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Wednesday, January 15, 2025

LUIGI SPERANZA -- GRICE ITALO A-Z V VE

 

Luigi Speranza: Grice e Veca: la ragione conversazional e l’implicatura conversazionale della massima dell’altruismo conversazionale – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Veca. Like me, he speaks of altruisn, and he has contributed to a collective volume, “Cooperare e competere.”” Essential Italian philosopher. Svoge un ruolo chiave nell'introduzione nel dibattito culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo analitico -- sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia del linguaggio e della logica -- insolita rispetto alla figura del teorico politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e politica.  V. da un impulso decisive nel dibattito filosofico italiano a temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie epistemiche e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia a Milano, dove si laurea con una tesi sotto PACI (vedi) e GEYMONAT (vedi). Assistente volontario, borsista CNR e assistente incaricato presso la cattedra di filosofia teoretica a Milano. Professore incaricato di filosofia a Calabria. Professore incaricato di storia delle istituzioni e delle strutture sociali presso la facoltà di filosofia di Bologna.  Professore incaricato, professore incaricato stabilizzato e professore associato di filosofia politica presso la facoltà di scienze politiche di Milano. Professore straordinario di filosofia politica presso la facoltà di filosofia, Firenze. Professore di filosofia politica, facoltà di scienze politiche, Pavia. Vicepreside della facoltà di scienze politiche, Pavia. Presidente della Facoltà di Scienze politiche, Pavia. Membro del Comitato direttivo della Scuola Superiore IUSS di Pavia. rettore del Collegio Universitario Giasone del Maino, Pavia. Direttore del Centro Inter-Dipartimentale di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia; prorettore per la didattica dell'Pavia; componente del Consiglio di amministrazione della Fondazione Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico dell’European Centre for Training and Research in Earthquake Engineering presso l'Pavia; parte del Consiglio d'amministrazione dell'Istituto italiano di scienze umane di Firenze; vicedirettore dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Coordinatore dei corsi ordinari dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Pro-rettore vicario dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore di Filosofia politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Insegna Filosofia politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze sociali dell'Istituto Universitario di Studi Superiori, Pavia. Tienne seminari e cicli di lezioni a Cambridge (Christ's), a San Paolo, Campinas, Bogotà, Evora, La Sorbonne, Grenoble, Istituto Universitario Europeo. Svolge un'intensa attività di consulenza e direzione editoriale. Ha assunto, grazie a un invito di Bo, la direzione scientifica della Fondazione Feltrinelli di Milano presidente della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, impegna l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca, documentazione e pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale contemporanea che perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca storico-sociale con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria normativa e descrittiva della politica. Coordina le attività del Seminario annuale di Filosofia politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con il Centro Studi Politici Farneti di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Avvia il progetto della “Biblioteca europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è direttore. Designato Presidente onorario della Fondazione Feltrinelli ed è direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è inoltre stato condirettore di Aut Aut con PACI (vedi) e ROVATTI. Dirigge la collana Readings per l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è consulente per la saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica e sociale. Consulente della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con Mondadori, la collana Theoria.  Fa parte del comitato scientifico o di direzione di riviste quali "Rassegna italiana di sociologia", "Teoria politica", "Biblioteca della libertà", "Transizione", "Etica degli affari", "Iride", "European Journal of Philosophy", "Filosofia e questioni pubbliche", "Reset", "Quaderni di Scienza politica", "Il Politico", "Rivista di filosofia", “Italianieuropei”. Direttore de “Il giornale di Socrate al caffè. Bimestrale di cultura e conversazione civile; curatore scientifico della Carta di Milano per Expo. Parte del Comitato direttivo di "Politeia", Centro per la ricerca e la formazione in politica ed etica di Milano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato etico dell'Istituto Europeo di Oncologia di Milano e del Comitato etico dell'Istituto Mondino di Pavia; Comitato scientifico della Fondazione Rosselli di Torino; coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione per la ricerca e l'insegnamento della filosofia, parte del Consiglio direttivo nazionale della Società Filosofica italiana. Componente del Consiglio nazionale presso il Ministero dei Beni culturali e ambientali; presidente dell'Associazione “I quattro cavalieri” che ha promosso le attività dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”, diretto da Dindo. Comitato generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di Milano. Presidente della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle Scuole di formazione politica dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente della Fondazione Grassi La voce della culturadi Milano; Presidente del Comitato Generale Premi della Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato dei Garanti della Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova. Socio corrispondente residente della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente non residente della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna; designato da Pavia quale Garante dei diritti degli studenti; presidente della Casa della Cultura di Milano.  Socio corrispondente non residente dell'Accademia delle Scienze di Torino. membro effettivo dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e componente del Comitato dei Garanti del FAI. Premio Castiglioncello sezione di filosofia per il saggio “Dell'incertezza” e gli è stata conferita, con decreto del Presidente della Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima classe, riservati ai benemeriti della Scienza e della cultura. Riceve il premio dell'Accademia di Carrara per il saggio “La filosofia politica”. Premio per la filosofia “Viaggio a Siracusa” per La priorità del male e l'offerta filosofica; premio “Ponte per la cultura” della Fondazione Europea Venosta per il saggio “Etica e verità”. Medaglia d'oro di benemerenza civica dal Comune di Milano. Nella sua filosofia sono individuabili tre fasi distinte.  La prima fase della sua ricerca è stata dedicata a questioni di teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica “Fondazione e modalità in Kant” e altri saggi su problemi di filosofia della logica, della matematica e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine. Il suo centro di interesse scientifico si sposta sulle teorie di Marx in rapporto alle scienze economiche, sociali e politiche, delineando una seconda fase i cui esiti sono formulati in “Marx e la critica dell'economia politica” e, soprattutto, “Il programma scientifico di Marx.” Si impegna in un programma di ricerca nell'ambito della filosofia politica influenzato dalla prospettiva della teoria normativa della politica. Dopo “Le mosse della ragione,” introduce la discussione sulla giustizia con “La società giusta” ed elabora e sviluppa la sua prospettiva teorica in “Questioni di giustizia” e “Una filosofia pubblica.” Dedica un saggio divulgativo agli esiti di questa fase della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli sviluppi successivi della sua ricerca, orientata al problema dei rapporti fra teoria normativa e teoria descrittiva della politica e incentrata sulla questione del pluralismo come fatto e come valore per la teoria democratica, sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una prospettiva filosofica in Progetto Ottantanove, in Etica e politica e, in particolare in “Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione.” Lavora alla stesura di tre meditazioni filosofiche intorno a questioni di verità, giustizia e identità, in cui estende la gamma dei suoi interessi teorici. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in Questioni di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono contenuti in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.” Pubblica un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un messaggio nella bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione della teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La penultima parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono approfonditi alcuni esiti di Dell'incertezza ed è affrontata la questione meta-teorica della relazione fra l'attività filosofica e la sua storia nel tempo. Pubblica “Il bello e gl’ppressi: l'idea di giustizia” in cui sono presentate alcune idee di base per una teoria della giustizia globale. Presenta la sua prospettiva filosofica nel saggio “Il giardino delle idee: passi nel mondo della filosofia.” In “La priorità del male e l'offerta filosofica” sviluppa e approfondisce le questioni di una teoria della giustizia globale e mette a fuoco, fra l'altro, le connessioni fra l'offerta di filosofia politica e le circostanze e i soggetti di politica.  “Le cose della vita: congetture, conversazioni e lezioni personali” estende l'esame delle questioni di vita, inteso come tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Il “Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” esamina e discute alcuni temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di vita democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà democratica. “Etica e verità” raccolge saggi incentrati sui rapporti fra la crescita dell'impresa scientifica e i nostri criteri di giudizio etico. “Quattro lezioni sull'idea di incompletezza” presenta i primi risultati di una ricerca filosofica sull'idea di incompletezza, messa a fuoco in distinti domini di applicazione, quali quello della interpretazione, della giustificazione e della dimostrazione. In “Incompletezza” espone gli esiti delle sue ricerche filosofiche cercando di esplicitarne la coerenza e la connessione con l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica” sviluppa la tesi conclusive del contributo all'idea di incompletezza e sullo sfondo di una definizione delle principali linee della propria ricerca filosofica. In “Un'idea di laicità” propone un argomento a favore della laicità delle istituzioni e delle scelte sociali basato su un'interpretazione della natura della libertà democratica e del fatto del pluralismo. In “Non c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in una prospettiva filosofica, alcuni aspetti rilevanti della crisi economica strutturale e dei rapporti fra capitalismo e democrazia rappresentativa. In “La gran città del genere umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva globale “degli occhi del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta questioni epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza e dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove Veca, raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong) costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura, può considerarsi l'apertura di una nuova fase di sua filosofia, stavolta di stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le modalità centrale nella sua opera prima. Altre saggi: “Fondazione e modalità in Kant” (Milano, Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia” (Milano, Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Saggiatore); “Le mosse della ragione” (Milano, Saggiatore); “La società giusta: argomenti per il CONTRATTUALISMO” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della democrazia e neo-CONTRATTUALISMO” (Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia” (Parma, Pratiche); “Co-operare e competere” (Milano, Feltrinelli); “Una filosofia pubblica” (Milano, Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica e politica” (Milano, Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore); “Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano, Feltrinelli); “Questioni di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica. Torino, Einaudi,  Europa Universitas. Tre saggi sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia, politica, società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli,  L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma, Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia, Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia. Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma, Laterza, La filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di giustizia. Milano, Feltrinelli,  Il giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano, Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori",  La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano, Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli,  Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce sola. Milano, Feltrinelli,  Kant. Milano, Book Time,  Tolleranza. Le virtù civili. Milano, ASMEPA,  L'immaginazione filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il Mulino,  Ragione, giustizia, filosofia, scritti scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,. Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano, Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio Expo.  Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,. Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli); “Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma, Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra. Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma, Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel, Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore, Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin, Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico  Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia  RAI Filosofia Presentazione del volume Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Le mosse della ragione conversazionale – La mossa della ragione conversazionale – dinamica conversazionale – la dinamica della ragione conversazionale. Salvatore Veca. Keywords: altruismo, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere,  – ragione – virtu capitali, le mosse della ragione – ragione conversazionale -- -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Veca.

 

Luigi Speranza: Grice e Vecchio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del criticismo trascendentale contro il positivismo di neo-Trasimaco – la scuola di Bologna -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo romagnuolo. Filosofo italiano. Bologna, Romagna. Essential Italian philosopher. Interessi principali: Etica, filosofia del diritto, filosofia politica. Influenzato a BOBBIO. Eminente filosofo italiano del diritto. Tra gl’altri, ha influenzato BOBBIO. Famoso per il suo saggio “Giustizia.” Insegna a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e Roma. Rettore a Roma. Aderito al FASCISMO, come molti filosofi del diritto in Italia -- anche se lui stesso rimosso dal l'ideologia fascista nella fase iniziale. Perde la sua cattedra per due volte e per ragioni opposte. Per mano dei fascisti, perché e un ebreo. Per mano di anti-fascisti, perché è accusato di simpatizzare con il fascismo all'inizio della sua carriera. Reintegrato nell'insegnamento durante la seconda guerra mondiale, lavora con il Secolo d'Italia e la rivista Pages libero, pubblicazione regia di Panucci. Fa parte del comitato organizzatore di INSPE, un Istituto di ricerca che negli anni Cinquanta e Sessanta si è opposto alla cultura marxista, la promozione di conferenze internazionali e pubblicazioni. Fondatore e direttore del giornale internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra i maggiori interpreti del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il concetto di ‘ius’ non può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni giuridici. A questo proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza che si svolge in Germania tra filosofia, sociologia e legale Teoria generale che sembra di ridefinire la "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha attribuito questi tre compiti:  compito logico: costruire il concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologico: lo studio del diritto come fenomeno sociale. Compito ontologico: la natura del ‘giusto’ --  o l'essenza del diritto come – dovere -- dovrebbe essere. Saggi: “Senso giuridico: presupposti del concetto di legge, Il concetto di legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui principi generali della legge, Giurisprudenza,  Lezioni Filosofia del diritto, La crisi della scienza del diritto, Storia della Filosofia del diritto, Mutevolezza ed Eternità della legge, Gli studi sul diritto. Treccani. “Principi generali del diritto.” Vechio: essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is DelVecchio.” SCOPO DELLO STATO È ATTUARE LA GIUSTIZIA LUG 25, 2022  Giorgio Del Vecchio in una foto d'epoca In anni di incontrastato positivismo, la pubblicazione in successione di tre opere di Giorgio Del Vecchio, I presupposti filosofici della nozione del diritto (1905), Il concetto del diritto (1906), Il concetto della natura e il principio del diritto (1908), sconvolse il mondo degli studi filosofico-giuridici italiani. Al suo interno fermenti antipositivistici covavano, ma non trovavano la via per svilupparsi, mentre molti positivisti si risvegliarono da quello che si potrebbe chiamare kantianamente il loro sonno dogmatico. Ebbe inizio in Italia – così come in Germania con R. Stammler – quel capovolgimento dell’impostazione del problema filosofico del diritto, che vedrà quest’ultimo osservato non dalla parte dell’oggetto, come fenomeno che il pensiero passivamente conosce, bensì dalla parte del soggetto.  1. Giorgio Del Vecchio è rimasto sempre legato a Bologna, dove è nato il 26 agosto 1878, fino alla morte avvenuta nel 1970, tanto da interessarsi da ultimo anche della storia cittadina. Il trasferimento a Genova del padre – docente di statistica –, lo porta a laurearsi e a vivere in questa città, dove nel 1902 pubblica su Il Convito e sulla Rivista ligure di scienze lettere ed arti. Nello stesso periodo si dedica a due saggi scientifici, uno “L’evoluzione della ospitalità”, apparso sulla Rivista italiana di sociologia, e l’altro, “Il sentimento giuridico”, sulla Rivista italiana per le scienze giuridiche. Insegna Filosofia del diritto nel 1903 all’Università di Ferrara e pubblica Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese[1] .  Nel frattempo avvia alcune delle relazioni internazionali che caratterizzeranno la sua attività scientifica, frequentando l’Università di Berlino, dove conosce Lasson, Kohler e Paulsen[2]. Nel 1906 viene chiamato presso l’Università di Sassari e successivamente, nel 1909, in quella di Messina; diventato ordinario, si trasferisce dall’Università di Messina a quella di Bologna, e nel 1920 a Roma. Nel 1905 scrive I presupposti filosofici della nozione del diritto, nel 1906 Il concetto del diritto e nel 1908 Il concetto della natura e il principio del diritto, raccolte successivamente nell’opera Presupposti, concetto e principio del diritto, denominata Trilogia nel 1959, apparsa in America già nel 1914 con il titolo unitario The formal bases of law, per la Boston Book Company, inserita nel 1921 nella The modern legal philosophy series.  Presupposti, concetto e principio del dirittorappresenta a pieno titolo il pensiero filosofico-giuridico di Del Vecchio: in esso egli definisce il diritto come «la coordinazione obiettiva delle azioni possibili tra più soggetti, secondo un principio etico che le determina, escludendone l’impedimento». Gli studi su Kant e le riflessioni in un orizzonte di proiezione universale lo portano ad approfondire e ad avvicinare i neokantiani, che in Italia vede studiosi come Petrone, Bartolomei e Ravà. Il suo lavoro, in realtà, si muove tra idealità e prassi del diritto, nella ricerca costante di un’armonia che chiarifichi le distonie; l’ispirazione a Kant lo fa assimilare alla Scuola di Marburgo, mentre l’attenzione all’idealismo tedesco lo porta a criticare, in modo metodico, sia il positivismo filosofico che quello giuridico.  2. Alla filosofia del diritto Del Vecchio pone un problema preliminare: quello della possibilità della determinazione del concetto del diritto. È questa la prima delle tre ricerche proprie, come già avevano ritenuto Vanni e Petrone, della filosofia del diritto, la ricerca logica, quella fenomenologica, e quella deontologica.  Alla ricerca logica devono accompagnarsi secondo Del Vecchio quelle fenomenologica e deontologica. La ricerca fenomenologica, studio misto di filosofia della storia del diritto e di sociologia giuridica, non è fra gli aspetti più significativi del suo pensiero: essa dovrebbe consistere nella determinazione delle linee generali dello svolgimento storico del diritto, che dimostrerebbero la tendenza degli ordinamenti giuridici positivi a una progressiva adeguazione all’ideale della giustizia, in quanto nel corso del tempo emergerebbero, sarebbero riconosciute, e a poco a poco si attuerebbero le prerogative essenziali della persona umana[3].  Questo fine che Del Vecchio riconosce nello svolgimento storico del diritto – o piuttosto assegna a esso – indica quale sia la sua prospettiva riguardo al problema «deontologico», ossia di ciò che il diritto dovrebbe essere: in altre parole, al problema della giustizia. In questa materia, da un’iniziale posizione kantiana Del Vecchio via via si avvicina a quella del giusnaturalismo cattolico: mediante l’attribuzione di un significato sempre meno formale e più contenutistico del concetto di persona. Del Vecchio dichiara «legge etica fondamentale» il dovere di operare «non come mezzo o veicolo delle forze della natura, ma come essere autonomo, avente la qualità di principio e fine…, non come individuo empirico (homo phaenomenon), determinato da passioni e affezioni fisiche, ma come io razionale (homo noumenon), indipendente da esse»[4]. Il concetto, e la stessa terminologia, sono kantiani, e del resto il richiamo al Kant è esplicito.  3. Nel campo dell’«etica oggettiva», ossia del diritto, da questa concezione della natura (nel senso di essenza) dell’uomo, discende logicamente il diritto soggettivo a non essere costretto ad accettare un rapporto con altri che non dipenda anche dalla propria determinazione; e questo diritto soggettivo costituisce il «principio, o idea-limite, di un diritto proprio universalmente della persona, insito in essa e non esauribile mai in alcun rapporto concreto di convivenza»[5].  Del Vecchio non esita a chiamare tale diritto «diritto naturale», considerandolo «anteriore ad ogni applicazione e ad ogni rapporto sociale» – di cui esso è anzi la legge[6] –, ed indipendentemente dal rispetto che un ordinamento giuridico positivo ne compia. Del Vecchio sostenne sempre, seguendo un giusnaturalismo che da quello kantiano andò avvicinandosi a quello tomistico, il limite al potere dello Stato costituito dai diritti naturali dell’individuo (o della «persona»).  Nella prospettiva ideale di uno «Stato di giustizia» la cui ragione prima è la tutela di tali diritti, egli respinge ogni teoria che ponga lo Stato al di sopra o al di fuori del limite giuridico costituito dalla sua intima ragione d’essere, l’attuazione della giustizia, in quanto solo da questa sua missione esso trae la propria autorità[7]; anzi, di uno Stato che agisca in contrasto con la giustizia Del Vecchio giunge a parlare come di «Stato delinquente»[8] . La giustizia è da lui affermata perciò «valida ed efficace anche contro un sistema giuridico positivamente vigente» quando questo contrasti irreparabilmente con le esigenze elementari della giustizia che sono le ragioni della sua validità: è legittima allora «la rivendicazione del diritto naturale contro il positivo che lo rinneghi»[9].  Daniele Onori  [1] Del Vecchio, La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino nella rivoluzione francese. Tra le sue opere: Il sentimento giuridico, 1902; L’etica evoluzionista, 1902; Diritto e personalità umana; I presupposti filosofici della nozione del diritto, 1905; Su la teoria del contratto sociale, 1906; Il concetto del diritto; Il concetto della natura e i principio del diritto, 1908; Sull’idea di una scienza del diritto universale comparato, 1908; Il fenomeno della guerra e l’idea della pace, 1909; Sulla positività come carattere del diritto, 1911; Sui principi generali del diritto, 1921; Sulla statualità del diritto; Stato e società degli Stati, 1932; La crisi della scienza del diritto, 1933; La crisi dello Stato, 1933; Il problema delle fonti del diritto positivo, 1934; Individuo, Stato e corporazione, 1934; Etica, diritto e Stato, 1934; Diritto ed economia, 1935; L’homo juridicus e l’insufficienza del diritto come regola della vita, 1936; Sulla involuzione nel diritto, 1938; Sul fondamento della giustizia penale; Verità e inganno nella morale e nel diritto, 1945; Dispute e conclusioni sul diritto naturale, Orecchia, Bibliografia di  V., V., Lezioni di filosofia del diritto, pp. 350-351 della 13 a ediz., Milano, 1965  [4] Del Vecchio, Il concetto della natura e il principio del diritto, p. 72, Torino, Vecchio, Etica, diritto e Stato, nel vol. Saggi intorno allo Stato, Roma, 1935, pp. 168-169. Nello stesso volume, nel saggio Individuo, Stato e corporazione, v. il tentativo di fare rientrare nel concetto di Stato di diritto lo «Stato corporativo» fascista (p. 134 ss.).  [8] Del Vecchio, Lo Stato delinquente Del Vecchio, La giustizia, pp. 121-124 della 6 a ediz., Roma, 1959. Ma le idee di Del Vecchio circa il diritto naturale appaiono in numerosi suoi scritti: fra quelli dedicati espressamente a tale argomento v. Dispute e conclusioni sul diritto naturale (1948), Essenza del diritto naturale (1952), e Mutabilità ed eternità del diritto naturale (1952), gli ultimi due ora in Studi sul diritto, I e II.  TORINO    | °°0‘0‘’‘’ROMA  MILANO FIRENZE BOCCA Estratto dalla Rwista Italiana per le science gi  “7  ?    Ù  i    Città di Castello Tipografia dello Stabilimento S. Lapi, Nel principio della Politica, volendo Aristotele  definire in che l’uomo si distingua da tutti gli altri animali,  dice questo esser proprio di lui, ch’egli ha il senso del giu-  sto e dell’ingiusto.!   Se fin da tempi antichi si disputò lungamente su la co-  stituzione semplice o derivata, naturale o artificiale di questo  dato della coscienza, la sua esistenza, cioè la realtà psicolo-  gica del senso della giustizia, non fu posta in dubbio da  alcuno.   Il problema della sua essenza ed origine andò congiunto  di regola, come facilmente s'intende, con altri più generali,  su la natura etica dell’uomo, e l’essere obiettivo del giusto;  di guisa che non potrebbe tracciarsi compiutamente la storia  di così fatta questione senza comprendervi quella intera della  Filosofia del diritto.   Un'idea sinottica del contrasto si acquista considerando i  due punti nei quali accentraronsi le opposte dottrine. Socrate  fondando la concezione ideale del mondo riconobbe nel cuore  dell'uomo l’immagine della giustizia in universale; e tal  principio accolto nel sistema platonico più non scomparve  dagli orizzonti speculativi, benchè sia stato nei secoli, da  quelli stessi che vi sì attennero, variamente inteso e modifi-  cato. Così gli Stoici ammisero un é6pdò3 A6y05, espressione o  riverbero nella coscienza della legge immutabile di natura;    1 Toto yàp nods TRA taa tots dvdperots lorov, TO povov.... dmatov xal    ddlwov.... axiodnow eyew [I, 1 (2) $ 10 (11)].    6 questa tesi sostenuta eloquentemente da Cicerone, ‘dritto naturale. D'altra parte essa s'era contemperata nella et    mentibus? non fu mai abbandonato dalla filosofia positiva; #@    4.0...,*    si    Date E dr:  fu ac-  DA SEAA Π   colta (benchè in forma men rigorosa) dai giuristi di Roma; e |’  e . ) O . Ù PIGLIO IO. i St VE gato, ari  divenne poi uno tra i fondamentali principî delle scuole di ||    x  DI dottrina teologica di San Tommaso coi dogmi della rivelazione la vie  o della caduta. Allo stesso ordine appartiene la concezione  del Vico, innalzata però a meravigliosa potenza per compren-  dere “insieme storia e filosofia dell'umanità, .? : LR   L’assunto di una imago justitiae, per naturam impressa.    ad esso si riferirono generalmente pure i giuristi, in armonia. ©  col comune dettato delle coscienze. Ipo  Bensì, mentre da un lato si considerò il fondamento della.    1 Sopra tutto in quel mirabile passo della Repubblica (III, 17; (w  Lactantius, Inst., VI, 8): Est quidem vera lex recta ratio naturae con-.  gruens, diffusa în omnes, constans, sempiterna.... Neque est quaeren- nr  dus explanator, aut interpres eius alius. Nec erit alia lex Romae,  alia Athenis, alia nunc, alia posthac; sed et omnes gentes et omni |  tempore una lex, et sempiterna, et immutabilis continebit;... cui qui.  non parebit ipse se fugiet, ac naturam hominis aspernatus hoc ipso de  luet maximas poenas, etiam si cetera supplicia, quae putantur effuge-  rit,. A ragione disse di questo il Rosmini, non esservi forse su tal T°  soggetto “luogo più splendido in tutta l’antichità,,. MANO   ? Principj di una Scienza nuova (1%), I, 6; II, 4. “Siccome in noi.  sono sepolti alcuni semi eterni di vero che tratto tratto dalla fanciul-  lezza si van coltivando, finchè con l’età e con le discipline provengono.  in ischiaratissime cognizioni di scienze; così nel genere umano per lo. Vial  peccato furono sepolti è semi eterni del giusto, che tratto tratto dalla  fanciullezza del mondo, col più e più spiegarsi la mente umana sopra (°°  la sua vera natura, si sono iti spiegando in massime dimostrate di giu= ‘0  stizia,. se IA   3 GRAVINA, Orig. jur. civ., lib. III, cap. 11. LIE   * Intendasi questa parola nel proprio senso. Oggi va sotto questo  nome la filosofia negativa. i It   > KANT, Grundlegung zur Metaphysilk der Sitten, IT Abschn.: “Aus.  dem Angefihrten erhellt : dass alle sittliche Begriffe vòllig a priori in .  der Vernunft ihren Sitz und Ursprung haben; dass sie von keinem  empirischen und darum bloss zufalligen Erkenntnisse abstrahirt wer-.  den kònnen; dass in dieser Reinigkeit ihres Ursprunges eben ihre a)  Wirde liege,, ecc. (Cfr. la Hinleitung in die Rechtslehre, $ B. TM  FICHTE, Grundlage des Naturrechts (196, p. 50): “ Es wird sonach zu | |  Folge der geleisteten Deduktion behauptet, dass der Rechtsbegriff im |°  Wesen der Vernunft liege, und dass kein endliches verniinftiges We-  sen mòglich sey, in welchem derselbe nicht — keinesweges zu Folge |.  der Erfahrung, des Unterrichts, willkihrlicher Anordnungen unter den ..  Menschen, u. s. f. sondern zu Folge seiner verniinftigen Natur, Vols ue    a,    N    4    +  È  nz    TERI  e N  E    s*  Mia  Len  #1    Hp 5 >  04) ERRO: D Ti    (0...  a    Uur’esigenza intrinseca della volontà, e l’amore, più che il    concetto, della giustizia si riconobbe innato nell’uomo.! |  Il sentimento giuridico ebbe ancora fondamentale impor-  | tanza nelle teorie della scuola storica, la quale ad esso ri-    condusse come ad original fonte la genesi fenomenica del di-  | ritto, ? Contto a questa serie di concezioni, aventi a tratto-comune il principio di una intuizione giuridica immediata ed  "irriducibile, un’altra si svolse, intorno al principio di una  ‘formazione progressiva e mediata, spesso anche artificiale, del senso del giusto, per effetto dell’esperienza e delle relazioni  esteriori,    komme,,. ©Ofr. pure Das System der Rechtslehre (Fichte ?s Nachgelas-    i sene Werke Zw. B., p. 495 e seg.).    . 1 Questa massima fu sentita più profondamente forse che da al-  cun altro da J. J. Roussmau. Vedi specialmente nel Discours sur l'ori-  gine et les fondementes de l’inégalité parmi les hommes, il passo in cui    si tratteggia la teorica della pietà (nell’ediz. LeFÈvrE delle Oeuvres complètes, vol. IV, p. 151 e seg.); e nel IV dell’Emile. la Profession de    fot du vicaire savoyard (ed. cit., vol. III, p. 336-342). Anche in tutti    gli altri suoi scritti s'incontrano accenni a “ cet amour de la Justice,  inné dans tous les coeurs, (Confess., vol. I, p. 613).  Analoga è la dottrina di SCHOPENHAUER, in quanto anch'egli fa    scaturire il sentimento della giustizia dalla naturale compassione, che  | {in tal sistema è poggiata su l’unità trascendente della volontà come  cosa in sè. “Dieses Mitleid ist eine unleugbare Thatsache des men-  x» sohlichen Bewusstseins, ist diesem wesentlich eigen, beruht nicht auf    Voraussetzungen, Begriffen, Religionen, Dogmen, Mythen, Erziehung  und Bildung; sondern ist urspriinglich und unmittelbar, liegt in der    | menschlichen Natur selbst, hélt eben deshalb unter allen Verhàaltnissen  «Stich, und zeigt sich in allen Làndern und Zeiten n (Uber die Grundla-    IISB, et 62,    ge der Moral, $ 17). Cfr. Die Welt als Wille und Vorstellung, spec.    ° Tale dottrina è però profondamente diversa da l’altre ond’è pri-    ‘ma fatta menzione. Anzitutto essa non considera il sentimento giu-    ridico come un dato della coscienza singola, ma sì quale espressione  ipostatica di un'anima popolare. Questa espressione poi è intesa solo    i \6ome principio sforîco, cioè avente ad unico e necessario riscontro la  | realtà delle istituzioni vigenti. Esso si rappresenta, per conseguenza,    quale principio vivente e organico (benchè invisibile e in parte incon-  scio), che si svolge nel tempo e nello spazio e assume forme deter-    \iminate secondo le condizioni particolari della nazione.    è Questa teorica si raccosta nella sostanza, e si concilia più che a    ‘|| ‘’prima giunta non paia, col sistema di HegrI. Specialmente nei continua-    tori di questo è visibile la mutua tendenza delle due concezioni. ‘Pet altro lato la scuola storica si connette alla tendenza realistica della  i moderna sclenza sociale. V. su ciò le belle osservazioni del VANNI:    giuristi della scuola storica di Germania nella storia della Sociologia  e della Filosofia positiva, in Rivista di Filosofia scientifica, vol. IV,  Milano, 1885, p. 693-721.    Bi     Questo concetto, antico quanto il contrario, ! ebbe il suo    ‘massimo svolgimento nella filosofia inglese, ove sempre, in Ì;  una od in altra forma, prevalse; pur non mancando tra essa    propugnatori della dottrina classica dianzi indicata,    AI nostro tempo la spiegazione genetica fu accolta dal i5    maggior numero, come quella che s'accordava colla generale  tendenza empirica del pensiero.® La forma più sostenibile    1 Ne sono in vero già visibili i tratti nelle teorie dei sofisti; e non  mancano accenni pure anteriori. Che nella filosofia greca sino a Pla-.    tone siano stati toccati presso che tutti i punti di vista onda è possa    sibile speculare, fu già avvertito. Circa i sofisti stessi è ormai dimo- |    ‘ strato che, non ostante alcuni comuni caratteri, le loro dottrine dif-' più    ferivano di non poco, e talvolta direttamente si contrariavano. Oltre  l’opere classiche del Grorn e dello ZELLER, si cfr. in ispecie il saggio    di CHIAPPELLI: Sulle teorie sociali dei sofisti grecî (in Atti della. ©’  R. Accad. di scienze morali e politiche, vol. XXIII, Napoli).  Il detto notissimo di ARCHELAO, Tò dlxztoy etvat, nai Tò aloypòv ob oudet, KAAÈ |  vép» (su le varie interpretazioni del quale v. BERTINI, La filosofia greca    -    prima di Socrate, Torino, 1869, p. 811), pone, forse per la prima volta,    il quesito dell’esistenza di un dato morale nella natura. La risposta    negativa, quale è data qui dal discepolo di Anassagora, fu certo poi tra È    i sofisti la dominante; ma non essa può dirsi assunto generale di quella  scuola, bensi l’astrazione della natura dal fatto storico della moralità,  e la contrapposizione (in un senso o in un altro) di questi due termini  fra di loro.    La tesi per la quale il giusto e l’ingiusto si riconducono al sem- RS  plice fatto della posizione storica, e non se ne ammette un fondamento |    in natura, è propria della filosofia scettica d'ogni tempo. Così se ne    può osservare il ritorno presso MoNnTAIGNE (Essaîs, I, 22: Les loix de. nat  la conscience, que nous disons naistre de nature, naiîssent de la coustume |  ecc.); cfr. PascaL, Pensées, I, art. VI, $ 19; art. IX, $ Se sog. (sec.  to tea  volta dagli stessi “ positivisti, ; SA CROATO, L'origine del sentimento intuitore del ginsto è DI ari  problema di pura ragion metafisica. DISPADIAI Noi teniamo per fermo che la spiegazione storica del ma- o SIE  ‘nifestarsi di un fatto, in connessione con gli altri dati della 0 i  natura, non distrugga la sua esistenza d’idea; la quale è.  soggetta come tale ad una costruzione ontologica, indipendente dall’accidentalità del suo concretarsi. La mutua incisi ili  denza dell'idea in fatto, e del fatto in idea, la loro trascen= ti  denza reciproca è il primo canone della Filosofia e della vita. tanga:  Essere il mondo un prodotto della coscienza non è men  vero, che non sia vero essere la coscienza un prodotto del NARA  mondo. Onde riesce palese l’assurdità dell’assunto materiali-  sta: secondo il quale, provata la condizionalità reale del pen- |  siero, sarebbe esclusa per ciò la condizionalità ideale dei CFR  fatti. Most   Tale illusione ritorna non pertanto incessantemente: e. de:  benché trovi nella coscienza di ognuno la sua sufficiente con- d    208, 520-522, 530 e 531; Justice, $ 16 e seg.  Cfr. DARWIN, The descent of  man, spec. chap. III; "BAIN, Mental and Moral Science: Ethics, part Ha, DI  chap. III, (ed. London, 1884, p. 448-459). È.  1 L’imperfetta posizione del problema, per la quale vuolsi risol- | du  vere l’essere in divenire, conduce a simili contraddizioni : onde si è  costretti ad ammettere in fine che l'elemento essenziale era già posto  in principio. Vedi ad es. il saggio del LirTRÈ, Origine de l’idée de Dr n.  justice (in La Science au point de vue philosophique, Paris, 1873, p. 331-!  347). Ivi prima si dice (p. 332) che “la justice, loin d'ètre primor-  diale, innée, élementaire, est secondaire, acquise et combplexe,,; però di  la si riconduce tosto a un “fait psychique irréductible,,, e in fine si |  ammette che “l’idée de justice n’est pas autre chose que la dérivation | |’  d’un fait purement intellectuel, extrèémement simple, véritablement    intuitif,, (p. 346). LL  Per una critica originale ed acuta del moderno empirismo nella. tg seg  filosofia giuridica vedi PaTRONE, La fase recentissima della filosofia del'—|—|*    dritto in Germania (Pisa, 1895) e La filosofia del diritto al lume del-. ©  l’ idealismo critico (in Rassegna Nazionale del 1° giugno 1896). Su gli © È  elementi irriducibili della coscienza etico- «giuridica v. ancora del me- ——’  desimo Il valore ed i limiti di una psicogenesi della morale (Roma, Maori,  1896) e La storia interna ed il problema presente della filosofia del dis (0  ‘ witto (Modena, 1898) p. 46-52. e    dee 4  Men +   ARA    Mione. ritenta, a tratti, di costruirsi in ragion filosofica.    LI    i) | Questo è in sostanza l’errore fondamentale, il Grundirrtum,  che Schopenhauer diceva non perir mai dalla terra, ma ele-  | vare di tratto in tratto il suo capo, finchè l’universale indi-    gnazione non lo costringa a rimpiattarsi di nuovo. !  Il problema della natura originale del giusto comporta  dunque in verità più soluzioni, secondo il modo ond’esso si  pone: secondo che si consideri il fenomeno del suo sviluppo,  o la sua essenza d’idea. Questa non può come tale avere    alcuna oreégine storica; poichè i fatti potranno mostrar solo    esempi di sue affermazioni (perfette o imperfette), ma non    LI    rodurre ciò che, da questo punto di vista. è condizione del  ì )    lor presentarsi. La storia non potrà però mai soppiantare    l’idea, perchè non potrà liberarsi del suo presupposto ; e l’idea  è metempirica per essenza, cioè non si esaurisce nell’accadere.   Così nel proposito nostro le condizioni storiche della vita.  (educazione, abitudine, eredità) non generano l’idea del giu-    sto; ma sono le occasioni ed i modi dei fatti che a lei cor-    rispondono, le ragioni del suo affermarsi o riscontrarsi in    concreto. Solo in questo senso, cioè nel suo aspetto empi-    rico, la coscienza del giusto può dirsi subordinata a condi-  zioni storiche di sviluppo. Nel suo aspetto ideale, essa non    ha altra ragione di determinazione o d’interferenza che quella    logica.   H in tal senso appunto v’è tra la personalità ed il diritto  una coerenza essenziale, cioò l’un termine esige l’altro e lo  implica nella sua contenenza d’idea. |   A. questo nesso ideale corrisponde necessariamente una in-  trinseca relazione nel fatto, poichè l’esistenza di un termine  è coordinata nella sua possibilità con quella dell’altro.. Così  la personalità ed il diritto — considerati quali prodotti nel-  l'ordine naturale dell’accadere — hanno comuni e compene-  trate le condizioni empiriche di sviluppo. Onde il necessario  apparire della coscienza giuridica nella personalità sviluppata,  e del diritto nella vita storica in generale.    1 Parerga und Paralipomena, Ed. di KonBeR Zw. B., p. 207- 208    . ($ 110).    10 n IL SENTIMENTO GIURIDICO    $ III. — La questione metafisica non pregiudica del resto |  in alcun modo l’analisi del dato psichico e delle sue “DEORPR A  funzioni. LEO   Il sentimento del giusto è un dato primario e normale | Mero)  della coscienza etica, un elemento o un aspetto di questa; Ta  la sua natura è affettiva al tempo stesso e ideologica, ine  quanto che alla forza dell’animo, che sente alcunchè giusto ib  o ingiusto, necessariamente SO espresso 0 latente, Vin STA  tuito teoretico di un criterio. x ;   Facendoci ad esaminare le funzioni specifiche di questo SS  dato, ci proponiamo di determinare il posto che ad esso "Pata di  nella teoria del diritto.    a) Una vocazione giuridica della coscienza è il presuppo-  {°  sto della stessa considerazione storica del diritto. Noi dob- PAIA  biamo sentire ripercuotersi in noi la vibrazione ideale che  corrisponde obiettivamente alla struttura del dritto, per com- |  prendere questa. Non la parola diritto, nè le sue corrispon- |‘  denti od analoghe, nella storia indaghiamo: ma l'essenziale | (°°  verità dell'obietto; il quale ha naturalmente in noi stessi la  sua radice ed il suo fondamento. Chi non sente in sè gli rt  elementi e le ragioni semplici e necessarie degl’istituti giu- (°°  ridici in generale; chi non ha vivo e desto nella coscienza  Il principio teoretico ed emotivo che corrisponde intrinseca- .  mente ai dati storici del diritto, non potrà sussumerli, non. |’  potrà assimilarli; sopra tutto non potrà coglierne l'intimo |  senso e la vera i sO   E però fallirà nel suo assunto colui che volendo pene-..  trare la ragion naturale del dritto rifiuti per preconcetto di (6  scuola il ricorso alla sede interiore di esso, e s'avvisi compiet. —  l'indagine secondo puri dati meccanici e materiali. Non la Sii. “Lia  sperata semplicità ed esattezza, ma il più pernicioso sviamento |  sarà solo l’effetto di questo metodo: che non potrà mài con-  durre al nodo essenziale dei rapporti giuridici. Natura Juris ni  ab hominîis repetenda est natura. Rei:   Il fondamento psicologico del diritto ha dunque una fun- Via  zione gravissima nella stessa indagine storica ed obiettiva; {||  x  dn  pi ; n SANA    "pe    x è    («| ‘ STE, i | appartenendo ad esso generalmente il darci 1 abito alla giu  risprudenza, | |    è    ._b) Il sentimento del giusto è altresì presupposto da ogni  ordine giuridico nei suoi componenti, per l’intelligenza e  l'osservanza delle sue norme; in particolare poi si richiede    |. tal fondamento nella coscienza del giudice, il quale ad esso    deve attingere ultimamente, secondo lo spirito della legge,  le sue sentenze. Si pensi in ispecie all’interpretazione esten-  siva, e ai giudizi “secondo i principî generali del diritto,,.  . La teoria romana dell’aeguitas, che tanta e sì viva parte ebbe  nello sviluppo di quel diritto, si riferiva costantemente a    “questo elemento giuridico della coscienza; e certo non sa-    rebbe stata possibile senza di esso.    c) Le stesse determinazioni legislative e di consuetudine  sono d’ordinario un riflesso organico del sentimento giuridico  dominante; ed allo svolgimento di questo corrisponde in  effetto un variare di quelle.   Il processo, per cui il sentimento subiettivo del giusto si  traduce storicamente in istituzioni, è però assai più complesso  e meno immediato che non siasi avvertito dalla Aistorische  Rechtsschule. Questa, avendo posto a priori la massima della  “coscienza giuridica popolare,, riferì ad essa sic et simpliciter,  come a fattore storico trascendente, la genesi del diritto; e  in essa ne vide il principio razionale e reale ad un tempo. Per tal guisa, non uscendo mai dalla ipostasi dogmatica della  “coscienza giuridica popolare,, quella scuola ne trascurò inte-  ramente l’analisi nella sua prima sede, ch’ è la coscienza sin- È importante su questo punto il raffronto della dottrina storica    ‘.con quella dei giuristi romani. Essi ammettevano pure un intuito    primario del giusto, ma l’estimavano un dato teoretico della ragione,  quasi espressione logica della necessità intrinseca del diritto. Lo spi-  rito popolare all'incontro, secondo la scuola storica, è una vera potenza  dialettica, una ragione vivente e per se stessa attuosa. Con che s'intende com’esso abbia potuto parers bastante a spiegare la genesi sto-  rica del diritto; laddove i Romani, anzichè su la naturalis ratio, si  fondarono a ciò espressamente sul principio dinamico della vol/untas,  e il momento ideale di quella usaron piuttosto come argomento della  universalità umana del dritto, e come massima ausiliare e interpretativa, promotrice dell’equa pratica giudiziale.  AN    ABETI en ... ubi tOE CSC  LA DI ; A 4 . e ile ; Ù 3 R P, Lf  .gola*; dalla quale bisogna appunto tòrre ‘principio per iscoprir | |    io    poi le leggi del suo comporsi obiettivamente in fattore storico, La coscienza o persuasione giuridica popolare, che parve a   cotesta scuola un che di misterioso e d’imperscrutabile,® ha |  nella realtà i suoi principî in quegli stessi elementi dell'essere | ©    personale, che sono generalmente le condizioni subiettive 0    psichiche del diritto; mentre trova d'altro lato i suoi termini. {°°  in quei dati della natura storica, onde il sentimento del giu- et || °  sto ha materia a determinarsi, e coi quali è pertanto necessariamente connesso nel suo sviluppo e nelle sue concrezioni, Se non che, anche così risoluto il concetto di coscienza ||    giuriaica popolare, non può riconoscersi in questa, come volle n  la scuola storica, la causa imperturbata, semplice e onnipotente della posizione fenomenica del diritto. Cotesta concezione romantica del Volksbewusstsein, come di un tutto costantemente pacifico ed omogeneo, contraddice alla storia | (\°    dell'evoluzione giuridica; che ci dimostra le istituzioni nascere    per via di sforzi laboriosi e tenaci, onde le volontà coesistenti portano a interferire i rispettivi dati delle coscienze. ‘Lungi  d’essere unanimi nella statuizione giuridica, i popoli trovano    in essa un peculiare e quasi non interrotto argomento di dissidio e di lotta; nella quale non solo il sentimento del    1 Degna di nota è la luminosa intuizione platonica in questo senso :  Tà aUTà Sv Sxdotm Eveotiv Mudv elòn te xxl NIN, darep Èv Ti moiSt. od Yap mod  «AXodev èneios dopintar. Repubbl., IV, 435 E. — Similmente il Vico inse-  gnava che come questo mondo civile certamente è stato fatto dagli  uomini, così se ne debbono ritruovare i principj dentro la natura e le  modificazioni della nostra medesima mente umana (Scienza nuova,  1? e 2*, passim). La teoria della coscienza sociale “come sintesi di relazioni delle  .  coscienze e dei subietti individuali,, è tracciata con profondità di vedute dal FiLomusi GusLFI nella eccellente Enciclopedia giuridica $ 18. Vedi quivi ancora i.$$ 16 e 17.  3 Caratteristica è l’ingenua domanda del PucHTA: “Wer wiirde es unternehmen, den Wegen zu folgen, auf welchen eine Ueberzeugung |  in einem Volk entspringt, keimt, wàchst, sich entfaltet, hervortreibt?,,    (Instit.).  ° Tra questi dati della natura storica che tendono a reagire sulla    coscienza viene a occupare la prima linea, come somma dei processi    LI    anteriori, lo stesso ordine giuridico, da che è in fatto costituito. Si  determina così uno stato di azione e reazione reciproca tra il diritto  esistente e la disposizione giuridica della coscienza. In questa è però    sempre un principio attivo: e l'avere in qualche modo veduto ciò è uno dei meriti principali della scuola storica del diritto.   | © NA CARREO giusto, ma pure ogni altra potenza e passione interviene e si    ripercuote. E la statuizione o posizione del dritto è deter-  minata dalla volontà sociale preponderante, cioè dalle idee  storicamente più forti. n.   Il legislatore stesso è da concepire, non come il messo  fatidico dell'entità del VolKksgeist, ma come il rappresentante  e la voce organica della ragione storica sufficiente. L'armonia  delle statuizioni legislative coll’universale sentimento dei sin-  goli potrà assumersi a segno della perfezione di esse, ma certo    non è condizione del loro positivo vigere: che anzi mai nella    storia.tale armonia si presentò integramente avverata.   Il vedere a priori nel sistema che avvince un popolo l’e-  spressione fedele del suo proprio genio è sovrimporre alla  storia una formola, contro cui la stessa voce dei fatti in mille  casi apertamente protesta; ed è vuoto e indegno sofisma, come  disse benissimo il Bruns (in Enc. der R. W. di Holtzendorff,  5. Aufl., p. 485), il riferire alla coscienza giuridica di una na-  zione la sua tolleranza di un’autorità usurpatrice. A simile  argomentare aveva già risposto Jean Jacques: “On pourroit  employer une méthode plus conséquente, mais non plus favo-  rable aux tyrans, (Contr. soc., I, 2).!   Il sentimento del giusto ha con tutto ciò una funzione  fondamentale e primaria nella determinazione positiva del  dritto. Se non se ne può riconoscere in fatto l’onnipotenza,  esso è però, anche storicamente, una forza viva, e per sua nas  tura tende a tradursi in quegl’istituti, di cui è per se stesso  l’espressione embrionica o potenziale. E di tutte le forze,  che presiedono al vigere storico del diritto, esso è la più profonda e la più indistruttibile; perchè anche oppresso, vive  latente, ed alla fine, tosto o tardi, si esprime in atto e si fa  valere. Gli ordini giuridici sono in effetto tanto più saldi  e durevoli, quanto più ampio e profondo è il loro consenso  col dettame attuoso delle coscienze. Onde il generale paralle-  Una rettificazione della teoria della scuola storica nel senso indi-  cato fu del resto intrapresa al tempo stesso della sua maggior Voga. Rammentiamo in ispecie la bella polemica sostenuta dal BesELER col suoscritto: Volksrecht und Juristenrecht (1843) e colla appendice ad esso  in risposta alla critica del PUCHTA. i i lismo dianzi notato, tra l'evoluzione interiore e Bit aste: sia He    riore della FA:    A wi    d) Il sentimento del giusto è lungi d’avere un vincolo .  od un confine nelle statuizioni vigenti, che pure esso stesso ha  in tutto o in parte determinate. Ai suoi sforzi di porle in  armonia con se stesso, alle sue varie e successive esigenze segue ordinariamente, secondo i principî accennati, uno sviluppo  nella legislazione; la quale del resto, quasi temendo di porsi in contrasto con esso, suol riconoscerne la funzione rinnovatrice, e ad esso in molti casi si riferisce; semprechè la per-. pui  suasione giuridica si presenti esplicata obiettivamente in co- {°°  stume. Ma la possibilità di un conflitto non è perciò tolta: ed in tal caso il sentimento del giusto si manifesta come elemento perturbatore dell'ordine giuridico istituito; e può presedere contro di esso ad un’azione occulta o palese, corro-  siva o violenta.   Ciò accade generalmente allorchè troppo grave è la discre-  panza tra l’autorità esteriore del reggimento e quella inte-  riore delle coscienze. La qual discrepanza è a sua volta  quasi sempre l’effetto del non aver potuto, per contingenze  storiche quali che siano, il sentimento del giusto esercitare    la sua azione normale rispetto alla genesi del diritto. Allora    manifesta la sua efficacia perturbatrice o rivolutiva.   Certo non è sempre agevole segnare in fatto il confine  tra questa e l’azione ordinaria o legalmente rinnovatrice.  La realtà cl presenta anche in ciò, come vuole la sua natura, una serie impercettibile di gradazioni. Ma l’averne rico-    nosciuto nel proprio senso i due termini basta a mostrare generalmente il carattere del processo.    e) L'aspetto testò toccato della coscienza giuridica si con-    nette immediatamente, nel suo significato teoretico, con un    altro, che rappresenta la sua funzione CATA Greni e ne definisce il valore fondamentale.  La coscienza del giusto ha in sè la potenza di contrap-    porsi all’autorità del diritto storico, e di cercare in altro che nella realità del vigere la sua giustificazione ideale. ‘E ssa ha    ai ata v  Ù in sè la potenza di giudicare le leggi vigenti, e precisamente  sub specie juris, cioè alla stregua di quello stesso criterio, che  ha pure in esse la sua storica espressione più forte, e for-  malmente esclusiva. Certamente una concordanza tra il sen-  timento originale della coscienza e la realtà degl’istituti vigenti è, non che possibile, consueta; nè potrebbero questi  durare senza un minimo di consenso. Ma l'importante è que-  sto: che sotto tal luce, cioè secondo l’intuito proprio della  coscienza, la giustizia delle obiettive determinazioni giuridiche  non è implicita in questa lor qualità, ma è sempre rispetto  ad essa mero accidente: e chi l’affermi enuncia un giudizio  eminentemente sintetico. Noi abbiamo così nella coscienza il principio di tutto quanto  un ordine di determinazioni giuridiche, indipendenti da quelle  storicamente costituite, e comprendenti anzi pur queste sotto  la loro giurisdizione. Molti dottori rifiutano a determinazioni  sì fatte la qualità di giuridiche, e negano che il diritto si  affermi altrimenti che nella storia e come istituto; ma è il  caso di chiedersi se negando i fatti si risolvano le difficoltà  che ne nascono.Il vero è che un principio giuridico è di sua natura il  medesimo se sia affermato da un solo o da tutto un popolo; e  similmente non tocca l’essenza sua logica il fatto, ch’esso sia  molto o poco o nulla applicato.   L'applicazione storica presta bensì d’ordinario ai principî  vigenti una minutezza, e una precisione di forme che manca  spesso alle manifestazioni immediate della coscienza; la quale  sì smarrisce talvolta nelle ipotesi complicate, e mossa com’è  d'ordinario da intuito di casi singoli, non sempre eleva le sue  sentenze all’universale. Ma per essere in una od in altra  forma espresse e specificate, le immagini di diritto non sono  però meno tali; onde anche da questo lato si vede che la  distinzione tra i dettati giuridici della coscienza e quelli degl’istituti storicamente posti tiene in realtà solo al modo,  onde gli uni e gli altri sono affermati.   L'indipendenza da ogni sanzione esteriore, il non ripe-  tere la sua autorità da alcun fatto empirico è carattere di-  stintivo e fondamentale del sentimento del giusto; il quale    TINA CALO ERA,    MLN A  3) — 9:  iL GS    Î)    È pone se shesso come assoluto    a presi    î I E questa qualità psic  | assolutezza noù può esser negata neppure da chi le.  ragion metafisica quale che sia, ti    ARMI ATI VA { ;    N    |. Nessuna prescrizione di legge potrebbe distrugge  . facoltà originale della coscienza, di contrapporre se  ‘come principio supremo, all’autorità del diritto costitu  quando Hobbes dichiara (De Cive, XII, 1) che a nessi  | nella società civile permesso un giudizio su ciò che s    » |. sto o ingiusto, dice cosa non solo ignobile, ma anche van  CARTE . L'esame storico poi ci mostra, che questo principio   momo di ragion pratica, debole negli inizi e quasi ripo    - A x è . =  | sviluppa gradatamente e si afforza colla progressiva indi  duazione delle coscienze. L'idea etica si scevera sempre più    ° mente e lucidamente all’essere. Il richiamo a una ragioì  SAIL autorevole per se stessa succede di mano in mano alla ob  SEE dienza passiva e all’indiscusso seguitamento degli usi. ® i  Io La coscienza giuridica sta così a fondamento di un’a  ‘.||_°°’‘’‘»..°‘’’‘vità speculativa, la quale partendo dalle più vaghe indi i  UR, i zioni del sentimento, giunge infine a costruire sistematicamente le immagini ideali della giustizia; ed illustrando le.  ragioni del dritto in universale, offre agl’istituti vigenti u   | ‘’criterio d'estimazione ch’essi non potrebbero mai trovare :  “se stessi, © go    DET,    SIERRA 1 Questo carattere spiega altresì la ragione della distinzione verbale tra giustizia e diritto. Giusto è ciò che è diritto indipendente- ©   «\ uu... mente dalla sanzione storica posttiva, cioè astrazion fatta da questa; |  SELVA E ‘benchè nel fatto la possa anche avere. RCA CR  ALIA .._, Con ciò non s'intende certo affermare che la parola giustizia ab-    bia un solo significato, nè che l’uso rispetti sempre la distinzione A  cennata. Già in Aristotele la parola ètxxtosivy ha due sensi distin  Ofr., sul significato delle parole, la. nota (del resto discutibile) del .  SMINI in Filosofia del Diritto (ed. Milano, 1841; ibid. in “i  2* ed., Intra); Lasson, System der Rechtsphilosophie (1882), p. 226000  | @ seg. e p. 61-62; Mili, On Utilitarianism. Su la giu:  stizia “nel suo concetto più generale possibile; vedi RomaGNOsI, De-  gli enti morali, $$ 463-4. ODI  .,,} Ciò è stato avvertito chiaramente dal VANNI, nel Proble  della Filosofia del diritto, e nell’altro notevole s  gio: Il Sistema etico-giuridico di H. Spencer (premesso alla trad,  della Giustizia), p. XXVI e seg. 0% 600    Y    si tt DARILETT . TORO .Du; coscienza raubicitiva: del giusto è però in questo : senso  ‘un principio critico e costruttivo; e le sue esplicazioni rap-  | (ad ‘appunto gli HOST teoretici ed il programma.    Hi ii di quelle vicende storiche del diritto, alle quali la  | stessa coscienza giuridica, costituita in fattore empirico, atti-  | vamente partecipa.    Nella vocazione giuridica della coscienza ha dunque pure  la sua radice la Filosofia del diritto. Così abbiamo disposto quasi in un cielo le varie, e pure connesse funzioni del sentimento del giusto. In  questo dato della coscienza (psicologicamente accertato, co-  munque se n’intenda l’origine) abbiamo riconosciuto il ger-  me e la condizione di tutte le forme, ideali e storiche, nelle  quali il diritto si afferma. Ognuna di esse se ne dimostra  un’esplicazione particolare od un ramo.   Si conterrà dunque nel sentimento del giusto la verità  giuridica in generale, e sarà esso per sè sufficiente a dimo-  strarne l’essenza?   Le stesse deduzioni analitiche sinora esposte non consentono sì fatta tesi. Solo un'illusione mentale potrebbe far  ravvisare il diritto in ciò che n'è la ragion subiettiva e il  psicologico fondamento.   Nel sentimento del giusto abbiamo in vero riconosciuto la  prova della vocazione ideale della subiettività alla giustizia. Que-  sta vocazione giuridica non è altro che la naturalità psicologica  del diritto, la ragione della nostra attitudine ad esso. Ella  è quel principio, che sentiamo in noi come forza embrionica,  che fa del diritto un oggetto psichico a noi adeguato, e natu-  ralmente c’induce all’attribuzione simpatica dei predicati di  giusto e ingiusto: onde il suo presentarsi qual “ sentimento,.   Ciò spiega come noi abbiam potuto ricondurre a questo  dato della coscienza la verità giuridica in ogni aspetto, e  vedervi convergere tutti i raggi di essa come in un focus.  . Ma al tempo stesso dimostra, che il diritto come espressione  perfetta e verità logica articolata non può trovarsi nel senti-  ‘mento del giusto. La personalità umana non è il diritto;  bensì lo involge naturalmente in se stessa; lo suggerisce, lo  esige; e il sentimento del giusto è per appunto l’esigenza an-    |. ideale e storico (quali noi abbiam tentato ;  | propriamente alla Filosofia del diritto; ma non furono d’ordi  | siderate se non per accenni, ovvero in qualche aspetto pai    10 da Ts vaola Lasi sentimento ETA è n, fin au  A, Solo nei suoi termini generali, in quanto essa è coi  più larghi assunti di psicologia e d’etica, ha luogo nei trattati   . scienze. La natura specifica e le funzioni di qu uel ig de   1 esporre) a     Rammentiamo, oltre i già. citati, AuHRENS, Corso di diritto Parte generale, II, $ 2 (trad. it., Milano); RéDAR, Gi  des Naturrechts (2 Aufl., Leipzig, 1860), spec. $ 14; Pòzx, U  . Rechtssinn (Minchen, 1868); RùmmLIN, Veber das Rechtsgefuhl  den und Aufsàtee, Tibingen); Ueber die Idee tas Gerecht:   (ib., Neue Folge, Freiburg, 1881); J Chit Der Kampf um’s- et o}  A'ufl., Wien). w  CRT  È LOI    ‘Torino . FI? \VTELLI BOCCA Enron x Torino    \    Recentissime pubblicazioni :  _—rrwrrrr_21111414_a_ y-y__aoeoeo    M. STIRNER \    JA We C) II    Con una introduzione di ETTORE ZOCCOLI \    Un volume in-8 L. 8 - Legato elegantemente in tela con fregi \    es    SELLE    Profes PETTO nario di diritto commerciale ta SI SI Roma  ofessore onorar Jo /della "Uni ves ità di    TRATTATO DI DIRITTO COM MERCIALE    VOLUMESP Pig M*©   Un volume in-8 —ACHILLE GATTI    DELL AUTORITÀ DEL GIUDICATO CIVILE    nel Diritto moderno Italiano  — Un volume in-8 EINAUDI STUDI SUGLI BPRETTI DELLE IMPOSTE    Contributo allo studio dei problemi tributari municipali    LIRE SEI — Un volume in-8 grande —FUBINI La dottrina dell'errore in diritto civile italiano  Un volume in-8 grande —s LI  TSE    © La Rivista Italiana = “SMI    }  f    L  «€  =    per le scienze giuridiche    : it.    è diretta dai professori F. Schupfer in Roma e G. Fusinato in Torino.   Il Consiglio di direzione si compone dei Signori: ?. Ellero  Senatore, Consigliere di Stato; N. Filomusi-Guelfi Prof. all’Uni-  versità di Roma e V. Scialoia Prof. all’Università di Roma,  Hanno promesso la loro collaborazione i Signori: Abello Abignente Alessio Anirich Arcoleo Ascoli Barassi Baviera Belotti Bensa Bertolini Besta Bianchi Bianchi Biscaro Boccardo Bolaffio Bonasi Bonelli Bonolis Brandileone Brezzo Brini Brondi Brugi Brunialti Brusa Buonamici Buzzati Cantarelli Caporali Carle Catellani Cavagrari Chiappelli Chiovenda Chironi Ciccaglione Codacci-Pisanelli Cogliolo Corsi Costa Coviello Cuturi Del Giudice Delogu Demurtas Zichina De Ruggero Dùsi Esperson Fadda Fedozzi Ferrarini Ferraris Ferri Ferrini  Fiore Fioretti Formiggini Franchi Gabba Galluppi Garofalo Garufi Gaudenzi Gazzilli Gianturco Giorgi Grasso Grippo Laghi La Mantia Landucci Leporini Loria Lucchini Luzzatto Macrì Majorana Majorana Malgarini Maltini Manara Mancaleoni Manfredini Manna Marghieri Mariani Marino Masé Dari Mecacci Melucci Miceli Minguzzi Miraglia Mondolfo Morelli Moriani Mortara Mosca Moscatelli Navarrini Oliva Orlando Pacinotti Pampaloni Pantaleoni Patetta Pepere Perozzi Pessina Petrone Piras Polacco Puglia Puviani Ramponi Ranelletti Ravà Rava Ricci Rocco Ruffini Sabbatini Sacerdoti Salandra Salvia Salvioli Salvioni Sampolo Seredo Scaduto Scalvanti Schanzer Schiattarella Sdagrà Semeraro Simoncelli Solmi Squitti Speranza Stoppato Supino Tartufari Trincheri Tuozzi Vadalà-Papale Vanni Venezian Vidari Villa Virgilii Vitail Vivante Zocco-Rosa Zdekauer. La Rivista esce in fascicoli bimestrali di circa 160 pagine ognuno.  Il prezzo dell’associazione annuale è di L. 20, anticipate, per l’Italia  e di L. 22,50 (marchi 18) per i paesi stranieri, che formano parte dell’Unione postale. Ogni fascicolo L. 5.  Le associazioni si ricevono dagli editori FRATELLI BOCCA in  Torino, Roma, Milano e Firenze e da tutti i principali librai.  rr. # _—tt1tttttt6t6;60]_'’.  Città di Castello, Tipografia dello Stubilimento S. Lapi, E. IL SENTIMENTO GIURIDICO. TORINO    ROMA MILANO FIRENZE  BOCCA ét  ni  TE  cre  fl   TTT:  TETTI  e   ener o  nec TT  Cosi e  re  degli  studiosi. Giorgio Del Vecchio. DelVecchio. Vecchio. Keywords: neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo, positivism, giustizia, il giusto, fascismo, Bobbio. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice, Hart, e Vecchio: il kantianismo dell’ ‘ius.’” Vecchio.

 

Luigi Speranza: Grice e Vedovelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di una furtiva lagrima – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Italia. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Rettore a Siena, assessore alla cultura del comune di Siena. Laureato in filosofia a Roma. Insegna a Siena, dove Precedentemente svolge attività di ricerca e di docenza a Heidelberg, Calabria, Roma, e Pavia. I suoi settori di ricerca si muovono nell'ambito della glossologia, la semiotica, la sociolinguistica e la linguistica acquisizionale. Introduce il concetto di lingua immigrata. Le sue ricerche si concentrano sull'insegnamento e apprendimento delle lingue in contesto migratorio. È autore di un commento al quadro comune europeo di riferimento per l'insegnamento delle lingue e co-autore della ricerca italiano, indagine motivazionale sui pubblici dell'italiano all'estero, realizzata  sotto la guida di Mauro. Fondatore e direttore della certificazione di italiano come lingua straniera, e del Centro di eccellenza della Ricerca Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia, istituiti a Siena. Saggi: “Lessico di frequenza dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas),  Italiano, I pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra stranieri (Roma, Bulzoni); Guida all'italiano per stranieri: la prospettiva del quadro comune europeo per le lingue” (Roma, Carocci); “Una furtiva lagrima: l'italiano degli stranieri – specialmente nei tenori di opera” (Roma, Carocci); Lingua in giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera, Perugia, Guerra, Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma, Carocci, Siena Certificazione CILS Linguistica educativa Glottodidattica Semiotica  Registrazioni di V. su Radio Radicale. Massimo Vedovelli. Vedovelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vedovelli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Luigi Speranza: Grice e Vegetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’accademia di Pater – vadum boum – la scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Insegna a Pavia. Si laurea a Pavia con la tesi, “La storiografia di Tucidide,” quale alunno del collegio Ghislieri. Libero docente e successivamente professore incaricato in storia della filosofia antica. Professore di questa disciplina a Pavia dove ricopre più volte il ruolo di direttore nel dipartimento di filosofia. Docente presso la scuola superiore IUSS di Pavia e la scuola europea di studi avanzati dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Membro del Collegium Politicum e socio dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli, e dell'Istituto lombardo accademia di scienze e lettere. Condivise il lavoro intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Si dedica alla filosofia greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro GEYMONAT (vedi). Fa studi sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno. Il primo in Italia a impartire un corso di storia della filosofia antica che prende in considerazione i riferimenti alla storia della scienza, particolarmente in ambito greco-romano. Nella ricerca della connessione fra scienze e filosofia, segue la metodologia di GEYMONAT. Il campo d'indagine approfondito da V. consistette nello studio degl’aspetti etici e politici della filosofia, in particolare il platonismo dell’accademia, il aristotelismo del lizio, e il PORTICO, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico della cultura greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine stabilito dalla legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel kósmos, l'universo ordinato, V. ritenne che si configurasse per la prima volta nell' “Iliade” proseguendo poi nella riflessione orfica-pitagorica sull'anima. Apprezzato per i suoi studi su Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno  e sull'etica. Saggi: “Il coltello e lo stilo” (Saggiatore, Milano); “Tra Edipo e Euclide” (Saggiatore, Milano); “L'etica degl’antichi” (Laterza, Roma); “La medicina platonica” (Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis); “Il platonismo” (Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed. Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone (Laterza, Roma); “Un paradigma in cielo. Platone politico, ed. Carocci. Collabora in: “Marxismo e società antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità, scrittura, spettacolo” (Boringhieri, Torino); Il sapere degl’antichi” (Boringhieri, Torino); “L'esperienza religiosa antica” (Boringhieri, Torin) (con Giannantoni) La scienza ellenistica, Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis, Napoli, Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gl’antichi", Sankt Augustio. Traduce  Ippocrate, Opere, Vegetti, POMBA, Torino, Aristotele, Opere biologiche, Lanza e V., POMBA, Torino, Galeno, Opere, Garofalo e Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica, Vegetti, Libri I-III, Dipartimento di Filosofia, Pavia, "Platone, Repubblica", Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di Theuth: dinamiche della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia, Detienne (Laterza, Roma); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica” in Storia del sapere medico occidentale Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza, Roma. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. Vegetti, Finzi, Celli, Fare società, ed. Einaudi  Entrambi collaboratori della rivista “Iride” delle edizioni del Mulino. Biografia su Enciclopedia delle scienze filosofiche, su emsf. rai. Filosofo studioso di Platone, su corriere.  Curci, Intervista a Gastaldi, in ricordo di V., la provincial pavese. Enciclopedia Treccani alla voce "Galeno" Intervista Carioti, "Critico il Platone di REALE, il marxismo non c'entra", intervista di V., Corriere della Sera, Opere su open MLOL, Horizons Unlimited srl. Opere V. Pubblicazioni su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.  Registrazioni su Radio Radicale. L'etica e la filosofia antica, su emsf. La retorica e la persuasione, su emsf. La medicina greca. Aristotele. I pitagorici. Socrate., su emsf. L'etica in Platone e Aristotele, su emsf. V.: il primato del filosofo per Aristotele, sul  RAI filosofia. Mario Vegetti. Vegetti. Keywords: ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo oxoniense di Pater” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Luigi Speranza: Grice e Velino: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei velini – la scuola di Velia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Velia, Ascea, Salerno, Campania. Italian philosopher Grice: “”A = A,” Parmenides says,” “Le donne sono le donne,” “La guerra è la guerra.” Enough to irritate an Italian neo-non-parmenideian“ One of the most important Italian philosophers, if only because Plato dedicated a dialogue to him!” Grice.   --   Parmenide Parmènide di Velia. Παρμενίδης, Parmenídēs. Velia. Filosofo antico. Autore di un poema sulla natura. Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. È il filosofo dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire d’Eraclito, secondo il quale viceversa, tutto cambia. A V. si deve la nascita della scuola eleatica – o velina -- a cui appartenevano anche Zenone, o ‘Senone’ nella grafia antica più correta -- di Velia e Melisso. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo, e della fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una famiglia aristocratica. Della sua vita si hanno poche notizie. Secondo Speusippo, nipote di Platone, e chiamato dai suoi concittadini a re-digere la legge di Ascea. Secondo Sozione è discepolo del pitagorico AMINIA (vedi), di Crotone. Per altri, è probabilmente discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una scuola o setta, insieme al suo discepolo prediletto, Zenone. Platone nel “Parmenide” riferisce di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conosce Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di Parmenide è il poema in esametri “sulla natura”, di cui alcune parti sono citate da Simplicio in “De coelo” e nei suoi commenti alla fisica del Lizio, da Sesto Empirico e da altri saggi filosofichi antichi. Di queso poema sulla natura ci sono giunti ad oggi XIX frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che comprendono un proemio e una trattazione in parti II: la via della verità e la via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi versi.  Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ -, ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε φράσαις. ... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il DISCORSO, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare. L’una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della persuasione -- infatti segue la verità. L’altra che "non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è -- poiché non è possibile -- né potresti esprimerlo. Infatti lo stesso è pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere: immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile, eterno.  La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della giustizia la quale lo conduce al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in quanto tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità che conduce alla sapienza e all'essere -- τὸ εἶναι.  Pur non specificando cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι … ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che non sia … non è, ed è necessario che non sia»  -- Simplicio, Phys., Proclo, Comm. al Tim.). Con queste parole intende affermare che niente si crea dal niente -- ex nihilo nihil fit -- e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i primi filosofi avevano cercato l'origine (ἀρχή) della mutevolezza dei fenomeni in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura, tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, non hanno semplicemente motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni giunge promuovendo per la prima volta una filosofia – discorso filosofico -- basato non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale, servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è uno perché non possono esserci due esseri. Se uno è l'essere, l'altro non sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è l'essere, e B è diverso da A, allora B non è. Qualcosa che non sia essere non può essere, per definizione. L'essere è eterno perché non può esserci un momento in cui non è più, o non è ancora. Se l'essere è solo per un certo periodo di tempo, a un certo momento non è, e si cade in contraddizione. L'essere è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non essere. La nascita significa essere, ma è anche non essere prima di nascere. La morte significa non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento. L'essere è indivisibile, perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come elemento separatore. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη), che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. La dominatrice necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto intorno. Perché bisogna che l'essere non sia incompiuto. L'essere, secondo Parmenide: privo di imperfezioni e identico in ogni sua parte come una sfera paragona l'essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio e nel tempo, chiusa e finita -- il finito è sinonimo di perfezione. La sfera è infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è uguale dovunque la si guardi. L’ipotesi collima suggestivamente con la teoria della relatività di Einstein. Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito in tutte le direzioni dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera. Per lo scienziato infatti l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su se stesso. Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché il non-essere, secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai sensi, secondo cui gl’enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione -- che appare ma in realtà non è. La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia stato negli erranti sensi. Questa è la frase che d'ora in poi è attribuita a Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'essere. Ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere non troverai il pensare, a indicare come l'essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato.Tale identità immediata di essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero, accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una volta stabilito che l'essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse l'errore dei sensi, dato che nell'essere non ci sono imperfezioni, e perché gl’uomini tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere. V. si limita ad affermare che gl’uomini si lasciano guidare dall'opinione (δόξα), anziché dalla verità. Ossia, giudicano la realtà in base all'apparenza, secondo procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una semplice illusione, e dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una ragione. Compito del filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità dell'essere nascosta sotto la superficie degl’inganni. Il tema è ripreso da Platone che cerca una soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice. Per sciogliere il dramma umano costituito dal divenire per cui tutto muta che si scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale, che è portata a negarlo, Platone conceve il non-essere non più alla maniera di Parmenide staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso dall'essere in maniera relativa, nel tentativo di dare una spiegazione razionale anche al tempo e al molteplice.  Il rigore logico di Parmenide gli valse inoltre l'appellativo di "venerando e terribile" da parte di Platone. La fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e viceversa la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza empirica, fa di lui un filosofo profondamente razionalista.  Parmenide e la scuola di Veli. Parmenide ne "La scuola di Atene", affresco di Sanzio. Parmenide è il fondatore della scuola o setta di Velia, dove ha vari discepoli, il più importante dei quali è Zenone. Il metodo usato dagli velini è la dimostrazione per assurdo, con cui confutano le tesi dellavversario giungendo a dimostrare la verità dell'essere, nonché la falsità del divenire e delle impressioni dei sensi, per una impossibilità logica di pensare altrimenti. Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in seguito da Aristotele nel Lizio come evidenza prima e indimostrabile alla ragione senza la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza necessaria-filosofica, restando solo il mondo dell'opinione.  Parmenide e i velini si contrapponevano soprattutto al pensiero d’Eraclito, loro contemporaneo, filosofo del divenire che basa la conoscenza interamente sui sensi. Nella prospettiva della storia della filosofia, è quindi Hegel a concepire l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide.  Anche l'atomismo democriteo intese contrapporsi alla teoria velina dell'essere -- che cerca una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento originario al divenire -- presupponendo gl’atomi e uno spazio vuoto, diverso dagl’atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in una certa maniera una convivenza di essere e non-essere.  In seguito furono i sofisti a cercare di confutare il pensiero dei velini, opponendo al loro sapere certo e indubitabile (επιστήμη) sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di Gorgia di Leonzio. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava in particolare l'impossibilità di oggettivare l'essere, di darne un predicato, di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'enuncia, e che sembra contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. È seguendo questa strada che Platone, nel tentativo di risolvere il problema, approde al mondo delle idee.  L'interpretazione della "doxa" REALE (vedi) ha elencato le diverse interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa, che REALE appoggia, secondo cui l'opinione (δόξα) non è da intendersi in Parmenide come negazione assoluta della verità, ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si tratterebbe cioè di puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori, ma di una TERZA possibilità in cui i fenomeni (δοκοῦντα) sarebbero entità pensabili e quindi plausibili, se non altro come manifestazioni esteriori del fondamento occulto e autentico dell'essere. Nelle parole della dea, infatti, Parmenide è chiamato a conoscere anche le opinioni dei mortali, in cui non è certezza verace. Eppure anche questo imparerai. Come l'esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga. Si tratta di un'interpretazione condivisa in varia misura anche da Schwabl, Untersteiner, COLLI (vedi), RUGGIU (vedi), sebbene respinta da altri, che fa di Parmenide un anticipatore della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli invece mantenneno una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente attribuita ai velini. Tra le filosofie volte al recupero del pensiero classico in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi di Heidegger e di BONTADINI, l'opera di SEVERINO si segnala come una parziale ripresa della dottrina di Parmenide, e viene perciò definita neo-parmenidismo. In particolare nel suo saggio “Ritornare a Parmenide”, SEVERINO intende proporre un'originale re-interpretazione delle categorie fondamentali del pensiero alla luce della rigorosa logica del velino. Secondo Platone in “Parmenide”. Dopo che è scoperta in uno scavo ad Ascea un'erma acefala con l'iscrizione Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός -- Parmenide figlio di Pirete medico degli Uliadai -- dove Parmenide viene cioè indicato come capo della scuola medica di Velia degli Ούλιάδαι, si ritrova in seguito la testa-ritratto con barba qui raffigurata, con la base del collo adattata ad essere sovrapposta in un'erma del tipo di quella precedentemente ritrovata con l'iscrizione citata. Altri ritengono invece che questa scultura riproduca il busto del filosofo epicureo Metrodoro di Lampsaco (Picozzi, Parmenide, Enciclopedia dell'arte antica Treccani).  Logos: rivista internazionale di filosofia, Bartelli e Verando. I paradossi di Zenone contro il movimento vennero enunciati proprio per argomentare la posizione filosofica di Parmenide. Lugiato, L'uomo e il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo Platone in Parmenide, Diogene Laerzio. Così Plutarco, Contro Colote. Fra questi Aristotele, (Metafisica) e Platone (Sofista) e così anche Diogene Laerzio, Vite dei filosofi. I presocratici, a cura di Giannantoni, Bari. Platone, Parmenide, Simplicio, De cœlo. Simplicio, In Aristotelis Physica commentaria. Sesto Empirico, Adversus mathematicos. Finito non da intendersi come imperfetto perché per la mentalità antica il segno di perfezione è la compiutezza, il finito. L'infinito vorrebbe dire che non è completo, che gli manca qualcosa quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in Parmenide si veda quest'intervista a Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia delle scienze filosofiche. Dalla raccolta I presocratici di Diels e Kranz. Jellamo, Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi che la dea della giustizia è interpretata da Parmenide in una maniera nuova, filosofica, cfr. Fränkel, Wege und Formen Frühgriechischen Denkens. Literarische und Philosophiegeschichtliche Studien, München, Beck -- per il quale essa veniva ora vista come dea della giustezza o esattezza (dikaiosyne), preludio di quella platonica. Sulla dike "filosofica" cfr. anche Deichgräber, Parmenides' Auffahrt zur Göttin des Rechts, Untersuchungen zum Prooimion seines Lehrgedichts, Magonza. La nascita della parola "filosofia" è molto controversa, in quanto ha diverse accezioni. Già anticamente, così come altri termini composti col suffisso "philo-" (cfr. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?, Torino, Einaudi) essa indicava una passione, una tensione (φίλος, fìlos) verso il sapere (σοφία, sofìa). Secondo Capizzi, tuttavia, Parmenide non era un filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al "sapere per il sapere" propende per le applicazioni politiche del sapere, ma la questione è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da Melisso e poi reso in latino da LUCREZIO (vedi), ma implicitamente presente in un fragmento di Parmenide (cfr. Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede et Cultura. Il principio di non-contraddizione, introdotto da Parmenide per rivelare l'essere stesso, la verità essenziale, è successivamente impiegato come strumento del pensiero logicamente cogente per qualsiasi affermazione esatta. Sorsero così la logica e la dialettica -- Jaspers, I grandi filosofi, Longanesi, Milano). Della raccolta Diels e Kranz. Einstein si espresse tra l'altro in maniera sorprendentemente simile a Parmenide, in quanto anch'egli tende a negare la discontinuità del divenire e il suo svolgimento nel tempo. Secondo Popper, grandi scienziati come Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger, Gödel e, soprattutto, Einstein hanno concepito le cose in modo similare a Parmenide e si sono espressi in termini singolarmente simili. La materia, secondo Einstein, si curverebbe su se stessa, per cui l'universo sarebbe illimitato ma finito, simile ad una sfera, che è illimitatamente percorribile anche se finita. Inoltre Einstein ritiene che non ha senso chiedersi che cosa esista fuori dell'universo (Riva, Manuale di filosofia).  Meinong, proprio come Parmenide, difese ad esempio l'idea che anche la montagna d'oro sussista poiché se ne può parlare. Diels e Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le filosofie dell'Oriente, cfr. Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico. Cfr. anche l'intervista a SEVERINO (Venezia, Museo Correr, Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai Platone, Teeteto. Un famoso esempio si ha nelle aporie note come paradossi di Zenone. Si veda La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, di Zeller, Mondolfo, Eleati, a cura di Reale, Firenze, La Nuova Italia, a cura di Girgenti, Milano, Bompiani. Dunque, Parmenide ha esposto un'opinione plausibile, oltre a quella fallace, e cerca, a suo modo, di dar conto dei fenomeni -- Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano, trad. di Reale. Schwabl, Sein und Doxa bei Parmenides, Wiener Studien, Untersteiner, La Doxa di Parmenide, in Parmenide. Testimonianze e frammenti, Sansoni, Firenze, COLLI, Physis kryptesthai philei, ed. dell'Ateneo, Roma. Ruggiu, Saggio introduttivo e commentario filosofico, in Parmenide, Poema sulla natura: i frammenti e le testimonianze indirette, Rusconi, Milano. Di origine evidentemente iranica è il dualismo luce-tenebre che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre è addirittura di origine indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile (sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del "velo di Maya", ripresa da Schopenhauer), e lo stesso viaggio del filosofo al cospetto della dea, esposto nel proemio del poema parmenideo, ricorderebbe i viaggi degli sciamani asiatici -- West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente (Mulino, Bologna). In esso, tuttavia, SEVERINO afferma dapprima di aver compiuto il secondo grande parmenicidio, dopo quello di Platone. Parmenide svaluta e quindi annulla i fenomeni. Ma questi appaiono, quindi esistono e, se esistono, non divengono. Ma tutti sono eterni. In secondo luogo, SEVERINO usa la logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio. Poiché il divenire non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale e l'esistenza di un creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex nihilo. Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, a cura di Reale con la collaborazione di Girgenti e Ramelli (Milano, Bompiani); Albertelli, Gli Eleati: testimonianze e frammenti (Bari, Laterza); Vitali, Parmenide d'Elea. Peri physeos, una ricostruzione del Poema (Faenza, Lega); Reale, Ruggiu, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, Rusconi); Cerri, Parmenide. Poema sulla natura (Milano, BUR); Nolletti, Che cos'è l'essere di Parmenide: spiegazione di un enigma filosofico” (Teramo, La Nuova Editrice); I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Diels e Kranz, a cura di Reale (Milano, Bompiani); Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze E Frammenti (Milano, Bompiani); Severino, Ritornare a Parmenide in Essenza del nichilismo (Paideia, Brescia); DIANO (vedi), Parmenide in Studi e saggi di filosofia antica, successivamente ne Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici (Bollati Boringhieri); Ruggiu, Parmenide (Venezia, Marsilio); Capizzi, Introduzione a Parmenide (Laterza, Roma); CAPIZZI (vedi), La porta di Parmenid: saggi per una nuova lettura del poema” (Ateneo, Roma); CALOGERO, Studi sull'eleatismo (Roma, La Nuova Italia, Firenze); Hussey, I presocratici, Rampello (Mursia, Milano); Heinrich, Parmenide e Giona: studi sul rapporto tra filosofia e mitologia” (Guida, Napoli); Casertano, Parmenide il metodo la scienza l'esperienza” (Loffredo, Napoli); Popper, “Il mondo di Parmenide: alla scoperta dell'illuminismo presocratico” (Piemme, Casale Monferrat); Heidegger, “Parmenide”, a cura di VOLPI (vedi) (Adelphi, Milano); Gadamer, Scritti su Parmenide, a cura di Saviani (Filema, Napoli); Colli, Gorgia e Parmenide. Lezioni (Adelphi, Milano); Cordero, “By Being, It is. The Thesis of Parmenides, Parmenides Publishing, Las Vega); Pulpito, Parmenide e la negazione del tempo. Interpretazioni e problemi” (LED, Milano); Sangiacomo, La sfida di Parmenide. Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova); Abbate, Parmenide e i neoplatonici. Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno” (Edizioni dell'Orso, Alessandria); Toro, L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel proemio” (Aracne, Rom); Ferrari, “Il migliore dei mondi impossibili: Parmenide e il cosmo dei Presocratici” (Aracne, Roma); Donà (vedi), Parmenide. Dell'essere e del nulla, (Alboversorio, Milano); Sperduto, Il divenire dell'eterno (Aracne, Roma); Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Parmènide (filosofo), su sapere; Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'essere di Parmenide, su parmenide; Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico. Severino: Parmenide, su rai scuola; Sull'Essere" recitato in greco antico ricostruito, su podium-arts; Un'ampia lista degli studi dedicati a Parmenide su Parmenides; Parmenides and the Question of Being in Greek Thought, su ontology. con una bibliografia annotata degli studi recenti e delle edizioni critiche.Stanford. Refs.: H. P. Grice, “Negation and privation,” “Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords: Velia, velino, velini, la porta. Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo italiano,” Luigi Speranza, "Grice e Parmenide," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Velia.

 

Luigi Speranza: Grice e Velia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei velini – la scuola di Velia – Campania -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Velia). Filosofo campanese. Filosofo italiano. Velia, Ascea, Salerno, Campania. Cf. senofane, parmenide -- Velia --  (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?” -- that is the question!” -- Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ – Zeno’s paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.” H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”  H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to Zenone di Velia. The race-track, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zenoe’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle. The race-track paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore, the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the track is -- it could be a foot or an inch or a micron away -- this argument, if sound, shows that motion is impossible. Moving to any point involves an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles runs much faster than the tortoise. A race is arranged between them, and the tortoise is given a lead. Zenone argues that Achilles never catches up with the tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For, the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging. While Achilles is occupied in making up his handicap, the tortoise advances a little farther. The next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While Achilles is doing this, the tortoise has gone a little farther still. However small the gap that remains, it take Achilles some time to cross it. In that tim, the tortoise creates another gap. So, however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, it follows that half the time equals its double. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow occupies a space equal to itself. That is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zenone himself takes his paradoxes to show. There is no evidence that Zenone offers any “solution” to his paradoxes. One view is that the four paradoxes are part of a programme to establish that *multiplicity* -- including motion -- is an illusion of the senses, and that reality is a seamless whole. Zeno’s argument may be reconstructed like this. If you allow that reality can be successively divided into parts, you find yourself with these four insupportable paradoxes. So you must think of reality as a single indivisible one. Senza le premesse di tale discussione e problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di Velia, discepolo e difensore di Parmenide di Velia, in cui si vede bene il taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene. Parmenide e d'aspetto bello e nobile. Zenone, di grande statura e bell'uomo anche (“Parmenide”). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone legge un saggio che scrive per difendere la tesi di Parmenide di Velia, ma che quel saggio Zenone compose per amor di polemica e che per giunta un tale glielo ha sottratto, per cui, Platone fa dire a Zenone. Non ha neppure il tempo di pensare se fosse o no il caso di darlo alla luce. Platone, forse, per dare avvio alla sua discussione, probabilmente nei confronti della setta di Velia, si riallaccia di proposito a Parmenide e a Zenone mettendoli in rapporto con Socrate. Può darsi, dunque, che Platone forza la notizia di Zenone e Parmenide ad Atene in un'epoca in cui sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad Atene. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa. Discepolo di Parmenide, Zenone nasce a Velia. Platone (“Parmenide”) narra che Zenone e venuto con Parmenide ad Atene. Tutte le fonti lo presentano come uomo prestante e altamente intelligente, che prende attiva parte alla vita politica di Velia, dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del saggio di Zenone, o dei suoi saggi, e anti-nomica, e che [Altro punto sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive e stato fatto circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere indice che Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se, nella finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto che dei punti salienti dà Socrate. Platone, nel “Parmenide” tende a dimostrare l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual-sivoglia giudizio. Non interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si rende possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e delle opere di lui -- che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici, quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi -- la polemica di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia fondamentale in cui si trova il lettore del saggio di Zenone. In verità - abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in certo modo una difesa della dottrina di Parmenide contro quelli che cercano di metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro a molte conseguenze ridicole e contraddittorie. Vuole confutare perciò questo mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti e render loro la pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi dell'esistenza dei molti va incontro a CONSEQUENZE ANCOR  PIU RIDICOLE di quella dell'uno se si vuole andare in fondo alla ricerca. In effetto, qui Platone corregge la sua prima affermazione che Zenone e Parmenide diceno la stessa cosa ("dite su per giu la cosa medesima”), e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni che Platone distingue, quello che a Platone importa da quello che accantona, ma che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gl’argomenti contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in Zenone il difensore dell’Uno di Parmenide, lo chiama il "palamede eleatico" (Fedro) ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Zenone accetta che l'uno-tutto di Parmenide porta alla finale contraddizione dell'impensabilità -- proprio sulla via del pensiero -- dell'uno stesso. Solo che la facile critica dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'essere. Zenone nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano, confermando cosi la tesi di Parmenide che i molti in quanto tali, in quanto definizioni, non sono che puri *nomi* (nel piano linguistico) o illusione (nel piano cognoscitivo). Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità e infinitamente grande. Se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi grandezza per l'unione dei punti, come e mai possibile che punti senza grandezza diano luogo a grandezze? Un punto dunque, se non ha grandezza, non è. Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in numero finito e infinito, il che è contraddittorio. Saranno in numero finito, perché non possono essere piu o meno di quante sono. Saranno in numero nfinito perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra un'altra ancora all'infinito. Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita d’infiniti punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dall'altra per uno spazio. Ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di miglio fa rumore. Ora, se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione, vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa rumore lo fa anche un solo grano (Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica). Ma ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà. Nessuna parte del molteplice costituie il limite ultimo e nessuna e senza una relazione con un'altra. Poiché i molti sono impensabili, se non determinati come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta -- nulla è pensabile se non in quanto estensione ed estensione che si qualifica -- altrettanto inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della divisione in due: Aristotele, Fisica; Simplido, Fisica). Evidentemente non vi è allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" in A non raggiunge mai la tartarugà che sia un passo avanti in A", ché, in effetto, logicamente, né l'uno né l'altra si muovono -- argomento dell'Achille—pie-veloce: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio), tanto piu che la linea, essendo costituita d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza -- argomento della freccia: cfr. Aristotele, Fisica; Simplicio, Fisica; Filopono, Fisica; Temistio, Fisica). Infine, dei presunti XL argomenti con i quali Zenone dimostra la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà, ad esempio, a X chilometri l'ora. Se lo si considera invece rispetto a un altro punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso mobile va a XX chilometri all'ora. Il  argomento IV - dice Aristotele - è quello delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio, lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le altre dalla metà, con velocità uguale. La conseguenza è che la metà del tempo è uguale al doppio (Fisica; cfr. anche Simplicio, Fisica). I celebri argomenti contro il movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come sul piano logico, contraddicendosi, non si possa se non negare il moto -- onde, appunto, Aristotele, secondo Diogene Laerzio, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto dire che lui e padre della DIALETTICA, e non Gorgia da Leonzio -- come arte del confutare -- ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti sono proprii del saggio di Zenone, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone -- che fa intravedere solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità -- ne tacciono. Certo gl’argomenti contro il movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portano anche a rendere impensabile il continuo spazio-temporale su cui si determinano, definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti-cose dei primi della setta di CROTONE (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte dei primi de quella setta), supponendo i numeri irrazionali, sia contro l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone di V., tenendo presenti certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna -- sembrano potersi indicare nei seguenti punti. L’impossibilità di ridurre la fisica in termini matematici. La conseguente impossibilità di pensare, e quindi di definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità. La consapevolezza che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si determinano cosi. Posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della problematica, impostata da Zenone, viene approfondito. O si insistito sul continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come determinazioni valide su di UN PIANO PURAMENTE LINGUISTICO) nel continuo stesso, cioè nell'infinita unità (Melisso).O si è risolto l'uno su di un piano puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi fisica (CROTONE e TARANTO). O si è assunta l'ipotesi fisica del continuo divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti, proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone di V., e Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella consapevolezza dell'impossibilità logica dell'essere o del divenire, della verità, a rimanere sul piano dell'opinione e del discorso umani, entro i termini dello stesso mondo dègl’uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Grice: “At Oxford, it would be ridiculous to refer to Occam, the philosopher, as William. Mutatis mutandis, Parmenides of Velia and Zenone of Velia should be referred to as “Velia.” I propose to call Parmnide VELIA, and Zenone VELINO, to avoid ambiguity!”. Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani, Adorno, velino. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Velino.

 

Luigi Speranza: Grice e Velleio: la ragione converazionale a Roma –- l’orto divino -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo italiano. L’orto. Used by Cicerone as a representative of L’orto -- on the topic of the divine in “De natura deorum.” Although a senator, his philosophical views lead him to steer clear of ‘dirty’ politics. Gaio Velleio. Velleio. Keywords: Roma antica. Luigi Speranza, for H. P. Grice’s Play-Group, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. Velleio.

 

Luigi Speranza: Grice e Venanzio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’estetica – la scula di Portogruaro – filosofia veneziana – filosofia veneta -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Portogruaro). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano.Portogruaro, Venezia, Veneto. Essential talian philosopher. Filosofo italiano. Dov'e nato gli e dato a precettore Fortis, prete onesto, né senza ingegno. A' tredici anni studiò nel patrio seminario belle lettere e filosofia; ed è ben curioso a pensare, come a quel tempo, che pur anch'esso gloriavasi di civiltà e cominciava a combattere la tirannia de vecchii errori, non mancasse più d'uno che con ra-gionamento, meglio specioso che giusto, sentenziasse doversi apprendere prima filosofia e poscia retorica, perché, innanzi di scrivere, era debito d'imparare a pensare. Una fedele immagine di quelle scuole ci presenta lo stesso V. In retorica continue traduzioni dei classici latini, affatto pedantesche, per non dire meccaniche; della letteratura italiana neppure un cenno; Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto, nomi ignoti; non si prefiggeva allo scrivere italiano altro modello, che il Cesarotti nei versi, ed il Thomas nella prosa; onde chi produceva versi più sonanti, o periodi più tronchi, più smozzicati, più era lodato. In FILOSOFIA, la lettura di qualche TESTO LATINO DI LOGICA E DI METAFISICA, che poscia si mandava alla memoria senza bene intenderlo; qualche libamento di fisica; le quattro operazioni fondamentali dell'aritmetica ed una occhiata al calcolo delle frazioni; le prime proposizioni d'Euclide; a ciò tutto riducevasi allora il tirocinio filosofico'». qualche cosa. Il Venanzio abbracciò coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. V. abbraccia coll'acutezza dell'ingegno e con solerte diligenza la filosofia e la giurisprudenza: nella quale fu addottorato; e fra la gravità degli studii continui, che lo fecero prematuramente vecchio, fra le publiche cure e l'esemplare affetto alla sua famiglia può dirsi ch'egli abbia spesa la lunga vita. E fu la sua veramente vita non vaga di brighe, né di mondano romore, ma quale si conviene a chiunque ami sinceramente gli studii e voglia rendersi non talso sacerdote del bello. La natura lo aveva arricchito di tutte le doti che sono richieste al filosofo e al letterato. Forza e acume d'intellet-to, tenace memoria, pronta e fervida fantasia; animo capace di sentir alto e soave. Tentata, non intelicemente, la lirica e la drammatica, non tardò a comprendere il grandissimo bisogno che di buoni prosatori, più che di poeti, aveva l'Italia. E a conseguire il nobilissimo fine stimò necessarii gli studii estetici; ai quali si siede con largo apparecchio di filosofia e filologia, apprendendo altresì con volere fermissimo il greco. Onde compose e pubblica quell'opera, che dall'amore del bello non saprei perché intitolasse Callofilia me-glio, che Filocalia. Della quale meritamente egli colse a que' giorni bellissima fama, come di lavoro d'alta natura e di sottili investiga-zioni, chiaramente e ordinatamente esposte e di certa eleganza e amenità di stile vestite.  Divide la materia in tre libri. Parla nel primo del bello naturale; e definito essere la bellezza non una verità, ma un sentimento, dimostra che in tutte le età, in tutte le condizio-ni, in tutte le sue principali tendenze l'uomo è dominato dalla forza del principio estetico, e prova sempre il bisogno di porre in movimento le proprie facoltà vitali. Famiglia, patria, religione, aspetti naturali, avvenimenti storici d'ogni maniera, tutto agita, tutto commuove, tutto modifica la sua vita. La storia de popo-li, tanto somigliante alla vita degl'individui, (poiché questi fanno per giorni ciò che quelli per secoli) ne fa certi che la brama di senti-re, di pensare, è in tutte le nazioni operosa e assidua. Ondeché, ristrignendo le osservazioni al bello e alle facoltà sensitive, pone l'autore che il bello naturale consiste nell'at-titudine che hanno gli oggetti componenti la universale natura di esercitare proporzionatamente le facoltà sensitive dell'uomo. Svolge ampiamente e sottilmente le conseguenze che se ne traggono; e, detto della differenza tra il vero, il bello e il buono, dimostra come l'accoppiamento del vario coll'uno sia il necessario generatore della bellezza. E poiché primo bisogno dell'anima nostra è, che sieno le facoltà convenientemente esercitate, ed è proprio ed essenziale uffizio della bellezza il soddisfare a questo bisogno, per quanto spetta alle facoltà sensitive, il Venanzio stabilisce i principii, secondo che si può conoscere quali tra le passioni abbiano veracemente in sé il pregio della morale bellezza, e in qual grado e per quali motivi. Di che si fa manifesto che la morale bellezza, la quale è l'esemplare della vita e la regola de' costumi, non è un ente speculativo dipendente dai pensamenti e dai capricci degli uomini, talora dagli errori oscurato, spesso alterato e contraffatto da' bisogni, dalle vicende, da ogni maniera di malvagità; ma un ente che per le sue ispirazioni può dirsi reale ed effettivo, reggentesi sul fondamento posto dalla natura e dettante le leggi sue con una voce, ch'è una in tutti. Per la qual cosa, essendo la bellezza morale riproduzione della naturale, ne segue che le stesse norme e condizioni attribuite all'una sieno da attribuire anche all'altra; onde primieramen-te e solamente la vista e l'udito sono organi della morale bellezza; della cui molteplice e ordinata varietà d'aspetti egregiamente discorre V., e ne addita la scala, che una serie di gradi progressivi d'efficacia e di forza compone. E così procedendo a faticosa e ingegnosa analisi pon fine al secondo libro.  Materia al terzo è il bello artificiale; obietto precipuo dell'opera. Quando in un uomo perfettamente costituito la bellezza genera le sue impressioni, havvi un punto, in cui la sensazione si trasforma in imagine; e per l'ettetto simultaneo della della imagine sorgono nell'anima gl'impul-si creatori e le determinazioni della volontà.  Ivi è l'origine della poesia, ch'è nel suo più ampio concetto la commozione dell'animo eccitato dalla bellezza a operare. Tutte le opere dell'uomo, nate dalle ispirazioni della bellezza, costituiscono vera e schietta poesia; ma come non tutte le azioni della vita hanno in sé l'impronta della bellezza, così alcune sono di lor natura poetiche, e altre non sono.  Senza che, varie son le maniere di presentare le inspirazioni del bello; o cercando nelle forze fisiche e morali, commosse a splendidi impeti, la via di palesare con fatti la propria commozione; o, in luogo di fatti, figurando un sentimento vero con mezzi che non son veri. Di qua l'origine della imitazione; la quale viene l'autore mirabilmente considerando in tutte le possibili relazioni e in tutte le varietà de fenomeni ch'ella presenta; né meno maestrevolmente esamina quella parte della poesia, che nella imitazione è riposta, distinguendo in essa il concetto, la composizione e la esecuzione. Molto poi sottilmente ragiona del bello ideale, che tanto e lungamente diede a pensare e discutere. E vinti tutti i sofismi, egli ammette l'esistenza di questo bello idea-le, che molti pur negano, e n'espone gli ufficii e ne dimostra i caratteri con assai giuste ragioni ed esempii autorevoli. Né con minore importanza tralascia di parlare della esecuzione, punto in cui nascono e si partono le arti imitative, onde l'ingegno rende manifesti e sensibili i suoi proprii concepimenti. E, o imiti l'artista il bello naturale per mezzo delle arti del disegno, o il bello morale per quelle dell'armonia, si troveranno spesso amendue queste parti rannodate fra loro dall'espressio-ne; santissimo vincolo della bellezza naturale colla bellezza morale. Appartiene finalmente all'estetica e alla retorica, non meno che alle pratiche istituzioni additar l'uso de' mezzi materiali, particolari a ciascun'arte; e insegnare le forme, le figure, i modi acconci ad efficacemente e nobilmente rappresentare il concetto. In fine conchiude, non essere il bello argomento di diletto e di piacevoli in-vestigazioni, ma motore principalissimo della natura morale, dalla quale e impulso e norma e qualità e misura ricevono le passioni; doversi e per importanza e per dignità agguagliare alla logica; perocché l'una mira a bene indirizzare la mente; l'altra educa il cuore; questa segue il lume della verità: quella, della bellez-za; potere insomma e l'etica e la metafisica e il diritto in generale e l'economia trarre grandissima utilità dall'amore della bellezza.Carrer. Pietose esequie per lui si celebrarono nella Basilica di S. Marco, e il dolore apparve su tutti i volti, qual era in tutti i cuori, solenne e profondo; ed il municipio di Venezia gli decreta sepoltura propria ed iscrizione monumentale nel comunale cimiterio. Così quella feconda vita innanzi tempo si spense e la gloria dell'estinto ormai più non dura che nella memoria delle sue virtù e nella splendida bellezza delle sue opere. Sventura acerbissima! che priva la patria di un cospicuo decoro e tolse alla italiana filosofia di cogliere il pieno frutto dei nobili studj di un tanto filosofo, ed a questo di godere più a lungo, dopo i sofferti infortunj, il meritato riposo e e ben conseguite ricompense. -- Dal Comentario della vita e delle opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier, Firenze). Sulla eccellenza dei prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle rarie vicende della italiana filosofia volga la mente, scorgerà dì leggieri, che ogni epoca di essa è renduta dalle altre singolare da pregi non solo segnalati in se stessi, ma eziandio ai progressi della letteratura medesima in partìcolar modo accomodati; cosicché, mentre le altre nazioni la maggior loro gloria in un solo secolo ripongono, la nostra può a giusto diritto di molti egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di patria, zelo di libertà e quel senso squisito del bello che alla prima aurora della civiltà corse a risvegliare gli animi per lungo sonno inoperosi, mossero i nostri padri del trecento a fondare la lingua e la letteratura italiana; e tanta fu la fiamma allora accesa nei petti sdegnosi dell'antica barbarie, che sursero ad un tratto quei miracoli di sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e Boccaccio; ai quali tenne dietro la onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca, dei Passavanti, dei Compagni, e di parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui scritture la purissima vena discorre dell'italiano favellare.  E nella eccelsa carriera, dappertutto, ed alla testa di tutti si mostra GALILEI; spirito che più che a decoro della sua patria e del suo secolo parve nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli pensò e previdde come Bacone, ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che quegli aveva soltanto additato; dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate in dubbio non sostituì come quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e scoprì come Newton; ma la progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il vanto di dare il suo nome al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran parte approntato i materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le leggi della caduta dei gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse, e dopo aver per così dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla pupilla armata del telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato speculò arditamente nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del sole ed il nostro mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide di nuove stelle risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via moveva deserto fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a seconda dei tempi e delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si mostrasse: felice! chè le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse di divino, le sole sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il solo da cui e precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo con ogni cura intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non feriamone l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile acconcio e severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità distintive delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua italiana giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide pompe e le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo acquistare. A niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio animo manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute de' suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge, pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce, esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare.  Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola, Treviso. Girolamo Venanzio Venanzio. Keywords: filocallia, callofilo, il bello, l’estetica. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Venanzio.

 

Luigi Speranza: Grice e Vera: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’idealismo italiano – la scuola d’Amelia – filosofia umbra -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Amelia). Filosofo umbro. Filosofo italiano. Amelia, Terni, Umbria. Essential Italian philosopher. Senatore del Regno d'Italia. Filosofo italiano. Grice: “One of my own favourite unpublications is “Absolutes,” which took its inspiration from a little tract by Vera which was especially influential on Flaubert, “Il problema dell’assoluto.” Strawson remarked: “it was a boojum, you see!” Senatore del Regno d'Italia. Compe i suoi studi alla Sapienza di Roma, terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostra subito un immenso talento per l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di esposizione e genuino spirito filosofico, reggendo svariate cattedre in città importanti della Francia e della Svizzera. Il colpo di stato di Napoleone III lo costrinse a rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse. Qui intraprese la stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel. Torna in Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore della filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'accademia di Milano, e poi, su invito di SANCTIS (vedi), a Napoli. Continua a intrattenere scambi fecondi con la Società filosofica di Berlino e con gl’ambienti hegeliani tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'accademia dei lincei.  E suo fedelissimo allievo MARIANO.  E durante i suoi studi con Cousin a Parigi che V. arriva a conoscere la filosofia, risentendo fortemente dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore indiscusso. Si deve infatti a V. il risveglio in Italia dell'interesse per la filosofia idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette di maggior fortuna all'estero, mentre ha un influsso molto minore in patria rispetto a quello esercitato ad esempio dai lavori di SPAVENTA. A differenza di SPAVENTA, infatti, che reinterpreta la filosofia di Hegel in chiave critica, V. si mantenne sostanzialmente fedele al dettato ortodosso della dottrina.  Nei suoi saggi, che esaltano la capacità di Hegel nel collegare ogni aspetto della realtà in un sistema organico, prevale l'attenzione per il problema religioso. V. interpreta l'idea logica hegeliana in senso trascendente, come il concetto del divino venendo per questo accostato in certa misura alla destra hegeliana in Germania, sebbene una tale lettura possa apparire una forzatura.  Centrale è il primato dell'idea, che si articola nella storia come organismo spirituale, e per attingere la quale occorre trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche nelle piante e neg’animali, ma in maniera incosciente, e nel’imperatore di Prussia in maniera consciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa giunge a pensarsi come idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile anche il progresso delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera, la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto è il motore della nazione italiana e dell'umanità, ovvero il principio determinante della storia” -- “Introduzione alla filosofia della storia” (Monnier, Firenze). La sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” influenza Flaubert nella stesura di Bouvard e Pécuchet.  In Italia invece è stato determinante per aver stimolato, insieme a SPAVENTA, la nascita dell'idealismo con CROCE e GENTILE. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema dell'assoluto.” Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour con Libera Chiesa in libero Stato, in cui attribuie il ritardo del processo di rinnovamento liberale in Italia alla mancanza, durante il suo rinascimento, di una riforma luterana come quella d'oltralpe. Tesi in latino: “Platonis, Aristotelis et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica”. Saggi: “Amore e filosofia: orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'accademia (Milano); “La pena di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia e alla filosofia della storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale” (Napoli); “La filosofia della storia” (Firenze); “Cavour e libera Chiesa in libero Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e l'immortalità dell'anima” (Napoli); “Saggi filosofici” (Napoli). Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nastrino per uniforme ordinaria. Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. V., su treccani. La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L. Manuelli. Sträter osserva in proposito che V. sembra la degna riproduzione italo-francese di quel tipo a cui in Germania usiamo dare il nome di hegeliani o anche di ortodossi di stretta osservanz -- cit. in Tortora, Le filosofie italiane,  de "Le filosofie contemporanee", Università degli Studi Federico II di Napoli. La rinascita hegeliana a Napoli, su eleaml. altervista.o.  Lezioni di V., raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano, Monnier, Firenze, Revue Flaubert, L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale, su rito simbolico. Cotroneo, Filosofia e storiografia, Rubbettino, Mariano, Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze, Monnier). Gentile, V. e l'ortodossismo hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia,  Messina, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, PLEBE, Spaventa e V., Torino, Edizioni di Filosofia, Oldrini, “Gli hegeliani di Napoli. V. e la corrente ortodossa” (Milano, Feltrinelli); Cricelli, V. e la filosofia hegeliana, Il Testo. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  V., Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. V., Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Vita e opere di V., su malerba. Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di V. raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Mariano (Firenze Monnier).  Gatti, per far meglio conoscere ai lettori della sua Rivista napoletana Augusto V., il pensatore illustre che insegnava già da due anni nell'Università di Napoli, ma non pare godesse la riputa-zione e la simpatia di altri professori aderenti alla stessa scuola filosofica e assai men noti fuori d'Italia, pubblicava due inediti frammenti di filosofia hegeliana del  V.: e si accingeva quindi a voltare in italiano e a divulgare in elegante o puscolo una discussione dell'empirismo inglese, dall'autore già pubblicata a Londra nel 1856 %.  Gli pareva che le questioni toccatevi fossero cosi fondamentali e riguardassero cosi da vicino l'essenza stessa del sapere filosofico da poter giovare all'Italia non meno che all'Inghilterra, aiutando gli studi nostri ad orientarsi verso un concetto esatto della filosofia come scienza dell'assoluto, da conseguire con un metodo adeguato al suo oggetto, ossia parimenti assoluto: che era la tesi propugnata dal V. dal punto di vista dello hegelismo, che è a come a dire l'ultima parola della scienza». Giac-ché la reazione sorta in Germania, in quegli anni, contro questa filosofia, era, agli occhi del nostro Gatti, fallita, non essendo riuscita ad opporre allo hegelismo e un altro sistema della medesima comprensione, il quale abbia potuto come quello impadronirsi di tutto il sapere e penetrarne tutte le parti». E intanto il Gatti vedeva che non c'era campo di studi che il pensiero hegeliano non avesse fecondato, « e le scienze naturali e le filologiche e le istoriche son tutte piene del suo spirito. Prova indu-bitata che quel sistema rappresenta la general maniera di pensare e le esigenze del pensiero contemporaneo e che ha le sue radici, come ogni altra filosofia le ha avute, nelle intime condizioni dello spirito stesso del secolo», Le proteste individuali erano state sopraffatte dall'energia del pensiero; e lo spirito della filosofia combattuta aveva, senza che essi lo sapessero, soggiogato i suoi stessi avver-sari, « riducendoli, quasi direi, a muoversi nella sua atmo-sfera, a respirarne l'aria, a guardare attraverso di essa le cose e i fatti e le loro relazioni e trasformazioni ».  Questa filosofia con sforzi perseveranti e con ricchezza non comune di sapere V. s'era studiato di diffondere, di renderla accessibile al maggior numero in Francia, «d' inocularla colle sue genuine fattezze in Italia » e d'ini-ziarvi anche l'Inghilterra. Di questa vasta filosofia il Gatti non conosceva « né più intero interprete, né più ardente propagatore, né più libero e insieme più fedel seguace; e ne tesseva l'elogio con evidente intenzione di contrapporlo a un altro interprete della stessa filosofia, che insegnava allora nella Università di Napoli accanto al V., e che molti pel rigore e la profondità del pensiero come pel libero atteggiamento verso l'autore del sistema propendevano a mettere al di sopra del V.. « Con una conoscenza profonda del sistema che ha accettato, con una persuasione intima che fuori di quello non sia salvezza per la filosofia, V. è lontano da quella pedan-teria che fa consistere la profondità o la sostanza di un sistema in certe astruserie di formole, le quali spesso perdono il significato passando di una lingua in un'altra.  Né meno è lontano da quella affettazione d' indipendenza per la quale i discepoli più pedissequi si credono talora ambiziosamente obbligati a cercare un punto in cui si possano mostrare in disaccordo col maestro». Dove par di udire l'eco di certi giudizi privati dello stesso V., che, come vedremo, fu di proposito e per forza il più ortodosso degli hegeliani. Non v'ha dubbio d'altronde che egli, in perfetto accordo col Gatti, fosse convinto che la sua perfetta ortodossia non stesse per nulla a scapito della sua originalità: « Francamente e compiutamente hegeliano ha invece tutta quell'aria di originalità che viene dall'intera padronanza di una dottrina divenuta propria x 1.  2. — Pure questo franco e compiuto hegeliano, questo geniale e originale espositore di Hegel in un paese cosi ben preparato a ricevere un insegnamento di filosofia hegeliana, come forse nessun altro in Europa, insegnò a Napoli per circa un quarto di secolo senza quasi lasciarvi traccia della sua opera. E il suo nome, se vivo ancora in Francia e altrove come quello del traduttore francese dell' Enciclopedia e di parte della Filosofia della religione di Hegel, è presso che dimenticato in Italia, dove Hegel ora si può leggere in traduzioni italiane migliori e s'è spenta la fievole eco de suoi scritti. Il discepolo, l'unico discepolo del V., fu Raffaele Mariano che, a furia di dilucidare in prolisse elucubrazioni quei profondi concetti che gli pareva d'aver imparato a intendere alla scuoladel suo maestro, fini col non raccapezzarne più nulla 1.  E anche lui non mancò mai di fare le proteste del Gatti intorno all'originalità del maestro, sciogliendole bensi nel suo stile lungo e nella sua più libera logica. La mente dell' Hegel, disse egli, una volta, tessendo l'elogio del  V., «appunto per la novità, e ancora più per la vastità sintetica ed organica, era apparsa pressoché impene-trabile. Non solo fuori della Germania, ma quivi stesso la forma astrusa ed inviluppata aveva fatto intoppo  agli stessi discepoli immediati di lui, i quali in molti, e forse nei punti più essenziali, non giunsero ad affer-rarla». Ma quel che non giunsero ad afferrare gli scolari immediati, l'afferrò, miracolosamente, V., che mai non vide l' Hegel; e con sapiente accorgimento poté comunicarlo a chiunque poi ne avesse voglia. * A renderla universalmente accessibile e intelligibile, era necessario spezzarne il rigido involucro formalistico, schiuderne e rivelarne lo spirito e le intime e recondite potenze. E tale è lo scopo a cui V. ha mirato». Egli non riprodusse, non ripeté le cose da colui insegnate; ma vi aggiunse la spontaneità ed originalità del proprio pensiero ». Come si possa aggiungere alle cose un'originalità e spontaneità di pensiero, lasciando le cose quelle cose che erano, il Mariano naturalmente non può dirci se non ripetendo, alla sua volta, la metafora del viluppo formalistico che V. spezzò, per assicurarci che « passando attraverso la mente di lui, l' Hegel esce rifatto, rinnovato, compiuto; non è più l'Hegel, che, nel primo intuire e manifestare i suoi nuovi e profondi concetti rimane incompreso e riesce in molta parte incomprensibile; ma è l' Hegel che, a dir così, s'è ripiegato sopra di sé, è ritornato suiconcetti suoi, e, pel ripetuto lavorio riflessivo e cogita-tivo, vi ha acquistato consapevolezza perspicua e piena ».  L'originalità non consiste « nell'avere e nel propalare una dottrina di nostro capo». La dottrina del V. è quella di Hegel: tal quale. Ma l'essenziale dell'originalità consiste, a giudizio del Mariano, nel contribuire a mantener viva, svolgendola ed allargandola, la tradizione filosofica (anzi «la continuità» di questa tradizione):  consiste nel concorrere « a spingere, a condurre il pensiero e la ragione ad una più intima, ad una più consapevole comprensione di sé e dell'universo». O che volete che V. inventasse? L'invenzione non è affar della filosofia (ciò che proverebbe troppo, perché bisognerebbe allora indurne o che Hegel non ha trovato nulla di nuovo, o che quel che ha trovato, non ha che fare con la filosofia).  « Più dell'escogitare e porre nuove questioni, vale a gran pezza il dare alle antiche questioni soluzioni soluzioni più adeguate, più determinate e concrete che penetrino più addentro nella natura di quelle»* In-  somma, V. fu più originale di Hegel!  3. - Ma se l'originalità è stata per solito messa in dubbio, la fedeltà, invece, agl' insegnamenti dell' Hegel, la schiettezza e rigorosità dell' hegelismo da lui professato sono state sempre riconosciute universalmente; e perfino hegeliani tedeschi come il Rosenkranz lo proclamarono tra i più autorevoli e felici interpreti della dottrinaOnde spesso nei paesi di lingua latina è accaduto che detti e modi del V. passassero per detti e modi di Hegel, e che i più trovassero comodo di cercare l'immagine del  filosofo tedesco nel suo traduttore e manipolatore italo-francese, fattosi l'apostolo ispirato e il privilegiato maestro del suo verbot. Hegel e V. furono per molti anni due nomi inseparabili. Lo stesso V., rinato nello spirito hegeliano, non serbò quasi più nessuna memoria della sua vita precedente e dovette finire col persuadersi di non essere mai stato altro che illuminato da quella su-periore luce, che fu per lui l'hegelismo. Non pare che il suo scolaro e intimo amico, che se ne fece biografo, cono-  scesse direttamente i primi scritti di lui; né si può spie-gare se non come un'eco di conversazioni dello stesso V. quel che racconta dell'esame pel dottorato sostenuto dal V. alla Sorbona: dove gia egli si  sarebbe  presentato, nel 1845, paladino dell'idealismo assoluto.  Fu questo il momento, racconta il Mariano, in cui gli screzi già latenti tra lui e il Cousin si fecero mani-festi. L'appoggio da costui prestatogli non era valso a far velo alla mente del V.. Le dottrine e un po' anche  il carattere, tutt'altro che schietto e sincero, dell'uomo gli avevano ispirato sin dal principio forte ripugnanza.  Ora che nella filosofia di Hegel s'era addentrato e ne aveva misurato davvero l'intimo e profondo valore,gli faceva sopra tutto nausea la guerra sleale da colui mossale, dopo averla sfruttata». Guerra che avrebbe fatto tremare un candidato meno del V. coraggiosamente risoluto a scendere in campo per le proprie idee.  Questi invece, irremovibile nelle sue convinzioni, deciso ad affermate a viso aperto, facendo tacere considerazioni e rispetti umani e mondani, quella che egli reputava la verità, non esitò un istante a presentare due tesi pel dottorato, il Problème de la certitude e il Pla-tonis, Aristotelis et Hegeli de medio termino doctrina, delle quali il Cousin non voleva affatto sentir parlare..  Fortuna che, se il Cousin fu fieramente avverso (argo-mentando, ci assicura il Mariano, contro quelle tesi a in modo poco degno, nonché per un filosofo, ma per un uomo serio*), tutti gli altri membri della commissione furono unanimi nel dire che « da un pezzo alla Sorbona non s'era avuto un esame si splendido»; e uno di essi, il Saint-Marc-Girardin, « discutendo sull'essere e non essere, fece una specie di professione di fede hegeliana i con grande sorpresa del Saisset che lo sapeva solito ad andare a messa tutte le domeniche. Ma il Mariano lascia credere che dopo quell'esame si sarebbe voltata in Francia pel V. la ruota della Fortuna, che vi aveva percorso piuttosto rapidamente la carriera dell'insegnamento.  Sicché il filosofo italiano avrebbe incominciato fin d'al-lora, a proprie spese, il suo apostolato, durato fin presso alla morte, incoltagli nella solitudine e nell'abbandono, a Napoli, in mezzo alla quasi indifferenza d'una nazione incapace d'apprezzare l'alto valore scientifico e morale della dottrina e dell'uomo che se n'era fatto campione.imparare da giovinetto l'inglese. Compiuti gli studi letterari nei seminari di Amelia, Spello, Todi, era passato a studiar leggi nella Università di Roma; ma non pare venisse a capo di nulla. E nell'inverno 1835 cedé agl' inviti d'un suo parente, archeologo e antiquario, che dimorava in Francia; e si recò a Parigi. Dove conobbe alcuni scrittori illustri; frequentò la Sorbona; e il 1837 poté ottenere il posto d'insegnante di latino e letteratura francese nell'Istituto di Hofwyl, presso Berna, diretto dal Fellenberg, discepolo del Pestalozzi. Vi rimase un anno, e vi studio il tedesco e la filosofia germanica, specialmente Kant; ma alla fine di quell'anno gli convenne dimettersi a causa delle sue opinioni religiose non cosi rigidamente cristiane come le avrebbe volute il direttore dell'Istituto, quantunque V. allora riconoscesse la divinità di Cristo. Passò in un altro istituto, a Champel, vicino a Ginevra 1; e vi comincio a insegnareanche filosofia. A Champel un suo collega hegeliano l'introdusse nella conoscenza della filosofia di Hegel.  Ma nel 1839 era tornato a Parigi, dove il Cousin cono-sciutolo e avuto con lui un colloquio intorno alle condizioni degli studi filosofici, gli avrebbe chiesto: Voules-vous vous enrôler sous ma bannière? E di li a pochi giorni gli avrebbe recato a casa egli stesso il diploma (Io settembre 1839) di professore di filosofia nel collegio comunale di Mont-de-Marsan, L'anno dopo il Cousin, ministro dell'istruzione, lo promoveva a Tolone. Donde V., che intanto s'era fornito dei necessari gradi accademici, era nel 43 trasferito a Lilla. Di qui nel novembre 1845 a Limoges: dove rimase fin al 48, quando per un anno suppli il Franck in un liceo di Parigi. Da Limoges nell'aprile 49 passò a Rouen, e quindi nel settembre 1850 a Strasburgo. Che fu l'ultima tappa del suo insegnamento in Francia. Dopo il colpo di Stato, non si sa perché, lasciò questa sua seconda patria; e si recò in Inghilterra. Dove sperò da principio di ottenere una cattedra filosofica nell'Università di Londra; ma dovette contentarsi di vivere de' magri proventi di conferenze private e lavori letterari. Torno in Italia, e Mamiani lo nomina alla cattedra di Storia della filosofia nell'Accademia scientifico-letteraria di Milano; donde il ministro  Sanctis lo tramuta, insieme con Spaventa, a Napoli. E qui rimase tutto il resto della vita. Quandera a Tolone nel maggio 1843, secondo il Mariano, egli avrebbe pubblicato nella Revue du Lyon-  nais «il suo primo scritto filosofico»: Philosophie alle-mande: Doctrine de Hégel, che dovette essere un breve articolo informativo. " Rapido schizzo», e' informa lo stesso Mariano, « della filosofia germanica da Kant ad  Hegel »: e continua:  Certo, come primo scritto, si risente dell' insufficienza degli studi. Il pensiero non vi è per anco profondo né appieno sicuro e maturo: pure, er ungue leonem: ci è uno sguardo a dir cosi fatidico sulla seconda maniera della filosofia di Schelling, che allora insegnava a Berlino. Quel che essa propriamente fosse, V. non mostra saperlo in modo chiaro e preciso; e, nondimeno, in una nota osserva che non potrebbe aggiungere nulla di nuovo al pensiero filosofico tedesco, il quale con Hegel aveva toccato al più alto punto di svolgimento, e che con le sue nuove speculazioni lo Schelling.  lungi di accrescersi gloria, se la sarebbe  diminuita 1  Checché ne sia di questo scritto (che io non ho potuto vedere), a leggere il giudizio che del sistema di Hegel V. faceva anche due anni dopo, si stenta a credere che questo sistema potesse nel '43 esser detto da lui il più alto punto di svolgimento della speculazione germa-nica. Certo, non fu quello il primo scritto di carattere filosofico pubblicato dal V.. Nel Museo scientifico, letterario ed artistico, che si pubblicava a Torino sotto la direzione del poeta estemporaneo Luigi Cicconi (che V. conobbe in Francia e fu da lui presentato a Mme Louise Colet, presso la quale ebbe frequente occasione d'incontrarsi col Cousin) 3, egli aveva già inserito il 16 febbraio 1839 un articolo sulla Filosofia della storiadel Ballanche, annunziando il proposito di « scrivere alcun cenno sui più famosi sistemi che governano il movimento delle idee de tempi nostri, in Francia e in Ale-magna, al fine di « spargere in Italia alcun soffio della vita intellettuale che si vive», egli diceva, al di qua de' monti». Egli avrebbe fatto soltanto la parte dell'espo-sitore, lasciando al lettore quella del critico e riserbandosi intatta la propria opinione. Ma non cela le sue idee a tal punto da non lasciare scorgere che il Ballanche, che fu uno dei primi scrittori francesi che egli personalmente conobbe e coi quali strinse relazioni amichevoli, un forte influsso aveva esercitato sulla sua mente giovanile, Per spiegare infatti il vivo interesse cosi largamente diffuso nel periodo della restaurazione per gli studi di filosofia della storia, V. rappresenta coi colori proprii dei tradizionalisti cattolici del tempo il senso di sgomento onde fu presa la società in seguito all'opera demolitrice delle dottrine del sec. XVIII. Le quali avevano distrutto, anche secondo il giovane scrittore umbro, « l'edificio sociale, senza poterlo ristorare. e abbandonata  «l'umanità come perduta in una vasta solitudine senza religione, senza costumi, senza leggi ».  Il turbine della rivoluzione, dopo aver solcato il suolo di Francia e dell'Europa, dopo aver scosso e scompaginato i troni e gli altari, e offerto dappertutto olocausti di sangue umano colpevole e innocente, andava a spegnersi sulle spiaggie lontane e deserte dell'Africa. La ragione gemette allora sui suoi travia-menti, gittò uno sguardo pieno d'ansia e di dolore sul passato e sul terribile avvenire, e non vide ovunque che ruite, nazioniin aspro travaglio, credenze affievolite o spente, l'uomo avvolto nel fango del senso, dimentico di sé, di Dio e dell'alto fine a cui è creato. Ma in mezzo a questo trambusto d'opinioni.... vi furono degli uomini generosi e santi, che custodirono puro ed intatto il sacro deposito della verità e della scienza, e lo condussero a salvamento a traverso gli incendi e le ruine, e lo mostrarono qual segno di salute all' Europa attonita e sfiduciata. Si nobile officio adempirono l'illustre autore del Genio del Cristianesimo, il conte De Maistre, De Bonald e Ballanche.  Dopo la Rivoluzione, la società dovette pensare al proprio avvenire per rialzare quanto era stato demolito; e per questo bisogno sarebbe sorta questa profonda riflessione di tanti pensatori sull'andamento delle cose umane e sulle leggi che governano il corso della storia.  *Noi rigettiamo a tutta possa le dottrine del XVIII se-colo, e gli effetti che ne sono derivati. Saremmo però ingiusti e irragionevoli se ricusassimo loro il beneficio di aver risvegliato una novella energia nella società ». Anche nel 1839 dunque dopo la prima conoscenza dell' hege-lismo fatta già in Svizzera, egli era dominato dallo spirito tradizionalista e aspirava anche lui alla ristaurazione nella religione; e se inneggiava alla novella energia della ragione risvegliatasi in Francia e in Germania, (e doveva ignorare quel che intanto, più profondamente, aveva fatto in Italia il Rosmini, e già s'apprestava a fare con maggior forza il Gioberti), questa energia non gli appariva ancora nella forma più possente dell'idealismo assoluto; quantunque gli studi che in quel torno continuava sugli scrittori tedeschi gli facessero intravvedere di là dal Reno una gran luce nuova.  Caratteristico, sotto questo riguardo, l'esordio di un articolo su Koerner pubblicato nello stesso giornale, nell'aprile dell'anno dopo. In esso, ricordata la Germania di Tacito, scritta con la speranza che al paragone i concittadini avrebbero provato onta della propria degradazione e si sarebbero indotti a ristorare le vecchie e cadenti istituzioni della patria, protestava:Io non ho né la forte penna, né l'autorità dell'austero patrizio di Roma, ma ho ugual affetto pel mio paese, ugual sentimento della grandezza e dignità dell'uomo, e mi stimerei ben fortunato se questi scritti invogliassero i miei concittadini a comprendere e studiar il movimento della scienza e letteratura tedesca.  Allorché Tacito scrivea, era ben lungi dal prevedere ciò che segui.  Il settentrione fece irruzione sul mezzodi, e il giovin sangue germano scese a rinvigorire le razze vecchie e spossate degl' itali.  Ora l'umanità è più ricca d'esperienza e di previsione; e chi può e sa esaminare lo stato della società e della scienza, vede chiaramente che avvenimenti analoghi si preparano; ma ora i popoli non si rinnovellano per dir cosi fisicamente, per mezzo d'emigrazione e di grandi catastrofi, ma spiritualmente. per virtù e commercio delle idee e della scienza. E questa si e una delle più grandi, e forse la più gran differenza tra il vecchio e il nuovo mondo.  Idea non mantenuta poi interamente, dopo che ebbe meglio conosciuto Hegel; ma che già era attinta a quella stessa corrente del romanticismo tedesco, da cui era sorto il pensiero hegeliano, e che, meglio determinata più tardi in conformità delle opinioni espresse da Hegel, segnatamente nella Filosofia della storia, resterà uno degli articoli più saldi del credo di V..  Gli articoli, che tra il 40 e il '45 dovette venite scrivendo in vari giornali, da lui stesso poi dimenticati (o rifiutati), ci aiuterebbero forse a illuminare questo periodo di formazione della sua mente, e a determinare quindi meglio il carattere del suo posteriore sviluppo.  Ma siamo costretti a saltare alla tesi francese e alla tesi latina del 45, che lo stesso V. citò sempre nelle sue opere degli anni più tardi come contenenti dottrine hege-liane; e invece serbano alla nostra curiosità la inaspet-tata scoperta di un V. (del più vecchio V., non destinato presumibilmente a sparire del tutto nel nuovo !) antihegeliano.  V. antihegeliano! Si direbbe una contradictio in adiecto. Eppure in questi due scritti V. non solo combatte Hegel, dandogli battaglia sul terreno stesso della sua logica, e come nella piazza forte della sua dot-trina; ma si inspira a tutta una concezione recisamente avversa allo spirito hegeliano.  Ci sia permesso di studiare con qualche cura questo  V. antihegeliano, nella speranza che la conoscenza di esso ci giovi ad intendere meglio V. di dopo, e fors'anco a darci la soluzione di quel problema storico, in cui ci siamo di sopra incontrati: di un cosi poderoso hegeliano, che per molti anni insegnò e scrisse liberamente con l'autorità di un ufficio universalmente tenuto in grande estimazione e reverenza, e in un paese già pregno di spirito hegeliano, senza lasciar quasi  nessuna  traccia dell'opera propria.  Sedici pagine della tesi francese 1 contengono una rapida esposizione e una critica dei principii fondamentali della logica hegeliana; ma delle sedici, l'esposizione ne ha sole quattro. Dove si dice che, secondo Hegel, l'essere e la conoscenza, l'esistenza e la verità fanno uno: sono due forme d'una stessa unità, percorrono gli stessi gradi, si sviluppano e finiscono simultaneamente. L'essenza delle cose è la ragione, e la ragione è il pensiero puro, perché il pensiero non ha altro oggetto che se stesso, cioè la nozione o l'idea. Porre con un processo d'analisi ciò che è essenzialmente contenuto nell'idea, sviluppare  L'idea sotto tutte le sue forme, seguirla e, per cosi dire,ritrovarla ne' diversi gradi dell'esistenza, questo il compito della filosofia. Ed ecco spuntare un' interpretazione dello hegelismo, che si può certamente difendere sotto il riguardo storico, ma che può anche condurre a una radicale falsificazione del significato storico di questa filosofia. Giacché altro è dire che l'essere e la conoscenza, il reale e l'idea sono uno, altro che siano due forme, due facce di un'unità, tra loro perfettamente parallele.  Nel primo caso siamo sulla via dell'idealismo assoluto; e nel secondo siamo nello spinozismo e potremmo finire addirittura nel platonismo accentuando, come fa V., l'organismo dell'idea come unico oggetto della filosofia.  L'idea, secondo V., è da prima, nel suo stato astratto e assoluto, separata da ogni esistenza concreta e da ogni oggetto. Come tale si sviluppa in una serie di termini, il cui insieme costituisce la logica. Questo sviluppo ha luogo in virtù d'un movimento proprio e interno alla stessa Idea, prodotto dalla dialettica dell'Idea, ossia da una necessità inerente a questa, per cui l'Idea si nega e passa nel suo contrario, e annulla quindi l'opposizione in un terzo termine che ci dà l'unità e la conciliazione dei due primi. Con questo processo l'Idea attraversa tutte le forme logiche fino all'ultima, che è l'Idea asso-luta: con la quale si compie la logica che è «l' Idea allo stato astratto», ossia: una realtà, una forza infinita, ma una realtà, una forza che ignora se stessa ». Essa deve realizzare l'idea della sua infinità, deve acquistare la coscienza di sé: deve, per dir cosi, manifestarsi a se medesima, ponendo un oggetto alla propria attività ..  Evidentemente, qui V. concepisce il passaggio dall'Idea alla Natura, o dall'astratto, com'egli dice, all'esi-  stenza, come un'aggiunta anzi che  come uno sviluppo.  L'oggetto che l'Idea si dà nella natura, non par che ei lo concepisca come la stessa Idea. E vero, che chiarendo poi l'antinomia di Logica e Natura, dice: «l'Idée, DEVENUE NATURE, se sépare en quelque sorte d'elle même»; ma, poco dopo, definisce lo Spirito (il tetzo termine in cui concilia Logica e Natura) «un idéal où l'Idée a acquis la conscience d'elle même, où, APRÈS AVOIR, pour ainsi dire, FAÇONNÉ SON OBJET el s'être retrouvée en lui, elle rentre dans son absolue antén.  Ma, e questo è più notevole, pel V., lo Spirito, come mediatore dell'Idea logica e della Natura, non è, logi-camente, dopo la Natura; bensi nella stessa Natura, quantunque non vi si possa realizzare. V' è dentro, ed esso (come finalità) la muove da dentro. Onde la triade vien capovolta. Non è la dialettica dell'Idea che crea il mondo. La dialettica dell'Idea hegeliana, al pari della pigra dialettica delle idee platoniche, non genera nulla, non vive, non si muove. « L'Idée ne devient pas, à pro-prement parler; car elle est éternelle et infinie.. E lo Spirito farebbe proprio le parti del demiurgo del Timeo. * Son oeurre consiste à faire descendre l'Idée dans la Nature, et puis à vamener la Nature à l'Idée par un acte pur et simple de la pensée». E cosi col divenire dello Spirito l'Idea spiegherebbe tutta la ricchezza delle sue forme, penetrando nella Natura ed entrando in possesso della sua esistenza assoluta. Per se stessa, adunque, la Logica potrebbe restare un arsenale di armi arrugginite.  Ma non è meraviglia se qui V. non penetrasse nell'intimo del sistema hegeliano, poiché protestava che esso «donne lieu à des graves objections», pur giudicandolo una delle più vaste e profonde concezioni della filosofia moderna. I due elementi, egli notava, di questo sistema, sono 1' Idea e il movimento dialettico, Gravi difficoltà s'affollano intorno ad entrambi. L'Idea è da principio essere puro, che trova la sua negazione nel puro niente, e la conciliazione con questo nel divenire. Ma, dice il futuro hegeliano: è proprio vero che l'essere puro contiene il niente? «L'essere puro, dice Hegel, richiama [appelle)il niente, perché non c'è in esso nessun segno, nessun carattere, e niente si può pensare né affermare di esso ».  Questa spiegazione dell'identità essere - niente più tardi apparirà anche a lui ineccepibile: qui invece non riesce a rendersene conto. L'essere, egli dice, o è, o non è. Se non è, allora tanto vale cominciare dal niente, quanto dall'essere. Se è, ci sarà soltanto l'essere, e non si vedrà il suo contrario.  Così, in due parole, la prima proposizione della Logica è bella e spacciata. Non monta che Hegel inviti a considerare che proprio lo stesso concetto dell'essere che è, puramente e semplicemente, s' identifica col non-essere, da se medesimo (e che insomma richiami l'attenzione sulla impossibilità di tener separati i due concetti di essere e non-essere). V. non sa vedere altro essere che l'essere di Parmenide (l'idea stessa platonica): e però sentenzia che «l'idea del niente è qui aggiunta all'essere da un pensiero finito, anzi che esser dedotta dall'analisi pura dell'idea stessa dell'essere». E così anche V., almeno qui, resta tra le corna di quello stesso dilemma, in cui si impiglio, come vedemmo, il Passerini *. E come era da prevedere, non riesce quindi a capacitarsi del terzo termine della triade: il divenire. Questo termine non si può, egli dice, dedurre legittimamente dai primi due.  Infatti, se di fronte all'essere puro c'è il puro niente, il niente annullerà l'essere, e non ci sarà punto divenire. Inoltre: di ciò che diviene si può dire che i o che non è, ma non che è e non è a un tempo; perché, se ciò che diviene è realmente a un dato momento del suo divenire, non si potrà dire di esso se non che  ¿, e il niente sarà avanti o dopo di esso. Che se al contrario si concepisce ciò che diviene come tale che in ogni momento del suo divenire non sia, tutto quello che se ne potrà dire, è che non i, e non che diviene. Ancora: da quale dei due termini il divenire è dedotto? O dall'essere o dal niente divisi, o dall'esseree dal niente congiunti. Ma non può esser dedotto dal niente, perché il niente, non essendo, non può divenire. Né dall'essere, perché l'essere è, e non diviene. Né dall'essere e dal niente presi insieme, perché, quel che non possono separati, non potranno neppure congiunti. E del resto, chi li congiunge? il divenire ? ma allora il divenire non sarà dedotto dalla loro combinazione.  Ovvero sono riuniti prima di divenire? ma allora non si vede più quale sia l'ufficio [le vôle] del divenire.  Sofismi dello stesso genere di quelli di Zenone, di Gor-gia, dei Megarici; e che avevano un grandissimo valore quando la logica era la logica degli Eleati, dell'essere che non può essere altro che essere: la logica che con Platone e Aristotele si fisso e s' irrigidi come logica dell'idea astratta; ma che dopo Hegel giova conoscere soltanto come documento dell'educazione mentale del V. trentaduenne, indugiantesi tuttavia agli antipodi della nuova concezione dialettica hegeliana.  Procedendo, l'oscurità si addensa, com'è ovvio, al passaggio dalla Idea logica alla Natura. « Questo passaggio non è spiegato». Si dice che l'Idea nella natura si dà l'oggetto, per conoscersi poi nello spirito. Dunque, nella logica non si conosce. E come da questa idea senza oggetto e ignara di sé può ricavarsi la realtà e la cono-scenza? E se non ha un oggetto in cui conoscersi, come va che la meta di tutto lo sviluppo è la conoscenza appunto dell'Idea nella sua pura idealità logica? - Voi volete dedurre da questa Idea logica la natura e lo spirito.  Ma, quantunque sia difficile vedere come si possa, con una deduzione pura  l'intervento dell'esperienza,  cavare  l'idea della natura dall'idea logica, ad ogni modo non si potrà tirare altro da un essere logico che un essete egualmente logico: e cosi non si avrà più una natura reale, ma una natura ideale:  non si avrà esseri organizzati, qualità e una materia concrete, ma esseri organizzati, qualità e una materia astratte. E in fine sarà sempre l'Idea logica. Solamente,  I'Idea-natura espri-  merá altra cosa dell'Idea-logica, ma, in quanto Idea,non ci sarà tra loro nessuna differenza. E lo stesso si dica dello spirito, Giacché, con una simile deduzione, si avrà uno spirito ideale e non uno spirito reale e personale.  Obbiezioni, senza dubbio, tutt'altro che lievi, ma che provano appunto che egli aveva inteso la dottrina di Hegel come una nuova edizione non corretta, in verità, né riveduta della platonica: l'Idea fuori del mondo, e non come lo stesso principio interno e assoluto del mondo. La Idea hegeliana, non essendo natura né spi-rito, è astratta, pel V., e cioè non reale. E invece per Hegel è la stessa realtà. Onde lo sforzo maggiore che egli dovrà fare per entrare nell' hegelismo, e quasi la breccia che gli dovrà aprire il varco per introdursi in questa filosofia, consisterà proprio in questo punto: d'intendere l'idea come realtà, e fin da principio l'es-sere, non come l'idea dell'essere, ma l'essere dell'Idea.  Quanto allo Spirito, ci sono altre gravi ripu-gnanze, O l'Idea, egli dice, pensa fin da principio, nello stato d'Idea logica, o pensa quando diviene Spirito.  Ma nel primo caso l'edifizio hegeliano crolla; ed Hegel infatti esclude questa alternativa. Per pensare, adunque, deve farsi Spirito. E allora o la facoltà di pensare c'era nell'Idea fin da principio, o le si viene ad aggiungere quando si trasforma in Spirito, Ma, se l'Idea come tale avesse già la facoltà di pensare, non potrebbe non pensarsi, almeno come Idea. Se questo pensiero le si aggiunge, allora il pensiero sarà altra cosa dall'Idea, e dovrà avere un'altra origine. E poiché il pensiero, non derivando dall' Idea, conterrebbe in sé l'Idea e la rea-lizzerebbe, sarebbe un principio superiore all'Idea, la quale non si potrebbe più dire essenza di tutte le cose. - Obbiezione anche questa assai grave, ma fondata sulla falsa concezione dell'Idea hegeliana come contenuto-oggetto di pensiero, e non, qual'è, forma assoluta e cioèassoluto soggetto,  sich wissende Wahrheit, come dice  Hegel: onde, se si distingue uno Spirito da un Logo, anche questo, per Hegel, è pensiero.  Se si nega, insiste V., la successione di Idea, Natura e Spirito, facendone tre termini inseparabili e simultanei di un'unità, che è la pienezza dell'esistenza e la vita del mondo, viene a mancare il movimento: tutto è, e nulla diviene. Il divenire nel sistema hegeliano non è nell'Idea in sé. « Si elle devient, c'est-à-dire si elle se ma-nifeste, c'est par l'action successive de l'esprit qui la pense».  Bisogna dunque ammettere una successività, che importa nello spirito qualche cosa che non è nell'Idea: bisogna concepire questo Spirito non come l'idea dello Spirito, bensi come pensiero di un soggetto uno e indivisibile, che genera le idee e comunica loro attività e vita.  Cosi a questa unità dell'essere e del conoscere, che si pretende realizzare nell'unità dell'Idea, sfugge, e la molteplicità degli elementi riapparisce ». Anche ammesso che il pensiero possa ricavarsi dall' Idea, esso penserebbe bensi insieme i due contrari, ma distinguendoli, non unificandoli. Essere e non-essere, idea e natura, bene e male, giustizia e crimine restano nel pensiero opposti.  E del resto « lors même que la pensée pourrait effacer l'op-position des contraires, il ne suivrait pas de là nécessai-rement que l'opposition aurait disparu dans la réalité », Ora che l'opposizione non possa esser cancellata dal pensiero, si è visto per le due categorie di essere e non-  essere: ma si può dimostrare in un modo più generale «en signalant un vice qui atteint el ruine, suivant nous,  tout le système d' Hégel.  Quest'ultima critica è il suggello dell'incapacità del V. a superare, con tutto l'aiuto di Hegel, la posizione platonica. In questo sistema, egli dice, la verità e l'essere non sono principii, ma risultati. La natura e ilpensiero non sono mossi da un principio posto fuori del mondo, e in possesso della pienezza dell'essere e della verità. L'essere da sé non si muove, né muove. Il non-  essere piuttosto sollecita l'essere; e come essere e non-  essere si uniscono nel divenire, il principio non è l'essere ma il divenire. E lo stesso si dica della triade maggiore  Idea-Natura-Spirito. L'Idea in sé è morta, e non si moverebbe mai. Dev'esser negata nella Natura, perché abbia luogo la vita dello Spirito. Se mai, la Natura, non l'Idea, dovrebbe considerarsi come principio dello Spi-rito, svegliando in certo modo l'Idea e comunicandole con la sua negazione una certa energia. Ma il vero principio è lo Spirito, in cui si concilia l'opposizione di Idea e Natura; e che trascinerà nel flusso del suo divenire l'essere e il non-essere dell'Idea, ossia Idea e Natura.  E insomma: o nulla diviene facendosi l'Idea principio di una Natura come Idea-natura e di uno Spirito che è Idea-spirito; che sarebbe il partito della logica; o tutto diviene, facendosi lo Spirito principio di tutto; che sarebbe il partito dell'esperienza. Nel primo caso si hanno tre idee pure ed immobili, e non si ha il mondo, Nel secondo si ha il divenire dello Spirito, e quindi della Natura e della stessa Idea, ma non si ha più principii, né asso-luto: e lo stesso spirito del mondo, di cui parla Hegel, non sarà, in fondo, se non una generalizzazione dell'esperienza e degli spiriti finiti.  In conclusione, la principale esigenza della critica del V. è il concetto dell'assoluto estramondano; e la legge del suo pensiero il principio astratto d'identità.  10. - Nella tesi latina (dove la dottrina hegeliana confrontata a quella platonica e a quella aristotelica del termine medio è appunto la dialettica, la cui sintesi vien considerata come termine medio tra tesi e antitesi) V. ripete in parte la critica che abbiamoesposta della sua tesi francese, ma formula pure la prima: e capitale obbiezione nella più schietta forma teistica, che giova a determinare nettamente la sua posizione mentale. Dice qui presupposto gratuito quello di Hegel quando ideas aeternas rerum causas el principia esse contendit!. Le idee possono aver questo valore, oppone V., si cui vi, vel menti, insint, quod sensit Plato. Ciò che non è storicamente esatto, ma serve a dirci in che modo il V. intendesse il platonismo da cui era do-minato.  E accumula contro le prime categorie altre difficoltà.  Hegel vede il niente nell'essere come una sua determinazione (o nota), perché dell'essere non si può dire se non che è. Ma questo è piuttosto una ragione perché l'essere respinga da sé il nulla. Affinché infatti si possa dire che l'essere è, non occorre che in esso ci sia determinazione di sorta: e il niente vi sarebbe se l'essere fosse in qualche modo determinato: - Poi, se tutto deve cominciare con l'essere e niente ci dev'esser prima del-  l'essere, nec vor, nec res, nec cognitio, allora prima dell'essere non ci sarà altro che il niente; e dal niente si dovrebbe cominciare piuttosto che dall'essere. Ancora: per Hegel l'essere diviene; e niente è. Ma, affinché qualche cosa divenga, bisogna che qualcosa sia, e non divenga.  Giacché se a prima vista pare che quel che diviene sia e non sia insieme, in realtà, chi consideri con più diligenza, esso non è, solamente. Giacché quel che ora diviene,dev'essere stato e non divenuto; e poiché era, diviene. - Inoltre, essere e niente son cose; il divenire, invece, è stato o proprietà d'una cosa; e non può quindi congiungere l'essere e il niente. Hae enim verum proprietatibus virtus inesse nequit. - La verità e la potenza che e è nel divenire, deve ricavarsi da quel che era e che è. Sicché l'essere dovrebbe essere alcunché di più perfetto di quel che ne deriva, realtà o cognizione. Laddove Hegel muove da un essere, che non è il primo essere, ma un essere, per così dire, passato attraverso il niente. Onde il processo va dal meno al più, dall' imperfetto al per-  fetto; il divenire invece è incremento di perfezione.  Verum haec rationi repugnant.  E c'è altro. O c'è un principio delle cose, o no. Se c'è, qualunque sia, o una forza (vis quaedam), o solo una idea (ens logicum), deve preceder tutto, rispetto alla forza, al tempo, al moto, al vero. Hegel muove dall'essere: ebbene da quest'essere, se forza, dovrà ricavarsi la forza di tutto; se idea, tutte le idee. E non si uscirà mai quindi dall'essere; il principio sarà sempre l'essere. - Che se la conclusione dovesse essere il divenire, il divenire non cessa mai, non è mai un atto esaurito: e il processo del reale e del conoscere andrebbe all'infinito. - E guardando ai rapporti non più intelligibili dell'Idea con la Natura e con lo Spirito, la tesi latina, con qualche variante dalla tesi francese, trae questo colpo finale contro la dottrina di Hegel: « Infine, se lo spirito sta di mezzo tra la natura e la idea e per ciò stesso va innanzi alle idee, le idee non sono i principii. E ammesso che siano principii, poiché lo spirito diviene, e le idee sono inerenti allo spirito, è necessario che divengano anch'esse.  Se  non che quel che diviene, non è, ma sarà; né intende, ma intenderà; sicché né spirito né idea avranno coscienza di sé, né ci sarà un fine nel mondo, ma il tutto andrà soggetto alla cieca necessità delle idee. Dei quali errori tutti il V. trova la prima origine in due cause principali. L'una, che Hegel torse la dialettica dal suo vero ufficio, che è di respingere il falso, alla scoperta e dimostrazione del vero: pretendendo di edificare con uno strumento di demolizione. L'altra, che ben vide doversi cercare nell'infinito la ragione del suo rapporto col finito, ma errò presumendo di rendersi conto del modo di questo rapporto, onde fu costretto a cercare il finito nella stessa natura necessaria dell' in-  finito: ponendo un infinito semplice che si dirompe suapte natura e quodam necessario impetu nelle cose finites, e non potendovi poi restare si sforza di tornare a sé e ri-staurare certo infinito composto, con un circolo che Hegel per altro non riesce a chiudere, perché l'infinito, una volta mescolatosi alle cose finite, non può più tornare infinito.  Egli è, insomma, che Hegel vide il vero problema della scienza; mai però appunto andò più lungi dal segno (sed ob ipsum forsan longius a vero provectum). Perché il V. è convinto che tale problema è troppo più grave che non possa sostenere l'omero mortale. Funzione del termine medio, fulero d'ogni dimostrazione, è unire il finito con l'infinito. Ma come questa unione avvenga né Aristotele, né Hegel, né lo stesso Platone, quantunque la sua dottrina sia la più soddisfacente, han potuto ad-ditare, perché il rapporto muove dall'infinito, la cui natura sfugge alla mente umana. Si enim intelligeremus (dice il V. riecheggiando un motivo della filosofia ales-sandrina, già accolto dal Ficino, e tornato in onore nel De antiquissima Italorum sapientia del Vico) *, Si enim intelligeremus (infiniti naturam], non solum rerum ratio, sed el quomodo res perficiuntur nobis innotesceret, neque id tantum, sed el res ipsas quodammodo perficere nobisconcessum esset. Qui enim verum vim naturamque pentus  agnoscit,  his recte uti ad res ipsas conficiendas valebit.  Isque absolute demonstrat qui non modo res intelligit, sed et intelligendo conficit. Quemadmodum summus is est artifex qui opus non modo in mente revolvit, sed et conficit et confi-ciendo sibi et aliis mentem suam patejacit et demonstrat. Di questo scetticismo teistico il V. tratto di proposito nel Problème de la certitude. Dove, è superfluo dirlo, non solo Hegel, ma anche Kant è assai bistrattato.  Basti per un esempio la prima obbiezione che il V. muove contro la Critica; ed è che la distinzione di senso, intelletto e ragione è più artificiale che reale; perché né la sensazione è altro che un giudizio, né la categoria ha caratteri diversi dalle idee. « Che l'atto intellettuale non venga ad aggiungersi [sic] all'impressione esterna, e la sensazione non avrà luogo. Essa è dunque un giudizio sollecitato da una causa esterna, ma che, come ogni altro giudizio, non può aver luogo senza l'intervento dell'in-telletto. Sicché senso e intelletto non sono due facoltà distinte; ciò che Kant stesso confessa implicitamente, allorché attribuisce certe categorie al senso non meno che all'intelletto. Infatti, il tempo e lo spazio sono concetti puri dell'intelligenza, né più né meno della causa, della sostanza, ecc., e quelli non sono meno di queste condizioni essenziali di ogni pensiero. Non si vede dunque in che differiscano queste due facoltà, poiché sono sede di nozioni della stessa natura»?. E con osservazioni della stessa forza continua a dimostrare che non c'è modo di distinguere per davvero le categorie dalle idee, fino a far sospettare che il V. non avesse mai letto la Critica (per la quale infatti rinvia 3 alle lezioni del Cousin).In tutta la storia della filosofia non vede se non sforzi vani per superare lo scetticismo; e il suo lavoro vuol essere un nuovo saggio di teoria della conoscenza. Ogni conoscenza riguarda i fatti o i principii. Fatti sono le esistenze e le qualità fenomeniche; principii, le cause delle une e delle altre. La causa d'un fenomeno non è il fenomeno che lo precede, ma il principio interno, la natura dell'essere che si manifesta nel fenomeno: l'es-senza. Altro è la sostanza, sostrato o soggetto delle qualità; altro l'essenza, forma intelligibile della stessa sostanza. Ed è chiaro che il pensiero non può mirare di là dell'essenza alla sostanza; perché di questa che altro potrebbe cercare che l'essenza? La vera cognizione, che non si arresti al puro fenomeno, s' indirizza all'essenza. Ma l'essenza non è conoscibile, per ragioni derivanti in parte dalla natura sua, in parte dalla costituzione della nostra intelligenza.  L'essenza è una; e intanto è uopo che si moltiplichi negl' individui. Che è il problema della creazione, inespli-cabile, Si ammetterà un'essenza per le cose periture e una per le eterne? Ma quale sarà il loro rapporto? e quale la loro differenza se, come essenze, saranno pure entrambe eterne ed infinite? Si ammetteranno soltanto essenze individuali (atomismo): e allora l'essenza in sé sarà una semplice astrazione. - O si ammetterà una sola essenza; e allora tutti gli individui diverranno fenomeni transitori e apparenze. - E poi è necessario ridurre tutte le essenze a un solo principio, e che questo esista; perché quando ve ne fossero molte, dovrebbero sempre essere tra loro in un rapporto; e questo importerebbe un principio superiore, il quale sarebbe perciò il vero principio e unico. E che sarà questo principio? Gli si possono attribuire, come s'è fatto in tutti i sistemi, tanti caratteri; ma questi caratteri non ci faranno mai vedere l'intimo del principio e la sua propria natura.La natura poi della nostra mente ci toglie la possibilità di montare all'unità assoluta; perché niente possiamo pensare che non si presenti alla nostra coscienza come suo oggetto e che, sia esso Io o non-lo, non si ponga pel fatto stesso d'esser pensato come non-lo di contro al nostro Io. Né giova la pretesa intuizione intellettuale di Schelling. Perché o in essa il pensiero conserva la coscienza di sé, e allora permane la dualità: o smarrisce questa coscienza, e assorbendosi nell'oggetto, non sarà più pensiero, ma il niente del pensiero.  Ignorando l'essenza, non si possono spiegare i rapporti.  Si conoscono le esistenze e si conoscono i rapporti degli esseri; ma dal che non si passa al come. Non si può contestare che io sia, e che siano i prodotti della mia attività interna e del mio pensiero e gli oggetti e fenomeni del mondo esterno. Saranno tutti fenomeni, apparenze fugaci; ma non si potrà negar loro un certo essere e dire che non siano, almeno nel momento in cui sono. Chi si provasse a farlo, si contraddirebbe. Ma se vi sono esistenze che cominciano, che sono e non erano, e, insomma, effetti, questi effetti devono avere una causa. La quale causa o bisognerà cercarla tra le cose finite, o sarà la collezione delle cose finite, o la sostanza infinita di cui le sostanze finite siano emanazioni, o infine un principio separato dal mondo e avente esistenza propria e indivi-  duale. Le prime tre ipotesi sono da escludere.  a) E evidente che non può esser causa del finito un fini-to, che come tale è effetto, e richiede esso stesso una causa.  6) La collezione dei finiti non aggiunge ai finiti se non una unità artificiale ed astratta, esistente solo nel soggetto che la pensa. Quindi non può contenere più dei finiti, né essere altro che finita: cioè un effetto, anch'essa.  Senza dire che la collezione è risultato e non principio, e suppone una causa radunatrice degli elementi e quindi costitutiva di essa collezione.c) La sostanza che producesse eternamente le cose, effondendosi in esse senza potersene distinguere, anzi facendone parte, potrebbe essere o un Io, o una causa meccanica. Un lo, di cui le coscienze individuali fossero parti integranti, sarebbe tanto causa di queste, quanto queste di esso. Giacché in un tutto essenziale alle parti come le parti al tutto, non ci può essere efficienza o causalità vera, ma solo una causalitá logica. Che se l'Io assoluto si concepisca come una forza infinita manifestantesi negli individui, si potrà chiedere: e perché si manifesta o sviluppa? per darsi così una coscienza più chiara e più larga? ovvero per passare dalla potenza all'atto? In un caso e nell'altro l'effetto conterrebbe qualche cosa di più che la causa, e questo di più resterebbe senza causa. - O sarà la sostanza una causa cieca e meccanica? Ma la sola vera causa è la libertà. Se un corpo in movimento ne mette in moto un altro, noi diciamo impropriamente il primo causa del movimento del secondo; laddove ne è solo la condizione. Infatti esso non può non muovere il corpo, e non può non muoverlo con la velocità e la direzione con cui lo muove perché non è esso stesso la causa del proprio movimento, né quindi del movimento che ha comunicato. La vera causa del movimento non dev'esser mossa, ma deve muovere da sé: esser libera.  Sicché la causa assoluta dev'essere separata dal finito, libera, persona assoluta. Libera, in quanto indipendente dal suo effetto; ma legata bensi alla legge della sua es-senza. Questo già vede il V.: che la necessità interna non è incompatibile con la libertà, almeno quando si tratti della causa assoluta. Perché nell'uomo, che non s'è dato il suo essere, il V. crede bene che la necessità interna sia anche esterna; quantunque anche l'uomo che fa il bene, se fare il bene si concepisce come legge della sua natura, debba dirsi libero. La necessità, invece, della causa assoluta le è, per dir così, più intimamente interna.Il V., in questa tesi, non ammette nessuna reciprocità tra la causa e l'effetto. Questo richiama quella: ma «l'idea di causa, lungi dal contenere quella dell'effetto, l'esclude pel fatto stesso che è causa», Insomma, dualismo assoluto.  La causa assoluta, essendo libera, è intelligente, perché non è libertà senza intelligenza. E semplice e indivisibile; perché se il suo atto non fosse uno, e si risolvesse p. e. in due parti, una di queste agirebbe sull'altra, e la causa non sarebbe causa, e le due azioni causali, esercitandosi successivamente, darebbero luogo ad effetti a un dato istante sottratti alla causa, che cesserebbe perciò di essere assoluta causa. E l'atto uno suppone la sostanza una.  E già una sostanza composta sarebbe materiale, e non sarebbe più libera. Né occorre dire che, per essere asso-luta, la causa dev'essere universale.  La causalità conferisce realtà all'idea di sostanza, concepita come principio del finito, e conferisce realtà ugualmente a tutte le idee effettrici delle esistenze finite: al bene assoluto, causa del bene relativo, alla verità assoluta, alla bellezza assoluta, e via discorrendo. Con la sola categoria di sostanza potremo avere l'idea di Hegel, l'essere puro, come una « concezione logica ».  La causa ci fa fermare il piede nel reale; e la certezza del fenomeno si fonda sull'intuizione della causalità reale supposta dal fenomeno. * Il pensiero non comincia con l'affermazione d'una causalità astratta, ma d'una causalità reale. Il sentimento della mia finità è inseparabile dalla mia esistenza, e col primo sentimento della vita si produce a un tempo il sentimento del mio niente e d'un principio che mi ha fatto passare dal niente all'es-sere. Ecco già l'idea di causa che si manifesta a me insieme con la mia esistenza. E non è una causa astratta e possibile, ma una causa reale e attuale come il suo ef-fetto; non è una causa che deduco da un principio, mauna causa che colgo con un' intuizione semplice e imme-diata, con un atto analogo a quello col quale affermo me stesso». Nel libro non è citato mai il Gioberti; ma questa dottrina coincide a capello con quella della formola ideale, che cinque anni prima il Gioberti aveva propugnata nell'Introduzione allo studio della f-losofia.  Immediatezza della cognizione, inconoscibilità dell'es-senza, e quindi misticismo scettico; opposizione assoluta tra essere e pensiero, Dio estramondano e quindi negazione della libertà e della verità dello spirito come della spiritualità del vero; concezione conseguente della verità o idea come contenuto trascendente del pensiero, retto quindi dalla legge dell'identità, e della dialettica come funzione meramente negativa del pensiero soggettivo: tutta la somma delle dottrine essenziali alla vecchia intuizione platonica del mondo, contro le quali da secoli e secoli combatteva la filosofia moderna, e che furono definitivamente superate dal principio hegeliano, faceva intoppo nella mente del V. all'intelligenza dello hege-lismo. La folla incomposta delle difficoltà che egli vi in-  contrava, attesta chiaramente la refrattarietà del suo spirito agli incitamenti e alle suggestioni della nuova filosofia, cosi rudemente paradossale a chi non sia preparato da un vivo affiatamento con tutta la storia del pensiero moderno (e si può dire anche del pensiero cri-stiano, in opposizione al greco) a guardare il mondo con gli occhi nuovi dello spirito conscio della sua vita assoluta.  Come fece il V. negli anni seguenti a liberarsi dalla grave mora de vecchi pregiudizi, per rifarsi con nuovo e fresco vigore intorno allo hegelismo, romperne la dura scorza, e penetrarne l'intimo spirito? Rifece egli più metodicamente il cammino percorso dal pensiero speculativo da Cartesio a Hegel13. - Dopo il 1845, i primi lavori del V. sono quattro articoli del 1848, scritti per una rivista La liberté de penser, fondata a Parigi dopo la rivoluzione di febbraio da alcuni giovani professori, come il Simon, il  Saisset, il Jacques e lo stesso V.. E in essi il demolitore della logica e di tutto il sistema di Hegel ci si presenta in veste di hegeliano. Nessun documento illumina la crisi antecedente del suo pensiero; e bisogna contentarsi di osservare in questi articoli il suo primo atteggiamento nel nuovo indirizzo.  Il primo (La Religion et l'Etat) fu scritto a proposito delle discussioni dell'Assemblea Nazionale per definire i rapporti tra Stato e Chiesa; e combatte l'idea della se-  parazione. Sarà più tardi, come vedremo, uno degli argomenti su cui più si travaglierà il pensiero del V., senza riuscire mai a dar nettamente la soluzione del pro-blema. In questo primo saggio, forse perché lo scrittore non sente ancora tutta la difficoltà della questione, il suo pensiero tocca il massimo della chiarezza, che abbia mai raggiunto. Vede il progresso storico dei rapporti tra Chiesa e Stato indirizzato verso la libertà di coscienza; e giudica la Riforma protestante, malgrado la sua proclamazione del libero esame, inferiore a cotesto principio, per cui la ragione umana può sottrarsi alla tutela dell'autorità sacerdotale; perché la Riforma non proclamò insieme l'abolizione delle religioni di Stato. E religione di Stato significa autorità che è compressione della li-bertà, in quanto non è l'autorità della ragione invisibile e universale, conciliatrice della regola con la libertà, della disciplina col movimento, ma quell'autorità visibile e materiale, che, come imprigionata nel fatto e nella  lettera della legge, colpisce d'immobilità il pensiero, contrasta ogni espansione nuova dello spirito e riesce alla violenza e all'asservimento delle coscienze. La Rivoluzione francese ha compiuto l'opera della Riforma,ispirandosi a un principio superiore: il principio dei diritti dell'uomo in generale, onde la libertà nuova da lei proclamata non è più quella di una società particolare, ma del mondo. E abolisce la religione di Stato, presupponendo quella religione ideale e assoluta - scoperta dalla filosofia, di cui la Rivoluzione è figlia ed erede - la quale si sviluppa e manifesta successivamente nella coscienza dei popoli, domina e abbraccia tutte le religioni positive e compone ad armonia nella propria unità le credenze parziali del genere umano: la religione, in-  somma, naturale o razionale. Ma né la Francia né l'Europa eran preparate alla riforma religiosa, che questi principii, rigorosamente applicati, avrebbero richiesta: e ad essi occorre tuttavia far capo per gettare le basi della nuova carta religiosa.  In un articolo successivo, ma dello stesso anno, il V., accintosi ad esporre la filosofia della religione di Hegel, giudicherà con lui e rifiuterà, come idealismo ordinario, cotesto deismo prevalso nel sec. XVIII, il quale astrattamente foggiava la religione ideale e filosofica, che giace in germe nel fondo d'ogni intelligenza »1, Ma, pure appigliandosi per qualche altro particolare alla dottrina di Hegel, è fermo nella convinzione che basti svolgere razionalmente il principio posto dalla rivoluzione francese, fondato, come s'è visto, sulla dottrina della religione naturale. Segno che egli non era ancor giunto a possedere un concetto determinato della religione, né, comunque, a impadronirsi di quello di  Hegel.  Svolgere il principio della Rivoluzione, della libertà di coscienza, non era ciò che dal Lamennais in poi venivano chiedendo in Francia i cattolici, e avevano finito con invocare gli stessi gesuiti? Ecco, dice il V.: « nellapresente questione, come nella maggior parte delle questioni sociali, la difficoltà consiste nel conciliare l'ordine e la libertà. Se si sopprime una di queste due condizioni, s' incorrerà nell' inevitabile alternativa, o di tornare all'autorità e alle religioni ufficiali, o di rinunziare a ogni azione normale ed efficace sugli spiriti ", Temeva il V.. che se l'Impero, la Ristaurazione e la Monarchia di Luglio avevano piegato dal lato della tradizione e del-l'autorità, ora si piegasse dal lato opposto, esagerando il principio della libertà. Si preoccupava degli effetti di una libertà assoluta, che avrebbe portato all'anarchia delle coscienze, all'impossibilità di ogni governo morale e quindi d'ogni governo politico. Se la pigliava con la stessa espressione di libertà illimitata, che non può essere, diceva, se non una figura rettorica lusingatrice degli orecchi e del gusto del pubblico, non potendosi concepire potere che non sia limite della libertà. Né pertanto è ammissibile la separazione. I sostenitori della quale si rappresentano la società come una sorta di d'ag-gregato di parti unite insieme da legami estrinseci: laddove la storia e la teoria ci mettono innanzi un'unità sociale organica, in cui tutto è concatenato e la vita di una parte va di conserva con quella del tutto, e un'unità invisibile vi circola dentro. Perciò Hegel disse che le rivoluzioni politiche e religiose sono inseparabili; e un popolo che ne fa una e non fa l'altra, ha lasciato a mezzo la sua opera, mantenendo un antagonismo, che dovrà rimuovere, se non vuol soccombere. E questo basta qui al V. per concludere che Chiesa e Stato sono insepara-bili. Quantungue non sia difficile vedere che il suo argomento supponga provato quel che è da provare: l'imma-nenza dell'elemento religioso, anzi della Chiesa, nell'organismo dello Stato.  La separazione è voluta da coloro che dividono con un taglio netto la sfera religiosa da quella del diritto:nella prima delle quali lo spirito umano si solleva all'eterno e all'infinito, laddove nella seconda l'uomo rimane stretto ai suoi bisogni passeggeri e terreni, e quindi implicato negli interessi, nelle passioni, nelle lotte, da cui si libera affatto mercé la religione. In questo argomento V. riconosce, a primo aspetto, un'apparenza di verità. Ma gli studi che in quel torno ei doveva fare della filosofia hegeliana, gliene additano il difetto. « Au fond, il repose sur une notion incomplète de la vie religieuse, et il se rat-tache à cette métaphysique qui ne saisit qu'un seul élément dans les êtres, el qui, en négligeant l'élément contraire, n' aboutit qu'à des abstractions ou à des inconséquences... E vero che Dio, comunque si concepisca, trascende ogni limite, ed è termine immutabile e infinito. Ma Dio è un termine solo del rapporto religioso, onde Dio si manifesta, e l'altro è l'uomo con le sue condizioni sensibili e finite. Né la religione è un fatto isolato, chiuso nella coscienza del-l'individuo, ma un'istituzione sociale, la quale ha per iscopo l'istruzione e la guida delle anime; e pertanto non può sorgere, conservarsi e svolgersi senza determinate condizioni materiali ed esterne, insegnamento orale e simbolico, associazione, disciplina, mezzi finanziari ecc.:  tutte cose che rannodano la Chiesa con lo Stato,  Ebbene, esclusa la separazione (lo stesso V. si pro-pone, come sarà sempre suo costume, l'obbiezione), come sfuggire all'alternativa dell'oppressione della Chiesa sullo Stato, o dello Stato sulla Chiesa? Ma (come sarà pur sempre suo costume) se n'esce pel rotto della cuffia, perché non si spinge fino a una rigorosa definizione dei concetti che adopera. La soluzione qui la trova in quella astratta filosofia della religione, che ha accettata dal secolo XVIII, e che è pure quella dottrina eclettica della verità relativa di tutte le religioni positive nell'assolutaverità della religione naturale, che, nei nostri filosofi della Rinascenza (BRUNO (si veda) e sopra tutto CAMPANELLA (si veda), che ne è il vero fondatore, a lui, molto probabilmente, essendosi inspirato Herbert di Cherbury) ' portava logicamente alla religione di Stato. Lo Stato, pel V., deve sanzionare la libertà di coscienza: ma in questo stesso postulato è implicata l'attribuzione allo Stato di legiferare in materia religiosa, riconoscendo a tutte le religioni positive quella legittimità che è loro conferita dalla religione ideale in cui tutte sono comprese. Se lo Stato non s'incontrasse nella religione, non potrebbe né anche riconoscerne e garentirne la libertà. Lo Stato s' investe in questo suo atto di un principio filosofico, e la filosofia gli conferisce la potenza e il diritto di dettar legge in re-ligione. La filosofia che è « la fonte della vera libertà, perché essa sola proclama ed assicura quell'alta libertà dello spirito che è il principio di ogni libertà, e perché essa solleva continuamente l'umanità al di sopra di se medesima, e delle cose periture e finite, alla regione dell'eterno e dell'infinito». E però nell'alleanza dello Stato con la filosofia è il fondamento di ogni libertà: alleanza tutt'altro che facile, di certo, anzi, sotto certi aspetti. né possibile né desiderabile: ma perciò appunto fornita del carattere di ogni ideale, che genera il progresso in quanto meta inattingibile. «Tout progrès possible repose  sur un principe impossiblen 3.  E un altro punto, in cui il V. non si solleva fino allo hegelismo, restando al dover essere (Sollen) kantiano, messo in derisione dal pensatore di Stoccarda. E la coscienza dell' irrealità dell'ideale limita l'astrattezza, tutta platonica, di questo Stato filosofico, in cui si rifugia ilV., assai imbarazzato poi quando si tratta di tornare fuori, per rimettersi in rapporto con la realtà storica.  Se Stato e Chiesa sono inseparabili, il prete è, pel  V., un funzionario dello Stato. Dacché un culto è legalmente ammesso, esso diventa una funzione di Stato.  Funzione varia, diversa, molteplice, perché lo Stato ammette tutti i culti, quantunque non s' immedesimi con nessuna religione. E lo Stato perciò retribuirà i ministri di tutti i culti. - Ma proprio tutti? - Sì certamente, perché « tutti i culti, quali che siano le dottrine che professano e la parte di verità che contengono, devon o incontrarsi in un pensiero e in un'opera comune, dovendo tutti, sotto una forma o un'altra, per vie e gradi differenti, disciplinare le anime non soltanto a salvarsi, ma ad adempiere i loro doveri civili». Devono in - contrarsi: ma s'incontrano realmente? Lo Stato solo può giudicare se e in quel misura una dottrina religiosa soddisfi questa condizione. Che se si contesta allo Stato questa facoltà, bisognerà contestargli anche quella di concedere la libertà dei culti: poiché la libertà dei culti, ripeto, suppone questo criterio: suppone che lo Stato abbia saputo riconoscere che la verità non è prerogativa d'un solo culto, e che saprà anche distinguere, fra le dottrine nuove, quelle che bisognerà ammettere o rigettare ».  Ossia, in conclusione, saranno ammessi tutti i culti, che lo Stato con la sua filosofia approverà, poiché pare ce ne possano anche essere di quelli che non siano compatibili coi fini essenziali dello Stato. E allora? Noi crediamo, conchiude il V., che « nello stato presente del mondo, appartenga ai poteri civili e alla civiltà laica l'iniziativa della riforma religiosa, e che questa riforma debba essere imposta alla Chiesa nell'interesse della libertà e della Chiesa stessa ».  Ma allora abbiamo lo Stato teologo e la religione di Stato! - Parola più speciosa che vera», risponde l'au-tore. « Noi pretendiamo che lo Stato, quale l'abbiamo definito, quale l'han reso la filosofia e la Rivoluzione, sia perfettamente competente nella questione religiosa.  Lo Stato, bensì, non fa della teologia scolastica, non disserta sulla grazia, il peccato originale e la trinità.  Lascia queste dispute ai teologi e ai filosofi. Ma può dire fino a che punto una religione risponda ai bisogni della società, e studiando seriamente questi bisogni, giovandosi dei lumi della filosofia e della libera discussione, ha il diritto e il potere di imprendere la riforma delle istituzioni religiose, modificarle e ringiovanirle, facendovi penetrare i germi di verità nuova na  14. - Come possa lo Stato riformare una religione senza entrare nella teologia; come giovarsi della filosofia, senza intendere la filosofia stessa, e quindi filosofare: come proclamare la libertà dei culti e riconoscere a tutti i culti un valore, dovendone pure eventualmente respingere qualcuno con un criterio suo; come imporre una riforma alla Chiesa, rispettando il principio della libertà: sono tutti certamente punti molto oscuri, e non i soli, della soluzione caldeggiata dal V.. Ma qui giova soltanto fermare l'attenzione sul carattere permanente di questa filosofia del V., malgrado il giudizio sulla Rivoluzione francese, cosi diverso da quello enunciato otto anni prima, e malgrado gli spunti hegeliani contro le astrazioni dell'intelletto. Essa evidentemente è ancora una filosofia non compenetrata dal concetto della razionalità del reale e della realtà del razionale: una filosofia di una ragione concepita come sovrapposta alla vita, alla storia, al reale. L'infinito si vuole congiunto essenzialmente col finito (e però la Chiesa con lo Stato). Ma l'infinito è infinito, e il finito è finito. Lo Stato non hainfinità (non ha valore), se non gli viene comunicata dalla Chiesa; né  esso può acquistarsela da sé, incorpo-  randosi e risolvendo in sé la Chiesa: a fine di stabilire i suoi rapporti con la Chiesa deve ricorrere alla filosofia, che non è nello Stato, e non è perciò lo Stato. Tutta la storia, come progresso compiuto in virtù d'un principio impossibile, ha il proprio valore fuori di sé: ossia, non ha valore. Questo non era il nuovo mondo di Hegel.  Segui la prima parte dello studio sulla Philo-sophie de la religion de Hégel, non continuato, perché la Liberté de penser cessò di pubblicarsi. E in questo scritto il V. espose il punto di vista di Hegel in questa parte del suo sistema e il suo concetto in generale della filosofia con manifesti segni di adesione, sebbene qui ancora non s'incontrino quell' iperbolici elogi della filosofia hegeliana che poi diverranno frequentissimi nei suoi libri. Tornò ad esporre brevemente il concetto della filosofia hegeliana col metodo stesso adoperato nelle tesi di tre anni prima, quantunque le difficoltà formidabili intorno ai punti fondamentali e preliminari che tre anni prima gli sbarravano l'adito al sistema, pare siano già come per incanto sparite: quel metodo, il quale consiste nel saltar dentro a una filosofia, dopo averla distaccata dal complesso della storia, in cui essa sorse e visse, e nel muovervisi dentro come altri può percorrere una galleria di quadri che non sappia come e donde raccolti. Il metodo più antihegeliano che ci sia. E cosi ora, così sempre: anche quando egli diventerà assai più esperto hegeliano e più fervido propugnatore di questa filosofia, Hegel sarà un filosofo, per V., tutto chiuso in sé, che si lascia indietro, a mille miglia di distanza, non pure la filosofia prekantiana, ma Kant, Fichte e lo stesso Schelling: e se qualche riscontro potrà consentire, richiamerà Platone e Aristotele (che sono poi gli antesignani dell'oppostaconcezione del mondo). Per ora, non una parola di altri filosofi, e le determinazioni della filosofia hegeliana, strappate dal loro terreno storico, si presentano, com'è na-turale, in un aspetto equivoco ed incerto.  La filosofia ricerca l'universale, l'infinito, l'assoluto in tutte le sfere sulle quali si esercita l'attività del pensiero»›, Definizione, che, se non è detto quale sia la natura di questo universale, eterno, infinito, può competere tanto alla filosofia di Hegel, quanto a qualunque altra. « Secondo Hegel, l'oggetto della filosofia è la conoscenza dell'Idea». Anche questo è troppo poco.  E tutto quello che segue non giova a differenziare 1 he-gelismo dal platonismo: « L'assoluto è lIdea, la quale si divide e si specifica in una serie di determinazioni, di cui ciascuna costituisce un modo della Idea, nonché un grado e una faccia dell'esistenza. Questa Idea e questa serie di idee non si producono a caso e secondo rapporti arbitrari ed esteriori, ma sono legate da rapporti necessari ed eterni, e formano un organismo interno, e come una trama indistruttibile su cui sono fondate l'unità e la vita del mondo»2. Lo stesso V. sa che così c' è una profonda differenza tra l'idealismo « ordinario» e l'idea-lismo « assoluto » di Hegel. L'idea di quello è astratta, e l'idea di questo è concreta. Cioè? - Le idee del primo sono poste meccanicamente l'una accanto all'altra:  quelle del secondo hanno un concatenamento e una necessità interna. - Distinzione così, sulle generali, ille-gittima: perché non c'è filosofia idealistica che non miri appunto a questo intimo concatenamento delle sue idee; e in questo senso le idee di tutti gli idealisti sono state concrete. La concretezza hegeliana non consiste tantonella concatenazione delle idee, che, tutte concatenate, possono essere nondimeno tutte fisse, immobili: quanto nell'atto stesso del concatenamento, per cui l'idea non è legata più a un'altra idea, ma è l'altra; è, e non è se stessa; si muove, e movendosi, divenendo, è un'idea ed è un'altra idea. Sicché non più catena, ma medesi-mezza, coincidenza di opposti. E se non si guarda a questa concretezza, l'idealismo hegeliano smarrisce la sua fiso-nomia, e si confonde con l'antico idealismo.  17. - Il V. nota che l'idea concreta è una triade: nè prima se stessa, poi il suo contrario, e infine la loro unità»; dove il 'prima', il 'poi' e l'infine', possono già dar luogo ad equivoci grossi. « Cosi il vero non è né nel-  Tessere, nénel non-essere, né nella causa, nénell'effetto, nénel tempo, né nello spazio ecc.  L'essere e il non-essere, la causa e l'effetto, il tempo e lo spazio sono elementi essenziali del vero, ma questo non è se non nella loro identificazione in un terzo termine: nel divenire, nel movimento ecc. essi attingono la loro completa realtà. Qui la cosa è diventata chiaris-sima, e le critiche di tre anni prima contro le prime categorie della logica hegeliana sono cose dimenticate.  Capi l'autore che egli mal si era apposto, cercando come il non-essere possa uscire dall'essere, ed essere e non-essere, messi insieme, produrre il divenire? Intende egli ora il processo logico come superamento dell'astrattezza nella realtà della sintesi? Parrebbe ora la sua interpre-tazione. Ma anche qui può risorgere il malinteso, assai più pericoloso, perché chi non se n'accorga, crederà d'essere già dentro l' hegelismo, e non sarà giunto invece né anche a Platone. Se l'essere e il non-essere sono elementi del vero, e il vero completo, la realtà è nel dive-nire, unità concreta dei due elementi, il passaggio del-l'astratto al concreto si può intendere in doppio modo:come passaggio dello stesso astratto alla propria con-  cretezza; ovvero come passaggio del pensiero che pensa la realtà e che, dopo averla pensata astrattamente ne' suoi elementi, si sforza di pensarla in concreto nella sua unità. Nel primo caso si tratta di un passaggio oggettivo, che è in fondo un passaggio soggettivo; nel secondo, di un semplice passaggio soggettivo, che importa un oggettivo non-passaggio. Giacché nel primo caso si muove, realizza od invera l'oggetto, la stessa realtà; che in tanto si muove, realizza od invera in quanto la stessa realtà è pensiero, Nel secondo invece è il pensiero, postosi di fronte alla realtà, o foggiatasi una realtà opposta a sé, che si muove nello sforzo di adeguarsi alla realtà stessa: segno che, se vi si adegua o quando vi si adegua, non avrà più bisogno di muoversi perché la realtà è immobile.  La strada eraclitea che è la stessa strada nelle opposte direzioni in su e in giù (ádóc ava váTo pía xai duTi)  dà luogo a una contrarietà e a un movimento appartenenti soltanto al soggetto: ma in sé è una, immutabile e immobile, come l'essere eleatico. L'idea (dell'essere elea-tico o del divenire eracliteo) si può concepire in due modi: o come una cogitatio (modus cogitandi, ipsum intelligere) come profondamente voleva Spinoza, o come un quid mutum instar picturae in tabula. Anche il fiume eracliteo infatti può esser dipinto! E allora non scorre, quantunque noi vi scorriamo sopra con la fantasia. Questo è stato il problema secolare del concetto del divenire, che non poteva risolversi se non nella filosofia moderna dopo il cogito (ergo sum) di Cartesio, e quell'idea che è l'ipsum intelligere di Spinoza, e il nuovo concetto leib-niziano della monade, e la sintesi di Kant, e l'Io di Fichte e l'Identità di Schelling- Se lo stesso divenire è visto come esterno al pensiero, si ferma e sta, come pictura in tabula. Il divenire è vero divenire del reale quando il reale non è di fronte al pensiero che lo pensa (movendosi  lui, o illudendosi di far muovere il reale), ma dentro il pensiero, lo stesso pensiero che pensando diviene e genera appunto quella realtà che esso è. Qui è il punto. E la costruzione difficile dell' hegelismo è cosiffatta, che molti han potuto, prima e dopo il V., scambiare l'Idea lo-gica hegeliana con l'Idea platonica, oggetto del pensiero solo considerando la posizione di essa di fronte alla na-  importante ed essenziale, che si la natura come lo spirito (fin allo spirito assoluto, e alla stessa filosofia del filosofo  che sta filosofando) sono la realizzazione dell' Idea stessa, e cioe la stessa Idea nel processo autonomo del suo  svolgimento.  18. - Come l'intende il V. in questo suo primo saggio di filosofia hegeliana? Dice:  Tout le travail de la pensée consiste à poser un élément de l'idée, - moment immédiat, — à saisir dans cet élément un élément contraire, — moment de médiation, analyse — et à trouver un troisième terme qui concilie et unit les deux pre-miers, - synthèse — puis à dégager de ce troisième terme une nouvelle détermination qui enveloppe les précédentes, et qui, à son tour, engendre une détermination opposée, laquelle se trouve conciliée avec la première dans une troisième, et ainsi de suite, jusqu'à ce qu'on s'élève à une esistence, à une idée suprême qui efface et absorbe tous les moments, toutes les contradictions précédentes dans son unité. C'est là la vie et le mouvement éternels de la pensée, et, partant, la vie et le mouvement éternels de la réalité ! 1.  Il pensiero, di cui qui si narrano le gesta, è il pensiero in sé, lo stesso reale, o il pensiero che intende il reale, il pensiero del filosofo che tesse la faticosa tela della lo-gica? Nel primo caso il pensiero sarebbe la stessa idea;e la maniera in cui il V. si esprime, facendo del pensiero l'artefice e dell'idea la materia del suo lavoro, sarebbe per lo meno molto fantastica e metaforica. Non che queste espressioni siano illegittime; ma qui dan luogo al ragionevole sospetto che l'autore abbia veramente inteso il rapporto del pensiero con l'idea in senso dua-listico, in guisa che la conchiusione (c'est là la vie et le mouvement éternels de la pénsée, et, partant, la vie et le mouvement étérnels de la réalité) non possa avere altro significato che di una dommatica inferenza, contraria del tutto allo spirito dello hegelismo. Giacché quel partant. in astratto, potrebbe avere due significati ben diversi: o dire che il processo logico è il processo della realtà, perché la realtà è pensiero (identita); o dire che il processo logico è anche il processo della realtà, perché la forma della realtà è intelligibile come pensiero, il pensie-ro si attua nella realtà, e (nella forma più rigorosa di questa concezione) ordo et connexio verum idem est ac ordo et con-nexio idearum (parallelismo, e, in fondo, duali-smo). Ma nel nostro caso l'interpretazione dualistica é confortata dalla più ovvia interpretazione dei periodi prece-denti, dove è evidente che l'autore non avrebbe mancato di richiamare esplicitamente l'attenzione sul vero e proprio rapporto del pensiero con l'idea, se egli ne fosse stato  nettamente consapevole.18. - Ed è anche confermata dal modo in cui il V. passa ad esporre la triade Idea-Natura-Spirito, L'Idea, egli dice, è da prima in uno stato « d' indeterminazione e semplice virtualità», quando è idea logica, e contiene le determinazioni più generali degli esseri. Giunta al limite estremo della sua evoluzione logica, l'Idea e esce da questa esistenza formale e indeterminata, e si dà per sua virtù propria, e come spinta da una necessità interna, una esistenza oggettiva e determinata nella natura n.  L'Idea infatti genera la Natura; ma in questa non esiste nella sua forma logica, generale ed assoluta, nella purezza perfetta delle sue determinazioni: diviene esterna a se stessa, si spezza in prodotti particolari esposti alla contingenza e al caso. Questa contraddizione è superata in una terza forma dell'esistenza, superiore alle due prime e che le involge nella sua unità: lo Spirito, il pensiero, dove l'idea concreta e determinata, risolleva la natura all'unità ed universalità ed acquista coscienza di sé nella libertà. - Orbene: il processo nello stesso Hegel è tutt'altro che facile; e lo vedremo a suo tempo; ma ha un carattere determinato, che a chi sia penetrato, secondo le osservazioni già fatte, nello spirito dello hegelismo, non può sfuggire. Dev'essere tutto un processo logico: una via che il pensiero pensando deve necessariamente percorrere. Ora il V. non si mette per questa via. Egli è appunto come lo spettatore della pictura in tabula: vede uscire dall'Idea la Natura, o l'Idea generare o farsi la Natura, e non sa né può sapere per quale interna necessità: non si prova nemmeno a fare (egli che è pen-siero, quella stessa idea) quel medesimo che vede fare all'idea: non si prova a pensarlo. E come potrebbe pen-sarlo, dopo aver definito il logo una semplice vir-tualità? Posta l'assolutezza del logo, se s'intende la virtualità al modo di Leibniz (ossia nel modo più fa-vorevole), donde la ragion sufficiente ?I9. — Ma il senso di questa virtualità della idea logica ci può essere svelato da scritti posteriori del V., il quale, sia detto qui subito, rimase fermo a questo con-cetto. Apriamo l'Introduction à la philosophie de Hégel  (1855), che è il suo lavoro più organico su Hegel, ed ebbe molta fortuna in Francia e in Italia come autorevole esposizione della filosofia hegeliana: che i più si contentarono di non conoscere altrimenti 1. In questo libro si legge che nella sfera della logica, Dio è la possibilità e la forma assoluta; è l'essere anteriore a ogni cosa creata, e che contiene perciò stesso, virtualmente, tutte le cose » 3: dove possibilità non significa altro che pensabilità, Infatti l'autore è stato trascinato innanzi a svelare e confessare quel suo segreto concetto della logica, come non la storia eterna, la gesta eterna, dell'idea, ma come la semplice scienza dell'idea, poiché intanto era germogliato il seme da noi sospettato nel saggio del 1848. Qual è, ora egli si chiede, l'oggetto della logica? La logica è « la scienza delle forme universali e assolute del pensiero e dell'esi-stenza»: forme, bensi, che non sono semplici forme, perché queste forme si compenetrano col con-  tenuto, sono le forme del contenuto, che è l'idea stessa nella serie delle sue determinazioni. Come tale, la logica è il fondamento di tutte le scienze.  La Nature et 1 Esprit costituent, il est vrai, des états, des sphères plus concrétes et plus réelles de l'Idée, et, a cet égard la Logique peut être considérée comme une science formelleou comme la science de la méthode, mais comme la science de la forme et de la méthode absolues, comme le type, le modèle intérieur, sur lequel la Nature et l'Esprit doivent se développer et s'organiser, comme la forme, en un mot, sous laquelle l'être et la vérité existent 5.  Dove si può bensi distinguere tra logica e idea, di cui la prima è la scienza; ma è chiaro che quel che il V. dice tipo e modello della natura e dello spirito è appunto la logica e non l'idea. Non già che egli finisca nel concetto della categoria kantianamente intesa come  condizione soggettiva della costituzione dell'esperienza, e però della natura fenomenica, quale si trova nella nostra esperienza. Il V. rimane molto più indietro di Kant.  Oscillando tra la sua ingenua interpretazione soggetti-vistica e la lettera degli scritti di Hegel, dove l'Idea é lo stesso assoluto, egli, se da una parte non sa concepire la logica se non come una elaborazione scientifica della mente contemplatrice della verità e della mente che pensa di fatto questa verità per le idee dell'essere, della qualità, della quantità, della causa ecc., dall'altra non riesce a conferire altrimenti valore oggettivo  a siffatte  condizioni della pensabilità del reale se non ipostatiz-zandole platonicamente come tipo e modello della natura e dello spirito: ai quali l'Idea fornisce - egli dice esplicito - una parte del loro contenuto: (e chi darà il resto ?). Su questo punto il V. si spiega chiaramente, notando che si potrebbe dire la Logica, cosi concepita, la scienza delle possibilità assolute, non nel senso che le idee logiche siano possibilitàe non realtà, ma in questo senso che niente non e possibile né può esser pensato se non per queste idee .1.  E ricorda Kant, che aveva riconosciuto le idee logiche  come « condizione necessaria di ogni esistenza e verità »; ma le aveva concepite come condizioni negative, indotto in errore dal termine stesso di condizione; laddove 1' idea  ¿ condizione come elemento integrante  e costitutivo  delle cose. La possibilità insomma, di cui parla V.,  ¿ possibilità rispetto alla natura e allo spirito: in sé e reale e principio di realtà. La possibilità, egli dice in fine, non può toccare i principii; perché i principii o sono o non sono. Possibile è questo individuo, questo triangolo, ma non l'essenza dell' individuo e del triangolo. I concetti universali, realizzati; ecco la logica di Hegel, per V.: che e per l'appunto, sostanzialmente, il mondo ideale di Platone, con la sua impossibilità di risolversi  nel mondo dell'esperienza :.  Ma nel saggio hegeliano la conchiusione è che la logica, la natura e lo spirito formano una triade indivisibile; sono tre termini consustanziali di cui l'idea è il fondo comune, ed è l'azione reciproca e la fusione eterna di queste tre sostanze che fanno l'unità e la vita del mondo«3. Dove quel che si vede è la tri-plicità delle sostanze, e quel che si dice di vedere l'unità  dell' idea.  Insomma, abbiamo fin qui un hegeliano che vuol esser tale, perché ha studiato Hegel e ha creduto d'intravve-dere il vasto mondo della sua filosofia, assai più sícuro rifugio dallo scetticismo del Problème de la certitude, chenon fosse quella ragnatela di teismo intuizionistico in cui dapprima gli parve di poter riparare. Ma il segreto di quella filosofia rimane ancora per lui un segreto; e il suo spirito continua a gravitare verso la trascendenza platonica.  20. - Nel terzo articolo Un mot sur la philosophie el la Revolation française, il V., prendendo le mosse dal giudizio dato da Hegel nella Filosofia della Storia sulla Rivoluzione, come opera del pensiero, ritorna sul tema del primo scritto, sulla libertà di coscienza che lo Stato deve garentire ispirandosi alla filosofia. Ma veniamo all'ultimo La souveraineté du peuple, che, come il V. ci fa sapere, la direzione della Liberté de penser, all'in-domani della rivoluzione di febbraio, non credette op-portuno pubblicare perché « il aurait trop heurté les opinions du moment». Vi era infatti combattuta la sovranità del popolo e il suffragio universale, sostenendo che la vera autorità è l'autorità della ragione; che la ragione non raggiunge lo stesso grado di forza, di chiarezza in tutte le intelligenze, qui restando latente e oscura, li ma-nifestandosi in una maniera incompleta, e in pochi rag-  giungendo il maggiore sviluppo; e che pertanto l'autorità spetta alla minoranza. E guardando questo lato solo della verità che egli vedeva, difende la sua tesi con quel calore d'entusiasmo, che fu con la facilità della forma una delle cause più efficaci della riputazione conquista-tasi dallo scrittore:  Si toute vérité a son origine dans l'esprit, elle est d'abord à l'état théorique et idéal avant de revêtir une forme matérielle et de passer dans les faits. Dans cet état, elle se trouve en face de la réalité matérielle, il faut qu'elle lutte contre des intéréts et des croyances séculaires, contre des habitudes invétérées; contre les préjugés et l'ignorance. C'est cette vue antérieure et prophétique de la vérité, c'est ce combat pour le triomphe d'une idée, qui constitue l'héroisme et le génie. Or les massesne sauraient s'élever à la conception de l'idéal; car l'idéal ne se révéle qu'à la contemplation solitaire et réfléchie, il demande une culture speciale, une organisation d'élite, et cette  inspira-  tion, qui a sa source dans les profondeurs cachées de l'ame, et qui ne s'éveille que sous l'action paisible et soutenue de l'intelligence et de la volonté. Les masses sont comme emprisonnées dans la réalité visible, et par le gente de leurs travaux, par leurs goûts, leurs habitudes, et par la nécessité où elles sont de pour-voir a leurs besoins matériels, elle ne peuvent franchir les limites du fait et de l'ordre actuel des choses, ni discerner le vrai et le faux, le possibile et l'impossibile 1.  Il vero uomo di Stato non si confonde infatti col po-polo, non se ne fa strumento - che sarebbe interdirsi ogni azione durevole e salutare su di esso; non abdica alla propria individualità, ma la fa servire al bene del paese. Ebbene, se la luce nella società e perciò l'autorità, non sale ma scende dall'alto, al sommo della vita sociale ci sono tre sfere d'attività che riassumono e dominano tutte le altre: la politica la religione e la filosofia. In quale di esse risiederà l'autorità suprema? Nell'uomo politico, nel prete, o nel filosofo? Il V. rinvia la ricerca a un altro studio; ma la risposta è implicita nel suo scritto e nel primo di questi articoli: il potere cioè spetta all'uomo politico, che prende voce e norma dal filosofo. - Con tutto l' hegelismo del V., siamo ancora, almeno fino a questo punto, al concetto della repubblica di Platone!  21. - L' hegelismo tuttavia, a poco per volta, divenne un credo fermissimo pel V.; e la storia della filosofia fini con l'esser messa da parte. Non abbiamo certo Coup d'oeil sur l'Idéalismes, che dovette esser pubblicato prima che il V. passasse in Inghilterra. E di anterioreall'Introduction à la philosophie de Hégel non ci resta che l'opuscolo inglese del 18554, scritto in proposito di  una  Teorica dell' infinito del filosofo scozzese Calder-wood (contro Hamilton) e delle Istituzioni di metafisica del Ferrier: libri che parvero notevoli al V. perché  questi autori  si sollevavano al di sopra del solito empi-  rismo inglese e della filosofia del senso comune. Il giudizio del Ferrier su Hegel (che a guisa di gigantesco serpente boa avrebbe stretto nelle spire delle sue dottrine impenetrabili come diamante tutti gli errori correnti)  dava qui occasione al V. di dichiarare che « ci ha nella filosofia dell' Hegel una certa natural direzione, certi tratti cosi determinati e certe principali conseguenze che non possono sfuggire a chiunque vi si sia accostato, e che formeranno d'oggi innanzi il criterio e la norma direttiva di ogni ricerca filosofica; e di accennare quindi questi punti fondamentali della filosofia hegeliana. In questi punti, evidentemente, si condensa l' hegelismo del  V..  In primo luogo: la filosofia è la scienza dell'assoluto: postulato indimostrabile, perché ogni dimostrazione 1o presuppone, non essendovi intendere che non sia intendimento dell'assoluto. Quindi l'assurdità di tutte le dottrine che cominciano dal negare o mettere in dubbio il valore della conoscenza.  In secondo luogo: chi dice scienza dell'assoluto, dice scienza delle idee, perché tutto si conosce per mezzo delle idee», né possiamo conoscer nulla di là dai limiti del mondo delle idee: onde, se diciamo che l'anima non è un'idea, ma una forza, una causa, una sostanza, che è semplice, immateriale ecc., anche allora, senza riflettervi « noi usiamo delle idee, e descriviamo l'oggetto come unaggregato di quelli stessi elementi che abbiamo respinti sotto un'altra forma ».  In terzo luogo: il metodo filosofico è il metodo proprio della conoscenza dell'assoluto, o delle idee: metodo as-soluto, non essendo altro che la forma dello stesso as-soluto, o la forma in cui le cose esistono e sono cono-sciute: ossia il sistema, nel suo ordinamento dialettico.  In quarto luogo: il sistema importa l'unità e la molte-plicità, elementi identici e contradittori. Il metodo assoluto o speculativo si distingue appunto per questa sua conciliazione dei contrari, onde gli elementi discordi si compongono in armonia.  Con questi concetti Hegel ha dato corpo a uno de' più comprensivi e profondi sistemi che mai vennero fuori della mente umana, il quale abbraccia tutte le parti del sapere, la logica, la filosofia dello spirito, la filosofia della natura, la politica, la filosofia dell'istoria, l'estetica, la religione. Anzi, strettamente parlando, si può dire che nell'istoria della scienza il suo sia il primo e vero sistema, imperocché né Platone, né Ari-stotele, né alcun moderno filosofo hanno avuto un cosi vasto concetto della scienza, e così abbracciato e legato insieme i diversi anelli dell'aurea catena a cui l'universo è sospeso. E uno de' tratti principali di questo maraviglioso filosofo si è che le sue più alte speculazioni hanno un carattere tutto istorico, e un risultamento positivo e una pratica applicazione. Cosi potente e cosi comprensiva era la sua mente, cosi profondo lo sguardo che egli getta nella natura delle cose 1,  E il primo inno cantato dal V. al suo autore, che tornerà a dire nella sua prolusione napoletana: « quella mente prodigiosa e sovrana, che i nostri tempi hanno prodotta, e che, non esito a procla-marlo, per la profondità, per la vastità delle cognizioni, e anzitutto per la mente speculativa e sistematizzatrice tutte le altre ha vinte, ma le ha vinte in sé riepilogandolee concentrandole»*; e altrove: « le plus grand génie dont s'honore l'humanité»=; colui nella cui filosofia e' è tutto, e c'è « comme il doit y être, par là qu' il y est dans  SON existence systématique»3; e la cui  Enciclopedia si  compiacerà di considerare come una nuova Bibbia, « la Bibbia dell' hegelismo, Ed è altresì la prima volta che egli enuncia come titolo singolarissimo della filosofia hegeliana questa sua prerogativa, che poi non si stancherà mai di esibire: la sua sistematicità, parendogli pregio altissimo questo di Hegel di aver trattato ex projesso tutte le parti del sistema della sua filosofia, ed esteso il suo sguardo a tutti i rami del sapere, legandoli fortemente tra loro e creando un vero sistemas: non considerando che non c'è filosofia, né pensiero mai, che non abbia la sua perfetta sistematicità; e che il sistema non consiste nella configurazione esteriore delle parti (al qual patto Wolff è più sistematico assai di Leibniz, e ogni pedante espositore dell'autore esposto), sibbene nella universalità del principio e nella profondità dell'intuizione originaria. Egli superficialmente si contentava della forma estrinseca e non cercava più in là, lasciandosi sfuggire i titoli più autentici del genio di  Hegel.22. -— Ma, tornando ai quattro punti essenziali che gli pareva di scorgere, quando già meditava la sua Intro-duzione, nella filosofia hegeliana, non occortono commenti ad assodare che il suo hegelismo era tuttavia un hegelismo abbastanza platonico; e platonico di quel platonismo della decadenza della filosofia greca, in cui, sorto già lo scetticismo contro la primitiva posizione platonica, la fede nelle idee era ristaurata con nuova e peggior forma di dommatismo. Che sono infatti quelle idee, in cui si risolvono tutte le categorie della realtà, così come il V. ce le presenta, se non le stesse idee vuote della vecchia metafisica wolfiana, riduzione ideale evanescente del mondo, onde tutto si pensa senza nulla fare? quella specie d'oro di Mida, in cui si converte tutto il mondo del povero re, esposto alla dura sorte di morirsi di fame e di sete ?  Questa concezione rimase fitta nella mente del V..  Il quale, nella sua prolusione di Milano Amore e filosofia (11 novembre 186t), uno degli scritti, di cui più egli si compiacque!, ripetendo il ritornello che la filosofia è la scienza dell'assoluto, che l'assoluto è l'idea, in cui si concentrano e unificano la molteplicità e le diffe-renze, sostenne che perciò « la filosofia e la scienza delle scienze e, rigorosamente parlando, la sola scienza, e che tutte le scienze e tutte le filosofie, che lo vogliano o non lo vogliano, che lo sappiano o l'ignorino, sono parti di una sola scienza e di una sola filosofia»: o, come dirà altrove :, tutti gli uomini sono hegeliani senza saperlo. Poiché pensare e intendere è pensare e intendere idee, e non e' è altra filosofia o scienza che l'idealismo assoluto 3. Sicché il materialista, che non pensa « la materia, la forza, la na-tura senza le idee di forza, di materia e di natura», è anche lui a suo marcio dispetto dentro l'idealismo, e non se n'accorge. E come il materialista, lo scienziato, il fisico e il matematico sono idealisti senza saperlo; perché tutti maneggiano le idee; e non potrebbero fare altrimenti. E nella già citata prolusione della fine dello stesso anno ripeté le stesse cose ponendo in forma più ingenua l' inconsapevole dualismo e il conseguente dom-matismo in cui egli restava sempre impigliato. « Nella stessa guisa che non si può pensare il triangolo, o il bene, o la giustizia, o la luce, o il tempo, o lo spazio, o un altro ente qualsiasi senza l'idea che ad essi corrisponde, così non si può pensar l'assoluto senza l'idea dell'assoluto » 1.  Non si potrebbe più chiaramente confessare che questo assoluto, il quale deve generare non solo l'essere ma la cognizione dell'essere, non si sa d'altra parte concepire se non come l'obbietto della mente, in sé, perciò, estraneo alla mentalità, e l'idea della mente come altro dall'assoluto a cui deve corrispondere. E come corrispondere ?  23. - Il V. non ebbe mai un orientamento storico degno di una filosofia come la hegeliana, che concepisce tutte le filosofie precedenti come suoi momenti. Chiusosi nello hegelismo, ei fu subito tratto instintivamente dal suo cattivo genio a tagliare i ponti con tutti gli altri sistemi e principii filosofici, di cui avrebbe invece dovuto cercare i rispettivi gradi di verità. Nelle Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale, combattendo l'empi-rismo inglese, si rifà dalla dottrina baconiana dell'indu-zione, e giudica a questo proposito Bacone. E lo giudica cercando se nel Novum Organum ci sia un principio nuovo.  L'induzione? Ma negli Analitici di Aristotele la natura di questo metodo, le sue leggi, i suoi limiti, le sue rela-zioni con la conoscenza oggettiva  Sono  State descritte  con quella maniera concisa ma sostanziale che è propria del filosofo greco. Né Bacone vi ha fatto alcuna giunta essenziale. Peggio: Bacone non aveva un concetto esatto della natura della scienza e delle sue esigenze, e però né anche della stessa induzione, come è dimostrato dalla sua pretesa che la scienza non si possa ottenere se non induttivamente. Bacone, troppo poco versato nella flo-soha greca, non vide che le sue novità erano vecchie: i suoi contemporanei « non meglio istruiti di lui sulle fonti originali e sul vero valore delle teoriche aristoteliche, accettarono leggermente le sue opinioni., Insomma, tutta la fama di Bacone è una fama scroccata, fondata su errori di fatto, cui basterebbe a correggere il solo voltare la pagina di un libro».  E con questi profondi criteri storici scrisse in inglese nel 57 uno studio su Bacone, in certo giornale, Emporio italiano, che egli stesso dirigeva:: dove le stesse considerazioni delle Ricerche sono svolte e confortate dall'analisi di alcune dottrine baconiane per conchiudere egualmente, che si può cancellare dalla storia del pensiero speculativo un così importante momento qual è, per chi l'intenda, questa prima affermazione, nell'età moderna, della storicità del sapere o del momento della certezza.  Il saggio finisce con una sentenza che potrebbe esser profonda, ma è piuttosto superficiale: « La scienza, anziché essere la esatta riproduzione e la copia fedele del-l'esperienza, dev'esser in certo senso l'opposto dell'espe-rienza; e quindi voler fondare la scienza sulla esperienza è andare a ritroso della scienza stessa ». Frase che, ristampando il saggio nel 1883, l'autore stesso senti il bisogno di commentare con autocorrection.cancel lunga nota, poiché gli si affac-ciò il sospetto che una volta che c'è il mondo dell'esperienza e dell'induzione, il mondo fenomenale debb'avere anch'esso la sua ragion d'essere e contenere la verità; sicché esagera negando alla cognizione empirica ogni ragione ed ogni verità». E si scusava adducendo che il suo scritto aveva carattere popolare, e che egli vi s'era proposto di mettere sopra tutto in rilievo il lato vulnerabile del-l'empirismo, e che infine la verità della cognizione empirica è una « verità subordinata, una verità, cioè, che non rinchiude in se stessa la ragione del suo essere, e suppone quindi una più alta verità; e che perciò quando l'empirismo pretende di essere il solo e vero organo della verità, «esso sconvolge l'ordine delle cose e nel fatto nega ogni verità e cognizione. Scuse troppo magre, perché queste ragioni potevano limitare, non negare il valore di Bacone.  24. - E in realtà quale sia la verità dell'empirismo né allora né poi il V. volle mai dire 1. Nelle Ricerche, postosi sullo stesso terreno dell'empirista, l'esperienza la concepisce, per rigettarla, allo stesso modo di chi ne fa l'unica fonte della conoscenza quasi sbocco nel pensiero, di una realtà esterna. E contro Locke sostiene che tutte le idee sono innate, perché non c'è sensazione che possa essere avvertita, e cioè pensata, come una sensazionesenza un idea corrispondente; che il non esserne mai consapevoli non prova, come credette il Locke, che non esistano, come non si può dire « che non vi siano leggi che regolano le operazioni organiche del corpo perché  da prima camminiamo, mangiamo, digeriamo senza es-serne consci, ed ignorandole». L'empirista, intento ad osservare e raccoglier fatti, non s'accorge di adoperare una quantità di principii, che pur « debbono preesistere nella sua mente, e dee la sua mente concepirli, ancorché oscuramente e sotto un' incerta e confusa luce.. - Dove parrebbe di scorgere una prova che ancora il V. non si fosse dato la pena di studiare la Critica della ragion pura, né i Nuovi Saggi sull' intelletto umano.  Di Leibniz si occupò nel 186r nella sua polemica col  Saisset e col Janet ‹, poiché il primo di questi, parlando  insieme di Leibniz e di Hegel, aveva accennato a met-tere il filosofo della Teodicea al di sopra di quello della Fenomenologia: e il nome del Leibniz, grazie all' interesse per gli studi storici suscitato e nudrito dall' impulso del Cousin, era salito in auge in Francia, e Foucher de Careil aveva dato i due volumi del carteggio di Leibniz con Bossuet, e l'Accademia aveva messo a concorso un tema sulla filosofia leibniziana, ottenendo due lavori degni del premio, uno dello stesso Foucher de Careil e l'altro del Nourrisson. Il V., che gia insegnava storia della filosofia, e si professava hegeliano, dice a questo pro-posito in tono tra l'ironico e lo stizzito:  J'ai moi aussi le culte des morts, qui est une religion, on l'a dit, je crois, et qui, comme toute religion, est utile aux vivants.  Aussi l'Acadentie mettrait-elle au concours la vie et les gestes de Confucius, ou de Menou qu'il faudrait lui en savoir gré. A plus forte raison, faut-il lui en savoir, lorsqu'elle fait de son mieux pour entourer d'une nouvelle auréole un nom comme celui deLeibriz. Jusque là c'est très-bien. Mais ce qui est moins bien, ce que du moins je ne puis approuver, et ce qui pourrait même au besoin m'indigner et me révolter, c'est qu'on fasse du bruit autour d'un mort pour étouffer la voix des vivants, c'est qu'on veuille donner à une ombre des proportions gigantesques pour couvrir et effacer un véritable géant.  E alzando sempre più il tono:  Voilà ce que je ne veux point, et ce que je combattrai de toutes mes forces, eusse-je devant moi l'ombre de Platon ou d'Aristote. Et, en combattant ainsi, je croirai combattre, non sculement pour la vérité et la justice, mais pour la dignité de mon siècle, et de la nature humaine.  E pare credesse sul serio che si « esumasse » Leibniz, e si « facesse chiasso» intorno a questo nome per dirci che l'epoca dei giganti è passata e siamo a quella dei  pigmei; sicché oggi « per colpire Hegel» ci serviamo di  Leibniz; domani si potrà esumare Plotino, Giamblico, per mostrare, come diceva il Saisset, che la dottrina di Hegel è quella del vecchio panteismo: et nous reculerons ainsi, s'il le faut, jusqu'au paradis terrestre1 Onde ridu-ceva la questione a questi termini:  Ainsi donc, vous nous dites, Leibniz est un grand personnage, et Hégel n'est pas un grand personnage, car c'est là, au fond, la pensée qui domine dans l'écrit de M. Saisset. À cela je repon-drai sans hésiter, si Leibniz est grand, Hégel est plus grand encore.  passi. Ma il V., per rendere, com'egli dice, più preciso e più sensibile il proprio pensiero, aggiunge che «se Leibniz non fosse esistito, la catena della scienza non sarebbe punto spezzata, perché noi avremmo Newton a prendere il posto lasciato da Leibniz», che è un gran matematico, ma un mediocre filosofo e un diplomatico: diplomatico non solo nelle controversie religiose, ma nella stessa filosofia. « La sua filosofia è la filosofia degli espe-dienti, delle parole e delle apparenze. Quando non intende la cosa, mette una parola al suo posto; quando una difficoltà lo stringe, non vi si sottrae attaccandola sinceramente e di fronte, ma per l'uscio di dietro ».  E della sua critica concreta basti un esempio. Che è la monade di Leibniz? Questi parte dal principio che ogni essere o ogni sostanza composta, in quanto tale, deve risolversi negli elementi componenti semplici e indivi-sibili; che sono appunto le monadi. - Ora che metodo è questo? Decomporre un tutto nelle sue parti: il metodo che aveva prodotto l'atomismo: metodo volgare, arbi-trario, che non si preoccupa niente niente di giustificarsi.  Perché si decompone? a qual fine? che si cerca? Nessuna risposta. E si può decomporre un tutto? Ma se certi elementi sono uniti in un tutto, il loro essere dipende anche dalla loro unione, e separarli è distruggerli.  Donde poi le escogitazioni puramente verbali dell'armonia prestabilita e delle fulgurazioni della monade delle mo-nadi, necessarie per ricostruire alla meglio quell'unità malamente infranta. - Critica, che è vera certamente ed hegeliana: ma ha il gravissimo difetto (e difetto tutt'altro che hegeliano!) di essere soltanto negativa, e non saper vedere il pregio grandissimo della monade leibni-ziana, come la prima concezione, nella storia del pensiero umano, dell'autonomia assoluta dello spirito.  Né più penetrazione e simpatia storica ebbe per l'altro grande filosofo prussiano, E. Kant, malgrado la sua capitale importanza nella genesi dell' hegelismo.  Ogni volta che ne scrisse 1, ne disconobbe affatto il va-lore, guardando solo al lato negativo della filosofia critica,e sconvolgendo co'  suoi giudizi tutta la storia che la pre-  para. Non può intendere Kant, chi non intenda Cartesio.  E che è Cartesio pel V.? Uno scettico, da dar dei punti a Carneade. E vero che la dottrina della versimiglianza è per l'accademico il risultato della scienza; e il dubbio è, invece, per Cartesio un punto di partenza e il mezzo di purificare la mente che deve accingersi alla ricerca della verità. « Tuttavia, questa differenza fra le sue dottrine è più apparente che reale. Imperocché ogni qual volta si fa del dubbio una condizione o un elemento essenziale della cognizione, ch'egli si mostri al punto d'arrivo...  o al punto di partenza.... il risultato è lo stesso: si colpi-sce, cioè, la scienza nella sua essenza, che è l'affermazione, e la si rende impossibile »1. E non riesce a scorgere mai né la ragione metodica del dubbio cartesiano, dimostrazione di quel carattere essenziale della conoscenza, che è la certezza, o presenza del soggetto nella verità; né della necessità di quel dubbio, per giungere all'affermazione tutta cartesiana del cogito; né il significato di questo  cogito 326. - Scettico Cartesio, due volte scettico Kant.  Contro il quale il V. non si stancò mai di ripetere la critica hegeliana (che in Hegel ha un valore affatto in-cidentale) della assurdità di una ricerca sul valore della cognizione come necessario preliminare all'uso della cognizione stessa. Critica, sulla quale non giova insistere troppo contro Kant, che dal bisogno di una preliminare teorica della conoscenza non parte per giungere allo scet-ticismo, ma alla giustificazione di una sua positiva filo-sofia; essendo questa la natura propria di ogni filosofia, ossia della filosofia, di essere un circolo, in cui non si può muovere da un punto senza volgere le spalle a tutto il resto del cerchio che si ha da percorrere. Ma, a parte questo punto, che non fu chiaro nemmeno a Hegel, del V. è tutta la scoperta (in un suo articolo del '60) che uno dei risultati» dell'analisi kantiana dell'intelligenza « fu, com' è noto, la discoperta di un doppio elemento in ogni atto o operazione del pensiero, di un elemento estrinseco, cioè contingente e variabile, il feno-meno, e d'un elemento intrinseco, necessario e inva-riabile, il noumeno: il quale venne da Kant suddiviso in categorie e idee:!. Confusione tra noumeno e categorie o idee (ossia di ciò che vi ha di più opposto per Kant), che non impedisce al V. di identificare poi il noumeno con la cosa in sé, mediante l'equazione del noumeno con « Dio, l'idea, l'assoluto». Onde la sua critica di Kant culmina in quest'accusa, che in realtà, la sensazione costituisce il criterio della filosofia critica, e tutti i suoi ragionamenti vertono intorno a questo principio: l'assoluto, il noumeno, la cosa in sé (Ding an sich), come Kant la chiama, non possono esser conosciuti ed affermati, perché non possono essere sentiti e imaginati ». Così non v'ha dubbio che Kant stesso (quellosopra tutto dalla seconda edizione della Critica) si sarebbe visto camuffato da scettico!  Il V. dovette più tardi, io credo, leggere l'opera maggiore di Kant, e della sua dottrina tornò a discorrere un po' distesamente all'Accademia delle scienze morali e politiche di Napoli nel 1882. Dopo la solita accusa di scetticismo larvato, prese ad esporte umoristicamente la teoria kantiana dell'esperienza, accennando la decomposizione dell'atto dell' intendimento in forma a priori e contenuto a posteriori, o categoria e dato sensibile. Due elementi, che non sono separati, ma uniti indivisibil-mente.  Come, adunque, S'incontrano e si uniscono? Nulla di più semplice. Quando il mondo esterno, la natura, viene col concorso della sensibilità a bussare alla porta della intelligenza, questa sorge dal suo letargo, trae fuori dal suo arsenale le categorie, e risponde alla chiamata battezzando e imponendo un nome al-l'obbietto, e impartendo con ciò a se stessa una esistenza e una realtà obbiettiva. Quindi l'esperienza è un battesimo in cui il neonato, l'obbietto esterno, riceve un nome, una forma razionale che lo trasforma in un qualché d' intelligibile 1.  E dopo questa caricatura, eccolo a far la voce seria e a rimproverare Kant di aver diviso i due elementi del-l'esperienza: chiudendo gli occhi, malgrado i magistrali lavori dello Spaventa, che c'erano stati in Italia, e malgrado le profonde interpretazioni di Schultze e di Beck prima, e poi di Fichte (che il V. non avrebbe dovuto ignorare), su tutta l'attività creatrice dello spirito, che plasma e governa l'esperienza di Kant.  Qui, se non confonde più categorie e noumeni, continua a ritenere sinonimi nel linguaggio kantiano noumeni, cosa in sé e idee, e la ragione chiama • facoltà dei nou-  meni, cioè delle idee propriamente detten e dalla semi-passività delle categorie, la cui funzione è subordinata al concorso dell'oggetto esterno, argomenta:  Se gli elementi, o principii che costituiscono l'esperienza, sono limitati, subordinati e passivi, ne siegue ch'essi presuppongono un principio attivo che li domina, che è il loro comune prin-cipio, la loro unità, e di cui sono le differenze, i momenti. La cosa in sé, il noumeno, l'idea di Kant altro non può essere che siffatto principio. Il noumeno è principio del fenomeno, vale a dire della categoria e dell'obbietto sensibile, come anche del loro rapporto, della loro unione, cioé, nell'atto sperimentale, nel fe-  nomeno.  E cosi, per intendere la sintesi a priori guarda all'estremo opposto di quello, a cui la storia della filosofia già, continuando Kant, aveva guardato.  Eppure, nell' Introduction à la philosophie de Hégel il V. riconobbe che accanto ai risultati negativi della critica, vi son pure in quella filosofia « des germes si fé-conds, des vues si larges et si riches, et une intuition si profonde de la science, qu'elle était destinée à susciter un grand et nouveau monvement» t. Ma li dall' indirizzo stesso della sua ricerca, in cui si proponeva di sbozzare in qualche modo il risorgimento dell'idealismo fino al suo culminare in Hegel, era stimolato a cercare in Kant l'addentellato della filosotia posteriore. Ma anche li, quali sono pel V. i meriti di Kant? Tutto si riduce a questo: che Kant, pel primo nei tempi moderni, ha ricondotto l'idealismo sul terreno dell'ontologia, provocando cosi, dopo Platone, una nuova ricerca sulla natura delle idee.  Infatti, « movendo dal principio che ogni conoscenza si fonda su una forma primitiva del pensiero, fu condotto a seguire il pensiero in tutte le sue applicazioni e in tutte le sfere della sua attività, e a fissare per ciascuna d'esse l'elemento essenziale che la regge e determina. Dondenumerose ricerche concernenti la cerchia intera delle cognizioni, la metafisica, la morale, la natura, la religione, il diritto, l'arte, . dove Kant si sforza sempre di cogliere le leggi invariabili e assolute dell'intelligenza ». Sicché il pregio dell'idealismo kantiano consisterebbe nell'esempio dato di una indagine universale governata da unità di principii: l'unità della scienza e del metodo: « voilà le côté posilij el vraiment fécond de la philosophie de Kant, et c'est par ce côté qu'elle se rattache au monvement ulté-rieur de la philosophie allemande». Concetto che non gli potrebbe servire a una qualunque ricostruzione di questa filosofia; se egli (messo, forse, sulla strada dalla fonte di cui si doveva servire) non passasse poi a determinarlo altrimenti, facendo consistere l'unità di principio, portata da Kant in tutta la scienza, nell'idea considerata come condizione assoluta della conoscenza, e il processo speculativo da Kant ad Hegel nel passaggio dell'idea stessa da condizione della conoscenza a principio assoluto delle cose. Quel che segue infatti, dove passa a mostrare che i germi di questa trasformazione erano già in Kant, non può essere pensiero del V., il quale non se ne ricordo mai, in séguito, nei suoi giudizi sul criticismo. Il passaggio da Kant a Hegel era per lui oscuro, e chi sa donde è attinta questa giustissima osservazione, dove per altro talune espressioni incerte e poco esatte tradiscono una conoscenza indiretta: che « nella filosofia kantiana, quantunque essa faccia una larga parte all'esperienza, considerata come condizione all'esercizio dell'intelletto e il solo mezzo di verificare il valore oggettivo delle sue leggi, il pensiero conserva la sua superiorità sull'esperienza, e, anzi che ricevere da essa le sue leggi, gliele impone in guisa che esso foggia (jaçonne] e si assimila i fenomeni, i quali non possono giungere a lui se non attraverso le sue forme e le sue leggi»; e quest'altra idea, più profonda, che «l'atto trascendente e sintetico della coscienza, iopenso, vi è presentato come la condizione essenziale e, per dir cosi, il substratam di ogni conoscenza, e costituente l'unità della coscienza e di tutti i suoi elementi, delle sue appercezioni interne o esterne, delle categorie e delle idee come dei materiali forniti dall'esperienza. Anche il passaggio da Kant a Fichte (il V. pare non sappia nulla dei minori kantiani che spianano la via a Fichte) è bene rappresentato, almeno in appa-renza: osservandosi che le leggi del pensiero non sono poi elementi vuoti e inerti, ma potenze, forze che producono i fenomeni; e che il loro centro è in quell'unità profonda dell'Io («la cui forma più elevata è l'atto sintetico del pensiero i); e però dall'Io scaturisce ogni attività dell'intelletto, e quindi questo mondo esterno e oggettivo, su cui l'intelletto si esercita. Donde Fichte, che pone nell'Io l'unità delle cose. Ma le poche pagine dedicate al pensiero di Fichte sono seguite da critiche, che dimostrano la scarsa familiarità del V. con quel pensiero in relazione ai principii più profondi della Cri-tica, e la sua incapacità di apprezzare storicamente questi punti capitali della preparazione allo hegelismo.  Tutto il progresso di Fichte è raccolto in queste tre osservazioni, superficiali o del tutto erronee: che Fichte ristabili l'unità della intelligenza, che Kant aveva spezzata con la sua divisione della ragione, in pratica e spe-culativa; 2) dedusse con metodo rigoroso l'una dall'altra le varie parti della conoscenza, facendo così sentire sempre di più il bisogno e mostrando insieme la possibilità di organizzare la scienza secondo i rapporti interni delle sue parti; 3) facendo dell'Io il principio del pensiero e dell'essere, «provocava ricerche più profonde sulla natura e le leggi del pensiero e i loro rapporti con le cose, e preparava la via alla filosofia dello spirito di Hegel ».  Ma la parte negativa, al solito, supera di gran lunga lapositiva; e le censure si accumulano l'una sull'altra con una desolante inintelligenza. Eccone qualche esempio.  Le deduzioni di Fichte non penetrano gran che nella natura delle cose, di modo che non si vede né perché né come si producano le opposizioni e come si passi da un termine all'altro. — Il non-io è contenuto bensi nell'Io (anzi, dice il V., dans la notion même du moi) ma questo punto non è dimostrato; perché Fichte non s'era elevato a quel metodo che ricava dal concetto di una cosa la sua differenza e la sua unità. Il suo metodo era ancora accidentale ed estrinseco; e però egli ridusse tutte le opposizioni a quelle di lo e non-Io, laddove la contradizione c'è anche nel non-lo preso separatamente (bel gusto, invero, a prenderlo separatamente, dopo Fichte!). - E poi l'Io è un concetto o una forza? (domanda, che è una rivelazione o una confessione rispetto alla posizione del V. nell'intendere la natura del movimento del pensiero nella logica hegeliana). - Ancora: I' Io di Fichte, se è un lo relativo, contingente e finito, si lascia sfuggire l'assoluto e l'infinito della scienza; se è l'Io assoluto, allora la sua tendenza, il suo sforzo infinito per attingere l'assoluto è inesplicabile. E via di questo passo, o con questi salti. Ma il più curioso è che il V. infine dice: «Telles (0 sont les lacunes que présent la doctri-ne de Fichle et que Schelling s'efforça de faire disparaitre. E sorte non migliore, per iscarsa o nessuna conoscenza diretta e per divergenza di punto di vista, capita quindi a Schelling, di cui il V., non occorre dirlo, non sospetta nemmeno il reale motivo speculativo e il progresso vero su Fichte: e il cui sistema giudica, a un tratto, come « plutot une oeuvre d'arl qu'ane ocuore waiment scientifique,.. plutôt le produit de la jeunesse que de la maturité de la pensée d'une vive et riche imagi-nation que de celle intuition profonde et réféchie, qui est le résultat des procédés sevères de la sciencent.  Se cosi giudicava i maggiori filosofi tedeschi, che non fossero Hegel, qual meraviglia che non tenesse in nessun conto tutti i filosofi italiani? Quanto più d' ingegno e di dottrina spiegava il suo collega napoletano  B. Spaventa a mettere, come si dice, in valore la filosofia italiana, dimostrando con le sue penetranti investigazioni i tesori di pensiero che si celavano nelle sue viscere, tanto più il V., la cui cultura s'era formata fuori d'Italia, e che, scrivendo in Francia, aveva finito col non dire più  'i francesi ' ma 'noi'=; e imbevutosi dell' hegelismo, non aveva più saputo guardare all'Italia con altri occhi, che quelli onde, in generale, tutti i romantici tedeschi vi guardarono commiserando 3; tanto più, il V., per cuidunque non esisteva il problema dello Spaventa, di edificare sulle fondamenta, e svolgere il pensiero italiano,  movendosi dentro di esso e movendosi con esso, più s' impuntava, assai poco hegelianamente, ad asserire che in Italia non s'era mai filosofato, e che bisognava rifarsi da capo. Una eccezione parve talora farla pel Bruno, celebrato da Hegel come » nobile anima, che sente in sé l' immanenza dello spirito e intende l'unità della sua essenza e dell'essenza universale come tutta la vita del pensiero. Nella sua prolusione a Napoli, la occasione stessa l'obbligò quasi a ricordare i due grandi nomi na-poletani: Bruno e Vico. E il primo mise al di sopra del secondo, quantunque manchi a quello « sopratutto il punto di vista, o concetto istorico, concetto importantissimo e che è il segno caratteristico, e dirò come il trionfo della filosofia moderna»: e l'abbia invece il Vico, e sia anzi la sua originalità. Pure, «Bruno è un profondo me-tafisico, a tal segno ch' è come l'eco dell'antica filosofia e il precursore della moderna». Ma non andò (né credo potesse con la cognizione che doveva averne) oltre tali e simili generalità. A cui si attenne anche lo scolaro  Raffaele Mariano in quel suo pamphlet sulla filosofia contemporanea italiana, in cui si fece, come già in altri scritti, organo del pensiero del V.. Tra BRUNO (si veda) e VICO (si veda)  V. non vedeva che tenebre. Di Campanella mai una parola, che io sappia. Vico è lodato caldamente in un articoletto (L'esegesi), scritto in Inghilterra con qualche accento di italianità: lodato come « genio profondo e originale», « uno dei primi, per non dire il primo, ad entrar nella carrieran in cui andarono poi tanto innanzi i tedeschi, della critica erudita e della filologia: come quegli che nel De antiquissima Italorum sapientia « ha poste le basi della critica filosofica delle lingue», nel De unico principio et fine tris (sic) « ha poste le basi della critica del diritto e nella Scienza nuova ha fondato la filosofia della storia, e quindi i principii della critica storica. e con la sua teoria sul « vero Omero » va considerato «come il punto di partenza e il motore di tutte le ricerche posteriori sulla questione omerica..  Giudizio molto modificato più tardi:, in parte corretto (in ciò che concerne il De antiquissima ne aveva bisogno), in parte peggiorato e ravvolto in un apprezzamento complessivo superficialissimo. « Vico è un mediocre me-tafisico. Trasportando l'idea platonica, e anzitutto l'idea della repubblica di Platone nella storia comprese che avervi una storia ideale. Questo intese, ma mal comprese; e mal comprese ed attuò, perché alla verità e altezza del concetto non aggiunse una facoltà vera-mente speculativa». Non seppe addentrarsi nella cognizione dell'idea, «sia con uno studio profondo delle dottrine platoniche e aristoteliche, sia con indagini proprie e veramente originali». Avrebbe dovuto costruire prima l'idea della storia, e indi desumere il fatto o storia reale delle nazioni. E invece mosse dal fatto, la storia di Roma, e però non poté intendere l'Oriente, la Grecia, il Cristianesimo e le nazioni e la storia moderna (che sono, come ognun vede dall'indice della Filosofia della Storia di Hegel, le altre parti della trattazione hegeliana, oltre la storia romana). Più tardi disse che Vico intravvide, non vide la vera idea della storia!. Viceversa, discorrendone più di proposito nella Introduzione alla filosofia della Storia :, tornava ad asserire che « il gran pregio di VICO (si veda), che niuno potrà rapirgli, sta in questo, nell'aver pel primo riconosciuto che l'idea è il principio della storia». Ma, con l'usata deplorevole confusione,  accettava l'inter-  pretazione platonica che il Vico stesso fa delle sue idee, parendogli chiaro che «studiando la teorica platonica delle idee, comprendendo, cioè, l'importanza e la funzione dell'idea dell'universo, si giunge naturalmente al punto di vista di Vico. E d'altra parte, guardando poi all'applicazione che il Vico aveva fatto della sua dottrina alla scoperta del vero Omero, dove il Vico non avrebbe inteso che l'idea non si manifesta se non incarnandosi in certi individui, non dubitava di arguirne che  *Vico non intese la vera natura dell'idea, né quella del suo rapporto con la storia e con l'individuo ».  E dopo Vico? «Vico», risponde per lui il Mariano, « è un'apparizione che non ha antecedenti e non lascia tradizione »3. E poiché Vico non ebbe coscienza della me-tafisica richiesta dal suo concetto storico della scienza, si può dire che « il pensiero italiano chiuda il suo ciclo storico con Bruno, e s'estingua, se cosi può dirsi, sul suo rogo». Doloroso a dirsi: l'Italia moderna non esiste nella storia, se esistere nella storia significa rappresentare un'idea; o esiste pel suo papato. Dall'alto di questo giudicatorio universale, che diventavano quei pigmei di un Galluppi, di un Rosmini, di un Gioberti, di cui faceva tanto caso lo Spaventa? Il Mariano risponde:  « A nostro avviso, i filosofi italiani degli ultimi tempi non hanno contribuito in nessuna maniera con le loro dottrine al movimento e allo sviluppo del pensiero filo-sofico; poiché, oltre a venire quando tutto lo sviluppo di questo pensiero era già compiuto, essi si chiudono in punti di vista esclusivi e subordinati. Le loro dottrine non sono siste-matiche, nascono non si potrebbe dire donde né come,  senza aver nemmeno una coscienza chiara di se stesse, né della filosofia in generale; e infine segnano un regresso e una decadenza del pensiero. La tesi dello Spa-venta, che non intendeva si potesse trapiantare in Italia una filosofia la quale non avesse nessun appiglio nella tradizione del suo pensiero, e che andava orgoglioso di aver dimostrato che tutti i nostri più grandi pensatori da Bruno a Campanella al Gioberti s'erano mossi nello stesso circolo del moderno pensiero europeo, pareva al Mariano e al V. « falsasse il concetto della filosofia, del suo oggetto e della sua storia», uno di quei « tours de force intellettuali, che non sono rari, che sono anzi disgraziatamente troppo comuni, e consistono nel mettere in una dottrina quel che è nel nostro proprio pensiero e nel pensiero d'un altro».  Bella testa davvero quello Spaventa, che veniva a dire 'a questi asini papalini degl' Italiani, che alla fine la filosofia di Hegel non era poi l'ultima parola dello spirito speculativo, e non si doveva ripetere e commentare meccanicamente le sue deduzioni come tante formole sacramentali. « Parole sonore, ma vuote. L'essenziale è intendere quelle deduzioni e quelle formole, come piace allo Spaventa di chiamarle. Ma lo Spaventa le intende ?  Par di no, dacché identifica [e non era vero] Gioberti e Hegel. Poi che il pensiero di Hegel possa essere ulteriormente svolto e compiuto entro certi limiti, nessuno hegeliano, noi crediamo, si rifiuterà di ammetterlo. Ma se lo Spaventa avesse inteso la storia della filosofia e l'hegelismo, avrebbe visto che non sono possibili svolgimenti ulteriori deviando o uscendo dal pensiero hegeliano, e in questo senso può dirsi che la filosofia di Hegel sia per l'appunto l'ultima parola dello spirito speculativo. Che poteva essere magari la convinzione dello Spaventa, ove si dia a questa frase un significato rigoroso, che non era disposto di certo a darle né il Mariano né il V., quando questi scriveva p. e, che « la filosofia di Hegel chiude, quanto alle parti costitutive, il ciclo storico della filosofia; quantunque non vogliamo negar con ciò la possibilità di altri svolgimenti, ma sempre di un ordine particolare e subordinato, che il pensiero filosofico potrà ammettere »3. - Uomo pericoloso quello Spaventa, infido hegeliano! Quei suoi Principii di filosofia, cominciati a pubblicare nel 1867! Sempre quel suo fare d'uomo che dice e non dice (les mêmes allures contournées et de-tournées !), quell'ambiguità di linguaggio, quell' hegelismo che non è punto hegelismo: « una logica hegeliana che si dà delle arie di non sappiamo qual'altra logica: infine, una filosofia nuova, ma stranamente nuova, prima perchévi si dà per nuovo quel che Hegel stesso e dopo Hegel alcuni de suoi discepoli hanno esplicitamente e da lungo tempo insegnato, e poi, sopra tutto, perché non si potrebbe dire che cosa è, donde viene e dove va, e perché non può avere altro risultato che di creare o perpetuare l'equivoco, la confusione e l'indisciplina degli spiriti».  Cosi dal V. aveva imparato a giudicare dello Spaventa, uno scrittorello, che, tanto per accreditare la filosofia hegeliana, rifaceva in quattro e quattr'otto e tenendosi sempre sulle generali, senza analisi di testi, né discussione di punti controversi, la storia della filosofia italiana, e sentenziava che quella specie di eclettismo del Galluppi era un « fenomeno isolato e accidentale, che non s'era accorto di venire al mondo quando il movimento filosofico tedesco con Hegel era « achevé, lorsque l'idéalisme étail une doctrine constituée» (povero Galluppi!). Il pensiero del Rosmini è più vasto e completo, ma è un vano sforzo • di risuscitare la filosofia scolastica, e, per questo rispetto, un regresso. Gioberti poi « non soltanto un'apparizione inutile nell'ordine del pensiero come in quello della storia, ma la negazione della storia e della scienza " 5  Lo Spaventa ne aveva fatto la satira anticipata. A proposito di costoro che non vedevano nulla di nulla in Italia, e la filosofia morta da due o trecento anni, e si scalmanavano a raccomandare l'idea, a rifarsi dalla idea, e sopra tutto a far come loro (e guardate a noi, fate come facciamo noi, e dite come diciamo noi: uno, due, tre; e ritornerete vivi, sani e salvi; e sarete felici »)  aveva ricordato « un tale, bravomo del resto; il quale un giorno, di pien meriggio, nel mese di luglio, non sapendo che fare e avendo accolto in casa, nel suo gabi-netto, numerosi amici, chiuse ermeticamente le impostedelle finestre e l'uscio, e all'oscuro accese subitamente un suo lumicino, e fattosi in mezzo, non per gioco, ma col maggior senno del mondo, esclamò: - Non temete; ecco, io vi riporto la luce!* E la satira conchiudeva: « Mi fu detto poi, che il brav'omo fini i suoi giorni al mani-comio, e non parlava d'altro che del lume spento e del suo lumicino. Quando imprese la sua volgarizzazione della filosofia hegeliana, V. non s'era proposto se non di tradurre in francese la piccola Enciclopedia di Hegel, come già erano state tradotte le opere principali di Kant, Fichte, Schelling, l' Estetica dello stesso Hegel e una parte della Logica. Ma estremamente prolisso com'era, e com'è degli scrittori che non approfondiscono il pensiero e scivolano sulle difficoltà, postosi a scrivere un proemio introduttivo alla traduzione, la materia gli crebbe ben presto tra mani fino ad imporgli la necessità di pubblicare questo scritto a parte, come formante da solo un tutto « indipendente, sotto certi aspetti, dal sistema di Hegel», le cui tre parti pensò quindi di dare poi in tre volumi distinti. Se non che quando poté cominciare a pubblicare la sua traduzione, penso che se a tutta l'Enciclopedia aveva mandato innanzi una introduzione generale, una speciale per la Logica, ossia per la prima parte, da cui gli toccava di cominciare, sarebbe stata pure opportuna.  E cosi per la sola Logica occorsero già due volumi 3;come tre gliene occorsero poi per la Filosofia della natura 5  infarcita di lunghissime note, oltre la solita vasta introduzione; e due infine per la F'ilosofia dello spiritos, ma grossi: perché, pubblicato a tre anni di distanza dal primo, il secondo gli parve che non potesse andar privo di una nuova speciale introduzione. E tra introduzioni prime e seconde, avant-propos e avertissements premessi agli avant-propos, commenti perpetui, appendici, pole-miche, si esauri tutta la sua attività letteraria non impiegata nel tradurre il testo. Tutta, o quasi tutta. Quando parve proporsi un tema di trattazione originale, come il Cavour (1871) e il Problema dell'Assoluto (1872-82), in fatto continuò egualmente a discettare intorno all'uno o all'altro punto di dottrina hegeliana; e quando, come nel Problema dell Assoluto, doveva pure levar l'ala pervoglia di volare, finiva tosto per fare come il cicognino dantesco, che  non s'attenta  D'abbandonar lo nido, e giù la cala.  E lasciava interrotto il lavoro.  L'opuscolo sulla Pena di morte (1863) 1, che, per il vivo interesse che suscitava allora la questione in Italia, fu degli scritti più noti, più letti e discussi del V. 3, è anch'esso un commento a un'opinione dell' Hegel.  L'Introduzione alla filosofia della storia (1869) sono corsi di lezioni raccolte da uno scolaro, le quali non hanno nessuna pretesa d'originalità scientifica. Lo Strauss, l'ancienne et la nouvelle foi (1873) si propone di chiarire e confermare la filosofia della religione di Hegel contro il radicalismo teologico dello Strauss. Si può dire pertanto che tutta l'opera del V. si riduca alla traduzione e al commento dell' Enciclopedia di Hegel con speciale insistenza sulla parte che riguarda la filosofia della religione.  Opera certamente assai benemerita pei vantaggi arrecati alla cultura delle nazioni latine, principalmente della Francia e dell'Italia, in un tempo in cui la filosofia di Hegel era venuta in discredito, le sue opere apparivano in conseguenza assai più difficili che in realtà non siano, e facevano torcere il muso agli studiosi, i quali non avrebbero forse letto nulla di lui, se non avessero avuto a portata di mano quell' Hegel volgare (come avrebbero dettoi nostri antichi), così agevolmente accessibile nello sciolto francese in cui il V. lo dilavò, e cosi largamente illustrato da chi non dubitava di parlare come l'autentico interprete dello hegelismo. Soltanto in questi ultimi anni le sue traduzioni sono state, nel rinnovato studio di Hegel, riscontrate accuratamente con l'originale; e trovate malfide. Se nella prima traduzione della Logica gli errori d'interpretazione erano frequenti, i lettori non lo seppero forse prima che ne li avvertisse lo stesso V. quando li corresse nella seconda?. Lo stile discorsivo, senza muscoli e senza nervi, del traduttore non somigliava punto a quello di Hegel: ma chi se n'accorgeva ?  I punti più delicati ed essenziali dello hegelismo nelle interpretazioni veriane andavano alterati. Il colorito generale e il carattere fondamentale di questa filosofia attraverso quelle interpretazioni eran cancellati o apparivano troppo sbiaditi. E questo era certamente difetto ingente per la fortuna del pensiero hegeliano e il progresso speculativo. Ma non è per altro da credere che una più schietta traduzione e una interpretazione più rigorosa del pensiero hegeliano sarebbe bastato in quel ventennio tra il 186o e l'8o in cui cadde l'opera del V., a dare una direzione diversa allo spirito filosofico, preso com'era dalla brama dei fatti e dal disgusto d'ogni speculazione.  E d'altra parte, c'è in ogni grande filosofo e in ogni grande scrittore una folla di verità particolari, frammenti e scheggie luminose di pensiero, di cui giova pure arricchire ed accade sempre provvidenzialmente che venga arricchito il patrimonio generale della cultura, e impinguato quello che si può dire il terreno spirituale, da cui germogliano, maturate che siano le stagioni opportune,i nuovi pensieri, e da cui pur continuamente traggono il loro succo vitale tutte le forme dell'attività umana.  Chi potrebbe dire, da questo aspetto, quanto sia il benefizio arrecato alla cultura dalle fatiche di V.?  3L. - Questa fu la sua parte: la parte del commen-tatore, che si chiude nel pensiero del suo autore, quasi in un cerchio di Orbilio, e non vede come sia più possibile uscirne. Il « Commentatore» per antonomasia del medio evo disse di Aristotele, che egli era stato la regola della natura e come un modello in cui essa aveva cercato di esprimere il tipo dell'ultima perfezione; posto al più alto grado dell'eccellenza umana, cui nessun uomo mai aveva saputo pervenire: disse la sua dottrina « la verità sovrana: perché il suo intelletto è stato il limite dell'intelletto umano, sicché di lui possa a ragione dirsi esserci stato dalla Provvidenza dato per imparare tutto ciò che è possibile sapere»; e che insomma egli « è il principio di ogni filosofia: non si può differire se non nell'interpretazione delle sue parole e nelle conseguenze da ricavarne». E le stesse cose, su per giù, ripete di Hegel, come già in parte abbiamo visto, V., lieto di potersi dire «un hégélien pur, un hégélien à outrance n3; pronto a protestare che gli anni e la riflessione non facevano che fortificare la sua convinzione che la philosophie de Hégel est la sente philosophie véritable, la philosophie absolue »3; che sempre Hégel a raison contre tous4, perché egli è non pure uno dei più potenti pensatori, ma il più potente forse che sia mai esistito s. Nella Introduction driconosceva ancora un qualche valore al concetto (hegelianeggiante) *di Leibniz della philosophia perennis; ma nel 1873. polemizzando con lo Strauss « in nome della filosofia » teneva a dichiarare com'egli la intendesse. « Per me, lo confesso, quando sento parlare di una filosofia in generale, di quella filosofia che Leibniz e altri sulle sue tracce chiamano col nome sonoro di philosophia perennis, chiudo gli occhi e gli orecchi, e preferisco non vedere né sentire, che sentire e vedere mercé d'una tale filosofia». E si appellava al principio, hegeliano senza dubbio, che la filosofia non può essere che una determinata filosofia; ma continuava, distruggendo ipso facto il valore di quel principio: « E questa filosofia non mi stancherò di ripeterlo, e, per quanto è in me di dimostrarlo, è la filosofia hegeliana » *; laddove una delle determinazioni essenziali della filosofia hegeliana era appunto questa di adeguarsi alla storia della filosofia o, se si vuole, alla philosophia pe-rennis, in cui tutte le determinate filosofie sono la filosofia veramente determinata.  E da quest'angusta e in certo senso materialistica concezione della filosofia hegeliana, tutta chiusa in una individualità semifantastica, sorretta dalla rappresentazione di certi libri e di certe parole o di una certa persona vissuta in certi tempi e luoghi, il V. era trascinato a perpetrare un vero tradimento di Hegel: da lui disarmato e consegnato, legato mani e piedi, al primo venuto dei suoi avversari. Poiché, una volta concepito un sistema filosofico come chiuso in sé, senza rapporti con gli altri sistemi, prodotto di una speciale visione del mondo, che non ha che fare con gli altri possibili punti di vista, quasi spettacolo che si goda in una stanza, e di cui non sia dato saper nulla a chi non vi entri, cotesto sistema non si può più dimostrare a chi non sia già persuaso della sua verità; perde cioè la sua universalità,la sua verità, il suo valore di pensiero, che non è mai atto di uno senza esser atto di tutti: perde la vita del pensiero che è espansione e forza invadente, conquistatrice e trionfatrice; per diventare una cosa, che sta dove la mettete, in eterno, ignara di sé, inerte, esposta al libito di chi vi si abbatta! Concezione strana, umiliante, ad accettar la quale, coraggiosamente, il V. fu anche spinto da un profondo concetto hegeliano, da lui inteso a metà: che la verità di un sistema sta dentro il sistema e in tutto il sistema. Ma Hegel stesso andava subito incontro al pericolo d'una possibile interpretazione materialistica di questa proposizione, per cui il suo pensiero sarebbe rimasto disteso sovra un'altura inacces-sibile, concependo dapprima come una prima parte del sistema una  Fenomenologia dello spirito come autoaf-  fermazione della propria filosofia attraverso tutte le posizioni storiche e ideali del pensiero, e premettendo poi all' Enciclopedia un'introduzione critica e polemica destinata a giustificare il proprio punto di vista di fronte a quelli inferiori. Talché, se pure era nella sua dottrina,  quale si venne scolasticamente consolidando attraverso le varie redazioni dell' Enciclopedia (nata per la scuola), la tendenza a fare del sistema un dato circolo chiuso, nel quale bisognasse penetrare per non so quale grazia sovrannaturale o luce illuminante ogni privilegiato hege-liano; questa tendenza era spontaneamente frenata e corretta dalla possente vita del genio investito dalla forza della verità. Ed era intanto punto capitale della sua dottrina, che la critica di un sistema filosofico - e quindi il passaggio a un sistema superiore - non è critica soggettiva che altri possa fare movendo da principii di sistemi diversi, ma critica interna, autonoma, sgorgante dalle viscere dello stesso sistema; sicché non si sale slanciandosi in alto per aggrapparsi con la punta delle dita alla proda delle balze superiori, ma fermando bene ilpiede sul grado già raggiunto, e di li sforzandosi di salire, costretti dallo stesso disagio della via erta ed arta, - per tornare ancora una volta alle immagini dantesche. Sicchè la vera dottrina di Hegel è che la verità della sua filosofia, se, come sistema, vive nel circolo del suo pensiero siste-matico, si conquista attraverso tutte le filosofie, e si pone percio per motivi di verità che giacciono in tutti i sistemi. L' hegelismo che si chiude gli occhi e gli orec-chi, e, come la Notte di Michelangelo, vuole « non veder, non sentir, non è quell'originale hegelismo che figge per tutto il suo occhio sereno, certo che tutto che è reale è anche razionale, ma un hegelismo veriano, alquanto adulterato.  E cosi accadeva al V., malgrado tutta la forza del  suo hegelismo, di trovarsi come chi, in paese straniero di cui ignori la lingua, abbia bisogno di far valere le proprie ragioni, e non trovi né anche un interprete. Non sapeva parlar altro che l'« hegeliano » 1 Nella introdu-zione alla Filosofia dello spirito, dopo avere intravvedute ben sei gravi obbiezioni contro il concetto da lui esposto del sistema hegeliano, dovendo ribatterle, si ricordò della  sua  teoria dell'hegelismo chiuso, gia spiattellata tre anni prima nella nuova prefazione all' Introduction à la philosophie de Hégel, a proposito delle critiche del Foucher de Careil e del Trendelenburg; e si senti in dovere di fare questa confessione:  Nous commencerons par avouer que ces objections  nOuS  embarassent très-fort, et que nous ne voyons pas comment nous pourrions y répondre d'une manière satisfaisante, d'une manière, voulons-nous dire, qui satisfasse complètement celui qui nous les adresse. Car ce n'est pas nous autres hégéliens, bien entendu. qui nous faisons ces objections, ou si nous nous les faisons, nous en trouvons aussi la solution. Seulement cette solution est valable pour nous, mais elle ne l'est pas, len général, pour les au-tres, c'est-à-dire pour les non-hégéliens (!).Et la raison en est bien simple. C'est que la solution est dans le système, et que par suite elle ne saurait être entendue et acceptée qu'autant qu'on est dans le système. Par conséquent, celui qui fait des objections, qui les fait hors du système, c'est-à-dire en se plaçant au point de vue de l'opinion, de la conscience vulgaire et irréfléchie du sens commun comme on l'appelle, et même de la philosophie de l'entendement, et qui, avant d'entrer dans le système, demande qu'on lui réponde d'une façon qui leve complètement ses doutes, demande ce qu'en réalité il n'est pas raisonnable de nous demander. Car ces doutes viennent précisément de ce qu'il demeure hors du système, et que sa pensée est impuissante à saisir la vérité systématique. Par con-séquent, tant qu'il n'aura pas franchi cette limite, et qu'il ne sera pas entré dans le système, toutes nos réponses et toutes nos explications devront nécessairement lui paraitre insuffisantes, par la même que sa pensée et notre pensée ne sont pas la même pensée 1.  Non era questo un disarmare Hegel e consegnarlo  agli avversari? Tommaso d'Aquino, convinto che oltre gli articuli fidei, ci siano anche i preambula ad articulos, aveva potuto scrivere una somma de veritate catholicae fidei contra gentiles; ma contro i gentili dell' hegelismo il nuovo apostolis gentium non vedeva come un povero diavolo d'apostolo se la potesse cavare: e badava a ri-petere il motto di Anselmo: fides quaerens intellectum,  ma senza ottemperare troppo alacremente al maggior detto dello stesso Anselmo (Cur Deus homo, c. 2): « Ne-  gligentiae mihi esse videtur, si postquam confirmali sumus in fide, non studemus, quod credimus intelligere! ». Il momento della fede, come vedremo più chiaramente, era l'essenziale per lui. Questo infatti gli bastava a reggere l'opera sua di paladino di Hegel. Non confessó quel tale, che moriva in duello pel Tasso contro l'Ariosto, di non aver letto nessuno dei due ?I libri di Hegel il V. certamente li aveva letti e ri-letti. Non tutti, forse, quando scese in campo per lui con l'Introduction, né tutti poi con la stessa attenzione e diligenza. Il Janet • notò che in quella Introduzione manca ogni menzione della Fenomenologia; e la critica che già ne abbiamo rilevata contro lo Schelling autorizza a crede che ei non avesse ancor letta la prefazione di quell'opera di Hegel. Doveva allora conoscere l'Enciclopedia e, in parte, la Filosofia della religione: in parte anche la Scienza della logica; ma così male, da non essersi ancora reso conto ben chiaro della redazione di queste opere. Cosi allora dimostrava di sconoscere che le appendici (Zusätze) ai singoli paragrafi dell' Enciclopedia non furono aggiunte da Hegel stesso, bensi dagli scolari (Henning, Mi-chelet e Boumann) che ne curarono l'edizione postuma e si giovarono di appunti del maestro e di quaderni di scuola:  Anzi, confondendo con tali appendici le osservazioni che Hegel infatti aggiunse per la prima volta nel 1827 ai singoli paragrafi, - che da soli formavano il testo della prima edizione, - asseri 3 che Hegel nella seconda edizione credette di aggiungere co-teste appendici, per rendere il suo pensiero meno astratto e più accessibile. E questo errore ripeté nel '59 nell'avvertenza premessa alla Logica, aggravandolo di un'altra inesattezza che potrebbe far credere non aver egli allora col secondo e col terzo volume dell' Enciclopedia postuma (detta ordinariamente Grande Enciclopedia, per distinguerla dalla Piccola, cui mancano quelle appendici) la familiarità che dovevaaver acquistato col primo contenente la Logica: perché dice che Hegel non diede propriamente una seconda edizione di tutta l'Enciclopedia accresciuta delle appendici, ma della sola Logica: « Par les deux autres parties de la Grande Encyclopédie n'ont paru qu'après la mort de Hégel dans Védition complète de ses oeuvres qui a été publiée par le soin de ses disciples et de ses amis » 1.  Apparse dopo la morte di Hegel: ma già redatte da lui stesso, comprese le appendici, come il V. tornò a dire chiaramente nell'avvertenza al primo volume della Filosofia della natura.  Confusionis che potrebbero anche ascriversi a sbadataggine di studioso inesperto d'ogni buona usanza filologica: ma che, se in parte son pure indizio di scarsa familiarità coi testi hegeliani, in questo caso son pure da riportarsi all'indole del suo spirito, di cui abbiamo già cominciato a intendere alcuni tratti essenziali. Il V. era cominciato mistico: scettico verso i metodi razionalisti, aveva asserito l' inconoscibilità delle essenze, e certa intuitiva rivelazione originaria di Dio, alla Jacobi.  Il mistico non può essere idealista che a mo' di Platone: per cui la verità non è processo, ma conoscenza immediata e miracolosa, presenza dell'oggetto, in cui si prescinde dal soggetto o in cui perciò il pensiero tende a risolvere e seppellire la propria soggettività. L'idea a chi cerchi una tale verità si presenta e impone da sé; è se stessa; e non può farsi, ancorché definita come processo (diventa allora idea del processo, e, come idea, immobile). In quanto sistema, diventa sistema in sé, che non forma la mente, ma è innanzi alla mente; e non è svolgimento;ma un tutto perfetto, in sé, senza passaggio da altro a esso, né da esso ad altro. E filosofia che non è la filosofia, ma una filosofia, che ha fuori di sé le altre, il pensiero volgare, l'opinione, la filosofia intellettualistica, senza un ponte da queste forme mentali a essa. - O tutto, o niente; o scetticismo, o cognizione assoluta (idest, il sistema di Hegel), come badava a ripetere V.. E che cosa era per lui la mente fuori dell' hegelismo? Se la verità era tutta dall'altra parte, di qua non ci restava nulla. La sua pertanto era una concezione mistica del1' hegelismo, per cui il rapporto dello spirito con la vera filosofia, o illuminazione mentale, veniva concepito come una unione soprarazionale, di là dalla quale si sarebbe instaurata la razionalità dello spirito. E questa tendenza mistica del V., se io non m' inganno, gli faceva prendere in mano i libri di Hegel e non guardare attentamente alle prefazioni, non cercare le varie edizioni, non studiare la storia dei testi: giacché in ogni tempo la misticità è stata nimica mortale di tutte le questioni concernenti la lettera, come ad esse piace di dire, e non lo spirito, quali son quelle di filologia. Pericolosissima china; giacché se questa tendenza nel V. col dispregio della filologia portò l'impossibilità di una vera dottrina storico-filosofica, nel discepolo Mariano, che avrebbe dovuto essere di professione uno storico del cristianesimo, frutto tutta una boriosa e vuota teorica di metodo storico, che è una delle più solenni e funeste falsificazioni della dottrina hegeliana, cioè della prima filosofia venuta in luce dacché il pensiero prosegue la sua eterna fatica, a giustificare non solo, ma ad esaltare ogni forma di storia; e nella scuola del V., tra i suoi insegnamenti di storia della filosofia e di filosofia della storia, fu piegata goffamente a significare un pensiero rispettoso bensi a parole della storia, dello svolgimento, della determinatezza, ma, nei fatti, di una tracotante svalutazione d'ogni sincera ricerca dellastoria, ossia dei particolari più determinati, in cui pur consiste il concreto svolgimento del reale.  Della quale tendenza, mistica e però antisto-rica, della mente del V. si potrebbero raccogliere ne' suoi scritti molte manifestazioni. Il Janet, in un suo articolo sul primo volume della Filosofia della religione notava finemente che il V., nella lunghissima introduzione che mise di suo in quel volume per ragionare dei rapporti tra filosofia e religione, «est encore ici fort dans la discussion, vague et obscur dans la conclusion. Il ré-sume très-bien toutes les manières de se rapresenter le rap-port de la religion et de la philosophie. Mais on ne vort trop quelle est la vaie». E nel '73 lo stesso V. contro Strauss osservava che la posizione da costui assunta era très-nette. E, soggiungeva «les positions très-nettes sont souvent, surtout dans la science, très-fausses, par la raison même qu'elles sont très-nettes, par la raison, veux-je dire, qu'elles mutilent les problèmes, et qu'en les simplifiant les faussent». Ragione hegeliana e piena di verità; ma pretesto, pel V., e conforto a non trarsi fuori da quel-  l'oscuro, da quel vago che il Janet gli rimproverava, e a restare irresoluto tra il sì e il no. Giacché sarebbe invero assai volgare insolenza asserire di Hegel, nuovo e pit rigoroso assertore della dialettica del sic et non, che ei si tenesse perciò di qua dalle soluzioni très-nettes! Ché se rifiutava, e metteva in satira anche lui, le soluzioni semplicistiche dell' intelletto astratto, poneva nettissime, per suo conto, quelle della ragione. E non era il V. che potesse in nome della dialettica accamparsi contro il semplicismo e l'astrattismo dei semplificatori; egli chenon sapeva entrare nella realtà se non armato di astratte definizioni; e si scalmanava contro chi nella realtà vedeva si quei concetti, ma limitati e commisti ai loro contrari; e lo Stato reale, p. e., essere e non essere Stato: la Chiesa essere e non essere Chiesa; e l'esercito essere e non essere esercito; e cosi ogni cosa, non in quanto considerata nel mondo intelligibile, a cui egli platonicamente guardava, ma in quello reale, in cui, con tanto poco gusto (a quel che pare), era pur costretto a vivere.  Egli è piuttosto che, com'è proprio dei mistici, il V., da una parte, doveva dilettarsi di cotesto mondo di puri intelligibili, che appunto perché tali sono estranei alla vita dell'intelligenza e non si pongono se non per negazione o una mera affermazione immediata dell'in-telligenza, e poteva d'altra parte riuscir più nella critica e demolizione che nell'affermazione e nella dimostrazione.  Giacché questo è uno dei caratteri del misticismo: che non rifugge bensi dalla filosofia, ma si pasce di una filosofia negativa che ha per conchiusione, com' è facile scorgere nella storia della mistica, una dotta ignoranza: hoc unum scio. Così nel Problème de la certitude, della età giovanile, il verbo della speculazione veriana era stato lo scetticismo: la sua affermazione dommatica un timido e vago tentativo di filosofia dell'intuizione immediata di Dio, conosciuto come che, ma non come quale: postu-lato, non propriamente conosciuto. Quella stessa menta-lità, abbattutasi quindi a una conoscenza meno superficiale dello hegelismo, presa di ammirazione per quella  vasta sistemazione del mondo contemplato sub specie aeterni, cambiò forma, non sostanza; e sotto il nuovo abito rimase presso che immutato il vecchio V.. L'oggetto del suo mistico intuito (conoscenza immediata, senza processo) era prima quel Dio inconoscibile e indi-  mostrabile, di cui non si poteva fare a meno; ora è il sistema hegeliano, cioè, non propriamente una filosolia,ma un xóguo vontós, e insomma Dio stesso, quello di prima, egualmente indimostrabile e irraggiungibile con un processo di pensiero.  E pure nell' Introduction volle scrivere anche lui, come già tanti altri mistici, il suo itinerario della mente a Dio: o come egli disse, mettere sotto gli occhi del lettore «les recherches qui nous ont conduit nous-mêmes à l'intelligence de la philosophie hégélienne»t, Ma, posto quel concetto del sistema chiuso, che per allora covava nel profondo della sua mente, che itinerario poteva essere il suo? Sarebbe facile dimostrare che questa specie di itinerario procede, non altrimenti da tutti gli scritti consimili, per presupposizione, fin da principio, del punto d'arrivo, e per conseguente critica e negazione delle posizioni diverse: non muove da queste, e non dimostra realmente il punto a cui vuol pervenire; non è insomma  un processo.  E già noi vedemmo a che si riduca pel V. il movimento da Kant a Hegel. Dopo un brevissimo capitolo (di tre pagine) sulla « fisonomia generale della filosofia di Hegel», in cui si coglie, ma assai estrinsecamente, un tratto senza dubbio essenziale di essa, qual è quello della storicità sua, oggettiva e soggettiva, in quanto essa concepisce il suo oggetto come manifestantesi attraverso il movimento storico e sé stessa in intima e necessaria relazione con la propria storia 1, il V. passa subito a dimostrare quella sua tesi, che già conosciamo, tutti ifilosofi essere idealisti senza saperlo: poiché, nell'antichità e nei tempi moderni, tutti, compresi i materialisti, han sempre mirato all'idea; poiché nessun filosofo mai ha potuto fare a meno dei principii che sono al di là dell'esperienza. Basta pel V. esser metafisico per  CS-  sere idealista; e in questo senso egli pensa che in ogni filosofia sia un germe di verità, che si deve svolgere e compiere, e non si può negare. Vale a dire, all'esclusi-vismo dei vari sistemi che ricorrono a una o più idee, bisogna sostituire una filosofia comprensiva che le accolga tutte e le organizzi; fare insomma quel che aveva fatto Platone, quantunque ora si possa fare un po' meglio.  Sicché l'oggetto della filosofia, quale egli lo concepisce, non è diverso da quello che aveva dato vita all'idealismo platonico; né egli sapeva concepire altra filosofia che sul tipo di quell'idealismo, e quasi frammento di esso. Quindi tutto il resto della sua Introduzione, prima di quel rapidissimo schizzo dell'Enciclopedia hegeliana che forma la seconda parte del volume, è tutta una polemica per determinare il concetto della filosofia, come scienza delle idee, e il metodo di essa, che all'organismo delle idee non può adeguarsi se non mercé la dialettica. Tutto 1' itine-rario, adunque, consiste nel mettersi dentro alla verità, fin da principio, e difenderla contro gli errori. Ma se la filosofia per Platone e pel mistico era pura contemplazione, parrebbe che il V. ne avesse un concetto assai più profondo e nuovo, dove sostiene che essa è non solo una spiegazione della realtà (inten-dendo per spiegazione la contemplazione appunto di tutto il reale in idea), ma « anche e per ciò stesso, una  creazione":  e una creazione, com'egli dice, nel solo e  vero senso del termine»!. Ma dal detto al fatto corre8ran  tratto; e quando deve realmente concepire questa creazione che dice di concepire, la cosa non gli riesce; perché tutto si riduce a dire che le essenze, l'assoluto, le idee sono eterne, e che di creato e generato non v'è se non i fenomeni, le esistenze particolari e finite; le quali sono create appunto, dall'assoluto, che ne è la ragion d'essere; e che la filosofia, se ha per oggetto l'assoluto, deve non solo sapere come l'assoluto genera le esistenze particolari e finite, ma deve in certo modo (d'une certaine façon»!) generarle essa stessa, perché, se non si vuol negare la scienza, bisogna ammettere «qu' il y a un point où la connaissance et l'être, la pensée et son objet coincident et se confondenti. Bisogna ammettere; ma è questo il punto: hoc opus! E il V. si sente tanto poco di superate questo punto, che passa subito a intendere la creazione in un altro modo: nel senso cioè che la scienza, elevandosi all'assoluto e cogliendo la natura intima degli esseri, elle refait et dédouble en quelque sorte leur existence».  Sicché, «d'une certaine façon » prima, e «en quelque sorte » poi: e la creazione vera e propria «nell'unico senso del ter-mine» non si vede e non si tocca mai. Giacché, se c' è duplicità tra il processo dall'assoluto al relativo e il processo dalla conoscenza dello assoluto alla conoscenza del relativo, il due non è uno, e non solo si rinunzia alla creazione delle cose per tenersi soltanto alla cognizione delle cose, ma pare anche si abbia una certa voglia di tinunziare altresi a quell'unità del sapere e dell'essere, senza di cui pur s'intravvede non essere vero sapere. Conchiusione innanzi alla quale si ritira sgomento il pensiero del nuovo hegeliano. Egli infatti, a questo punto, per garentire il carattere creativo della cognizione assoluta sottraendola a quell'ombra che sarebbe per lei quel doppio, contorce e trae a un significato improprio la dottrina hegeliana del rapporto della natura con lo spi-rito. La vera creazione, egli dice, non è quella che dal-l'assoluto va al particolare delle esistenze finite. Perché la natura, considerata in se stessa e indipendentemente dallo spirito, è un'esistenza morta, priva di coscienza e di pensiero, un aggregato di elementi e forze individuali e isolate, che non hanno in se stesse il loro legame, il loro principio e il loro fine; e lo spirito stesso ne' suoi gradi inferiori, per cui è a contatto della natura, in quella sua vita oscura e irriflessa in cui s'ignora e mescola e confonde tutto, e si lascia avvolgere nell'infinita varietà dei fenomeni e delle sensazioni, ha un'esistenza imperfetta, « che non risponde né all'idea della scienza, né a quella dell'assoluto». Ora questa imperfezione sparisce per opera della scienza, la quale « completa e rifa l'esistenza della natura e dello spirito, elevandoli, con la riflessione e col pensiero, fino al loro principio, dando loro la coscienza di se medesimi e ordinandoli secondo la ragione. 1.  Se non che, questo processo dall' imperfetto al perfetto, dalla natura allo spirito, e dai gradi inferiori di questo ai gradi superiori, in Hegel è, e non può essere altro che un processo ontologico, il processo dall'assoluto alla coscienza dell'assoluto, o dalla idea logica allo spirito as-soluto. Ma, per intendere qui la creatività di questa scienza che rifà, noi dovremmo ritornare sul processo stesso e ripercorrerlo, secondo la concezione del V.. Chi gli garentisce che il secondo viaggio non sia inutile, e serva anch'esso a creare qualche cosa? Perché il processo gnoseologico creasse davvero, non dovrebbe rifare l'ontologico, mettendosi fuori di esso, come altro da esso, ma fare, semplicemente, continuando quell'identico processo; e la scienza non dovrebbe guardarsi indietro.  V. non ha quest'orientamento. Il suo assoluto è dietro le sue spalle; ed è necessario che egli si rivolti.Con la scienza si corregge il fatto e la realtà materiale, con una specie di creazione continua, « per cui l'assoluto entra più profondamente nella vita del mondo per imprimervi una impronta sempre più visibile di se stesso, e farlo sempre più a sua immagine». Egli è persuaso che « sans doute, l'absolu et le monde, l'idée et le fail, la pensée et sa réalisation matérielle demeureront fowjours distinels, et même, dans une certaine mesure, opposés » 1, L'Assoluto è prima del mondo, che deve rassomigliarvisi; deve e non può, pei limiti della materia, al di sopra della quale lo spirito si solleva, per riunirsi alla sua origine ideale.  E la vecchia posizione platonica.  L'essenza, inconoscibile nel Problème de la cer-titude, ora per definizione è conoscibile. E un progresso questo? Quella scepsi conteneva un bisogno e un'affer-mazione: quel bisogno e quell'affermazione che minavano da secoli l'universale astratto della filosofia greca, e che dopo Hume dovevano far nascere la critica di Kant: la realtà non si coglie con idee astratte; cento talleri si possono pensare benissimo senza che perciò esistano.  Che cosa manca loro? Cartesio aveva trovata la via: cogito ergo sum: un ergo che non è sillogismo, che non muove da idee, da quegli universali, in cui ancora V.  faceva consistere l'assoluto. E si domandava: se di ogni essere c'è un'idea corrispondente, ne segue che quella idea sia la sua essenza? O c'è, oltre l'idea, « un'esistenza più alta e più profonda di cui l'idea non sarebbe se non la forma, una forza di cui la natura intima ci sfugge, e che avrebbe la sua radice nell'essenza divina, o che, per dir meglio, non sarebbe altro che quest'essenza stessa?». Questa era la dottrina sua del 1845. - Ora la sua risposta suona il contrario; e la ragione che gliha fatto cangiare avviso è questa: che ove si ammetta un'essenza di là dall'idea, quest'altro quid non è pensabile se non per mezzo di idee. Ma la verità è che, non avendo egli prima approfondito, attraverso Kant (che non aveva letto), il significato della esigenza a cui obbediva il suo scetticismo, ora è di troppo facile contenta-tura; togliendosi per essenza appunto quello che come mera idea gli appariva una volta ben altra cosa dall'es-senza, e rinunziando di fatto all'essenza più preziosa, che allora desiderava. E che? dice ora per consolarsi, facendo il verso al Socrate di Platone: « quando studiamo l'anima, non tale anima in particolare, ma l'anima in generale noi vogliamo conoscere, né crediamo di possedere la scienza dell'anima se non quando possediamo cotesta conoscenza: come se con l'anima in generale ci fosse, o ci potesse essere un'anima! Giacché il destino curioso di questo hegelismo veriano, come del platonismo, è proprio questo: che queste idee che son tutto, poi non sono niente: e per V. rimangono come abbiamo visto assolute possibilità o virtualità.  Ma come con un tal concetto dell'idea, che non è Thathandlung dell' Io (per usare la gran parola di Fichte), ma termine esterno o eterno presupposto del pensiero, può egli ammettere una dialettica nel senso hegeliano?  Sorvoliamo sui rapporti che il V. vede tra la dialettica di Hegel e quella di Platone; e tocchiamo brevissimamente del suo modo d' intendere la prima nell'Introduction e nelle opere posteriori. Qui è il centro del suo hegelismo.  In tutti i suoi seritti, se si paragonano a quell'articolo del 48, che abbiamo altra volta analizzato, non c'è pro-gresso, ma sempre un medesimo concetto che torna su se stesso, si rafferma sempre maggiormente e si ribadisce.  Li egli saltò il fosso, sembratogli già abisso invalicabile,affermando, come vedemmo, la posizione, innanzi al pensiero, non dei contrari singolarmente presi in astratto, ma della loro unità. Nella Introduction dice che, se i membri della contraddizione presi separatamente sono incompleti e falsi, si contraddicono in quanto sono in rapporto tra loro mediante un terzo termine, che « non è nessuno di essi presi sia separatamente sia congiunta-mente, ma è tutto insieme se stesso e i due termini che esso involgen 1, sicché « l'essere e il non-essere si trovano identici nel divenire n. Posti cosi l'essere e il non-essere, e in generale tesi e antitesi, non come momenti, ma come elementi della sintesi, ci può essere quel movimento soggettivo, che già illustrammo: ma oggettivamente c' è la sintesi, stabile e fissa, identica a se stessa. Dei tre termini, idea logica, natura e spirito, la realtà appartiene al terzo termine, che contiene nel suo seno fin dal principio gli altri due: e dentro lo spirito ogni triade non avendo mai una tesi, da cui sia da sviluppare un'anti-tesi, è come un fiume dipinto, la cui acqua non scorre.  Tutto il congegno del movimento è arrestato da un pensiero intuitivo che impietra l'oggetto suo.  Quasi tutti gli hegeliani s'erano travagliati e si travagliavano nell'intelligenza del dialettismo dell'idea hegeliana. Vedremo quali sforzi costasse questo punto a Bertrando Spaventa. A V., quand'ebbe pensato che essere e non essere fanno uno nel divenire, il passaggio dall'uno all'altro apparve cosi ovvio, così semplice, che nulla più (infatti era un passaggio che non passava!).  A proposito delle critiche di Janet: « Il fant voir », diceva tutto meravigliato, «dans quel dédale inestricable de rai-sonnements M. Janet s'engage à cet égard, sans se rendre compte ni du point de départ ni du point d'arrivée».era dimenticato, a quel che pare, del suo labirinto). L'essere, che è il termine più astratto, da cui il pensiero possa muovere, non è se non l'essere: e tutto ciò che si può dire di esso è, che esso è. E anche dicendo questo, non si rappresenta il suo concetto secondo verità;  perché il pronome e la terza persona vi aggiungono elementi e gli danno una forma che gli sono estranei, e appartengono a determinazioni ulteriori dell'idea. Peggio poi se vi s' introduce il concetto del vuoto, come ha fatto l'Erdmann, o pure il pensiero, come ha fatto Kuno  Fischera. Qui noi siamo nella sfera della scienza, e l'essere è colto dal pensiero tal quale è nel suo concetto.  L'essere è nel pensiero, è l'essere pensato, ma il pensiero, per coglierlo nel suo vero concetto, deve pensarlo qui come essere e non come pensiero, perché, pensandolo come essere pensato, vi aggiunge un elemento o una proprietà, che esso, in quanto essere, non ha. Con quest'aggiunta si facilita la dimostrazione, ma non si ha più la vera dimostrazione. L'essere non è altro che l'es-sere, l'essere assolutamente indeterminato, e però non si può dire neanche che esso è, e per ciò stesso non è, o è il non-essere. Ora l'essere che non è, o che è il non-  essere, è anche il non-essere che è, ossia è il divenire. E la dimostrazione più semplice, più diretta e più vera del passaggio dall'essere al non essere nella loro unità, il divenire »3. Dimostrazione, la cui ingenuità salta agli (Si —occhi; perché mentre si dice che all'essere non si deve aggiungere il pensiero, si fa divenire l'essere mettendoci dentro questo pensiero: che non si possa né anche dire che esso sia, - Nella introduzione alla Logica  aveva dice. L'essere puro è l'essere, ma l'essere che non è se non l'essere, e che, per questo fatto che non è se non l'essere, richiama il non-essere, o il non-essere dell'essere, o, se si vuole, ciò che l'essere non e.... In altri termini, i due concetti di essere e non-essere sono inse-parabili: dato l'uno, è dato anche l'altro, e quel che è uno, è l'altro. Formano, per conseguenza, un solo e stesso concetto, e questo concetto è il divenire ». Dove di chiaro non c'è se non l'unità del divenire; ma quell'essere che si tira dietro il non-essere, anch'esso, come l'altro di prima, non può farlo se non aiutato dal pensiero, che lo mette in rapporto con quel che esso non è. - In una nota al § 87 della Logica in altra forma ripete lo stesso.  « L'essere che non è se non l'essere, è l'essere assolutamente indeterminato, e per quanto è permesso di far intervenire qui la possibilità e la cosa, si potrebbe dire che esso è la possibilità assoluta di tutte le cose, ma che non è nessuna cosa, non è niente; e che quindi è il niente, il non-essere », Se non che qui ha un vago sentore di certe difficoltà; ma non le affisa di fronte, e se ne lascia sfuggire tutto il valore. In primo luogo egli si obbietta: Altro è dire che l'essere non è niente, altro dire che è il niente.  Cioè la prima volta si nega dell'essere ogni determinazione; la seconda lo stesso essere indeterminato. Ma il V. non intende la cosa con tutto questo rigore, perché risponde che « qui si tratta del niente assolutamente astratto, o, se si vuole, del niente assoluto; di guisa che dire l'es-sere non è niente, torna lo stesso che dire: l'essere è niente o il niente. Il che non è vero, evidentemente. L'assolu-  tamente astratto, il niente, di cui si parla qui, è il non -  determinato, non già il non-indetermi-nato!. - In secondo luogo: questo niente, questa negazione prima e assolutamente astratta non  Viene qui  ad aggiungersi all'essere, dal di fuori? - E anche qui una risposta insufficiente: « Il niente non è se non il niente dell'essere: il non essere. E l'essere che si nega egli stesso.  La risposta può avere un significato solo a un patto: che s'intenda il non-essere come non-essere dell'essere, in quanto il concetto dell'essere non può prescindere (come fu detto nell' Introduction) dal concetto del non-  essere; e che cioè il divenire è prima dell'essere e del non-essere. L'essere, insisteva contro il Trendelen-burg, passa nel non-essere perché non è altro che essere, per la sua assoluta indeterminatezza e astrattezza: e nella massima astrattezza dell'essere e della sua negazione sta la difficoltà del passaggio. Via via che si procede nell'evoluzione dell'idea, si coglie più facilmente il passaggio reciproco dei termini, perché si hanno termini più concreti, come lo stesso e l'altro, l'uno e il più, la causa e l'effetto, ecc., tra i quali si trova più facilmente un rapporto, laddove al principio non si ha se non l'essere ».  Questa è certamente la via da battere per afferrare il senso segreto della dialettica hegeliana: la quale, ormai è chiaro, malgrado le proteste dei semplicisti alla maniera del V. 3, non pervenne in Hegel alla chiaracoscienza della propria natura, come è dimostrato dal ginepraio, in cui si son trovati involti i suoi seguaci. Ma quella è una via che non spunta, o meglio riconduce alla vecchia filosofia da cui si crede di allontanarsi, se non si bada bene a considerare che non è via già bella e fatta innanzi al pensiero, e che al pensiero non resti se non di percorrere, ma è la via del pensiero, la via che esso si apre e che prolunga in eterno. Essere e non-essere sono identici (e differenti) nel divenire; ma il divenire non è niente più dell'essere che si pretende di superare, se esso stesso rimane di fronte al pensiero, e non è appunto esso il pensiero che ha negato l'essere. Perché il divenire non ha da essere giustapposizione de due momenti, ma compenetrazione e unità intima: la quale non è cosa, ma atto: non è termine di pensiero, ma pensiero; non è punto a cui il pensiero pervenga e da cui poi debba muovere, ma lo stesso movimento del pensiero; non è limite, ma posizione di limite, e opera dell' illimitato. Se il divenire si vuol concepire come l'organismo, di cui essere e non-es-sere siano le membra indivisibili, ebbene, si badi che l'organismo non è il corpo che la vita debba investire o con cui debba accoppiarsi: l'organismo in tale astrattezza esanime non vale né più né meno di un membro avulso dal resto: è la morte. L'organismo è organizzazione continua e attualità, è anima, che crea gli organi. E così il divenire, se dev'essere la risoluzione vera degli opposti, dev'essere pure l'energia creatrice di essi: cioè, come di-  cevo, il pensiero.Non basta perciò dire rapporto, anteriore ai termini: bisogna concepire questo rapporto come rapporto vivo.  E dalla logica movendo, come fa il V., per la natura allo spirito, non basta dire, com'egli dice, coerentemente alla sua intuizione del mondo hegeliano che a c'est l'esprit lui-même, ou l'idée en tant qu'esprit, qui pose la logique et la nature»t; e che «la pensée (= l'esprit) est l' idée active et creatrice»; e che questa attività non è l'activité qui crée accidentellement, ni l'activité qui crée hors d'elle-même un monde antre qu'elle-même, mais L'activité qui crée au dedans d'elle-même, qui crée un monde qui n'est pas autre qu'elle-même, mais l'autre d'elle-même, si l'on peut ainsi s'exprimer, et qui crée pour être elle-même, c'est-á-dire pour être dans la plénitude de sa nature et de sa réalité»: bisogna che questo non sia soltanto il pensiero in sé, il pensiero che pensa se stesso, di cui parla Aristotele, il pensiero divino: ma appunto il nostro stesso pensiero, tanto più divino quanto più nostro, colto nella realtà massima della nostra intima soggettività e indivi-dualità, dove più vibra l'attualità del mondo. E perché questo pensiero sia davvero il pensiero vivo, esso appunto bisogna che divenga, e si muova, e viva insomma, e vibri, e in esso vibri il mondo: e che non rappresenti il termine fisso d'ogni desio, la morta gora ove precipiti ogni acqua corrente dell'universo. Che se col V. si dice  "tout devient hormis la pensée, et tout devient parce qu' il n'est pas la pensée, et pour devenir pensée, el exister en tant que pensée»3, questo pensiero diventa qualche cosa di trascendente il pensiero storico e il mondo, e però assolutamente trascendente; e quindi il suo stesso processo ideale (posizione e negazione del logo e della naturaper la posizione di se medesimo) diventa tutto un processo trascendente, come la processione dello spirito nella teologia cristiana; e tutto l' immanentismo di Hegel sfuma, e la sua dialettica s'irrigidisce nel mondo ideale, di là da ogni reale accadimento, e concepito ancora una volta, alla maniera del vecchio Platone, come natura (ancorché ideale) e non più come spirito. Il V. vi dirà in tanti modi diversi, perché messo sull'avviso da tante esigenze interne dell' hegelismo, che «ce qui devient n'est pas étranger à la pensée» e che « il faut même dire que c'est la pensée qui pose son devenir, et que, s' il devient, c'est précisément que la pensée est en lui». Ma distinguerà allora tra pensiero in potenza e pensiero in attor e il pensiero immanente nel mondo lo portà come pensiero virtuale («sculement la pensée n'est en lui que virtuellements).  Tal quale è concepito il pensiero da Aristotele. « Tout se ment en vue de la pensée, et tout est má par la pensée». Il pensiero è il motore immoto. Perché il pensiero « atto assoluto» è unità d'intelligenza e intelligibile, come totalità dell'idea una e sistematica.  Due, dunque, i difetti capitalissimi di questa dialet-tica, a cui si solleva V.: 1) che il pensiero, e nel pensiero tutto il processo del reale nelle sue forme ideali o intelligibili che aristotelicamente il V. è costretto a inchiudere nel pensiero stesso, è un pensiero trascendente, il cui processo pertanto è egualmente trascendente; che, come trascendente, cotesto processo è un processo ideale senza essere un processo reale; non è un vero processo. Due difetti che sono un solo: la negazione pura e semplice della dialettica hegeliana, sfuggita dal mondo, di sopra alla testa del filosofo. Situazione disperante per una filosofia che avesse mirato alla comprensione della realtà determinata, attuale, storica, del sistema, insomma, in cui è il soggetto artefice della filosofia, anzi dello stesso mondo nel sistema di esso soggetto; ma il più comodo dei piani inclinati in cui potesse scivolare un temperamento mistico, portato perciò stesso alla negazione di ogni determinatezza e della propria concreta individualità. E allora s' intende da una parte il vuoto di tutte le discussioni di V. intorno ai problemi storici e concreti: esempi solenni le sue lezioni di filosofia della storia, uno dei libri più flosci e vacui, che si siano mai pubblicati, pur essendovi gettati dentro, come in un sacco, taluni dei più forti pensieri che siano stati mai pensati, ma tolti dal sistema e dall'anima che li regge nella mente poderosa di Hegel; nonché quella lunga filatessa che reca il titolo di Cavour e libera Chiesa in libero Stato, con annessa prefazione, apparsa la prima volta nella traduzione francese, la più strana discussione che si possa immagi-nare: rivolta a combattere il pensiero d'un uomo e un uomo e un sistema e tutta la storia d'un popolo, il tutto speculato dentro una formola (libera Chiesa ecc.), quando il più elementare buon senso richiedeva che si  cercasse  com'era nata quella formula, nel pensiero dell'uomo, nelle circostanze e dottrine che all'uomo l'avevan sug-gerita, e quali problemi, dentro quali limiti, essa mirava a risolvere, e insomma quale ne era il proprio e genuino e determinato significato. Perché egli è chiaro che l'intelligenza del V. era la più antistorica e antibegeliana che ci potesse essere. E s'intende d'altra parte il segreto motivo della preminente importanza da lui attribuita alla questione religiosa e quel suo perpetuo bisogno di rifarsi da essa, quantunque la filosofia che aveva alle mani non gli desse modo di ottenerne una soluzione per lui molto soddisfacente.Egli è che al V., come a tutti i mistici, il mondo restava scisso in due mondi: uno dei quali non era il suo, e (ahimé!) era tutto. In fondo alla lunga introduzione premessa al primo volume della Filosofia della religione, dopo centocinquanta pagine di schiarimenti, sentiva che gli si sarebbe potuto opporre. Voi dite che il pensiero è l'assoluto, e che come tale è il principio supremo e generatore delle cose. Sicché, tutte le cose saranno pensieri. Intanto, riconoscete anche voi che c'è qualche altra cosa oltre i pensieri, poiché parlate di rappresentazione, fenomeno, natura e spirito finito. Questa qualche altra cosa, avrà essa un altro principio? E com' è che l'asso-luto non basta a se stesso? E come conciliate l'idea o il pensiero con la storia? « La storia è moto, sviluppo, trasformazione, laddove l'idea, il pensiero, l'assoluto è l'assoluto precisamente perché esclude ogni trasformazione ogni cangiamento, ogni divenire. Infine voi dite che l'idea è insieme forma e contenuto. E sta bene. Ma l'idea sarà sempre un contenuto ideale, laddove il contenuto che la storia sviluppa e aggiunge incessantemente a se stessa è un contenuto sensibile, fenomenico, reale. Cosi ci sono  due mondi. Obbiezioni che colpivano in pieno petto.  Ebbene, risponde V., noi in parte abbiamo risposto  a queste obbiezioni; ma le ripiglieremo e le esamineremo nei volumi seguenti, che trattano più specialmente delle questioni a cui queste obbiezioni si riferiscono, e che si possono in generale designare come il problema storico. Ma nel secondo volume il problema è appena accennato; gli altri volumi non vennero più; e li dove il problema è accennato, la soluzione non è una soluzione, e lascia intatto il problema.  Nous disons que si l'absolu est le devenir, il n'y a ni histoire ni absolu, si l'histoire n'est pas un moment de l'absolu lui-même.  Par consequent notre thèse est que l'histoire est un moment de l'absolu, mais qu'elle n'est qu'un moment, et qu'ainsi pendant que d'un côté, l'absolu crée et engendre l'histoire, et qu'il est lui-même dans la création et l'histoire, il s'élève, de l'autre, au-dessus de l'histoire, la nie, il est la negativité absolue. Dove l'unico senso possibile è quello aristotelico già indicato, che è in realtà la negazione della storia: per cui cioe l'atto assoluto del pensiero è di là dalla storia.  E però ogni volta che risorgeva questo problema storico, che V. pur sapeva essere il segreto dell' hegelismo, era un tormento pel suo povero cervello, rimasto in pre-senza di quel Dio pronto, peggio che Saturno, a divo-rate le sue creature.  Suo vero problema non era quello storico, bensi il religioso. Il suo hegelismo era cominciato, come s'e visto, con uno studio sulla Filosofia della religione di Hegel, quando non gli pareva possibile concepire altri-menti lo Stato che subordinato al divino della religione professata nella Chiesa 3, E quando con la Filosofia dello spirito ebbe condotta a termine la versione dell' Enci-clopedia, le ultime pagine di questa Filosofia lo ricon-dussero a meditare il problema religioso secondo la filo-sofia hegeliana. E allora scrisse il Cavour, lo Strauss, e la prefazione all'edizione francese del Cavour; e si accinse a lavorare attorno alla Filosofia della religione di Hegel, che, pubblicandone il primo volume, annunziava di voler accompagnare de plusieures introductions. Poiché qui si imbatteva in un arduo pro-blema: in cui egli disse di veder chiaro, ma di cui parlò tanto da dimostrare che non ci vedeva poi tutta quellachiarezza che diceva: il problema dei rapporti tra religione e filosofia: «un des problèmes les plus difficiles », come protesto una volta con tutta franchezza, « peut-être même le problème le plus difficile que l'intelligence trouve devant elle, ou, pour mieux dire, en elle-même et dans les profondeurs de sa nature ».  La soluzione hegeliana, infatti, si presenta tutt'altro che facile. Dire che la religione e la filosofia hanno lo stesso contenuto (conoscenza dell'assoluto) ma in una forma diversa (conoscendo l'una per rappresentazioni, miti, simboli, e l'altra per concetti) è porre anzi che risolvere un problema per una filosofia che non concepisce forma separabile dal contenuto, e non può porre perciò un contenuto in due forme. Questo bensi non è un problema speciale in seno allo hegelismo: ma sempre quello stesso problema che s'incontra già sulla soglia, dell'unità di identità e differenza implicita nel concetto del dive-nire. La forma della religione hegeliana non è una veste soggettiva, onde nell'anima degl' ignoranti si rivesta Iddio: è una forma dello stesso Dio. Il Dio dello spirito assoluto, che è religione, diviene il Dio dello spirito assoluto che è filosofia. Il rapporto tra religione e filosofia è il rapporto tra questi due momenti di Dio o dello spirito assoluto. Come si passa da un momento all'altro ?  O, in generale, come si passa? Ecco il problema. E il povero V. che non era venuto a capo di questo pro-blema, se lo ritrovava avanti in fondo all'Enciclopedia; e per pronto che fosse a sobbarcarsi a svelare altrui l'enigma, badava a ripetere: « Sans donte, déterminer, saisir l'idée de la religion, et la saisir à la fois en elle-même, et dans son rapport avec l'idée de la philosophie, c'est le problème le plus ardu peut-être qui s'ofre à notre intelligence». E dopo le molte pagine spese attorno a questa difficoltà nel primo volume della Filosofia della religione, passandosi una mano sul petto, confessava:C'est celle difficulté que je me suis appliqué à lever....  L'ai-je complètement levée? Eh non! je le sais». Gli si affacciava alla mente, a confortarlo, quella bella e comoda idea che non si può ai non-hegeliani togliere le difficoltà di Hegel. E accennava anche ciò; ma soggiungeva subito con una osservazione che è una rivelazione intima: « On peut même dire qu'il est impossible de la lever [cette diffi-culté] complètement dans un livre. Un livre est toujours une ouvre imparfaite. C'est plus ou moins la lettre, ce n'est pas l'esprit. Un livre a toujours besoin d'être complété et vivifié. Osservazione, che è forse anche una reminiscenza dell'immortale discorso di Socrate nel Fedro ma è pure la sincera confessione del personal sentimento dello autore analogo a quello del poeta:  Ahi, fu una nota del poema eterno  Quel ch'io sentiva, e picciol verso or e:  quel sentimento appunto del mistico che non vede proporzione tra il picciol verso e il poema eterno, e questo gli suona dentro come ineffabile; e se gli apparisce sotto forma di problema, è un problema senza soluzione. Se la filosofia, infatti, è pensiero assoluto, se questo è di là dal divenire, qual uomo mortale che ad ora ad ora viene imparando a meglio pensare avrà la tracotanza di pre-tendersi in possesso di quel sistema dentro il quale sarebbe la soluzione? Ora è chiaro che in questa situazione di spirito la filosofia, in quanto filosofia negativa o dimostrazione dell'impossibilità di raggiungere l'assoluta cono-scenza, non può menare ad altra soluzione del problema religioso che a quella direttamente opposta professata da Hegel. Di tale soluzione, non occorre dirlo, V. non farà mai esplicita asserzione, non essendo tale il suo atteggiamento mentale verso la dottrina di Hegelda permettergli di questi aperti dissensi; ma non perciò essa sarà meno la base di tutti i suoi ragionamenti intorno alla questione religiosa, e il centro della sua vita spirituale.  Particolarmente significativa in questo proposito l'ultima lettera da lui scritta al suo diletto Mariano, prima di morire:  Se al vostro ritorno [gli scriveva] la Parca fatale avrà troncato il filo della mia vita, io me ne sarò andato col dolce pensiero che la mia immagine, e piú della mia immagine, il mio insegnamento mai non si cancellerà dalla vostra memoria. Perché credo che il mio insegnamento sia la vera e genuina esposizione della dottrina hegeliana. E la filosofia hegeliana è la sola e vera filosofia; e lo è anzitutto, perché è essenzialmente reli-giosa, e religiosa nel senso profondo della dottrina cristiana.  Ed è questo tratto saliente che la distingue da tutte le altre filosofie, che a lei mi attiro sin dai primi passi della mia carriera filosofica, come ne fa fede uno scritto pubblicato, se ben ricordo,  nella Liberté de penser. Ed anche CAVOUR (si veda) non ha altra origine. Perché io sono, e sono sempre stato, e per indole e per riflessione, un uomo religioso. E la religione io ho sempre considerata come uno dei più alti privilegi della natura nostra. Senza di essa l'uomo è un essere degradato e miserabile. E la dottrina hegeliana insegna ad amare ed adorare Iddio col cuore e con la mente, due cose che in una anima bene equilibrata non si esclu-dono, anzi si compiono a vicenda. E da questa via, caro Mariano, non vi scostate. Solo in essa troverete e conforto e la forza per traversare questa vita si ripiena di disinganni e di amarezze.  Perché Iddio é il sommo e il solo bene, onde, vivendo col cuore e con la mente e con tutto l'esser nostro con lui e in lui, diventiamo partecipi delle sue eterne ed immortali perfezioni. Ora la filosofia hegeliana è sì una filosofia essenzialmente religiosa, ma appunto in quanto risolve in sé la religione, ed è religione: si concepisce come la rivela-zione, anzi realizzazione di Dio; e nella unità sua di sapere e saputo, concepisce tutto il suo mondo, in tutti isuoi gradi, come rivelazione o realizzazione di Dio: onde, mediando Dio, supera l'immediatezza propria della religione come tale (insufficiente coscienza che lo spirito, secondo la dottrina hegeliana, avrebbe della propria natura, e però del reale assoluto), e non lascia posto per lei, in quanto religione pura (in quanto non fi-losofia) in nessuna parte del suo mondo. Il mondo hegeliano, d'altra parte, non è soltanto il mondo della filosofia, in cui tutti i gradi anteriori siano già risoluti.  Una tale filosofia sarebbe astratta e trascendente. La sua concretezza importa, quel che il V. non poté vedere, il suo eterno divenire, ossia l'eterno risolversi degli altri gradi in questo grado supremo del processo dialettico della realtà. Di guisa che la filosofia hegeliana è portata a concepire tutto ciò che non è filosofia e la stessa religione come momento necessario di se medesima: e in questo senso, a concepire razionale tutto il reale. La religione come tale è conservata dallo hegelismo, ma dichiarata momento della filosofia, e quindi subordinata, nella filo-sofia, a questa. Sit viva, dum non sit diva. Pertanto il filosofo hegeliano: 1) ha la sua religione nella sua filosofia;  2) riconosce che ognuno, di qua dallo hegelismo, ha la propria religione nella sua filosofia, o la filosofia nella propria religione.  Le questioni adunque in cui si travagliò il V., se nella vita delle nazioni ci sia nulla che possa sostituire la religione (ed egli era d'avviso che non ci fosse nulla, né la scienza, né la filosofia): se la Chiesa debba essere subordinata allo Stato, o lo Stato alla Chiesa, o se debbano separarsi (ed egli inclinava alla seconda ipotesi, benché non sapesse poi concepire il come della subordi-nazione, né determinare la Chiesa a cui lo Stato si sarebbedovuto subordinare) *; queste e simili questioni sono questioni suscettibili, nello hegelismo, di una sola solu-zione, che è quella derivante dal concetto filosofico hegeliano della manifestazione mediata di Dio in tutto il reale e in sommo grado nella filosofia; ma anche di infinite soluzioni per tutti coloro, che non essendo hegeliani aspirano soltanto, secondo l'hegelismo, a esser tali, quantunque non lo sappiano. Ma è pur chiaro che se la verità dell' hegelismo deve valere per lui come la sola verità, egli non potrà non combattere le soluzioni diverse dalla sua, ossia tutte le altre filosofie in quanto vogliano passare per filosofia, e dominare. Il filosofo hegeliano non solo rispetterà tutte le credenze religiose, ma avrà interesse ad alimentarle come quel terreno da cui soltanto essa potrà germogliare; così come entra negli interessi dello spirito, secondo la sua filosofia, la cura della salute fisica.  Le soluzioni del V. erano invece non per il dominio od autonomia della filosofia e di tutte le forme spirituali che entrano nel mondo della filosofia, ma per la soggezione di tutto alla religione: come di chi non ha la propria religione nella filosofia, ma la propria filosofia nella religione. Egli, insomma, per usare il linguaggio hegeliano, non si sollevò mai veramente dalla sfera della rappresentazione a quella del concetto nello spirito assoluto.  4I. - Non si poteva sollevare, pel suo radicale misti-  cismo. Al quale non mi pare contrasti la tesi presa a sostenere nella Introduction contro l'immortalità dell'anima:  onde la sua autorità d'interprete consumato dello hege-lismo era opposta poi alla Florenzi Waddington, solatra gli hegeliani d'Italia a propugnare il concetto dell'immortalità dell'anima. Giacché non è vero quello che Kant e tutti i filosofi della religione naturale sosten-gono, che la credenza nella immortalità sia un principio essenziale dello spirito religioso. Che anzi la più profonda radice della religione, nel senso più stretto del misticismo, è riposta nel senso della vanità e nullità dell'individuo, nella nichiltade cantata così fervidamente da Jacopone, nell'aspirazione al nirvana bud-distico, nell'affermazione della divinità sola; e non si capisce l'anima immortale se non si concepisce la sostanzialità assoluta dell'io individuale, senza riconoscere l'infinito nello stesso finito e insomma superare, come fa il cristianesimo, l'astrattezza della religione imme-diata. Che anzi nella incertezza del V. nella Intro-duction circa l'interpretazione di questo punto di dottrina in conseguenza dei principii hegeliani, la sua pro-pensione verso la tesi negativa non credo si possa altrimenti spiegare che con la sua tendenza generale a negare il finito nell'infinito, e il pensiero dell'uomo e lo spirito individuale nel divino. Alla stessa tendenza riporterei anche l'interesse da lui posto nella questione dell'abolizione della pena di morte, che a lui non si presentava tanto, come ad Hegel, come una conseguenza ferrea della dialettica della legge, che non si può volere disvolendola, e da accettare virilmente come il taglio del chirurgo che arreca la vita, quanto una delle parti più belle e più sante della filosofia della morte: poiché gli piacque considerarla più come un diritto dello Stato sull'individuo colpevole che come un logico momento del diritto, in cui si realizza la vita dello stato insieme e dello stesso individuo, che ne è parte. E però ricondusse la legittimità della pena di morte a una questione più generale: della razionalità della morte inflitta dallo Stato; passando quindi a quella del diritto che lo Stato ha di far guerra. E scioglieva appassionati inni alla guerra, che fa sentire ai popoli quel che valgono e quel che possono operare, dà loro la coscienza dei propri diritti, sveglia tutte le energie dello spirito, è stromento di civiltà e di progresso: alla guerra, dove l'uomo non muore per sé, ma per la patria e per l'umanità, e la morte adempie a un più alto ufficio e raggiunge più alti fini della semplice morte naturale: poiché in essaL'individuo si sacrifica non ai fini naturali della specie, sì a quelli morali della civiltà. E in generale, sempre, « la morte è un bene, ora per l'individuo, ora per l'uma-nità; per l'individuo anche se tutto egli perisce con la morte: perché se la morte lo colpisce nella vecchiaia, lo colpisce quando la sua vita non ha più pregio né per lui né per gli altri; e se lo coglie nel vigor degli anni, essa lo eleva nello stesso istante al più alto grado della libertà e dell'amore. Ma sopra tutto per l'umanità la morte è un bene, sempre un bene. Infatti, la gioventù, la bellezza, la potenza, l'espansione dello Spirito suppongono la morte: dell'individuo, come dei popoli: giacché lo Spirito non si conserva, non si rafforza, non cresce che per la morte. L'individuo, per potenti che siano le sue facoltà, è uno spirito limitato pel solo fatto che vive in organi limitati; ond'è che, dopo aver con-tribuito, per la sua parte, allo svolgimento e alla vita dello Spirito, non pure ei diviene un ostacolo a nuovi svolgimenti, ma s'abbandona egli stesso, se può dirsi cosi: ciò che v' ha di profondo e di eterno nel suo pensiero gli sfugge, e cade come colpito d'atonia e d'impotenza.  E quel che è vero per l'individuo, è vero altresi per i popoli. Cosi la Grecia e Roma, dopo aver elevato il mondo antico alla più alta civiltà, diventano un ostacolo alla civiltà nuova. - Bisogna dunque che la morte, affrancando lo Spirito dai lacci della Natura, gli permetta di vivere una vita sempre giovane e sempre nuova, e d'in-nestare sull'antico lo spirito nuovo. Cosi si spiega perché l'individuo cresce dopo la morte nella coscienza dell'u-manità, e perché la morte è considerata come la consacrazione dell'amore e il segno della riconciliazione dello spirito. E infatti come la pace, che viene dopo la guerra e la termina, la pace che è il risultato dell'esercizio di tutte le potenze della vita, val meglio, checché se ne dica, di quella pace artificiale che snerva e ammollisce il corpoe l'anima; così la morte, liberando lo spirito dalle sue pastoie, fa brillare la verità eterna di cui egli era l'organo d'un più vivo splendore, la rende più visibile agli altri spiriti, la propaga e la fortifica con la loro adesione e trionfa così della natura. Quest'argomento fa V. eloquente, come corda che risuonava dal profondo del suo animo. E altrove, cantando l'amore, a mo' di Platone, come l'aspirazione allo Assoluto o filosofia, si riscaldava all' ispirazione leo-pardiana di Amore e morte, facendo della morte « il segno, la consacrazione e il trionfo dell'amore.:. E nella morte inflitta dallo Stato, vindice dell'eterna giustizia dello Spirito, egli vedeva pertanto l'olocausto dell'individuo sull'altare dello Spirito: poiché nell'individuo vedeva, come testé ci ha detto, l'organo dello Spirito, ma non lo Spirito stesso, che come tale non è individualità finita. Non era questa l'interpretazione della filosofia hegeliana, che potesse concorrere al progresso del pensiero speculativo. Ma è indubitabile che essa pure traeva  alimento da uno di quei forti amori dell'eterno e del divino, senza i quali lo spirito umano non sarebbe a volta a volta distratto dagl' interessi mondani e spinto alla ricerca filosofica. E per questo verso il V. fu uno degli scrittori più vigorosi, più sinceri, più alacri che ci siano stati in Italia negli ultimi tempi; e non possiamo passare innanzi a lui senza inchinarci.  Il suo fu un vano sforzo di impadronirsi di quell'ideale di sistema, unità di religione e di filosofia, che Hegel gli fece balenare alla mente: vano sopra tutto per mancato orientamento nella storia della filosofia, dacui l' hegelismo aveva con stretta possente voluto spremere il succo vitale. Perciò una costante meditazione di trent'anni non valse a fargli superare definitivamente il punto di vista, da cui  nelle sue tesi di dottorato aveva cominciato a combattere Hegel. Nell'ultimo suo scritto Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel sentiva egli stesso di « tornare ai primi e quindi vecchi amori, poiché l'argomento» che vi esaminava « non differisce in fondo da quello trattato nell'opuscolo Platonis, Aristotelis el Hegeli de medio termino doctrina», e prendeva di nuovo a studiarlo e svolgendo ed allargando la prima tratta-zione, chiarendone e correggendone alcuni punti, e in tal senso compiendola». Ma le correzioni non toccavano, in verità, la sostanza delle sue giovanili speculazioni.  Poiché egli ancora, come nel 1845, toglieva a difendere la tesi che la filosofia muove da una fede; dalla fede dell'intelligenza in se stessa; dalla fede nella conoscenza; nella conoscenza della verità; cioè dell'Assoluto o di Dio:  dalla fede dell' Efesio ady pi huntoy auniatow oin  EfEupnGEL, aveEepeivntoy Eoy xoi aopov. E se ora bensi  diceva, che questa fede è l'alfa della scienza e la sola possibilità di essa, la scienza, pur troppo, non seguiva.  Lo scritto, condotto innanzi fino al punto in cui ancora una volta il filosofo stanco si ritrovava innanzi al problema della differenza tra religione e filosofia, si arre-  stava, troncato dalla morte.Augusto Vera. Vera. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library. Vera.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vercellone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del bello e l’estetico – la scuola di Torino – filosofia torinese – filosofia piemontese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Torino). Filosofo torinese. Filosofo piemontese. Filosofo italiano. Torino, Piemonte. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. La sua filosofia si svolge inizialmente intorno all’ermeneutica e il concetto di ‘classico’ – as in English ‘classy’, in Loeb’s classy library --. Anche il nichilismo: la sua “Introduzione al nichilismo” edito da Laterza.  Continuando a muoversi intorno al rapporto tra estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti decisivi:  il rapporto tra temporalità storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del ‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino); e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue ricerche orientate sull'idea di un radicamento estetico. Insengna a Torino. Direttore del centro inter-universitario inter-dipartimentale di ricerca sulla morfologia dell’Udine. Presidente dell’Associazione italiana degli studiosi d’stetica. Vice-Presidente della Società italiana d’estetica. Collabora con La Stampa. Altre saggi: “Identità dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”) – il concetto di  ‘classico’” (Torino, Rosenberg e Sellier); “Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e Associati);  “Pervasività dell’arte: ermeneutica ed estetizzazione” del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo. Novalis e la forma poetica del romanticismo tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica”, Bologna, Il Mulino); “Storia dell’estetica” (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del moderno” (Genova, Il Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte” (Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini: tra scienza e arte” (Milano, Mondadori); “Le ragioni della forma” (Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la morte dell'arte” (Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine” (Bologna, Il Mulino); “Simboli della fine”  (Bologna, Mulino); “Morte dell'arte e rinascita dell'immagine: saggi in onore di V.” (Roma, Aracne); Perniola, “Estetica italiana” (Bompiani; D’Angelo); “L’estetica italiana” (Laterza); Franzini, Immagini del moderno, in Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore, Roma, Aracne.  Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è "dopo", Repubblica, Bertinetto, Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in onore di V. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più differenza” La Stampa, Bodei, “Là dove rinasce il bello” Il Sole 24 Ore, Bodei, Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, Mattazzi, Aprire lo sguardo. Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; Vallora, Nelle torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La Stampa, Università degli Studi di Torino.  La filologia, il tragico, lo spazio letterario. Per una rilettura del giovane Nietzsche, in «Rivista di estetica», Oriente e ornamento nell'estetica di Hegel, in «Rivista di Estetica«, L'Oriente romantico, in «Rivista di estetica», 1Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21, n.2, primavera 1981, in "Rivista di Estetica", Scheda di "The British Journal of Aesthetics", vol. 21, n.3, estate 1981, in "Rivista di Estetica", Scheda di "Revue d'Esthétique", Musique présente, in "Rivista di Estetica", Scheda di "The British Journal of Aesthetics", "Rivista di Estetica", Scheda di "Revista de estética","Rivista di Estetica", Dal simbolo alla scrittura. Friedrich Creuzer, in «Rivista di estetica», La riappropriazione del senso e l'opacità della lettera. Modelli della comprensione storica, in "Rivista di Estetica", Cura della sezione dedicata a L'Ottocento di AA.VV., Il pensiero ermeneutico, Scheda di "Revue d'Esthétique", n.8, 4, 1985, in "Rivista di Estetica", Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica",Scheda di "Revue d'Esthétique", n. 12, 1986, in "Rivista di Estetica", Al di là della lettera. Lo studio dell'antichità nel pensiero di Ast, in M. Ravera, F.  Vercellone, T. Griffero, Estetica ed ermeneutica, Palermo, Aesthetica.  16) Scheda di "Zeitschrift für Asthetik und allgemeine Kunstwissenschaft "Rivista di Estetica", Identità dell'antico . L'idea del classico nella cultura tedesca del primo Ottocento, Torino, Rosenberg. L'estetica moderna. Percorsi bibliografici, in S. Givone, Storia dell'estetica, Roma- Bari, Laterza.  Per una storia del circolo ermeneutico in : AA. VV., Ciò che l'autore non sa, Milano, Guerini.  Apparenza e interpretazione, Milano, Guerini. Con Gianni Carchia, Premessa a Romanticismo e poesia, in "Rivista di Estetica", Scheda di "The Journal of Aesthetics and Art Criticism", 'Rivista di Estetica", Sublime e memoria. A partire dal giovane Nietzsche, in Dicibilità del sublime, a cura di T. Kemeny e E. Cotta Ramusino, Udine, Campanotto. Pervasività dell'arte, Milano, Guerini. Aparencia y desencanto. Nihilismo y hermenéutica en la Frühromantik, in «Revista de Occidente», Scheda di "The British Journal of Aesthetics, in "Rivista di Estetica", rasa a della di resenca, Mila D, a Rimanik a Niezsche, in Teatro   Heidegger e Bäumler interpreti di Nietzsche, in «Immediati dintorni».  Introduzione al nichilismo, Roma-Bari, Laterza. Allegoria del contesto. Note su ermeneutica e modernità, in Oltre la linea dell'avanguardia, a cura di E. Calvi, Milano, Guerini. Forma ed estetismo nella Torino di Gobetti e di Lionello Venturi, in Alberto Sartoris. Novanta gioielli, a cura di A. Abriani e J. Gubler, Milano, Mazzotta. L'utopia del visibile. Note sull'ermeneutica dell'immagine a partire dalla 'Romantik', in «aut aut», Introduzione a W. H. Wackenroder, Scritti di poesia e di estetica, Torino, Bollati Boringhieri. Anmerkungen zur Romantik, Hermeneutik, Nihilismus, in H.M.Baumgartner und W. Jacobs (a cura di) Philosophie der Subjektivität? Zur Bestimmung der neuzeitlichen Philosophierens, Stuttgart, Fromman-Holzboog.  Autocoscienza, immaginazione e temporalità nelle Fichte-Studien di Novalis, in «Annuario filosofico», Milano, Mursia. Estetica ed ermeneutica nella filosofia italiana contemporanea, in AA. VV. L'estetica italiana del '900, Napoli, Tempi Moderni.  Recensione a G. Moretti, L'estetica di Novalis, Torino, Rosenberg et Sellier,  in «Itinerari», n.2. Voci: «Nichilismo», «Jonas», «Koselleck», «K. Ph.Moritz», «Wackenroder» in Enciclopedia Garzanti di Filosofia. Classicità fra natura e artificio. Goethe e Nietzsche, in «Itinerari», 3 (ripubblicato poi in «Paradosso»,  a cura di S. Givone, Sul pensiero simbolico). Modernità e progetto; lezione tenuta nell'ambito del corso di perfezionamento in Progettazione Architettonica della Facoltà di Architettura di Roma (prof. F.Purini), in «Bolletino della Biblioteca del Dipartimento di Architettura di analisi della città», La volontà e l'informe. In margine alla recente riedizione della «Volontà di potenza», in «Iride», Prospettiva sull'Ofterdingen di Novalis, in «Paradosso», n. 9. Recensione a E. Calvi, Tempo e progetto, Milano, Guerini, 1991, in «Rivista di estetica», La questione della forma parte della voce Estetica, redatta in collaborazione con M. Ferraris e Sergio Givone, in La filosofia, vol.III, diretta da P. Rossi, Torino, Utet. Storicità e destino. A proposito del Nietzsche di Heidegger, in «Iride», La temporalità del poetico in Goethe e Novalis in Atti del Convegno dell'«Associazione Italiana Studi di Estetica», 1993, Milano, Luni. 17) Depregia del sublime at onl sed e anore di Citici della Pri comanik.  Carchia e M. Ferraris, Milano, Cortina.  48) P. Szondi, Saggio sul tragico, (a cura di F. Vercellone, trad. it. di G. Garelli),  Torino, Einaudi.  Estetica, in collaborazione S. Givone e M. Ferraris, Milano, TEA (riproduce n.44). Recensione a U. Perone, Nonostante il soggetto, Torino, Rosenberg et Sellier, 1995, su «Iride», L'ermeneutica e l'autore, in Prima dell'autore. Spettacolo cinematografico, testo, autorialità dalle origini agli anni Trenta, Udine, Forum, Romanticismo e modernità, a cura di C. Cianc io e F. Vercellone, Torino, Zamorani. L'altro sublime: note sull'ontologia del primo romanticismo tedesco in Romanticismo e modernità, cit.  Recensione del vol. di G. Carchia, Arte e bellezza. Saggio sull'estetica della pittura (Bologna, Il Mulino), in «Iride», Note su caos e morfogenesi nel romanticismo tedesco, in Il paesaggio dell'estetica, Torino, Trauben. M. Frank, Individualità. Difesa della soggettività dai suoi detrattori, ediz. it. a cura di F. Vercellone, Udine, Campanotto. Nature del tempo. Novalis e la forma poetica del romanticismo tedesco, Milano, Guerini et Associati.  58) Nichilismo e cristianesimo, intervista a mia cura di L. Pareyson, comparsa originariamente su «L'Ora», Liberatevi da ogni colpa); versione ampliata in «Annuario filosofico», Pareyson, Opere complete, Essere Libertà Ambiguità, a cura di F. Tomatis,  Milano, Mursia, Categorie estetiche. in Estetica. Storia, categorie, bibliografia, a cura di S.  Givone, Firenze, La Nuova Italia.  Einführung zum Nihilismus, München, Fink (trad. ted. con lievi modifiche del vol. di cui a 29). L'Occidente della verità. Identità e destino della cultura europea, a cura di C. Ciancio e F. Vercellone, Milano, Guerini.  62) Arte e bellezza (testo della conferenza tenuta a Jesi, il 20.1.1998, presso il Palazzo dei Convegni di Jesi nel ciclo L'estetica e i suoi luoghi a cura del Circolo Culturale Jesino «Massimo Ferretti»), in AA.VV., L'estetica e i suoi luoghi, Jesi,  Arti Grafiche Jesine).  63) Recensione a: Maria Moneti Codignola, Moralità e soggetto in Hegel, Pisa, ETS, su «Iride») Estetica dell'Ottocento, Bologna, Il Mulino (trad. portoghese: A estética do século  X/X Editorial Estampa, Lisbona, 2000; trad. spagnola: Estetica del siglo X/X, Madrid,  Machados., Corpo, memoria, storia., in «Iride» nella rubrica «Libri in discussione», a proposito del volume di D. Dietrich Harth, Das Gedächtnis der Kulturwissenschaften, Dresden, Dresden Recensione al vol. di N. Humphrey, Una storia della mente, trad. it. di B. Antonielli, Torino. Instar Libri, 1998 su «Iride», Recensione a G. Carchia, L'estetica antica, Roma-Bari, Laterza, 1999, su «Iride», Composizione dell'infinito: Goethe e Novalis, in «Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli-Sezione Germanica»,mMerce come ornamento, in Le provocazioni dell'estetica. Dibattiti a Gargnano, Torino, Trauben. L'eredità estetico-filosofica di Goethe, In Omaggio a Goethe. Fotografie di Dario Lanzardo, Torino, Museo Regionale di Scienze Naturali. L'artificio della bellezza, in Arte, Natura, Storicità, Atti del Convegno Dipartimento di Filosofia dell'Università della Calabria, a cura di R. Bufalo e P.  Colonnello, Napoli, Luciano (riproduce con alcune modifiche ...).  Note su Gadamer e la filosofia italiana, in «Iride» Trad. con Serenella lovino del saggio di P. Maisak, Parole e immagini sono correlati che incessantemente si ricercano, in J.W. Goehte, Immagini per la prospettata edizione italiana del Viaggio in Italia, a cura di C. Diekamp, Torino, Museo Regionale di Scienze Naturali. 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Vercellone, in «Iride», Goethe e la forma come struttura comunicativa, in : Johann Wolfgang Goethe.Der Symbolische Mord. Der Mord der Kunst, des Menschen und Gottes  Lübeck, Schmidt Römhild, Atti del convegno omonimo a cura di D.v.  Engelhardt; Lübeck, Note su Dio, mondo e sapere nella Dialettica di Schleiermacher in «Annuario Filosofico» Milano, Mursia; Borita, Mia 0, Mere da di a ora il versole a cue: i Vercellone e A.  Estetica tra morfologia ed ermeneutica. Dalla Klassik all'espressionismo tedesco in: Soggettività ontologia linguaggio, a cura di F. Mora e L. Ruggiu,  Venezia, Cafoscarina, Forma como comunicacion. Da Goethe a Carus, in Goethe, Pajsajes, Madrid, Círculo de Bellas Artes. Mi filosofia como ontologia de la actualidad, por Vattimo, (entrevista de Savarino y V.), in : Gianni Vattimo. 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Vieweg, Oltre la leggenda della fine dell'arte, El nihilismo y las nuevas formas de la imagen tardomoderna, in «Bajo Palabra. Revista de Filosofia, La morte dell'arte dopo Hegel, in Gabilondo, Méndez, Ramos, Tudela, Lozano (cur.), La herida del concepto, UAM, Madrid, Preface, in C. Concilio, M. Festa (a cura di), Word and Image in Literature and Visual Arts, Mimesis, Milano,Bertram, L’ARTE COME PRASSI UMANA: un'estetica, edizione italiana, cur. V., Cortina, Milano, Introduzione Il futuro dell'immagine, il Mulino, Bologna, Fantasmi, fantasmagorie, agnizioni, in D. Eccher (a cura di), Boltanski: Anime, di luogo in luogo, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, Trad. ingl., Ghosts, Phantasmagorias, Agnitions, in D. Eccher (ed.), Boltanski: Souls, from Place to Place, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, Nuovo romanticismo? La civiltà dell'immagine, in «Teologia», Beyond Beauty, New York, SUNY, tIl lusso come problema filosofico, in «Iride», Cura del numero monografico di «Azafea», La Nueva Morfologia, Perspectives On A New Morphology, Kiefer e I Sette Palazzi Celesti. Ovvero l'inizio come la fine e l'inverso, in «Bollettino filosofico», Pareyson, Suny Press, Albany Simboli della fine, Bologna, il Mulino, con esteria Maria e ilesia di) Champo delo, logaica, Palarono,  Palermo, Libri in discussione: Vita quotidiana di Enrica Lisciani-Petrini (con M. Garda e S.  Forti), in Iride - Filosofia e Discussione Pubblica, Dream, Geist. Strategie del Regno, in Dream - L'arte incontra i sogni - catalogo.  Skira, Roma, In uscita o da verificare:  en el siglo XIX Universidad Internacional Menéndez  Pelayo; traduzi lituana in corso; L'educazione estetica nella civiltà dell'immagine. Ipotesi sul futuro prossimo in versione spagnola negli Atti del con vegno Schiller a Madrid  La morfologia oltre l'estetica. Ricordo di Olaf Breidbach, trad. tedesca in Atti del convegno «Anschauen, Ordnen, Deuten, Wissen». Gedächtnissymposium zur  Erinnerung von Olaf Breidbach, Jena. Federico Vercellone. Vercellone. Keywords: bello, estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vercellone.

 

Luigi Speranza -- Grice e Verdiglione: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della congiura degl’idioti – la scuola di Reggio Calabria – filosofia calabrese – la scuola di Caulonia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Caulonia). Filosofo calabrese. Filosofo italiano. Caulonia, Reggio Calabria, Calabria. Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Grice: “I like Verdiglione; my favourite: his “La congiura degl’idioti” – I have used the Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on implicature. The first time to refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised idiom’ – idioma in Latin and idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but more importantly – since ‘recognised by who?’ – in the next session I referred to a conversationalist using a one-off signaling which I referred to as a ‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and I can be pretty idiosyncratic!”. Vincitore di una borsa di studio nel collegio Augustinianum, studia a Milano, dove si laurea con una tesi sulla filosofia semiotica di PIRANDELLO (vedi). Formatosi con Lacan, pubblica con le case editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e Sugarco, con cui collabora. Per quest'ultima dirige la collana "Bordi". Traduce la raccolta di testi Scilicet di Lacan per Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la sua casa editrice, Spirali, pubblica testi come la traduzione del Malleus Maleficarum, Il martello delle streghe, il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle streghe, e in seguito, sempre per le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di BRUNO, come “Le ombre delle idee” e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per Feltrinelli libri che in Francia animano il dibattito in ambito culturale, come il saggio di Irigaray Speculum. L'altra donna edito da Feltrinelli nella traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni, Educazione impossibile. Introduce in Italia Kristeva. Incontra anche Oury, fondatore assieme a Guattari della clinica La borde, di cui pubblica “Creazione e schizophrenia”, “Psicosi e logica istituzionale”. “Il collettivo”, Babele e la Pentecoste. La Borde e la scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo. Traduce sempre per Feltrinelli l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx: economia e simbolico. Fonda il Movimento freudiano e la Spirali Edizioni. Con Spirali, pubblica autori come  Daniel, Lévy, Glucksmann, Halter, Arrabal, Grillet.  Esce in edicola il primo numero del mensile “Spirali: giornale di cultura”, a cui segue l'edizione francese Spirales, Il Secondo Rinascimento. V. e il Collettivo “Semiotica e psicanalisi” organizzano a Milano, in V sedi differenti, il Congresso internazionale "Sessualità e politica" seguito dai media italiani. Partecipano molte filosofi. Sempre con il Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza il congresso “La follia”, che si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei Congressi e il Museo della scienza e della tecnica. Il congresso è seguito dalla stampa di vari paesi. Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta scienza della parola. Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la cifrematica come dottrina della parabola intesa come cifra -- dottrina elaborata da V. e utilizzata all'interno di esperienze di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifre-matica, ogni parabola può essere analizzata secondo la sua logica idiomatica – cfr. Grice, “Idioma, not language” -- o la sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’ C’e logica idiomatica della relazione, dello stigma, della funzione, della operazione, e della dimensione. C’e tre 'strutture': struttura sintattica, struttura frastica e struttura pragmatica – o griceiana, secondo cui ogni expression – idioma --  può essere 'de-cifrata.’ E a Milano, su invito di V. Ionesco. In un'assemblea di intellettuali e lettori, c’e un convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della sua vita e della sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di poesia.  La sua Università internazionale del Secondo Rinascimento acquista dalla famiglia Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati per anni in uno stato di abbandono. I nuovi proprietari decidono pertanto di avviare un primo importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del bene. Il restauro si è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la collaborazione di ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi che hanno lavorato, insieme, sotto la direzione della sopra-intendenza ai beni ambientali ed architettonici di Milano. L'attività editoriale prosegue quanto già avviato e si indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri. Pubblica libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri. L'interesse per la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gl’ambasciatori russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev, e l'ex ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre agl’autori, pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa direzione sono stati organizzati i convegni internazionali Festival della modernità che propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche -- scrittura, libertà, politica.  Prosegue il lungo processo di restauro della Villa San Carlo Borromeo di Senago, restituendo all'edificio la sua originaria bellezza e trasformandolo in un palazzo del turismo culturale e artistico, nella sede dell'Università internazionale del Secondo Rinascimento e della casa editrice Spirali. In questi anni, la villa è sede di congressi, di corsi, di seminari, di riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, di un museo permanente e di un museo per grandi mostre. V. ha totalizzato X anni e VI mesi di carcere per reati vari.  È stato condannato a IV anni e due mesi per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento è stato condannato a I anno e IV mesi. è stato di nuovo condannato in primo grado a IX anni (e la moglie a VII) per associazione a delinquere, frode fiscale, truffa alle banche e allo stato. In seguito la pena è stata ridotta a V anni. In tale occasione ha causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3 sono in capo a Intesa Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace V. è al centro di una serie di vicende giudiziarie (Affaire V.) relative all'attività sua, della sua fondazione e dei suoi collaboratori. Viene condannato a IV anni e due mesi di reclusione per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace, condanna che passa in giudicato. Intellettuali di vari paesi -- tra cui Lévy, Ionesco, Arrabal, Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis, Zinovev, Mathé, Lanzmann -- acquistano una pagina del quotidiano “Le Monde” in cui pubblicano e sottoscrivono un appello rivolto al presidente della repubblica italiana e ai giudici milanesi, col quale denunciano un presunto clima di caccia alle streghe. Il caso V. secondo i firmatari mette in discussione le nozioni di diritto, giustizia e libertà di parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel Observateur, pubblica su la Repubblica una lettera, intitolata "Difendo V.", rivolta al direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro internazionale in piazza Montecitorio sul Ve., a cui partecipano anche importanti esponenti del "Comitato Internazionale per V.", promosso da MORAVIA, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La Repubblica scrive che dopo quello di Tortora ci e la sponsorizzazione da parte del PR del caso giudiziario di V.”. Il programma satirico Drive In lo fa conoscere anche al grande pubblico, attraverso la parodia del "Dottor Vermilione, psicanalista santone" impersonato da Greggio. Il caso V. è anche citato in relazione al disegno di legge per l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace -- articolo del codice penale. Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si conclude con il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in occasione del primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento a una pena di I anno e IV mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex allievi. Si concludono le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano, Viene indagato per evasione fiscale in relazione all'emissione di fatture false, e appropriazione indebita. A seguito della richiesta avanzata dalla procura di Milano, due dimore storiche riconducibili al professore (tra cui la Villa San Carlo Borromeo di Senago) per ordinanza del Gip vengono poste sotto sequestro preventivo, pur mantenendone la disponibilità. A meno di III settimane di distanza il Tribunale del Riesame di Milano annulla i decreti di sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM Albertini, e restituisce gli immobili alle proprietà, in quanto non sussiste l'accusa di evasione fiscale. Si tratta invece di neutralità fiscale, in quanto l'IVA dovuta sarebbe sempre stata pari a zero. In base alle conclusioni del giudice, sarebbero state emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra società facenti capo a V., allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti finanziari, potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà fasulle.  La giudice Marchiondelli rinvia a giudizio V. per associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo stato. Viene condannato a IX anni per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale, truffa alle banche e truffa allo stato. Nel medesimo processo vengono emesse condanne anche a carico della moglie  Angeli e di due sue società, intanto fallite. Viene altresì disposta la confisca, fino ad un valore equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10 milioni di euro, di beni come la storica dimora trecentesca Villa San Carlo Borromeo a Senago con 10 ettari di parco. La sentenza di secondo grado conferma la prima, nonostante che Procuratore generale, nella sua requisitoria, abbia chiesto l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse. La condanna a V anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle inchieste giudiziarie, l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo psicoterapeuta infantile Foti. Analoga affermazione fu fatta da Calefato, professoressa associata di sociolinguistica, che così si espresse in un'intervista per un quotidiano locale in occasione dell'incontro con Verdiglione organizzato a Bari da Ponzio, Professore di filosofia del linguaggio, intitolato "La cifra del Levante". MUSATTI, considerato il fondatore della psicanalisi italiana, prova una profonda avversione per V. che etichetta come "“il magliaro di Caulonia” e come "cialtrone". V. ha ospitato come relatori, nell'ambito di alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo Borromeo, autori come Duesberg, virologo statunitense, scopritore dei retrovirus, e Rasnick, biologo, che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo che gli ammalati di tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione di droghe sintetiche fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che erano loro imposte nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva all'utilizzo di farmaci come l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo anti-neoplastico e poi abbandonato per l'elevata tossicità. Saggi: “Il carcere. La questione della parola, Associazione Amici di Spirali,  Ur-kommunismus; “La paura della parola”, Associazione Amici di Spirali, “La grammatica dello spirito,” L'androgino trinitario e la bilancia dell'orrore, Associazione Amici di Spirali, “I padroni del nulla” Associazione Amici di Spirali,  L'Operazione guru, Associazione Amici di Spirali,  La rivoluzione dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio di guerra, Associazione Amici di Spirali,  In nome del nulla. L'accusa di blasfemia, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di Spirali,  Parola mia, Spirali,  La realtà intellettuale, Spirali,  L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del tempo, Spirali,  Scrittori, artisti, Spirali, La libertà della parola, Spirali, “La politica e la sua lingua”, Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali,  Master dell'art ambassador, Spirali, Master del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali,  “L'interlocutore”, Spirali, Il Manifesto di cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga, Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale, Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali, MACHIAVELLI, Spirali/Vel, Vinci, Spirali/Vel, La congiura degl’idioti, -- cfr. Grice, “L’idioma dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera all'eccellentissima corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo alla parola, Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo rinascimento, Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali,  Dio, Spirali, La peste, Spirali, La psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana, Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris: Le Seuil (réédition Fayard )  dal sito web italiano per la filosofia.  il domenicale arretrati n. Domenicale miei libri Scienze umane Sociologia e comunicazione Sollers-scrittore La dissidenza della scrittura Lacan e altri, Scilicet: rivista dell'école freudienne de Paris, trad. di V., Feltrinelli, Milano, Lacan,  Il seminario, in «Ornicar? Venezia. Institor (Krämer), Sprenger, V., Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel "transfert" degli inquisitori, Spirali, Milano, BRUNO, Caiazza, Le ombre delle idee, Spirali, Milano, BRUNO, Sini, Cabala del cavallo pegaseo, Spirali, Milano, Mannoni, Educazione impossibile, (Feltrinelli, Milano). Spirali pubblica le opere La rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia, : Lautrémont e Mallarmé e Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione  Guattari /spirali books-of-Jean+Oury. Php  Goux, Freud, Marx: economia e simbolico, introduzione e cura di V., Milano, Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e politica edito da Feltrinelli, 2000 partecipanti al Congresso di Psicanalisi con tema "Sessualità e Politica", svoltosi a Milano", Anquetil, "A Milan, le sage congrès de la folie", Les Nouvelles Littéraires, Dadoun, "A Milan F comme Folie", La Quinzaine littéraire,  Descamps, "A Milan au congrès de psychanalyse on a débattu (vivement) de “Sexe et politique”", La Quinzaine littéraire, Congres v Milanu, “Razprave problemi”, Maggiori, "La 'Jet Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation,  Italianistica, Cifrematica: di che cosa parliamo?  Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano, Mascheroni, il Giornale, Borzi, Etruria perde 26 milioni nel crack V., in Il Sole 24 ore, V. affidato al servizi sociali, la Repubblica, in Archiviola Repubblica.  "Pour V.", Le Monde, "Difendo Verdiglione", di Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da la Repubblica, Caso v.:, all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a partire dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso v.". marco pann..., su radio radicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica, in Archivio la Repubblica legislature camera dati/leg10/lavori/ stampati Milano, 18 rinvii a giudizio per la vicenda v., Repubblica » Ricerca, non profit, v. fa lo sponsor e le associazione danno forfeit, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Turano, V. spa, in Corriere Economia, V., ovvero come sposare lo sponsor e viver felici  Corriere della Sera, su milano.corriere.  Archivio Corriere della Sera, su archivio storico.corriere. Corriere della Sera, su archivio storico.corriere.  Frode fiscale, IX anni a V. confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo psicanalista V. dai fasti al ritorno in carcere, su milano corriere.  sito dell'associazione diretta da Foti, 'V. fuori dall'Ateneo' la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Il chiaccierato V., la Repubblica, in Archivio la Repubblica. musatti Analisi laica, su Analisi laica. Italian guru, la Repubblica, in Archivio la Repubblica. Szaz, La battaglia della salute, Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non si trasmette né attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti omosessuali e neanche senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è un retro-virus che, secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via della cura. È la cura, che li ammazza."».  Dizionario di cifrematica, su dizionario di cifrematica. V.  Com: Recenti Vicende, su tg mediaset. Armando Verdiglione. Verdiglione. Keywords: de-ciphering the cipher, cifra decrifrata, implicatura e cifra, Bruno, Machiavelli. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma dell’idiota” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Verdiglione.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vernia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei peripatetici del lizio – la scuola di Chieti – filosofia abruzzese -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Chieti). Filosofo abruzzese. Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I love Vernia, but then any Englishman would, especially when learning that Saint Thomas (Aquino) would have made such a fuss about him!” -- Essential Italian philosopher. Allievo a Padova di PERGOLA e Thiese e successore di quest'ultimo. Ha come collega POMPONAZZI (il Pomponaccio). Tra i suoi allievi: NIFO e PICO. Seguace dell'ermetismo imperante a Padova, cura un'edizione di Aristotele, il lizio. V. sostenne l'unità dell'intelletto -- dottrina poi abbandonata a causa di una condanna inflittagli dal vescovo di Padova --, l'autonomia della fisica rispetto alla meta-fisica, e la superiorità della scienza della natura sulle scienze dell'uomo. Saggi: “Contra perversam Averrois opinionem de unitate intellectus et de animae felicitate”; “De unitate intellectus et de animae felicitate”; “Expositio in posteriorum capitulum secundum in fine”; “Expositio in posteriorum librum priorem”; “Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de rationibus seminalibus”; “Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De anima. Bellis, “L’aristotelismo” – del lizeo (Firenze, Olscheki editore, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Esaminiamo in prima quali sieno le sue cose stampate, le quali sono poco conosciute, si perché si trovano inserite in altre opere, si perché scritte con caratteri molto fitti, danno pena all'occhio anche molto paziente. La dissertazione più conosciuta é l'ultima, contro l' unità dell'intelletto di Averroe; tanto è vero, che nella seconda iscrizione apposta al monumento trasportato dalla chiesa di S. Bartoloneo all'oratorio dell'ospedale civile di Vi-cenza, è precisamente questo ultimo scritto ricordato. Del Vernia sono stampate sei dissertazioni. La prima porta la data del 1480 (') ed è: quuestio un ens mobile sit toliusphilosopine nuturalis siljectum ('); essa si trova nel commento sul de general. et corrupt. di Aristotele, di Egidio Romano, di Marsilio Ingnen, e di Alberto di Sassonia.  La seconda é collegata colla terza, e tratta della partizione della filosofia; è una prolusione ad un corso di un anno intorno alla fisica di Aristotele. La terza è: utrum medicina jure civili sit nobilior: è come una conclusione della seconda (°); tutte e due sono nella fisica di Burleo, e sono precedute da una lettera a Sebastiano Baduario, censore di Vicenza (3), nella quale ricorda il Vernia la grandezza della di lui famiglia, di cui i capitani sono scolpiti nelle immagini del Palazzo Ducale di Venezia. Il Badua-rio fu discepolo, come il Vernia, di Paolo della Pergola, ed addivenne illustre scotista. In sua casa fu educato il compaesano del Vernia, Nicola Manupello, di Chieti, che fu fisico e medico. E qui soggiunge, che essendo stato pregato dagli stampatori di emendare il libro sulla fisica di Burleo che era corrotto e che doveva leggere agli scolari, volle premettere la divisione della filosofia e l'ampia questione de inchoatione formaruin da lui trattita, ed al Baduario dedicata. Questa ultima questione è andata perduta; almeno finora non la rinvenni. La partizione della filosofia e l'altra sulla medicina portano la data della fine di febbraro 1482 (*). La quarta dissertazione è sul  de gracibns et lucciles, dedicata a Berardo Bolderio filosofo e medico veronese; tratta se i gravi ed i leggeri inanimati si muovano da se stessi o da altro, quando sia rimosso ogni impedimento. Essa si trova nello scritto sull'intelletto contro Averroe. La data non ci è veramente segnata; ma siccome essa é citata nella quinta dis-sertazione, e non nelle altre prevedenti, è da dirsi essere la quarta. La quinta dissertazione é: questio an denter unicersalin realia, ed é premessa al commento sulla fisica di Urbano Servita, Averroista. Il Renan seguendo l'Hain, ha creduto che sia una prefazione ('); invece è una questione a se, che la poca relazione propriamente culla fisica. Antonio Alabante scrive al Vernia di leggere ed esaminare il manoscritto di Urbano Servita, e di vedere se ne sia stato l'autore Giovanni Marcanova, ovvero Ur-bano. Il Vernia risponde che il manoscritto nel primo esemplare è di Urbano: Marcanova lo copiò e fu trovato nei libro di costui senza indice: che è degno di essere stampato, jerche Urbano supera moltissimi averroisti, e non islugge le questioni le più difficili della fisica. Corrisponde alla gentilezza e stima di Alabante di Bologna con pari condutta, mandandogli la dissertazione sugli uni-versali, perché la legga e gli dica se può essere stanpata.  La lettera di accompagnamento porta la data del giugno 1492 da Padova; e la dissertazione è stata terininita nel 17 febbraio 1492 (*). Sino a questo tempo il Vernia è un pretto averroista, mostrando nei suoi scritti unlampo di razionalitá e di liberta di filosofare pregevole e rarissima a quei tempi.  Ma alla sorveglianza del Vescovo di Padova e alla • pietá di un uomo dottissimo quale era il Barozzi non poteva sfuggire il libero pensiero del Vernia. Imperocche il Barozzi nel 4 maggio 1489 aveva emanata la scomunica lutae sententiae a tutti quelli che disputavano pubblicamente quoris quaesito colore, sull'unità dell' intelletto.  Il Vernia con tutto ciò si mantiene ancora fermo ai suoi principii; sperava che essi fossero mantenuti illesi colla pubblicazione delle sue dottrine, affidata alla protezione di uomo colto ed autorevole che l'aveva accolta.  Cio non basto a salvarlo: una più severa minaccia di seo-munica direttamente al Vernia dovette venire, la quale l'obbligava a ritrattarsi. Non si puù spiegare diversamente la vicinanza delle due date, della quarta e della sesta dissertazione, nella quale ultima il Vernia si ritratta interamente del suo averroismo. La questione degli universali porta la data del 17 febbraio. La lettera poi di accompagnamento di questa dissertazione diretta ad Antonio Alabante porta la data di giugno 1492; mentre quella contro l'unità dell'intelletto è del 18 settembre, dello stesso anno, 1192.  Non dustrente ophtelmia quae me tune molestant, soggiunge il Vernia in fine: una circostanza tuti'altro favorevole a fare scrittura. Argomento da ciò, che il Vernia la dovuto affrettarsi a fare questa ritrattazione. Che la dissertazione sesta sia un po' affrettata ed un poco anche confusi, é in qualcle parte evidente. Che rimanga il dubbio di avere abbandonato l' averroismo perfettamente, e evidentissimo; ed il Barozi se n'era già accorto. Epperò non possiamo noi accettare come veridica la sua confessione, cioé, che solo per disputare e per aguzzare l'ingegno tentò di corroborare con argonenti l'opinione di Averroe intorno all'unico intelletto.  Contro tale dichiarazione sta non solo la dissertazione precedente dello stesso anno sugh universali, in cui si professa pu-ru averroista, ma anche un'altra che è sparita, intorno al-1180 nella prina questione preliminare intorno al soggetto della fisica (').  Ma la vita di insegnante per 33 anni nell' università di Padova sarebbe stata troppo scarsa di frutti intellettivi, se il Vernia si fosse limitato a queste sole sei dissertil-zioni. Giá abbiamo visto che egli emendo la fisica di Burleo. Anche ai tempi di POMPONAZZI (si veda) Burleo gode all-cora grande autoritá nella scienza. Ed alcune opere di lui erano già andate perdute (°). Un altro lavoro di cur-rezione di edizione lo fece intorno al de caelo et murulo del Gianduno. Pellenegra di Troja che insegno filosofia morale a Padova, ci da notizia di avere più accuratamente stampate le questioni del Giandono che furono emendate da V. Noto questa notizia molto rilevan-Imperocché sono di credere che molti hanno pubblicato dei lavori del Vernia, non originali però, ma intorno ai commenti di Aristotele, appropriandosi in tutto e per tutto gli scritti del filosofo chietino. Che V. non perde il tempo sulla cattedra, si rileva dalle sue stesse parole nelle quali dice che essendo stato professore per anni a Padova, crede essere poco decoroso, se non avesse pubblicato ció che avea raccolto con diligenza per tanti anni dai filosofi latini. Egli non cessa tutti i giorni di forbire e ritrallare i commenti che aveva fatto su tutti i libri del LIZIO, perché potessero meritare di essere pubblicati . Ma manda alla stampa in prima l'opuscolo sulla immortalità secondo la fede cattolica, aí-finché fosse esso come il conduttiero delle altre opere. Prega inoltre Grimani di accettare questo dono durante il tempo, che egli da un'aitra mano ai coinmenti di Aristotele. Se la lettera dedicatoria è scritta nel 1499, nella quale confessa che egli ha già pronti questi commenti, ma non li pubblica perché hanno bisogno di essere ricor-secondo il tenore del suo opuscolo, cioè contraria ad Averroe, di cui era stato per tanti anni fautore. Quindi si può supporre, o che egli non li abbia pubblicati prima per la minaccia del Barozzi, ovvero che dal 1499 egli siasi messo a ritrattare tutti i commenti in senso anti-averroistico, e che non li abbia finiti per gli acciacchi della sua età. Pochissimo é stato anche il tempo dalla pubblicazione dell'opuscolo alla sua morte; quindi si può ritenere che i suoi scritti sieno andati nelle mani degli altri.  Una caratteristica quasi costante si può notare negli scritti del Vernia, la quale è duplice, materiale e formale.  Il Vernia è molto ordinato nel suo scrivere: quasi tutte le sue dissertazioni sono divise in tre parti: la prima espone tutti coloro che hanno deviato da Aristotele e dal suo commentatore, Averroe; la seconda, che cosi al buno sentito entrambi intorno al quesito proposto, e la terza contuta le opposizioni addotte dagli avversari. Questo tenore di dividere in tre parti l'argomento era però comune a tutti i tomisti e scotisti. Ciò riguarda la materia dei suoi argomenti. Circa la sua opinione, a quale cioé, dei filosofi più si accostava, è da dire in genere, che egli sebbene averroista, era piu veramente un albertista. Tomista non mai periettanente. Il suo storzo è di mostrare che l'opinione di Averroe poco differisce da quella di Alberto. Lo dice finanche nella sua sesta questione contro l'unità dell'intelletto. Sebbene in quest'ultima sia stato costretto ad essere tonista, per avvalorare la sua ritratta-zione.  Il Vernia insegnava propriamente li tisica a Padova, e non poteva sottrarsi all'esameseguace, d’AQUINO (si veda), o di Alberto. Tale questione era, se l'oggetto della filosofia naturale era l'ens mobile, come disse S. Tommaso, ovvero il corpres mobile, come opinó Alberto. Osserva che Egidio Romano combatté l'o-pinione di S. Tommaso, perché la scienza naturale non è subalterna della metafisica; poiché tre sono gli abiti speculativi, il metafisico, il matematico, ed il naturale. E se la mobilità è un' accidentalità, questa non deriva punto dall' essere, in quanto questo è obbietto della metafisica.  La scienza naturale non é parte della metafisica, ma que-sta e quelle sono diverse parti della filosofia. D’AQUINO (si veda) la la più buona opinione, dicendolo il migliore espo-sitore tra i latini; ma pure non solo in questa, ma in altre questioni gli é spesso contrario. Lo Scoto volevi invece clie l'oggetto dalla fisica fosse la sostanza naturale, che é soggetto del moto e di altre aflezioni. Ma se per naturale s' intende il sensibile, soggiunge il Vernia, esso  è il soggetto che é principio di moto e di quiete.  Sostiene perció che il corpo mobile sia il soggetto della fisica. Otto sono le condizioni requisite per un subbietto di una scienza: che sia reale, uno almeno per unitá analogica, universale, adeguato, primo noto in quanto alla sua ragion formale, che abbia parti, che abbia affe-zioni, che abbia principii. Ora l'errore di Antonio Andrea è di aver posto l'essere come comune a Dio ed alla crea-tura. Queste otto condizioni si trovano nel corpo mobile,l'ammettere il noto come soggetto di scienza, risponde che quell'accidente solo non entra nella scienza, il quale non ha causa.  Due difficoltá considerevoli s'incontravano in tale de-finizione della fisica. Se il corjo mobile é il subbietto della fisica, gli angeli sono mobili, ma non sono corpi: inoltre, il cielo non é composto di materia e forma, e quindi cone può essere l'obbietto della fisica? La questione dell'an-  gelo intorbidava la liberta di filosofare nella scienza na-turale. Intorno alle specie ci era quella della plurabilita,  o moltiplicabilità dell'angelo, che non era ammessa da S.  Tommaso, perché ogni angelo rappresentava la specie tutta. Per l'anima umana invece si doveva sostenere la plu-  rabilita, altrimenti si cadeva nell'averroismo, e si ri-conosceva l'unita dell'intelletto umano. Il Vernia confessa che egli intende di parlare secondo la ragion na-turale in tale questione: e dice che gli angeli non si possono muovere con una velocita infinita, perché la ve-locita dura un certo tempo: il loro moto locale, se fosse veloce infinitamente, dovrebbe avere uno spazio infinito ; locché non conviene all'angelo. Esso é dunque una so-stanza semplice ricettiva di luogo, e quindi di moto. Era giá il primo indizio, con cui egli si dipartiva dalle veritá di fede e della teologia ('). I teologi invero volevano con-cedere all'angelo il moto infinitamente veloce, ovrero  l'ubiquità, negandogli il luogo. Locché e contraddittorrio per V. E se con AQUINO (si veda) ammette che l'angelo rappresentando tutta la specie, era implurificabile, lo stesso sosteneva rispetto all'intelletto umano.  Ma si riserva di trattare tale questione in quella dell'in-telletto.  Se questo scritto sia stato pubblicato, non si sa: forse dovette sparire dietro la persecuzione del Barozzi; non credo però che gli fu impedito di pubblicarlo. Il Nifo pare che lo accenni. Imperocché e chiaro che la citazione sui concorda perfettamente colla dottrina che espone e che pol Il Nito combatte. Cioé, che per sostenere l' unità dell'in-telletto, disse un nuoro espositore, che una stessa forma spirituale informa subbiettivamente la fantasia e l'intel-letto. Imperocché la forma spirituale può essere una di numero in diversi soggetti, come il colore nell'acqua e nell'aria. L'intelletto in se come uno in atto informa il nostro intelletto, ed é la specie intelligibile; informa an-clie la fantasia, ed è il fantasma.  La seconda difficolta era: se  Averroe aveva ammes-  so che il cielo non è coinposto di materia e foria, perché é ingenerabile e pur tuttavolta è mobile, come poteva abbracciare l'idea del corpo mobile il cielo e le cose terre-stri? V.risponde che la sostanza mobile è cio che è soggetto alla triplice dimensione. Pare accostarsi per ciò all'opinione di Egidio COLONNA ROMANO (si veda) che pone identici natura nel cielo e nella terra. Ma pure non é veramente cosi; perché confessa altrove che il cielo è atto, e non si da in esso passaggio dall' essere al non essere.  Il punto di vista interessante per caratterizzare fin da ora il chietino filosofo è questo nel primo suo lavoro, di-chiarare, cioè, la fisica indipendente della metafisica: sottrarre la natura, per quanto poteva, dall'influenza della teologia. Fin di ora i fisici non stunno in accordo coi metafisici. E una linea di condotta che è troppo costante  in V.  La seconda dissertazione intorno alla partizione delli filosofia è una prolusione che fece in un anno del suo insegnamento; nel quale dovendo esporre la filosofia na-turale, esamina quali sieno le relazioni delle varie parti del sapere al tutto.  La filosofia, dice il Vernia, è la perfezione del sapere; essa è prattica, speculativa e razionale; e riducendo, è reale e razionale. Questa ultima è la logca; dando a questa il solo valore razionale e non reale, il Vernia si dichiara vero occamista: non tomista, né scotista. In tal guisa seguiva la tradizione patavina cirça la logi-ca, la quale, non solo di Nicoletto Veneto e da Nicola della Pergola era stata ritenuta come speculativa secondo Alberto, il differenza di alcuni tomisti che la dissero pratica, ma anche di valore nominale; e cio era la massima distinzione degli occanisti moderni dai logici antichi che erano o tomisti, o scotisti. Siccome tre sono gli atti di ragione in eni jo siano errare, tre sono le parti della logica che servono a dirigerci alla verita.  Le Categorie che Aristotele e Platone ricevettero da Archita da TARANTO (si veda), servono a non attribuire id una cosa uni qualitá che conviene ad un'altra. Il libro de interpretalione tratta delle enunciazioni singole, in cui vi è la composizione, o la divisione dell'intelletto. Il terzo atto é il sillogino pertetto: ed è questa l'arte nuova che fu da Aristotele ritrovata. Questa parte é divisa nell'inventiva e nella giudicativa: quindi la topica e la sofistica. Lia giudicativa è l'analitica, di cui la prima tratta del sillogismo comune in cui si risolve la conclusione nella preinessa;la seconda é quella che riduce gli elletti alle loro cause.  La risolucione prima é relativa alla seconda ; perché quella é comune ad ogni sillogismo, questa é speciale al sillogismo che versa intorno alle cose necessarie.  Al libro dei primi analitici viene quello dei topici; e poi quello dei secondi analitici, e finalmente quello degli elen-chi. Doyo, la rettorica e la pratica.  La scienza reale poi é divisa in prattica e speculativa.  Quella in fattiva come la medicina, ed in attiva clie com-prende l'etica, l'economica e la politica. Questa com-pren Je la naturale, la matematica e la divina. La consi-derazione intorno al mobile in se è della fisica, che è pri-una tra le parti della filosofia naturale: se si considera il solo moto locale, ecco la trattzione del cielo; se verso la forina, ecco il libro della generazione; se verso il mi-sto, si la il libro dei meteorologici, e quello dei minerali : se é animato, questo o è in genere ed ecco il libro de  parcis naturalibus, o é specitico, ed e il de planlis et de animalibus.  La scienza dell' anima contiene tre parti : la prima il trattato deila vita e della morte, poi quello de respirationo e il de jucentute et seneclule, de causis  lougitulinis et bieritatzs citae, de sunate et acgrie-dine el de nutrimento, i quali due ultimi libri non ci pervennero. La seconda ciò che riguarda il motivo, de cresis motes animalium et de pingresse animalium.  La terra cio che è propriamente del sensitivo, quindi de sense et sensat), de memoria et reminiscentia, de sonno et vigiliu. Ma perché dai sinili si procede al dissimile, per-ció dopo il libro dell'anima in genere, vien quello del senso, del sonno e della veglia. L'intelletto non a. endo concretez/a nel corjo, é delle sostance separate che ap-partengono alla metatisica. Sbagliano perciò coloro che dicono soggetto del libro dell'anima il corpo animato e che l'anima sia sostanca del corpo. Perché il corpo ani-mato secondo le operazioni comuni a tutti i corpi animati,è soggetto del libro perenni animalinm: considerato poi secondo le operazioni specifiche è il soggetto dei libri de animalibus et plantis.  Il Vernia è nella dottrina dell'anima in armonia colla dottrina del cielo. L'anima è propriamente l'intelligenza, così nel cielo, come nell'uomo L'intelligenza è sostanza separata; eppero non appartiene veramente alle cose né celesti, né umane. L'anima come senso, come fantasia, appartiene alla natura, siccome la forma e la materia del cielo danno il cielo nella sua pienezza. Questa dottrina del 1482 è in pieno accordo colla dissertazione inedita, se il cielo é animato.  Di qui è chiaro l'ordine delle arti liberali: cioé, prima apprendiamo la grammatica, indi la logica e la parola, poi la filosofia naturale e la matenatica: da ultimo la divina sapienza.  Da questa seconda dissertazione non comparisce per noi nulla di notevole, salvo una mente abbastanza ordinata in mezzo a tutto il ginepraio dei trattati aristotelici. Si può ritenere che il Vernia gia si era dichiarato per l'unità dell'intelletto fin dal 1482, perché dichiara l'intelletto non avere concreteria nel corpo, essendo una potenza separata. Una dottrina che aveva per conseguenza la mortalitá dell'anima. Imperocché egli confessa che non solo la sensazione, ma anche la memoria appartengono alla vita sensitiva. Il senso non è che una specie dell'anima.  L'intelletto come unico appartiene alla metafisica. Non sappiamo se a quest'ora avesse gia pubblicato il suo traltato de unitute intellectus. Forse no: ma questa dichiarazione è già abbastanza, oltre quella che si trova nella prima dis-sertazione, per dichiararlo rigido averroista.  La terza dissertazione, se sia jiù nobile la professione della medicina o quella del dritto civile ('), ha qualcheche di spiritoso. Nissuno si deve meravigliare che il Ver-nia abbia preso a trattare quest'argomento; poichè era egli un medico e filosofo. Difatti, distingue in questo lavoro la medicina come scienza di cui parla, dalla medicina come arte, la quale dipende da quella. I medici artisti sono quelli che discreditano la nostra medicina, dice lui:  e dovrebbero essere espulsi dalle città (').  Dopo avere esposto alcuni argomenti in contrario, tra cui, che il fine del dritto è fare l'uomo virtuoso, quello della medicina conservarlo nel suo essere solamente, che con questa si sana il corpo, con quello si sana l'anima, ragiona cosi per la parte vera. La medicina riguarda la conservazione dell'individuo, che è come la sostanza migliore di ogni accidente. Il dritto si appoggia sull'autorità dei dottori, la medicina dá una certezza dimostrativa.  Essa veramente dipende immediatamente dalla filosofia na-turale. Senza di quella nulla si conoscerebbe: ed in essa consiste la felicità, anzi che nella convivenza, che è una certa felicita. Dimostra a lungo la felicità consistere nella speculazione; e gli pare clie il giurista sia più lontano dall'ultimo fine che attinge il naturalista. La medicina fu sempre avuta più in onore, epperò fu bene ricompensata.  Qui non gli mancano vari esempi dalla storia. Una scienza indeterminata e variabile non può mai essere davvero scientifica. Tale è la legge degli atti umani, in cui è impossibile dire universalmente un vero: anzi è utile in certi casi particolari osservare l'opposto di una legge (°).  I forestieri che entrano nella cittá, sono puniti: ma se questa è assediata, ed entrano per liberarla, sono degnidi premio. Cne leges cariantui secundum locorum commoditutes et ad libitum hominum. Leges enim Ju-stiniani in Gallia nihil culent. Aristotele nel V dell'etica le rassomiglia alle misure del vino e del frumento. Simi-liter non naturalia et lumana justa non eadem ubi-que. Dopo aver distinto la inedicina come scienza da quella come arte, osserva che gli scicnziati medici non solo fanno gli esperimenti, ma ricercano le cause di essi dalle cose naturali. E se ad Esculapio gli Ateniesi, ad Antonio  Musso i Romani per avere sanato Ottavio Augusto ere:-sero una statua di bronzo, che cosa dovremmo fare noi a Gerardo Bolderio di Verona, principe tra i moderni  medici? (').  Osserva clie i legislatori dei suoi tempi sono privi di cultura e li disprezza, perclé non conoscono le scienze morali, nè quelle dell'anima. Tali non furono gli antichi legislatori, come Solone ed Aristotele, che erano periti nella scienza naturale. Dopo aver riferita l'autorità di (icerone nella pro Murena, in cui dice che se Servio Sulpicio aprese dritto civile, non perciò trova aperta la via al consolato, mette in ridicolo alcune glosse che si trovano nel codice giustinianeo (*).  Fra le risoluzioni delle difficoltà poste nella prima parte della discussione, noto questa. Sebbene la virtú siapreferibile alla vita nel genere dei costumi, perchè la morte è preferibile alla vita turpe, perché è più lodevole chi muore per virti di chi vive ozioso; pure nel genere della natura non è cosi, anzi è l'opposto, essendo preferibile l'essere alla virtú. E siccome, più essenziale è il genere di natura di quello del costume, è meglio vivere cle è il fine della medicina, che essere virtuoso che è il fine della legge. Acuta riflessione! Questa dissertazione mi è apparsa la più originale tra tutte, perché, oltre che è lasciata interamente la forma scolastica, essendo scritta in maniera molto spigliata e libera, è piena di osservazioni punto, sprezzabili. Né si dica che era usuale a quei tempi l'invettiva dei professori di vari studi contro i legisti, i quali erano decaduti nella stima jer l'aridità delle loro dottrine. Imperocchè V. si mostra jiuttosto inspirato ad un altissimo concetto che è vero : cioè, che la scienza della natura è la sola che ci procaccia una felicita per le verità conosciute, le quali non sono variabili come le leggi umane. Comprendo che da essa risulta pure evidente lo stato di decadimento della giuri-sprudenza a quei tempi. Ma V. indica pure il modo come rinsanguare quegli studi coll' estendere la coltura a quelle sorgenti, da cui puó fluire la vita del pensiero che era rimasta assiderata nella forma e nella parola.  La questione de paritus et lecilus è di poca impor-tanza: tratta se i gravi e leggieri inanimati, rimosso l'impedimento, si muovono localmente da se, o da altro.  Espone secondo il solito, le opinioni devianti da Aristotele e le confuta, quella di Averroe che é la stessa di Ari-stotele, e finalmente risponde alle obbiezioni. L’Accademia che pone l'anima e le cose inanimate muoversi da se, è in opposizione ad Aristotele, che volle nissuna cosa poter muovere se stessa. Alberto disse muoversi per accidente; e che non ci è bisogno del movente nel moto naturale, ma solo nel violento: e questo è l'aria. Ma osserva che ogni moto ricerca per se il movente, e tali sono i gravi. Contro AQUINO (si veda) che dice i gravi fin-maliter si muovono da se, ed effectire dal movente, dice che per il moto in atto ci è bisogno del movente in atto.  Neppure l'opinione di Gianduno che disse il movente essere la forma, e la materia la cosa mossa, sta benc, perché allora la forma sarebbe movente e mossi, perché il moto in atto è distinto dal motore. Alcuni teologi separarono la gravità dalla sostanza; e dissero clie l'ostia consacrata cade in giù come gravità, non come sostanza. Ma questa opinione non è naturale: e non ne parla perciò. Egli dice che i gravi e leggieri, dopo che sono ge-nerati, si muovono da se, rimosso l'ostacolo, ai loghi naturali propri, e fuori di essi sono mossi dall'aria per l'impeto dato dal morente violento. I proiettili sono mossi dall'aria secondo Averroe, la quale è causa della velocita.  Imperocché il mobile in fine è più veloce, perché maggiore quantità d'aria lo segue nel fine, che nel principio.Lo stesso succede per l'acqua, perché aria ed acqua sono corpi interminati, indifferenti a qualunque figura, come non é dei solidi. Cosi si spiega, perché la balista percuote più a certa distanza che vicino, perché i raggi si uniscono nello specchio a certa distanza. E curioso che si mantiene più fedele ad Averroe che ad Alberto, il quale secondo lui non ha detto bene che i gravi sono mossi dal-l'impeto ad essi dato e non dall'aria e dall'acqua, perché i gravi misti terminati non sono nati a ricevere tali vio-lenze. Altrimenti un uomo getterebbe a maggiore distanza una piuma che un pezzo di ferro; locché è contro l'e-sperienza. E se il maestro Gaetano risponde, che avendo il ferro più materia, riceve più impeto e va quindi a may-giore distanza, gli osserva V. che, data una pietra ed un pezzo di ferro della stessa quantita, il ferro dovrebbe andare a maggiore distanza. Cio proviene perché la mano si applica meglio alla pietra, che alla piuma.  Questa dissertazione fa troppo desiderare la venuta di BONAIUTI (si veda )per isciogliere questo quesito della fisica che arri-luppo nel buio le povere menti aristoteliche.  Nella quinta dissertazione, un dentur unirersalia vea-lia, il Vernia è ancora pretto averroista, cioè sino algiugno del 1492. Espone secondo il solito le opinioni devianti da Aristotele e dal commentatore, poi quella di questi due, e finalmente risolve un numero immenso di obbiezioni. Dice che gli universali o sono concetti puri secondo Occam, ovvero sono reali secondo Burleo nel prologo della fisica; oppure ci è la via media in quanto sono reali nella cosa singolare e formali nell'intenzione. V. prende lo stato della questione non dai primordi della discussione, ma dalle ultine forme che aveva assunte nella scienza. Perché il Burleo discepolo di Occam stando alla pura questione filosofica, aseva guardato più alla parte fisica dei generi e delle specie, ed Occam aveva ridotto la soluzione al puro nominalismo. Non crede dover fare lunga discussione sugli universali ante rem, parendogli fuori proposito pei tempi della scienza. Noi che camminiamo nella via media, dice lui, affermiamo che l'essenza di ogni cosa si può considerare doppiamente, cioè in se, e nella materia, in quanto è quell'aptitudo realis che nou è particolare, perche è una essenza non di unitá di numero, ma l'unità secondo l'aptiludinem communicabilitatis. È una comunità non di materia, ma di forma. Ed é appunto questa inchoulio formae che é reale. Cosi nello sperma non cessa mai la forma umana, fin tanto chie l'nomo si perfeziona. Altrimenti la forma sarebbe creata dal niente di se. Il Vernia è un fisico, e non può trattare la questione degli universali, se non dal lato della sua scienza. Essa si può dire che si identiticacon quella dei germi della vita, sino ad un certo punto.Occam sciolge la questione degli universali negando ogni esistenza astratta e tutto riducendo il loro valore al puro termine. Ma la specie non ha valore in se? Ecco il Burleo che ammette quest' universale nella specie : il Vernia lo chiama unita di forma che é increata, eterna, appunto per negare la creazione temporanea della specie. La difficoltà era per l'anima intellettiva, ritenendosi che essa è creata prima e poi infusa nel corpo. Sebbene ciò, dice il Vernia, é secondo la mente dei sacri teologi, non è però secondo la mente di Aristotele ('). Poichè secondo Averroe nel settimo della metafisica non può uno stesso effelto essere prodotto da due agenti che non sono subordinati nell'operare, e che non concorrono aggiustata-mente allo stesso effetto. Cosi sarebbe di Dio e di un particolare agente nella generazione di Socrate. Epperó egli é di opinione clie la dottrina di Alberto a questo punto poco differisca da quella di Averroe. Il quale volle tutte le forme prodotte ed emanate dalla potenza della materia e non per creazione, la quale credette essere impossibile. Quindi l'anima intellettiva non è creata, maché la volle creata. Ma cio che ha esistenza preesistente, è al aeterno.  Il Vernia nella questione dell'anima vede la cosa secondo il fatto. L'uomo genera l'uomo per l'apretito naturale clie non può essere indarno. L'agente fa la  mil-  tazione, trasmutando la materia dalla potenza all'atto, non congregando due cose jer fare l'unità di un effetto: cosi si approssima alla creazione. La forma non si crei, ma si produce per generazione. La creazione de noco non gli va. La generazione non é per trasferimento secondo Anassagora, nè per le idee secondo Platone. Per Averroe quando succede la generazione, vi è qualche cosa che si completa: la forma è il termine di essa. La forma particolare è distinta dalla essenza che la include; jercio essa non si crea, ma si genera. Se Alberto dice che è creata dal niente di se stessa, rispondo che è jer accidente ge-nerata. E se soggiunge che incomincia ad essere de noco, rispondo anche dicendo non dal niente di se stessa, ma da qualche clie di se, cioè dalla essenza che è l'incoazio-ne ed il seme nella stessa specie. E coloro che non intendono queste cose, non hanno il cervello abilitato al bene, e non sono atti a filosofare secondo i principi di Aristotele ('), il cui assioma è dal niente niente farsi. La quale dottrina fu accolta da tutti quelli che parlano naturalmente. Ottima confessione! Ma osserva ancora che la forma della specie non è distinta da quella dell'individuo; perché nell'uomo vi è una forma particolare che si dice l'anima cogitativa. Nello sperma da cui si ha l'uomo, non si distruggono le parti di esso, ma si generano successivamente le forme dell'uono, finchè si perfeziona la forma umana. L'incoa-tivo sene non è una potenza subbiettiva, ma potenza formale, distinta dalla materia ('). Da ciò segue darsi gli universali reali. Anzi arriva a dire che tutte le specie rimangono in ogni ora, altrimenti tutto sarebbe corrutti-bile, locché appartiene al solo singolare. Perfino il concetto di finalità nella natura non lo ammette; poiché il fine è ens rationis, il quale è ben diverso dal processo naturale, che non dipende dall'anima nostra. L'incoazio-  ne è reale, dice più prima, é nella materia, non è nell'intuizione delle cause agenti (*). Segue una immensità di obbiezioni che tralascio per brevità: qualcuna solo voglio menzionare. Con questa teoria in ogni uomo vi sarebbe qualche che dell' asino; risponde : in potenza vi é questa indifferenza della specie, in atto no. Essendo questi universali separati dall'individuo, non vi sarebbe la necessita dell'intelletto agente. Risponde: questo essere necessario a produrre nell'intelletto jossibile mediante i fantasmi le intenzioni dell'intelletto in atto. Nota poi con Alberto che questi universali incorporei sono sempliciquiddità ulique eristentes, come la quantità indetermi-nata. Infine a Burleo che nega gli universali nella mente, altrimenti si andrebbe all'infinito nei concetti comuni, e cosi non vi sarebbero principi primi della scienza, rispon-de, che il concetto dell' essenza in ratione entis è singo-lare, in ratione signi è comunissimo. Un uomo e un uomo sono lo stesso rutione signi, ma differiscono mate-rialiter. Per questa dottrina egli si avvicina di molto ad Occam che è un puro terminista; ritiene con lui gli universali nella mente rutione signi, e combatte Burleo clie li negó nella mente: ma ritiene con costui la realtà degli universali come enti obbiettivi, che nego l'Occam. In questa dissertazione vi è del buono, vi è del fal-so. Ad ogni modo è la ultima manifestazione del suo averroismo. Il Vernia nega la creazione perché riconosce in natura la sola generazione: ed arriva sino a toccare la questione nebulosa della generazione spontanea colla dottrina della indifferenza dei generi. Non fa eccezione per l'uomo e neinmeno per l'anima cogitativa, dicendola una specie non diversa dall'individuo, un' accidentalità della natura, per cui non ci è bisogno della creazione de noco. Nega l'infondersi dell'anima nel corpo umano secondo S. Tommaso, reputando sufficiente la generazione per l'appetito naturale inerente all'uomo. Questo è il lato più vero dell'arerroismo professato dal Vernia. E se ritiene gli universali separati dai singolari in quanto sono in se, non è meraviglia che sia costretto ad ammettere anche l'intelletto agente che completa nell'uomo la cognizione. Il Vernia mi pare proprio sospeso tra il cielo e la terra, tra la scolastica antica a cui non può dare un totale addio, e la nuova dottrina della realtá della natura di cui ne ha qualche presagio. E certo peró, che se altro scritto mancasse a conoscere qualche valore negli studi naturali, questa quinta dissertazione è la più valida prova del suo talento negli studi filosofici. Con questa dissertazione quinta preceduta dall'altra, se il cielo èanimato, inedita, il Vernia chiude il suo averroismo il più deciso. E si noti che è una dissertazione in cui fu minacciato della scomunica; cioé prima della sua ritrattazione, e  prima del saggio de intellecte di Nifo, che ne è il preludio. Discepolo e maestro, cioe Nifo prima e V. scrivono due saggi *contro* l'unità dell'intelletto di Averroe.  Il trattato de intellectu di Nifo è molto più lungo: maci sostara e quine di io iu pablicato nel 1503, cosi quello di V. vidde la luce nel 1499. Naude ha detto che il de intellecte di Nifo fu prima di quello de unitrle di V. É vero, perché nella dedica del libro a Baduario, patrizio veneto, dice che gli avevabe procurato di stamparla, se non ci fossero stati gli invidiosi che lo accusavano di eresia. Da ció si è argomentato che Nifo ha giá fatto il trattato; e che avendo diteso V., si attirò sopra di lui accuse di eresia; epperò fu costretto a pubblicarlo nell'anno dopo, avendolo prima del tutto emendato.  E questo ha potuto essere sino a quando V. è ancora averroista. Ma mutatosi d'opinione il maestro, si muto anche lo scolaro. Ki-mane la difficoltà rispetto al Vernia, che è maggiore di quella di Nifo, come dopo più di due mesi soltanto cambio opinione, cive da averroista addivenne antiaveroista col trattato de unitute intellectus contro Averroe. Di cosi subitanea mutazione la causa dovette essere la scomunica di Barozzi fattasi sentire un po' più efficacemente.  Che il Nifo ricerette dal Vernia l'indirizzo fondamentale dalla sua ritrattazione, risulta non solo dall'andamento del libro de intellecte nel tutto insieme, ma anche da un'al-tra circostanza che c' induce a credere cosi. Nifo confessa nella dedica del commento de anima al Giulio cardinale dei Medici, che tutte le cose raccolte sul de anima da lui fin da quasi fanciullo gli furono rubate e stampate a sua insaputa e col suo nome, acciocché la cosa fosse più verosimile (). Si capisce che queste cose raccolte furono sotto scuola del Vernia. E se il de intellectu a confessione del Nifo si intende per il commento de anima, e deve succedere a questo, ed è giudicato il primo parto suo giovanile, è ragionevole supporre che l'un e l'altro libro sieno stati inspirati dal suo maestro nei punti principali della ritrat-tazione.  Percorriamo ora brevemente la sesta dissertazione, per vederne il contenuto. Dice che Anassagora, Esiodo, Senofane, Melisso di VELIA e VELIA convengono nel porre che sia lo stesso Dio e l'anima intellettiva: unico Dio, unico intelletto. Di qui nacque l'errore di Averroe e di altri peripatetici che dicono uno essere l'intelletto in tutti.  Democrito e Leucippo non facendo differenza tra senso ed intelletto, ammisero l'anima fatta di atomi. Empedocle volle l'anima composta degli stessi principii delle cose, perché conosce queste cose. Costoro dunque ammettono l'anima generabile. Riferisce l'opinione di Pitagora che pose l'anima immortale per la metempsicosi, e di Platone che disse l'anima da Dio creata, infusa nei corpi. Ma Origene secondo AQUINO (si veda) volle l'anima creata de noronon eterna, rinchiusa nel corpo pel peccato originale. Avicenna che ammise l'immortalità, disse le specie non causate dai fantasmi per l'agente intelletto, ma clie questi dispongano l'anima a ricevere le specie. Dopo ciò, magna discordia inter peripateticos, perché in Aristotele non si trova sciolta né la prima ne la seconda questione, cioe an anima intellection sit forina substantiulis humani corporis, utrunce sit in eo felicitabilis. Alessandro ammise l'anima intellettiva essere eterna, e pose l'intelletto agente e possibile come eterni. Averroe non avendo conosciuto il horo dell'anima di Aristotele, disse l'intelletto possibile corruttibile, ed intese per intelletto possibile l'anima cogitativa. Ma se è immortale l'agente, tale è anche il possibile. La sua attitudine a tutto ricevere è in consonanza colla libertà. Qui ci è una esposizione delle ragioni per cui Averroe ammise l'unita dell'intelletto; perché è impossibile l'infinita moltitudine d'intelletti, perché non non vi è moltitudine nella stessa specie se non per la materia, perché è impossibile la creazione. E subito dopo una imprecazione ad Arerroe.  Conchiude coi peripatetici più famosi che tra Platone ed Aristotele non ci è discordia, se non nelle parole, e che l' anima sia sostanziale dans esse forinaliter corpori hurano, moltiplicata in singulis hominibus, ab acteï-no creata a deo et corporibus infusa. E ciò secundum sacrosanctam Rom. Ecclesiam et veritatem. Ma ci è qualche cosa di più: sostiene che queste cose non solo bisogna credere ex fide, sei philosoplice, non dicendo nulla di contrario ai principii di Aristotele. Arriva ad ascrivere ad Aristotele anche la creazione: locché é la cosa più strana per il Vernia, che a questo profosito si era cosi decisanente espresso cessario cambiarne altre con quella connesse. Ritiene perciò che all'anima non conviene mutazione per l'acquisto della scienza. Per l'unione ai fantasmi è l'universale co-  nosciuto. Ma il singolare non può essere conosciuto prima dall'intelletto, ma solo dal senso in cui vi è mutazione.  Nega quindi al Gianduno che l'intelletto per conoscere l'universale abbia prima bisogno della conoscenza del particolare; altrimenti vi sarebbe mutazione nella scienza, e quindi alterazione nell'intelletto. Cosi spiega che l'inten-dere è per reminiscenza. Similmente circa la indivisibilità dell'anima, il cui opposto ammise Averroe, Osserva che se l'anima non fosse tale, l'uomo non sarebbe lo stesso da mane a sera. Un altro inciampo era, come l'anima intellettiva dá l'essere al corpo umano. Crede una stoltezza l'affermare col Gianduno che non può avvenire se non jer miracolo, che una forma inestesa dia l'estensione.  Qui intanto anche lui si rifugia alla fede, ut fideles po-nunt. Finalmente ne dimostra la immortalità: ciò che é indebilitabile per la esistenza dell'oggetto, è immortale.  L'intelletto è tale: è eterno, come gli universali, non è organico, jerché la sua operazione non è corporea. Un argomento spesso riprodotto dal Pomponazzi, è questo : non si va da un estremo all'altro senza un mezzo. Tri la forma astratta e la nateriale ci è la media che dá l'essere alla materiale: e jer questo conviene colla be-stia, ed è incorrutibile come la celeste natura. In mezzo a tante difficoltà che tratta, egli è però convinto che lasoluzione si trova nella fede: e e Platone si accostò alla verità, non la vidde completamente. Sei soluin ficiles inspirationis lemine fidei illuminati ceritatem attingere complete, et soli complete salisfuciunt omnies poesi-  tis in his difficultatibies. Da questa dissertazione si vede che V. mostra di aver perduto ogni vigoria speculativa, ed ogni connes sione stretta di pensare. Ed essa si può piuttosto accettare come una confessione di fede, anzi che come una vera tesi scientifica. Il rifugio nella scienza è AQUINO (si veda), od un Platonismo cristiano. Tale era l'intonazione che da Bessarione venendo in Italia: e questa si seguito piuttosto a Firenze, che a Padova. E nissnn dubbio che questo indirizzo lo segue il Vernia. E credo che gli faceva coin-modo per levarsi dagli impicci che gli dava il Baroz-zi, e perché desiderava il canonicato di Aquileia, al quale avrebbe trovato ajerta la via con tale pubblica con-tessione. Ma, siccome è troppo difficile abbandonare quelle idee che sono state il nutrimento di un giovane intelletto; cosi anche qui si vede in mezzo alle imprecazioni ad Averroe ed alle eccessive dottrine di fede, una tendenza a mitigare l'averroismo, cioè a con-temperarlo colle dottrine della chiesa. Ed il Barorzi gli dice nella lettera di risposta che lui la fatto bene di fare questo opuscolo, sia che senta cosi, sia che no, perché la sua autorità è grandissima. E lo paragona a S. Paolo con-  vertito; ma pure il sospetto sulla sua fede non cessó to-talmente. Epperò egli replica la sua confessione dopo pochi mesi dalla pubblicazione del suo opuscolo nel suo testamento.  Il Nifo nella età giovane imito in tutto il suo mae.tro nella tarda etá colla sua barcollante fede nell' arerroi-smo. Cosa che il Pomponazzi gli osservò bene nel de-fensorium. Che autorità ha quest'uomo (ei dice) che mentre ora segue l'unita dell'intelletto che noi diciano essere di Averroe, prima l'ha condannata! Allude appunto al trat-se il sistema secondo il Bessarione, di non avere nissun criterio proprio. E nella prefazione al de Anima egli professa col Bessarione che né Platone ne Aristotele arrivarono perfettamente alla fede ortodossa; ma in loro si osserva una parvenza della nostra religione, che poi il creatore per mezzo della dottrina del suo figlio rivelò più manife-stamente. Le sentenze perció di Platone e di Aristotele si debbono accomodare a quella di Cristo. Tale fu il Ver-nia nell'eta decrepita, e tale il Nifo nella gioventi.  Il sistema era molto commodo non solo a non avere disturbi quali ebbe il Vernia, ma anche ad aprirsi una via sicura agli onori che la chiesa impartiva. Era il tempo della simonia allora: una fede anche larvata ci voleva semj re, come scala alle lucrose onorificenze.  Noi non ci meraviglieremo delia confessione del Ver-nia, o meglio della sua ritrattazione, perclé ancle il povero Pomponari fu obbligato a confessare che gli argomenti del Padre Crisostomo, dell'ordine dei predicatori, contro il suo trattato de immortalitale erano fuori ogni dubbio. E si obbliga che il suo libro non puù esser venduto senza quella aggiunzione! Solo ci possiamo meravigliare del suo discejolo che seppe imitare a proprio vantaggio ció che fu un tratto di deboleza senile del suo maestro, senza aver mai dato in tutte le sue 44 opere un lampo di ingegno un po' libero e meno servile alla chiesa. Nicoletto Vernia. Vernia. Keywords: i parepatetici, i parepatetici padovani – i parepatetici di padova, il lizio, unita, Aquino, method in philosophical psychology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva Aristotele!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Vernia.

 

Luigi Speranza -- Grice e Vero: la ragione conversazionale a Roma – l’implicatura conversazionale del fratello d’Antonino – la scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano.  Roma, Lazio. Like Antonino, he is adopted by Antonino Pio. They share many tutors, including Erode Attico, Frontone, Apollonio, and Sesto. They both succeed the throne when their adoptive father dies. When he dies, his brother deifies him for the Roman people.   Quando Marco Aurelio, gia’ Cesare di Antonino Pio, divenne Augusto alla morte del padre adottivo, si verifico’ un fatto straordinario : l’ Impero Romano ebbe per la prima volta nella sua storia due Imperatori legittimi ; ma come si giunse a questa anomala circostanza ?  L' Imperatore Adriano aveva stabilito che alla sua morte l’ Impero passasse all’ adottato Cesare, Lucio Ceionio Commodo, meglio conosciuto come Lucio Elio Vero, non tutti i consiglieri di Adriano approvarono questa scelta, ma cosi’ fu ; Lucio Elio dopo una breve permanenza lungo la frontiera del Danubio, tipiche di questo periodo sono le monete emesse con al rovescio Pannonia, tornò a Roma per pronunciarvi il primo giorno del 138, un discorso innanzi al Senato riunito . La notte prima del discorso però si ammalò e morì di emorragia nel corso della giornata . Il 24 gennaio del 138 Adriano scelse allora come successore Aurelio Antonino, che assunse poi l’ appellativo di Pio, obbligandolo a sua volta di adottare il futuro Imperatore Marco Aurelio e Lucio Vero il figlio di Elio Cesare .  Marco Aurelio, nato come Marco Annio Catilio Severo, divenne Marco Annio Vero, che era il nome di suo padre, al momento del matrimonio con sua cugina Faustina, figlia di Antonino, assunse quindi il nome di Marco Aurelio Cesare, figlio dell' Augusto, durante l'impero di Antonino Pio .  Marco Aurelio Antonino fu dunque, su espressa indicazione di Adriano, adottato nel 138 dal futuro suocero e zio acquisito Antonino Pio che lo nominò erede all' Impero . Alla morte di Antonino Pio il Senato voleva confermare solo Marco ma si rifiutò di entrare in carica senza che Lucio ricevesse gli stessi onori, alla fine il Senato fu costretto ad accettare e insignì anche Lucio Vero del titolo di Augustus . Marco divenne nella titolatura ufficiale, Imperatore Cesare Marco Aurelio Antonino Augusto mentre Lucio divenne Imperatore Cesare Lucio Aurelio Vero Augusto . Per la prima volta Roma veniva governata da due imperatori contemporaneamente .  Marco conservò una preminenza, dovuta al fatto che era stato Cesare dell’ ultimo Imperatore Antonino Pio, fatto che Vero non contestò mai sebbene la sua elezione ad Augusto fosse stata voluta da Adriano per onorare la memoria di Lucio Elio adottandone il figlio e al tempo stesso lasciare l' Impero anche a  Marco Aurelio di cui aveva capito le grandi qualità . A dispetto della loro uguaglianza nominale, Marco ebbe maggior autorita' di Lucio Vero e fu Console una volta di più avendo condiviso la carica già con Antonino Pio ; fu anche il solo tra i due a divenire Pontifice Massimo . In pratica l' Imperatore più anziano, Marco Aurelio aveva circa 10 anni piu' di Lucio Vero, deteneva un comando superiore al fratello più giovane .  Marco Aurelio durante l’ Impero tenuto in fratellanza con Lucio Vero ebbe diversi figli da Faustina minore ma uno solo sopravvisse, il futuro Imperatore Commodo . Apparentemente sembra che i due Imperatori regnassero in armonia con l’ unica informazione certa che Marco Aurelio non approvasse lo stile di vita del fratello adottivo in quanto da lui ritenuta troppo libertina per un Imperatore, come dimostro’ Lucio nella campagna partica nella quale affido’ in loco gran parte della guerra ai suoi generali mentre lui si divertiva in Antiochia ; Lucio ebbe anche qualche remora nel seguire Marco nella campagna in Germania essendo da poco tornato dall’ Oriente .  A questo punto della storia sorge la domanda del titolo, la morte di Lucio Vero ad Altino vicino Venezia a causa di un colpo apoplettico, fu casualita’ naturale o dovuta ad altra causa ? La domanda nasce spontanea per due motivi principali, il primo, forse meno importante, si riferisce al fatto che Cassio Dione nel narrare dei fatti di questa epoca, tace completamente sulla morte di Lucio Vero e questo fatto e’ alquanto strano aver taciuto sulla morte di un Imperatore conoscendo la serieta’, scrupolisita’ e precisione dello storico greco, una dimenticanza ? Forse, ma rimane comunque un fatto strano .  Secondo motivo, piu’ importante, e’ che Marco Aurelio aveva quasi 10 anni in piu’ di Lucio vero e sapendo sempre tramite Cassio Dione che Marco Aurelio era di costituzione fisica non perfetta anzi cagionevole, in teoria sarebbe forse morto con molta probabilita’ prima di Lucio Vero e a quell’ epoca avere 10 anni in piu’ rispetto ad altra persona era quasi una naturale condanna a morire prima . Cio’ avrebbe comportato il fatto che Lucio Vero sarebbe rimasto un giorno unico Imperatore legittimo in carica, alla barba di Commodo figlio di Marco, oppure se questi avesse rivendicato l’ Impero anche per se, si sarebbe verificato il rischio di una guerra civile, come in seguito avvenne tra Marco e Avidio Cassio . Insomma i motivi per eliminare Lucio Vero erano seri, a Marco non piaceva il suo stile di vita e si sentiva anche legato nelle scelte di politica imperiale, inoltre lo strano assoluto silenzio di Cassio Dione sulla morte di Lucio lascia quanto meno perplessi essendo stato questi un Imperatore .  Occorre anche aggiungere che Giulio Capitolino nel narrare la Vita di Marco Aurelio riporta un passo secondo cui Marco Aurelio, nonostante le sue grandi qualita’ morali da tutti riconosciutegli, “sapesse anche abilmente fingere o almeno di essere meno leale di quanto sembrava”  Al termine di questo discorso si puo’ affermare che non esiste nulla di concreto, si ipotizza soltanto, ma le basi per avere dei blandi sospetti esistono ; naturalmente se di omicidio si tratto’, non e’ detto che sia avvenuto per volonta' di Marco Aurelio, contrasterebbe troppo con la sua natura umana, potrebbe essere stato deciso da altra persona della cerchia imperiale, i pettegolezzi circa la sua morte, inseriti nella Vita di Lucio Vero, in questo senso non mancano .  In foto un cammeo antico in sardonice con Marco e Lucio, due busti al Museo di Londra, una moneta celebrante la Concordia degli Augusti e una di Lucio Elio con la Pannonia .Lucio Vero. Vero. Keywords: il principe filosofo. Luigi Speranza, “Grice e Vero”. Vero.

 

Luigi Speranza -- Grice e Veronelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sadismo italiano – la scuola di Milano – filosofia milanese – filosofia lombarda -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Milano). Filosofo milanese. Filosofo lombardo. Filosofo italiano. Milano, Lombardia. Essential Italian philosopher. Figura centrale nella valorizzazione e diffusione del patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti di vista che poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare, attraverso la creazione delle denominazioni comunali, le battaglie a fianco delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al dettaglio. V. assieme ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Originario del quartiere Isola di Milano, dopo il r. ginnasio Parini, compie studi di filosofia a Milano, diventando assistente di BARIE (vedi). Si professa per tutta la vita di fede anarchica, rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da CROCE a Milano. Inizia l'esperienza di editore, pubblicando tre riviste: “I problemi del socialismo,” “Il pensiero”, e “Il gastronomo.” Pubblica “La questione sociale di Proudhon” e “Historiettes, contes et fabliaux di De Sade”. Per quest'ultima viene condannato, insieme a MANFREDI (autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di reclusione per il reato di pornografia. L’opera di De Sade e poi messa al rogo nel cortile della procura di Varese. Subisce anche una condanna di VI mesi di detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con l'occupazione della stazione di Asti e dell'auto-strada, per protestare contro l'indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli produttori. Diventa collaboratore de Il Giorno.  L'attività giornalistica lo impegna, e i suoi articoli, di stile aulico e provocatorio, ricchi di neologismi e arcaismi, faranno scuola nel giornalismo eno-gastronomico e no. Tra le testate cui collabora vanno ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere della Sera, Class, Il Sommelier, V. EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The European. L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama, in particolare A tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di Scala e di Orsini, poi di Ave Ninchi, e il Viaggio Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viti-coltura italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel mondo.  La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo eno-gastronomico lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere divulgativo. Da segnalare: “I Vignaioli Storici”, “Cataloghi dei Vini d'Italia”, dei “Vini del Mondo”, “Degli Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti e degli Oli extra-vergine”, “Alla ricerca dei cibi perduti”, “Il vino giusto”, e la collana Guide V. all'Italia piacevole. Fondamentale anche la collaborazione con Carnacina, maître e gastronomo celeberrimo e Guazzoni maître e sommelier. Ne nascono, ad esempio, “La cucina italiana” e “Il Carnacina.”  Fonda la seconda V. Editore col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione dell'immenso patrimonio gastronomico italiano e contribuire ad accrescere la conoscenza dell’attrattive turistiche del “paese più bello del mondo,” secondo Platone. La casa editrice cessa l'attività a fine. Collabora con Derive\Approdi scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico, politico e gastronomico. L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Echaurren costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni legate alla terra e alla qualità della vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Isieme ad alcuni centri sociali, tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di Milano, al movimento Terra e libertà. Sempre di questi anni le battaglie per le denominazioni comunali, una salvaguardia dell'origine di un prodotto; per il prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare all'origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore al consumatore; per l'olio extra vergine d'oliva, contro le prepotenze e il monopolio delle multi-nazionali e le ingiustizie della legislazione per i piccoli olive-coltori. Di idee anarchiche, si è anche interessato di questioni filosofiche, pubblicando anche articoli su A/Rivista Anarchica e saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno dei suoi interessi libertari, libertini, eno-gastronomici: racconti, novelle e novelline di de Sade -- che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei libri, tra gli ultimi roghi di libri avvenuti in Italia --, le poesie di Pagliarani, la rivista Il gastronomo e quella di filosofia “Il pensiero”, poi interessante per qualche anno e l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da BASSO. In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per concentrarsi su quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In A-Rivista Anarchica si definisce V. l'"anarchenologo" ritenendo che l'attività di V. vada inquadrata in un ambito libertario e contro l'attività delle multi-nazionali agricole.  Gli anarchici della Cellula V., con l'intento di mostrare l'aspetto più propriamente politico di V., hanno organizzato un incontro intitolato "V. politico", a cui hanno preso parte personalità del calibro di MURA, giornalista di La Repubblica, FERRARI della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso Veronelli, Le cucine del popolo) e TIBALDI. Dag’anarchici è sempre stato considerato un compagno. V. e un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza ipocrisie, in perenne lotta contro l’armate schiaviste delle multi-nazionali (Pagliaro, Umanità Nova, Milano gli attribuisce l'ambrogino d'oro.  Rassegna stampa. A-Rivista, Lettera i giovani estremi  Proudhon: La questione sociale – V. politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un'anima -- Il canto della Terra. Il nostro anarchenologo. Un incontro inatteso. Cellula V. Veronelli politico. Circolo Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli. Veronelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza, “Grice e Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Liguria. Veronelli.

 

Luigi Speranza -- Grice e Verrecchia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della falena dello spirito – la scuola di Vallerotonda – filosofia lazia -- filosofia italiana – By Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library (Vallerotonda). Filosofo italiano. Filosofo lazio. Vallerotonda, Frosinone, Lazio. Essential Italian philosopher. Studia a Torino. Trascorse un certo periodo nel parco nazionale del Gran Paradiso, considerato come il più formativo della sua vita. Lì contempla in modo disinteressato i fenomeni della natura. Fa tre università -- e solito dire -: quella vera e propria, che non mi ha dato nulla o quasi; la collaborazione alle pagine dei quotidiani come elzevirista, che mi ha costretto a leggere libri che altrimenti non avrei mai letto; e infine l'università più utile in assoluto, vale a dire il soggiorno nel Gran Paradiso a contatto con la natura. Frutto di quel soggiorno è il saggio che contiene la sua filosofia, potentemente aforistica. I manoscritti riaffiorati molto più tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione, avvenuta presso Fògolasi tratta del Diario del Gran Paradiso. Visse poi a Berlino ed e per addetto culturale all'ambasciata d'Italia a Vienna. Collabora alle pagine culturali di giornali italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La Stampa, Il Giornale. Collabora stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parla volentieri della sua vita privata perché, dice, di un filosofo ciò che interessa sono gli teorie e non le vicissitudini personali. Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di BRUNO e Nietzsche, nel suo orizzonte culturale, però, la figura che risalta di più è senz'altro quella di Schopenhauer, da lui considerato a tutti gl’effetti un maestro da tradurre e continuare. Elementi caratteristici dei suoi saggi sono l'irriducibile vena polemica e una sacra bilis, ma la sua prosa spicca anche per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme a quella di CERONETTI, SGALAMBRO e GIAMETTA è stata giudicata la migliore prosa filosofica. Saggi: “L'eretico dello spirito” (Firenze: Nuova Italia); “La catastrofe di Nietzsche a Torino” (Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche a Torino: la catastrofe del filosofo che sogna un super-uomo al di là del bene e del male (Milano: Bompiani); “Incontri viennesi” (Genova: Marietti), “Cieli d'Italia (Milano: Spiral); “Diario del Gran Paradiso (Torino: Fogola), “BRUNO: la falena dello spirito” (Roma: Donzelli); “Rapsodia viennese: luoghi e personaggi celebri della capitale danubiana” (Roma: Donzelli), “Schopenhauer e la Vispa Teresa: l'Italia, le donne, le avventure” (Roma: Donzelli), “Vagabondaggi culturali” (Torino: Fogola); “La stufa dell'Anti-cristo: altri vagabondaggi culturali” (Torino: Fogola), “Batracomachia di Bayeruth: nietzschiani contro wagneriani; Padova: il prato, Lettere Mercuriali (Torino: Fògola). “Il cantore filosofo” (Firenze, Clinamen); “Il mastino del Parnaso: elzeviri e polemiche” (Firenze: Clinamen); Saggi introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia  di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,). Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli); “Sulla filosofia di Schopenhauer (Milano: TEA); “Aforismi per una vita saggia” (Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla religione” (Milano: Rizzoli); “Lo scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario spirituale” (Torino: POMBA). A Bogotà c'è un erede di Montaigne. Tuttolibri de La Stampa, Allora basta un rospo per finire al rogo. Tutto libri de La Stampa, MATHIEU, Tre giorni in giallo. Tutto libri de La Stampa, Risvolto di copertina della Rapsodia viennese.  Verrecchia, su digilander libero. Lanterna, V. venerando e terribile, Pulp Libri, (ora in Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen. Dotti, I vagabondaggi culturali di V., in rivista. Le case illustri, di Lisa Elena su archivio la stampa. Addio al filosofo V., di Sorrentino, su poesia. RAInews. L'Anticristo goloso, di Rota, su piemontemese. Anacleto Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino, Bruno, la falena dello spirito. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Verrecchia.

 

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