Introduzione alla Coltura generale Massime e Dialoghi Prolegomeni 1^0 Spirito  oggetiivo] sione partigiana, invece cammina sotto vane bandiere teologiche,  o in  balla del liberalismo  naturalistico o finalmente asseconda le simpatie e avversioni etniche. Come ogni popolo crede ed ha creduto sempre di essere il primo popolo della terra, cosi crede ed ha creduto sempre di possedere la più perfetta di tutte le lingue» (') opinione che naturalmente osta ad un bilanciodel contributo che ogni idioma portò all'educazione dello spirito umano. Il problema dell'origine delle lingue, cosi come fu posto per tanto  tempo, è assurdo, giacché presuppone  prenato  alla  lingua il  pensiero, il quale mediante essa debba riferirne l’origine. L'unica ricerca genetica che, fuori del dominio speculativo, possa condurre a utile  risultato, è la determinazione d’un periodo riconoscibile nelle vicende storiche, dal quale si siano sviluppate le attuali forme linguistiche. Considerando il rapporto tra l'idea e le primissime radici designative si capisce che detto rapporto non è idealmente definibile, perchè è meramente naturale: è una ragione psichica immediata come quella per la quale il riso è foneticamente altro dal lamento e significa diversa condizione dell'anima. Ma l'idea progressivamente si emancipa dalle forme materiali e radicali: giacché agevolmente si capisce come una radice viva, ossia espressiva di un solo concetto determinato, patisca in questa determinazione un impedimento alla sua dialettica e storica evoluzione; anzi, la [Considerazioni ecc.. Lo spirito oggettivo 391 radice e l'idea si legano reciprocamente, e così l'una e l'altra sono arrestate nel loro metamorfico svolgimento.  Si  può  dire  che  il pensiero di un popolo tanto più liberamente si svolge nella storia quanto meno sia spiritualmente legato dalle radici vive della propria lingua, e che reciprocamente l'inerzia dialettica conserva le radici vive come l'attività  le  corrompe e spegne  (').  Molta  importanza  ha lo studio delle  lingue per la istruzione e l'educazione  del  pensiero: l'uomo è tante volte uomo quante lingue  conosce, giacché  tale studio concerne vari  modi che rispondono  ai  vari gradi del pensiero. Infatti  l'idioma  accennò  progressivamente a) a dare le forme sensibili, 3) le intellettive, e) le concettuali(*). Quanto più il pensiero si avvia all'espressione rigorosamente logica tanto più si libera dalle esigenze tutte formali della lingua. Giovanetto, sperimentai che dalla lingua è occasionato  il pensiero; più  tardi  capii che la  lingua è mezzo necessario alla sua formulazione. Finalmente concepii che la vera forma  intrinseca del pensiero non può essere manifestata da questo mezzo estrinseco, che è la lingua. Il che significa che essa,  giunta che sia di fronte alla speculazione pura, o per dir meglio, al sistema contemplative si esautora da sé medesima, riconoscendosi insufficiente a esprimerlo concretamente: anzi, la lingua [Idee radicali delle discipline matematiche ed empirico-induttive. Introduzione alla coltura generale. Prolegomeni. Massime e Dialoghi.  Lo spirito oggettivo volgare, per l’uso pratico della vita, vuol essere studiata assai differentemente che la letteraria e la filosofica, perocché lo scopo delle varie forme linguistiche non è menomamente identico. Anche la semplice nozione storica di un paese è assai collegata colla conoscenza del suo idioma speciale. Narrando di un viaggio fatto dall'eroe di uno de' suoi tanti romanzi, Ceretti dice: «Il mio protagonista studia vasi sopratutto di famigliarizzarsi coi singoli  idiom che erano svariatissimi e giudica che la nozione à\ un certo paese supponesse quella del minuto popolo, epperciò una pratica dell'idioma locale. E vedemmo che così si comporta nei suoi viaggi egli stesso. Quanto alla questione circa la preminenza del toscano sugli altri dialetti nella nostra lingua letteraria, ecco le osservazioni, che noi riferiamo qui non perchè ci paiano originali, ma per dimostrare, una volta di più, quale sicurezza di sguardo avesse il Ceretti in ogni questione, che si affacciasse al suo intelletto: «La lingua italiana possiede,  come  tutte le altre, il suo proprio genio caratteristico, per il quale non può essere confusa con veruna delle lingue romaniche. I suoi dialetti, moltissimi e svariatissimi, si distinguono fra loro singolarmente per il loro specifico carattere, ma nessuno potrebbe sospettarli dialetti d'una lingua altrimenti che l'italiana: questo avviene eperchè fra tante differenze essi posseggono un caratter comun Memorie postunte. Itinerario di un inqualificabile. Lo Spirito oggettivogrammaticale e lessicale; e l'unità dello spirito italiano, nonostante le sue profonde differenze, è improntata in questo generalissimo tipo comune dei dialetti. Oggidì da letterati si disputa seriamente se il solo toscano sia il tipo classico della lingua italiana, ovvero se il genio della nostra lingua,  essendo sparso in vari dialetti, si debba ecletticamente approfittare di tutti. Esporrò brevemente la mia opinione. Il toscano è senza dubbio il più ricco, il più venusto e sopratutto, diremo, il più prettamente italiano dei dialetti parlati nella penisola, e perciò esso è senza dubbio il repertorio più copioso e più italiano; ma non si deve dimenticare che la lingua parlata in Toscana, quanto si voglia buona, è pur sempre un dialetto, epperciò non può essere una lingua letteraria sufficiente: nessun popolo scrive come parla. Le lingue parlate nascono e crescono nel popolo, e contengono le mere idee del popolo; la letteraria e la scientifica sviluppano il materiale linguistico della parlata giusta le esigenze progressive delle lettere e delle scienze. Ora questo materiale della lingua parlata sarà tanto più sufficiente quanto più ampiamente sarà desunto da tutti i dialetti italiani: ognuno di essi possiede certe locuzioni così proprie all'idea, quali non sono specificamente possedute da verun altro. Di queste precellenze particolari la lingua delle lettere e della scienza deve liberamente approfittare e non immiserirsi nell'idioma locale d'una provincia. Seguitiamo il buon esempio del grande ALIGHIERI (si veda), che, quantunque toscano, esordì  a scrivere la sua Commedia non nell'idioma toscano, ma in una lingua veramente italiana. Spirito oggettivo. Molte forme grammaticali e lessiche sono riducibili allo spirito generale della lingua italiana, talune non lo sono: il buon criterio del letterato deve scernere quelle da queste, e, se l'idea esige neologismi, li deve creare conformemente al genio della lingua, e omogeneamente ai materiali idiomaticamente o letterariamente prestabiliti nella lingua italiana. Coll'idioma  esclusivamente toscano s'immiserisce non solo la lingua, ma conseguentemente anche l'idea, la quale trascende le limitazioni locali e popolari. Pietro Ceretti. Keywords: communication, convention, homo sapiens, pirothood, inter-subjective, animality, animalness, soul, psichico, psychic, psychical versus psychological, progression, pirotological progression, cenobium, neologismo, panlogica, pantologico, logo, esologo, essologo, sinautologo, prologo, dialogo, autologo, tre categorie: tesi QUANTITA (meccanica), anti-tesi, QUALITA (fisica), sin-tesi MODALITA (vita) – arte/religione/filosofia; storia/didattica/diritto, antropologia, antropopedeutica, antroposofia, prasseologia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceretti” – The Swimming-Pool Library. Ceretti.

 

Grice e Ceronetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della lanterna – scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Grice: “I like Ceronetti; he is a typicall Italaian philosopher; that is, a typically anti-Oxonian one; he thinks, like Croce and de Santis did, that philosophy is an infectious disease that some literary types catch! My favourite of his tracts is “Diognene’s torch”! Genial!” Per essere io morto all'Assoluto vivo come un innato parricida tra gente già di padre nata priva; pPer aver detto all'Inaccessibile addio da un cortiletto senza luce vergogna vorrei gridarmi ma resto muto. Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare di ruota senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo. Di vasta erudizione e di sensibilità umanistica, collabora con vari giornali. Tra le sue opere più significative vanno ricordate le prose di Un viaggio in Italia e Albergo Italia, due moderne descrizioni, moderne e direi dantesche, da cui vien fuori tutto l'orrore del disastro italiano, e le raccolte di aforismi e riflessioni Il silenzio del corpo e Pensieri del tè. Di rilievo la sua attività di saggista (Marziale, Catullo, Giovenale, Orazio). Diede vita al teatro dei Sensibili, allestendo in casa spettacoli di marionette. Le sue marionette esordivano su un piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano Laziale. Si consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele cotte." Nel corso degli anni vi assisterono personalità quali Montale,Piovene, e Fellini. Con la rappresentazione de La iena di San Giorgio, I Sensibili divenne pubblico e itinerante. Œ In Difesa della Luna, e altri argomenti di miseria terrestre, suo saggio d'esordio critica il programma spaziale da prospettive originali e poetiche. Il fondo Guido Ceronetti -- "il fondo senza fondo" -- raccoglie infatti un materiale ricchissimo e vario: opere edite e inedite, manoscritti, quaderni di poesie e traduzioni, lettere, appunti su svariate discipline, soggetti cinematografici e radiofonici. Vi si trovano, inoltre, numerosi disegni di artisti (anche per I Sensibili), opere grafiche, collage e cartoline. Con queste ultime fu allestita la mostra intitolata Dalla buca del tempo: la cartolina racconta.  Prese posizione a favore dell'eutanasia, con la poesia La ballata dell'angelo ferito. Beneficiario della legge Bacchelli, in quanto cittadino che ha illustrato la Patria e versante in condizioni di necessità economica. Robbe-Grillet, Moravia e Ceronetti al Premio letterario internazionale Mondello. Palermo Proposto dal controverso critico e politico Sgarbi come senatore a vita a Napolitano, declina subito l'invito. Attento alle tematiche ambientali, era noto per essere un acceso sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente frugale, quasi da moderno anacoreta.  Solo un vero vegetariano è capace di vedere le sardine come cadaveri e la loro scatola come una bara di latta. Un mangiatore di carne (non mi sento di scrivere un carnivoro perché l'uomo non è un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C'è come un velo sulla retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull'anima, che gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di carne o di pesce. Alcuni suoi articoli sull'immigrazione (disse che ha "un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa") e il Meridione, pubblicati sui quotidiani La Stampa e Il Foglio, furono tacciati di razzismo, così come scalpore fecero alcune posizioni da lui espresse sull'omosessualità maschile, accusate di omofobia. In precedenza sull'argomento si era attirato gli strali dei cattolici per aver descritto don Bosco come un omosessuale represso. Intervistato nel  per Radio Radicale Come articolista, principalmente su La Stampa e il Corriere della Sera, si occupava spesso di letteratura, arte, filosofia, costume e cronaca nera (ad esempio scrivendo sul caso del delitto di Novi Ligure), analizzando il problema del male nel mondo odierno in una prospettiva gnostica; al contrario giudicava noiosi i processi di mafia. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento giornalistico a difesa del capitano delle SS Erich Priebke (che visitò in carcere e con cui ebbe uno scambio epistolare), condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine ma che fu soltanto un mero funzionario esecutore, colpevole della "miseria di non essere un santo" (parafrasi del saggio di Bloy La tristezza di non essere santi), e creato Mostro delle Ardeatine, vittima di una giustizia dell'odio. Allo stesso modo, pur esprimendo sempre la sua simpatia per gli ebrei e per Israele, per convinzioni personali e la sua parentela acquisita con Giuliana Tedeschi, definì l'ergastolo inflitto a Hess, al processo di Norimberga, come un crimine politico. La sua posizione anticonformista pro-Priebke e pro-Hess fece scandalo essendo l'autore un noto filosemita, con moglie e suocera (superstite di Auschwitz) ebree nonché convinto filoisraeliano (scrisse articoli di fuoco contro Khomeini e il terrorismo palestinese).  Nel  fu insignito del premio "Inquieto dell'anno" a Finale Ligure. Ostile al fascismo nella seconda guerra mondiale e al comunismo poi, ma anche diffidente delle forme della democrazia, non prese mai parte politica attiva, a parte un brevissimo periodo in cui ebbe la tessera del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, fino al, quando intervenne al congresso dei Radicali Italiani, movimento liberale e libertario, e altre volte ai microfoni di Radio Radicale (era amico di Marco Pannella), anche se si considerava un "conservatore" e patriota del  Risorgimento (descrisse l'Italia come «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il verme totalitario, democristiano, comunista e sindacale»). Talvolta fu definito come un "reazionario postmoderno". «Sono sempre stato anticomunista. Il Mullah Omar e Osama Bin Laden sono modi dell'antiumano. Dietro di loro... l'ombra di Lenin, inviato della Tenebra, fondatore imitabile dell'universo concentrazionario, capostipite novecentesco di malvagie entità che non finiscono di manifestarsi.»  (Ti saluto mio secolo crudele) Nel  propose in un articolo su la Repubblica, ispirandosi al fenomeno delle assistenti sessuali per disabili, l'istituzione di un "servizio erotico volontario" rivolto agli anziani senza che dovessero rivolgersi a prostitute, per evitare "la barbarie di una vecchiaia senza sesso". Fece uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet Gayuk, il filosofo ignoto (riferimento a Louis Claude de Saint-Martin, filosofo così chiamato), Ugone di Certoit (quasi l'anagramma di Guido C.) e Geremia Cassandri.  Morì nella sua casa di Cetona (SI) dopo un breve ricovero a causa di broncopolmonite. Come da disposizione testamentaria, dopo tre giorni e una cerimonia religiosa a Cetona, fu sepolto sulle colline tra Torino e il Monferrato, in una tomba a terra situata nel cimitero di Andezeno (Torino), il paese di origine dei genitori.  Disposizione da prendere. Non voglio donne in calzoni ai miei funerali. Cacciatele via. Almeno in questa pur insignificante occasione, ma per amore, siano insottanate come le ho sognate sempre, nella vita.»  Altre opere: “Difesa della luna e altri argomenti di miseria terrestre” (Rusconi, Milano); “Aquilegia, illustrazioni di Erica Tedeschi, Rusconi, Milano, con il titolo Aquilegia. Favola sommersa, Einaudi, Torino); La carta è stanca” (Adelphi, Milano); La musa ulcerosa: scritti vari e inediti, Rusconi, Milano); Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina, Adelphi, Milano); La vita apparente, Adelphi, Milano); Un viaggio in Italia, Einaudi, Torino); Albergo Italia, Einaudi, Torino); Briciole di colonna. La Stampa, Torino); Pensieri del tè, Adelphi, Milano); L'occhiale malinconico, Adelphi, Milano); La pazienza dell'arrostito. Giornali e ricordi, Adelphi, Milano); D.D. Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Tra pensieri, Adelphi, Milano); Cara incertezza, Adelphi, Milano); Lo scrittore inesistente, La Stampa, Torino, Briciole di colonna. Inutilità di scrivere, La Stampa, Torino, La fragilità del pensare. Antologia filosofica personale Emanuela Muratori, BUR, Milano); La vera storia di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria, Einaudi, Torino, N.U.E.D.D. Nuovi Ultimi Esasperati Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Piccolo inferno torinese, Einaudi, Torino); Oltre Chiasso. Collaborazioni ai giornali della Svizzera italiana, Libreria dell'Orso, Pistoia, La lanterna del filosofo, Adelphi, Milano); Centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra editrice, Lavis); Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano); In un amore felice. Romanzo in lingua italiana, Adelphi, Milano,, Ti saluto mio secolo crudele. Mistero e sopravvivenza del XX secolo, illustrazioni Guido Ceronetti e Laura Fatini, Einaudi, Torino,, L'occhio del barbagianni, Adelphi, Milano,, Tragico tascabile, Adelphi, Milano,, Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,, Per non dimenticare la memoria, Adelphi, Milano,, Regie immaginarie, Einaudi, Torino,   Guido Ceronetti, Poesia Nuovi salmi. Psalterium primum, Pacini Mariotti, Pisa); La ballata dell'infermiere, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Poesie, frammenti, poesie separate, Einaudi, Torino, Premio Viareggio; Opera Prima; Poesie: Corbo e Fiore, Venezia); Poesie per vivere e per non vivere, Einaudi, Torino, Storia d'amore ritrovata nella memoria e altri versi, illustrazioni di Mimmo Paladino, Castiglioni et Corubolo, Verona); Compassioni e disperazioni. Tutte le poesie, Einaudi, Torino, Disegnare poesia (con Carlo Cattaneo), San Marco dei Giustiniani, Genova, Scavi e segnali. Poesie inedited, Alberto Tallone, Alpignano, Andezeno, Alberto Tallone Editore, Alpignano, La distanza. Poesie, Edizione riveduta e aggiornata dall'Autore, BUR, Milano, Preghiera degli inclusi, Alberto Tallone Editore, Alpignano, senza data Francobollo, Alberto Tallone Editore, Alpignano (sotto lo pseudonimo Mehmet Gayuk), Il gineceo, Tallone, Alpignano; Adelphi, Milano, In memoriam di Emanuela Muratori, Alberto Tallone, Alpignano, Messia, Tallone, Alpignano, Adelphi, Milano,, [nella prima parte del libro] Tre ballate recuperate dalle carte di Lugano, Alberto Tallone, Alpignano, Tre ballate popolari per il Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano; Pensieri di calma a bordo di un aereo che sta precipitando, Alberto Tallone, Alpignano; A Roma davanti al Tulliano Notte;, Alberto Tallone, Alpignano, Con l'armata dell'Ebro morire oggi, Alberto Tallone, Alpignano; Invocazione al Dottor Buddha perché venga e ci salvi, Alberto Tallone, Alpignano; Le ballate dell'angelo ferito, Il Notes magico, Padova, Poemi del Gineceo, Adelphi, Milano,, [riedizione de Il gineceo  con inediti e nuova prefazione] Sono fragile sparo poesia, Einaudi, Torino,, Drammaturgia Furori e poesia della Rivoluzione francese. Carte Segrete, Roma, Alcuni esperimenti di circo e varietà. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Spettacolo per marionette ideofore, ricordi figurativi di Giosetta Fioroni, Becco Giallo, Oderzo; Viaggia viaggia, Rimbaud!, Il melangolo, Genova, La iena di San Giorgio. Tragedia per marionette, Alberto Tallone, Einaudi, Torino); Il volto (Ansiktet), Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Le marionette del Teatro dei Sensibili, Aragno, Torino [contiene: I Misteri di Londra e Mystic Luna Park] Rosa Vercesi, un delitto a Torino negli anni Trenta, Teatro Strehler-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano, Rosa Vercesi, illustrazioni di Maggioni, Edizioni Corraini, Mantova; Traduzioni e curatele Marziale, Epigrammi, introduzione di Concetto Marchesi, Einaudi, Torino, II ed. riveduta, Einaudi, Torino; nuova edizione con un saggio di G. Ceronetti, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta e nuova prefazione di G. Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, I Salmi, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta, Einaudi, Torino; col titolo Il Libro dei Salmi, Adelphi, Milano; Catullo, Le poesie, Einaudi, Torino, Adelphi, Milano, Blanchot, Il libro a venire (Le Livre à venir), trad. G. Ceronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino; Il Saggiatore, Milano,. Qohelet o l'Ecclesiaste, Einaudi, Torino, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova traduzione; Qohelet. Colui che prende la parola, Adelphi, Milano,  Decimo Giunio Giovenale, Le Satire, Einaudi, Torino, La Finestra Editrice, Trento, Il Libro di Giobbe, Adelphi, Milano, Premio Monselice di traduzione, nuova ed. riveduta, Adelphi, Milano, Cantico dei cantici, Adelphi, Milano, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova versione riveduta,. Il Libro del Profeta Isaia, Adelphi, Milano; nuova ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano, Come un talismano. Libro di traduzioni, Adelphi, Milano; Konstantinos Kavafis, Nel mese di Athir, Edizioni dell'elefante, Roma. Konstantinos Kavafis, Tombe, Edizioni dell'Elefante, Roma, Giovenale, Le donne. Satira sesta, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Nostradamus: annunciatore nel secolo 16. della Rivoluzione che durerà; profezie estratte dalle Centurie di Michel de Nostredame, Alpignano, Alberto Tallone Editore, Tango delle capinere, Castiglioni et Corubolo, Verona. Due versioni inedite da Shakespeare e da Céline, Cursi, Pisa, Teatro dei sensibili, La rivoluzione sconosciuta. Pensieri in libertà per ricordare. Una scelta di testi Guido Ceronetti, Tallone, Alpignano, col titolo La rivoluzione sconosciuta, Adelphi, Milano, raccolta di locandine teatrali a fogli sciolti dalla mostra-spettacolo di Dogliani] Henry d'Ideville, Oggi, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Constantinos Kavafis, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data Georges Séféris, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Sofocle, Edipo Tyrannos. Coro, Edizioni dell'Elefante, Roma (con Chaumont) Sura 99. Al Zalzala (Il tremito della terra) dal Corano, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Il Pater noster. Matteo 6, calligrafia di Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza, con un saggio di G. Ceronetti, traduzione di Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Piccola Biblioteca; Adelphi, Milano, Giorni di Kavafis. Poesie di Constantinos Kavafis, Officina Chimerea, Verona, Messia, Alberto Tallone Editore, Alpignano; Adelphi, Milano,.nella seconda parte del libro, Siamo fragili, Spariamo poesia. i poeti delle letture pubbliche del Teatro dei Sensibili, Qiqajon, Magnano, 2003 Tito Lucrezio Caro, I terremoti. De Rerum Natura. Alberto Tallone, Alpignano, Constantinos Kavafis, Un'ombra fuggitiva di piacere, Adelphi, Milano, Trafitture di tenerezza. Poesia tradotta, Einaudi, Torino, François Villon, I rimpianti della bella Elmiera, Alberto Tallone Editore, Alpignano,. Orazio, Odi. Scelte e tradotte da Guido Ceronetti, Adelphi, Milano,. Epistolari Guido Ceronetti e Giosetta Fioroni, Amor di busta, Milano, Archinto, Due cuori una vigna. Lettere ad Arturo Bersano, Prefazione di Ernesto Ferrero, Padova, Il Notes Magico, Guido Ceronetti e Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere, Milano, Adelphi,. Spettacoli del Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Tragedia per marionette (allestito in appartamento), prodotto dal Teatro Stabile di Torino, con Ariella Beddini,  Simonetta Benozzo, Paola Roman e Manuela Tamietti, regia di Egon Paszfory (Guido Ceronetti), scene e costumi di Carlo Cattaneo Macbeth (spettacolo per marionette allestito in appartamento) Lo Smemorato di Collegno (spettacolo per marionette allestito in appartamento) Diaboliche imprese, trionfi e cadute dell'ultimo Faust (spettacolo per marionette allestito in appartamento); Fu interpretato al Festival di Spoleto da Piera degli Esposti, Paolo Graziosi e Roberto Herlitzka, con la regia, scene e costumi di Enrico Job I misteri di Londra (allestito in appartamento); prodotto dal Teatro Stabile di Torino, regia di Manuela Tamietti, con Patrizia Da Rold (Artemisia), Luca Mauceri (Baruk), Valeria Sacco (Egeria), Erika Borroz (Remedios) e le marionette del Teatro dei Sensibili. Furori e poesia della rivoluzione francese. Tragedia per marionette (allestito in appartamento); al Teatro Flaiano di Roma con i burattini di Maria Signorelli Omaggio a Luis Buñuel prodotto dal Teatro Stabile di Torino, Mystic Luna Park (prodotto dal Teatro Stabile di Torino), spettacolo per marionette ideofore con Armida (Nicoletta Bertorelli), Demetrio (C.), Irina (Bottacci), Norma (Roman), Yorick (Ciro Buttari) La rivoluzione sconosciuta, mostra-spettacolo all'ex-convento dei carmelitani a Dogliani Viaggia viaggia, Rimbaud! (prodotto dal Teatro Araldo di Torino, in occasione del centenario della morte di Arthur Rimbaud), regia di Jeremy Cassandri (Guido Ceronetti) con Melissa (Manuela Tamietti), Norma (Paola Roman), Francisco (Gian Ruggero Manzoni), Yorik (Ciro Bùttari) e Zelda (Roberta Fornier) Per un pugno di yogurt, collage di poesie Les papillons névrotiques (al Cafè Procope di Torino) con la partecipazione di Corallina De Maria La carcassa circense, spettacolo per marionette, azioni mimiche, cartelli, organo di Barberia con Rosanna Gentili e Bartolo Incoronato Il volto, dedicato a Ingmar Bergman in occasione dei suoi ottant'anni Ceronetti Circus ovvero Casse da vivo in esposizione pubblica, letture di poesia, azioni sceniche mimiche e intermezzi musicali con Elena Ubertalli e Giorgia Senesi M'illumino di tragico, collage di testi e pantomime liriche; in tournée anche con il titolo I colori del tragico Rosa Vercesi (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano), con Paola Roman, Simonetta Benozzo e Luca Mauceri Una mendicante cieca cantava l'amore (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) con Cecilia Broggini, Luca Maceri, Elena Ubertali e Filippo Usellini Siamo fragili, spariamo poesia, collage di testi poetici, ballate e canzoni Strada Nostro Santuario (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) filastrocche, canzoni, ballate, azioni mimiche, happening e numeri di repertorio popolare La pedana impaziente (), repertorio di marionette e azioni sceniche mimiche Finale di teatro (, al Teatro Gobetti di Torino) con Fabio Banfo, Luca Mauceri, Valeria Sacco, Eleni Molos, Filippo Usellini Pesciolini fuor d'acqua (), con Luca Mauceri e Eleni Molos Quando il tiro si alzaIl sangue d'Europa (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in occasione del centenario della prima guerra mondiale) con Eleni Molos, Elisa Bartoli, Filippo Usellini, Luca Mauceri e Valeria Sacco Non solo Otello (al Teatro della Caduta di Torino) Novant'anni di solitudine (, a Cetona in occasione dei novant'anni dell'autore), con Luca Mauceri, Filippo Usellini, Eleni Molos, Valeria Sacco, Fabio Banfo, Salvatore Ragusa e Elisa Bartoli Ceronettiade. Deliri e visioni di Guido Ceronetti (a Cetona in occasione dell'anniversario della nascita dell'autore), con Luca Mauceri, Eleni Molos, Valeria Sacco, Filippo Usellini Cataloghi di mostre L'Atelier dei Sensibili a Dogliani, Michela Pasquali, Dogliani, Biblioteca civica Einaudi, (catalogo della mostra nell'ex Convento dei Carmelitani a Dogliani). Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. I collages di cartoline d'epoca del Fondo C.i, cura di Rüesch e Franciolli, Archivi di cultura contemporanea, Museo Cantonale d'Arte Lugano, Poesia marionette e viaggi di C. nelle visioni di Cattaneo, Tesi eVivarelli, Comune di Pistoia, Dare gioia è un mestiere duro: trent'anni più due di Teatro dei Sensibili di C., Andrea Busto e Paola Roman, fotografie di Mario Monge, Marcovaldo, Nella gola dell'Eone. Ti saluto mio secolo crudele. Immagini del XX secolo. Tutti i collages di immagini dedicati al ventesimo dell'era da C.i, Il melangolo, Genova, "Per le strade" di C., Omaggio allo scrittore, Rüesch e Stefanski, Cartevive, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini-Fondo Ceronetti, Lugano, Opere audiovisive su C. I Misteri di Londra. Tragedia per marionette e attori, regia di Manuela Tamietti, Teatro Stabile di Torino (riprese videografiche dello spettacolo, Torino). Sulle rotte del sogno. Parole musiche storie, di Luca Mauceri (cd e vinile EMA Records, Firenze ). Guido Ceronetti. Il Filosofo Ignoto, film documentario di Fogliotti ePertichini (Italia'), prodotto con la collaborazione del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti e dei Cinecircoli giovanili socioculturali. C. nei mass-media Cura cinque Interviste Impossibili per la seconda rete radiofonica rai, in cui "intervistò" Attila (Bene), Auguste e Louis Lumière (Bianchini e Scaccia), George Stephenson (Scaccia), Jack Lo Squartatore (Carmelo Bene) e Pellegrino Artusi (Scaccia). Il cantautore Vinicio Capossela, nella raccolta di brani dal vivo Nel niente sotto il soleGrand tour, ha inserito come incipit della seconda traccia (Non trattare)una registrazione di C. che declama i primi versetti del Qoelet. Note  Ha usato per molti anni un sigillo con scritto "In esilio": Capossela intervista C. Morto lo scrittore, in Corriere fiorentino, C., Tra pensieri, Adelphi, Milano, Stefano, In morte. Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell'Italia perduta, Mondadori, Milano, C. morto, ripubblichiamo la sua ultima intervista al Fatto: “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”  Nello Ajello, Ceronetti. Poesia in forma di marionette, La Repubblica, ricerca.repubblica/ repubblica/archivio/ repubblica ceronetti-poesia-in-forma-di-marionette.html  Samantha, lo spazio e il signor Freud  "C. L'inferno del corpo", in Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano,   "Oggi una quantità delle mie carte è partita per Lugano dove tutto entrerà a far partedegli archivi della Biblioteca Cantonale." Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,«Urlate urlate urlate urlate. / Non voglio lacrime. Urlate. Idolo e vittima di opachi riti/ Nutrita a forza in corpo che giace / Io Eluana grido per non darvi pace Diciassette di coma che m'impietra Gli anni di stupro mio che non ha fine. Con Decreto del Presidente della Repubblica (pubblicato nella G.U.) gli è stato infatti attribuito un assegno straordinario vitalizio ai sensi della legge, l'aiuto della legge Bacchellila Repubblica, in Archiviola Repubblica. Edizione, "Il nostro meridionale è attaccato alla propria famiglia e nient'altro, qualsiasi abbominio, qualsiasi sfacelo pubblico non arrivino a toccargli la Famiglia non gli faranno il minimo solletico. Sono popoli incapaci di amare disinteressatamente qualcosa perché bello, al di sopra dell'utile. La loro vera patria la loro nostalgia prenoachide è il deserto e faticano da ubriachi a ritrovarlo". La pazienza dell'arrostito, Adelphi, Milano (comedonchisciotte. Org forum/ index .php?p=/discussion/ ceronetti-dal-mare-il- pericolo-senza-nome lessiconaturale/ migranti-e-prediche/)  (ilfoglio /preservativi/news/il-grande-pan-e-vivo)  (ilfoglio/cultura/news/far-torto-o-patirlo)  (ilfoglio/ preservativi/ news/ deutschland-pressappoco-uber-alle, Sugli sbarchi in Sicilia l'europeista C. dice, come altri non oserebbero, che “hanno ormai un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa", C., nel dolore si nasconde una luce)  Mario Andrea Rigoni, Ma non bisogna confondere il nichilismo con il razzismo, Corriere della Sera, Guido Almansi, Le leggende di Ceronetti, la Repubblica, L'innocente Priebke L'invasione Africana; “Il male omosessuale” (C. dixit). Albergo Italia (Einaudi, Torino), capitolo "Elementi per una anti-agiografia",  Uno, cento, mille C., C., Priebke. Alcune domande intorno a un ergastolo, la Stampa  Pietrangelo Buttafuoco, La pietas di C. per Priebke, il Foglio, Sono sempre stato anticomunista, sempre, Forse, subito dopo la guerra ho avuto una certa simpatia, però non mi sono iscritto al partito il giorno dopo aver visto La corazzata Potëmkin, come innumerevoli giovani. Antifascista non è neanche da dire, da quando ci si è risvegliati. Di quel periodo non ho voglia di parlarne, ero tra i soliti ragazzini stupidoni che andavano alle adunate, ma non c'è storia di anima o di pensiero o di famiglia che riguardi il fascismo. I miei non erano fascisti né antifascisti, erano bravi cittadini come tanti. (Corriere della sera). Si dice il responso delle urne. Come se un popolo di cretini potesse fornire oracoli (Per le strade della Vergine)  la mia America: “Un baluardo contro l’ideologia comunista”  XIII Congresso Radicali Italiani  ilfoglio/preservativi/ prttttt-in-una-sigla-tutto-pannella- impenitente-ottimista-e-visionario (corriere/ cultura/c.-in-un-amore-felice  Chi era, fustigatore dei vizi degli italiani  Riviste/ Su “Cartevive” omaggio, reazionario postmoderno  C.: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA VECCHIAIA SENZA SESSO: PER DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I VECCHI MASCHI SI MUOVERÀ MAI QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO VOLONTARIO PER GLI OVER 70! Abiterò per tre mesi al N. 4 di via Giolitti a Torino, per mettere in scena col Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Sulla porta metto quest'altro mio nome: Geremia Cassandri. La pazienza dell'arrostito. Giornale e ricordi, Milano, Adelphi, Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterario viareggiorepaci. I VINCITORI DEL PREMIO “MONSELICE” PER LA TRADUZIONE, su biblioteca monselice, Alberto Roncaccia, Guido Ceronetti. Critica e poetica (Bulzoni, Roma) Emil Cioran, Esercizi di ammirazione (Adelphi, Milano, Guido Ceronetti. L'inferno del corpo) Giosetta Fioroni, Marionettista. C. e il Teatro dei Sensibili secondo l'alchimia figurativa (Corraini, Mantova) Giovanni Marinangeli, C., Il veggente di Cetona (Fondazione Alce Nero, Isola del Piano) Fabrizio Ceccardi, Il Teatro dei Sensibili (Corraini, Mantova) Andrea De Alberti, Il Teatro dei Sensibili di C. (Junior, Bergamo) Marco Albertazzi, Fiorenza Lipparini, La luce nella carne. La poesia (La Finestra Editrice, Lavis) Masetti, A. Scarsella, M. Vercesi, Pareti di carta. Scritti su C. (Tre Lune, Mantova), Ortese, Le piccole persone (Adelphi, Milano). Lattuada, Frammenti di una luce incontaminata in C.i, La Finestra Editrice, Lavis, Cioran Gnosticismo moderno.  Ma io diffido dell'amore universale Guido Ceronetti, la Repubblica, Archivio. L’ultimo bardo gnostico che cantava il dolore per la bellezza perduta. Morto il più irregolare degli scrittori italiani. Ernesto Ferrero, La Stampa, V D M Vincitori del Premio Grinzane Cavour per la narrativa italiana V D M Vincitori del Premio "Città di Monselice" per la traduzione letteraria V D M Vincitori del Premio Flaiano per la narrative. "StgvvU  nni GIURISPRUDENZA ROMANA. ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO. PARMA, BATTEI. Le mie parola sull’istituzioni  di diritto romano consentite che sia, quale il sentimento vivo e sincero dell'anima la richiede. Sia d' omaggio a' miei maestri, ai quali ritomo  qui con ossequio immutato; sia di saluto fraterno agli studenti, a cui mi presento, e da cui mi bramo accolto, quale compagno di studi, fiducioso di trar lena, pel compimento  del mio assunto, più che dall' ingegno troppo scarso ed  inesperto, dal loro consentimento amichevole, dallo scambio  fra noi, vivo e continuo, d' affetto fraterno. Da questo  scambio io trarrò buon augurio alla carriera d'insegnante,  verso la quale muovo oggi con trepidanza il primo passo, e alla quale volsi e volgo ogni mio studio, guardando alla  meta con assiduità ferma di volere: del quale io non certo  dovrò dolermi, se, per debole ingegno o per avversa fortuna,  quella dovesse per avventura sfuggirmi. E però consentite  che, muovendo il primo passo per questa via, io qui ricordi  l'assidua e amorosa intelligenza di cure del Maestro illustre che ad essa mi guidava, e di cui ognuno ricorda e  r alta vigoria del pensiero, nutrito da corredo mirabile di studi vari e profondi, e la bontà pura, ideale dell' anima,  onde qui, come ovunque, conquise d'affetto reverente maestri  e discepoli. Consentite che a Brini io mandi un  saluto, coU'affetto il più riconoscente e devoto di discepolo  e di fratello. Invoco ora, o Signori, la vostra attenzione indulgente  sopra un tema, che, per sé, non parmi inopportuno a trat-  tarsi al principio d'un corso d'istituzioni di diritto romano:  se e quanto abbiano avuto d'influenza sulla GIURISPRUDENZA IN ROMA le scuole filosofiche. Perchè, come in tal corso deve studiarsi per rapidi tratti tutto 1' organamento  del diritto privato e i singoli istituti di esso. Così è conveniente ed opportuno esaminare e valutare quali elementi  sul delinearsi e conformarsi di quelli ebbero efficacia, e  quanto debba attribuirsene a ciascuno. La ricerca può talvolta, è vero, rasentare e quasi toccare il campo della  storia del diritto romano, che si volle dalle istituzioni disgiunta; ma tali contatti non fa duopo osservare come in  punti non pochi e non lievi siano inevitabili, per quanto  si voglia lasciare al corso d' istituzioni il carattere più  prettamente dommatico. Che invero troppo spesso non può trascurarsi, per lo studio preciso e compiuto degl’istituti  all'ultimo momento giustinianeo, uno sguardo alla loro origine e alla vita secolare che precede quel momento: origine  € vita di cui alla cattedra di storia vuoisi riserbata la ricerca più diretta e diffusa.   n tema eh' io prescelgo è arduo. Di più esso entra  buon tratto in un campo che non è il mio, nel quale io m' avanzo peritoso, con un corredo scarso di studi e invocando l'indulgenza di chi coltivi di proposito la storia della filosofia, e qui segnatamente del pensatore illustre, che è onore di questa nostra facoltà giuridica alla quale presiede. All'arduezza del tema se ne aggiunge la vastità. Talché il tempo riserbato a discorrerne congiurerà colle deboli forze del disserente a renderne imperfetta per più lati la trattazione; la quale afifaticò in lavori appositi e in trattati generali d' antichità e di diritto romano, uno stuolo numeroso di filosofi, fra cui non pochi valenti, dal Cujacio  in poi, e che fu pur di recente ripresa anche in Italia. Fra altri, da un uomo, il cui nome segna una gloria e un  lutto eterno perle scienze romanistiche: Padelletti. Vanni. Io non certo presumo esaurirla, ma solo mi propongo  riassumerla per larghi tratti, valendomi e delle altrui ricerche e di quelle ch'io venni compiendo direttamente sulle  fonti, procedendo dunque con modestia d'intenti. D’una cosa  però sopra ogni altra curandomi: di quella serena imparzialità di giudizio, che in temi di questo genere, che toccano da vicino le varie credenze filosofiche individuali, è  facile troppo lo smarrire. Che invero non ci mancheranno,  nel procedere in questo tema, esempi di aberrazioni stranissime, a cui, privi di quella, uomini, pur valorosi, riu-  scirono. E innanzi tutto vuoisi qui delineare per cenni la storia  delle varie scuole filosofiche che tennero in Roma il campo: storia per verità ben nota ad ognuno; ma pure non inutile forse a richiamarsi qui, in brevi tratti, perchè tosto se ne  colgano quegli elementi, che sono essenziali nella trattazione  del nostro tema. Solo però dall' epoca di CICERONE tali  cenni debbon prender le mosse. Che, se può accogliersi che  coi nomi di Socrate, e in ispecie dell’ACCADEMIA e del LIZIO,  giungesse già prima in Roma una qualche eco delle loro dottrine, questa dovè riuscir ben fievole e inefficace, mentre tanto  saldo e fiero durava tuttavia in Roma quello spirito anti-filosofico, per cui va Famoso CATONE, e da cui fu destata  l'implacabile ironia d’ENNIO. Le dottrine filosofiche dell’ACCADEMIA e del LIZIO  penetrano, benché solo frammentariamente e indirettamente, coli' insegnamento di Panezio; al  quale V aver abbracciato IL PORTICO non tolse di seguirle  e propugnarle in taluni punti. Ma l’efficacia del PORTICO è però  come maestro di dottrine, nelle quali ebbe discepoli autorevoli e numerosi, e fra essi giureconsulti di grido. Corrispondendo quelle, pel largo svolgimento che IL PORTICO da  alla morale, con pratici e austeri intenti, alla natura del  genio romano. Nel quale per contrario mal poteva svilupparsi il germe dell' elevato idealismo dell’ACCADEMIA. Così  come non poteva averne favore la poca praticità diretta  delle dottrine del LIZIO, già entrate in Roma coi libri  di Aristotele arrecativi da Siila, colla diffusione curatane  da Andronico da Rodi e da Tirannione. Ne molto di più potevano avervi efficacia le dottrine della NUOVA accademia,  propugnate da Filone di Larisse e da Antioco. CICERONE, pur abbracciando sostanzialmente IL PORTICO,  coglie e assimila, secondo quella che fu pure la tendenza di  Panezio, e rimase tendenza della filosofia romana in generale,  quasi da ogni altra scuola taluni de' principii che meglio vi corrispondessero al genio romano. Solo combatte invece la FILOSOFIA DELL’ORTO, forte allora, e ancor più poco appresso:  il quale dura buon tratto allato alla scuola del PORTICO, fino a  che perde teneno. E, come CICERONE assimila principii  estranei allo al PORTICO, altrettanto ne rigetta ciò eh' era in  questo di troppo rigido, e però praticamente inefficace. Ptr CICERONE, ad esempio, contrariamente al PORTICO, non è immeritevole di pregio il moderato godimento -- De sen. 14. Se il  bene morale sta al disopra d'ogni altro, esso non è tuttavia  il solo bene possibile e apprezzabile. Se è vero che il dolore dev' essere virilmente tollerato, non è per questo men vero ch'esso sia un male (Tusc, II, 18; II, 13).  Per tal modo, con quest' opera e di assimilazione e  insieme di selezione. CICERONE procaccia il germe delle dottrine filosofiche elaborate più tardi. La distinzione dell'corpo e dell’anima, il legame  di origine e finalità comune che unisce tutti gl’uomini e  che impone a tutti l'obbligo di fratellevole aiuto, che trovano trattazione più diffusa negli scritti di Seneca, e  poi di Antonino, son già delineati, chiaramente in Cicerone (cfr. De rep., VI, 17; Ttisc, I, SI; De off., Ili, 6;  De leg,) (1). Dopo CICERONE (si veda0, frammezzo alle lotte  combattute dai FILOSOFI DELL’ORTO, fra i quali risplende il genio  sovrano di Lucrezio, e mentre pure dalle file dei filosofi del CINARGO partono le satire aspre ed argute di Varrone, Q. Sestio  prosegue, benché intinto della setta di CROTONE, le tradizioni del PORTICO. Sestio raccolte poi da Fabiano e piti tardi da Attalo, a cui  die' gloria l'esser maestro di Seneca. La tendenza eclettica, che si ha ognora in tutto  questo sviluppo, ci si presenta più che mai viva e spiccata  in Seneca, già inclinevolo alla setta dei Crotonesi, ammiratore dell’Accademia, né sdegnoso di citare Demetrio del Cinargo ed Epicuro dell’Orto.  E in punti sostanziali egli dissente dal Portico. Significantissimo é un esempio, che già da altri fu notato e illustrato. Per il PORTICO non può aversi diversità di  natura fra ciò che chiamasi corpo e anima. Seneca separa i due elementi e finisce per creare una specie di antagonismo, che spiega la vita. Il corpo é la prigione  dell' anima, un peso che la rattiene verso la terra. Finché  è unita al corpo, sta come avvinta in ceppi (Ep.). L’anima, per conservare la sua forza e la sua libertà, lotta di  continuo contro la carne (ibid.). Questa distinzione, così  precisa, del corpo e dell' anima é estranea al vero sistema  del Portico e Seneca è indotto da questa a conseguenze che  anche più si allontanano dalle dottrine de' suoi maestri.  Secondo il Portico, l'anima muore, dopo che il mondo sarà distrutto per mezzo del fuoco. Seneca, esitante su questo punto,  dopo aver detto a Marcia che tutto annienta e strugge la  morte (Com, ad Marc, 19, 5 ), le descrive l’anima del  figlio, salente al cielo, a lato di Catone e dei Scipioni. E scrive altrove senz'altro esser l’anima eterna e immortale (Ep,, 57, 9). Distacco certo notevole, ma nel quale troppo volle vedersi oltre il vero, col dar vita air omai  sfatata leggenda che Seneca si ascrivesse alle sette cri-  stiane (6).   Seneca riprende con nuova energia V indirizzo morale  di cui già erano i germi in Cicerone: a questo solo rivol-  gendo ogni suo sforzo. Egli non si cura delle discussioni  teoriche sul massimo bene, non formula dogmi; ma segna  le norme morali, fin pei rapporti più minuti della vita. Dopo Seneca, il movimento filosofico prosegue. E dopo  la nube che parve oscurare, sotto i regni di Vespasiano e di Domiziano, la fortuna dei filosofi, questa rifulge poco appresso più che mai splendida. Plutarco vien cogliendo nella morale, anche con più ampia libertà eclettica le regole  sostanziali del PORTICO, togliendo a questo però la rigidità ch'era in Seneca: e benché inclinando verso l’Accademia, col far presiedere alla vi' a un divino primo, sotto il  quale stanno divini di secondo grado, a cui rimangon dietro,  a lor volta, i genii mediatori, giusta il concetto dell’Accademia,  fra l’umano e il divino.   E a quello che potè chiamarsi l'impero dei filosofi,  sotto Antonino, si gittano le basi nel principato d'Adriano.  È a questo tempo che la lotta secolare dell' ellenismo contro il ROMANESIMO finisce colla vittoria completa di quello.  Sì che a Roma accorrono da ogni parte del mondo filosofi, desiderati ed onorati. Demonace può paragonare Apollonio, che muove co' suoi discepoli da Atene a Roma, ad un argonauta, che vola  al rapimento del vello d'oro (Luciano, Bem.y 31). È  à quel tempo che la filosofia compie in Roma un passo  gigantesco con Epitteto. Questi prosegue la dottrina del PORTICO,  benché con certa tendenza verso il CINARGO. Fissandovi essenzialmente il pensiero subbiettivo come principio e criterio della verità, e però riducendo a formale il mondo esteriore. Non dunque dolori, ma fantasie di dolori; onde la  inalterabile fortezza e il disprezzo severo d' ogni bene umano.  E la filosofia d' Epitteto, continuata e propugnata strenuamente da Flavio Arriano, germoglia più tardi nel sereno ingegno di Antonino, che, elevando come ad eccelso  ideale, il concetto della vita secondo natura, deducendone, come conseguenze necessarie, la legge più pura della carità umana, chiude gloriosamente il ciclo del PORTICO in Roma.  Appressa solo qualche bagliore raro e scarso traluce fra le  tenebre che si vengono da ogni lato addensando. IL PORTICO non fa più un passo. Non vale la filosofia dei così  detti accademici eruditi, già prima coltivata, allato al Portico, da Favorino, da Massimo di Tiro e da Alcinoo, a gittare alcun germe fruttifero. E le dottrine troppo idealistiche  dei accademici, formulate con nuovo vigore da Plotino, rimangono il culto inefficace  di qualche anima solitaria. Già da questi cenni, benché così rapidi e incompleti,  traluce una singolare coincidenza. I momenti  essenziali per la storia della filosofia in Roma coincidono  coi momenti essenziali per la storia della giurisprudenza. Il genio eclettico di CICERONE negl’anni della REPUBBLICA, dà in ROMA inizio efficace agli studi della filosofia, air incirca nel tempo, in cui -- scorse tre generazioni da quando lo specchio di Gneo Flavio sottrae l'arte del diritto all'arcano monopolio pontificale e l'insegnamento tentato dal pontefice plebeo Coruncanio offre i germi, raccolti e rudemente elaborati da Sesto Elio. Q. Mucio SCEVOLA gitta pure co' suoi XVIII libri iuris civilis i fondamenti sistematici del diritto. E, al principio del principato d’Ottavinao, la filosofia, segnatamente del Portico, fiorisce per  r insegnamento di Sestio, al tempo stesso in cui 1'eredità gimidica, tramandata dall' era repubblicana è raccolta dall' intelletto sovrano di LABEONE, che inizia per la  giurisprudenza l’età delle sue glorie più fulgide e insuperate. Età che si continua, con isplendore ognor più vivo, fino a Salvie Giuliano, che colla fissazione deir editto perpetuo, compendia il tesoro elaborato con continuità meravigliosa d’Ottaviano ad Adriano; nel quale  appunto si vien preparando quello che si disse a buon  dritto rimpero dei filosofi. Questa coincidenza di tempo non deve indurre in noi  nessun preconcetto che valga a sviarci dal sereno esame del nostro tema: l’analisi dei concetti giurdici.  Ma noi dobbiamo tuttavia notarla, perchè  molto soccorso potrà veoin^ene per spiegazioni .e raffronti  nel seguito delle nostre ricerche. Ed entrando omai neir esame del tema, ricerchiamo  se nel principio che regola gl’istituti e rapporti v'ha  alcuno degli elementi filosofici siamo venuti seguendo. Ne vi spiaccia clie sopra tutto e' intratteniamo in quest' ufficio modesto e paziente di semplice constatazione e che riserbiamo a più tardi alcune considerazioni d' ordine generale, che da questa potranno emergere. Consideriamo tosto i requisiti essenziali al soggetto del diritto. L’ esistenza fisica e i tre status -- essenzialmente  lo status di libertà.   Fra le regole spettanti all'esistenza fìsica l’influenza  del PORTICO ci si presenta spiccata nel concetto teorico di  cui è cenno specialmente in un testo d'Ulpiano, per cui si  considera il feto tuttora entro le viscere materne come  parte di queste – “mulieris portio vel viscerum” -- : Ulp., fr. 1  § 1 D. 25, 4 e prima Papiniano, fr. 9 §. 1 D. 35, 2 —  “homo non recte faisse dicitur”. E però tosto da osservarsi come questa considerazione astratta, tolta manifestamente dal PORTICO (Plut., Plac. pML, V, 14, 2: \iripoq  eivai Ttig x(X7Tpòq) rimanne in pratica lettera morta. Perchè, logicamente, dal considerarsi il feto parte delle viscere materne, verrebbe che, fino al momento del suo staccarsene e del suo passaggio ad esistenza di per sé stante, esso non dove dar luogo ad alcun apposito rapporto giuridico. Mentre, contrariamente, stan di fronte a tal concetto  la legge di Numa che proibisce di seppellire la donna  morta incinta, prima di averne estratto il feto (fr. 2 D.  12, 8), le pene contro il procurato aborto, il divieto di  Adriano di eseguire la sentenza di morte contro la con-  dannata incinta ( fr. 18 D. 1, 5), la tutela al ventre  pregnante, risalente fino a prima delle XII tavole, e la “honorum possessio”, che a nome di quello potè chiedersi; istituti e rapporti intesi tutti alla protezione di un soggetto di diritti sperato, e dentro altro soggetto. Onde  pure la risposta affermativa alla questione, che tuttavia parve necessario propoiTe. Se il figlio, nato dalla  madre exsecto venire, abbia diritto di succedere ad essa  (Ulp., fr. 1 §. 5 D. 38, 17 ) e il considerarsi come un essere già esistente il feto entro lo viscere materne, benché  non ancora a sé stante. Ciò secondo la verità eterna e precisa delle cose. ( Cfr. Giul., 37 dig,^ fr. 18 D. 36, 2: Is cui ita legafum est, qìmndoque liberos habuerit, si praegnatc uxore relieta decesserit, intelligitur expleta conditione  dccessisse et legatum valere, si tamcn posthuììius natus  fuerit; Ter. Clem., lib, 11 ad leg. lui. et Pap., fr. 153  D. 50, 16: IntellegendiiS est mortis tempore fuisse qui in  utero relictus est\ Celso, 16 dig.y fr. 187 D. 50, 17; Ulp.  19 ad Sab., fr. 20 D. 36,1).  Espressamente si fa risalire ad Ippocrate la regola che  assegna il tempo di *VII* mesi, come termine minimo della  gestazione, Ulp.; Paolo. Ma, per sé, la necessità di segnare un termine minimo, sufficiente di regola alla gestazione, si afferma per  motivi esclusivamente sociali e giuridici, e ne porse occasione  la Legge Giulia. E la fissazione di quello ai 7 mesi, giusta  la teoria d' Ippocrate, ha un'importanza del tutto formale. Più importante è per noi l'accoglimento della teoria  di Eraclito e del Portico, che fissa a *XIV* anni la pubertà  (Plut., Flac, pML, V, 24,1; Macrobio, Somn. Scijp., G;  Saturn., VII, 7). Accoglimento che ha una grande importanza pel suo significato giuridico. Esso invero segna un  passo verso quella precisione sicura di linee, onde il diritto,  progredendo, abbisogna, e, anche più, include un riconoscimento fine e delicato del diritto al pudore. Che ciò io avverta qui, anziché più tardi, non maravigli; giacche non posso veramente propormi un ordine rigoroso, e mi è forza lasciare che il discorso trascorra a' vari punti, a cui le  fonti che man mano si offrono, gli porgono il destro. Ne che tale felicissima alata della scuola dei Proculeiani, nella quale si volle ravvisare più precisa e più profonda rinfluenza del Portico, sia dovuta veramente  a tale influenza, anziché alla considerazione obiettiva, spregiudicata delle necessità avanzantesi del diritto, parmi  possa sostenersi con alcun serio argomento. Se influenza vi si ebbe, essa fu tutta nella fissazione formale del termine  al quattordicesimo anno, anziché al dodicesimo o al quindicesimo, come altrimenti avrebbe potuto aversi. Ma romanamente giuridico e il senso che fé* avvertire la necessità  di quella regola netta e certa e fé' accoglierla trionfalmente. Proseguendo in tali traccie formali, l'influenza della filosofia parmi possa avvertirsi anche nella considerazione del parto trigemino, in caso di gravidanza della madre (Plut., Pìcce.  pML^ V, 10,4), che ha gravi effetti per l'aspettativa dei diritti spettanti ai possibili nascituri, fino all'avvenimento  del parto, e che nelle fonti ci si presenta risalente a Sabino e a Cassio (Giul., fr. 8 §. 1() 1). 40, 7; Gaio, fr. 7  pr. D. 34,5; Paolo, fr. 28 §.4 D. 5,1; Id., fr. 3 D. 5,4). Ma ben altra influenza, sostanziale e diretta, della filosofia, si sostenne per un tema, che qui dovrà trattenerci alquanto: lo schiavo. È da tale influenza che si volle determinato l' affermarsi con moto continuo, dallo  scorcio della repubblica al secolo degli Antonini, di un' intima contraddizione nel concetto di Schiavo. E s' adduce la dichiarazione tradizionale dei giuristi di questo periodo essere lo Schiavo contro natura, la protezione che è accordiata man mano alla vita e air integrità personale dello schiavo contro le eccessive sevizie del padrone (Gellio,  Noci. Att, V, 14; Eliano, Be an,, VII, 48; Gaio, fr. 1  §. 2 D. 1,6; Ulp., fr. 2 D. eod, Modestino, fr. 11 §. 2  D. 48,8) al cui arbitrio lo schiavo è sottratto, per esser sottoposto, in caso ch'egli delinqua, ad appositi magistiati,  e a procedimento, non sostanzialmente difforme da quello  che vale pel LIBERO (Pomp., fr. 15 D. 12,4; Ulp., fr. 12  D. 2,1; fr. 3 §. 1 D. 29,5; Venul., fr. 12 §. 3 D. 48,2),  e indipendente attività patrimoniale che si riconosce allo schiavo col peculio ( quasi patrimonium Uberi hominis:  Paolo, fr. 47 §. 6 D. 15,1). S' adduce il favor libertatis che inspira in molteplici casi le larghezze con cui si risolvono le dubbie questioni di stato e s'effettuano i giudizi liberali -- Lege Iimia Petronia si dissonantes pares iudicum  existant sententiae pro libertate prommciari iussuni: Ermog.,  fr. 24 D. 40,1; e. d' Ant. Pio, presso Paolo, fr. 38 §. 1  D. 42,1; Ulp., fr. 3 §. 1 D. 2,12), s'eseguiscono le manomissioni, ordinate per atto d'ultima volontà (Giul., fr. 9  §. 1 D. 33,5; fr. 4 pr. D. 40,2; fr. 16 D. 40,4; fr. 17  §. 3 D. eod.; presso Paolo, fr. 20 §. 3 D. 40,7; Valente,  fr. 87, D. 35,1; Giavoleno, fr. 37 D. 31; Gaio, fr. 88  D. 35,1; S. C. sotto Adriano, in Scevola, fr. 83 (84)§. 1  D. 28,5; rescr. di M. Aurelio, in Marciano, fr. 51 pr. D.  28,5, e in Mod., fr. 45 D. 40,4, cost. dello stesso in Ulp.,  fr. 2 D. 40,5; Meciano, fr. 32 §. 5 I). 35,2; fr. 35 I).  40,5; Pomp., fr. 4 §. 2 D. 40,4; fr. 5 D. eod.; fr. 20 I).  50,17; Marcello, fr. 3 i. f. D. 28,4; fr. 34 D. 35,2;  Scevola, fr. 48 §. 1 D. 28,6; fr. 29 D. 40,4; presso Mar-  ciano, fr. 50 D. 40,5; Papin., fr. 23 pr. D. 40,5; Paolo,  fr. 28 D. 5,2; fr. 40 §. 1 D. 29,1; fr. 14 pr. D. 31; fr.  96 §. 1 I). 35,1; fr. 33 D. 35,2; fr. 36 pr. D. eod.; fr.  10 §. 1 D. 40,4; fr. 179 D. 50,17; Ulp., fr. 711). 29,2;   9    fr. 29 D. 29,4 ; fr. 1 D. 40,4 ; fr. 24 §. 10 D. 40,5) e  in ispecie per fedecommesso, alla cui esecuzione provveggono  già sotto Traiano, e poi sotto Adriano e Commodo, appositi  Senatoconsulti {SS. GC. Bubriano, Dasumiano, Artici, Ulano, Vitrasiano, Iunciano -- s' adduce l’ingenuità che si vuole accordata al NATO DA UNA SCHIAVA, che gode della  libertà fra il momento del concepimento e quello del parto (Marciano, fr. 5 §. 3 D. 1,5), o che, ordinatane la libertà  per fedecommesso, non e manomessa indebitamente, per  mora deirerede (rescr. di Marco Aurelio e Vero e di Ca-  RACALLA in Ulp., fr. 1 §. 1 D. 38,16; Ulp. fr. 1 §. 3 D.  38,17; fr. 2 §. 3 D. eod.; fr. 26 §. 1 D. 40,5; MARcaNO,  fr. 53 pr. D. eod.), fosse pure casuale (rescr. di Ant. Pio  e di Severo e Carac. in Ulp., fr. 26 §§. 1,2, 3D. 40,5;  MoDEST., fr. 13 D. 40,5); il concetto che afferma la libertà  inalienabile (Costantino, c. 6 C. 4,8) e la regola che nega comprendersi nell'usufrutto il parto della schiava (Cic, De  fin., I, 4; Gaio, fr. 28 §. 1 D. 22,1: Ulp., fr. 68 pr. D.  7,1). Fermiamoci su quest'ultimo punto. È famosa la disputa, a cui quella regola die luogo ai  tempi di CICERONE, fra SCEVOLA, Manilio e Bruto, ed è pur  notissimo come la propugnasse vittoriosamente quest'ultimo,  adducendo essere assurdo il computare fra i frutti l'uomo,  mentre ogni frutto che rechi la natura è destinato all'uomo.  La qual ragione è riferita da Gaio e da Ulpiano (Gaio,  fr. 28 §. 1 D. 22,1; Ulp., fr. 68 pr. §. 1 D. 7,1), ed è  tratta genuinamente dalla teoria del Portico, secondo la quale  l'uomo si considera come signore dell'universo (Cic, De off.,  I, 7; De nat. Deor., II, 62; De fin., Ili, 20). Ma altrove,  (fr. 27 pr. D. 5,3) Ulpiano stesso adduce a fondamento di  questa regola un motivo tutto economico. Non valutarsi come frutto il parto della schiava, perchè lo scopo economico, pel quale si tenne schiave, non è quello di procacciarsene i parti « non temere ancillae eim rei causa comparantur ut pariant », ossia perchè i parti della schiava  non costituiscono il frutto economicamente normale di essa. E due fatti inducono a ritenere che sia appunto questa la ragion vera che determina quella regola: la mancanza, cioè, di un'industria di allevamento di schiavi e la parificazione del parto della schiava ad ogni altro frutto, per qualsivoglia rapporto, all' infuori delF usufrutto. Che la regola, determinata da questa ragione economica, si volesse  poi anche giustificare con un concetto preso al Portico,  non può recar maraviglia, quando si pensi come in altri  punti non pochi la vernice d'una forma filosofica copra un  rapporto determinato essenzialmente da principii tutt' altro che filosofici. E questa nostra osservazione si riconnette a un altro lato importante del tema: al freno imposto alle sevizie del padrone: nel quale volle ravvisarsi pur tanto di stoica influenza. È essenziale la giustificazione datane da un noto testo di Gaio. Doversi inibire al padrone di far malo uso delle cose sue, allo stesso modo che ciò si vieta al prodigo, Inst. Regola dunque che ci si presenta pure determinata non da altro, che dalla considerazione tutta econo-  mica del regolare uso della proprietà.   Ed è parimente una necessità di natura economica,  di raflforzare, cioè, Y attività dello schiavo colla molla del  suo proprio interesse individuale, quella che determina il  riconoscimento del peculio, quale patrimonio di fatto del  servo, distinto dal patrimonio del padrone; la cui funzione ha per ogni lato dell'evoluzione della schiavitù importanza essenziale. Però codesto elemento economico, che fu magistralmente seguito dal Pernice nel suo classico libro su Labeone,  e che, pei lati che accennammo, resulta da attestazioni precise delle fonti, non basterebbe a spiegare per sé il riconoscimento graduale nello schiavo di altri molteplici diritti e  rapporti attinentisi alla personalità, e l' affermarsi di un  vero e proprio sistema giuridico che per esso si crea, del tutto analogamente al sistema che regola istituti e rapporti  fra liberi. Un altro elemento sostanziale concorre a dar vita e riconoscimento positivo a quel sistema pei rapporti più svariati. Questo elemento altro non è che la forza della  natura. Forza, che neirantica convivenza a famiglia regolava  nel fatto, quasi inconsciamente, i rapporti della schiavitù ;  ma che, più tardi, «comparsa la prisca semplice costituzione  della familia, ordinate quasi ad esercito, gerarchicamente,  le migliaia di schiavi tratti a Roma dai popoli vinti, fé' assurgere e fissò a rapporto di diritto quello eh' era dapprima mero e tacito fatto: affermando nello schiavo la contrapposizione del concetto di “uomo”, di fronte a quello  di “res”.   Gli attributi nello schiavo di ente intelligente e consciente s' impongono air organismo del diritto, pel quale lo schiavo dove parificarsi a una “res”, ad una “merx.” Ulpiano, trattando della prestazione dei legati imposti all'erede, e dei casi in cui l'erede può essere ammesso a prestare, invece della res legata, Vaestimatio di essa, distingue  il legato di una “res” da quello di uno schiavo, valuta i  motivi in cui più probabile in questo può riuscire la prestazione dell' aestùnatio, ed esce coli' affermazione alia est condicio ìiominum alia ceterarum rerum (Ulp., fr. 71 §. 4  D. 30). Quest'affermazione coglie e sintetizza  l'urto intimo e graduale, di cui la storia della schiavitù in Roma porge traccio continue ed eloquenti, e per cui pur riesce  infine ad imporsi nella coscienza giuridica e sociale il riconoscimento nello schiavo degli attributi essenziali della personalità  umana. Tali, l'efficacia del patto adietto alla vendita di una schiava di non prostituirla. Efficacia che include il riconoscimento del diritto all'onore (decr. di Vespas., presso Mod.,  fr. 7 pr. D. 37,14; Pomp., fr. 34 pr. D. 21,2; Papin., fr.  6 pr. D. 18,7 ; Paolo, fr. 7 D. 40,8 ; Aless. Sey., c. 1  C. 4,56); r azione d' ingiurie per offese allo schiavo, commisurata secondo il grado d' onorabilità di questo (Ulp.,  fr. 15 §. 44 D. 47,10). L’ ammissibilità di un giiidizio di calunnia a cagione dello schiavo, che subì per fatto altrui ingiusto giudizio (Papin., fr. 9 D. 3,6). La valutazione della  misericordia usata verso di esso, per misurare la responsabilità di chi ebbe a procacciarne la fuga, Ulp. Il riconoscimento della famiglia servile, nella quale con sforzo di finzioni giuridiche si riesce a dar certa configurazione a rapporti patrimoniali, a somiglianza di quelli che intercedono nella famiglia dei liberi (Ulp., fr. 39 \D.  23,3 ; Paolo., fr. 27 D. 16,3). E persino il riconoscimento  nello schiavo di rapporti d'indole religiosa (Labeone, presso  Ulp., fr. 13 §. 22 D. 19,1; Ulp., fr. 2 pr. D. 11,7). Che pure sulle conquiste compiute dagli schiavi contribuiscano considerazioni d' ordine pubblico e di sicurezza  pubblica, son ben lungi dal negare. Non par dubbio,  ad esempio, che sia determinata sopratutto da esse la legge  Petronia. !Aia questa pure (appena occorre avvertirlo) non  è che una conseguenza, benché coatta, dell 'affermantesi peronalità dello schiavo.  Ne tuttavia che le stesse dottrine stoiche, col loro elevato concetto della personalità umana, abbian per qualche  lato favorita o affrettata quell'evoluzione, non <\serei negare:  (nò può invero trascurarsi il fatto che il momento più intenso di essa cade appunto sotto gli Antonini. Ciò che  parrai invece dover negare si è che quelle dottrine vi abbiano avuta una influenza immediata, essenziale. Talché  senza di esse si avesse ognora a disconoscere nello schiavo  ogni attributo della personalità. Su altri istituti e rapporti attinenti alle persone non  ci abbisogna lungo discorso. Non occorre, per verità, confutare lo strano concetto che influenza del Portico sia nell'attenuamento della patria potestà, e nella liberazione delle  donne dalla tutela agnatizia. Fatti determinati entrambi dal trasmutarsi della funzione e natura politica della familia; trasmutarsi, che pure ci spiega l’avanzantesi prevalenza del vincolo di sangue sul rapporto civile d'agnazione;  che ha poi eifetti importanti, in ispecie neir ordine delle successioni. E pur ci spiega l’evoluzione dell'essenza prisca dell'eredità familiare (comprendente, cioè, il complesso di diritti politici e religiosi inerenti alla domus familiaqtte)  verso l’eredità patrimoniale. Concetto, che, accennato in  istudi recenti ed egregi (16), forse non si presenta tuttavia  immeritevole di trattazione nuova ed apposita e d' investigazione minuta nelle fonti. Ne mi fermo su di un punto,  sul quale non si peritò d' insistere qualche sostenitore  deir influenza sdel Portico sulla giurisprudenza romana: il puro  ed elevato concetto del matrimonio, tramandatoci dai giureconsulti, e in ispecie esplicantesi nella tarda definizione  di Modestino. Basta osservare che quel concetto è in Roma tradizionale, fin dalla sua più antica e genuina costituzione e  che vi si esplica allora dalle stesse forme, con che il ma-  trimonio si compie, e che, inerente dapprima solo al ma-  trimonio curri manu, nel quale è veramente la divini et  Immani iuris cornunicatio, esso s'atteggiò poi, per forza di  tradizione sul matrimonio libero, prevalso su quello, e tra-  luce idealmente nei tempi stessi, in cui il matrimonio era  di fatto quale ce lo tratteggiano con foschi colori Giovenale  e Marziale. Occorre qui invece, fra i diritti attinentisi alle persone, accennare ad alcuni altri, nei quali si ravvisò l’influenza  filosofica, e segnatamente del Portico.   Che, per quanto tocca il diritto alla vita, e l'affermazione negativa di questo, i romani non abbiano riguardato  con deciso is favore il suicidio, come mezzo estremo di salvaguardia a mali maggiori; e ciò molto innanzi al tempo  in cui la filosofia divenne nota in Roma, resulta  dalla natura del carattere romano e dell' ideale ch' esso  prefiggeva alla vita, dalla stessa aureola di gloria onde fu recinta la memoria di Lucrezia, di Catone e di Bruto.  Né dunque può pensarsi ad alcuna influenza del Portico, se vediamo i giuristi non considerar come dannata la memoria del suicida. Ma singolarissima è poi la specialità contemplata nel testo che per consueto si adduce. In esso si riferiscono rescritti di Adriano e d'Antonino Pio, i quali, considerando il caso, in cui persona accusata di delitto capitale,  prima d' esser sottoposta al giudizio, ponga fine a' suoi  giorni taedio vitae vel doìoris impatientia, dichiarano non  incorsi con ciò nella confisca i beni di quella. Si ha poi  nel caso proposto ad Adriano che il suicida era accusato  d' aver ucciso il figlio. Adriano, con sentimento delicatamente umano, dichiara doversi presumere che non per timor della pena, ma per dolore del figlio perduto, V accusato sia volontariamente uscito di vita ( Marciano, fr. 3  §§. 4-5 D. 48,21); non potendosi ad ogni modo ritenere per se il suicidio deir accusato equivalente a confessione di  reità a condanna. Come poi Papiniano con lucidissima  veduta dichiarò e sostenne ( Ibid,, pr. ; cfr. fr. 29 pr. D.  29,1 ; Paolo, fr. 45 §. 2 D. 49,14 ). Mentre poi è  chiaro che, all' inversa, il suicidio che 1' accusato volle affrontare non per altro che per timor della pena e ob conscientiam cnminis, non salva dalla confisca il patrimonio  di lui, che si considera quale dannato o confesso (Ulp., fr.  6 §. 7 D. 28,3; fr. 11 §. 3 D. 3, 2). Il che davvero  s'intende come logico sviluppo, senza che nulla v'appaia di influenza o reminiscenza filosofica, se pure essa non voglia vedersi nel ricordo ai filosofi, come a coloro che si uccidono  taedio vitae,,. vel iactationis (fr. 6 §. 7 D. 28,3).  E qui pure, a proposito del diritto naturale alla vita,  si avverte il riconoscimento di tal diritto nello schiavo, là  dove è detto da Ulpiano esser lecito etiam scrms fiaturaliter in sunm corpus saevire, Ulp. Di fronte al qual diritto affermato perle schiavo, sta l'obbligo in lui di rifondere col suo peculio al padrone le spese  che ha sostenute per curarlo dalle ferite infertesi tentando  d' uccidersi; talché quel diritto si riduce praticamente ad  una curiosa ed amara irrisione. E tocco di un altro fra i diritti personali. Quello alla  religiosità, al quale s'attiene lo sfavore con cui si riguardò  dai giuristi, conformemente agli stoici, il giuramento (PapiN., fr. 25 §. 1 D. 13,5; Ulp., fr. 7 §. 16 D. 2,14),  e in ispecie la condicio iurisitirmidi, apposta a una liberalità per atto mortis causa ( Labeone, in Giav., fr. 62  pr. D. 29,2 ; Giuliano, fr. 26 D. 28,7; Marcello, fr. 20  D. 35,1 ; Ulp., fr. 8 §. 5 D. 28,7). Il generale divieto  della condicio iurisiurandi è anteriore a Labeone e posteriore a Cicerone, e coincide per tempo col fiorire della  filosofia del Portico. E F opinione ch'esso sia determinato da influenze di questa parrebbe tanto più attendibile, in quanto  siamo qui in tema di religiosità, dove l'istituzione filosofica  ebbe veramente, in sullo scorcio della repubblica e a' primi  tempi del principato, efficacia non lieve e assai diffusa. Senonchè non so astenermi dal proporre una mia modesta  osservazione. Lo sfavore pel giuramento non è già soltanto  nel Portico, ma risale fino tra le scuole presocratiche, a  quella di Velia, e al fondatore stesso di essa, a Senocrate,  che nel giuramento ravvisava un riprovevole privilegio per  l'empietà (Arisi., Bhet, I, 15) (19). Forse quello sfavore,  che nello spirito filosofico si manifesta cosi da antico, era pure  in origine nello spirito romano, e durava nel patrimonio  d'idee e di tradizioni, che, specialmente in materia di religione, i due popoli ritrassero dal ceppo comune? Il che  solo accenno, pur non volendovi troppo insistere, perchè  non paia amor di sistema. E, lasciando omai d' altri rapporti di minore impor-  tanza, pure del tutto formali, come, per ciò che attiensi  alla salute, la definizione del morbo, di habitus cor-  poris contra naturam (Sab., fr. 1 §. 9 D. 21,1 e in Gellio,  Noci. Att^lY, 2. cfr. fehris: Giul., fr. 60 D. 42,1) evi-  dentemente tolta dallo stoicismo; il concetto del furiosus, che, come privo di mente, stoicamente è detto suus fion est  (Ulp., fr. 7 §. 9 D. 42,4), passiamo senz'altro alle cose e  ai diritti su di esse.  La triplico partizione delle cose, che ci riferisce Pomponio nel lib. 30 ad Sah. (fr. 30 D. 41,3): F una comprendente quod contìnetur uno spirita, graece yivwjxsvov;  l'altra che abbraccia qiiod ex contingentihus hoc est j)ÌU'  rihus interse coherentibus constat, quod atiVTQjAjjievov, e una  terza dei corpora pUira non solata^ ma uni nomini suhiecta, resultanti ex disfantibiis, b T applicazione precisa e  genuina della distinzione del Portico. Al frammento di Pomponio  fauno riscontro testi di Plutarco, Fraec. coniug., 34 ; di  Sesto Empirico, Adi\ Math.; IX, 7S; di Seneca  J^at. qiiaest., II, 2 ; Epist.; e di Achille Tazio,  Isag, in plten. Arati. Che dunque per essa i  giuristi abbiano formalmente attinto dai filosofi non v' ha  dubbio. Il ricordo formale dei filosofi si ha persino nella  esemplificazione consueta nei giuristi delle cose appartenenti  a ciascuna di quelle tre categorie. Ma se ci facciamo a ricercarne le pratiche applicazioni, tosto ci avvediamo come altri principi, del tutto indipendenti da essa, inteivengano. E, invero, il diverso modo con  cui si ammette il possesso e l'usucapione, segnatamente per  le res comiexae e le universitates ex distantibus. La regola  che il possesso di una res connexa implica il possesso  delle cose singole da cui risulta composta, come parti, non  come cose a se stanti, e distinte individualmente, si spiega  col concetto tutto romano del requisito A^' animus nel  possesso. Il quale, dovendosi rivolgere alla res connexa  nella sua essenza, non si concepiva che contemporaneamente si rivolgesse alle parti singole di quella; onde appunto la inammissibilità di un contemporaneo possesso dell' intiero e delle parti, e la impossibilità di acquistare un  diritto sulle parti, in forza del possesso della res conmxa  resultante dalla loro unione. Il che ha segnatamente ef-  fetti importanti per la teoria deirusucapione. Mentre poi, per quanto tocca in ispecie le regole del possesso e deirusucapione dei tigna onde resulta composto un edifizio, concorre anche il riguardo tutto civile che inspirava la lex (le Ugno iuncto (Venuleio;  GiAVOLENO, fr. 23 pr. D. 41,3; Gaio;  Paolo; Ulp., fr. 7 §. 1 D. 10,4). Meno ancora può trarsi dalla distinzione fatta dai giuristi delle cose corporali e incorporali. Se per questa, fra il  concetto dei giuristi e quello dei filosofi, può esservi somiglianza, essa è del tutto apparente. Le cose incorporali  dei filosofi, come essenzialmente il tempo e il vacuo, non  hanno nulla di comune colle cose che son chiamate incorporali dai giuristi per la loro funzione sociale e giuridica,  e che hanno sempre in sé per contenuto cose corporali, e  ciò secondo un concetto che ci si presenta tradizionale e  risalente: in modo sopra tutto preciso e spiccato nella hereditas (Pomponio; Gaio,  Inst; Apric;  Papin.; Ulp.; Paolo): e segnatamente,  con mirabile evidenza, nel concetto e nelle regole delF^^t*-  capio prò herede (Gaio, II, 54).  E di questo concetto àeìVheredifas, res corporaUs, che  ha per contenuto normale appunto cose corporali, è assai  notevole come un filosofo del Portico parli come di inutile sotigliezza, deridendo i giuristi che raccolsero (Seneca, De h&n.): e offrendoci con ciò, come fu avvertito, ricordo  certo e perenne della differenza sostanziale che correva, a  proposito di quella partizione, fra il pensiero dei filosofi e  quello dei giuristi. Certo, fra i cor para, la distinzione di quelli che ratione vel anima carente da quelli che careni ratione non  anima o di entrambe, è rivestita di forma del Portico. Ma è  necessario ch'io soggiunga che sotto di essa sta un concetto tanto primitivo, che davvero non occorreva rivestirlo  del lusso d' una veste filosofica ?  Un tema, sul quale insistettero con particolare predilezione tutti i sostenitori dell'influenza del Portico, è quello che  riguarda, tra i modi d' acquisto della proprietà, la specificazione. L'opera diretta che qui esercitò, pel riconoscimento  del lavoro umano di fronte alla materia, la scuola dei ProculeiaDÌ, porse pure argomento per ravvisare una particolare inclinazione di quella verso lo stoicismo: in contrapposto anche qui alla scuola de' Sabioiani. Quasiché,  a spiegare il riconoscimento del lavoro umano non dovesse bastare una considerazione positiva di natura tutta economica: la normale preminenza di valore della nuova specie sopra la materia prima, preminenza che doveva imporsi al  concetto proculeiano, ognora così acuto e vivo e libero, di fronte all'ossequio tradizionale della proprietà, che pur continua un preminente riguardo al proprietario della materia. Le fonti, a cui ci si richiama, pel rapporto inverso  alla specificazione, appunto la riduzione della species alla  materia, confortano questo concetto. Si riferiscono invero  per consueto due testi d'Ulpiano, nei quali questi asserisce  sembrar scomparsa la cosa, di cui sia mutata la forma, benché ne duri la materia, e mutata forma prope interemit suhsiantia rei. Espressamente ciò giustificandosi da Ulpiano stesso,  proprio col criterio economico qmniam plerumque plus est  in manu prctio qtuim in re. E Paolo soggiunge, adducendo l’opinione e di Labeone e di Sabino, che abest la tabula  picta quando ne sia rasa la pittura, o il vestito quando è  scucito, perché appunto earuni rerum pretium non in substantia sed in arte sit positum (Paolo,).  E, partendo da tal concetto, ben s'intende come, all'inversa,  si considerasse economicamente del tutto nuova la cosa formata per mezzo del lavoro sopra materia già esistente, e  come Proculo e Nerva potesser dire, secondo quello che Gaio ricorda, che dopo subita l'opera dello specificatore, essa non  potesse più considerarsi come appartenente al proprietario della materia, Gaio; cfr. Paolo. Né in tema di materia o sabstantia e species, per  r efrore che intervenga su questa o su quella nel con-  tratto di compra vendita, parmi che molto si possa trarre  dalle fonti, per un'essenziale influenza del Portico.  Nel noto passo d' Ulpiano si riferisce come Marcello ritenesse sussistente la compra vendita,  anche quando, per errore, si fosse dato aceto, invece del vino dedotto in contratto e rame per oro e piombo per argento. Ciò giustificandosi da Marcello stesso colla ragione che sul  corpus intervenne il consenso, ed errore vi fu solo nella  materia. Ulpiano consente per l’aceto, perchè qui la sostanza, r oùjta (appunto secondo il linguaggio del Portico) è  quella dedotta in contratto. Mentre vi ha scambio sostanziale di tale oùjt'a nel caso del rame dato per oro e del piombo per argento. Talché la preoccupazione erronea che  nel concetto di Marcello sembra ingenerare la reminiscenza  del Portico, scompare in Ulpiano, che ne prescinde recisamente,  applicando nel modo più concetto le regole sull' eiTore nell’oggetto del contratto, non importa poi ch'esso errore verta  in corpore o invece in stibstantia. Lo stesso testo vivissimo d'ALFENO (si veda) che riproduce, secondo la fisica e dell’Orto (Lucrezio,  Nat. rer.) e del Portico (Seneca, Ep.; Plut. Comm.  nat.; Antonino), la mutazione continua  della materia, ricordando come il corpo formato da questa sia sempre lo stesso, per quanto si vengano ognora mutando via via le particelle che lo compongono, e applica  questo principio air organismo di un jiidicium, che rimane  il medesimo col mutarsi de' suoi membri, ritrae in sostanza  un concetto eh' e genetico in Roma, essenzialmente per  la persona giuridica del “populus.” E la fisica del Portico si riduce dunque solo ad illustrare con veste scientifica ciò  che ben prima s'era nella pratica ravvisato. Influenza del Portico si sostenne in un preteso sfavore  alle usure, che si volle dedune da parole di Papiniano che usura non natura pervenif . Quasiché  non fosse risalente e tradizionale il concetto che distiogue dai frutti naturali i frutti civili, e in materia d'usura non  si avesse in Roma, fin da antico, un'assidua, quanto sterile  attività legislativa.   Ma basti ornai anche sul tema delle cose, intorno al  quale però non voglio astenermi dall' offrirvi esempio di  taluna di quelle aberrazioni, alle quali accennai essere pervenuti scrittori egregi, per passione ch'essi posero nell'esame  di questo tema. Scelgo la teoria del Laferrière, secondo la  quale la regola che richiede i due requisiti dell' animus e del corpus per l'acquisto del possesso e della proprietà per  occupazione, riuscirebbe determinata dal concetto fondamentale del Portico, che distingue nell' uomo 1' elemento spirituale dall' elemento corporeo. Come analogapaente sarebbe  determinata da questo la necessità della tradizione pel trasferimento della proprietà. E d'altre taccio, già essendo queste esempio eloquente,  come presentantesi sotto un nome scientificamente onorato e sotto l'insegna gloriosa dell'Istituto di Francia.  Dovrei ora, accennarvi a tutto il sistema  romano delle obbligazioni, al mutamento eh' esso più specialmente subisce dal rigoroso formalesimo, verso 1' applicazione più agile e diretta della volontà. Mentre pur tutto  il diritto vien ravvivato da raffronti e adattamenti vitali  di elementi nuovi ed estranei coi prischi ed indigeni, e ricordare come questo sia una conseguenza immediata de'  nuovi orizzonti' che omai ha la vita e il commercio di  Roma e delle influenze straniere così continue e multiformi?  E come, a sua volta, il moto potente e continuo di Roma  verso l'universalità, e 1'alito vivificatore che ne deriva sul  diritto, consegua direttamente dalle nuove condizioni politiche ed economiche? Che questo moto grandioso e continuo corrispondesse  alle dottrine stoiche, per le quali tutto il mondo è una grande città, non può negarsi. Che per quello riuscisse ad  esse più agevole l'aver diffusione è pur certo. Ne che per  tal modo esse abbiano anche cooperato con quello, talora  forse per via inconscia, allo svolgimento di taluni istituti  e l'apporti, come ad esempio dello schiavo, di rapporti  relativi alla religiosità e simili, non vorrei disdire.   Ma chi penserebbe sul serio, solo per un istante, che il  moto di Roma verso l’universalità derivi dal Portico,  da alcun'altra delle scuole filosofiche? E che però  da filosofie consegua mediatamente tutta la trasformazione del diritto?   Non però se parmi di dover negare ogni influenza essenziale della filosofia, e in ispecie il Portico, sullo sviluppo della giurisprudenza romana, air infuori di quelle influenze concomitanti con altri elementi che teste toccammo,  sopra singoli rapporti, e delle influenze formali che si vennero annoverando sin qui, voglio io disdire 1' efficacia che  la conoscenza della filosofia ebbe dal secolo di CICERONE in poi, sempre formalmente, ma pur in campo più generale e importante, nel dar struttura di ars al itis civile («quae rem dissolutam divulsamque conglutinaret et ratione quadam constringeret »: CICERONE (si veda), de orat. Imprimendo con ciò nuova forza e nuovo sviluppo a facoltà  e a tendenze ch'erano in Roma native. che non tolse tuttavia che, ricevuto tale avviamento nella costruzione logica, la giurisprudenza procedesse poi da  sé, indipendente dalla filosofia, elaborando essenzialmente i rapporti pratici della vita, aborrente da ideali astrazioni. E dove la reminiscenza filosofica, cessando d'essere formale  intacca la sostanza giuridica, si ha un fluttuar vago d'idee  incerte e confuse, un' indeterminatezza di linee, che fa eloquente contrasto colla precisione perfetta, sicura, ond'è in Roma esempio mirabile tutto l'organismo del diritto. Voi intendete ch'io accénno al im naturale. Fra il concetto d'Ulpiano che lo designa emanazione della ragione diffusa neir universo, e quello di Paolo che vi ravvisa un' ideale tendenza verso l’aequwn bonum, o quello  di Gaio che lo riaccosta al ius gentium, quale dettato dalla  universa ratio; fra i più diversi significati ed applicazioni  di naturalis ratio, di naturalis, di ìiaturaìiter, che occorrono  nelle fonti, o connessi ad uno di quei tre concetti, od oscillanti fra l’uno e l’altro, o indipendenti da ognuno, lo studioso procede incertamente. Né certo sta a me, ne io presumo di portar giudizio  sulle varie costruzioni che modernamente si tentarono del “ifàs naturale”, concepito, o conforme alle dottrine elaborate in Boma dalla filosofia accademica e del Portico, come  coscienza insita nella umana natura di un diritto universale, e però del tutto distinto dal ius geniium. O, invece, obiettivamente, come ordine naturale contrapposto  air ordine civile, come dettato dalla ratio. O, di nuovo  subbiettivamente, quale concezione dovuta all' idea del diritto dettato dalla ragione naturale a tutto il genere  umano, atteggiatasi in Roma sul “ius gentium” e fusasi  poi con esso, per esplicarsi poi praticamente n^Waequita^, che  è la forza che s'avanza via via nell'editto pretorio e gradatamente vi prevale. O invece senz' altro come derivazione e sviluppo dello stesso ius gentium. A me basta notare sol questo. Quanto d'indeterminato  e d'incerto rimanga tuttavia in ciascuna di quelle costruzioni, e come, s' io non erro, non sia riuscito ad alcuno,  benché ingegni forti e coltissimi vi si accingessero, di  dimostrare che il concetto vago ed astratto del ius naturOfle  scese ad applicazioni pratiche e concrete. Né certo maggior pregio di linee precise e spiccate o  d' importanza diretta e sostanziale per 1'organico sviluppo  del diritto ci presentano nel titolo de “iustitia” et iure le  definizioni astratte, tolte a prestito dal Portico, di giustizia  e di giurisprudenza, e i tre famosi precetti del diritto. L' artificiosa inutilità di tali concetti, tratti più o meno fedelmente dalla filosofìa, spicca in guisa vivissima  nelle definizioni del concetto di “legge”; nelle quali, attraverso a vaghe  reminiscenze di Demostene e di Crisippo, ricompare il concetto, romanamente vero, di coìnmwiìs rei ptiblicae sponsio. La gloria del diritto e dunque riserbata a Roma;  la quale, per opera secolare ed esclusiva del suo genio, affida ai venturi, con eccellenza insuperata, le leggi eterne  dell'umana vita giuridica.   Se v' ha ricordo che debba infiammare e  scuotere i diretti continuatori del sangue e del pensiero latino, è il ricordo di quella gloria. In questa Università che  ha tradizioni nobili e antiche, proseguite degnamente dal  maestro provetto, cui circonda qui da olti-e cinque lustri  reverenza aifettuosa di discepoli, e dall'altro insegnante  che coi lavori acuti e geniali, come coir insegnamento ef-  ficace, onora in Italia le discipline romanistiche, quella  gloria infiammi e riscuota noi pure, o compagni. E com'essa  ravviva e ravvivei-à ognora in me le deboli forze, altrettanto  sia come fuoco sacro ai vostri giovani e ardimentosi intelletti.  Cattanei. P erozzi. Un elenco molto accurato dei lavori appositi scritti sul nostro  tema trovasi nella classica opera deli' Hildenbband, “Gesch. u. System  der Rechts und Siaatsphilos.”, Leipzig.  Lo riporto qui, con alcune aggiunte e avvertenze bibliografiche,  che contrassegno collocandole fra parentesi. Indico con asterisco i lavori che non potei procacciarmi:   Malquytius, De vera non simnìnL<i iurisc, phiL, Paris., 1626  [ristampalo nella Triga ìibelL rariss., Halae Magdeburg]; Paìjaninus Gaudextius, .2>^ j>/i27o«. ap. Bom. in. et progr.  Pisis; | Buaxdes 7->e, vera non simulata  iurisc. phih, Francof.; opuscolo che noto benché certamente privo  di valore, solo per amor di completezza, e seguendo in ciò V e-  sempio dello stesso Hildenbrand, che giustamente tien conto nel  suo elenco anche di lavori senza pregio, come p. e. quelli compresi  nella raccolta dello Slevogt] ; Scuilier, Manud. pliilos. moraliii  ad ver, nec simnl. pini., len.; BonMER, Dephilos, iurisc, stoica^  Halle, 1701 [ristampato nel volume J)e sectis et philos. iurisc. opusc.^  coli, recogn. et praef. et elog. Ictor. rem. ac progr. de disp. fori  aiixit Slevootius, lenae]; Buddeus, De errar, stoic, negli  Anal. Imt. phiL, Hai., 170G; Voss, De falsis Ictor. ratiocin. ex  parte occas. philos. stoicae enntis, Harderov., 1709; Ev. Otto,  De stoica vet. Ictor. philos.: Id, De vera non simulata philosoph.  Ictor. j nel voi. cit. dello Slevogt; Herjng, De stoica velt. Roman,  philos., ibidem; [Kunholt, Semicenturid comparai, verae et simul.  iurisc. phil., Lipsiae, 1718, che trovo citato dall' Eckardt, Herm.  duriSj *Lips.]; Slevogt, De sectis et philosophia Icforunif len.; *£ggerde8. De stole, Ictor. roman. eìusqiie historia  et ratioìie, Kostoch: Hofscaxn, De diàUctica vett, Ictor., Francof.,  1735, ne' suoi Melemata ad pandectas; Schaumburg, De iurisprud.  ceti. Ictor. stoica tractatiis, hoc est succincta demotutr. iuriscon-  sultos roman. non vita solum sed etiam doc trina stoicam philoso-  phiam esse profes>ios, lenae, 1745; *Pauli, De utilitatibus quas  attulit philos. ad iurisprud. ronianani, Lips.; Meister, De  plùìos. Ictor. Roman, stoica in doctrina de corpor. eorumque par-  tibus, Gott., 1756 [e neW Opusc. Syll., I, n, 10]; VanHoogwerf, De  car. tur. Boni, partibus stoam redolentibus, Traj ad Bhen.,  e nell'OsLRiCH, Thes. noe.; Boers^  De antropoì. Ictor. Roman, quatenus stoica est, Lugd. Bat.   [*Terpstra, De philos., cet. iurtsc, Francof., che trovo citato  dall*HoLT, Hist. tur. rom. lineam., Leod.] *Ortloff, Ueber  den Eiufluss der stoischen Philosophie auf das rom.Recht.,^ìàng.,  1797; *Vax Vollenhoven, De exigua vi quam philosophia graeca  habuìt in effórmanda iurisprudentia romana, Amstelod.; Ea-  TJEN, Hat die stoische Philos. bedeutenden Einfluss auf die rom.  juristischen Schriften gehabt? Kiel, 1839, ristampato nei lahrb. di  Sell, in, pagg. 66 e segg.; [Trevisani, Lo stoicismo coìisìderato in  relazione colla gìurisprud.'» roìnana, nella Gazzetta dei tribunali]; Voigt,  lus natur. bon. ti. Aequum, Leipzig; [Xaferrière, Memoire concernant V influence du stoicisme  sur la doctrine des iurisc. romains, nelle Mevi. de V Acad. des  scienc. mor. et politiques, X, 1860, pagg. 579-685. Fra noi usciva nel  1876 il lavoro dottissimo del MoRIA^'I, La filosofia del diritto nel  pensiero dei giureconsulti romani, Firenze. Sono ancora a no-  tarsi, benché tocchino solo punti speciali del tema: Eherton, sulla  terminologia stoica nel dir. romano, nella Quaterly RevieWj., di cui dà un sunto G. Pacciiìoxj, néìV Ardi, ginr., XXXVTII,  fase. 1-2; Lecrivain, Le terme stoicien verecundia dans la langue  des Dig., nella Nouvelle revue hist. de droit frane, et drang. Trattano pure del nostro argomento, benché non di proposito, i  seguenti: [Hopperus, lur. civil. lib. sex, Lovan.] CuiAcio, Observ.y 56,40; Merillio, Obsero.,\, 8; Turnebo,  Advers., Aurei.; Lipsius, Manud. ad stoic.  philos..^ nelle Opera. Antverpiae; Io., Physiol. stoic.,  nelle Opera, IV, 542; Kamos, Tribonianus, Lugd. Bat.; [Bodeus, Observat. et elem. phil. instrumentalis, Halae  Sax.; Ma-     'Jìp: SCOTIO, De sectis Sahinian et Proculeian, in iure civili, [ Lipsiae^  1728], Alld., 1740; Eokhardt, Ilerm. luris, Lips., e. 4; Walch,  Opp.; Gravina, De ortu et progr, iur. civ., Napoli; Brucker, Hist. crii, philos., Lipsiae; G. B. Bon, praef. al Leibnitz, Opusc. ad iur. peri., nel Leib-  NiTZ, Oper«, Genevae; Eineccio, Antiq.  rom., Venet.] ; VICO (si veda),  Scienza nova; *Welcker, Die letzten Grilnde von Recht  Staat u. Stafe, Giessen; *Id., Uni-  versa! u. Jurist. poh Encyclopadie, Stuttgart; Veder, Hist, phil. jur. ap. Veti.; Zimmern, Gesch.  des rum. Privatr.; Pcchta, Cursus der Instit.; Ahrens, Iur. Encyclop.,;  [Girard, Hist, du droit rom., Paris Aix;  OzANAM, Il paganesimo e il cristianesimo nel quinto secolo, trad. Car-  raresi, Firenze; Voigt, Aeìius und Sabinus-  sijst; Ianet, Hist. de la science polit., Paris; Sumner Maine, Ancien droit, .trad. frane, Paris; CONTI (si veda), Storia  della fdosofia, Firenze; Renan, Marc  Aurèle, 2 ed., Paris; Gregorovius, Der Kaiser  Hadrian, Stuttgart; Hofmann, Der  Verfall der rom. Rechtswiss., nei Krit. stud. im róm. Bechte, Wien; FERRINI (si veda), STORIA DELLE FONTI DEL DIR. ROM., Milano; Id., note al Gluck, trad. italiana; Krììgeii, Gesch. der Quell. u. Litteratur des rom. Rechts,  Leipzig; CARLE (si veda), La vita del diritto, Torino; Padelletti, Roma nella storta del diritto, neir Arch. gim\. Per la storia della filosofia in Roma, e per ciò che riguarda  in ispecie le sue attinenze al diritto, cfr. principalmente: Hildenbrand.  Cfr. sulla filosofia di CICERONE (si veda): Ritter, Hist. de la philos,  trad. frane. Tissot; Hildenbrand, Branbis, Gesch. der Entiv. der griech. Philos,  Berlin; Boissusr, La relig. romaine  d* Auguste aux Antonins, Paris ; BoissiER. Leggenda, alla quale porsero principale argomento i punti di  contatto che le dottrine di Seneca presentano con quelle cristiane, in,  ispecie Ruir immortalità dell' anima, sulla provvidenza, e sui doveri di carità (punti toccati con molta diligenza da Fleury, S. Paul et Senèque, Paris). Altro argomento estrinseco è la simpatia che mo-  strano per Seneca i Padri della chiesa: Seiuca noster: Tertull., De,an,, 20; Hieron., De vir. ili, 12; Io., Adv. lovin., 1,49; Lxct., Inst.  div.y IV, 24. Ed Agostino nota che Seneca non nominò forse i cri-  stiani per non lodarli cantra suæ patriæ veterem consuetudine tn »,  né riprenderli cantra propriam forsan volunlatem: Auc, De civ.  dei. Il tèrzo argomento dell' amicizia di Seneca con S. Paolo  si fondava sopra una grossolana falsificazione delle Kpistolae Senecae  ad Paullum.   Ricca è la letteratura riguardante questo argomento, che ha  un'importanza assai notevole pel tema che tocca direttamente dei rap-  porti della morale stoica colla cristiana. Cfr. principalmente, oltre Topera  or accennata del Fleury: Boissier, e  nella Revue des deux mondes; Aubkrtjn,  Senèque et Si. Paul^ Paris, 1869; Bau», Seneca ti, Paulus: das  VerMltn. des Stoiciwius zum Ghriat. n. den Schrift. Senecas, neWHe't-  delherg. Zeitschr. f. iviss. Theol.; e Abh.  zur (reseli, d. alt. PhiL, heratisg. v. Zeller, Leipzig; 'Westerburg, Der Ursprung der Saga das Seneca^ christì.  gewes. sei, Berlin. Tutto il contrario si sostenne dall'EcKHARD in  un curioso opuscolo, di cui basta riportare il titolo perchè se ne com-  prenda lo scopo: Obserc. sistens L. A, Senecam in relig. Christian,  iniuriosum, mella Misceli. Lipsiens., Lipsiae, GuEGOROvius; Renan; I rapporti che verrò enumerando furono notati, quali dall'uno  quali dall'altro degli scrittori che s'occuparono del nostro tema: quali  in uno quali in altro senso. Io non ho creduto di dover per ciascuno  di essi avvertire da chi fu notato, da chi omesso. Saiebbe inutile pel  lettore, al quale ciò che preme sopratutto si è di aver qui, come in  un quadro, il risultato complessivo delle questioni: quadro eh' io mi  studiai di delineare colla maggior cura e fedeltà che mi fu possibile. Otto a Boekelen. Contrariamente  Eckhard, op. cit.,; Merillio, obs.; BRINI (si veda), DELLE DUE SETTE DEI GIURECONSULTI ROMANI, Bologna; Malquytius; Gibbon, Hist. de la dee. de  Temp. rom.; Eckhard; Laperrière; Renan, op. cit., pag. 605; Wjllelms, Droit pubi,  rom., Paris; Pernice, M. A. Labeo, Halle.  Cfr. anche Padelletti noWArch. giur.; PucHTA, Inst.; Lafehiuère. Cfr. SciALOJA, nel BULL. DELL’IST. DI DIR. ROM.; BoNFANTE, L'origine deìVìiereditas e dei legati nel dir. sìACcess.  romano, Del cit. Bullettino; Lafeuuièue; Trevisani, op. cit., nella Gazz. dei 2'rib..  sostiene che i romani ebbero ognora in gran sfavore il soicidio. Ricorda che costituiva vizio redibitorio per lo schiavo il suo tentativo  di suicidio, anteriore alla vendita; ma davvero non occorre osservare  come ciò sia spiegato chiaramente dalla considerazione economica  verso il padrone (fr. 1 l 1, fr. 23 l 3 D. 21,1). E il. tentativo di  suicidio punito per rescr. di Adriano nel soldato, non è spiegato ab-  bastanza da considerazioni di ordine pubblico e dalle necessità della  disciplina militare? Cfr. in questo senso: Ferii ini, Dir. pen. rom., nel  'Tratt. teor. prat. del Cogliolo; Ferrini, Teoria dei leg. e fedecomm,, Milano.   T:oiT(xioLi yi] T:XaYYjvat TrpoxaXijaiTO. Cfr. Keller, Die philos. der Griechen in ihr. geschichll. Entivicklung, 4 Aufl., Leipzig. Ravaisson, Mem. sur le stoicisme, nelle Meni, des inst. imper.  de France ; Acad. des inscr. et beli, lettr.;  GorpERT, Ueber einheitl. zusammeìvgesetz. u. gesammt. Sachen, Halle. È oggetto di dispute gravi il fr. 30 §. 1 D. 41,3: Pomp.,  30 ad Sab.: Labeo lìbris epistularuui ait si is, cui ad tegularum vel  columnarum usucapionem decem dies superessent, in aedifìcium eas  coniecisset, nihilo minus cum usucapturum, si aedifìcium possedisset.  quid ergo in bis quae non quidem implicantur rebus soli, sed mobilia  permanent, ut in anulo gemma? in quo veruni est et aurum et gem-  mam possideri et usucapì, cum utrumque maneat integrum. In esso alcuni scrittori ravvisarono un' eccezione utilitatis causa  alla regola generale formulata nei testi succitati, per la quale ecce-  zione si ammetterebbe il proseguimento deirusucapione delle tegole e  delle colonne, anche pel tempo in cui perdono la loro individua na-  tura, coir entrare a far parte della res connexa^ edifizio. Così Wind-  scheid, Pand, 6 Aufl., Pampaloni, La legge  delle XII Tav. de tigno iunclo, Bologna, 1883, estr. dair^rc^. giur.,  Altri, invece, si sforzò di ricercarvi lo stesso senso dei testi citati col dare al nihilominus il sifirnifìcato di non. Così Kjeiiulf, Civilr.; Uxterholzxkii. Verjà'hrungfilehre hearh. v, Schirmer; SINTE^'Is, uell' Arcìi, f. civiì, Prax., XX, pagg. 75 e  segg., e System. Altri ancora cercò in vario modo di togliere al testo valore sre-  nerale, limitandone la i)ortata alla specialità in esso contemplata. E  però, intese che vi si trattasse di tegole e di colonne non incorporato  ' solidamente alFedifìzio: (Savigny, Besitz, pag. 269; Randa, Besitz); che la regola formulata nel testo valesse soltanto pel caso in  cui l'incorporazione delle tegole e delle colonne nell'edifizio avvenisse  quando questo già era compiuto, quando cioè, per tal modo, Teventual^  distacco di esse non urta contro la ratio della legge de tigno iuncta  « ne urbe ruinis deformetur » (Scheurl, Ziir Lelire vom rum. B'e^  sitZf §. 23); oppure valesse solo trattandosi di mobili incorporati al-  Tedifizio, ma non parti essenziali di questo ( Ruggieri, Il possesso). Sempre in questa tendenza di limitare il valore del testo,  negando ad esso portata generale, altri scrittori intesero restrittiva-  mente il termine dei decem dies, in esso formulato, in applicazione  della massima romana di non tener conto dei minima ( Thibaut nel-  YArch, f. civ. Prax.; Puchta, KÌ, civ. Schrift.Pape, Zeitschr. f. CiviJr. ii, Proc. N. F.); spiegarono la sentenza del testo colla impossibilità dell' ir-  surpatio dei materiali nei 10 giorni mancanti, per la ragione chf, occorrendo un termine di almeno 10 giorni dalla editio actionis per  giungere alla litis contestatio^ se si agiva qando mancavano 10 soli  giorni ad usucapire, la ì'ei vindicatio non serviva a rendere innocua  r usucapione ( Savigny, Besitz, Eisele, lahrh. /I  Bogrn., N. F.  o finalmente intesero che nel  testo fosse contemplato il solo caso di unione delle tegole e delle colonne ad un edificio incompiuto e che la legge de tigno iuncto non  impedisse di staccamele, per essere 1' unione recente di 10 giorni  (Meischeider, Besitz u. Besilzschntz,Codeste varie interpretazioni e spiegazioni sono riassunte dal  WiNDSCHEiD, c, più complctamento, da Perozzi, Sui  possesso di parti di cosa^ negli Studi giur. e stor.per VVIII cenfen.  delV Università di Bologna, Roma., il qualo  confuta ciascuna di esse, per giungere alla conclusione che le tegole  e le colonne incorporate all'edifizio sì posseggono e s'usucapiscono non  perse, a parte, ma solo in conseguenza del possesso e dell'usucapione  dell'intero, a differenza della gemma e dell' anello che si posseggono  e s'usucapiscono per se. Hering; Eckhaud, La-  rERiuÈRE; Moriani; Cfr. Trevisani, nella Gazz. dei trib., Laperrière;  DiRKSEN, Ueheì' CICERONE s unlergegangene Schri/t: De iure  civili in arte redigendo, nelle philol. u. Philos. Ahhandl. der k. Aka-  demie der Wissensch. zu Berlin, Hjljen-  BRAND, Voigt, Aelivs und Sa-  hinussìjst.., Si connette a questa influenza formale d' ordine generale la ri-  cerca delle etimologie, comune ai giuristi, segnatamente dopo Labeone.  Qui Timitazione degli stoici fu riconosciuta quasi da tutti che ebbero  ad occuparsi del nostro tema. Cfr. da ultimo Lersch, Die Sprach-  philosoph, der Alien. Senonchè, nonostante gli sforzi di un accurato lavoro (CECI, Le etimologie dei' giureconsulti romani,  Torino ) persisto nel credere che sull’indole e sul valore delle  ricerche etimologiche dei giuristi rimanga saldo tuttavia il giudizio  severo ch’ha a formularne Pernice, M. A. Laheo, Si veggano i testi raccolti ed elaborati, non occorre dire con  quale diligenza- e acutezza, dal Voigt, Ius. natur, MoRiANi; Ratio derivazione dall'indiano rita e ratum, ordinamento  dell'universo e della natura terrestre, comprese le cose umane. Così  Leist, Civ. Stad., Katuralis ratio und Natur der Saclie; Civ. Stud, Gracco ital. Rechtsgesch., Iena, SuMNER Maine, Ancien droit, Etudes sur Vane, droit; HiLDENBRAND, Cfr. da ultimo l'acuta ricostruzione del Brini, Ius naturale,  Bologna. La condizione patrimoniale del coniage superstite  nel diritto romano classico, Bologna, Fava e Garagnani;  Il diritto privato romano nelle comedie di Plauto, Torino, Fratelli Bocca; Le azioni exercitoria e institoria nel diritto romano, Parma, Battei. Guido Ceronetti. Keywords: la lanterna, la lantern di Diogene, poesia latina, Catullo, Marziale, Orazio, Giovenale, il filosofo ignoto, la pazienza del … Aforismi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceronetti” – The Swimming-Pool Library. Ceronetti.

 

Grice e Cerroni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale hegeliana -- Gaus e il sistema di diritto romano -- i hegeliani – scuola di Lodi – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Lodi). Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Lodi, Lombardia. Grice: “I like Cerroni; he is very Italian: what other philosopher – surely not at Oxford – would philosoophise on the precocity of Italian identity? But his more general philosophical explorations may interest the Oxonian who is not into “Italian studies”! – My favourites are his “Logic and Society,” which reminds me of my “Logic and Conversation.” Then he has a ‘dialectiics of feelings,’ which is what all my philosophy of communication is about; he has also philosophised on anti-contractualist philosophers like Benjamin Constant --!” Studia a Roma con Albertelli e si laurea in Filosofia del diritto.  Ottenne la libera docenza in Filosofia del diritto e l'incarico di Storia delle dottrine economiche e di Storia delle dottrine politiche all'Lecce.  Divenne professore di ruolo di Filosofia della politica e ha insegnato a Salerno e all'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha insegnato per piùdi venti anni Scienza della politica nella Facoltà di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Sempre all'Università "La Sapienza" di Roma, era stato nominato professore emerito. Macerata gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze politiche. Altre opere: “Problemi attuali di storia dell'agricoltura dell'U.R.S.S.” (Milano: Ed. Centro Per La Storia Del Movimento Contadino); “Il sistema elettorale sovietico” (Roma: Tip. dell'Orso); “Legge sull'ordinamento giudiziario dell'U.R.S.S.” (Roma: Ed. Associazione Italia-U.R.S.S, sezione giuridica (Tip. Sagra, Soc. arti grafiche riproduzioni artistiche) Recenti studi sovietici su problemi di teoria del diritto” Bologna); Sul carattere dei movimenti contadini in Russia” (Milano: Movimento Operaio); Studi sovietici di diritto Internazionale: A cura della sezione giuridica della associazione Italia-urss. [presentazione di Umberto Cerroni, Roma: Tip. Martore e Rotolo); La dottrina sovietica e il nuovo codice penale dell'URSS, C., .S.l. (Bologna: STEB); Poeti sovietici d'oggi, Roma: Tip. Studio Tipografico, Per lo sviluppo degli studi storici sulla Russia, Bologna: STEB); Diritto ed economia: rilevanza del concetto marxiano di lavoro per una teoria positiva del diritto, C. Milano: Giuffrè); Idealismo e statalismo nella moderna filosofia tedesca, Milano: Giuffrè; Individuo e persona nella democrazia, C. Milano: Giuffrè); “Il problema politico nello Stato moderno, C., .Milano: Giuffrè; Diritto e sociologia, C.,  Kelsen e Marx, C. Milano: Giuffrè); L'etica dei solitari; C., Milano: Giuffrè); Lenin e il problema della democrazia moderna: saggi e studi (Roma: NAVA) Parlamento e società; C. Edizioni giuridiche del lavoro); La prospettiva del comunismo, Marx, Engels, Lenin Roma: Editori Riuniti); Ritorno di Jhering: Edizioni giuridiche del lavoro, (Città di Castello: Unione arti grafiche) Sulla storicità della distinzione tra diritto privato e diritto pubblico Milano: Giuffrè); La critica di Marx alla filosofia hegeliana del diritto pubblico; C., .Milano: Giuffrè); La filosofia politica di Gentile; C. (Novara: Tip. Stella Alpina) La nuova codificazione penale sovietica / C. Edizioni giuridiche del lavoro); Concezione normativa e concezione sociologica del diritto moderno / C. S.l.: Edizioni giuridiche del lavoro); Diritto e rapporto economico / Umberto Cerroni.Milano: Giuffrè); Kant e la fondazione della categoria giuridica, C. .Milano: Giuffrè); Marx e il diritto moderno, C., Roma: Editori Riuniti); Teorie sovietiche del diritto / Stucka...(et al.); C. .Milano: Giuffrè); Saggi / Benjamin Constant; introduzione di C., Roma: Samonà e Savelli); Il diritto e la storia, C.. Le origini del socialismo in Russia / C., Roma: Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni, C..Roma: Riuniti,  Un ouvrage recent sur Marx et le droit: C., Marx e il diritto moderno, Rome, par Michel Villey.[Paris]: Sirey); Che cos'è la proprietà?, o, Ricerche sul principio del diritto e del governo: prima memoria, Pierre-Proudhon; prefazione, cronologia, C., Bari: Laterza); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali: relazioni sugli aspetti generali, C., .[Milano: Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale,  (Milano: Tipografia Ferrari) La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato” (Torino: Einaudi); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni” (Roma, Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre; C., Roma: Editori Riuniti); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau” (Bari: Laterza); La libertà dei moderni” (Bari: De Donato); Metodologia e scienza sociale” (Lecce: Milella); Problemi della legalità socialista nelle recenti discussioni sovietiche, C. .Milano: A. Giuffrè); “Sulla natura della politica: utopia e compromesso” (Milano: Giuffrè); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali”; Il metodo dell'analisi sociale di Lenin” (Bari: Adriatica); Il pensiero giuridico sovietico” (Roma: Editori Riuniti);  La questione ebraica” (Roma: Editori Riuniti); La società industriale e la condizione dell'uomo” (Lecce: ITES); “Sul metodo delle scienze sociali: una risposta” (Milano: Giuffrè); Principi di politica, Constant; Roma: Editori Riuniti); Strade per la libertà” (Roma: Newton Compton); Tecnica e libertà: conferenza tenuta al Lions club di Bari (Padova: Grafiche Erredici) Tecnica e libertà / C., Bari: De Donato); Lavoro salariato e capitale / Appunti sul salario e appendice di Engels; Introduzione, cura e note filologiche di C., Roma: Newton Compton italiana, La societa industriale e le trasformazioni della famiglia, C., Milano: Giuffrè); Salario, prezzo e profitto / Marx; introduzione di C., Roma: Newton Compton); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin; introduzione di C. Roma: Newton Compton italiana); Teoria della crisi sociale in Marx: Una reinterpretazione, C., Bari: De Donato); Strade per la libertà / Russell; introduzione di C., Roma: Newton compton italiana); Discorso sull'economia politica e frammenti politici, Rousseau; tr. Spada; prefazione di C., Bari: Laterza); Caratteristiche del romanticismo economico, Lenin; prefazione di C., Roma: Editori Riuniti); Kant e la fondazione della categoria giuridica / C., .Milano: Giuffrè); La libertà dei moderni, C., Bari: De Donato; Marx e il diritto moderno, C., .Roma: Riuniti; Il pensiero di Marx / Antologia C., con la collaborazione di Massari, Roma: Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / C. Roma: Riuniti); Saggio sui privilegi: che cosa e il Terzo stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes; introduzione di C., Roma: Editori Riuniti); Lo sviluppo del capitalismo in Russia; Lenin; introduzione di C..Roma: Riuniti); In memoria del manifesto dei comunisti, Labriola; Manifesto del partito comunista / Marx-Engels; introduzione di C., Roma: Newton Compton); La libertà dei moderni, C., Bari: De Donato); Teoria politica e socialismo; Roma); Il pensiero di Marx / antologia C., ; con la collaborazione di Massari, Roma: Editori Riuniti); Teoria della crisi sociale in Marx: una reinterpretazione (Bari: De Donato); Teoria politica e socialismo” (Roma: Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Marx; con appunti sul salario e appendice di F. Engels; introduzione, cura e note filologiche di C., Roma: Newton Compton); Marx e il diritto moderno, C., .Roma: Riuniti); Il marxismo e l'analisi del presente / C., Politica ed economia); Societa civile e stato politico in Hegel” (Bari: De Donato); Salario, prezzo e profitto” (Marx” (Roma: Newton Compton italiana); Il lavoro di un anno: almanacco, C., .Bari: De Donato); Il pensiero di Marx / Marx; Roma: Riuniti); Il pensiero politico: dalle origini ai nostri giorni” (Roma: Editori Riuniti); Il rapporto uomo-donna nella civiltà borghese, ed.Roma: Ed. Riuniti); Scienza e potere / scritti di C... <et al.>.Milano: Feltrinelli); Stato e rivoluzione, Lenin” (Roma: Newton Compton); Lo sviluppo del capitalismo in Russia” (Roma: Riuniti); La teoria generale del diritto e il marxismo, Pasukanis; con un saggio introduttivo di C., Bari: De Donato); Introduzione alla scienza sociale, Roma: Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Marx; con appunti sul salario e appendice di F. Engels; introduzione, cura e note filologiche di C. .Roma: Newton Compton, Materialismo storico e scienza C. Lecce: Milella); Il rapporto uomo-donna nella civilta borghese, C., Roma: Riuniti, Salario, prezzo e profitto / Karl Marx; introduzione di C., Roma: Newton Compton); Sulla storicità dell'eros: note metodologiche / C.); Crisi ideale e transizione al socialismo, C. Roma: Riuniti); Scritti economici,  Lenin; C., .Roma: Riuniti); Stato e rivoluzione, Lenin; introduzione di C., Roma: Newton Compton); Carte della crisi: taccuino politico-filosofico, C., Roma: Riuniti, Crisi del marxismo? C., intervista di Roberto Romani.Roma: Editori Riuniti); Critica al programma di Gotha e testi sulla tradizione democratica al socialismo, Marx; C., Roma: Riuniti, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica, Lenin; C.. Roma: Riuniti, In memoria del manifesto / Antonio Labriola; introduzione di C., Roma: Newton Compton Editori); Che cos'è la proprietà?: o ricerche sul principio del diritto e del governo: prima memoria, Proudhon; prefazione, cronologia, biografia C. Roma; Bari: Laterza, Lavoro salariato e capitale, Marx; con appunti sul salario e appendice di Engels; introduzione di C. Roma: Newton Compton); Lessico gramsciano, C. Roma: Riuniti); La prospettiva del comunismo, Marx, Engels, Lenin; C., Roma: riuniti); La questione ebraica e altri scritti giovanili, Marx; introduzione di C., Roma: Editori riuniti); Saggio sui privilegi: che cosa e il terzo stato? Sieyes; introduzione di C.,: tr. Giannotti. Roma: Editori Riuniti, Strade per la liberta, Russell; introduzione di C. tr. Stampa, Roma: Newton Compton); Teoria del partito politico (Roma: Riuniti, I giovani e il socialismo, Marx, Engels, Lenin, GRAMSCI; C., Roma: Editori Riuniti); Introduzione alla scienza sociale, Roma; Storia del marxismo, Predrag Vranicki; introduzione di C., Roma: Editori Riuniti, Quasi una vita... e anche meno, poesie di Italo Evangelisti; prefazione di C.” (Milano; Roma); “Che cosa fanno oggi i filosofi? Milano); “Logica e società: pensare dopo Marx” (Milano: Bompiani, La democrazia come problema della società di massa; Principi di politica” (Roma: Riuniti); “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico” (Roma: Editori Riuniti); Il pensiero di Marx: antologia, con la collaborazione di Massari e Nassisi, Roma: Riuniti, Scritti economici” (Roma: Riuniti); Teoria della società di massa” (Roma: Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina” (Roma:riuniti, Politica: metodo, teorie, processi, soggetti, istituzioni e categorie, C., Roma: NIS); La politica post-classica: studi sulle teorie contemporanee” (Taviano: Lit. Graphosette) Urss e Cina: le riforme economiche” Centro studi paesi socialisti della Fondazione Gramsci. Milano: F. Angeli, stampa, Che cosa è il terzo stato con il Saggio sui privilege” (Roma: Editori Riuniti, Democrazia e riforma della politica: Lo Statuto del nuovo PCI, C., Roma: Partito Comunista Italiano, Regole e valori nella democrazia: stato di diritto, stato sociale, stato di cultura” Roma: Riuniti, La cultura della democrazia, C., Chieti: Metis, Che cosa e il Terzo Stato? Sieyes; C., Roma: Riuniti, La rivoluzione giacobina / Robespierre; C.; traduzione di Fabrizio Fabbrini; apparati biobibliografici di Grazia Farina.Pordenone: Studio Tesi, Manifesto del partito comunista / Marx, Engels; nella traduzione di Labriola; seguito da In memoria del manifesto dei comunisti di Labriola; introduzione di C., Roma: TEN, Nazione/regione: i contributi regionali alla costruzione dell'identità nazionale, Battistini, C.,Prospero.Cesena: Il ponte vecchio, L'ambiente fra cultura tecnica e cultura umanistica: seminario svoltosi presso l'ANPA, C.; A. Albanesi, M. Maggi e L. Sisti.Roma: Anpa, [Novecento: almanacco del ventesimo secolo, Cesena: Il ponte vecchio, Il pensiero politico italiano, C. .Roma: Newton Compton, Il pensiero politico del Novecento, C., Roma: Tascabili economici Newton); “Le regole del metodo sociologico” (Roma: Riuniti, Regole e valori nella democrazia: Stato di diritto, Stato sociale, Stato di cultura, C. Roma: Editori Riuniti, L'identità civile degli italiani, C., .Lecce: Manni, L'ulivo al governo: come cambia l'Italia, interventi di C., Roma: Philos, stampa Politica, C. .Roma: Seam, Confronto italiano: atti degli incontri di Cetona, Bechelloni, C., Firenze: Ed. Regione Toscana, stampa (Firenze: Centro Stampa Giunta regionale); “L'identità civile degli italiani” (Lecce: Manni, Lo Stato democratico di diritto: modernità e politica, C. Roma: Philos, stampa, Habeas mentem: Scuola e vita civile, C., Rionero in Vulture (Pz): Calice, Conoscenza e societa complessa: per una teoria generale del sensibile” (Roma: Philos, Ricordo di Marisa De Luca C. / scritti di C. et al.Lecce, stampa Confronto italiano: atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni (Firenze: Ed. Regione Toscana, stampa  (Centro Stampa Giunta Regionale) Taccuino politico-filosofico C. .Roma: Philos, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma: Meltemi, Taccuino politico-filosofico, C. Lecce: Manni, Le radici culturali dell'Europa, C.,  Lecce:Manni, Radici della civiltà europea, Lecce: Manni,Globalizzazione e democrazia, Lecce: Manni, Taccuino politico-filosofico, Lecce, Taccuino politico-filosofico C., San Cesario di Lecce: Manni, L'eretico della sinistra: Bruno Rizzi elitista democratico” (Milano: F. Angeli,  Taccuino politico-filosofico, Lecce; La scienza e una curiosita: scritti in onore di C./ Perrotta; con la collaborazione di Greco” (San Cesario di Lecce: Manni, Manifesto del partito comunista, Marx,  Engels; nella traduzione di LABRIOLA; seguito da In memoria del Manifesto dei comunisti di Labriola” (Roma: Newton et Compton, Dialettica dei sentimenti: dialoghi di psicosociologia, C.,, A Rinaldi. San Cesario di Lecce: Manni, [Taccuino politico-filosofico, C. [San Cesario di Lecce]: Manni, Ricordi e riflessioni: un dialogo con Vagaggini, C., Montepulciano: Le Balze. Le fonti del dritto romao. r 'SeUieae il dritto ocHisiderato astrattamente abbia uoa  brigioe ed nn priocipio onìoo ed assolato, pure quando sf attna come dritto d’un’epoca e d'un popolo, perchè dipende da tante le condizioni storiche dell'uno e dell'altra, emana per organii diversi, e prende forme  e manifestazioni varie e conformi allo spirito di esse. Per questo intimo rapporto fra la vita intima d'un popolo ed il dritto POSITIVO di esso, fra questo e gl’organi esterni onde si manifesta, i più ingegnosi ed intelligrati che si fecero a trattare del DRITTO ROMANO, crederono essenziale investigarne avanti tutto le fonti  e gl’organi, per ì quali ebbe vita e realtà. Una tale investigazione non riesce difficile quantunque volte vi  abbia unità di poteri, o sieno questi armonicamente  distinti, sicché la storia di essi succedendosi pacatamente ed uniformemente è facile intraviNlere l’origine ed il principio di ciascuna legge. Ma nella storia romana in cui la moltiplicità e la lotta dei partiti, il  tumulto, che non si scompagna da una VITA AGITATA E GUERRIERA, ed i cambiamenti rapidi e violenti, onde  si avvicenda la storia di Roma, rendono oltromodo difficilè e malagevole lo studio della genesi e el processo d’ogni fatto storico in generale e di quelli del  dritto in particolare. Per questo saggio però non vi ha  difetto di materiali né di testimonianze storiche. Quando al tumulto dell’esistenza pubblica tenne dietro il  silenzio e la quiete della vita privata, quella stessa forza che fa il sublime degl’eroi romani, e rese  invincibili le schiere dello repubblica, detta le  sentenze dei più grandi giureconsulti che ricordi la storia. E questi non lasciano nulla a desiderare di testimonianze e prnove storiche nella ricerca delle fonti  del dritto romano. È ormai indubitato, in che A\i-   §. 0. r. l r. ì. 7. fi. dt jmt. H}ì0^V. i.) CICERONE Té.   M CAJO ferissero il JVS GENTIVM dal JVS CIVILE quale impcnrtanza ed es0i:essìone avesse il DRITTO PRETORIO  nella storia del dritto romano, quale processo tenevasi nelle  determinazioni popolari, da qual momento ha FORZA LEGISLATIVA. Ciascuno di questi fatti è si intimamente  incarnato nella storia di Roma, che ne forma im eie-, mento, ed accenna ad uno dei periodi di essa. Non  havvi però la medesima certezza sull’importante questione dà qual tempo i senatoconsulti ebbero forza legislativa e le opinioni dei moderni sono diverse, come pure discordanti sono a tal proposito le testimonianze degl’antichi scrittori; giacché alcuni ritengono  per indubitato che i senato-consulti non hanno forza legislativa prima del tempo di TIBERIO,  abbisognandovi avanti tutto che sono confermati nei  comizii perchè valeno come altrettante leggi; mentre  altri sostengono l'opinione contraria, ed avvisano che I SENATO-CONSULTI SONO UNA FONTE DI DRITTO ANCHE AL TEMPO DELLA REPUBBLICA, giacché molto prima di Tiberio occorrono senato-consulti sulle materie di dritto privato, e particolarmente il [Sileniarmm. È necessario avanti tutto far considerazione, che in una tale questione importa moltissimo il distinguere quello  che intendesi investigare, se i Senatoconsulti cioè sie no stati semplice fonte del dritto al tempo della repubblica o abbiano avuto anche FORZA DI LEGGE. Di quanta  importanza sia una tale distinzione basta a provarlo il  diritto pretorio. A tutti è noto qual parte essenziale  questo rappresenti nella storia del dritto Romano  co-  pica y cap. 5. -^ TheopkUtis, ad U e. L />• de m^. juris Hugo, SU^ia id driUo, Bach., Histar. jurù Dion. D'JUcamis. Polibio, lib. Vf.  p. &62. — Tacili, Ajffr^ i. 15. um primum e campo comi-  Ita ad paires tramlata sunt. Dian. Canio, CICERONE, TOPICA, e. 5« « VI SI QVIS IVS CIVILE DICAT ID ESSE Vi  quod in kgibìés, senatuicmiultis rebtis judìcaiis, jurisperitorwn  auctoritate, ediclis magistralum eie. consistat. Theophilus,  ad I. Pomponius^ l % § 9. de origin. jum.Oratiu$, Ep, ì. i6. WLIA SCOYBftTA sprima relemmU) umanitario in opposiziose dell’elemento civile romano, sia l' anellp, per il quale  il dritto romano si connette con quello dell’umanità,  di'esso in fine pone le basi del dritto posteriore Romano; e pure non ebbe per se stesso ed immediatamente FORZA DI LEGGE. Sicché quando si dimanda se i senato-consulti sono una fonte del dritto al tempo della repubblica non si può affermare il contrario. La loro ezistenza istessa e l’importanza del Senato ne fa  nuova. Ma da qual tempo ha forza legislativa? Non vi ha alcuna legge che riconosca loro un tale carattere, mentre per contrario ne’ plebisciti è detto:  ET ITA FACTVM EST, ut inter PLEBISCITA ET LEGEM species constituendi interessent, potestas autem eadem  e^/ i ; e certamente non sarebbesi mancato di affermare il medesimo dei senato-consulti, quando ciò fosse stato. Un tal cambiamento dove avvenire nei tempi posteriori alla republica, quando più difficili e rari addivennero i comizii che confermavano le determinazioni  del Senato a quia difficile PLEBS CONVENIRE coepitj POPVLVS certo multo diffìcilius in tanta turba homimm necessitas ipsa curam reipublica ad Senatum dedimit. Questa opinione è conferorota dalle seguenti parole  di GAIO   Comm. Senatusconsultum est quod Senatus jubet atque consisterit idque LEGIS VICEM obtinet quamvis  fuit quaesitum. E perchè le ultime parole “quamvis fuit quaesitum” non accennano alla lotta dei partiti ma alle diverse opinioni delle due scuole dei Sabiniani e dei Proculejani, ne segue, che anche al tempo di queste LA CONSUETUDINE per la quale IN DIFETTO DI LEGGE espressa  i senatoconsulti prendevano FORZA LEGISLATIVA, non è  ancora addivenuta un fatto certo ed indubitato. Sul/t/^ hanorarium e particolarmente l’antica questione, se Y Edictum perpetunm costituisse sotto ADRIANO un CODICE, che è coi precedenti Editti Preterii nel medesimo rapporto che le Pandette cogli scritti dei giuristi, o pure fosse un semplice lavoro privato M CkJO^ i 5   BB&wiiìb dall' Imperadore senza ehe arrestasse il movimento della legislazione Pretoria, sembra decisa a favore di quest’ultima opinione colle parole. Jus mttem edicendi habent magistratus popvM Mo^  mani '^-^ Qu(wst<^res non mittuntur: id Edicium m  pt'omnciis non proponitur. Le nostre conoscenze per contrario non si avvantaggiano in menomo modo ooUa scoverta delle Istituzioni di Gaio sulle quistioni, che riguardano i responsi prui dentum, la distinzione del jus scriptum e non scriptum che ritenevasi communemente di origine greca senza che un tal difetto fosse un gran aniio giacché le notizie e le conoscenze che ci vennero a  tal proposito per altri scrittori, sodisfano abbastanza  ai bisogni della scienza. Umberto Cerroni. Keywords: Hegel and Roman law -- i hegeliani, categoria giuridica, Trasimacco, Kelsen, Eduardo Gaus, Hegel, sistema di diritto romano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerroni” – The Swimming-Pool Library. Cerroni.

 

Grice e Certani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sacrificio – filosofia romana – scuola di Bologna – filosofia bolognese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “I like Certani – but then in Italy they learn Hebrew at school, whereas we at Clifton separated Montefiore from the rest!” Grice: “Certani philosophised, like Kierkegaard later will, on ‘L’Abraamo,’ Insegna a Bologna. Opere: “Conclusioni di filosofia” e di teologia. Insegna a Cesena, Brescia, Milano e Bologna. Si laurea a Bologna. Altre opere: “Abramo: Caino ed Abele” (Venezia); “Francesco Saverio” (Bologna, Ferrosi); “La verità vendicata; cioè Bologna difesa dalle calunnie di Francesco Guicciardini. Osservazioni Istoriche dell'Abate Giacomo Certani Canonico Dott. Teologo Colleg. Filosofo, e nell'Bologna pubblico Professore di Filosofia morale. In Bologna per gli Eredi del Dozza); “Maria Vergine Coronata. Descrizione, e dichiarazione della divota Solennità fatta in Reggio per Prospero Vedrotti); “La Chiave del Paradiso; cioè, invito alla Penitenza alle Cavalieri” (Bologna per Giacomo Monti); “Il Gerione Politico, Riflessioni profittevoli alla vita civile, alle Repubbliche, e alle Monarchie” (Milano, Compagnini); “S. Patrizio Canonico Regolare Lateranense Apostolo, e Primate dell'Ibernia; descritta dall'Abate D. Giacomo Certani ec.” (Bologna nella Stamperia Camerale); “L'Isacco ed il Giacobbe” (Bologna, per il Monti); “La Santità Prodigiosa, Vita di S. Brigida Ibernese Canonichessa Regolare di S.Agostino Scritta dall'Ab. D. Giacomo Certani Canonico Regolare Lateranense Dott. Filosofo e Teologo Collegiato ec. per gli eredi di Antonio Pisarri); “La Susanna in versi, notata da Lorenzo Legati: nel suo museo Cospiano ae la nota ancora Gregorio Leti nell'Italia Regnante parte III lib. II, ove parla di Questo soggetto. Oltre i sopraccennati ne parla ancora l'Orlandini negli Scrittori Bolognesi ec.  Marco Curzio Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il dipinto attribuito al Bacchiacca, vedi Marco Curzio (dipinto). Marco Curzio è un personaggio leggendario della Roma antica, appartenente alla gens Curtia. Benjamin Haydon, Marco Curzio si getta nella voragine, National Gallery of Victoria. La leggenda narra che nel 362 a.C. nel Foro Romano si aprì una voragine apparentemente senza fondo. I sacerdoti interpretarono il fatto come un segno di sventura, predicendo che la voragine si sarebbe allargata fino ad inghiottire Roma, a meno che non si fosse gettato in quel baratro quanto di più prezioso ogni cittadino romano possedeva.  Il giovane patrizio Marco Curzio, uno dei più valorosi guerrieri dell'esercito romano, convinto che il bene supremo di ogni romano fossero il valore e il coraggio, si lanciò nella fenditura armato e a cavallo, facendo così cessare l'estendersi della voragine.  Questo autosacrificio agli dei inferi (Mani) era detto devotio.  Il luogo dove si formò la voragine rimase nella leggenda con il nome di Lacus Curtius. La leggenda è narrata da Tito Livio nei suoi Annali.  Una statua equestre della tarda latinità - in grandezza ridotta rispetto al naturale - rappresentante Marco Curzio si trova a Carrara, inserita nelle mura Albericiane in corrispondenza della Porta cittadina.  Il grande attore Antonio de Curtis, in arte Totò, sosteneva che la sua famiglia discendesse da questo personaggio leggendario. Cùrzio, Marco, su sapere.it, De Agostini. Marco Curzio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Mitologia Ultima modifica 2 anni fa Gens Curtia famiglie romane che condividevano il nomen Curtius  Lacus Curtius Punto d'interesse nel Foro romano  Marco Curzio (dipinto) dipinto attribuito al Bacchiacca  Wikipedia IlGiacomo Cerretani. Jacopo Certani. Giacomo Certani. Keywords: il sacrificio, Marco Curzio, devozione --  Il cavaliere penitente; ossia, la chiave del paradiso, chastita, maschile. Christian masculinity, Percival, The Holy Grail, the knight-penant, cavalier penitente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Certani” – The Swimming-Pool Library. Certani.

 

Grice e Ceruti: l’implicatura conversazionale di Niso -- ovvero, dell’altruismo – scuola di Cremona – filosofia cremonese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo cremonese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Cremona, Lombardia. Grice: “Ceruti is a good one – he has philosophised on solidarity – and previously on altruism – these are VERY different concepts, as he notes – but also on ‘vinculum,’ a nice Latin word for what I’m into! – “A Griceian at heart!” --  Grice: “Only one T!”. Tra i filosofi protagonisti dell'elaborazione del pensiero complesso, è uno dei pionieri della ricerca contemporanea inter- e trans-disciplinare sui sistemi complessi.  La sua filosofia si produce all'intersezione di una pluralità di domini di ricerca: epistemologia (filosofia e storia della scienza, storia delle idee, noologia…), scienze della natura (fisica, biologia, cosmologia…), scienze dell'uomo (antropologia, sociologia, psicologia, storia…), scienze dell'organizzazione e del management. Si laurea in filosofia della scienza con Geymonat con “L'epistemologia genetica di Piaget” nella quale, attraverso l'analisi dell'epistemologia viene posto il problema del ruolo della biologia e delle scienze del vivente, nelle varie articolazioni disciplinari, come decisiva interfaccia fra le scienze fisico-chimiche e le scienze umane, in grado di favorire processi di circolazione concettuale e di traduzione reciproca fra vari e multiformi campi del sapere. Nei suoi studi ha affrontato le questioni del significato filosofico ed epistemologico delle maggiori rivoluzioni scientifiche del ventesimo secolo (teoria dei quanti, relatività, teoria dei sistemi, biologia molecolare) focalizzando le sue ricerche sui temi del cambiamento stilistico e delle relazioni fra stile e contenuto nella storia delle idee, nonché dello statuto conoscitivo dei risultati innovativi connessi alle rivoluzioni scientifiche. Una sintesi di queste ricerche è contenuta nell'opera Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica di Piaget. Assunto da Ginevra, presso la Facoltà di Psicologia e scienze dell'educazione fondata da Piaget, in qualità di assistant, svolgendo ricerche nel gruppo di lavoro coordinato da Munari. In questo periodo approfondisce le relazioni che connettono l'opera di Piaget a vari modelli e approcci del contesto scientifico a lui contemporaneo: alla termodinamica di non equilibrio di Prigogine, alle ricerche sul concetto e sui processi di auto-organizzazione e autopoiesi, all'embriologia di Waddington, ai nascenti dibattiti sul significato delle ricerche della biologia molecolare. Il tema chiave di queste convergenze disciplinari è la possibile delineazione di modelli generali del cambiamento, nonché del ruolo della discontinuità in questi modelli. L'approfondimento dei singoli filoni disciplinari gli consente di interrogarsi più estensivamente sul significato profondo e complessivo dei cambiamenti paradigmatici delle scienze alla fine del ventesimo secolo: dalla convergenza di varie discipline emerge la prospettiva di una scienza nuova, caratterizzata da precise assunzioni relativamente alla natura del cambiamento, alla relazione fra soggetto e mondo, al ruolo del tempo, della storia e della narrazione negli approcci scientifici. La nozione di complessità costituisce un'utile maniera sintetica di rapportarsi con tali assunzioni. Per ricostruire queste novità del contesto scientifico, imposta un programma di ricerca attorno al tema della epistemologia della complessità, parte integrante del quale è stata a partire l'organizzazione di convegni internazionali e di seminari, e la pubblicazione del volume La sfida della complessità. Ricercatore associato presso il Centre d'Etudes Transdisciplinaires, Sociolgie, Anthropologie, Politique diretto da Morin, centro di ricerca associato al CNRS e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, presso il quale dirige l'unità di ricerca di filosofia della scienza. In quegli anni approfondisce le problematiche dell'epistemologia genetica e della cibernetica, pubblicando Il vincolo e la possibilità e La danza che crea. Svolge inoltre ricerche sul ruolo giocato dalle scienze evolutive e dalla teoria dell'evoluzione di tradizione darwiniana nel più generale mutamento di prospettiva delle valenze cognitive e stilistiche del contesto scientifico, focalizzandosi sulle conseguenze epistemologiche e filosofiche dei modelli di cambiamento e delle relazioni fra continuità e discontinuità conseguenti alla teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge, ai dibattiti sulle estinzioni di massa e sulle testimonianze paleontologiche, alle nuove forme di collaborazione fra evoluzionismo e genetica, alle relazioni fra approcci storici e approcci nomotetici nelle scienze del vivente. Ne deriva una serie di ricerche compendiate nel volume Origini di storie, in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bio G. Bocchi, 1993), in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bioogia evolutiva, cosmologia, fisica del caos, antropologia e storia delle idee. Gli interrogativi sul modo in cui dallo studio del radicamento naturale delle società umane possano scaturire nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni sociali e culturali della nostra specie lo portano a entrare in contatto con le ricerche condotte in questi stessi anni dal Santa Fe Institute, volte all'individuazione di leggi generali della complessità e di modelli generali sul comportamento dei sistemi complessi. Una nuova linea di ricerca di filosofia della scienza, che approfondisce a partire dalla metà degli anni novanta, è lo studio dei modelli di cambiamento dell'evoluzione umana, in relazione alla teoria degli equilibri punteggiati, alla visione discontinuista della storia naturale, alle dinamiche ecologiche e ambientali. Una seconda linea di ricerca epistemologica, strettamente interrelata alla prima, è lo studio dell'importanza delle analisi genetiche per la ricostruzione dell'evoluzione e della storia umane, sia dei tempi lunghi della storia delle varie specie ominidi sia dei tempi medi della storia della nostra specie Homo sapiens. A partire da Solidarietà o barbarie. L'Europa delle diversità contro la pulizia etnica, imposta una serie di seminari e di ricerche di filosofia delle scienze biologiche, evoluzionistiche e storiche sul tema dei confini e sulle identità nazionali e culturali. Nel far ciò approfondisce una concezione evolutiva di tali identità, consonante con la prospettiva epistemologica costruttivistica, e convergente con i presupposti epistemologici, costruttivisti e antiessenzialisti propri della tradizione evoluzionistica darwiniana. In queste ricerche, viene affrontata anche la questione del significato della rivoluzione darwiniana nell'intera storia della tradizione scientifica occidentale. Un ulteriore studio dedicato a tali problematiche è il volume Educazione e globalizzazione, che traccia un bilancio epistemologico degli intrecci disciplinari fra storia, geografia, antropologia, scienze evolutive e naturali per comprendere il ruolo della diversità culturale nella storia della specie umana e le radici profonde degli attuali processi di globalizzazione. Insegna a Palermo, di Milano Bicocca, di Bergamo e a Milano, dove attualmente insegna e ricopre la carica di direttore del Dipartimento di Studi umanistici. Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Milano Bicocca. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Bergamo. Direttore del Centro di Ricerca sull'Antropologia e l'Epistemologia della Complessità che comprendeva la Scuola di dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità a Bergamo.  Principali tematiche presenti negli studi di Ceruti: Antropologia Bioetica costruttivismo (filosofia); Epistemologia; Epistemologia della complessità; Epistemologia genetica; Evoluzionismo; Globalizzazione; Scienze cognitive; Scienze della formazione; Teoria dei sistemi. Membro della Commissione Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nominato, dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, Presidente della Commissione incaricata di scrivere le nuove Indicazione per il Curricolo per la Scuola dell'Infanzia e per il Primo Ciclo di Istruzione. Partecipa alla fase di fondazione del Partito Democratico, venendo eletto all'Assemblea costituente del partito e assumendo l'incarico di relatore della Commissione incaricata di redigerne il Manifesto dei Valori.  Alle elezioni politiche italiane della XVI Legislatura eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito Democratico. È stato membro della Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali), della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Non si è ripresentato alle elezioni della XVII legislatura. Altre opere: “Il tempo della complessità” (Cortina, Milano); “La fine dell'onniscienza” (Studium, Roma); “La nostra Europa” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Organizzare l'altruismo” (Laterza, Roma); “Una e molteplice: ripensare l'Europa” (Tropea, Milano); “Il vincolo e la possibilità” (Feltrinelli, Milano); “Origini di storie” (Feltrinelli, Milano); “La sfida della complessità” (Feltrinelli, Milano); “Le due paci. Cristianesimo e morte di Dio nel mondo globalizzato” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Formare alla complessità, Carocci, Roma); “Le origini della scrittura. Genealogie di un'invenzione, Bruno Mondadori Editore, Milano); “Le radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici” (Bruno Mondadori Editore, Milano); “Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Pensare la diversità. Per un'educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma); Evoluzione senza fondamenti” (Laterza, Roma-Bari); “Solidarietà o barbarie: l’Europa delle diversità contro la pulizia etnica” (Raffaello Cortina Editore, Milano, Prefazione di Edgar Morin, Il caso e la libertà, Laterza, Roma-Bari); Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo); “L'Europa nell'era planetaria” (Sperling et Kupfer, Milano); “Turbare il futuro: un nuovo inizio per la civiltà planetaria” (Moretti et Vitali, Bergamo); “Che cos'è la conoscenza, Roma-Bari); “La danza che crea. Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli, Milano, Prefazione di Francisco Varela, Lazlo E., Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano); Dopo Piaget. Aspetti teorici e prospettive per l'educazione, Edizioni Lavoro, Roma); Modi di pensare postdarwiniani: saggio sul pluralismo evolutivo” (Dedalo, Bari); L'altro Piaget. Strategie delle genesi, Emme Edizioni, Milano  Bocchi C. M. Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica dell'opera di Jean Piaget, Feltrinelli, Milano. Direttore delle riviste scientifiche:  La Casa di Dedalo (Casa Editrice Maccari, Parma); Oikos (Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo); Pluriverso (Rcs, Milano). mauroceruti. Pagina nel sito del Senato, su senato. Ministero della Pubblica Istruzione, Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo, su pubblica.istruzione. Presidenza del Consiglio dei ministri, Comitato Nazionale di Bioetica, su governo. Rome’s national epic displays a tendency to treat sex and love. The pair of Trojan warriors Nisus and Euryalus are cast in the roles of erastes and eromenos. Virgil’s narrative of the two valorous young Trojans has, of course, various thematic functions and will have resonated in various ways for a roman readiership. Here I focus on only one aspect of the narrative, namely the eroticization of their relationship, in he interests of esplong wha this text might suggest about the pre-conceptions of its Roman readership. See Makowski for an overview of ancient and modern views of the pair, along with arguments for describing them as erastes and eromenos on the Greek model (Makowski finds particular parallels with Plato’s Symposium). For literary discussions of Nisus and Euryalus that take as their starting point the erotic nature of their relationship see Gordon Williams, pp. 205-7, 226-31, Lyne, pp. 228-9, and Hardie, 23-34). Bellincioni, ‘Eurrialo’ in Enciclopedia Virgiliana (Roma), observing that Virgil has added tdhe motif of their friendship to his Homeric models summarses thus: “L’AMORE CHE UNISCE EURIALO E NISO E UN SENTIMENTO INTERMEDIO FRA L’AMCIZIA E LA PASSIONE … PUR NELLA SUA PUREZZA, TENDE ALL’EROS. COMNQUE E PASSIONE CHE SI PONE FINE A SE STESSA E NON SI SUBIRDINA A PRINCIPI MORALI, COME LA SLEALTA SPORTIVA DI NISO NEL 5o CHIARAMENTE DIMOSTRA. Bellincione cites Colant, ‘Le’peisode de Niuses et Euryale ou le poeme de l’amitie, LEC. IThe pair of Trojan warriors Nisus and Euryalus are cast in the roles of erastes and eromaneos. Virgil’s narrative of the two valourus young Trojans has, of course, various thematic functions and will have resonated in various ways of a Roman readership. Here I focus on only one aspect of the narrative, namely the eroticiation of their relation Niso ed Eurialo are first introduced in the funeral games in Book 5. ‘Nisus et Euryalus primi, Eurialus forma insignis viridique iuventa, Nisus ammore pio pueri’ (Vir. Aen.). ‘First came Nisus and Euryalus: Euryalus outstanding for his beauty and fresh yourhfulness, Nisus for his deveted love for the boy’. During the ensuing footrace, Nisus indulges ia a questionably bit of gallantry: starting off in first place, he slips and falls in the blook of sacrificed heifers, then deliberately trips the man who was in second place, in order the Euryalus may come up from behind an win first place. Non tamen Euryali, non ille oblitus amorum (Vir. Aen. He was not forgetful of his love Euryalus, not he! (The plural AMORES is ordinarily used of one’s sexual partner, one’s LOVE in that sense 0- Liddell Scott ic. Virgil himself uses the word in the plural to refer to a bull’s mate at Georgics 3 227. Indeed, Servius, ad Aen. 5 334, writing in a different cultural climate, was worried by precisely thiat fact, observing that OBLITUS AMORUM AMARE NEC SUPRA DICTIS CONGRUE: AIT ENIM AMORE PIO PUERI, NUNC AMORUM, QUI PLURALITER NON NISI TURPITUDINEM SSIGNIFICANT. Virgil’s phrase, OBLITUS AMORUM contradicts his earlier AMORE PIO PUERI because AMORES in the plural ‘can only SIGNIFY SOMETHING DISGRACEFUL’ Whereas the description of Nisus’s love for the boy as PIUS apparently precludes, for Servius, PHYSICALITY. ‘ The two Trojans reappear in a celebrated episode from Book 9, when they leave the camp at night in an effort to break through enemy lines and reach Aeneas. They succeed in killing a number of Italian warriors, ut eventually are themselves both killed. Euryalus first and then his companion, who, after being morally wounded, flings himself upon Euryalus’s body. The episode beings with this description of the pair. Nisus erat portae custos, acerrimus armis, Hyrtacides, comitem Aenea quem miserat Ida venatrix iaculo celerem levibusque sagittis; et iuxta comes Euryalus, quo pulchrior alter non fuit Aenaedum Troiana neque induit arma, ora puer prima signans intonsa iuventa. His amor unus erat pariterque in bella ruebant. Vir. Aen. 9 176-82. Nisus, sonof Hyrtacus was the guard of the gate, a most fierce warrior, swift with the javeling and with nimble arrows, sent by Ida the huntress to accompany Aeneas. And next to him was his companion Euryalus. None of Aeneas’s followers, none who had shouldered Trojan weapons, was more beautiful: a boy at the beginning of youth, displaying a face unshaven. These two shared one love, and rushed into the fightin side by side. Virgil’s wording is decorous but the emphaisis on Euryalus’s youthful beauty and particularly the absence of a beard on his fresh young face, as well as the comment that the THWO SHARED ONE LOVE and fought side by side – imagery that is repeated from the scene in Book 5 and is continued throughout the episode in Book 9 – is noteworth  For Euryalus’s youth, cf. 217, 276 (puer) and especially the evocation of his beauty even in death (433-7, language which recalls the erotic imagiery of CATULLUS and Sappho – Lyne, pp. 229. For their INSEPARABILITY, cf. 203: TECUM TALIA GESSI and 244-5 (VIDIMUS … VENATU ADSIDUO. Note: NEVE HAEC NOSTRIS SPECTENTUSR AB ANNIS QUAE FERIMUS, 235-6, CONSPEXIMUS. 237. how Nisus gallantly presents his plan to the assembled troops NOT AS HIS OWN Bt as his AND EURYALUS’S (235-6:  Likewise the question that Nisus asks Euryalus when he first proposes the plan t o him has suggestive resonances: DINE HUNC ARDOREM MENTIBUS ADDUNT EURYALE, AN SUA CUIQUE DEUS FIT DIRA CUPIDO? Aen 9 184-5. Cf. Makowsky, p. 8 and Hardie. For the phrase DIRA CUPIDO, compare DIRA LIBIDO at Lucretius (De natura rerum, 4. 1046, concerning men’s desire TO EJACULATE and muta cupido at 4. 1057. Euryyalus, is it the gods who put this yearning (ardor) into our minds, or does each person’s grim desire (dira cupido) become a god for him?” In addition to its ostensible subject (a desire to achieve a military eploit), Nisus’s language of yearning and desire could also evoke the dynamis of an erotic relationship. So too the poet’s depiction of Nisus’s reaction to seeing his young companion captured by the enemy is notable for its emotional urgency and its portrayal of Nisus’s intensely protective for for the youth. Tum vero exterritus, amens, conclamat Nisus nec se celare tenebris amplius aut tantum potuit perferre dolorem. Me, me, adsun qui feci, in me convertite ferrum, o Rutuli, mean fraus omnis, nihil iste nec ausus nect potuit, caelum hoc et conscia sidera testor, tantum infeliciem nimium dilet amicum (Vir. Aen. Then, terrified out of his mind, unable to hid himself any longer in the shadows or to endure such great pain, Nisus shouts out: “ME! I am the one who did it! Turn your weapons to me, Rutulians! The deceit was entirely mine, HE was not so bold as to do it; he could not have done it. I swear by the sky above and the stars who know: the only thing he did was to love his unahappy friend too much. There is, in short, good reason to believe that Virgil’s Nisus and Euryalus, whose relationship is described in the circumspect terms befitting epic poetry, would have been UNDERSTOOD by his Roma readers as sharing a SEXUAL bond, much like the soldiers in the so-called SACRED BAND of Thebes constituted of erastai and their eromenoi in fourth-century B. C. Greece (Note also that  (meme … figis?) seems to echo Dido’s words to Aeneas  (mene fugis?. So too Makowski )Euryale infelix, qua te regione reliqui? Quave sequar? Rurus perplexum iter omne revolves fallacis sylvae simul et VESTIGIA RETRO observata legit dumisque silentisu errat) might recall the scene were Aeneas loses Creusa a t the end of Book 2. Haride p. 26) points to parallels with the story of Orpheus and Euryide in the Georgics, as well as as to that of Aeneas and Crusa in Aeneid 2. For the Sacred Band of Thebes, see Plut, Amat. Pelop, Athen., and the probable allusion at Pl. Smp. When Nisus, mortally wounded, flings himself upon his companion’s lifeless body to join him in death, the narrator breaks forth into a celebrated eulogy. Tum super exanimum sese proiecit amicum confossus, placidaque ibi demum morte quievit. Fortuanati ambo! Si quid mean carmina possunt, nulla dies umquam memori vos eximet aevo, dun domus Aeneae Capitoli immobile saxum accolet imperiumque pater Romanus habebit. (Vir. Æn.). Then he hurdled himself, pierced through and through, upon his lifeless friend, and there at last rested in a peaceful death. Blessed pair! If my poetry has any power, no day shall ever remove you from the remembering ages, as long as he house of Aenea dwells upon the immovable rok of the Capitol, as thlong as the Roman father holds sway. The praise of the two loving warriors joined in death ould hardly be more stirring – cf. Wiliams, Lyne, for their elegiac union of LOVERS IN DEATH he adduces Pr0.  – AMBOS UNA FIDES AUFERET, UNA DIES, and Tibull. as parallels. op. 2.2, and the language coulnt NOT BE MORE ROMAN. And Virgil’s words obviously made an impression among those who wished to EXPRESS FEELINGS OF INTIMACY AND DEVOTION IN PUBLIC CONTEXTS, for we find his language echoied in funerary instricptions for a husband and his wife as well as for a woman praised by her male friend. The inscription on a joint tomb of a grandmother and gradauther explicitly likens them to Nisus and Euryalus. CLE 1142 = CIL, husband and wife: FORTUNATI AMBO – SI QUA EST, EA GLORIA MORTIS QUO IUNGIT TUMULUS, IUNXERAT UT THALAMAS; CLE = CIL: a woman praised by her male friend: UNUS AMOR MANSIT PAR QUOQUE VIDA FIDELIS. Cf. Aen. HIS AMOR UNUS ERAT PARITERQUE IN BELLA RUEBANT. CLE granddaumother and granddaughter: SIC LUMINE VERO, TUNC IACUERE SIMUL NISUS ET EURIALUS.  So too Senece quotes the lines as an illustration of the fact that great writers can immortalize people who otherwise would have no fame: just as Cicero did for Atticus, Epicurus for Idomeneus, and Seneca himself can do for Lucilius (an immodest claim but one that was ultltimately borne out), so ‘our Virgil promised and gave and everlasting memory to the two,’ whom he does not even bother to name, so renowned had the poet’s words evidently become (Senc. Epist. VERGILIUS NOSTER DUOBUS MEMORIAM AETERNAM PROMISIT ET PRAESTAT; FORUTATI AMBO SI QUI MEA CARIMA POSSUNT. It is revealing that sometimes Porous boundary in Roman tets between wwhat we might call friendship and eroticism among males – and overlaps I hope to discuss in another context – that Ovid citest Nisus and Euryalus as the ULTIMATE EMBODIMENT OF MALE FRIENDSHIP, putting them in the company of THESEUS AND PIRITUOUS, ORESTES AND PYLADES ACHILESS AND PATROCLUS, Tristia, but the relationship between ACHILEES AND PATROCLUS, at least, was openly described as including a sexual element by classical Greek writers, and with characteristic cluntness by Martial, wh cjites the pair as an illustration of the special pleasures of anal intercourse. The relationships between Cydon and CClytius, Cycnus and Phaethon, and Juupiter and Ganymede (on Eneas’s shield) all demonstrate that pedersastic relationships enjoy a comfortable presence in the world of the Aeneid. Niusus and Euryalus are thus HARDLY ALONE. Some scholars have even detected an EROTIC ELEMNET in Virgil’s depiction of the relationship between Aeneas and Evander’s son Pallas. See e. g. Gillis, Putnam, and Moorton. Erasmo and Lloyd have independently described erotic elements in the relationship between the young Evander and Anchises, a relationship that, they argue, is then replicated in the next generation, with Pallas and Aeneas.  But their relationship is more complex than the rather straightforward attraction of Cydon for beautiful boys, of Cycnus for the well-born young Phaethon, and even of Jupiter for Ganymede. For while those couples conform unproblematically to the Greek pedrerastic model (one partner is older and dominant, the other young and sub-ordinate), Nisus and Eurialus only do so AT FIRST GLANCE. AS the poem progresses they are transformed from a Hellenic coupling of Erastes and eromanos into a pair of ROMAN MEN (VIRI). The valosiging distinctions inherent in the pederstaist paradigm seem to fade with the Roman’s poet remark that the rwo rushed into war side by side (PARITER – PARITERQUE IN BELLA RUEBANT Vir Æn.), and they certainly DISAPPEAR when the old man Aletes, praising them from their bold plan, addresses the TWO as VIRI (QUAE DIGNA, VIRI, PRO LAUDIBUS ISTIS, PRAEMIA POSSE REAR SOLVI, whe  an enemy leader who catches a glimpse of them shoults out, “Halt, men!” (STATE VIRI, 376), and most poignantly, when the sight of the two “MEN’S” severed heads pierced on enemy spears stuns the Trojan soldiers. SIMUL ORA VIRUM PRAEFIXA MOVEBANT NOTA NIMIS MISERIS ATROQUE FLUENTIA TABO. In other words, although Euryalus is the junior partner in this relationship, not yet endowed with a full beard and capable of being labeled the PUER, his actions prove him to be, in the end, as much of a VIR, as capalble of displaying VIRTUS – as his older lover Nisus. There is a further complication in our interpretation of the pair, and indeed all the pederstastic relationships in the Aeneid. Virgil’s epic is of course set in the MYTHIC PAST and cannot be taken as direct evidence for the cultural setting of Virgil’s own day. Moreover, the poem is suffused with the influence of Greek poetry. Thus, one might argue that the rather elevated status of pedersastic relationships in the Aeneid is a SIGN merely of the DISTANCES both cultural and temporal between Virgil’s contemporaries and the character s of his epic. Yet, while the influence of Homer is especially strong in these passages of battle poetry (Virgil’s passing reference to Cydon’s erotic adventures echoes the Homeric technique of citing some touching details about a warrior’s past even as he is introduced to the reader and summarily killed off), is is a much-discussed fact that there are no UNAMIBUOUS, diret references in the Homeric epics to pedersastic relationships on the classical model. The relationship between ACHILLES AND PATROCLUS was understood by later Greek writers to have a seual component see e. g. Aesch. F.r. Nauck – from the Myrmidons), Pl. Symp., Aeschin., Lyne, crediting Griffin, adds Bion Gow. But the test of the Iliad itself, while certainly suggesting a passionate and deeply intense bond between the two, does not represent them in terms of the classical pederastic model. See further, Clarke, Achiles and Patroclus in Love, Hermes, Sergent, and Halperin.VIRGILIO (si veda) might thus be said to out-Greek Homer in his description of Cydon. G. Knauer, Die Aeneis und Homer, Gottingen, cites no Homeric parallel for these lines. And yet the pederastic relationships in the Aeneid occur NOT AMONG GREEKS but rather among TROJANS AND ITALIANS, two peoples who are strictly distinguished din the epic from the Greeks, and who,more importantly, together constitute the PROGENTIROS of the roman race. Cf. Turnus’s rhetoric based on sharp distinctions among the Trojans, Greeks, ndnd Italians, and the weighty dialogue between Jupiter and June, where it is agreed that Trojans and Italians will become ONE RACE. Virgil’s readers found pederstastic relationships ina n epic on their people’s orgins, and temporal gap or no, this would have been unthinkable in a cultural context in which same-se relationships were universally condemned or deeply problematized. But is it still not the case that, since Nisus and Euryalus are freeborn Trojans, Virus, and perhaps also Aeneas and Pallas. Significalntly, though, the arua of a male-female relationship in the Aeneid, namely the doomed love affair of Aeneas with the would-be univira Dido. In other words, while a MALE-MALE relationship that corresponds to what would among among Romans of Virgin’s own day be considered stuprum is capable of being heroized in the epic, a male-female relationhship that th etet implicitly marks as a kind of stuprum is not. This tywo types of relationships in the brates, even glamorizes, a relationship that in his own day would be labeled as instance sos stuprum? Here the gap between Virgil’s time and the mythis past of his poem has significance. While, due toe o their freeborn status, analogues of to Nisus and Euryalus in Virgil’s OWN DAY could not have found their relationship SO OPENLY CELEBRATED, they did find HEROISED ANCESTORS IN NISUS AND EURYALUS, Cydon, and Clutis. And perhaps also Aeneas and Pallas. Significantly, though, the aura of the mythic past does not extend so far as to conceal the moral problematization of a male-female relationship in the Aeneid, namely the doomed love affair of Aeneas with the would-be univiria Dido. In other words, while a male-male relationship that corresponds to what would among Romans of Virgil’s own day be considered stuprum is capable of being heroized in thee pic, a male-female relationship that the tect implicitly marks as a kind of stuprum is not. The issue is complex. Dido is of course neither Roman nor Trojan, and thus at first glance Aeneas’s relationship with her does not constitute stuprum. But since Dido’s experiences are, in important ways, seen though a Roman filtre, above all, the commitment to her first husband that makes her a prototypical univira, her involvement with Aneas (aculpa 4 19, 172, constitutes an offense within the moral framework poposed by the text in a way that the relationship between Nisus and Euryalus does ot. This distintion revelas something about the relative degrees of problematization of the two types of relationships in the cultural environment of Virgl’s readership. ‘Blessed pair! If my poetry has any power no day shall ever remove you from the remembering ages, as lon as the house of Aeneas dwells upon the immommovable rock of the Capitol, as long as the Romans father holds sway.’ One can hardly imagine such grandiose prise of an adulterous couple ina Roman epic!” Mauro Ceruti. Keywords: Niso ed Eurialo; ovvero, dell’altruismo, dal semplice al complesso, complesso proposizionale, discover the simple elements, philosophy as deconstructing the complex, solidarity, altruism, solideratieta, altruismo, sistema complesso, sistema semplice, etimologia di ‘complesso’. Filosofia della solidarieta, solidarieta: il semplice della solidarieta, il semplice dell’altruismo, Butler, amore proprio, amore improprio, altruismo, egoismo, self-love, other-love, benevolence, organizzare l’altruismo, abitare la complessita, multiple e diverso, unico e multiple. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceruti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cerutti: l’implicatura conversazionale del leviatano – organicismo politico – il corpo politico nella costituzione italiana – scuola di Genova – filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo genovese. Filosofo ligure. Filosofo italiano. Geova, Liguria. Grice: “Cerutti is into politics, like Hobbes, and it’s not surprising he philosophised on ‘il leviatano,’ as the Italians call it – and represent as a tortoise ridden by Jacob --,” -- “La globalizzazione dei diritti umani dovrebbe avere il suo culmine con il riconoscimento del diritto che ha il Genere Umano alla sopravvivenza»  Insegna a Firenze. La sua filosofia verte principalmente sul marxismo occidentale e la "teoria critica" propria della Scuola di Francoforte da cui, tra l'altro proviene. Lavora sulla filosofia politica delle relazioni internazionali ed affari globali, seguendo due diverse tematiche: la teoria delle sfide globali (armi nucleari e riscaldamento globale), e la questione dell'identità “politica” (non sociale o culturale) degli europei in relazione con la legittimazione dell'unione europea. Da ricordare la sua amicizia con Bobbio del quale Cerutti stesso si ritiene allievo. Altre opere: “Storia e coscienza di classe” (Milano); “Totalità, bisogni e organizzazione” (Firenze); “Marxismo e politica. Saggi e interventi, Napoli); “Gli occhi sul mondo. Le relazioni internazionali in prospettiva interdisciplinare, a cura di, Roma); “Sfide globali per il Leviatano. Una filosofia politica delle armi nucleari e del riscaldamento globale” (Milano, Vita e pensiero). Che cosa significa "Corpi politici"? Organismi che possono essere bersaglio di una condotta oltraggiosa ex art. 342 in ragione della funzione politica dagli stessi svolti e dal cui novero risultano esclusi il Governo, il Senato, la Camera dei Deputati e le Assemblee regionali, rispetto ai quali la tutela penale viene offerta dall'art. 290. Articoli correlati a "Corpi politici" Art., Codice Penale - Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti  Art. 342 Codice Penale - Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziarioFurio Cerutti. Keywords: il leviatano, il corpo politico, l’organismo politico, lotta di classe, Lukacks, Marx, unione europea, identita culturale, identita sociale, identita politica, corpi politici, I corpi politici, brunetto latini, aquino, Egidio romano, Dante Banquet, Marsiglio di Padua, Pegula. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerutti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cervi

 

Grice e Cesa

 

Grice e Cesare – Roma – filosofia antica. Gaio Giulio Cesare. Cesare had many friends who followed the philosophy of the Garden, and it is clear that he had ome leanings towards that philosophy himself. Exactly how far these went is unclear and whether he ever actually became a member of the sect is a matter of dispute.

 

Grice e Cesarini – filosofia italiana– Luigi Speranza (Genzano di Roma). Filosofo italiano. Grice: “Cesarini was more of a warrior than a philosopher, but I also fought in the North-Atlantic – in Italy, war trumps philosophy! He wrote a philosophical story of the war of Velletri – and liked to dress up as one of his ducal ancestors – a gentleman!” -- There are many philosophers with the name Sforza Cesarini. Figlio del III duca Lorenzo Sforza Cesarini. Convinto sostenitore del nuovo Regno d'Italia tanto da nascondere le armi degli insorti nel suo palazzo. Per questo motivo, il papa confisca tutte le sua proprietà che vennero loro restituite da Vittorio Emanuele II dopo il suo ingresso a Roma, reso possibile dalla presa di Porta Pia, accompagnato dallo stesso filosofo in veste di consigliere del re. Grice: “My mother loved him; but then every Englishman loved the Kingdom of Italy, or rather, every Englishman hated the Pope!” – Grice: “Sforza Cesarini should never be confused with the philosopher Cesarini Sforza: Sforza Cesarini is under “C”; Cesarini Sforza, the jurisprudential philosopher, is under “S”. IV duca Sforza Cesarini. Francesco II Sforza Cesarini. Francesco Sforza Cesarini. Sforza Cesarini. Cesarini. Keywords: “Letters of my father, kingdom of Italy, anti-Popish, Palazzo di Roma. Patria, patriotism, nazionalismo. Il nuovo regno d’Italia, Vittorio Emanuele II, Porta Pia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cesarini” – The Swimming-Pool Library.

 

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