Grice ed Accetto: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale DELLA DISIMVLATIONE HONESTA – la scuola di Trani
– filosofia pugliese. filosofia italiana – Luigi Speranza, per il Gruppo di
Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Trani, Puglia). Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Trani, Puglia. Grice:
“I learned so much about Accetto, and I hope it showed in my talk at Brighton
on ‘meaning, revisited.’ For Accetto, unlike Strawson, there is ‘disimulazione
onesta’ and ‘simulazione disonesta.’ Accetto notes that there is an implicature
to the effect that ‘disimulazione’ is disonesta per se and hence he tried to
provoke the duchess of Malfi by his little treatise on ‘Della simulazione
onesta’ – “An oxymoron, if ever there was one --,’ the duchess told the duke
--.” Vive ad Andria ed è in relazione con la cerchia del
marchese Manso, il mecenate napoletano biografo di Tasso nonché fondatore degl’oziosi.
Scrive varie rime, nelle quali evidenzia la sua delicata coscienza morale e il
breve trattato “Della dissimulazione onesta” nato nel contesto della
dominazione spagnola in Italia, pubblicato a Napoli e rapidamente dimenticato.
Il libello è riscoperto da CROCE (si veda) e pubblicato da Nigro. La
dissimulazione, tematica al centro dei dibattiti, non è, per A., sinonimo di
menzogna, ma invito al raccoglimento e alla cautela. L'analisi di A. pone la
questione, da un piano di politica spicciola, su un piano di accurata indagine
morale. L’autore, alquanto speciosamente, differenzia la simulazione moralmente
riprovevole perché viziata da intenzioni cattive, dalla dissimulazione che
invece pare ad A. l'unico rimedio per difendersi da una società pullulante di
simulatori e per trionfare delle proprie passioni. La ricetta però per
risultare vincente richiede una onestà di animo e un buon equilibrio. Altri
saggi: “Rime” (Napoli: Longo); “Rime,
divise in amorose, lugubri, morali, sacre, et varie” (Napoli: Gaffaro); “Della
dissimulazione onesta” (Napoli); “Rime amorose,” Nigro, (Torino: Einaudi); “Della
dissimulazione onesta” Nigro, Manganelli
(Genova: Costa et Nolan, Torino: Einaudi); Della dissimulazione onesta Rime, E.
Ripari, Milano: BURRizzoli,. Note
"Le Muse", De Agostini, Novara; Croce, Storia dell'età barocca
in Italia, Bari); GARIN, Storia della filosofia italiana, Torino); Villari, Riflessione
sulla Dissimulazione onesta, Villari, Elogio della dissimulazione. La lotta
politica, Roma, Laterza, sapere, Agostini. A., in Dizionario biografico degl’italiani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere A., su Liber Liber. A., su
openMLOL, Horizons U. La simulazione non facilmente riceve quel senso onesto
che si accompagna con la dissimulazione. Io tratterei pur della simulazione, e
spiegherei appieno l'arte del fingere in cose che per necessità par che la
ricerchino. Ma tanto è di mal nome, che stimo maggior necessità il farne di
meno. E benché molti dicano, qui nescit fingere nescit vivere, anche da molti
altri si afferma che sia meglio morire che viver con questa condizione. In
breve corso di giorni o d'ore o di momenti, com'è la vita mortale, non so
perché la medesima vita si abbia da occupar a piú distrugger se stessa,
aggiungendo il falso delle operationi dove l'esser quasi non è. Poiché la vera
essenzia, come dice PLATONE, è delle cose che non han corpo, chiamando
imaginaria l'essenzia di ciò ch'è corporeo. Basta dunque il discorrer della
dissimulazione, in modo che sia appresa nel suo sincero significato, non
essendo altro il dissimulare, che un velo composto di tenebre oneste e di
rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al VERO,
per dimostrarlo a tempo. E come la natura ha voluto che nell'ordine
dell'universo sia il giorno e la notte, cosí convien che, nel giro delle opere
umane, sia la luce e l'ombra -- dico il proceder manifesto e nascosto, conforme
al corso della ragione ch'è regola della vita e degli accidenti che in quella
occorrono. Alcuna volta è necessaria la dissimulazione, e fin a che termine La
frode è proprio mal dell'uomo, essendo la ragione il suo bene, di che quella è
abuso; onde nasce ch'è impossibile di trovar arte alcuna, che la riduca a segno
di poter meritar lode: pur si concede talor il mutar manto, per vestir conforme
alla stagion della fortuna, non con intenzion di fare, ma di non patir danno,
ch'è quel solo interesse col quale si può tollerar chi si suol valere della
dissimulazione, che però non è frode; ed anche in senso tanto moderato, non vi
si dee poner mano se non per grave rispetto, in modo che si elegga per minor
male, anzi con oggetto di bene. Sono alcuni che si trasformano, con mala piega
di non lasciarsi mai intendere; e spendendo questa moneta con prodiga mano in
ogni picciola occorrenza, se ne trovano scarsi dove piú bisogna, perché
scoperti ed additati per fallaci, non è chi loro creda. Questo è per avventura
il piú difficile in tal industria; perché, se in ogni altra cosa giova l'uso
continuo, nella dissimulazione si esperimenta il contrario, poiché il
dissimular sempre mi par che non si possa metter in pratica di buona riuscita.
È dunque dura impresa il far con arte perfetta quello che non si può essercitar
in ogni occasione, e però non è da dir che TIBERIO (si veda) è molto accorto in
questo mestiero, ancorché da molti si affermi; e ciò considero perché, dicendo
TACITO (si veda). TIBERIORQUE ETIAM IN REBVS QVAS NON OCCVLERET SEU NATVRA SEV
ADSVETVDINE SVSPENSA SEMPER ET OBSCVRA VERBA. Non solo disse prima. PLVS IN
ORATIONE TALI DIGNITATIS QVAM FIDEI ERAT. Ma conchiude. AT PATRES QVIBVS VNVS
METVS SI INTELLIGERE VIDERENTVR. Ecco che si accorgeano chiaramente della sua
intenzion in quelli continui artifici. In sostanza, il dissimular è una
professione della qual non si può far professione, se non nella scola del
proprio pensiero. Se alcuno portasse la maschera ogni giorno, sarebbe piú noto
di ogni altro, per la curiosità di tutti. Ma degli eccellenti dissimulatori,
che sono stati e sono, non si ha notizia alcuna. Quelli in chi prevale il
sangue o la malinconia o la flemma o l'umor collerico, è molto indisposto a
dissimulare. Dove abbonda il sangue, concorre l'allegrezza, la qual non sa
facilmente celare, essendo troppo aperta per sua propria qualità. L'umor malinconico,
quando è fuor di modo, si fa tante impressioni, che difficilmente le nasconde.
Il soverchio flemmatico, perché non fa gran conto de' dispiaceri, è pronto ad
una manifesta tolleranzia. E la collera, che è fuor di misura, è troppo chiara
fiamma, da dimostrar i proprii sensi. Il temperato dunque è molto abile a
questo effetto di prudenza, perché ha da esser, nelle tempeste del cuore, tutta
serena la faccia. O, quando è tranquillo l'animo, parer turbato il viso, come
anda richiedendo l'occasione. E ciò non è facile, se non al temperamento che
dico. Non voglio contradir all'opinione di que’ che sogliono attribuir a certi
popoli la disposizione del dissimulare e, ad altri, stimarla quasi impossibile.
Ma ben posso dire che, in ogni paese, son di quelli che l'hanno e di que' che
non vi si sanno accommodare; ma piú è certo che gl’uomini non nascono con gli
animi legati a necessità alcuna, onde libera la volontà si gira all'elezzione.
E ciò leggiadramente è espresso da ALIGHERI in que' versi: Voi che vivete ogni
cagion recate pur suso al cielo, sí come se tutto movesse seco di necessitate.
Se cosí fosse, in voi fora distrutto libero arbitrio, e non fora giustizia per
ben letizia, e per mal aver lutto. Il cielo i vostri movimenti inizia; non dico
tutti, ma, posto che’l dica, lume v'è dato a bene e a malizia, e libero voler;
che, se fatica ne le prime battaglie del ciel dura, poi vince tutto, se ben si
nutrica. A maggior forza e a miglior natura liberi soggiacete; e quella cria la
mente in voi, che 'l ciel non ha in sua cura. Da chi ha per non plus ultra le
porte delle natie contrade, o che da’ libri non apprende il lungo e’l lato del
mondo, e' suoi vari costumi, con difficultà si viene al consiglio della
dissimulazione. Perché in persona cosí molle e poco intendente, riesce molto
dura questa pratica, la qual contiene l'esser d'assai e talora parer da poco. È
dunque conforme a questo abito chi non s'è tanto ristretto, poiché dal conoscer
gl’altri nasce quella piena autorità che l'uomo ha sopra se stesso quando TACE a
tempo, e riserba pur a tempo, quelle deliberazioni che domane per avventura
saranno buone, ed oggi sono perniziose. Chiaro è che 'l viaggio per diversi
paesi, come Omero canta di Ulisse, “qui mores hominum multorum vidit et urbes”,
o l'aver letto ed osservati molti accidenti, è cagion potente a produrre una
gentil disposizione di metter freno agl’affetti, acciò che non come tiranni, ma
come soggetti alla ragione, ed a guisa di ubbidienti cittadini, si contentino
ad accommodarsi alla necessità, della quale dice ORAZIO (si veda). DVRVM SED
LEVIVS FIT PATIENTIA QUICQVID CORRIGERE EST NEFAS. Sí che tant'altezza di
spirito si accresce per mezzo della vita occupata negl’affari del mondo, e
nella considerazione del tempo passato, per non contradir al presente e poter
far giudicio dell'avvenire. Stando la mente cosí sodisfatta, non le parrà nuova
qual si sia mutazione che le si vada rappresentando, ed in conseguenza dipende
da lei, e non dal precipizio del senso, l'espression di quanto le succede. Da
poi che ho conchiuso quanto conviene il dissimulare, dirò piú distinto il suo
significato. La dissimulazione è una industria di non far veder le cose come
sono. SI SIMULA quello che non è, si DIS-SIMULA quello ch'è. Dice VIRGILIO (si
veda) di ENEA. SPEM VVLTV SIMVLAT PREMIT ALTVM CORDE DOLOREM. Questo verso
contiene la SIMULAZION de la speranza e la DIS-SIMULAZIONE del dolore. Quella
non è in ENEA, e di questo ha pieno il petto. Ma non vuole palesar il senso de'
suoi affanni. Ricorda però a' compagni l'aver sofferti piú gravi mali, e
nominando la rabbia di Scilla e lo strepito degli scogli ed i sassi de'
Ciclopi, se ne valse come per sepellir tra que' mostri, e tra quelle passate
ruine, tutte le rie venture che lor già davan noia; e col dolcissimo “meminisse
iuvabit”, conchiude. PER VARIOS CASVS PER TOT DISCRIMA RERVM TENDIMVS IN LATIVM
SEDES VBI FATA QVIETAS OSTENDVNT ILLIC FAS REGNA RESURGERE TROIAE DVRATE ET
VOSMET REBVS SERVATE SECVNDIS. Ma in ogni modo l'animo è ferito, e troppo
dolente. Perché. TALIA VOCE REFERT CVRISQVE INGENTIBVS AEGER. Si vede in questi
versi l'arte di nasconder l'acerbità della fortuna. E prima è espresso d’Omero
come d’Ulisse si dissimula il dolore, quando in altra figura da di se stesso
nuova alla sua Penelope; della qual dice: Hac autem iam audiente fluebant
lacrymae, liquefiebat autem corpus sicut autem nix liquefit in altis montibus,
quam Eurus liquefecit, postquam Zephyrus defusus est liquefacta autem igitur
hac, fluvii implentur fluentes: sic huius liquefiebant pulchrae genae
lachrymantis flentis suum virum assidentem. At Ulysses animo quidem lugentem
suam miserabatur uxorem. Oculi autem tanquam cornua stabant vel ferrum. Tacite
in palpebris dolo autem hic lachrymas occultabat. Ecco la prudenza con che ULISSE
mette freno alle lagrime, quando è tempo di nasconderle. E la comparazion di
liquefarsi Penelope, come la neve, mi dà occasione di soggiunger quello che sia
l'umido e 'l secco, dicendo ARISTOTELE: “humidum est quod suo ipsius termino
contineri non potest; facile autem termino continetur alieno. Siccum est quod
facile suo, difficulter autem termino terminatur alieno”. Da che si può
apprender che il dissimular ha del secco, perché si ritien nel proprio termine;
e questi son gli occhi d’Ulisse rassomiliati, in tempo di dolore, alla fermezza
del corno e del ferro, quando que' di Penelope eran molli e non avean termine
prescritto, conforme a quelle ch'eran versate nell'animo d’Ulisse, tenendo il
ciglio asciutto, ed a questo par che corrisponda quella sentenza di Eraclito:
“Lux sicca, anima sapientissima”. Presupposto che nella condizion della vita
mortale possano succeder molti difetti, segue che gravi disordini siano al
mondo quando, non riuscendo di emendarli, non si ricorre allo spediente di
nasconder le cose che non han merito di lasciarsi vedere, o perché son brutte o
perché portan pericolo di produrre brutti accidenti. Ed oltre a quanto avviene
agli uomini, se pur si considera la natura per tante altre opere di qua giú, si
conosce che tutto il bello non è altro che UNA GENTIL DISSIMULAZIONE. Dico il
bello de' corpi che stanno soggetti alla mutazione, e veggansi tra questi i
fiori, e tra' fiori la lor reina; e si trova che la rosa par bella, perché a
prima vista DIS-SIMULA di esser cosa tanto caduca, e quasi con una semplice
superficie di vermiglio, fa restar gl’occhi in un certo modo persuasi ch'ella
sia porpora immortale. Ma in breve, come dice Tasso, quella non par che disiata
avanti è da mille donzelle e mille amanti. Perché la DIS-SIMULAZIONE lei non
può durare. E tanto si può dir di un volto di rose, anzi di quanto per la terra
riluce tra le piú belle schiere d'amore. E benché della bellezza mortale sia
solito dirsi di non parer cosa terrena, quando poi si considera il vero, già
non è altro che un cadavero dissimulato dal favor dell'età, che ancor si
sostiene nel riscontro di quelle parti e di que' colori che han da dividersi e
cedere alla forza del tempo e della morte. Giova dunque una certa dissimulazion
della natura, per quanto si contiene tra lo spazio degli elementi, dov'è molto
vera quella proposizione che afferma di non esser tutt'oro quello che luce. Ma
ciò che luce nel Cielo ben corrisponde sempre, perché ivi tutte le cose son
belle dentro e fuori. Or, passando all'utile che nasce dalla dissimulazione ne'
termini morali, comincio dalle cose che piú bisognano. Dico dall'arte della
buona creanza, la qual si riduce nella destrezza di questa medesima diligenza.
E leggendosi quanto ne scrive monsignor della Casa, si vede che tutta quella
nobilissima dottrina insegna cosí di ristringer i soverchi disiderii, che son
cagion di atti noiosi, come il mostrar di non veder gl’errori altrui, acciò che
LA CONVERSAZIONE RIESCA DI BUON GUSTO. Onesta ed util è la dissimulazione, e di
piú, ripiena di piacere; perché se la vittoria è sempre soave, e come dice
Ariosto, è il vincer sempre mai lodabil cosa, vincasi per fortuna o per
ingegno, è chiaro che'l vincer per sola forza d'ingegno succede con maggior
allegrezza, e molto piú nel vincer se stesso, ch'è la piú gloriosa vittoria che
possa riportarsi. Quest'avviene nel dissimulare, con che, dalla ragione
superato il senso, si riceve intiera quiete; ed ancorché si senta non poco
dolor quando si tace quello che si vorrebbe dire, o si lascia di far quanto
vien rappresentato dall'affetto, nondimeno piace poi grandemente d'aver usata
sobrietà di parole e di fatti. A questa conseguenza di sodisfazzione, ha da
rivolger il pensiero chi disidera di viver con riposo; e ciascun, che vuol ben
accorgersene per gl'interessi suoi, vegga sopra di ciò gli altrui falli, e cosí
ben conosca che tanto è nostro quanto è in noi medesi- mi. Non dico che non si
han da fidar nel seno dell'amico i segreti, ma che sia veramente amico; ed è
degno di gran considerazione, in quell'epigramma di MARZIALE dove parla a se
stesso della vita beata, che nominando a questo fine dicisette cose, fa che
stia nel mezzo “prudens simplicitas”, dicendo: Vitam quae faciunt beatiorem,
iucundissime Martialis, haec sunt: res non parta labore, sed relicta; non
ingratus ager, focus perennis; lis nunquam, toga rara, mens quieta; vires
ingenuae, salubre corpus, prudens simplicitas, pares amici, convictus facilis,
sine arte mensa; nox non ebria, sed soluta curis; non tristis torus, attamen
pudicus; somnus qui faciat breves tenebras; quod sis esse velis nihilque malis,
summum nec metuas diem nec optes. Il prudente candor dell'animo è dunque il centro
della tranquillità. “Hoc opus, hic labor”. Quelli che si applicano al piacer
della parte ch'è in noi soggett'alla morte, sprezzando l'uso della ragione, si
mutano in abito di fiere; perché tali son da riputarsi, come fu espresso da
Epicteto stoico, dicendo: “Certe misellus homuncio, et caro infoelix, et revera
misera. At melius etiam quiddam habes carne; quare, misso illo et neglecto,
carni duntaxat es deditus? Ob huius societa- tem declinantes a meliore natura
quidam, lupis similes efficimur, dum sumus perfidi et insidiosi et ad nocen-
dum parati: alii leonibus, quia feri, immanes ac trucu- lenti: maxima vero pars
vulpeculae sumus”. Da che si può considerar un de' duri impedimenti nel
dissimulare; poiché il guardarsi da lupi e da leoni è cosa piú pronta per la
notizia che si ha della lor violenza, e perché poche volte si riscontrano; ma
le volpi son tra noi molte e non sempre conosciute, e quando si cono- scono, è
pur malagevole usar l'arte contra l'arte, ed in tal caso riuscirà piú accorto
chi piú saprà tener apparenza di sciocco, perché, mostrando di creder a chi
vuol in- gannarci, può esser cagion ch'egli creda a nostro modo; ed è parte di
grand'intelligenza che si dia 31 a veder di non vedere, quando piú si
vede, già che cosí 'l giuoco è con occhi che pa- ion chiusi e stan- no in se
stessi aperti. Del dissimulare con se stesso Mi par che l'ordine di questo
artificio metta prima la mano nella persona propria; ma si richiede prudenzia
in estremo, quando l'uomo ha da celarsi a se medesimo, e questo non piú che per
qualche picciolo intervallo e con licenza del “nosce te ipsum”, per pigliar una
certa ri- creazione passeggiando quasi fuor di se stesso. Prima dunque ciascun
dee procurar non solo di aver nuova di sé e delle cose sue, ma piena notizia,
ed abitar non nella superficie dell'opinione, che spesse volte è fallace, ma
nel profondo de' suoi pensieri, ed aver la misura del suo talento e la vera
diffinizione di ciò ch'egli vale, essendo di maraviglia che ogni uno attend'a
saper il prezzo della roba sua e che pochi abbian cura o curiosità d'intender
il vero valor dell'esser loro. Or, presupposto che si sia fat- to il possibile
di saperne il vero, conviene che in qual- che giorno colui ch'è misero si
scordi della sua disav- ventura, e cerchi di viver con qualche imagine almeno
di sodisfazzione, sí che sempre non abbia presente l'og- getto delle sue
miserie. Quando ciò sia ben usato, è un inganno c'ha dell'onesto; poiché è una
moderata oblivio- ne, che serve di riposo agl'infelici: e benché sia scarsa e
pericolosa consolazione, pur non se ne può far di meno, per respirar in questo
modo; e sarà come un sonno de' pensieri stanchi, tenendo un poco chiusi gli
occhi della cognizion della propria fortuna, per meglio a- prirli dopo cosí
breve risto- ro: dico breve, perché fa- cilmente si muterebbe in letargo, se
troppo si praticasse que- sta negligenza. Quando considero che il vino fu
trovato dopo il dilu- vio, conosco che non bisognava minor quantità d'acqua per
temperarlo; e qui son da veder due cose: una di Noè, che ne restò ignudo, e ciò
ne dimostra che 'l vino è mol- to contrario alla dissimulazione, e quanto
questa s'im- piega a coprire, tanto quello attende a scoprire; l'altra della
pietà delli due figli, che con la faccia indietro rico- prirono il padre,
dissimulando di vederlo a tal termine, quando dal lor fratello, già alienato da
ogni legge di umanità, era schernito ignudo colui che l'avea vestito delle
proprie carni. Oh quanti son al mondo che imitano questa mostruosa
ingratitudine, facendo materia da ride- re chi loro doverebber'esser oggetto
d'amore e di reve- renza! Pochi son gl'imitatori di que' due che seppero tro-
var il modo di volger le spalle, per pietà, al padre, non come molti fanno, che
si lascian la paterna necessità dietro le spalle. Non solo que' pietosi figli
si occuparono a ricoprir il padre, ma vollero mostrar di non averlo ve- duto in
tal condizione. Cosí ciascuno dee corrisponder a scusar i disordini, ed in
particolare que' de' superiori, ogni volta che alcuno di loro v'incorre. Altri
pietosi uffi- ci mi si rappresentano nell'istoria di Giuseppe che, ven- duto
da' fratelli, mostrò poi di non conoscerli, a fine di 35 piú riconoscerli
per mezzo de' benefici; e, con esempio di rada mansuetudine, dissimulava il
dono di quegli ele- menti che lor in apparenza vendeva, perché i medesimi
sacchi ne riportavano i danari a casa; finché, fatto venir anche l'ultimo de'
fratelli, e usati tutt'i modi di manife- star a tempo la sua benignità, “non se
poterat ultra cohi- bere Joseph multis coram adstantibus”. In questo ebbe fine
quella sincera ed innocente dissimulazione; e segue nel Genesi a narrarsi la
sua pietà: “unde praecepit ut egrederentur cuncti foras, et nullus interesset
alienus agnitioni mutuae. Elevavitque vocem cum fletu, quam audierunt Aegyptii,
omnisque domus Pharaonis, et dixit fratribus suis: Ego sum Joseph -”. Era egli
nell'Egitto con suprema gloria, e già chiamato salvator del mondo; con tutto
ciò, non tenendo conto dell'offese, dissimulò d'esser fratello, per dimostrarsi
piú che fratello. Io non so chi possa ritener le lagrime, leggendo quella
pietosa istoria, dalla qual si può apprender la dolcezza del per- dono e del
dissimular l'ingiurie, e massimamente quan- do vengon da persone tanto care quanto
son i fratelli. Come quest'arte può star tra gli amanti Amor, che non vede, si
fa troppo vedere. Egli è pic- ciolo, e come disse Torquato Tasso: Picciola è
l'ape, e fa col picciol morso pur gravi e pur moleste le ferite; ma qual cosa è
piú picciola d'Amore, se in ogni breve spazio entra, e s'asconde?. Nondimeno è
pur tanto grande, che non ha luogo da potersi in tutto nasconder, è quando è
giunto al suo cen- tro, ch'è il cuore, se non si mostra per altra via, accende
quella febre amorosa della qual era infermo Antioco e di che il Petrarca fe' che
dicesse Seleuco: E se non fosse la discreta aita del fisico gentil, che ben
s'accorse, l'età sua in sul fiorir era fornita. Tacendo, amando, quasi a morte
corse; e l'amar forza, e 'l tacer fu virtute; la mia, vera pietà, ch'a lui
soccorse. Quindi si può considerar come, mettendosi fuoco a tutta la casa, le
faville, anzi le fiamme, ne fan publica pompa per le finestre e dal tetto.
Tanto avviene, e peggio, quando amor prende stanza ne' petti umani, accen-
dendogli da dovero, perché i sospiri, le lagrime, la palli- dezza, gli sguardi,
le parole, e quanto si pensa e si fa, tutto va vestito con abito d'amore. Cosí
dunque di Antioco, nell'amor verso Stratonica sua matrigna, ancorch'egli
tacesse, si palesò l'incendio nelle vene e ne' polsi. Non avea consentito di chiamarsi
amante DIDONE, mentre Amor in figura di Ascanio trattava con lei; ma niuna cosa
mancava, perché già si vedesse accesa, come Virgilio va significando: Praecipue
infelix pesti devota futurae expleri mentem nequit, ardescitque tuendo Phenissa
et puero pariter donisque movetur. Ed ancorché andasse velando gli stimoli
della piaga interna, nel progresso del suo affetto, At regina gravi iamdudum
saucia cura vulnus alit venis at caeco carpitur igni, pur, quello che la lingua
non avea publicato, fu espresso nelle strida della piaga ch'ella stessa
disperata si fe', conchiudendo Virgilio: Illa, graves oculos conata attollere,
rursus deficit: infixum stridet sub pectore vulnus. Di Erminia si ha, da
Torquato Tasso, che avea dissi- mulato il suo pensiero, e ch'ella poi disse a
Vafrino: Male amor si nasconde. A te sovente desiosa i' chiedea del mio
signore. Vedendo i segni tu d'inferma mente: - Erminia - mi dicesti - ardi
d'amore. - Io te 'l negai, ma un mio sospiro ardente fu piú verace testimon del
core; e 'n vece forse della lingua, il guardo manifestava il foco onde
tutt'ardo. Il medesimo dolor che tormenta gli amanti, se non ba- st'a far che
dicano i loro affetti, si muta in ambizione amorosa di dimostrarli; e se gli
animi onesti si contenta- no di non manifestarsi, con gran fatica si riducono a
portar intiero il manto che ha da coprir tanti affanni. L'ira è nimica della
dissimulazione Il maggior naufragio della dissimulazione è nell'ira, che tra
gli affetti è 'l piú manifesto, essendo un baleno che, acceso nel cuore, porta
le fiamme nel viso, e con orribil luce fulmina dagli occhi; e di piú fa precipitar
le parole, quasi con aborto de' concetti che, di forma non intieri e di materia
troppo grossa, manifestano quanto è nell'animo. Molta prudenza si richiede, per
rinchiuder cosí gagliarda alterazione; e di chi è trascorso a tanto impeto,
disse Platone: “tanquam canis a pastore, ita de- nique revocatus ab ea quae in
ipso est ratione mitescat.” Era Achille in questa passione contra Agamennone,
quando “truculento intuens aspectu: - O vir - inquit - ex dolo totus atque
imprudentia factus ac genitus, et quis tibi Graecorum posthac libens pareat? Ma
l'ufficio della ragione, significata per Minerva scesa dal cielo, va
temperando: “ - Non venit - inquit - a caelo, Achilles, ut te iratum in
ultionem iniuriae acceptae erumpere vi- deam, sed ut ira<cundia>m tuam
compescam - Sí che Omero, in questa occasione di Achille, spiega insieme quanto
importi la dissimulazione. Da due potenti stimoli procede tanta licenza di
parole nell'ira, cioè dal dispia- cere e dal piacere, perché ella è appetito,
con dolore, di far vendetta che si dimostri vendetta, per dispregio che
crediamo fatto di noi, o d'alcuno de' nostri, indegnamen- te, come disse
Aristotile; ed a questo dolor segue il di- letto, che nasce dalla speranza di
vendicarsi, e perché l'animo è in atto di vendetta: e però ARISTOTELE soggiun-
se: “recte illud de ira dictum est quod, defluente melle dulcior, in virorum
pectoribus gliscit”. Dunque, da cosí fatto misto di amaro e di dolce, dee
guardarsi chi non si vuol mostrar facilmente turbato, come sogliono parer
gl'infermi, i poveri e gli amanti, e tutti quelli che si fan vincer dal
disiderio. Importa il prevenir con la conside- razione di quanto è maggior
diletto vincer se stesso, in aspettar che passi la procella degli affetti, e
per non deli- berare nella confusione della propria tempesta; ma nel sere- no
dell'animo che, ritirato ogni pensiero nell'altissi- ma parte della mente,
potrà sprezzar molte cose, o non curar di vederle. Chi ha soverchio concetto di
se stesso ha gran difficultà di dissimulare L'error che si può far nel
compasso, il qual si gira nel- l'opinion di noi stessi, suol esser cagion che
trabocchi ciò che si dee ritener ne' termini del petto; perché, chi si stima
piú di quello che in effetto è, si riduce a parlar come maestro, e parendogli
che ogni altri sia da men di lui, fa pompa del sapere, e dice molte cose che
sarebbe sua buona sorte aver taciuto. Pitagora, sapendo parlare, insegnò di
tacere; ed in questo esercizio è maggior fati- ca, ancorché paia d'esser ozio.
I concetti che risuonano nelle parole, non solo portano l'imagine di quelli che
stanno nell'animo, ma son fratelli mentali (già che non posso dir carnali) del
concetto che l'uomo ha del suo sa- pere. Questo è il concetto primogenito (per
dir cosí), al qual succedono gli altri; e se non è con misura, ne procedono
molti e vari ragionamenti, e di necessità però si scopre quanto è nel pensiero;
ma chi di sé fa quella sti- ma che di ragion conviene, non commette alla lingua
maggior giuridizzione di quanto è il lume dell'intelligen- zia che la dee
muovere. 42 XVII. Nella considerazione della divina giustizia si facilita
il tollerar, e però il dissimular le cose che in altri ci dispiacciono Convien
di trattar di alcune cose piú in particolare, che ricercano d'esser tollerate,
ch'è lo stesso a dir dissi- mulate, poiché sono molt'i dispiaceri dell'uomo
ch'è spettator in questo gran teatro del mondo, nel qual si rappresentano ogni
dí comedie e tragedie; ed or non dico di quelle che son invenzioni de' poeti
antichi o mo- derni, ma delle vere mutazioni del mondo stesso, che da tempo in
tempo, in quanto agli accidenti umani, prende altra faccia ed altro costume.
L'ordine è forma che fa il tutto simigliante a Dio, che lo creò e lo serba col
dono della sua providenza, la qual per lo gran mar dell'essere ogni cosa
conduce con prospero viaggio; e disponendo la medesima regola sopra il merito o
demerito delle ope- re umane, si vieta nondimeno alla debolezza de' nostri
pensieri il passar negli abissi de' consigli divini, alli qua- li si dee
infinita riverenza, avendosi da ricever per giu- sto quanto consòna alla
volontà di Dio. E se pur sempre non vediamo nelle cose mortali quell'ordine
infallibile che si manifesta nel moto del sole, della luna e dell'altre stelle,
anz'in molta confusione spesse volte si truovano i negozii di qua giú, non
manca però la certezza dell'eter- na legge, che tutto sa applicar ad ottimo
fine; e 'l premio e la pena, che non sempre vien pronta, si aspetti come
decreto inseparabile dal giudizio divino, che per tutto va penetrando con la
sua non mai limitata potenzia. A questa verità, ch'è via di quiete, per
dissimular le sinistre apparenze, soggiungerò piú distinto il modo di accom-
modarsi a quelle. Gran tormento è di chi ha valore, il veder il favor del- la
fortuna, in alcuni del tutto ignoranti; che senz'altra occupazione, che di
attender a star disoccupati, e senza sa- per che cosa è la terra che han sotto
i piedi, son talora padroni di non picciola parte di quella. Veramente chi si
mette a considerar questa miseria, è in pericolo di perder la quiete, se
insieme non s'accorge che la medesima for- tuna, che talora fa qualche piacere
alla turba degli scioc- chi, suol abbandonar l'impresa, e quando piú luce, si rompe,
lasciando scherniti que' che non son degni della sua grazia; e di piú la gente
di questa qualità, non ha che pretender per l'acquisto di quella gloria, che
solamente appartiene a chi sa da dovero; e se qualche uomo di ec- cellente
virtú, alcuna volta sta quasi sepellito vivo, in ogni modo si ha da udir il
grido del suo merito; e non solo la voce ne dee risonar tra quelli che vivono
nel me- desimo tempo, ma se ne va passando da un secolo all'al- tro; perché il
vero valor è che fa per fama gli uomini immortali, come disse il Petrarca; e
prima di lui ALIGHIERI: vedi se far si
dee l'uomo eccellente sí ch'altra vita la prima relinqua. Di questa maniera si
libera il nome dalle mani della morte, ed un'anima piena di cosí alta speranza,
non sente noia che a qualche indegno e da poco, per poco tempo, si faccia
applauso, es- sendo un salto di fortuna che se ne passa senza lasciar ve-
stigio, come il fumo nell'aria. Del dissimular all'incontro dell'ingiusta
potenzia Orrendi mostri son que' potenti, che divorano la sostanza di chi lor
soggiace; onde ciascuno, che sia in pe- ricolo di tanta disaventura, non ha
miglior mezzo di ri- mediar, che l'astenersi dalla pompa nella prosperità, e
dalle lagrime e da' sospiri nella miseria; e non solo dico del nasconder i beni
esterni, ma que' dell'animo; onde la virtú, che si nasconde a tempo, vince se
stessa, assicu- rando le sue ricchezze, poiché il tesoro della mente non ha men
bisogno talora di star sepolto, che il tesoro delle cose mortali. Il capo che
porta non meritate corone, ha sospetto d'ogni capo dove abita la sapienzia; e
però spesso è virtú sopra virtú, il dissimular la virtú, non col velo del
vizio, ma in non dimostrarne tutt'i raggi, per non offender la vista inferma
dell'invidia e dell'altrui ti- more. Anche lo splendor della fortuna ha da
esser cauto nel palesarsi, già che, passando a dimostrazioni di soverchi arnesi
e di oziosi ornamenti, oltre al distrugger il capital nelle spese, suol
accender gran fuoco nella pro- pria casa, destando gli occhi degl'ingordi a pretenderne
parte, e forse il tutto. Ma piú dura è la fatica di dover pi- gliare abito
allegro nella presenza de' tiranni, che so- glion metter in nota gli altrui
sospiri, come di DOMIZIANO (si veda) dice TACITO. PRAECIPVA SVB DOMITIANO
MISERARIARVM PARS ERAT VIDERE ET ASPICI CVM SVSPIRIA NOSTRA SUBSCRIBERENTVR CVM
DENOTANDIS TOT HOMINVM PALLORIBVS SUFFICERET SAEVS ILLE VULTS ET RUBOR A QUO SE
CONTRA PVDORE MVNIEBAT. Sí che non è permesso di sospirare, quando il tiranno
non lascia respirare, e non è lecito di mostrarsi pallido, mentre il ferro va
facendo vermiglia la terra con sangue innocente, e si niegano le lagrime che
dalla benignità della natu- ra son date a' miseri come propria dote, per formar
l'onda che in cosí picciole stille suol portar via ogni grave noia e la- sciar
il cuor, se non sano, al- men non tanto oppresso. Del dissimular l'ingiurie
L'ingiuria, che si può dissimulare, e nondimeno si manifesta nel disiderio
della vendetta, è fatta piú da colui che la riceve che dal suo nimico. Non
tutti sanno ben conoscer il decoro dell'onesta tolleranzia, in che si accordano
tutt'i filosofi, che per altre opinioni, in varie set- te, non son di conforme
parere, dicendo Tertulliano: “tantum illi subsignant, ut cum inter sese variis
sectarum libidinibus et sententiarum aemulationibus discor- dent, solius tamen
patientiae in commune memores, huic uni studiorum suorum commiserint pacem: in
eam conspirant, in eam foederantur, illi in adfectatione virtutis unanimiter
student, omnem sapientiae ostenta- tionem de patientia praeferunt. Alcuni, non
distinguen- do la forteza dal temerario ardire, son pronti ad ogni qualità di
vendetta, e per un cenno che non sia fatto a lor modo, vogliono penetrar negli
altrui pensieri e dolersene come di offese publiche. I sensi cosí fieri son
vicini ad estremi mali, e l'esperienza dimostra che le picciole in- giurie, se
non si lascian passar sotto qualche destrezza, sogliono diventar grandi; ed a
tutti color che son potenti, molto piú convien di ritirar la vista da simili
occasioni: perché ogni un che possa poco, è buon maestro a' suoi pensieri, per
accommodarsi a tollerare; ma chi ha forza di risentirsi, sente stimolo di
correr a precipizio, e molti di questi che stanno in alta fortuna, scordati non
solamente di usar perdono, ma della proporzion della pena, prendono mezzi
violenti per l'altrui ruina; da che avviene ch'essi pur rimangono in tanta
turbazione de' fatti loro che, oltre all'odio publico, son anche in odio a se
medesimi, per la perdita della quiete interna, ch'è bene inestimabile ed appartiene
all'innocenzia. Del cuor che sta nascosto Gran diligenza ha posta la natura per
nasconder il cuore, in poter del quale è collocata, non solo la vita, ma la
tranquillità del vivere: perché nello star chiuso, per l'ordine naturale si
mantiene; e quando gli occorre di star nascosto, conforme alla condizion
morale, serba la salute delle operazioni esterne. E pur in questo modo, non a
tutti si dee nasconder; onde, nell'elezzione, si con- sideri quello che fu
detto da Euripide Sapienti diffidentia non alia res utilior est mortalibus.
L'esperienza, che si suol doler degl'inganni, potrà far luce in questa materia,
ch'è una selva oscura per l'incertezza del ben eleggere; e però ogni ingegno
accorto va- gliasi degli abissi del cuore, ch'essendo breve giro, è capace
d'ogni cosa; anz'il mondo intiero non lo riempie, poiché solo il Creator del
mondo può saziarlo. Si ammira, come grandezza degli uomini di alto stato, lo
starsi ne' termini de' palagi, ed ivi nelle camere segrete, cinte di ferro e di
uomini a guardia delle loro persone e de' loro interessi; e nondimeno è chiaro
che, senza tanta spesa, può ogni uomo, ancorch'esposto alla vista di tutti,
nasconder i suoi affari nella vasta ed insieme segreta casa del suo cuore,
perché ivi soglion esser quei templi sereni, de' quali cantò Lucrezio: sed
nihil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapientium templa
serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantes
quaerere vitae. Applicando io però questi versi al senso che conviene a
significar un'altezza d'animo, ed una quiete, che con- duce al piacer ed alla
gloria immortale, e non al diletto fallace. La dissimulazione è rimedio che
previene a rimuover ogni male Era tanto stimata da Giob la dissimulazione
onesta che, non avendo lasciato di valersene nel suo regno, poi che si vide
privo di prosperità, parendogli di aver fatto assai dalla parte sua perché non
gli fosse caduta dalle mani, disse: Nonne dissimulavi? nonne silui? nonne
quievi? et venit super me indignatio. Egli con tranquillità governò il suo
stato, e sempre che potette dissimular, lo fe' volentieri; e però s'era per-
suaso che non avesse da seguir mutazione nelle cose sue, ben assicurate dalla
prudenzia, che in sé raccoglie- va dissimulazione, silenzio e quiete. Ma se con
tutto ciò cadde in miseria, fu voler di Dio, che si compiacque di far vedere
nella persona di quel santo una invitta costan- za e 'l trionfo della
pazienzia, che nel carro della vera gloria si menò appresso come catenati
tutt'i mali, fin ch'egli ebbe la prístina felicità con duplicate sodisfazzioni;
e quella sua giustizia, che nel termine della sem- plice natura si dimostrò al
mondo, sarà esempio in tutt'i secoli per affermare che i servi di Dio, in ogni
condizio- ne, son sempre beati. Dunque Giob era tale, anche nel tempo de' suoi
tormenti; ma per non uscir dalla materia di che vo trattando, dico ch'egli,
facendo il conto con la sua conscienzia, dicea: “Nonne dissimulavi? nonne si-
lui? nonne quievi?”, volendo significar che a questa dili- genza non suol
mancar piacer alcuno; e quando succede qualche accidente che perturbi tanto
sereno, vuol il cielo che, dopo l'avversità, si accresca splendor agli animi
che son alieni dagli affetti della terra. In un giorno solo non bisognerà la
dissimulazione È tanta la necessità di usar questo velo, che solamente
nell'ultimo giorno ha da mancare. Allora saran finiti gl'interessi umani, i
cuori piú manifesti che le fronti, gli animi esposti alla publica notizia, ed i
pensieri esaminati di numero e di peso. Non averà che far la dissimulazio- ne
tra gli uomini, in qualunque modo si sia, quando Id- dio, che oggi “est
dissimulans peccata hominum”, non dissimulerà piú; ma poste le mani al premio
ed alla pena, metterà termine all'industria de' mortali, e que' sa- gaci
intelletti, che hanno abusato il proprio lume, si accorgeranno come allora non
gioverà l'arte del cucir la pelle della volpe dove non arriva quella del leone,
che fu consiglio di un re spartano: perché l'onnipotente Leo- ne, facendo
ruggir il mondo dagli abissi fin alle stelle, chiamerà tutti; e ciascuno dee
saper e dire circumdabor pelle mea, come disse Giob. Quell'aurora porterà un
giorno tutt'occupato dalla giustizia, e nel mostrar i conti, non vi sarà arte
da far vedere il bianco per lo nero. S'udirà il decreto, che sarà l'ultimo
delle leggi, e darà legge eterna alle stelle ed alle tenebre, al piacer ed alla
pena, alla pace ed alla guerra. Sarà forz'alla dissimulazione di fuggirsene in
tutto, quando la verità stessa aprirà le finestre del cielo e, con la spada
accesa, troncherà il filo d'ogni vano pensiero. Come nel cielo ogni cosa è
chiara Se per questa vita in un giorno solo non bisognerà la dissimulazione,
nell'altra non occorre mai; e lasciando di trattar delle anime infelici che,
con la luce del fuoco eterno, anzi nelle tenebre, mostrano gli orribili mostri
de' peccati, dirò dello stato delle anime eternamente felici. Ivi hanno lo
specchio, ch'è Iddio, il qual vede tutto, e ben nella lingua greca il suo nome,
come osserva Gregorio Nisseno, dimostra efficacia di vedere, perché theós viene
a theáome, ch'è mirare e contemplare. Veggono i beati colui che vede, sí che
nel cielo non occorre che alcuno si celi. Ivi tutto è manifesto, perché tutto è
buono, tutto è chiaro, tutto è caro. Quanti piú sono a possedere il sommo bene,
tanto piú son ricchi. Dov'è tanto amor, non può succedere occasion di custodire
in- teresse alcuno. Ma qui, dove siamo vestiti di corruzzio- ne, si procura con
ogni sforzo il manto, con che si dissi- mula per rimedio di molti mali; ed
ancorché ciò sia one- sto, pur è travaglio; onde si dee aspirar al termine di
questa necessità, e spesso, rimovendo lo sguardo dagli oggetti terreni,
vagheggiar le stelle come segni del vero lume che, anche per mezzo d'esse,
c'invita alla propria stanza della verità. Ivi, nella divina essenza, i beati
go- dono della chiara vista, ch'è l'ultima beatitudine dell'uomo, essendo la
piú alta operazione dell'intelletto, per mezzo del lume della gloria che lo
conforta; perch'essendo la divina essenza sopra la condizione dell'intellet- to
creato, può questi vederla, non per forze naturali, ma per grazia; e come uno
ha maggior lume di gloria del- l'altro, cosí può meglio conoscerla, ancorché
sia impos- sibile vederla quanto è visibile, perché il medesimo lume della
gloria, in quanto è dato a tal intelletto, non è infinito. Or, considerando
cosí sodisfatti, cosí felici, ed in eterno sicuri, gli abitatori del Paradi-
so, si vede come non han da nasconder di- fetto alcuno; e per conseguenza la
dissimulazio- ne rimane in ter- ra, dove ha tutti i suoi ne- gozii. The first stage X produces a
screech volunaarity so that the rest of the world should think that x he is in
the state wwhich the NON-voluntary production would SIGNIFY. Stage 2, produce X is now supposed not only TO SIMULATE
pain-behaviour but also to be recognised as simulating pain-behaviour. Stage
three X screes so that Y not only
recotgnises that the behaviour is voluntary but also recognises that X intends
Y to recognise his behaviour as voluntary. We have underminded that this is a
straightforward piece of DECEPTION. DECIEVING consists in trying to get a
creature to accept certain things as SIGNS of something or other wihout knowing
that this is a FAKED case. Were would weuld have a sort of PERVERSE faked case
in which something is faked but at the same time a CLEAR thindictation is put
in that the faking has been done.Y can be thought of as initially BAFFLED by
this conflicting performance. There is this creature simulating pain but
ANNOUNCING, that this what he is doing. What on earth can it be up to me. If Y
does raise the question of why X should be doing this, Y might first come up
with the idea that X is engagnen in some form of make believe – a game to which
Y is expected to make some appropriate contribution. This is stage 4. But we
may suppose, tthere might be cases which coud NOT be handled in this way. If Y
is to be expected to be a participant whith X in some form of play, it ought to
be possible for Y to recognise what kind of contribution Y is supposed to make.
And we can envisage the possibility that Y has NO CLUE on which to base such
recognition, or again that though some form of contribution seems to be
suggested, when Y obliged by coming up with it, X instead of producing further
play-behaviour geets corss and perhaps repeats its original and now problematic
performance. This is stage 5, at which U supposes thanot that X is engaged in
play that buta what I is doing is trying to get Y to believe or accept that X
is in pain. In relation to the particular example which I have been using, to
reach the position ascribed to in in stage five, Y would have to solve, bypass,
or IGNORE, a possible problem presented by X/s behaviour. Why SHOULD X produce
what is NOT a genuine but a FAKED expression of pain if what X is trying to get
Y to believe is that X IS in pain? Wy not just let out a natural bellow?
Possible answers are not too hard to come by. For example, it would be UNMANLY,
or otherwise uncreaturely, for X to produce NATURALLY a natural expression of
pain, or that X’s NON-NATURAL faked production of an expression of sincere pain
is NOT to be supposed to INDICATE EVERY feature which WOULD be indicated by a
NATURAL production. The non-natural production or emission, for example, of a
LOUD BELLOW might properly be taken to indicate pain, not that THAT degree of
pain wich would correspond with the DECIBELS of the particular emission. This
problem would not, however, arise if X’s performance, instead of being
something which, in the NATURAL INVOLUNTARY case, woud be an EXPRESSION of the
STATE of X which (in the non-natural faked case) is is intended to get Y to
believe in, were rather something MORE LOOSELY connecterd with the state of
affairs (NOT NECESSARILY A STATE OF X) which it is intended to conveye to Y.
X’s performance, that is, would be SUGGESTIVE, IMPLICATURAL, in some
recognizable way, OF THE STATE of affairs WITHOUT being a NAUTRAL involuntary
response of X to THAT state of affairs. We reach then stage 6. Where the
correlation is meant to be something other than inconic. A stage in which the
communication vehiles do not ave to be, initially A NATURAL SIGN of what which
it is used to communicate. Provided a bit of behaviour could be expected to be
seen by the receiving creature as having a discernible connection with a
particular piece of information, that bit of bheaviour will be usable by the
transmitting creature, provided that the creature can place a fiar bet on the
cconnetion being made by the receiving creature. Any link will do, proided it
is detectable by the receiver, and the ooser the links creatures are in a
position to use, the greater the freedom they will have as communicators, since
they will be less and less restricted by the need to rely on a proor natural
connection. The widest possible range is given where creatures use for these
purposes a ANGE of communication devices which or gamut of communication
devices which have NO ANTECEDENT connection at all with the things that they
communicate or represent, and the connection is simply made ofbecause the
sassupmtion of such an artificial connection is prearranged and foreknown. Here
creatures can simply cash in on the stock of information built into them. In
some cases, the devices might have other features above the one of being
artividial. They might infolve a finite number of roto devices and a FINITE set
of fmodes or forms of combination – combinaroty operations, which are cableble
of being used over and over again. The creatures whihcll have what some have
thought to be characteristic of a language, a communication system with a
finite set of initial devices, together with semantic provisions for them, and
an understanding of what the functions of those modes of comination are. As a
result, they can generate an infinite set of complex communication devices,
together with a correspondingly infinite set of things to be communicated. This
gives a rationale ro communiationThe muth exhibits the conceptual link Torquato
Accetto. Keywords: dissimulazione onesta,
dissimulazione disonesta nell’animali – mimesis – camuffare, camouflage,
laboratorio di mascheramento – vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito
italiano. vegetato: camuffamento uffiziale dell’esercito italiano, simulation
as the key concept to unify the only sense of ‘sign’ x consequentia y, y
seq-uitur x, segno naturale divenne segno artificiale – segno di una
proposizione p – un gesto segna la proposizione p, la correlazione e iconica –
ma se intenzionale, it cannot be ‘natural’. Passage in ‘Meaning revisited’ --. --
Giulio Cesare, Medici – grigio – esercito, bande nere.—Torquato Accetto. Accetto.
Refs. Luigi Speranza, “Grice ed Accetto” – The Swimming-Pool Library, Villa
Speranza, Liguria. #accetto
Grice ed Acilio: la
ragione conversazionale e il discorso al senato sulla giustizia -- Roma antica
-- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo italiano. A philosopher
specialised in political philosophy. He happens to be pretty fluent in Greek,
and serves as interpreter for Carneade of Cyrene, Diogene of Seleucia, and
Critolao, when they come to Rome to represent Athens before the Senate. Senatore e storico. Grazie alla sua posizione
politica, anche se non di primo piano, e soprattutto alla sua conoscenza del
greco, introduce al senato romano i tre filosofi Carneade dall’Accademia,
Diogene del Lizio e Critolao dalla Scesi, venuti come ambasciatori di Atene, e
funge da interprete. Seguendo l'esempio di QUINTO FABIO PITTORE, a cui si
attribuisce il merito d’iniziare la storiografia latina, scrive una storia di
Roma, di impostazione annalistica, che anda dai primi tempi, secondo Dionigi di
Alicarnasso e Livio. La storia è commentata d’altro annalista, GAIO CLAUDIO
QUADRIGARIO. A giudicare dagli VIII frammenti conservati, sembra di potersi
notare che, come l'opera di FABIO PITTORE, anche la storia di A. dedica molto
spazio al racconto dell’origini. È accostabile al suo predecessore anche dalle
discussioni eziologiche per cerimonie e istituzioni cultuali, che egli vede
come indice del fatto che Roma è una città di origine greca. Macrobio,
Saturnalia. Periochae. Livio. In F. Gr. Hist. Jacoby. H. Peter, “Historicorum Romanorum
Reliquiae” (Leipzig, Teubner), Altheim, “Untersuchungen zur römischen Geschichte”
(Frankfurt), Cornell e Bispham, “The fragments of the Roman historians” (Oxford)
-- discussione su vita, opere e frammenti. Gens Acilia. Antica Roma
Biografie Letteratura. Quinto Fabio Pittore politico e storico romano
Annales Cincio Alimento opera dello storiografo romano Lucio Cincio Alimento
Gaio Asinio Quadrato. storico e politico romano. Gaio Acilio. Acilio.
Grice ed Achillini: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Bologna –
filosofia bolognese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza,
pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo Emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia
– Romagna. Grice: “It is from Achillini that I draw the idea that ‘mean’ is
essentially a ‘consequentia’ relation – he speaks of the sillogismo
fisiognomico (those spots do not mean measles, YOU mean that you have measles,
since you painted them yourself!” – but then he was ‘of’ Bologna, and thus a
physician, more than a philosopher! Bless his little heart!” Grice: “The fact
that the Loeb Classical Library has Aristotle’s Physiognomica helped!” --
Grice: “I like Achillini; he is my type of logician.” “Possibly, his most
generalised implicature is his little philosophical tract on ‘de prima
potestate syloogismi,’ translated during the second world war as “la prima
potesta del sillogismo.’ His example: “all men are mortal, Garibaldi!” --
Essential Italian philosopher. Grice: “What fascinates me about Achillini is,
first, that he belonged to a varsity older than mine, Bologna; second, that he
was a Renaissance occamist, as Matsen has shown.” Docente in
filosofia a Bologna e Padova, designato "il secondo Aristotele." Di
natura molto semplicistico, qualificato nelle arti d’adulazione e di doppio
gioco a tal punto che i suoi studenti più argute e imprudenti spesso lo
considerano come un oggetto di ridicolo, anche se lo onorano come insegnante.
Posse anche un bel carattere vivace. Secondo la descrizione di un collega, è
bello, alto ma ben proporzionato, allegro, felice, spesso sorridente, e
affabile. Mai sposato. La sua reputazione tra i suoi colleghi è ammirevole ed
era molto rispettato. E anche se era ben A. lettura e formidabile in un
dibattito, è stato detto di essere un po 'rigida e rigido nella sua docenza.
Dopo la sua morte, molte persone sono state estremamente devastati. Le sue opere filosofiche sono state stampate
in un volume in folio, a Venezia, e ristampato con notevoli aggiunte. Muore a
Bologna e sepolto nella chiesa di S. Martino. Tra le sue scoperte notevoli è
conosciuto come il primo anatomico per descrivere le due ossa tympanal
dell'orecchio, chiamato martello e incudine. Ha mostrato che il tarso (parte
centrale del piede) è costituito da sette ossa, ha riscoperto il fornice e
l'infundibolo del cervello. Inoltre ha descritto i condotti delle ghiandole
salivari sottomascellari. Suo fratello è
stato l'autore Giovanni Filoteo Achillini, e il suo pronipote, Claudio
Achillini, un avvocato. È costretto a lasciare Bologna a causa della espulsione
della potente famiglia Bentivoglio di cui era un partigiano. Poi anda a Padova
dove è nominato professore di filosofia. Professore di filosofia a Bologna. A.
era un professore presso Padova. A. insegna a Bologna per anni, che è più lungo
di chiunque abbia mai insegnato a Bologna in la filosofia. Padova ha uno
statuto, che se un professore è riuscito a leggere in qualsiasi giorno
assegnato, o non è riuscito ad avere un certo numero di studenti che sarebbe
essere documentati e poi ci sarebbe stata una diminuzione di stipendio per
evento. A. non soddisface il requisito per la lettura, a cui è stato
penalizzato 351 lire bolognesi. Anche riceve due lettere fortemente formulate
dal Comune di Bologna, affermando che la sua assenza non e autorizzata, e se
avesse continuato avrebbe penalizzato severamente: 500 ducati d'oro per la
prima infrazione. Partecipa molti comitati di dottorato come membro per l'esame
e l'approvazione dei candidati. Ci sono registrazioni di lui che frequentano
almeno novanta volte al presente procedimento. I procedimenti sono esami di
dottorato o di elezioni dei nuovi membri della compagnia di collegiali
medici. Inoltre, e ben versato in
teologia. I suoi disegni iniziali indicano un interesse ad entrare al
sacerdozio. Egli sembra aver iniziato gli studi al seminario. L'anno in cui è
entrata la tonsura nella Cattedrale di Bologna. E anche se poi sposta la sua
attenzione al mondo accademico, rimanne un filosofo attivo per tutta la sua
vita e ha contribuito a due Congressi Generali dell'Ordine Francescano; uno a
Bologna e un altro terrà a Roma. Mentre in residenza a Bologna, è accreditato
come strumentale nel generare interesse per Ockham. L'estensione del riconoscimento
alcuno di A. è difficile da discernere, ma si ritiene che i suoi contemporanei
e all'università istigato una breve rinascita Ockhamistica, come evidenziato
dagli ultimi lavori dei suoi studenti.
pubblicazioni Le “Note anatomiche” dimostrano una descrizione
dettagliata del corpo umano. Paragona ciò che trova durante i suoi dissezioni a
ciò che altri come Galeno e Avicenna trovano e note le loro somiglianze e
differenze. Afferma ci sono sette caratteristiche in sede di esame del corpo al
posto del credeva sei data nel libro di Galeno sulle sette. Queste
caratteristiche sono sette dimensioni: I il numero, II la posizione, III la
forma, la IV sostanza come in sottili o spessi, VI sostanza in polposo o ossea,
e VII carnagione. In questo saggio, dà anche indicazioni come come procedere
con alcune dissezioni e le procedure, come la castrazione, l'estrazione della
pietra, e la rimozione della gabbia toracica di esaminare ulteriormente il
cuore ei polmoni. E 'stato anche
distinto come un anatomista, tra i suoi saggi che sono: “De humani corporis
anatomia” (Venezia), e Expliciunt Annotationes anatomicae in Mundinum Magni
Alex. Achilini Boron. Editae per euius fratrem Philoteum (Bologna) – Achillini
Bononiensis opera lima ejusce actoris repollita et extersa ac denuo maxima cura
ac diligentia impressa (Venezia). Di Achillini Annotationes anatomicae è stato
pubblicato da suo fratello, Giovanni Filoteo,
E 'stato pubblicato in un piccolo formato di diciotto fogli con un paio di
poesie di sei e due righe ciascuna. Ulteriore lettura Franceschini, Dizionario
della biografia scientifica Matsen --
la sua dottrina di "universali" e "trascendentali": uno
studio in rinascimentale Ockhamism. Bucknell. Gallerie online, storia della
scienza collezioni, Oklahoma Biblioteche immagini ad alta risoluzione delle
opere di e / o ritratti di A. in e il formato.tiff. finiti vigoris sit Deus
telligat. Vtrum prima forma quæ estvi tor. Virum quodam ordine recedant
intelligentiæ mediæ a prima. Virum
intellectus possibilis subijciatur accidentibus. Verum incellectus possibilis
sit formadansesschominé. In libro de Orbibus. Cælum est in
generabile. Cælum non est calidum nifi virtualiter Cælum non indiget Athlante,
ncq; anima cogente. Cælum eft naturæ ncutræ, Dubium secundum. Vtrum speciz differant
stella, et o r Stella est continua suo orbi. Stella eft dextrum cæli, Noucm
gradus felicitatis secundum ARISTOTELE et Commé Inter cælos non cft corpus
replens vacuum. rarorem, ibidem. Quid sic copulatio. Quomodo intelligitur
propositio dicens recipiens debetelle Verum quaruncung; intelligentiarum
perfectio attendatur ibidem Vtruntalis sit proportio moventiú, qualis
eftrefiftentiarī. ibi. Omnes diversitas stellarum pene proportionabilem habet
Non etf ella terræ aliquando propinqua et aliquandoree Tantum motu diurno cælum
stellarum mouctur. Puncto velocissimo diurni motus non describitur æquino
Aialis. Sufficit Afrologis imaginarium esse orbem, quem putant Infra Solem sunt
Venus et Mercurius. Vtrum talis fit proportio motus ad motum in velocitate,
Regularis eft motus cæli. ibidem Verum apud Theologá independentia inferat
infinitate. ibid. Dubium quartum. Vtrum intelligentia sit. Solius naturalis est
subftantia abftra et áelle dernóftrare. Dubium sextum.Verum intellectus
moucatur. Deus non est condensabilis, ncq; rare factibilis.
Deus non eft intentionaliter variabilis. Intelligentiæ mediæ sunt ingenerabiles
et incorruptibiles. Intelligentiæ mediæ sunt non augmentabiles et non
diminuibiles. Intelligentiæ mediæ non sunt rarefa&ibilcs, autcondensa Intd
qualis cf desidcrijad desiderium. An homo cognoscar infinitatem Dei.
Quid per infinitatem intelligendum sit. ibidem ibidem per se entiores. Vtrum
possibile sit imaginare Deum esse potentiale. ibid. Vtrum Deus conservar
intelligentias. ibidem Vtrum ex maiore de necessario sequatur conclusio de
necella ibidem Ve rum 1. de generatione, tex.com.13. probetur ab Aristotele
materiam esse æternam. ibidem rio in figura prima. -- penes appropinquationem summo. VBIVM
primum.Vtrum in Vtrum tantum Deum Deus in VTRVM in calofirmateria. Cælum est
necessarium et æternum. Vtrum possibile fitcs homo antequam moriatur intelligat
substantias separatas. Dubiumtertium. Vtrůcccentrici, et epiciclis intponendi.
Cælinon sunt perforati. Virum quanto naturæ lune viciniores materiæ,
cantosingim timus finis, sit primus mo Vtrum Deus, liberomoucatcæ Cælum non est
rarefa &ibilcncque condensabile. Cælum non est senescibileneque fatigabile.
ibidem Dubium quintum.Vtrum Dæmon sit. ibidem Deus non est alecrabilis. Primus orbis mouet alios. Maxima sphærarum est stellata. Cælum est
incorruptibile. Cælum non est alterabile nisi intentionaliter Aggregatum omnium
cælorum est quasi vnum animal.Vtrum ponenda sir creatio. Vtrum
intelligemtiæmcdiæsint Cælum est cancumadiuum. productz. % Cælum est corpus
spirituale et divinum. Cælum est grave aut leve. Cælum non est augmentabilencg;
diminuibile. Cælum non est sensibile nisi visu. Stellamoucturad motum sui
orbis. Vnum est centrum mundi. in Sole.In libro de Intelligentijs. Vtrum Deus
fic intellectus agens. Quid intellectus adeptus. stanci. primum mobile. ncq;
per accidens. denudatum à natura recepti. ibidem. mota. tumpot eft. aliquomodo.
Vtrum intelligentiæ inferiores intelligant superioram.VIRUM intellecus sit
VIRTUS materialis. Virum intellectum possibilem habeat omnis HOMO. Vtrum
intellectus possibilis sit pure pocentialis. bis cius. Vtrum felicitas sit
Deus. Nullo motum ouentur corpora
cælestia nisi circulari. Virum latitudo intelle&u ũlitvni formiter
difformis. Vtrum sequatur, Deus est infiniti vigoris, ergo mouetinin Verum
valcat hoc naturalicer mouct: ergo ipsum movet quan Vtrum infinitum sit
cognoscibile. Virum in substantia ponendus sit gradus. ibidem Verum aliquis sit
appetitus inclinationi naturali conformis Deus est ingenerabilis et incorruptibilis.
Deus non est augmentabilis nec diminuibilis. non bonus. Vtrum intelligentiæ se
conservent. Verum intelligentiæ dependcantam phancasmatibus. ibid. Vorum
PLATONE ponat formam quæ nonc idea. ibidem. biles. Intelligentiz mediz non sunt
alecrabilcs. lum. ibidem Non est intelle&us agens in Deo, nisi identice nec
possibilis Deus non est localicer mobilis neq; persc, ncq; per partem, Vtrum vniversales itnotius SINGULARI.
Intelligentiæ mediæ non sunt intentionaliter variabiles. Vtrum species prius
apprehendatur quam genus. Inintelligentijs medijs est aliquo modo intellectus
agens, et Vtrum formæ intentionales educantur deporencia materiæ. inrelle&
us possibilis. Intellectus possibilis est generabilis, et corruptibilis. Dubium
septimum. Vtrum cælum recipiat else ab intelligencia. Vtrum
vniversale sit innarum intelle&ui possibili, Vtrum scientia sit ipsum
scitum. Vtrum corpus subratione qua mouetur sit subiectum. Vtrum omnium
sensibilium corporum formas philosophus naturalis quidditatiue consideret. An
cælum philosophus naturalis quidditatiuc consideret. An naturalis scientia
pcedat ordinedo&rinæ metaphysicam. Quare in mathematica non possumus a
posteriori demon Quomodo movens primum consideratur a metaphysico. Dubium
uerit. o&auum Vtrum cælum mutationem termina vndecimum.Vtrum cælum sit
sphæricut. duodecimumVcrum cælum sit luminofum dese. Non est lumen lunæ
reflexum tantum. Dubium Dubium Vtrum morus cæli fuerit æternus. Cælum movetur
sine fatigatione et pæna. thematicam, naturalem, et metaphysicam. VBIVM
primum.Vtrum vniversalia ex i Intellectus agens deus. fant inintelle&u.
Vtrum vniversale sit nomen tantum. ios Verum vniuersales it ens rationis. Vtrum
vniversale sit respc&iuum. Vtrum vniversale sit extra animam in re
abstractum. Vtrum vniversalia sint extra animam. Vtrum vniversalia
substantiarum sint substantia. Vtrum vniuersale sit corporale. Vorum vniuersale
sit corruptibile. Vtrum vniversale existat nullo Singulari illius existente. An
felicitas considerat in scientia speculatiua. An felicitas sit vita. An felicitas sit sempiterna vita. An tanta sit
æquiuocatio dicatur de vivo et lapideo. Vtrum ad felicitatem requiratur
scientia moralis. Quomodo exdi&o speculatiuos equatur practicum. IIS Quid
demonstratio SIGNI, causæ tantum et causæ et eltc. De quibus causis considerat
naturalis, mathematicus, et dini Verum cuiusq; causati scientia sit per omnes
cius causas. Intelligentiæ mediæ sunt
localiter mobiles per accidens ab alio nonå se. sensatum sit in intellectu. Intellectus possibilis est augmentabilis et diminuibilis. Vtrum
vniuersalia sine obic&uni intelle&us. Vtrum vniuersalia ina&usinr
in intelle&u. Intelle et us est realiter alterabilis, terminatiue, non
subiectiua Intelle&tus possibilis eft localiter mobilis per accidens,
Intellectus possibilis est intentionaliter variabilis. Vtrum forma
inintelle&u habeatesse singulare. Verum vniuersale verius habeat
dscinintelle&uquàm ex Cælum est intelle&iuum, et appetitivum. bie
&tum neq; tali mutationem ut ab ir ura d non esse. Vtrum coelum sit sub ic
et um principale naturalium. Vtrum fubic&um attributionis in naturalibus
sit cælum. Non concederet Aristoteles cælum fuisse creatum neq annihilabitur.
Apud ARISTOTELE non incipit mundus esse neq;desincr. Ad omnes operationes
iniftis inferioribus cælum concurrit. Cælum iftis inferioribus non imponit
necessitatem. naturali neq causæ finalis. Efficiens duplex. Non est influentia
cæli instrumentum diftin&um a motu et primum efficiens à naturali
consideratur. Quomodo corpora cælesia sunt in loco. extra. Vtrum vniuersale fit idem
vel diuersum á singulari. Vtrum vniuersale fit causa fingularis. Quomodo,
materiaà mathematico consideratur. Quomodo naturalis quatuor causas considerat.
Vtrum melius sitponereinrationeformali subiedimobile 1Virum ex nihilo aliquidfiat.
quàm moueri. sophianaturali. Vnde Quid ficmoueri localiter, fecundum
forinam,& fecundum materiam. Quæ intelligibilia cósideranturà mathematico,
qàmetaphy. Dubium cercium decimum.Verum quiescente cæloparient Vtrumvnum&
idemfitcaulasubie&i& accidentis. contenta, Vtrum vniuerfale fic in
singulari. Cælum quatuorcausashaber. Vt rumvniuersalia declarent quidditatem
fingularium. Error Galeni de certitudinc Medicinæ pra&ticæ. Vtrum
vniuersaliaprædicenturde singularibus. ftrare. Quomodo ccelum alteratur. In intellectu
possibilieftintellc&tusagens. Ratio formalis subie& I naturalis
philosophiæ. Cælum estcffc &iúum habentiumnacurani in inferioribus. Non
totumgenuscausæformaliscósideraturà philosopho Cælum eft conferuatiuumhorum
inferiorum luminc.nus. Coelumestcompofitumexmateria et forma. Cælum
cftviuens,& non eftnegativum, Cælum eftaniinal, et noneftsensibile. TRTM
naturatum sitfubic&um inphilo Cælum eft finaliter, formaliter, et materialitercausatum.
Cælum est esse Aiue conservatum. Vtrum subiectum contincat omnes veritates ad
scientiam pertinentes. Non est mutatum cælum adellemutationenonhabentelu Vtrum
aliquid quod non moucturexsc, sitsubic&uminna turaliphilosophia Non fuit
mundus generatus,neq;corrumpetur.' Vtrum subiectum philosophiæ sit
ampliusquàmcorpus. Dubiumnonum. Vtrum cælunifitfinitæmagnitudinisin Quidsitordo
corporum inphilosophianaturali. adu. Quid fitordo perfectioniscorporum naturæ.
Dubium decimum.Vtrum coeluitiilicvnum. Virum motus coelifit naturalis. In
intellectum humanum nondire&eagiccælum. In Tractatúde Vniuerfalibus. Vtrum
moralis scientiafitexcludeda àtrinaphilolophiæ di uisionc pofira ab Arift.
metaphysicæ tex.com.2.in m a Vtrùm vniuersaliasinescientiarci.
Vtrumvniuersaliafinirforniæ Vtrum vniucrsaleànaturadenominatadifferat: Vtrum
morssequaturadnaturam materie philosophia naturalis prima ordine doctrinæ
præparans intelle&umad Verum vniuersale quantum eft descnoneftin
intelle&u, nec felicitem. Medicinam subalternarinaturaliphilosophiæ. Vtrum
vniuersale sensibilium, cuiusnulluinsingularefucrit Quidmateriaprimaquidfecunda,
&quidformasimplex, tra. In Libro de Physico auditu. Vtrum natura
fitfubic&tumlibri phyficorum, Naturalisnonhabetde cælo perfectissimam
cognitionem. Ante sensum ellevegetationem. An homo sit æquivocum. Vcrumfiniti adinfinitumnullasit
proportio. IVnde do &rinaordinaria. Vtruinmagis vniuersalefit primo
cognitum. Vtrum philosophi naturalis sit probaresuaprincipia. Quæ
principiapolsintinscientiaprobari.Virum formaappetatmateriam Vtrūpriuatio fit
causa appetitus materiæ definitiomateriz Quid materia secunda. Duplex
generalissimum substanciae. Deaccidencibuscælinorandum. Vt
rūformaantcquageneretur præcxiftarin materia. Vtrum infinitumfitignotum.
Vtruminductiofitbonaconsequentia. Vtrum principiasintcadem.
Priuatio,quarcprincipiumperaccidens. Quid generatio fimpliciter et secundumquid.
Sperma propria esse masculi et non feminæ. Et quiddeopi altcrumfcilicet
performamnionc Galeni. Opinio Alexandri de intelle& u possibili. Dubium
verum materiahabcataliquamformasub Materiacæli,nunquam fincpriuationc.
Principium per quod indiuiduuin efthoceft forma. Trinitasprincipiorumplatonica.
Intelle&us possibilis corruptibilis et generabilis. Quarein conceptu
differentiæno includitur genus cuiusest Metaphysicæ, triplex subicctum.
Differentia. Quid fit realiter distingui. Vtrum
materiasinequantitatefirdiuisibilis. Vtrum tresdimensiones fintpassiones
quantitatis. Vtrum compofitum ex materia et formacllcfitacceptum a Vtrum
materiafitprodu&aàDco Vtrum mareria fic forma Propositiones per se notæin
philosophia naturali. Vcrum
polsibilesitrotocontinuoquiescentepartemillius Diuisioformæ, et naturæ. De
principiomotus augmentationis, et alterationis. In libris de Elementis TRVM
materiaexistat. Quid sittransmutatio substantialisquidac Quomodo
ipsaestmediuminterens& nonens. Dubiumfecundúan
SortenonexistenteSortessitho. Dubium tercium quid cftmateria. Uam. Materia non
ch operatiua nisi paciendo. Materia non perfccxistit
sedinaliofcilicetcomposito Sper Quómodo
logica considerat de ente reali. Quæ ressintprimaprincipia.
Terminigenerationis& corruptionis. quid. Quomodo materiaeftcns Cogitatiua
vlcimatapræparatioadintelle&um. Andemonstrationesin mathematica procedant
per causam. Quomodo materia mediumdiciturinternihil et ago. Vtrum eadem
sintnobisnota et naturæ. Appetitus duplex materialis et cumfenfu Quomodo
materiæ acciditq fit potentia. Melius eft dicere causas esse notiores natura
quàm naturæ. Quæ diffinitio descriptiua. Demonftrationes in philosophia
naturali, quæ a priori. Quomodo aliquideßin prædicamento ad aliquid. Quomodo
homo cognoscitin cognitionenaturæ. Virum materiasir suapotentia. Quomodo
artificinorioreftcaula. Verum materiasit potentiaomncsformæ. Formal
apidisextraintelle&tumest vniuersaleintentio, aliud Vtrumtria
principiaexæquoprincipient motum à fubicéto. Vtrum vniuersalia sint realia.
Quomodo consuctudo alteranatura. Verum fingulare fit per se intelligibile.
Vtrum vniuersalia sint prius nota singularibus. Primum cognitumà nobis
fingulare,& secundocognitum Quomodo exnonenteperaccidensfitaliquid. Vtrúm
cadem proportion materiæ sit potétiæ oésformæ, Vtrum intelligentiæ
habcantmarcriam. Vtrum materia fitminusperfe& a accidente. el vniveriale. A
b intelle& uagente non datur definitio. Quomodo intelligentiæ sunt mobiles.
Vtrum quantitas realiter diftinguatur à materia. metaphysico. Vniuerfalia
ratione intelle&usinquofunt habent aliquid Vtrum matcria fit Deus æterni. Quid maximum fit et quid minimum non. Termini accidentales ex quibus
fitaliquid. Quomodo conucniuntq,uomodo differüt. Quid generatio simpliciter, quid
secundum Quomodo ipsacftinprædicamento. Vtrum transmutatio
ficripofsitdeindiuidnovniusspeciei Quomodo materia civnumcumpriuatione ad
indiuiduum ciusdem specici. Quomodo priuatio fub forma comprchenditur. Dubium
quartum vtrum materia sit substantia. Virum insubstantial sit contrarictas.
Vtrù philosophu snaturalisdebcatprobaremateriäсssc Quarcmagispriuatiocftidem
materiæquàm formæ Materiahabct differentiam, circunscriptiuam,nonconficuti
Vtrum tantum criafint principiarerum naturalium Vtrum generatio fit subita.
Auicennae opinio de forma corporcitatis. Materia prima consideratur à
philosopho naturali. Matcriacftinduobus prædicamentis.
Dubiumquintumvtrummateriafitforma Materiam nonestina& umotiuo intellectus
torum. Dubium vtrum materiapossitexisteresincforma
Opiniones tres de præ existentia forma in materia. Philofophi naturalis eft
Quarcformasubstantialiscontrarium probarematcriamesse,formameffe, non habet.
compositum effc. An frigiditas aquæ minorsit frigidicas terræ. moucri
localiter. Vtrum principia sint contraria. Vtrum generatio accidentalis
sequitur alterationcm Sex positionis differentia.
Materianonestcompositum,ncq;aliquodquatuorclemen Vniuersale triplex Conceptü
fpecificădat intellectus agens, et nó gencricũ. Vtrum incælosirmateria. Vtrum
materia possitellesinc priuatione. Quid requiritur ad hoc
vtaliquafintideinfimpliciter. Concretum
principaliterfignificatqualitate,& quare. Vtrummateria Auat. A Muliere
duplicem exire humiditatem. Vtrum priuatio fit principium Quomodo
priuatioprincipiumperaccidens Quomodo cælumvariarlocum secundumformam.
Differentia materiæ eft poccntia, &nona&us nisi negatiuc. Matcria
nonhabetformamabipsainseparabilem, fedquam Scientiæ naturalis duplicia sunt
principia. Virumens ficvniuocum, Vtrùm
quanrirastermineturterminisproprijgeneris. Virum totum fitsuæpartes. Viruni
forma fitab agente. Vtrūmctaphysicisit probare substantia abstractus esse Virum
ficdarçminimum. Verum priuatio fit principium per se. Materia libet perdere
poteft. Virum materiaapperat. Materiatertia,& quarta. stancialem fibi
propriam cidentalis Dubium o&auum, vtrum materia prima sit una numero
omnium generabilium,& corruptibilium. nat sint summa. Verum aërficfrigidus.
Remotæ potentiæ numerantur numerarione specierum. Materia est potentia
Cubic&iua ntelle&ui. Dubium vtrum materialitquantitas. Dubium vtrum
quantitatisuccederepossitaliaquantitas Dubium vtrum quantitas præueniat formam
subftantia leminmateria. In Quæstione de subiecto Physionomiæ. VID princpium
cognitionis tantum, et co Principiorum in complexorum proprietates Principiorum
complexorum quærit metaphysicus proprietates corruptibilitatis Verum ambæ
qualitates quasynum elementumsibidetermi Mareria non cftvnumesseina&u.
Potentia describit materiam. Potciitiæ propinquæ materiæ sunt quatuor. Dubium
vtrum essentia sit esse. Subic&um, quomodopersenotuminscientia
Physionomia,& chiromantiascientiæ. SiestElementum, præsupponitur,
quiaipsumeftfubic&um Physionomia &chiromantia naturalisubalternantur considerationi
Artic. Tertio princinalitercósiderandüelt circa mixta Quomodo
intelle&usfitpra&icus. Quæ operationespraxesdicuntur. Eidem scientiæ
subalternaripra &icam& speculativam. Artic.Quarto principaliter
considerandum circa animatave getaciva, aut sensitiua. Vtrum deturminimum
innaturalibus. Vtrum calidicas, frigiditas, ficcicas,& humiditas, sint
qualita- Cor esse primam fenfusredicem secundum Arist. 264 Quæstio de priina
syllogismi potestace. nobis. Vtrum terrasitvbiq; habitabiles. Cogitativam
virtutem componere. Materia non eftspecies. Dubium nonum vtrum possit
elleqrinco de supposito sint Condensare et rarefacere non perscsequuntur
qualitatespri multæ materiæ mas. Dubium vtrum materia sit per se
intelligibilis. Materia non potest esse &iue neque formaliter mouereintcl
uitare. Materianonestdeseina&uenticaciuo. Dubium vtrummateriasitsua
potentia. Vtrum terrarespe& ucælifitvtpun &um.
Vtrumterrasiessetlucida,& existeret in cælo videretur á Dubium 18.vtrum
quantitas in terminata fit quantitaster minata nomia. Dubium verum materia
primasır causa generabilitatis et Homo secundum quod natura bonus subiectum in
physio Contra Scotum de subiecti continentia. Materia non eå quidditas nisi improprie. Ens et esse sunt idem. Essentia
et existentia sunt idem. Forma estesseactu. In demostratione simpliciter passio
de subiecto concluditur. Quid subiectum primum per attributionem. Quarc
substantiain metaphysica subiectum eftper attribu Dubium.vtrum totum sit suæ
partes. Dubium vtrum forma ante generationem habeat este principalitatis. reale
in materia. Dubium vtrum privatio sit res Contra Galenum de numero
complexionum. An in compofito substantiali pluressubltantialesformarepe De via in
physionomia et chiromantia. riantur.
Scicntiaalterumduorummodorumdiciturpra&ica. Vtrum cælum componatur ex
quiditatibus, et videturelit, Quomodo theologiatora pra&ica. quialubente
continetur, et sub corpore Prudentia circa quæ. Artic. Quinto principaliter
considerandum de homine. anip Experientia quid. fo animam intellectivam
expectet sensitiva. Vrrum aliquidmoucat se. te. Vtrum figuram aliquam sibi
determinet elementum. Vtrum vnum elementum sit locus naturalis alterius. Vtrum
vnum elementum in alterum immediateta an(mura Vtrum ignis sit primo calidus
Vtrum elementa media æquáliter habeantde grauitatc& lc Homo in quantum
lanabileå naturali consideratur. Ta, et tamen propositioestignora, Quid
requiriturad hoc vt subie&um fit adæquätum Quid requiritur ad hoc
vtfubic&um sit primum primitate Aegrotabile in ratione
formalisubie&imedicinæcaderenon Genita ex putrefactione alterius sunt
rationis a generare Dubiū 12.vtrú materia fir generabilis& corruptibilis
Vtrum terrasit frigidior aqua. fitnul. Dubium Is.vtrü materia fine quantitate
habcat partes Dubiumzz.verummateria Solum ponenda sunt prædicamentorum
Quantitasestquod passiocftnota. et idquod est ciuscau sit. pars quidditatis. et
quo aliquid est Quomodo aliquando genera logicalia. nationis primæ sub antiæ.
Dubium vtrum priuatio principium. potest. In in materia. quæruntur in
naturalibus. resprima Quæstio de subiecto medicina, Materia efteffepotentia.
rionem, Dubium vtrum formasubstantialis Quid bonum animi. sitprincipium indiui
Rario formalis subie&i,quid Latitudines in elementis compleri per
contraria. Non cft potentia dc effentiali diffinitione materiz. Compositum est
vtroque participans. ripossit. Subic&ũnon debet prædicari de principij sfubie&i,
et quare. Materia inférior aliquomodo
præfcindipoteft. Quare qualitates elementorum di&tæfunt effc elementisfub
Verum qualitatessymbolæ elementorumsinteiufdemfpe Itantiales ciel Quo mod o intelligiturpriuationem per
secorrumpi. Materia apud philosophumestintelle&a Vtrumterrasit
centrummundi. Maceriacæli non poteftpræscindiàforma. Lectum. Dubium.
vtrummateriasitgenus Anaërfitprimo humidus. Dubium vtrum materia appetat
formam. Dubium vtrum appetitus fit naturalismateriæ Arric. Secundo
principaliter considerandum est composicum Quomodo medicina partim practica, et
partim theorica, lic militer et theologia, similiter et logica. generabile. Verum
tantum quatuor sint elementa. Virum prima qualitates sint formæ substantiales
elemento genitis per propagationem contra Scotum. Run gnitionis et cffc.
Propriumnonageneresolumfluit,sedådifferentia,& gene Genita per putrefa et ionem
non esse eiusdem rationis cuna De elleanabellentia distinguatur. Caput secundum
devno. Error Auer. de necessarij SIGNIFICATIO nci Caput tertium,de vero Caput
quartum, de bono, Ens tripliciter eft quid. Quidditatiuum de quibus dicitur. Capursextum, dere, pagina. Caput
septimum, decodem subiecto. Quomodo pars formæ fluit. ElTeidemin forma quatuor
habet gradus. Caput nonum, decodem secundum materiam. de eodem difinitione.
Quomodo Deus eftf elicitas modo intelligitur dediftin&ione ex natura rei
Verum distinctio ex natura rei sit accepta ab Arist. Vtrum
diffinitio& definitum ex natura rei distinguatur ra rei non realiter An
communicabile, et prædicabile differant Differentia individualis est ipsa forma
in composita ex materia An Deo accributa propriamhabeant infinitatem. Accidens
non realiter distinguia substantia reis ubic&a Materiam et formam realiter
distinguivult Scotus, et AQUINO oppositum, similiter& Aver. rant. liter
ili. Vtrum diftin&tioper diffinitionemfitdiftin&iopersolum Anomnia quæ
sunt idem realiteralicui, fintilli formaliter de eodem habilitate.
Dedifferentiainter positionemquæeftprædicamentum,& positioncm quæ
estdifferentiaquanti. idem. ter. An fialiqua fintidem essentialiter, illasint
idem realiserant.. Quomodointelle&uspossibilis et agens sunt vnum, et quo-
Ansiali qua sint idem se totis subiective, illa sint essentiali modo duo.
differant. De subiecto et propria passione, quomodo suntidem. An fiali
quasetotisfubic&iuc differant, illafccotisobie&tiuc differant. Vtrum
a&us intellctus possibilis collatiuusfitin primaope Ansi aliqua
fecoisfubic& iuc differant,illafctotisobic&i dedistin&ionc rationis
ratione intellectus. Vtrum fit aliquis
conceptusfi&us. ue idem. obie Aiue. Vtrum omnis diftin&iofitrcalis aut
rationis. Verum conceptus a rebus quarum sunt conceptus, sint ratio Verum omnis
distinctio sit aliquid positiuum. ne distinAi. . In libro de Distinctionibus.
Intellectus et voluntas sunt idem Quid eftaliquidsynonyma. decncis
SIGNIFICATIONIBVS pagina. Quomodo speciesre intelligibilis,
a&usintelligendi,&habi tuis intellectus sunt idem. Cogitatiua,&
intellectus idem materialiter Igncitas, leuitasest simpliciter,& forma
ignis substantialis. Differentia inter hominem metaphysicum, &hominemna
Vtrum prædicatio specicide genere fit pe rse. Anista propofitiofitpersc, homo
albus est homo albus. De sensu communiquid Auer. et Vtrum CONCRETVM et abftractum
formaliterdifferant. Quomodo phantalinatasuntintelle&tus speculatiuimate
Vtrum humanitas sit animalitas. Ria de distinctionercali. Caputo et auumdecodem
secundum formam. Aninierdistin&ionesdatasà Scoristisfitordo. Vtrum
diftin&io secundum modum differtàdiftin&tionele Vtrum omnis distinctio
ex natuta reisit distinctio ratio cundum esse. Memorativam
in medio ventriculo cerebrimanifeftari. Potentia substantialis prior est
accidentali.& de prædicamento substantiæ. Vtrum
fialiquaessentialiterdifferant,realiterdifferant. Vtrum fiali quarealiter
differant, illa essentialiter diffe verum ex coq essentialiter dicitur
aliquidcaliquo dicatur Vtrum sialiquas et otisfubic&tiue differant, illaeffentiali
rerdifferant. vniversaliter de codem et femper. decodemacuvelpotentia An fiali
qua essentialiter differant, illa secotisfubic&iucdif Quæ sit maxima
identitas. Vtrum seclula operationc intelle&us possibilis resrationc
differant. An si aliquas intsetotis obicctiucidem, illasintsctotissub
ie&iueidem. Qữo genus et differentia ratione distinguantur,& nonrc.
Vtrum prædicamentarcalitedrifferant. An relation differatà fundamento. De
diftin &ione caloris naturalis ab artificiali. Verumcum Sortesnoneaipsesitens Materiam et formam non distinguise
cundumesse,quomon Entis diuisio de distinctione modali. Duo modi realis
distinctionis. Vtrum fialiqua realiter differant.illa formaliter differant An
si aliqua sint essentialiter idem, illa sint sctotisfubic&tiuc Quomodo
dequo Vtrumintelle&us agens& possibilis distinguanturexnatu teria& forma. Ens, res, aut
subatantiagenerasuntanalogicedi&tadeDeo dediftin&ione formali. Turalem
secundum Scorum Intellctum appetere contra Scotum.& secundum Thomam
appetitivam cognoscere Quomodo intelligitur secundam intelligentiam esse vnam
decodem secundum dispositionem. San&tum An diversitas et differentia
coincidant in idem. Vtrum omnia formaliter diftin &ta realiterdifferant.
ter idem Caput de distinctione essentiali. de'eodem secundummodum
dedistin&ionesetorissubie&iue. Vtrum distinctios
ecûdumessesiesufficicns adhocvt contra dictoria verificentur de aliquo.
formaminsubie&o, &multain diffinitione. Vtrum omnia quæsuntidem
formaliteralicui, fincidemrca Vtrum elle diffinitione idem, sit esse idem secundum esse. nis. Vtrum omnia
formaliter distincta ex natura rei diffe de codem secundum else de distin
&ioneserorisobic et iuc. opus intelle& us. Vtrum quælibetconceptus
ftinguatur. abalioconceptu, solaratione di Vtrum omnis diftin &iofitde
genere relationis: decodem inredemonstrata. decodem effentialiter. Vtrum ex
comparatione intelle&uspossibilis, fiantrespe&us, Ansialiquasiti
demserotisfubic&iua, illasintidemsetotis qui sunt genus aut species. rant.
ter. Caput1s. decodem secundum positionem Vtrum sialiqua sintidem rcaliter,
illafint idem essentiali Vtrum distinctio fitrcfpc&iuum fitiones habere
possint. Melius est non videre quædam, quàm videre,quomodo in Proportio maior
est, quæ maiorem habet denominationem. telligitur. Regulæ tres proportionum
secundum Ari Quomodo sensus in
prædicamento qualitatis, actionis, palo An deus cognofcatchimeramantaligidfi
um.An incelle&tusina&u, vtintellc&us intelligentiarum propo
Proportionis divisio Vtrum veritas differatàpropofitionevera.
Inintellc&tuardo. pliciterabftra&arum aliquam veritatem videat persuam
ftotclem. Q &uplaquare duplael quadruplz.
In quæstione demotuum propor Voluit Arif.deum cognoscere hæc inferiora,
Motys (equitùr dominium. Alessandro Achillini. Achillini. Keywords: corpo
umano, singulare, individuo. Refs.:
Grice, “Achillini’s problem with transcendentals and universals,” Luigi Speranza, "Grice ed
Achillini," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia.
Grice ed Acito: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale corporativa – filosofia
fascista – la scuola di Pozzuoli – filosofia campanese. filosofia italiana –
Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Pozzuoli). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Pozzuoli,
Campania.Grice: “Acito, who would
have thought it, made me read Cuoco’s brilliant novel on Plato based on an
epigram by Cicero (“You know, Plato was there, in Taranto!” – Acito has also
written on corporations – whatever they are (the mob) – and on Macchiavele. Del periodo fascista e attivista del
regime. Studia a Torino. Iscritto all'Albo degli Avvocati di Milano, divenne
direttore della rivista “Tempo di Mussolini”. Selezionato al Premio San Remo per
saggio “Machiavelli contro l'anti-Roma.” Partecipa come rappresentante italiano
al Congresso dell'Unione Europea degli Scrittori a Weimar. Insegna diritto, storia e dottrina del
fascismo a Genova. “Il Popolo d'Italia,” “L'Oriente arabo”. “Odierne questioni
politiche della Siria, Libano, Palestina, Irak; “Popolo d'Italia”; “Corporazioni
e sindacati nello stato, nella storia, nei partiti politici” (Milano, Trasi); “Il
volto della rivoluzione”; “Storia della rivoluzione”; “La dottrina dello
stato”; “Realtà nazionali”; “Il Fascio e la Verga” (Milano, Morreale); “L'idea
unitaria dello stato” (Milano, Sonzogno); “La idea romana dello stato unitario
nell’antitesi delle dottrine politiche scaturite da diritto naturale”; “La
dottrina dello stato in CUOCO (si veda)”; “Contributo allo studio del pensiero politico
del secolo XVIII” (Milano, Sonzogno); “La corporazione e lo stato nella storia
e nelle dottrine politiche dall'epoca di Roma all'epoca di Mussolini:
introduzione allo studio del diritto corporativo” (Milano, Pirrola); “Catalogo
della mostra di sculture e disegni di Vincenzo Gemito” (Milano Castello
Sforzesco Milano, Orsa; “Il trattato di ben governare: opera inedita di Tommaso
da Ferrara del 1500”; “Tempo di Mussolini”; “L'ordinamento dello stato
corporativo nel pensiero di Mussolini e nelle decisioni del Gran Consiglio del
Fascismo” (Tempo di Mussolini); “Le origini del potere politico: "Omnis
potestas a Deo" nelle discussioni degli scrittori politici del Trecento” (Tempo
di Mussolini); “Machiavelli contro l'Antiroma, Tempo di Mussolini. “Il concetto
di popolo” Tempo di Mussolini, “Il problema morale della rivoluzione” Tempo di
Mussolini”, “La crociata anti-materialistica dell'asse”; “Tempo di Mussolini”;
“Storia e dottrina del Fascismo”, “parte generale: Nozioni fondamentali”
(Milano, Guf). Onorificenze Medaglia di Benemerenza per i Volontari della Guerra
Italo-Austriaca nastrino per uniforme ordinariaMedaglia di Benemerenza per i
Volontari della Guerra Italo-Austriaca (19Medaglia commemorativa dell'Unità
d'Italianastrino per uniforme ordinariaMedaglia commemorativa dell'Unità
d'Italia Medaglia commemorativa delle campagne d'Africa nastrino per uniforme
ordinariaMedaglia commemorativa delle campagne d'Africa, Cavaliere dell'Ordine
della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine
della Corona d'Italia Croce al merito di guerranastrino per uniforme
ordinariaCroce al merito di guerra. Frank-Rutger Hausmann, Annuario ufficiale
delle forze armate del Regno d'Italia, Istituto poligrafico dello Stato, I professori
dell'Pavia, Bianchi, Professore all’Università Bocconi: Notizie sulla famiglia
Acìto Filosofia Filosofo Professore Pozzuoli Milano Studenti dell'Università
degli Studi di Torino Avvocati italiani del XX secoloProfessori dell'Università
degli Studi di GenovaProfessori dell'Università degli Studi di Pavia Decorati
di sciarpa littoria Personalità dell'Italia fascista Cavalieri dell'Ordine
della Corona d'Italia. È con Roma che
nasce il diritto e nasce LO STATO, perciò lo stato romano è lo stato giuridico.
Infatti, il fondamento giuridico della società e dello stato, impide che a ROMA
si sviluppa la demagogia. Persino la repubblica a Roma è aristocratica. Il senato, che impersona lo
stato, è un corpo eminentemente aristocratico e il popolo stesso, inquadrato
negli ordini della milizia, non degenera. Lo stato presso i romani afferma la potenza
del suo carattere unitario, sintesi delle prime gentes rurali e militari.
Questa qualità fa nascere il SENSO DI DIRITO che il genio romano applica nella
formidabile organizzazione politica e sociale dello stato. Questa
organizzazione statale che si reassume nel genio di Giulio Cesare e che detta
l’impalcatura all’impero, altro non è se no la crezione dello stato unitario,
che è una gerarchia di AUTORITÀ, FONDATA SUL DIRITTO, tutelata dalla forza
militare, al quale [diritto] il CIVIS resta subordinato, ma nel quale [diritto]
trovoa la regolazione giuridicamente definita e GARANTITA DEI SUOI RAPPORTI
PRIVATI. SUBORDINAZIONE perciò incondizionata DEL CITTADINO ALLO STATO. IL
PRINCIPIO DI AUTORITÀ domino tutta la COSTITUZIONE POLITICA dello stato romano
e ne regge la potente struttura. Il cittadino romano non conosce l’antitesi ed
ha una morale sua PROPRIA. IL MOS MAJORUM ANIMA I COSTUMI di Roma. Il
successive consolidarsi del capitaismo, se pure di capitalism puo parlarsi
nell’epoca antica, o meglio l’avidita delle richezze, CORRUPPE quello STATO DI
PRIMITIVITA. Mentre il mondo dell’economia a schiavi si estendeva, il
paganesimo non agi come MODERATORE DEGL’ISTINTI INDIVIDUALI. Optimates and Populares,
(Latin: respectively, “Best Ones,” or “Aristocrats”, and “Demagogues,” or
“Populists”), two principal patrician political groups during the later Roman
Republic. The members of both groups belonged to the wealthier classes.
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Patrician Related People: Lucius Domitius AhenobarbusQuintus Caecilius Metellus
Celer Marcus Porcius Cato Marcus Aemilius Scaurus Titus Annius Milo...(Show
more) See all facts and data The Optimates are the dominant group in the
Senate. They block the wishes of the others, who are thus forced to seek
tribunician support for their measures in the tribal assembly and hence are
labeled Populares, “demagogues,” by their opponents. The two groups differ,
therefore, chiefly in their methods. The Optimates try to uphold the oligarchy;
the Populares seek popular support against the dominant oligarchy, either in
the interests of the people themselves or in furtherance of their own personal
ambitions. Finally, it is well to remember that the Senate’s authority is based
on custom and consent rather than upon law. It has no legal control over the
people or magistrates: it gives, but cannot enforce, advice. Any challenge to
its authority is little more than a pinprick, but thereafter more deadly blows are
struck, first by such Populares as TIBERIO and Gaio GRACCO, then by Gaio MARIO,
and finally by the army commanders from the provinces. Gl’Ottimati sono i componenti della fazione
aristocratica conservatrice della repubblica romana. In origine
influenzano la vita politica romana, essendo la gestione della Res Publica
appannaggio soltanto di quella ristretta cerchia di nobili che hanno le
possibilità e la cultura per dedicarsi alla politica. In seguito alla secessione
dell'Aventino, però, le classi popolari e piccolo e medio borghesi riuscirono a
ritagliarsi una fetta di potere, da esercitare mediante loro rappresentanti: i
tribuni della plebe, magistrati dotati di potere legislativo (per esempio il
diritto di veto su qualsiasi legge o decreto del Senato), nonché di auctoritas,
ovvero l'autorità morale. Inoltre sono conferiti della sanctitas, ossia la
sacra inviolabilità della loro persona, che rende ogni atto sovversivo,
finalizzato a danneggiarli materialmente o fisicamente, un delitto gravissimo.
Per rispondere a questa organizzazione politica del popolo, anche i patrizi
romani si allearono tra di loro nel movimento politico degl’optimates, cioè il
partito aristocratico. In effetti la fazione aristocratica non è un vero
e proprio partito politico secondo l'accezione moderna del termine (nonostante
sia a volte chiamata Partito Aristocratico). È bensì una confederazione di
nobili, ciascuno dei quali è politicamente indipendente (o quasi) dagl’altri,
grazie ad una diffusa rete di clientele e di alleanze che ciascun nobile
gestiva in modo autonomo. L'appartenenza ad un'unica fazione è resa però
evidente dall'alleanza di tutti i nobili optimates con il Senato, dal comune
interesse a conservare tutti i privilegi nobiliari, nonché dalla comune
avversione nei confronti dei Populares -- l'organizzazione politica dei ceti
popolari e borghesi -- e dei Tribuni della Plebe. Gl’Ottimati, infatti, desiderano
limitare il potere delle Assemblee della plebe ed estendere il potere del
Senato romano, che è considerato più stabile e più dedicato al benessere di
Roma. Si opponeno anche all'ascesa degl’uomini nuovi (plebei, di solito
provinciali, la cui la famiglia non ha esperienza politica precedente) nella
politica romana. L'ironia è che uno dei principali campioni degli ottimati, CICERONE,
è egli stesso un uomo nuovo. Oltre ai loro obiettivi politici, gl’ottimati
si opposero all'estensione della cittadinanza romana fuori dall'Italia (e si
opposero perfino ad assegnare la cittadinanza alla maggior parte degli
Italici). Favorirono generalmente alti tassi di interesse, si opposero
all'espansione della cultura ellenistica nella società romana e lavorano
duramente per fornire la terra ai soldati congedati (erano convinti che soldati
felici erano probabilmente meno disposti a sostenere generali in
rivolta). La causa degl’ottimati raggiunse l'apice con la dittatura di
Lucio Cornelio SILLA (si veda). Sotto il suo potere, le Assemblee sono private
di quasi tutto il loro potere, il totale dei membri del Senato è portato da 300
a 600, migliaia di soldati si stabilirono nell'Italia del Nord e un numero
ugualmente grande di popolari è giustiziato con le liste di proscrizione. Limita
i poteri dei tribuni della plebe, riduce i consoli e i pretori ai compiti
cittadini della direzione politica e dell'amministrazione della giustizia e
vieta di ricoprire una medesima carica prima che fossero trascorsi dieci anni.
Tuttavia, dopo le dimissioni e la successiva morte di SILLA, molti dei suoi
provvedimenti politici sono gradualmente ritirati, ma sono più durature le
innovazioni nel campo del diritto e del processo penale. Appartenevano agl’optimates
importanti uomini politici quali Lucio Cornelio SILLA, Marco Licinio CRASSO,
Marco Porcio CATONE detto Il Censore e CATONE Uticense, il già citato Marco
Tullio Cicerone, Tito Annio MILONE, Marco Giunio BRUTO e, a parte il periodo
del Triumvirato, Gneo POMPEO. Repubblica romana Plebe Patriziato Romano
Lucio Cornelio SILLA Marco Tullio Cicerone Gneo Pompeo Marco Licinio Crasso
Tito Annio Milone Ottimati, su Enciclopedia Britannica Antica Roma Antica Roma
Diritto Diritto. Alfredo Acito. Acito. Keywords:
sindacato, stato unitario, idea unitaria del stato, Cuoco, storia di Roma,
popolo d’Italia, materia e spirito, anti-materialistico, anti-materialistica,
popolo, popolazione, Peacocke – sistema di comunicazione per una popolazione –
idioletto – procedimento idiosincratico – idioletto, dia-letto – comunita,
immunita.. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Acito,” The Swimming-Pool Library. Acito.
Grice
ed Acmonida: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The
Swimming-Pool Library (Taranto). Filosofo
italiano. Acmonidas of Tarentum, according to Iamblichus of Chalcis, was a
Pythagorean. Vita di Pitagora –
Reale.
Grice ed Aconzio: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Trento –
filosofia trentina -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Trento). Filosofo trentino. Filosofo italiano.
Trento, Trentino – Alto Adige. Grice: “I like Aconzio way of LISTING the
devil’s strategies – and naming tdhem after abstract nouns represented by
females: superbia, … etc. – He says he philosophised on ‘dialettiica’ but only
for his fellow Italians, and writing to Russell (Lord Bedford) he adds, ‘it
would be fastidious to present them to you!” – When Elizabeth received his copy
of ‘Il timore di Dio,’ she asked, alla Hardie, ‘And what, Mr. Aconzio, is the
meaning of ‘of’?” -- Grice: “I like Aconzio, and so did my mother – a High
Anglican! Aconzio’s claim to fame is twofold: his “Stratagemata” which
resembles Speranza’s study of Apel – only that Aconzio is ‘stratagemata
satanae’ – and his “De method” which inspired Feyerabend, an American professor
at the newish varsity of Berkeley in the New World, to philosophise ‘Contro il
metodo.’” – Grice: “There is a small passage in “Del metodo” – and an even
smaller in “Stratagemata” – where Aconzio seems to have invented (but soon
disinvented) the idea of a conversational implicature!” -- Filosofo. essential Italian philosopher. Grice:
“What I like about my fellow Brit, Aconzio, is that unlike Feyerabend with his
‘Anything goes,’ Aconzio cared to write about ‘method.’ Ora è noto per il suo contributo alla storia di
tolleranza religiosa. E 'stato tradizionalmente pensato per essere nato a
Trento, anche se era probabilmente Ossana. E 'stato uno degli italiani, come
Pietro Martire e Ochino, che ripudia la dottrina papale e, infine, trova
rifugio in Inghilterra. Come loro, la sua rivolta contro romanità ha preso una
forma più estrema di luteranesimo, e dopo un soggiorno temporaneo in Svizzera
ed a Strasburgo arriva in Inghilterra subito dopo Elizabeth adesione s'. Studia
legge e teologia, ma la sua professione era quella di un ingegnere, e in questa
veste trovalavoro con il governo inglese. Al suo arrivo a Londra si une
alla Chiesa riformata olandese a Austin Frati, ma è stato infettato con ana-baptistical
e pareri Arian" ed è stato escluso dal sacramento da Grindal, vescovo di
Londra. Gli fu concessa la naturalizzazione. E 'stato per qualche tempo
occupati con drenaggio Plumstead paludi, per i quali si oppongono i vari atti
del Parlamento sono stati passati in questo momento. E inviato a riferire in
merito alle fortificazioni di Berwick e sembra che era conosciuto in
Inghilterra sia per il lavoro come ingegnere e di un riformatore religioso e
sostenitore della tolleranza durante l'inizio della Riforma. Prima di raggiungere
l'Inghilterra pubblica un trattato sui metodi di indagine, "De Methodo,
hoc est, de recte investigandarum tradendarumque scientiarum ratione"
(Basilea). Il suo spirito critico lo pone al di fuori tutte le società
religiose riconosciute del suo tempo. La sua eterodossia si rivela nella sua
"Stratagematum Satanae libri octo," talvolta abbreviata in
Stratagemata Satanae. Gli stratagemmi di Satana sono i credi dogmatiche che
affittano la chiesa cristiana. Aconzio cerca di trovare il comune denominatore
dei vari credi. Questa è la dottrina essenziale, il resto e irrilevante. Per arrivare
a questa base comune, dove ridurre il dogma a un livello basso, e il suo
risultato è in generale ripudiato. "Stratagemata Satanae" non è
stato tradotto in inglese, ma in seguito è diventato molto influente tra i
teologi liberali inglesi. Selden applicata alla Aconzio l'osservazione,
"bene ubi, nil melius; ubi maschio, nemo pejus" -- "Dove buono,
nessuno meglio. Dove male, nessuno peggio." La dedica di un tale lavoro
alla regina Elisabetta illustra la tolleranza o lassismo religiosa durante i
primi anni del suo regno. Aconzio poi trova un altro patrono in Dudley, primo
conte di Leicester. Saggi: Stratagematum Satanae libri octo, De methodo sive
recta investigandarum tradendariumque artium ac scientarum ratione libello, De
methodo e Opuscoli Religiosi, opuscoli filosofici, Radetti, Firenze: Vallecchi)
Somma brevissima della Dottrina Cristiana Una esortazione al timor di Dio; Delle
Osservazioni et avvertimenti che haver si debbono nel legger delle historie
Traduzione in inglese, Tenebre Scoperto (Satana stratagemmi), London
(facsimile ed., Scholars' Facsimiles et ristampe. Trattato Sulle
Fortificazioni, Giacomoni, Giovanni Maria Fara, Giacomelli, e O. Khalaf
(Firenze:Olschki). Riferimenti Attribuzione Chisholm, Hugh, ed. Enciclopedia Britannica, Note
finali: Di Gough Index a Parker Soc. Publ. Di Strype Grindal, Dictionnaire di Bayle G. Tiraboschi, Storia
della letteratua italiana (Firenze, Smith, Elder et Co. link esterno Allgemeine
Deutsche Biographie v Opere di Jacob Acontius a Post-Riforma Library. Molti riformati italiani vedremo cercarvi
rifugio. Colà erasi ricoverato Jacobo Aconzio, valoroso giureconsulto di
Trento, il quale nel 'opera “De Methodo, sive recta investigandarum
tradendarumque scientiarum ratione (Basilea) aveva ripudiata ladialettica
ordinaria, propo nendo un nuovo metodo di giungere al vero collo scomporre e
ricomporre più volte la cosa,ed esaminarla sotto aspetti diversi, passando dal
noto al l'ignoto. Alla divina Elisabetta regina d'Inghilterra, da cui ebbe
ripetute attestazioni di stima, dedicò "Gli Stratagemmi di Satana in fatto
di religione (Basilea), libro allora molto acclamato, e tradotto in varie lingue,
ov'egli studia di ridurre a pochissimi idogmi essenziali del cristiane simo,
nello scopo d'indurre le sêtte a vicendevole tolleranza. Aveva avuto per
compagno Francesco Betti romano,che al mar In Chap. 3, Caravale
investigates the long publishing success of Acontius’s Satan’s Stratagems in
seventeenth-century England. After reconstructing the popularity of Acontius among the Dutch
Arminians, the chapter focuses first on the religious debates that involved
Catholics, Arminians and Latitudinarians in England and then on the heated
controversies which characterized the English Civil War. Particular attention
is given to debates at the Westminster Assembly of Divines, where the
Presbyterian Francis Cheynell suggested forming a Committee to examine
Acontius’s book, which had just been (partially) translated into English and
published by John Goodwin. The condemnation of the book issued by Cheynell’s
Committee did not stop Acontius’s supporters from circulating his book widely.
Indeed, new editions of Satan’s Stratagems were published. This chapter follows
this exciting publishing story as a significant part of the cultural and
intellectual history of Revolutionary England. What was hidden behind the
intriguing title exalting Satan’s Stratagems? This chapter aims to answer this
question in an attempt to understand the extraordinary success of Jacob
Acontius’s masterpiece and contextualize its line of thinking. The reader will
find a careful reconstruction of the author’s intellectual biography from his
early career as a notary in Trent, Italy to his conversion to Lutheranism in
the mid-sixteenth century, his escape from the peninsula and his sojourn in
England as an engineer. Acontius soon became involved in religious
controversies in England, which is when he wrote his major work, Satan’s
Stratagems, arguing consistently for an extremely broad and tolerant vision of
Christianity. The book is analyzed in detail and comparisons are made with his
previous publications and other major contemporary books on similar topics.
Satanæ Stratagemata libri octo, J. Acontio authore, accessit eruditissima
epistola de ratione edendorum librorum ad Johannem Vuolfium Tigurinum eodem
authore. Jacobi Acontii tridentini de Stratagematibus Satanæ in religionis
negotio per superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc.
libri octo. "Satan's Stratagems, or the Devil's Cabinet-Council
discovered,... together with an epistle written by Mr. John Goodwin and Mr.
Durie's letter concerning the same." London. J. Macock. Sold by J.
Hancock. 4to. British Museum. George Thomason's copy, now in the British
Museum, contains his correction of the date, and records its purchase.
The translation contains three dedications, one to the Parliament, one to
Fairfax and Cromwell, and one to John Warner, lord mayor. The translator
announces that if his work was well received he would complete it, but only
four of the eight books were published. The stock was then sold apparently to
Ley, who reissued it, with a new title, "Darkness Discovered; or, The
Devil's Secret Stratagems laid", London. J. M. 4to. With a doubtfully authentic etching of
the Italian author, ‘James Acontius, a Reverend Diuine.' This translation is an
English version of Jacopo Aconcio's celebrated work, "Satanæ Stratagemata
libri octo, J. Acontio authore, accessit eruditissima epistola de ratione
edendorum librorum ad Johannem Vuolfium Tigurinum eodem authore. Basileæ, ap.
P. Pernam. The Dictionary of National Biography says that this is the genuine
first edition, of extreme rarity. Brunet records an octavo edition
of the same year, place, and publisher, but with a variant title: Jacobi
Acontii tridentini de Stratagematibus Satanæ in religionis negotio per
superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc. libri
octo. Basilea.P. Perna. 8vo. Reprinted, Basileæ, and 'curante Jac.
Grassero,' ib.,, 8vo; ib., ap.Waldkirchium; Amsterdam, Oxon., G.Webb, sm. 8vo;
London, 4to; Oxon., Amsterdam, Jo. Ravenstein, sm. 8vo; ib.,sm.8vo; Neomagi, A.
ab. Hoogenhuyse, sm.8vo. The Dedication of the first edition, to Queen
Elizabeth, begins,with grandiloquent flattery, Divæ Elisabethæ, etc. Les Ruzes de Satan receuillies
et comprinses en huit liures. Basle. P. Perne. Also, Delft, Further, Bâle.. sm. 8vo (German translation),
and Amsterdam, 12mo (Dutch translation). The Satanæ Stratagemata is a book
which had a considerable influence in the development of opinion. In all, I
record twenty-one editions of it, five of them of English imprint, and all of
them publications of about one century, the era of the Reformation. Aconcio's
argument was the simplification of dogmatic theology. In general, he reduces
the doctrines of Christianity to a strictly Scriptural basis. He argues that
the numerous confessions of faith of different de nominations are simply the
ruses of the Evil One, the 'Stratagems of Satan,' to tempt men from the truth.
He protests against capital punishment for heresy, and favours toleration among
all Christian sects. Such liberal theology is distasteful alike to Calvinists,
who accused Aconzio of Arianism, and to Catholics, who index his essay. The
Tridentine Index Libb. Prohibb. places "Satanæ Stratagemata" among
anonymous books, but the Roman Index describes the essay accurately. Acontius (Jacobus) -- Jacobi Acontii
tridentini de stratagematibus Satanæ in religionis negotio per superstitionem,
errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc., libri octo. Basileæ, P. Perna, Première
édition d'un ouvrage singulier qui jadis a fait beaucoup de bruit parmi les
théologiens protestants, mais qu'on ne lit plus guère aujourd'hui. Il doit se
trouver dans ce volume un traité du même auteur, intituli: "De ratione
edendorum librorum," qui a paru égalementent et qui aétéréim primé dans
l'édition des "Stratagemata Satanis", donnée par Jacq. Grasser, à
Basle, chez Conr.Waldhirche, in-8, sous un titre qui diffère de celui de la
première édition. Les autres éditions de ce livre n'ont pas de valeur. La
plus répandue parmi nous est celle d'Amsterd., Jo. Rawestein, pet.in-12; celles
d'Oxford, in-12, ne le sont guère moins. LES RUSES de Satan, recueillies et
comprinses en huit livres, p pet. in-4. Cette traduction a été reproduite à
Delft, de l'impr. de B. Schinckel, in-8.; ce pendant les exemplaires n'en sont
pas communs; celui del'édit., qui était rebé en mar:., n'a été vendu que 6 fr.
chez La Valliere, mais il serait plus cher aujourd'hui. L'ouvrage est traduit
en Namand, en allemand et aussi en anglais. L'auteur, nommé Jacobus Acontius
sur le titre de ce livre, avait pour nom italien Giacomo Concio. M. Graesse
cite à l'article Acontiues l'ouvrage suivant, qu'il dit très-rare. UNA essortazione al timor di Dio, con alcune rime
italiane, nuov, messe in luce (da G. B. Castiglione). Londra (senz'anno), in-8. Aconce.De stratagematibus Satanæ in religionis
negotio, per superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma,
etc. Libri VIII. auctore Jacobo Aconcio. Basileæ, in-8. et Amstelodami,
in-8. Cet
ouvrage impie a été dédié à Elisabeth, reine d'Angleterre. Il en aparu une
traduction française à Basle.; à Delft, L'auteur s'est proposé, dans cet
ouvrage, de réduire, à un très-petit nombre, les dogmes de la religion
chrétienne, et d'établir une tolérance réciproque entre toutes les
sectes qui divisent le christianisme: c'était le vrai moyen de déplaire
à toutes. Un singolarissimo saggio in favore della
tolleranza apparve per opera del giureconsulto trentino Giacomo Aconzio o
Aconcio, saggio che fu posto erroneamente fra i libri di magia per il suo
strano titolo, "De stratagematis Satane in religionis negotio, per
superstitionem, errorem, hæresim, odium, calumniam, schisma, etc."
(Basil.). Esso per contro è il primo libro, al dire dell'Hallam, in cui,
secondo la tendenza sociniana, si sia cercato di ridurre gli articoli
fondamentali della religione cristiana al più piccolo numero possibile,
escludendo, per esempio, quello della trinità e tutti gli altri non razionali.
E ciò allo scopo di trovare un punto di appoggio comune e di universale
consenso per tutte quante le sette, in cui è scisso il cristianesimo, e quindi
una base sicura per la tolleranza reciproca di tutte le credenze. L'Aconcio si
leva vivissimamente non solamente contro la pena di morte, ma contro qualunque
pena inflitta ai pretesi eretici, ed esce in questa esclamazione. Se il
sacerdozio riesce a prendere il disopra, se gli si concede questo punto, che
non appena un uomo avrà aperto la bocca il carnefice dovrà venire a troncare
tutti i nodi col suo coltello, che cosa di venterà lo studio della Scrittura?
Si penserà che essa non vale guari la pena che altri se ne occupi; e, se mi è
permesso di dirlo, si daranno come verità i sogni dell'immaginazione. O tempi
infelici! o infelice posterità, se noi abbandoniamo le armi con le quali
soltanto possiamo vincere il nostro avversario! (CANTÙ). Il
saggio ebbe subito gran voga e fu tradotto in francese, in inglese, in tedesco
ed in olandese. Anzi esso godette nel secolo seguente in Olanda di una immensa
popolarità ed autorità. Aconcio intanto viene citato fra molti altri scrittori
del suo secolo d'autori della tolleranza nel libro di Mino Celso senese, sotto
il cui nome si ritenne per un pezzo si celasse o Lelio Socino od altri, ma di
cui invece consta che fuggì da Siena, vagò tra i Grigioni tre anni, e quindi si
ridusse a Basilea, ove cercò sempre di mettere concordia fra i dissidenti (1).
L'opera si intitola: "In haereticis coercendis quatenus progredi liceat,
Celsi Mini Senensis disputatio. Ubi nominatim eos ultimo supplicio afici non
debere, aperte demonstratur, Cristling. Fu ristampata senza indicazione di
luogo, con due lettere di Beza e Dudicio in senso opposto; e inoltre ad
Amsterdam col titolo, "Henoticum Christianorum, seu Disputatio Mini Celsi,
etc. Lemmata potissima recensa a D. 2. (Dom. Zwickero). È una lunga
dissertazione accurata, ove tra l'altro si sostiene bastare abbondantemente
contro gli eretici le ammende e l'esiglio. Loscritto di Gioacchino Cluten: De
Haereticisan sint comburendi? Argent., contiene, oltre alla prefazione del
Castellion alla sua Bibbia latina, una raccolta di passi di più scrittori in
favore della tolleranza. Una difesa, piena di giustizia e di moderazione, della
causa della tolleranza è pure quella del teologo sociniano tedesco Giovanni
Crell, intitolata, "Vindiciae pro religionis libertate. Essa fu tradotta
poi dal Le Cene in francese, e riveduta dal Naigeon, sotto il titolo, "De
la tolérance dans la religion. Al dire dell'Hallam, l'Holbach l'avrebbe tradotta
e ripubblicata. Il SENKENBERG nelle aggiunte alla Bibliotheca realis iuridica
del Lipenius,Lips., ricorda una edizione, Non ho potuto vedere il saggio; ma
tale indicazione andrebbe poco d'accordo con quanto altri riferiscono, cioè che
Mino Celso citi già l'ACONZIO.Giacomo Aconzio.
Aconzio. Keywords: satana, diavolo, implicatura di satana – stratagemmi --
negozio – religione, per superstizione, errore, eresia, odio, calunnia, scisma,
ecc. Refs.: Luigi Speranza, "Grice
ed Aconzio," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Aconzio.
Grice ed Acquisto: all’isola
-- l’implicatura conversazionale – la scuola di Monreale -- filosofia siciliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Monreale). Filosofo
siciliano. Filosofo italiano. Monreale, Sicilia. Grice: “I like Acquisto; he
was a priest, but you’d hardly notice it; but then he was jailed and few
priests get that! They must be real bad boys! But blame it on the mess that the Capri area
found itself at that time – In any case, he reminds me of Manser, the Waynflete
professor of metaphysics – Acquisot was very systematic –I would think his
semiotics, strictly, is exposed in a chapter in the second part to his
masterpiece, the ideologia – the first is psicologia, and the third is logica –
in Ideologia, he is a Lockeian – words stand for ideas – and ‘linguaggio’ is
the most effective ‘means of communication’ to transmit them – native or
natural signs, like a ‘grido’ do communicate, but that’s it – ‘I’m in pain,’
but not ‘The cat sat on the mat.’’ – He is hardly original but then neither is
Leibniz, or Locke or Kant, for that matter – His emphasis is on the atural
versus artificial and pours scorns on those philosophers who tried to improve
on the Latin language – created by the Umbrians, he claims --.which is
artificial enough!” “raffaele d'acquisto
– n. Monreale -- arcivescovo della Chiesa cattolica Incarichi
ricopertiArcivescovo di Monreale Nato a Monreale Ordinato
presbitero Nominato arcivescovo da papa Pio IX Consacrato arcivescovo dal cardinale
Antonio Maria Cagiano de Azevedo Deceduto a Palermo Filosofo.
Fu uno dei principali esponenti della storia del pensiero filosofico in
Sicilia, fautore di quella linea ontologista che vide, allora, moltissimi
seguaci in Sicilia e che mise in collegamento la riflessione filosofica
siciliana con quella presente nel resto d'Italia, in particolare con la
dottrina ed il pensiero di Gioberti. Il suo pensiero risulta una sintesi fra la
psicologia cartesiana ed il dinamismo di Leibniz a cui si aggiunge la
tradizione teologica e filosofica cristiana che prende come punti di
riferimento sant'Agostino e san Bonaventura da Bagnoregio. Pubblicò
numerose opere i cui contenuti spaziavano dal pensiero intorno a Dio al
creazionismo, dall'onnicentrismo all'analisi dell'uomo come essere vitale che è
insieme Potenza, Sapienza ed Amore. Indice 1L'età giovanile 2L'età
adulta, l'insegnamento universitario e le opere 3La carica di arcivescovo ed i
moti insurrezionali Genealogia episcopaleL'età giovanile Benedetto A. nacque
come Raffaele. Sin da giovanissimo manifestò uno spiccato interesse verso lo
studio e per questo motivo fu iscritto dai genitori alla scuola del seminario
di Monreale. All'interno del seminario il sacerdote Benedetto Signorelli rimase
favorevolmente colpito dalle grandi doti e dall'ingegno di Raffaele D'Acquisto
e decise di fornirgli i mezzi economici necessari per continuare gli studi in
quanto i genitori non potevano garantirgli l'accesso all'istruzione superiore.
Fu in segno di riconoscenza nei confronti di questo sacerdote che Raffaele
decise di cambiare il suo nome in Benedetto. Da quel momento in poi verrà,
infatti, ricordato come Benedetto D'Acquisto. Fa parte dell'Ordine dei
Frati minori riformati a Palermo dove prima compì gli studi superiori in
filosofia e teologia e poi divenne insegnante nello stesso convento.
Successivamente otterrà anche la laurea in filosofia presso l'Università degli
Studi di Palermo; insegnerà tale disciplina anche in corsi universitari presso
il collegio San Rocco di Palermo sito in via Maqueda nel centro della
città. L'età adulta, l'insegnamento universitario e le opere. Concorse
alla cattedra di filosofia all'Palermo, ma la scelta della commissione
esaminatrice cadde su un altro candidato ed allora anda ad insegnare filosofia
presso il seminario arcivescovile di Palermo. Vinse il concorso per la cattedra
di etica e diritto naturale all'Palermo e venne eletto arcivescovo, vi dedica
le sue energie intellettuali migliori che gli valsero anche la carica alla
vicepresidenza dell'Accademia di scienze, lettere ed arti di Palermo. Questo è
anche il periodo in cui pubblica le sue opere principali ed in cui il suo
pensiero raggiunge una grande fama. Tra gli saggi più importanti di questo
periodo si possono ricordare “Elementi di filosofia fondamentale”, il “Sistema
della scienza universale”; la “Genesi e natura del diritto di proprietà” (Palermo
-- lodata persino da Napoleone III);
“Trattato delle idee o Ideologia” in cui porta a compimento la costruzione
della sua filosofia teoretica e lo studio sulla “Necessità dell'autorità e
della legge” in cui tratta tematiche inerenti al diritto. Pubblica una
delle sue opere più importanti intitolata la “Cognizione della verità” che
rappresenta una sintesi armonica fra la filosofia e la teologia. In quest'opera
sottolinea gli stretti rapporti tra il Creatore e le sue creature pur nella
loro sostanziale ed infinita distinzione e differenza e presenta
un'antropologia filosofico-teologica che concepisce l'uomo sotto un triplice
aspetto (puro, trascendentale, fenomenico), caduto per sua libera scelta
nell'errore e nel male, ma che pure ha in sé la condizione necessaria ma non
sufficiente per la sua elevazione verso la verità e verso il bene,
condizione che soltanto grazie ad una rivelazione esterna diventa sufficiente
ed attuabile. Questo saggio rappresenta il punto massimo del pensiero del
filosofo monrealese. Oltre a questi scritti D'Acquisto ci ha lasciato
anche un trattato di logica dal titolo “Organo dello scibile umano”, pubblicato
postumo a Palermo ed un manoscritto inedito e privo di titolo attualmente
conservato presso la Biblioteca comunale di Palermo. La carica di
arcivescovo ed i moti insurrezionali Benedetto D'Acquisto fu nominato
arcivescovo di Monreale da papa Pio IX. Appena entrato nell'arcidiocesi dovette
confrontarsi con un periodo turbolento caratterizzato dalla rivolta di
Monreale, dall'arrivo delle truppe garibaldine e dal conseguente tramonto del
regime borbonico. Con la costituzione del Regno d'Italia versò una
cospicua somma di denaro per equipaggiare la neonata Guardia Civica. Questo
gesto gli meritò l'attenzione e la gratitudine di re Vittorio Emanuele II che
in occasione della sua visita al duomo di Monreale volle premiare Benedetto
D'Acquisto con la commenda all'Ordine Mauriziano con la motivazione di essersi
distinto egregiamente nel campo della filosofia. Tuttavia scoppiò a Palermo la
Rivolta del sette e mezzo, una violenta insurrezione antigovernativa che in
breve tempo si estese anche ai territori limitrofi in particolare Monreale e
Misilmeri. In questo contesto Acquisto fu nominato presidente del Comitato
insurrezionale di Monreale con l'obiettivo di mantenere l'ordine pubblico nella
cittadina normanna, ma non poté fare molto, perché di lì a poco la situazione
degenerò ed i rivoltosi misero a ferro e fuoco la provincia di Palermo,
causando la morte di 21 carabinieri e 10 guardie di pubblica sicurezza.
Dopo sette giorni l'insurrezione fu domata dalle truppe governative ma A. fu
arrestato. Il generale Cadorna, inviato dal governo come regio commissario con
il compito di reprimere la rivolta siciliana, nella sua relazione al Consiglio
dei ministri accusò D'Acquisto di avere incoraggiato il moto rivoluzionario e
lo qualificò come "notissimo e pericoloso reazionario". Fu rinchiuso
in prigione prima a Monreale e poi in altre località per circa un mese insieme
ad altri uomini illustri come Giuseppe de Spuches, famoso letterato, poeta ed
archeologo. Rimesso in libertà provvisoria, ngodette del provvedimento di
amnistia e ritornò a Monreale per continuare la sua missione pastorale.
Gli ultimi anni Ritornato nel suo luogo natìo, si dedicò, dopo la diffusione
del colera, all'assistenza di coloro che avevano contratto tale malattia.
Tuttavia si ammalò anche lui e morì a Palermo. Fu tumulato nella chiesa di
Santa Rosalia, una piccola parrocchia in campagna alla periferia di Monreale,
ma dopo una solenne cerimonia le sue spoglie furono traslate nel duomo di Monreale.
Il suo pensiero filosofico, nell'ambito teoretico e delle relazioni logiche e
dialettiche, si avvicina molto a quello platonico ed agostiniano con vistose
influenze anche del pensiero di Fidanza. Nell'ambito dell'ontologia si rifà
alla scuola metafisica di Monreale, il cui più importante esponente è Miceli,
di cui A. rappresenta il naturale seguace e studioso. Il nucleo centrale della sua
filosofia consiste nella sintesi fra psicologia ed ontologia. Egli
colloca nella coscienza il fondamento teoretico della conoscenza scientifica e
divide le idee in tre categorie: l’idea sensibile che riguarda il mondo
materiale, l’idea intellettuale concernenti il proprio essere e l’ideea
necessaria relative a Dio. Questi tre tipi di idee co-esistono
contemporaneamente nello spirito umano. A queste tre categorie ne aggiunge una
quarta definita come idee "di rapporto" che permettono all'individuo
di esprimere giudizi e formulare ragionamenti. Nell'analisi del processo
conoscitivo crea la sua nozione di onni-centrismo in cui riesce a trovare un
equilibrio fra due poli apparentemente all'opposto: l'individualità e
l'universalità. Nella sua concezione onni-centrista riesce a far
coesistere l'io individuale con l'io trascendentale sviluppando così un'unità
reale fra intuizione sensibile ed intelletto. Dall'unità tra intuizione
ed intelletto si crea l'intuito intelligente che contiene in un nesso ontologico
tutta l'umana vitalità e che mette in relazione l'individuo con l'intuito
dell'azione creatrice dell'essere assoluto. Questa visione avvicina molto Acquisto
a Rosmini e Gioberti. Il filosofo monrealese tratta anche delle relazioni fra
morale e diritto. L'azione derivante dall'attività dello spirito può rimanere
all'interno dello spirito stesso senza manifestarsi all'esterno e
trasformandosi così in un atto giuridico. Questo atto giuridico costituirà la
legge morale che conduce l'individuo a conformarsi alla natura, alla ragione ed
a Dio. Tutto ciò rappresenta la sintesi perfetta fra l'essere naturale e l'essere
spirituale. Infine nella sua opera Corso di diritto naturale afferma che
il diritto di proprietà è presente in ogni individuo che lo utilizza per
raggiungere il suo scopo naturale. Il diritto, dunque, nella vita
dell'individuo tende essenzialmente alla conservazione, allo sviluppo e al
perfezionamento della natura umana. Il diritto POSITIVO, invece, ha l'obiettivo
di far prendere coscienza all'individuo delle proprie azioni e di creare una
perfetta armonia fra il diritto stesso e la moralità. Ma soltanto l'onnipotenza
di Dio puo portare alla coesistenza perfetta e senza contrasti fra fede e
scienza. Opere: “Elementi di filosofia fondamentale”; “Saggio sulla legge
fondamentale del commercio fra l'anima ed il corpo e su di altre verità che vi
hanno rapporto”; “Prolusione alle lezioni di diritto naturale a Palermo); “Discorso
preliminare alle lezioni di diritto naturale ed etica”; “Memoria estemporanea
sul diritto e dovere del proprio perfezionamento”; “Sistema della scienza
universal”; “Corso di filosofia morale”; “Corso di diritto naturale e filosofia
del diritto”; “Cognizione della verità”; “Trattato delle idee o Ideologia”; “Genesi
e natura del diritto di proprietà”; “Necessità dell'autorità e della legge”; “Teologia
dogmatica e razionale; Ragionamento sulla resurrezione dei corpi”; “Organo dello
scibile umano”. Genealogia episcopale Cardinale Scipione Rebiba Cardinale
Giulio Antonio Santori Cardinale Girolamo Bernerio, O.P. Arcivescovo Galeazzo
Sanvitale Cardinale Ludovico Ludovisi Cardinale Luigi Caetani Cardinale
Ulderico Carpegna Cardinale Paluzzo Paluzzi Altieri degli Albertoni Papa
Benedetto XIII Papa Benedetto XIV Papa Clemente XIII Cardinale Giovanni Carlo
Boschi Cardinale Bartolomeo Pacca Papa Gregorio XVI Cardinale Antonio Maria
Cagiano de Azevedo Arcivescovo Benedetto D'Acquisto V. Di Giovanni, D'Acquisto e la filosofia
della creazione in Sicilia, Firenze V. Mangano, Benedetto D'Acquisto filosofo
monrealese, Palermo. G. Millunzi, Storia del seminario arcivescovile di
Monreale, Siena F. Lorico, Vita di Benedetto D'Acquisto, Palermo V. Mangano, La
filosofia sociale d’A., Palermo G. M. Puglia, L'arresto di mons. Benedetto
D'Acquisto arcivescovo di Monreale, Palermo; Dizionario dei siciliani illustri,
Palermo Monreale Duomo di Monreale Rivolta del sette e mezzo Sant'Agostino San
Bonaventura da Bagnoregio Rosmini A., in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Opere di A.,. Cheney, Benedetto D'Acquisto, in Catholic Hierarchy. L'ontologismo rivoluzionario nella Logica di
Benedetto D'Acquisto di Antonio Fundarò, dal sito dell'Istituto siciliano di
studi politici ed economici ISSPE. Predecessore Arcivescovo di Monreale Successore
Archbishop Pallium PioM. svg Pier Francesco Brunaccini, Giuseppe Maria Papardo
del Pacco, Arcivescovi di Monreale Fino al 1500Caro Giovanni Boccamazza Pietro
Gerra Ausias Despuig Juan de Borgia Llançol de Romaní XVI secoloJuan Castellar
y de Borja Enrique de Cardona Alessandro Farnese Ludovico de Torres I Ludovico
de Torres II XVII secolo Arcangelo Gualtieri Jerónimo Venero Leyva Cosimo de
Torres Giovanni Torresiglia Francesco Peretti di Montalto Ludovico Alfonso de
Los Cameros Vitaliano Visconti Giovanni Roano e Corrionero XVIII secolo Francesco
del Giudice Juan Álvaro Cienfuegos Villazón Troiano Acquaviva d'Aragona Giacomo
Bonanno Francesco Testa Francesco Ferdinando Sanseverino Filippo Lopez y Royo
XIX secolo Mercurio Maria Teresi Domenico Benedetto Balsamo Pier Francesco
Brunaccini Benedetto D'Acquisto Giuseppe Maria Papardo del Pacco Domenico
Gaspare Lancia di Brolo XX secolo Antonio Augusto Intreccialagli Ernesto
Eugenio Filippi Francesco Carpino Corrado Mingo Salvatore Cassisa Pio Vittorio
Vigo XXI secolo Cataldo Naro Salvatore Di Cristina Michele Pennisi. DELLA
NATURA DEL LINGUAGGIO, E DELLA SUA INFLUENZA NELLA FORMAZIONE DELLE IDEE. Per ESTENSIONE
della idea generale s'intende la sua capacità di applicarsi al numero degli
individui. La COMPRENSIONE è riposta nel pumero delle idee semplici delle quali
essa si compone; perció quanto è maggiore la comprensione tanto minore è l'estensione,
ed all'inverso. Ritrovare l'origine primitiva del linguaggio, dopo
infinite vicissitudini ed incalcolabili trasformazioni, oltre di essere fuori
del nostro assunto, sarebbe la cosa più difficile. I fenomeni quanto sono più
ovvi e generali altrettanto la loro radice è sepolta nelle tenebre. Moltissime
e svariate sono state le opinioni dei filosofi intorno all'origine del
linguaggio, e forse ancora la lite non è stata decisa. Varie lingue si sono
parlate, dalla corruzione e dalle trasformazioni di queste ne sono risorte
delle altre, e da queste ancor del l'altre. Se cosa di certo potrà trovarsi, la
speranza di tal trovamento si deve porre nel fatto, cioè nella co stituzione
dell'uomo e nella natura dello stesso linguaggio. L'uomo è dotato di
sensibilità e di facoltà attive e libere: égli prova sensazioni, è affetto da
piacere e da dolore; in ciò è passivo: egli reagisce sopra le stesse
sensazioni, ed a suo piacere analizza, ricompone, e n e forma de nuovi
prodotti,ed in ciò è attivo e libero; egli ha dunque delle sensazioni e delle
idee e forma giudizi; tutto ciò è effetto del lavoro interno dello spirito
umano, e non v’interviene convenzione per conto alcuno. Dall'altra parte avvi
nel linguaggio ciò che nell'uomo ha anche costituito la natura, e vi si trova sempre
lo stesso, propagato in tutte le lingue senza alcun cangiamento o alterazione,
e che dovrà per necessità trovarsi in tutte le lingue possibili. L'uomo èstato fornito
degli organi vocali. Egli mette per essi naturalmente de' suoni. Questi sono o
semplici emissioni di fiato, tali sono i suoni detti vocali. Altri sono delle
intonazioni che dipendono dall'azione libera di alcuni organi vocali, tali sono
icosi detti suoni consonanti, e questi stessi suoni non possono prescindere dai
suoni vocali perchè o li precedono, o li seguono, non potendosi dare esercizio
di organi subordinati senza l'esercizio degli organi subordinanti. I suoni
vocali sono la manifestazione de' sentimenti, e le intonazioni, o consonanti le
espressioni delle idee, quelli accennano alla passività, questi all'attività; quelli
sono comuni all'uomo ed alle bestie, questi all'uomo solamente, e mettono la
gran differenza fra le une e l'altro. Tutto ciò è ancor opera della natura. Bisogna
in fine riconoscere un legame ancor formato dalla stessa natura. Questo legame
è il rapporto fra lo spirito e gl’organi corporali, e fra questi e gl’oggetti.
La condizione, che stringe sempre più e muove questo legame, è il principio d’imitazione
che eminentemente possiede l'uomo. Egli per parlare ha un modello naturale da
imitare, cioè la natura e le idee. Tutto ciò adunque che si ricerca alla
perfezione del linguaggio è dato dalla natura; che altro manca alla esistenza
di una lingua, se non la combinazione volontaria dei suoni vocali e delle
intonazioni per formare la pittura e l'espressione delle idee. Ma questa
pittura, questa espressione nel linguaggio primitivo [Gl’organi che concorrono
alla formazione de’ suoni ARTICOLATI sono la trachea o canna della gola per la
quale passa l'aria, e ri passa ne pulmoni; la laringe che è un canale
cilindrico corto alla tesla della trachea; la glotta che consiste in una
piccola fissura fra due membrane circolari dove si forma il suono e la
diversità ed intensilà de’ tuoni; la cavità della bocca e delle narici in cui
il suono viene riflesso e ri-suona. Quest’organi sono destinati alla produzione
de’ suoni vocali. La lingua colle sue vibrazioni, i denti, le labbra coi loro
movimenti sono gli stromenti delle intonazioni, le quali combinate con i suoni
rocali danno in risultato LA VOCE ARTICOLATA dovean essere da una parte
corrispondenti ai bisogni ed allo sviluppo dell'uomo, perciò i suoni
articolati, prodotti dalle funzioni naturali degl’organi e dall'esercizio
libero dei poteri interni moventi gl’organi medesimi, e che esprimeano i sentimenti
e le idee, doveano essere in poco numero, che sono le radicali di tutte le
lingue, restando in arbitrio dell'uomo l’infletterli e modificarli a sua
volontà secondo che crescevano i bisogni della vita [cf. Grice, “Method”], e s’estendevano
i rapporti e cogl’oggetti della natura e cogl’altri uomini. Dall'altra parte,
come il tutto è preparato alla persezione dell'uomo, cioè l'intelligenza, e gl’organi
di rapporto col mondo. Questi riceveano naturalmente l'azione degl’oggetti
esterni e produceano i sentimenti, quella trasforma i sentimenti in idee per
effetto dei rapporti naturali onde erano connessi. Egualmente sono preparati gl’organi
onde pingere ed esprimere coi suoni le idee. È quindi necessario che la stessa natura,
secondo gl'intimi rapporti di quest’organi, produce i suoni in corrispondenza
alle prime idee necessario risultato dell'esercizio delle facoltà. Ciò che ela
realizza per un procedimento naturale. È un fatto costantissimo nella natura
dell'uomo cioè che egli per la sua suscettività prova sentimenti, per la sua
intelligenza li trasforma in idee, e per la sua attività ne determina i
movimenti muscolari nel corpo, i quali sono diretti sopral'oggetto rappresentato
dalle idee. Cosi la stessa attività mette in funzione i muscoli degl’organi
vocali per significare agli altri con i suoni l'idea che gli è presente nello
spirito, que l'oggetto esterno ha una costituzione tutta propria,
che forma la sua specifica natura. Dalla specificità di questa natura origina
il modo e la legge dalla sua azione sopra l'organo del corpo umano. Quest'organo,
per lo stimolo impressovi dall'azione esterna entra in movimento, il quale,
sebbene è la continuazione dell'azione esterna, tuttavia è modificato e
specificato dalla legge fisiologica risultante dalla costituzione dell'organo
medesimo. Questo movimento organico cosi specificato modifica realmente lo
spirito, e vi produce primamente un sentimento, il quale per l'azione delle
facoltà è seguito da una idea. Questa idea per l'attività intelligente diviene
una norma della sua determinazione e direzione verso l'oggetto rappresentato
dalla idea, onde prenderlo e mettersene in possesso. La stessa attività sotto la
scorta della stessa idea, mette in esercizio i muscoli degl’organi vocali per
esprimere colla voce la idea, e per essa il suo oggetto. La volontà, nello
eccitare i movimenti organici del corpo, può avere un doppio motivo prodotto da
un diverso interesse, cioè o immediato, o mediato. È immediato quello per cui
eccita il movimento nei muscoli, per esempio della mano, per prendere l'oggetto
rappresentato dalla idea. È mediato quello per cui mette in azione gl’organi
vocali per SIGNIFICARE o far nascere negl’altri l'idea che è presente al suo
spirito, col fine, sia di simpatizzare con essi, sia per determinare la loro
volontà a proprio vantaggio, e per questo procedimento si effettua
nell'uomo sotto l'influenza della legge fisiologica e della legge psicologica. Eccome
il modo. Avere da costoro o un’azione, o l'oggetto che desidera, sia perchè non
gli noceia. La causa dunque del doppio movimento è lastessa, cioè la medesima
idea, i motivi solamente differiscono, essendo uno il possesso dell'oggetto
rappresentato dall'idea, e l'altro la premura di manifestarla agli altri. Onde
lo stesso è il procedimento del movimento della mano, e de gli organi vocali
eseguito sotto l'impero della stessa legge fisiologica e della stesse legge psicologica,
sebbene per un diverso riguardo. Perciò se naturale è la presa dell'oggetto significato
dalle idee, naturale è pure la voce che esteriormente la esprime. Ciò ha bisogno
di ulteriore sviluppo. Nella esterna espressione delle idee dello spirito,
cioè nel linguaggio parlato, avvi un processo inverso aquello col quale egli acquista
le idee, ma colla stessa legge di continuità. Il processo pel quale nello
spirito si forma l'idea ha il suo principio nella azione dell'oggetto esterno.
Questa azione è sempre conforme alla naturale costituzione dell'oggetto, alla
sua relativa posizione e stato in rispetto agl’organi esterni. Quindi di tante
diverse specie e di tante gradazioni nella stessa specie sono le azioni che gl’oggetti
esterni esercitano sopra gl’organi. L'azione dell'oggetto, arrivando
all'apparecchio esterno dell'organo, lo stimola e vi produce un movimento
rispondente all'indole ed alla forza dell'azione dell'oggetto agente, ed allo
stato di organizzazione dello stesso apparecchio. Questo movimento cosi
modificato si comunica alla struttura ed al processo nervoso dello stesso
organo, nel quale il movimento riceve un'altra modificazione e
qualificazione. Il movimento cosi modificato e qualificato interessa e modifica
lo spirito, e produce in esso il sentimento che per l'azione delle facoltà
diviene idea, la quale nello spirito è IL SEGNO della esistenza del l'oggetto
esterno e della sua qualità. L'idea devesi considerare come la interna parola per
la quale lo spirito sente, conosce ed è assicurato dalla esterna realtà e dei
suoi modi per la modificazione reale che egli riceve dalla forza reale del di
fuori attuata nel movimento, e dalla indole dello stesso movimento determinata
e dalla natura dell'azione dell'oggetto esterno, e dalla struttura
dell'apparecchio esterno e della costituzione interna dell'organo e del
cerebro. Dall'oggetto esterno fino allo spirito avvi una continuazione di
movimento, modifiealo però in diverse guise una connessa coll'altra fino
all'ultima modificazione che riceve dall'organo centrale del cerebro. Il
movimento nella sua essenza non è che la forza materiale attuata e manifestata
sensibilmente per le due forme primitive del tempo e dello spazio; e per ciò
esso è nell'azione dell'oggetto esterno, nelle attuosità dell'apparecchio, e
nella costituzione del tessuto nervoso del cerebro, riceve le diverse
modificazioni e specificazioni della natura dell'oggetto in prima, indi dalla
organizzazione dell'apparecchio esterno dell'organo e della tessitura interna
dei nervi ed in ultimo del sensorio comune. Queste modificazioni e
specificazioni diverse del movimento si possono considerare come tante
articolazioni dello stesso movimento che costituiscono, per cosi dire, la
parola fisiologica che intende lo spirito, per la quale conosce e la realtà
dell'oggetto esterno nella forza attuata nel movimento, che è l'elemento
generico, e la qualità dello stesso oggetto nella modificazione e
specificazione dello stesso movimento, che formano l'elemento specifico delle
idee. Questo è il processo naturale nella formazione delle idee. Volendo poi lo
spirito manifestare al di fuori i suoi sentimenti e le sue idee, si serve dello
stesso elemento generico cioè del movimento, che esso eccita agendo sopra il cerebro.
Questo movimento eccitato nel cerebro, e da questo propagato ai tessuti nervosi
riceve le peculiari modificazioni dall'esercizio delle facoltà dello spirito in
conformità al sentimento ed alle idee che vuole egli esprimere, per le quali si
mette in azione il sistema dei muscoli e muove gli organi vocali, e gli
apparecchi degli stessi organi, cioè il pulmone e la trachea per la emissione
dell'aria; la glotta dove l'aria diviene sonora, che è il mezzo di espressione
del sentimento; il palato, la lingua, i denti e le labbra, dalla funzione dei
quali il suono riceve le diverse modificazioni, le quali formano le intonazioni
o i suoni consonanti, che servono a manifestare le forme del sentimento cioè le
idee e le loro qualità. Quindi nell'aria emessa divenuta suono che in fondo è
movimento, si ha l'elemento generico, il quale forma la base del linguaggio, e
l'elemento specifico che consiste nelle modificazioni che riceve lo stesso suono.
Onde i suoni vocali sono le prime modificazioni del suono generale, indi
le intonazioni o le articolazioni dello stesso suono, le quali si combinano in
guise diversissime con i suoni vocali, ed a queste combinazioni risulta IL
LINGUAGGIO ARTICOLATO. Queste intonazioni sono sempre precedute o seguite da
suoni vocali, poiché l'elemento specifico del linguaggio non può sussistere
senza il generico che ne è la base, di cui le intonazioni sono modificazioni
prodotte dall'esercizio delle facoltà. I suoni, che esprimono le circostanze e
le posizioni necessarie dell'oggetto che si vuole significare, formano le parti
elementari che si trovano in ogni lingua delle parti del discorso. Le combinazioni
poi dei suoni vocali con i consonanti per esprimere l'oggetto e le sue qualità
dipendono dalle esterne circostanze in cui possono trovarsi gli uomini, come
sono il clima, ilgenere di vita, la religione, ed altro, le quali come
influiscono sopra lo sviluppo della facoltà, cosi determinano la combinazione
de'suoni vocali con i consonanti. Nella formazione delle idee vi sono due
estremi. Il primo è l'oggetto esterno allo spirito. Il secondo è lo stesso spirito
che dà esistenza alla idea. L'agente esterno nelle stesse circostanze sempre
agisce allo stesso modo. È cosi gl’organi essendo nello stesso stato, per cui
l'idea è sempre la stessa. Laddove nella espressione esterna della stessa idea,
cioè nel linguaggio, essendo lo spirito, il primo estremo che suscita il movimento,
secondo le disposizioni da cui egli è affetto per la influenza delle esterne
circostanze, muove gl’organi vocali in modi diversi e combina in diverse
guise i suoni vocali con i consonanti, per cui lo stesso oggetto p. e. l'astro del
giorno nelle diverse lingue ha diversi nomi, come “sole” in italiano, “sol” in
latino, “soleil” in frances, ya coseco. Perchè poi potesse rendersi stabile la
esterna manifestazione dei sentimenti e delle idee, che è fugitiva nel
linguaggio parlato, lo spirito si serve delle figure. Ad alcune delle quali
associa ed attacca in prima i suoni vocali, ad altre i consonanti, quali figure
di vengono SEGNI dei suoni, come le parole lo sono delle idee, e le idee degl’oggetti;
e come il punto e le linee possono combinarsi di diverse maniere; quindi la
diversità e la moltiplicità delle figure ossia delle lettere. Dunque l'elemento
di base oggettivo alla formazione delle idee, della parola, della scrittura è
lo stesso, cioè il movimento. Lo specifico, nella formazione della idea, è il
modo di agire dell'oggetto esterno sull'organo e dell'organo sullo spirito;
nella formazione della parola è pure la costituzione degl’organi e
l'articolazione dell'aria che si porta al senso degli altri. Nella formazione
della scrittura è ancora la costituzione degl’organi e la loro azione sopra una
materia esterna che viene specificata. Lo stesso spirito è il fine del processo
fisico e fisiologico nell'acquisto della idea, ed il principio dello stesso
processo nella espressione esterna della idea. Il legami hanno la stessa
connessione e la medesima continuità si nell'uno che nell'altro processo. Lo
spirito nella espressione delle sue idee imita il modo naturale della loro acquisizione.
In tutti i segni adunque degl’oggetti, cioè nelle idee, nelle parole, nella scrittura
vi ha l'elemento generico e lo specifico. Il generico in fondo è lo stesso,
cioè il movimento, il quale non è che l’esterna manifestazione della forza
intrinseca a tutti i corpi. L’elemento specifico è riposto nella trasformazione
dello stesso movimento secondo la struttura degl’organi che sono in funzione, e
la natura dell'oggetto che ve la determina; perciò i movimenti possono
diversificare di tanti modi, quante sono le esterne impressioni, il loro grado
di forza, e la costituzione degl’oggetti che le cagionano, la struttura e lo
stato degli organi interni ed esterni. Nell'essere assicurato lo spirito della
esistenza d’un oggetto per mezzo della idea vi sono perciò II condizioni della
diversità de' movimenti. Una esteriore, che deriva dal modo di agire
dell'oggetto esterno allo spirito. L'altra interna, che nasce dalla naturale
struttura e dallo stato degl’organi, i quali modificano e trasformano il movimento
ricevuto dall'esterno. Cosi, nel manifestare lo spirito le sue idee, é per
esse la cognizione degl’oggetti vi hanno II condizioni. Una è la reazione dello
spirito, la quale è da esso determinata GIUSTA L’INFORMAZIONE che egli ha della
idea. L’altra è riposta nel movimento degl’organi interni e nella funzione
degli organi vocali che producono il suono, il quale può modificarsi in diversissimi
modi ed in tanti suoni articolati quante sono le idee e le loro qualità, come è
chiaro, della moltiplicità e delle parole, e delle diverse lingue. Il suono nel
linguaggio risponde ed esprime il sentimento che è la base della idea, e
l'articolazione del suono alle forme del sentimento cioè alle idee ed alle loro
proprietà. Come il sentimento nello spirito risponde al movimento organico che
ve lo cagiona, e la idea all'indole peculiare dell'armonia del movimento sotto
la quale è prodotto. Questi fatti sono connessi e legati l'uno all'altro in un
processo di continuità tanto nella formazione della idea quanto nella
produzione del linguaggio -- ma in un ordine inverso ed ALTERNO NELLA
CONVERSAZIONE. Lo spirito legge nelle sue idee le esistenze degl’oggetti col
processo che comincia dalla loro azione, e per un processo inverso, che ha
principio dall'azione dello stesso spirito, egli esterna e manifesta le stesse
idee fino alla scrittura, alla pittura, alla scoltura ec. Uno è il movimento,
ed indefinite le modificazioni che lo diversificano. Uno èi lsentimento ed
indefinito il numero delle idee nelle quali si trasforma. Uno ė il suono, ed
indefinito il numero delle parole nelle quali è articolato. Unico è il punto
del flusso dal quale nasce la linea, ed indefinito il numero delle figure, e le
combinazioni che di essi possono farsi, d'onde le diversità delle lettere nelle
diverse lingue. Tratti generali hanno le idee, le parole, le figure. L'unione
del pensiero col linguaggio, e di questo colla scrittura ha il centro e la base
nello spirito, il quale, per il movimento modificato delle leggi fisiche ed
organiche riceve le impressioni nella sua unità, e da questa riversa il
prodotto e lo propaga al di fuori per mezzo delle stesse leggi. Se le condizioni
che formano l'elemento specifico del linguaggio è semplificate e ridotte a
principi non è difficile la formazione di una lingua universale. È bensi da
osservare che la totalità dell'armonia della costituzione del corpo umano, ed
in essa la specialità degl’organi che la compongono, è modificata ed informata
negl’individui da talune cause esterne ed interne, le quali, agendo sopra di
esso potentemente e perennemente vi determinano un temperamento costante il quale
poi, come modifica di un modo speciale i sentimenti e le idee, cosi modifica
diversamente il movimento degl’organi vocali nella produzione delle intonazioni,
le quali commiste ai suoni vocali producono una diversa articolazione, e quindi
la diversità delle parole che significano presso diversi individui la stessa
idea ed il medesimo oggetto. Qui si trova la ragione del linguaggio diverso
presso le diverse nazioni, le quali, secondo le diverse posizioni e circostanze
morali, politiche, fisiche e topografiche, parlano diverso linguaggio come hanno
diversi costumi. La nazione greca, che è colta, civile e voluttuosa, parla u n
linguaggio molto ornato, troppo polito e per alcuni splendido. ROMA, che parve
nata a comandare, ha un linguaggio NOBILE, ROBUSTO, MAGNIFICO. Le lingue che
ebbero nascita da questa madre portano tratti differenti non solo della loro
madre, ma ancora fradi esse. La spagnuola porta il carattere di gravità, di
pomposità e di alterezza. La francese è vivace, spiritosa ed animata. L'italiana
molle, gentile ed amena. L'inglese sobria, sentenziosa e concisa. Quelle del settentrione
aspre. Il linguaggio convenzionale è uno dei più potenti mezzi che
contribuiscono al soddisfacimento di questi bisogni. E mentre il linguaggio si
accresce per lo sviluppo delle facoltà, tende a sempre più perfezionare le
facoltà. Ma i segni convenzionali, che compongono il linguaggio, non possono
aversi senza i segni naturali; poichè non può darsi fra gl’uomini convenzione
alcuna senza che prima s'intendano, nè possono intendersi senza i segni
naturali, i quali sono a tutti comuni, perchè prodotti spontaneamente dalla
loro natura, e perciò per questi tutti gl’uomini s'intendono. Devono per tanto
ammettersi prima i segni naturali per iquali eglipo s'intendono, ed
intendendosi sopra gli stessi segni naturali fondano il linguaggio
convenzionale, il quale è di quelli una estensione. I segni naturali sono le
grida, ed i gesti, i quali sono varii come lo sono le grida. Questi segni sono
generalmente da tutti intesi, perchè esprimono in tutti le medesime idee ed i
medesimi sentimenti. Che se al grido si unisce il gesto, il segno di
espressione diviene più indicativo e sicuro. Infatti, questo linguaggio si parla
nella vivacità delle passioni, quando non ha luogo l'esercizio della facoltà
intellettiva. Ora dure ed austere. La lingua e l'eco del costume, come il
costume lo è della natura e carattere delle idee, le quali sono più o meno
perfette, in maggiore o minor numero secondo il maggiore o minor grado di
sviluppo e di perfezionamento delle facollà, ed il maggiore o minor numero dei
bisogni che si suscitano nell'uomo. Se il gesto si unisce al grido, ed il
movimento de’ muscoli corporei al movimento de muscoli degl’organi vocali per
rendere più sicura ed espressa la manifestazione dell'interno sentimento e
della idea, non su difficile mettere in movimento i muscoli degl’organi della
lingua de’ denti e delle labbra per rendere più completo e più perfetto il
suono per la manifestazione più esalta più commoda e più espressiva della idea,
e surrogare alle gesla le intonazioni che suppliscono alla loro imperfezione.
Si osservi infatti, quali sono le risorse della natura che ruole esprimere gl’interni
sentimenti e le idee. Mentre il bambino ha soli sentimenti e non ha formato
idee degl’oggetti che lo modificano, egli si esprime per il mezzo delle grida,
i quali diversamente modifica secondo la diversità de'sentimenti che egli prova;
quando le sue facoltà cominciano a svilupparsi, ed a formare idee, egli
comincia a dare una certa precisione alle sue gesta, ed insieme una certa
articola suoni vocali le intonazioni, le sue idee, sebbene noi, con che
intende esprimere non sono tura, e per e per opera della l'istinto della
imitazione na uso delle parole comincia a far non l'intendiamo convenzionali. Indi,
perchè che ascolta, e che gesto diretto sopra, per il mezzo del attacca
l'oggetto presente al suo allo stesso oggetto sguardo, mente. Tutto ciò succede
nel bambino. Questo natural procedimento naturale che si fa per gradi essere
per gradi perfetti imperfetti nel bambino, dovelte ed istantanei nell'uomo primiero,
il quale nacque adulto, col pieno sviluppo delle sue facoltà: egli conobbe i
suoi poteri naturali, conobbe la natura degl’oggetti che lo circondavano, ha
nette e precise le sue idee, perciò è facilissimo per la manifestazione delle
sue idee accoppiare le intonazioni semplici ai suoni vocali ancoras emplici,d'onde
risulta LA VOCE ARTICOLATA anche semplice, al profferimento della quale une
anche il gesto, ed è compreso. Questa voce divenne il segno radicale che si
attacca alla idea, il quale per l'abitudine divenne permanente. Formata questa
lingua primitiva ;divenne essa il tipo della formazione di tutte le altre.
Quesla teoria è conforme aciòchesi legge nel Genesi -- Formatis igitur, Dominus
Deus, de humo conctis animantibus terrae, et universis volatilibus coeli,
adduxiteaad Adam, ut videret quid vocaretea: omne enim quod vocavit Adam animae
viventis, ipsum est nomen ejus. Appellavitque Adam nominibus suis cuncta animantia et
universa volatilia coeli, et omnes bestias terrae. Cosi anche impone il nome ad Eva, haec vocabitur
virago, perchè, quoniam deviro sumpta est,e ciò perchè egli conobbe che ella
era, os ex ossibus meis, et caro de carne med. Il divino in fine dovea dare
l'ultimo complemento a tutti gl’elementi della sua opera, ed attualizzare tutti
irapporti necessari fra questi elementi. Il primo uomo adunque, come
naturalmente prova sentimenti, come per l'esercizio della sua intelligenza li trasformó
in idee, come naturalmente per i primi mise fuori suoni vocali, per la seconda
produce le intonazioni. Così dovette combinare le intonazioni colle vocali e
produrre LA PAROLA ARTICOLATA, imagine e PITTURA della idea, allo stesso modo
come trasforma in idea il sentimento coll'esercizio delle facoltà della sua
intelligenza. Questo lavoro delle facoltà non è che istantaneo nell'uomo che
nacque sviluppato, ed istantaneo su il linguaggio. Fu opera del divino
l'esistenza, e la perfezione dell'uomo primiero mediante la perfezione e lo
sviluppo delle sue facoltà, cosi è opera del stesso divino l'esistenza del
linguaggio mediante l'esercizio degl’organi vocali dati all'uomo per questo
fine. Fuvvi dunque nella lingua primitiva la base posta dalla natura, e questa
base devesi trovare in tutte le lingue; fuvvi l'opera e l'esercizio delle
facoltà, e questo sirinviene in tutte le lingue; ilprimo elemento è
invariabile, e si trasfonde da generazione in generazione senza mutamento o
alterazione. Il secondo è variabile, e cangia coi tempi, secondo i climi, i
bisogni, il genere di vita, ed il progresso dei lumi, ed esso è la causa della
moltiplicità delle lingue e della loro varietà. Dietro tali considerazioni
chiaramente si scorge, che IL LINGUAGGIO ARTICOLATO è il segno in fatto della
grande differenza che distingue l'uomo da tutti gli altri viventi, a cui
mancano le intonazioni, perchè manca l'esercizio libero delle facollà della
intelligenza, e mancano in conseguenza la precisione e la perfezione delle
idee, e sono perciò limitati ai semplici suoni vocali, perchè limitati alle
sole sensazioni. Nell'uomo però in cui son vi non solo le
sensazioni, ma ancora interviene l'esercizio libero delle facoltà, sonyi e le
vocali, e le intonazioni, e la combinazione, ed il concerto dell’une e dell’altre,
per la espressione delle idee. I bruti naturalmente, per esprimerele loro
sensazioni, si servono de'suoni vocali diversamente modificati ed espressi, e
tale espressione è intesa dagli individui della stessa specie. Non potrebbe
l'uomo anche fare lo stesso, essendovi in esso gli stessi a pparecchi e le
stesse condizioni? certamente che si, ma l'uomo ha pure idee, ed ha il mezzo
onde esprimerl, cioè le intonazioni; chi impedisce d'impiegarle e COMBINARLE per
la espressione delle idee come per le vocali esprime i sentimenti. È forse difficile
il framettere le intonazioni necessarie alle vocali spontanee? come non era e
non è difficile il combinare il sentimento coll'esercizio delle sue facoltà ed
averne in risultato l'idea, cosi non gli fu difficile combinare e modificare le
vocali necessarie all'espressione del sentimento colle intonazioni, che
potevano contornarle e. precisarle alla esatta pittura della idea. Si forma un
nuovo oggetto, una macchina, p. e. manca il nome, l'espressione; che si fa, si
combinano due o più termini che esprimono gli elementi, e se ne forma un solo. Questo
esempio è sensibile, ma infiniti esempi simili si osservano, sebbene poco
considerati in tutte le lingue come nella LATINA; come dunque in tutte le
lingue per l’unione delle voci radicali si formarono le derivate. Cosi nella
lingua primitiva dalla unione delle vocali e delle intonazioni analoghe si
formarono le radicali. Ma come avrebbero potuto trattenersi a memoria tante
voci? come si trattengono a memoria ed il vocabolo nuova mente composto, e le
voci derivate. L'oggetto che è presenteallo spirito, gli elementi ed i loro
nomi particolari, che si conservano nella memoria, sono il mezzo di ricordare
il vocabolo nuovamente coniato; cosi le vocali che esprimono i sentimenti
dell'animo i quali sono presenti allo spirito, le intonazioni corrispondenti
all'operazione delle facoltà, che ancor è presente allo spirito, sono il mezzo
di ricordare la voce impiegata alla espressione di quel sentimento precisato,
di quella idea; si risovvenga che il linguaggio primitivo, per i pochissimi
bisogni dell'uomo, per ipochi rapporti cogli altri uomini, non si componeva che
delle sole radicali, e che le voci composte cominciarono ad accrescersi secondo
crescevano e s'intrecciavano i bisogni ed i rapporti. Quindi per dimenticare il
suono, che è un prodotto naturale, bisogna dimenticare l'idea; ciò che succede
ad ogn'uomo oggi giorno. S'aggiunga a ciò, che quanto èpiù forle l'impressione,
quanto è più vivo il sentimento, tanto è più energicà e pronunziata
l'espressione ed il suono vocale; quanto più marcata è l'azione dello spirito
sul sentimento, tanto è più decisa l'espressione delle intonazioni e delle consonanti,
e quanto è più interessante e distinta l'idea, tanto più viva è l'espressione e
la parola. Ciò è chiaro e ne’ selvaggi, ed in tutti coloro che sono
nell'impegno di trasmettere colle parole le loro idee ardenti e staccale. La
parola è la pittura e l'immagine della idea; l'idea è l'immagine dell'oggetto e
l'espressione dello spirito; l'oggetto e lo spirito sono l'espressione
dell'assoluto. Tanto è chiaro a sé lo spirito, e tanto luminoso allo spirito
l'oggetto quant'è il grado di luce che comunica l'assoluto allo spirito ed
all'oggetto: tanto è vivo il sentimento e distinta l'idea, quanto è più chiaro
a sé lo spirito e luminoso allo spirito l'oggetto; tanto forte è il suono
vocale, ed energica l'intonazione, e precisa la parola quanto più vivo è il
sentimento e distinta l'idea. I sentimenti dell'uomo primiero, che nacque
adulto e non bambino, e tale dovea nascere, i prodotti del l'azione degli
oggetti esterni, la percezione del proprio spirito,ed indi le sue idee furono
vivissimi, distintissimi, ed al massimo grado di precisione, tanto per la
novità, quanto pel grado di luce, che il divino diffunde e nello spirito
dell'uomo di recente formato e nella natura, che la prima volta espose al suo
sguardo; perciò forte, marcato, ed espressivo dovette essere, ma semplice, e
concise il suo linguaggio, ciò si rende chiaro dalle indole della stessa lingua,
la quale, a giudizio de'più dotti filologi, può considerarsi come l'esemplare
di tutte le altre. SCHLEGEL in fatti la chiama la più sublime e la più
energica, e per la sua vibrata concisione, e per le vive e frequenti
aspirazioni delle voci, e lo stesso Audisio la dice divina. Questa è la lingua
ebraica, la quale è parlata da Adamo e Gli elementi dunque del linguaggio,
che formano il suo tipo originale, furono tutti dati all'uomo dalla natura, e
l'uomo,che trovò in se preparati e pronti questi ele menti, non fece altro che
metterli in opera, ed ebbe immediatamente il prodotto. Per questo tipo il lin
guaggio è mezzo di comunicazione e centro di rap porti fra tutti gli uomini;
perchè in tutti questo tipo è identico,tutti comunicano e fra loro s'intendono,
restando sempre separati per l'arbitrario: infatti il tipo naturale delle
lingue è insegnato es'impara dalla ragione, perchè in tutti gli uomini ella è
uguale e la stessa:e perchè tale, è in tutti gli uomini centro di unità e
condizione identica di comunicazione,per il mezzo degli apparecchi vocali, che
sono uguali e gli stessi in tutti; laddove l'arbitrario s'apprende per l'uso e
per abitudine, perchè introdotto dall'uso e dall'abitudine. Tuttociò come da
lume,e ci rende facilelaco noscenza della natura del linguaggio,cosi riceverà m
a g dai suoi discendenti, ed ebbe questo nome da Eber nella famiglia del quale
si conservò dietro la confusione delle lingue. Ciò fa conoscere l'errore che si
commelle nell'apprendimento delle lingue specialmente antiche,pel quale si
daono tante svariate e moltiplici regole e precetti di che si compongono le
grammatiche specialmente moderne, le quali, gravando la mente non fanno ap
prendere con facilità e perfezione la lingua. In qualunque lingua devesi
imparare colla ragione,cioè colle regole,ciò che è opera della natura e della
ragione, vale a dire,ilfondamento della lingua: la costruzione
perd,ilgenio,iterminidellalingua,leloro inflessioni, e la sua eleganza, essendo
un prodotto dello sviluppo ed esercizie delle facoltà, debboosi imparare
coll'uso. Occupa nel linguaggio il primo luogo quella voce che esprime
l'oggetto dell'idea che o è principio di azione o ne è il termine, o pure
qualche proprietà del medesimo oggetto; questa voce è stata detta nome; che
gior luce, e sarà confermato dall'analisi che ne fa remo. Il linguaggio è un
fatto il più noto ed il più generale; analizzando questofattosi conoscerà
distin tamente ciò che vi ha posto la natura, e ciò che vi è introdotto dalla
volontàdegli uomini. Tuttigliuo mini sono dotati di sensi pei quali ricevono impres
sioni dagli oggetti esterni e provano sensazioni; tutti hanno una intelligenza
dotata di facoltà, perlequali e possono trasformare i sentimenti in idee,
parago narle, e formare giudizi sopra le idee e gli oggetti corrispondenti,e
preparare in un giudizio la maleria di un altro,e da ciò che ha conosciuto
avanzarsi ad ulteriori conoscenze. Tutti possono cacciar fuori una massa
d'ariadaipulmoni, emettereinazioneglialtri organi vocali che servono a
modificarla, e come non per propria industria ha avuto l'uomo queste facoltà,
cosi non perpropria arte ha conseguito di poter par lare. Infatti prima di
formarsi o la grammatica, o la logica, ciascuna nazione ha ricevuto dalla
natura l'uso della favella e gli elementi necessari e presso tutti si mili. Chiunquevuole
esprimerelesueidee,emani festare gl’interni giudizi in qualunque siasiluogo,in
qualunque lempo,di tante parti naturalmente fa uso, quante sono necessarie ad
esprimere le idee, ed i giu dizi con tutte le circostanze, le particolarità, e
la gra dazione di colorito e di luce. se esprime l'oggetto si dice
sostantivo, se indica la proprietà si chiama aggettivo, se però si considerano
in astratto, e come separate dai loro soggetti, rien trano nella classe
de'sostantivi come bianchezza, tar ghezza,solidità,ecc.È però da riflettere, chegliog
getticheagiscono sopraisensi,edicuilospiritopuò formarsi idee sono di un numero
incalcolabile;ildare ad ognuno di essi un nome sarebbe stata una impresa non
che difficilissima, ma si bene impossibile;l'uomo ha superato tale difficoltà,con
applicare lo stesso nome a tutti quegli oggetti che presentano le medesime pro
prietà; si è dato il nome di albero a ciò che hanno d'identico quegli oggelti
che sorgono da una radice, che son nutriti dalla terra, che hanno tronco, rami,
foglie ecc., quindi tutti i nomi esprimono idee gene rali di classe, di genere,
dispecie,tranne quei nomi che disegnano un solo individuo come Pietro, Paolo
ecc., i quali si dicono nomi propri a differenza dei primi che si chiamano
appellativi. Ma dicendosialbero, uomo, non si saprebbe di qual albero, di qual
uomo volesse parlarsi;la natura ha suggerito un altro mezzo onde togliersi
questa per plessità, qual'è ilpronome, il quale è una parola che rappresenta
determinatamente il nome dell'oggetto, ed ha nello stesso tempo il vantaggio di
escludere le frequenti ripetizioni dello stesso nome.Il pronome ė anch'esso
generalissimo, potendosi applicare ad oggetti diversissimi e ad ognuno di essi
secondo le circo stanze.Indica in prima la persona che parla io;la persona a
cui si parla, tu; e quella di cui si parla quello, questo, colui ecc.;
attribuisce ancora la pro prietà alla cosa designata, come tuo, nostro; indica
similmente le relazioni degli oggetti con altri di cui si:forma giudizio, come,
il quale, le quali,e nota in fine la presenza, la vicinanza o la lontananza
dell'oggetto designato, come questo, quello, colui. Vi sono altre circostanze
ed altre relazioni che pos sono avere gli oggetti, e che il linguaggio con
precisione esprime; quindi il nome tanto sostantivo c h e aggettivo ha numeri,
generi, e casi. Il numero indica se l’oggetto è uno, o più di uno; il genere
propriamente determina i sessi, o l'analogia che hanno coi sessi; i casi
esprimono le diverse relazioni che un oggetto ha con altri, designate con certe
particelle che si premettono ai nomi,tali sono isegnacasi come il, del, al ecc.
come nelle lingue moderne;o da certe infles sioni nellesillabefinalidello
stessonome,comepater, patris, patriecc.,yxws,4x8,qxw ecc.,nellelingue an tiche
per la più parte. Il nominativo indica o semplicemente la cosa che è, o pure
che agisce. Il genitivo esprime il possessore; il dativo la persona o la cosa a
cui si reca utile,danno,o qualunque altra attribuzione; l'accusativo la cosa su
cui passa o cade l'azione; il vocativo mostra l'oggetto a cui si diri gono le
parole; l'ablativo finalmente che si trova in molte lingue, serve ad esprimere
tutte quelle altre p o sizioni che non si potevano commodamente espressare
cogli altri casi. Un oggetto può solamente esistere,può essere in azione, e può
ricevere in sè l'azione di un altro; era perciò necessaria una voce che
esprimesse questi stali;questa voce è detta particolarmente verbo, il quale
esprime ciò che è di più essenziale nel discorso, cioè o l'esistenza, o
l'azione, o la passione coi progressi del tempo, e le circostanze delle cose, e
contiene in sè un completo giudizio intorno alla natura delle cose medesime. Esso
indica il tempo dell'esistenza,del l'azione e della passione e le sue
gradazioni, cioè il presente, il passatoel'avvenire;ammette anche imodi,
l'indicativo che esprime lacosa assolutamente; l'imperativo che chiede o
comanda, il soggiuntivo che esprime il giudizio sotto la condizione o la
subordinazione di qualche cosa a cui si riferisce. Esso finalmente ha numeri e
persone. È prossimol'avverbiochesiuniscetantoainomi quanto ai verbi, e serve a
determinare il particolar luogo,modo,e grado o ad una cosa,oall'esistenza, o
all'azione, o alla passione; esso ha una vastissima estensione sul riguardo che
può modificare le circo stanze della cosa o esistente o in azione,ed è una
maniera abbreviata di espressione come hic qui vale in questo luogo ecc. Il
verbo in ogni lingua genera un'altra voce, che vien detto participio, in quanto
serba la significazione del verbo da cui ha origine, ed acquista insieme la
forma del nome,con che un giudizio viene incluso in un altro, e richiama con un
sol segno alla m e moriaciòcheèstatodetto,osisuppone conosciuto, con designare
nello stesso mentre la persona, il numero, l'azione ed il tempo,come amans
amante, co luicheama,amava,oamando. Sebbene sembra che queste parti
avessero potuto bastare ad esprimere inostri pensieri, purnondimeno affinchè il
linguaggio riuscisse a copiare perfettamente i nostri interni sentimenti con
supplire all'espressione degli accidenti e de'siti lasciati e non indicati
dalle parti antecedenti, si sono aggiunte altre voci di gran dissimo uso,che si
dicono preposizioni come super so pra, circum intorno; alcune altre che
servissero a se parare o a congiungere le idee secondo il bisogno, tali sono le
congiuntive e le disgiuntive come et e, aut o,ecc. Altreinfine,chesebbenenon
abbiano segnatamente attaccata alcuna idea,indicano però i movimenti del nostro
animo, che le facoltà non hanno potuto, a causa della loro istantaneità
analizzare e sviluppare in idee, e che possono considerarsi come l'espressioni
naturali dell'uomo affetto di dolore o di piacere, o di qualunque altra forte e
subitanea affezione heu, oimè ecc.Quindi colla frequente ricorrenza, e colla
combinazione di otto voci riusciamo ad immettere nel l'animo altrui le nostre
idee, i nostri giudizi, e le nostre affezioni con tutte le loro particolarità,
cioè l'oggetto del nostropensiero,lesue proprietà, igradi delle medesime
proprietà,tuttigliaggiunti, l'esisten za, l'azione, la passione con i loro
rispetlivi tempi, modi e numero degli agenti o pazienti; gli ordini delle cose
adiacenti nella natura, la loro successione nell'animo, il graduato calore
degli affetti.Di queste parti alcune sono invariabili e sempre le stesse nella
loro espressione; altre sono soggette a certi cambia menti,
tuttavia però nello stesso cambiamento serbano una certa costanza, la quale
forma il principio e la natura della grammatica delle lingue. Tutte queste
parti,che devono riguardarsi come il fondamento del linguaggio, si trovano in
tutte le lingue si antiche che moderne;in esse si scorge l'o pera della natura
sempre stabile e costante in mezzo alle incalcolabili varietà che subiscono le
lingue;tutto ciò che cangia è opera dell'uomo, ciò che è costante
èl'effettodiuna causa superiore,laqualecomeman tiene costantemente nell'uomo
gli organi e le facoltà, conserva egualmente le parti essenziali del
linguaggio. Non è però lo stesso nelle lingue ciò che è opera del l’uomo;
questa viene modificata da varie circostanze, tali sono il genere di vita, i
temperamenti diversi, la religione, il costume, la temperatura dell'aere, la
qualità de' luoghi, le gradazioni di sviluppo e tante altre,che,come
influiscono sopra la maniera di pen sare, influiscono nella maniera di
esprimersi, da ciò ladiversitàdellelingue.Sidissepiùsopra cheisuoni vocali sono
l'espressione della sensibilità,e le into nazioni,e i consonanti il prodotto
delle facoltà dello spirito; la sensibilità ed i prodotti diessa sono quasi
simili in tutti gli uomini, perchè in tutti esistono gli stessi sensietutti
sono capaci di piacereedidolore; iprodotti però delle facoltà libere dello
spirito variano esimodificano diversamente in tutti gl’uomini; onde è che
possono darsi alla stessa voce varie intonazioni, cioè possono i suoni vocali
essere combinati con di verse e varie intonazioni, d'onde risulta la
diversità delle voci articolate e la moltiplicità delle parole. Ma la
stessa temperatura dell'aria, la medesima educa zione, la religione, lo stesso
suolo, i medesimi co stumi come influiscono nell'esercizio e sviluppo delle
facoltà,influiscono cosi nello stesso modo d'intonare, perciò la stessa lingua
presso lo stesso popolo,ed in questo più o meno perfetta, più o meno
elegante,più o meno estesa a seconda lo sviluppo e la collura degli individui
dello stesso popolo,della medesima nazione. Oltrediqueste cagioni
intrinseche,avvene un'altra estrinseca che produce la varietà delle lingue,
vale a dire la mistione di altre lingue, e da questa mistione hanno origine
altre lingue che sorgono nuove. Tale sappiamo l'origine di tutte quelle lingue,
e di quei popoli fin dove si estende l'istruzione dataci dalla sto ria, e con
particolarità di quelle a noi più vicine e le piùfamose,come
lagreca,elalatina;tanto l'una che l'altraebbero origine frai pirati e masnadieri,
e crebbero sotto ibarbari. i Fenici, i Frigi, i Macedoni, gli Illirici, i
Galati, gli Sciti,e l'eventuale concorso degli errabondi, e degli esuli diedero
origine alla greca nazione,e furono i primi legislatoridella lingua. Gl’umbri,
i galli, gl’etruschi, i sabini, i campani, i sanniti anno origine alla LOQUELA
DEL LAZIO O LATINA, ognuno de' quali da parte sua, introducendo i propri
termini, e la propria maniera d'inflettere, concorse alla formazione di una
nuova lingua non prima parlata, che è il prodotto di vari e diversi dialetti,
quale indi, le vicende delle nazioni, il progresso nelle arti, nelle scienze, e
nella civilizzazione portarono a quello stato di perfe zione che tanto in esse
ammiriamo. L'opera dell'uomo non è mai stabile, come l'uomo stesso; ha
egli la sua nascita, la puerizia, l'adolo scenza,lavirilità,la
decrepitezza,efinalmente muore per rinascere la materia sua corporea sotto di altre
forme; cosi è delle lingue: infatti dalla Greca nacquero altre lingue. E di
sotto le rovine dell'impero e della lingua del LAZIO sorge l'italiana.. Ma per quanti
gradi visi pervenne? quante mutazioni,e quante vicissitudini non bisognarono su
bire prima di arrivare al grado di perfezione in cui sonoalpresente? Varie cause
vi concorseroesi combinarono; gli improvisi eventi degli affari politici, il
sito, l'amenità de' luoghi, l'asprezza delle contrade, l'aspetto più o meno
ridente di un altro cielo,la lem peratura diversa dell'aria, lalontananzaolavicinanza
de'mari,delle selve,de'monti, la diversa indole degli uomini che si unirono, le
forme diverse di governo e di religione, la coltura delle arti, e delle scienze,
egualmente che i vari dialetti che si resero familiari per lafrequenza
de'negozi diedero all'antico linguag gio forme affatto diverse. Cacciati
gli Ismaeliti da tutta l'Europa, ove aveano per qualchetempofattodimora, restò l'articolo
arabo, che comincia a prefiggersi ai nomi. Quindi non sicurarono le desinenze
de'suoni finali. L’introduzione di questo articolo (‘sol,’ ‘luna’) è la cagione
primaria del mutamento della lingua libera e pittrice del LAZIO nelle lingua
italiana (‘il sole,’ ‘la luna’). Abbandonando gli Arabi la Gallia meridionale,
la Spagna, le coste di Salerno e della Italia meridionale, lasciarono tuttavia
la desinenza de’ versi puerile, se non vogliam dire, sonante. Non
possiam però negare che dobbiamo loro le brevissime note dei numeri, i calcoli
algebrici, vari nomi di astronomia e stromenti di gnomonica, con alcune notizie
di botanica e di medicina. Vari nomi di fiori ed erbe, incogniti ai nostri,
furono recati dall'oriente dai cro cigeri; intanto le arti e le scienze che
'mano mano si avanzavano,lenuove scoperlechesi facevano,ap portavano nuovi
soccorsi e nuovi nomi alle lingue. Varie maniere di costruire addussero prre
gli inglesi ed i francesi nell'italiano linguaggio,e varie pure di questone introdussero
nelloro; cosisiaggiunse sem pre novità a novità, varie leggi di costruire,
diverse maniere d'inflettere, originate in prima dalla negli genza della
pronunzia, anche molto spesso tronca vansi non che le lettere, ma ben anco le
intere sillabe: dal che ne avvenne che gli uomini domiciliati nello stesso
suolo, degenti sotto lo stesso cielo,e sotto la stessa forma di governo
cominciarono per effetto d'imitazione a adottare comunemente tal forma di
pronunziare, che coll'andar del tempo divenneunuso, una legge. La natura ha
sempre prodotto degli uomini di genio, i quali e per la finezza del giudizio, e
per la vivacità della immaginazione si sollevarono sopra degli altri; ciò che
dal volgo era enunciato di una maniera bassa e triviale, da quelli profferivasi
con scelta, con dignità ed eleganza;furonoessiimitati perchè piace vano, e cosi
discesero e si propagarono nel volgo le maniere più dignitose e più culte di
espressioni, gli ornamenti della lingua cominciarono a mostrarsi in tutto
il loro splendore; si cercò d'imitare ipoeti, gli oratori, e si seguirono ne'
loro vari stili. Questa fatica e questo diletto che prima s'ignorava in mezzo
al fragore ed allo strepito delle armi, e fra gli in commodi de viaggi e delle
emigrazioni, cominciò a seguirsi, a perfezionarsi dai filosofi nel libero ozio
delle lettere, nel calmo silenzio della meditazione, nella tranquilla diligenza
di scrivere. Cosi il linguaggio dapprima rozzo ed incolto per la tanta
confluenza delle discordi locuzioni, cominciò a tingersi dello stesso colore,a
vestirsi della stessa for ma,amostrarsiunasolalingua,chesottolalima degli
uomini di genio e degli eruditi apparve finita e perfetta; ove isuoni
sembravano aspri,furono con sultate le orecchie, si adottarono sillabe più
scorre voli e sonanti; ciò che pareva meno adatto ad espri mere una cosa si
corresse e si rese più preciso. Da ciò chiaro appare che ogni lingua ha le sue
parti essenziali esprimenti le idee ed i giudizi del nostro spirito, cioè i
suoni articolati secondo idiversi offici che ognuna,nella espressione de'nostri
pensieri,deve adempiere, edinciòconsisteil fondamento della lin gua che è opera
della natura. Avvi un modo parti colare di costruzione e di combinazione di
queste parti, una diversità di suoni e d'inflessioni che costituisce la
differenza delle lingue, ed il diverso loro genio, e ciò dipende dall'opera
degli uomini e dalle circostanze nelle quali si trovano.Ha finalmente ciascuna
lingua de celebri scrittori,de'grandi parlatori,che altri Il primo
carattere della lingua, cioè il fondamento, forma l'oggettodioccupazione della FILOSOFIA,
laquale ricerca ciò che avvi di naturale nelle lingue. Il secondo appartiene ai
grammalici, che si occupano delle forme e della proprietà delle stesselingue;
il terzo si tratta dai retori che ne considerano l'eleganza, lo stile e gli
ornamenti. La prima svolge gli elementi naturali e sempre costanti del
linguaggio, la loro unione relativa all'ordine, alla successione, ai tempi,ed
alle circostanze delle idee e de' pensieri che si succedono nel nostro spirito,
ed a questo riguardo illinguaggio è una pittura fedele delle nostre idee;questi
elementi, che sogliono chiamarsi parti del discorso,si ritrovano identici in
ogni lingua. La seconda riguarda la varia desinenza de' suoni, la loro
inflessione, il modo di verso di costruire i medesimi suoni; questa varia se
condo le diverse lingue, o piuttosto forma la varietà delle lingue, perchè essa
è opera dell'uomo non mica della natura. La terza rintraccia l'ornamento delle
lingue,l'uso dellefigure,ele maniere vezzose, eper cosi dire voluttuose delle
medesime; essa è il risul tato della coltura e del genio. Egli è vero che un uomo,
ilqualeèdotatodi organi sani che funzionano normalmente,e di un'anima
ragionevole, può formarsi idee degli oggetti che agi scono sopraimedesimi
organi, può imprimere lei dee nella memoria, può richiamarle quando l'esige il
bi proccurano e si studiano d'imitare; in essi trovasi e deve
ricercarsila proprietà della lingua, perchè essila recarono allo stato di perfezione
e di pulitezza. sogno,può riflettere ed astrarre, tuttavia senza il linguaggio
la nostra condizione sarebbe troppo degradata; e quantunque i bisogni comuni ed
i vantaggi della vita avvicinassero gli uomini e li mantenessero fra loro
uniti, purnondimeno, senza la facoltà di manifestarci scambievolmente gl’interni
sentimenti e le idee, le società reslerebbero stazionarie'ó molto imperfette.
Potrebbero i gesti in certo modo esserci utili,essendo l'espressione energica
della natura:ma di qual aiuto sarebbero in distanza o nelle tenebre? come
potreb bero indicare le cose passate ed a lungo intervallo da noi? in qual
maniera esprimerebbero tante varie m o dificazioni si dell'animo nostro, quanto
degli esseri fuori di noi con tutte le gradazioni delle varie loro tinte e
colori, con quella esattezza e precisione con cui sono espresse dai suoni
articolati? igestinon po trebbero mai indicare inostri interni sentimenti,iloro
gradi d'intensità, e certe oscure e delicate affezioni di cui l'animo è
affetto. È opera del linguaggio articolato il delineare e pingere con
esattezza, con precisione e nella sua totale adequatezza tutto ciò che sentiamo,
che sperimentiamo e che vogliamo trasmettere nell'altrui animo;esso analizza e
scompone nelle sue parti i sentimenti, e dà ad ognuna di esse un segno preciso.
Egli è vero che noi possiamo avere idee sensibili degl’oggetti esterni,elepossiamo
trattenere a memoria senza l'uso de' segni, che anzi non può prodursi un segno
prima di averne formato l'idea che deve attacarsi a questo segno. Ma tante idee
sono di tal carattere, che tosto formate sparirebbero senza al taccarle al
segno che le rende permanenti, e noi sa remmo nella dura fatica di sempre
formarle di nuovo, talisono per la più parte le idee complesse necessarie,
intellettuali, e tutte le nozioni astralte di virtù,vizio, giustizia, bellezza,
deformità, differenza, uguaglianza. Senza l'uso delle parole le scienze non
avrebbero p o tulo avere esistenza; poichè non avvi scienza pura mente
empirica,cioè,che non abbia principi generali: l'individuale,essendo mutabile, non
avendo necessità, non può esser base e fondamento di scienza; or le nozioni generali,
iprincipi necessari non avrebbero potuto aver permanenza nello spirito senza i
segni; i segni li rendono stabili e pronti all'uso,ed isegni hanno servito
d'occasione alla loro formazione, a tanti ritrovati,a tante ricerche: le parole
perchè? come? onde?da chi? quando? essenza,relazione,causa,at tributo sono
fonti fecondi onde lo spirito possa met tersi in movimento e scoprire delle
nuove vedute. Tutte le scienze sono nate,si sono accresciute ed hanno
acquistato quel grado di estensioneediperfezione in cui le troviamo per aver
ricercato ilperchè ed ilcome di un effetto, e tutti i passi e le idee,
cominciando dal perchè e dal come sino all'ultimo risultato,sono state segnate
dalle parole e permanentemente registrate nel linguaggio. Tante riflessioni
potrebbero addursi intorno all'in fluenza del linguaggio sopra le idee ed il
perfeziona mento delle nostre facoltà; ma non volendo esagerare nė deprimere i
vantaggi dello stesso linguaggio ci li mitiamo a ciò che è della massima importanza. Quasi
tutte le operazioni riflesse del nostro spirito sonocomplessee risultano da vari
elementi; ma questi elementi sono cosi connessi nella unità del sentimento, che
sembrano essere un solo esemplice elemento; vero è che l'altività dell'analisi,penetrando
nel seno dello stesso sentimento,ne distingue glielementi confusi;ma questa
distinzione non sarebbe permanente,durevole, e lucida senza il linguaggio e le
parole, ognuna delle quali disegna ciascuno degli elementi distinti,non che i
rapporti che si scovrono fra essi elementi. Un sol fatto sembra la sensazione,
il giudizio, il raziocinio: l'analisi li decompone, ed il linguaggio nola e
dise gna ciascuna parte della decomposizione, e presenta successivamente e
distintamente il tutto;onde volen dosi replicare e riconoscere l'operazione,
basta repli care e ripetere le parole. Il linguaggio in generale deve
considerarsi come il più possente aiuto della memoria, anzi esso costituisce
una memoria artificiale. In vero, lo sviluppo e la coltura dell'uomo non con
siste precisamente nella prontezza ed esaltezza del giu dicare, nella sola
faciltà di ragionare, ma nella pron tezza di aver nuovamente le idee, le
operazioni pas sate che possono servire al bisogno presente; per ri produrre
con prontezza le idee è necessario che fos sero nette e scolpite, e tali si
rendono per il linguaggio; il linguaggio, agevolando lamemoria,contribuisce
moltissimo allo sviluppo ed alla coltura dell'uomo; infatti sono in ragione
diretta la civilizzazionede'po poli, e la perfezione del linguaggio. Le
paroledelle quali si compone illinguaggio non sono che suoni articolati:
esse per questo riguardo sono oggetto proprio ad agire sopra il senso dell'u
dito, e produrre modificazioni ed idee nello spirito, i suoni articolati
considerati in se stessi nulla espri mono, sollanto producono sensazioni,
modificano a loro modo lo spirito, e tante sono le modificazioni quanti sono i
suoni articolati che agiscono sopra l'u dito: di tutte queste modificazioni e
di queste idee lo spirito ne ha coscienza, e ne ha memoria.Noi sap piamo che
l'esperienza diviene più tenace,più solida, più infallibile quando è comparata:
infatti acquistiamo le idee precise ed esatte delle distanze, quando si c o m
bina l'esperienza della vista con quella del tatto. Or ogni idea di qualunque
natura ella sia, a qualunque classe essa appartenga è una esperienza, è un
sentimento distinto che si deposita nella memoria;intanto questa idea, questa
interna esperienza non riceve l’ul tima perfezione, l'ultima mano d'opera,
siccome non si figge nella memoria onde possa a piacere richia marsi, che
allorquando si combina colla esperienza dell'udito, colsuono articolato, quando
all'idea, che abbiamo attualmente nello spirito e nella coscienza, si attacca
la modificazione che produce il suono articolato; questo suono tanto per essere
giudicato iden tico alla idea a cui si attacca, quanto per essere si
multaneamente presente allo spirito, diviene rappre sentativo dell'idea,come
l'idealodiviene del suono, e fa sì che l'idea sia compresa tulta e ristretta
dentro la capacità e la periferia del suono,ed acquista maggiore sensibilità
per la sensibilità del suono in cui è ristretta ed a cui è
attaccata, e cosi riceve l'ultimo contornamento, l'ultima precisione e
finitura. Cosi le parole cielo, mare, monte, temperanza,giustizia ecc. Questo
vantaggio è comune a tutte le idee ed in questo influisce più potentemente il
linguaggio sopra le idee. Ciò è chiaro non solo nelle idee sensibili, ma ancora
nelle intellettuali, nelle necessarie, siano sem plici,siano complesse, e con
particolarità nelle idee de' numeri, e nelle idee universali. Il numero non è
che l'aggregato di molte unità omogenee; esso si forma col ripetere ed
aggiungere l'unità a sè stessa. Noi non possiamo, sotto il m e desimo atto di
conoscenza,abbracciare più di quattro ocinqueunità insieme;ma illimitede'numeri
non si arresta al quattro o al cinque, esso è indefinito. Supponghiamo di avere
coll'idea il termine dell'unità ed il segno dell'addizione, cioè uno e più, e
proce dendo progressivamente uno più uno più uno più uno, ciascuna di queste
addizioni, ed indi il numero che ne risulterebbe sarebbe cosi confuso che noi
non po tremmo affallo determinarlo,e molto meno potremmo formarne idea onde poterla
distinguere da un'altra; come infattipotremmo senza isegni avere l'idea 2000 e
distinguerla da 1999? in questi numeri come ogni parola si affigge ad ogni
passo della progressione, la parola ne determina e precisa il numero e l'idea,
e per mezzo de' segni noi distinguiamo l'una dall'al tra, e le mettiamo in
combinazione ed in rapporto, ene formiamo la scienza; queste scienze dunque, la
necessità e l'utile che ne deriva si devono al linguaggio. Le idee generali
non hanno alcun modello nella natura a cui corrispondano, ma sono il prodotto
della azione dello spirito sopra le idee individue. Noi non possiamo numerare
tutti gli oggetti della natura, che sono o possono essere in rapporto con noi,
perchè non possiamo tutti colle loro differenze e proprietà trattenerli nella
memoria, e riprodurli distintamente quando vogliamo, per la stessa ragione non
possiamo dare ad ognuno un nome proprio, essendo essi di un numero indefinito;
questa impresa è superiore alle nostre forze. Ma lo spirito dell'uomo, che ha
nella sua attività delle potenti risorse, paragonandogliog getti, ed
interponendo fra essi la identica sua cogni zione, conosce ciò che l'uno è
all'altro, e questi ad un altro, ecosidiseguito,evedendolesomiglianzee le
analogie da una parte, e le differenze e dissomi glianze dall'altra, per
effetto della sua identica ve duta ed indivisa interposizione fra questi
oggetti e le loro qualità, riunisce quanto in essi trova d'identico, l'astrae
da ciò che li diversifica, ne forma una concezione di tal natura che tutti gli
contiene e li rappresenta; tale concezione non è che una veduta reale dello spirito,ma
chenonhaalcunarealtànellanatura; essa è più o meno estesa nellasua
compreensione, d'on de nascono le idee generali di specie, generi, classi, ordini,
famiglie. Or tali idee, non avendo originale nella natura, perchè semplici
vedute dello spirito,senza un segno che le rappresenta svanirebbero, nè potreb
bero aversipresenti al bisogno; laddove laparola rende permanente l'idea generale,
tutta, per cosi dire, la chjude nel suo ambito, e rappresentando tutta l'idea
generale, rappresenta tuttele idee identiche contratle in un solo gruppo, ed
identificate in una sola idea, a questo riguardo ogni termine generale è
l'espres sione concisa di un completo e perfelto metodo; poiché contiene ed
esprime confronti, giudizi, astrazioni e maniere di generalizzare; e siccome il
termine gene rale si considera come unico e semplice in sè stesso, cosi
circoscrive e fissa i limiti della idea,eledà l'ul timo grado di precisione. Le
parole adunque non solo associano le idee in dividuali in un modo indipendente
dall'ordine di acquisizione, onde poterlecon faciltà richiamare,ma sono ancora
necessarie per fissare irapportide'con fronti, i termini de' giudizi, per
dividere gli oggelti della natura e le loro proprietà, per astrarre, per
generalizzare,e per rendere facile in fine le scienze tutte. Ogni idea dunque
ha bisogno di una parola che la rappresenti; se è concreta per renderla
indipendente dalla sua sensazione,e per tenere raccolte in una m a niera
permanente tutte le idee semplici di cui si compone, e per richiamarla tosto
alla memoria: se è astratta per tenere riunite in un solo gruppo le idee
astratte di cui è composta, e formarne un modello distinto e durevole nella memoria.
Il vantaggio però più generale e proprio del lin guaggio si è quello, per cui
tutti gli uomini mettono in comunicazione tutteleloro idee,iloro sentimenti,
ilorobisogni ed imutui soccorsi;poichè essendo co muni i segni che l'indicano,
ne segue che colui che ascolta esegue le stesse operazioni interne di
colui che parla, cioèeccitainsè,edunisce successivamente nel suo spirito quelle
idee che si sono eccitate successi vamente in colui che parla,con questa sola
differenza, che questi analizza il proprio pensiero ed attacca ad ogni elemento
un termine, laddovequello sintesizza, riunendo cioè le idee con quell'ordine
con cui ven gono indicate dalle parole. Questo vantaggio perònon ha egualmente
in tuttiilsuo pieno effetto, perchè le parole presso tutti non hanno lo stesso
grado di pro prietà, di precisione e di analogia, quindi variano i modi
d'intendersi come variano i mezzi di comuni carsi. L'influenza del linguaggio
su questo rapporto è di una utilità indefinita, poichè,colla comunicazione
delle idee e de sentimenti, lega fra loro gli uomini, e consolidà le basi della
umana società. Coltivato e diretto dall'arte, applicato ai vari oggetti si
trasforma e veste vario stile;ma ciòmerita l'attenzionede're tori, e degli
oratori. Sebbene igeroglifici, lecifrealgebriche,isegni te legrafici, gli
emblemi ed altri segni convenzionali pos sano rappresentare le nostre
idee,tuttavia il sistema de' suoni articolati è da preferirsi a qualunque altro
mezzo di espressione, tanto per la facilità, pel numero, quanto perché può
adattarsi a tutti i luoghi, a tutti i tempi, ed a tutte le circostanze per la
portentosa varietà dell'articolazione ed inflessione de' suoni. La scrittura è unaespressionedellinguaggiocome
questo laèdelleidee;essaperciòèsempre relativa ed in ragione diretta del
linguaggio, talchè la perfezione di quella dipende dalla perfezione di questo;
poiché, come la parola rappresenta l'idea, lascrillurarappresenta le parole. l'autore
non ebbe più tempo a pubblicarla, sì che resta inedita con l'altro trattato
teologico su'sacramenti. La dottrina intanto di que st'altra opera che titola
Organo dello scibile umano o Logica, scritta forse più che quindici anni fa, è
sempre con forme al sistema dell'autore, e benchè sembri non uscir dalle vie
segnate alla logica da ARISTOTELE e dagli scolastici, trovi tuttavia
nell'Introduzione quanto oggi si richiede da un trat tato di logica che non
voglia la nota di logica formale, sic come si dice. La logica, vi è scritto, ha
la sua derivazione dal greco “lógos” che in latino si traduce verbum, cioè
parola, discorso, perchè essa nella sua essenza non è che l'atto vivo che
prorompe dalla virtù ragionevole « dello spirito umano, che colla sua unità
abbraccia e trascorre dalla potenza dalla quale emana all'obbietto che lo fa
nascere; essa primamente distingue ed unisce questi « due termini, i quali
possono considerarsi come due sil « labe fondamentali che connette l'atto
logico, e risulta la parola feconda è che senza dividersi in sè si protende, abbraccia,
e s'interpone fra tutti gli esseri che esistono e « che possono esistere; ne
conosce i rapporti e le relazioni, li distingue e li riunisce in un sistema
vastissimo e comprensivo. Questa forza logica ripassa sopra la fecondità a
dell'atto creatore e conservatore della Causa prima, il quale senza scindersi
produce la immensa varietà degli esseri e li coordina in un sistema portentoso;
lo riflette e lo riverbera in sè, e per le relazioni che tra essi scorge li
rias ime in unico sistema cosmico. Questa forza che si annunzia nella parola
vivente ed operosa, con la penetrante Questo m s. porta il titolo: Elementi di
Filosofia fondamentale. Organo dello scibile umano, o Logica d’A. professore di
Diritto Naturale e di Etica nella R. Università degli studj di Palermo. Consta
di quaderni 6, tutto di mano dell'autore, e disposto per la stampa: oggi è
presso i fratelli Matteo e Filippo Lorico, nipoti d’A., insieme all'altro ms.
su’Sacramenti, di carte, e contenente 18 capitoli. sua luce scorta e
dirige le operazioni delle altre facoltà dello spirito al trovamento del vero
che è l'obbietto naturale della intelligenza dello spirito; e trovatolo dà il
modo onde poterlo convenientemente mostrarlo agli altri ». Così il nostro
filosofo dà a fondamento della logica formale una logica che oggi è detta reale,
e all'arte logicale prepone la scienza del pensiero.Il quale appunto secondo
che congiunge diversi estremi piglia nell'esercizio logico diversi stati o gradi
progressivi come son detti dall'autore. Chè, il primo grado si trova, ci dice
il nostro, nella nascita dell'atto logico e « nel primo è radicale, nel quale esiste
la potenza, l'oggetto e l'atto, il quale separando nel primo istante la potenza
dall'oggetto, congiunge indi l'uno all'altra ed emerge l'è, a prima parola
logica che esprime la nascita dell'individuo umano; il quale è ciò ch'egli è,ma
sebbene è ciò che è, non dice però sono; allora dice sono, quando intende il
SIGNIFICATO (SEGNATO) della parola vivente è: e ciò succede in virtù del
secondo atto, il quale comprende ed abbraccia il primo, che coll'interporsi
distingue la potenza e l'oggetto contenuti cell’atto,e dice sono; ciò che
costituisce il secondo sviluppo logico; il quale forma il piano generale in cui
la potenza conoscendo ed affermando sè stessa, conosce in sè ed afferma tutte
le modificazioni ed in esse tutti gli oggetti modificanti, pe'quali la potenza
si manifesta in diverse guise. « L'atto logico adunque s'interpone tra le
sostanze degli oggetti, le distingue e le congiunge, ed il risultato è l'idea generale
dell' essere; terzo sviluppo. L'atto logicos'interpone tra l’essere ed il suo
modo, li distingue e li congiunge; ed il resultato è l'oggetto qualificato.
L'atto logico s'interpone tra la qualità di un oggetto e quella di un altro, le
di stingue e le congiunge, ed il resultato è l'idea specifica « della qualità.
L'atto logico s'interpone tra l'azione di un essere e quella di un altro, le
distingue e le congiunge, e il resultato è l'idea di causalità.Infine, l'atto
logico s'interpone tra tutti questi resultati dello sviluppo graduato dello
stesso atto logico,ed il resultato è l'idea comprensiva del sistema. L'alto
logico adunque ha una capacità univer- « sale ed una forza comprensiva che si
estende ed abbraccia tuttociò che è. L'atto di ogni facoltà si limita alla
individualità; l'atto logico trapassa la individualità, e si eleva alla massima
generalità. Ho voluto riferire, o Signori, questo lungo passo, si perchè è già
di un'opera inedita, e sì perchè si abbia come il nostro appuntava nelle
altissime ra gioni della scienza quella che comunemente si crede non e s sere
che solo disciplina pratica, e spesso vanamente sottile, del discorso umano. È
sempre, intanto, la stessa dottrina che va ripetuta per più capi, e che si ha
spiegata poi in tutta la sua sintesi stupenda nel Sistema della Scienza
Universale. Nella quale opera il D'Acquisto ha lasciato un bel monumento,come
al trove ebbi a dire, della filosofia in Sicilia. Questo sistema della scienza
universale ha il suo perno nell'atto infinito che sostiene come creativo,
conserva tore e imperativo, l'universale ordine delle cose, in cui l'au tore
trova che tutto è vita, tutto forza e movimento di un'immensa armonia; tanto
che esso sistema è lo specchio di tanta universale armonia, metafisica, fisica,
m o rale,naturale esovrannaturale,laquale ha principio nelDio che concepisce,
produce e accorda il concetto e il prodotto della creazione primaria e
secondaria, e ha termine nel Dio della rivelazione, della grazia e della
redenzione. Vero è che il nostro filosofo, fedele al suo metodo, non va sulle
prime alle alte regioni della ontologia; ma è vero eziandio che non si chiude
mai, secondo l'uso de'psicologi, negli stretti limiti della psicologia e della
ideologia: e però il suo libro dà un vero sistema comprensivo delle universali
ragioni della Ved. il nostro libretto Sullo stato attuale e su'bisogni degli
studi filosofici in Sicilia, e segg. Palermo. Sabene il lettore che Contı,
nella sua lettera a Naville sulla filosofia contemporanea in Italia (ved. Appendice
alla Storia della Filosof. ), pone A. tra’seguaci del metodo comprensivo scienza,
esposto seccamente e quasi con metodo geometrico, ma sempre con la medesima
profondità di speculazione e logico rigore. Che se poi quest'opera del nostro
senta forse più che altra dell'odore delle dottrine di MICELI, basta ri cordare
l'occasione sopra notata ond'essa nacque, perchè si abbia pronta spiegazione
delle molte reminiscenze miceliane che occorrono frequenti al lettore. In
quanto adunque a n a tura della nostra cognizione e a quel che in essa si
accolga e scopra la riflessione, il sistema ripete le dottrine stesse e
l'analisi minuta che si hanno nella Psicologia, nel Saggio sulla legge
fondamentale del commercio tra l'anima e il corpo dell'uomo, e nella Ideologia;
m a per quel che concerne la ontologia, qui si ha tutta la teorica
compiutadella creazione e dell'ordinamento idealo e reale, metafisico, fisico e
morale delle cose, con le « investigazioni altissime dell'umano sa pere »:
tanto da chiamare appunto per questa ragione Si stema della Scienza Universale
il sistema di cui l'autore non tirava, a suo dire, che brevi linee, ma
cosiffatte « da som « ministrare dal punto supremo della sua altezza le vedute
« anticipate indicanti i nessi essenziali e le vere tendenze « della
scienza,che poi illavoro dello spirito umano potrebbe “condurre ad effetto.” L'ideale
e il reale vanno i. Benedetto D’Acquisto. Raffaele (all’epigrafe). D’Acquisto.
Acquisto. Refs: Luigi Speranza, “Grice ed Acquisto” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza, Liguria.
Grice ed Acri: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale – la scuola di Catanzaro –
filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco
di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Catanzaro,
Calabria). Filosofo
calabrese. Filosofo italiano. Catanzaro, Calabria. Grice: “Acri has explored
quite a few topics – all in the good Lit. Hum. Oxon. tradition – and since he
tutored at an even older varsity, kudos! He has explored ‘Amore’ and he expands
on the Athenian dialettica – he in fact distinguishes between turbo and sereno
– He left his notes on sereno as an unpublication, but a tutee cared to publish
them ‘Unpublication’ – There is turbo, and there is turbato – as applied to
‘colloquenza’ qua conversational dyad,
Acri speaks of the colloquenza itself as being ‘turbata’ – he relishes
on that – if there is no ardimento, and the Romans loved one – what’s the good
to argue? The second phase of the dialettica is ‘serena’ – I find the
distinction genial and in a way corresponds to my epagoge/diagoge distinction –
the ‘turbo’ is dyadic – say A wants to influence B (turbo 1), B gets influenced
and expresses it in a second conversational move (turbo 2). – Dialettica
turbata – they reach the principle of conversational helpfulness and they
arrive at the ‘sereno’ – dialettica serena’ – until the next turbo arises, that
is1” - Grice: “I like Acri – he is a platonist, and he is explicitly against
the positivists, whom he contrasts to the ‘filosofi sobri.’ His own theory of
ideas is hardly platonic, but finds its base on Vico, which is nice – since, if
an Italian does not understand Vico, no one will! Acri explores the connection
between ‘idea’ and ‘expression,’ and considers the ‘radice’ (root or stem) of
expressions – he has commented extensively on ‘Cratilo.’ In any case, he is a sensualist,
so at the root of it all is what he calls, after Aristotle (“De
Interpretatione”) ‘il fantasma’ and the
‘imagine.’ Italian philosopher, author of an essay on Plato’s and Vico’s theory
of ideas. “Abbozzo” essential Italian
philosopher. Grice: “I love Acri’s rendition of the Cratilo into the
vernacular!” Saggi: “Del sistema in genere”; “Prose; “Abbozzo d'una teorica delle idee” (Palermo: Lao);
“Sulla natura della storia della filosofia” (Bologna, Zanichelli); “Cratilo –
Menone – Apologia di Socrate, Critone -- Dizionario Biografico degli Italiani. IL CRATILO. Due solenni questioni intorno
all'origine della lingua toglie ad esaminare PLATONE nel ‘Cratilo’. Se cioè i
vocaboli o i nomi hanno in sè da natura lor propria ragione, o veramente se
retto sia il nome che da chiunque a cosa qualunque vien posto. CRATILO segue la
prima sentenza. ERMGENE la seconda. PLATONE ammette alcun che di vero in
amendue, sebben apertamente nol dica e le confuti anzi tutta due. Pertanto
facendo capo dalla seconda, in persona di SOCRATE, così contro d’ERMOGENE la
argomenta. Il nome parte è del discorso. Or potendosi tenere discorso vero e
falso, chiaro è che sia possibil dir anco un nome vero ed un falso. Se dunque
la sentenza d’ERMOGENE stesse vera, che ogni nome da chiunque posto a qualunque
cosa sia retto, deriverebbe che tutti i nomi, sì veri che falsi, sarebbono del
pari retti, e che la cosa medesima potrebbe aver nomi altrettanti, quanti
individualmente dagli uomini le fossimo posti, e che tosto anzi gli avesse, che
quel sopressa li pronunciassero. Inoltre, se le cose non han già sol esse una
stabilità lor propria da natura (contro il dir di PROTAGORA, esser elle a mo'
ch'a noi paiono; giacchè se così fosse, non potrebb'esser uno più sapiente di
un altro); ma stabilità pari ad esse han pure le azioni loro, per modo che, se
unoe ha da tagliare una cosa, per ret tamente ciò fare, ei non la dee tagliare
a ca priccio suo, ma nel modo che la natura della medesima richiede di
tagliarla e che taglisi e con quello con che debbe tagliarsi; così pur segue
che il nominare le cose, send'un'azione, noi non le dobbiamo nominare a libito
nostro, ma nel modo che la lor natura richiede di nominarle e che nomininosi e
con che deb bonsi nominare. Arroge, che se il giudicare poi di quello con che
fassi una cosa, cioè del suo stromento, se sia ben fatto, non pertiene al
l'artefice che lo fa, ma a colui che ne usa a modo (giacchè il giudicar di un
pettine se sia ben fatto e acconcio al tessere, non per tiene a falegname, ma a
tessitore, e il giu dicar di una nave, di una cetra, se sian ben ſatte, non
pertiene ai loro fabbricatori, ma a piloto e a citarista); così pur segue, che
il giudicare del nome di cosa qualunque, se sia ben fatto, cioè se la indichi
ed insegni vera mente, non pertenga a chiunque nè a chi lo pone, ma a colui che
a modo ne usa, al dia lettico; e per conseguenza rimane chiaro che il porlo non
è opra di chiunque, ma di solo colui, che ragguardando al nome che in ispezie a
ciascuna cosa da natura conviene, colle let tere e colle sillabe è in grado di
render l'idea del medesimo. A questo discorso non sapendo ERMOGENE che
rispondere, prega SOCRATE, che voglia spie gargli e fargli conoscere cotesta
ragione, che il nome ha in sè da propria natura; e quindi soggiugnendogli ch'ei
non ammettendo la sen tenza di PROTAGORA, esser le cose come paiono a ciascuno,
non poteva tener vero quello che in virtù di tal opinione PROTAGORA afferma dei
nomi, Socrate allora il conforta a ricorrere ad OMERO, il quale distingue nelle
cose stesse i nomi ad esse dati dagli Dei da quelli dati dagli uomini;
avvegnachè gli Dei chiamino le cose con nomi, che ad esse rettamente
convengono. E così movendosi a spiegare Socrate, secondo OMERO, come ad ASTIANATTE,
ETTORE, ORESTE, AGAMENNONE, ATREO, PELOPE, E TANTALO bene stieno que nomi
ch'hanno, dalla menzione di quest'ultimo naturalmente viene condotto a spiegar
la ragione del nome pur del suo padre, cioè di GIOVE, e quindi sale a quello di
SATURNO e di URANO. Intanto rispetto ai nomi che sono posti agli uomini ed agli
eroi, egli avverte di non doversene troppo fidare, perchè molti di essi,
dicegli, sono stati presi da que de pro pri progenitori, o sono stati posti
secondo gli auspici e voti per loro, come Eutichide, for tunato, Sosia,
salvato, ecc., e per ciò dando l'addio a tali nomi, passa a spiegare quelli
delle cose che sono sempre nello stesso modo ed immutabili, vale a dire ai nomi
Dii, demoni, eroi, uomini, ed al nome corpo ed anima, dai quali l'uomo è
composto. Ma desideroso ERMOGENE, nel modo che aveva inteso la ragione del nome
di GIOVE, di saper anche quella del nome degli altri dei, SOCRATE, dopo aver
formalmente protestato, che per riguardo agli Dei, affatto nulla di loro ei
sapeva nè con quai nomi tra loro si chiamassero, nondimeno dice, che si
accingeva a dar la spiegazione di tai nomi, secondo l'opinione ch'ei credeva
avere avuto gli uomini nel porre i nomi ai medesimi; e così fra questi pel
primo comincia da quello di Vesta.Il nome per esser retto, come si disse, bi
sogna ch'esso abbia una certa natural conve nevolezza con quello ch'ei nomina;
per dunque conoscere se un nome sia retto e stia bene colla cosa da esso
nominata, bisogna pur conoscere l'essere della cosa medesima. Or intorno all'es
tempi di SOCRATE e di PLATONE. L’una degli Eraclitiani, che credevano le cose
esser sempre in moto. L'altra degli VELINI – Parmenide, Zenone --, i quali
opinano, che sono sempre in riposo. Secondo il proprio sistema ciascuno spiega
pure i nomi. Onde Socrate, nel dar l'etimologia del nome ‘vesta’, riferisce
anche la sentenza di queste due scuole filosofiche dicendo, che gli Eleatici il
nome di ‘vestia’, Eatix (‘hestia’), perchè, second'i velini, in antico in vece
di obaix, ousia, essenza, en tezza, si diceva anche aix, esia, il derivano da
siva (einai), essere, mentre gli Eraclitiani, prendendolo per sinonimo di oaix,
osia, il de rivavano da 33siv (othein), cacciare, spingere. Dopo questo passa
ai nomi degli altri Dei, e quindi a quello del sole, della luna, delle stelle,
della terra, dell'aria, delle stagioni e dell'anno; e quantunque la maggior
parte di questi paia spiegarli secondo il sistema d’ERACLITO; tuttavia hanno
alcuno, la cui spiegazione può anche convenire al sistema dei VELINIi; finchè
venendo ai nomi della prudenza, scienza, sa pienza, giustizia, fortezza, virtù,
vizio, ecc., e a quelli della tristezza, del diletto e a tanti altri, quasi
tutti ei li spiega un po' lepidamente ed ironicamente, ridendosi degli
Eraclitiani, col riferire tutto al loro modo, come se le cose fossero sempre in
moto. Ma questo modo di dichiarar la ragione del nomi, come facevano gli
Eraclitiani, semplice mente per mezzo di una superficiale e succes siva
decomposizione del medesimi in altri nomi, non appagava intieramente Socrate.
Impercioc chè, dice egli, se uno interroga intorno alle parole, da cui è
composto un nome, e poi di nuovo intorno a quelle, da cui sono composte queste
medesime, e così continua sempre oltre ad interrogare, è necessario venire alla
fine ad una parola, la quale non si può più decom porre, e di cui nulla più
sappia quegli che ha a rispondere. D'altra parte però se uno non sa dar la
ragione dei primi nomi, non sa certo darla del derivati, che si debbono
spiegare per mezzo del primi. Per la qual cosa a rintracciar la ragione del
primi nomi ei si fa nel seguente modo. I nomi tutti, sì primi che derivati, deb
bon dichiarare come veramente ciascuna cosa è. Ora se noi non avessimo nè voce
nè lingua, e dovessimo indicare le cose, certo, come i muti, colle mani e col
capo e con tutto l'altro del corpo noi tenteremmo di significarle, elevando le
mani verso del cielo per indicar quel che è alto e leggiero, e per l'opposito
abbassandole verso terra per indicar quel che è basso e grave. Dal che
rettamente ei conchiude che il nome per esser retto, cioè per poter indicare
come vera mente una cosa è, dee pur anco essere un'imi tazione, che la voce fa
di quella cosa, ch'uno per mezzo della voce toglie ad imitare onde fi gura e il
color delle cose, la musica il loro suono, così l'arte del nominare imita la
loro es senza per mezzo di sillabe e lettere. E per di mostrare poi come per
mezzo di sillabe e let tere uno possa ciò fare, oltre al distinguere egli le
lettere in consonanti e vocali e semi vocali ecc., ei fa pur osservare in molte
di esse un valor loro proprio, facendo avvertire nel l'elemento r il valore
d'indicare il moto e ciò che è aspro e duro, nell'elemento l quello d'in dicar
ciò ch'è liscio e molle, e così un proprio valore dà egli a molte altre
lettere. E di que sta cognizione pertanto intorno al valor delle lettere, come
anche della cognizione della na tura delle cose fornito lo istitutore dei nomi,
afferma SOCRATE, che in quel modo, che i pit tori per render l'immagine che
vogliono effi giare, or adoprano un colore or un altro ed or ne mescolano molti
insieme, così egli nel far ciascun nome per ciascuna cosa, adope rando
l'elemento or di una lettera or di un'al tra ed or mescolandone più insieme,
secondo che l'immagine della cosa ch'ei voleva nominare pareva richiedere,
abbia formato i primi nomi; e quindi da questi primi, sempre coll'imita zione
per mezzo di sillabe e lettere, abbia pur composti tutti gli altri, e che
questa sia la vera ragion de nomi. Secondo un tale ragionamento pare che
Socrate, che è quanto dir Platone, propenda per la sentenza di CRATILO, il
quale afferma, avere gli esseri in sè da natura la ragion del loro nome.
Nondimeno non esser tutti i nomi retta mente posti conforme alla natura delle
cose, che nominano, il dimostra poi nel seguente modo. Il nome, dice egli, è
uno stromento, il qual si fa per indicar e insegnar le cose come veracemente
sono. Or ogni stromento sup pone un artefice; e buono essendo quello che è
fatto da un buon artefice, e cattivo quel che è fatto da un cattivo, ne segue
che anche i nomi saranno altri bene, altri mal fatti. CRATILO pretende che
tutti i nomi, come tali, cioè in quanto son nomi, son tutti ben fatti e retti;
per modo che se uno dà a qualcuno il nome che non gli conviene, costui parrà sì
ben averlo, ma esso appartiene propriamente a colui, la cui natura viene
dichiarata dal nome. Dun que se tutti i nomi sono retti, ripiglia SOCRATE, non
più anco si potrà dire il falso. No, non si può dire il falso, soggiugne CRATILO,
perchè dire il falso è dir quel che non è; or quel che non è, non si può
pensare nè dire. E che dunque, replica Socrate, fa colui che ti chia masse o ti
salutasse col nome di Ermogene, mentre che tu sei CRATILO? costui non chiame
rebbe, non saluterebbe te, ma un altro? di rebbe egli qualche cosa o direbbe
nulla? Costui, risponde Cratilo, non farebbe altro, ch'un van un'altra prova.
Il nome, dice egli, secondo quel che da noi si è ammesso, è una imitazione, la quale
si fa per mezzo delle lettere e delle sillabe, come la pittura imita coi
colori; e per ciò in quel modo che la pittura, se, nello effigiare le cose, vi
adatta i convenienti colori, effettua bene e belle le loro immagini; così pure
l'arte del nominare, se per mezzo delle lettere e delle sillabe imitando
l'essenza delle cose, saprà ad esse adattare tutto quello che conviene e che
loro è simile, bella ne effettuerà l'immagine; che se no, effettuerà sì bene
un'immagine, ma non già bella, per conseguenza i nomi ch'essa fa, gli uni
saranno ben fatti, e gli altri no. CRATILO a questo energicamente si oppone, di
cendo che se in un nome si muta, si traspone, o si toglie o si aggiugne una
lettera, non so lamente non iscriviam bene tal nome, ma non lo scriviamo
affatto, anzi esso diventa subito un'altra cosa che il nome. SOCRATE concede
ciò aver luogo ne numeri, a quali se uno toglie od aggiugne un'unità, subito
diventan essi un altro numero da quel che eran prima, ma non già nelle qualità
e nelle immagini delle cose; poichè se le immagini dovesser aver tutto quello
che ha la cosa di cui son immagini, non sa rebbero più immagini, ma
rimarrebbero la cosa stessa di cui elle appunto sono le immagini; e per ciò
neanco i nomi debbono aver tutto quel che ha la cosa di cui sono nomi, nè es
serle in tutto e per tutto simili; perchè, se così fosse, ne avverrebbe, che
gli esseri sarebbero tutti doppi, e non si saprebbe più dire qual fosse proprio
la cosa e qual solo il nome. Per la qual cosa a giudicare se un nome sia ben
fatto, basta che in esso si trovi il tipo della cosa di cui esso è nome; e
quantunque si debba concedere, che più retti e belli sian que nomi, che per la
gran parte son composti di lettere convenienti; tuttavia non si può sostenere,
che un nome, il quale non abbia le lettere simili alla cosa che nomina, non
possa indicare la medesima. Ed in conferma di questo SOCRATE adduce il nome
azXood:ng (sclerotes), durezza, nella cui composizione in vece di entrarvi ilr,
il cui valore è appunto d'indicare ciò che è duro e aspro, v'entra anzi il X,
l, che indica tutto il contrario, ciò che è molle e liscio; nondimeno quand'uno
il pronuncia, tutti sanno quello ch'ei vuole dire e quello ch'egli ha in mente;
così che fa pur d'uopo conchiudere, che le cose s'indicano non solo per mezzo
dell'imi tazione delle medesime, che si fa colle lettere e colle sillabe, ma ancora
per mezzo dell'uso e della convenzione. Che se dunque tutti i nomi non son
posti convenientemente secondo la natura della cosa che nominano, ei si vede
quanto senza fonda somi glianza tra essi e quelle, che chi conosce i nomi
conosce anche le cose. Del resto, anche dato, continua Socrate, che per mezzo
del nomi si possano conoscere le cose; tuttavia essendo essi, anche quelli che
rettamente conforme la natura delle cose sono posti, solamente imma gini delle
medesime, il miglior modo di cono scerle sarà investigarle per esse, una per
l'altra a vicenda, se a sorte cognate sono, e ciasche duna per sè, e così
venirle a contemplare nella verità loro, e non solo nelle loro immagini.
Intanto come questa verità, questa cognizione si possa conseguire lasciando ad
investigare un'altra volta, pel presente ei si contenta di far vedere, che
qualcosa di stabile e fermo è nelle cose, e che oltre ad esservie un viso
bello, ei v'ha poi un bello in sè, che non è passeggiero nè soggetto a
movimento o flusso, ma immu tabile e sempre lo stesso; pel che rettamente
conchiude dicendo, che non retta gli pareva la sentenza di Eraclito, il quale
voleva che tutto fosse in centinuo flusso. CRATILO però alle ra gioni di lui
non si acqueta, onde Socrate il prega, che più attentamente volesse ancora
esaminare la cosa, e, quando gli venisse fatto di trovare la verità, si
piacesse di fargliene partecipe.Così termina il dialogo, dal quale si vede,
come già in principio di questo argomento dicevamo, che Socrate, e nella sua
persona PLATONE, quantunque confuti la sentenza di Ermo gene e quella di
Cratilo, nondimeno, ancorchè espressamente nol dica, molto di vero ei rico
nosce in amendue, anzi le rettifica. In fatti, se concede a Ermogene esser
lecito agli uomini porre nomi alle cose; non gli concede però ciò essere lecito
a tutti, com'ei pretendeva, ed afº ferma non potersi porre a capriccio, se
hanno ad essere ben posti, ma richiedersi un'arte, e per ciò esser opra di solo
colui, che è in istato di rendere per mezzo del nome l'idea della cosa che vuol
nominare; come dall'altra parte, se ammette con Cratilo avere i nomi da natura
lor ragione, non conviene però che tutti sieno rettamente posti e stieno a
capello; e se pur gli concede migliori essere i nomi che per mezzo di lettere e
di sillabe esprimono la na tura delle cose che nominano; tuttavia non gli
consente, che assolutamente non abbiansi a chiamare nomi quelli che non sono
così for mati; giacchè l'esperienza ci dimostra esservi nomi, i quali, senza
che abbiano alcuna lettera simile o corrispondente alla natura della cosa da
lor nominata, per via del solo uso noi ve niamo posti in grado di ottimamente
intenderli e riferirli a cose, che non hanno punto di si mile col medesimi. Chi
è versato nella lettura delle opere di Pla tone facilmente si persuaderà, che
questo divino oltre all'addurre le prove dell'immortalità dell'anima umana,
scopo suo fu pur anco di rappresen tarci il quadro del filosofo morente; nel GORGIA
DI LEONZIO, oltre lo scopo di far vedere i difetti dell'oratoria politica e
sofistica, ebbe pur anco quello di far la difesa di se stesso, perchè non si
fosse dato alla vita pubblica; noi dunque ora nel Cratilo dobbiamo pure
investigare, se egli oltre al di mostrare, che la vera origine e ragion de nomi
non si dee derivare nè dalla stessa natura sola nè dal solo arbitrio umano,
abbia pur avuto intenzione di dimostrare ancora qualch'altra cosa pratica.
Erano ai tempi di Platone intorno allo essere delle cose, come abbiam già
detto, due sentenze, l'una degli Eraclitiani, i quai credevano ch'esse fossero
in un continuo flusso o moto; e l'altra degli Eleatici, i quali opina vano, che
fossero sempre in riposo. Ciascuna di queste due scuole (come tutti in ogni
tempo, e come anche vediamo aver fatto il nostro VICO), per confermare le loro
dottrine, i loro sistemi, ricorrevano all'etimologie delle parole, credendo in
queste trovare la ragione di quelli. Ma, quantunque lo studio delle etimologie
talora conduca alla cognizione delle cose, PLATONE tuttavia non vi aveva molta
fede, sì perchè ne nomi stabiliti a sorte dall'uso e dalla consue tudine, di
rado e forse quasi mai è possibile trovar la loro ragione e la verità di quello
che nominano; sì perchè nemmanco sulla strada più vera e più sicura ci mettono
quelli, che dall'in gegno e dalla potenza umana fur posti. Imper ciocchè chi
pose i primi nomi alle cose, com'egli dice, li pose, quali credeva che queste
fossero; or sei non aveva una retta opinione delle cose, e ad esse pose i nomi
secondo l'opinione ch'ei n'aveva, noi rimarremo ingannati, se il se guiremo.
Per far vedere adunque in che vano e fragile fondamento si appoggiassero le
scuole filosofiche che così facevano, e metter in chiaro l'insufficienza di
questo loro metodo per venire alla cognizione delle cose, Platone in questo
dialogo facendo una lunga esposizione di etimologie, sebben acute ma strane, di
cui molte forse raccolse da vari libri, mise in ridi colo l'abuso di tale
studio, validamente dimo strando, che le cose debbonsi piuttosto cono scere per
mezzo d'esse medesime, che per mezzo de' nomi, che sono soltanto una loro
adombra zione; e così, come metodo a ciò acconcio ed efficace, colloca poi egli
alla fine del dialogo, come opposta diametralmente alle opinioni degli
l'iraclitiani, la sua dottrina delle idee. Che se a questo avessero badato
certi eruditi, non mai avrebbero creduto che Platone [PROCLO spezialmente fra
gl’antichi, e fra i moderni MENAGIO, ad Diogen. Laert., e TIEDEMANN, “Argum.
dialogg. Plat.”, e seguente. etimologie, che espone in questo dialogo. E nel
vero, an corchè sia difficile il distinguere dappertutto quello ch'ei dice per
gioco e quello che dice da senno; tuttavia al veder, che nello spiegar la
ragione de nomi di TETIE, di Poseidone (NETTUNO), di Demetra (CERERE) e
d'altri, ei lascia le etimologie prossime e ovvie, e in vece ne arreca delle
rimote, anzi talvolta ne inventa delle strane e bizzarre, spezialmente quando
adduce quella oltremodo ridicola di Dioniso (Bacco), niun certo può
disconoscere ch'ei non ischerzi. Arroge, che il protestaregli, per bocca di
Socrate, che quello che per riguardo all'eti mologia de nomi dichiarava, il
diceva non come cosa sua propria e che sapesse, ma come cosa che teneva per
ispirazione della musa di Euti frone, ognuno avrebbe dovuto accorgersi o al men
sospettare, che PLATONE non poteva far buono tutto quello che per ispirazione
della musa di questo sciocco e superstizioso fanatico ei diceva. Per la qual
cosa lo Schleiermacher è di parere che Platone avesse in mira di bef farsi in
questo dialogo di Antistene; ma, oltre che molte cose in esso occorrono che
mala mente si potrebbero attribuire a questo filosofo Socratico, come
rettamente osserva lo Stallbaum, ei si dee ancora avvertire che gli studi di An
tistene erano piuttosto dialettici e retorici, che grammatici, e non si trova
documento veruno, il qual ne accerti ch'ei si occupasse anche della ragione de
nomi. E se poi non si può assolu tamente negare, che nelle sue giocose
etimologie abbia pur egli avuto in mira Prodico, perchè questi nel dar la
ragione della differenza de nomi, di necessità spesso doveva anche spie garne
le etimologie; scopo suo però fu piut tosto di beffarsi di tutti quel filosofi,
che, come abbiam detto, nelle etimologie de nomi cre devan trovar confermati i
loro sistemi, e spe zialmente di mettere in canzone i sofisti, che in coteste
arguzie ponevano molto studio e tanto si dilettavano, i quali appunto egli
dileggia, quando ironicamente spiegando il loro nome, afferma che significa
eroi. E in fatti che PROTAGORA molto attendesse anche all'interpretazione degli
scrit tori spezialmente poeti, abbiam già veduto nel dialogo del Protagora,
intitolato dal suo nome, nel quale insieme con Prodico ed Ippia ed altri espone
a Socrate il suo sentimento intorno ad un passo oscuro d una canzone di
Simonide. E che, oltre all'aver lasciato precetti intorno alla retorica, come
ci attesta Cicerone nel Bruto. scriptae fuerunt et paratae a Protagora rerum
illustrium disputationes, quae nunc com munes appellantur loci, º molto pure si
occu passe intorno alla proprietà dei nomi e della collocazione delle parole
per rendere bella l'elo cuzione, lo aſſerma lo stesso PLATONE nel “Fedro”, ed ARISTOTELE
nclla “Retorica”, lib, ini, ori gine e ragione de nomi abbia pure disputato.
Questo pare chiaramente indicato nel CRATILO, anzi da quel, che ivi dice ERMOGENE,
sembra che tal questione facesse parte del suo libro della Verità, reo A),
3sizg, come vedremo. I seguaci di cotesto sofista adunque sono quelli, contro
dei quali è diretta spezialmente l'ironia e lo scherzo di que sto dialogo,
poichè cotesti sono quelli, che, come il loro maestro Protagora, approvando la
sentenza di Eraclito, il quale stabiliva, che tutte le cose perpetuamente
scorressero, come un fiume, avevano ad essa accoppiata la loro, cioè che l'uomo
fosse la misura di tutto e che le cose fossero come a lui appariscono; e per
ciò credendo che tutto continuamente fluisse e che i nostri sensi a questa
mutazione delle cose si accomodassero in guisa, che sempre esse fos sero come a
loro apparivano, venivano pur a credere tali essere i nomi delle cose, quali
dal senso e dall'intelligenza di ciascheduno venivano percepiti, cioè naturali.
Da questo si vede che in cotesti Eraclitiani-Protagoristi non si deb bono
comprendere, gli antichi e veri seguaci di Eraclito, ma solo i posteriori, che,
material mente intendendo Eraclito, facevano una cattiva e falsa applicazione
dei suoi principii. E se dum que di tutte le sette filosofiche, come sappiamo,
era anticamente costume di riferire i loro sistemi ai sapienti più antichi e
spezialmente ad Omero, non dee dunque far maraviglia, se i detti nuovi
Eraclitiani-Protagoristi, chiamati appunto Omeriani da Platone nel “Teeteto”,
tentassero pur di derivare le loro spie gazioni e interpretazioni de nomi da
Omero ed anche da Esiodo, e se in questo dialogo conforti poi Socrate Ermogene,
se non ammet teva la verità di Protagora, a ricorrere ad Omero, e se quindi
egli pure, secondo questo poeta, gli faccia parecchie spiegazioni del nomi. Il
Cratilo, interlocutore di questo dialogo e da cui anzi lo stesso dialogo
s'intitola, Aristotele (Metaph. 1, 6), Apuleio (de dogm. Plat.2), e Diogene
Laerzio, narrano essere stato, prima di Socrate, maestro di Platone, e che gli
abbia insegnato le opinioni e dottrine di Eraclito. Ast però (Platons Leben und
Schriſten) opina, che il CRATILO interlocutore del presente dialogo è diverso
dal Cratilo che è maestro di PLATONE, affermando non altro potersi raccogliere
dallo stesso dialogo, se non che Cratilo, ivi interlocutore, era seguace di
Eraclito, e non già che sia stato maestro di filosofia e che ha Platone per
discepolo; e per ciò pretende non esser probabile, se così è, che Platone lo mette
così in canzone senza riguardo veruno. Questa sentenza a noi non pare di gran
momento; poichè hoi non abbiamo sufficienti argomenti Cratili, amendue filosofi
e della scuola di Eraclito, onde poter dubitare qual di loro sia stato maestro
di Platone. D'altra parte, ARISTOTELE, APULEIO e DIOGENE LAERZIO hanno certo
notizia e del CRATILO maestro di PLATONE, e del Cratilo inter locutore di
questo dialogo; non avendogli essi di stinti, rimane chiaro che sì quello che
questo sono il medesimo Cratilo. Per riguardo poi a quello, ch'ei dice non
esser probabile, che Platone abbia messo in canzone così ingratamente il suo
maestro, noi facciamo osservare, che Pla tone non gli fa dire da Socrate alcuna
cosa dura, anzi l'ironia, che regna nella esposizione delle etimologie, è pur
così coperta, che può anche sfuggire a non mediocri ingegni. Volendo Platone
render conto, perchè si fosse scostato dalle opinioni eraclitiane del suo primo
mae stro Cratilo, ed avesse poi seguito quelle di Socrate, ei non poteva più
giurare in verbo del suo primo maestro Cratilo, nè rappresen tarcelo superiore
a Socrate nelle ricerche e di scussioni didattiche, ma sì bene rappresentar
celo, come veramente egli era, e cercar, per quanto poteva, di farci conoscere
il modo di verso dell'esposizione scientifica d'amendue, come anche
intieramente il loro carattere. Per questo appunto Platone non si contenta già
di far abbattere da Socrate in questo dialogo le opinioni, che Cratilo aveva
intorno alla ragion de nomi, ma il fa udire ancora una lunga ſi lastrocca di
spinose etimologie, che Socrate espone ad Ermogene, la quale se par essere un
dileggio verso coloro a cui viene fatta, non è però fuor di proposito, perchè
Cratilo era così dato alle dottrine di Eraclito, che tutto contento ed
incantato beccava qualunque cosa gli fosse detta in confermazione di quelle, e
tanta era la sua ostinatezza in quel che soste neva, che dicendogli Socrate
alla fine del dia logo migliore essere il metodo di conoscere le cose per mezzo
di esse stesse nella verità loro, che solamente per mezzo delle loro immagini,
cioè per mezzo dei loro nomi, a tal patente ragione ei non si arrende ancora.
L'altro interlocutore del dialogo, anzi il primo che entra in discorso con
Socrate, è Ermogene, figliuolo d'Ipponico e fratello di Callia. Anche questo
afferma Diogene essere stato maestro di Platone nelle dot trine della scuola di
Elea. Ma questa asser zione viene rigettata dall'Ast (nell'opera citata, pag.
2o), e dal Groen Van Prinsterer (Pro sopographia Platonica), il qual ul timo
crede, e con lui concorda lo Stallbaum, che il testo di Diogene Laerzio sia
stato cor rotto da un ignorante, il quale abbia intruso il nome di Ermogene
dopo quello di Cratilo, nell'opinione, che siccome dei due rappresen Platone,
così il fosse anche stato quello dell'Eleatica, Ermogene. A questo aggiungasi
ancora, che Aristotele ed Apuleio, i quali affermano essere stato Cratilo
istitutor di Platone, ciò non di cono più di Ermogene. Altro è che questi fosse
seguace delle dottrine dei VELINI, altro è che in esse abbia pure istruito
Platone; giacchè trattandosi di un fatto, sì per istabilire la sua verità, come
per abbatterla, è del tutto neces saria una prova positiva, la quale, quando
manca, è nullo tutto ciò, che pro o contrada qualunque si dice. Per la qual
cosa, se l'unica e dubbia autorità di Diogenenon si dee tenere da tanto per
farci credere vero tal fatto, neanco per negarlo pare a noi esser suf ficiente
la prova negativa di Stallbaum e Prinsterer, i quai dicono, il poco ingegno e
la poca dottrina di Ermogene essere un argomento bastante a far sì, che niuno
il possa creder essere stato maestro di Platone. Imperciocchè come veramente
stesse di dottrina Ermogene, non è poi cosa facile a dichiarare, stante che il
merito scientifico degl'interlocu tori, che Platone mette ne suoi dialoghi in
iscena, non si dee giudicare dal grado, in cui egli ce li rappresenta e ce li
fa parlare; giac chè quando si tratta di coloro ch'ei vuol con futare, ei fa da
loro anche dire cose strane ed assurde, le quali essi mai non sognarono, ma ch'egli
però dalle loro dottrine deduce, per sempre far maggiormente spiccare il
contrasto della verità, ch'ei difende. D'altra parte poi, se si dovesse
giudicare da questo dialogo, pare che per niuna parte Ermogene la ceda a
Cratilo. E nel vero, per non dire che la discus sione, fatta in principio tra
Ermogene e So crate, è sottile anzi che no, e suppone in Ermogene un non
mediocre ingegno, bisogna avvertire che la lunga esposizione delle etimo logie
secondo il sistema di Eraclito, è diretta a mettere in canzone non altri, che
coloro che tal sistema seguivano; e per ciò pare anzi che d'in gegno un po'
tardo ben si potrebbe tacciare Cratilo, che non mai in udirle di tal
corbelleria s'accorga, ma non Ermogene, il quale, udendole, scorgendo per mezzo
di esse beffarsi Socrate dei seguaci delle dottrine di Eraclito, veniva sempre
più confermato in quelle contrarie degli Eleatici, ch'ei sosteneva. Del resto
ch'Ermogene non pigliasse tutte per vere le etimologie di Socrate, non solo si
vede da quello, che in udirle non mai egli fa alcun segno d'ammira zione o di
contentezza, come se fosse giunto alla cognizione di qualcosa grande e nuova,
ma nemmanco di piena approvazione; giacchè, appena che ha udito l'etimologia di
un nome, senza più, quasi sempre passa subito a inter rogar Socrate di quella
di un altro, e se talor mostra d'averne per buona alcuna, la sua con a Socrate,
Pare che un po' ci tocchi o ci cogli ecc., daivet, xtvòvvsústg o doxsig rt
Xéyetv. Ma, che ancora? Che Ermogene più per curiosità e diletto che per altro,
se ne stesse ad ascoltar l'espo sizione delle etimologie di Socrate, argomento
certo n'è, ch'ei pure celia collo stesso Socrate, come (per non citar altri
luoghi) quando udita l'etimologia del nome ivtavróg, anno, ironica mente gli
dice, che aveva già fatto molti passi nella sapienza, e spezialmente quando SOCRATE,
nello spiegare il vocabolo 3) aſºspdv (blaberon), nocevole, dicendogli che
propriamente si do vrebbe chiamare 3ov) arrrepoijv, boulapteroun, ei gli
soggiugne che all'udirlo pronunziar così bel nome, gli pare veramente che
zufolasse il preludio dell'aria di MINERVA. Il timore e la superstizione, che
dà a dive dere Socrate in questo dialogo, nel protestare che per riguardo agli
Dei e ai loro nomi, ei punto non ne sapeva, ma che solo diceva quello che
ebbero in opinione gli uomini in porre loro i nomi, indicano manifestamente,
che l'Eutifrone, per ispirazione della cui musa, ei dice tenere le spiegazioni,
che dà dei nomi, è quello, da cui è pure intitolato un dialogo di Platone. Così
appunto opinano Ast e Stallbaum. Quest'uomo è il tipo della leggerezza e della
superstizione; ei si vantava di saper meglio che alcun altro le cose divine, e
tanto era il suo entusiasmo, come dice egli stesso (!), quando di esse parlava
e mandava fuori i suoi oracoli, che eccitava il riso e pareva maniaco.
Verisimil mente dunque nell'interpretare la mitologia degli antichi poeti e
spezialmente di Omero, e nel cercar la ragion de nomi degli Dei e nel darne la
spiegazione, vi poneva molto studio e vi met teva pur lo stesso entusiasmo e
furore, come nel mandar fuori gli oracoli. Forse sarà anche stato della scuola
di Eraclito. Onde piacevole e grazioso pare lo scherzo di Platone, in far per
bocca di Socrate dar l'etimologia de nomi a Cratilo, il qual non era men
entusiasta e maniaco in beccar ciò, che parevagli confer mare le sue dottrine
eraclitiane (giacchè, quanto a Ermogene, egli stava, come abbiam veduto, a
udirle più per curiosità e diletto, che per altro); mentre così facendo
Platone, a chi era di perspicace ingegno dava, per mezzo dell'ironia, a
divedere, che a lui non andava a grado, anzi disapprovava il poco ragionevol
modo degli Eraclitiani, nello spiegare i nomi e nel pretendere di trovare quasi
in ciascun verso di Omero qualche cosa di oscuro e mi sterioso, togliendovi
quel suo proprio colore, semplice e naturale. In qual tempo sia stato composto
questo dia logo da Platone, e qual loco gli si debba as ri mane ancora a
vedere. Lo Schleiermacher il pone dopo il Teeteto, il Menone e l'Eutidemo, e
pretende che debba servire di compimento a quel primo; ma ognun vede che l'argomento
della scienza, che trattasi nel Teeteto, non viene ampliato nè discusso nel
Cratilo; anzi tutto il contrario, quel che affatto alla fine del Cratilo è
appena indicato, viene poi diffusamente discusso nel Teeteto; chiaro dunque
egli è, che questo il dee seguire e non precedere. L'Ast il colloca non solo
dopo il Teeteto, ma anche dopo il Sofista, il Politico e il Parmenide; anzi
crede che il Cratilo faccia parte ed appartenga ad una trilogia o tetralogia,
che non fu da Platone compiuta; e per prova ne adduce le prime parole del
dialogo: Brami tu dunque che in cotesta questione anche qui Socrate c'entri' le
quali ei dice essere del tutto nude, secche e immotivate. Inoltre che
quest'opera non sia un lavoro compiuto, seguita egli, si vede da quello, che
nell'ultima sua parte i passaggi da una cosa all'altra sono scuciti e duri, e
molto, che non ista in immediata relazione con quel che precede, vien posto
senza alcuno appa recchio e introduzione, mentre le ricerche, che si connettono
coll'argomento principale e che eccitano un grande interesse, vengono al
l'improvviso abbandonate. Ma checchè ne voglia dire l'Ast, quantunque le prime
parole del dialogo indichino a precedente discussione tra Er mogene e Cratilo,
tuttavia di questa trilogia o tetralogia incompiuta, ch'ei pretende, non s'in
contra indizio veruno nelle opere di Platone, nè si trova che l'argomento del
Cratilo venga da lui trattato in qualche altro suo dialogo. Questo scritto può
stare da sè, ed io non veggo la ragione, perchè l'Ast il voglia far seguire al
Sofista, al Politico e al Parmenide, e non anzi a tutti questi precedere. E nel
vero, per non dire, che l'irrisione, che domina nell'espo sizione delle
etimologie nel Cratilo, non troppo acconciamente può stare vicina alle gravità
e serietà, con cui sono trattati il Sofista, il Po litico e il Parmenide,
l'argomento del Cratilo non ha che fare con quello di questi; nè si ravvisano
ancor in esso vestigia della scuola pitagorica, come nel Parmenide, ma appena
si fa menzione in un suo luogo dell'armonia de corpi celesti; nè appare ch'ei
segua il me todo dell'investigazione tenuto dai filosofi Me garici, i quali
erano versatissimi in trattare le quistioni di questo genere, come lo segue nel
Sofista, nel Politico e nel Parmenide; nè fi nalmente si vede ch'egli molto
insista sulla sua dottrina delle idee, ma appena ne fa cenno alla fine del
dialogo, e la dà soltanto ancora come un suo sogno. Per l'opposito, niuno può
disconoscere, che tra il Protagora, l'Eutidemo e il Cratilo vi regni
un'affinità quasi irri sione drammaticamente ci rappresenta Platone il vano
fasto di Protagora e di tutti que sofisti che si millantavano essere maestri di
virtù, e se nell'Eutidemo poi egli si beffa delle meschi nità delle arguzie e
de lacciuoli dialettici pur de' seguaci di Protagora, anche nel Cratilo, come
abbiam veduto, con ischerzo e con ironia viene egli a dimostrare l'inutile
sforzo de' Protagoristi-Eraclitiani, che per mezzo dell'inter pretazione del
vocaboli tentavano di venire alla cognizione delle cose e di stabilire i loro
sistemi. Per la qual cosa, sebben l'autore in quest'opera sia lungi dal comico
che domina nel Protagora e nell'Ippia Maggiore, l'andamento però e la condotta
della medesima, come anche la molti plicità degli esempi e le minutezze, con
cui, secondo il metodo di Socrate, procede Platone in principio di essa, e
finalmente ancora lo scherzo e l'ironia che si scorge nell'esposizione delle
etimologie, danno a bastanza a divedere, ch'ella moltissimo si approssima ai
dialoghi po polari Socratici, ch'egli scrisse i primi, e che da lui sia stata
composta in una età, in cui egli non era ancora del tutto scevro da pro tervia
e petulanza giovanile. Non pertanto, quan tunque da solo quello, che si fa
menzione in questo dialogo delle vocali a ed o, le quali furono introdotte in
Atene, sotto l'arcontato di Euclide, non si possa di certo conchiudere, che
dopo tal anno sia stato questo scritto composto, per la ra gione, come
ottimamente osserva lo Stallbaum, che queste vocali potevano già essere in
vigore in uso privato, prima che pubblicamente fos sero sancite e passate ne'
monumenti pubblici (ved. Matthiae Gramm. Ampl.; tuttavia non si può dubitare,
che questo dialogo da Platone sia stato disteso in quel tempo, in cui egli
aveva già concepito i principii della sua dottrina delle idee e deter minato
con essa di confutare i Protagorei e gli Eraclitiani. Or tanto le cognizioni
richiedentisi per poter ciò ben fare, quanto le sottili inve stigazioni circa
la ragion de nomi, che in que st'opera si ravvisano, paiono indicare esserelle
un lavoro di Platone non così giovane, ma sì bene di lui d'alquanto già più
maturo. Che se poi tra il Protagora e il Cratilo, che hanno tra di loro
un'affinità che non si può disconoscere, noi abbiamo inserito l'Ippia Maggiore
ed il Gorgia, non è già che crediamo il Gorgia essere anteriore al Cratilo
(anzi la di fesa che nel Gorgia fa Platone di se stesso, perchè non si fosse
dato alla vita pubblica, ma alla filosofica, indica chiaramente che tale
scritto è un lavoro di un uomo più che maturo), ma non per altro così ci parve
di fare, se non perchè abbiam voluto far seguire l'un dopo celebri sofisti
della Grecia, Protagora, Ippia e Gorgia, ne quali Platone graziosamente
smaschera il loro vano sapere ed acremente li frusta. Però se uno bada, che i
Protagoristi-Eraclitiani, che Platone dileggia in questo dialogo canzonando le
loro etimologie, questi medesimi poi con con cludenti ragioni validamente egli
confuta nel Teeteto, facilmente ei si persuaderà, che il Cratilo a questo dee
stare unito e precederlo, anzi che susseguirlo; e per conseguenza che noi,
nell'assegnargli il posto che gli assegniamo, nel suo vero l'abbiam collocato. Three
sections on Plato in A.’s essay on ideas: Plato’s Parmenide, Plato’s Sofista,
Plato ed Anselmo. Gl’Intelligibili e il Parmenide di
Platone. L'uno quale Platone lo disamina nel principio della seconda parte
del Parmenide è un intelligi bile, e la contraddizione in cui lo involge è tale
per colui che lo considera come idea contro l'in tenzione di Platone
medesimo.Ecco,se tu fissi l'uno nel nome suo,se tu appunti l'occhio nell'uno
come uno, esso non è più uno, cioè non è idea. Impe rocchè all'uno fissato
nell'uno,contratto in sé,sen za espansion di sorta, non compete relazione alle
idee di parte e di tutto, di principio, mezzo, fine, cioè all'idea di quantità,
e neanco all'idea di quan tità parvente come a dire la figura, e neppure al
l'idea di luogo nè a quelle di moto o di stato,nè a quella di qualità,né a
quella di relazione di si miglianza, di egualità,di medesimezza e dell'idee
contrarie,nè a quella di tempo,nè a quella di es sere o divenire,né da ultimo
all'idea di senso,di opinione, di scienza. Adunque l'uno irrelativo non è
quanto,nè quale,né in luogo,nè in tempo,non ė medesimo, nè simile, né eguale a
sè e neanco il contrario, non è, non diventa, non si sente, non s'opina,
non si sa. Dunque l'uno irrelativo non é uno: cioè a dire l'uno elemento
dell'idea uno non è l'idea uno che si componë e di quello elemento e di molti
altri. Gl'intelligibili e il Sofista di Platone. Nel Sofista Platone tratta
della comunione delle specie, come se le specie precedessero la comu
nione,pigliandoa esempio l'essere,ilmoto,lostato, il medesimo e il diverso. Ma
la comunione precede le specie; imperocchè l'essere non è tale senza pri ma
comunicare col medesimo, nè ilmedesimo è tale senza prima comunicare con
l'essere, nè il medesimo è ciò ch'è senza il diverso,nè questo è ciò ch'è senza
quello. Alla mente di Platone certo la comunione delle specie si mostra come
necessa ria; tuttavia le si pasconde che le specie prima di essere specie sono
elementi le une delle altre, e la comunione è per lei esteriore e di specie già
in tiere e fatte. Più giusto sarebbe stato lo affermare ed esaminare la
comunione degl'intelligibili, cioè di quei semi che pe'loro congiugnimenti
diventa no specie o speciose o spettabili se cosi dire si vo glia. Aosta nel
capitolo primo del Monologio or meggiando i passi di s.Agostino per provare Dio
dice: tutti beni son beni per una qualche cosa ch'è bene per se stessa; e nel
secondo dice: tutte quelle cose che sono grandi per alcun che sono gran di, il
quale è grande per se stesso; e nel terzo a g giugne che tuttociò che è, per un
qualcosa pare che sia, la quale è per se stessa; e nel quarto aggiugne: se le nature
delle cose si distinguono per disuguaglianza di gradi,e alcune nature si re
putano migliori di altre conviene che ci sia alcuna tra quelle
cosi eminente da non averne altra a sė superiore. Imperocchè,se,tale
distinzione di gradi è cosi infinita che non sia alcun grado superiore di cui
altro superiore non si rinvenga; la ragione conduce a questo, che la
moltitudine di esse n a tare non sia chiusa da alcun termine.Ma ciò diuno
reputa non assurdo se non chi è affatto privo di r a gione. È dunque di necessità
alcuna natura,la quale é talmente superiore ad alcuna od alcune,che al tra non
ve n'abbia, a cui sia ordinata come inferiore. Queste argomen tazioni si posson
paragonare a quelle che fa Platone per provare le specie per sé. Egli dice: Ne'
sen sibili c'è meschianza e confusione di contrarie no te; imperocchè una cosa
è bella e brutta, giusta e ingiusta, grande e piccola, e via via; bella,
giusta, grande per un rispetto,e per un altro brutta, iugiu sta,piccola;dunque
ci dev'essere un bello che per nessun rispetto sia brutto, un giusto per nessun
rispetto ingiusto, un grande per nessun rispetto piccolo,e viceversa;delle
quali specie contrarie par tecipa il sensibile. La differenza è in ciò, che Pla
tone si fonda più su la contrarietà delle note che apparisce ne'sensibili,e
Anselmo più su la grada zione di esse note;e dovechéPlatone a filodilo gica è
necessitato a dare a tutte il valore m e d e simo di specie, Anselmo lo dà ad
alcune, come alla grandezza e non già alla picciolezza, all'essere e non già al
non essere,al bene e non già al male; e da ultimo Platone vuol provare una
moltitudine inconfondibile di enti per sè,e Anselmo di un solo. Ma di
quest'argomento suo che ci conviene pen sare? Ecco, premettiamo che al tempo
dei Dottori si vedeva nelle idee una certa costituzione già fer ma; esse aveavo
fatto presa;e che poi per istinto dubitativo generato dalla riforma o meglio
gene ratore di essa parve che si disciogliessero,e si cer cò rifare la loro
sostanza medesima. E l'argomen tazione propria alla filosofia medievale è
nell'espli care ciò ch'è implicato; e dimostrare un'idea vale dischiuderla da
un'altra dove giaceva intiera e for mata, da un'altra della quale non si
dubita. E, stando a questa filosofia, il contenuto di un'idea è quasi
indipendente da quello delle altre, e ai sil. logismi come esplicativi si dee
assegnare un gran valore anche pigliati singolarmente. Ma non c'è, si può dire,
componimento e accordo e universa lità mirabile nella Somma di Aquino? Si, ma
l'universalità dalla religione è data alla filosofia, la quale assume l'ufficio
di sconnetterla,scomporla e verificarla a parte a parte. E il contrapposto
dell'u niversalità della materia con la singularità e la di. visione e lo
spezzamento della forma è notabilissima nel libro mentovato, che recapitola
maravigliosa mente il pensiero del suo tempo. Per un'altra filoso fia al
contrario l'argomentazione non sta ne' sillo gismi netti,che anzi li ha a
sdegno,ma nella gene razione dialettica e necessaria,in guisa che tanto vale
per essa dimostrare un'idea quanto farla con cepire nelle viscere d'un'altra e
poi evocarla alla luce. Però avvertisco io che il suo generare, la sciando
da parte le frasi nuove,è in fatti un porre una serie di equazioni facendo si
che l'ultimo ter mine che si vuol generare appaja eguale al primo termine che
si risguarda come generatore,in virtù di molti medii che celano graduatamente
la reale dissagguaglianza. Ecco uno schema dell'argomen tare suo:a è vicino a
m,perchè vicino a b,e o vicino a C, e c vicino a d, e d vicino a e, cd e vicino
a f; col divario che dov'io dico vicino essa dice eguale.Da ultimo c'è un'altra
filosofia,non ne mica a quella dei Dottori, anzi benevola,anzi re verente come
a madre figligola, la quale non sup pone l'idea intera e formata, e neanco vuol
rifarla da capo o generarla come dice l'altra,a cui è ni micissima perchè
quella é superba, m a la costi tuisce di principii che già preesistono,la compo
ne.In breve una è esplicativa ovvero resolutiva,l'al tra generativa, almeno di
nome e in apparenza, e l’nltima è costitutiva o compositiva. E inoltre questa
il contenuto di un'idea costituisce per modo che si colleghi a quello di tutte
l'altre,ond'essa è deside rosa d'universaleggiare e procedere alla larga c01
tra la prima che singulareggia e procede per or dini distinti, minuti, sottili;
e, contro alla seconda che vuol generar le idee una dall'altra, ella crede che
vivano insieme ciascuna della vita dell'altre, e risplendano insieme ciascuna
dello splendore del l'altre. E la sua argomentazione sta non già nello
esplicare o nel generare, bensi nel bene allogare; inguisachè un'idea è
dimostrata quando posta in mezzo alle altre con esse fa buon accordo. Onde il
sillogismo, non già come esplicativo o come e guagliativo, sibbene come
dispositivo è l'argomento suo, e non ha valore da solo ma insieme ai mol
tissini altri per efficacia reciproca. Ma tornando ora lá d'onde ci siamo mossi
di ciamo che si può dir buono, grande, giusto tutto ciò che partecipa alla
grandezza, alla bontà, alla giustizia, e che altresi pare si possa dire che la
grandezza, la giustizia, la bontà c'è perchè ci sono cose
grandi,giuste,buone;esenza dir quale delle apparenze risponda al vero,
affermiamo che ricorre qua la questione de'generi,cioè se son reali fuori noi o
son concezioni astratte, e che l'argomento di sant'Anselino come quello che
presuppone un intricatissimo viluppo di ragionamenti da solo non può avere
piena evidenza. Acri. Keywords: la colloquenza
turbata di Socrate e Cratilo, l’enigma del numero in Platone, abbozzo d’una
teorica delle idee. Refs: Platone in Italia. Luigi Speranza, "Grice ed
Acri," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice,
Liguria, Italia.
Grice
ed Acusilada: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone, Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto, Puglia). Filosofo italiano. According to
Iamblichus of Chalcis (“Vita di Pitagora”), Acusilada was a Pythagorean.
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