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Tuesday, January 14, 2025

GRICE ITALO A-Z A AC

 

 

Grice ed Accetto: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale DELLA DISIMVLATIONE HONESTA – la scuola di Trani – filosofia pugliese. filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Trani, Puglia). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Trani, Puglia. Grice: “I learned so much about Accetto, and I hope it showed in my talk at Brighton on ‘meaning, revisited.’ For Accetto, unlike Strawson, there is ‘disimulazione onesta’ and ‘simulazione disonesta.’ Accetto notes that there is an implicature to the effect that ‘disimulazione’ is disonesta per se and hence he tried to provoke the duchess of Malfi by his little treatise on ‘Della simulazione onesta’ – “An oxymoron, if ever there was one --,’ the duchess told the duke --.”  Vive ad Andria ed è in relazione con la cerchia del marchese Manso, il mecenate napoletano biografo di Tasso nonché fondatore degl’oziosi. Scrive varie rime, nelle quali evidenzia la sua delicata coscienza morale e il breve trattato “Della dissimulazione onesta” nato nel contesto della dominazione spagnola in Italia, pubblicato a Napoli e rapidamente dimenticato. Il libello è riscoperto da CROCE (si veda) e pubblicato da Nigro. La dissimulazione, tematica al centro dei dibattiti, non è, per A., sinonimo di menzogna, ma invito al raccoglimento e alla cautela. L'analisi di A. pone la questione, da un piano di politica spicciola, su un piano di accurata indagine morale. L’autore, alquanto speciosamente, differenzia la simulazione moralmente riprovevole perché viziata da intenzioni cattive, dalla dissimulazione che invece pare ad A. l'unico rimedio per difendersi da una società pullulante di simulatori e per trionfare delle proprie passioni. La ricetta però per risultare vincente richiede una onestà di animo e un buon equilibrio. Altri saggi:  “Rime” (Napoli: Longo); “Rime, divise in amorose, lugubri, morali, sacre, et varie” (Napoli: Gaffaro); “Della dissimulazione onesta” (Napoli); “Rime amorose,” Nigro, (Torino: Einaudi); “Della dissimulazione onesta”  Nigro, Manganelli (Genova: Costa et Nolan, Torino: Einaudi); Della dissimulazione onesta Rime, E. Ripari, Milano: BURRizzoli,. Note  "Le Muse", De Agostini, Novara; Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari); GARIN, Storia della filosofia italiana, Torino); Villari, Riflessione sulla Dissimulazione onesta, Villari, Elogio della dissimulazione. La lotta politica, Roma, Laterza, sapere, Agostini. A., in Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere A., su Liber Liber.  A., su openMLOL, Horizons U. La simulazione non facilmente riceve quel senso onesto che si accompagna con la dissimulazione. Io tratterei pur della simulazione, e spiegherei appieno l'arte del fingere in cose che per necessità par che la ricerchino. Ma tanto è di mal nome, che stimo maggior necessità il farne di meno. E benché molti dicano, qui nescit fingere nescit vivere, anche da molti altri si afferma che sia meglio morire che viver con questa condizione. In breve corso di giorni o d'ore o di momenti, com'è la vita mortale, non so perché la medesima vita si abbia da occupar a piú distrugger se stessa, aggiungendo il falso delle operationi dove l'esser quasi non è. Poiché la vera essenzia, come dice PLATONE, è delle cose che non han corpo, chiamando imaginaria l'essenzia di ciò ch'è corporeo. Basta dunque il discorrer della dissimulazione, in modo che sia appresa nel suo sincero significato, non essendo altro il dissimulare, che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al VERO, per dimostrarlo a tempo. E come la natura ha voluto che nell'ordine dell'universo sia il giorno e la notte, cosí convien che, nel giro delle opere umane, sia la luce e l'ombra -- dico il proceder manifesto e nascosto, conforme al corso della ragione ch'è regola della vita e degli accidenti che in quella occorrono. Alcuna volta è necessaria la dissimulazione, e fin a che termine La frode è proprio mal dell'uomo, essendo la ragione il suo bene, di che quella è abuso; onde nasce ch'è impossibile di trovar arte alcuna, che la riduca a segno di poter meritar lode: pur si concede talor il mutar manto, per vestir conforme alla stagion della fortuna, non con intenzion di fare, ma di non patir danno, ch'è quel solo interesse col quale si può tollerar chi si suol valere della dissimulazione, che però non è frode; ed anche in senso tanto moderato, non vi si dee poner mano se non per grave rispetto, in modo che si elegga per minor male, anzi con oggetto di bene. Sono alcuni che si trasformano, con mala piega di non lasciarsi mai intendere; e spendendo questa moneta con prodiga mano in ogni picciola occorrenza, se ne trovano scarsi dove piú bisogna, perché scoperti ed additati per fallaci, non è chi loro creda. Questo è per avventura il piú difficile in tal industria; perché, se in ogni altra cosa giova l'uso continuo, nella dissimulazione si esperimenta il contrario, poiché il dissimular sempre mi par che non si possa metter in pratica di buona riuscita. È dunque dura impresa il far con arte perfetta quello che non si può essercitar in ogni occasione, e però non è da dir che TIBERIO (si veda) è molto accorto in questo mestiero, ancorché da molti si affermi; e ciò considero perché, dicendo TACITO (si veda). TIBERIORQUE ETIAM IN REBVS QVAS NON OCCVLERET SEU NATVRA SEV ADSVETVDINE SVSPENSA SEMPER ET OBSCVRA VERBA. Non solo disse prima. PLVS IN ORATIONE TALI DIGNITATIS QVAM FIDEI ERAT. Ma conchiude. AT PATRES QVIBVS VNVS METVS SI INTELLIGERE VIDERENTVR. Ecco che si accorgeano chiaramente della sua intenzion in quelli continui artifici. In sostanza, il dissimular è una professione della qual non si può far professione, se non nella scola del proprio pensiero. Se alcuno portasse la maschera ogni giorno, sarebbe piú noto di ogni altro, per la curiosità di tutti. Ma degli eccellenti dissimulatori, che sono stati e sono, non si ha notizia alcuna. Quelli in chi prevale il sangue o la malinconia o la flemma o l'umor collerico, è molto indisposto a dissimulare. Dove abbonda il sangue, concorre l'allegrezza, la qual non sa facilmente celare, essendo troppo aperta per sua propria qualità. L'umor malinconico, quando è fuor di modo, si fa tante impressioni, che difficilmente le nasconde. Il soverchio flemmatico, perché non fa gran conto de' dispiaceri, è pronto ad una manifesta tolleranzia. E la collera, che è fuor di misura, è troppo chiara fiamma, da dimostrar i proprii sensi. Il temperato dunque è molto abile a questo effetto di prudenza, perché ha da esser, nelle tempeste del cuore, tutta serena la faccia. O, quando è tranquillo l'animo, parer turbato il viso, come anda richiedendo l'occasione. E ciò non è facile, se non al temperamento che dico. Non voglio contradir all'opinione di que’ che sogliono attribuir a certi popoli la disposizione del dissimulare e, ad altri, stimarla quasi impossibile. Ma ben posso dire che, in ogni paese, son di quelli che l'hanno e di que' che non vi si sanno accommodare; ma piú è certo che gl’uomini non nascono con gli animi legati a necessità alcuna, onde libera la volontà si gira all'elezzione. E ciò leggiadramente è espresso da ALIGHERI in que' versi: Voi che vivete ogni cagion recate pur suso al cielo, sí come se tutto movesse seco di necessitate. Se cosí fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per ben letizia, e per mal aver lutto. Il cielo i vostri movimenti inizia; non dico tutti, ma, posto che’l dica, lume v'è dato a bene e a malizia, e libero voler; che, se fatica ne le prime battaglie del ciel dura, poi vince tutto, se ben si nutrica. A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; e quella cria la mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura. Da chi ha per non plus ultra le porte delle natie contrade, o che da’ libri non apprende il lungo e’l lato del mondo, e' suoi vari costumi, con difficultà si viene al consiglio della dissimulazione. Perché in persona cosí molle e poco intendente, riesce molto dura questa pratica, la qual contiene l'esser d'assai e talora parer da poco. È dunque conforme a questo abito chi non s'è tanto ristretto, poiché dal conoscer gl’altri nasce quella piena autorità che l'uomo ha sopra se stesso quando TACE a tempo, e riserba pur a tempo, quelle deliberazioni che domane per avventura saranno buone, ed oggi sono perniziose. Chiaro è che 'l viaggio per diversi paesi, come Omero canta di Ulisse, “qui mores hominum multorum vidit et urbes”, o l'aver letto ed osservati molti accidenti, è cagion potente a produrre una gentil disposizione di metter freno agl’affetti, acciò che non come tiranni, ma come soggetti alla ragione, ed a guisa di ubbidienti cittadini, si contentino ad accommodarsi alla necessità, della quale dice ORAZIO (si veda). DVRVM SED LEVIVS FIT PATIENTIA QUICQVID CORRIGERE EST NEFAS. Sí che tant'altezza di spirito si accresce per mezzo della vita occupata negl’affari del mondo, e nella considerazione del tempo passato, per non contradir al presente e poter far giudicio dell'avvenire. Stando la mente cosí sodisfatta, non le parrà nuova qual si sia mutazione che le si vada rappresentando, ed in conseguenza dipende da lei, e non dal precipizio del senso, l'espression di quanto le succede. Da poi che ho conchiuso quanto conviene il dissimulare, dirò piú distinto il suo significato. La dissimulazione è una industria di non far veder le cose come sono. SI SIMULA quello che non è, si DIS-SIMULA quello ch'è. Dice VIRGILIO (si veda) di ENEA. SPEM VVLTV SIMVLAT PREMIT ALTVM CORDE DOLOREM. Questo verso contiene la SIMULAZION de la speranza e la DIS-SIMULAZIONE del dolore. Quella non è in ENEA, e di questo ha pieno il petto. Ma non vuole palesar il senso de' suoi affanni. Ricorda però a' compagni l'aver sofferti piú gravi mali, e nominando la rabbia di Scilla e lo strepito degli scogli ed i sassi de' Ciclopi, se ne valse come per sepellir tra que' mostri, e tra quelle passate ruine, tutte le rie venture che lor già davan noia; e col dolcissimo “meminisse iuvabit”, conchiude. PER VARIOS CASVS PER TOT DISCRIMA RERVM TENDIMVS IN LATIVM SEDES VBI FATA QVIETAS OSTENDVNT ILLIC FAS REGNA RESURGERE TROIAE DVRATE ET VOSMET REBVS SERVATE SECVNDIS. Ma in ogni modo l'animo è ferito, e troppo dolente. Perché. TALIA VOCE REFERT CVRISQVE INGENTIBVS AEGER. Si vede in questi versi l'arte di nasconder l'acerbità della fortuna. E prima è espresso d’Omero come d’Ulisse si dissimula il dolore, quando in altra figura da di se stesso nuova alla sua Penelope; della qual dice: Hac autem iam audiente fluebant lacrymae, liquefiebat autem corpus sicut autem nix liquefit in altis montibus, quam Eurus liquefecit, postquam Zephyrus defusus est liquefacta autem igitur hac, fluvii implentur fluentes: sic huius liquefiebant pulchrae genae lachrymantis flentis suum virum assidentem. At Ulysses animo quidem lugentem suam miserabatur uxorem. Oculi autem tanquam cornua stabant vel ferrum. Tacite in palpebris dolo autem hic lachrymas occultabat. Ecco la prudenza con che ULISSE mette freno alle lagrime, quando è tempo di nasconderle. E la comparazion di liquefarsi Penelope, come la neve, mi dà occasione di soggiunger quello che sia l'umido e 'l secco, dicendo ARISTOTELE: “humidum est quod suo ipsius termino contineri non potest; facile autem termino continetur alieno. Siccum est quod facile suo, difficulter autem termino terminatur alieno”. Da che si può apprender che il dissimular ha del secco, perché si ritien nel proprio termine; e questi son gli occhi d’Ulisse rassomiliati, in tempo di dolore, alla fermezza del corno e del ferro, quando que' di Penelope eran molli e non avean termine prescritto, conforme a quelle ch'eran versate nell'animo d’Ulisse, tenendo il ciglio asciutto, ed a questo par che corrisponda quella sentenza di Eraclito: “Lux sicca, anima sapientissima”. Presupposto che nella condizion della vita mortale possano succeder molti difetti, segue che gravi disordini siano al mondo quando, non riuscendo di emendarli, non si ricorre allo spediente di nasconder le cose che non han merito di lasciarsi vedere, o perché son brutte o perché portan pericolo di produrre brutti accidenti. Ed oltre a quanto avviene agli uomini, se pur si considera la natura per tante altre opere di qua giú, si conosce che tutto il bello non è altro che UNA GENTIL DISSIMULAZIONE. Dico il bello de' corpi che stanno soggetti alla mutazione, e veggansi tra questi i fiori, e tra' fiori la lor reina; e si trova che la rosa par bella, perché a prima vista DIS-SIMULA di esser cosa tanto caduca, e quasi con una semplice superficie di vermiglio, fa restar gl’occhi in un certo modo persuasi ch'ella sia porpora immortale. Ma in breve, come dice Tasso, quella non par che disiata avanti è da mille donzelle e mille amanti. Perché la DIS-SIMULAZIONE lei non può durare. E tanto si può dir di un volto di rose, anzi di quanto per la terra riluce tra le piú belle schiere d'amore. E benché della bellezza mortale sia solito dirsi di non parer cosa terrena, quando poi si considera il vero, già non è altro che un cadavero dissimulato dal favor dell'età, che ancor si sostiene nel riscontro di quelle parti e di que' colori che han da dividersi e cedere alla forza del tempo e della morte. Giova dunque una certa dissimulazion della natura, per quanto si contiene tra lo spazio degli elementi, dov'è molto vera quella proposizione che afferma di non esser tutt'oro quello che luce. Ma ciò che luce nel Cielo ben corrisponde sempre, perché ivi tutte le cose son belle dentro e fuori. Or, passando all'utile che nasce dalla dissimulazione ne' termini morali, comincio dalle cose che piú bisognano. Dico dall'arte della buona creanza, la qual si riduce nella destrezza di questa medesima diligenza. E leggendosi quanto ne scrive monsignor della Casa, si vede che tutta quella nobilissima dottrina insegna cosí di ristringer i soverchi disiderii, che son cagion di atti noiosi, come il mostrar di non veder gl’errori altrui, acciò che LA CONVERSAZIONE RIESCA DI BUON GUSTO. Onesta ed util è la dissimulazione, e di piú, ripiena di piacere; perché se la vittoria è sempre soave, e come dice Ariosto, è il vincer sempre mai lodabil cosa, vincasi per fortuna o per ingegno, è chiaro che'l vincer per sola forza d'ingegno succede con maggior allegrezza, e molto piú nel vincer se stesso, ch'è la piú gloriosa vittoria che possa riportarsi. Quest'avviene nel dissimulare, con che, dalla ragione superato il senso, si riceve intiera quiete; ed ancorché si senta non poco dolor quando si tace quello che si vorrebbe dire, o si lascia di far quanto vien rappresentato dall'affetto, nondimeno piace poi grandemente d'aver usata sobrietà di parole e di fatti. A questa conseguenza di sodisfazzione, ha da rivolger il pensiero chi disidera di viver con riposo; e ciascun, che vuol ben accorgersene per gl'interessi suoi, vegga sopra di ciò gli altrui falli, e cosí ben conosca che tanto è nostro quanto è in noi medesi- mi. Non dico che non si han da fidar nel seno dell'amico i segreti, ma che sia veramente amico; ed è degno di gran considerazione, in quell'epigramma di MARZIALE dove parla a se stesso della vita beata, che nominando a questo fine dicisette cose, fa che stia nel mezzo “prudens simplicitas”, dicendo: Vitam quae faciunt beatiorem, iucundissime Martialis, haec sunt: res non parta labore, sed relicta; non ingratus ager, focus perennis; lis nunquam, toga rara, mens quieta; vires ingenuae, salubre corpus, prudens simplicitas, pares amici, convictus facilis, sine arte mensa; nox non ebria, sed soluta curis; non tristis torus, attamen pudicus; somnus qui faciat breves tenebras; quod sis esse velis nihilque malis, summum nec metuas diem nec optes. Il prudente candor dell'animo è dunque il centro della tranquillità. “Hoc opus, hic labor”. Quelli che si applicano al piacer della parte ch'è in noi soggett'alla morte, sprezzando l'uso della ragione, si mutano in abito di fiere; perché tali son da riputarsi, come fu espresso da Epicteto stoico, dicendo: “Certe misellus homuncio, et caro infoelix, et revera misera. At melius etiam quiddam habes carne; quare, misso illo et neglecto, carni duntaxat es deditus? Ob huius societa- tem declinantes a meliore natura quidam, lupis similes efficimur, dum sumus perfidi et insidiosi et ad nocen- dum parati: alii leonibus, quia feri, immanes ac trucu- lenti: maxima vero pars vulpeculae sumus”. Da che si può considerar un de' duri impedimenti nel dissimulare; poiché il guardarsi da lupi e da leoni è cosa piú pronta per la notizia che si ha della lor violenza, e perché poche volte si riscontrano; ma le volpi son tra noi molte e non sempre conosciute, e quando si cono- scono, è pur malagevole usar l'arte contra l'arte, ed in tal caso riuscirà piú accorto chi piú saprà tener apparenza di sciocco, perché, mostrando di creder a chi vuol in- gannarci, può esser cagion ch'egli creda a nostro modo; ed è parte di grand'intelligenza che si dia 31  a veder di non vedere, quando piú si vede, già che cosí 'l giuoco è con occhi che pa- ion chiusi e stan- no in se stessi aperti. Del dissimulare con se stesso Mi par che l'ordine di questo artificio metta prima la mano nella persona propria; ma si richiede prudenzia in estremo, quando l'uomo ha da celarsi a se medesimo, e questo non piú che per qualche picciolo intervallo e con licenza del “nosce te ipsum”, per pigliar una certa ri- creazione passeggiando quasi fuor di se stesso. Prima dunque ciascun dee procurar non solo di aver nuova di sé e delle cose sue, ma piena notizia, ed abitar non nella superficie dell'opinione, che spesse volte è fallace, ma nel profondo de' suoi pensieri, ed aver la misura del suo talento e la vera diffinizione di ciò ch'egli vale, essendo di maraviglia che ogni uno attend'a saper il prezzo della roba sua e che pochi abbian cura o curiosità d'intender il vero valor dell'esser loro. Or, presupposto che si sia fat- to il possibile di saperne il vero, conviene che in qual- che giorno colui ch'è misero si scordi della sua disav- ventura, e cerchi di viver con qualche imagine almeno di sodisfazzione, sí che sempre non abbia presente l'og- getto delle sue miserie. Quando ciò sia ben usato, è un inganno c'ha dell'onesto; poiché è una moderata oblivio- ne, che serve di riposo agl'infelici: e benché sia scarsa e pericolosa consolazione, pur non se ne può far di meno, per respirar in questo modo; e sarà come un sonno de' pensieri stanchi, tenendo un poco chiusi gli occhi della cognizion della propria fortuna, per meglio a- prirli dopo cosí breve risto- ro: dico breve, perché fa- cilmente si muterebbe in letargo, se troppo si praticasse que- sta negligenza. Quando considero che il vino fu trovato dopo il dilu- vio, conosco che non bisognava minor quantità d'acqua per temperarlo; e qui son da veder due cose: una di Noè, che ne restò ignudo, e ciò ne dimostra che 'l vino è mol- to contrario alla dissimulazione, e quanto questa s'im- piega a coprire, tanto quello attende a scoprire; l'altra della pietà delli due figli, che con la faccia indietro rico- prirono il padre, dissimulando di vederlo a tal termine, quando dal lor fratello, già alienato da ogni legge di umanità, era schernito ignudo colui che l'avea vestito delle proprie carni. Oh quanti son al mondo che imitano questa mostruosa ingratitudine, facendo materia da ride- re chi loro doverebber'esser oggetto d'amore e di reve- renza! Pochi son gl'imitatori di que' due che seppero tro- var il modo di volger le spalle, per pietà, al padre, non come molti fanno, che si lascian la paterna necessità dietro le spalle. Non solo que' pietosi figli si occuparono a ricoprir il padre, ma vollero mostrar di non averlo ve- duto in tal condizione. Cosí ciascuno dee corrisponder a scusar i disordini, ed in particolare que' de' superiori, ogni volta che alcuno di loro v'incorre. Altri pietosi uffi- ci mi si rappresentano nell'istoria di Giuseppe che, ven- duto da' fratelli, mostrò poi di non conoscerli, a fine di 35  piú riconoscerli per mezzo de' benefici; e, con esempio di rada mansuetudine, dissimulava il dono di quegli ele- menti che lor in apparenza vendeva, perché i medesimi sacchi ne riportavano i danari a casa; finché, fatto venir anche l'ultimo de' fratelli, e usati tutt'i modi di manife- star a tempo la sua benignità, “non se poterat ultra cohi- bere Joseph multis coram adstantibus”. In questo ebbe fine quella sincera ed innocente dissimulazione; e segue nel Genesi a narrarsi la sua pietà: “unde praecepit ut egrederentur cuncti foras, et nullus interesset alienus agnitioni mutuae. Elevavitque vocem cum fletu, quam audierunt Aegyptii, omnisque domus Pharaonis, et dixit fratribus suis: Ego sum Joseph -”. Era egli nell'Egitto con suprema gloria, e già chiamato salvator del mondo; con tutto ciò, non tenendo conto dell'offese, dissimulò d'esser fratello, per dimostrarsi piú che fratello. Io non so chi possa ritener le lagrime, leggendo quella pietosa istoria, dalla qual si può apprender la dolcezza del per- dono e del dissimular l'ingiurie, e massimamente quan- do vengon da persone tanto care quanto son i fratelli. Come quest'arte può star tra gli amanti Amor, che non vede, si fa troppo vedere. Egli è pic- ciolo, e come disse Torquato Tasso: Picciola è l'ape, e fa col picciol morso pur gravi e pur moleste le ferite; ma qual cosa è piú picciola d'Amore, se in ogni breve spazio entra, e s'asconde?. Nondimeno è pur tanto grande, che non ha luogo da potersi in tutto nasconder, è quando è giunto al suo cen- tro, ch'è il cuore, se non si mostra per altra via, accende quella febre amorosa della qual era infermo Antioco e di che il Petrarca fe' che dicesse Seleuco: E se non fosse la discreta aita del fisico gentil, che ben s'accorse, l'età sua in sul fiorir era fornita. Tacendo, amando, quasi a morte corse; e l'amar forza, e 'l tacer fu virtute; la mia, vera pietà, ch'a lui soccorse. Quindi si può considerar come, mettendosi fuoco a tutta la casa, le faville, anzi le fiamme, ne fan publica pompa per le finestre e dal tetto. Tanto avviene, e peggio, quando amor prende stanza ne' petti umani, accen- dendogli da dovero, perché i sospiri, le lagrime, la palli- dezza, gli sguardi, le parole, e quanto si pensa e si fa, tutto va vestito con abito d'amore. Cosí dunque di Antioco, nell'amor verso Stratonica sua matrigna, ancorch'egli tacesse, si palesò l'incendio nelle vene e ne' polsi. Non avea consentito di chiamarsi amante DIDONE, mentre Amor in figura di Ascanio trattava con lei; ma niuna cosa mancava, perché già si vedesse accesa, come Virgilio va significando: Praecipue infelix pesti devota futurae expleri mentem nequit, ardescitque tuendo Phenissa et puero pariter donisque movetur. Ed ancorché andasse velando gli stimoli della piaga interna, nel progresso del suo affetto, At regina gravi iamdudum saucia cura vulnus alit venis at caeco carpitur igni, pur, quello che la lingua non avea publicato, fu espresso nelle strida della piaga ch'ella stessa disperata si fe', conchiudendo Virgilio: Illa, graves oculos conata attollere, rursus deficit: infixum stridet sub pectore vulnus. Di Erminia si ha, da Torquato Tasso, che avea dissi- mulato il suo pensiero, e ch'ella poi disse a Vafrino: Male amor si nasconde. A te sovente desiosa i' chiedea del mio signore. Vedendo i segni tu d'inferma mente: - Erminia - mi dicesti - ardi d'amore. - Io te 'l negai, ma un mio sospiro ardente fu piú verace testimon del core; e 'n vece forse della lingua, il guardo manifestava il foco onde tutt'ardo. Il medesimo dolor che tormenta gli amanti, se non ba- st'a far che dicano i loro affetti, si muta in ambizione amorosa di dimostrarli; e se gli animi onesti si contenta- no di non manifestarsi, con gran fatica si riducono a portar intiero il manto che ha da coprir tanti affanni. L'ira è nimica della dissimulazione Il maggior naufragio della dissimulazione è nell'ira, che tra gli affetti è 'l piú manifesto, essendo un baleno che, acceso nel cuore, porta le fiamme nel viso, e con orribil luce fulmina dagli occhi; e di piú fa precipitar le parole, quasi con aborto de' concetti che, di forma non intieri e di materia troppo grossa, manifestano quanto è nell'animo. Molta prudenza si richiede, per rinchiuder cosí gagliarda alterazione; e di chi è trascorso a tanto impeto, disse Platone: “tanquam canis a pastore, ita de- nique revocatus ab ea quae in ipso est ratione mitescat.” Era Achille in questa passione contra Agamennone, quando “truculento intuens aspectu: - O vir - inquit - ex dolo totus atque imprudentia factus ac genitus, et quis tibi Graecorum posthac libens pareat? Ma l'ufficio della ragione, significata per Minerva scesa dal cielo, va temperando: “ - Non venit - inquit - a caelo, Achilles, ut te iratum in ultionem iniuriae acceptae erumpere vi- deam, sed ut ira<cundia>m tuam compescam - Sí che Omero, in questa occasione di Achille, spiega insieme quanto importi la dissimulazione. Da due potenti stimoli procede tanta licenza di parole nell'ira, cioè dal dispia- cere e dal piacere, perché ella è appetito, con dolore, di far vendetta che si dimostri vendetta, per dispregio che crediamo fatto di noi, o d'alcuno de' nostri, indegnamen- te, come disse Aristotile; ed a questo dolor segue il di- letto, che nasce dalla speranza di vendicarsi, e perché l'animo è in atto di vendetta: e però ARISTOTELE soggiun- se: “recte illud de ira dictum est quod, defluente melle dulcior, in virorum pectoribus gliscit”. Dunque, da cosí fatto misto di amaro e di dolce, dee guardarsi chi non si vuol mostrar facilmente turbato, come sogliono parer gl'infermi, i poveri e gli amanti, e tutti quelli che si fan vincer dal disiderio. Importa il prevenir con la conside- razione di quanto è maggior diletto vincer se stesso, in aspettar che passi la procella degli affetti, e per non deli- berare nella confusione della propria tempesta; ma nel sere- no dell'animo che, ritirato ogni pensiero nell'altissi- ma parte della mente, potrà sprezzar molte cose, o non curar di vederle. Chi ha soverchio concetto di se stesso ha gran difficultà di dissimulare L'error che si può far nel compasso, il qual si gira nel- l'opinion di noi stessi, suol esser cagion che trabocchi ciò che si dee ritener ne' termini del petto; perché, chi si stima piú di quello che in effetto è, si riduce a parlar come maestro, e parendogli che ogni altri sia da men di lui, fa pompa del sapere, e dice molte cose che sarebbe sua buona sorte aver taciuto. Pitagora, sapendo parlare, insegnò di tacere; ed in questo esercizio è maggior fati- ca, ancorché paia d'esser ozio. I concetti che risuonano nelle parole, non solo portano l'imagine di quelli che stanno nell'animo, ma son fratelli mentali (già che non posso dir carnali) del concetto che l'uomo ha del suo sa- pere. Questo è il concetto primogenito (per dir cosí), al qual succedono gli altri; e se non è con misura, ne procedono molti e vari ragionamenti, e di necessità però si scopre quanto è nel pensiero; ma chi di sé fa quella sti- ma che di ragion conviene, non commette alla lingua maggior giuridizzione di quanto è il lume dell'intelligen- zia che la dee muovere. 42  XVII. Nella considerazione della divina giustizia si facilita il tollerar, e però il dissimular le cose che in altri ci dispiacciono Convien di trattar di alcune cose piú in particolare, che ricercano d'esser tollerate, ch'è lo stesso a dir dissi- mulate, poiché sono molt'i dispiaceri dell'uomo ch'è spettator in questo gran teatro del mondo, nel qual si rappresentano ogni dí comedie e tragedie; ed or non dico di quelle che son invenzioni de' poeti antichi o mo- derni, ma delle vere mutazioni del mondo stesso, che da tempo in tempo, in quanto agli accidenti umani, prende altra faccia ed altro costume. L'ordine è forma che fa il tutto simigliante a Dio, che lo creò e lo serba col dono della sua providenza, la qual per lo gran mar dell'essere ogni cosa conduce con prospero viaggio; e disponendo la medesima regola sopra il merito o demerito delle ope- re umane, si vieta nondimeno alla debolezza de' nostri pensieri il passar negli abissi de' consigli divini, alli qua- li si dee infinita riverenza, avendosi da ricever per giu- sto quanto consòna alla volontà di Dio. E se pur sempre non vediamo nelle cose mortali quell'ordine infallibile che si manifesta nel moto del sole, della luna e dell'altre stelle, anz'in molta confusione spesse volte si truovano i negozii di qua giú, non manca però la certezza dell'eter- na legge, che tutto sa applicar ad ottimo fine; e 'l premio e la pena, che non sempre vien pronta, si aspetti come decreto inseparabile dal giudizio divino, che per tutto va penetrando con la sua non mai limitata potenzia. A questa verità, ch'è via di quiete, per dissimular le sinistre apparenze, soggiungerò piú distinto il modo di accom- modarsi a quelle. Gran tormento è di chi ha valore, il veder il favor del- la fortuna, in alcuni del tutto ignoranti; che senz'altra occupazione, che di attender a star disoccupati, e senza sa- per che cosa è la terra che han sotto i piedi, son talora padroni di non picciola parte di quella. Veramente chi si mette a considerar questa miseria, è in pericolo di perder la quiete, se insieme non s'accorge che la medesima for- tuna, che talora fa qualche piacere alla turba degli scioc- chi, suol abbandonar l'impresa, e quando piú luce, si rompe, lasciando scherniti que' che non son degni della sua grazia; e di piú la gente di questa qualità, non ha che pretender per l'acquisto di quella gloria, che solamente appartiene a chi sa da dovero; e se qualche uomo di ec- cellente virtú, alcuna volta sta quasi sepellito vivo, in ogni modo si ha da udir il grido del suo merito; e non solo la voce ne dee risonar tra quelli che vivono nel me- desimo tempo, ma se ne va passando da un secolo all'al- tro; perché il vero valor è che fa per fama gli uomini immortali, come disse il Petrarca; e prima di lui ALIGHIERI:  vedi se far si dee l'uomo eccellente sí ch'altra vita la prima relinqua. Di questa maniera si libera il nome dalle mani della morte, ed un'anima piena di cosí alta speranza, non sente noia che a qualche indegno e da poco, per poco tempo, si faccia applauso, es- sendo un salto di fortuna che se ne passa senza lasciar ve- stigio, come il fumo nell'aria. Del dissimular all'incontro dell'ingiusta potenzia Orrendi mostri son que' potenti, che divorano la sostanza di chi lor soggiace; onde ciascuno, che sia in pe- ricolo di tanta disaventura, non ha miglior mezzo di ri- mediar, che l'astenersi dalla pompa nella prosperità, e dalle lagrime e da' sospiri nella miseria; e non solo dico del nasconder i beni esterni, ma que' dell'animo; onde la virtú, che si nasconde a tempo, vince se stessa, assicu- rando le sue ricchezze, poiché il tesoro della mente non ha men bisogno talora di star sepolto, che il tesoro delle cose mortali. Il capo che porta non meritate corone, ha sospetto d'ogni capo dove abita la sapienzia; e però spesso è virtú sopra virtú, il dissimular la virtú, non col velo del vizio, ma in non dimostrarne tutt'i raggi, per non offender la vista inferma dell'invidia e dell'altrui ti- more. Anche lo splendor della fortuna ha da esser cauto nel palesarsi, già che, passando a dimostrazioni di soverchi arnesi e di oziosi ornamenti, oltre al distrugger il capital nelle spese, suol accender gran fuoco nella pro- pria casa, destando gli occhi degl'ingordi a pretenderne parte, e forse il tutto. Ma piú dura è la fatica di dover pi- gliare abito allegro nella presenza de' tiranni, che so- glion metter in nota gli altrui sospiri, come di DOMIZIANO (si veda) dice TACITO. PRAECIPVA SVB DOMITIANO MISERARIARVM PARS ERAT VIDERE ET ASPICI CVM SVSPIRIA NOSTRA SUBSCRIBERENTVR CVM DENOTANDIS TOT HOMINVM PALLORIBVS SUFFICERET SAEVS ILLE VULTS ET RUBOR A QUO SE CONTRA PVDORE MVNIEBAT. Sí che non è permesso di sospirare, quando il tiranno non lascia respirare, e non è lecito di mostrarsi pallido, mentre il ferro va facendo vermiglia la terra con sangue innocente, e si niegano le lagrime che dalla benignità della natu- ra son date a' miseri come propria dote, per formar l'onda che in cosí picciole stille suol portar via ogni grave noia e la- sciar il cuor, se non sano, al- men non tanto oppresso. Del dissimular l'ingiurie L'ingiuria, che si può dissimulare, e nondimeno si manifesta nel disiderio della vendetta, è fatta piú da colui che la riceve che dal suo nimico. Non tutti sanno ben conoscer il decoro dell'onesta tolleranzia, in che si accordano tutt'i filosofi, che per altre opinioni, in varie set- te, non son di conforme parere, dicendo Tertulliano: “tantum illi subsignant, ut cum inter sese variis sectarum libidinibus et sententiarum aemulationibus discor- dent, solius tamen patientiae in commune memores, huic uni studiorum suorum commiserint pacem: in eam conspirant, in eam foederantur, illi in adfectatione virtutis unanimiter student, omnem sapientiae ostenta- tionem de patientia praeferunt. Alcuni, non distinguen- do la forteza dal temerario ardire, son pronti ad ogni qualità di vendetta, e per un cenno che non sia fatto a lor modo, vogliono penetrar negli altrui pensieri e dolersene come di offese publiche. I sensi cosí fieri son vicini ad estremi mali, e l'esperienza dimostra che le picciole in- giurie, se non si lascian passar sotto qualche destrezza, sogliono diventar grandi; ed a tutti color che son potenti, molto piú convien di ritirar la vista da simili occasioni: perché ogni un che possa poco, è buon maestro a' suoi pensieri, per accommodarsi a tollerare; ma chi ha forza di risentirsi, sente stimolo di correr a precipizio, e molti di questi che stanno in alta fortuna, scordati non solamente di usar perdono, ma della proporzion della pena, prendono mezzi violenti per l'altrui ruina; da che avviene ch'essi pur rimangono in tanta turbazione de' fatti loro che, oltre all'odio publico, son anche in odio a se medesimi, per la perdita della quiete interna, ch'è bene inestimabile ed appartiene all'innocenzia. Del cuor che sta nascosto Gran diligenza ha posta la natura per nasconder il cuore, in poter del quale è collocata, non solo la vita, ma la tranquillità del vivere: perché nello star chiuso, per l'ordine naturale si mantiene; e quando gli occorre di star nascosto, conforme alla condizion morale, serba la salute delle operazioni esterne. E pur in questo modo, non a tutti si dee nasconder; onde, nell'elezzione, si con- sideri quello che fu detto da Euripide Sapienti diffidentia non alia res utilior est mortalibus. L'esperienza, che si suol doler degl'inganni, potrà far luce in questa materia, ch'è una selva oscura per l'incertezza del ben eleggere; e però ogni ingegno accorto va- gliasi degli abissi del cuore, ch'essendo breve giro, è capace d'ogni cosa; anz'il mondo intiero non lo riempie, poiché solo il Creator del mondo può saziarlo. Si ammira, come grandezza degli uomini di alto stato, lo starsi ne' termini de' palagi, ed ivi nelle camere segrete, cinte di ferro e di uomini a guardia delle loro persone e de' loro interessi; e nondimeno è chiaro che, senza tanta spesa, può ogni uomo, ancorch'esposto alla vista di tutti, nasconder i suoi affari nella vasta ed insieme segreta casa del suo cuore, perché ivi soglion esser quei templi sereni, de' quali cantò Lucrezio: sed nihil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapientium templa serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantes quaerere vitae. Applicando io però questi versi al senso che conviene a significar un'altezza d'animo, ed una quiete, che con- duce al piacer ed alla gloria immortale, e non al diletto fallace. La dissimulazione è rimedio che previene a rimuover ogni male Era tanto stimata da Giob la dissimulazione onesta che, non avendo lasciato di valersene nel suo regno, poi che si vide privo di prosperità, parendogli di aver fatto assai dalla parte sua perché non gli fosse caduta dalle mani, disse: Nonne dissimulavi? nonne silui? nonne quievi? et venit super me indignatio. Egli con tranquillità governò il suo stato, e sempre che potette dissimular, lo fe' volentieri; e però s'era per- suaso che non avesse da seguir mutazione nelle cose sue, ben assicurate dalla prudenzia, che in sé raccoglie- va dissimulazione, silenzio e quiete. Ma se con tutto ciò cadde in miseria, fu voler di Dio, che si compiacque di far vedere nella persona di quel santo una invitta costan- za e 'l trionfo della pazienzia, che nel carro della vera gloria si menò appresso come catenati tutt'i mali, fin ch'egli ebbe la prístina felicità con duplicate sodisfazzioni; e quella sua giustizia, che nel termine della sem- plice natura si dimostrò al mondo, sarà esempio in tutt'i secoli per affermare che i servi di Dio, in ogni condizio- ne, son sempre beati. Dunque Giob era tale, anche nel tempo de' suoi tormenti; ma per non uscir dalla materia di che vo trattando, dico ch'egli, facendo il conto con la sua conscienzia, dicea: “Nonne dissimulavi? nonne si- lui? nonne quievi?”, volendo significar che a questa dili- genza non suol mancar piacer alcuno; e quando succede qualche accidente che perturbi tanto sereno, vuol il cielo che, dopo l'avversità, si accresca splendor agli animi che son alieni dagli affetti della terra. In un giorno solo non bisognerà la dissimulazione È tanta la necessità di usar questo velo, che solamente nell'ultimo giorno ha da mancare. Allora saran finiti gl'interessi umani, i cuori piú manifesti che le fronti, gli animi esposti alla publica notizia, ed i pensieri esaminati di numero e di peso. Non averà che far la dissimulazio- ne tra gli uomini, in qualunque modo si sia, quando Id- dio, che oggi “est dissimulans peccata hominum”, non dissimulerà piú; ma poste le mani al premio ed alla pena, metterà termine all'industria de' mortali, e que' sa- gaci intelletti, che hanno abusato il proprio lume, si accorgeranno come allora non gioverà l'arte del cucir la pelle della volpe dove non arriva quella del leone, che fu consiglio di un re spartano: perché l'onnipotente Leo- ne, facendo ruggir il mondo dagli abissi fin alle stelle, chiamerà tutti; e ciascuno dee saper e dire circumdabor pelle mea, come disse Giob. Quell'aurora porterà un giorno tutt'occupato dalla giustizia, e nel mostrar i conti, non vi sarà arte da far vedere il bianco per lo nero. S'udirà il decreto, che sarà l'ultimo delle leggi, e darà legge eterna alle stelle ed alle tenebre, al piacer ed alla pena, alla pace ed alla guerra. Sarà forz'alla dissimulazione di fuggirsene in tutto, quando la verità stessa aprirà le finestre del cielo e, con la spada accesa, troncherà il filo d'ogni vano pensiero. Come nel cielo ogni cosa è chiara Se per questa vita in un giorno solo non bisognerà la dissimulazione, nell'altra non occorre mai; e lasciando di trattar delle anime infelici che, con la luce del fuoco eterno, anzi nelle tenebre, mostrano gli orribili mostri de' peccati, dirò dello stato delle anime eternamente felici. Ivi hanno lo specchio, ch'è Iddio, il qual vede tutto, e ben nella lingua greca il suo nome, come osserva Gregorio Nisseno, dimostra efficacia di vedere, perché theós viene a theáome, ch'è mirare e contemplare. Veggono i beati colui che vede, sí che nel cielo non occorre che alcuno si celi. Ivi tutto è manifesto, perché tutto è buono, tutto è chiaro, tutto è caro. Quanti piú sono a possedere il sommo bene, tanto piú son ricchi. Dov'è tanto amor, non può succedere occasion di custodire in- teresse alcuno. Ma qui, dove siamo vestiti di corruzzio- ne, si procura con ogni sforzo il manto, con che si dissi- mula per rimedio di molti mali; ed ancorché ciò sia one- sto, pur è travaglio; onde si dee aspirar al termine di questa necessità, e spesso, rimovendo lo sguardo dagli oggetti terreni, vagheggiar le stelle come segni del vero lume che, anche per mezzo d'esse, c'invita alla propria stanza della verità. Ivi, nella divina essenza, i beati go- dono della chiara vista, ch'è l'ultima beatitudine dell'uomo, essendo la piú alta operazione dell'intelletto, per mezzo del lume della gloria che lo conforta; perch'essendo la divina essenza sopra la condizione dell'intellet- to creato, può questi vederla, non per forze naturali, ma per grazia; e come uno ha maggior lume di gloria del- l'altro, cosí può meglio conoscerla, ancorché sia impos- sibile vederla quanto è visibile, perché il medesimo lume della gloria, in quanto è dato a tal intelletto, non è infinito. Or, considerando cosí sodisfatti, cosí felici, ed in eterno sicuri, gli abitatori del Paradi- so, si vede come non han da nasconder di- fetto alcuno; e per conseguenza la dissimulazio- ne rimane in ter- ra, dove ha tutti i suoi ne- gozii. The first stage X produces a screech volunaarity so that the rest of the world should think that x he is in the state wwhich the NON-voluntary production would SIGNIFY. Stage 2,  produce X is now supposed not only TO SIMULATE pain-behaviour but also to be recognised as simulating pain-behaviour. Stage three  X screes so that Y not only recotgnises that the behaviour is voluntary but also recognises that X intends Y to recognise his behaviour as voluntary. We have underminded that this is a straightforward piece of DECEPTION. DECIEVING consists in trying to get a creature to accept certain things as SIGNS of something or other wihout knowing that this is a FAKED case. Were would weuld have a sort of PERVERSE faked case in which something is faked but at the same time a CLEAR thindictation is put in that the faking has been done.Y can be thought of as initially BAFFLED by this conflicting performance. There is this creature simulating pain but ANNOUNCING, that this what he is doing. What on earth can it be up to me. If Y does raise the question of why X should be doing this, Y might first come up with the idea that X is engagnen in some form of make believe – a game to which Y is expected to make some appropriate contribution. This is stage 4. But we may suppose, tthere might be cases which coud NOT be handled in this way. If Y is to be expected to be a participant whith X in some form of play, it ought to be possible for Y to recognise what kind of contribution Y is supposed to make. And we can envisage the possibility that Y has NO CLUE on which to base such recognition, or again that though some form of contribution seems to be suggested, when Y obliged by coming up with it, X instead of producing further play-behaviour geets corss and perhaps repeats its original and now problematic performance. This is stage 5, at which U supposes thanot that X is engaged in play that buta what I is doing is trying to get Y to believe or accept that X is in pain. In relation to the particular example which I have been using, to reach the position ascribed to in in stage five, Y would have to solve, bypass, or IGNORE, a possible problem presented by X/s behaviour. Why SHOULD X produce what is NOT a genuine but a FAKED expression of pain if what X is trying to get Y to believe is that X IS in pain? Wy not just let out a natural bellow? Possible answers are not too hard to come by. For example, it would be UNMANLY, or otherwise uncreaturely, for X to produce NATURALLY a natural expression of pain, or that X’s NON-NATURAL faked production of an expression of sincere pain is NOT to be supposed to INDICATE EVERY feature which WOULD be indicated by a NATURAL production. The non-natural production or emission, for example, of a LOUD BELLOW might properly be taken to indicate pain, not that THAT degree of pain wich would correspond with the DECIBELS of the particular emission. This problem would not, however, arise if X’s performance, instead of being something which, in the NATURAL INVOLUNTARY case, woud be an EXPRESSION of the STATE of X which (in the non-natural faked case) is is intended to get Y to believe in, were rather something MORE LOOSELY connecterd with the state of affairs (NOT NECESSARILY A STATE OF X) which it is intended to conveye to Y. X’s performance, that is, would be SUGGESTIVE, IMPLICATURAL, in some recognizable way, OF THE STATE of affairs WITHOUT being a NAUTRAL involuntary response of X to THAT state of affairs. We reach then stage 6. Where the correlation is meant to be something other than inconic. A stage in which the communication vehiles do not ave to be, initially A NATURAL SIGN of what which it is used to communicate. Provided a bit of behaviour could be expected to be seen by the receiving creature as having a discernible connection with a particular piece of information, that bit of bheaviour will be usable by the transmitting creature, provided that the creature can place a fiar bet on the cconnetion being made by the receiving creature. Any link will do, proided it is detectable by the receiver, and the ooser the links creatures are in a position to use, the greater the freedom they will have as communicators, since they will be less and less restricted by the need to rely on a proor natural connection. The widest possible range is given where creatures use for these purposes a ANGE of communication devices which or gamut of communication devices which have NO ANTECEDENT connection at all with the things that they communicate or represent, and the connection is simply made ofbecause the sassupmtion of such an artificial connection is prearranged and foreknown. Here creatures can simply cash in on the stock of information built into them. In some cases, the devices might have other features above the one of being artividial. They might infolve a finite number of roto devices and a FINITE set of fmodes or forms of combination – combinaroty operations, which are cableble of being used over and over again. The creatures whihcll have what some have thought to be characteristic of a language, a communication system with a finite set of initial devices, together with semantic provisions for them, and an understanding of what the functions of those modes of comination are. As a result, they can generate an infinite set of complex communication devices, together with a correspondingly infinite set of things to be communicated. This gives a rationale ro communiationThe muth exhibits the conceptual link Torquato Accetto. Keywords: dissimulazione onesta, dissimulazione disonesta nell’animali – mimesis – camuffare, camouflage, laboratorio di mascheramento – vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito italiano. vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito italiano, simulation as the key concept to unify the only sense of ‘sign’ x consequentia y, y seq-uitur x, segno naturale divenne segno artificiale – segno di una proposizione p – un gesto segna la proposizione p, la correlazione e iconica – ma se intenzionale, it cannot be ‘natural’. Passage in ‘Meaning revisited’ --. -- Giulio Cesare, Medici – grigio – esercito, bande nere.—Torquato Accetto. Accetto. Refs. Luigi Speranza, “Grice ed Accetto” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #accetto 

 

Grice ed Acilio: la ragione conversazionale e il discorso al senato sulla giustizia -- Roma antica -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Roma). Filosofo romano. Filosofo italiano. A philosopher specialised in political philosophy. He happens to be pretty fluent in Greek, and serves as interpreter for Carneade of Cyrene, Diogene of Seleucia, and Critolao, when they come to Rome to represent Athens before the Senate. Senatore e storico. Grazie alla sua posizione politica, anche se non di primo piano, e soprattutto alla sua conoscenza del greco, introduce al senato romano i tre filosofi Carneade dall’Accademia, Diogene del Lizio e Critolao dalla Scesi, venuti come ambasciatori di Atene, e funge da interprete. Seguendo l'esempio di QUINTO FABIO PITTORE, a cui si attribuisce il merito d’iniziare la storiografia latina, scrive una storia di Roma, di impostazione annalistica, che anda dai primi tempi, secondo Dionigi di Alicarnasso e Livio. La storia è commentata d’altro annalista, GAIO CLAUDIO QUADRIGARIO. A giudicare dagli VIII frammenti conservati, sembra di potersi notare che, come l'opera di FABIO PITTORE, anche la storia di A. dedica molto spazio al racconto dell’origini. È accostabile al suo predecessore anche dalle discussioni eziologiche per cerimonie e istituzioni cultuali, che egli vede come indice del fatto che Roma è una città di origine greca. Macrobio, Saturnalia. Periochae. Livio. In F. Gr. Hist.  Jacoby. H. Peter, “Historicorum Romanorum Reliquiae” (Leipzig, Teubner), Altheim, “Untersuchungen zur römischen Geschichte” (Frankfurt), Cornell e Bispham, “The fragments of the Roman historians” (Oxford) -- discussione su vita, opere e frammenti. Gens Acilia. Antica Roma  Biografie  Letteratura. Quinto Fabio Pittore politico e storico romano Annales Cincio Alimento opera dello storiografo romano Lucio Cincio Alimento Gaio Asinio Quadrato. storico e politico romano. Gaio Acilio. Acilio.

 

Grice ed Achillini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Bologna – filosofia bolognese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo Emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia – Romagna. Grice: “It is from Achillini that I draw the idea that ‘mean’ is essentially a ‘consequentia’ relation – he speaks of the sillogismo fisiognomico (those spots do not mean measles, YOU mean that you have measles, since you painted them yourself!” – but then he was ‘of’ Bologna, and thus a physician, more than a philosopher! Bless his little heart!” Grice: “The fact that the Loeb Classical Library has Aristotle’s Physiognomica helped!” -- Grice: “I like Achillini; he is my type of logician.” “Possibly, his most generalised implicature is his little philosophical tract on ‘de prima potestate syloogismi,’ translated during the second world war as “la prima potesta del sillogismo.’ His example: “all men are mortal, Garibaldi!” -- Essential Italian philosopher. Grice: “What fascinates me about Achillini is, first, that he belonged to a varsity older than mine, Bologna; second, that he was a Renaissance occamist, as Matsen has shown.” Docente in filosofia a Bologna e Padova, designato "il secondo Aristotele." Di natura molto semplicistico, qualificato nelle arti d’adulazione e di doppio gioco a tal punto che i suoi studenti più argute e imprudenti spesso lo considerano come un oggetto di ridicolo, anche se lo onorano come insegnante. Posse anche un bel carattere vivace. Secondo la descrizione di un collega, è bello, alto ma ben proporzionato, allegro, felice, spesso sorridente, e affabile. Mai sposato. La sua reputazione tra i suoi colleghi è ammirevole ed era molto rispettato. E anche se era ben A. lettura e formidabile in un dibattito, è stato detto di essere un po 'rigida e rigido nella sua docenza. Dopo la sua morte, molte persone sono state estremamente devastati.  Le sue opere filosofiche sono state stampate in un volume in folio, a Venezia, e ristampato con notevoli aggiunte. Muore a Bologna e sepolto nella chiesa di S. Martino. Tra le sue scoperte notevoli è conosciuto come il primo anatomico per descrivere le due ossa tympanal dell'orecchio, chiamato martello e incudine. Ha mostrato che il tarso (parte centrale del piede) è costituito da sette ossa, ha riscoperto il fornice e l'infundibolo del cervello. Inoltre ha descritto i condotti delle ghiandole salivari sottomascellari.  Suo fratello è stato l'autore Giovanni Filoteo Achillini, e il suo pronipote, Claudio Achillini, un avvocato. È costretto a lasciare Bologna a causa della espulsione della potente famiglia Bentivoglio di cui era un partigiano. Poi anda a Padova dove è nominato professore di filosofia. Professore di filosofia a Bologna. A. era un professore presso Padova. A. insegna a Bologna per anni, che è più lungo di chiunque abbia mai insegnato a Bologna in la filosofia. Padova ha uno statuto, che se un professore è riuscito a leggere in qualsiasi giorno assegnato, o non è riuscito ad avere un certo numero di studenti che sarebbe essere documentati e poi ci sarebbe stata una diminuzione di stipendio per evento. A. non soddisface il requisito per la lettura, a cui è stato penalizzato 351 lire bolognesi. Anche riceve due lettere fortemente formulate dal Comune di Bologna, affermando che la sua assenza non e autorizzata, e se avesse continuato avrebbe penalizzato severamente: 500 ducati d'oro per la prima infrazione. Partecipa molti comitati di dottorato come membro per l'esame e l'approvazione dei candidati. Ci sono registrazioni di lui che frequentano almeno novanta volte al presente procedimento. I procedimenti sono esami di dottorato o di elezioni dei nuovi membri della compagnia di collegiali medici.  Inoltre, e ben versato in teologia. I suoi disegni iniziali indicano un interesse ad entrare al sacerdozio. Egli sembra aver iniziato gli studi al seminario. L'anno in cui è entrata la tonsura nella Cattedrale di Bologna. E anche se poi sposta la sua attenzione al mondo accademico, rimanne un filosofo attivo per tutta la sua vita e ha contribuito a due Congressi Generali dell'Ordine Francescano; uno a Bologna e un altro terrà a Roma. Mentre in residenza a Bologna, è accreditato come strumentale nel generare interesse per Ockham. L'estensione del riconoscimento alcuno di A. è difficile da discernere, ma si ritiene che i suoi contemporanei e all'università istigato una breve rinascita Ockhamistica, come evidenziato dagli ultimi lavori dei suoi studenti.  pubblicazioni Le “Note anatomiche” dimostrano una descrizione dettagliata del corpo umano. Paragona ciò che trova durante i suoi dissezioni a ciò che altri come Galeno e Avicenna trovano e note le loro somiglianze e differenze. Afferma ci sono sette caratteristiche in sede di esame del corpo al posto del credeva sei data nel libro di Galeno sulle sette. Queste caratteristiche sono sette dimensioni: I il numero, II la posizione, III la forma, la IV sostanza come in sottili o spessi, VI sostanza in polposo o ossea, e VII carnagione. In questo saggio, dà anche indicazioni come come procedere con alcune dissezioni e le procedure, come la castrazione, l'estrazione della pietra, e la rimozione della gabbia toracica di esaminare ulteriormente il cuore ei polmoni.  E 'stato anche distinto come un anatomista, tra i suoi saggi che sono: “De humani corporis anatomia” (Venezia), e Expliciunt Annotationes anatomicae in Mundinum Magni Alex. Achilini Boron. Editae per euius fratrem Philoteum (Bologna) – Achillini Bononiensis opera lima ejusce actoris repollita et extersa ac denuo maxima cura ac diligentia impressa (Venezia). Di Achillini Annotationes anatomicae è stato pubblicato da suo fratello, Giovanni Filoteo,  E 'stato pubblicato in un piccolo formato di diciotto fogli con un paio di poesie di sei e due righe ciascuna. Ulteriore lettura Franceschini, Dizionario della biografia scientifica   Matsen -- la sua dottrina di "universali" e "trascendentali": uno studio in rinascimentale Ockhamism. Bucknell. Gallerie online, storia della scienza collezioni, Oklahoma Biblioteche immagini ad alta risoluzione delle opere di e / o ritratti di A. in e il formato.tiff. finiti vigoris sit Deus telligat. Vtrum prima forma quæ estvi tor. Virum quodam ordine recedant intelligentiæ mediæ a prima. Virum intellectus possibilis subijciatur accidentibus. Verum incellectus possibilis sit formadansesschominé. In libro de Orbibus. Cælum est in generabile. Cælum non est calidum nifi virtualiter Cælum non indiget Athlante, ncq; anima cogente. Cælum eft naturæ ncutræ, Dubium secundum. Vtrum speciz differant stella, et o r Stella est continua suo orbi. Stella eft dextrum cæli, Noucm gradus felicitatis secundum ARISTOTELE et Commé Inter cælos non cft corpus replens vacuum. rarorem, ibidem. Quid sic copulatio. Quomodo intelligitur propositio dicens recipiens debetelle Verum quaruncung; intelligentiarum perfectio attendatur ibidem Vtruntalis sit proportio moventiú, qualis eftrefiftentiarī. ibi. Omnes diversitas stellarum pene proportionabilem habet Non etf ella terræ aliquando propinqua et aliquandoree Tantum motu diurno cælum stellarum mouctur. Puncto velocissimo diurni motus non describitur æquino Aialis. Sufficit Afrologis imaginarium esse orbem, quem putant Infra Solem sunt Venus et Mercurius. Vtrum talis fit proportio motus ad motum in velocitate, Regularis eft motus cæli. ibidem Verum apud Theologá independentia inferat infinitate. ibid. Dubium quartum. Vtrum intelligentia sit. Solius naturalis est subftantia abftra et áelle dernóftrare. Dubium sextum.Verum intellectus moucatur. Deus non est condensabilis, ncq; rare factibilis. Deus non eft intentionaliter variabilis. Intelligentiæ mediæ sunt ingenerabiles et incorruptibiles. Intelligentiæ mediæ sunt non augmentabiles et non diminuibiles. Intelligentiæ mediæ non sunt rarefa&ibilcs, autcondensa Intd qualis cf desidcrijad desiderium. An homo cognoscar infinitatem Dei. Quid per infinitatem intelligendum sit. ibidem ibidem per se entiores. Vtrum possibile sit imaginare Deum esse potentiale. ibid. Vtrum Deus conservar intelligentias. ibidem Vtrum ex maiore de necessario sequatur conclusio de necella ibidem Ve rum 1. de generatione, tex.com.13. probetur ab Aristotele materiam esse æternam. ibidem rio in figura prima.  -- penes appropinquationem summo. VBIVM primum.Vtrum in Vtrum tantum Deum Deus in VTRVM in calofirmateria. Cælum est necessarium et æternum. Vtrum possibile fitcs homo antequam moriatur intelligat substantias separatas. Dubiumtertium. Vtrůcccentrici, et epiciclis intponendi. Cælinon sunt perforati. Virum quanto naturæ lune viciniores materiæ, cantosingim timus finis, sit primus mo Vtrum Deus, liberomoucatcæ Cælum non est rarefa &ibilcncque condensabile. Cælum non est senescibileneque fatigabile. ibidem Dubium quintum.Vtrum Dæmon sit. ibidem Deus non est alecrabilis. Primus orbis mouet alios. Maxima sphærarum est stellata. Cælum est incorruptibile. Cælum non est alterabile nisi intentionaliter Aggregatum omnium cælorum est quasi vnum animal.Vtrum ponenda sir creatio. Vtrum intelligemtiæmcdiæsint Cælum est cancumadiuum. productz. % Cælum est corpus spirituale et divinum. Cælum est grave aut leve. Cælum non est augmentabilencg; diminuibile. Cælum non est sensibile nisi visu. Stellamoucturad motum sui orbis. Vnum est centrum mundi. in Sole.In libro de Intelligentijs. Vtrum Deus fic intellectus agens. Quid intellectus adeptus. stanci. primum mobile. ncq; per accidens. denudatum à natura recepti. ibidem. mota. tumpot eft. aliquomodo. Vtrum intelligentiæ inferiores intelligant superioram.VIRUM intellecus sit VIRTUS materialis. Virum intellectum possibilem habeat omnis HOMO. Vtrum intellectus possibilis sit pure pocentialis. bis cius. Vtrum felicitas sit Deus.  Nullo motum ouentur corpora cælestia nisi circulari. Virum latitudo intelle&u ũlitvni formiter difformis. Vtrum sequatur, Deus est infiniti vigoris, ergo mouetinin Verum valcat hoc naturalicer mouct: ergo ipsum movet quan Vtrum infinitum sit cognoscibile. Virum in substantia ponendus sit gradus. ibidem Verum aliquis sit appetitus inclinationi naturali conformis Deus est ingenerabilis et incorruptibilis. Deus non est augmentabilis nec diminuibilis. non bonus. Vtrum intelligentiæ se conservent. Verum intelligentiæ dependcantam phancasmatibus. ibid. Vorum PLATONE ponat formam quæ nonc idea. ibidem. biles. Intelligentiz mediz non sunt alecrabilcs. lum. ibidem Non est intelle&us agens in Deo, nisi identice nec possibilis Deus non est localicer mobilis neq; persc, ncq; per partem,  Vtrum vniversales itnotius SINGULARI. Intelligentiæ mediæ non sunt intentionaliter variabiles. Vtrum species prius apprehendatur quam genus. Inintelligentijs medijs est aliquo modo intellectus agens, et Vtrum formæ intentionales educantur deporencia materiæ. inrelle& us possibilis. Intellectus possibilis est generabilis, et corruptibilis. Dubium septimum. Vtrum cælum recipiat else ab intelligencia. Vtrum vniversale sit innarum intelle&ui possibili, Vtrum scientia sit ipsum scitum. Vtrum corpus subratione qua mouetur sit subiectum. Vtrum omnium sensibilium corporum formas philosophus naturalis quidditatiue consideret. An cælum philosophus naturalis quidditatiuc consideret. An naturalis scientia pcedat ordinedo&rinæ metaphysicam. Quare in mathematica non possumus a posteriori demon Quomodo movens primum consideratur a metaphysico. Dubium uerit. o&auum Vtrum cælum mutationem termina vndecimum.Vtrum cælum sit sphæricut. duodecimumVcrum cælum sit luminofum dese. Non est lumen lunæ reflexum tantum. Dubium Dubium Vtrum morus cæli fuerit æternus. Cælum movetur sine fatigatione et pæna. thematicam, naturalem, et metaphysicam. VBIVM primum.Vtrum vniversalia ex i Intellectus agens deus. fant inintelle&u. Vtrum vniversale sit nomen tantum. ios Verum vniuersales it ens rationis. Vtrum vniversale sit respc&iuum. Vtrum vniversale sit extra animam in re abstractum. Vtrum vniversalia sint extra animam. Vtrum vniversalia substantiarum sint substantia. Vtrum vniuersale sit corporale. Vorum vniuersale sit corruptibile. Vtrum vniversale existat nullo Singulari illius existente. An felicitas considerat in scientia speculatiua. An felicitas sit vita. An felicitas sit sempiterna vita. An tanta sit æquiuocatio dicatur de vivo et lapideo. Vtrum ad felicitatem requiratur scientia moralis. Quomodo exdi&o speculatiuos equatur practicum. IIS Quid demonstratio SIGNI, causæ tantum et causæ et eltc. De quibus causis considerat naturalis, mathematicus, et dini Verum cuiusq; causati scientia sit per omnes cius causas.  Intelligentiæ mediæ sunt localiter mobiles per accidens ab alio nonå se. sensatum sit in intellectu. Intellectus possibilis est augmentabilis et diminuibilis. Vtrum vniuersalia sine obic&uni intelle&us. Vtrum vniuersalia ina&usinr in intelle&u. Intelle et us est realiter alterabilis, terminatiue, non subiectiua Intelle&tus possibilis eft localiter mobilis per accidens, Intellectus possibilis est intentionaliter variabilis. Vtrum forma inintelle&u habeatesse singulare. Verum vniuersale verius habeat dscinintelle&uquàm ex Cælum est intelle&iuum, et appetitivum. bie &tum neq; tali mutationem ut ab ir ura d non esse. Vtrum coelum sit sub ic et um principale naturalium. Vtrum fubic&um attributionis in naturalibus sit cælum. Non concederet Aristoteles cælum fuisse creatum neq annihilabitur. Apud ARISTOTELE non incipit mundus esse neq;desincr. Ad omnes operationes iniftis inferioribus cælum concurrit. Cælum iftis inferioribus non imponit necessitatem. naturali neq causæ finalis. Efficiens duplex. Non est influentia cæli instrumentum diftin&um a motu et primum efficiens à naturali consideratur. Quomodo corpora cælesia sunt in loco. extra. Vtrum vniuersale fit idem vel diuersum á singulari. Vtrum vniuersale fit causa fingularis. Quomodo, materiaà mathematico consideratur. Quomodo naturalis quatuor causas considerat. Vtrum melius sitponereinrationeformali subiedimobile 1Virum ex nihilo aliquidfiat. quàm moueri. sophianaturali. Vnde Quid ficmoueri localiter, fecundum forinam,& fecundum materiam. Quæ intelligibilia cósideranturà mathematico, qàmetaphy. Dubium cercium decimum.Verum quiescente cæloparient Vtrumvnum& idemfitcaulasubie&i& accidentis. contenta, Vtrum vniuerfale fic in singulari. Cælum quatuorcausashaber. Vt rumvniuersalia declarent quidditatem fingularium. Error Galeni de certitudinc Medicinæ pra&ticæ. Vtrum vniuersaliaprædicenturde singularibus. ftrare. Quomodo ccelum alteratur.  In intellectu possibilieftintellc&tusagens. Ratio formalis subie& I naturalis philosophiæ. Cælum estcffc &iúum habentiumnacurani in inferioribus. Non totumgenuscausæformaliscósideraturà philosopho Cælum eft conferuatiuumhorum inferiorum luminc.nus. Coelumestcompofitumexmateria et forma. Cælum cftviuens,& non eftnegativum, Cælum eftaniinal, et noneftsensibile. TRTM naturatum sitfubic&um inphilo Cælum eft finaliter, formaliter, et materialitercausatum. Cælum est esse Aiue conservatum. Vtrum subiectum contincat omnes veritates ad scientiam pertinentes. Non est mutatum cælum adellemutationenonhabentelu Vtrum aliquid quod non moucturexsc, sitsubic&uminna turaliphilosophia Non fuit mundus generatus,neq;corrumpetur.' Vtrum subiectum philosophiæ sit ampliusquàmcorpus. Dubiumnonum. Vtrum cælunifitfinitæmagnitudinisin Quidsitordo corporum inphilosophianaturali. adu. Quid fitordo perfectioniscorporum naturæ. Dubium decimum.Vtrum coeluitiilicvnum. Virum motus coelifit naturalis. In intellectum humanum nondire&eagiccælum. In Tractatúde Vniuerfalibus. Vtrum moralis scientiafitexcludeda àtrinaphilolophiæ di uisionc pofira ab Arift. metaphysicæ tex.com.2.in m a Vtrùm vniuersaliasinescientiarci. Vtrumvniuersaliafinirforniæ Vtrum vniucrsaleànaturadenominatadifferat: Vtrum morssequaturadnaturam materie philosophia naturalis prima ordine doctrinæ præparans intelle&umad Verum vniuersale quantum eft descnoneftin intelle&u, nec felicitem. Medicinam subalternarinaturaliphilosophiæ. Vtrum vniuersale sensibilium, cuiusnulluinsingularefucrit Quidmateriaprimaquidfecunda, &quidformasimplex, tra. In Libro de Physico auditu. Vtrum natura fitfubic&tumlibri phyficorum, Naturalisnonhabetde cælo perfectissimam cognitionem. Ante sensum ellevegetationem. An homo sit æquivocum. Vcrumfiniti adinfinitumnullasit proportio. IVnde do &rinaordinaria. Vtruinmagis vniuersalefit primo cognitum. Vtrum philosophi naturalis sit probaresuaprincipia. Quæ principiapolsintinscientiaprobari.Virum formaappetatmateriam Vtrūpriuatio fit causa appetitus materiæ definitiomateriz Quid materia secunda. Duplex generalissimum substanciae. Deaccidencibuscælinorandum. Vt rūformaantcquageneretur præcxiftarin materia. Vtrum infinitumfitignotum. Vtruminductiofitbonaconsequentia. Vtrum principiasintcadem. Priuatio,quarcprincipiumperaccidens. Quid generatio fimpliciter et secundumquid. Sperma propria esse masculi et non feminæ. Et quiddeopi altcrumfcilicet performamnionc Galeni. Opinio Alexandri de intelle& u possibili. Dubium verum materiahabcataliquamformasub Materiacæli,nunquam fincpriuationc. Principium per quod indiuiduuin efthoceft forma. Trinitasprincipiorumplatonica. Intelle&us possibilis corruptibilis et generabilis. Quarein conceptu differentiæno includitur genus cuiusest Metaphysicæ, triplex subicctum. Differentia. Quid fit realiter distingui. Vtrum materiasinequantitatefirdiuisibilis. Vtrum tresdimensiones fintpassiones quantitatis. Vtrum compofitum ex materia et formacllcfitacceptum a Vtrum materiafitprodu&aàDco Vtrum mareria fic forma Propositiones per se notæin philosophia naturali. Vcrum polsibilesitrotocontinuoquiescentepartemillius Diuisioformæ, et naturæ. De principiomotus augmentationis, et alterationis. In libris de Elementis TRVM materiaexistat. Quid sittransmutatio substantialisquidac Quomodo ipsaestmediuminterens& nonens. Dubiumfecundúan SortenonexistenteSortessitho. Dubium tercium quid cftmateria. Uam. Materia non ch operatiua nisi paciendo. Materia non perfccxistit sedinaliofcilicetcomposito Sper  Quómodo logica considerat de ente reali. Quæ ressintprimaprincipia. Terminigenerationis& corruptionis. quid. Quomodo materiaeftcns Cogitatiua vlcimatapræparatioadintelle&um. Andemonstrationesin mathematica procedant per causam. Quomodo materia mediumdiciturinternihil et ago. Vtrum eadem sintnobisnota et naturæ. Appetitus duplex materialis et cumfenfu Quomodo materiæ acciditq fit potentia. Melius eft dicere causas esse notiores natura quàm naturæ. Quæ diffinitio descriptiua. Demonftrationes in philosophia naturali, quæ a priori. Quomodo aliquideßin prædicamento ad aliquid. Quomodo homo cognoscitin cognitionenaturæ. Virum materiasir suapotentia. Quomodo artificinorioreftcaula. Verum materiasit potentiaomncsformæ. Formal apidisextraintelle&tumest vniuersaleintentio, aliud Vtrumtria principiaexæquoprincipient motum à fubicéto. Vtrum vniuersalia sint realia. Quomodo consuctudo alteranatura. Verum fingulare fit per se intelligibile. Vtrum vniuersalia sint prius nota singularibus. Primum cognitumà nobis fingulare,& secundocognitum Quomodo exnonenteperaccidensfitaliquid. Vtrúm cadem proportion materiæ sit potétiæ oésformæ, Vtrum intelligentiæ habcantmarcriam. Vtrum materia fitminusperfe& a accidente. el vniveriale. A b intelle& uagente non datur definitio. Quomodo intelligentiæ sunt mobiles. Vtrum quantitas realiter diftinguatur à materia. metaphysico. Vniuerfalia ratione intelle&usinquofunt habent aliquid Vtrum matcria fit Deus æterni. Quid maximum fit et quid minimum non. Termini accidentales ex quibus fitaliquid. Quomodo conucniuntq,uomodo differüt. Quid generatio simpliciter, quid secundum Quomodo ipsacftinprædicamento. Vtrum transmutatio ficripofsitdeindiuidnovniusspeciei Quomodo materia civnumcumpriuatione ad indiuiduum ciusdem specici. Quomodo priuatio fub forma comprchenditur. Dubium quartum vtrum materia sit substantia. Virum insubstantial sit contrarictas. Vtrù philosophu snaturalisdebcatprobaremateriäсssc Quarcmagispriuatiocftidem materiæquàm formæ Materiahabct differentiam, circunscriptiuam,nonconficuti Vtrum tantum criafint principiarerum naturalium Vtrum generatio fit subita. Auicennae opinio de forma corporcitatis. Materia prima consideratur à philosopho naturali. Matcriacftinduobus prædicamentis. Dubiumquintumvtrummateriafitforma Materiam nonestina& umotiuo intellectus torum. Dubium vtrum materiapossitexisteresincforma Opiniones tres de præ existentia forma in materia. Philofophi naturalis eft Quarcformasubstantialiscontrarium probarematcriamesse,formameffe, non habet. compositum effc. An frigiditas aquæ minorsit frigidicas terræ. moucri localiter. Vtrum principia sint contraria. Vtrum generatio accidentalis sequitur alterationcm Sex positionis differentia. Materianonestcompositum,ncq;aliquodquatuorclemen Vniuersale triplex Conceptü fpecificădat intellectus agens, et nó gencricũ. Vtrum incælosirmateria. Vtrum materia possitellesinc priuatione. Quid requiritur ad hoc vtaliquafintideinfimpliciter. Concretum principaliterfignificatqualitate,& quare. Vtrummateria Auat. A Muliere duplicem exire humiditatem. Vtrum priuatio fit principium Quomodo priuatioprincipiumperaccidens Quomodo cælumvariarlocum secundumformam. Differentia materiæ eft poccntia, &nona&us nisi negatiuc. Matcria nonhabetformamabipsainseparabilem, fedquam Scientiæ naturalis duplicia sunt principia. Virumens ficvniuocum, Vtrùm quanrirastermineturterminisproprijgeneris. Virum totum fitsuæpartes. Viruni forma fitab agente. Vtrūmctaphysicisit probare substantia abstractus esse Virum ficdarçminimum. Verum priuatio fit principium per se. Materia libet perdere poteft. Virum materiaapperat. Materiatertia,& quarta. stancialem fibi propriam cidentalis Dubium o&auum, vtrum materia prima sit una numero omnium generabilium,& corruptibilium. nat sint summa. Verum aërficfrigidus. Remotæ potentiæ numerantur numerarione specierum. Materia est potentia Cubic&iua ntelle&ui. Dubium vtrum materialitquantitas. Dubium vtrum quantitatisuccederepossitaliaquantitas Dubium vtrum quantitas præueniat formam subftantia leminmateria. In Quæstione de subiecto Physionomiæ. VID princpium cognitionis tantum, et co Principiorum in complexorum proprietates Principiorum complexorum quærit metaphysicus proprietates corruptibilitatis Verum ambæ qualitates quasynum elementumsibidetermi Mareria non cftvnumesseina&u. Potentia describit materiam. Potciitiæ propinquæ materiæ sunt quatuor. Dubium vtrum essentia sit esse. Subic&um, quomodopersenotuminscientia Physionomia,& chiromantiascientiæ. SiestElementum, præsupponitur, quiaipsumeftfubic&um Physionomia &chiromantia naturalisubalternantur considerationi Artic. Tertio princinalitercósiderandüelt circa mixta Quomodo intelle&usfitpra&icus. Quæ operationespraxesdicuntur. Eidem scientiæ subalternaripra &icam& speculativam. Artic.Quarto principaliter considerandum circa animatave getaciva, aut sensitiua. Vtrum deturminimum innaturalibus. Vtrum calidicas, frigiditas, ficcicas,& humiditas, sint qualita- Cor esse primam fenfusredicem secundum Arist. 264 Quæstio de priina syllogismi potestace. nobis. Vtrum terrasitvbiq; habitabiles. Cogitativam virtutem componere. Materia non eftspecies. Dubium nonum vtrum possit elleqrinco de supposito sint Condensare et rarefacere non perscsequuntur qualitatespri multæ materiæ mas. Dubium vtrum materia sit per se intelligibilis. Materia non potest esse &iue neque formaliter mouereintcl uitare. Materianonestdeseina&uenticaciuo. Dubium vtrummateriasitsua potentia. Vtrum terrarespe& ucælifitvtpun &um. Vtrumterrasiessetlucida,& existeret in cælo videretur á Dubium 18.vtrum quantitas in terminata fit quantitaster minata nomia. Dubium verum materia primasır causa generabilitatis et Homo secundum quod natura bonus subiectum in physio Contra Scotum de subiecti continentia. Materia non eå quidditas nisi improprie. Ens et esse sunt idem. Essentia et existentia sunt idem. Forma estesseactu. In demostratione simpliciter passio de subiecto concluditur. Quid subiectum primum per attributionem. Quarc substantiain metaphysica subiectum eftper attribu Dubium.vtrum totum sit suæ partes. Dubium vtrum forma ante generationem habeat este principalitatis. reale in materia. Dubium vtrum privatio sit res Contra Galenum de numero complexionum. An in compofito substantiali pluressubltantialesformarepe De via in physionomia et chiromantia. riantur. Scicntiaalterumduorummodorumdiciturpra&ica. Vtrum cælum componatur ex quiditatibus, et videturelit, Quomodo theologiatora pra&ica. quialubente continetur, et sub corpore Prudentia circa quæ. Artic. Quinto principaliter considerandum de homine. anip Experientia quid. fo animam intellectivam expectet sensitiva. Vrrum aliquidmoucat se. te. Vtrum figuram aliquam sibi determinet elementum. Vtrum vnum elementum sit locus naturalis alterius. Vtrum vnum elementum in alterum immediateta an(mura Vtrum ignis sit primo calidus Vtrum elementa media æquáliter habeantde grauitatc& lc Homo in quantum lanabileå naturali consideratur. Ta, et tamen propositioestignora, Quid requiriturad hoc vt subie&um fit adæquätum Quid requiritur ad hoc vtfubic&um sit primum primitate Aegrotabile in ratione formalisubie&imedicinæcaderenon Genita ex putrefactione alterius sunt rationis a generare Dubiū 12.vtrú materia fir generabilis& corruptibilis Vtrum terrasit frigidior aqua. fitnul. Dubium Is.vtrü materia fine quantitate habcat partes Dubiumzz.verummateria Solum ponenda sunt prædicamentorum Quantitasestquod passiocftnota. et idquod est ciuscau sit. pars quidditatis. et quo aliquid est Quomodo aliquando genera logicalia. nationis primæ sub antiæ. Dubium vtrum priuatio principium. potest. In in materia. quæruntur in naturalibus. resprima Quæstio de subiecto medicina, Materia efteffepotentia. rionem, Dubium vtrum formasubstantialis Quid bonum animi. sitprincipium indiui Rario formalis subie&i,quid Latitudines in elementis compleri per contraria. Non cft potentia dc effentiali diffinitione materiz. Compositum est vtroque participans. ripossit. Subic&ũnon debet prædicari de principij sfubie&i,  et quare. Materia inférior aliquomodo præfcindipoteft. Quare qualitates elementorum di&tæfunt effc elementisfub Verum qualitatessymbolæ elementorumsinteiufdemfpe Itantiales  ciel Quo mod o intelligiturpriuationem per secorrumpi. Materia apud philosophumestintelle&a Vtrumterrasit centrummundi. Maceriacæli non poteftpræscindiàforma. Lectum. Dubium. vtrummateriasitgenus Anaërfitprimo humidus. Dubium vtrum materia appetat formam. Dubium vtrum appetitus fit naturalismateriæ Arric. Secundo principaliter considerandum est composicum Quomodo medicina partim practica, et partim theorica, lic militer et theologia, similiter et logica. generabile. Verum tantum quatuor sint elementa. Virum prima qualitates sint formæ substantiales elemento genitis per propagationem contra Scotum. Run gnitionis et cffc. Propriumnonageneresolumfluit,sedådifferentia,& gene Genita per putrefa et ionem non esse eiusdem rationis cuna De elleanabellentia distinguatur. Caput secundum devno. Error Auer. de necessarij SIGNIFICATIO nci Caput tertium,de vero Caput quartum, de bono, Ens tripliciter eft quid. Quidditatiuum de quibus dicitur. Capursextum, dere, pagina. Caput septimum, decodem subiecto. Quomodo pars formæ fluit. ElTeidemin forma quatuor habet gradus. Caput nonum, decodem secundum materiam. de eodem difinitione. Quomodo Deus eftf elicitas modo intelligitur dediftin&ione ex natura rei Verum distinctio ex natura rei sit accepta ab Arist. Vtrum diffinitio& definitum ex natura rei distinguatur ra rei non realiter An communicabile, et prædicabile differant Differentia individualis est ipsa forma in composita ex materia An Deo accributa propriamhabeant infinitatem. Accidens non realiter distinguia substantia reis ubic&a Materiam et formam realiter distinguivult Scotus, et AQUINO oppositum, similiter& Aver. rant. liter ili. Vtrum diftin&tioper diffinitionemfitdiftin&iopersolum Anomnia quæ sunt idem realiteralicui, fintilli formaliter de eodem habilitate. Dedifferentiainter positionemquæeftprædicamentum,& positioncm quæ estdifferentiaquanti. idem. ter. An fialiqua fintidem essentialiter, illasint idem realiserant.. Quomodointelle&uspossibilis et agens sunt vnum, et quo- Ansiali qua sint idem se totis subiective, illa sint essentiali modo duo. differant. De subiecto et propria passione, quomodo suntidem. An fiali quasetotisfubic&iuc differant, illafccotisobie&tiuc differant. Vtrum a&us intellctus possibilis collatiuusfitin primaope Ansi aliqua fecoisfubic& iuc differant,illafctotisobic&i dedistin&ionc rationis ratione intellectus. Vtrum fit aliquis conceptusfi&us. ue idem. obie Aiue. Vtrum omnis diftin&iofitrcalis aut rationis. Verum conceptus a rebus quarum sunt conceptus, sint ratio Verum omnis distinctio sit aliquid positiuum. ne distinAi. . In libro de Distinctionibus. Intellectus et voluntas sunt idem Quid eftaliquidsynonyma. decncis SIGNIFICATIONIBVS pagina. Quomodo speciesre intelligibilis, a&usintelligendi,&habi tuis intellectus sunt idem. Cogitatiua,& intellectus idem materialiter Igncitas, leuitasest simpliciter,& forma ignis substantialis. Differentia inter hominem metaphysicum, &hominemna Vtrum prædicatio specicide genere fit pe rse. Anista propofitiofitpersc, homo albus est homo albus. De sensu communiquid Auer. et Vtrum CONCRETVM et abftractum formaliterdifferant. Quomodo phantalinatasuntintelle&tus speculatiuimate Vtrum humanitas sit animalitas. Ria de distinctionercali. Caputo et auumdecodem secundum formam. Aninierdistin&ionesdatasà Scoristisfitordo. Vtrum diftin&io secundum modum differtàdiftin&tionele Vtrum omnis distinctio ex natuta reisit distinctio ratio cundum esse. Memorativam in medio ventriculo cerebrimanifeftari. Potentia substantialis prior est accidentali.& de prædicamento substantiæ. Vtrum fialiquaessentialiterdifferant,realiterdifferant. Vtrum fiali quarealiter differant, illa essentialiter diffe verum ex coq essentialiter dicitur aliquidcaliquo dicatur Vtrum sialiquas et otisfubic&tiue differant, illaeffentiali rerdifferant. vniversaliter de codem et femper. decodemacuvelpotentia An fiali qua essentialiter differant, illa secotisfubic&iucdif Quæ sit maxima identitas. Vtrum seclula operationc intelle&us possibilis resrationc differant. An si aliquas intsetotis obicctiucidem, illasintsctotissub ie&iueidem. Qữo genus et differentia ratione distinguantur,& nonrc. Vtrum prædicamentarcalitedrifferant. An relation differatà fundamento. De diftin &ione caloris naturalis ab artificiali. Verumcum Sortesnoneaipsesitens Materiam et formam non distinguise cundumesse,quomon Entis diuisio de distinctione modali. Duo modi realis distinctionis. Vtrum fialiqua realiter differant.illa formaliter differant An si aliqua sint essentialiter idem, illa sint sctotisfubic&tiuc Quomodo dequo Vtrumintelle&us agens& possibilis distinguanturexnatu  teria& forma. Ens, res, aut subatantiagenerasuntanalogicedi&tadeDeo dediftin&ione formali. Turalem secundum Scorum Intellctum appetere contra Scotum.& secundum Thomam appetitivam cognoscere Quomodo intelligitur secundam intelligentiam esse vnam decodem secundum dispositionem. San&tum An diversitas et differentia coincidant in idem. Vtrum omnia formaliter diftin &ta realiterdifferant. ter idem Caput de distinctione essentiali. de'eodem secundummodum dedistin&ionesetorissubie&iue. Vtrum distinctios ecûdumessesiesufficicns adhocvt contra dictoria verificentur de aliquo. formaminsubie&o, &multain diffinitione. Vtrum omnia quæsuntidem formaliteralicui, fincidemrca Vtrum elle diffinitione idem, sit esse  idem secundum esse. nis. Vtrum omnia formaliter distincta ex natura rei diffe de codem secundum else de distin &ioneserorisobic et iuc. opus intelle& us. Vtrum quælibetconceptus ftinguatur. abalioconceptu, solaratione di Vtrum omnis diftin &iofitde genere relationis: decodem inredemonstrata. decodem effentialiter. Vtrum ex comparatione intelle&uspossibilis, fiantrespe&us, Ansialiquasiti demserotisfubic&iua, illasintidemsetotis qui sunt genus aut species. rant. ter. Caput1s. decodem secundum positionem Vtrum sialiqua sintidem rcaliter, illafint idem essentiali Vtrum distinctio fitrcfpc&iuum fitiones habere possint. Melius est non videre quædam, quàm videre,quomodo in Proportio maior est, quæ maiorem habet denominationem. telligitur. Regulæ tres proportionum secundum Ari  Quomodo sensus in prædicamento qualitatis, actionis, palo An deus cognofcatchimeramantaligidfi um.An incelle&tusina&u, vtintellc&us intelligentiarum propo Proportionis divisio Vtrum veritas differatàpropofitionevera. Inintellc&tuardo. pliciterabftra&arum aliquam veritatem videat persuam ftotclem. Q &uplaquare duplael quadruplz.  In quæstione demotuum propor Voluit Arif.deum cognoscere hæc inferiora, Motys (equitùr dominium. Alessandro Achillini. Achillini. Keywords: corpo umano, singulare, individuo.  Refs.: Grice, “Achillini’s problem with transcendentals and universals,”  Luigi Speranza, "Grice ed Achillini," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice ed Acito: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale corporativa – filosofia fascista – la scuola di Pozzuoli – filosofia campanese. filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Pozzuoli). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Pozzuoli, Campania.Grice: “Acito, who would have thought it, made me read Cuoco’s brilliant novel on Plato based on an epigram by Cicero (“You know, Plato was there, in Taranto!” – Acito has also written on corporations – whatever they are (the mob) – and on Macchiavele. Del periodo fascista e attivista del regime. Studia a Torino. Iscritto all'Albo degli Avvocati di Milano, divenne direttore della rivista “Tempo di Mussolini”. Selezionato al Premio San Remo per saggio “Machiavelli contro l'anti-Roma.” Partecipa come rappresentante italiano al Congresso dell'Unione Europea degli Scrittori a Weimar.  Insegna diritto, storia e dottrina del fascismo a Genova. “Il Popolo d'Italia,” “L'Oriente arabo”. “Odierne questioni politiche della Siria, Libano, Palestina, Irak; “Popolo d'Italia”; “Corporazioni e sindacati nello stato, nella storia, nei partiti politici” (Milano, Trasi); “Il volto della rivoluzione”; “Storia della rivoluzione”; “La dottrina dello stato”; “Realtà nazionali”; “Il Fascio e la Verga” (Milano, Morreale); “L'idea unitaria dello stato” (Milano, Sonzogno); “La idea romana dello stato unitario nell’antitesi delle dottrine politiche scaturite da diritto naturale”; “La dottrina dello stato in CUOCO (si veda)”; “Contributo allo studio del pensiero politico del secolo XVIII” (Milano, Sonzogno); “La corporazione e lo stato nella storia e nelle dottrine politiche dall'epoca di Roma all'epoca di Mussolini: introduzione allo studio del diritto corporativo” (Milano, Pirrola); “Catalogo della mostra di sculture e disegni di Vincenzo Gemito” (Milano Castello Sforzesco Milano, Orsa; “Il trattato di ben governare: opera inedita di Tommaso da Ferrara del 1500”; “Tempo di Mussolini”; “L'ordinamento dello stato corporativo nel pensiero di Mussolini e nelle decisioni del Gran Consiglio del Fascismo” (Tempo di Mussolini); “Le origini del potere politico: "Omnis potestas a Deo" nelle discussioni degli scrittori politici del Trecento” (Tempo di Mussolini); “Machiavelli contro l'Antiroma, Tempo di Mussolini. “Il concetto di popolo” Tempo di Mussolini, “Il problema morale della rivoluzione” Tempo di Mussolini”, “La crociata anti-materialistica dell'asse”; “Tempo di Mussolini”; “Storia e dottrina del Fascismo”, “parte generale: Nozioni fondamentali” (Milano, Guf). Onorificenze Medaglia di Benemerenza per i Volontari della Guerra Italo-Austriaca nastrino per uniforme ordinariaMedaglia di Benemerenza per i Volontari della Guerra Italo-Austriaca (19Medaglia commemorativa dell'Unità d'Italianastrino per uniforme ordinariaMedaglia commemorativa dell'Unità d'Italia Medaglia commemorativa delle campagne d'Africa nastrino per uniforme ordinariaMedaglia commemorativa delle campagne d'Africa, Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia Croce al merito di guerranastrino per uniforme ordinariaCroce al merito di guerra. Frank-Rutger Hausmann, Annuario ufficiale delle forze armate del Regno d'Italia, Istituto poligrafico dello Stato, I professori dell'Pavia, Bianchi, Professore all’Università Bocconi: Notizie sulla famiglia Acìto Filosofia Filosofo Professore Pozzuoli Milano Studenti dell'Università degli Studi di Torino Avvocati italiani del XX secoloProfessori dell'Università degli Studi di GenovaProfessori dell'Università degli Studi di Pavia Decorati di sciarpa littoria Personalità dell'Italia fascista Cavalieri dell'Ordine della Corona d'Italia. È con Roma che nasce il diritto e nasce LO STATO, perciò lo stato romano è lo stato giuridico. Infatti, il fondamento giuridico della società e dello stato, impide che a ROMA si sviluppa la demagogia. Persino la repubblica a Roma è  aristocratica. Il senato, che impersona lo stato, è un corpo eminentemente aristocratico e il popolo stesso, inquadrato negli ordini della milizia, non degenera. Lo stato presso i romani afferma la potenza del suo carattere unitario, sintesi delle prime gentes rurali e militari. Questa qualità fa nascere il SENSO DI DIRITO che il genio romano applica nella formidabile organizzazione politica e sociale dello stato. Questa organizzazione statale che si reassume nel genio di Giulio Cesare e che detta l’impalcatura all’impero, altro non è se no la crezione dello stato unitario, che è una gerarchia di AUTORITÀ, FONDATA SUL DIRITTO, tutelata dalla forza militare, al quale [diritto] il CIVIS resta subordinato, ma nel quale [diritto] trovoa la regolazione giuridicamente definita e GARANTITA DEI SUOI RAPPORTI PRIVATI. SUBORDINAZIONE perciò incondizionata DEL CITTADINO ALLO STATO. IL PRINCIPIO DI AUTORITÀ domino tutta la COSTITUZIONE POLITICA dello stato romano e ne regge la potente struttura. Il cittadino romano non conosce l’antitesi ed ha una morale sua PROPRIA. IL MOS MAJORUM ANIMA I COSTUMI di Roma. Il successive consolidarsi del capitaismo, se pure di capitalism puo parlarsi nell’epoca antica, o meglio l’avidita delle richezze, CORRUPPE quello STATO DI PRIMITIVITA. Mentre il mondo dell’economia a schiavi si estendeva, il paganesimo non agi come MODERATORE DEGL’ISTINTI INDIVIDUALI. Optimates and Populares, (Latin: respectively, “Best Ones,” or “Aristocrats”, and “Demagogues,” or “Populists”), two principal patrician political groups during the later Roman Republic. The members of both groups belonged to the wealthier classes.  Skip  in 1s FAST FACTS Facts et Related Content Areas Of Involvement: Patrician Related People: Lucius Domitius AhenobarbusQuintus Caecilius Metellus Celer Marcus Porcius Cato Marcus Aemilius Scaurus Titus Annius Milo...(Show more) See all facts and data The Optimates are the dominant group in the Senate. They block the wishes of the others, who are thus forced to seek tribunician support for their measures in the tribal assembly and hence are labeled Populares, “demagogues,” by their opponents. The two groups differ, therefore, chiefly in their methods. The Optimates try to uphold the oligarchy; the Populares seek popular support against the dominant oligarchy, either in the interests of the people themselves or in furtherance of their own personal ambitions. Finally, it is well to remember that the Senate’s authority is based on custom and consent rather than upon law. It has no legal control over the people or magistrates: it gives, but cannot enforce, advice. Any challenge to its authority is little more than a pinprick, but thereafter more deadly blows are struck, first by such Populares as TIBERIO and Gaio GRACCO, then by Gaio MARIO, and finally by the army commanders from the provinces. Gl’Ottimati sono i componenti della fazione aristocratica conservatrice della repubblica romana. In origine influenzano la vita politica romana, essendo la gestione della Res Publica appannaggio soltanto di quella ristretta cerchia di nobili che hanno le possibilità e la cultura per dedicarsi alla politica. In seguito alla secessione dell'Aventino, però, le classi popolari e piccolo e medio borghesi riuscirono a ritagliarsi una fetta di potere, da esercitare mediante loro rappresentanti: i tribuni della plebe, magistrati dotati di potere legislativo (per esempio il diritto di veto su qualsiasi legge o decreto del Senato), nonché di auctoritas, ovvero l'autorità morale. Inoltre sono conferiti della sanctitas, ossia la sacra inviolabilità della loro persona, che rende ogni atto sovversivo, finalizzato a danneggiarli materialmente o fisicamente, un delitto gravissimo. Per rispondere a questa organizzazione politica del popolo, anche i patrizi romani si allearono tra di loro nel movimento politico degl’optimates, cioè il partito aristocratico.  In effetti la fazione aristocratica non è un vero e proprio partito politico secondo l'accezione moderna del termine (nonostante sia a volte chiamata Partito Aristocratico). È bensì una confederazione di nobili, ciascuno dei quali è politicamente indipendente (o quasi) dagl’altri, grazie ad una diffusa rete di clientele e di alleanze che ciascun nobile gestiva in modo autonomo. L'appartenenza ad un'unica fazione è resa però evidente dall'alleanza di tutti i nobili optimates con il Senato, dal comune interesse a conservare tutti i privilegi nobiliari, nonché dalla comune avversione nei confronti dei Populares -- l'organizzazione politica dei ceti popolari e borghesi -- e dei Tribuni della Plebe. Gl’Ottimati, infatti, desiderano limitare il potere delle Assemblee della plebe ed estendere il potere del Senato romano, che è considerato più stabile e più dedicato al benessere di Roma. Si opponeno anche all'ascesa degl’uomini nuovi (plebei, di solito provinciali, la cui la famiglia non ha esperienza politica precedente) nella politica romana. L'ironia è che uno dei principali campioni degli ottimati, CICERONE, è egli stesso un uomo nuovo.  Oltre ai loro obiettivi politici, gl’ottimati si opposero all'estensione della cittadinanza romana fuori dall'Italia (e si opposero perfino ad assegnare la cittadinanza alla maggior parte degli Italici). Favorirono generalmente alti tassi di interesse, si opposero all'espansione della cultura ellenistica nella società romana e lavorano duramente per fornire la terra ai soldati congedati (erano convinti che soldati felici erano probabilmente meno disposti a sostenere generali in rivolta).  La causa degl’ottimati raggiunse l'apice con la dittatura di Lucio Cornelio SILLA (si veda). Sotto il suo potere, le Assemblee sono private di quasi tutto il loro potere, il totale dei membri del Senato è portato da 300 a 600, migliaia di soldati si stabilirono nell'Italia del Nord e un numero ugualmente grande di popolari è giustiziato con le liste di proscrizione. Limita i poteri dei tribuni della plebe, riduce i consoli e i pretori ai compiti cittadini della direzione politica e dell'amministrazione della giustizia e vieta di ricoprire una medesima carica prima che fossero trascorsi dieci anni. Tuttavia, dopo le dimissioni e la successiva morte di SILLA, molti dei suoi provvedimenti politici sono gradualmente ritirati, ma sono più durature le innovazioni nel campo del diritto e del processo penale. Appartenevano agl’optimates importanti uomini politici quali Lucio Cornelio SILLA, Marco Licinio CRASSO, Marco Porcio CATONE detto Il Censore e CATONE Uticense, il già citato Marco Tullio Cicerone, Tito Annio MILONE, Marco Giunio BRUTO e, a parte il periodo del Triumvirato, Gneo POMPEO.  Repubblica romana Plebe Patriziato Romano Lucio Cornelio SILLA Marco Tullio Cicerone Gneo Pompeo Marco Licinio Crasso Tito Annio Milone Ottimati, su Enciclopedia Britannica Antica Roma Antica Roma Diritto Diritto. Alfredo Acito. Acito. Keywords: sindacato, stato unitario, idea unitaria del stato, Cuoco, storia di Roma, popolo d’Italia, materia e spirito, anti-materialistico, anti-materialistica, popolo, popolazione, Peacocke – sistema di comunicazione per una popolazione – idioletto – procedimento idiosincratico – idioletto, dia-letto – comunita, immunita.. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Acito,” The Swimming-Pool Library. Acito.

 

Grice ed Acmonida: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Taranto). Filosofo italiano. Acmonidas of Tarentum, according to Iamblichus of Chalcis, was a Pythagorean. Vita di Pitagora – Reale.

 

Grice ed Aconzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Trento – filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Trento). Filosofo trentino. Filosofo italiano. Trento, Trentino – Alto Adige. Grice: “I like Aconzio way of LISTING the devil’s strategies – and naming tdhem after abstract nouns represented by females: superbia, … etc. – He says he philosophised on ‘dialettiica’ but only for his fellow Italians, and writing to Russell (Lord Bedford) he adds, ‘it would be fastidious to present them to you!” – When Elizabeth received his copy of ‘Il timore di Dio,’ she asked, alla Hardie, ‘And what, Mr. Aconzio, is the meaning of ‘of’?” -- Grice: “I like Aconzio, and so did my mother – a High Anglican! Aconzio’s claim to fame is twofold: his “Stratagemata” which resembles Speranza’s study of Apel – only that Aconzio is ‘stratagemata satanae’ – and his “De method” which inspired Feyerabend, an American professor at the newish varsity of Berkeley in the New World, to philosophise ‘Contro il metodo.’” – Grice: “There is a small passage in “Del metodo” – and an even smaller in “Stratagemata” – where Aconzio seems to have invented (but soon disinvented) the idea of a conversational implicature!” --  Filosofo. essential Italian philosopher. Grice: “What I like about my fellow Brit, Aconzio, is that unlike Feyerabend with his ‘Anything goes,’ Aconzio cared to write about ‘method.’ Ora è noto per il suo contributo alla storia di tolleranza religiosa. E 'stato tradizionalmente pensato per essere nato a Trento, anche se era probabilmente Ossana. E 'stato uno degli italiani, come Pietro Martire e Ochino, che ripudia la dottrina papale e, infine, trova rifugio in Inghilterra. Come loro, la sua rivolta contro romanità ha preso una forma più estrema di luteranesimo, e dopo un soggiorno temporaneo in Svizzera ed a Strasburgo arriva in Inghilterra subito dopo Elizabeth adesione s'. Studia legge e teologia, ma la sua professione era quella di un ingegnere, e in questa veste trovalavoro con il governo inglese.  Al suo arrivo a Londra si une alla Chiesa riformata olandese a Austin Frati, ma è stato infettato con ana-baptistical e pareri Arian" ed è stato escluso dal sacramento da Grindal, vescovo di Londra. Gli fu concessa la naturalizzazione. E 'stato per qualche tempo occupati con drenaggio Plumstead paludi, per i quali si oppongono i vari atti del Parlamento sono stati passati in questo momento. E inviato a riferire in merito alle fortificazioni di Berwick e sembra che era conosciuto in Inghilterra sia per il lavoro come ingegnere e di un riformatore religioso e sostenitore della tolleranza durante l'inizio della Riforma. Prima di raggiungere l'Inghilterra pubblica un trattato sui metodi di indagine, "De Methodo, hoc est, de recte investigandarum tradendarumque scientiarum ratione" (Basilea). Il suo spirito critico lo pone al di fuori tutte le società religiose riconosciute del suo tempo. La sua eterodossia si rivela nella sua "Stratagematum Satanae libri octo," talvolta abbreviata in Stratagemata Satanae. Gli stratagemmi di Satana sono i credi dogmatiche che affittano la chiesa cristiana. Aconzio cerca di trovare il comune denominatore dei vari credi. Questa è la dottrina essenziale, il resto e irrilevante. Per arrivare a questa base comune, dove ridurre il dogma a un livello basso, e il suo risultato è in generale ripudiato.  "Stratagemata Satanae" non è stato tradotto in inglese, ma in seguito è diventato molto influente tra i teologi liberali inglesi. Selden applicata alla Aconzio l'osservazione, "bene ubi, nil melius; ubi maschio, nemo pejus" -- "Dove buono, nessuno meglio. Dove male, nessuno peggio." La dedica di un tale lavoro alla regina Elisabetta illustra la tolleranza o lassismo religiosa durante i primi anni del suo regno. Aconzio poi trova un altro patrono in Dudley, primo conte di Leicester. Saggi: Stratagematum Satanae libri octo, De methodo sive recta investigandarum tradendariumque artium ac scientarum ratione libello, De methodo e Opuscoli Religiosi, opuscoli filosofici, Radetti, Firenze: Vallecchi) Somma brevissima della Dottrina Cristiana Una esortazione al timor di Dio; Delle Osservazioni et avvertimenti che haver si debbono nel legger delle historie Traduzione in inglese, Tenebre Scoperto (Satana stratagemmi), London  (facsimile ed., Scholars' Facsimiles et ristampe. Trattato Sulle Fortificazioni, Giacomoni, Giovanni Maria Fara, Giacomelli, e O. Khalaf (Firenze:Olschki). Riferimenti Attribuzione   Chisholm, Hugh, ed. Enciclopedia Britannica, Note finali: Di Gough Index a Parker Soc. Publ. Di Strype Grindal,  Dictionnaire di Bayle G. Tiraboschi, Storia della letteratua italiana (Firenze, Smith, Elder et Co. link esterno Allgemeine Deutsche Biographie v Opere di Jacob Acontius a Post-Riforma Library. Molti riformati italiani vedremo cercarvi rifugio. Colà erasi ricoverato Jacobo Aconzio, valoroso giureconsulto di Trento, il quale nel 'opera “De Methodo, sive recta investigandarum tradendarumque scientiarum ratione (Basilea) aveva ripudiata ladialettica ordinaria, propo nendo un nuovo metodo di giungere al vero collo scomporre e ricomporre più volte la cosa,ed esaminarla sotto aspetti diversi, passando dal noto al l'ignoto. Alla divina Elisabetta regina d'Inghilterra, da cui ebbe ripetute attestazioni di stima, dedicò "Gli Stratagemmi di Satana in fatto di religione (Basilea), libro allora molto acclamato, e tradotto in varie lingue, ov'egli studia di ridurre a pochissimi idogmi essenziali del cristiane simo, nello scopo d'indurre le sêtte a vicendevole tolleranza. Aveva avuto per compagno Francesco Betti romano,che al mar   In Chap. 3, Caravale investigates the long publishing success of Acontius’s Satan’s Stratagems in seventeenth-century England. After reconstructing the popularity of Acontius among the Dutch Arminians, the chapter focuses first on the religious debates that involved Catholics, Arminians and Latitudinarians in England and then on the heated controversies which characterized the English Civil War. Particular attention is given to debates at the Westminster Assembly of Divines, where the Presbyterian Francis Cheynell suggested forming a Committee to examine Acontius’s book, which had just been (partially) translated into English and published by John Goodwin. The condemnation of the book issued by Cheynell’s Committee did not stop Acontius’s supporters from circulating his book widely. Indeed, new editions of Satan’s Stratagems were published. This chapter follows this exciting publishing story as a significant part of the cultural and intellectual history of Revolutionary England. What was hidden behind the intriguing title exalting Satan’s Stratagems? This chapter aims to answer this question in an attempt to understand the extraordinary success of Jacob Acontius’s masterpiece and contextualize its line of thinking. The reader will find a careful reconstruction of the author’s intellectual biography from his early career as a notary in Trent, Italy to his conversion to Lutheranism in the mid-sixteenth century, his escape from the peninsula and his sojourn in England as an engineer. Acontius soon became involved in religious controversies in England, which is when he wrote his major work, Satan’s Stratagems, arguing consistently for an extremely broad and tolerant vision of Christianity. The book is analyzed in detail and comparisons are made with his previous publications and other major contemporary books on similar topics. Satanæ Stratagemata libri octo, J. Acontio authore, accessit eruditissima epistola de ratione edendorum librorum ad Johannem Vuolfium Tigurinum eodem authore. Jacobi Acontii tridentini de Stratagematibus Satanæ in religionis negotio per superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc. libri octo. "Satan's Stratagems, or the Devil's Cabinet-Council discovered,... together with an epistle written by Mr. John Goodwin and Mr. Durie's letter concerning the same." London. J. Macock. Sold by J. Hancock. 4to. British Museum. George Thomason's copy, now in the British Museum, contains his correction of the date, and records its purchase.  The translation contains three dedications, one to the Parliament, one to Fairfax and Cromwell, and one to John Warner, lord mayor. The translator announces that if his work was well received he would complete it, but only four of the eight books were published. The stock was then sold apparently to Ley, who reissued it, with a new title, "Darkness Discovered; or, The Devil's Secret Stratagems laid", London. J. M.  4to. With a doubtfully authentic etching of the Italian author, ‘James Acontius, a Reverend Diuine.' This translation is an English version of Jacopo Aconcio's celebrated work, "Satanæ Stratagemata libri octo, J. Acontio authore, accessit eruditissima epistola de ratione edendorum librorum ad Johannem Vuolfium Tigurinum eodem authore. Basileæ, ap. P. Pernam. The Dictionary of National Biography says that this is the genuine first edition, of extreme rarity.  Brunet records an octavo edition of the same year, place, and publisher, but with a variant title: Jacobi Acontii tridentini de Stratagematibus Satanæ in religionis negotio per superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc. libri octo.  Basilea.P. Perna. 8vo. Reprinted, Basileæ, and 'curante Jac. Grassero,' ib.,, 8vo; ib., ap.Waldkirchium; Amsterdam, Oxon., G.Webb, sm. 8vo; London, 4to; Oxon., Amsterdam, Jo. Ravenstein, sm. 8vo; ib.,sm.8vo; Neomagi, A. ab. Hoogenhuyse, sm.8vo. The Dedication of the first edition, to Queen Elizabeth, begins,with grandiloquent flattery, Divæ Elisabethæ, etc. Les Ruzes de Satan receuillies et comprinses en huit liures. Basle. P. Perne. Also, Delft, Further, Bâle.. sm. 8vo (German translation), and Amsterdam, 12mo (Dutch translation). The Satanæ Stratagemata is a book which had a considerable influence in the development of opinion. In all, I record twenty-one editions of it, five of them of English imprint, and all of them publications of about one century, the era of the Reformation. Aconcio's argument was the simplification of dogmatic theology. In general, he reduces the doctrines of Christianity to a strictly Scriptural basis. He argues that the numerous confessions of faith of different de nominations are simply the ruses of the Evil One, the 'Stratagems of Satan,' to tempt men from the truth. He protests against capital punishment for heresy, and favours toleration among all Christian sects. Such liberal theology is distasteful alike to Calvinists, who accused Aconzio of Arianism, and to Catholics, who index his essay. The Tridentine Index Libb. Prohibb. places "Satanæ Stratagemata" among anonymous books, but the Roman Index describes the essay accurately. Acontius (Jacobus) -- Jacobi Acontii tridentini de stratagematibus Satanæ in religionis negotio per superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc., libri octo. Basileæ, P. Perna, Première édition d'un ouvrage singulier qui jadis a fait beaucoup de bruit parmi les théologiens protestants, mais qu'on ne lit plus guère aujourd'hui. Il doit se trouver dans ce volume un traité du même auteur, intituli: "De ratione edendorum librorum," qui a paru égalementent et qui aétéréim primé dans l'édition des "Stratagemata Satanis", donnée par Jacq. Grasser, à Basle, chez Conr.Waldhirche, in-8, sous un titre qui diffère de celui de la première édition. Les autres éditions de ce livre n'ont pas de valeur. La plus répandue parmi nous est celle d'Amsterd., Jo. Rawestein, pet.in-12; celles d'Oxford, in-12, ne le sont guère moins. LES RUSES de Satan, recueillies et comprinses en huit livres, p pet. in-4. Cette traduction a été reproduite à Delft, de l'impr. de B. Schinckel, in-8.; ce pendant les exemplaires n'en sont pas communs; celui del'édit., qui était rebé en mar:., n'a été vendu que 6 fr. chez La Valliere, mais il serait plus cher aujourd'hui. L'ouvrage est traduit en Namand, en allemand et aussi en anglais. L'auteur, nommé Jacobus Acontius sur le titre de ce livre, avait pour nom italien Giacomo Concio. M. Graesse cite à l'article Acontiues l'ouvrage suivant, qu'il dit très-rare. UNA essortazione al timor di Dio, con alcune rime italiane, nuov, messe in luce (da G. B. Castiglione). Londra (senz'anno), in-8. Aconce.De stratagematibus Satanæ in religionis negotio, per superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc. Libri VIII. auctore Jacobo Aconcio. Basileæ, in-8. et Amstelodami, in-8. Cet ouvrage impie a été dédié à Elisabeth, reine d'Angleterre. Il en aparu une traduction française à Basle.; à Delft, L'auteur s'est proposé, dans cet ouvrage, de réduire, à un très-petit nombre, les dogmes de la religion chrétienne, et d'établir une tolérance réciproque entre toutes les sectes qui divisent le christianisme: c'était le vrai moyen de déplaire à toutes. Un singolarissimo saggio in favore della tolleranza apparve per opera del giureconsulto trentino Giacomo Aconzio o Aconcio, saggio che fu posto erroneamente fra i libri di magia per il suo strano titolo, "De stratagematis Satane in religionis negotio, per superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc." (Basil.). Esso per contro è il primo libro, al dire dell'Hallam, in cui, secondo la tendenza sociniana, si sia cercato di ridurre gli articoli fondamentali della religione cristiana al più piccolo numero possibile, escludendo, per esempio, quello della trinità e tutti gli altri non razionali. E ciò allo scopo di trovare un punto di appoggio comune e di universale consenso per tutte quante le sette, in cui è scisso il cristianesimo, e quindi una base sicura per la tolleranza reciproca di tutte le credenze. L'Aconcio si leva vivissimamente non solamente contro la pena di morte, ma contro qualunque pena inflitta ai pretesi eretici, ed esce in questa esclamazione. Se il sacerdozio riesce a prendere il disopra, se gli si concede questo punto, che non appena un uomo avrà aperto la bocca il carnefice dovrà venire a troncare tutti i nodi col suo coltello, che cosa di venterà lo studio della Scrittura? Si penserà che essa non vale guari la pena che altri se ne occupi; e, se mi è permesso di dirlo, si daranno come verità i sogni dell'immaginazione. O tempi infelici! o infelice posterità, se noi abbandoniamo le armi con le quali soltanto possiamo vincere il nostro avversario!  (CANTÙ).  Il saggio ebbe subito gran voga e fu tradotto in francese, in inglese, in tedesco ed in olandese. Anzi esso godette nel secolo seguente in Olanda di una immensa popolarità ed autorità. Aconcio intanto viene citato fra molti altri scrittori del suo secolo d'autori della tolleranza nel libro di Mino Celso senese, sotto il cui nome si ritenne per un pezzo si celasse o Lelio Socino od altri, ma di cui invece consta che fuggì da Siena, vagò tra i Grigioni tre anni, e quindi si ridusse a Basilea, ove cercò sempre di mettere concordia fra i dissidenti (1). L'opera si intitola: "In haereticis coercendis quatenus progredi liceat, Celsi Mini Senensis disputatio. Ubi nominatim eos ultimo supplicio afici non debere, aperte demonstratur, Cristling. Fu ristampata senza indicazione di luogo, con due lettere di Beza e Dudicio in senso opposto; e inoltre ad Amsterdam col titolo, "Henoticum Christianorum, seu Disputatio Mini Celsi, etc. Lemmata potissima recensa a D. 2. (Dom. Zwickero). È una lunga dissertazione accurata, ove tra l'altro si sostiene bastare abbondantemente contro gli eretici le ammende e l'esiglio. Loscritto di Gioacchino Cluten: De Haereticisan sint comburendi? Argent., contiene, oltre alla prefazione del Castellion alla sua Bibbia latina, una raccolta di passi di più scrittori in favore della tolleranza. Una difesa, piena di giustizia e di moderazione, della causa della tolleranza è pure quella del teologo sociniano tedesco Giovanni Crell, intitolata, "Vindiciae pro religionis libertate. Essa fu tradotta poi dal Le Cene in francese, e riveduta dal Naigeon, sotto il titolo, "De la tolérance dans la religion. Al dire dell'Hallam, l'Holbach l'avrebbe tradotta e ripubblicata. Il SENKENBERG nelle aggiunte alla Bibliotheca realis iuridica del Lipenius,Lips., ricorda una edizione, Non ho potuto vedere il saggio; ma tale indicazione andrebbe poco d'accordo con quanto altri riferiscono, cioè che Mino Celso citi già l'ACONZIO.Giacomo Aconzio. Aconzio. Keywords: satana, diavolo, implicatura di satana – stratagemmi -- negozio – religione, per superstizione, errore, eresia, odio, calunnia, scisma, ecc.  Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Aconzio," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Aconzio.

 

Grice ed Acquisto: all’isola -- l’implicatura conversazionale – la scuola di Monreale -- filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Monreale). Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Monreale, Sicilia. Grice: “I like Acquisto; he was a priest, but you’d hardly notice it; but then he was jailed and few priests get that! They must be real bad boys!  But blame it on the mess that the Capri area found itself at that time – In any case, he reminds me of Manser, the Waynflete professor of metaphysics – Acquisot was very systematic –I would think his semiotics, strictly, is exposed in a chapter in the second part to his masterpiece, the ideologia – the first is psicologia, and the third is logica – in Ideologia, he is a Lockeian – words stand for ideas – and ‘linguaggio’ is the most effective ‘means of communication’ to transmit them – native or natural signs, like a ‘grido’ do communicate, but that’s it – ‘I’m in pain,’ but not ‘The cat sat on the mat.’’ – He is hardly original but then neither is Leibniz, or Locke or Kant, for that matter – His emphasis is on the atural versus artificial and pours scorns on those philosophers who tried to improve on the Latin language – created by the Umbrians, he claims --.which is artificial enough!” “raffaele d'acquisto – n. Monreale -- arcivescovo della Chiesa cattolica Incarichi ricopertiArcivescovo di Monreale   Nato a Monreale Ordinato presbitero Nominato arcivescovo da papa Pio IX Consacrato arcivescovo dal cardinale Antonio Maria Cagiano de Azevedo Deceduto a Palermo   Filosofo.  Fu uno dei principali esponenti della storia del pensiero filosofico in Sicilia, fautore di quella linea ontologista che vide, allora, moltissimi seguaci in Sicilia e che mise in collegamento la riflessione filosofica siciliana con quella presente nel resto d'Italia, in particolare con la dottrina ed il pensiero di Gioberti. Il suo pensiero risulta una sintesi fra la psicologia cartesiana ed il dinamismo di Leibniz a cui si aggiunge la tradizione teologica e filosofica cristiana che prende come punti di riferimento sant'Agostino e san Bonaventura da Bagnoregio.  Pubblicò numerose opere i cui contenuti spaziavano dal pensiero intorno a Dio al creazionismo, dall'onnicentrismo all'analisi dell'uomo come essere vitale che è insieme Potenza, Sapienza ed Amore.   Indice 1L'età giovanile 2L'età adulta, l'insegnamento universitario e le opere 3La carica di arcivescovo ed i moti insurrezionali Genealogia episcopaleL'età giovanile Benedetto A. nacque come Raffaele. Sin da giovanissimo manifestò uno spiccato interesse verso lo studio e per questo motivo fu iscritto dai genitori alla scuola del seminario di Monreale. All'interno del seminario il sacerdote Benedetto Signorelli rimase favorevolmente colpito dalle grandi doti e dall'ingegno di Raffaele D'Acquisto e decise di fornirgli i mezzi economici necessari per continuare gli studi in quanto i genitori non potevano garantirgli l'accesso all'istruzione superiore. Fu in segno di riconoscenza nei confronti di questo sacerdote che Raffaele decise di cambiare il suo nome in Benedetto. Da quel momento in poi verrà, infatti, ricordato come Benedetto D'Acquisto. Fa parte dell'Ordine dei Frati minori riformati a Palermo dove prima compì gli studi superiori in filosofia e teologia e poi divenne insegnante nello stesso convento. Successivamente otterrà anche la laurea in filosofia presso l'Università degli Studi di Palermo; insegnerà tale disciplina anche in corsi universitari presso il collegio San Rocco di Palermo sito in via Maqueda nel centro della città.  L'età adulta, l'insegnamento universitario e le opere. Concorse alla cattedra di filosofia all'Palermo, ma la scelta della commissione esaminatrice cadde su un altro candidato ed allora anda ad insegnare filosofia presso il seminario arcivescovile di Palermo. Vinse il concorso per la cattedra di etica e diritto naturale all'Palermo e venne eletto arcivescovo, vi dedica le sue energie intellettuali migliori che gli valsero anche la carica alla vicepresidenza dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo. Questo è anche il periodo in cui pubblica le sue opere principali ed in cui il suo pensiero raggiunge una grande fama. Tra gli saggi più importanti di questo periodo si possono ricordare “Elementi di filosofia fondamentale”, il “Sistema della scienza universale”; la “Genesi e natura del diritto di proprietà” (Palermo --  lodata persino da Napoleone III); “Trattato delle idee o Ideologia” in cui porta a compimento la costruzione della sua filosofia teoretica e lo studio sulla “Necessità dell'autorità e della legge” in cui tratta tematiche inerenti al diritto. Pubblica una delle sue opere più importanti intitolata la “Cognizione della verità” che rappresenta una sintesi armonica fra la filosofia e la teologia. In quest'opera sottolinea gli stretti rapporti tra il Creatore e le sue creature pur nella loro sostanziale ed infinita distinzione e differenza e presenta un'antropologia filosofico-teologica che concepisce l'uomo sotto un triplice aspetto (puro, trascendentale, fenomenico), caduto per sua libera scelta nell'errore e nel male, ma che pure ha in sé la condizione necessaria ma non sufficiente per la sua elevazione verso la verità e verso il bene, condizione che soltanto grazie ad una rivelazione esterna diventa sufficiente ed attuabile. Questo saggio rappresenta il punto massimo del pensiero del filosofo monrealese.  Oltre a questi scritti D'Acquisto ci ha lasciato anche un trattato di logica dal titolo “Organo dello scibile umano”, pubblicato postumo a Palermo ed un manoscritto inedito e privo di titolo attualmente conservato presso la Biblioteca comunale di Palermo.  La carica di arcivescovo ed i moti insurrezionali Benedetto D'Acquisto fu nominato arcivescovo di Monreale da papa Pio IX. Appena entrato nell'arcidiocesi dovette confrontarsi con un periodo turbolento caratterizzato dalla rivolta di Monreale, dall'arrivo delle truppe garibaldine e dal conseguente tramonto del regime borbonico.  Con la costituzione del Regno d'Italia versò una cospicua somma di denaro per equipaggiare la neonata Guardia Civica. Questo gesto gli meritò l'attenzione e la gratitudine di re Vittorio Emanuele II che in occasione della sua visita al duomo di Monreale volle premiare Benedetto D'Acquisto con la commenda all'Ordine Mauriziano con la motivazione di essersi distinto egregiamente nel campo della filosofia. Tuttavia scoppiò a Palermo la Rivolta del sette e mezzo, una violenta insurrezione antigovernativa che in breve tempo si estese anche ai territori limitrofi in particolare Monreale e Misilmeri. In questo contesto Acquisto fu nominato presidente del Comitato insurrezionale di Monreale con l'obiettivo di mantenere l'ordine pubblico nella cittadina normanna, ma non poté fare molto, perché di lì a poco la situazione degenerò ed i rivoltosi misero a ferro e fuoco la provincia di Palermo, causando la morte di 21 carabinieri e 10 guardie di pubblica sicurezza.  Dopo sette giorni l'insurrezione fu domata dalle truppe governative ma A. fu arrestato. Il generale Cadorna, inviato dal governo come regio commissario con il compito di reprimere la rivolta siciliana, nella sua relazione al Consiglio dei ministri accusò D'Acquisto di avere incoraggiato il moto rivoluzionario e lo qualificò come "notissimo e pericoloso reazionario". Fu rinchiuso in prigione prima a Monreale e poi in altre località per circa un mese insieme ad altri uomini illustri come Giuseppe de Spuches, famoso letterato, poeta ed archeologo.  Rimesso in libertà provvisoria, ngodette del provvedimento di amnistia e ritornò a Monreale per continuare la sua missione pastorale.  Gli ultimi anni Ritornato nel suo luogo natìo, si dedicò, dopo la diffusione del colera, all'assistenza di coloro che avevano contratto tale malattia. Tuttavia si ammalò anche lui e morì a Palermo. Fu tumulato nella chiesa di Santa Rosalia, una piccola parrocchia in campagna alla periferia di Monreale, ma dopo una solenne cerimonia le sue spoglie furono traslate nel duomo di Monreale.  Il suo pensiero filosofico, nell'ambito teoretico e delle relazioni logiche e dialettiche, si avvicina molto a quello platonico ed agostiniano con vistose influenze anche del pensiero di Fidanza. Nell'ambito dell'ontologia si rifà alla scuola metafisica di Monreale, il cui più importante esponente è Miceli, di cui A. rappresenta il naturale seguace e studioso. Il nucleo centrale della sua filosofia consiste nella sintesi fra psicologia ed ontologia.  Egli colloca nella coscienza il fondamento teoretico della conoscenza scientifica e divide le idee in tre categorie: l’idea sensibile che riguarda il mondo materiale, l’idea intellettuale concernenti il proprio essere e l’ideea necessaria relative a Dio. Questi tre tipi di idee co-esistono contemporaneamente nello spirito umano. A queste tre categorie ne aggiunge una quarta definita come idee "di rapporto" che permettono all'individuo di esprimere giudizi e formulare ragionamenti.  Nell'analisi del processo conoscitivo crea la sua nozione di onni-centrismo in cui riesce a trovare un equilibrio fra due poli apparentemente all'opposto: l'individualità e l'universalità.  Nella sua concezione onni-centrista riesce a far coesistere l'io individuale con l'io trascendentale sviluppando così un'unità reale fra intuizione sensibile ed intelletto.  Dall'unità tra intuizione ed intelletto si crea l'intuito intelligente che contiene in un nesso ontologico tutta l'umana vitalità e che mette in relazione l'individuo con l'intuito dell'azione creatrice dell'essere assoluto. Questa visione avvicina molto Acquisto a Rosmini e Gioberti. Il filosofo monrealese tratta anche delle relazioni fra morale e diritto. L'azione derivante dall'attività dello spirito può rimanere all'interno dello spirito stesso senza manifestarsi all'esterno e trasformandosi così in un atto giuridico. Questo atto giuridico costituirà la legge morale che conduce l'individuo a conformarsi alla natura, alla ragione ed a Dio. Tutto ciò rappresenta la sintesi perfetta fra l'essere naturale e l'essere spirituale.  Infine nella sua opera Corso di diritto naturale afferma che il diritto di proprietà è presente in ogni individuo che lo utilizza per raggiungere il suo scopo naturale.  Il diritto, dunque, nella vita dell'individuo tende essenzialmente alla conservazione, allo sviluppo e al perfezionamento della natura umana. Il diritto POSITIVO, invece, ha l'obiettivo di far prendere coscienza all'individuo delle proprie azioni e di creare una perfetta armonia fra il diritto stesso e la moralità. Ma soltanto l'onnipotenza di Dio puo portare alla coesistenza perfetta e senza contrasti fra fede e scienza.  Opere: “Elementi di filosofia fondamentale”; “Saggio sulla legge fondamentale del commercio fra l'anima ed il corpo e su di altre verità che vi hanno rapporto”; “Prolusione alle lezioni di diritto naturale a Palermo); “Discorso preliminare alle lezioni di diritto naturale ed etica”; “Memoria estemporanea sul diritto e dovere del proprio perfezionamento”; “Sistema della scienza universal”; “Corso di filosofia morale”; “Corso di diritto naturale e filosofia del diritto”; “Cognizione della verità”; “Trattato delle idee o Ideologia”; “Genesi e natura del diritto di proprietà”; “Necessità dell'autorità e della legge”; “Teologia dogmatica e razionale; Ragionamento sulla resurrezione dei corpi”; “Organo dello scibile umano”. Genealogia episcopale Cardinale Scipione Rebiba Cardinale Giulio Antonio Santori Cardinale Girolamo Bernerio, O.P. Arcivescovo Galeazzo Sanvitale Cardinale Ludovico Ludovisi Cardinale Luigi Caetani Cardinale Ulderico Carpegna Cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni Papa Benedetto XIII Papa Benedetto XIV Papa Clemente XIII Cardinale Giovanni Carlo Boschi Cardinale Bartolomeo Pacca Papa Gregorio XVI Cardinale Antonio Maria Cagiano de Azevedo Arcivescovo Benedetto D'Acquisto  V. Di Giovanni, D'Acquisto e la filosofia della creazione in Sicilia, Firenze V. Mangano, Benedetto D'Acquisto filosofo monrealese, Palermo. G. Millunzi, Storia del seminario arcivescovile di Monreale, Siena F. Lorico, Vita di Benedetto D'Acquisto, Palermo V. Mangano, La filosofia sociale d’A., Palermo G. M. Puglia, L'arresto di mons. Benedetto D'Acquisto arcivescovo di Monreale, Palermo; Dizionario dei siciliani illustri, Palermo Monreale Duomo di Monreale Rivolta del sette e mezzo Sant'Agostino San Bonaventura da Bagnoregio Rosmini  A., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di A.,. Cheney, Benedetto D'Acquisto, in Catholic Hierarchy.  L'ontologismo rivoluzionario nella Logica di Benedetto D'Acquisto di Antonio Fundarò, dal sito dell'Istituto siciliano di studi politici ed economici ISSPE. Predecessore Arcivescovo di Monreale Successore Archbishop Pallium PioM. svg Pier Francesco Brunaccini, Giuseppe Maria Papardo del Pacco, Arcivescovi di Monreale Fino al 1500Caro Giovanni Boccamazza Pietro Gerra Ausias Despuig Juan de Borgia Llançol de Romaní XVI secoloJuan Castellar y de Borja Enrique de Cardona Alessandro Farnese Ludovico de Torres I Ludovico de Torres II XVII secolo Arcangelo Gualtieri Jerónimo Venero Leyva Cosimo de Torres Giovanni Torresiglia Francesco Peretti di Montalto Ludovico Alfonso de Los Cameros Vitaliano Visconti Giovanni Roano e Corrionero XVIII secolo Francesco del Giudice Juan Álvaro Cienfuegos Villazón Troiano Acquaviva d'Aragona Giacomo Bonanno Francesco Testa Francesco Ferdinando Sanseverino Filippo Lopez y Royo XIX secolo Mercurio Maria Teresi Domenico Benedetto Balsamo Pier Francesco Brunaccini Benedetto D'Acquisto Giuseppe Maria Papardo del Pacco Domenico Gaspare Lancia di Brolo XX secolo Antonio Augusto Intreccialagli Ernesto Eugenio Filippi Francesco Carpino Corrado Mingo Salvatore Cassisa Pio Vittorio Vigo XXI secolo Cataldo Naro Salvatore Di Cristina Michele Pennisi. DELLA NATURA DEL LINGUAGGIO, E DELLA SUA INFLUENZA NELLA FORMAZIONE DELLE IDEE. Per ESTENSIONE della idea generale s'intende la sua capacità di applicarsi al numero degli individui. La COMPRENSIONE è riposta nel pumero delle idee semplici delle quali essa si compone; perció quanto è maggiore la comprensione tanto minore è l'estensione, ed all'inverso. Ritrovare l'origine primitiva del linguaggio, dopo infinite vicissitudini ed incalcolabili trasformazioni, oltre di essere fuori del nostro assunto, sarebbe la cosa più difficile. I fenomeni quanto sono più ovvi e generali altrettanto la loro radice è sepolta nelle tenebre. Moltissime e svariate sono state le opinioni dei filosofi intorno all'origine del linguaggio, e forse ancora la lite non è stata decisa. Varie lingue si sono parlate, dalla corruzione e dalle trasformazioni di queste ne sono risorte delle altre, e da queste ancor del l'altre. Se cosa di certo potrà trovarsi, la speranza di tal trovamento si deve porre nel fatto, cioè nella co stituzione dell'uomo e nella natura dello stesso linguaggio. L'uomo è dotato di sensibilità e di facoltà attive e libere: égli prova sensazioni, è affetto da piacere e da dolore; in ciò è passivo: egli reagisce sopra le stesse sensazioni, ed a suo piacere analizza, ricompone, e n e forma de nuovi prodotti,ed in ciò è attivo e libero; egli ha dunque delle sensazioni e delle idee e forma giudizi; tutto ciò è effetto del lavoro interno dello spirito umano, e non v’interviene convenzione per conto alcuno. Dall'altra parte avvi nel linguaggio ciò che nell'uomo ha anche costituito la natura, e vi si trova sempre lo stesso, propagato in tutte le lingue senza alcun cangiamento o alterazione, e che dovrà per necessità trovarsi in tutte le lingue possibili. L'uomo èstato fornito degli organi vocali. Egli mette per essi naturalmente de' suoni. Questi sono o semplici emissioni di fiato, tali sono i suoni detti vocali. Altri sono delle intonazioni che dipendono dall'azione libera di alcuni organi vocali, tali sono icosi detti suoni consonanti, e questi stessi suoni non possono prescindere dai suoni vocali perchè o li precedono, o li seguono, non potendosi dare esercizio di organi subordinati senza l'esercizio degli organi subordinanti. I suoni vocali sono la manifestazione de' sentimenti, e le intonazioni, o consonanti le espressioni delle idee, quelli accennano alla passività, questi all'attività; quelli sono comuni all'uomo ed alle bestie, questi all'uomo solamente, e mettono la gran differenza fra le une e l'altro. Tutto ciò è ancor opera della natura. Bisogna in fine riconoscere un legame ancor formato dalla stessa natura. Questo legame è il rapporto fra lo spirito e gl’organi corporali, e fra questi e gl’oggetti. La condizione, che stringe sempre più e muove questo legame, è il principio d’imitazione che eminentemente possiede l'uomo. Egli per parlare ha un modello naturale da imitare, cioè la natura e le idee. Tutto ciò adunque che si ricerca alla perfezione del linguaggio è dato dalla natura; che altro manca alla esistenza di una lingua, se non la combinazione volontaria dei suoni vocali e delle intonazioni per formare la pittura e l'espressione delle idee. Ma questa pittura, questa espressione nel linguaggio primitivo [Gl’organi che concorrono alla formazione de’ suoni ARTICOLATI sono la trachea o canna della gola per la quale passa l'aria, e ri passa ne pulmoni; la laringe che è un canale cilindrico corto alla tesla della trachea; la glotta che consiste in una piccola fissura fra due membrane circolari dove si forma il suono e la diversità ed intensilà de’ tuoni; la cavità della bocca e delle narici in cui il suono viene riflesso e ri-suona. Quest’organi sono destinati alla produzione de’ suoni vocali. La lingua colle sue vibrazioni, i denti, le labbra coi loro movimenti sono gli stromenti delle intonazioni, le quali combinate con i suoni rocali danno in risultato LA VOCE ARTICOLATA dovean essere da una parte corrispondenti ai bisogni ed allo sviluppo dell'uomo, perciò i suoni articolati, prodotti dalle funzioni naturali degl’organi e dall'esercizio libero dei poteri interni moventi gl’organi medesimi, e che esprimeano i sentimenti e le idee, doveano essere in poco numero, che sono le radicali di tutte le lingue, restando in arbitrio dell'uomo l’infletterli e modificarli a sua volontà secondo che crescevano i bisogni della vita [cf. Grice, “Method”], e s’estendevano i rapporti e cogl’oggetti della natura e cogl’altri uomini. Dall'altra parte, come il tutto è preparato alla persezione dell'uomo, cioè l'intelligenza, e gl’organi di rapporto col mondo. Questi riceveano naturalmente l'azione degl’oggetti esterni e produceano i sentimenti, quella trasforma i sentimenti in idee per effetto dei rapporti naturali onde erano connessi. Egualmente sono preparati gl’organi onde pingere ed esprimere coi suoni le idee. È quindi necessario che la stessa natura, secondo gl'intimi rapporti di quest’organi, produce i suoni in corrispondenza alle prime idee necessario risultato dell'esercizio delle facoltà. Ciò che ela realizza per un procedimento naturale. È un fatto costantissimo nella natura dell'uomo cioè che egli per la sua suscettività prova sentimenti, per la sua intelligenza li trasforma in idee, e per la sua attività ne determina i movimenti muscolari nel corpo, i quali sono diretti sopral'oggetto rappresentato dalle idee. Cosi la stessa attività mette in funzione i muscoli degl’organi vocali per significare agli altri con i suoni l'idea che gli è presente nello spirito, que  l'oggetto esterno ha una costituzione tutta propria, che forma la sua specifica natura. Dalla specificità di questa natura origina il modo e la legge dalla sua azione sopra l'organo del corpo umano. Quest'organo, per lo stimolo impressovi dall'azione esterna entra in movimento, il quale, sebbene è la continuazione dell'azione esterna, tuttavia è modificato e specificato dalla legge fisiologica risultante dalla costituzione dell'organo medesimo. Questo movimento organico cosi specificato modifica realmente lo spirito, e vi produce primamente un sentimento, il quale per l'azione delle facoltà è seguito da una idea. Questa idea per l'attività intelligente diviene una norma della sua determinazione e direzione verso l'oggetto rappresentato dalla idea, onde prenderlo e mettersene in possesso. La stessa attività sotto la scorta della stessa idea, mette in esercizio i muscoli degl’organi vocali per esprimere colla voce la idea, e per essa il suo oggetto. La volontà, nello eccitare i movimenti organici del corpo, può avere un doppio motivo prodotto da un diverso interesse, cioè o immediato, o mediato. È immediato quello per cui eccita il movimento nei muscoli, per esempio della mano, per prendere l'oggetto rappresentato dalla idea. È mediato quello per cui mette in azione gl’organi vocali per SIGNIFICARE o far nascere negl’altri l'idea che è presente al suo spirito, col fine, sia di simpatizzare con essi, sia per determinare la loro volontà a proprio vantaggio, e per questo procedimento si effettua nell'uomo sotto l'influenza della legge fisiologica e della legge psicologica. Eccome il modo. Avere da costoro o un’azione, o l'oggetto che desidera, sia perchè non gli noceia. La causa dunque del doppio movimento è lastessa, cioè la medesima idea, i motivi solamente differiscono, essendo uno il possesso dell'oggetto rappresentato dall'idea, e l'altro la premura di manifestarla agli altri. Onde lo stesso è il procedimento del movimento della mano, e de gli organi vocali eseguito sotto l'impero della stessa legge fisiologica e della stesse legge psicologica, sebbene per un diverso riguardo. Perciò se naturale è la presa dell'oggetto significato dalle idee, naturale è pure la voce che esteriormente la esprime. Ciò ha bisogno di ulteriore sviluppo. Nella esterna espressione delle idee dello spirito, cioè nel linguaggio parlato, avvi un processo inverso aquello col quale egli acquista le idee, ma colla stessa legge di continuità. Il processo pel quale nello spirito si forma l'idea ha il suo principio nella azione dell'oggetto esterno. Questa azione è sempre conforme alla naturale costituzione dell'oggetto, alla sua relativa posizione e stato in rispetto agl’organi esterni. Quindi di tante diverse specie e di tante gradazioni nella stessa specie sono le azioni che gl’oggetti esterni esercitano sopra gl’organi. L'azione dell'oggetto, arrivando all'apparecchio esterno dell'organo, lo stimola e vi produce un movimento rispondente all'indole ed alla forza dell'azione dell'oggetto agente, ed allo stato di organizzazione dello stesso apparecchio. Questo movimento cosi modificato si comunica alla struttura ed al processo nervoso dello stesso organo, nel quale il movimento riceve un'altra modificazione e qualificazione. Il movimento cosi modificato e qualificato interessa e modifica lo spirito, e produce in esso il sentimento che per l'azione delle facoltà diviene idea, la quale nello spirito è IL SEGNO della esistenza del l'oggetto esterno e della sua qualità. L'idea devesi considerare come la interna parola per la quale lo spirito sente, conosce ed è assicurato dalla esterna realtà e dei suoi modi per la modificazione reale che egli riceve dalla forza reale del di fuori attuata nel movimento, e dalla indole dello stesso movimento determinata e dalla natura dell'azione dell'oggetto esterno, e dalla struttura dell'apparecchio esterno e della costituzione interna dell'organo e del cerebro. Dall'oggetto esterno fino allo spirito avvi una continuazione di movimento, modifiealo però in diverse guise una connessa coll'altra fino all'ultima modificazione che riceve dall'organo centrale del cerebro. Il movimento nella sua essenza non è che la forza materiale attuata e manifestata sensibilmente per le due forme primitive del tempo e dello spazio; e per ciò esso è nell'azione dell'oggetto esterno, nelle attuosità dell'apparecchio, e nella costituzione del tessuto nervoso del cerebro, riceve le diverse modificazioni e specificazioni della natura dell'oggetto in prima, indi dalla organizzazione dell'apparecchio esterno dell'organo e della tessitura interna dei nervi ed in ultimo del sensorio comune. Queste modificazioni e specificazioni diverse del movimento si possono considerare come tante articolazioni dello stesso movimento che costituiscono, per cosi dire, la parola fisiologica che intende lo spirito, per la quale conosce e la realtà dell'oggetto esterno nella forza attuata nel movimento, che è l'elemento generico, e la qualità dello stesso oggetto nella modificazione e specificazione dello stesso movimento, che formano l'elemento specifico delle idee. Questo è il processo naturale nella formazione delle idee. Volendo poi lo spirito manifestare al di fuori i suoi sentimenti e le sue idee, si serve dello stesso elemento generico cioè del movimento, che esso eccita agendo sopra il cerebro. Questo movimento eccitato nel cerebro, e da questo propagato ai tessuti nervosi riceve le peculiari modificazioni dall'esercizio delle facoltà dello spirito in conformità al sentimento ed alle idee che vuole egli esprimere, per le quali si mette in azione il sistema dei muscoli e muove gli organi vocali, e gli apparecchi degli stessi organi, cioè il pulmone e la trachea per la emissione dell'aria; la glotta dove l'aria diviene sonora, che è il mezzo di espressione del sentimento; il palato, la lingua, i denti e le labbra, dalla funzione dei quali il suono riceve le diverse modificazioni, le quali formano le intonazioni o i suoni consonanti, che servono a manifestare le forme del sentimento cioè le idee e le loro qualità. Quindi nell'aria emessa divenuta suono che in fondo è movimento, si ha l'elemento generico, il quale forma la base del linguaggio, e l'elemento specifico che consiste nelle modificazioni che riceve lo stesso suono. Onde i suoni vocali sono le prime modificazioni del suono generale, indi le intonazioni o le articolazioni dello stesso suono, le quali si combinano in guise diversissime con i suoni vocali, ed a queste combinazioni risulta IL LINGUAGGIO ARTICOLATO. Queste intonazioni sono sempre precedute o seguite da suoni vocali, poiché l'elemento specifico del linguaggio non può sussistere senza il generico che ne è la base, di cui le intonazioni sono modificazioni prodotte dall'esercizio delle facoltà. I suoni, che esprimono le circostanze e le posizioni necessarie dell'oggetto che si vuole significare, formano le parti elementari che si trovano in ogni lingua delle parti del discorso. Le combinazioni poi dei suoni vocali con i consonanti per esprimere l'oggetto e le sue qualità dipendono dalle esterne circostanze in cui possono trovarsi gli uomini, come sono il clima, ilgenere di vita, la religione, ed altro, le quali come influiscono sopra lo sviluppo della facoltà, cosi determinano la combinazione de'suoni vocali con i consonanti. Nella formazione delle idee vi sono due estremi. Il primo è l'oggetto esterno allo spirito. Il secondo è lo stesso spirito che dà esistenza alla idea. L'agente esterno nelle stesse circostanze sempre agisce allo stesso modo. È cosi gl’organi essendo nello stesso stato, per cui l'idea è sempre la stessa. Laddove nella espressione esterna della stessa idea, cioè nel linguaggio, essendo lo spirito, il primo estremo che suscita il movimento, secondo le disposizioni da cui egli è affetto per la influenza delle esterne circostanze, muove gl’organi vocali in modi diversi e combina in diverse  guise i suoni vocali con i consonanti, per cui lo stesso oggetto p. e. l'astro del giorno nelle diverse lingue ha diversi nomi, come “sole” in italiano, “sol” in latino, “soleil” in frances, ya coseco. Perchè poi potesse rendersi stabile la esterna manifestazione dei sentimenti e delle idee, che è fugitiva nel linguaggio parlato, lo spirito si serve delle figure. Ad alcune delle quali associa ed attacca in prima i suoni vocali, ad altre i consonanti, quali figure di vengono SEGNI dei suoni, come le parole lo sono delle idee, e le idee degl’oggetti; e come il punto e le linee possono combinarsi di diverse maniere; quindi la diversità e la moltiplicità delle figure ossia delle lettere. Dunque l'elemento di base oggettivo alla formazione delle idee, della parola, della scrittura è lo stesso, cioè il movimento. Lo specifico, nella formazione della idea, è il modo di agire dell'oggetto esterno sull'organo e dell'organo sullo spirito; nella formazione della parola è pure la costituzione degl’organi e l'articolazione dell'aria che si porta al senso degli altri. Nella formazione della scrittura è ancora la costituzione degl’organi e la loro azione sopra una materia esterna che viene specificata. Lo stesso spirito è il fine del processo fisico e fisiologico nell'acquisto della idea, ed il principio dello stesso processo nella espressione esterna della idea. Il legami hanno la stessa connessione e la medesima continuità si nell'uno che nell'altro processo. Lo spirito nella espressione delle sue idee imita il modo naturale della loro acquisizione. In tutti i segni adunque degl’oggetti, cioè nelle idee, nelle parole, nella scrittura vi ha l'elemento generico e lo specifico. Il generico in fondo è lo stesso, cioè il movimento, il quale non è che l’esterna manifestazione della forza intrinseca a tutti i corpi. L’elemento specifico è riposto nella trasformazione dello stesso movimento secondo la struttura degl’organi che sono in funzione, e la natura dell'oggetto che ve la determina; perciò i movimenti possono diversificare di tanti modi, quante sono le esterne impressioni, il loro grado di forza, e la costituzione degl’oggetti che le cagionano, la struttura e lo stato degli organi interni ed esterni. Nell'essere assicurato lo spirito della esistenza d’un oggetto per mezzo della idea vi sono perciò II condizioni della diversità de' movimenti. Una esteriore, che deriva dal modo di agire dell'oggetto esterno allo spirito. L'altra interna, che nasce dalla naturale struttura e dallo stato degl’organi, i quali modificano e trasformano il movimento ricevuto dall'esterno. Cosi, nel manifestare lo spirito le sue idee, é per esse la cognizione degl’oggetti vi hanno II condizioni. Una è la reazione dello spirito, la quale è da esso determinata GIUSTA L’INFORMAZIONE che egli ha della idea. L’altra è riposta nel movimento degl’organi interni e nella funzione degli organi vocali che producono il suono, il quale può modificarsi in diversissimi modi ed in tanti suoni articolati quante sono le idee e le loro qualità, come è chiaro, della moltiplicità e delle parole, e delle diverse lingue. Il suono nel linguaggio risponde ed esprime il sentimento che è la base della idea, e l'articolazione del suono alle forme del sentimento cioè alle idee ed alle loro proprietà. Come il sentimento nello spirito risponde al movimento organico che ve lo cagiona, e la idea all'indole peculiare dell'armonia del movimento sotto la quale è prodotto. Questi fatti sono connessi e legati l'uno all'altro in un processo di continuità tanto nella formazione della idea quanto nella produzione del linguaggio -- ma in un ordine inverso ed ALTERNO NELLA CONVERSAZIONE. Lo spirito legge nelle sue idee le esistenze degl’oggetti col processo che comincia dalla loro azione, e per un processo inverso, che ha principio dall'azione dello stesso spirito, egli esterna e manifesta le stesse idee fino alla scrittura, alla pittura, alla scoltura ec. Uno è il movimento, ed indefinite le modificazioni che lo diversificano. Uno èi lsentimento ed indefinito il numero delle idee nelle quali si trasforma. Uno ė il suono, ed indefinito il numero delle parole nelle quali è articolato. Unico è il punto del flusso dal quale nasce la linea, ed indefinito il numero delle figure, e le combinazioni che di essi possono farsi, d'onde le diversità delle lettere nelle diverse lingue. Tratti generali hanno le idee, le parole, le figure. L'unione del pensiero col linguaggio, e di questo colla scrittura ha il centro e la base nello spirito, il quale, per il movimento modificato delle leggi fisiche ed organiche riceve le impressioni nella sua unità, e da questa riversa il prodotto e lo propaga al di fuori per mezzo delle stesse leggi. Se le condizioni che formano l'elemento specifico del linguaggio è semplificate e ridotte a principi non è difficile la formazione di una lingua universale. È bensi da osservare che la totalità dell'armonia della costituzione del corpo umano, ed in essa la specialità degl’organi che la compongono, è modificata ed informata negl’individui da talune cause esterne ed interne, le quali, agendo sopra di esso potentemente e perennemente vi determinano un temperamento costante il quale poi, come modifica di un modo speciale i sentimenti e le idee, cosi modifica diversamente il movimento degl’organi vocali nella produzione delle intonazioni, le quali commiste ai suoni vocali producono una diversa articolazione, e quindi la diversità delle parole che significano presso diversi individui la stessa idea ed il medesimo oggetto. Qui si trova la ragione del linguaggio diverso presso le diverse nazioni, le quali, secondo le diverse posizioni e circostanze morali, politiche, fisiche e topografiche, parlano diverso linguaggio come hanno diversi costumi. La nazione greca, che è colta, civile e voluttuosa, parla u n linguaggio molto ornato, troppo polito e per alcuni splendido. ROMA, che parve nata a comandare, ha un linguaggio NOBILE, ROBUSTO, MAGNIFICO. Le lingue che ebbero nascita da questa madre portano tratti differenti non solo della loro madre, ma ancora fradi esse. La spagnuola porta il carattere di gravità, di pomposità e di alterezza. La francese è vivace, spiritosa ed animata. L'italiana molle, gentile ed amena. L'inglese sobria, sentenziosa e concisa. Quelle del settentrione aspre. Il linguaggio convenzionale è uno dei più potenti mezzi che contribuiscono al soddisfacimento di questi bisogni. E mentre il linguaggio si accresce per lo sviluppo delle facoltà, tende a sempre più perfezionare le facoltà. Ma i segni convenzionali, che compongono il linguaggio, non possono aversi senza i segni naturali; poichè non può darsi fra gl’uomini convenzione alcuna senza che prima s'intendano, nè possono intendersi senza i segni naturali, i quali sono a tutti comuni, perchè prodotti spontaneamente dalla loro natura, e perciò per questi tutti gl’uomini s'intendono. Devono per tanto ammettersi prima i segni naturali per iquali eglipo s'intendono, ed intendendosi sopra gli stessi segni naturali fondano il linguaggio convenzionale, il quale è di quelli una estensione. I segni naturali sono le grida, ed i gesti, i quali sono varii come lo sono le grida. Questi segni sono generalmente da tutti intesi, perchè esprimono in tutti le medesime idee ed i medesimi sentimenti. Che se al grido si unisce il gesto, il segno di espressione diviene più indicativo e sicuro. Infatti, questo linguaggio si parla nella vivacità delle passioni, quando non ha luogo l'esercizio della facoltà intellettiva. Ora dure ed austere. La lingua e l'eco del costume, come il costume lo è della natura e carattere delle idee, le quali sono più o meno perfette, in maggiore o minor numero secondo il maggiore o minor grado di sviluppo e di perfezionamento delle facollà, ed il maggiore o minor numero dei bisogni che si suscitano nell'uomo. Se il gesto si unisce al grido, ed il movimento de’ muscoli corporei al movimento de muscoli degl’organi vocali per rendere più sicura ed espressa la manifestazione dell'interno sentimento e della idea, non su difficile mettere in movimento i muscoli degl’organi della lingua de’ denti e delle labbra per rendere più completo e più perfetto il suono per la manifestazione più esalta più commoda e più espressiva della idea, e surrogare alle gesla le intonazioni che suppliscono alla loro imperfezione. Si osservi infatti, quali sono le risorse della natura che ruole esprimere gl’interni sentimenti e le idee. Mentre il bambino ha soli sentimenti e non ha formato idee degl’oggetti che lo modificano, egli si esprime per il mezzo delle grida, i quali diversamente modifica secondo la diversità de'sentimenti che egli prova; quando le sue facoltà cominciano a svilupparsi, ed a formare idee, egli comincia a dare una certa precisione alle sue gesta, ed insieme una certa articola  suoni vocali le intonazioni, le sue idee, sebbene noi, con che intende esprimere non sono tura, e per e per opera della l'istinto della imitazione na uso delle parole comincia a far non l'intendiamo convenzionali. Indi, perchè che ascolta, e che gesto diretto sopra, per il mezzo del attacca l'oggetto presente al suo allo stesso oggetto sguardo, mente. Tutto ciò succede nel bambino. Questo natural procedimento naturale che si fa per gradi essere per gradi perfetti imperfetti nel bambino, dovelte ed istantanei nell'uomo primiero, il quale nacque adulto, col pieno sviluppo delle sue facoltà: egli conobbe i suoi poteri naturali, conobbe la natura degl’oggetti che lo circondavano, ha nette e precise le sue idee, perciò è facilissimo per la manifestazione delle sue idee accoppiare le intonazioni semplici ai suoni vocali ancoras emplici,d'onde risulta LA VOCE ARTICOLATA anche semplice, al profferimento della quale une anche il gesto, ed è compreso. Questa voce divenne il segno radicale che si attacca alla idea, il quale per l'abitudine divenne permanente. Formata questa lingua primitiva ;divenne essa il tipo della formazione di tutte le altre. Quesla teoria è conforme aciòchesi legge nel Genesi -- Formatis igitur, Dominus Deus, de humo conctis animantibus terrae, et universis volatilibus coeli, adduxiteaad Adam, ut videret quid vocaretea: omne enim quod vocavit Adam animae viventis, ipsum est nomen ejus. Appellavitque Adam nominibus suis cuncta animantia et universa volatilia coeli, et omnes bestias terrae. Cosi anche impone il nome ad Eva, haec vocabitur virago, perchè, quoniam deviro sumpta est,e ciò perchè egli conobbe che ella era, os ex ossibus meis, et caro de carne med. Il divino in fine dovea dare l'ultimo complemento a tutti gl’elementi della sua opera, ed attualizzare tutti irapporti necessari fra questi elementi. Il primo uomo adunque, come naturalmente prova sentimenti, come per l'esercizio della sua intelligenza li trasformó in idee, come naturalmente per i primi mise fuori suoni vocali, per la seconda produce le intonazioni. Così dovette combinare le intonazioni colle vocali e produrre LA PAROLA ARTICOLATA, imagine e PITTURA della idea, allo stesso modo come trasforma in idea il sentimento coll'esercizio delle facoltà della sua intelligenza. Questo lavoro delle facoltà non è che istantaneo nell'uomo che nacque sviluppato, ed istantaneo su il linguaggio. Fu opera del divino l'esistenza, e la perfezione dell'uomo primiero mediante la perfezione e lo sviluppo delle sue facoltà, cosi è opera del stesso divino l'esistenza del linguaggio mediante l'esercizio degl’organi vocali dati all'uomo per questo fine. Fuvvi dunque nella lingua primitiva la base posta dalla natura, e questa base devesi trovare in tutte le lingue; fuvvi l'opera e l'esercizio delle facoltà, e questo sirinviene in tutte le lingue; ilprimo elemento è invariabile, e si trasfonde da generazione in generazione senza mutamento o alterazione. Il secondo è variabile, e cangia coi tempi, secondo i climi, i bisogni, il genere di vita, ed il progresso dei lumi, ed esso è la causa della moltiplicità delle lingue e della loro varietà. Dietro tali considerazioni chiaramente si scorge, che IL LINGUAGGIO ARTICOLATO è il segno in fatto della grande differenza che distingue l'uomo da tutti gli altri viventi, a cui mancano le intonazioni, perchè manca l'esercizio libero delle facollà della intelligenza, e mancano in conseguenza la precisione e la perfezione delle idee, e sono perciò limitati ai semplici suoni vocali, perchè limitati alle sole sensazioni. Nell'uomo   però in cui son vi non solo le sensazioni, ma ancora interviene l'esercizio libero delle facoltà, sonyi e le vocali, e le intonazioni, e la combinazione, ed il concerto dell’une e dell’altre, per la espressione delle idee. I bruti naturalmente, per esprimerele loro sensazioni, si servono de'suoni vocali diversamente modificati ed espressi, e tale espressione è intesa dagli individui della stessa specie. Non potrebbe l'uomo anche fare lo stesso, essendovi in esso gli stessi a pparecchi e le stesse condizioni? certamente che si, ma l'uomo ha pure idee, ed ha il mezzo onde esprimerl, cioè le intonazioni; chi impedisce d'impiegarle e COMBINARLE per la espressione delle idee come per le vocali esprime i sentimenti. È forse difficile il framettere le intonazioni necessarie alle vocali spontanee? come non era e non è difficile il combinare il sentimento coll'esercizio delle sue facoltà ed averne in risultato l'idea, cosi non gli fu difficile combinare e modificare le vocali necessarie all'espressione del sentimento colle intonazioni, che potevano contornarle e. precisarle alla esatta pittura della idea. Si forma un nuovo oggetto, una macchina, p. e. manca il nome, l'espressione; che si fa, si combinano due o più termini che esprimono gli elementi, e se ne forma un solo. Questo esempio è sensibile, ma infiniti esempi simili si osservano, sebbene poco considerati in tutte le lingue come nella LATINA; come dunque in tutte le lingue per l’unione delle voci radicali si formarono le derivate. Cosi nella lingua primitiva dalla unione delle vocali e delle intonazioni analoghe si formarono le radicali. Ma come avrebbero potuto trattenersi a memoria tante voci? come si trattengono a memoria ed il vocabolo nuova mente composto, e le voci derivate. L'oggetto che è presenteallo spirito, gli elementi ed i loro nomi particolari, che si conservano nella memoria, sono il mezzo di ricordare il vocabolo nuovamente coniato; cosi le vocali che esprimono i sentimenti dell'animo i quali sono presenti allo spirito, le intonazioni corrispondenti all'operazione delle facoltà, che ancor è presente allo spirito, sono il mezzo di ricordare la voce impiegata alla espressione di quel sentimento precisato, di quella idea; si risovvenga che il linguaggio primitivo, per i pochissimi bisogni dell'uomo, per ipochi rapporti cogli altri uomini, non si componeva che delle sole radicali, e che le voci composte cominciarono ad accrescersi secondo crescevano e s'intrecciavano i bisogni ed i rapporti. Quindi per dimenticare il suono, che è un prodotto naturale, bisogna dimenticare l'idea; ciò che succede ad ogn'uomo oggi giorno. S'aggiunga a ciò, che quanto èpiù forle l'impressione, quanto è più vivo il sentimento, tanto è più energicà e pronunziata l'espressione ed il suono vocale; quanto più marcata è l'azione dello spirito sul sentimento, tanto è più decisa l'espressione delle intonazioni e delle consonanti, e quanto è più interessante e distinta l'idea, tanto più viva è l'espressione e la parola. Ciò è chiaro e ne’ selvaggi, ed in tutti coloro che sono nell'impegno di trasmettere colle parole le loro idee ardenti e staccale. La parola è la pittura e l'immagine della idea; l'idea è l'immagine dell'oggetto e l'espressione dello spirito; l'oggetto e lo spirito sono l'espressione dell'assoluto. Tanto è chiaro a sé lo spirito, e tanto luminoso allo spirito l'oggetto quant'è il grado di luce che comunica l'assoluto allo spirito ed all'oggetto: tanto è vivo il sentimento e distinta l'idea, quanto è più chiaro a sé lo spirito e luminoso allo spirito l'oggetto; tanto forte è il suono vocale, ed energica l'intonazione, e precisa la parola quanto più vivo è il sentimento e distinta l'idea. I sentimenti dell'uomo primiero, che nacque adulto e non bambino, e tale dovea nascere, i prodotti del l'azione degli oggetti esterni, la percezione del proprio spirito,ed indi le sue idee furono vivissimi, distintissimi, ed al massimo grado di precisione, tanto per la novità, quanto pel grado di luce, che il divino diffunde e nello spirito dell'uomo di recente formato e nella natura, che la prima volta espose al suo sguardo; perciò forte, marcato, ed espressivo dovette essere, ma semplice, e concise il suo linguaggio, ciò si rende chiaro dalle indole della stessa lingua, la quale, a giudizio de'più dotti filologi, può considerarsi come l'esemplare di tutte le altre. SCHLEGEL in fatti la chiama la più sublime e la più energica, e per la sua vibrata concisione, e per le vive e frequenti aspirazioni delle voci, e lo stesso Audisio la dice divina. Questa è la lingua ebraica, la quale è parlata da Adamo e Gli elementi dunque del linguaggio, che formano il suo tipo originale, furono tutti dati all'uomo dalla natura, e l'uomo,che trovò in se preparati e pronti questi ele menti, non fece altro che metterli in opera, ed ebbe immediatamente il prodotto. Per questo tipo il lin guaggio è mezzo di comunicazione e centro di rap porti fra tutti gli uomini; perchè in tutti questo tipo è identico,tutti comunicano e fra loro s'intendono, restando sempre separati per l'arbitrario: infatti il tipo naturale delle lingue è insegnato es'impara dalla ragione, perchè in tutti gli uomini ella è uguale e la stessa:e perchè tale, è in tutti gli uomini centro di unità e condizione identica di comunicazione,per il mezzo degli apparecchi vocali, che sono uguali e gli stessi in tutti; laddove l'arbitrario s'apprende per l'uso e per abitudine, perchè introdotto dall'uso e dall'abitudine. Tuttociò come da lume,e ci rende facilelaco noscenza della natura del linguaggio,cosi riceverà m a g dai suoi discendenti, ed ebbe questo nome da Eber nella famiglia del quale si conservò dietro la confusione delle lingue. Ciò fa conoscere l'errore che si commelle nell'apprendimento delle lingue specialmente antiche,pel quale si daono tante svariate e moltiplici regole e precetti di che si compongono le grammatiche specialmente moderne, le quali, gravando la mente non fanno ap prendere con facilità e perfezione la lingua. In qualunque lingua devesi imparare colla ragione,cioè colle regole,ciò che è opera della natura e della ragione, vale a dire,ilfondamento della lingua: la costruzione perd,ilgenio,iterminidellalingua,leloro inflessioni, e la sua eleganza, essendo un prodotto dello sviluppo ed esercizie delle facoltà, debboosi imparare coll'uso.  Occupa nel linguaggio il primo luogo quella voce che esprime l'oggetto dell'idea che o è principio di azione o ne è il termine, o pure qualche proprietà del medesimo oggetto; questa voce è stata detta nome; che gior luce, e sarà confermato dall'analisi che ne fa remo. Il linguaggio è un fatto il più noto ed il più generale; analizzando questofattosi conoscerà distin tamente ciò che vi ha posto la natura, e ciò che vi è introdotto dalla volontàdegli uomini. Tuttigliuo mini sono dotati di sensi pei quali ricevono impres sioni dagli oggetti esterni e provano sensazioni; tutti hanno una intelligenza dotata di facoltà, perlequali e possono trasformare i sentimenti in idee, parago narle, e formare giudizi sopra le idee e gli oggetti corrispondenti,e preparare in un giudizio la maleria di un altro,e da ciò che ha conosciuto avanzarsi ad ulteriori conoscenze. Tutti possono cacciar fuori una massa d'ariadaipulmoni, emettereinazioneglialtri organi vocali che servono a modificarla, e come non per propria industria ha avuto l'uomo queste facoltà, cosi non perpropria arte ha conseguito di poter par lare. Infatti prima di formarsi o la grammatica, o la logica, ciascuna nazione ha ricevuto dalla natura l'uso della favella e gli elementi necessari e presso tutti si mili. Chiunquevuole esprimerelesueidee,emani festare gl’interni giudizi in qualunque siasiluogo,in qualunque lempo,di tante parti naturalmente fa uso, quante sono necessarie ad esprimere le idee, ed i giu dizi con tutte le circostanze, le particolarità, e la gra dazione di colorito e di luce. se esprime l'oggetto si dice sostantivo, se indica la proprietà si chiama aggettivo, se però si considerano in astratto, e come separate dai loro soggetti, rien trano nella classe de'sostantivi come bianchezza, tar ghezza,solidità,ecc.È però da riflettere, chegliog getticheagiscono sopraisensi,edicuilospiritopuò formarsi idee sono di un numero incalcolabile;ildare ad ognuno di essi un nome sarebbe stata una impresa non che difficilissima, ma si bene impossibile;l'uomo ha superato tale difficoltà,con applicare lo stesso nome a tutti quegli oggetti che presentano le medesime pro prietà; si è dato il nome di albero a ciò che hanno d'identico quegli oggelti che sorgono da una radice, che son nutriti dalla terra, che hanno tronco, rami, foglie ecc., quindi tutti i nomi esprimono idee gene rali di classe, di genere, dispecie,tranne quei nomi che disegnano un solo individuo come Pietro, Paolo ecc., i quali si dicono nomi propri a differenza dei primi che si chiamano appellativi. Ma dicendosialbero, uomo, non si saprebbe di qual albero, di qual uomo volesse parlarsi;la natura ha suggerito un altro mezzo onde togliersi questa per plessità, qual'è ilpronome, il quale è una parola che rappresenta determinatamente il nome dell'oggetto, ed ha nello stesso tempo il vantaggio di escludere le frequenti ripetizioni dello stesso nome.Il pronome ė anch'esso generalissimo, potendosi applicare ad oggetti diversissimi e ad ognuno di essi secondo le circo stanze.Indica in prima la persona che parla io;la persona a cui si parla, tu; e quella di cui si parla  quello, questo, colui ecc.; attribuisce ancora la pro prietà alla cosa designata, come tuo, nostro; indica similmente le relazioni degli oggetti con altri di cui si:forma giudizio, come, il quale, le quali,e nota in fine la presenza, la vicinanza o la lontananza dell'oggetto designato, come questo, quello, colui. Vi sono altre circostanze ed altre relazioni che pos sono avere gli oggetti, e che il linguaggio con precisione esprime; quindi il nome tanto sostantivo c h e aggettivo ha numeri, generi, e casi. Il numero indica se l’oggetto è uno, o più di uno; il genere propriamente determina i sessi, o l'analogia che hanno coi sessi; i casi esprimono le diverse relazioni che un oggetto ha con altri, designate con certe particelle che si premettono ai nomi,tali sono isegnacasi come il, del, al ecc. come nelle lingue moderne;o da certe infles sioni nellesillabefinalidello stessonome,comepater, patris, patriecc.,yxws,4x8,qxw ecc.,nellelingue an tiche per la più parte. Il nominativo indica o semplicemente la cosa che è, o pure che agisce. Il genitivo esprime il possessore; il dativo la persona o la cosa a cui si reca utile,danno,o qualunque altra attribuzione; l'accusativo la cosa su cui passa o cade l'azione; il vocativo mostra l'oggetto a cui si diri gono le parole; l'ablativo finalmente che si trova in molte lingue, serve ad esprimere tutte quelle altre p o sizioni che non si potevano commodamente espressare cogli altri casi. Un oggetto può solamente esistere,può essere in azione, e può ricevere in sè l'azione di un altro; era perciò necessaria una voce che esprimesse questi stali;questa voce è detta particolarmente verbo, il quale esprime ciò che è di più essenziale nel discorso, cioè o l'esistenza, o l'azione, o la passione coi progressi del tempo, e le circostanze delle cose, e contiene in sè un completo giudizio intorno alla natura delle cose medesime. Esso indica il tempo dell'esistenza,del l'azione e della passione e le sue gradazioni, cioè il presente, il passatoel'avvenire;ammette anche imodi, l'indicativo che esprime lacosa assolutamente; l'imperativo che chiede o comanda, il soggiuntivo che esprime il giudizio sotto la condizione o la subordinazione di qualche cosa a cui si riferisce. Esso finalmente ha numeri e persone. È prossimol'avverbiochesiuniscetantoainomi quanto ai verbi, e serve a determinare il particolar luogo,modo,e grado o ad una cosa,oall'esistenza, o all'azione, o alla passione; esso ha una vastissima estensione sul riguardo che può modificare le circo stanze della cosa o esistente o in azione,ed è una maniera abbreviata di espressione come hic qui vale in questo luogo ecc.  Il verbo in ogni lingua genera un'altra voce, che vien detto participio, in quanto serba la significazione del verbo da cui ha origine, ed acquista insieme la forma del nome,con che un giudizio viene incluso in un altro, e richiama con un sol segno alla m e moriaciòcheèstatodetto,osisuppone conosciuto, con designare nello stesso mentre la persona, il numero, l'azione ed il tempo,come amans amante, co luicheama,amava,oamando.  Sebbene sembra che queste parti avessero potuto bastare ad esprimere inostri pensieri, purnondimeno affinchè il linguaggio riuscisse a copiare perfettamente i nostri interni sentimenti con supplire all'espressione degli accidenti e de'siti lasciati e non indicati dalle parti antecedenti, si sono aggiunte altre voci di gran dissimo uso,che si dicono preposizioni come super so pra, circum intorno; alcune altre che servissero a se parare o a congiungere le idee secondo il bisogno, tali sono le congiuntive e le disgiuntive come et e, aut o,ecc. Altreinfine,chesebbenenon abbiano segnatamente attaccata alcuna idea,indicano però i movimenti del nostro animo, che le facoltà non hanno potuto, a causa della loro istantaneità analizzare e sviluppare in idee, e che possono considerarsi come l'espressioni naturali dell'uomo affetto di dolore o di piacere, o di qualunque altra forte e subitanea affezione heu, oimè ecc.Quindi colla frequente ricorrenza, e colla combinazione di otto voci riusciamo ad immettere nel l'animo altrui le nostre idee, i nostri giudizi, e le nostre affezioni con tutte le loro particolarità, cioè l'oggetto del nostropensiero,lesue proprietà, igradi delle medesime proprietà,tuttigliaggiunti, l'esisten za, l'azione, la passione con i loro rispetlivi tempi, modi e numero degli agenti o pazienti; gli ordini delle cose adiacenti nella natura, la loro successione nell'animo, il graduato calore degli affetti.Di queste parti alcune sono invariabili e sempre le stesse nella loro espressione; altre sono soggette a certi cambia    menti, tuttavia però nello stesso cambiamento serbano una certa costanza, la quale forma il principio e la natura della grammatica delle lingue. Tutte queste parti,che devono riguardarsi come il fondamento del linguaggio, si trovano in tutte le lingue si antiche che moderne;in esse si scorge l'o pera della natura sempre stabile e costante in mezzo alle incalcolabili varietà che subiscono le lingue;tutto ciò che cangia è opera dell'uomo, ciò che è costante èl'effettodiuna causa superiore,laqualecomeman tiene costantemente nell'uomo gli organi e le facoltà, conserva egualmente le parti essenziali del linguaggio. Non è però lo stesso nelle lingue ciò che è opera del l’uomo; questa viene modificata da varie circostanze, tali sono il genere di vita, i temperamenti diversi, la religione, il costume, la temperatura dell'aere, la qualità de' luoghi, le gradazioni di sviluppo e tante altre,che,come influiscono sopra la maniera di pen sare, influiscono nella maniera di esprimersi, da ciò ladiversitàdellelingue.Sidissepiùsopra cheisuoni vocali sono l'espressione della sensibilità,e le into nazioni,e i consonanti il prodotto delle facoltà dello spirito; la sensibilità ed i prodotti diessa sono quasi simili in tutti gli uomini, perchè in tutti esistono gli stessi sensietutti sono capaci di piacereedidolore; iprodotti però delle facoltà libere dello spirito variano esimodificano diversamente in tutti gl’uomini; onde è che possono darsi alla stessa voce varie intonazioni, cioè possono i suoni vocali essere combinati con di verse e varie intonazioni, d'onde risulta la diversità delle voci articolate e la moltiplicità delle parole. Ma la stessa temperatura dell'aria, la medesima educa zione, la religione, lo stesso suolo, i medesimi co stumi come influiscono nell'esercizio e sviluppo delle facoltà,influiscono cosi nello stesso modo d'intonare, perciò la stessa lingua presso lo stesso popolo,ed in questo più o meno perfetta, più o meno elegante,più o meno estesa a seconda lo sviluppo e la collura degli individui dello stesso popolo,della medesima nazione. Oltrediqueste cagioni intrinseche,avvene un'altra estrinseca che produce la varietà delle lingue, vale a dire la mistione di altre lingue, e da questa mistione hanno origine altre lingue che sorgono nuove. Tale sappiamo l'origine di tutte quelle lingue, e di quei popoli fin dove si estende l'istruzione dataci dalla sto ria, e con particolarità di quelle a noi più vicine e le piùfamose,come lagreca,elalatina;tanto l'una che l'altraebbero origine frai pirati e masnadieri, e crebbero sotto ibarbari. i Fenici, i Frigi, i Macedoni, gli Illirici, i Galati, gli Sciti,e l'eventuale concorso degli errabondi, e degli esuli diedero origine alla greca nazione,e furono i primi legislatoridella lingua. Gl’umbri, i galli, gl’etruschi, i sabini, i campani, i sanniti anno origine alla LOQUELA DEL LAZIO O LATINA, ognuno de' quali da parte sua, introducendo i propri termini, e la propria maniera d'inflettere, concorse alla formazione di una nuova lingua non prima parlata, che è il prodotto di vari e diversi dialetti, quale indi, le vicende delle nazioni, il progresso nelle arti, nelle scienze, e nella civilizzazione portarono a quello stato di perfe zione che tanto in esse ammiriamo.  L'opera dell'uomo non è mai stabile, come l'uomo stesso; ha egli la sua nascita, la puerizia, l'adolo scenza,lavirilità,la decrepitezza,efinalmente muore per rinascere la materia sua corporea sotto di altre forme; cosi è delle lingue: infatti dalla Greca nacquero altre lingue. E di sotto le rovine dell'impero e della lingua del LAZIO sorge l'italiana.. Ma per quanti gradi visi pervenne? quante mutazioni,e quante vicissitudini non bisognarono su bire prima di arrivare al grado di perfezione in cui sonoalpresente? Varie cause vi concorseroesi combinarono; gli improvisi eventi degli affari politici, il sito, l'amenità de' luoghi, l'asprezza delle contrade, l'aspetto più o meno ridente di un altro cielo,la lem peratura diversa dell'aria, lalontananzaolavicinanza de'mari,delle selve,de'monti, la diversa indole degli uomini che si unirono, le forme diverse di governo e di religione, la coltura delle arti, e delle scienze, egualmente che i vari dialetti che si resero familiari per lafrequenza de'negozi diedero all'antico linguag gio forme affatto diverse. Cacciati gli Ismaeliti da tutta l'Europa, ove aveano per qualchetempofattodimora, restò l'articolo arabo, che comincia a prefiggersi ai nomi. Quindi non sicurarono le desinenze de'suoni finali. L’introduzione di questo articolo (‘sol,’ ‘luna’) è la cagione primaria del mutamento della lingua libera e pittrice del LAZIO nelle lingua italiana (‘il sole,’ ‘la luna’). Abbandonando gli Arabi la Gallia meridionale, la Spagna, le coste di Salerno e della Italia meridionale, lasciarono tuttavia la desinenza de’ versi   puerile, se non vogliam dire, sonante. Non possiam però negare che dobbiamo loro le brevissime note dei numeri, i calcoli algebrici, vari nomi di astronomia e stromenti di gnomonica, con alcune notizie di botanica e di medicina. Vari nomi di fiori ed erbe, incogniti ai nostri, furono recati dall'oriente dai cro cigeri; intanto le arti e le scienze che 'mano mano si avanzavano,lenuove scoperlechesi facevano,ap portavano nuovi soccorsi e nuovi nomi alle lingue. Varie maniere di costruire addussero prre gli inglesi ed i francesi nell'italiano linguaggio,e varie pure di questone introdussero nelloro; cosisiaggiunse sem pre novità a novità, varie leggi di costruire, diverse maniere d'inflettere, originate in prima dalla negli genza della pronunzia, anche molto spesso tronca vansi non che le lettere, ma ben anco le intere sillabe: dal che ne avvenne che gli uomini domiciliati nello stesso suolo, degenti sotto lo stesso cielo,e sotto la stessa forma di governo cominciarono per effetto d'imitazione a adottare comunemente tal forma di pronunziare, che coll'andar del tempo divenneunuso, una legge. La natura ha sempre prodotto degli uomini di genio, i quali e per la finezza del giudizio, e per la vivacità della immaginazione si sollevarono sopra degli altri; ciò che dal volgo era enunciato di una maniera bassa e triviale, da quelli profferivasi con scelta, con dignità ed eleganza;furonoessiimitati perchè piace vano, e cosi discesero e si propagarono nel volgo le maniere più dignitose e più culte di espressioni,  gli ornamenti della lingua cominciarono a mostrarsi in tutto il loro splendore; si cercò d'imitare ipoeti, gli oratori, e si seguirono ne' loro vari stili. Questa fatica e questo diletto che prima s'ignorava in mezzo al fragore ed allo strepito delle armi, e fra gli in commodi de viaggi e delle emigrazioni, cominciò a seguirsi, a perfezionarsi dai filosofi nel libero ozio delle lettere, nel calmo silenzio della meditazione, nella tranquilla diligenza di scrivere. Cosi il linguaggio dapprima rozzo ed incolto per la tanta confluenza delle discordi locuzioni, cominciò a tingersi dello stesso colore,a vestirsi della stessa for ma,amostrarsiunasolalingua,chesottolalima degli uomini di genio e degli eruditi apparve finita e perfetta; ove isuoni sembravano aspri,furono con sultate le orecchie, si adottarono sillabe più scorre voli e sonanti; ciò che pareva meno adatto ad espri mere una cosa si corresse e si rese più preciso. Da ciò chiaro appare che ogni lingua ha le sue parti essenziali esprimenti le idee ed i giudizi del nostro spirito, cioè i suoni articolati secondo idiversi offici che ognuna,nella espressione de'nostri pensieri,deve adempiere, edinciòconsisteil fondamento della lin gua che è opera della natura. Avvi un modo parti colare di costruzione e di combinazione di queste parti, una diversità di suoni e d'inflessioni che costituisce la differenza delle lingue, ed il diverso loro genio, e ciò dipende dall'opera degli uomini e dalle circostanze nelle quali si trovano.Ha finalmente ciascuna lingua de celebri scrittori,de'grandi parlatori,che altri  Il primo carattere della lingua, cioè il fondamento, forma l'oggettodioccupazione della FILOSOFIA, laquale ricerca ciò che avvi di naturale nelle lingue. Il secondo appartiene ai grammalici, che si occupano delle forme e della proprietà delle stesselingue; il terzo si tratta dai retori che ne considerano l'eleganza, lo stile e gli ornamenti. La prima svolge gli elementi naturali e sempre costanti del linguaggio, la loro unione relativa all'ordine, alla successione, ai tempi,ed alle circostanze delle idee e de' pensieri che si succedono nel nostro spirito, ed a questo riguardo illinguaggio è una pittura fedele delle nostre idee;questi elementi, che sogliono chiamarsi parti del discorso,si ritrovano identici in ogni lingua. La seconda riguarda la varia desinenza de' suoni, la loro inflessione, il modo di verso di costruire i medesimi suoni; questa varia se condo le diverse lingue, o piuttosto forma la varietà delle lingue, perchè essa è opera dell'uomo non mica della natura. La terza rintraccia l'ornamento delle lingue,l'uso dellefigure,ele maniere vezzose, eper cosi dire voluttuose delle medesime; essa è il risul tato della coltura e del genio. Egli è vero che un uomo, ilqualeèdotatodi organi sani che funzionano normalmente,e di un'anima ragionevole, può formarsi idee degli oggetti che agi scono sopraimedesimi organi, può imprimere lei dee nella memoria, può richiamarle quando l'esige il bi  proccurano e si studiano d'imitare; in essi trovasi e deve ricercarsila proprietà della lingua, perchè essila recarono allo stato di perfezione e di pulitezza.  sogno,può riflettere ed astrarre, tuttavia senza il linguaggio la nostra condizione sarebbe troppo degradata; e quantunque i bisogni comuni ed i vantaggi della vita avvicinassero gli uomini e li mantenessero fra loro uniti, purnondimeno, senza la facoltà di manifestarci scambievolmente gl’interni sentimenti e le idee, le società reslerebbero stazionarie'ó molto imperfette. Potrebbero i gesti in certo modo esserci utili,essendo l'espressione energica della natura:ma di qual aiuto sarebbero in distanza o nelle tenebre? come potreb bero indicare le cose passate ed a lungo intervallo da noi? in qual maniera esprimerebbero tante varie m o dificazioni si dell'animo nostro, quanto degli esseri fuori di noi con tutte le gradazioni delle varie loro tinte e colori, con quella esattezza e precisione con cui sono espresse dai suoni articolati? igestinon po trebbero mai indicare inostri interni sentimenti,iloro gradi d'intensità, e certe oscure e delicate affezioni di cui l'animo è affetto. È opera del linguaggio articolato il delineare e pingere con esattezza, con precisione e nella sua totale adequatezza tutto ciò che sentiamo, che sperimentiamo e che vogliamo trasmettere nell'altrui animo;esso analizza e scompone nelle sue parti i sentimenti, e dà ad ognuna di esse un segno preciso. Egli è vero che noi possiamo avere idee sensibili degl’oggetti esterni,elepossiamo trattenere a memoria senza l'uso de' segni, che anzi non può prodursi un segno prima di averne formato l'idea che deve attacarsi a questo segno. Ma tante idee sono di tal carattere, che tosto formate sparirebbero senza al taccarle al segno che le rende permanenti, e noi sa remmo nella dura fatica di sempre formarle di nuovo, talisono per la più parte le idee complesse necessarie, intellettuali, e tutte le nozioni astralte di virtù,vizio, giustizia, bellezza, deformità, differenza, uguaglianza. Senza l'uso delle parole le scienze non avrebbero p o tulo avere esistenza; poichè non avvi scienza pura mente empirica,cioè,che non abbia principi generali: l'individuale,essendo mutabile, non avendo necessità, non può esser base e fondamento di scienza; or le nozioni generali, iprincipi necessari non avrebbero potuto aver permanenza nello spirito senza i segni; i segni li rendono stabili e pronti all'uso,ed isegni hanno servito d'occasione alla loro formazione, a tanti ritrovati,a tante ricerche: le parole perchè? come? onde?da chi? quando? essenza,relazione,causa,at tributo sono fonti fecondi onde lo spirito possa met tersi in movimento e scoprire delle nuove vedute. Tutte le scienze sono nate,si sono accresciute ed hanno acquistato quel grado di estensioneediperfezione in cui le troviamo per aver ricercato ilperchè ed ilcome di un effetto, e tutti i passi e le idee, cominciando dal perchè e dal come sino all'ultimo risultato,sono state segnate dalle parole e permanentemente registrate nel linguaggio. Tante riflessioni potrebbero addursi intorno all'in fluenza del linguaggio sopra le idee ed il perfeziona mento delle nostre facoltà; ma non volendo esagerare nė deprimere i vantaggi dello stesso linguaggio ci li mitiamo a ciò che è della massima importanza. Quasi tutte le operazioni riflesse del nostro spirito sonocomplessee risultano da vari elementi; ma questi elementi sono cosi connessi nella unità del sentimento, che sembrano essere un solo esemplice elemento; vero è che l'altività dell'analisi,penetrando nel seno dello stesso sentimento,ne distingue glielementi confusi;ma questa distinzione non sarebbe permanente,durevole, e lucida senza il linguaggio e le parole, ognuna delle quali disegna ciascuno degli elementi distinti,non che i rapporti che si scovrono fra essi elementi. Un sol fatto sembra la sensazione, il giudizio, il raziocinio: l'analisi li decompone, ed il linguaggio nola e dise gna ciascuna parte della decomposizione, e presenta successivamente e distintamente il tutto;onde volen dosi replicare e riconoscere l'operazione, basta repli care e ripetere le parole. Il linguaggio in generale deve considerarsi come il più possente aiuto della memoria, anzi esso costituisce una memoria artificiale. In vero, lo sviluppo e la coltura dell'uomo non con siste precisamente nella prontezza ed esaltezza del giu dicare, nella sola faciltà di ragionare, ma nella pron tezza di aver nuovamente le idee, le operazioni pas sate che possono servire al bisogno presente; per ri produrre con prontezza le idee è necessario che fos sero nette e scolpite, e tali si rendono per il linguaggio; il linguaggio, agevolando lamemoria,contribuisce moltissimo allo sviluppo ed alla coltura dell'uomo; infatti sono in ragione diretta la civilizzazionede'po poli, e la perfezione del linguaggio.  Le paroledelle quali si compone illinguaggio non  sono che suoni articolati: esse per questo riguardo sono oggetto proprio ad agire sopra il senso dell'u dito, e produrre modificazioni ed idee nello spirito, i suoni articolati considerati in se stessi nulla espri mono, sollanto producono sensazioni, modificano a loro modo lo spirito, e tante sono le modificazioni quanti sono i suoni articolati che agiscono sopra l'u dito: di tutte queste modificazioni e di queste idee lo spirito ne ha coscienza, e ne ha memoria.Noi sap piamo che l'esperienza diviene più tenace,più solida, più infallibile quando è comparata: infatti acquistiamo le idee precise ed esatte delle distanze, quando si c o m bina l'esperienza della vista con quella del tatto. Or ogni idea di qualunque natura ella sia, a qualunque classe essa appartenga è una esperienza, è un sentimento distinto che si deposita nella memoria;intanto questa idea, questa interna esperienza non riceve l’ul tima perfezione, l'ultima mano d'opera, siccome non si figge nella memoria onde possa a piacere richia marsi, che allorquando si combina colla esperienza dell'udito, colsuono articolato, quando all'idea, che abbiamo attualmente nello spirito e nella coscienza, si attacca la modificazione che produce il suono articolato; questo suono tanto per essere giudicato iden tico alla idea a cui si attacca, quanto per essere si multaneamente presente allo spirito, diviene rappre sentativo dell'idea,come l'idealodiviene del suono, e fa sì che l'idea sia compresa tulta e ristretta dentro la capacità e la periferia del suono,ed acquista maggiore sensibilità per la sensibilità del suono in cui è   ristretta ed a cui è attaccata, e cosi riceve l'ultimo contornamento, l'ultima precisione e finitura. Cosi le parole cielo, mare, monte, temperanza,giustizia ecc. Questo vantaggio è comune a tutte le idee ed in questo influisce più potentemente il linguaggio sopra le idee. Ciò è chiaro non solo nelle idee sensibili, ma ancora nelle intellettuali, nelle necessarie, siano sem plici,siano complesse, e con particolarità nelle idee de' numeri, e nelle idee universali. Il numero non è che l'aggregato di molte unità omogenee; esso si forma col ripetere ed aggiungere l'unità a sè stessa. Noi non possiamo, sotto il m e desimo atto di conoscenza,abbracciare più di quattro ocinqueunità insieme;ma illimitede'numeri non si arresta al quattro o al cinque, esso è indefinito. Supponghiamo di avere coll'idea il termine dell'unità ed il segno dell'addizione, cioè uno e più, e proce dendo progressivamente uno più uno più uno più uno, ciascuna di queste addizioni, ed indi il numero che ne risulterebbe sarebbe cosi confuso che noi non po tremmo affallo determinarlo,e molto meno potremmo formarne idea onde poterla distinguere da un'altra; come infattipotremmo senza isegni avere l'idea 2000 e distinguerla da 1999? in questi numeri come ogni parola si affigge ad ogni passo della progressione, la parola ne determina e precisa il numero e l'idea, e per mezzo de' segni noi distinguiamo l'una dall'al tra, e le mettiamo in combinazione ed in rapporto, ene formiamo la scienza; queste scienze dunque, la necessità e l'utile che ne deriva si devono al linguaggio. Le idee generali non hanno alcun modello nella natura a cui corrispondano, ma sono il prodotto della azione dello spirito sopra le idee individue. Noi non possiamo numerare tutti gli oggetti della natura, che sono o possono essere in rapporto con noi, perchè non possiamo tutti colle loro differenze e proprietà trattenerli nella memoria, e riprodurli distintamente quando vogliamo, per la stessa ragione non possiamo dare ad ognuno un nome proprio, essendo essi di un numero indefinito; questa impresa è superiore alle nostre forze. Ma lo spirito dell'uomo, che ha nella sua attività delle potenti risorse, paragonandogliog getti, ed interponendo fra essi la identica sua cogni zione, conosce ciò che l'uno è all'altro, e questi ad un altro, ecosidiseguito,evedendolesomiglianzee le analogie da una parte, e le differenze e dissomi glianze dall'altra, per effetto della sua identica ve duta ed indivisa interposizione fra questi oggetti e le loro qualità, riunisce quanto in essi trova d'identico, l'astrae da ciò che li diversifica, ne forma una concezione di tal natura che tutti gli contiene e li rappresenta; tale concezione non è che una veduta reale dello spirito,ma chenonhaalcunarealtànellanatura; essa è più o meno estesa nellasua compreensione, d'on de nascono le idee generali di specie, generi, classi, ordini, famiglie. Or tali idee, non avendo originale nella natura, perchè semplici vedute dello spirito,senza un segno che le rappresenta svanirebbero, nè potreb bero aversipresenti al bisogno; laddove laparola rende permanente l'idea generale, tutta, per cosi dire, la chjude nel suo ambito, e rappresentando tutta l'idea generale, rappresenta tuttele idee identiche contratle in un solo gruppo, ed identificate in una sola idea, a questo riguardo ogni termine generale è l'espres sione concisa di un completo e perfelto metodo; poiché contiene ed esprime confronti, giudizi, astrazioni e maniere di generalizzare; e siccome il termine gene rale si considera come unico e semplice in sè stesso, cosi circoscrive e fissa i limiti della idea,eledà l'ul timo grado di precisione. Le parole adunque non solo associano le idee in dividuali in un modo indipendente dall'ordine di acquisizione, onde poterlecon faciltà richiamare,ma sono ancora necessarie per fissare irapportide'con fronti, i termini de' giudizi, per dividere gli oggelti della natura e le loro proprietà, per astrarre, per generalizzare,e per rendere facile in fine le scienze tutte. Ogni idea dunque ha bisogno di una parola che la rappresenti; se è concreta per renderla indipendente dalla sua sensazione,e per tenere raccolte in una m a niera permanente tutte le idee semplici di cui si compone, e per richiamarla tosto alla memoria: se è astratta per tenere riunite in un solo gruppo le idee astratte di cui è composta, e formarne un modello distinto e durevole nella memoria. Il vantaggio però più generale e proprio del lin guaggio si è quello, per cui tutti gli uomini mettono in comunicazione tutteleloro idee,iloro sentimenti, ilorobisogni ed imutui soccorsi;poichè essendo co muni i segni che l'indicano, ne segue che colui che ascolta esegue le stesse operazioni interne di colui che parla, cioèeccitainsè,edunisce successivamente nel suo spirito quelle idee che si sono eccitate successi vamente in colui che parla,con questa sola differenza, che questi analizza il proprio pensiero ed attacca ad ogni elemento un termine, laddovequello sintesizza, riunendo cioè le idee con quell'ordine con cui ven gono indicate dalle parole. Questo vantaggio perònon ha egualmente in tuttiilsuo pieno effetto, perchè le parole presso tutti non hanno lo stesso grado di pro prietà, di precisione e di analogia, quindi variano i modi d'intendersi come variano i mezzi di comuni carsi. L'influenza del linguaggio su questo rapporto è di una utilità indefinita, poichè,colla comunicazione delle idee e de sentimenti, lega fra loro gli uomini, e consolidà le basi della umana società. Coltivato e diretto dall'arte, applicato ai vari oggetti si trasforma e veste vario stile;ma ciòmerita l'attenzionede're tori, e degli oratori. Sebbene igeroglifici, lecifrealgebriche,isegni te legrafici, gli emblemi ed altri segni convenzionali pos sano rappresentare le nostre idee,tuttavia il sistema de' suoni articolati è da preferirsi a qualunque altro mezzo di espressione, tanto per la facilità, pel numero, quanto perché può adattarsi a tutti i luoghi, a tutti i tempi, ed a tutte le circostanze per la portentosa varietà dell'articolazione ed inflessione de' suoni. La scrittura è unaespressionedellinguaggiocome questo laèdelleidee;essaperciòèsempre relativa ed in ragione diretta del linguaggio, talchè la perfezione di quella dipende dalla perfezione di questo; poiché, come la parola rappresenta l'idea, lascrillurarappresenta le parole. l'autore non ebbe più tempo a pubblicarla, sì che resta inedita con l'altro trattato teologico su'sacramenti. La dottrina intanto di que st'altra opera che titola Organo dello scibile umano o Logica, scritta forse più che quindici anni fa, è sempre con forme al sistema dell'autore, e benchè sembri non uscir dalle vie segnate alla logica da ARISTOTELE e dagli scolastici, trovi tuttavia nell'Introduzione quanto oggi si richiede da un trat tato di logica che non voglia la nota di logica formale, sic come si dice. La logica, vi è scritto, ha la sua derivazione dal greco “lógos” che in latino si traduce verbum, cioè parola, discorso, perchè essa nella sua essenza non è che l'atto vivo che prorompe dalla virtù ragionevole « dello spirito umano, che colla sua unità abbraccia e trascorre dalla potenza dalla quale emana all'obbietto che lo fa nascere; essa primamente distingue ed unisce questi « due termini, i quali possono considerarsi come due sil « labe fondamentali che connette l'atto logico, e risulta la parola feconda è che senza dividersi in sè si protende, abbraccia, e s'interpone fra tutti gli esseri che esistono e « che possono esistere; ne conosce i rapporti e le relazioni, li distingue e li riunisce in un sistema vastissimo e comprensivo. Questa forza logica ripassa sopra la fecondità a dell'atto creatore e conservatore della Causa prima, il quale senza scindersi produce la immensa varietà degli esseri e li coordina in un sistema portentoso; lo riflette e lo riverbera in sè, e per le relazioni che tra essi scorge li rias ime in unico sistema cosmico. Questa forza che si annunzia nella parola vivente ed operosa, con la penetrante Questo m s. porta il titolo: Elementi di Filosofia fondamentale. Organo dello scibile umano, o Logica d’A. professore di Diritto Naturale e di Etica nella R. Università degli studj di Palermo. Consta di quaderni 6, tutto di mano dell'autore, e disposto per la stampa: oggi è presso i fratelli Matteo e Filippo Lorico, nipoti d’A., insieme all'altro ms. su’Sacramenti, di carte, e contenente 18 capitoli. sua luce scorta e dirige le operazioni delle altre facoltà dello spirito al trovamento del vero che è l'obbietto naturale della intelligenza dello spirito; e trovatolo dà il modo onde poterlo convenientemente mostrarlo agli altri ». Così il nostro filosofo dà a fondamento della logica formale una logica che oggi è detta reale, e all'arte logicale prepone la scienza del pensiero.Il quale appunto secondo che congiunge diversi estremi piglia nell'esercizio logico diversi stati o gradi progressivi come son detti dall'autore. Chè, il primo grado si trova, ci dice il nostro, nella nascita dell'atto logico e « nel primo è radicale, nel quale esiste la potenza, l'oggetto e l'atto, il quale separando nel primo istante la potenza dall'oggetto, congiunge indi l'uno all'altra ed emerge l'è, a prima parola logica che esprime la nascita dell'individuo umano; il quale è ciò ch'egli è,ma sebbene è ciò che è, non dice però sono; allora dice sono, quando intende il SIGNIFICATO (SEGNATO) della parola vivente è: e ciò succede in virtù del secondo atto, il quale comprende ed abbraccia il primo, che coll'interporsi distingue la potenza e l'oggetto contenuti cell’atto,e dice sono; ciò che costituisce il secondo sviluppo logico; il quale forma il piano generale in cui la potenza conoscendo ed affermando sè stessa, conosce in sè ed afferma tutte le modificazioni ed in esse tutti gli oggetti modificanti, pe'quali la potenza si manifesta in diverse guise. « L'atto logico adunque s'interpone tra le sostanze degli oggetti, le distingue e le congiunge, ed il risultato è l'idea generale dell' essere; terzo sviluppo. L'atto logicos'interpone tra l’essere ed il suo modo, li distingue e li congiunge; ed il resultato è l'oggetto qualificato. L'atto logico s'interpone tra la qualità di un oggetto e quella di un altro, le di stingue e le congiunge, ed il resultato è l'idea specifica « della qualità. L'atto logico s'interpone tra l'azione di un essere e quella di un altro, le distingue e le congiunge, e il resultato è l'idea di causalità.Infine, l'atto logico s'interpone tra tutti questi resultati dello sviluppo graduato dello stesso atto logico,ed il resultato è l'idea comprensiva del sistema. L'alto logico adunque ha una capacità univer- « sale ed una forza comprensiva che si estende ed abbraccia tuttociò che è. L'atto di ogni facoltà si limita alla individualità; l'atto logico trapassa la individualità, e si eleva alla massima generalità. Ho voluto riferire, o Signori, questo lungo passo, si perchè è già di un'opera inedita, e sì perchè si abbia come il nostro appuntava nelle altissime ra gioni della scienza quella che comunemente si crede non e s sere che solo disciplina pratica, e spesso vanamente sottile, del discorso umano. È sempre, intanto, la stessa dottrina che va ripetuta per più capi, e che si ha spiegata poi in tutta la sua sintesi stupenda nel Sistema della Scienza Universale. Nella quale opera il D'Acquisto ha lasciato un bel monumento,come al trove ebbi a dire, della filosofia in Sicilia. Questo sistema della scienza universale ha il suo perno nell'atto infinito che sostiene come creativo, conserva tore e imperativo, l'universale ordine delle cose, in cui l'au tore trova che tutto è vita, tutto forza e movimento di un'immensa armonia; tanto che esso sistema è lo specchio di tanta universale armonia, metafisica, fisica, m o rale,naturale esovrannaturale,laquale ha principio nelDio che concepisce, produce e accorda il concetto e il prodotto della creazione primaria e secondaria, e ha termine nel Dio della rivelazione, della grazia e della redenzione. Vero è che il nostro filosofo, fedele al suo metodo, non va sulle prime alle alte regioni della ontologia; ma è vero eziandio che non si chiude mai, secondo l'uso de'psicologi, negli stretti limiti della psicologia e della ideologia: e però il suo libro dà un vero sistema comprensivo delle universali ragioni della Ved. il nostro libretto Sullo stato attuale e su'bisogni degli studi filosofici in Sicilia, e segg. Palermo. Sabene il lettore che Contı, nella sua lettera a Naville sulla filosofia contemporanea in Italia (ved. Appendice alla Storia della Filosof. ), pone A. tra’seguaci del metodo comprensivo scienza, esposto seccamente e quasi con metodo geometrico, ma sempre con la medesima profondità di speculazione e logico rigore. Che se poi quest'opera del nostro senta forse più che altra dell'odore delle dottrine di MICELI, basta ri cordare l'occasione sopra notata ond'essa nacque, perchè si abbia pronta spiegazione delle molte reminiscenze miceliane che occorrono frequenti al lettore. In quanto adunque a n a tura della nostra cognizione e a quel che in essa si accolga e scopra la riflessione, il sistema ripete le dottrine stesse e l'analisi minuta che si hanno nella Psicologia, nel Saggio sulla legge fondamentale del commercio tra l'anima e il corpo dell'uomo, e nella Ideologia; m a per quel che concerne la ontologia, qui si ha tutta la teorica compiutadella creazione e dell'ordinamento idealo e reale, metafisico, fisico e morale delle cose, con le « investigazioni altissime dell'umano sa pere »: tanto da chiamare appunto per questa ragione Si stema della Scienza Universale il sistema di cui l'autore non tirava, a suo dire, che brevi linee, ma cosiffatte « da som « ministrare dal punto supremo della sua altezza le vedute « anticipate indicanti i nessi essenziali e le vere tendenze « della scienza,che poi illavoro dello spirito umano potrebbe “condurre ad effetto.” L'ideale e il reale vanno i. Benedetto D’Acquisto. Raffaele (all’epigrafe). D’Acquisto. Acquisto. Refs: Luigi Speranza, “Grice ed Acquisto” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice ed Acri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Catanzaro – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Catanzaro, Calabria). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Catanzaro, Calabria. Grice: “Acri has explored quite a few topics – all in the good Lit. Hum. Oxon. tradition – and since he tutored at an even older varsity, kudos! He has explored ‘Amore’ and he expands on the Athenian dialettica – he in fact distinguishes between turbo and sereno – He left his notes on sereno as an unpublication, but a tutee cared to publish them ‘Unpublication’ – There is turbo, and there is turbato – as applied to ‘colloquenza’ qua conversational dyad,  Acri speaks of the colloquenza itself as being ‘turbata’ – he relishes on that – if there is no ardimento, and the Romans loved one – what’s the good to argue? The second phase of the dialettica is ‘serena’ – I find the distinction genial and in a way corresponds to my epagoge/diagoge distinction – the ‘turbo’ is dyadic – say A wants to influence B (turbo 1), B gets influenced and expresses it in a second conversational move (turbo 2). – Dialettica turbata – they reach the principle of conversational helpfulness and they arrive at the ‘sereno’ – dialettica serena’ – until the next turbo arises, that is1” - Grice: “I like Acri – he is a platonist, and he is explicitly against the positivists, whom he contrasts to the ‘filosofi sobri.’ His own theory of ideas is hardly platonic, but finds its base on Vico, which is nice – since, if an Italian does not understand Vico, no one will! Acri explores the connection between ‘idea’ and ‘expression,’ and considers the ‘radice’ (root or stem) of expressions – he has commented extensively on ‘Cratilo.’ In any case, he is a sensualist, so at the root of it all is what he calls, after Aristotle (“De Interpretatione”) ‘il fantasma’  and the ‘imagine.’ Italian philosopher, author of an essay on Plato’s and Vico’s theory of ideas. “Abbozzo” essential Italian philosopher. Grice: “I love Acri’s rendition of the Cratilo into the vernacular!”  Saggi: “Del sistema in genere”; “Prose;  “Abbozzo d'una teorica delle idee” (Palermo: Lao); “Sulla natura della storia della filosofia” (Bologna, Zanichelli); “Cratilo – Menone – Apologia di Socrate, Critone -- Dizionario Biografico degli Italiani. IL CRATILO. Due solenni questioni intorno all'origine della lingua toglie ad esaminare PLATONE nel ‘Cratilo’. Se cioè i vocaboli o i nomi hanno in sè da natura lor propria ragione, o veramente se retto sia il nome che da chiunque a cosa qualunque vien posto. CRATILO segue la prima sentenza. ERMGENE la seconda. PLATONE ammette alcun che di vero in amendue, sebben apertamente nol dica e le confuti anzi tutta due. Pertanto facendo capo dalla seconda, in persona di SOCRATE, così contro d’ERMOGENE la argomenta. Il nome parte è del discorso. Or potendosi tenere discorso vero e falso, chiaro è che sia possibil dir anco un nome vero ed un falso. Se dunque la sentenza d’ERMOGENE stesse vera, che ogni nome da chiunque posto a qualunque cosa sia retto, deriverebbe che tutti i nomi, sì veri che falsi, sarebbono del pari retti, e che la cosa medesima potrebbe aver nomi altrettanti, quanti individualmente dagli uomini le fossimo posti, e che tosto anzi gli avesse, che quel sopressa li pronunciassero. Inoltre, se le cose non han già sol esse una stabilità lor propria da natura (contro il dir di PROTAGORA, esser elle a mo' ch'a noi paiono; giacchè se così fosse, non potrebb'esser uno più sapiente di un altro); ma stabilità pari ad esse han pure le azioni loro, per modo che, se unoe ha da tagliare una cosa, per ret tamente ciò fare, ei non la dee tagliare a ca priccio suo, ma nel modo che la natura della medesima richiede di tagliarla e che taglisi e con quello con che debbe tagliarsi; così pur segue che il nominare le cose, send'un'azione, noi non le dobbiamo nominare a libito nostro, ma nel modo che la lor natura richiede di nominarle e che nomininosi e con che deb bonsi nominare. Arroge, che se il giudicare poi di quello con che fassi una cosa, cioè del suo stromento, se sia ben fatto, non pertiene al l'artefice che lo fa, ma a colui che ne usa a modo (giacchè il giudicar di un pettine se sia ben fatto e acconcio al tessere, non per tiene a falegname, ma a tessitore, e il giu dicar di una nave, di una cetra, se sian ben ſatte, non pertiene ai loro fabbricatori, ma a piloto e a citarista); così pur segue, che il giudicare del nome di cosa qualunque, se sia ben fatto, cioè se la indichi ed insegni vera mente, non pertenga a chiunque nè a chi lo pone, ma a colui che a modo ne usa, al dia lettico; e per conseguenza rimane chiaro che il porlo non è opra di chiunque, ma di solo colui, che ragguardando al nome che in ispezie a ciascuna cosa da natura conviene, colle let tere e colle sillabe è in grado di render l'idea del medesimo. A questo discorso non sapendo ERMOGENE che rispondere, prega SOCRATE, che voglia spie gargli e fargli conoscere cotesta ragione, che il nome ha in sè da propria natura; e quindi soggiugnendogli ch'ei non ammettendo la sen tenza di PROTAGORA, esser le cose come paiono a ciascuno, non poteva tener vero quello che in virtù di tal opinione PROTAGORA afferma dei nomi, Socrate allora il conforta a ricorrere ad OMERO, il quale distingue nelle cose stesse i nomi ad esse dati dagli Dei da quelli dati dagli uomini; avvegnachè gli Dei chiamino le cose con nomi, che ad esse rettamente convengono. E così movendosi a spiegare Socrate, secondo OMERO, come ad ASTIANATTE, ETTORE, ORESTE, AGAMENNONE, ATREO, PELOPE, E TANTALO bene stieno que nomi ch'hanno, dalla menzione di quest'ultimo naturalmente viene condotto a spiegar la ragione del nome pur del suo padre, cioè di GIOVE, e quindi sale a quello di SATURNO e di URANO. Intanto rispetto ai nomi che sono posti agli uomini ed agli eroi, egli avverte di non doversene troppo fidare, perchè molti di essi, dicegli, sono stati presi da que de pro pri progenitori, o sono stati posti secondo gli auspici e voti per loro, come Eutichide, for tunato, Sosia, salvato, ecc., e per ciò dando l'addio a tali nomi, passa a spiegare quelli delle cose che sono sempre nello stesso modo ed immutabili, vale a dire ai nomi Dii, demoni, eroi, uomini, ed al nome corpo ed anima, dai quali l'uomo è composto. Ma desideroso ERMOGENE, nel modo che aveva inteso la ragione del nome di GIOVE, di saper anche quella del nome degli altri dei, SOCRATE, dopo aver formalmente protestato, che per riguardo agli Dei, affatto nulla di loro ei sapeva nè con quai nomi tra loro si chiamassero, nondimeno dice, che si accingeva a dar la spiegazione di tai nomi, secondo l'opinione ch'ei credeva avere avuto gli uomini nel porre i nomi ai medesimi; e così fra questi pel primo comincia da quello di Vesta.Il nome per esser retto, come si disse, bi sogna ch'esso abbia una certa natural conve nevolezza con quello ch'ei nomina; per dunque conoscere se un nome sia retto e stia bene colla cosa da esso nominata, bisogna pur conoscere l'essere della cosa medesima. Or intorno all'es tempi di SOCRATE e di PLATONE. L’una degli Eraclitiani, che credevano le cose esser sempre in moto. L'altra degli VELINI – Parmenide, Zenone --, i quali opinano, che sono sempre in riposo. Secondo il proprio sistema ciascuno spiega pure i nomi. Onde Socrate, nel dar l'etimologia del nome ‘vesta’, riferisce anche la sentenza di queste due scuole filosofiche dicendo, che gli Eleatici il nome di ‘vestia’, Eatix (‘hestia’), perchè, second'i velini, in antico in vece di obaix, ousia, essenza, en tezza, si diceva anche aix, esia, il derivano da siva (einai), essere, mentre gli Eraclitiani, prendendolo per sinonimo di oaix, osia, il de rivavano da 33siv (othein), cacciare, spingere. Dopo questo passa ai nomi degli altri Dei, e quindi a quello del sole, della luna, delle stelle, della terra, dell'aria, delle stagioni e dell'anno; e quantunque la maggior parte di questi paia spiegarli secondo il sistema d’ERACLITO; tuttavia hanno alcuno, la cui spiegazione può anche convenire al sistema dei VELINIi; finchè venendo ai nomi della prudenza, scienza, sa pienza, giustizia, fortezza, virtù, vizio, ecc., e a quelli della tristezza, del diletto e a tanti altri, quasi tutti ei li spiega un po' lepidamente ed ironicamente, ridendosi degli Eraclitiani, col riferire tutto al loro modo, come se le cose fossero sempre in moto. Ma questo modo di dichiarar la ragione del nomi, come facevano gli Eraclitiani, semplice mente per mezzo di una superficiale e succes siva decomposizione del medesimi in altri nomi, non appagava intieramente Socrate. Impercioc chè, dice egli, se uno interroga intorno alle parole, da cui è composto un nome, e poi di nuovo intorno a quelle, da cui sono composte queste medesime, e così continua sempre oltre ad interrogare, è necessario venire alla fine ad una parola, la quale non si può più decom porre, e di cui nulla più sappia quegli che ha a rispondere. D'altra parte però se uno non sa dar la ragione dei primi nomi, non sa certo darla del derivati, che si debbono spiegare per mezzo del primi. Per la qual cosa a rintracciar la ragione del primi nomi ei si fa nel seguente modo. I nomi tutti, sì primi che derivati, deb bon dichiarare come veramente ciascuna cosa è. Ora se noi non avessimo nè voce nè lingua, e dovessimo indicare le cose, certo, come i muti, colle mani e col capo e con tutto l'altro del corpo noi tenteremmo di significarle, elevando le mani verso del cielo per indicar quel che è alto e leggiero, e per l'opposito abbassandole verso terra per indicar quel che è basso e grave. Dal che rettamente ei conchiude che il nome per esser retto, cioè per poter indicare come vera mente una cosa è, dee pur anco essere un'imi tazione, che la voce fa di quella cosa, ch'uno per mezzo della voce toglie ad imitare onde fi gura e il color delle cose, la musica il loro suono, così l'arte del nominare imita la loro es senza per mezzo di sillabe e lettere. E per di mostrare poi come per mezzo di sillabe e let tere uno possa ciò fare, oltre al distinguere egli le lettere in consonanti e vocali e semi vocali ecc., ei fa pur osservare in molte di esse un valor loro proprio, facendo avvertire nel l'elemento r il valore d'indicare il moto e ciò che è aspro e duro, nell'elemento l quello d'in dicar ciò ch'è liscio e molle, e così un proprio valore dà egli a molte altre lettere. E di que sta cognizione pertanto intorno al valor delle lettere, come anche della cognizione della na tura delle cose fornito lo istitutore dei nomi, afferma SOCRATE, che in quel modo, che i pit tori per render l'immagine che vogliono effi giare, or adoprano un colore or un altro ed or ne mescolano molti insieme, così egli nel far ciascun nome per ciascuna cosa, adope rando l'elemento or di una lettera or di un'al tra ed or mescolandone più insieme, secondo che l'immagine della cosa ch'ei voleva nominare pareva richiedere, abbia formato i primi nomi; e quindi da questi primi, sempre coll'imita zione per mezzo di sillabe e lettere, abbia pur composti tutti gli altri, e che questa sia la vera ragion de nomi. Secondo un tale ragionamento pare che Socrate, che è quanto dir Platone, propenda per la sentenza di CRATILO, il quale afferma, avere gli esseri in sè da natura la ragion del loro nome. Nondimeno non esser tutti i nomi retta mente posti conforme alla natura delle cose, che nominano, il dimostra poi nel seguente modo. Il nome, dice egli, è uno stromento, il qual si fa per indicar e insegnar le cose come veracemente sono. Or ogni stromento sup pone un artefice; e buono essendo quello che è fatto da un buon artefice, e cattivo quel che è fatto da un cattivo, ne segue che anche i nomi saranno altri bene, altri mal fatti. CRATILO pretende che tutti i nomi, come tali, cioè in quanto son nomi, son tutti ben fatti e retti; per modo che se uno dà a qualcuno il nome che non gli conviene, costui parrà sì ben averlo, ma esso appartiene propriamente a colui, la cui natura viene dichiarata dal nome. Dun que se tutti i nomi sono retti, ripiglia SOCRATE, non più anco si potrà dire il falso. No, non si può dire il falso, soggiugne CRATILO, perchè dire il falso è dir quel che non è; or quel che non è, non si può pensare nè dire. E che dunque, replica Socrate, fa colui che ti chia masse o ti salutasse col nome di Ermogene, mentre che tu sei CRATILO? costui non chiame rebbe, non saluterebbe te, ma un altro? di rebbe egli qualche cosa o direbbe nulla? Costui, risponde Cratilo, non farebbe altro, ch'un van un'altra prova. Il nome, dice egli, secondo quel che da noi si è ammesso, è una imitazione, la quale si fa per mezzo delle lettere e delle sillabe, come la pittura imita coi colori; e per ciò in quel modo che la pittura, se, nello effigiare le cose, vi adatta i convenienti colori, effettua bene e belle le loro immagini; così pure l'arte del nominare, se per mezzo delle lettere e delle sillabe imitando l'essenza delle cose, saprà ad esse adattare tutto quello che conviene e che loro è simile, bella ne effettuerà l'immagine; che se no, effettuerà sì bene un'immagine, ma non già bella, per conseguenza i nomi ch'essa fa, gli uni saranno ben fatti, e gli altri no. CRATILO a questo energicamente si oppone, di cendo che se in un nome si muta, si traspone, o si toglie o si aggiugne una lettera, non so lamente non iscriviam bene tal nome, ma non lo scriviamo affatto, anzi esso diventa subito un'altra cosa che il nome. SOCRATE concede ciò aver luogo ne numeri, a quali se uno toglie od aggiugne un'unità, subito diventan essi un altro numero da quel che eran prima, ma non già nelle qualità e nelle immagini delle cose; poichè se le immagini dovesser aver tutto quello che ha la cosa di cui son immagini, non sa rebbero più immagini, ma rimarrebbero la cosa stessa di cui elle appunto sono le immagini; e per ciò neanco i nomi debbono aver tutto quel che ha la cosa di cui sono nomi, nè es serle in tutto e per tutto simili; perchè, se così fosse, ne avverrebbe, che gli esseri sarebbero tutti doppi, e non si saprebbe più dire qual fosse proprio la cosa e qual solo il nome. Per la qual cosa a giudicare se un nome sia ben fatto, basta che in esso si trovi il tipo della cosa di cui esso è nome; e quantunque si debba concedere, che più retti e belli sian que nomi, che per la gran parte son composti di lettere convenienti; tuttavia non si può sostenere, che un nome, il quale non abbia le lettere simili alla cosa che nomina, non possa indicare la medesima. Ed in conferma di questo SOCRATE adduce il nome azXood:ng (sclerotes), durezza, nella cui composizione in vece di entrarvi ilr, il cui valore è appunto d'indicare ciò che è duro e aspro, v'entra anzi il X, l, che indica tutto il contrario, ciò che è molle e liscio; nondimeno quand'uno il pronuncia, tutti sanno quello ch'ei vuole dire e quello ch'egli ha in mente; così che fa pur d'uopo conchiudere, che le cose s'indicano non solo per mezzo dell'imi tazione delle medesime, che si fa colle lettere e colle sillabe, ma ancora per mezzo dell'uso e della convenzione. Che se dunque tutti i nomi non son posti convenientemente secondo la natura della cosa che nominano, ei si vede quanto senza fonda somi glianza tra essi e quelle, che chi conosce i nomi conosce anche le cose. Del resto, anche dato, continua Socrate, che per mezzo del nomi si possano conoscere le cose; tuttavia essendo essi, anche quelli che rettamente conforme la natura delle cose sono posti, solamente imma gini delle medesime, il miglior modo di cono scerle sarà investigarle per esse, una per l'altra a vicenda, se a sorte cognate sono, e ciasche duna per sè, e così venirle a contemplare nella verità loro, e non solo nelle loro immagini. Intanto come questa verità, questa cognizione si possa conseguire lasciando ad investigare un'altra volta, pel presente ei si contenta di far vedere, che qualcosa di stabile e fermo è nelle cose, e che oltre ad esservie un viso bello, ei v'ha poi un bello in sè, che non è passeggiero nè soggetto a movimento o flusso, ma immu tabile e sempre lo stesso; pel che rettamente conchiude dicendo, che non retta gli pareva la sentenza di Eraclito, il quale voleva che tutto fosse in centinuo flusso. CRATILO però alle ra gioni di lui non si acqueta, onde Socrate il prega, che più attentamente volesse ancora esaminare la cosa, e, quando gli venisse fatto di trovare la verità, si piacesse di fargliene partecipe.Così termina il dialogo, dal quale si vede, come già in principio di questo argomento dicevamo, che Socrate, e nella sua persona PLATONE, quantunque confuti la sentenza di Ermo gene e quella di Cratilo, nondimeno, ancorchè espressamente nol dica, molto di vero ei rico nosce in amendue, anzi le rettifica. In fatti, se concede a Ermogene esser lecito agli uomini porre nomi alle cose; non gli concede però ciò essere lecito a tutti, com'ei pretendeva, ed afº ferma non potersi porre a capriccio, se hanno ad essere ben posti, ma richiedersi un'arte, e per ciò esser opra di solo colui, che è in istato di rendere per mezzo del nome l'idea della cosa che vuol nominare; come dall'altra parte, se ammette con Cratilo avere i nomi da natura lor ragione, non conviene però che tutti sieno rettamente posti e stieno a capello; e se pur gli concede migliori essere i nomi che per mezzo di lettere e di sillabe esprimono la na tura delle cose che nominano; tuttavia non gli consente, che assolutamente non abbiansi a chiamare nomi quelli che non sono così for mati; giacchè l'esperienza ci dimostra esservi nomi, i quali, senza che abbiano alcuna lettera simile o corrispondente alla natura della cosa da lor nominata, per via del solo uso noi ve niamo posti in grado di ottimamente intenderli e riferirli a cose, che non hanno punto di si mile col medesimi. Chi è versato nella lettura delle opere di Pla tone facilmente si persuaderà, che questo divino oltre all'addurre le prove dell'immortalità dell'anima umana, scopo suo fu pur anco di rappresen tarci il quadro del filosofo morente; nel GORGIA DI LEONZIO, oltre lo scopo di far vedere i difetti dell'oratoria politica e sofistica, ebbe pur anco quello di far la difesa di se stesso, perchè non si fosse dato alla vita pubblica; noi dunque ora nel Cratilo dobbiamo pure investigare, se egli oltre al di mostrare, che la vera origine e ragion de nomi non si dee derivare nè dalla stessa natura sola nè dal solo arbitrio umano, abbia pur avuto intenzione di dimostrare ancora qualch'altra cosa pratica. Erano ai tempi di Platone intorno allo essere delle cose, come abbiam già detto, due sentenze, l'una degli Eraclitiani, i quai credevano ch'esse fossero in un continuo flusso o moto; e l'altra degli Eleatici, i quali opina vano, che fossero sempre in riposo. Ciascuna di queste due scuole (come tutti in ogni tempo, e come anche vediamo aver fatto il nostro VICO), per confermare le loro dottrine, i loro sistemi, ricorrevano all'etimologie delle parole, credendo in queste trovare la ragione di quelli. Ma, quantunque lo studio delle etimologie talora conduca alla cognizione delle cose, PLATONE tuttavia non vi aveva molta fede, sì perchè ne nomi stabiliti a sorte dall'uso e dalla consue tudine, di rado e forse quasi mai è possibile trovar la loro ragione e la verità di quello che nominano; sì perchè nemmanco sulla strada più vera e più sicura ci mettono quelli, che dall'in gegno e dalla potenza umana fur posti. Imper ciocchè chi pose i primi nomi alle cose, com'egli dice, li pose, quali credeva che queste fossero; or sei non aveva una retta opinione delle cose, e ad esse pose i nomi secondo l'opinione ch'ei n'aveva, noi rimarremo ingannati, se il se guiremo. Per far vedere adunque in che vano e fragile fondamento si appoggiassero le scuole filosofiche che così facevano, e metter in chiaro l'insufficienza di questo loro metodo per venire alla cognizione delle cose, Platone in questo dialogo facendo una lunga esposizione di etimologie, sebben acute ma strane, di cui molte forse raccolse da vari libri, mise in ridi colo l'abuso di tale studio, validamente dimo strando, che le cose debbonsi piuttosto cono scere per mezzo d'esse medesime, che per mezzo de' nomi, che sono soltanto una loro adombra zione; e così, come metodo a ciò acconcio ed efficace, colloca poi egli alla fine del dialogo, come opposta diametralmente alle opinioni degli l'iraclitiani, la sua dottrina delle idee. Che se a questo avessero badato certi eruditi, non mai avrebbero creduto che Platone [PROCLO spezialmente fra gl’antichi, e fra i moderni MENAGIO, ad Diogen. Laert., e TIEDEMANN, “Argum. dialogg. Plat.”, e seguente. etimologie, che espone in questo dialogo. E nel vero, an corchè sia difficile il distinguere dappertutto quello ch'ei dice per gioco e quello che dice da senno; tuttavia al veder, che nello spiegar la ragione de nomi di TETIE, di Poseidone (NETTUNO), di Demetra (CERERE) e d'altri, ei lascia le etimologie prossime e ovvie, e in vece ne arreca delle rimote, anzi talvolta ne inventa delle strane e bizzarre, spezialmente quando adduce quella oltremodo ridicola di Dioniso (Bacco), niun certo può disconoscere ch'ei non ischerzi. Arroge, che il protestaregli, per bocca di Socrate, che quello che per riguardo all'eti mologia de nomi dichiarava, il diceva non come cosa sua propria e che sapesse, ma come cosa che teneva per ispirazione della musa di Euti frone, ognuno avrebbe dovuto accorgersi o al men sospettare, che PLATONE non poteva far buono tutto quello che per ispirazione della musa di questo sciocco e superstizioso fanatico ei diceva. Per la qual cosa lo Schleiermacher è di parere che Platone avesse in mira di bef farsi in questo dialogo di Antistene; ma, oltre che molte cose in esso occorrono che mala mente si potrebbero attribuire a questo filosofo Socratico, come rettamente osserva lo Stallbaum, ei si dee ancora avvertire che gli studi di An tistene erano piuttosto dialettici e retorici, che grammatici, e non si trova documento veruno, il qual ne accerti ch'ei si occupasse anche della ragione de nomi. E se poi non si può assolu tamente negare, che nelle sue giocose etimologie abbia pur egli avuto in mira Prodico, perchè questi nel dar la ragione della differenza de nomi, di necessità spesso doveva anche spie garne le etimologie; scopo suo però fu piut tosto di beffarsi di tutti quel filosofi, che, come abbiam detto, nelle etimologie de nomi cre devan trovar confermati i loro sistemi, e spe zialmente di mettere in canzone i sofisti, che in coteste arguzie ponevano molto studio e tanto si dilettavano, i quali appunto egli dileggia, quando ironicamente spiegando il loro nome, afferma che significa eroi. E in fatti che PROTAGORA molto attendesse anche all'interpretazione degli scrit tori spezialmente poeti, abbiam già veduto nel dialogo del Protagora, intitolato dal suo nome, nel quale insieme con Prodico ed Ippia ed altri espone a Socrate il suo sentimento intorno ad un passo oscuro d una canzone di Simonide. E che, oltre all'aver lasciato precetti intorno alla retorica, come ci attesta Cicerone nel Bruto. scriptae fuerunt et paratae a Protagora rerum illustrium disputationes, quae nunc com munes appellantur loci, º molto pure si occu passe intorno alla proprietà dei nomi e della collocazione delle parole per rendere bella l'elo cuzione, lo aſſerma lo stesso PLATONE nel “Fedro”, ed ARISTOTELE nclla “Retorica”, lib, ini, ori gine e ragione de nomi abbia pure disputato. Questo pare chiaramente indicato nel CRATILO, anzi da quel, che ivi dice ERMOGENE, sembra che tal questione facesse parte del suo libro della Verità, reo A), 3sizg, come vedremo. I seguaci di cotesto sofista adunque sono quelli, contro dei quali è diretta spezialmente l'ironia e lo scherzo di que sto dialogo, poichè cotesti sono quelli, che, come il loro maestro Protagora, approvando la sentenza di Eraclito, il quale stabiliva, che tutte le cose perpetuamente scorressero, come un fiume, avevano ad essa accoppiata la loro, cioè che l'uomo fosse la misura di tutto e che le cose fossero come a lui appariscono; e per ciò credendo che tutto continuamente fluisse e che i nostri sensi a questa mutazione delle cose si accomodassero in guisa, che sempre esse fos sero come a loro apparivano, venivano pur a credere tali essere i nomi delle cose, quali dal senso e dall'intelligenza di ciascheduno venivano percepiti, cioè naturali. Da questo si vede che in cotesti Eraclitiani-Protagoristi non si deb bono comprendere, gli antichi e veri seguaci di Eraclito, ma solo i posteriori, che, material mente intendendo Eraclito, facevano una cattiva e falsa applicazione dei suoi principii. E se dum que di tutte le sette filosofiche, come sappiamo, era anticamente costume di riferire i loro sistemi ai sapienti più antichi e spezialmente ad Omero, non dee dunque far maraviglia, se i detti nuovi Eraclitiani-Protagoristi, chiamati appunto Omeriani da Platone nel “Teeteto”, tentassero pur di derivare le loro spie gazioni e interpretazioni de nomi da Omero ed anche da Esiodo, e se in questo dialogo conforti poi Socrate Ermogene, se non ammet teva la verità di Protagora, a ricorrere ad Omero, e se quindi egli pure, secondo questo poeta, gli faccia parecchie spiegazioni del nomi. Il Cratilo, interlocutore di questo dialogo e da cui anzi lo stesso dialogo s'intitola, Aristotele (Metaph. 1, 6), Apuleio (de dogm. Plat.2), e Diogene Laerzio, narrano essere stato, prima di Socrate, maestro di Platone, e che gli abbia insegnato le opinioni e dottrine di Eraclito. Ast però (Platons Leben und Schriſten) opina, che il CRATILO interlocutore del presente dialogo è diverso dal Cratilo che è maestro di PLATONE, affermando non altro potersi raccogliere dallo stesso dialogo, se non che Cratilo, ivi interlocutore, era seguace di Eraclito, e non già che sia stato maestro di filosofia e che ha Platone per discepolo; e per ciò pretende non esser probabile, se così è, che Platone lo mette così in canzone senza riguardo veruno. Questa sentenza a noi non pare di gran momento; poichè hoi non abbiamo sufficienti argomenti Cratili, amendue filosofi e della scuola di Eraclito, onde poter dubitare qual di loro sia stato maestro di Platone. D'altra parte, ARISTOTELE, APULEIO e DIOGENE LAERZIO hanno certo notizia e del CRATILO maestro di PLATONE, e del Cratilo inter locutore di questo dialogo; non avendogli essi di stinti, rimane chiaro che sì quello che questo sono il medesimo Cratilo. Per riguardo poi a quello, ch'ei dice non esser probabile, che Platone abbia messo in canzone così ingratamente il suo maestro, noi facciamo osservare, che Pla tone non gli fa dire da Socrate alcuna cosa dura, anzi l'ironia, che regna nella esposizione delle etimologie, è pur così coperta, che può anche sfuggire a non mediocri ingegni. Volendo Platone render conto, perchè si fosse scostato dalle opinioni eraclitiane del suo primo mae stro Cratilo, ed avesse poi seguito quelle di Socrate, ei non poteva più giurare in verbo del suo primo maestro Cratilo, nè rappresen tarcelo superiore a Socrate nelle ricerche e di scussioni didattiche, ma sì bene rappresentar celo, come veramente egli era, e cercar, per quanto poteva, di farci conoscere il modo di verso dell'esposizione scientifica d'amendue, come anche intieramente il loro carattere. Per questo appunto Platone non si contenta già di far abbattere da Socrate in questo dialogo le opinioni, che Cratilo aveva intorno alla ragion de nomi, ma il fa udire ancora una lunga ſi lastrocca di spinose etimologie, che Socrate espone ad Ermogene, la quale se par essere un dileggio verso coloro a cui viene fatta, non è però fuor di proposito, perchè Cratilo era così dato alle dottrine di Eraclito, che tutto contento ed incantato beccava qualunque cosa gli fosse detta in confermazione di quelle, e tanta era la sua ostinatezza in quel che soste neva, che dicendogli Socrate alla fine del dia logo migliore essere il metodo di conoscere le cose per mezzo di esse stesse nella verità loro, che solamente per mezzo delle loro immagini, cioè per mezzo dei loro nomi, a tal patente ragione ei non si arrende ancora. L'altro interlocutore del dialogo, anzi il primo che entra in discorso con Socrate, è Ermogene, figliuolo d'Ipponico e fratello di Callia. Anche questo afferma Diogene essere stato maestro di Platone nelle dot trine della scuola di Elea. Ma questa asser zione viene rigettata dall'Ast (nell'opera citata, pag. 2o), e dal Groen Van Prinsterer (Pro sopographia Platonica), il qual ul timo crede, e con lui concorda lo Stallbaum, che il testo di Diogene Laerzio sia stato cor rotto da un ignorante, il quale abbia intruso il nome di Ermogene dopo quello di Cratilo, nell'opinione, che siccome dei due rappresen Platone, così il fosse anche stato quello dell'Eleatica, Ermogene. A questo aggiungasi ancora, che Aristotele ed Apuleio, i quali affermano essere stato Cratilo istitutor di Platone, ciò non di cono più di Ermogene. Altro è che questi fosse seguace delle dottrine dei VELINI, altro è che in esse abbia pure istruito Platone; giacchè trattandosi di un fatto, sì per istabilire la sua verità, come per abbatterla, è del tutto neces saria una prova positiva, la quale, quando manca, è nullo tutto ciò, che pro o contrada qualunque si dice. Per la qual cosa, se l'unica e dubbia autorità di Diogenenon si dee tenere da tanto per farci credere vero tal fatto, neanco per negarlo pare a noi esser suf ficiente la prova negativa di Stallbaum e Prinsterer, i quai dicono, il poco ingegno e la poca dottrina di Ermogene essere un argomento bastante a far sì, che niuno il possa creder essere stato maestro di Platone. Imperciocchè come veramente stesse di dottrina Ermogene, non è poi cosa facile a dichiarare, stante che il merito scientifico degl'interlocu tori, che Platone mette ne suoi dialoghi in iscena, non si dee giudicare dal grado, in cui egli ce li rappresenta e ce li fa parlare; giac chè quando si tratta di coloro ch'ei vuol con futare, ei fa da loro anche dire cose strane ed assurde, le quali essi mai non sognarono, ma ch'egli però dalle loro dottrine deduce, per sempre far maggiormente spiccare il contrasto della verità, ch'ei difende. D'altra parte poi, se si dovesse giudicare da questo dialogo, pare che per niuna parte Ermogene la ceda a Cratilo. E nel vero, per non dire che la discus sione, fatta in principio tra Ermogene e So crate, è sottile anzi che no, e suppone in Ermogene un non mediocre ingegno, bisogna avvertire che la lunga esposizione delle etimo logie secondo il sistema di Eraclito, è diretta a mettere in canzone non altri, che coloro che tal sistema seguivano; e per ciò pare anzi che d'in gegno un po' tardo ben si potrebbe tacciare Cratilo, che non mai in udirle di tal corbelleria s'accorga, ma non Ermogene, il quale, udendole, scorgendo per mezzo di esse beffarsi Socrate dei seguaci delle dottrine di Eraclito, veniva sempre più confermato in quelle contrarie degli Eleatici, ch'ei sosteneva. Del resto ch'Ermogene non pigliasse tutte per vere le etimologie di Socrate, non solo si vede da quello, che in udirle non mai egli fa alcun segno d'ammira zione o di contentezza, come se fosse giunto alla cognizione di qualcosa grande e nuova, ma nemmanco di piena approvazione; giacchè, appena che ha udito l'etimologia di un nome, senza più, quasi sempre passa subito a inter rogar Socrate di quella di un altro, e se talor mostra d'averne per buona alcuna, la sua con a Socrate, Pare che un po' ci tocchi o ci cogli ecc., daivet, xtvòvvsústg o doxsig rt Xéyetv. Ma, che ancora? Che Ermogene più per curiosità e diletto che per altro, se ne stesse ad ascoltar l'espo sizione delle etimologie di Socrate, argomento certo n'è, ch'ei pure celia collo stesso Socrate, come (per non citar altri luoghi) quando udita l'etimologia del nome ivtavróg, anno, ironica mente gli dice, che aveva già fatto molti passi nella sapienza, e spezialmente quando SOCRATE, nello spiegare il vocabolo 3) aſºspdv (blaberon), nocevole, dicendogli che propriamente si do vrebbe chiamare 3ov) arrrepoijv, boulapteroun, ei gli soggiugne che all'udirlo pronunziar così bel nome, gli pare veramente che zufolasse il preludio dell'aria di MINERVA. Il timore e la superstizione, che dà a dive dere Socrate in questo dialogo, nel protestare che per riguardo agli Dei e ai loro nomi, ei punto non ne sapeva, ma che solo diceva quello che ebbero in opinione gli uomini in porre loro i nomi, indicano manifestamente, che l'Eutifrone, per ispirazione della cui musa, ei dice tenere le spiegazioni, che dà dei nomi, è quello, da cui è pure intitolato un dialogo di Platone. Così appunto opinano Ast e Stallbaum. Quest'uomo è il tipo della leggerezza e della superstizione; ei si vantava di saper meglio che alcun altro le cose divine, e tanto era il suo entusiasmo, come dice egli stesso (!), quando di esse parlava e mandava fuori i suoi oracoli, che eccitava il riso e pareva maniaco. Verisimil mente dunque nell'interpretare la mitologia degli antichi poeti e spezialmente di Omero, e nel cercar la ragion de nomi degli Dei e nel darne la spiegazione, vi poneva molto studio e vi met teva pur lo stesso entusiasmo e furore, come nel mandar fuori gli oracoli. Forse sarà anche stato della scuola di Eraclito. Onde piacevole e grazioso pare lo scherzo di Platone, in far per bocca di Socrate dar l'etimologia de nomi a Cratilo, il qual non era men entusiasta e maniaco in beccar ciò, che parevagli confer mare le sue dottrine eraclitiane (giacchè, quanto a Ermogene, egli stava, come abbiam veduto, a udirle più per curiosità e diletto, che per altro); mentre così facendo Platone, a chi era di perspicace ingegno dava, per mezzo dell'ironia, a divedere, che a lui non andava a grado, anzi disapprovava il poco ragionevol modo degli Eraclitiani, nello spiegare i nomi e nel pretendere di trovare quasi in ciascun verso di Omero qualche cosa di oscuro e mi sterioso, togliendovi quel suo proprio colore, semplice e naturale. In qual tempo sia stato composto questo dia logo da Platone, e qual loco gli si debba as ri mane ancora a vedere. Lo Schleiermacher il pone dopo il Teeteto, il Menone e l'Eutidemo, e pretende che debba servire di compimento a quel primo; ma ognun vede che l'argomento della scienza, che trattasi nel Teeteto, non viene ampliato nè discusso nel Cratilo; anzi tutto il contrario, quel che affatto alla fine del Cratilo è appena indicato, viene poi diffusamente discusso nel Teeteto; chiaro dunque egli è, che questo il dee seguire e non precedere. L'Ast il colloca non solo dopo il Teeteto, ma anche dopo il Sofista, il Politico e il Parmenide; anzi crede che il Cratilo faccia parte ed appartenga ad una trilogia o tetralogia, che non fu da Platone compiuta; e per prova ne adduce le prime parole del dialogo: Brami tu dunque che in cotesta questione anche qui Socrate c'entri' le quali ei dice essere del tutto nude, secche e immotivate. Inoltre che quest'opera non sia un lavoro compiuto, seguita egli, si vede da quello, che nell'ultima sua parte i passaggi da una cosa all'altra sono scuciti e duri, e molto, che non ista in immediata relazione con quel che precede, vien posto senza alcuno appa recchio e introduzione, mentre le ricerche, che si connettono coll'argomento principale e che eccitano un grande interesse, vengono al l'improvviso abbandonate. Ma checchè ne voglia dire l'Ast, quantunque le prime parole del dialogo indichino a precedente discussione tra Er mogene e Cratilo, tuttavia di questa trilogia o tetralogia incompiuta, ch'ei pretende, non s'in contra indizio veruno nelle opere di Platone, nè si trova che l'argomento del Cratilo venga da lui trattato in qualche altro suo dialogo. Questo scritto può stare da sè, ed io non veggo la ragione, perchè l'Ast il voglia far seguire al Sofista, al Politico e al Parmenide, e non anzi a tutti questi precedere. E nel vero, per non dire, che l'irrisione, che domina nell'espo sizione delle etimologie nel Cratilo, non troppo acconciamente può stare vicina alle gravità e serietà, con cui sono trattati il Sofista, il Po litico e il Parmenide, l'argomento del Cratilo non ha che fare con quello di questi; nè si ravvisano ancor in esso vestigia della scuola pitagorica, come nel Parmenide, ma appena si fa menzione in un suo luogo dell'armonia de corpi celesti; nè appare ch'ei segua il me todo dell'investigazione tenuto dai filosofi Me garici, i quali erano versatissimi in trattare le quistioni di questo genere, come lo segue nel Sofista, nel Politico e nel Parmenide; nè fi nalmente si vede ch'egli molto insista sulla sua dottrina delle idee, ma appena ne fa cenno alla fine del dialogo, e la dà soltanto ancora come un suo sogno. Per l'opposito, niuno può disconoscere, che tra il Protagora, l'Eutidemo e il Cratilo vi regni un'affinità quasi irri sione drammaticamente ci rappresenta Platone il vano fasto di Protagora e di tutti que sofisti che si millantavano essere maestri di virtù, e se nell'Eutidemo poi egli si beffa delle meschi nità delle arguzie e de lacciuoli dialettici pur de' seguaci di Protagora, anche nel Cratilo, come abbiam veduto, con ischerzo e con ironia viene egli a dimostrare l'inutile sforzo de' Protagoristi-Eraclitiani, che per mezzo dell'inter pretazione del vocaboli tentavano di venire alla cognizione delle cose e di stabilire i loro sistemi. Per la qual cosa, sebben l'autore in quest'opera sia lungi dal comico che domina nel Protagora e nell'Ippia Maggiore, l'andamento però e la condotta della medesima, come anche la molti plicità degli esempi e le minutezze, con cui, secondo il metodo di Socrate, procede Platone in principio di essa, e finalmente ancora lo scherzo e l'ironia che si scorge nell'esposizione delle etimologie, danno a bastanza a divedere, ch'ella moltissimo si approssima ai dialoghi po polari Socratici, ch'egli scrisse i primi, e che da lui sia stata composta in una età, in cui egli non era ancora del tutto scevro da pro tervia e petulanza giovanile. Non pertanto, quan tunque da solo quello, che si fa menzione in questo dialogo delle vocali a ed o, le quali furono introdotte in Atene, sotto l'arcontato di Euclide, non si possa di certo conchiudere, che dopo tal anno sia stato questo scritto composto, per la ra gione, come ottimamente osserva lo Stallbaum, che queste vocali potevano già essere in vigore in uso privato, prima che pubblicamente fos sero sancite e passate ne' monumenti pubblici (ved. Matthiae Gramm. Ampl.; tuttavia non si può dubitare, che questo dialogo da Platone sia stato disteso in quel tempo, in cui egli aveva già concepito i principii della sua dottrina delle idee e deter minato con essa di confutare i Protagorei e gli Eraclitiani. Or tanto le cognizioni richiedentisi per poter ciò ben fare, quanto le sottili inve stigazioni circa la ragion de nomi, che in que st'opera si ravvisano, paiono indicare esserelle un lavoro di Platone non così giovane, ma sì bene di lui d'alquanto già più maturo. Che se poi tra il Protagora e il Cratilo, che hanno tra di loro un'affinità che non si può disconoscere, noi abbiamo inserito l'Ippia Maggiore ed il Gorgia, non è già che crediamo il Gorgia essere anteriore al Cratilo (anzi la di fesa che nel Gorgia fa Platone di se stesso, perchè non si fosse dato alla vita pubblica, ma alla filosofica, indica chiaramente che tale scritto è un lavoro di un uomo più che maturo), ma non per altro così ci parve di fare, se non perchè abbiam voluto far seguire l'un dopo celebri sofisti della Grecia, Protagora, Ippia e Gorgia, ne quali Platone graziosamente smaschera il loro vano sapere ed acremente li frusta. Però se uno bada, che i Protagoristi-Eraclitiani, che Platone dileggia in questo dialogo canzonando le loro etimologie, questi medesimi poi con con cludenti ragioni validamente egli confuta nel Teeteto, facilmente ei si persuaderà, che il Cratilo a questo dee stare unito e precederlo, anzi che susseguirlo; e per conseguenza che noi, nell'assegnargli il posto che gli assegniamo, nel suo vero l'abbiam collocato. Three sections on Plato in A.’s essay on ideas: Plato’s Parmenide, Plato’s Sofista, Plato ed Anselmo. Gl’Intelligibili e il Parmenide di Platone. L'uno quale Platone lo disamina nel principio della seconda parte del Parmenide è un intelligi bile, e la contraddizione in cui lo involge è tale per colui che lo considera come idea contro l'in tenzione di Platone medesimo.Ecco,se tu fissi l'uno nel nome suo,se tu appunti l'occhio nell'uno come uno, esso non è più uno, cioè non è idea. Impe rocchè all'uno fissato nell'uno,contratto in sé,sen za espansion di sorta, non compete relazione alle idee di parte e di tutto, di principio, mezzo, fine, cioè all'idea di quantità, e neanco all'idea di quan tità parvente come a dire la figura, e neppure al l'idea di luogo nè a quelle di moto o di stato,nè a quella di qualità,né a quella di relazione di si miglianza, di egualità,di medesimezza e dell'idee contrarie,nè a quella di tempo,nè a quella di es sere o divenire,né da ultimo all'idea di senso,di opinione, di scienza. Adunque l'uno irrelativo non è quanto,nè quale,né in luogo,nè in tempo,non ė medesimo, nè simile, né eguale a sè e neanco il contrario, non è, non diventa, non si sente, non s'opina, non si sa. Dunque l'uno irrelativo non é uno: cioè a dire l'uno elemento dell'idea uno non è l'idea uno che si componë e di quello elemento e di molti altri. Gl'intelligibili e il Sofista di Platone. Nel Sofista Platone tratta della comunione delle specie, come se le specie precedessero la comu nione,pigliandoa esempio l'essere,ilmoto,lostato, il medesimo e il diverso. Ma la comunione precede le specie; imperocchè l'essere non è tale senza pri ma comunicare col medesimo, nè ilmedesimo è tale senza prima comunicare con l'essere, nè il medesimo è ciò ch'è senza il diverso,nè questo è ciò ch'è senza quello. Alla mente di Platone certo la comunione delle specie si mostra come necessa ria; tuttavia le si pasconde che le specie prima di essere specie sono elementi le une delle altre, e la comunione è per lei esteriore e di specie già in tiere e fatte. Più giusto sarebbe stato lo affermare ed esaminare la comunione degl'intelligibili, cioè di quei semi che pe'loro congiugnimenti diventa no specie o speciose o spettabili se cosi dire si vo glia. Aosta nel capitolo primo del Monologio or meggiando i passi di s.Agostino per provare Dio dice: tutti beni son beni per una qualche cosa ch'è bene per se stessa; e nel secondo dice: tutte quelle cose che sono grandi per alcun che sono gran di, il quale è grande per se stesso; e nel terzo a g giugne che tuttociò che è, per un qualcosa pare che sia, la quale è per se stessa; e nel quarto aggiugne: se le nature delle cose si distinguono per disuguaglianza di gradi,e alcune nature si re putano migliori di altre conviene che ci sia alcuna    tra quelle cosi eminente da non averne altra a sė superiore. Imperocchè,se,tale distinzione di gradi è cosi infinita che non sia alcun grado superiore di cui altro superiore non si rinvenga; la ragione conduce a questo, che la moltitudine di esse n a tare non sia chiusa da alcun termine.Ma ciò diuno reputa non assurdo se non chi è affatto privo di r a gione. È dunque di necessità alcuna natura,la quale é talmente superiore ad alcuna od alcune,che al tra non ve n'abbia, a cui sia ordinata come inferiore. Queste argomen tazioni si posson paragonare a quelle che fa Platone per provare le specie per sé. Egli dice: Ne' sen sibili c'è meschianza e confusione di contrarie no te; imperocchè una cosa è bella e brutta, giusta e ingiusta, grande e piccola, e via via; bella, giusta, grande per un rispetto,e per un altro brutta, iugiu sta,piccola;dunque ci dev'essere un bello che per nessun rispetto sia brutto, un giusto per nessun rispetto ingiusto, un grande per nessun rispetto piccolo,e viceversa;delle quali specie contrarie par tecipa il sensibile. La differenza è in ciò, che Pla tone si fonda più su la contrarietà delle note che apparisce ne'sensibili,e Anselmo più su la grada zione di esse note;e dovechéPlatone a filodilo gica è necessitato a dare a tutte il valore m e d e simo di specie, Anselmo lo dà ad alcune, come alla grandezza e non già alla picciolezza, all'essere e non già al non essere,al bene e non già al male; e da ultimo Platone vuol provare una moltitudine inconfondibile di enti per sè,e Anselmo di un solo. Ma di quest'argomento suo che ci conviene pen sare? Ecco, premettiamo che al tempo dei Dottori si vedeva nelle idee una certa costituzione già fer ma; esse aveavo fatto presa;e che poi per istinto dubitativo generato dalla riforma o meglio gene ratore di essa parve che si disciogliessero,e si cer cò rifare la loro sostanza medesima. E l'argomen tazione propria alla filosofia medievale è nell'espli care ciò ch'è implicato; e dimostrare un'idea vale dischiuderla da un'altra dove giaceva intiera e for mata, da un'altra della quale non si dubita. E, stando a questa filosofia, il contenuto di un'idea è quasi indipendente da quello delle altre, e ai sil. logismi come esplicativi si dee assegnare un gran valore anche pigliati singolarmente. Ma non c'è, si può dire, componimento e accordo e universa lità mirabile nella Somma di Aquino? Si, ma l'universalità dalla religione è data alla filosofia, la quale assume l'ufficio di sconnetterla,scomporla e verificarla a parte a parte. E il contrapposto dell'u niversalità della materia con la singularità e la di. visione e lo spezzamento della forma è notabilissima nel libro mentovato, che recapitola maravigliosa mente il pensiero del suo tempo. Per un'altra filoso fia al contrario l'argomentazione non sta ne' sillo gismi netti,che anzi li ha a sdegno,ma nella gene razione dialettica e necessaria,in guisa che tanto vale per essa dimostrare un'idea quanto farla con cepire nelle viscere d'un'altra e poi evocarla alla luce. Però avvertisco io che il suo generare, la sciando da parte le frasi nuove,è in fatti un porre una serie di equazioni facendo si che l'ultimo ter mine che si vuol generare appaja eguale al primo termine che si risguarda come generatore,in virtù di molti medii che celano graduatamente la reale dissagguaglianza. Ecco uno schema dell'argomen tare suo:a è vicino a m,perchè vicino a b,e o vicino a C, e c vicino a d, e d vicino a e, cd e vicino a f; col divario che dov'io dico vicino essa dice eguale.Da ultimo c'è un'altra filosofia,non ne mica a quella dei Dottori, anzi benevola,anzi re verente come a madre figligola, la quale non sup pone l'idea intera e formata, e neanco vuol rifarla da capo o generarla come dice l'altra,a cui è ni micissima perchè quella é superba, m a la costi tuisce di principii che già preesistono,la compo ne.In breve una è esplicativa ovvero resolutiva,l'al tra generativa, almeno di nome e in apparenza, e l’nltima è costitutiva o compositiva. E inoltre questa il contenuto di un'idea costituisce per modo che si colleghi a quello di tutte l'altre,ond'essa è deside rosa d'universaleggiare e procedere alla larga c01 tra la prima che singulareggia e procede per or dini distinti, minuti, sottili; e, contro alla seconda che vuol generar le idee una dall'altra, ella crede che vivano insieme ciascuna della vita dell'altre, e risplendano insieme ciascuna dello splendore del l'altre. E la sua argomentazione sta non già nello esplicare o nel generare, bensi nel bene allogare; inguisachè un'idea è dimostrata quando posta in mezzo alle altre con esse fa buon accordo. Onde il sillogismo, non già come esplicativo o come e guagliativo, sibbene come dispositivo è l'argomento suo, e non ha valore da solo ma insieme ai mol tissini altri per efficacia reciproca. Ma tornando ora lá d'onde ci siamo mossi di ciamo che si può dir buono, grande, giusto tutto ciò che partecipa alla grandezza, alla bontà, alla giustizia, e che altresi pare si possa dire che la grandezza, la giustizia, la bontà c'è perchè ci sono cose grandi,giuste,buone;esenza dir quale delle apparenze risponda al vero, affermiamo che ricorre qua la questione de'generi,cioè se son reali fuori noi o son concezioni astratte, e che l'argomento di sant'Anselino come quello che presuppone un intricatissimo viluppo di ragionamenti da solo non può avere piena evidenza. Acri. Keywords: la colloquenza turbata di Socrate e Cratilo, l’enigma del numero in Platone, abbozzo d’una teorica delle idee. Refs: Platone in Italia. Luigi Speranza, "Grice ed Acri," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice ed Acusilada: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone, Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto, Puglia). Filosofo italiano. According to Iamblichus of Chalcis (“Vita di Pitagora”), Acusilada was a Pythagorean.

 

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